Antonio SEMA: Naufraga a Trieste il sogno del baricentro

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IL NOSTRO ORIENTE

NAUFRAGA A TRIESTE IL SOGNO DEL BARICENTRO

di Antonio

SEMA

Il tentativo di trasformare lo scalo triestino in un perno del sistema centro-europeo sembra tramontato. L’incapacità di capire gli interessi conflittuali in gioco, a cominciare da quelli sloveni. La geopolitica di Illy e l’ipotesi dell’Euroregione.

A

LL’INIZIO DEGLI ANNI SESSANTA,

il democristiano Corrado Belci interrogò il futuro di Trieste. Vide un centro, e dentro c’era il Friuli-Venezia Giulia, assieme a Carinzia, Slovenia e Croazia. Nel passato quelle terre erano state ai margini dei rispettivi blocchi, ma nel futuro avrebbero costituito «il perno delle correnti transitorie sia dell’Europa occidentale che di quella orientale, verso i paesi in via di sviluppo, sia dei due blocchi tra di loro e tra i paesi terzi, lungo i due assi geografici Nord-Sud ed Est-Ovest, che dividono il quadrante europeo in quattro settori ruotanti in detto perno» 1. L’idea che il futuro del Nord-Est italiano dipendesse dalla sua posizione centrale colpì l’immaginazione dei politici del Friuli-Venezia Giulia e successivamente anche del governo italiano. La legge 19/1991 sulle aree di confine rappresentò il punto più alto della elaborazione strategica nazionale e regionale sul vantaggio di posizione, poi le riflessioni originali s’inaridirono e tutti i partiti regionali si limitarono a insistere sulla «centralità» del ruolo internazionale della Regione, di volta in volta definita Regione-ponte, Regione-cerniera, Regione come piattaforma logistica eccetera. Secondo Michele Degrassi, autore di una storia della Regione dalle sue origini a oggi, quella «disperata ricerca» di definire un ruolo ormai scomparso denotava solo il pesante vuoto lasciato dalla caduta del Muro di Berlino 2. La crisi della posizione centrale si avvertiva anche a Trieste, una città in cui nonostante ogni smentita della storia aleggiava sempre l’illusione di ripetere i fasti emporiali del porto asburgico. Anche nello scalo giuliano, infatti, tutti giuravano sulla propria centralità, e molti erano convinti che bastasse ricongiungere lo scalo giuliano all’hinterland che ne aveva 1. C. BELCI, «Panorama economico triestino alla vigilia della Regione», Trieste, n. 59/1964. 2. M. DEGRASSI, «L’ultima delle regioni a statuto speciale», in AA.VV., «Il Friuli-Venezia Giulia», in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi, Torino 2002, Einaudi, vol. 1, p. 799.

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creato la fortuna al tempo degli Asburgo 3 perché l’economia della Mitteleuropa ricoprisse d’oro Trieste e i triestini. In questa sede proveremo a verificare la consistenza di simili aspirazioni baricentriche esaminando l’attuale situazione della Regione Friuli-Venezia Giulia e dello scalo triestino sulla base di alcuni contributi della stampa locale e nazionale.

Il porto Il porto giuliano, sviluppato nel Settecento per soddisfare le necessità imperiali, fu ridimensionato con la scomparsa degli Asburgo, ma continuò la sua attività anche nel contesto territoriale italiano. Nel 1957 la Jugoslavia inventò a ridosso di Trieste lo scalo di Capodistria. Dopo il 1991 questo divenne l’unico porto della Slovenia e nel 2000 era già in lizza per gestire il Molo VII, il terminale container di Trieste. All’epoca, il direttore dell’Ente Porto triestino era Maurizio Maresca, già fido consigliere del diessino Burlando al ministero dei Trasporti. Dichiaratamente ignaro di gestione portuale, Maresca voleva essere un presidente forte 4. Gli bastarono pochi mesi per capire tutto: a Trieste passava solo una frazione dei traffici austriaci, ma Austria e Germania meridionale erano il mercato di riferimento del porto e con adeguate tariffe ferroviarie 5 si sarebbe risolta ogni difficoltà. Trieste e Capodistria erano «due scali vicini ma con un confine di mezzo», lavoravano per lo stesso mercato, dunque costituivano «un unico porto, fittiziamente diviso in due» 6, anzi «un unicum che soltanto gli accidenti della storia hanno diviso» 7. In conclusione, secondo Maresca (che terminò il suo mandato nel 2003) ci voleva un’integrazione totale con libera circolazione di merci e servizi, adeguamento di Capodistria alle regole comunitarie prima dell’adesione slovena all’Ue 8, e armonizzazione dei salari 9, ossia svendere il terminale (agli sloveni) e abbattere i costi della manodopera (italiana) per riportare i bilanci in attivo di uno scalo (di confine). L’allora sindaco di Trieste Riccardo Illy, però, era scettico: a che pro integrare due scali il cui traffico complessivo non superava quello di un solo terminale di Rotterdam se poi il loro sistema viario non era concorrenziale? 10. A dire il vero anche altre cose non erano concorrenziali. Il quarto terminalista mondiale, l’olandese Ect (controllata dalla Hutchison Whampoa di Hong Kong) 11, dopo solo 18 mesi aveva disdetto una concessione trentennale del Molo VII avendo riscontrato insoddisfacenti redditività e prospettive di miglioramento 12, e considerevoli perdite. Un

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3. G. SAPELLI, Trieste italiana, Milano 1990, Franco Angeli, p. 197. 4. L. PETTO, Authority, tutti i «padroni» del presidente, 1/6/2000, p. 7. 5. F. DEL CAMPO, Trieste, dall’Austria solo briciole, 17/2/2000, p. 14. 6. R. MORELLI, «Nuova frontiera Mitteleuropea», Corriere Economia, 20/12/1999, p. 2. 7. «La Provincia entra in “Porto Vecchio srl”», Il Piccolo, 5/7/2000, p. 14. 8. R. MORELLI, art. cit., p. 2. 9. Secondo una fonte, un lavoratore capodistriano costava annualmente 42 milioni di lire rispetto agli 82-96 di un triestino. Cfr. A. CLAUT, «Porto, l’esempio di Rotterdam», Il Piccolo, 5/3/2000, p. 19. 10. R. MO., «Evviva, ma senza strade e binari...», Corriere Economia, 24/1/2000, p. 6. 11. G. PA., «L’Ect si concentra sui clienti in Olanda», Il Piccolo, 11/2/2000, p. 16. 12. G. PALLADINI, «L’Ect abbandona il Molo Settimo», ivi, 27/1/2000, p. 13.


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fatto simile non era mai accaduto a livello mondiale, se non in caso di fallimento del terminalista 13, ma la vicenda non aveva affatto scalfito l’interesse per il Molo VII di una cordata italo-slovena, la Tict, partecipata al 49% dalla Luka Koper (che gestiva il porto di Capodistria), al 45% dalla F. Parisi ed al 6% dall’Impresa Portuale Trieste. La Tict divenne terminalista e concessionaria per la durata di 30 anni sulla struttura del Molo VII, impegnandosi a realizzare un’unica offerta terminalistica tra i porti di Trieste e Capodistria per offrire un’alternativa ai mercati tedesco ed austriaco rispetto ai porti del Nord Europa per i traffici diretti al Far East. La concessione fu salutata dal maggiore quotidiano sloveno, il Delo di Lubiana, col rassicurante titolo «Trst je naš», ossia «Trieste è nostra». Bruno Korelić, presidente di Luka Koper, promise ai triestini che il loro porto sarebbe divenuto il più importante terminal container dell’Adriatico ma le cose andarono diversamente. Secondo i sindacati, la bocciatura della gestione slovena arrivava dai numeri, con tre bilanci chiusi sempre in rosso rispetto all’anno precedente. La flessione più pesante fu quella registrata al 31 dicembre 2002: 15 mila contenitori in meno, pari a un calo del 7,6%, con 80 mila tonnellate perse (meno 4,8%) rispetto all’anno precedente. I traffici del primo bimestre 2003 erano calati addirittura di un terzo rispetto a gennaio e febbraio 2002 14.

Corridoio V Lo sviluppo portuale di Trieste sarebbe apparso più credibile se fosse stato accompagnato da iniziative concrete nelle infrastrutture di collegamento fra Trieste e il suo retroterra, ma queste mancavano. Per capirne qualcosa bastava verificare la situazione del Corridoio V, un serpentone di asfalto e acciaio che sulla carta comprendeva qualcosa come 18.633 km di strade, 21 mila km di ferrovie, 40 aeroporti, 20 porti marittimi, 86 centri intermodali 15. Il progetto risaliva ai primi anni Novanta, quando erano stati individuati alcuni percorsi preferenziali per anticipare i tempi dell’allargamento comunitario ai paesi dell’Est. Il relativo protocollo d’intesa fu sottoscritto nel 1996 da Italia, Slovacchia, Slovenia, Ucraina e Ungheria e nel 1998 l’Italia concesse 300 miliardi per ammodernare le tratte ferroviarie in Slovenia, in particolare la Trieste-Lubiana. Era la prima volta in cui venivano stanziati soldi pubblici per un’opera oltreconfine, ma dopo l’incasso dei miliardi emersero varie difficoltà sul tracciato ferroviario in Slovenia, e sulla tratta ad alta velocità Lione-Torino-Trieste-Lubiana, sebbene la promozione di quest’ultima iniziativa fosse affidata a un comitato presieduto da Sergio Pininfarina e Riccardo Illy. Sul Corridoio s’era impegnato anche Prodi, siglando con Slovenia e Ungheria un’intesa politica, economica e militare, che prevedeva la realizzazione in pochi anni del tracciato 16, ma dopo un anno Illy si disse «deluso della politica italiana, de13. G. PALLADINI, «Ect attacca: “Troppe perdite, Maresca sapeva», ivi, 28/1/2000, p. 15. 14. Rassegna sindacale, n. 13, 3-9/4/2003. 15. P. FIUMANÒ, «Corridoio 5, Trieste cuore della Nuova Europa», Il Piccolo, 6/7/2000, p. 2. 16. R. MORELLI, «“Brigata per la pace”. Patto di Prodi con sloveni e magiari», Corriere della Sera, 24/4/1998, p. 9.

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luso dei tentativi andati a vuoto di imprimere una svolta ai collegamenti ferroviari Est-Ovest, (...) deluso delle risposte evasive che ha ottenuto il suo Nord-Est, (…) deluso persino da cittadini e imprenditori». Adesso si parlava di dieci anni per completare la sola tratta Torino-Trieste, un tempo, sbottava Illy, inaccettabile 17. Di certo, la percezione triestina del Corridoio non coincideva con quelle dei suoi vicini. Uno studio di prefattibilità relativo al percorso dei treni veloci attraverso il confine italo-sloveno evidenziò una ventina di percorsi, dei quali almeno sei non passavano per Trieste 18, mentre l’incontro Haider-Antonione del dicembre 1999 dimostrò che le maggiori divergenze tra Friuli-Venezia Giulia, Carinzia e Regione di Fiume riguardavano appunto questioni come l’allargamento ad Est dell’Ue, i fondi europei e le reti infrastrutturali 19. Antonione interpretò lo scetticismo di Haider sul Corridoio 20 come un modo garbato per ricordare che la porta per Tarvisio e l’Austria era già aperta mentre la via verso Kiev era solo nei progetti 21. In realtà la Slovenia aveva aperto al traffico metà dei 640 km autostradali in progetto, di cui 406 riguardavano il Corridoio, ma verso Budapest non c’era ancora l’ombra di progetti né di finanziamenti, e i collegamenti ferroviari, vecchi di 150 anni, erano così disastrosi che molte aziende del Triveneto operavano su Rotterdam e Amburgo a costi migliori e tempi certi rispetto a Trieste 22. L’infrastutturazione autostradale verso ovest era gestita da Autovie Venete, che si autodefiniva il ponte verso l’Europa dell’Est e i Balcani, prometteva di sviluppare i collegamenti est-ovest e nord-sud, assicurava un ruolo fondamentale al Friuli-Venezia Giulia e giurava che il Corridoio V era strategico 23. Naturalmente Trieste era punto baricentrico nello sviluppo autostradale verso l’Est e il Sud Europa, e doveva solo sfruttare al meglio un sistema geopolitico di «relativa affinità» composto da Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Croazia e Ungheria, e in futuro anche Federazione Jugoslava, Romania, Bulgaria, Turchia, Polonia e Ucraina 24. Il futuro era dunque luminoso e infrastrutturato ma nel presente il Friuli-Venezia Giulia era tagliato fuori dai flussi di traffico su rotaia mentre i cantieri del Corridoio V erano chiusi perché le autorità locali si azzuffavano sul tracciato 25. La situazione non migliorò nemmeno con Berlusconi al governo e con Illy presidente regionale. Alla fine di ottobre 2003, il ministro forzista Lunardi ammise che l’asse Lione-Trieste-Kiev era in ritardo, e soprattutto che apparivano quanto mai incerte le

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17. M. MAUGERI, «Illy: “Il Nord-Est può esplodere”», Il Sole-24 Ore Nordest, 26/4/1999, p. 2. 18. F. CAPODANNO, «Illy difende il “suo” supertreno», Il Piccolo, 14/12/1999, p. 16. 19. A. BONOMI, «Tre grandi confini adriatici», Corriere Economia, 20/12/1999, p. 2. 20. R. MORELLI, «Nuova frontiera Mitteleuropea», ivi, 20/12/1999, p. 2. 21. R. ANTONIONE, «Il governo è sordo alla richiesta di denaro per le infrastrutture», Il Piccolo, 31/12/1999, p. 17. 22. R. MO., «Evviva, ma senza strade e binari...», Corriere Economia, 24/1/2000, p. 6. 23. «È ufficiale: Valori al vertice di Autovie», Il Piccolo, 25/3/2000, p. 14. 24. «Trieste controllerà le vie dell’Est», ivi, 6/6/2000, p. 7. 25. P. SABATTI, «Le Ferrovie moltiplicano i binari verso l’Est», ivi, 7/2/2000, p. 10. Cfr. anche G. PA., «Udine vuole scippare il Corridoio 5», ivi, 22/3/2000, p. 12; C. MELZI, «Gorizia è “fondamentale” per l’economia friulana», ivi, 10/4/2000, p. 10.


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chance di attrezzare il quinto corridoio autostradale e ferroviario sul suolo sloveno, poi ungherese e via via fino all’Ucraina 26. Intanto Illy ipotizzava il completamento dell’asse autostradale per Budapest attorno al 2010, mentre per la ferrovia si parlava del 2015, anche se si trattava di una data puramente teorica, «quasi impossibile da rispettare» 27. A novembre 2003, infine, la Commissione europea autorizzò l’avvio dei lavori sulla Torino-Lione, bocciando invece la Capodistria-Lubiana, mentre Illy lamentava che gli accordi con la Slovenia erano rimasti sulla carta 28. Nel frattempo, in attesa – e forse in sostituzione come mito acchiappavoti – di un Corridoio V che tardava a materializzarsi, si potevano fare altre cose. Di certo, a Trieste l’establishment triestino sembrava sempre più interessato alle potenzialità edilizie del proprio scalo. Era almeno dal 1997, infatti, che Trieste Futura, un Consorzio «voluto e animato» da Pacorini assieme a Generali, Assindustria, Fincantieri, Illycaffè, Telecom, Impregilo eccetera si batteva per trasformare in area edificabile i 660 mila metri quadrati del Porto Vecchio. Chi aveva fiuto per queste cose aveva subito colto la logica del progetto. Già nel 2001 il creatore di Milano-2 aveva spiegato ai forzisti triestini che lungo le rive triestine sarebbe stato possibile fare una Trieste-2 29. Nel 2003 il comitato portuale dava il via al piano di ristrutturazione del comprensorio, un risultato eccellente per una città dove i progetti marciavano tradizionalmente a fatica e spesso non venivano nemmeno approvati.

L’Euroregione Appena eletto alla presidenza della Regione Friuli-Venezia Giulia, Illy aveva subito ripreso la sua personale linea di politica estera, già sperimentata (invero con scarsi risultati) quando era sindaco di Trieste. In pochi giorni si recò a Lubiana (dai vertici della Slovenia), a Villaco (dal governatore della Carinzia, Haider), a Venezia (dal presidente del Veneto, Galan), poi in Istria (dal presidente Jakovčić) e infine in Croazia (dal presidente Mešić) e ogni volta esaminò il progetto di Euroregione. La questione era complessa e forse anche ambigua. Secondo uno studio del 2000 erano possibili tre ipotesi di Euroregione: una Euroregione transfrontaliera, comprendente tutti i Comuni a ridosso dei tre confini italiano, sloveno, carinziano, per favorire una cooperazione delle attività quotidiane nel settore economico, associativo, culturale e sportivo; una Euroregione delle reti funzionali, con le quattro province del Friuli-Venezia Giulia, le regioni statistiche slovene (entità regionali non ancora sancite per legge) che confinavano con la Carinzia e l’Italia (inclusa Lubiana), l’Istria croata e l’intera Carinzia, così da formare un mercato privilegiato per le aziende, risparmiando sui costi di collocazione e di trasferimento dei prodotti; una Euroregione macroregione, formata da una Regione a statuto ordinario (Veneto), una a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia), due Länder federali della Repubblica 26. «Lunardi ammette: troppi ritardi sul Corridoio 5», Il Piccolo, 25/10/2003, p. 6. 27. «Corridoio 5, finiti nel nulla 680 miliardi di lire», ivi, 26/10/2003. 28. P. POSSAMAI, «Infrastrutture, Illy contro l’immobilismo della Slovenia», ivi, 12/11/2003. 29. A. RADOSSI, «Berlusconi mi ha detto: in porto una Trieste-2», Il Piccolo, 11/9/2003, p. 16.

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di Austria (Carinzia e Stiria), due Stati sovrani (Slovenia e Croazia), per agevolare l’accesso dei mercati internazionali nelle aree della macroregione 30. In realtà, anche se Haider indicava come settori prioritari la collaborazione economica e la formazione 31 e Illy ipotizzava una rete pluriregionale tra strutture sanitarie ospedaliere e territoriali 32, nonché una stretta cooperazione tra i Comuni nel settore dei servizi pubblici (luce, acqua, gas e rimozione rifiuti 33), dietro all’ipotesi di Euroregione c’era probabilmente un progetto di tagli allo Stato sociale esteso su scala infraregionale. Quanto meno, era questo lo scenario disegnato dal presidente della Confindustria del Friuli-Venezia Giulia, Piero Della Valentina, secondo cui in un contesto di Euroregione «tutti» i servizi locali (e non soltanto quelli indirizzati alle imprese) dovevano essere integrati. Importava poco che si trattasse di una «macro» o di una «euro» regione: l’essenziale era razionalizzare le risorse, eliminando i doppioni. In pratica, spiegava Della Valentina, «non possiamo avere tutto in ogni singola provincia come per certi versi accade già oggi nelle rispettive regioni» 34. Alla fine del 2003, nel dibattito sulla Euroregione si era inserita anche la provocazione terroristica, con un documento delle Brigate Rosse che rivendicava un attentato alla sede goriziana di Informest richiamandosi a una macroregione intesa come progetto politico transfrontaliero 35.

Baricentro e rapporti tra gli Stati L’ipotesi baricentrica scontava un vizio di origine: il ricongiungimento di Trieste al suo hinterland era sempre visto in maniera aconflittuale, quasi fosse un fatto naturale ritardato solo da certi disgraziati eventi di confine. In altre parole, per alcuni triestini era naturale credere che un certo numero di Stati, Länder e Regioni fossero ansiosi di cooperare tra di loro affinché Trieste e più in generale il FriuliVenezia Giulia potessero sfruttare al meglio i loro vantaggi di posizione. Nel 1999 l’obiettivo sembrava centrato, tanto che il sindaco Illy spiegò ai suoi concittadini che Trieste era il centro del Centro Europa, perché aveva recuperato il suo hinterland perso dopo il 1945 senza toccare i confini 36 e quindi aveva un ruolo geopolitico che ne faceva il luogo ideale per le iniziative verso l’Europa orientale 37. Sfortunatamente, in un’area non casualmente definita Europa centrale anche altre realtà erano convinte di essere centrali, e non sembravano affatto disposte a cede-

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30. Cfr. A. GASPARINI, L. PEGORARO, A. RINELLA, «Regione Euroadria come integrazione di Macro-regione, Euroregione delle reti funzionali, Euroregione transfrontaliera», in A. GASPARINI, (a cura di), Problemi e prospettive dello sviluppo di Euroregioni sul confine nord-orientale italiano: il caso del Friuli-Venezia Giulia, Gorizia 2000, Isig-Regione Friuli-Venezia Giulia. Cfr. anche M. ZAGO, «Integrazione: identità plurale, culturale, etnica e sociale», in Seminari di Formazione/Informazione per favorire il processo di integrazione europea nell’allargamento ad Est, maggio 2003. 31. «Euroregione, patto contro i centralismi», Il Gazzettino Online, 8/10/2003. 32. «Il Friuli-Venezia Giulia sogna una riedizione in forma ridotta di Alpe Adria, d’accordo pure Giancarlo Galan», La Voce del Popolo, 25/9/2003. 33. P.R., «Euroregione, Illy riesce a convincere anche l’Istria», Il Piccolo, 14/10/2003. 34. R. CATTIVELLO, «Friuli e Veneto, prove di macroregione», Il Gazzettino, 9/10/2003. 35. R. COVAZ, «Attacco Br alla specialità del Friuli-Venezia Giulia», Il Piccolo, 23/10/2003, p. 3. 36. M.S., «Il nostro problema? Le risorse umane», l’Unità, 21/1/1999, p. 7. 37. G. SAVOINI, «Foibe e Risiera per Ciampi», La Padania, 24/2/2000, p. 5.


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re alcun vantaggio posizionale (vero o presunto che fosse) alla piccola Regione italiana di confine o al suo porto. In particolare, era la Slovenia che aveva un’idea molto precisa della sua centralità. Ad esempio, il sito di Luka Koper spiegava che la posizione geografica rendeva lo scalo capodistriano un punto d’accesso ideale per i traffici internazionali tra l’Europa e l’oltremare, mentre il suo entroterra commerciale si estendeva su tutta l’Europa centrale ed orientale. Oltre alla Slovenia, infatti, esso comprendeva anche l’Austria, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Polonia, la Germania meridionale, l’Italia, la Svizzera, la Croazia, la Bosnia ed Erzegovina, la Jugoslavia, ma anche la Macedonia, l’Albania, la Bulgaria, l’Ucraina e la Russia 38. Qualcuno era addirittura convinto che fosse l’intero territorio della repubblica slovena a godere di un vantaggio posizionale determinante. Secondo Viktor Trstenjak, segretario dell’Associazione del Trasporto e delle Comunicazioni della Camera dell’Economia slovena, la Slovenia doveva diventare un centro logistico regionale, ossia uno Stato situato vicino ad aree di intenso consumo e dotato di buone capacità di distribuzione. L’esempio era l’Olanda, principale centro europeo di distribuzione per alcune grandi multinazionali: la variante slovena prevedeva di sfruttare il proprio vantaggio di posizione fra l’Occidente industrializzato e l’Europa sudorientale in via di sviluppo associando un basso livello di tassazione al basso costo del lavoro 39.

Osservazioni conclusive Chi rilanciava le metafore baricentriche giuliane sembrava accettare la tesi (esposta da Mario Alberti dopo il 1918) che attribuiva le fortune dello scalo triestino alla sua eccellente posizione 40, ma forse il discorso era più complesso. Secondo l’illustre geopolitico Giorgio Roletto, infatti, Trieste soggiaceva ai mutamenti della politica nazionale degli Stati che utilizzavano lo scalo giuliano ma a loro volta si trovavano in un’area «soggetta ad appetiti e quindi a trasformazioni di frontiera» 41. Di certo, con l’ultima trasformazione delle frontiere e l’ammissione della Slovenia nella Ue il vantaggio di posizione goduto un tempo dal Friuli-Venezia Giulia nei confronti dell’intera Jugoslavia e poi di Slovenia e Croazia era diventato il vantaggio di posizione sloveno verso Croazia, Serbia, Bosnia eccetera. C’era poi un secondo elemento: nel 2003, la centralità di Trieste o del FriuliVenezia Giulia aveva un senso quasi solo in campo economico e comunque riguardava le potenzialità e gli interessi di un medio Comune con un porto e di una piccola Regione autonoma, mentre la centralità slovena era un fattore geopolitico 38. www.luka-kp.si, versione in lingua italiana. 39. Cfr. V. TRSTENJAK, «Slovenia as a Regional Logistic Centre, in Infrastructures and Ports Problems of the North Adriatic Area in the Framework of the Eu’s Eastern Enlargement», Abstract, Proceedings of the International Seminar, Trieste, 27/10/2000. 40. Cfr. al riguardo la sintesi di G. SAPELLI, Trieste italiana, Milano 1990, Franco Angeli, pp. 19-23. 41. G. ROLETTO, Trieste ed i suoi problemi. Situazione. Tendenze. Prospettive, Trieste 1952, Eugenio Borsatti Editore, p. 15.

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al servizio di uno Stato nazionale, piccolo ma determinato al punto che secondo i croati, gli sloveni si erano già «ampiamente» giovati della loro posizione geografica nelle trattative sulle viabili, con il trasferimento a nord del tracciato dell’autostrada Fiume-Trieste o il voluto declassamento del Corridoio V 42. Il vantaggio posizionale sloveno aveva alcuni punti deboli. Per prima cosa era temporaneo, cioè valeva fino a che la Croazia non entrava nella Ue. Forse per questo, Zagabria aveva subito accettato l’ipotesi di Euroregione, come via per favorire l’ingresso della Croazia nella Ue 43, mentre Lubiana s’era dichiarata d’accordo in linea di principio ma aveva sollevato numerose difficoltà 44. Poi c’era un limite geopolitico strutturale: i 40 km di costa adriatica erano chiusi dalle acque territoriali italiane e croate. Zagabria aveva sollevato il contenzioso sulle acque territoriali già dal 1991, ma non aveva mai trovato l’approccio giusto per condizionare le trattative con Lubiana. Nel 2001 fu raggiunto un accordo tra l’allora premier sloveno Janez Drnovšek e il suo collega croato Ivica Račan per la creazione di un corridoio marittimo che permettesse alla Slovenia un contatto diretto con le acque internazionali, ma a causa delle critiche dei politici e dell’opinione pubblica croati l’accordo non fu mai neppure presentato al parlamento di Zagabria. Nel 2003, il governo croato – forse con un occhio alle elezioni – decise di proclamare unilateralmente una «fascia economica allargata» nell’Adriatico croato, senza escludere un accordo italo-croato tale da impedire agli sloveni un accesso diretto alle acque internazionali. La Slovenia avviò subito una campagna di sensibilizzazione a livello internazionale, e il ministro degli Esteri Rupel fece sapere che Lubiana, visto l’evolversi della situazione, avrebbe anche potuto ripensare la sua politica di appoggio all’ingresso della Croazia nell’Unione Europea e nella Nato 45. Più tardi Rupel rettificò e precisò, ma il senso era stato così chiaro che la Croazia si affrettò a modificare la sua proposta di Zona economica esclusiva (peraltro riconosciuta legittima dal commissario europeo per l’Agricoltura e la Pesca Franz Fischler 46) e ripiegò sulla più modesta ipotesi di una Zona di pesca e di protezione ecologica 47. Il dato essenziale, come sempre, riguardava la singolare capacità slovena di agire sulla scena internazionale. Nonostante tutto, infatti, da almeno un decennio i politici di Lubiana riuscivano quasi sempre a farsi ascoltare molto in alto. Per convincersene, era sufficiente ricordare il secco invito di Clinton a Prodi nel 1996, quel «chiudete il conflitto con la Slovenia», seguito dall’immediato ordine di Prodi a Fassino: «Vai a Lubiana e chiudi il contenzioso». Così fu fatto e la Slovenia entrò nell’Ue 48.

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42. «La Zona economica è frutto del disorientamento politico», La Voce del Popolo, 30/8/2003. 43. Cfr. R. GIANI, «L’Ungheria bussa alla porta dell’Euroregione», ivi, 5/11/2003, p. 5. 44. Cfr. P. S., «Rupel frena: “Prima decidiamo le nuove aree amministrative”», La Voce del Popolo. 45. «Monito di Rupel: a rischio l’appoggio all’ingresso della Croazia nell’Ue», La Voce del Popolo, 2/9/2003. 46. Cfr. «Ue “arbitro” tra Croazia e Slovenia», La Voce del Popolo. 47. «Adriatico, il dado è tratto», La Voce del Popolo, 30/10/2003. 48. Cfr. la ricostruzione dello stesso P. FASSINO nel suo Per passione, Milano 2003, Rizzoli. Cfr. anche P. FASSINO, «Clinton disse: la Slovenia entri nella Ue», Il Piccolo, 27/8/2003, p. 23.


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Quella scelta dette il colpo di grazia ai sogni baricentrici di Trieste, una città che fino a quel momento aveva goduto di un piccolo ma significativo potere di interdizione sulla politica italiana nei confronti di una Slovenia aspirante membro della Ue. Dopo l’intervento di Fassino, il peso politico dello scalo giuliano si dissolse, tanto nei confronti di un governo di centro-sinistra (tradizionalmente filosloveno) quanto e più di uno di centro-destra, su cui aleggiava il passato fascista che ne condizionava ogni pur minima azione ai confini nordorientali. Restava ancora da verificare l’effettiva potenzialità della più volte proclamata ambizione della Regione Friuli-Venezia Giulia di fare politica estera regionale. Di certo, alla fine del 2003, il sogno del baricentro per l’estremo Nord-Est italiano era ancora un sogno.

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