LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE RIVISTA TRIMESTRALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE
MONOGRAFIE
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Ivan Ingravallo
IL CONSIGLIO DI SICUREZZA E L’AMMINISTRAZIONE DIRETTA DI TERRITORI
Editoriale Scientifica
Volume stampato con fondi di ricerca dell’Ateneo di Bari e con il concorso finanziario del Dipartimento di Diritto internazionale e dell’Unione europea dell’Università degli Studi di Bari.
Proprietà letteraria riservata
Copyright ottobre 2008 Editoriale Scientifica srl Via San Biagio dei Librai, 39 - 80138 Napoli ISBN 978-88-6342-048-7
ai miei famigliari, grato
PRINCIPALI ABBREVIAZIONI DI RIVISTE E ANNUARI AdV: Archiv des Völkerrechts AFDI: Annuaire français de droit international AJIL: American Journal of International Law American UILR: American University International Law Review American UJILP: American University Journal of International Law and Policy American ULR: American University Law Review Anuario DI: Anuario de derecho internacional ANZSIL Proc.: Proceedings of the Australian and New Zealand Society of International Law ANZSIL/ASIL Proc.: Proceedings of the Australian and New Zealand Society of International Law, and American Society of International Law ARIEL: Austrian Review of International and European Law ASIL Proc.: Proceedings of the American Society of International Law Australian YBIL: The Australian Year Book of International Law Baltic YIL: Baltic Yearbook of International Law British YBIL: The British Year Book of International Law California WILJ: California Western International Law Journal Canadian YIL: Canadian Yearbook of International Law CDE: Cahiers de droit européen CEBDI: Cursos Euromediterráneos Bancaja de Derecho Internacional Chicago JIL: Chicago Journal of International Law CI: La Comunità Internazionale Columbia HRLR: Columbia Human Rights Law Review Columbia JTL: Columbia Journal of Transnational Law Connecticut JIL: Connecticut Journal of International Law Cornell ILJ: Cornell International Law Journal Criminal LF: Criminal Law Forum CS: Comunicazioni e Studi dell’Istituto di Diritto Internazionale e Straniero della Università di Milano Denver JILP: Denver Journal of International Law and Policy DPCE: Diritto pubblico comparato ed europeo DUDI: Diritti umani e diritto internazionale Duke LJ: Duke Law Journal EdD: Enciclopedia del Diritto
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ABBREVIAZIONI
EG: Enciclopedia giuridica Treccani EHRLR: European Human Rights Law Review EJIL: European Journal of International Law ELR: European Law Review Emory ILR: Emory International Law Review EPIL: Encyclopedia of Public International Law EPL: European Public Law Georgia JICL: Georgia Journal of International and Comparative Law German YIL: German Yearbook of International Law (Jahrbuch für Internationales Recht) Global Community YILJ: Global Community Yearbook of International Law and Jurisprudence Hague YIL: The Hague Yearbook of International Law Harvard HRJ: Harvard Human Rights Journal Harvard ILJ: Harvard International Law Journal Houston JIL: Houston Journal of International Law HRQ: Human Rights Quarterly ICLQ: The International and Comparative Law Quarterly ILM: International Legal Materials ILSA JICL: ILSA Journal of International and Comparative Law Int. Law FORUM: International Law FORUM du droit international Int. Pk. (Frank Cass): International Peacekeeping, Frank Cass ed. Int. Pk. (Kluwer): International Peacekeeping, Kluwer ed. Int. Pk. YIPO: International Peacekeeping, The Yearbook of International Peace Operations Int. Spect.: The International Spectator IO: International Organization IOLR: International Organizations Law Review IYIL: Italian Yearbook of International Law Journal CSL: Journal of Conflict and Security Law Leiden JIL: Leiden Journal of International Law Max Planck YUNL: Max Planck Yearbook of United Nations Law Melbourne JIL: Melbourne Journal of International Law Melbourne ULR: Melbourne University Law Review Michigan JIL: Michigan Journal of International Law Netherlands ILR: Netherlands International Law Review Netherlands YIL: Netherlands Yearbook of International Law New York UJILP: New York University Journal of International Law and Politics
ABBREVIAZIONI
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Nordic JIL: Nordic Journal of International Law NQHR: Netherlands Quarterly of Human Rights RBDI: Revue belge de droit international RdC: Recueil des Cours de l’Académie de droit international de la Haye RDI: Rivista di diritto internazionale REDI: Revista española de derecho internacional RGDIP: Revue générale de droit international public RICR/IRRC: Revue international de la Croix Rouge (International Review of the Red Cross) RTDE: Revue trimestrielle de droit européen RTDH: Revue trimestrielle des droits de l’homme Temple ICLJ: Temple International and Comparative Law Journal Texas ILJ: Texas International Law Journal Tulane LR: Tulane Law Review UCLA JILFA: UCLA Journal of International Law and Foreign Affairs Vanderbilt JTL: Vanderbilt Journal of Transnational Law Virginia JIL: Virginia Journal of International Law Yale JIL: Yale Journal of International Law ZaöRV: Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht
INDICE-SOMMARIO Principali abbreviazioni di riviste e annuari
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Premessa, piano e delimitazione dell’indagine
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Capitolo Primo L’AMMINISTRAZIONE DI TERRITORI DA PARTE DI UN’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE 1. L’amministrazione di territori nella prassi della Società delle Nazioni 2. Le Amministrazioni territoriali realizzate (e quelle progettate) dalle Nazioni Unite 3. Segue: lo sviluppo di tale fenomeno nella prassi recente. L’istituzione da parte del Consiglio di sicurezza di operazioni di pace incaricate di amministrare un territorio in base al capitolo VII della Carta 4. L’amministrazione di territori non gestita dall’ONU. I casi della Bosnia-Erzegovina, di Mostar e del Distretto di Br ko 5. Considerazioni di sintesi sull’amministrazione internazionale di territori
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Capitolo Secondo CARATTERI DELLE OPERAZIONI DI AMMINISTRAZIONE TERRITORIALE DECISE DAL CONSIGLIO DI SICUREZZA E LORO FONDAMENTO GIURIDICO Sezione I I CARATTERI DELLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI 1. La presenza, nelle Amministrazioni territoriali, di una componente civile e di una militare. La loro non necessaria integrazione in una struttura unica 53 2. Il ruolo del Segretario generale nell’istituzione delle operazioni di amministrazione territoriale. La diversa procedura seguita per l’Amministrazione territoriale del Kosovo 58
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INDICE-SOMMARIO
3. Il riferimento, nelle risoluzioni istitutive, sia al consenso del sovrano territoriale e/o della popolazione amministrata, sia al capitolo VII della Carta 4. Il ruolo degli “Stati forti” ai fini del raggiungimento del consenso, dell’istituzione delle operazioni e del loro svolgimento 5. Critica alla risoluzione n. 1244: la mancanza di un accordo di riconciliazione nazionale e l’ambiguità sullo status finale del Kosovo 6. Le Amministrazioni territoriali quali organi sussidiari del Consiglio di sicurezza. Il difficile coordinamento tra il Dipartimento per gli affari politici e quello per le operazioni di mantenimento della pace nella loro gestione 7. La struttura delle Amministrazioni territoriali 8. La cooperazione con altre organizzazioni internazionali. Il loro contributo alla realizzazione delle Amministrazioni territoriali 9. Il finanziamento delle Amministrazioni territoriali
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Sezione II LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI 10. L’amministrazione di territori come “nuova” amministrazione fiduciaria 11. Le Amministrazioni territoriali come operazioni di peace-keeping 12. Segue: le Amministrazioni territoriali quale elemento che conferma l’esistenza di una nozione ampia di “operazioni di pace” dell’ONU. L’importanza del mandato ai fini della valutazione degli elementi caratterizzanti tali operazioni 13. Il fondamento della competenza del Consiglio di sicurezza ad amministrare un territorio
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Capitolo Terzo LE PRINCIPALI FUNZIONI SVOLTE DALLE OPERAZIONI DI AMMINISTRAZIONE TERRITORIALE 1. L’estensione dei poteri delle Amministrazioni territoriali e gli aspetti problematici connessi al loro accentramento in capo alle medesime 111
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2. L’esercizio di funzioni amministrative e giudiziarie. Il potere di nomina e di revoca dei pubblici funzionari 3. La responsabilità per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica 4. L’esercizio della funzione legislativa. Il progressivo coinvolgimento della popolazione locale 5. Segue: la prevalenza delle norme adottate dalle Amministrazioni territoriali sulle norme locali. L’incerta collocazione delle norme internazionali sui diritti umani richiamate negli atti delle Amministrazioni territoriali 6. Il potere estero delle Amministrazioni territoriali 7. Il progressivo trasferimento di poteri alle istituzioni territoriali e la questione della dipendenza del territorio dall’Amministrazione dell’ONU 8. Segue: lo svolgimento di elezioni quale elemento indispensabile per il trasferimento di poteri. Il permanere in capo alle Amministrazioni di poteri di controllo e di veto sugli atti delle istituzioni territoriali
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Capitolo Quarto I LIMITI ALL’AZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI E I MECCANISMI VOLTI AD OPERARE UN CONTROLLO SUL LORO SVOLGIMENTO 1. Considerazioni introduttive. La questione dell’applicabilità alle Amministrazioni territoriali delle norme sull’occupazione bellica 155 Sezione I I LIMITI ALL’AZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI 2. Il rispetto del diritto internazionale cogente, della Carta dell’ONU e della sovranità statale quali limiti per l’istituzione delle Amministrazioni territoriali e per il loro svolgimento 3. La transitorietà dell’Amministrazione come garanzia della sovranità statale. Spunti critici con riferimento all’UNMIK e alla KFOR 4. Il rispetto del mandato istitutivo quale limite all’attività delle Amministrazioni territoriali 5. Il rispetto dei diritti umani
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INDICE-SOMMARIO
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Sezione II IL CONTROLLO SULLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI 6. Il controllo giudiziario. Critica al regime di immunità di cui beneficiano le Amministrazioni territoriali 7. Segue: la questione dell’utilizzazione dei mezzi di ricorso internazionali 8. I meccanismi di controllo non giudiziari 9. Il controllo dell’ONU sull’attività delle Amministrazioni territoriali 10. Aspetti evolutivi: cenni sul ruolo potenziale dell’opinione pubblica ai fini dell’esercizio di un controllo sulle Amministrazioni territoriali
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Conclusioni
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Bibliografia
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PREMESSA, PIANO E DELIMITAZIONE DELL’INDAGINE L’istituzione, avvenuta a distanza di pochi mesi nel corso del 1999, ad opera del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, di due operazioni di pace, l’UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo)1 e l’UNTAET (United Nations Transitional Administration in East Timor)2 , cui sono state assegnate ampie funzioni di amministrazione diretta dei territori in cui sono state dispiegate, ha posto numerose e complesse questioni giuridiche. Come vedremo, non si tratta di un fenomeno insolito, in quanto la prassi mostra, sin dai primi decenni del XX secolo, diversi esempi di esercizio, da parte di organizzazioni internazionali, di rilevanti poteri pubblici (esecutivi, legislativi, giudiziari) su una comunità territoriale, attraverso organi facenti capo alle organizzazioni stesse. Queste, che non hanno un carattere territoriale e quindi non esercitano, di regola, i poteri di governo che sono tipici di uno Stato, nondimeno talvolta sono chiamate a svolgere funzioni di amministrazione diretta di un territorio. Le operazioni di amministrazione territoriale istituite dal Consiglio di sicurezza, secondo modalità sulle quali ci soffermeremo ampiamente in seguito, costituiscono una delle numerose situazioni in cui può parlarsi di internazionalizzazione di un territorio. Utilizzando tale ultima espressione con un significato assai ampio3 , è infatti possibile ricomprendervi tutte le situazioni in cui, a vario titolo, un’autorità esterna – uno Stato, un gruppo di Stati o un’organizzazione internazionale, sia direttamente sia per il tramite di singoli Stati – si trovi ad amministrare un territorio, in via temporanea, senza pregiudicarne la futura destinazione4 . 1
Cfr. la risoluzione n. 1244 del 10 giugno 1999. Cfr. la risoluzione n. 1272 del 29 ottobre 1999. 3 C RAWFORD , The Creation of States in International Law, II ed., Oxford, 2006, p. 233, segnala la mancanza di un concetto giuridico autonomo di territorio internazionalizzato, distinto dal significato politico. 4 Sulla configurabilità di una figura unitaria di “amministrazione” v. C ONFORTI, L’attuale situazione giuridica del territorio di Trieste, in RDI, 1955, p. 569 s. (nota n. 6). Sul punto v., in generale, DELBEZ, Le concept d’internationalisation, in RGDIP, 1967, p. 5 ss., che distingue l’internazionalizzazione integrale da quella limitata e da quella imperfetta, sulla base del grado di controllo e dall’ampiezza dei poteri esercitati dall’autorità internazionale sul territorio. Per la prassi meno recente in merito ai differenti fenomeni di amministrazione internazionale di un territorio v. MARAZZI, I 2
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PREMESSA
In linea generale, nel contesto dell’internazionalizzazione di un territorio possiamo distinguere i casi in cui l’amministrazione è svolta nell’interesse dell’amministrante, come nell’occupazione bellica non seguita da annessione5 , nel condominio e nel protettorato, da quelli in cui è svolta nell’interesse dell’amministrato o anche della comunità internazionale6 . Il termine generico “internazionalizzazione di territori” (o “territori internazionalizzati”) comprende quindi sia le situazioni in cui sono state create entità autonome sottoposte ad una protezione, supervisione o garanzia internazionale da parte di un gruppo di Stati7 , sia quelli in cui vi è il coinvolgimento di un’organizzazione internazionale8 . In tale ultimo caso, l’organizzazione può limitarsi all’eserterritori internazionalizzati, Torino, 1959; YDIT, Internationalised Territories. From the “Free City of Cracow” to the “Free City of Berlin”, Leyden, 1961 (che però considera internazionalizzati solo quei territori aventi tale status in permanenza, p. 20 e p. 320, pur rilevando che l’internazionalizzazione è una soluzione opportuna solo in via temporanea, p. 322); SOLÁ DOMINGO, La competencia de administración de territorios por las organizaciones internacionales, in REDI, 1982, p. 125 ss.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, L’application du droit international humanitaire et des droits de l’homme aux organisations internationales. Forces de paix et administrations civiles transitoires, Bruxelles, 2005, p. 61 ss. Secondo STAHN, The United Nations Transitional Administrations in Kosovo and East Timor: A First Analysis, in Max Planck YUNL, 2001, p. 180 ss., l’istituzione dell’UNMIK e dell’UNTAET «sheds new light on the concept of internationalization». 5 MARAZZI, op. cit., p. 63, adotta un criterio più selettivo, in quanto afferma che l’elemento caratteristico di tutti i territori internazionalizzati è «l’esercizio collettivo, o in nome collettivo, della potestà di governo», escludendo il fenomeno dell’occupazione bellica dalla categoria in questione. 6 SOLÁ DOMINGO, op. cit., p. 137. C HESTERMAN, You, The People. The United Nations, Transitional Administrations, and State-Building, Oxford, 2004, p. 11 ss., mette in luce il nesso concettuale e storico che lega l’amministrazione diretta di territori con fenomeni come la decolonizzazione, l’amministrazione fiduciaria e l’occupazione bellica. 7 Gli esempi più rilevanti sono: la Repubblica indipendente di Cracovia, istituita dall’Atto finale del Congresso di Vienna (1815-46), l’Insediamento internazionale di Shanghai (1854-1943), l’amministrazione dell’isola di Creta (1897-1909), la Zona internazionale di Tangeri (1923-56), la Commissione internazionale di controllo sull’Albania (1913-14). Furono anche avanzate proposte per internazionalizzare parti dell’Impero ottomano (nell’Ottocento) e il Monte Athos (1913). 8 WILDE, From Danzig to East Timor and beyond: The Role of International Territorial Administration, in AJIL, 2001, p. 583 ss., con riferimento ai casi in cui un’organizzazione internazionale svolge funzioni di amministrazione di un territorio, utilizza l’espressione generica di «international territorial administration», includendo in tale categoria anche le funzioni svolte dall’UNHCR nella gestione di campi-profughi e quelle di altre agenzie di assistenza umanitaria dell’ONU.
PREMESSA
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cizio di compiti di supervisione e controllo sull’amministrazione di un territorio da parte di uno o più Stati9 – come nel caso dei mandati della Società delle Nazioni, previsti dall’art. 22 del Trattato istitutivo della stessa, e, in seguito, dell’amministrazione fiduciaria nell’ambito dell’ONU, disciplinata dai capitoli XI e XII della Carta –, ovvero assumere il carattere più incisivo dell’amministrazione diretta del territorio, che offre maggiori garanzie di imparzialità e di obiettività10 . I diversi fenomeni di internazionalizzazione considerati, pur presentando alcuni punti di contatto sotto il profilo delle funzioni che le organizzazioni o gli Stati sono chiamati a svolgere con riferimento ai territori interessati, vanno nondimeno tenuti distinti, in quanto perseguono finalità diverse e si sviluppano secondo modalità differenti11 . Quello dell’amministrazione diretta di un territorio da parte di un’organizzazione internazionale è un fenomeno abbastanza recente, in quanto connesso all’esistenza di organizzazioni non-settoriali, aventi finalità ampie e poteri significativi, in particolare per quanto riguarda la soluzione delle controversie tra gli Stati membri e il mantenimento di relazioni pacifiche tra di loro12 . Non sembrano esserci pe9 RAUSCHNING , Mandates, in EPIL, vol. III, 1997, p. 286; STAHN, International Territorial Administration in the former Yugoslavia: Origins, Developments and Challenges ahead, in ZaöRV, 2001, p. 117; DAUDET, L’action des Nations Unies en matière d’administration territoriale, in CEBDI, vol. VI, 2002, p. 466 s. Anche MATZ, Civilization and the Mandate System under the League of Nations as Origin of Trusteeship, in Max Planck YUNL, 2005, p. 69, rileva che il sistema dei mandati ha natura internazionale, ma, a differenza dell’amministrazione diretta di territori, l’autorità è esercitata da uno o più Stati. 10 DAUDET, op. cit., p. 468. V. anche E ISEMANN, La faisabilité des actions pour la restauration de l’ tat, in DAUDET (dir.), Les Nations Unies et la restauration de l’ tat, Paris, 1995, p. 113, il quale peraltro rileva che «la neutralité et l’impartialité que l’on peut reconnaître à l’Organisation ne constituent pas en soi des brevets de compétence». In una prospettiva diversa v. DICKERSON, Assumptions of Legitimacy: And the Foundations of International Territorial Administration, in Denver JILP, 2006, p. 163: «[...] by presenting states and IOs as polar opposites with respect to territorial administration, the formulation merely legitimizes activities undertaken by IOs that are considered illegitimate when done by states». 11 Per le differenze tra le diverse forme di presenza straniera in un territorio, con riferimento ai profili relativi al soggetto amministrante, alla finalità della presenza straniera e all’ampiezza dei poteri esercitati, v. B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor: Concept, Legality and Limitations of Security Council-Mandated Trusteeship Administration, in T OMUSCHAT (ed.), Kosovo and the International Community. A Legal Assessment, The Hague-London-New York, 2001, p. 220 ss. 12 C RAWFORD , op. cit., p. 547, che considera quale ulteriore requisito la circostanza che l’organizzazione adotti le proprie delibere a maggioranza. In generale su
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raltro obiezioni di principio, né queste emergono dalla pertinente prassi internazionale, alla possibilità che un’organizzazione internazionale svolga anche funzioni di amministrazione diretta di un territorio13 , qualora ne abbia la competenza e i mezzi e ricorrano le condizioni all’uopo richieste14 . Ciò è tanto più vero con riferimento all’ONU, principale organizzazione internazionale competente per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale15 , ed è confermato dalla prassi dell’Organizzazione, nella quale non emergono contestazioni rilevanti alla possibilità che la stessa, attraverso propri organi sussidiari, svolga funzioni di amministrazione diretta di un territorio16 . L’Assemblea generale ha sostenuto tale compito, approvando le spese delle Amministrazioni come spese dell’Organizzazione17 . Se critiche vi sono state, esse hanno riguardato la ripartizione dei poteri tra gli organi principali dell’ONU (Consiglio di sicurezza, Assemblea generale, Consiglio di amministrazione fiduciaria), piuttosto che la competenza della stessa Organizzazione ad amministrare un territorio, generalmente riconosciuta anche in mancanza di un preciso riferimento nella Carta18 . tale tematica v. la ricostruzione storico-giuridica svolta da Z ANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, II ed., Torino, 2007, p. 1 ss. 13 DAUDET, op. cit., p. 466, rileva: «L’administration internationale est un procédé ancien de la gestion de territoires ou d’activités. Curieusement, antérieure aux organisations internationales elles-mêmes, elle peut être considérée comme se trouvant à l’origine de leur création». In tema v. anche STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 108 e p. 114 ss. 14 Per riprendere le parole di VIRALLY, La notion de fonction dans la théorie de l’organisation internationale, in Mélanges offerts a Charles Rousseau, Paris, 1974, p. 292: «le traité constitutif d’une Organisation n’établit plus qu’une structure fondamentale, mais inachevée, appelée à connaître un continuel développement, au fur et à mesure de l’apparition de besoins fonctionnels nouveaux». V. anche DAUDET, op. cit., p. 473, che, con riferimento all’ONU, rileva l’esistenza di un «véritable principe d’adaptation constante» dei fini contenuti nell’art. 1 della Carta. 15 Già DUPUY (P.M.), Sécurité collective et organisation de la paix, in RGDIP, 1993, p. 623, rilevava come la concezione ampia («polymorphe») del mantenimento della pace ai sensi del capitolo VII che emergeva dall’azione posta in essere dal Consiglio di sicurezza nei primi anni ’90 non costituisse una novità, ma un ritorno alla lettera e allo spirito della Carta. In adesione v. C ELLAMARE, Le operazioni di peacekeeping multifunzionali, Torino, 1999, p. 201. 16 Sulla possibilità di trasferire consensualmente l’esercizio di compiti di amministrazione civile a soggetti internazionali diversi dallo Stato interessato, in particolare di trasferirlo all’ONU, v. C ELLAMARE, op. cit., p. 155. 17 V. infra, capitolo II, par. 9. 18 SEYERSTED , United Nations Forces. Some Legal Problems, in British YBIL, 1961, p. 451 ss. Come rileva in generale C RAWFORD , op. cit., p. 564: «Significant
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Oggetto della presente indagine sarà lo studio di tale fenomeno, con particolare riguardo alle operazioni di amministrazione territoriale istituite dal Consiglio di sicurezza19 , che rientrano nell’ampia categoria delle operazioni di pace dell’ONU20 . L’estensione dei poteri dell’UNMIK e dell’UNTAET e l’incisività con cui gli stessi sono stati esercitati hanno prodotto un rinnovato interesse per tale fenomeno, ma con un limite metodologico. La gran parte degli studi, infatti, è dedicata ad una specifica situazione, mentre sono rari quelli relativi al fenomeno dell’amministrazione territoriale in quanto tale21 . Ciò è powers of territorial administration and disposition have been delegated to United Nations organs since 1945. The record demonstrates that the difficulties with such delegations derive not from any assumed incompetence of the United Nations to exercise dispositive powers, but from the political feasibility, or desirability, of invoking them in the particular situation». V. anche HALDERMAN, United Nations Territorial Administration and the Development of the Charter, in Duke LJ, 1964, p. 95 ss. Un’ampia convergenza a favore della competenza del Consiglio di sicurezza a svolgere compiti di amministrazione diretta di un territorio emerse già nei primissimi anni di vita dell’Organizzazione, con riferimento al Territorio libero di Trieste (su cui v. infra, capitolo I, par. 2). Cfr. il dibattito svoltosi in Consiglio tra il 7 ed il 10 gennaio 1947 (Procès-verbaux officiels, Deuxième année, Quatre-vingt-neuvième e -onzième séance). Lo stesso è a dirsi per la competenza dell’ONU ad amministrare la città di Gerusalemme; cfr. il dibattito svoltosi in Assemblea generale (Procèsverbaux officiels, Cent-vingt-quatrième séance plénière, Cent-vingt-hutième séance plénière). Pragmatica è la posizione di K ELSEN, The Law of the United Nations. A Critical Analysis of Its Fundamental Problems, London, 1951, p. 834 ss., che, con riferimento al Territorio libero di Trieste, dopo aver rilevato che non vi è alcuna disposizione nella Carta che consenta al Consiglio di sicurezza di esercitare «the functions of the head of a state or state-like community», nondimeno riconosce: «The United Nations has not the legal, but it has certainly the actual power to assume for the Security Council the functions conferred upon it by the Peace Treaty with Italy». 19 STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 107 s., rileva come l’amministrazione di un territorio sotto gli auspici di un’organizzazione internazionale, pur essendo uno strumento “tradizionale” della diplomazia, acquista un diverso profilo quando è utilizzata dal Consiglio di sicurezza quale strumento di risoluzione dei conflitti per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. 20 V. ampiamente infra, capitolo II, par. 12. 21 B OTHE e MARAUHN, op. cit., p. 217 ss.; RUFFERT, The Administration of Kosovo and East-Timor by the International Community, in ICLQ, 2001, p. 613 ss.; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 105 ss.; WILDE, op. cit., p. 583 ss.; C APLAN, A New Trusteeship? The International Administration of War-Torn Territories, Oxford-New York, 2002 (nel 2005 ampliato e riedito con il titolo International Governance of War-Torn Territories); DAUDET, op. cit., p. 459 ss.; C HESTERMAN, op. cit.; DE WET, The Direct Administration of Territories by the United Nations and Its Member States in the Post Cold-War Era: Legal Bases and
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probabilmente dovuto alla difficoltà di ricondurre ad uno schema unitario una prassi che è invece caratterizzata e condizionata dalla rilevante diversità dei contesti (politici, storici, geografici) in cui si sviluppa e dagli obiettivi che sono di volta in volta perseguiti22 . Negli studi dedicati a questa tematica, al di là di un “nocciolo duro” di situazioni da tutti considerate come rientranti nel fenomeno dell’amministrazione diretta di territori da parte dell’ONU (e, in passato, della Società delle Nazioni), ogni autore individua poi la prassi rilevante per la propria indagine basandosi su criteri diversi. Si ottiene così un risultato che appare difficile ricondurre ad unità. Ciò è dimostrato anche dal numero di espressioni utilizzate per definire tale fenomeno (amministrazione diretta23 , amministrazione internazionale di territori24 , amministrazione civile internazionale transitoria25 , amministrazione transitoria26 , amministrazione fiduciaria del Consiglio
Implications for National Law, in Max Planck YUNL, 2004, p. 291 ss.; SMYREK, Internationally Administered Territories – International Protectorates?, Berlin, 2006; A ZNAR-GÓMEZ, La administración internacionalizada del territorio, Barcelona, 2008; Fox, Humanitarian Occupation, Cambridge, 2008; K IDERLEN, Von Triest nach Osttimor / From Trieste to East Timor, Berlin, 2008; WILDE, International Territorial Administration, Oxford, 2008. 22 Per un’analisi critica delle principali ricostruzioni proposte in dottrina v. A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, L’administration internationale du territoire à l’épreuve du Kosovo et du Timor Oriental: la pratique à la recherche d’une théorie, in RBDI, 2006, p. 309 ss.; con riferimento a contributi esclusivamente in inglese, v. WILDE, Representing International Territorial Administration: A Critique of Some Approaches, in EJIL, 2004, p. 71 ss. 23 L AGRANGE (E.), La Mission intérimaire des Nations Unies au Kosovo, nouvel essai d’administration directe d’un territoire, in AFDI, 1999, p. 335 ss. 24 A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 317. C APLAN, op. cit., p. 13 ss., individua diverse forme di amministrazione internazionale, da suddividere in base al grado di autorità esercitato. In adesione v. SALAMUN, Democratic Governance in International Territorial Administration. Institutional Prerequisites for Democratic Governance in the Constitutional Documents of Territories Administered by International Organisations, Baden-Baden, 2005, p. 74. 25 Nell’Introduzione al volume di K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 8, lo stesso K OLB sottolinea il carattere descrittivo dell’espressione “amministrazione civile internazionale transitoria” e delle espressioni simili, in quanto tali non comportanti alcuna conseguenza normativa precisa, mentre i poteri rispettivi degli attori impegnati sul terreno sono definiti di volta in volta dallo specifico mandato. 26 C HESTERMAN, op. cit., p. 5, parla di «transitional administrations» quale forma di “state-building”, svolta dall’ONU o da altri soggetti internazionali, che, a differenza dei mandati delle operazioni di peace-keeping e di peace-building, è finalizzata a costruire o ricostruire le istituzioni di governo in un territorio attraverso l’assunzione di alcuni o di tutti i poteri sovrani in via temporanea. Nella medesima
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di sicurezza27 , ecc.) e dalla circostanza che la stessa ONU ha di volta in volta parlato di amministrazione “transitoria”, “provvisoria”, “ad interim”. Si potrebbe, quindi, essere indotti a concludere nel senso della impossibilità di considerare quali manifestazioni di un unico fenomeno giuridico casi tra loro assai diversi, stante la difficoltà di darne una definizione formale28 . Ad esso può essere riconosciuta la medesima natura “empirica” che è stata affermata con riferimento alle operazioni di mantenimento della pace, «caratterizzate dalla flessibilità dei compiti ad esse attribuiti, in funzione delle esigenze del caso concreto»29 . Fatta questa premessa, si comprende allora come occorra partire dalla chiarificazione dei termini che saranno utilizzati nella presente indagine. In prima approssimazione, utilizzeremo l’espressione “amministrazione diretta di territori” per riferirci allo svolgimento, da parte di un’operazione di pace dell’ONU (definita quale “Amministrazione territoriale”), di un mandato che prevede l’esercizio di funzioni di governo in un determinato territorio, sia nei casi in cui esso coinvolga tutti i settori in cui si articola l’amministrazione statale (potere esecutivo, legislativo, giudiziario), sia nei casi in cui sia relativo solo ad una parte significativa di essi, per cui a seconda dei casi potremo parlare di un’amministrazione territoriale “totale” ovvero “parziale”. Nella ricostruzione che appare preferibile, quindi, l’elemento determinante è dato dalla circostanza che “l’ultima parola” spetta all’Organizzazione piuttosto che al sovrano territoriale o alle istituzioni di governo locali. Di conseguenza, non possono essere prospettiva v. MANNING , Local Level Challenges to Post-Conflict Peacebuilding, in Int. Pk. (Frank Cass), 2003, n. 3, p. 25 ss. 27 B OTHE e MARAUHN, op. cit., p. 219 s., che definiscono con la generica espressione “trusteeship administration” la situazione in cui un territorio nel quale al sovrano è politicamente o de facto impedito di esercitare i propri poteri e la responsabilità del loro esercizio è assunta da un gruppo di Stati o da un’organizzazione internazionale, non in quanto nuovo sovrano, ma nell’interesse del sovrano territoriale e/o della popolazione. 28 Una descrizione assai articolata, piuttosto che un definizione, è offerta da A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 307 s.: «Elle s’inscrivent dans la tendance récente vers la diversification des opérations de maintien de la paix, illustrée depuis un certain temps par l’apparition des opérations complexes ou multifonctionnelles, mais en même temps, elles vont bien au-delà du maintien de la paix et renouent avec les expériences antérieures d’administration internationale des territoires à travers une utilisation élargie du chapitre VII combiné avec une base conventionnelle». 29 In tal senso v. C ELLAMARE, op. cit., p. 2 ss.
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considerati esempi di amministrazione diretta di territori quei casi in cui l’ONU non esercita poteri di governo su un territorio tramite propri organi, ma si limita a svolgere compiti di supervisione, assistenza o supporto al funzionamento delle istituzioni pubbliche di uno Stato o di un territorio. Si pensi ad operazioni di pace, pur importanti, come l’ONUSAL in El Salvador30 o l’ONUMOZ in Mozambico31 , che pur svolgendo un ruolo assai significativo nel processo elettorale, non ebbero poteri esecutivi rilevanti, né una posizione di preminenza rispetto alle istituzioni dei territori in cui furono dispiegate. Si pensi anche ad operazioni come l’ONUC in Congo32 , l’UNTAG in Namibia33 , l’UNOSOM II in Somalia34 , le quali, pur 30
Cfr. la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 729 del 14 gennaio 1992. Cfr. la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 797 del 16 dicembre 1992. 32 Istituita dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione n. 143 del 14 luglio 1960. Sull’ONUC, ex multis, v. A BI-SAAB, The United Nations Operation in the Congo, 1960-1964, Oxford, 1978, partic. p. 59 ss. e p 144 ss. In tema v. anche SPATAFORA, L’intervento militare delle Nazioni Unite in Congo, in RDI, 1968, p. 517 ss. (partic. p. 522 ss.). Com’è noto, in Congo fu dispiegata un’operazione molto ampia, con un mandato di assistere le forze di sicurezza congolesi (il governo congolese) nel loro impegno per il mantenimento della legge e dell’ordine (par. 2 della risoluzione n. 143), il che fu interpretato dal Segretario generale (e accolto dal Consiglio), come finalizzato «to re-establish its administration, specifically in the field of security» (cfr. il par. 5 del rapporto del Segretario generale S/4389 del 18 luglio 1960). La secessione di una parte del territorio fece sì che l’ONUC restasse di fatto l’effettiva autorità sul terreno, ma essa non aveva il mandato per fare ciò. Il Consiglio di sicurezza, con il par. 4 della risoluzione n. 169 del 24 novembre 1961, autorizzò esplicitamente il Segretario generale ad usare la forza se necessario, ma questa risoluzione non assegnò all’ONUC poteri di amministrazione diretta, solo di assistenza tecnica, anche se l’operazione assunse in concreto alcune responsabilità operative dirette. In tal senso v. le osservazioni di DURCH, The UN Operation in the Congo, in DURCH (ed.), The Evolution of UN Peacekeeping, Houndmills, 1994, p. 333; A RDAULT, ARION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 316, nota n. 95. In senso diverso v. WILDE, From Danzig to East Timor, cit., p. 586. V. anche SALAMUN, op. cit., p. 83, che considera l’ONUC un caso di esercizio di «partial powers of direct governance» da parte dell’ONU. 33 Cfr. la risoluzione n. 435 del 29 settembre 1978. 34 Cfr. in particolare le risoluzioni n. 814 del 26 marzo 1993 e n. 837 del 6 giugno 1993. Con la prima il Consiglio di sicurezza istituì all’unanimità l’UNOSOM II (cfr. il rapporto del Segretario generale S/25354 del 3 marzo 1993), chiedendo al Segretario generale, attraverso il proprio Rappresentante speciale, di svolgere numerosi compiti, tra cui «direct the Force Commander of UNOSOM II to assume responsibility for the consolidation, expansion and maintenance of a secure environment throughout Somalia», di ristabilire le istituzioni regionali e nazionali, di ricostituire la polizia somala, di agire contro chi violava il cessate-il-fuoco, anche se fu dedicata maggiore attenzione agli aspetti militari piuttosto che a quelli civili, ancor più con l’adozione della successiva risoluzione n. 837. In tema v. PONTECORVO, Somalia e 31
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esercitando – de iure o de facto – alcune importanti funzioni nei territori in cui furono dispiegate, non ebbero compiti di amministrazione diretta, ma di assistenza al sovrano locale o alla popolazione. I due fenomeni appena considerati, quindi, pur caratterizzati dall’avere alcuni elementi in comune, in quanto l’Organizzazione agisce attraverso propri organi sussidiari e per adempiere ai fini statutari35 , devono essere tenuti distinti, dal momento che il riconoscimento in capo all’ONU di funzioni di amministrazione diretta dà luogo a questioni giuridiche peculiari36 . Queste richiedono uno specifico approfondimento, anche per meglio caratterizzare le Amministrazioni territoriali nel rapporto con altri istituti giuridici o altre situazioni presenti nella prassi internazionale. Come accennato, la creazione di operazioni di pace con funzioni di amministrazione territoriale da parte del Consiglio di sicurezza non ha sollevato contestazioni da parte degli Stati membri ed anche la Nazioni Unite, in PICONE (a cura di), Interventi delle Nazioni Unite e diritto internazionale, Padova, 1995, p. 201 ss.; C OLEIRO, Bringing Peace to the Land of Scorpions and Jumping Snakes: Legacy of the United Nations in Eastern Slavonia and Transitional Missions, Clementsport, 2002, p. 33 ss.; PHILIPP, Somalia – A Very Special Case, in Max Planck YUNL, 2005, p. 519 ss. L’ONU ebbe quindi solo il compito di assistere i somali – è stato rilevato come nella risoluzione n. 814 il mandato della componente civile non fosse riconducibile al capitolo VII, ma al capitolo VI; SICILIANOS, L’ONU et la démocratisation de l’Etat, Paris, 2000, p. 230; PONTECORVO, op. cit., p. 253 –, ma si trovò invece ad essere il governo de facto senza averne il mandato, le risorse e le capacità. Non si può quindi inserire l’UNOSOM II tra le operazioni aventi funzione di amministrazione territoriale. In senso contrario v. STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 130; J AN, Somalia: Building Sovereignty or Restoring Peace?, in C OUSENS e K UMAR (eds.), Peacebuilding as Politics. Cultivating Peace in Fragile Societies, Boulder-London, 2001, p. 82; SALAMUN, op. cit., p. 93. 35 WILDE, From Danzig to East Timor, cit., p. 585. 36 V. anche la ricostruzione proposta da C HOPRA, Peace-Maintenance. The Evolution of International Political Authority, London-New York, 1998, p. 15 s., che ricostruisce una categoria generale di “peace-maintenance” per le operazioni di peace-keeping multifunzionali, all’interno della quale individua quattro sottocategorie: governorship (in cui l’ONU assume una responsabilità piena di governo del territorio), control (che include mandati con compiti di monitoraggio delle autorità locali e potere di veto per l’operazione), partnership (l’operazione delle Nazioni Unite condivide le responsabilità con le autorità locali, con un limitato potere di veto) e assistance (l’operazione agisce quale consigliere indipendente delle autorità locali). V. anche C HESTERMAN, Virtual Trusteeship, in MALONE (ed.), The UN Security Council, From the Cold War to the 21st Century, Boulder-London, 2004, p. 223 (ID ., You, The People, cit., p. 57 ss.), che rileva come sia più importante suddividere le differenti operazioni in base all’obiettivo perseguito piuttosto che all’ammontare dei poteri ad esse conferiti.
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dottrina che se ne è occupata appare favorevole a riconoscere al Consiglio la possibilità di utilizzare questo strumento37 e, quindi, a ritenerlo conforme al diritto internazionale. Si discute, piuttosto, per un verso, in merito ai caratteri delle Amministrazioni territoriali, per l’altro, su quale sia il loro fondamento giuridico. In particolare, con riferimento all’Amministrazione territoriale dispiegata in Kosovo è possibile individuare alcune significative difformità nell’azione intrapresa dal Consiglio di sicurezza rispetto agli altri casi considerati, come vedremo in seguito. L’indagine che segue è quindi rivolta, in primo luogo, alla individuazione delle caratteristiche strutturali del fenomeno dell’amministrazione diretta di territori da parte di operazioni istituite dal Consiglio di sicurezza. Non si tratta di ricostruire un nuovo strumento giuridico e operativo, ma di definire gli elementi che caratterizzano tale “funzione”, che si affianca alle altre che possono di volta in volta essere assegnate alle operazioni di pace. Sarà anche dedicata particolare attenzione al problema dell’autonomia del mandato di amministrazione civile rispetto a quello militare nell’ambito di tali operazioni. L’esercizio esclusivo di poteri legislativi, esecutivi e giudiziari in un dato territorio richiede, inoltre, una valutazione di aspetti ulteriori e significativi, come il ruolo maggiore da assegnare al consenso della popolazione soggetta all’Amministrazione territoriale o la necessità di un diverso regime giuridico delle immunità e privilegi dell’Amministrazione stessa. Sarà così possibile individuare quale sia il fondamento giuridico del potere del Consiglio di sicurezza di istituire le Amministrazioni territoriali. In dottrina sono state avanzate soluzioni differenti, ra-
37 In tal senso v. C ONFORTI, Le Nazioni Unite, VII ed., Padova, 2005, p. 221, il quale afferma che nell’ambito dell’ONU tale prassi, «in una alla communis opinio degli Stati nel senso che l’intervento del Consiglio sia opportuno in ordine al mantenimento o al ristabilimento della pace», testimoniano a favore dell’esistenza di una norma consuetudinaria in materia. Nello stesso senso v. B RAND , InstitutionBuilding and Human Rights Protection in Kosovo in the Light of UNMIK Legislation, in Nordic JIL, 2001, p. 463; DE HOOGH, Attribution or Delegation of (Legislative) Power by the Security Council? The Case of the United Nations Transitional Administration in East Timor (UNTAET), in Int. Pk. YIPO, 2001, p. 19 e p. 37; RUFFERT, op. cit., p. 616 ss.; B ENZING , Midwifing a New State: The United Nations in East Timor, in Max Planck YUNL, 2005, p. 314 s. (che parla di un’acquiescenza degli Stati membri nel riconoscere tale potere al Consiglio di sicurezza nell’ambito del capitolo VII); K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 82. In tema, v. ampiamente infra, la sezione II del capitolo II.
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gion per cui l’approfondimento delle caratteristiche proprie di tale fenomeno potrà, questo è l’auspicio, fare chiarezza a tal proposito. Saranno inoltre oggetto di approfondimento le questioni attinenti alla struttura delle Amministrazioni territoriali, mettendone in luce gli elementi principali, sotto il profilo organizzativo e sotto quello gestionale, per poi passare all’esame dei mandati delle operazioni e alla loro effettiva realizzazione. Questo ci condurrà a considerare l’ampiezza dei poteri esercitati dalle Amministrazioni, il loro concreto funzionamento e il rapporto delle stesse con il territorio amministrato. Saranno oggetto d’indagine, da ultimo, le limitazioni al-l’azione delle Amministrazioni territoriali, connesse al rispetto della sovranità territoriale e del mandato ricevuto e alla tutela dei diritti umani dei soggetti amministrati.
CAPITOLO PRIMO L’AMMINISTRAZIONE DI TERRITORI DA PARTE DI UN’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE 1. L’amministrazione di territori nella prassi della Società delle Nazioni Come accennato, l’idea di istituire un’amministrazione internazionale con ampi poteri pubblici su un territorio, facente capo direttamente ad un’organizzazione internazionale e finalizzata a svolgere un’attività nell’interesse del territorio amministrato e della sua popolazione trovò una prima realizzazione nell’ambito della Società delle Nazioni, in particolare nei casi della Città libera di Danzica, del bacino della Saar – entrambi previsti dal Trattato di Versailles del 28 giugno 1919, concluso al termine della I guerra mondiale –, e del Distretto di Leticia1 . 1
WILDE, From Danzig to East Timor, cit., p. 586, e C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 21 ss., aggiungono a quelli ricordati anche altri due casi minori. Il primo è quello del Presidente della Commissione mista per l’Alta Slesia (territorio conteso tra Polonia e Germania), composta anche da due cittadini polacchi e da due tedeschi, che era nominato dalla Società delle Nazioni; la Commissione ebbe alcuni poteri di amministrazione del territorio tra il 1922 e il 1936, tra cui il potere di veto sull’applicazione delle leggi polacche o tedesche in Upper Silesia e quello di risolvere le controversie in merito all’applicazione dell’accordo del 15 maggio 1922 (articoli 109-114 del Trattato di Versailles, cui seguì un accordo tra Polonia e Germania del 15 maggio 1922). Il secondo è quello del Presidente dell’Autorità incaricata di gestire la Baia di Memel (l’attuale Klaip da, in Lituania), composta anche da un delegato della città e da un delegato lituano, il quale era nominato dalla Società delle Nazioni (art. 99 del Trattato di Versailles e accordo di Parigi dell’8 maggio 1924 tra la Lituania e le principali Potenze alleate, Francia, Italia, Giappone e Regno Unito, sullo statuto della città di Memel). In tema v. ROUSSEAU , Droit international public, II, Les sujets de droit, Paris, 1974, p. 441. A nostro avviso, questi due casi, in particolare il secondo, non sono esempi di amministrazione diretta di territori, in ragione della scarsa rilevanza dei poteri di riconosciuti alla Società delle Nazioni, che rappresenta il criterio a nostro avviso rilevante. Durante le trattative per giungere al Trattato di pace dopo la I guerra mondiale fu proposta anche un’amministrazione internazionale per Fiume e la Dalmazia, oggetto di una controversia tra l’Italia e la neo-costituita Iugoslavia, attraverso varie proposte di compromesso che includevano la nomina di una o più Commissioni da parte della Società delle Nazioni, che avrebbero esercitato i poteri di governo nell’area. Il mancato accordo dei due Stati più direttamente interessati, che negoziarono separatamente e trovarono una diversa soluzione con il Trattato di Ra-
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La città di Danzica, abitata in gran parte da tedeschi, fu ceduta dalla Germania alle principali Potenze alleate ed associate, che decisero di costituirla come Città libera e di porla sotto la protezione della Società nell’ambito della ricostituita Polonia, cui furono assegnati il potere di condurre le relazioni esterne della Città libera e quello di proteggere i suoi cittadini all’estero2 . La Città libera fu costituita con una decisione del 27 ottobre 1920, che entrò in vigore il 15 novembre 19203 . Il Trattato di Versailles del 28 giugno 1919 prevedeva di affidare ad un Alto commissario nominato dal Consiglio della Società il compito di approvare la Costituzione della Città libera di Danzica, preparata dalle istituzioni locali4 e posta sotto la garanzia della Società. La Costituzione della Città libera fu quindi approvata dal Consiglio della Società e non avrebbe potuto essere modificata senza il suo consenpallo dell’11 novembre 1920, e la circostanza che entrambi fossero Potenze vincitrici della I guerra mondiale, resero impossibile raggiungere un compromesso che coinvolgesse la Società delle Nazioni nell’amministrazione di questo territorio. In tema v. YDIT, op. cit., p. 51 ss. 2 Cfr. gli articoli 100-104 del Trattato di Versailles. Ai sensi dell’art. 104, il 9 novembre 1920 fu concluso tra Polonia e Danzica il Trattato di Parigi, in seguito modificato dal Trattato di Varsavia del 24 ottobre 1921. 3 Sulla sua qualificazione giuridica si sono espressi in molti. In tema v., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, L EWIS, The Free City of Danzig, in British YBIL, 1924, p. 89 ss., partic. p. 93; PICCIONI, Le statut international de Dantzig, in RGDIP, 1931, p. 84 ss.; YDIT, op. cit., p. 185 ss. (sulla qualificazione giuridica v. p. 224 ss.); ROUSSEAU , op. cit., p. 423 ss. Per una ricostruzione storico-giuridica v. B LEIMAIER, The Legal Status of the Free City of Danzig 1920-1939: Lessons to Be Derived from the Experiences of a Non-State Entity in the International Community, in Hague YIL, 1989, p. 69 ss., e, in una prospettiva più ampia, WHOMERSLEY, The International Legal Status of Gdansk, Klaipeda and the Former East Prussia, in ICLQ, 1993, p. 919 ss. SALAMUN, op. cit., p. 31 (nota n. 108), ha redatto una “statistica” sulla qualificazione giuridica della Città libera di Danzica, basata sulle opinioni di 65 autori. In tema si segnala anche l’opinione di DELBEZ, op. cit., p. 16 ss., che la qualifica come uno Stato, pur se sui generis, avente una propria bandiera, moneta, polizia, amministrazione, nazionalità e sovranità territoriale. Così anche C RAWFORD , op. cit., p. 240, e L EURDIJK, Options for a Civil Authority of the UN, in Internationale Spectator, 1993, p. 665 (nota n. 4), che definisce la Città libera come uno Stato autonomo sotto la protezione della Società delle Nazioni e non un esempio di amministrazione condotta dalla Società stessa. In senso contrario è però possibile richiamare il parere della Corte permanente di giustizia internazionale del 26 agosto 1930, in merito all’impossibilità per la Città libera di divenire membro dell’Organizzazione internazionale del lavoro. 4 Essa fu redatta dalla Società assieme a rappresentanti della Città libera, per essere poi approvata dall’Assemblea popolare il 19 agosto 1920 e, con emendamenti, dal Consiglio della Società il 13 maggio 1922; in seguito fu emendata e modificata dallo stesso Consiglio, da ultimo il 9 dicembre 1930.
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so5 . L’Alto commissario ebbe anche il potere di controllare il funzionamento delle competenti autorità locali, proteggere Danzica contro le aggressioni e dirimere le controversie tra essa e la Polonia6 , con decisioni appellabili davanti al Consiglio della Società, ma non quello più ampio di gestire in prima persona l’amministrazione della Città libera, pur potendo incidere in via indiretta sulla stessa7 . La Città libera di Danzica costituisce quindi un caso di territorio amministrato dalle autorità locali sotto controllo internazionale. Un esempio di territorio amministrato direttamente dalla Società delle Nazioni8 è quello del bacino minerario della Saar che, pur posto sotto la sovranità tedesca9 , vide lo sfruttamento delle proprie risorse ceduto alla Francia per quindici anni, mentre poteri esclusivi di amministrare il territorio furono riconosciuti alla Società delle Nazioni. I paragrafi 16-33 dell’allegato all’art. 50 del Trattato di Versailles disciplinarono la questione del governo sulla Saar nel periodo transitorio, fino allo svolgimento del plebiscito che avrebbe deciso la destinazione futura di quel territorio. I poteri di governo furono assegnati ad una apposita Commissione, in rappresentanza della Società delle
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Cfr. gli articoli 47-49 della Costituzione della Città libera. Cfr. anche l’art. 39 del Trattato di Parigi, cit. 7 SALAMUN, op. cit., p. 76: «the League and the High Commissioner did possess direct authority with regard to the internal affairs of Danzig, although such powers were restricted to legislative competencies relating to constitutional law and did not encompass executive powers of direct territorial administration». 8 Cfr. gli articoli 45-50 (e l’allegato all’art. 50) del Trattato di Versailles. 9 In questo senso è convincente l’opinione di chi – come DELBEZ, op. cit., p. 19 ss.; ROUSSEAU , op. cit., p. 415 ss.; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 124; C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 19 – richiama l’art. 49 del Trattato di Versailles, dal quale risulta che la Germania rinunciò, in favore della Società delle Nazioni, unicamente all’esercizio dei propri poteri di governo sulla Saar. In tal senso depone anche la giurisprudenza tedesca, citata da C RAWFORD , op. cit., p. 233 s. (nota n. 173). In senso contrario v. WOLFRUM , Internationalization, in EPIL, vol. II, 1995, p. 1395 ss., che, qualificando l’internazionalizzazione come territoriale o funzionale a seconda che l’area amministrata sia o meno sottratta alla sovranità del precedente Stato, considera la Saar, nel periodo di amministrazione internazionale, come sottoposta alla sovranità della Società delle Nazioni (partic. p. 1395); nello stesso senso, ma con riferimento anche a diverse altre situazioni, v. YDIT, op. cit., p. 40. DAUDET, op. cit., p. 469 (nota n. 8), nel considerare come distinti l’aspetto della sovranità e quello dell’amministrazione, rileva l’analogia tra i casi della Saar (sovranità tedesca e amministrazione della Società delle Nazioni) e del Kosovo (sovranità iugoslava e amministrazione dell’ONU). 6
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Nazioni10 , che esercitò le funzioni legislative ed esecutive – anche la funzione giudiziaria era svolta in suo nome11 –, ebbe il potere di nomina e rimozione di pubblici ufficiali (par. 19), di modificare leggi e regolamenti e di introdurre nuove tasse, dopo aver consultato i rappresentanti eletti dagli abitanti (par. 23)12 , di interpretare il Trattato in maniera vincolante per Francia e Germania (par. 33), di concludere accordi internazionali e di proteggere all’estero gli interessi degli abitanti della Saar (par. 21)13 . La Commissione di governo amministrò la Saar per quindici anni, finché gli abitanti del territorio14 non scelsero, in occasione di un plebiscito, preparato dalla stessa Commissione15 e svoltosi il 13 gennaio 1935, il ritorno sotto l’amministrazione della Germania, a far data dal 1° marzo successivo16 . Un ultimo esempio di amministrazione diretta di un territorio da parte della Società delle Nazioni è dato dall’istituzione di una Commissione della Società incaricata di amministrare il Distretto di Leticia (sotto la sovranità colombiana, ma occupato da insorti peruviani)17 dal 23 giugno 1933 al 19 giugno 1934, nell’ambito della risoluzione della controversia territoriale tra Colombia e Perù, che si accordarono in tal senso grazie alla mediazione del Consiglio della Società18 . La 10
La Commissione di governo, ai sensi del par. 17, fu composta da un cittadino francese, un abitante della Saar e tre stranieri neutrali, nominati per un anno dal Consiglio della Società e rinnovati in mancanza di revoca. 11 Cfr. i paragrafi 19 e 25 dell’allegato, cit. 12 La Commissione di governo era tenuta a consultare una Assemblea elettiva; con il decreto n. 143 del 14 marzo 1922 furono istituiti un Consiglio consultivo, composto di trenta persone elette a suffragio universale, e un Comitato di studi composto da otto abitanti della Saar scelti dalla Commissione; dal 1920 furono creati dei Consigli municipali e delle Assemblee distrettuali. In tema v. RUSSELL, The International Government of the Saar, Berkeley, 1926, p. 134 ss.; YDIT, op. cit., p. 44 s. 13 Il Consiglio della Società delle Nazioni, con due decisioni adottate il 14 marzo e il 18 marzo 1926, approvò la richiesta della Commissione di governo alla Francia di inviare forze di protezione, ritirate dopo una decisione adottata dallo stesso Consiglio il 12 settembre 1930. 14 Sul significato da attribuire ai concetti di “abitanti”, “popolo” e “cittadini”, utilizzati per definire le persone sottoposte alle differenti forme di amministrazione diretta di un territorio con riferimento al concetto di sovranità incarnato dallo Stato, dal territorio o dalla popolazione, v. SALAMUN, op. cit., p. 112 ss. 15 Il plebiscito fu previsto dai paragrafi 34-39 dell’allegato all’art. 50 del Trattato di Versailles. 16 Cfr. la decisione del Consiglio della Società del 17 gennaio 1935. 17 Il territorio era stato ceduto dal Perù alla Colombia con un trattato firmato il 24 marzo 1922. 18 Cfr. la delibera da questo approvata all’unanimità il 18 marzo 1933 e il succes-
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Commissione era composta da tre cittadini stranieri, che suddivisero l’amministrazione in altrettanti settori (mantenimento dell’ordine e della sicurezza, lavori pubblici e salute pubblica, esame delle controversie relative a perdita di proprietà e danni). Al termine del periodo di amministrazione territoriale da parte della Commissione all’uopo istituita e dopo che il 24 maggio 1934 i due Stati avevano firmato un accordo di pace globale, il controllo del Distretto fu trasferito nuovamente alle autorità colombiane, secondo le indicazioni ricevute dal Consiglio della Società19 . 2. Le Amministrazioni territoriali realizzate (e quelle progettate) dalle Nazioni Unite In diverse occasioni, anche le Nazioni Unite hanno svolto funzioni di amministrazione diretta di un territorio. Già la Carta di S. Francisco immaginava un ruolo attivo dell’ONU nell’ambito del regime di amministrazione fiduciaria disciplinato dal capitolo XII della Carta. Com’è noto, tale regime era posto sotto l’autorità delle Nazioni Unite e rappresentava un’evoluzione di quello dei mandati previsto nell’ambito della Società delle Nazioni, del quale condivideva la matrice colonialista20 . Esso era finalizzato, tra l’altro, a «promuovere il progresso politico, economico, sociale ed educativo degli abitanti dei territori in amministrazione fiduciaria, ed il loro progressivo avviamento all’autonomia o all’indipendenza», come dispone l’art. 76, lett. b), della Carta21 . In base al successivo art. 81, nella convenzione di amministrazione fiduciaria era necessario designare l’autorità incaricata dell’amministrazione, che «potrà essere costituita da uno Stato o da più Stati o dall’Organizzazione stessa». Tale possibilità, che era finalizzata a garantire una maggiore trasparenza, collegialità ed imparsivo accordo trilaterale (Colombia, Perù, Società delle Nazioni) del 25 maggio 1933. 19 Sull’intera vicenda v. WOOLSEY, The Leticia Dispute between Colombia and Peru, in AJIL, 1933, p. 317 ss. e p. 525 ss., e 1935, p. 94 ss.; L E FUR, L’affaire de Leticia, in RGDIP, 1934, p. 129 ss., partic. p. 143 ss.; YDIT, op. cit., p. 49 ss. È interessante rilevare come B OTHE, Peace-Keeping, in SIMMA (ed.), The Charter of the United Nations. A Commentary, II ed., vol. I, Oxford-New York, 2002, p. 664, consideri i casi della Saar e di Leticia quali forme primordiali di operazioni di peace-keeping, utilizzando quindi una nozione alquanto ampia di tale concetto. 20 C APOTORTI, Amministrazione fiduciaria di territori, in EdD, vol. II, 1958, p. 192 s., colloca l’istituto dell’amministrazione fiduciaria in una posizione intermedia tra i possedimenti coloniali e i territori internazionali. 21 In tema v. C APOTORTI, op. cit., p. 192 ss.
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zialità all’azione di amministrazione fiduciaria22 , non ha però avuto seguito nella prassi23 , in quanto l’Organizzazione ha svolto unicamente una funzione di controllo politico. Rileviamo inoltre che, in base all’art. 78 della Carta, il regime di amministrazione fiduciaria «non si applicherà ai territori che siano divenuti Membri delle Nazioni Unite». Al proposito taluni autori, fondandosi sui lavori preparatori di tale norma, hanno proposto un’interpretazione restrittiva di questo divieto, ritenendo che Stati membri o parti del loro territorio potrebbero essere volontariamente sottoposti ad un’amministrazione fiduciaria dell’ONU24 . Tale ricostruzione non è condivisibile, in quanto risulta in contrasto con il chiaro dettato dell’art. 78, cui occorre dare prevalenza in virtù di quanto dispongono gli articoli 31 e 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969. Anche se l’ONU non è mai stata incaricata dell’amministrazione fiduciaria di un territorio ai sensi del capitolo XII, nella prassi non sono mancate le occasioni in cui l’Organizzazione ha svolto la funzione di amministrare un territorio, né quelle in cui questa amministrazione è stata prevista, ma non si è realizzata. In via preliminare, occorre segnalare come non esista un unico modello di amministrazione territoriale dell’ONU25 . Le amministrazioni realizzate (e quelle progettate) presentano differenze con riferimento sia agli organi coinvolti (a seconda dei casi, l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza, il Consiglio di amministrazione fiduciaria), sia al loro fondamento giuridico (talvolta è stato richiamato il capitolo VII, talaltra non è stato fatto un espresso riferimento a specifiche disposizioni o capitoli). Volendo seguire un ordine cronologico e rinviando al paragrafo seguente l’esame dei casi più recenti, ricordiamo il progetto di amministrazione di Trieste e quello relativo a Gerusalemme, la breve am22
GOODRICH, HAMBRO e SIMONS, Charter of the United Nations. Commentary and Documents, Third and Revised Edition, New York-London, 1969, p. 501; GORDON, Some Legal Problems with Trusteeship, in Cornell ILJ, 1995, p. 342. 23 Sulla difficoltà pratica di applicare le disposizioni sull’amministrazione fiduciaria all’Organizzazione quale autorità amministratrice v. già K ELSEN, op. cit., p. 651: «[...] in this case most of the [...] provisions of the trusteeship system are hardly applicable. [...] If the Organization itself is the administering authority, no supervision in the true sense of the term is possible». 24 RAUSCHNING , Article 78, in SIMMA (ed.), op. cit., vol. II, p. 1117 s.; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 129; B OTHE e MARAUHN, op. cit., p. 234. 25 K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 83.
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ministrazione della Libia, l’amministrazione della Nuova Guinea occidentale, i poteri del Consiglio per la Namibia, il mandato originario della MINURSO nel Sahara occidentale e dell’UNTAC in Cambogia. Con riferimento al Territorio libero di Trieste, il Trattato di pace con l’Italia, concluso a Parigi il 10 febbraio 194726 , lo poneva sotto la diretta autorità del Consiglio di sicurezza, che avrebbe dovuto governarlo in base allo Statuto permanente previsto dagli allegati VI e VII del Trattato di pace27 . Tale Statuto, assieme allo Strumento per il regime provvisorio del Territorio di Trieste e allo Strumento per il porto libero/franco di Trieste, fu approvato dal Consiglio di sicurezza, che accettò le responsabilità derivanti da quei documenti con la risoluzione n. 16 del 10 gennaio 1947, adottata con 10 voti a favore e il voto contrario dell’Australia. Lo Statuto costituiva Trieste come territorio indipendente, anche se non equiparabile agli Stati28 ; esso sarebbe stato sottratto alla sovranità italiana, posto sotto il diretto controllo del Consiglio di sicurezza e guidato da un Governatore con ampi poteri legislativi, incluso quello di bloccare le norme approvate da una costituenda Assemblea popolare29 , qualora fossero in contrasto con lo Statuto. Il Governatore sarebbe stato nominato dal Consiglio di sicurezza per cinque anni in consultazione con Italia e Iugoslavia30 e, dopo una fase iniziale, disciplinata dallo Strumento provvisorio, in cui avrebbe avuto ampi poteri di amministrazione diretta, con l’entrata in funzione dello Statuto permanente avrebbe esercitato poteri di supervisione, in ambito legislativo, esecutivo (incluso un controllo sull’esercizio del 26
Cfr. gli articoli 21 e 22 e gli allegati VI (Statuto permanente), VII (Strumento relativo al regime provvisorio), IX (Disposizioni tecniche) e X (Disposizioni economiche e finanziarie). Il Trattato di Parigi entrò in vigore il 15 settembre 1947. Per l’esecuzione in Italia cfr. il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1430, del 28 novembre 1947. 27 In tema si rimanda ai numerosi contributi di UDINA, raccolti nel volume Scritti sulla questione di Trieste sorta in seguito al secondo conflitto mondiale, Milano, 1969, tra cui, in particolare: La condizione giuridica internazionale del Territorio libero di Trieste (p. 33 ss.); Sull’attuale amministrazione militare del Territorio libero di Trieste (p. 127 ss.); Aspetti giuridici della questione di Trieste. Gli Accordi di Londra del 1954 (p. 195 ss.). 28 V. le osservazioni di K ELSEN, op. cit., p. 825 ss. Anche UDINA, La condizione giuridica internazionale, cit., p. 48 ss., nega carattere di statualità al Territorio libero di Trieste. In senso contrario v. DELBEZ, op. cit., p. 28. 29 L’Assemblea popolare elettiva, composta da 72 rappresentanti, avrebbe nominato un Consiglio di governo e avrebbe avuto poteri legislativi, affiancata da un Senato come seconda camera legislativa. 30 Cfr. allegato VI, cit., art. 11.
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potere estero) e giudiziario, potendo sostituirsi alle istituzioni locali in casi eccezionali31 . Ai sensi dell’art. 6 dello Strumento provvisorio il Governatore avrebbe potuto chiedere l’intervento delle truppe di occupazione al fine di garantire la sicurezza nel Territorio libero, finché non fossero state costituite una polizia e delle forze di sicurezza locali. Le divisioni politiche tra i membri permanenti del Consiglio di sicurezza sulla nomina del Governatore e il mutamento nello scenario politico che si realizzò alla fine degli anni ’40 non consentirono la realizzazione del progetto di amministrazione territoriale dell’ONU per Trieste, il cui territorio, come ampiamente noto, fu ripartito tra Italia e Iugoslavia con l’accordo di Londra del 5 ottobre 1954, cui parteciparono anche Regno Unito e Stati Uniti32 . Un secondo progetto di internazionalizzazione, che avrebbe dovuto essere gestito in prima persona dall’ONU, ha riguardato la città di Gerusalemme. Il 18 febbraio 1947 il Regno Unito, mandatario della Palestina, chiese all’Assemblea generale di pronunciarsi sulla questione palestinese e questa, con la risoluzione n. 181 (II) del 29 novembre 194733 , raccomandò tra l’altro la creazione di due Stati – uno arabo ed uno israeliano – in Palestina, da collocare in un primo momento sotto l’amministrazione di una Commissione ad hoc dell’ONU34 , e l’istituzione di Gerusalemme quale corpus separatum sottoposto ad uno speciale regime di amministrazione diretta dell’ONU35 . Sarebbe stato il Consiglio di amministrazione fiduciaria a
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K ORHONEN, International Governance in Post-Conflict Situations, in Leiden JIL, 2001, p. 508, identifica l’accordo per l’amministrazione di Trieste come «far better prepared and planned than any of its predecessors or successors and the close link between the governor and the Security Council, also unique to this plan, may have provided for the most efficient, effective and, above all, tightly supervised international governance imaginable in the UN era». Già YDIT, op. cit., p. 71, aveva rilevato: «It was an example, par excellence, for an internationalised territory under the auspices of the United Nations!» (v. anche p. 231 ss.). 32 In tema v. UDINA, Aspetti giuridici, cit., p. 213 ss. 33 Adottata con 33 voti a favore, 10 contrari e 10 astenuti. 34 Tale Commissione sarebbe stata guidata dalle raccomandazioni dell’Assemblea generale e dalle istruzioni che il Consiglio di sicurezza reputasse opportuno indirizzarle. In tema v. le osservazioni critiche di HALDERMAN, op. cit., p. 100 ss. 35 In tema si rimanda, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, a YDIT, op. cit., p. 273 ss.; B ARON, The International Legal Status of Jerusalem, in Touro International Law Review, 1998, p. 1 ss.; VAN GENUGTEN, Jerusalem, City in Need of a Special Legal Regime?, in VAN GENUGTEN et al. (eds.), Realism and Moralism in International Relations. Essays in Honour of Frans A. M. Alting von Gesau, The Hague-
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gestire tale territorio in veste di autorità amministratrice36 . Ad un Governatore nominato dallo stesso Consiglio erano riconosciuti tutti i poteri amministrativi, incluso il potere estero, quello di adottare ogni misura necessaria per ripristinare l’effettivo funzionamento dell’Amministrazione nel caso in cui questa fosse ostacolata o impedita da un settore della popolazione, di bloccare ogni decisione assunta dalle istituzioni di governo locali che fosse ritenuta contraria allo Statuto della città37 e di promulgare ordinanze temporanee qualora quelle istituzioni non fossero state create o fossero bloccate nella loro azione e fosse urgente agire per il normale funzionamento dell’amministrazione. Il Governatore sarebbe stato incaricato di gestire anche uno speciale corpo di polizia, costituito al fine di mantenere l’ordine e la sicurezza interna, specialmente con riferimento ai luoghi sacri (Gerusalemme sarebbe stata demilitarizzata e neutrale). In città ci sarebbe stato anche un sistema giudiziario, definito dallo Statuto, e gli affari economici sarebbero stati gestiti dai costituendi Stati ebraico ed arabo. L’amministrazione, composta da funzionari internazionali, avrebbe avuto una durata iniziale di dieci anni, al termine dei quali il Consiglio di amministrazione fiduciaria avrebbe riconsiderato la questione, tenendo anche conto della volontà espressa dai residenti nell’area amministrata, da consultare attraverso un referendum. Al Consiglio di amministrazione fiduciaria fu chiesto di predisporre lo Statuto di Gerusalemme (mentre il Consiglio di sicurezza avrebbe dovuto assisterlo nella realizzazione dello stesso e nel determinare se la situazione in Palestina costituisse una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale), che sarebbe dovuto entrare in vigore il 1° ottobre 194838 , ma la contrarietà degli Stati arabi, la cessazione del mandato inglese, avvenuta il 14 maggio 1948 e la successiva guerra arabo-israeliana condussero all’occupazione di Gerusalemme da parte di Israele e Giordania. Il progetto aggiornato di Statuto 39 , approvato London-Boston, 1999, p. 223 ss.; VILLANI, Lo status di Gerusalemme nel diritto internazionale, in CI, 1999, p. 217 ss. 36 In senso critico v. K ELSEN, op. cit., p. 687: «[...] the Trusteeship Council was neither competent to adopt the Statute nor would it have been competent to perform the function of an administering authority on behalf of the United Nations». 37 Si sarebbe trattato di un Consiglio legislativo, eletto a suffragio diretto e su base proporzionale dai residenti in città e avente poteri legislativi, e di un Consiglio di amministrazione, nominato dal Governatore e avente poteri consultivi. 38 Il primo progetto fu presentato il 21 aprile 1948 (UN Doc. T/118/Rev.2). 39 Cfr. UN Doc. T/592, che fu presentato il 14 giugno all’Assemblea generale. Il progetto aggiornato di Statuto prevedeva, tra l’altro, che esso sarebbe stato l’atto giu-
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dal Consiglio di amministrazione fiduciaria il 4 aprile 1950 su richiesta dell’Assemblea generale40 , che nella risoluzione n. 303 (IV) del 9 dicembre 1949 (e nella precedente risoluzione n. 194 (III) dell’11 dicembre 1948) confermò la decisione di collocare Gerusalemme sotto un regime internazionale permanente, non è stato preso in considerazione, e, nonostante alcuni tentativi di riproporre questo progetto negli anni successivi, l’idea di Gerusalemme quale corpus separatum non è considerata più attuabile41 . Con riferimento alla Libia, il già richiamato Trattato di pace del 10 febbraio 1947 pose le ex-colonie italiane a disposizione delle Potenze alleate (art. 23), che ne dovevano decidere la futura destinazione entro un anno dall’entrata in vigore dello stesso Trattato. Trascorso inutilmente tale termine la questione sarebbe stata esaminata dall’Assemblea generale dell’ONU, la quale avrebbe adottato delle raccomandazioni, che le quattro Potenze si impegnavano ad accettare. Il 21 novembre 1949 l’Assemblea generale adottò la risoluzione n. 289 (IV), la cui parte A dispose che la Libia sarebbe divenuta indipendente non oltre il 1° gennaio 1952 e che un Commissario ad hoc dell’ONU avrebbe dovuto assistere il popolo libico nella preparazione di una Costituzione e nell’istituzione di un governo indipendente, aiutato da un Consiglio a composizione mista – libica e straniera (comprendente rappresentanti di Egitto, Francia, Italia, Pakistan, Regno Unito, Stati Uniti). Si è in effetti trattato di un’amministrazione di breve durata, in quanto l’elaborazione e l’entrata in vigore di una ridico gerarchicamente superiore in Gerusalemme, prevalendo e rendendo invalidi gli atti e le decisioni con esso in contrasto (articoli 3 e 29). Il Governatore della città, nominato da e responsabile verso il Consiglio di amministrazione fiduciaria, in casi urgenti, avrebbe potuto portare all’attenzione del Consiglio di sicurezza, attraverso il Segretario generale, ogni situazione di pericolo per l’integrità di Gerusalemme e ogni minaccia di aggressione o atto di aggressione o ogni tentativo di alterare il regime speciale (art. 6). Secondo il progetto aggiornato di Statuto, il Governatore avrebbe esercitato il potere esecutivo, sarebbe stato il capo dell’amministrazione, soggetto unicamente allo Statuto e alle istruzioni del Consiglio di amministrazione fiduciaria, e il responsabile del mantenimento della pace, dell’ordine e della buona amministrazione, inclusa l’organizzazione e la direzione delle forze di polizia (art. 15), avrebbe potuto stipulare accordi per la protezione dei luoghi sacri, sarebbe stato immune dalla giurisdizione (art. 13), avrebbe condotto gli affari esteri della città, avrebbe potuto concedere la grazia e bloccare l’esecuzione delle sentenze. In casi di emergenza, per garantire il funzionamento effettivo dell’amministrazione (art. 16), avrebbe avuto il potere di legiferare e avrebbe potuto bloccare un atto approvato dalle istituzioni locali, qualora lo avesse ritenuto in contrasto con lo Statuto (art. 24). 40 Cfr. UN Doc. A/1286. 41 VILLANI, op. cit., p. 217 ss.
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costituzione nel 1950 e l’indipendenza libica avvenuta il 24 dicembre 1951 vi hanno posto rapidamente fine42 . Inoltre, questo episodio, come quelli similari che hanno riguardato l’Eritrea43 e l’allora Ruanda-Urundi44 , sembra qualificabile come un’assistenza tecnica alla decolonizzazione piuttosto che come veritiera amministrazione diretta di quei territori, in quanto gli organi ad hoc creati dall’Assemblea generale avevano la funzione di collaborare con la Potenza amministratrice, piuttosto che quella di esercitare funzioni di governo in quei territori. Un caso di amministrazione territoriale non gestito dal Consiglio di sicurezza ha riguardato invece la Nuova Guinea occidentale (Irian occidentale), territorio fino al 1962 amministrato dai Paesi Bassi ai sensi del capitolo XI della Carta. In base alla richiesta formulata nell’Accordo di New York del 15 agosto 1962 tra Paesi Bassi e Indonesia45 , in quel territorio fu dispiegata l’UNTEA (United Nations Temporary Executive Authority)46 . Le Parti contraenti si impegnarono a presentare una risoluzione in Assemblea generale, affinché 42
Cfr. la risoluzione n. 515 (VI), adottata dall’Assemblea generale il 1° febbraio 1952. YDIT, op. cit., p. 68 s. 43 Cfr. le risoluzioni dell’Assemblea generale n. 390 (V) del 2 dicembre 1950 e n. 617 (VII) del 12 dicembre 1952. 44 Cfr. la risoluzione n. 1743 (XVI) adottata dall’Assemblea generale il 23 febbraio 1962, che istituiva tra l’altro una Commissione per quel territorio, composta da cinque commissari rappresentanti di altrettanti Stati membri, eletti dall’Assemblea generale e incaricati di collaborare con l’autorità amministratrice e con le autorità nazionali nel perseguimento di numerosi obiettivi, tra cui il mantenimento dell’ordine pubblico. 45 Il testo dell’Accordo di New York è pubblicato in AdV, 1962-63, p. 350 ss. 46 Sull’UNTEA v. la pubblicazione, a cura dell’ONU, The United Nations in West New Guinea: An Unprecedent Story, New York, 1963. In dottrina v. MONCONDUIT, L’accord du 15 août 1962 entre la République d’Indonésie et le Royaume des Pays-Bas relatif à la Nouvelle Guinée Occidentale (Irian Occidental), in AFDI, 1962, p. 491 ss.; L EYSER, Dispute and Agreement on West New Guinea, in AdV, 1962/1963, p. 257 ss.; VAN DER VEUR, The United Nations in West Irian: A Critique, in IO, 1964, p. 53 ss.; DURCH, UN Temporary Executive Authority, in DURCH (ed.), op. cit., p. 285 ss.; PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace, I, Le competenze degli organi delle Nazioni Unite, Padova, 1998, p. 144 s. (che afferma, ma senza approfondire il punto, che l’UNTEA costituisce l’unico precedente di amministrazione internazionale di un territorio; v. nota n. 79, p. 146 s.); GRUSS, UNTEA and West New Guinea, in Max Planck YUNL, 2005, p. 97 ss. Secondo l’opinione di KONDOCH, The United Nations Administration of East Timor, in Journal CSL, 2001, p. 252, il caso dell’UNTEA differisce da quelli di UNMIK e UNTAET dal momento che il suo principale obiettivo era il trasferimento pacifico del territorio da uno Stato ad un altro, mentre l’istituzione di un’Amministrazione territoriale ne costituiva solo un corollario.
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questa prendesse nota del loro Accordo, riconoscesse il ruolo da esso assegnato al Segretario generale e lo autorizzasse a svolgere i compiti conferitigli47 . In effetti, il 21 settembre 1962 l’Assemblea generale approvò la risoluzione n. 1752 (XVII), in pari data entrò in vigore l’Accordo di New York)48 . I Paesi Bassi, in conformità all’impegno assunto con l’art. II dell’Accordo, trasferirono l’amministrazione di quel territorio all’UNTEA, che fu posta sotto il controllo del Segretario generale. L’UNTEA fu guidata da un Amministratore delle Nazioni Unite, nominato dal Segretario generale con il consenso dei due Stati firmatari dell’Accordo di New York49 , che ebbe la “piena autorità” di amministrare il territorio sotto la direzione del Segretario generale (art. V)50 . L’Accordo incaricò inoltre il Segretario generale di dotare l’UNTEA delle forze di sicurezza che l’Amministratore ritenesse necessarie, con il compito di mantenere la pace e l’ordine in quel territorio (art. VII)51 . Fu così che, all’inizio di ottobre 1962, il Segretario generale mise a disposizione dell’UNTEA una forza militare con funzioni di mantenimento della pace (UNSF, United Nations Security Force)52 . Nella risoluzione n. 1752 (XVII) l’Assemblea generale non fece riferimento ad alcuna norma della Carta, ma non vi furono contestazioni alla competenza del Segretario generale a svolgere le funzioni as47
Cfr. l’art. I dell’Accordo di New York. La risoluzione n. 1752 (XVII), approvata con 89 voti a favore (in seguito divenuti 88 per una dichiarazione in tal senso del Senegal) e 14 astensioni, accolse le richieste formulate dagli Stati parti all’Accordo di New York, in particolare nel suo art. I. 49 Art. IV dell’Accordo. 50 Sui poteri dell’UNTEA cfr. il rapporto annuale del Segretario generale relativo al periodo 16 giugno 1962-15 giugno 1963 (UN Doc. A/5501, capitolo II, sezione 15). Secondo STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 128, «the territory of West Irian was not linked to a state during the period of United Nations administration, but was under the sole responsibility of the United Nations», ma ciò non sembra emergere dallo studio condotto all’epoca da VAN DER VEUR, op. cit., p. 59 ss., che segnalò come la forte presenza indonesiana, sia politica sia in termini di personale impegnato sul territorio, avesse condizionato l’azione dell’UNTEA. 51 Cfr. anche l’art. 7 dell’allegato A del memorandum of understanding sulla cessazione delle ostilità concluso tra Paesi Bassi e Indonesia il 15 agosto 1962 (riprodotto in HIGGINS, United Nations Peacekeeping, 1946-1967. Documents and Commentary, II, Asia, London, 1970, p. 111 ss.). 52 Sull’UNSF, composta in gran parte da un contingente di 1500 soldati pakistani, v. HIGGINS, op. cit., p. 91 ss. C ELLAMARE, op. cit., p. 61, individua nell’UNTEAUNSF una anticipazione delle operazioni multifunzionali. 48
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segnategli dall’Accordo di New York del 1962, né rispetto alla costituzione dell’UNTEA e dell’UNSF53 . L’Accordo del 15 agosto 1962 si pone quindi come una sorta di “Carta costitutiva” della Nuova Guinea occidentale, norma superiore alla quale si devono conformare le altre, inclusi i trattati e gli accordi anteriori concernenti quel territorio 54 . In base a tale Accordo, l’impegno delle Nazioni Unite in Nuova Guinea occidentale avrebbe comportato, dopo la prima fase di amministrazione diretta, da completare entro il 1° maggio 1963 (articoli IX, X e XI), una seconda fase, che in un qualsiasi momento successivo avrebbe dovuto condurre il territorio all’autodeterminazione (articoli XII e XIII); questa seconda fase non fu effettivamente realizzata, per le pressioni indonesiane finalizzate all’annessione del territorio55 . Un altro caso in cui l’ONU ha inteso esercitare poteri di amministrazione diretta su un territorio non autonomo nel contesto della decolonizzazione ha riguardato la Namibia56 . Il 27 ottobre 1966 l’Assemblea generale approvò la risoluzione n. 2145 (XXI), ponendo termine al mandato del Sudafrica sul territorio del Sud-Ovest africano, che fu rinominato Namibia con la successiva risoluzione n. 2372 (XXII) del 12 giugno 196857 . Contestualmente, l’Assemblea decise di 53
In merito al fondamento giuridico dell’UNTEA e dell’UNSF, HIGGINS, op. cit., p. 118 ss., richiama l’art. 14 della Carta, oltre agli articoli 97 e 98 con riferimento al potere esercitato dal Segretario generale nel caso concreto, e così fa K ELLY, Restoring and Maintaining Order in Complex Peace Operations. The Search for a Legal Framework, The Hague-London-Boston, 1999, p. 100. K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 80 s., individuano il fondamento giuridico dell’UNTEA ricorrendo al capitolo VI, con un’autorizzazione data dall’Assemblea generale al Segretario generale, ma al fine di andare oltre quanto previsto da quel capitolo, ossia realizzare quanto dispone l’art. 73 della Carta con riferimento ai territori non autonomi. In tema v. anche SCHRIJVER, Some Aspects of UN Involvement with Indonesia, West Irian and East Timor, in Int. Law FORUM, 2000, p. 28. 54 In tema v. MONCONDUIT, op. cit., p. 500 s.; DAUDET, op. cit., p. 497. 55 GRUSS, op. cit., p. 110 e p. 112. In senso critico v. DAILLIER, L’administration internationale directe dans le contexte de la decolonisation, in Revue juridique et politique. Indépendance et coopération, 1973, p. 54. 56 Per un parallelo tra l’amministrazione diretta svolta dall’ONU nei casi dell’UNTEA e del Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia v. DAILLIER, op. cit., p. 41 ss. 57 La posizione assunta dall’Assemblea generale fu sostenuta sia dal Consiglio di sicurezza, che adottò, a maggioranza e con l’astensione di alcuni membri permanenti, le risoluzioni n. 264 del 20 marzo 1969, n. 269 del 12 agosto 1969 e n. 276 del 30 gennaio 1970, sia dalla Corte internazionale di giustizia nel parere del 21 giugno 1971, Legal consequences for States of the continued presence of South Africa in Namibia (South West Africa) notwithstanding Security Council Resolution 276 (1970). In ar-
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trasferire la responsabilità diretta di quel territorio alle Nazioni Unite e, il 19 maggio 1967, approvò la risoluzione n. 2248 (S-V)58 , istituendo il Consiglio delle Nazioni Unite per il Sud-Ovest africano (rinominato anch’esso “per la Namibia” con la citata risoluzione n. 2372) per amministrare quel territorio fino all’indipendenza. Il Consiglio sarebbe stato responsabile verso l’Assemblea genera59 le , i suoi poteri esecutivi e amministrativi sarebbero stati esercitati da un Commissario nominato dall’Assemblea su indicazione del Segretario generale60 . La risoluzione n. 2248 conferì al Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia ampi poteri61 , tra cui quelli di promulgare leggi, decreti e regolamenti amministrativi fino allo stabilimento di un’assemblea legislativa eletta a suffragio universale, o di approvare ogni misura necessaria per mantenere la legge e l’ordine, rendendolo quindi l’autorità amministratrice di quel territorio fino all’in-
gomento v. ampiamente B ARSOTTI, In tema di amministrazione diretta di territori non autonomi da parte dell’ONU: il caso della Namibia, in CS, vol. XVI, 1980, p. 53 ss.; Z ACKLIN, The Problem of Namibia in International Law, in RdC, vol. 171, 1981-II, p. 308 ss.; DORE, Self-determination of Namibia and the United Nations: Paradigm of a Paradox, in Harvard ILJ, 1986, p. 159 ss. In senso dubitativo sulla competenza dell’Assemblea generale ad istituire il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia e sui poteri assegnati a quest’ultimo v. HERMAN, The Legal Status of Namibia and of the United Nations Council for Namibia, in Canadian YIL, 1975, p. 319 ss. A RANGIO-RUIZ, Le domaine réservé. L’Organisation internationale et le rapport entre droit international et droit interne, in RdC, vol. 225, 1990-VI, p. 371 ss., manifesta perplessità in considerazione della mancanza del consenso da parte del Sudafrica. 58 Adottata con 85 voti favorevoli, 2 contrari e 30 astensioni; come rilevato da Z ACKLIN, op. cit., p. 309, l’elevato numero di astensioni, tra cui quelle di quattro dei cinque membri permanenti (ad eccezione della Cina), mostra il carattere controverso della decisione. 59 RIGAUX, The Decree for the Protection of the Natural Resources of Namibia Adopted on 27 September 1974 by the United Nations Council for Namibia, in Revue des droits de l’homme-Human Rights Journal, 1976, p. 455, lo qualifica quale organo dell’ONU che «exercises an authority delegated to it by the General Assembly and ratified in principle by the Security Council». B ARSOTTI, op. cit., p. 56, rileva che i poteri conferiti al Consiglio per la Namibia incontravano un limite operativo, della responsabilità verso l’Assemblea generale, e un limite temporale, del conseguimento dell’indipendenza del territorio. 60 L’Assemblea generale, il 13 giugno successivo, elesse gli undici membri del Consiglio e nominò il Consigliere giuridico dell’ONU quale Acting Commissioner. 61 Cfr. il rapporto del Segretario generale A/AC.131/37 del 12 marzo 1975 sulla posizione degli Stati membri in merito ai poteri del Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia.
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dipendenza62 . Durante il periodo di amministrazione diretta, il Consiglio delle Nazioni Unite avrebbe dovuto garantire il maggior coinvolgimento possibile della popolazione namibiana, per poi trasferirle ogni potere in vista dell’indipendenza del nuovo Stato. L’Assemblea generale chiese al Consiglio di sicurezza di adottare ogni misura appropriata per consentire al Consiglio per la Namibia di esercitare le proprie funzioni e responsabilità e garantire che la Namibia divenisse indipendente entro il giugno 1968. Com’è noto, l’opposizione sudafricana impedì al Consiglio per la Namibia di svolgere le funzioni ad esso assegnate dalla menzionata risoluzione n. 2248, né ai membri di quest’organo fu consentito l’ingresso in territorio namibiano 63 . Tale mancanza di effettività non impedì al Consiglio stesso di adottare alcuni atti amministrativi e di governo in relazione al territorio namibiano e ai suoi abitanti64 . L’Assemblea generale adottò numerose altre risoluzioni con riferimento all’amministrazione diretta del territorio namibiano 65 , tra cui la già ricordata risoluzione n. 2372, nella quale indicò gli obiettivi di breve periodo che il Consiglio per la Namibia avrebbe dovuto perseguire «as a matter of priority». La situazione non conobbe evoluzioni nel senso auspicato dall’Assemblea generale. In seguito, il Consiglio di sicurezza istituì, con la ricordata risoluzione n. 435 del 1978, l’UNTAG (United Nations Transition Assistance Group) quale operazione di peace-keeping avente significativi compiti al fine di condurre la Namibia all’indipendenza, tra cui il potere di monitorare, bloccare e proporre leggi in materia elettorale, di registrare gli elettori e monitorare le elezioni, di controllare la legislazione discriminatoria o razzista, il ritorno dei rifugiati e il rilascio dei prigionieri, di organizzare una campagna informativa, di vigilare sul rispetto del cessate-il-fuoco, sul ritiro delle forze di sicurezza del Sudafrica e sul comportamento delle forze di 62
Così Z ACKLIN, op. cit., p. 310. La legittimità dell’azione dell’Assemblea generale in merito alla Namibia fu riconosciuta anche dalla Corte internazionale di giustizia nel citato parere del 21 giugno 1971. Cfr. anche la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 301 del 20 ottobre 1971, adottata con l’astensione di Francia e Regno Unito. 64 In tema v. E NGERS, The United Nations Travel and Identity Document for Namibians, in AJIL, 1971, p. 571 ss.; RIGAUX, op. cit., p. 451 ss.; SCHERMERS, The Namibia Decree in National Courts, in ICLQ, 1977, p. 81 ss.; B ARSOTTI, op. cit., p. 63 ss.; Z ACKLIN, op. cit., p. 318 ss.; DORE, op. cit., p. 165 ss. 65 Cfr., tra le più significative, la risoluzione n. 3031 (XXVII) del 18 settembre 1972, in cui fu affrontata la questione della competenza del Consiglio a concludere accordi internazionali in nome e per conto della Namibia. 63
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polizia locali, per giungere ad elezioni free and fair, gestite però dalle autorità sudafricane e non direttamente dall’ONU. Come accennato l’UNTAG, pur avendo un mandato alquanto ampio 66 , non svolse funzioni di amministrazione diretta del territorio namibiano, ma più limitati compiti di supervisione67 . Un altro territorio cui è applicabile la disciplina internazionale sulla decolonizzazione e che avrebbe dovuto essere sottoposto ad un’amministrazione diretta dell’ONU sulla base di una decisione del Consiglio di sicurezza è il Sahara occidentale, ex-colonia spagnola in seguito occupata dal Marocco. Il 30 agosto 1988 fu raggiunto a Ginevra un accordo di principio tra Marocco e Frente POLISARIO (Frente Popular para la Liberación de Saguía el-Hamra y de Río de Oro) sulle proposte di risoluzione della controversia avanzate dal Segretario generale dell’ONU e dall’allora Organizzazione per l’Unità africana (OUA). Le proposte accettate in principio prevedevano che, al fine di consentire al popolo saharawi di autodeterminarsi68 , si sarebbe svolto un referendum per scegliere tra l’indipendenza e l’integrazione nel Marocco. Il Consiglio di sicurezza approvò le risoluzioni n. 621 del 20 settembre 1988, con la quale il Segretario generale fu autorizzato a nominare un proprio Rappresentante speciale per la definizione di un piano per il referendum, n. 658 del 27 giugno 199069 , con la quale chiese al Segretario generale un rapporto dettagliato sul piano di realizzazione delle proposte accolte dalle parti in conflitto, e n. 690 del 66 In tema v. GARGIULO, Le Peace Keeping Operations delle Nazioni Unite, Contributo allo studio delle missioni di osservatori e delle forze militari per il mantenimento della pace, Napoli, 2000, p. 240. V. anche C ELLAMARE, op. cit., p. 68, che indica come nel caso dell’UNTAG siano stati definiti i caratteri propri di un’operazione multifunzionale (cfr. in particolare il documento preparato dai rappresentanti di Canada, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti, UN Doc. S/12636 del 10 aprile 1978, la risoluzione n. 431 adottata dal Consiglio di sicurezza il 27 luglio 1978 e il successivo rapporto del Segretario generale S/12827 del 29 agosto 1978). 67 Così C ELLAMARE, op. cit., p. 97 ss.; MATHESON, United Nations Governance of Postconflict Societies, in AJIL, 2001, p. 77. In senso contrario, ma non convincente, SALAMUN, op. cit., p. 77 s. Una volta ottenuta l’indipendenza, il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia fu dissolto (cfr. la parte A della risoluzione dell’Assemblea generale n. 44/243 dell’11 settembre 1990). 68 Il diritto all’autodeterminazione per la popolazione del Sahara occidentale è stato riconosciuto anche dalla Corte internazionale di giustizia nel parere del 16 ottobre 1975 (Western Sahara). 69 Cfr. il rapporto del Segretario generale S/21360 del 18 giugno 1990, che contiene anche il testo delle proposte accettate dalle parti il 30 agosto 1988.
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29 aprile 1991, con la quale, sulla base del rapporto presentato dal Segretario generale70 , istituì la MINURSO (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara)71 . La MINURSO, da svolgere in collaborazione con l’OUA, secondo le proposte accettate dalle parti in conflitto, sarebbe stata guidata da un Rappresentante speciale del Segretario generale, che avrebbe avuto “autorità unica ed esclusiva”72 su ogni questione relativa al referendum (inclusa la componente militare) e, a tal fine, avrebbe potuto adottare ogni misura tecnica, amministrativa o di sicurezza e chiedere la sospensione di ogni legge o misura che ritenesse di ostacolo per lo svolgimento della consultazione73 . Il Rappresentante speciale avrebbe anche dovuto adottare le misure necessarie a garantire l’osservanza del cessate-il-fuoco e avrebbe avuto la responsabilità di mantenere la legge e l’ordine nel Sahara occidentale durante il periodo transitorio74 . In nessuna delle richiamate risoluzioni il Consiglio di sicurezza definì la situazione del Sahara occidentale come “minaccia alla pace”, né fece riferimento al capitolo VII della Carta. Anche in ragione di ciò la MINURSO, nonostante l’incisivo mandato ricevuto dal Consiglio di sicurezza, ha svolto solo in minima parte il proprio mandato e il referendum previsto dal 1988 non ha ancora avuto luogo. Il Marocco, infatti, dopo l’iniziale disponibilità, non solo non ha cooperato con la MINURSO, ma non ne ha consentito nemmeno il pieno dispiegamento e la libertà di movimento75 . A fronte di ciò, il Consiglio 70 Si tratta del rapporto S/22464 del 19 aprile 1991. La MINURSO si sarebbe dovuta articolare in tre unità: civile, di sicurezza (che avrebbe svolto compiti di polizia civile) e militare. 71 In tema v. DURCH, United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara, in DURCH (ed.), op. cit., p. 406 ss.; ORTEGA T EROL, Una operación para el mantenimiento de la paz: la MINURSO, in Anuario DI, 1995, p. 317 ss.; Z OUBIR, The Western Sàhara Conflict: A Case Study in Failure of Prenegotiation and Prolongation of Conflict, in California WILJ, 1996, p. 173 ss.; SOROETA L ICERAS, El conflicto del Sáhara Occidental, reflejo de las contradicciones y carencias del Derecho Internacional, Bilbao, 2001; FERRER L LORET, La aplicación del principio de autodeterminación de los pueblos: Sahara Occidental y Timor Oriental, Alicante, 2002, p. 123 ss.; J ENSEN, Western Sahara. Anatomy of a Stalemate, Boulder-London, 2005; SOLÀ-MARTÍN, Lessons from MINURSO: A Contribution to New Thinking, in Int. Pk. (Frank Cass), 2006, p. 366 ss. 72 Cfr. il par. 8 del rapporto S/21360, cit. 73 Cfr. il par. 10 del rapporto S/21360, cit. 74 Cfr. il par. 18 del rapporto S/21360, cit. 75 Cfr., ex multis, il rapporto della missione del Consiglio di sicurezza nel Sahara occidentale del 3-9 giugno 1995 (UN Doc. S/1995/498 del 21 giugno 1995).
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di sicurezza ha progressivamente ridotto il mandato dell’operazione76 , stante la mancanza di un accordo tra Marocco e Frente POLISARIO che andasse oltre le mere affermazioni di principio77 . Un altro progetto di Amministrazione territoriale realizzato solo in parte ha riguardato la Cambogia, dove il Consiglio di sicurezza decise, su richiesta delle quattro principali fazioni cambogiane coinvolte nel pluriennale conflitto interno a quel territorio, il dispiegamento di un’operazione di pace avente compiti di amministrazione diretta. Il processo di riconciliazione nazionale realizzatosi all’inizio degli anni ’90 portò alla conclusione degli Accordi di Parigi del 23 ottobre 1991, al termine della Conferenza sulla Cambogia cui presero parte le quattro fazioni, che si riunirono nel Consiglio nazionale supremo, cui fu riconosciuta la sovranità sul territorio cambogiano78 . Gli Agreements on a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict79 ebbero il sostegno del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale80 . A Parigi le fazioni cambogiane furono riunite nel Consiglio nazionale supremo e delegarono alle Nazioni Unite tutti i poteri necessari per assicurare la realizzazione degli Accordi di pace, in particolare lo svolgimento di elezioni free and fair 81 . L’UNTAC (United Na76
In tema v. diffusamente SOROETA L ICERAS, op. cit., p. 251 ss., che analizza la questione della MINURSO attraverso l’approccio seguito dai diversi Segretari generali dell’ONU che si sono succeduti a partire dal 1988, principalmente attraverso i loro rapporti periodici su tale operazione. 77 Cfr., da ultimo, il rapporto del Segretario generale S/2008/251 del 14 aprile 2008. In senso critico v. il documento redatto dall’International Crisis Group, Sahara occidental: sortir de l’impasse, Rapport Moyen-Orient/Afrique du Nord N°66, 11 juin 2007, consultabile sul sito internet www.crisisgroup.org. 78 Il Consiglio, già con la risoluzione n. 668 del 20 settembre 1990, sostenne il Framework for a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict predisposto dai cinque membri permanenti. 79 Gli Accordi comprendono il Final Act, l’Agreement on a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict, l’Agreement Concerning the Sovereignty, Independence, Territorial Integrity and Inviolability, Neutrality and National Unity of Cambodia, la Declaration on the Rehabilitation and Reconstruction of Cambodia (consultabili in allegato a UN Doc. A/46/608-S/23177 del 30 ottobre 1991). A questi Accordi si giunse anche in seguito alla forte pressione dei cinque membri permanenti sulle diverse fazioni cambogiane, il che spiega come i “cinque grandi” firmarono anch’essi gli Accordi, cosa che fecero anche i membri dell’ASEAN, gli Stati confinanti con la Cambogia, l’Australia, il Canada, il Giappone, l’India e la Iugoslavia. 80 Cfr. rispettivamente la risoluzione n. 718 del 31 ottobre 1991 e la risoluzione n. 46/18 del 20 novembre 1991. 81 Cfr. l’art. 6 dell’Agreement on a Comprehensive Political Settlement of the
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tions Transitional Authority in Cambodia) fu istituita dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione n. 745 del 28 febbraio 199282 . In particolare, il mandato di amministrazione civile dell’UNTAC, previsto dall’Agreement on a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict – il più significativo tra gli Accordi conclusi a Parigi – comprendeva tre livelli di collaborazione con le istituzioni del territorio 83 : il controllo diretto sui settori cruciali al fine di creare le condizioni per lo svolgimento delle elezioni, ossia affari esteri, difesa, finanze, pubblica sicurezza e informazione84 ; poteri di supervisione e controllo su altri settori che avrebbero potuto influenzare le elezioni, come l’istruzione, le comunicazioni, la sanità85 ; più limitati poteri di inchiesta sullo svolgimento di altre funzioni di amministrazione, da parte dell’amministrazione cambogiana, in settori meno politicamente sensibili86 . Al fine di svolgere il proprio mandato l’UNTAC ebbe anche il potere di collocare ai vertici dell’amministrazione dello Stato cambogiano personale ONU e quello di riassegnare o rimuovere il personale locale87 , così come il potere di adottare direttive vincolanti, Cambodia Conflict, cit. 82 Il Consiglio deliberò sulla base del rapporto del Segretario generale S/23613 del 19 febbraio 1992. In tema v., anche per altri riferimenti bibliografici, RATNER, The Cambodia Settlement Agreements, in AJIL, 1993, p. 1 ss.; C ELLAMARE, L’Autorità Transitoria delle Nazioni Unite in Cambogia, in PICONE (a cura di), op. cit., p. 261 ss.; K ELLER, UNTAC in Cambodia – from Occupation, Civil War and Genocide to Peace, in Max Planck YUNL, 2005, p. 127 ss. C OLEIRO, op. cit., p. 26 ss., per un verso rileva la mancanza di un effettivo processo di riconciliazione nazionale, per l’altro la presenza di un forte sostegno della popolazione per l’UNTAC. 83 Cfr. sezione b), par. 1, dell’allegato 1 all’Agreement on a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict, cit. RATNER, op. cit., p. 12 s.; HAN, Building a Peace that Lasts: The United Nations and Post-Civil War Peace-Building, in New York UJILP, 1994, p. 848 ss., e FINDLAY, UNTAC – Lessons to be Learned?, in Int. Pk. (Kluwer), 1994, n. 1, p. 6, rilevano come tali significativi poteri fossero assegnati per la prima volta in modo così esteso ad un’operazione dispiegata dall’ONU sul territorio di uno dei suoi Stati membri. PEOU , Implementing Cambodia’s Peace Agreement, in STEDMAN, ROTHCHILD e C OUSENS (eds.), Ending Civil Wars. The Implementation of Peace Agreements, Boulder-London, 2002, p. 505, rileva che l’UNTAC ebbe il potere «essentially to govern Cambodia in the absence of a legitimate national regime». 84 Cfr. l’art. 6 dell’Agreement on a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict, cit., e la sezione b), par. 1, del suo allegato 1. 85 Cfr. la sezione b), par. 2, dell’allegato 1 all’Agreement on a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict, cit. 86 Cfr. la sezione b), par. 6, dell’allegato 1 all’Agreement on a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict, cit. 87 Cfr. la sezione b), par. 4, dell’allegato 1 all’Agreement on a Comprehensive Political Settlement of the Cambodia Conflict, cit.
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in particolare per l’organizzazione e lo svolgimento delle elezioni, quello di sospendere o abrogare le leggi esistenti88 e di bloccare le decisioni del Consiglio nazionale supremo che fossero in contrasto con il mandato ricevuto dal Consiglio di sicurezza. Oltre a questi rilevanti poteri di amministrazione civile all’UNTAC furono assegnati un significativo mandato militare e ampie responsabilità per la tutela dei diritti umani89 . Se, dunque, dalla sommaria descrizione del mandato che le fu assegnato, sembra possibile qualificare l’UNTAC quale esempio di Amministrazione territoriale, all’atto pratico essa ha esercitato questi ampi e incisivi poteri in maniera incompleta90 , principalmente in ragione della insufficiente collaborazione delle fazioni nella realizzazione degli obiettivi posti negli Accordi di Parigi e per la scelta del Rappresentante speciale del Segretario generale di un approccio consensuale piuttosto che decisionista91 . L’azione dell’UNTAC, quindi, nonostante il mandato ricevuto, si è sviluppata prevalentemente attraverso un’attività di controllo e supervisione delle istituzioni cambogiane, piuttosto che di gestione diretta92 . 88 In tal senso v. RATNER, op. cit., p. 13, nota n. 86; DOYLE, UN Peacekeeping in Cambodia: UNTAC’s Civil Mandate, Boulder, 1995, p. 29. 89 DOYLE, op. cit., p. 45: «Never before had a UN peacekeeping operation assumed so intrusive and authoritative a mandate to implement universal human rights». 90 Z EMANEK, Peace-Keeping or Peace-Making?, in B LOKKER e MULLER (eds.), Towards More Effective Supervision by International Organizations, Essays in Honour of Henry G. Schermers, Dordrecht-Boston-London, 1994, p. 34, rilevò che il mandato assegnato all’UNTAC «is nothing less than the reconstruction of the Cambodian state», ma anche che tale esperienza «raises doubts whether the UN can fulfil such a mandate with the means presently at its disposal and with the method used» (p. 36). 91 Per una valutazione sui risultati di medio periodo dell’azione dell’UNTAC v. C ELLAMARE, Recenti sviluppi dell’attività delle Nazioni Unite in Cambogia, in CI, 2001, p. 383 ss.; SANDERSON, The Cambodian Experience: A Success Story Still?, in T HAKUR e SCHNABEL (eds.), United Nations Peacekeeping Operations. Ad Hoc Missions, Permanent Engagement, Tokyo-New York-Paris, 2001, p. 155 ss. In senso fortemente critico v. DOYLE, Peacebuilding in Cambodia: Legitimacy and Power, in C OUSENS e K UMAR (eds.), op. cit., p. 89 ss.: «Some of Cambodia’s current problems are the product of peacebuilding that ideally should have taken place during the period in which UNTAC was serving as the transitional authority» (p. 99). 92 DOYLE, UN Peacekeeping in Cambodia, cit., p. 35 e p. 43; C ELLAMARE, L’Autorità Transitoria, cit., p. 277; K ORHONEN, op. cit., p. 518; B OTHE, op. cit., p. 672; C APLAN, op. cit., p. 14; K ELLER, op. cit., p. 163; FRIEDRICH, UNMIK in Kosovo: Struggling with Uncertainty, in Max Planck YUNL, 2005, p. 239; SALAMUN, op. cit., p. 83 ss.; A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 316.
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Gli esempi appena ricordati appaiono riconducibili a situazioni tra loro assai diverse. In alcuni casi fu coinvolta l’Assemblea generale, sia nel contesto della decolonizzazione (Libia, Nuova Guinea occidentale, Namibia) che in un ambito più generale (il progetto di internazionalizzazione per Gerusalemme, che riconobbe un ruolo centrale al Consiglio di amministrazione fiduciaria), in altri fu coinvolto il Consiglio di sicurezza (Trieste, Sahara occidentale, Cambogia). Ad ogni modo, questa prassi mostra una propensione dell’Organizzazione, sin dalla sua origine, a svolgere una funzione di amministrazione diretta di territori93 . Rileviamo peraltro che, a parte i casi, di breve durata e comunque poco significativi, che hanno riguardato la Libia e la Nuova Guinea occidentale, fino alla metà degli anni ’90 la funzione di amministrazione diretta di un territorio da parte dell’ONU è rimasta largamente incompiuta. Talora i progetti non si sono concretizzati affatto (vedi gli esempi di Trieste e di Gerusalemme), talaltra hanno avuto una realizzazione solo parziale e per aspetti marginali, a causa della mancanza del consenso del sovrano territoriale o dei soggetti interessati (Namibia, Sahara occidentale). Un discorso in parte diverso merita l’operazione in Cambogia. Il mandato dell’UNTAC, infatti, le assegnò ampi poteri di controllo diretto e di intervento sulle istituzioni di governo cambogiane. Nei fatti, però, l’azione dell’ONU ha assunto più i contorni di una mediazione continua tra le fazioni cambogiane che quelli di un’amministrazione diretta di quel territorio, su una parte del quale peraltro l’UNTAC non ha potuto esercitare alcun potere sostanziale94 . Questi precedenti, seppur con le segnalate limitazioni, saranno comunque tenuti in considerazione nel corso della presente indagine 93
A riprova della circostanza che l’affidamento all’ONU di un ruolo di gestione diretta di territori è stato costantemente presente nella prassi e nella dottrina che si sono occupate dell’Organizzazione, rileviamo come, all’inizio degli anni ‘90, in seguito all’emergere di numerosi casi di “failed States”, HELMAN e RATNER, Saving Failed States, in Foreign Policy, winter 92-93, n. 89, p. 12 ss., abbiano proposto la realizzazione di un “United Nations Conservatorship”, a sua volta articolato in tre modelli: «governance assistance, delegation of governmental authority, and direct U.N. trusteeship». Quest’ultimo, poi, avrebbe costituito una rivitalizzazione dell’amministrazione fiduciaria, in cui «states could voluntarily relinquish control over their internal and external affairs for a defined period», affidando ogni scelta all’ONU. L’indicata tripartizione è ripresa da STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 129. In tema v. anche L YON, The Rise and Fall and Possible Revival of International Trusteeship, in Journal of Commonwealth & Comparative Politics, 1993, p. 96 ss., partic. p. 107. 94 Cfr. i rapporti del Segretario generale S/23870 del 1° maggio 1992 e S/24800 del 15 novembre 1992.
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quale utile punto di riferimento ai fini della ricostruzione del fenomeno giuridico dell’amministrazione diretta di territori da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU. 3. Segue: lo sviluppo di tale fenomeno nella prassi recente. L’istituzione da parte del Consiglio di sicurezza di operazionidi pace incaricate di amministrare un territorio Il Consiglio di sicurezza ha istituito, tra il 1996 e il 1999, tre operazioni incaricate di esercitare rilevanti poteri di governo in un territorio, ha qualificato le tre situazioni come “minaccia alla pace”95 e ha quindi agito in base al capitolo VII della Carta, utilizzando le competenze che questa gli conferisce per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Si tratta dell’UNTAES in Croazia, dell’UNMIK nella Repubblica federale di Iugoslavia (RFI) e dell’UNTAET a Timor est96 . Come di regola, l’azione del Consiglio si caratterizza per la sua discrezionalità e selettività, in quanto organo politico che, a seconda delle circostanze e degli interessi in gioco (specie di quelli che più direttamente coinvolgono i membri permanenti), decide se e come intervenire97 . Le operazioni istituite dal Consiglio di sicurezza in queste tre situazioni, pur agendo in contesti differenti e perseguendo finalità in parte diverse, sembrano mostrare una linea di tendenza favorevole a questa modalità d’intervento, come conferma anche la loro istituzione in un arco temporale ravvicinato. Il primo caso da considerare ha riguardato l’UNTAES (United Nations Transitional Administration for Eastern Slavonia, Baranja and Western Sirmium), istituita con la risoluzione n. 1037 del 15 gennaio 1996 a seguito dell’Accordo di pace firmato il 12 novembre 1995 dal Governo croato e dai rappresentanti della comunità serba98 , 95
In tema v. il recente studio critico di CADIN, I presupposti dell’azione del Consiglio di Sicurezza nell’articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite, Milano, 2008, partic. p. 150 ss. 96 K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 57: «Le contexte-type de ces missions est celui d’un Etat ou d’un territoire ravagés par un conflit armé dans lesquels des structures de gouvernement effectives n’existent plus, ou, si elles existent encore, ne sont plus en mesure d’administrer le territoire et sa population». 97 V. in senso critico le osservazioni di A RDAULT, A RION, GNAMOU PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 378 s. 98 Basic Agreement on the Region of Eastern Slavonia, Baranja and Western Sirmium, noto anche come Accordo di Erdut (consultabile in UN Doc. A/50/757S/1995/951). Per una sintetica ricostruzione degli avvenimenti che hanno condotto
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che costituiva una importante minoranza in quei territori99 , nel quale le parti chiesero al Consiglio di sicurezza di istituire un’Amministrazione transitoria con il compito di “governare” quel territorio 100 . La risoluzione n. 1037, adottata sul presupposto che la situazione in Croazia continuasse a costituire una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, richiamava il capitolo VII al fine di assicurare la sicurezza e la libertà di movimento del personale delle operazioni di mantenimento della pace dispiegate in territorio croato. Il par. 14 della risoluzione prevedeva inoltre che l’UNTAES avrebbe potuto chiedere l’intervento degli Stati membri, anche attraverso gli accordi o le organizzazioni regionali, al fine di utilizzare “tutti i mezzi necessari” in difesa dell’UNTAES e per assisterla nel ritiro da quel territorio 101 . Ciò è da intendersi come riferito in via principale alla forza multinazionale a guida NATO in quel momento dispiegata nella confinante alla firma di tale Accordo cfr. il rapporto del Segretario generale S/1995/987 del 23 novembre 1995, in particolare i paragrafi 6 e 29-31. 99 B OTHE, The Peace Process in Eastern Slavonia, in Int. Pk. (Kluwer), 1996, n. 1, p. 7, parla di «a secessionist local de-facto regime». 100 Sull’UNTAES v. C ELLAMARE, Note sull’Amministrazione Transitoria delle Nazioni Unite in Slavonia Orientale (UNTAES), in Divenire sociale e adeguamento del diritto. Studi in onore di Francesco Capotorti, Milano, 1999, p. 83 ss.; ŠIMUNOVI , A Framework for Success: Contextual Factors in the UNTAES Operation in Eastern Slavonia, in Int. Pk. (Frank Cass), 1999, n. 1, p. 126 ss.; GARGIULO, op. cit., p. 281 ss.; SCHOUPS, Peacekeeping and Transitional Administration in Eastern Slavonia, in REYCHLER e PAFFENHOLZ (eds.), Peacebuilding. A Field Guide, Boulder-London, 2001, p. 389 ss.; C OLEIRO, op. cit., p. 72 ss.; K LEIN (J.P.), The United Nations Transitional Administration in Eastern Slavonia (UNTAES), in ASIL Proc., 2003, p. 205 ss. L’UNTAES non è, con una scelta discutibile, presa in considerazione da MATHESON, op. cit., p. 77, il quale afferma che il Consiglio di sicurezza, dopo l’istituzione dell’UNTAC in Cambogia e fino a quella dell’UNMIK in Kosovo, «did not attempt to directly govern territories affected by a conflict», né da T OMUSCHAT, Yugoslavia’s Damaged Sovereignty over the Province of Kosovo, in K REIJEN et al. (eds.), State, Sovereignty, and International Governance (Essays Kooijmans), Oxford, 2002, p. 338. Allo stesso modo v. HENRY, L’administration exercée par les Nations Unies sur le territoire: démocratisation et respect de la souveraineté ou le paradoxe de l’histoire juridique internationale, in MEHDI (dir.), La contribution des Nations Unies à la démocratisation de l’Etat, Paris, 2002, p. 161 ss. DAUDET, op. cit., p. 482 s. (nota n. 33), invece, pur qualificando l’UNTAES come Amministrazione territoriale, afferma: «Les Nations Unies rencontreront de grandes difficultés dans la mise en œuvre de cette administration, non seulement en raison de la situation particulièrement complexe et tendue, mais aussi à cause des graves difficultés financières auxquelles l’ATNUSO sera confrontée». 101 Sull’importanza di tale previsione, oltre che sul suo carattere innovativo, cfr. l’ampio dibattito svoltosi in Consiglio di sicurezza il 15 gennaio 1996, in occasione dell’adozione della risoluzione n. 1037 (UN Doc. S/PV.3619).
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Bosnia-Erzegovina102 . Inoltre, al par. 8 della risoluzione n. 1037 il Consiglio prefigurava una possibile evoluzione in senso coercitivo del mandato dell’UNTAES qualora le parti non avessero rispettato gli impegni assunti con l’Accordo di Erdut. L’UNTAES comprendeva una componente militare103 ed una civile, entrambe guidate da un Amministratore transitorio 104 , era definita dalla risoluzione istitutiva come una operazione di peace-keeping e aveva un ampio mandato 105 , quello di amministrare questi tre territori e di favorire il loro ritorno pacifico sotto l’autorità del Governo 102
L’IFOR (Implementation force) fu dispiegata in seguito alla richiesta formulata negli Accordi di Dayton e in base all’autorizzazione data dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione n. 1031 del 15 dicembre 1995 (par. 14). L’IFOR è stata sostituita dalla SFOR (Stabilization force), autorizzata con la risoluzione n. 1088 del 12 dicembre 1996 (par. 18). Infine, con la risoluzione n. 1575 del 22 novembre 2004, il Consiglio ha autorizzato gli Stati membri ad istituire, attraverso o con la collaborazione dell’Unione europea, una forza multinazionale (in seguito denominata EUFOR) quale successore della SFOR (par. 10). L’azione comune 2004/570/PESC, adottata dal Consiglio dell’Unione europea il 12 luglio 2004, ha quindi dato vita all’operazione “EUFOR-ALTHEA”. 103 Cfr. il par. 1 della risoluzione n. 1037. Nel documento preparato dalla Lessons Learned Unit, United Nations Department of Peacekeeping Operations, The United Nations Transitional Administration in Eastern Slavonia, Baranja and Western Sirmium (UNTAES), January 1996-January 1998, Lessons Learned, July 1998, consultabile attraverso il sito internet www.un.org, si afferma, tra l’altro: «The UNTAES military component was provided with the means to achieve its goals. Its strength, and its demonstrated willingness to use that strength, was an effective deterrent to non-compliance by the parties. Moreover, the NATO back-up reinforced the credibility and capacity of the military component» (par. 156). 104 Nei paragrafi 13 e 23 del rapporto preparato dal Segretario generale in vista dell’istituzione dell’UNTAES (S/1995/1028 del 13 dicembre 1995), egli avanzò anche l’opzione di separare componente civile – Amministrazione transitoria – e componente militare, che sarebbe così stata una forza multinazionale autorizzata non sottoposta all’Amministratore, il che avrebbe anticipato ciò che è avvenuto in seguito nel Kosovo. Il Consiglio decise invece di istituire un’operazione unica. 105 In senso critico v. B OTHE, The Peace Process, cit., p. 6, il quale rileva la differenza tra la risoluzione n. 1037 e la proposta avanzata dal Segretario generale (cfr. i paragrafi 4, 8 e 22-24 del citato rapporto S/1995/1028), che chiedeva una significativa componente militare e un mandato di peace-enforcement, da affidare ad una forza dell’ONU o, preferibilmente, ad una coalizione di Stati membri e afferma: «This, too clearly, indicates the unwillingness of the Security Council to use its enforcement powers to solve the question of Eastern Slavonia». C ELLAMARE, Note sull’Amministrazione Transitoria, cit., p. 89 ss., rileva che il Consiglio ha preferito piuttosto costituire un’operazione di mantenimento della pace, richiamando il capitolo VII solo al fine di garantire la libertà di movimento e la sicurezza del personale dell’ONU, il che interpreta come un rafforzamento dell’obbligo assunto dalle parti in conflitto con il ricordato Basic agreement.
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croato (la stessa risoluzione riconosce infatti nel preambolo che essi sono parte integrante dello Stato croato). In base alla risoluzione n. 1037 all’Amministratore transitorio era riconosciuta «overall authority» su entrambe le componenti dell’UNTAES, al fine di esercitare gli ampi poteri di governo previsti dall’Accordo di Erdut. L’UNTAES ha svolto la propria attività durante un arco temporale di due anni ed è terminata nel 1998106 . Il secondo caso ha riguardato il Kosovo, provincia della Serbia abitata in grande maggioranza da persone di origine albanese, cui la Costituzione iugoslava del 21 febbraio 1974 riconobbe un’ampia autonomia107 . Nel corso degli anni ’80 questa fu progressivamente limitata, fino alla sua eliminazione, avvenuta con un atto adottato il 28 marzo 1989 dal Parlamento serbo, cui si accompagnò la crescente discriminazione degli albanesi a favore dei serbi del Kosovo. Gli albanesi, minoranza nel contesto della Iugoslavia e della Serbia108 , ma grande maggioranza in Kosovo, diedero vita ad una forte opposizione al Governo di Belgrado, organizzandosi sia sotto il profilo politico, con la proclamazione unilaterale di indipendenza a seguito di un referendum svoltosi clandestinamente nel settembre 1991 e dando vita a istituzioni parallele, sia sotto il profilo militare, con la costituzione di un movimento armato per ottenere l’indipendenza (in seguito formalizzato come Esercito di liberazione del Kosovo, sotto la sigla UCK, che non è stato riconosciuto quale movimento di liberazione nazionale)109 . Il Consiglio di sicurezza ha cominciato ad occuparsi attivamente della crisi del Kosovo nel 1998, approvando diverse risoluzioni110 , che, pur presentando un contenuto parzialmente differente, avevano 106
Il mandato dell’UNTAES fu prorogato con le risoluzioni n. 1079 del 15 novembre 1996 e n. 1120 del 14 luglio 1997. Per una valutazione d’insieme cfr. The United Nations Transitional Administration in Eastern Slavonia, cit. 107 I principali documenti (interni ed internazionali) relativi alla crisi del Kosovo sono consultabili nella raccolta, a cura di PISTOIA, acclusa al volume di SCISO (a cura di), L’intervento in Kosovo. Aspetti internazionalistici e interni, Milano, 2001, p. 189 ss. 108 Com’è noto, le vicende relative alla ex-Repubblica federativa socialista di Iugoslavia hanno profondamente modificato il contesto territoriale balcanico sin dai primi anni ’90, dapprima con il suo smembramento e la conseguente creazione di numerosi nuovi Stati, tra cui la Repubblica federale di Iugoslavia, poi divenuta Serbia-Montenegro e, dal maggio 2006, solo Serbia. 109 L AGRANGE (E.), op. cit., p. 340. 110 Cfr., in particolare, le risoluzioni n. 1160 del 31 marzo, n. 1199 del 23 settembre e n. 1203 del 24 ottobre, approvate con l’astensione della Cina e, limitatamente alla n. 1203, anche della Russia.
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alcuni elementi comuni: il richiamo del capitolo VII della Carta e la qualificazione della situazione come minaccia alla pace; la condanna degli atti di violenza commessi sia dalle forze serbe, militari e paramilitari, sia dai gruppi armati albanesi, in particolare l’UCK, definiti come atti di terrorismo; l’invito alle parti al dialogo per risolvere in maniera pacifica il loro contrasto; il riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale della RFI; il sostegno affinché al Kosovo fossero garantiti una maggiore autonomia sostanziale e una rilevante self-administration. Nonostante le richiamate risoluzioni, la situazione non ha conosciuto miglioramenti e non è stato possibile raggiungere un accordo di riconciliazione nazionale neppure a seguito dei negoziati svoltisi a Rambouillet e a Parigi tra febbraio e marzo 1999111 . In seguito al fallimento dei tentativi di risolvere in maniera pacifica la situazione, la grave violazione dei diritti umani dei kosovari albanesi è stata invocata dai numerosi Stati appartenenti alla NATO che condussero un attacco armato contro la RFI dal 24 marzo al 10 giugno 1999, al di fuori del sistema di sicurezza collettiva dell’ONU112 . 111 Il 18 marzo 1999 la delegazione kosovara albanese firmò i c.d. accordi di Rambouillet (Interim Agreement for Peace and Self-Government in Kosovo), ma lo stesso non fecero i serbi, non condividendo le soluzioni negoziali cui si era pervenuti. Il testo dei c.d. accordi di Rambouillet è consultabile in UN Doc. S/1999/648 del 7 giugno 1999. Per una decisa critica a tali “accordi” v. L AGRANGE (E.), op. cit., p. 340 s. 112 Esula dalla presente indagine l’approfondimento degli aspetti problematici connessi all’intervento armato contro la RFI. In tema, tra gli assai numerosi contributi apparsi in dottrina e limitandoci a quella italiana, si rinvia (anche per ulteriori riferimenti bibliografici) a Z ANGHÌ, Il Kosovo fra Nazioni Unite e diritto internazionale, in I diritti dell’uomo. Cronache e battaglie, 1998, n. 3, p. 57 ss.; C ASSESE, Ex iniuria ius oritur: Are We Moving towards International Legitimation of Forcible Humanitarian Countermeasures in the World Community?, in EJIL, 1999, p. 23 ss.; STARACE, L’azione militare della NATO contro la Iugoslavia secondo il diritto internazionale, in Filosofia dei diritti umani, 1999, n. 1, p. 36 ss.; VILLANI, La guerra del Kosovo: una guerra umanitaria o un crimine internazionale?, in Volontari e terzo mondo, 1999, n. 1-2, p. 26 ss.; RONZITTI, Raids aerei contro la Repubblica federale di Iugoslavia e Carta delle Nazioni Unite, in RDI, 1999, p. 476 ss.; C ONDORELLI, La risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di sicurezza e l’intervento NATO contro la Repubblica federale di Iugoslavia, in RONZITTI (a cura di), NATO, conflitto in Kosovo e Costituzione italiana, Milano, 2000, p. 31 ss.; PICONE, La «guerra del Kosovo» e il diritto internazionale generale, in RDI, 2000, p. 309 ss. (partic. p. 324 ss.); MARCHISIO, L’intervento in Kosovo e la teoria dei due cerchi, in SCISO (a cura di), op. cit., p. 21 ss.; SCISO, L’intervento in Kosovo. L’improbabile passaggio dal principio del divieto a quello dell’uso della forza, ivi, p. 47 ss.; MILANO, Security Council Action in the Balkans: Reviewing the Legality of Kosovo’s Territorial Status, in EJIL, 2003,
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Al termine dell’attacco armato, dopo che il Governo della Iugoslavia e l’Assemblea della Serbia avevano accettato il 3 giugno precedente le proposte presentate dai mediatori Ahtisaari e Chernomirdyn, corrispondenti a quanto deciso dai Ministri degli esteri dei Paesi del G-8 al termine dell’incontro svoltosi a Petersberg il 6 maggio 1999, come condizione per la cessazione delle operazioni militari, e dopo la conclusione dell’Accordo tecnico-militare tra le autorità iugoslave e serbe e la forza internazionale di sicurezza, denominata KFOR113 , il 10 giugno 1999 il Consiglio di sicurezza, con l’astensione della Cina, adottò la risoluzione n. 1244. Il Consiglio decise il dispiegamento in Kosovo di due presenze internazionali114 , una a carattere civile, in seguito denominata United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (UNMIK), l’altra militare, la già menzionata Kosovo force (KFOR), composta in gran parte da contingenti appartenenti a Stati membri della NATO, oltre ad una significativa presenza iniziale della Russia115 . La risoluzione n. 1244 è stata adottata sul presupposto che la situazione nella regione continuasse a costituire una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale e richiama il capitolo VII al fine di assicurare la sicurezza del personale internazionale e di garantire a tutti i soggetti operanti in Kosovo, a partire dalle due presenze internazionali, la possibilità di svolgere le proprie attività116 . L’UNMIK è guidata da un Rappresentante speciale del Segretario p. 1009 ss.; PALMISANO, L’ammissibilità del ricorso alla forza armata a fini umanitari e la guerra del Kosovo, in CI, 2003, p. 17 ss.; T REVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, 2005, p. 464 ss. 113 Si tratta del Military-technical agreement, anche detto Accordo di Kumanovo, sottoscritto il 9 giugno 1999 (contenuto in UN Doc. S/1999/682 del 15 giugno 1999). 114 Cfr. il par. 5 della risoluzione n. 1244. 115 Cfr. l’accordo di Helsinki del 18 giugno 1999 sulla partecipazione della Russia alla KFOR. Si segnala peraltro che il contingente russo ha cessato di operare in Kosovo a partire dal 2 luglio 2003 e che, al 1° aprile 2008, la KFOR comprendeva circa 16000 effettivi appartenenti a 34 Stati, di cui 24 sono Membri della NATO. 116 Va per inciso rilevato come la risoluzione n. 1244 non sia configurabile quale approvazione implicita o a posteriori dell’intervento armato contro la Iugoslavia, ma si occupa unicamente della situazione post-bellica. In tal senso, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, v. VILLANI, Les rapports entre l’ONU et les organisations régionales dans le domaine du maintien de la paix, in RdC, vol. 290, 2001, p. 371 ss.; PEYRO L LOPIS, Le système de sécurité collective entre anarchie et fiction. Observations sur la pratique récente, in Droit du pouvoir, pouvoir du droit. Mélanges offerts à Jean Salmon, Bruxelles, 2007, p. 1410 ss. In senso difforme v. però RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, III ed., Torino, 2006, p. 74, il quale afferma che il Consiglio, approvando la risoluzione n. 1244, ha regolarizzato l’azione della NATO contro la RFI.
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generale e ha il compito di amministrare quel territorio per garantirne l’autonomia sostanziale nell’ambito della RFI e di creare le istituzioni provvisorie democratiche di autogoverno che garantiscano le condizioni per una convivenza pacifica e per una vita normale per tutti gli abitanti del Kosovo117 . La risoluzione non parla di autodeterminazione del Kosovo, il che appare peraltro condivisibile, in quanto alla situazione in questione non sembra applicabile quel diritto 118 . Accanto alla presenza civile, come già accennato il Consiglio ha autorizzato gli Stati membri e le organizzazioni internazionali ad istituire una presenza internazionale militare sotto comando unificato della
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Cfr. i paragrafi 6, 10 e 11 della risoluzione n. 1244. In tema v. l’analisi condotta da QUANE, A Right to Self-Determination for the Kosovo Albanians?, in Leiden JIL, 2000, p. 219 ss., che nega il diritto all’autodeterminazione (sia interna che esterna) degli albanesi del Kosovo, non considerati un popolo, e ritiene esservi piuttosto una questione di tutela delle minoranze (p. 227). V. anche le osservazioni di VILLANI, Un’indipendenza senza giustificazione giuridica: il Kosovo resta sotto “controllo” internazionale, in Guida al diritto - Diritto comunitario e internazionale, 2008, n. 3, p. 7 ss. Parzialmente diversa è la posizione di B OTHE e MARAUHN, op. cit., p. 238 s., che non riconoscono i kosovari come popolo, ma postulano il loro diritto all’autodeterminazione interna (così anche VON C ARLOWITZ, UNMIK Lawmaking between Effective Peace Support and Internal Self-determination, in AdV, 2003, p. 365; per un cenno v. anche C RAWFORD , op. cit., p. 126). Di un «‘mitigated’ right of self-determination» riconosciuto dalla risoluzione n. 1244, inteso quale diritto all’autodeterminazione interna, parla T OMUSCHAT, op. cit., p. 345. Z IMMERMANN e STAHN, Yugoslav Territory, United Nations Trusteeship or Sovereign State? Reflections on the Current and Future Legal Status of Kosovo, in Nordic JIL, 2001, p. 453 ss., riconoscono ai kosovari albanesi la qualifica di popolo e affermano che, anche se il diritto all’autodeterminazione interna può comportare un diritto alla secessione di un popolo soggetto a violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani, che ciò non ha più riguardato il Kosovo in seguito all’intervento armato dei Paesi della NATO, all’istituzione dell’UNMIK e al mutato atteggiamento del Governo iugoslavo; in tal senso v. anche l’opinione di FRIEDRICH, op. cit., p. 245 ss. In senso dubitativo v. RONZITTI, Options for Kosovo’s Final Status, in Int. Spect., 2000, n. 2, p. 105, che, richiamando la fomulazione utilizzata dal Consiglio di sicurezza, parla di “popolo” del Kosovo e riconosce il suo diritto all’autodeterminazione (p. 112 s.). Nel senso del diritto del Kosovo ad essere indipendente, ma con argomentazioni non convincenti, v. invece B AGGETT, Human Rights Abuses in Yugoslavia: To Bring an End to Political Oppression, the International Community Should Assist in Establishing an Independent Kosovo, in Georgia JICL, 1998, p. 457 ss.; GRANT, Extending Decolonization: How the United Nations Might Have Addressed Kosovo, ivi, 1999, p. 9 ss.; RICHARDSON, A Critical Thought on Self Determination for East Timor and Kosovo, in Temple ICLJ, 2000, p. 101 ss.; C HARNEY, Self-Determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, in Vanderbilt JTL, 2001, p. 455 ss. 118
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NATO (KFOR), incaricata, tra l’altro, di creare un ambiente pacifico in Kosovo e di favorire il ritorno dei rifugiati119 . Le vicende relative a Timor est hanno riguardato un territorio che fino alla metà degli anni ’70 fu colonia portoghese120 e che, quando ottenne l’indipendenza nel contesto dell’autodeterminazione, fu occupato con la forza e annesso all’Indonesia, dando vita ad una situazione di occupazione illegittima121 , condannata sia dall’Assemblea generale che dal Consiglio di sicurezza122 e non riconosciuta dalla stragrande maggioranza degli Stati123 , con la significativa eccezione dell’Australia, che tra l’altro concluse, l’11 dicembre 1989, un accordo con l’Indonesia relativo allo sfruttamento della piattaforma continentale di Timor est124 . 119
Cfr. i paragrafi 7 e 9 della risoluzione n. 1244 e il par. 4 dell’allegato 2 alla medesima. In tema v. GUILLAUME, MARHIC e E TIENNE, Le cadre juridique de l’action de la KFOR au Kosovo, in AFDI, 1999, p. 308 ss. 120 In tema v., per una visione d’insieme, STARACE, La questione dei territori portoghesi d’oltremare dinanzi alle Nazioni Unite, in CS, vol. XII, 1966, p. 475 ss. 121 Per una ricostruzione dei principali avvenimenti e per ulteriori riferimenti bibliografici v. C HINKIN, East Timor: A Failure of Decolonization, in Australian YBYL, 1999, p. 35 ss.; VILLANI, L’ONU di fronte alla crisi di Timor Est, in Volontari e terzo mondo, 1999, n. 3, p. 57 ss.; ROTHERT, U.N. Intervention in East Timor, in Columbia JTL, 2000, p. 257 ss.; DREW, The East Timor Story: International Law on Trial, in EJIL, 2001, p. 651 ss.; FERRER L LORET, op. cit., p. 92 ss. e p. 140 ss.; SMITH e DEE, Peacekeeping in East Timor. The Path to Independence, Boulder-London, 2003, p. 33 ss. 122 Cfr., tra quelle adottate subito dopo l’annessione, le risoluzioni n. 3485 (XXX) del 12 dicembre 1975 dell’Assemblea generale e n. 384 del 22 dicembre 1975 del Consiglio di sicurezza. 123 Per le rilevante prassi v. T ANCREDI, La secessione nel diritto internazionale, Padova, 2001, p. 580 ss., il quale peraltro afferma: «L’incorporazione di Timor orientale nell’Indonesia non sollevò diffuse condanne nella comunità internazionale, che al contrario mostrò una certa disponibilità a riconoscere il fatto compiuto». Per una critica all’ASEAN (Associazione degli Stati del sud-est asiatico) con riferimento all’appoggio alla occupazione indonesiana di Timor est v. FERRER L LORET, op. cit., p. 162 ss. 124 La questione del Timor Gap Treaty (Treaty between Australia and the Republic of Indonesia on the Zone of Cooperation in an Area between the Indonesian Province of East Timor and Northern Australia) e della connessa violazione del diritto all’autodeterminazione del popolo di Timor est fu anche al centro della controversia portata nel 1991 dal Portogallo contro l’Australia davanti alla Corte internazionale di giustizia, la quale si pronunciò il 30 giugno 1995 e, pur affermando di non poter decidere il merito della controversia senza prima occuparsi della legittimità della presenza indonesiana a Timor est, il che non poteva fare non essendo l’Indonesia parte della controversia e non avendo accettato la competenza della Corte, riconobbe il carattere cogente della norma sull’autodeterminazione dei popoli. Sulla sentenza v., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, C RAWFORD , op. cit., p.
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Il 5 maggio 1999 Portogallo e Indonesia raggiunsero un Accordo sulla questione di Timor est e ne stipularono altri due con il Segretario generale dell’ONU125 , sulle modalità di svolgimento di un referendum in quel territorio al fine di permettere alla popolazione di Timor est la scelta tra un regime di ampia autonomia all’interno dell’Indonesia e l’indipendenza126 . Nel caso in cui fosse prevalsa questa seconda opzione, l’art. 6 dell’Accordo già prefigurava l’istituzione di un’Amministrazione dell’ONU al fine della creazione delle strutture di governo del futuro Stato est-timorese127 . Il referendum ebbe luogo il 30 agosto 1999, fu organizzato e monitorato dall’UNAMET (United Nations Mission in East Timor), così come previsto dall’Accordo del 5 maggio e dalla risoluzione n. 1246 dell’11 giugno 1999, che istituì tale operazione. Il risultato fu a grande maggioranza contrario all’autonomia speciale sotto sovranità indonesiana e favorevole a iniziare un processo di transizione verso l’indipendenza128 , ma prima che l’Amministrazione dell’ONU potesse insediarsi la violenza esercitata dalle milizie pro-indonesiane sconvolse il territorio129 . Il punto che il Consiglio di sicurezza, con la risoluzione n. 1264 168 ss. Una ricostruzione della posizione assunta dall’Australia in merito all’invasione di Timor est quale violazione grave di un obbligo internazionale ai sensi dell’art. 41 del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati, approvato in seconda lettura dalla Commissione del diritto internazionale nelle riunioni del 31 maggio e del 3 agosto 2001 (il testo è consultabile in UN Doc. A/56/10, Report of the International Law Commission, Fifty-third session) è stata proposta da HOWARD , Invoking State Responsibility for Aiding the Commission of International Crimes – Australia, The United States and the Question of East Timor, in Melbourne JIL, 2001, p. 28 ss. 125 Cfr. UN Doc. A/53/951-S/1999/513, allegati I-III (Agreement between the Republic of Indonesia and the Portuguese Republic on the question of East Timor; Agreement regarding the modalities for the popular consultation of the East Timorese through a direct ballot; East Timor popular consultation). 126 Il Consiglio di sicurezza accolse positivamente gli accordi del 5 maggio 1999 (cfr. la risoluzione n. 1236 del 7 maggio 1999). 127 Al proposito B URDEAU , Quelle voie pour le Conseil de sécurité après l’affaire du Kosovo? Le ban d’essai du Timor-Oriental, in Int. Law FORUM, 2000, p. 33, afferma: «L’eventualité d’une administration temporaire du territoire par l’ONU […] était donc expressément envisagée et, compte tenu des prévisions, devenait la plus vraisemblable». In senso opposto v. B OTHE e MARAUHN, op. cit., p. 239 ss. 128 Cfr. la lettera del 3 settembre 1999 (UN Doc. S/1999/944) con cui il Segretario generale comunicò al Consiglio di sicurezza il risultato della consultazione popolare condotta dall’UNAMET (78,5 % contro 21,5%). 129 Cfr. il rapporto della missione del Consiglio di sicurezza a Giakarta e Dili, svoltasi tra l’8 e il 12 settembre 1999 (UN Doc. S/1999/976).
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del 15 settembre 1999, considerata la situazione di Timor est quale minaccia alla pace e alla sicurezza, autorizzò in base al capitolo VII l’istituzione di una forza multinazionale sotto comando unificato, guidata dall’Australia130 e denominata INTERFET (International force, East Timor), con il mandato di usare “tutti i mezzi necessari” per far cessare le violenze. All’INTERFET si sarebbe sostituita, «as soon as possible», una operazione di peace-keeping quale componente della successiva Amministrazione territoriale131 . L’UNTAET fu istituita dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII con la risoluzione n. 1272 del 25 ottobre 1999132 , sul presupposto che la situazione a Timor est continuasse a costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza. Ad essa fu riconosciuto l’esercizio della piena autorità legislativa ed esecutiva, inclusa l’amministrazione della giustizia. L’UNTAET fu composta da una componente militare (autorizzata ad utilizzare “tutti i mezzi necessari a realizzare il proprio mandato”), che prese il posto della forza multinazionale autorizzata INTERFET assorbendone anche buona parte del personale, e da una componente civile e fu guidata da un Amministratore transitorio nominato dal Segretario generale133 . L’UNTAET ha amministrato quel territorio fino all’indipendenza, che ha avuto luogo il 20 maggio 2002 con la nuova denomina130
B ENZING , op. cit., p. 308, rileva: «Ironically, Australia, the only state that had recognised Indonesia’s claim to East Timor, now volunteered to “act in defence” of the right to self-determination of the territory’s population». 131 Cfr. i paragrafi 3, 10 e 11 della risoluzione n. 1264. In tema v. VILLANI, L’ONU di fronte alla crisi di Timor Est, cit., p. 60 ss.; C AHIN, L’action internationale au Timor oriental, in AFDI, 2000, p. 139 ss.; ROTHERT, op. cit., p. 272 ss.; T OOLE, A False Sense of Security: Lessons Learned from the United Nations Organization and Conduct Mission in East Timor, in American UILR, 2000, p. 199 ss.; A BLINE, De l’independance du Timor-Oriental, in RGDIP, 2003, p. 349 ss. 132 Il 28 settembre, in un incontro trilaterale con il Segretario generale dell’ONU, i Ministri degli esteri di Indonesia e Portogallo confermarono il consenso al trasferimento dell’autorità su Timor est all’ONU. B URDEAU , op. cit., p. 36 s. e p. 39 s., considera in maniera assai critica la circostanza che nel caso di Timor est il Consiglio si sia prodigato a lungo per ottenere il consenso indonesiano al dispiegamento di una operazione istituita ai sensi del capitolo VII della Carta e ne ricava, su un piano più generale, un’impressione di “deriva istituzionale e giuridica” dell’Organizzazione. A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 325, nota n. 136, e p. 330 s., hanno invece definito la scelta di ricercare il consenso del Portogallo (antica potenza coloniale) e dell’Indonesia (potenza occupante) come «pragmatisme politique onusien». 133 DE C ONING , The UN Transitional Administration in East Timor (UNTAET): Lessons Learned from the First 100 Days, in Int. Pk. (Kluwer), 2000, n. 2-3, p. 83 ss.
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zione di Timor Leste134 . Si segnala peraltro che secondo il Governo di Timor Leste in questa data si è realizzato il riconoscimento internazionale di uno Stato indipendente sin dal 28 novembre 1975 e per lungo tempo sottoposto all’illegittima occupazione indonesiana. 4. L’amministrazione di territori non gestita dall’ONU. I casi della Bosnia-Erzegovina, di Mostar e del Distretto di Br ko Una situazione di fatto affine alle Amministrazioni territoriali istituite in base ad una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU è quella della gestione degli aspetti civili della situazione post-bellica della Bosnia-Erzegovina da parte di una struttura complessa, guidata da un Alto rappresentante e costituita in conformità alla richiesta formulata dagli Stati coinvolti nel conflitto bosniaco, contenuta nell’allegato X agli Accordi di pace di Dayton, firmati a Parigi il 14 dicembre 1995135 . L’Alto rappresentante è nominato dal Comitato direttivo del Peace Implementation Council, che riunisce più di cinquanta tra Stati e organizzazioni ed agenzie intergovernative coinvolte nella realizzazione degli impegni assunti a Dayton, e ha ricevuto anche il sostegno del Consiglio di sicurezza136 . L’Alto rappresentante, che in origine aveva poteri limitati a favorire la realizzazione degli impegni assunti dalle parti con gli Accordi di Dayton e a favorire e, se necessario, coordinare l’azione internazionale di ricostruzione, a seguito della situazione di stallo dovuta ai contrasti tra le fazioni bosniache, nel 1997 ha deciso, con il supporto del Peace Implementation Council, di utilizzare il potere di “final authority”, che l’art. V dell’allegato X gli riconosce sull’interpretazione 134 Cfr. anche le successive risoluzioni n. 1338 del 31 gennaio 2001 e n. 1392 del 31 gennaio 2002, con cui fu prorogato il mandato dell’UNTAET, fino all’indipendenza del nuovo Stato. Il 17 maggio 2002 il Consiglio di sicurezza ha approvato la risoluzione n. 1410, con cui ha sostituito l’UNTAET con la United Nations Mission of Support in East Timor (UNMISET), avente il mandato di assistere e stabilizzare le strutture amministrative e di sicurezza dello Stato di Timor Leste. 135 In tema v. C OX, The Dayton Agreement in Bosnia and Herzegovina: A Study of Implementation Strategies, in British YBIL, 1998, p. 201 ss.; OELLERS-FRAHM , Restructuring Bosnia-Herzegovina: A Model with Pit-Falls, in Max Planck YUNL, 2005, p. 179 ss.; MILANO, La Bosnia-Erzegovina a dieci anni dagli Accordi di Dayton, in CI, 2006, p. 347 ss. 136 Cfr. la risoluzione n. 1031, adottata dal Consiglio di sicurezza all’unanimità il 15 dicembre 1995, ai sensi del capitolo VII, in cui tra l’altro esso approva l’istituzione dell’Alto rappresentante e il mandato ad esso conferito (par. 26).
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dell’allegato medesimo, al fine di decidere in modo vincolante sui temi oggetto di un mancato accordo tra le fazioni, ma anche su misure rivolte alla realizzazione degli Accordi di Dayton nel settore di sua competenza137 . Dal 2002 l’Alto rappresentante è anche Rappresentante speciale dell’Unione europea (UE) in Bosnia-Erzegovina, conformemente ad una decisione del Consiglio dell’Unione europea138 ; nell’incontro del 26 e 27 febbraio 2007 il Comitato direttivo del Peace Implementation Council ha deciso che il mandato dell’Alto rappresentante avrebbe avuto termine il 30 giugno 2008, mentre sarebbe proseguito quello del Rappresentante speciale dell’Unione europea. La differenza fondamentale tra le Amministrazioni territoriali dell’ONU e l’amministrazione creata in Bosnia-Erzegovina è che quest’ultima, pur collegata al Consiglio di sicurezza, non è fondata su una sua risoluzione, né è collocabile nell’ambito dell’ONU, quale organo sussidiario dello stesso Consiglio139 , quanto piuttosto nell’ambito di un processo negoziale che coinvolge un limitato numero di Stati. Pur con queste differenze, nella presente indagine il caso bosniaco dovrà comunque essere tenuto utilmente presente, al fine di considerare eventuali analogie con le Amministrazioni territoriali istituite dal Consiglio di sicurezza140 . 137
Cfr. il par. 2 della parte XI delle Conclusioni della riunione del Peace Implementation Council svoltasi a Bonn il 9 e 10 dicembre 1997. In questo senso cfr. anche il par. 4 della risoluzione n. 1174 adottata dal Consiglio di sicurezza il 15 giugno 1998. In senso critico v. C OX, op. cit., p. 214, secondo il quale «the ‘Bonn powers’ [...] amount to a significant revision of the Dayton Agreement, made without the consent of the Bosnian signatories»; MILANO, La Bosnia-Erzegovina, cit., p. 357 ss.; GRADONI, L’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in RDI, 2008, p. 621 ss.; SALAMUN, op. cit., p. 80, rileva però che la mancata opposizione dei bosniaci a tale accrescimento di competenze in capo all’Alto rappresentante e la circostanza che il Consiglio di sicurezza abbia approvato la risoluzione n. 1174 mostrano che «the competency of the High Representative to interpret the DPA [gli Accordi di Dayton] can be regarded as a further legal basis of his powers». In tema v. anche STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 109 ss. 138 Cfr. azione comune 2002/211/PESC dell’11 marzo 2002. Il mandato del Rappresentante speciale è stato ampliato con l’azione comune 2004/569/PESC, adottata dal Consiglio il 12 luglio 2004, a sua volta sostituita dall’azione comune 2006/49/PESC, adottata dal Consiglio il 30 gennaio 2006, in seguito più volte modificata. 139 Secondo DAUDET, op. cit., p. 505, invece: «Est-ce une administration des Nation Unies? Certainement, mais en partie seulement». In senso dubitativo v. STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 112 s. 140 In questa prospettiva si colloca WILDE, From Bosnia to Kosovo and East
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Il contesto bosniaco ha prodotto altre due situazioni in cui sono state costituite amministrazioni internazionali di territori, l’una relativa alla città di Mostar, che ha rappresentato anche il più significativo esempio di amministrazione diretta di un territorio da parte di una organizzazione regionale, l’altra al Distretto di Br ko. Mostar è stata amministrata per due anni (dal 23 luglio 1994 al 22 luglio 1996) da un’operazione dell’Unione europea, denominata EUAM (European Union Administration in Mostar), istituita sulla base di una richiesta formulata nell’accordo sulla creazione della Federazione croato-musulmana di Bosnia-Erzegovina, firmato a Washington il 18 marzo 1994141 . L’operazione in questione, realizzata nell’ambito della Politica estera e di sicurezza comune istituita dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992142 , fu diretta da un Amministratore, nominato dal Consiglio dell’Unione europea e avente gli ampi poteri – normativi, esecutivi e di gestione – necessari per realizzare gli obiettivi dell’EUAM143 . Egli svolse quindi al contempo funzioni di amministratore civile locale e di funzionario internazionale ed ebbe il potere di adottare atti normativi sotto forma di regolamenti;
Timor: The Changing Role of the United Nations in the Administration of Territory, in ILSA JICL, 2000, p. 467 ss. (anche se non è condivisibile la posizione di tale autore quando qualifica l’Ufficio dell’Alto rappresentante e la SFOR, in quanto tali, alla stregua di organizzazioni internazionali); ID ., The Ambivalent Mandates of International Organizations in Bosnia-Hercegovina, Kosovo and East Timor, in ANZSIL/ASIL Proc., 2000, p. 319 ss.; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 107 ss.; FRIEDRICH, op. cit., p. 239. V. anche, in senso critico, K REILKAMP, U.N. Postconflict Reconstruction, in New York UJILP, 2003, p. 638, secondo il quale l’esempio della Bosnia-Erzegovina «was a crucial step in the evolution of the neocolonialist model that would find expression in later U.N. missions». 141 Il quadro giuridico di riferimento dell’EUAM è stato poi definito e completato dal memorandum of understanding firmato a Ginevra il 6 luglio 1994 tra gli Stati membri dell’UE e dell’UEO (Unione dell’Europa occidentale), quale parte invitante, e la Repubblica di Bosnia-Erzegovina, la Federazione di Bosnia-Erzegovina, le amministrazioni locali di Mostar est e ovest e i croati di Bosnia, quale parte ricevente. In tema v. PAGANI, L’Administration de Mostar par l’Union européenne, in AFDI, 1996, p. 234 ss.; K ORHONEN, op. cit., p. 520 ss.; MARTINES, Il ruolo dell’Unione europea nel mantenimento della pace e suo coordinamento con le Nazioni Unite, in L ATTANZI e SPINEDI (a cura di), Le organizzazioni regionali e il mantenimento della pace nel XX secolo, Napoli, 2004, p. 387 s. Per una valutazione critica sull’approccio – di divisione etnica – utilizzato nell’amministrazione di Mostar, v. OELLERS-FRAHM , op. cit., p. 216 s. 142 Cfr. le decisioni 94/158/PESC del 7 marzo 1994, 94/308/PESC del 16 maggio 1994 e 94/790/PESC del 12 dicembre 1994. 143 Art. 7 del citato memorandum of understanding del 6 luglio 1994.
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diresse una struttura articolata in sette dipartimenti144 , co-gestiti da un funzionario internazionale e da uno o due funzionari locali, nominati dall’Amministratore, che ebbe anche il potere di rimuoverli dall’incarico145 . Per quanto riguarda i compiti di polizia civile, questi furono svolti, sotto la direzione dell’Amministratore, da una forza di polizia unificata, che includeva anche un elemento internazionale costituito da forze militari messe a disposizione dall’UEO 146 . L’EUAM ha avuto termine con l’azione comune 96/442/PESC del 15 luglio 1996. Parzialmente diverso è il caso del Distretto di Br ko, conteso tra serbi e musulmani di Bosnia-Erzegovina e punto irrisolto degli Accordi di Dayton, che ne rinviarono la soluzione ad un Tribunale arbitrale ad hoc 147 . Questo, con tre decisioni vincolanti emanate il 14 febbraio 1997, il 15 marzo 1998 e il 5 marzo 1999 (modificata il 18 agosto 1999), ha tra l’altro disposto la demilitarizzazione del Distretto, la sua gestione in condominio tra le due parti in conflitto e, in attesa dell’adozione di uno Statuto definitivo di autogoverno, ne ha affidato l’amministrazione, a tempo indeterminato (fino ad una decisione contraria del Comitato direttivo del Peace Implementation Council), ad un Supervisore internazionale, nominato dall’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina e dotato di ampi poteri legislativi e amministrativi, tra cui la possibilità di promulgare decisioni vincolanti148 , che prevalgono sugli atti con esse confliggenti, il potere di nomina di giudici e pubblici ministeri, la rimozione dei pubblici funzionari, il potere di rafforzare le istituzioni democratiche e la nomina di una Joint Implementation Commission per assisterlo nella predisposizione del nuovo Statuto149 . 144
Nel dettaglio: City administration, Finance and taxes, Reconstruction, Economic and transport infrastructure, Education and culture, Public order, Health and social services (cfr. l’art. 9, par. 3 del memorandum of understanding, cit.). 145 Cfr., rispettivamente, gli articoli 10 e 9 del memorandum of understanding, cit. 146 Ibidem, articoli 12 e 13. 147 Cfr. l’allegato 10 agli Accordi di Dayton. 148 In ciò il Supervisore internazionale è assistito da una Law Revision Commission, composta da un presidente straniero e da due giuristi appartenenti ai due maggiori gruppi etnici locali. 149 Lo Statuto è stato adottato il 7 dicembre 1999 ed è consultabile, con le citate decisioni del Tribunale arbitrale ad hoc, sul sito internet dell’Alto Rappresentante per la Bosnia-Erzegovina: www.ohr.int. In tema v. FARRAND , Lessons from Brcko: Necessary Components for Future Internationally Supervised Territories, in Emory ILR, 2001, p. 529 ss.; WILDE, From Danzig to East Timor, cit., p. 594 s.; K ARNAVAS, Creating the Legal Framework of the Br ko District of Bosnia and Herzegovina: A Model for the Region and Other Postconflict Countries, in AJIL, 2003, p. 111 ss.; SA-
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5. Considerazioni di sintesi sull’amministrazione internazionale di territori La sintetica analisi svolta nei precedenti paragrafi mostra come le motivazioni alla base del fenomeno dell’amministrazione internazionale di territori, seppur molteplici, siano tutte in qualche modo riconducibili alla necessità di risolvere un problema di sovranità su un territorio o di governabilità dello stesso150 , in cui l’intervento dall’esterno si pone come un momento transitorio, in attesa della definizione di un contrasto tra Stati o etnico o, una volta istituita l’ONU, anche nell’ambito dell’attuazione del principio di autodeterminazione dei popoli. In alcuni casi un’amministrazione internazionale può essere realizzata per rispondere ad una questione di sovranità territoriale contesa tra più Stati. Si pensi ai casi della Saar, del Distretto di Leticia, delle città di Danzica, Trieste e Gerusalemme, della Nuova Guinea occidentale e del Sahara occidentale, nei quali l’intervento di un soggetto LAMUN, op. cit., p. 81 s.; B IEBER , Local Institutional Engineering: A Tale of Two Cities, Mostar and Br ko, in Int. Pk. (Frank Cass), 2005, p. 420 ss. 150 La ripartizione seguita nel testo è formulata in dottrina da WILDE, From Danzig to East Timor, cit., p. 583; ID ., The United Nations as Government: The Tensions of an Ambivalent Role, in ASIL Proc., 2003, p. 212 ss. Tra le altre che sono state proposte, si segnala, pur non condividendola, quella di C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 57 ss., che suddivide le operazioni – non tutte peraltro corrispondenti a quelle considerate rilevanti ai fini del presente studio – con riferimento al contesto politico del territorio in cui sono dispiegate, individuando cinque categorie: «the final act of decolonization leading to independence» (UNTAG, UNTAET); «temporary administration of territory pending peaceful transfer of control to an existing government» (UNTEA, MINURSO, UNTAES); «temporary administration of a state pending the holding of elections» (UNTAC); «interim administration as part of an ongoing peace process without an end state» (Alto rappresentante per la BosniaErzegovina, UNMIK); «de facto administration or responsibility for basic law and order in the absence of governing authority» (ONUC, UNOSOM II, UNAMSIL). Interessante è anche la classificazione proposta da SALAMUN, op. cit., p. 74 ss., fondata sul grado o sull’ampiezza delle funzioni amministrative affidate alle Amministrazioni territoriali, che comprende: restricted powers of direct governance (Danzica, UNTAG, Bosnia-Erzegovina, Br ko); partial powers of direct governance (ONUC, UNTAC); comprehensive or full powers of direct governance (Saar, Leticia, Trieste, Gerusalemme, UNTEA, Consiglio per la Namibia, UNOSOM II, UNTAES, EUAM, UNMIK, UNTAET). V. anche l’opinione di K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 103 ss., che suddividono le amministrazioni territoriali in due tipologie: quelle finalizzate a intervenire quando c’è un problema di costruzione o di ricostruzione dell’apparato statale; quelle costituite per sopperire ad un problema di statuto del territorio.
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terzo ed imparziale rispetto a coloro che, nel caso specifico, avanzano pretese o rivendicazioni su un determinato territorio, soggetto individuato nell’organizzazione internazionale, può costituire una soluzione-ponte in attesa della maturazione delle condizioni per una definizione della controversia e il conseguente trasferimento dei poteri al sovrano territoriale così individuato 151 . In secondo luogo, può non trattarsi di un problema di sovranità, quanto piuttosto di governabilità, e l’intervento esterno è finalizzato ad amministrare il territorio in attesa che questo possa governarsi da sé ed anche al fine di favorire che ciò accada. La difficile governabilità può dipendere da un contrasto etnico o politico tra più fazioni all’interno del territorio, come nei casi della Cambogia e della BosniaErzegovina o in quelli della città di Mostar, del Distretto di Br ko, della Slavonia orientale e del Kosovo. In tali casi il soggetto terzo è chiamato a gestire il territorio al fine di consentire il superamento della crisi di governabilità, favorendo lo sviluppo di istituzioni democratiche e rappresentative nel territorio stesso. Nel contesto della decolonizzazione, l’istituzione di un’amministrazione internazionale può anche dipendere dall’incapacità del territorio di autogovernarsi, mancando le strutture a ciò deputate o le adeguate risorse umane, come nel caso delle amministrazioni che hanno avuto luogo in Libia o a Timor est e a quella decisa dall’Assemblea generale per perseguire l’indipendenza della Namibia. Si pone poi la questione di come qualificare i territori posti sotto amministrazione internazionale. In dottrina sono grosso modo identificabili due orientamenti prevalenti, che li qualificano come protettorati internazionali, oppure come territori internazionalizzati. Non mancano poi posizioni più sfumate e tentativi di individuare dei punti di contatto tra le diverse definizioni proposte. L’idea del protettorato internazionale, già prefigurata da Leurdijk nel 1993 con riferimento ai c.d. “failed states”152 , è stata ripresa da numerosi autori, alcuni dei quali hanno “aggiornato” tale termine, 151
VILLANI, Lo status di Gerusalemme, cit., p. 222 s., rileva che i regimi di internazionalizzazione di territori «sono stati solitamente predisposti per “congelare” contrapposte pretese di sovranità [...] in vista di una soluzione definitiva da raggiungere [...] mediante accordo tra le parti». In questo senso v. già DELBEZ, op. cit., p. 12; GIULIANO, SCOVAZZI e T REVES, Diritto internazionale, II, Gli aspetti giuridici della coesistenza degli Stati, II ed., Milano, 1983, p. 362, e, in seguito, DAUDET, op. cit., p. 478: «[...] l’administration internationale [...] est conçue comme étant de nature à donner le temps nécessaire à la mise en place d’une solution [...] durable». 152 L EURDIJK, op. cit., p. 671 s.
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parlando di protettorato de facto153 , o di UN protectorate154 , o di modern protectorate155 . Altri hanno qualificato il protettorato quale precursore delle Amministrazioni territoriali, che ne condividerebbero l’obiettivo, ma non il carattere coloniale156 . Il termine protettorato è stato utilizzato anche in senso critico. Si pensi alla posizione di Rigaux, il quale, con riferimento al Kosovo, ritiene esistente un protettorato internazionale accompagnato da occupazione militare157 , o a chi, come Tomuschat, ha parlato di custodianship sotto la quale il Kosovo è stato collocato158 . Ma è la stessa nozione di protettorato, intesa secondo il diritto internazionale, a non poter essere accolta con riferimento ai territori soggetti ad amministrazione internazionale. Si ha protettorato, infatti, quando, attraverso un accordo tra due Stati, uno mantiene il controllo dei propri affari interni, mentre lascia la propria protezione esterna nelle mani dell’altro. Il protettorato, quindi, non è un’amministrazione internazionale, ma un rapporto tra due Stati, senza l’intervento di una qualunque organizzazione o entità internazionale159 . Inoltre, l’amministrazione internazionale è svolta nell’interesse del territorio, mentre il protettorato persegue gli interessi della potenza coloniale protettrice160 . Infine, nell’amministrazione interna153
B RAND , op. cit., p. 465. V. anche SHUSTOV, Transitional Civil Administration within the Framework of UN Peacekeeping Operations, in Int. Pk. YIPO, 2001, p. 420, che, con riferimento all’UNMIK, parla di caratteristiche che ricordano quelle del protettorato. 154 C APLAN, op. cit., p. 15; K REILKAMP, op. cit., p. 645. HEINBECKER, op. cit., p. 547, parla di UN-NATO protectorate con riferimento al Kosovo. 155 GRANT, op. cit., p. 49 s. (con riferimento alla Bosnia-Erzegovina e al Kosovo); STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 120 (con riferimento al Kosovo). 156 WILDE, From Danzig to East Timor, cit., p. 602. V. anche la posizione dell’International Crisis Group, The New Kosovo Protectorate, Balkans Report N° 69, 20 June 1999, p. 3 s., consultabile sul sito internet www.crisisgroup.org, che con riferimento al Kosovo afferma esservi un protettorato internazionale che ricorda i mandati della Società delle Nazioni. 157 RIGAUX, Guerres et interventions dans le sud-est européen, Paris, 2004, p. 201. 158 T OMUSCHAT, op. cit., p. 326. 159 DAUDET, op. cit., p. 468; B ENZING , op. cit., p. 318 s. Così già YDIT, op. cit., p. 20. Anche C APLAN, op. cit., p. 21, distingue le Amministrazioni territoriali dai mandati e dall’amministrazione fiduciaria in ragione del loro carattere collettivo (molteplicità di attori coinvolti) e non individuale (singolo Stato quale mandatario o amministratore). 160 C HOPRA, op. cit., p. 41 s.; RONZITTI, Options for Kosovo’s, cit., p. 103. Sul carattere colonialista dei protettorati v. GORDON, op. cit., p. 346; ID ., Saving Failed States: Sometimes a Neocolonialist Notion, in American UJILP, 1997, p. 942 ss.; RUFFERT,
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zionale l’organizzazione si occupa in prevalenza degli affari interni del territorio, competenza che nel protettorato spetta invece allo Stato protetto161 . Più opportunamente – e in questo riprendiamo osservazioni già svolte in precedenza – è possibile definire i territori soggetti ad amministrazione come territori internazionalizzati162 . Il coinvolgimento di un’organizzazione internazionale mette in luce il carattere multilaterale dell’amministrazione, che persegue gli interessi del territorio amministrato e della sua popolazione e si pone come uno strumento provvisorio in attesa che il territorio sia in grado di essere amministrato (o di tornare ad esserlo) da parte del sovrano territoriale ovvero di amministrarsi da sé. La genericità dell’espressione utilizzata, messa in luce da alcuni autori163 , non dovrebbe a nostro avviso indurre a ricercarne altre, tanto più se si considera che essa rappresenta una “porzione” di ciò che abbiamo già definito come internazionalizzazione di territori, e che, a loro volta, le Amministrazioni territoriali dell’ONU presentano caratteristiche non univoche, come avremo modo di considerare nel prosieguo del presente studio, che sarà rivolto in particolare a quelle istituite dal Consiglio di sicurezza.
op. cit., p. 628 s.; VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 362 (nota n. 116); FRIEDRICH, op. cit., p. 243. 161 SALAMUN, op. cit., p. 22. 162 RINGELHEIM , The Legal Status of Kosovo, in European University Institute, Kosovo, 1999-2000. The Intractable Peace, consultabile sul sito internet www.iue.it; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 119 s.; MILANO, Security Council Action in the Balkans, cit., p. 1003; FRIEDRICH, op. cit., p. 243; B ENZING , op. cit., p. 319. 163 V. in particolare RUFFERT, op. cit., p. 629, anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
CAPITOLO SECONDO CARATTERI DELLE OPERAZIONI DI AMMINISTRAZIONE TERRITORIALE DECISE DAL CONSIGLIO DI SICUREZZA E LORO FONDAMENTO GIURIDICO Sezione I I CARATTERI DELLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI
1. La presenza, nelle Amministrazioni territoriali, di una componente civile e di una militare. La loro non necessaria integrazione in una struttura unica Le operazioni di amministrazione diretta di un territorio decise dal Consiglio di sicurezza hanno in genere ricevuto un mandato relativo sia agli aspetti di gestione civile sia a quelli militari. L’importanza di un mandato anche militare deriva dalla circostanza che le Amministrazioni territoriali sono in genere dispiegate in territori caratterizzati da forti tensioni politiche, etniche o da accese rivalità tra gruppi o fazioni contrapposte. In tali circostanze, l’uso della forza può, a seconda dei casi, essere diretto a contrastare eventuali attacchi da parte di milizie paramilitari facenti capo allo Stato di cui il territorio fa (o faceva) parte (si pensi alle milizie filo-indonesiane di Timor est) o, più di frequente, a sedare eventuali sommosse o attacchi alle minoranze presenti nel territorio, o in generale a mantenere l’ordine nel territorio. È il Segretario generale a suggerire al Consiglio la dimensione della forza militare necessaria all’operazione e dei mezzi con cui questa dev’essere equipaggiata. È poi la risoluzione istitutiva, o quella che conferisce l’autorizzazione, a specificare l’estensione dei compiti militari1 . La MINURSO, secondo il mandato originario approvato dal Consiglio di sicurezza, avrebbe dovuto avere sia una componente di sicurezza (con compiti di polizia civile legati allo svolgimento della consultazione elettorale e al monitoraggio sulle forze di polizia esistenti), sia una componente militare (incaricata di monitorare il cessate-il-fuoco, verificare la diminuzione delle truppe e il loro accanto1
Come vedremo, è alla componente civile delle Amministrazioni territoriali che spetta lo svolgimento dei compiti di polizia (CIVPOL), che non rientrano quindi nella funzione militare. V. infra, capitolo III, par. 3
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namento, supervisionare la custodia di certe armi, garantire il ritorno sicuro dei rifugiati)2 . La componente militare dell’UNTAC ha invece ricevuto un mandato che prevedeva lo svolgimento di numerosi compiti, tra cui verificare il ritiro di forze straniere, supervisionare il cessate-il-fuoco, disarmare le fazioni, procedere alla loro smobilitazione e localizzare e confiscare le armi, assistere nello sminamento e nelle attività connesse al ritorno dei rifugiati3 . Nel caso della Slavonia orientale si ebbe un’Amministrazione territoriale dotata di una componente di peace-keeping4 , cui avrebbe potuto affiancarsi, su richiesta dell’UNTAES, un’azione di enforcement. Come accennato, in base al par. 14 della risoluzione n. 1037 gli Stati membri, singolarmente o attraverso le organizzazioni regionali, avrebbero potuto, se richiesto dall’UNTAES e informando l’ONU, adottare “tutti i mezzi necessari” in difesa dell’operazione e per assisterla nel ritiro da quel territorio5 . In Kosovo, il par. 9 della risoluzione n. 1244 assegna il mandato militare alla KFOR, incaricata di svolgere numerosi compiti, tra cui: bloccare la ripresa delle ostilità; mantenere e difendere il cessate-ilfuoco; impedire il ritorno di militari, paramilitari e polizia iugoslavi; demilitarizzare i gruppi armati albanesi; creare un ambiente sicuro per il ritorno dei rifugiati, per le operazioni della KFOR, per l’istituzione dell’Amministrazione transitoria, per la distribuzione degli aiuti umanitari; garantire l’ordine e la sicurezza pubblica e supervisionare l’attività di sminamento finché non potrà farlo l’UNMIK; sostenere il lavoro dell’UNMIK e coordinarsi strettamente con essa; se richiesto, svolgere il controllo delle frontiere6 ; assicurare la protezione e la li2
Cfr. il rapporto del Segretario generale S/21360, cit. Cfr. par. 52 ss. del citato rapporto del Segretario generale S/23613. 4 In base al par. 10 della risoluzione n. 1037 i compiti della componente militare, con un dispiegamento iniziale di 5000 uomini, furono: supervisione e facilitazione della demilitarizzazione decisa con l’Accordo di Erdut; monitoraggio del ritorno dei rifugiati come previsto dallo stesso Accordo; contribuire, con la sua presenza, al mantenimento della pace e della sicurezza nella regione; assistere nella realizzazione dell’Accordo. C OLEIRO, op. cit., p. 84, rileva: «One of the great successes of UNTAES was its civilian-military cooperation. First of all, there was a clear chain of command». 5 C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 90 ss., parla, a questo proposito, di un mandato potenzialmente evolutivo dell’UNTAES, a mezzo di un’azione combinata tra questa e l’allora IFOR. 6 L’Accordo di Kumanovo chiarisce trattarsi di quelle con l’Albania e con la Repubblica ex-iugoslava di Macedonia. 3
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bertà di movimento propria, dell’UNMIK e delle altre organizzazioni internazionali impegnate in Kosovo7 . Con riferimento all’UNTAET, il par. 4 della risoluzione n. 1272 l’autorizzò ad utilizzare “tutti i mezzi necessari” per adempiere al proprio mandato, incluso quindi l’uso della forza. La componente militare dell’UNTAET ebbe quindi un mandato “robusto”, come del resto dimostra la circostanza che il par. 9 della risoluzione n. 1272 chiese all’UNTAET e all’INTERFET di coordinarsi strettamente in vista della sostituzione della componente militare della prima alla seconda, subentrando quindi un’operazione di pace dell’ONU ad una forza multinazionale autorizzata dal Consiglio di sicurezza. Dalla prassi sinteticamente richiamata emerge che la componente civile delle Amministrazioni territoriali, pur nella diversità dei contesti, è in ogni caso gestita direttamente dalle Nazioni Unite8 . Di regola, la stessa operazione include anche la componente incaricata del mandato militare, ma ciò non è indispensabile. I casi del Kosovo e, in parte, della Slavonia orientale mostrano che i due mandati possono essere separati e affidati a soggetti diversi: quello civile ad un’operazione di pace dell’Organizzazione; quello militare ad una forza multinazionale, autorizzata dal Consiglio di sicurezza, ma autonoma rispetto alla componente civile9 , nei confronti della quale è posta in posizione di parità, non di subordinazione10 . 7
In tema v. GUILLAUME, MARHIC e E TIENNE, op. cit., p. 308 ss. Sui compiti di amministrazione civile v. infra, capitolo III. 9 C ORELL, The Role of the United Nations in Peacekeeping – Recent Developments from a Legal Perspective, Conference “National Security Law in a Changing World: The Tenth Annual Review on the Field” (Washington, 1 December 2000), consultabile sul sito internet untreaty.un.org, p. 6: «In Kosovo the United Nations has only a civilian administration [...]. KFOR is not a UN operation» (Corell era, all’epoca dei fatti, sotto-Segretario generale per gli affari giuridici e Consigliere giuridico dell’ONU). B OTHE e MARAUHN, The United Nations in Kosovo and East Timor – Problems of a Trusteeship Administration, in Int. Pk. (Kluwer), 2000, n. 4-6, p. 154, rilevano che solo all’UNMIK, emanazione diretta delle Nazioni Unite, può essere riconosciuto il ruolo di trustee incaricato dell’amministrazione del territorio in nome del trustor, il sovrano territoriale, non alla KFOR (v. anche B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 227 s.). B RAND , op. cit., p. 461 ss., sembra invece ritenere che l’UNMIK e la KFOR abbiano lo stesso carattere, così come C ERONE, Minding the Gap: Outlining KFOR Accountability in Post-Conflict Kosovo, in EJIL, 2001, p. 472, il quale afferma che l’UNMIK e la KFOR «are effectively authorized and mandated to exercise all public authority in Kosovo». 10 Nel par. 6 della risoluzione n. 1244 il Consiglio chiede al Segretario generale di dare istruzioni al proprio Rappresentante speciale al fine di realizzare uno stretto coordinamento con la KFOR, per assicurare che le due presenze operino verso gli 8
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Il Consiglio svolge quindi una funzione operativa con riferimento all’UNMIK, che controlla direttamente, e una funzione deliberativa con riferimento alla KFOR, verso la quale ha poteri più limitati, inerenti alla definizione del mandato, ma non alla sua concreta realizzazione. Nei confronti della KFOR, forza multinazionale guidata dalla NATO, il Consiglio esercita un (blando) controllo11 , principalmente attraverso i rapporti periodici che chiede alla KFOR di presentare al Segretario generale12 . In definitiva, nelle Amministrazioni territoriali istituite dal Consiglio di sicurezza sembrano individuabili due macro-funzioni (che possiamo indicare come “funzione civile” e “funzione militare”)13 , che devono essere tenute distinte in quanto, pur presentando, com’è ovvio, un grado di interazione e di connessione delle rispettive attivistessi obiettivi e attraverso un reciproco rafforzamento; invece il par. 9, lett. f), include tra i compiti della KFOR quello di sostenere e coordinarsi strettamente con l’UNMIK. PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza tra sistema delle Nazioni Unite e diritto internazionale generale, in RDI, 2005, p. 50, afferma che la componente militare è in ultima istanza garante degli stessi poteri esercitati dall’UNMIK. In senso diverso, ma non convincente, v. B OTHE, Peace-Keeping, cit., p. 700, che definisce la KFOR «secondary» rispetto all’UNMIK. Alle difficoltà operative dovute alla separazione e all’assenza di un rapporto gerarchico tra presenza civile e militare in Kosovo si è cercato di ovviare costituendo, nell’agosto 1999, il Joint Security Executive Committee, che riunisce settimanalmente rappresentanti di KFOR ed UNMIK (cfr. UN Doc. S/1999/799). 11 Cfr. par. 20 della risoluzione n. 1244, ai sensi del quale il Consiglio: «Requests the Secretary-General to report to the Council at regular intervals on the implementation of this resolution, including reports from the leaderships of the international civil and security presences». In generale, sulla necessità che il Consiglio non lasci “carta bianca” alle forze da esso autorizzate, v., ex multis, GAJA, Use of Force Made or Authorized by the United Nations, in T OMUSCHAT (ed.), The United Nations at Age Fifty, The Hague-London-Boston, 1995, p. 41 e p. 46; B LOKKER, Is the Authorization Authorized? Powers and Practice of the UN Security Council to Authorize the Use of Force by ‘Coalitions of the Able and Willing’, in EJIL, 2000, p. 554. Un approfondito esame critico della prassi rilevante e delle principali opinioni espresse in dottrina con riferimento alle autorizzazioni date dal Consiglio di sicurezza a forze multinazionali v. PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 5 ss., che individua differenti tipologie di autorizzazioni. 12 In senso critico sull’efficacia di questi rapporti al fine di consentire al Consiglio di esercitare pienamente le sue responsabilità ai sensi dell’art. 24 della Carta v. le osservazioni di PISTOIA, Le operazioni militari c.d. non-article 5 previste nella “nuova” Dottrina strategica della Nato e i rapporti tra Nato e Onu alla luce del Capitolo VII della Carta, in SCISO (a cura di), op. cit., p. 155 s. 13 Un cenno è in VENTURINI, Aspetti civili del peace-keeping, in RONZITTI (a cura di), Comando e controllo nelle forze di pace e nelle coalizioni militari, Milano, 1999, p. 256.
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tà, che può anche essere molto elevato, sembrano possedere una loro autonomia e un diverso fondamento giuridico14 . La scelta di affidare il mandato di amministrazione civile e quello militare a due componenti tra loro indipendenti, pur legittima sotto il profilo giuridico, appare non opportuna da un punto di vista pratico. Un’operazione avente funzioni di amministrazione diretta di un territorio, per essere credibile, ha talora bisogno di “mostrare i muscoli”15 . A differenza dell’UNTAET, l’UNMIK non gestisce direttamente la forza militare incaricata della sicurezza nella provincia, con indubbi rischi di insufficiente coordinamento, di sovrapposizione in alcuni settori di competenza di entrambe, oltre che di credibilità nell’utilizzazione dell’opzione militare16 .
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In tema v. infra, capitolo II, par. 13. Il comando unificato accresce le possibilità di successo di un’operazione (così C HESTERMAN, Virtual Trusteeship, cit., p. 220). Ma v. SUHRKE, Peacekeepers as Nation-builders: Dilemmas of the UN in East Timor, in Int. Pk. (Frank Cass), 2001, n. 4, p. 18, che, ai fini di garantire una gestione ottimale, propone di separare le due funzioni affidandole a operazioni distinte, una responsabile del peace-keeping, l’altra dell’attività di governo. 16 In tema v. GUILLAUME, MARHIC e E TIENNE, op. cit., p. 316 s.; GARCIA, La Mission d’administration intérimaire des Nations Unies au Kosovo (MINUK), in RGDIP, 2001, p. 63; VILLANI, Les rapports entre l’ONU et les organisations régionales, cit., p. 421 s.; YANNIS, Kosovo under International Administration, in Survival, 2001, n. 2, p. 32 s.; MARSHALL e INGLIS, The Disempowerment of Human RightsBased Justice in the United Nations Mission in Kosovo, in Harvard HRJ, 2003, p. 108; C ORELL, Authorization for State-Building Missions: Legal Issues Related to Their Creation and Management, in ASIL Proc, 2005, p. 32; DAILLIER, Les opérations multinationales consécutives à des conflits armés en vue du rétablissement de la paix, in RdC, vol. 314, 2005, p. 342; HEINEMANN-GRÜDER e GREBENSCHIKOV, Security Governance by Internationals: The Case of Kosovo, in Int. Pk. (Frank Cass), 2006, p. 43 ss. K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 194 ss., rilevano che la sovrapposizione di competenze tra KFOR e UNMIK con riferimento al mantenimento dell’ordine pubblico rende difficoltoso anche determinare l’applicabilità delle sole norme sui diritti umani (all’UNMIK) o anche di quelle di diritto internazionale umanitario (per la KFOR). SALZANO, ONU e Kosovo: un caso sui generis, in B ALDI e B UCCIANTI (a cura di), Le Nazioni Unite viste da vicino. Aspetti e problemi dell’attività dell’ONU e dell’azione dell’Italia, Padova, 2006, p. 108 ss., segnala difficoltà di coordinamento anche all’interno della KFOR tra i diversi contingenti. 15
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2. Il ruolo del Segretario generale nell’istituzione delle operazioni di amministrazione territoriale. La diversa procedura seguita per l’Amministrazione territoriale del Kosovo Come accade di frequente nell’istituzione delle operazioni di pace dell’ONU, anche nel caso di quelle chiamate ad esercitare rilevanti funzioni di amministrazione diretta di un territorio è il Segretario generale (con ciò intendendo anche la struttura operativa del Segretariato dell’ONU) a svolgere un’importante ruolo nella preparazione delle stesse17 . Ciò avviene sotto un duplice profilo: attività di mediazione per la cessazione dei conflitti e la stipulazione di accordi di pace o di riconciliazione nazionale; predisposizione di un rapporto per il Consiglio di sicurezza, talvolta su richiesta dello stesso Consiglio, sulla cui base, di regola, esso approva il mandato dell’operazione. All’attività preparatoria del Segretario generale si affianca il suo ruolo nella gestione dell’Amministrazione, su cui avremo modo di soffermarci in seguito. La prima attività del Segretario generale, svolta direttamente o attraverso propri rappresentanti o inviati speciali, è quindi finalizzata ad indurre le parti interessate, a livello internazionale o, il che è divenuto assai più frequente in anni recenti, all’interno di uno Stato, a porre termine al conflitto e a trovare una sistemazione della loro controversia attraverso un intervento delle Nazioni Unite. L’opera di mediazione del Segretario generale è di frequente inserita in una più ampia attività di pressione da parte di vari soggetti internazionali. In particolare, si giova della collaborazione degli Stati più forti (grandi potenze mondiali o regionali)18 , il cui coinvolgimento emerge anche dalla nazionalità dei rappresentanti inviati di volta in volta a discutere con le parti coinvolte. Ideale punto di approdo di questa attività diplomatica è la conclusione di un accordo di pace (se il conflitto riguarda più Stati) o di riconciliazione nazionale (nel caso di guerre civili) tra le parti, attraverso il quale esse assumono reciproci impegni e, di solito, chiedono all’ONU di svolgere alcuni compiti nell’ambito del processo di pace19 . Questo accordo favorisce la successiva adozione di una risoluzione da parte del Consiglio di sicurezza; inoltre, tanto maggiore sarà 17
Una descrizione sintetica di tale attività è fatta da SHIMURA, The Role of the UN Secretariat in Organizing Peacekeeping, in T HAKUR e SCHNABEL (eds.), op. cit., p. 46 ss. 18 In tema v. infra, capitolo II, par. 4. 19 C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 87 ss.
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stata l’incidenza dell’azione di mediazione del Segretario generale e la pressione da parte degli Stati forti – specie se questi sono anche membri del Consiglio di sicurezza – nella fase di mediazione, tanto maggiore sarà la corrispondenza tra l’accordo di pace o di riconciliazione nazionale e la risoluzione istitutiva di un’operazione. Nella fase successiva alla conclusione dell’accordo o comunque all’ottenimento del consenso al dispiegamento di un’operazione avente compiti di amministrazione territoriale, il ruolo del Segretario generale consiste, come di regola per le operazioni di pace20 , nella predisposizione di un rapporto per il Consiglio di sicurezza21 , nel quale sono indicati nel dettaglio i caratteri della proposta relativa alla futura Amministrazione, alla sua struttura, ai poteri e alle risorse necessarie in termini di uomini e di mezzi. In altre occasioni, il Segretario generale formula, nel suo rapporto, diverse opzioni, tra le quali il Consiglio, in base alla propria discrezionalità, potrà scegliere all’atto dell’approvazione della risoluzione istitutiva e/o autorizzativa. Il Consiglio non è ovviamente obbligato ad accogliere le proposte formulate dal Segretario generale e mantiene intatta la propria ampia discrezionalità in materia, potendo anche decidere di non adottare alcuna iniziativa o di accettare solo in parte quanto proposto dal Segretario generale22 . I rapporti del Segretario generale sono spesso richiamati nella risoluzione istitutiva dell’Amministrazione territoriale23 e costituiscono, assieme a tale risoluzione, il quadro di riferimento per la gestione della stessa24 . In seguito, essi possono anche essere utilizzati dal Consiglio per verificare il perseguimento del mandato da parte dell’operazione da esso istituita. Ciò è ancor più rilevante nel caso delle Am20
B OTHE, Peace-Keeping, cit., p. 681. Ad esempio, con riferimento all’UNTAC quello chiesto dalla risoluzione n. 718 fu il citato rapporto S/23613, con riferimento all’UNTAES si trattò del già citato rapporto S/1995/1028, per l’UNTAET del rapporto S/1999/1024 del 4 ottobre 1999. 22 Si pensi al caso, già ricordato, dell’UNTAES. 23 Nel caso della Slavonia orientale il par. 11 della risoluzione n. 1037 fissò il mandato dell’UNTAES sulla base dei paragrafi da 12 a 17 del rapporto del Segretario generale S/1995/1028, cit. Per l’UNTAET il par. 3 della risoluzione n. 1272 decise che tale Amministrazione territoriale avrebbe avuto gli obiettivi e le strutture definite dal Segretario generale nella parte IV del citato rapporto S/1999/1024 (par. 25 ss.). 24 Con riferimento all’UNTAET, per ripetuti richiami da parte degli Stati membri all’importanza del rapporto del Segretario generale S/1999/1024, cit., cfr. la discussione svoltasi in Consiglio di sicurezza il 25 ottobre 1999 (UN Doc. S/PV.4057). 21
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ministrazioni territoriali, considerati gli estesi compiti a queste assegnati e i connessi poteri loro conferiti. La procedura che ha condotto all’istituzione dell’UNMIK e all’autorizzazione della KFOR in Kosovo presenta degli aspetti di difformità rispetto a quanto appena rilevato. In primo luogo, il ruolo di progettazione dell’Amministrazione territoriale è stato svolto dal G-8. Manca un accordo di riconciliazione nazionale e il consenso iugoslavo e quello della minoranza albanese del Kosovo sono stati raggiunti, separatamente, solo su alcuni principi molto generali, in seguito interpretati in maniera divergente dalle due parti25 . Infine, sotto il profilo “organizzativo”, in questa vicenda si è invertita la normale procedura, in quanto il Consiglio di sicurezza ha deciso di dispiegare le due presenze internazionali in Kosovo e ha approvato la risoluzione n. 1244, mentre solo in un momento successivo il Segretario generale ha definito i dettagli di funzionamento dell’UNMIK26 . Questa diversa procedura ha reso problematico il lavoro delle strutture amministrative dell’ONU, che hanno dovuto mettere in piedi, in breve tempo e in una situazione sul terreno caratterizzata da forti tensioni etniche e da una grave emergenza umanitaria – dovuta alla repressione serba, ma anche ai pesanti bombardamenti degli Stati della NATO – un’operazione assai complessa, composta da diverse migliaia di effettivi e avente un mandato assai esteso. Ciò ha prodotto una situazione di costante emergenza e ritardi, anche significativi, nel dispiegamento dell’UNMIK e in questo vuoto di potere si sono inseriti gruppi criminali e hanno avuto luogo vendette e ritorsioni contro le minoranze etniche del Kosovo (serbi, ma anche bosniaci e popolazioni zingare), che la KFOR non è riuscita a proteggere dagli attacchi di alcuni gruppi di albanesi kosovari.
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In tema, anche per l’ambiguità che caratterizza il testo della risoluzione n. 1244, v. infra, capitolo II, par. 5. 26 Nel rapporto S/1999/672 del 12 giugno 1999, reso noto due giorni dopo l’approvazione della risoluzione n. 1244, il Segretario generale propose un concetto preliminare dell’UNMIK, per poi presentarne il progetto organico nel successivo rapporto S/1999/779 del 12 luglio 1999. Il concetto preliminare sull’UNMIK fu approvato dal Consiglio di sicurezza (cfr. la lettera del suo Presidente di turno al Segretario generale, UN Doc. S/1999/689, del 17 giugno 1999). In senso critico sull’eccessivo potere esercitato dal Segretario generale con riferimento alla concreta definizione del mandato dell’UNMIK si è espresso RODRÍGUEZ-PIÑERO ROYO, The International Mandate, in European University Institute, op. cit.
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3. Il riferimento, nelle risoluzioni istitutive, sia al consenso del sovrano territoriale e/o della popolazione amministrata, sia al capitolo VII della Carta Un elemento presente nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza istitutive delle Amministrazioni territoriali è il riferimento al consenso dello Stato che esercita la sovranità sul territorio in questione o degli Stati che se la contendono, o di tutte le parti interessate. Il consenso, come in genere per le operazioni di pace, costituisce sia un presupposto politico per la riuscita delle stesse, sia un presupposto giuridico per la loro istituzione e per il loro svolgimento 27 . La prassi mostra che anche gli Stati contributori chiedono che sussista il consenso prima di assicurare la partecipazione dei propri cittadini ad un’operazione di pace28 . Affinché un’operazione possa esercitare funzioni di amministrazione civile in un territorio non è però sufficiente il consenso del sovrano territoriale29 . Generalmente, infatti, la sovranità è contesa o comunque il sovrano territoriale non è in grado di esercitare effettivamente il proprio controllo su una porzione di territorio (si pensi alla Slavonia orientale o al Kosovo) o non è ancora sorto uno Stato (come nel caso di Timor Leste). Ciò comporta che, al fine della istituzione e del successivo svolgimento di un’Amministrazione territoriale, è necessario anche il consenso dell’altro o degli altri Stati che avanzano pretese di sovranità, ovvero quello della popolazione, in particolare in quei casi in cui vi è una situazione di conflitto tra governanti e governati, come quando nel territorio sia presente una forte minoranza30 . 27
Sulla rilevanza del consenso v., più in generale, l’opinione da tempo espressa da A RANGIO-RUIZ, op. cit., p. 377 s. 28 Con riferimento alle operazioni di mantenimento della pace v. C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 140 ss. 29 Ma v. C ARDONA L LORENS, Las operaciones de mantenimiento de la paz de las Naciones Unidas: ¿hacia una revisión de sus principios fundamentales?, in CEBDI, vol. VI, 2002, p. 811, che distingue tra «consentimiento jurídicamente exigibile para el despliegue de la operación» e «consentimiento políticamente conveniente para la eficacia de la operación». V. anche ORAKHELASHVILI, The Legal Basis of the United Nations Peace-Keeping Operations, in Virginia JIL, 2003, p. 521 s. 30 Il consenso della popolazione direttamente coinvolta, o almeno della grande maggioranza di questa, è di regola espresso dai leaders delle diverse fazioni o gruppi presenti in quel territorio, che assai di frequente danno vita a istituzioni parallele. In tema v. HAN, op. cit., p. 892: «In the end, however, peace-building will depend on the local people themselves». Per usare le parole di C APLAN, op. cit., p. 84: «A people determined to carry on its struggle may succeed in frustrating even the best of interna-
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Il consenso della popolazione è tanto più necessario nei contesti nei quali è applicabile il principio di autodeterminazione dei popoli. Si consideri, a tale riguardo, che l’UNTAET trova il proprio fondamento, oltre che negli Accordi del 5 maggio 1999, nella volontà espressa dalla popolazione di quel territorio nel successivo referendum31 . Inoltre il Consiglio di sicurezza, nel par. 8 della risoluzione n. 1272, afferma la necessità per l’UNTAET di consultarsi e cooperare pienamente con il popolo di Timor est in modo da realizzare effettivamente il proprio mandato in vista dello sviluppo di istituzioni locali democratiche e del futuro trasferimento ad esse delle proprie funzioni amministrative e di servizio pubblico 32 . Dal canto suo, l’Assemblea generale, nella citata risoluzione n. 2248 (S-V), invitò il Consiglio per la Namibia ad amministrare il territorio con la maggiore partecipazione possibile della popolazione. La ricordata importanza dell’elemento del consenso sia del sovrano territoriale, o di coloro che si contendono la sovranità, sia della popolazione direttamente coinvolta ai fini dell’istituzione e del funtional designs». Nello stesso senso v. SICILIANOS, op. cit., p. 232 e p. 247 («la synergie des autorités et de la société locales reste un élément essentiel pour la réussite des activités relatives à la démocratisation»); VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 355 ss.: «Building peace by addressing the root causes of a conflict must be based on local participation and knowledge». Ma v. DE WET, op. cit., p. 339, che considera il supporto delle autorità locali e della popolazione solo un elemento che può determinare il successo politico degli atti dell’Amministrazione territoriale. 31 C ARDONA L LORENS, op. cit., p. 825, ritiene che occorra dare rilievo unicamente alla volontà del popolo di Timor est manifestatasi con il referendum. 32 Cfr. anche il par. 3 della citata risoluzione n. 1338, con cui il Consiglio di sicurezza chiese all’Amministratore transitorio di proseguire nel trasferimento dei poteri alle istituzioni rappresentative della popolazione di Timor est. In argomento, per una critica all’atteggiamento dell’UNTAET, nel senso di prediligere una delle fazioni (CNRT, Consiglio Nazionale della Resistenza Timorense), che era la maggiore, ma non l’unica presente nel territorio, v. C HESTERMAN, East Timor in Transition: Self-determination, State-Building and the United Nations, in Int. Pk. (Frank Cass), 2002, n. 1, p. 72; ID ., You, The People, cit., p. 135 s. Sul modo eccessivamente ampio in cui l’UNTAET ha interpretato il proprio mandato ed i relativi poteri, a discapito della popolazione di Timor est, v. C HOPRA, Introductory Note to UNTAET Regulation 13, in ILM, 2000, p. 938; ID ., The UN’s Kingdom in East Timor, in Survival, 2000, n. 3, p. 31 ss.; K ONDOCH, op. cit., p. 250; B ONGIORNO, A Culture of Impunity: Applying International Human Rights Law to the United Nations in East Timor, in Columbia HRLR, 2002, p. 656 s. In senso opposto, almeno in una fase successiva al suo dispiegamento, una volta costituite le prime istituzioni locali rappresentative della popolazione, v. MORROW (J.) e WHITE (R.), The United Nations in Transitional East Timor: International Standards and the Reality of Governance, in Australian YBIL, 2002, p. 28.
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zionamento dell’Amministrazione territoriale risulta confermata dalla accennata prassi di stipulare degli accordi33 al fine di definire il quadro delle attività dell’Amministrazione stessa e di formulare una richiesta al Consiglio di sicurezza per la sua istituzione. Gli accordi sono in genere raggiunti grazie al coinvolgimento di altri Stati, di organizzazioni regionali o delle stesse Nazioni Unite, in particolare attraverso la già menzionata attività di mediazione o buoni uffici del Segretario generale34 . Gli stessi possono essere stipulati tra il detentore dell’autorità di governo e i rappresentanti delle fazioni in lotta, o tra l’Organizzazione e gli Stati più direttamente interessati, o tra questi ultimi. Questi accordi, non tutti qualificabili come trattati internazionali – in ragione della mancanza di personalità giuridica di alcuni dei firmatari35 –, e in genere il consenso dell’avente diritto incidono in maniera rilevante sul mandato dell’operazione36 e divengono una componente indispensabile nel processo di riconciliazione nazionale e di ricostruzione37 . D’altro canto, più questi accordi restano vaghi, maggiore sarà la libertà d’azione del Consiglio di sicurezza nell’istituire l’Amministrazione territoriale e quella di quest’ultima nell’esercitare le proprie prerogative38 , ma sarà più difficile da realizzare39 . 33
A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 329. Sulla prassi meno recente C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 41 ss., rileva: «[...] giacché richieste a mezzo di accordi [...] le operazioni vengono a delinearsi come strumenti della diplomazia che si riflette negli accordi di pace» (p. 64). Con riferimento agli accordi di riconciliazione nazionale, v. l’ampio studio di STARITA, Processi di riconciliazione nazionale e diritto internazionale, Napoli, 2003, p. 13 ss. 35 In senso dubitativo v. C ELLAMARE, Note sull’Amministrazione Transitoria, cit., p. 85. In tema v. STARITA, op. cit., p. 281 ss. 36 Con riferimento alla risoluzione istitutiva dell’UNTAES e all’Accordo di Erdut, si riportano parte delle osservazioni del delegato italiano nel dibattito svoltosi in Consiglio di sicurezza il 15 gennaio 1996: «[...] the mandate described in the draft resolution faithfully reflects the commitments made by the parties in the Basic Agreement» (UN Doc. S/PV.3619, p. 6). 37 C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 56 (con riferimento alle operazioni di peace-keeping, ma l’osservazione sembra applicabile in generale a tutte le operazioni di pace, incluse le Amministrazioni territoriali). 38 V. infra, capitolo IV, par. 4. Come accennato, di frequente il legame tra il consenso delle parti, espresso in una qualche forma di accordo o di intesa, e la risoluzione del Consiglio di sicurezza che istituisce l’Amministrazione territoriale è costituito da un rapporto del Segretario generale. C ELLAMARE, Le operazioni di peacekeeping, cit., p. 56: «[...] gli accordi [...] costituiscono il quadro di riferimento normativo per la elaborazione, da parte del Segretario generale, di quei mandati». 39 PECK, Special Representatives of the Secretary-General, in MALONE (ed.), op. 34
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Ai fini del dispiegamento di un’Amministrazione territoriale, quindi, da un punto di vista strettamente giuridico sarebbe sufficiente il consenso della parte o delle parti più direttamente interessate40 , sia con riferimento alla componente civile sia a quella militare41 . L’operazione, infatti, non è dispiegata e non agisce contro il sovrano territoriale e/o la popolazione42 , a seconda dei casi, ma a loro favore e nel loro interesse43 . cit., p. 334, individua i requisiti che un accordo di pace deve possedere al fine di poter condurre ad un risultato positivo, soprattutto se non vi è il coinvolgimento dell’ONU nella fase negoziale: «[...] contain sufficient detail and specificity, resolve all major issues, achieve agreement on how power would be shared/divided, are acceptable to a majority of constituents, meet international standards, provide clear guidelines about implementation priorities, contain realistic implementation timetables, give a lead role to UN in implementation, and set forth an effective implementation mechanism for resolving disputes». 40 Il consenso dev’essere “genuino” e non “artificiale”, soprattutto in quei casi, segnalati da GIOIA, The United Nations and Regional Organizations in the Maintenance of Peace and Security, in B OTHE, RONZITTI e ROSAS (eds.), The OSCE in the Maintenance of Peace and Security. Conflict Prevention, Crisis Management and Peaceful Settlement of Disputes, The Hague-London-Boston, 1997, p. 231, in cui vi è un conflitto all’interno di uno Stato. 41 FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite e l’uso della forza, in RDI, 2001, p. 365 e p. 387, rileva anche come, in presenza del consenso, l’uso della forza non sia internazionale, ma interno, il che comporta che non ci sarebbe nemmeno bisogno di una risoluzione autorizzativa del Consiglio di sicurezza; in adesione v. GIOIA, The End of the Conflict and Post-Conflict Peace-Building, in B OTHE, O’C ONNELL e RONZITTI (eds.), Redefining Sovereignty. The Use of Force After the Cold War, Ardsley, 2005, p. 186 ss. V. anche RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 79, che distingue tra post-conflict peace-building (UNTAC), per cui a stretto rigore non sarebbe necessaria una risoluzione ex capitolo VII, e peacebuilding (UNMIK, UNTAET). DE WET, op. cit., p. 312 ss., distingue tra Amministrazioni ex capitolo VI½ (UNTAG e UNTAC), laddove il consenso costituirebbe un requisito giuridico, e quelle ex capitolo VII (UNOSOM II, Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina, UNTAES, UNMIK, UNTAET), che hanno natura coercitiva e quindi non necessitano del consenso. In tal senso v. anche VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 356 («Different to peacekeeping, peace-enforcement does not require the consent of the parties to a particular measure»). Quest’ultima ricostruzione, però, non appare convincente, alla luce della pertinente prassi. 42 Con riferimento alle operazioni di peace-keeping v. VILLANI, I rapporti tra le Nazioni Unite e le organizzazioni regionali: problemi e prospettive di attuazione del Capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite, in Diplomazia preventiva e uso della forza nel nuovo scenario della sicurezza internazionale, Napoli, 2003, p. 89. Con riferimento alle autorizzazioni v. PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 37. 43 Per usare le parole di PICONE, Il peace-keeping nel mondo attuale: tra militarizzazione e amministrazione fiduciaria, in RDI, 1996, p. 30: «Il consenso con cui lo
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Tuttavia, l’esame della prassi mostra l’esistenza di un altro elemento significativo. Nelle risoluzioni istitutive dell’UNTAES, dell’UNMIK e dell’UNTAET, infatti, il Consiglio definisce la situazione quale minaccia alla pace e richiama il capitolo VII, in generale ovvero con specifico riferimento alla sicurezza del personale internazionale, alla sua libertà di movimento e alla necessità che tutti i soggetti internazionali impegnati sul territorio possano svolgere la loro attività. Da ciò sembra quindi possibile dedurre il convincimento del Consiglio di sicurezza della necessità, ai fini dell’istituzione di un’Amministrazione territoriale, sia del consenso dello Stato44 e/o delle parti più direttamente interessate, sia del richiamo al capitolo VII45 . In particolare, quest’ultimo costituisce il fondamento giuridico della competenza del Consiglio a istituire la missione, in quanto abbia ravvisato almeno l’esistenza di una minaccia alla pace46 , nonché a definirne il mandato. Sembra che a questo richiamo possa essere dato, per un verso, il significato di assicurare all’Amministrazione maggiore legittimazione47 , sostegno politico e indipendenza48 , per l’altro, quello di metterla Stato accetta in questi casi lo svolgimento di tali attività da parte dell’Organizzazione serve infatti quasi a delegare alla medesima lo svolgimento, sia pur limitato e provvisorio, di determinate funzioni statali». In tema v., in generale DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 279 ss. V. anche PINESCHI, L’emploi de la force dans les operations de maintien de la paix de Nations Unies «robustes»: conditions et limites juridiques, in A RCARI e B ALMOND (dir.), La sécurité collective entre légalité et défis à la légalité, Milano, 2008 (in corso di stampa), par. 2.3, che mette in luce che l’autorizzazione data ad un’operazione di peace-keeping c.d. “robusta” all’utilizzo di tutti i mezzi necessari non la trasforma in azione coercitiva, in ragione della perdurante presenza del consenso. 44 Rileva ORAKHELASHVILI, op. cit., p. 519: «The relevance of consent by the host State in the case of peace-keeping operations established within the framework of Chapter VII therefore depends not on the nature and legal force of Chapter VII decisions, but on the nature of the peace-keeping operations». 45 Il riferimento al capitolo VII da parte del Consiglio di sicurezza nelle risoluzioni relative alle operazioni di mantenimento della pace istituite a partire dal 1999 è considerato da C ARDONA L LORENS, op. cit., p. 862, il risultato di un «mimetismo», ossia un “effetto di trascinamento” indotto dalla prassi delle autorizzazioni a forze multinazionali di mantenimento della pace, considerate come una “via di mezzo” tra le operazioni di mantenimento della pace e l’autorizzazione ad azioni coercitive. 46 PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 40, nota n. 100: «[l’]autorizzazione [...] serve proprio ad accorpare l’operazione coercitiva stessa al sistema dell’ONU». 47 SICILIANOS, L’autorisation par le Conseil de sécurité de recourir à la force: une tentative d’évaluation, in RGDIP, 2002, p. 10. 48 FROWEIN e K RISCH, Introduction to Chapter VII, in SIMMA (ed.), op. cit., vol.
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in condizione di proseguire la sua attività anche nel caso in cui il consenso dovesse venire meno in una fase successiva49 , “avvertendo” il sovrano territoriale o coloro che abbiano fornito il consenso della possibilità di procedere anche qualora lo stesso fosse ritirato, stante ciò che dispone l’art. 2, par. 7, della Carta, in base al quale l’applicazione di misure coercitive in base al capitolo VII non incontra il limite della domestic jurisdiction. Al verificarsi di una tale circostanza riteniamo però che l’operazione verrebbe a caratterizzarsi in senso esclusivamente coercitivo50 e che ciò segnerebbe un allontanamento dal carattere (anche) consensuale dell’Amministrazione, trasformandola in intervento di peace-enforcement51 . Quanto appena rilevato trova conferma nella prassi, che ha mostrato come, nei casi in cui un accordo del genere è mancato, o è venuto meno, o è comunque mancato il consenso dei principali soggetti interessati, l’Amministrazione non si è realizzata ovvero, pur istituita, non ha potuto svolgere, in tutto o in parte, la propria attività. Si pensi ai casi, già esaminati, che hanno riguardato le città di Trieste e Gerusalemme, la Namibia52 , la MINURSO nel Sahara occidentale53 e l’UNTAC in Cambogia. La prassi ha anche messo in luce, sotto il profilo operativo, l’assoluta inadeguatezza dell’ONU a svolgere azioni militari coercitive in prima persona54 . I, p. 706; PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 39 s. 49 PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 40 s. 50 GIOIA, The End of the Conflict, cit., p. 184. Sul carattere coercitivo delle Amministrazioni territoriali v. FRANCK, Lessons of Kosovo, in AJIL, 1999, p. 857 (nota n. 5); WILDE, From Bosnia to Kosovo and East Timor, cit., p. 470 (il consenso è un dato formale e «international administration projects are imposed»); K ONDOCH, op. cit., p. 253; RUFFERT, op. cit., p. 616 ss.; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 116 (nota n. 41). 51 Per un cenno in tal senso, con riferimento all’insieme delle operazioni di mantenimento della pace, v. ORAKHELASHVILI, op. cit., p. 495. 52 Z ACKLIN, op. cit., p. 310, rilevò come l’istituzione del Consiglio per la Namibia fosse «an attempt by the United Nations to set up an international administering authority without the express agreement of the party or parties directly concerned». 53 Lo stesso Segretario generale, nel rapporto S/22464 del 19 aprile 1991, con cui propose al Consiglio l’istituzione della MINURSO, segnalò come la piena cooperazione tra le due parti in conflitto fosse una delle quattro condizioni “essenziali” per consentire all’operazione di svolgere la propria attività (par. 55). 54 Il Segretario generale, in un rapporto preparato su richiesta del Consiglio di sicurezza e intitolato No exit without strategy: Security Council decision-making and the closure or transition of United Nations peacekeeping operations (UN Doc. S/2001/394 del 20 aprile 2001), affermò: «[...] while peacekeeping operations can make the difference between war and peace under the right conditions, they are not
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A nostro avviso, quindi, qualora il consenso dovesse venire meno e si rivelassero inutili tutti i tentativi di far pressione affinché fosse mantenuto, il Consiglio di sicurezza dovrebbe decidere di ritirare l’Amministrazione dal territorio55 o di modificarne il mandato nel senso indicato dal sovrano territoriale e/o dalla popolazione soggetta all’Amministrazione. Del resto, è ancora la prassi a mostrare che, se una o più parti non collaborano, si cerca di adeguare il contenuto delle attività dell’operazione alla mutata situazione o di trovare un’intesa attraverso le vie diplomatiche56 ; in taluni casi sono state adottate sanzioni contro la parte che non collabora, ma di regola non sono state effettuate azioni coercitive nei suoi confronti57 . L’operazione, in definitiva, si fonda su un atto dell’ONU – la risoluzione a tal fine approvata dal Consiglio di sicurezza ai sensi del capitolo VII – e su un altro atto giuridico, estraneo all’Organizzazione – costituito dall’accordo di pace o di riconciliazione nazionale o comunque dall’atto con cui si manifesta il consenso del sovrano territoriale e/o della popolazione –, che interagiscono ai fini della sua istituzione58 . Non si vuole qui affermare che il Consiglio di sicurezza sia giuridicamente tenuto a seguire in maniera puntuale quanto previsto nell’accordo o oggetto del consenso59 , quasi a configurare il suo inthe appropriate tool under other circumstances, especially when the parties concerned adamantly refuse to cooperate or to abide by their own commitments» (p. 5). 55 RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 67: «Qualora il consenso venga meno, la missione ha termine». 56 C ELLAMARE, L’Autorità Transitoria, cit., p. 297 ss., ad esempio, segnala come, di fronte al rifiuto di una delle fazioni cambogiane di consentire all’UNTAC di adempiere ai propri compiti, l’operazione non ha usato la forza, ma ha adattato il mandato alla mutata situazione. In tal senso cfr. il rapporto del Segretario generale S/24800, cit., e i paragrafi 7-11 della successiva risoluzione n. 792, adottata dal Consiglio di sicurezza il 30 novembre 1992. 57 Per la prassi relativa alle operazioni di mantenimento della pace v. C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 167 ss. 58 In questo senso v. C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 87 ss.; FRULLI, op. cit., p. 390; SANTORI, The United Nations Interim Administration in Kosovo and the Sovereignity and Territorial Integrity of the Federal Republic of Yugoslavia, in Studi di diritto internazionale in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, Napoli, 2004, p. 1695 s. (nota n. 33), che riprendono la ben nota teoria di A RANGIO-RUIZ, op. cit., p. 133 (ma ancor prima ID ., Diritto internazionale e personalità giuridica, Bologna, 1972, p. 211 ss.). 59 C ELLAMARE, Caratteri della Missione delle Nazioni Unite in Etiopia ed Eritrea (UNMEE), in CI, 2002, p. 4, rileva che sono quegli accordi «a determinare il contenuto del mandato dell’operazione di cui si chiede la creazione al Consiglio di sicurezza».
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tervento come un passaggio finalizzato ad “internazionalizzare” la volontà espressa nei richiamati accordi attraverso l’approvazione della risoluzione istitutiva dell’Amministrazione. Infatti, vi è una posizione di preminenza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza rispetto al consenso o agli accordi di riconciliazione nazionale, in quanto la loro effettiva realizzazione è condizionata dall’istituzione dell’Amministrazione da parte del Consiglio, che può inoltre discrezionalmente determinare le modalità attraverso cui esercitare le funzioni richieste dal soggetto che ha fornito il proprio consenso 60 . Si tratta allora di considerare entrambi gli elementi come necessari ai fini dell’istituzione e dello svolgimento dell’Amministrazione territoriale. Come accennato, il consenso è indispensabile anche sotto il profilo politico per il successo delle Amministrazioni territoriali61 , in quanto non si tratta semplicemente di consentire loro l’ingresso e la permanenza nel territorio, ma di accettare una profonda intromissione negli affari interni. L’Amministrazione territoriale, infatti, esercita rilevanti poteri legislativi, esecutivi e giudiziari in quel territorio e sarà necessario poggiare sul consenso dello Stato ospite e/o su quello della popolazione interessata62 . Ciò spiega la rilevanza del consenso non solo all’atto dell’istituzione e del dispiegamento dell’operazione, ma anche nel corso della stessa, altrimenti ben difficilmente essa potrebbe svolgere in maniera efficace le proprie attività63 . Sarebbe, infatti, paradossale, per limitarci a qualche esempio, costituire delle strutture per 60
C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 91 (ma lo stesso autore afferma al contempo che «è da ritenere che l’àmbito oggettivo del consenso alle operazioni costituisce il limite all’attività dell’Organizzazione», p. 158). 61 K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 83. Come affermato da SICILIANOS, L’ONU et la démocratisation de l’Etat, cit., p. 221: «La signature d’un accord de paix ou d’un ‘plan de règlement’ intégrant tous les aspects essentiels à la réconciliation nationale et au raffermissement de la paix apparaît comme une condition importante de réussite de l’opération». 62 Per un esame di altri elementi, non giuridici, che possono consentire ad un’operazione di amministrazione territoriale di raggiungere i propri scopi, v. C APLAN, op. cit., p. 17 ss. V. anche SMITH e DEE, op. cit., p. 101 («It is extremely difficult for UN missions to be effective in situations where influential sections of the host country’s population do not support the UN’s presence»), e HILL HAWK, Constructing the Stable State, Goals for Intervention and Peacebuilding, WestportLondon, 2002, p. 52 («in the absence of a peace-agreement and cease-fire among the domestic combatants and an agreed-upon notion of what form the state should take, external actors could do little to re-establish political authority and institutions») e p. 117 ss. 63 Con riferimento alla prosecuzione dell’attività dell’Amministrazione di Mostar v. PAGANI, op. cit., p. 246 s.; con riferimento all’UNTAES v. K LEIN (J.P.), op. cit., p. 208.
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l’amministrazione civile presso le quali non si troverebbero persone disposte a lavorare, svolgere corsi di formazione per le forze di polizia e per le forze armate senza gli allievi o programmi per la smilitarizzazione senza i partecipanti, adottare atti normativi se i giudici non li volessero applicare64 . 4. Il ruolo degli “Stati forti” ai fini del raggiungimento del consenso, dell’istituzione delle operazioni e del loro svolgimento L’osservazione della prassi mette in luce l’importanza – già accennata – del ruolo degli Stati “forti”, vale a dire delle grandi potenze a livello mondiale e regionale, sia prima dell’istituzione di un’Amministrazione territoriale, sia al momento della sua istituzione sia, infine, per il suo funzionamento. Si tratta di un elemento avente carattere politico, ma che incide sulla configurazione giuridica dell’operazione e ne condiziona la realizzazione65 . 64
Si consideri, ad esempio, che in Kosovo la sezione 3 del regolamento n. 1999/1 dell’UNMIK (On the Authority of the Interim Administration in Kosovo), adottato il 25 luglio 1999, dispose che il diritto applicabile fosse quello iugoslavo al momento dell’inizio dei bombardamenti da parte di numerosi Stati della NATO (23 marzo 1999), salvo le norme che fossero in contrasto con gli standards internazionali sui diritti umani, ma l’UNMIK, a seguito delle proteste della maggioranza albanese, fu costretta a mutare la precedente decisione e, con la sezione 1.1, lett. b), del successivo regolamento n. 1999/24 dell’UNMIK (On the Law Applicable in Kosovo), adottato il 12 dicembre 1999, dispose che il diritto applicabile in Kosovo sarebbe stato quello in vigore al 22 marzo 1989, data in cui fu soppresso il particolare status di autonomia della provincia da parte della Iugoslavia, mentre quello iugoslavo successivo a tale data sarebbe stato applicato solo qualora disciplinasse materie diverse. In tema v. le osservazioni critiche di T URNS, “Internationalized” or Ad Hoc Justice for International Criminal Law in a Time of Transition: The Cases of East Timor, Kosovo, Sierra Leone and Cambodia, in ARIEL, 2001, p. 143 s. 65 Al tema sono stati dedicati numerosi studi, per cui ci limitiamo a rinviare, con riferimento alle operazioni di mantenimento della pace, a C ASSESE, Recent Trends in the Attitude of the Superpowers towards Peace-Keeping, in C ASSESE (ed.), United Nations Peace-Keeping, Alphen aan den Rijn, 1978, p. 223 ss.; DAMROSCH, The Role of the Great Powers in United Nations Peace-Keeping, in Yale JIL, 1993, p. 429 ss.; PICONE, Il peace-keeping nel mondo attuale, cit., p. 24 (sul legame tra gli interventi unilaterali degli Stati e l’imposizione da parte di questi all’ONU del modello postbellico); A KASHI, The Politics of UN Peacekeeping from Cambodia to Yugoslavia, in T HAKUR e SCHNABEL (eds.), op. cit., p. 149 ss.; B OTHE, Peace-Keeping, cit., p. 660 ss.; FERRER L LORET, op. cit., p. 100 ss.; HILL HAWK, op. cit., p. 117; PECK, op. cit., p. 334; DEGNI-SEGUI, Article 24, paragraphes 1 et 2, in C OT, PELLET e FORTEAU (dir.), La Charte des Nations Unies. Commentaire article par article, III ed., vol. I, Paris, 2005, p. 883. Con riferimento all’amministrazione di territori un cenno è rintracciabile in
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CAPITOLO SECONDO
Prima dell’istituzione dell’Amministrazione ed anzi proprio in vista di ciò, gli Stati (politicamente, economicamente, militarmente) più forti svolgono una funzione di pressione sullo Stato che ospiterà l’operazione, così come sui gruppi o fazioni più direttamente interessati, al fine di ottenerne il consenso al dispiegamento. Spesso queste pressioni, accompagnate dall’attività di mediazione del Segretario generale dell’ONU, esercitata direttamente o per il tramite di propri rappresentanti (o inviati) speciali, sono proprio finalizzate alla conclusione di accordi tra le parti coinvolte, sui quali ci siamo in precedenza soffermati. Si pensi al ruolo degli Stati Uniti per l’accordo di pace che portò alla creazione dell’UNTEA66 , dei cinque membri permanenti nel caso dell’UNTAC in Cambogia67 , alle pressioni esercitate dagli Stati Uniti e dai principali Stati europei per la conclusione degli Accordi di Dayton per la BosniaErzegovina68 e degli Stati Uniti per l’Accordo di Erdut per la Slavonia orientale69 , al ruolo del G-8 con riferimento alla risoluzione della crisi del Kosovo70 e a quello del c.d. Core group (composto da Australia, Giappone, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti) nei confronti dell’Indonesia per la questione di Timor est71 , all’impegno degli Stati Uniti per la questione del Distretto di Br ko. Passando a considerare la fase istitutiva dell’operazione, sono ben noti sia il diritto di veto che l’art. 27, par. 3, della Carta garantisce ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza al fine di bloccare ogni decisione avente carattere non procedurale che non li trovi concordi, SOLÁ DOMINGO, op. cit., p. 137, mentre C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 12, rileva: «Such operations have always been designed according to the challenges they are seen to confront, but both those challenges and the means of addressing them have been interpreted by reference to the interests of the powers providing the resources to do so». 66 In tema, sul ruolo svolto dall’ex-ambasciatore USA Bunker, cfr. Yearbook of the United Nations, 1962, p. 124 s. V. anche L EYSER, op. cit., p. 257 s.; DURCH, UN Temporary Executive Authority, cit., p. 286 s.; GRUSS, op. cit., p. 103 ss. 67 C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 51 ss.; STARITA, op. cit., p. 15 ss. 68 In argomento, anche per un esame delle differenti posizioni tra USA e Stati europei, v. C OX, op. cit., p. 204 ss. 69 C OLEIRO, op. cit., p. 74 s. 70 WILDE, From Bosnia to Kosovo and East Timor, cit., p. 470, rileva come gli stessi Stati (riuniti nel Gruppo di contatto) abbiano operato scelte differenti con riferimento alla Bosnia-Erzegovina e al Kosovo, nel senso di un minore o maggiore coinvolgimento dell’ONU nell’amministrazione dei due territori. 71 Sul ruolo del Core group v. E LDON, East Timor, in MALONE (ed.), op. cit., p. 551 ss., che mette in luce come lo stesso abbia funzionato meglio di altri “gruppi di amici” del Segretario generale (p. 564).
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sia l’importanza delle consultazioni ristrette (che coinvolgono solo i cinque membri permanenti) ai fini del successivo raggiungimento di un accordo in seno al Consiglio. Inoltre, la manifestazione di volontà degli Stati militarmente, politicamente ed economicamente più forti – che solo in parte corrispondono agli attuali membri permanenti – a contribuire con risorse umane e finanziarie all’Amministrazione territoriale è un elemento che favorisce la sua istituzione72 . Infine, se la partecipazione ed il sostegno all’operazione promessi dagli Stati più forti trovano una concreta realizzazione e se gli stessi continuano nella loro azione di pressione politica sul sovrano territoriale e sulle altre parti in conflitto, ciò potrà garantire un ambiente propizio allo svolgimento delle attività dell’operazione e alla sua riuscita73 . Alla luce del compito affidato all’Amministrazione territoriale, che, come più volte rilevato, richiede una partecipazione attiva e non la semplice acquiescenza da parte dei soggetti coinvolti, il sostegno delle grandi potenze costituisce quindi un elemento importante, se non addirittura decisivo74 . Una conferma, seppur a contrario, si ricava dall’insufficiente impegno di alcuni Stati forti per il funzionamento della MINURSO75 , laddove l’iniziale decisione istitutiva non ha mai convinto del tutto Francia e Stati Uniti76 . Lo stesso è a dirsi, nei primi anni di attività dell’ONU, per i contrasti tra le grandi potenze che impedirono la realizzazione delle amministrazioni di Trieste e di Gerusalemme e, più tardi, di quella in Namibia.
72 V., anche per osservazioni critiche, SCHREUER, East Timor and the United Nations, in Int. Law FORUM, 2000, p. 24 s. 73 Ad esempio, C APLAN, op. cit., p. 26 s., segnala l’importanza, al fine di un positivo svolgimento dell’UNTAES, di porre alla guida dell’Amministrazione un diplomatico statunitense e di affidare il comando della sua componente militare al rappresentante di uno Stato della NATO, la quale aveva rilevanti contingenti impegnati nella confinante Bosnia-Erzegovina. 74 Cfr. ad esempio il par. 26 del rapporto del Segretario generale S/1995/1028, cit., nel quale, con riferimento all’UNTAES, afferma che sono due le condizioni per il successo dell’operazione: l’attivo e significativo sostegno del Consiglio di sicurezza, in particolare degli Stati membri di esso che hanno favorito la conclusione dell’Accordo di Erdut e che devono proseguire nell’opera di pressione sulle parti in conflitto; l’impegno degli Stati membri a fornire risorse umane e finanziarie. 75 DURCH, United Nations Mission for the Referendum, cit., p. 406; C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 69 s. 76 L’esempio è portato anche da C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 65 s., al fine di dimostrare «il limite implicito del sistema operativo in parola [di sicurezza collettiva] derivante dalla sua dipendenza dagli orientamenti di politica internazionale delle grandi potenze».
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5. Critica alla risoluzione n. 1244: la mancanza di un accordo di riconciliazione nazionale e l’ambiguità sullo status finale del Kosovo Con riferimento a quanto poc’anzi rilevato, ossia alla necessità del consenso del sovrano territoriale e della popolazione, specie se formalizzato in una qualche forma di intesa o accordo, ai fini della costituzione e dello svolgimento delle Amministrazioni territoriali decise dal Consiglio di sicurezza, suscitano perplessità l’istituzione dell’UNMIK e l’autorizzazione della KFOR. La risoluzione n. 1244, infatti, è stata adottata in seguito agli intensi bombardamenti sul territorio iugoslavo effettuati da numerosi Stati della NATO, che hanno avuto termine solo quando l’allora Presidente iugoslavo Milosevic accettò le proposte per una soluzione della crisi del Kosovo, presentategli il 2 giugno 1999 dai mediatori Ahtisaari e Chernomirdyn e corrispondenti a quanto deciso dai Ministri degli esteri dei Paesi del G-8 al termine dell’incontro svoltosi a Petersberg il 6 maggio 199977 . Le proposte dei mediatori internazionali prevedevano esplicitamente, al par. 10, che la sospensione delle attività militari fosse condizionata all’accettazione degli anzidetti principi e di altre condizioni, tra cui la definizione di un rapido e preciso piano per il ritiro delle forze militari, paramilitari e di polizia serbe dal Kosovo e l’effettivo inizio di tale ritiro, che si realizzò dopo la conclusione, avvenuta il 9 giugno 1999, dell’Accordo militare-tecnico di Kumanovo tra RFI e KFOR 78 . La risoluzione n. 1244 richiama espressamente il consenso delle autorità iugoslave sulle proposte dei mediatori internazionali, che ne costituiscono l’allegato 279 . In base al diritto dei trattati, così come formatosi in via consuetudinaria e cristallizzato nell’art. 52 della Convenzione di Vienna del 1969, un accordo internazionale concluso sotto la minaccia o l’uso della forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite è nullo. Ciò induce a considerare criticamente il consenso iugoslavo all’isti-
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Cfr. UN Doc. S/1999/516, che costituisce l’allegato 1 alla risoluzione n. 1244. La difficoltà del negoziato in seno al G-8, che portò ad una soluzione di compromesso in sede di Consiglio di sicurezza e al conseguente insorgere di diversi problemi sul terreno, è segnalata da HEINBECKER, Kosovo, in MALONE (ed.), op. cit., p. 547. 78 Non è quindi accoglibile l’argomentazione di chi (VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 343), al fine di salvaguardare l’integrità del consenso iugoslavo, afferma che esso è stato dato ad una operazione dell’ONU, mentre la pressione militare derivava da Stati della NATO. 79 Cfr. UN Doc. S/1999/649.
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tuzione dell’UNMIK e della KFOR80 , così come la conclusione del c.d. Accordo di Kumanovo81 . La questione si complica ulteriormente se si considera che, al momento dell’approvazione della risoluzione n. 1244, vi era incertezza sull’appartenenza della RFI all’ONU82 , come sarebbe stato autorevolmente rilevato in seguito anche dalla Corte internazionale di giustizia, che ha approfondito la questione nelle proprie decisioni del 15 dicembre 200483 . 80
In tale direzione appare orientata gran parte della dottrina che ha esaminato tale questione. Si vedano, in particolare, C ONDORELLI, op. cit., p. 37; A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 332 ss. Secondo C ERONE, op. cit., p. 484, si tratta di un consenso puramente formale, se non del tutto assente. In merito v. anche MILANO, Security Council Action in the Balkans, cit., p. 1004 ss. Di «consenso forzato» parla B ARTOLOMEOLI, Il regime di amministrazione delle Nazioni Unite per il Kosovo, in SCISO (a cura di), op. cit., p. 94. In senso dubitativo v. invece C RAWFORD , op. cit., p. 559. V. anche L AGRANGE (E.), op. cit., p. 343, secondo cui la risoluzione n. 1244 è l’unica base giuridica dell’UNMIK (così anche T ANCREDI, op. cit., p. 512, nota n. 501) e la decisione unilaterale del Consiglio di sicurezza ha prevalso sull’originale consenso iugoslavo. 81 Con riferimento all’Accordo di Kumanovo, per una ricostruzione in termini di possibile legittimità in base al principio di effettività e del perseguimento da parte della KFOR di un interesse fondamentale della comunità internazionale v. MILANO, Security Council Action in the Balkans, cit., p. 1020 s., il quale nondimeno rileva che «neither effectiveness nor legitimacy cure by themselves the illegality». 82 Come ampiamente noto l’Organizzazione, ai sensi dell’art. 2, par. 6, della Carta, non può obbligare gli Stati terzi, ma solo invitarli ad eseguire le proprie decisioni e la rilevante prassi conferma tale impostazione (cfr. anche il parere della Corte internazionale di giustizia del 21 giugno 1971 sulla conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza del Sud Africa in Namibia, cit.). L’art. 2, par. 6, è, infatti, «una semplice norma sulla competenza dell’Organizzazione» (C ONFORTI, op. cit., p. 134). In tema sia consentito rinviare, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, al nostro studio su L’ammissione della Svizzera all’ONU e la questione della neutralità permanente, in CI, 2003, p. 265 ss., partic. p. 272 ss.; ma in senso diverso v. T OMUSCHAT, op. cit., p. 336, che ritiene esistere una norma consuetudinaria che consente al Consiglio di sicurezza di esercitare ampi poteri nei confronti di tutti gli Stati, anche quelli non membri dell’ONU. 83 Cfr., ad esempio, i paragrafi da 52 a 78 del Case concerning legality of use of force, Serbia and Montenegro v. Italy (Preliminary objections). In senso critico sull’impostazione seguita sul punto dalla Corte v. VITUCCI, Has Pandora’s Box Been Closed? The Decisions on the Legality of Use of Force Cases in Relation to the Status of the Federal Republic of Yugoslavia (Serbia and Montenegro) within the United Nations, in Leiden JIL, 2006, p. 105 ss.; v. anche VIRZO, Corte internazionale di giustizia. Sentenze e pareri consultivi (2004), in CI, 2005, p. 559 ss. In generale, sulla questione dell’appartenenza all’ONU della RFI v., anche per ulteriori riferimenti bibliografici e per i rilevanti dati di prassi, VILLANI, Lo status della Repubblica serbo-montenegrina nelle Nazioni Unite, in RDI, 1993, p. 25 ss.; VITUCCI, La questione dell’appartenenza della Repubblica federale iugoslava alle Nazioni Unite, in RDI,
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In effetti, il consenso iugoslavo, che può dirsi non liberamente espresso nel momento in cui è stata adottata la risoluzione n. 1244, è stato prestato di fatto in un momento successivo, dal momento che la RFI ha chiesto a più riprese che tale risoluzione fosse rispettata84 . La RFI, infatti, non ha mancato di sottolineare come l’azione delle due presenze internazionali in Kosovo fosse contraria alla risoluzione n. 1244 e violasse la propria sovranità su quella provincia85 , dal momento che, come rilevato, «for a transitional period, the FRY was totally pushed aside as a decision-making actor not only in, but also with respect to Kosovo»86 . D’altronde, occorre considerare che la RFI non era in grado, anche in seguito ai bombardamenti degli Stati della NATO, di esercitare effettivamente un pieno controllo sul Kosovo, ragion per cui il consenso del Governo iugoslavo costituisce uno degli elementi da considerare, ma non l’unico. Come accennato, in quel territorio erano da tempo presenti le istituzioni parallele cui aveva dato vita la minoranza di etnia albanese. Questa si è mostrata favorevole al dispiegamento delle due presenze internazionali aventi il mandato di amministrazione diretta del Kosovo e ha in seguito collaborato attivamente con 2000, p. 992 ss.; Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 438 ss.; T OMUSCHAT, op. cit., p. 333 ss.; A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 332. 84 Cfr. anche il documento comune UNMIK-RFI adottato a Belgrado il 5 novembre 2001. 85 Cfr. un passaggio del discorso pronunciato dal rappresentante della RFI dinanzi al Consiglio di sicurezza, convocato il 10 giugno 1999 per deliberare in merito all’istituzione dell’UNMIK: «The Federal Republic of Yugoslavia cannot accept a mission that would take over the role of government in Kosovo and Metohija or any form of open or hidden protectorate» (UN Doc. S/PV.4011, p. 5). Per le successive, veementi, proteste iugoslave contro l’azione ultra mandato dell’UNMIK cfr., ad esempio, UN Docc. S/1999/800 del 19 luglio 1999, S/1999/828 del 27 luglio 1999, S/1999/850 del 5 agosto 1999, S/1999/888 del 17 agosto 1999, S/1999/1075 del 20 ottobre 1999, S/1999/1001 del 24 settembre 1999, S/1999/1089 del 22 ottobre 1999, S/1999/1124 del 4 novembre 1999, S/2000/829 del 24 agosto 2000, S/2000/843 del 31 agosto 2000, S/2000/866 del 13 settembre 2000, S/2000/871 del 16 settembre 2000, S/2000/894 del 22 settembre 2000, S/2000/905 del 27 settembre 2000, S/2000/965 del 6 ottobre 2000, S/2000/1039 del 27 ottobre 2000. 86 In tema v. T OMUSCHAT, op. cit., p. 323 ss. (il passo riportato nel testo è a p. 325). Per la prassi rilevante e le proteste delle autorità iugoslave cfr. i documenti richiamati nella precedente nota. In dottrina v. T ANCREDI, op. cit., p. 516 ss. (che già nel 2001 parlava di un «processo di secessione progressiva» e segnalava la posizione critica assunta anche da altri Stati in Consiglio di sicurezza); SANTORI, op. cit., p. 1689 ss. Ma v. FRIEDRICH, op. cit., p. 241 s., secondo il quale l’accentramento in capo all’UNMIK di «complete legislative powers [...] goes beyond the authorization under Resolution 1244», ma è comunque necessario per perseguire il suo mandato.
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l’UNMIK87 . Inoltre, il 21 giugno 1999 il capo dell’UCK ha concluso un accordo sulla demilitarizzazione di quel gruppo armato con il comandante della KFOR. Un sostegno all’attività delle due presenze internazionali in Kosovo è venuto anche da alcuni gruppi di kosovari serbi88 , anche se la gran parte di loro ha condiviso la posizione fortemente critica assunta dal Governo di Belgrado e, con il suo sostegno, ha dato vita ad istituzioni parallele89 . Come già rilevato, nella vicenda del Kosovo manca un accordo di riconciliazione nazionale tra le parti90 , né tale carattere hanno i c.d. accordi di Rambouillet, in quanto furono accettati solo dalla minoranza albanese e non anche dal Governo iugoslavo. Essi, seppur richiamati espressamente nel documento del G-8 e nelle proposte accettate dalle autorità iugoslave il 3 giugno 1999, lo sono unicamente nel contesto di un «political process towards the establishment of an interim political framework agreement providing for substantial self-government for Kosovo»; nella stessa risoluzione n. 1244 il Consiglio ha deciso di includere tra le competenze dell’UNMIK quella di promuovere la realizzazione, in attesa di una sistemazione definitiva, dell’autonomia sostanziale e dell’autogoverno del Kosovo tenendo «in full account» gli accordi di Rambouillet91 . La mancanza di un accordo tra le parti in conflitto sul destino futuro si riflette nell’ambiguità della risoluzione n. 124492 . Ciò ha reso 87
Cfr. l’accordo concluso il 15 dicembre 1999 tra i rappresentanti degli albanesi kosovari e l’UNMIK, avente ad oggetto l’istituzione di una Joint Interim Administrative Structure, in seguito trasformato nel regolamento n. 2000/1 dell’UNMIK. 88 Cfr. l’Agreement for the Establishment of a Joint Committee on Returns for Kosovo Serbs, del 2 maggio 2000, e il Joint Understanding between UNMIK-SNC (the Serb National Council of Kosovo and Methonia) on the Participation of the SNC in the Joint Interim Administrative Structure, del 29 giugno 2000. 89 Cfr. l’ampio rapporto redatto dalla Missione dell’OSCE in Kosovo (OMIK), intitolato Parallel Structures in Kosovo 2006-2007. 90 C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 169, rileva come un «deeper problem underlying UNMIK’s difficulties is the lack of any serious interest in reconciliation on the part of the local actors». 91 Cfr. il par. 11, lett. b), della risoluzione n. 1244. Nella successiva lett. e) il Consiglio impegna l’UNMIK a favorire il processo politico finalizzato a determinare il futuro status del Kosovo «taking into account» gli “accordi” di Rambouillet. In ragione di ciò, appare eccessivo affermare, come fa SANTORI, op. cit., p. 1693, che essi «constituted the basis of UN action in Kosovo». 92 FROWEIN e K RISCH, op. cit., p. 713, rilevano in generale come tale ambiguità rifletta il compromesso e la mancanza di un sostanziale accordo nel Consiglio di sicurezza, il che impone un’interpretazione “restrittiva” della medesima risoluzione. In tema v. K EOHANE, Secession Without Independence?, in Int. Pk. YIPO, 2001, p. 360 ss.; YANNIS, op. cit., p. 31 ss.; Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 423 ss.; C HESTER-
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assai complesso il lavoro dell’UNMIK93 , che, se per un verso ha sviluppato le istituzioni di autogoverno dei kosovari, spesso boicottate dai serbi del Kosovo, per l’altro avrebbe dovuto fare in modo che queste non fossero percepite come le strutture di un futuro Stato kosovaro94 . Tale elemento di forte ambiguità distingue la situazione del Kosovo dalle altre in cui è stata istituita (o anche solo progettata) un’Amministrazione internazionale, laddove era fissato sin dall’inizio l’obiettivo verso cui la stessa avrebbe dovuto indirizzarsi. Ciò ha comportato anche una difficoltà nel perseguire il mandato da parte dell’UNMIK95 . Il Segretario generale, in base al citato rapporto del 12 luglio 1999, ha articolato l’UNMIK in cinque fasi progressive e integrate96 : creazione delle condizioni per lo stabilimento e il consolidaMAN, Justice under International Administration: Kosovo, East Timor and Afghanistan, September 2002, consultabile sul sito internet www.ipacademy.org, p. 3 s.; DAUDET, op. cit., p. 522; T OMUSCHAT, op. cit., p. 326 ss.; SANTORI, op. cit., p. 1714 ss. 93 Cfr. L AGRANGE (E.), op. cit., p. 343 ss.; RODRÍGUEZ-PIÑERO ROYO, op. cit.; FRIEDRICH, op. cit., p. 250; A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 342 ss. C HESTERMAN, Kosovo in Limbo: State-Building and “Substantial Authonomy”, August 2001, consultabile sul sito internet www.ipacademy.org, p. 5, affermava: «The most likely scenario is that Kosovo will remain an international protectorate of ambiguous status for some years to come». Lo stesso autore, ivi, p. 11, prefigurava una possibile rassomiglianza, nel medio periodo, tra la situazione del Kosovo e quella di Cipro, sotto parziale occupazione turca e con la presenza dell’UNFICYP (v. anche ID ., You, the People, cit., p. 82). 94 C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 165. HILL HAWK, op. cit., p. 91 ss., individua sette diverse opzioni per il futuro status del Kosovo, mentre RONZITTI, Options for Kosovo’s, cit., p. 109 ss., ne indica cinque. Del tema si sono occupati anche diversi gruppi di studio le cui analisi e proposte, pur presentando un profilo prevalentemente politico-diplomatico, testimoniano della complessità della tematica in questione. I principali studi sono: Istituto affari internazionali, Options for Kosovo’s Final Status: Quo Vadis UNMIK?, Documenti IAI n. 9946, Roma, 1999 (in cui sono segnalati anche gli aspetti positivi, oltre a quelli negativi, della rilevata ambiguità, v. p. 24); Independent International Commission on Kosovo, The Kosovo Report: Conflict, International Response and Lessons Learned, Oxford, 2000 (su cui v., in senso critico, i numerosi commenti apparsi sull’Int. Pk. YIPO, 2001, p. 325 ss.); Independent International Commission on Kosovo, The Follow-up of the Kosovo Report. Why Conditional Independence?, Solna, 2001; International Crisis Group, Kosovo: Towards Final Status, Europe Report N° 161, January 24, 2005, consultabile sul sito internet www.crisisgroup.org.; International Commission on the Balkans, The Balkans in Europe’s Future, April 12, 2005, p. 19 ss., consultabile sul sito internet www.balkan-commission.org. 95 V. in merito le considerazioni di RINGELHEIM , op. cit., e di STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 152. 96 Cfr. S/1999/779, cit., par. 110 ss.
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mento delle strutture dell’Amministrazione transitoria; amministrazione dei servizi sociali, rafforzamento dello stato di diritto e inizio del trasferimento di parte dei poteri alle istituzioni locali; svolgimento di elezioni; creazione di istituzioni rappresentative quale premessa per il passaggio dei restanti poteri amministrativi e permanere di un ruolo di supervisione per l’UNMIK; determinazione di uno status definitivo per il Kosovo e conseguente passaggio dei poteri dalle istituzioni provvisorie a quelle definitive. La distanza tra le parti in conflitto97 ha condotto il Rappresentante speciale del Segretario generale ad elaborare una strategia definita degli “standards before status”98 , focalizzata sul principio di discutere dello status definitivo del territorio solo dopo aver raggiunto alcuni obiettivi minimi in settori come il funzionamento delle istituzioni democratiche, l’affermazione dei principi dello stato di diritto, la libertà di movimento, il ritorno degli sfollati e il loro reinserimento nella società, il corretto funzionamento del sistema economico, la disciplina dei diritti di proprietà, l’instaurazione di un dialogo con il Governo serbo, lo scioglimento dei Kosovo Protection Corps. In seguito c’è stato un cambio di strategia99 , per cui nel novembre 2005 il Segretario generale ha nominato il finlandese Ahtisaari quale proprio Inviato speciale per discutere con il Governo serbo e la minoranza albanese la questione del futuro status del Kosovo. Dopo numerosi incontri con le parti e alcuni tentativi di trovare un accordo condiviso, stante la mancanza di una comune volontà non solo in merito all’approdo finale, ma anche su alcuni principi di base dai quali 97
C OCKELL, Joint Action on Security Challenges in the Balkans, in PUGH e SIDHU (eds.), The United Nations and Regional Security, Boulder-London, 2003, p. 116, rileva: «Kosovo’s indeterminate political status is at the root of many of its most intractable threats to public security». C’è poi la connessa questione della difficoltà, per gli investitori stranieri e per le istituzioni finanziarie internazionali, di investire in un contesto territoriale non definito (cfr. ad esempio le posizioni assunte dalla Banca mondiale, Kosovo, FRY Transitional Support Strategy 2004, del 18 marzo 2004, e dal Fondo monetario internazionale, Kosovo – Gearing Policies Toward Growth and Development, del 18 novembre 2004). V. anche FRIEDRICH, op. cit., p. 260 ss. 98 Già promossi a partire dall’aprile 2002, gli standards for Kosovo sono stati resi noti nel dicembre 2003, seguiti il 31 marzo 2004 dal Kosovo standards implementation plan. Entrambi hanno ricevuto il sostegno del Consiglio di sicurezza, anche se non espresso in una risoluzione di quest’organo. Cfr. il rapporto sulla missione del Consiglio di sicurezza in Kosovo e a Belgrado (14-17 dicembre 2002), in UN Doc. S/2002/1376 del 19 dicembre 2002. 99 Cfr. i paragrafi 21-23 del rapporto del Segretario generale S/2005/335 del 23 maggio 2005.
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prendere le mosse in vista di una possibile intesa100 , il 15 marzo 2007 Ahtisaari ha presentato il proprio progetto definitivo al Segretario generale, che il 26 marzo lo ha trasmesso al Consiglio di sicurezza manifestando il proprio “pieno sostegno” per le proposte dell’Inviato speciale101 . Il “piano Ahtisaari” prevede l’indipendenza del Kosovo, dopo un iniziale periodo di supervisione da parte della comunità internazionale, dal momento che, a suo parere, l’incertezza sullo status futuro sta polarizzando il confronto etnico e rischia di minacciare l’intera regione dei Balcani meridionali e l’indipendenza costituisce l’unica possibilità di rendere politicamente stabile ed economicamente sostenibile quel territorio102 . Il Consiglio di sicurezza non ha trovato un accordo sulle proposte di Ahtisaari, principalmente in ragione delle posizioni divergenti tra i membri permanenti. Il 17 febbraio 2008 l’Assemblea del Kosovo – istituzione provvisoria di autogoverno a carattere parlamentare eletta a suffragio universale diretto, costituita dall’UNMIK nello svolgimento del suo mandato di amministrazione diretta del Kosovo – ha proclamato unilateralmente l’indipendenza di quel territorio dalla Serbia, accettando in pieno gli obblighi posti dal “piano Ahtisaari”, incluso un periodo di supervisione internazionale sotto il controllo di una missione dell’Unione europea, per gli aspetti civili103 , e sotto il controllo della KFOR a guida NATO, per quelli militari; il 15 giugno 2008 è entrata in vigore la “Costituzione” del Kosovo, adottata il 9 aprile precedente, che priva l’UNMIK di buona parte dei suoi poteri di amministrazione di quel territorio. In ragione di quanto abbiamo rilevato, questa dichiarazione di indipendenza si pone in contrasto con la risoluzione n. 1244 e non appare conforme alle consolidate regole di diritto internazionale che tutelano la sovranità della Serbia104. Inoltre, al Kosovo mancano en100
Cfr. anche il rapporto della missione del Consiglio di sicurezza che si è occupata della questione del Kosovo (UN Doc. S/2007/256 del 4 maggio 2007). 101 Cfr. UN Doc. S/2007/168 (il cui allegato 1 contiene la Comprehensive proposal for the Kosovo status settlement formulata da Ahtisaari). 102 Per un primo commento, in senso critico, v. D’A SPREMONT, Regulating Statehood: The Kosovo Status Settlement, in Leiden JIL, 2007, p. 649 ss. 103 Cfr. l’azione comune 2008/124/PESC relativa alla missione dell’Unione europea sullo Stato di diritto in Kosovo (EULEX KOSOVO), adottata dal Consiglio dell’Unione il 4 febbraio 2008. La Commissione europea, inoltre, ha comunicato al Segretario generale il proprio disimpegno dalla gestione del “pilastro” per la ricostruzione economica dell’UNMIK a partire dal 1° luglio 2008. 104 Sulla legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo sarà chiamata a pronunciarsi la Corte internazioanle di giustizia, cui l’8 ottobre 2008
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trambi i requisiti che il diritto internazionale richiede affinché uno Stato possa essere soggetto internazionale, ossia l’effettività e l’indipendenza105. Allo stesso modo, non appare legittimo il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo operato da numerosi Stati106 , poiché se è vero che si tratta di un atto politico, nondimeno riconoscere l’indipendenza di un territorio presuppone la volontà di instaurare con il medesimo relazioni giuridiche internazionali, sotto forma di accordi, il che, stante l’illegittimità di quella dichiarazione unilaterale, si pone in violazione delle norme internazionali che tutelano la sovranità della Serbia. Né è convincente l’affermazione, contenuta nel “piano Ahtisaari” e riproposta in molti degli atti con cui gli Stati hanno riconosciuto il Kosovo indipendente, che si tratterebbe di “una soluzione unica per un caso unico”, poiché per otto anni il Kosovo è stato governato dalle Nazioni Unite in piena separazione dalla Serbia, il che ha reso tale separazione irreversibile. Ciò, infatti, dovrebbe valere quale critica al modo in cui l’Amministrazione territoriale ha svolto il suo mandato, piuttosto che quale giustificazione per la violazione della sovranità della Serbia107 . Una preoccupante “smentita” dell’argomento del “caso unico” si è avuta a distanza di pochi mesi, quando nell’agosto 2008 la Russia ha riconosciuto l’indipendenza di due regioni della Georgia (Abkhazia e Ossezia del sud), abitate da forti minoranze russofone con rivendicazioni separatiste, utilizzando i medesimi argomenti avanzati dagli Stati che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Il Segretario generale, nel primo rapporto sulla situazione in Kosovo successivo alla dichiarazione di indipendenza108 , ha rilevato come la risoluzione n. 1244 sia ancora vigente e come quella dichiarazione e i numerosi atti successivi con cui le Istituzioni provvisorie di l’Assemblea generale ha chiesto un parere, ai sensi dell’art. 96 della Carta, accogliendo la richiesta formulata dalla Serbia. 105 In tema v. GREPPI, La proclamazione dell’indipendenza del Kosovo e il diritto internazionale, consultabile sul sito internet www.ispionline.it 106 A luglio 2008 il Kosovo indipendente è stato riconosciuto da 43 Stati, tra cui gli USA e buona parte dei Paesi membri dell’Unione europea. Per l’Italia cfr. la decisione assunta dal Consiglio dei ministri il 21 febbraio 2008 e l’intervento dell’allora Ministro degli esteri D’Alema alle Commissioni parlamentari riunite EsteriEmigrazione del 20 febbraio 2008, nel quale si definisce quella del Kosovo come un’indipendenza sui generis, in quanto «a sovranità limitata sotto la supervisione internazionale». 107 In tema v. le considerazioni di VILLANI, Un’indipendenza senza giustificazione giuridica, cit., p. 7 ss. 108 Cfr. i paragrafi 29 e 30 del rapporto S/2008/211 del 28 marzo 2008.
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autogoverno kosovare hanno manifestato la volontà di appropriarsi delle funzioni svolte dall’UNMIK abbiano reso sostanzialmente impossibile per l’UNMIK svolgere la propria azione in Kosovo e ne abbiano indebolito l’autorità sia nei confronti della popolazione di etnia albanese sia agli occhi dei pochi gruppi di serbi rimasti in Kosovo. In seguito, lo stesso Segretario generale ha affermato la “stretta neutralità” dell’ONU rispetto alla questione dello status del Kosovo e, vista la difficoltà dell’UNMIK di svolgere le sue funzioni esecutive, ne ha proposto la “riconfigurazione”, in modo da consentire all’EULEX di assumere un più incisivo ruolo operativo, ma sotto l’“ombrello” dell’UNMIK109 . Il Segretario generale ha anche segnalato come tale riconfigurazione avverrà ad opera del Rappresentante speciale, sulla base delle indicazioni fornitegli dal Segretario stesso, in quanto il Consiglio di sicurezza è «unable to provide guidance»110 a causa delle divisioni tra i suoi membri, in particolare tra i membri permanenti. 6. Le Amministrazioni territoriali quali organi sussidiari del Consiglio di sicurezza. Il difficile coordinamento tra il Dipartimento per gli affari politici e quello per le operazioni di mantenimento della pace nella loro gestione Le Amministrazioni territoriali sono qualificabili quali organi sussidiari del Consiglio di sicurezza ai sensi dell’art. 29 della Carta111 e sono gestite dal Segretario generale, a ciò delegato dal Consiglio ai
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Cfr. i rapporti S/2008/354, del 12 giugno 2008, e S/2008/458, del 15 luglio 2008, e il successivo dibattito svoltosi in Consiglio di sicurezza il 25 luglio 2008 (cfr. UN Doc. S/PV.5944). 110 Cfr. il par. 3 del citato rapporto S/2008/458. 111 Nel senso indicato nel testo v. RUFFERT, op. cit., p. 622 (che le qualifica anche quali organi sussidiari dell’Organizzazione ai sensi dell’art. 7, par. 2 della Carta). IRMSCHER, The Legal Framework for the Activities of the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo: The Charter, Human Rights, and the Law of Occupation, in German YIL, 2001, p. 355 s. (nota n. 8 e testo corrispondente), invece, qualifica l’UNMIK come «an agency within the Secretariat». Di una natura “ibrida” di queste operazioni sotto il profilo organizzativo parla anche B OTHE, PeaceKeeping, cit., p. 687. In generale sull’art. 29 si vedano i commenti di PAULUS, Article 29, in SIMMA (ed.), op. cit., vol. I, p. 539 ss., e di DECAUX, Article 29, in C OT, PELLET e FORTEAU (dir.), op. cit., vol. I, p. 975 ss. Quest’ultimo rileva come il Consiglio di sicurezza «tend à créer dans sa mouvance des organes dotés de moyens puissants, déplaçant ainsi le centre de gravité de l’organisation» (p. 991).
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sensi dell’art. 98 della Carta112 . Egli svolge un duplice ruolo, in parte politico-diplomatico (nel rapporto con il Consiglio di sicurezza), in parte operativo (nella gestione della missione)113 . Nei casi in cui un’operazione avente un mandato di amministrazione diretta di un territorio non è stata istituita dal Consiglio, ma decisa dall’Assemblea generale – si pensi, tra quelle realizzate, all’UNTEA, tra quelle istituite ma non pienamente operative, al Consiglio per la Namibia, e tra quelle solo progettate, alle Amministrazioni per Trieste e Gerusalemme – ciò è dipeso dalla diversità delle situazioni in cui si andava ad operare, ma soprattutto dal diverso contesto storico. Trieste sarebbe divenuta un Territorio libero in base ad una determinazione contenuta nell’accordo tra gli Stati alleati vincitori della II guerra mondiale; quella di Gerusalemme era una situazione che sarebbe stata gestita dal Consiglio di amministrazione fiduciaria in quanto connessa alla cessazione del mandato britannico. I casi del Consiglio per la Namibia e dell’UNTEA, invece, si inserivano appieno nel contesto della decolonizzazione e dell’autodeterminazione dei popoli, il che spiega perché siano stati gestiti dall’Assemblea generale. Come accennato, le principali operazioni con rilevanti compiti di amministrazione diretta di territori sono state decise dal Consiglio di sicurezza e si sono realizzate, in tutto o in parte, a partire dai primi anni ’90: l’UNTAC in Cambogia e i tre esempi più recenti dell’UNTAES, dell’UNMIK e dell’UNTAET, in cui l’assegnazione di poteri all’operazione ha avuto un’ampiezza mai sino ad allora raggiunta. Né appare significativa, in senso contrario, la circostanza che l’art. 6 dell’Accordo del 5 maggio 1999 tra Indonesia e Portogallo facesse riferimento al Segretario generale piuttosto che al Consiglio di Sicurezza nell’ipotizzare il trasferimento all’Organizzazione dell’autorità di governo sul territorio di Timor est, in quanto l’Amministrazione territoriale è stata poi concretamente realizzata in base alla richiamata risoluzione n. 1272. 112
In tema v., in generale, SAROOSHI, The Role of the United Nations SecretaryGeneral in United Nations Peace-Keeping Operations, in Australian YBIL, 1999, p. 279 ss.; GARGIULO, op. cit., p. 169 s.; VAURS-C HAUMETTE, Article 98, in C OT, PELLET e FORTEAU (dir.), op. cit., vol. II, p. 2046 ss.; B URGESS, The Maintenance of International Peace and Security by the UN and the Role of the Secretary General, in Int. Pk. YIPO, 2008, p. 39 ss. 113 Con riferimento all’UNMIK e all’UNTAET K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 102, hanno messo in luce l’accresciuto ruolo del Segretario generale, sul piano normativo e operativo, definendolo quale «organe de sinthèse des pouvoirs de l’Organisation». Con riferimento alle operazioni di mantenimento della pace v. già PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite, cit., p. 232.
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L’esercizio di ampi poteri di governo su un territorio da parte delle Amministrazioni territoriali ha comportato, per le strutture interne dell’ONU, l’emergere di alcuni problemi organizzativi, con riferimento alla pianificazione delle Amministrazioni e sotto i profili del reclutamento del personale, dell’assenza di programmazione strategica, dell’insufficiente coinvolgimento degli attori locali, del rapporto tra il livello operativo centrale e quelli periferici114 . Si è palesata, inoltre, una qualche conflittualità dovuta alla non chiara suddivisione dei compiti tra il Dipartimento per gli affari politici (Department of Political Affairs, DPA) e quello per le operazioni di mantenimento della pace (Department of Peacekeeping Operations, DPKO)115 . Quest’ultimo, infatti, che per il carattere di operazione di pace delle Amministrazioni è quello che ha il compito di gestirle, non ha tutte le competenze necessarie ad affrontare problemi a forte caratterizzazione politico-amministrativa come quelli che emergono nel governo di un territorio, competenze che invece sono presenti nel Dipartimento per gli affari politici. È stato criticato, ad esempio, l’approccio seguito a Timor est, laddove il Dipartimento per gli affari politici, che ha gestito la fase di negoziazione degli Accordi del 5 maggio 1999 e i successivi sviluppi, incluso lo svolgimento del processo referendario, nella fase di pianificazione e di realizzazione dell’UNTAET è stato prima affiancato dal Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace – il che ha creato incertezza su chi fosse il soggetto responsabile dell’operazione116 –, per essere poi sostituito dallo stesso Dipartimento117 . L’approccio utilizzato da quest’ultimo è stato giudicato inadeguato sotto due profili, in quanto impostato sul modello dell’UNMIK118 e 114
C APLAN, op. cit., p. 47 ss. Sui problemi di coordinamento tra DPA e DPKO v. T HEUERMANN, PeaceBuilding Activities of the United Nations, in C EDE e SUCHARIPA-B EHRMANN (eds.), The United Nations. Law and Practice, The Hague-London-Boston, 2001, p. 105 ss. 116 SUHRKE, op. cit., p. 6; SMITH e DEE, op. cit., p. 60 e p. 127 (in cui si segnalano anche incomprensioni tra DPKO e Ufficio per gli affari giuridici e all’interno dello stesso DPKO). 117 SUHRKE, op. cit., p. 1, afferma che per l’UNTAET è stato un limite l’essere stata istituita e strutturata come una missione di peace-keeping. 118 C HOPRA, The UN’s Kingdom, cit., p. 33 s.; B EAUVAIS, Benevolent Despotism: A Critique of U.N. State-Building in East Timor, in New York UJILP, 2001, p. 1164 s.; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 113; SUHRKE, op. cit., p. 7; K REILKAMP, op. cit., p. 652; FRIEDRICH, op. cit., p. 239. In senso contrario v. FITZPATRICK, Developing a Legal System in East Timor: Some Issues of UN Mandate and Capacity, in ARIEL, 2000, p. 13. Un approccio intermedio è quello scelto da C HE115
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in quanto il DPKO non aveva l’esperienza né la struttura per occuparsi di un’operazione complessa qual è un’Amministrazione territoriale119 , pur nella consapevolezza che l’esito del referendum avrebbe con tutta probabilità richiesto lo svolgimento di un’operazione con queste caratteristiche120 . Un’altra difficoltà, su cui avremo modo di soffermarci in seguito121 , è dovuta alla utilizzazione per le Amministrazioni territoriali, assai coinvolte negli affari interni del territorio in cui sono dispiegate, delle consuete regole applicate alle operazioni di mantenimento della pace, ad esempio per quanto concerne le immunità, l’utilizzazione dei fondi o gli aspetti fiscali122 . Esula ovviamente dalla presente indagine l’approfondimento di questioni essenzialmente tecniche e inerenti al funzionamento della struttura amministrativo-burocratica dell’ONU. Se ce ne occupiamo è per segnalare come la decisione di istituire delle Amministrazioni territoriali abbia creato difficoltà anche all’interno dell’Organizzazione, la quale è abituata a confrontarsi con una divisione del lavoro alquanto rigida: da un lato il DPA, che si occupa dell’analisi politica, della diplomazia preventiva, del peacemaking e dell’assistenza eletSTERMAN, East Timor in Transition, cit., p. 62 s. (ID ., You, The People, cit., p. 64 s.), il quale argomenta che al momento del dispiegamento dell’UNTAET era ragionevole ritenere che il contesto nel quale era stata chiamata ad operare sarebbe stato conflittuale, ma che vi è stata una incapacità di modificare il mandato e l’approccio dell’operazione, adattandoli alla situazione venutasi concretamente a realizzare. In altra sede lo stesso C HESTERMAN, Virtual Trusteeship, cit., p. 231, afferma come, paradossalmente, in Kosovo si è realizzata l’operazione che ci sarebbe voluta per la Bosnia-Erzegovina, a Timor est si è avuta l’operazione che sarebbe stata appropriata per il Kosovo e in Afghanistan si è realizzata l’operazione appropriata per Timor est. 119 T RAUB, Inventing East Timor, in Foreign Affairs, 2000, n. 4, p. 86; SUHRKE, op. cit., p. 7; C HESTERMAN, Virtual Trusteeship, cit., p. 221 ss.; ID ., You, The People, cit., p. 49 ss. e p. 238 s.; MARTIN e MAYER-RIECKH, The United Nations and East Timor: From Self-Determination to State-Building, in Int. Pk. (Frank Cass), 2005, n. 1, p. 118. V. anche STAHN, Justice under Transitional Administration: Contours and Critique of a Paradigm, in Houston JIL, 2005, p. 327: «[...] international engagement has been improvisational rather than principled in nature; [...] international practice jumps from one model to other, without showing coherence or consistency in institutional design». 120 Ciò spiega l’affermazione di MARTIN, East Timor. A Field Perspective, in MALONE (ed.), op. cit., p. 570: «The factors that explain the absence of contingency planning for a military intervention in no way excuse the inadequacy of planning for transitional administration». 121 V. infra, capitolo II, par. 10, e capitolo IV, par. 6. 122 Per tali problematiche v. VIEIRA DE MELLO, View from the Field, in A ZIMI e L I L IN (dirs.), The Reform Process of United Nations Peace Operations, The HagueLondon-Boston, 2001, p. 95 ss.
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torale, dall’altro il DPKO, che si occupa della pianificazione e della gestione diretta delle operazioni di mantenimento della pace, inclusi gli aspetti militari e di sicurezza. L’esperienza dell’UNTAES, ma soprattutto quelle dell’UNMIK e dell’UNTAET, avrebbero richiesto una migliore distribuzione dei compiti e una maggiore interazione tra i due Dipartimenti. Tale questione è stata oggetto di riflessione anche nel c.d. Rapporto Brahimi123 , il quale, pur ponendo in termini problematici la questione dell’istituzione e della gestione da parte dell’Organizzazione di operazioni di amministrazione territoriale124 , ha raccomandato, in vista di future operazioni di tal genere, l’istituzione di «a dedicated and distinct responsibility centre for those tasks […]. In the interim, DPKO has to continue to support this function»125 . Alcune delle proposte contenute nel Rapporto Brahimi vanno proprio nella direzione di un miglioramento nella pianificazione delle operazioni e sono state, seppur in parte, rese operative nell’ambito dell’Organizzazione126 . Il Segretario generale Kofi Annan ha poi istituito quattro comitati esecutivi, tra cui l’Executive Committee on Peace and Security (ECPS), al fine di riunire con regolarità i capi dei Dipartimenti ONU coinvolti in un determinato settore d’intervento. Ciò detto, e senza la pretesa di approfondire questo tema, rilevia123
Il Report of the Panel on the United Nations Peace Operations, del 17 agosto 2000, è contenuto in UN Doc. A/55/305-S/2000/309 del 21 agosto 2000. In tema v. FRÖHLICH, Keeping Track of UN Peace-keeping – Suez, Srebrenica, Rwanda and the Brahimi Report, in Max Planck YUNL, 2001, p. 185 ss.; WHITE (N.D.), Commentary on the Report of the Panel on United Nations Peace Operations (The Brahimi Report), in Journal CSL, 2001, p. 127 ss.; GRAY, Peacekeeping after the Brahimi Report: Is there a Crisis of Credibility for the UN?, ivi, p. 267 ss.; DURCH, HOLT, E ARLE e SHANAHAN, The Brahimi Report and the Future of UN Peace Operations, Washington, 2003; B EN A CHOUR, Les opérations de maintien de la paix, in C OT, PELLET e FORTEAU (dir.), op. cit., vol. I, p. 280. 124 L’argomento è sostenuto anche da SMITH e DEE, op. cit., p. 19: «the UNTAET period revealed a number of limitations in the UN’s ability to conduct this type of operations». Nel caso dell’UNTEA fu criticata la fretta con cui le Nazioni Unite dovettero assumere il ruolo di amministratore territoriale (VAN DER VEUR, op. cit., p. 58). 125 Rapporto Brahimi, cit., par. 78. In tal senso v. anche SMITH e DEE, op. cit., p. 119. 126 Ad esempio, è stato accresciuto il numero di personale per il DPKO, è stata migliorata la comunicazione tra i due Dipartimenti, sono state create delle Integrated Mission Task Forces (IMTFs), che per ogni singola operazione riuniscono rappresentanti di DPKO, DPA, altri Dipartimenti, unità e agenzie in essa coinvolti, sono state migliorate le best practices e la Lessons Learned Unit del DPKO è divenuta la Peacekeeping Best Practices Unit.
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mo che occorre ancora lavorare nella direzione di garantire alle Amministrazioni territoriali una maggiore autonomia operativa, anche nella gestione delle risorse finanziarie, rispetto alle strutture manageriali collocate al vertice dell’Organizzazione127 . 7. La struttura delle Amministrazioni territoriali Passando a considerare gli aspetti strutturali delle Amministrazioni territoriali, rileviamo che la “linea di comando” ha al suo vertice il Consiglio di sicurezza, che istituisce l’operazione e delega al Segretario generale il compito di gestirla e di fargli costantemente rapporto 128 . A sua volta il Segretario generale designa un proprio delegato, di regola denominato Rappresentante speciale, cui sono conferiti ampi poteri legislativi, esecutivi e giudiziari129 . L’accentramento dei poteri dell’operazione in capo al Rappresentante speciale del Segretario generale, che è una costante in tutte le operazioni di pace, suscita perplessità con riferimento alle Amministrazioni territoriali, data l’ampiezza di questi poteri e la loro incidenza sul territorio amministrato130 . La prassi mostra che la nomina del capo-missione è fatta dal Segretario generale su delega del Consiglio di sicurezza131 . Le risoluzioni non utilizzano la medesima terminologia, ma ciò non sembra comportare differenze sostanziali nella prassi relativa alla nomina. Nella risoluzione n. 1037 (par. 2) il Consiglio chiese al Segretario generale di nominare un Amministratore transitorio, in consultazione con le parti e con il Consiglio di sicurezza. Con riferimento all’UNMIK, invece, il Consiglio, al par. 6 della risoluzione n. 1244, chiese al Segretario generale di nominare un proprio Rappresentante 127
Su tali questioni v. SHIMURA, op. cit., p. 54 ss.; C APLAN, op. cit., p. 65 ss. A tale proposito, è stato ricostruito un obbligo di informazione che il Segretario generale, in quanto organo delegato, avrebbe nei confronti del Consiglio, organo delegante, per le questioni eccedenti l’ordinaria amministrazione. PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite, cit., p. 256 s. 129 In tema v. PECK, op. cit.: «SRSG becomes the head of mission and has authority over all its components, as well as all aspects of its management and functioning» (p. 327); «The tasks required for an SRSG managing a transitional authority in which the UN temporarily takes over the function of a government [...] are even more challenging» (p. 328). 130 Sul punto torneremo in seguito (v. infra, capitolo III, par. 1). 131 In generale, con riferimento alle operazioni di mantenimento della pace, v. PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite, cit., p. 235 ss. 128
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speciale, ma chiese solo la consultazione con lo stesso Consiglio; infine, con riferimento all’UNTAET, al par. 6 della risoluzione n. 1272 il Consiglio si rallegrò per l’intenzione del Segretario generale di nominare un proprio Rappresentante speciale, che avrebbe avuto il ruolo di Amministratore transitorio. Di fatto, però, la nomina avviene secondo la medesima procedura, in quanto il Segretario generale comunica al Consiglio l’intenzione di nominare il proprio Rappresentante speciale e il Consiglio si dichiara d’accordo 132 , o comunque ne prende nota133 . Le Amministrazioni territoriali, in ragione degli ampi compiti di governo del territorio che sono ad esse conferiti, si organizzano generalmente in diversi “pilastri” (o componenti), ognuno dei quali è in genere guidato da un vice-Rappresentante speciale. Nel caso della MINURSO il Consiglio accolse la proposta del Segretario generale di articolare l’operazione in tre unità: civile, di sicurezza (incaricata dei compiti di polizia civile), militare134 ; l’UNTAC fu invece articolata in quattro pilastri: amministrazione civile, militare, elettorale, componente diritti umani135 . L’UNTAES fu composta da otto Dipartimenti, dedicati a: affari civili, questioni giuridiche, informazione, questioni politiche, amministrazione, questioni militari, questioni elettorali, controllo delle frontiere. L’UNMIK in Kosovo si sviluppa anch’essa secondo una quadripartizione dei compiti, affidati a distinte componenti136 : amministrazione civile transitoria, questioni umanitarie (che ha poi avuto termine una volta cessata l’iniziale emergenza, mentre nel maggio 2001 è stato creato un pilastro giustizia e affari interni), creazione e rafforzamento delle istituzioni, ricostruzione economica, che a loro volta si articolano in numerosi Dipartimenti137 . L’UNTAET ebbe tre componenti principali: governo e 132
Cfr., con riferimento all’UNTAES, la proposta di nomina del Segretario generale e la risposta del Presidente di turno del Consiglio di sicurezza (UN Docc. S/1996/38 e 39 del 17 gennaio 1996). 133 Cfr., per l’UNMIK, la proposta di nomina del Segretario generale e la risposta del Presidente di turno del Consiglio di sicurezza (UN Docc. S/1999/748 e 749 del 6 luglio 1999); per l’UNTAET, la proposta di nomina del Segretario generale e la risposta del Presidente di turno del Consiglio di sicurezza (UN Docc. S/1999/1093 e 1094 del 26 ottobre 1999). 134 Cfr. il rapporto S/21360, cit. 135 Il Segretario generale, nel suo citato rapporto S/23613, propose al Consiglio di sicurezza sette distinte componenti per l’istituenda UNTAC: diritti umani, elezioni, militare, amministrazione civile, polizia, rimpatrio, ricostruzione. 136 Sulle problematiche pratiche che la suddivisione in pilastri ha comportato nel caso dell’UNMIK v. YANNIS, op. cit., p. 32 ss. 137 Cfr. il par. 8 ss. del rapporto del Segretario generale S/1999/672, cit., e il par. 53
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amministrazione pubblica138 , assistenza umanitaria (smantellato a fine 2000), militare (con compiti di mantenimento della pace). 8. La cooperazione con altre organizzazioni internazionali. Il loro contributo alla realizzazione delle Amministrazioni territoriali La complessità dei compiti affidati alle Amministrazioni territoriali, la loro molteplicità e la connessa difficoltà per l’Organizzazione di disporre di adeguate risorse umane e finanziarie, in uno con la circostanza di essere dispiegate in territori dove sono carenti o del tutto assenti strutture locali effettive e/o personale qualificato, hanno indotto le stesse a cercare la collaborazione di altre organizzazioni internazionali, sia esterne al sistema dell’ONU sia ad esso appartenenti. Ciò è stato anche favorito dall’aumentato numero di tali organizzazioni, a livello universale e regionale, cui si affiancano numerose agenzie specializzate, e dalla progressiva assunzione da parte di alcune di queste organizzazioni, in particolare nel corso degli anni ’90, di un ruolo molto più incisivo nelle situazioni post-conflittuali139 . La diversità dei contesti operativi ha prodotto, di volta in volta, il coinvolgimento di soggetti differenti. Nel caso dell’UNTAES e dell’UNMIK vi è stato un importante contributo da parte delle principali organizzazioni regionali europee (NATO, OSCE, UE)140 , mentre l’Amministrazione di Timor est ha potuto contare in maggiore misura sulle organizzazioni appartenenti al sistema dell’ONU e sulle organizzazioni finanziarie internazionali141 . Con riferimento alss. del rapporto del Segretario generale S/1999/779, cit. Inizialmente, il “pilastro” relativo all’amministrazione civile comprendeva una componente per gli affari civili, una di polizia e una per le questioni giuridiche; quello per le questioni umanitarie comprendeva una componente per l’assistenza umanitaria e una per lo sminamento; il “pilastro” per la creazione e il rafforzamento delle istituzioni era chiamato ad occuparsi anche di elezioni e tutela dei diritti umani. 138 Suddivisa a sua volta in cinque divisioni: affari giuridici; polizia civile; questioni economiche, finanziarie e di sviluppo; servizi pubblici; operazioni elettorali. 139 Con riferimento alle organizzazioni regionali, sino al 1994 HAN, op. cit., p. 882 s., rilevava il loro ruolo assai marginale, utile al massimo in termini di appoggio diplomatico e di conoscenza dei differenti contesti operativi. La situazione è andata modificandosi profondamente nel corso degli anni ’90; per la pertinente prassi v. VILLANI, Les rapports entre l’ONU et les organisations régionales, cit., p. 324 ss. 140 Il loro contributo è stato ritenuto determinante per il successo dell’UNTAES. Cfr. The United Nations Transitional Administration in Eastern Slavonia, cit., par. 148. 141 MATHESON, op. cit., p. 81, rileva come il compito dell’UNTAET, mancando
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l’UNTAES il Consiglio, al par. 17 della risoluzione n. 1037, chiese a tutte le organizzazioni regionali e le agenzie attive nella regione di agire in stretto coordinamento con l’Amministrazione territoriale. Il par. 10 della risoluzione n. 1244, invece, autorizza il Segretario generale ad istituire l’UNMIK, con l’assistenza di altre organizzazioni internazionali (non aventi un carattere militare), mentre il par. 11, lett. h), richiama il ruolo delle organizzazioni internazionali umanitarie e i paragrafi 13 e 17 quello delle organizzazioni internazionali ai fini della ricostruzione e dello sviluppo economico di quel territorio. Nel caso dell’UNTAET, infine, il par. 5 della risoluzione n. 1272 riconobbe che essa avrebbe avuto bisogno delle competenze tecniche e dell’esperienza degli Stati membri, degli enti del sistema dell’ONU e delle altre organizzazioni internazionali, incluse quelle a carattere finanziario, mentre al successivo par. 14 il Consiglio incoraggiò gli Stati membri, le agenzie e le organizzazioni internazionali a mettere a disposizione dell’UNTAET personale, materiale e altre risorse. In alcune circostanze, la collaborazione è avvenuta attraverso il controllo diretto, da parte del Rappresentante speciale del Segretario generale, sull’azione delle altre organizzazioni internazionali coinvolte, in altre vi è stato solo il coordinamento delle rispettive attività. Nel primo caso, ricordiamo che la gestione da parte dell’OSCE e dell’UE, rispettivamente, del pilastro relativo alle istituzioni democratiche142 e di quello per gli affari economici dell’UNMIK143 , la quale rappresenta una delle possibili forme di collaborazione che possono svilupparsi nella prassi a partire dal capitolo VIII della Carta dell’ONU, per cui le organizzazioni regionali possono avere un ruolo non solo nel perseguire l’accordo tra le parti e nel promuovere la riconciliazione nadell’assistenza di NATO, UE e OSCE, fosse più difficile. È stata anche criticata l’inazione dell’ASEAN nel contesto della crisi di Timor est del 1999 (v. C ABALLERO, A NTHONY , The Regionalization of Peace in Asia, in PUGH e SIDHU (eds.), op. cit., p. 206 s.), anche se ciò appare eccessivo considerati i caratteri propri dell’ASEAN, strumento di dialogo e cooperazione e non operativo; in tema v. MINUTI, ASEAN e mantenimento della pace nel quadro del sistema Nazioni Unite, in L ATTANZI e SPINEDI (a cura di), op. cit., p. 161 ss.; B ENZING , op. cit., p. 310 (che rileva al contempo come diversi Stati dell’ASEAN abbiano contribuito all’UNTAET a titolo individuale). 142 La missione dell’OSCE in Kosovo è stata istituita dal Consiglio permanente di quell’Organizzazione con decisione n. 305 del 1° luglio 1999. Cfr. anche l’accordo (scambio di lettere) tra l’OSCE e il Dipartimento dell’ONU per le missioni di peace-keeping del 19 luglio 1999. 143 Cfr. l’azione comune 1999/522/PESC, adottata dal Consiglio il 29 luglio 1999, relativa all’insediamento delle strutture della Missione delle Nazioni Unite nel Kosovo (UNMIK).
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zionale, ma anche nell’assistere l’Organizzazione mettendo a sua disposizione competenze e risorse umane e finanziarie144 . Com’è noto, il capitolo VIII riconosce alle organizzazioni regionali un ruolo tanto nella soluzione delle controversie (art. 52) che nell’azione per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, su richiesta del Consiglio di sicurezza o dietro sua autorizzazione (art. 53, par. 1)145 . In Kosovo, l’OSCE e l’UE hanno svolto le loro attività quali “pilastri” dell’UNMIK, sotto la direzione complessiva del Rappresentante speciale del Segretario generale146 , contribuendo così ad uno sviluppo integrato delle rispettive funzioni147 . Se la direzione delle Nazioni Unite si pone come un dato necessario da un punto di vista pratico e operativo 148 – lo stesso Segretario generale, nel proporre la suddivisione dell’UNMIK in pilastri e l’assegnazione del ruolo-guida di due tra questi all’OSCE e all’UE, sottolineò che l’Amministrazione si sarebbe svolta sotto l’egida dell’ONU e con l’aiuto delle altre organizzazioni internazionali149 – si pone nondimeno la questione del 144
VILLANI, Les rapports entre l’ONU et les organisations régionales, cit., p. 417 ss.; T ANZI, Il ruolo delle organizzazioni regionali nel dibattito alle Nazioni Unite, in L ATTANZI e SPINEDI (a cura di), op. cit., p. 24 ss. 145 In tema, limitatamente alla dottrina italiana, v. DEL VECCHIO, Consiglio di Sicurezza e Organizzazioni internazionali regionali nel mantenimento della pace, in CI, 1995, p. 229 ss.; VILLANI, Il ruolo delle organizzazioni regionali per il mantenimento della pace nel sistema delle Nazioni Unite, in CI, 1998, p. 429 ss.; ID ., Les rapports entre l’ONU et les organisations régionales, cit., p. 225 ss.; ID ., The Security Council’s Authorization of Enforcement Action by Regional Organizations, in Max Planck YUNL, 2002, p. 535 ss., anche per ampi riferimenti bibliografici, cui adde i numerosi scritti raccolti in L ATTANZI e SPINEDI (a cura di), op. cit.; C ELLAMARE, Il ruolo delle organizzazioni regionali nelle peace-keeping operations, in Le operazioni di peace-keeping dell’ONU tra tradizione e rinnovamento, Napoli, 2007, p. 47 ss. 146 I capi delle missioni dell’OSCE e dell’UE sono stati nominati vice-Rappresentanti speciali. 147 In tema v. NESI, La cooperazione fra OSCE e Nazioni Unite, in L ATTANZI e SPINEDI (a cura di), op. cit., p. 150 ss., mentre J ONES, The Challenges of Strategic Coordination, in STEDMAN, ROTHCHILD e C OUSENS (eds.), op. cit., p. 110; C OCKELL, op. cit., p. 123 s., A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 342, e SALZANO, op. cit., p. 111 ss., segnalano alcune difficoltà operative nella collaborazione tra l’ONU, l’OSCE e l’UE nel contesto dell’UNMIK. 148 DAUDET, op. cit., p. 507; DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 294. 149 Cfr. S/1999/672, cit., paragrafi 2 e 15. Cfr. anche il par. 3: «The Special Representative of the Secretary-General will have overall authority to manage the Mission and coordinate the activities of all United Nations agencies and other international organizations operating as part of UNMIK». Ma RUFFERT, op. cit., p. 619, rileva: «There is no hierarchy of organisations beyond powers conferred under Chapter VIII of the Charter, the application of which is quite limited in this context. Conflicts of competence that might arise between the organisations must be solved on a
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fondamento giuridico di tale collaborazione. Sotto il profilo da ultimo considerato, non sembra esservi un obbligo, a carico delle organizzazioni regionali, di agire in posizione subordinata rispetto all’ONU nello svolgimento delle funzioni di amministrazione civile in Kosovo, così come in generale nel contesto delle operazioni di pace non qualificabili come “azioni coercitive” ai sensi dell’art. 53, par. 1, della Carta150 . Il fondamento di tale collaborazione risiede nella manifestazione di volontà espressa da queste due organizzazioni, che hanno accettato di partecipare all’UNMIK consapevoli del fatto che la stessa fosse stata costituita sotto la direzione del Rappresentante speciale del Segretario generale. Con riferimento invece al contributo delle organizzazioni che appartengono al sistema dell’ONU (agenzie e istituti specializzati), la base giuridica della cooperazione sembra da individuare nell’obbligo di cooperazione che queste hanno nei confronti dell’Organizzazione quando la stessa esercita le proprie competenze in base alla Carta. Un discorso diverso va fatto con riferimento al contributo fornito da un’organizzazione regionale a carattere militare quale la NATO. Sia la risoluzione n. 1037 (UNTAES) sia la risoluzione n. 1244 (UNMIK), infatti, non creano un legame di subordinazione tra le Amministrazioni territoriali e le forze militari autorizzate a guida NATO, ma unicamente un obbligo di collaborazione nell’esercizio delle rispettive attività sul terreno. Con riferimento all’UNTAES, il Consiglio di sicurezza, come accennato, al par. 14 della risoluzione n. 1037 decise che gli Stati membri, singolarmente o attraverso accordi o organizzazioni regionali, avrebbero potuto, su richiesta dell’UNTAES, utilizzare la forza al fine di difendere l’Amministrazione territoriale ed eventualmente di favorire il suo ritiro dal territorio. Al successivo par. 15 il Consiglio chiese all’UNTAES e all’IFOR, forza militare da esso autorizzata e dispiegata in Bosnia-Erzegovina in base alla risoluzione n. 1031 del 15 dicembre 1995 (in seguito divenuta SFOR), di cooperare, quando necessario, tra loro e anche con l’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina. In Kosovo, il par. 6 della risoluzione n. 1244 chiede al Segretario generale di dare istruzioni al proprio Rappresentante speciale al fine di coordinarsi strettamente more or less consensual basis». Cfr. anche i paragrafi 43, 53, 118 e 124 del successivo rapporto S/1999/779, cit. 150 In tal senso v. VILLANI, Les rapports entre l’ONU et les organisations régionales, cit., p. 409 ss. La ricostruzione di un obbligo giuridico ai sensi dell’art. 53 è presa in considerazione criticamente da DAUDET, op. cit., p. 508, che invece ricostruisce tale obbligo fondandosi sui poteri impliciti e sullo spirito della Carta.
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con la KFOR per assicurare che operino per gli stessi fini e in maniera da sostenersi reciprocamente; il par. 9, lett. f) decide che la KFOR dovrà agevolare, se appropriato, e coordinarsi strettamente con il lavoro dell’UNMIK. Anche se queste risoluzioni non richiamano il capitolo VIII, sembra che in questi casi la legittimità dell’autorizzazione all’uso della forza da parte della NATO vada ricercata nell’art. 53, par. 1, della Carta, oltre che nel consenso delle parti coinvolte, in quanto non si tratta di un mero mandato conservativo, ma anche, potenzialmente, coercitivo151 . Un aspetto peculiare nei rapporti tra le due presenze internazionali attive in Kosovo è dato dalla circostanza che le immunità della KFOR e del suo personale sono garantite da un regolamento dell’UNMIK, il n. 2000/47152 , adottato in ottemperanza ad una dichiarazione congiunta adottata il 17 agosto 2000153 . Ciò non è da intendersi come una sottoposizione dell’una all’altra, ma sembra piuttosto da ricondurre alla situazione di fatto del Kosovo. Mentre di regola, infatti, un’operazione di pace dell’ONU o una forza multinazionale autorizzata dal Consiglio di sicurezza stipulano un SOFA (status of force agreement) con lo Stato ospite154 , in questa occasione, esercitando l’UNMIK il potere di governo sul Kosovo ed essendo di fatto “sospesa” la sovranità iugoslava, la disciplina delle immunità è stata prevista da un atto della stessa UNMIK155 . Tale procedura, criticabile 151
In tema v. ampiamente VILLANI, Les rapports entre l’ONU et les organisations régionales, cit., p. 409 ss.; ID ., The Security Council’s Authorization, cit., p. 535 ss. V. anche ODONI, La partecipazione della NATO ad azioni per il mantenimento della pace realizzate “under the authority” del Consiglio di sicurezza, in L ATTANZI e SPINEDI (a cura di), op. cit., p. 335, che critica l’insufficiente controllo del Consiglio di sicurezza sulla KFOR, se paragonato a quello che prevede l’art. 53 e a quello che lo stesso Consiglio esercita sull’UNMIK. 152 Cfr. il regolamento n. 2000/47 (On the Status, Privileges and Immunities of KFOR and UNMIK and Their Personnel in Kosovo), adottato il 18 agosto 2000. 153 Il testo in lingua francese di tale dichiarazione congiunta è pubblicato in RGDIP, 2000, p. 1132 s. 154 Il c.d. “SOFA modello” per le operazioni dell’ONU è contenuto nel rapporto del Segretario generale del 9 ottobre 1990 (UN Doc. A/45/594). Per le forze multinazionali autorizzate dal Consiglio di sicurezza la prassi non è uniforme, caratterizzandosi in maniera differente nei casi in cui vi sia una presenza consistente della NATO e in quelli in cui si tratti di coalizioni ad hoc. In tema v., anche per ampia bibliografia, lo studio condotto da B ARTOLINI, Le problematiche giuridiche relative alle Forze Armate impiegate all’estero, Gaeta, 2005, rispettivamente a p. 40 ss. (per le operazioni di pace dell’ONU) e p. 91 ss. (per le forze multinazionali autorizzate). 155 Il par. 5 dell’appendice B all’Accordo di Kumanovo aveva previsto un obbligo de contrahendo in vista della conclusione di un SOFA tra la KFOR e la RFI, ma
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da un punto di vista formale in quanto non rispettosa della sovranità della RFI sul Kosovo156 , appare però opportuna sul piano sostanziale, dal momento che è assai improbabile che la RFI sarebbe stata in grado di garantire in concreto i privilegi e le immunità ai soggetti internazionali impegnati in quel territorio. Lo stesso è del resto avvenuto anche con riferimento ai privilegi e alle immunità delle organizzazioni del gruppo della Banca mondiale e dei loro funzionari, dal momento che all’accordo tra la Banca e l’UNMIK del 4 maggio 2000 ha fatto seguito l’adozione del regolamento n. 2000/44157 . In effetti, piuttosto che cercare di ricostruire una subordinazione tra l’Amministrazione territoriale e la forza militare autorizzata a guida NATO, è significativo mettere in luce che, anche se sul piano operativo è previsto solo uno stretto coordinamento, nondimeno entrambe dipendono dalla volontà del Consiglio di sicurezza. Come già rilevato, ciò comporta per l’Amministrazione territoriale un controllo diretto e stringente, mentre per la forza militare autorizzata vi è il più blando controllo conseguente all’autorizzazione del Consiglio di sicurezza, con i limiti che derivano dal mandato specifico ad essa assegnato e dall’obbligo per gli Stati (e/o l’organizzazione regionale) ciò non si è realizzato, nonostante le ripetute richieste iugoslave. Cfr. poi il rapporto del Segretario generale A/54/494 del 22 ottobre1999, in cui si afferma che, dal momento che l’UNMIK è stata autorizzata ai sensi del capitolo VII, ciò non richiede la conclusione di un SOFA con il Governo iugoslavo (par. 19). In senso opposto cfr. la posizione espressa dalla RFI e contenuta in UN Doc. S/2000/829, cit., che critica il rifiuto dell’ONU di stipulare un SOFA con il Governo iugoslavo. In tema v. SANTORI, op. cit., p. 1711. Si segnala che un approccio similare è stato seguito dalla Coalition Provisional Authority creata dalle Potenze occupanti l’Iraq dopo l’attacco e l’occupazione armata del 2003. Cfr. la public notice del 26 giugno 2003 (The Status of Coalition, Foreign Liaison and Contractor Personnel), l’ordinanza 17 del 27 giugno 2004 (Status of the Coalition Provisional Authority, MNF-Iraq, Certain Missions and Personnel in Iraq) e l’ordinanza 100, del giorno successivo (Transitions of Laws, Regulations, Orders, and Directives Issued by the Coalition Provisional Authority), che espressamente fa salve le disposizioni della precedente ordinanza 17. 156 Ma v. J OHNSON, Headquarters KFOR, in FLECK (ed.), The Handbook of the Law of Visiting Forces, Oxford, 2001, p. 339 ss., il quale ritiene che, mancando un SOFA col governo iugoslavo, la KFOR ne abbia uno rappresentato di fatto dall’Accordo di Kumanovo e dalla risoluzione n. 1244. V. anche B ARTOLINI, op. cit., p. 95, che ne fonda la legittimità sui poteri che la risoluzione n. 1244 attribuisce al Segretario generale. 157 Regolamento n. 2000/44 (On the Privileges and Immunities of the World Bank Group and Its Officials in Kosovo) del 10 agosto 2000. Ai sensi della sezione 7.2 di tale regolamento un’eventuale richiesta di rinuncia all’immunità dev’essere formulata dal Rappresentante speciale del Segretario generale dell’ONU nei confronti del Presidente del gruppo della Banca mondiale.
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autorizzati ad usare la forza di presentare rapporti allo stesso Consiglio. 9. Il finanziamento delle Amministrazioni territoriali Il finanziamento delle Amministrazioni territoriali dell’ONU rientra tra le spese obbligatorie cui i membri dell’Organizzazione sono tenuti a contribuire ai sensi dell’art. 17, par. 2, della Carta158 . Come prassi per le operazioni di pace, anche le Amministrazioni territoriali sono finanziate attraverso fondi speciali, separati rispetto al bilancio ordinario, e per la suddivisione delle loro spese si applica una scala di ripartizione diversa rispetto a quella ordinaria, in quanto ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza e in genere ai Paesi industrializzati spetta farsi carico di una percentuale maggiore dei costi per le operazioni di pace159 . È però condivisibile la critica relativa all’assoggettamento delle Amministrazioni territoriali alle stesse regole di spesa delle altre operazioni di pace, ossia alla rigida differenziazione tra ciò che può essere usato a sostegno della missione e ciò che invece è destinato all’assistenza umanitaria e allo sviluppo160 . Com’è noto, l’attitudine che l’Assemblea generale è venuta progressivamente ad assumere in merito al finanziamento delle operazioni di pace non è tanto nel senso di vietare al Segretario generale le spese, quanto piuttosto a limitare le risorse complessive a sua disposizione, in modo da esercitare un controllo sulle stesse operazioni161 . La questione della ripartizione delle spese dell’Organizzazione, incluse quelle per le operazioni di pace, è costantemente al centro del confronto tra gli Stati membri, tanto più nei momenti in cui i costi delle operazioni aumentano. Non è questa la sede per approfondire tale 158
In tema v. Z ANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, cit., p. 329 ss., e l’approfondito studio di DELLA FINA, Il bilancio nel diritto delle Nazioni Unite, Milano, 2004. 159 DELLA FINA, op. cit., p. 295 ss., dà conto della suddivisione degli Stati membri in dieci categorie ai fini della contribuzione obbligatoria alle spese per le operazioni di mantenimento della pace, decisa dall’Assemblea generale con la risoluzione n. 55/235 del 23 dicembre 2000. Per le Amministrazioni territoriali cfr., ad esempio, la risoluzione n. 53/241 del 28 luglio 1999 dell’Assemblea generale sul finanziamento dell’UNMIK. 160 C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 195: «This might be reasonable in a country where the UN operation sits parallel to an existing government, but when the United Nations was the government it led to absurdity» (v. anche p. 245). 161 PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite, cit., p. 188.
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questione, ma si segnala che, considerato l’ingente ammontare di risorse finanziarie che richiede l’istituzione di Amministrazioni territoriali, superiore rispetto a quello delle ordinarie operazioni di pace, è stata operata una scelta nel senso di prevedere una progressiva partecipazione ai costi anche da parte dello Stato o del territorio in cui l’Amministrazione è dispiegata. Ciò non rappresenta una novità, in tale contesto, se si considera la prassi, e ha indotto alcuni a definire queste Amministrazioni come «des prestataires de service qui ‘facturent’ au bénéficiaire le prix d’un service rendu»162 . Infatti, i costi per l’amministrazione della Saar furono posti a carico del territorio, l’amministrazione del Distretto di Leticia fu pagata dalla Colombia, fu previsto che l’amministrazione di Gerusalemme si sarebbe auto-finanziata con tasse e altri introiti163 , il finanziamento dell’UNTEA fu interamente a carico di Paesi Bassi e Indonesia164 . In altre circostanze, è stato invece previsto un sistema di co-finanziamento. Ad esempio, nel caso del Territorio libero di Trieste, solo le spese del Governatore sarebbero state a carico del Bilancio dell’ONU165 , in Namibia i costi per l’amministrazione sarebbero stati sostenuti dallo Stato stesso, mentre quelli per il Consiglio e per il Commissario sarebbero stati a carico del Bilancio ordinario166 ; così anche nel caso dell’amministrazione di Mostar, laddove l’art. 21 del memorandum of understanding del 6 luglio 1994 stabilì che una parte dei costi fosse sostenuta dall’Unione europea, mentre quelli per gestire l’amministrazione della città furono posti a carico del bilancio cittadino. In effetti, nel caso delle Amministrazioni territoriali istituite dal Consiglio di sicurezza, facendo tesoro delle esperienze precedenti, si è passati progressivamente da un finanziamento a carico dell’ONU, che copre sia le spese di funzionamento delle Amministrazioni, sia quelle per il territorio – approvato con risoluzione dell’Assemblea generale su proposta del Segretario generale e con le spese ripartite secondo la consueta proporzione applicata alle operazioni di pace –, ad un auto-finanziamento attraverso le risorse del territorio ammini162
DAUDET, op. cit., p. 537. Cfr. l’art. 43, par. 4, del progetto aggiornato di Statuto, cit. 164 Cfr. l’art. XXIV dell’Accordo di New York del 1962 e il contestuale memorandum on certain financial matters during the period of administration of West New Guinea (West Irian) by the United Nations Temporary Executive Authority (UNTEA). Esso, in uno con la risposta fornita in pari data dall’Acting SecretaryGeneral, è riprodotto in HIGGINS, op. cit., p. 107 s. 165 Cfr. l’art. 11, par. 1, dello Statuto permanente. 166 Cfr. la parte III della risoluzione n. 2248 (S-V), cit. 163
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strato, per la copertura delle spese relative allo stesso, restando a carico dell’ONU i soli costi connessi al funzionamento delle sue operazioni167 . Per l’UNTAES, il par. 22 della risoluzione n. 1037 invitò il Segretario generale a sottoporre al Consiglio un rapporto sulla possibilità di far coprire dalla Croazia una parte dei costi dell’operazione168 , mentre nel caso dell’UNMIK169 e dell’UNTAET170 è stato progressivamente applicato l’accennato sistema di contribuzione diretta da parte del territorio. Dal momento che, in queste situazioni, anche la riscossione dei tributi (di frontiera e locali) è compito dell’Amministrazione, una parte di quanto riscosso viene trattenuto e serve a coprire i costi da queste sostenuti per il funzionamento dell’apparato amministrativo del territorio in cui sono dispiegate171 . Come noto, le attività operative dell’ONU sono finanziate anche attraverso contributi volontari, il che può essere particolarmente importante alla luce dei loro notevoli costi delle operazioni aventi compiti di amministrazione diretta. Tale modalità di finanziamento è stata oggetto di alcune critiche, condivisibili, in quanto se la realizzazione 167
DAUDET, op. cit., p. 537. L’8 agosto 1996 a Zagabria l’UNTAES e il Governo croato conclusero, a tal fine, un apposito accordo on Interim Co-financing of Public Services on the Territory Administered by UNTAES, by Government of the Republic of Croatia (consultabile in UN Doc. S/1996/648, del 12 agosto 1996). Il Consiglio di sicurezza ha accolto positivamente tale accordo, con una dichiarazione del suo Presidente di turno del 15 agosto 1996 (UN Doc. S/PRST/1996/35). L’Assemblea generale ha approvato il finanziamento dell’UNTAES con le risoluzioni n. 50/242 del 7 giugno 1996, n. 51/153 A del 16 dicembre 1996, n. 51/153 B del 13 giugno 1997, n. 52/244 del 26 giugno 1998. 169 Per il finanziamento dell’UNMIK cfr. le risoluzioni dell’Assemblea generale n. 53/241 del 28 luglio 1999, n. 54/245 A del 23 dicembre 1999, n. 54/245 B del 15 giugno 2000, n. 55/277 A del 23 dicembre 2000, n. 55/277 B del 14 giugno 2001, n. 56/295 del 27 giugno 2002, n. 57/326 del 18 giugno 2003, n. 58/305 del 18 giugno 2004, n. 59/286 A del 13 aprile 2005, n. 59/286 B del 22 giugno 2005, n. 60/275 del 30 giugno 2006, n. 61/285 del 29 giugno 2007, n. 62/262 del 20 giugno 2008. I costi derivanti dal funzionamento dei “pilastri” dell’UNMIK gestiti dall’OSCE e dall’UE è stato posto a carico delle due organizzazioni. 170 Cfr. le risoluzioni dell’Assemblea generale n. 54/246 A del 23 dicembre 1999, n. 54/246 B del 7 aprile 2000, n. 54/246 C del 15 giugno 2000, n. 55/228 A del 23 dicembre 2000, n. 55/228 B del 14 giugno 2001, n. 56/249 del 24 dicembre 2001, n. 56/296 del 27 giugno 2002. 171 Con riferimento al Kosovo cfr. il par. 112 del rapporto del Segretario generale S/1999/779 («Customs revenue will represent one of the most important sources of finance to meet public expenditures in the short term») e il regolamento n. 1999/3 dell’UNMIK (On the Establishment of the Customs and Other Related Services in Kosovo), adottato il 31 agosto 1999. 168
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di un’operazione si fonda soprattutto su contributi volontari, ciò rischia di sottrarre le operazioni al principio della responsabilità finanziaria collettiva, che caratterizza il sistema di finanziamento obbligatorio per le attività dell’ONU che rientrano nei fini statutari, e può costituire uno strumento di pressione o di condizionamento per l’attività dell’Organizzazione172 . C’è poi la connessa questione della pressione che i donatori straneri, soggetti pubblici e privati, potrebbero esercitare sulle Amministrazioni territoriali al fine di indurle a legiferare in una certa maniera, per essi più conveniente173 . Sezione II LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI
10. L’amministrazione di territori come “nuova” amministrazione fiduciaria In dottrina sono numerosi gli autori che, a proposito delle operazioni in Kosovo e a Timor est, hanno richiamato, aggiornandola, la nozione di “trusteeship administration”. Come noto, tale istituto è previsto dalla Carta ONU con riferimento a territori non autonomi, ma nella configurazione proposta la “rinnovata” amministrazione fiduciaria sarebbe suscettibile di realizzarsi nei confronti di un territorio sul quale uno Stato sarebbe politicamente o de facto impedito dall’esercitare i propri poteri di amministrazione, mentre sarebbero, a seconda dei casi, un’organizzazione internazionale o un gruppo di Stati ad esercitare provvisoriamente tali poteri per poi trasferirli ad uno Stato, il precedente o un altro. L’uso del termine trusteeship è considerato appropriato in quanto mette in luce come l’organizzazione o il gruppo di Stati amministrano il territorio nell’interesse di altri, il vecchio o il nuovo sovrano e/o la popolazione174 . 172
In generale v. DELLA FINA, op. cit., p. 320 s. e p. 362 s. MORROW (J.) e WHITE (R.), op. cit., p. 28 ss. 174 B OTHE e MARAUHN, The United Nations in Kosovo and East Timor, cit., p. 152; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 182; FROWEIN e K RISCH, Article 41, in SIMMA (ed.), op. cit., vol. I, p. 744; VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 362 ss.; HEINBECKER, op. cit., p. 549; FRIEDRICH, op. cit., p. 243 s.; B ENZING , op. cit., p. 330 s. (il quale propone l’applicazione per analogia a Timor est degli standards previsti dal capitolo XII della Carta per i territori sottoposti al regime di amministrazione fiduciaria). V. anche, in senso più ampio, lo studio condotto da PERRITT, 173
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Del resto, autorevole dottrina è da tempo giunta ad affermare che le operazioni di mantenimento della pace, in conseguenza dell’ampliamento delle funzioni assunte dall’ONU, svolgevano rilevanti compiti di peace-building e concludeva: «Esse finiscono perciò con l’assumere [...] funzioni quasi di amministrazione fiduciaria»175 . In tempi più recenti, con riferimento all’UNMIK e all’UNTAET, lo stesso autore ha parlato di forme moderne di amministrazione fiduciaria, un istituto del tutto nuovo, avente «caratteristiche largamente autonome e veramente peculiari», in cui «è l’intero capitolo VII a venire in rilievo [...] e a costituire la base e il punto di riferimento per il formarsi in capo all’Organizzazione di nuovi poteri di gestione normativi e fattuali»176 . Altri hanno definito il Kosovo, così come gestito in conseguenza dell’approvazione della risoluzione n. 1244, come un’amministrazione fiduciaria de facto, la quale, pur non potendo essere propriamente ricondotta al capitolo XII della Carta, persegue i medesimi obiettivi posto dall’art. 76 della stessa177 . A tal proposito è stato anche rilevato come tutti gli accordi di amministrazione fiduciaria garantissero all’autorità amministratrice “full powers of legislation, administration and jurisdiction”. Non sarebbe peraltro possibile parlare di “reviviscenza” del capitolo XII, in quanto non solo mancano le condizioni da questo previste per l’esercizio, da parte dell’ONU, di un’amministrazione fiduciaStructures and Standards for Political Trusteeship, in UCLA JILFA, 2003, p. 385 ss. 175 PICONE, Il peace-keeping nel mondo attuale, cit., p. 26. 176 PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 45 ss. 177 FRANCKX, PAUWELS e SMIS, An International Trusteeship for Kosovo: Attempt to Find a Solution to the Conflict, in Studia diplomatica, 1999, n. 5-6, p. 155 ss.; K ONDOCH, op. cit., p. 253 s.; VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 345. GRIFFIN e J ONES, Building Peace through Transitional Authority: New Directions, Major Challenges, in Int. Pk. (Frank Cass), 2001, n. 4, p. 77, parlano di “UN trusteeship” con riferimento all’UNMIK e all’UNTAET, distinguendole dalle altre Amministrazioni territoriali. T OMUSCHAT, op. cit., p. 328, rileva come il concetto di “autogoverno”, posto dalla risoluzione n. 1244 con riferimento al Kosovo, abbia uno specifico significato ai sensi degli articoli 73, lett. b), e 76, lett. b), della Carta, con riferimento ai territori in amministrazione fiduciaria. Di “de facto U.N. trusteeship” aveva parlato già HAN, op. cit., p. 868 s., con riferimento all’azione dell’UNTAC in Cambogia (in adesione STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 132 s.) e parlano Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 442, con riferimento al Kosovo. RUFFERT, op. cit., p. 629 ss., afferma trattarsi di una forma particolare di trust, se non fosse per la mancanza delle condizioni giuridiche poste dagli articoli 77, par. 1, e 78 della Carta (limitatamente al Kosovo). Anche C APLAN, op. cit., p. 57 s., afferma che le amministrazioni internazionali derivano la loro legittimità in parte dalla nozione di trust.
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ria, ma soprattutto perché il potere di fatto esercitato dalle Amministrazioni è stato più ampio di quello conferibile all’autorità amministratrice ai sensi di quel capitolo; esse sono state istituite dal Consiglio di sicurezza nell’esercizio delle sue competenze in base al capitolo VII e senza alcun cenno al capitolo XII178 . Inoltre, il concetto stesso di trusteeship e il riferimento a tale capitolo della Carta non ci sembrano conciliabili con l’attuale contesto storico, stante la loro connotazione coloniale179 , che contrasta con i caratteri e gli obiettivi perseguiti dalle Amministrazioni territoriali180 . Altri autori considerano i casi dell’UNMIK e dell’UNTAET quali espressioni di una competenza dell’ONU a svolgere “azioni di servizio pubblico” internazionale, ossia finalizzate a soddisfare l’interesse generale della comunità degli Stati, realizzate nel rispetto del principio di “adattamento costante” che caratterizza l’Organizzazione mondiale, attraverso operazioni di assistenza tecnica in vari settori, incluso quello delle questioni costituzionali e amministrative181 . Altri, ricollegandosi a questa idea, affermano che le Amministrazioni territoriali offrono tale “servizio” allo Stato e alla popolazione del territorio in-
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Per una diversa ricostruzione v. SUHRKE, op. cit., p. 7. In tema v. DAUDET, op. cit., p. 467. Sulla difficoltà, pratica e concettuale, di realizzare un “modern trusteeship system” v. già le argomentazioni addotte da GORDON, op. cit., p. 301 ss., in risposta all’idea di HELMAN e RATNER , op. cit., p. 3 ss., di «resurrect the old trusteeship system and apply it to failed states». V. anche, per una radicale critica all’idea stessa di trusteeship in quanto modello che perpetua la logica colonialista, di superiorità culturale e di razzismo nei confronti degli Stati più deboli e delle loro popolazioni, GORDON, Saving Failed States: Sometimes a Neocolonialist Notion, in American UJILP, 1997, p. 903 ss. 180 Come rilevato da B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 218: «The concepts of occupation, protectorate and trusteeship as such are ideologically still linked to particular political and historical situations [...]. Simply referring to or relying upon these concepts may give rise to fears that the UN provides a forum for a new form of “benevolent colonialism”»; di conseguenza, gli stessi autori propongono di “ri-concettualizzare” la nozione di trust nel diritto internazionale, ponendosi l’UNMIK e l’UNTAET quali primi esempi di «Security Council trusteeship administration» (p. 222). Per il concetto di benevolent colonialism, con riferimento all’UNTAET a Timor est, v. già T RAUB, op. cit., p. 75. Sulle differenze tra dominazione coloniale e operazioni di “peace-maintenance” v. diffusamente C HOPRA, Peace-Maintenance, cit., p. 11 s., p. 52 e p. 196. Ma v. anche WILDE, The Post-Colonial Use of International Territorial Administration and Issues of Legitimacy, in ASIL Proc., 2005, p. 38 ss. C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 47, afferma che un approccio coloniale nell’amministrazione diretta di territori costituisce un temporaneo e «necessary evil». 181 DAUDET, op. cit., p. 490 s. Così anche GARCIA, op. cit., p. 62. 179
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teressato e operano non solo nell’interesse di questi, ma anche dell’intera comunità internazionale182 . 11. Le Amministrazioni territoriali come operazioni di peace-keeping L’istituzione di operazioni di amministrazione territoriale da parte del Consiglio di sicurezza pone la questione della loro riconducibilità al fenomeno giuridico delle operazioni per il mantenimento della pace. Com’è noto, le caratteristiche giuridiche di tali operazioni sono generalmente identificate nel consenso del sovrano territoriale, nella imparzialità e nella possibilità di utilizzare la forza solo per legittima difesa, cui si accompagna il profilo operativo consistente nella delega al Segretario generale per l’organizzazione e la gestione dell’operazione183 . Taluni autori inseriscono tout court le Amministrazioni territoriali nel contesto delle operazioni multifunzionali184 o le considerano comunque casi nei quali raggiungono la massima estensione i compiti delle operazioni per il mantenimento della pace185 . Le forze di peacekeeping, infatti, in ragione della molteplicità e della diversità dei contesti in cui intervengono, possono perseguire scopi non tutti definibili a priori, in quanto la norma consuetudinaria in questione «presenta un ambito obiettivo di applicazione non rigorosamente definito»186 . Nello stesso senso è collocabile l’opinione di chi delinea una differenza quantitativa, nel senso dell’ampiezza dei poteri esercitati, piuttosto che qualitativa, tra Amministrazioni territoriali e tradizionali 182
K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 111 ss. In tema v. FRULLI, op. cit., p. 347 ss., anche per l’opportuna distinzione tra operazioni di mantenimento della pace e operazioni condotte da forze multinazionali su autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Del resto, già B OWETT, United Nations Forces, London, 1964, p. 266 ss., distingueva le operazioni con funzioni di enforcement da quelle con funzioni di peace-keeping, in quanto queste ultime «for although [they] can be armed and become involved in fighting, [their] main purpose and intention is not military» (p. 268). 184 K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 108. 185 SICILIANOS, L’ONU et la démocratisation de l’Etat, cit., p. 224 (con riferimento al Kosovo). 186 C ELLAMARE, L’Autorità Transitoria, cit., p. 332 ss., con riferimento alla possibilità di giustificare l’istituzione dell’UNTAC. In questo senso v. anche K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 108; RUFFERT, op. cit., p. 619, il quale definisce l’UNMIK e l’UNTAET non solo operazioni di peace-keeping ai sensi del capitolo VI½, ma anche rafforzate dal capitolo VII, in quanto realizzano quello che definisce robust peace-building. 183
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operazioni di mantenimento della pace, ponendosi le Amministrazioni quale «tool for refined peacekeeping»187 . C’è anche chi propone una soluzione di compromesso, inserendo le Amministrazioni territoriali nel contesto delle operazioni di mantenimento della pace c.d. di seconda generazione (peace-building operations), ma affermando al contempo che esse avrebbero rivitalizzato l’idea di trusteeship presente nella Carta188 . C’è poi chi ha affermato che l’UNTAES, l’UNMIK e l’UNTAET avrebbero dato vita ad una quarta categoria di operazioni di peace-keeping, caratterizzate dalla circostanza di non essere solo multifunzionali e “robuste”, ma di svolgere in prima persona funzioni di governo nel territorio in cui sono dispiegate189 . Tali ricostruzioni sono però state oggetto di critica, in quanto si è affermato che le Amministrazioni territoriali sono diverse dalle operazioni di mantenimento della pace sotto il profilo della relazione con gli organi dello Stato in cui le Amministrazioni sono dispiegate, dal momento che esercitano poteri sovrani e non vi è coesistenza con gli organi statali190 . Nelle Amministrazioni territoriali, inoltre, si ha una totale assunzione di funzioni di governo da parte delle stesse, mentre nel peace-keeping l’operazione dell’ONU non sostituisce completamente il governo dello Stato in cui è dispiegata191 , anche perché l’obiettivo delle Amministrazioni territoriali è quello di svolgere funzioni di governo, che di regola non rientrano tra quelle assegnate alle forze di peace-keeping192 . 12. Segue: le Amministrazioni territoriali quale elemento che conferma l’esistenza di una nozione ampia di “operazioni di pace” dell’ONU. L’importanza del mandato ai fini della valutazione degli elementi caratterizzanti tali operazioni A nostro avviso, piuttosto che cercare di inquadrare le operazioni aventi ampie funzioni di amministrazione diretta di un territorio nell’ambito del concetto di operazioni di peace-keeping, sarebbe più 187
B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p.
242.
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STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 120 ss. VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 350. In questo senso v. già K ONDOCH, op. cit., p. 246, con riferimento all’UNMIK e all’UNTAET. 190 B OTHE, Peace-Keeping, cit., p. 683. 191 In questo senso, v. BOTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 224; PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 45 ss. e p. 52 s. 192 C APLAN, op. cit., p. 9 ss. 189
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opportuno valutare le caratteristiche tipiche di tali operazioni alla luce del mandato assegnato alle Amministrazioni territoriali. Ciò, infatti, può portare a ricostruire tutte le azioni decise dal Consiglio e da questo dirette in prima persona come “operazioni di pace”, categoria in grado di ricomprendere non solo le Amministrazioni territoriali considerate, ma ogni altra tipologia di operazioni, incluse quelle di peacekeeping, facente capo al Consiglio stesso e che questo utilizza al fine di adempiere alla responsabilità principale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che gli Stati membri delle Nazioni Unite gli riconoscono ai sensi dell’art. 24, par. 1, della Carta. Non si tratta di un’evoluzione nel tempo, dal momento che sono esistite in passato ed esistono tuttora operazioni di pace aventi caratteristiche molto diverse tra loro e ci sembra quindi non condivisibile l’idea delle generazioni di operazioni193 . Secondo la ricostruzione che pare preferibile esiste un’unica modalità “strutturale-istituzionale” – o, come è stato affermato per le operazioni di mantenimento della pace, un unico «strumento d’azione»194 –, costituita dalle operazioni di pace decise dal Consiglio di sicurezza e aventi alcuni caratteri comuni (il consenso, l’imparzialità e un uso della forza volto alla difesa personale e/o del mandato). Tali operazioni svolgono funzioni differenti a seconda del mandato ricevuto195 e la loro qualificazione giuridica è 193
WILDE, Representing International Territorial Administration, cit., p. 75 ss., nel ricordare tali precedenti, critica la posizione di quegli autori che hanno considerato i compiti assegnati all’UNMIK e all’UNTAET come novità assolute, secondo una visione di “progressione temporale” delle operazioni di pace, affermando invece, in maniera convincente, che isolare le due Amministrazioni territoriali costituite nel 1999, secondo un approccio che vorrebbe considerarle come eccezionali, porta ad ignorare gli aspetti che le stesse hanno in comune con precedenti esperienze simili. Una siffatta critica, con riferimento alle “generazioni” di operazioni di peacekeeping – proposte inizialmente da FLORY, L’ONU et les opérations de maintien de la paix, in Politique Etrangère, 1993, p. 633 ss.; FREUDENSCHUSS, Drei Generationen von Friedensoperationen der Vereinten Nationen: Stand und Ausblicht, in Österreichisches Jahrbuch für internationale Politik, 1993, p. 44 ss. – era peraltro già presente in J AMES, Is there a Second Generation of Peacekeeping?, in Int. Pk. (Kluwer), 1994, n. 4, p. 110 ss.; C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 206 ss. Tale ultima impostazione appare confermata dalla prassi. 194 C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 71: «[...] l’espressione peace-keeping operations, nella sua genericità, allude a uno strumento d’azione connesso, per l’appunto, con il mantenimento della pace e non a un modello operativo predeterminato dal punto di vista dei compiti funzionali alla pace». 195 Per utilizzare le parole di PICONE, Il peace-keeping nel mondo attuale, cit., p. 17 (nota n. 38), occorre «dar rilievo non ai modelli classificatori astratti delle varie operazioni di pace, ma alle diverse e sia pur principali finalità materiali degli interventi perseguibili dall’Organizzazione».
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quindi individuabile alla luce di tale mandato196 . Di conseguenza, le suddette tre caratteristiche comuni – consenso, imparzialità, limiti all’uso della forza – sono presenti in tutte le operazioni di pace, ma vanno poi adattate alla luce del mandato che ogni singola operazione è chiamata a svolgere e della situazione concreta in cui si trova ad operare197 . Anche la base giuridica dell’operazione dipende dal mandato deciso dal Consiglio di sicurezza. Per comprendere, quindi, “che cosa” viene istituito è necessario considerare quali sono le diverse funzioni che, di volta in volta, il Consiglio assegna alle singole operazioni, a quale fine, con quale fondamento, con quali caratteristiche. Il fatto di esercitare compiti di amministrazione diretta di un territorio non separa quindi le Amministrazioni territoriali dalle altre operazioni di pace, ma, alla luce della circostanza che l’amministrazione diretta di un territorio richiede un impegno quantitativamente (numero di funzioni da svolgere) e qualitativamente (tipo di funzioni da svolgere) maggiore rispetto alle altre operazioni198 , le tre caratteristiche di cui abbiamo parlato ne sono condizionate, come subito vedremo. In primo luogo, è noto come l’ampiezza delle funzioni affidate alle operazioni di pace decise dal Consiglio di sicurezza a partire dagli anni ’90 abbia condotto a considerare il requisito dell’imparzialità in termini di rispetto del mandato piuttosto che di semplice equidistanza dalle parti in conflitto199 . Legare il requisito dell’imparzialità al ri196 Appare quindi confermata l’opinione di PICONE, Il peace-keeping nel mondo attuale, cit., p. 27 (nota n. 68 e testo corrispondente) e p. 32 (nota n. 87 e testo corrispondente), che già nel 1996 negava l’esistenza di un unico modello e di un unico fondamento giuridico per tutte le operazioni di pace. Ciò non esclude la necessità di individuare il fondamento giuridico in base al quale le singole operazioni sono chiamate a svolgere le loro funzioni. In questo senso v. K AMTO, Le cadre juridique des operations de maintien de la paix des Nations Unies, in Int. Law FORUM, 2001, p. 101; ORAKHELASHVILI, op. cit., p. 503 s. 197 In questo senso v. MARCHISIO, La specificità delle peace-keeping operations tra le forme di intervento delle Nazioni Unite, in Le operazioni di peace-keeping dell’ONU, cit., p. 43 ss. 198 DAUDET, op. cit., p. 465. Per un’opinione parzialmente differente v. GRIFFIN e J ONES, op. cit., p. 75 ss. 199 C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 161 ss.; DONALD , Neutrality, Impartiality and UN Peacekeeping at the Beginning of the 21st Century, in Int. Pk. (Frank Cass), 2002, n. 4, p. 21 ss.; C ARDONA L LORENS, op. cit., p. 838 ss. Con riferimento al Kosovo L AGRANGE (E.), op. cit., p. 361 s., critica l’UNMIK sotto il profilo della neutralità e dell’equilibrio tra il diritto all’autodeterminazione e la stabilità dei confini. La mancata imparzialità dell’UNOSOM II è segnalata da J AN, op.
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spetto del mandato ricevuto comporta che in alcuni casi all’operazione sarà richiesta un’assoluta equidistanza, mentre in altri dovrà perseguire i propri scopi anche se, nel caso concreto, ciò dovesse risultare più favorevole per una parte piuttosto che per un’altra. Di conseguenza, nel contesto delle operazioni dispiegate al confine tra due Stati o due territori, l’imparzialità è da intendere come assoluta equidistanza da tutte le parti in conflitto, il che ha una sua precisa logica, in quanto il mandato di queste operazioni è quello di costituire un deterrente per la ripresa delle ostilità e di consolidare una situazione di cessazione del conflitto. Invece, nei casi, sempre più frequenti, in cui alle operazioni si affidano anche funzioni di “costruzione” della pace (come quelle elettorali, di disarmo, amministrative), a ciò non può accompagnarsi un’imparzialità assoluta rispetto a tutte le parti in causa; inoltre, il mandato da portare a termine è più complesso e comporta una maggiore intromissione negli affari interni del territorio amministrato 200 . Non sembra quindi prospettabile un obbligo di assoluta imparzialità per un’operazione con ampi poteri legislativi, esecutivi e giudiziari, che deve esercitarli per costruire istituzioni di governo democratiche e rappresentative, occuparsi del settore economico, dell’amministrazione della giustizia e del sistema carcerario, della formazione delle forze armate e di quelle di polizia, il tutto attraverso l’emanazione di atti giuridici vincolanti per il territorio amministrato e gerarchicamente superiori rispetto a quelli interni. Occorrerà, allora, distinguere coloro che perseguono gli obiettivi cui si sono obbligati – con un accordo di pace o comunque prestando il loro consenso – da quelli che invece cercano di utilizzare questi strumenti per rafforzare le proprie posizioni e riprendere le ostilità al momento opportuno 201 . Un’altra ipotesi in cui l’imparzialità intesa come assoluta equidistanza non ha ragion d’essere è quella in cui all’operazione sia affidato il compito di condurre un processo elettorale al termine del quale ci saranno vincitori e sconfitti, per cui l’operazione dovrà fare in modo che le istituzioni create funzionino ed evitare che gli sconfitti rimettano in discussione l’intero processo di pace202 . Ricostruendo l’imparzialità come collegata al mandato da adempiere si comprende il perché di quelle disposizioni che consentono al cit., p. 72; in senso contrario v. STAHN, Justice under Transitional Administration, cit., p. 323. 200 C APLAN, op. cit., p. 53 ss. 201 In questo senso, cfr. il citato Rapporto Brahimi, paragrafi 48-64. 202 MANNING , op. cit., p. 32 ss.
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Rappresentante speciale del Segretario generale di rimuovere dall’ufficio pubblici funzionari (inclusi i magistrati), compresi quelli eletti dal popolo 203 . Lo stesso è a dirsi per la competenza a bloccare l’efficacia giuridica di atti normativi approvati dalle istituzioni cui progressivamente l’Amministrazione internazionale trasferisce i propri poteri. Questi poteri, infatti, si giustificano solo se esercitati per la tutela di un interesse superiore, vale a dire l’adempimento del mandato. Un problema diverso, che comporta l’insorgere di possibili violazioni dei diritti umani, è quello delle modalità attraverso le quali tali competenze sono esercitate. Si potrebbe affermare che tanto maggiori sono il numero e l’ampiezza delle competenze affidate all’operazione tanto più sarà necessario per questa adempiere al proprio obbligo di imparzialità nel senso da ultimo considerato. Seguendo questa ricostruzione e tenendo fermo il concetto di imparzialità rispetto al mandato come quello più rispondente alla realtà fattuale delle operazioni di pace, emergono ancora di più l’importanza e la delicatezza del ruolo affidato al Consiglio di sicurezza all’atto di istituire un’operazione, di definirne nel dettaglio il mandato e di deciderne la composizione. Passando a considerare il requisito dell’uso della forza, è ormai da tempo affermata nella prassi dell’Organizzazione una nozione ampia di legittima difesa, in virtù della quale l’azione delle forze ONU può comprendere anche la resistenza armata rispetto a tentativi di ostacolarle nell’adempimento del loro mandato ed è quindi connessa all’ampiezza e complessità dello stesso204 . Di conseguenza, anche sotto questo profilo l’ampio mandato conferito ad un’Amministrazione territoriale può richiedere un notevole uso della forza, prevalentemente a fini di mantenimento dell’ordine pubblico205 . Alla luce di ciò riteniamo che, anche con riferimento a tale elemento, più sono ampi e complessi i compiti affidati all’operazione, tanto maggiori potrebbero essere le situazioni in cui sarà necessario usare (o minacciare di usare) la forza per rimuovere gli ostacoli all’adempimento del mandato, sul presupposto che l’operazione non utilizza la forza per imporre una soluzione del conflitto contro la volontà dello Stato o di altre entità coinvolte, ma al fine di dare piena attuazione al mandato206 . 203
V. infra, capitolo IV, par. 5. C ELLAMARE, Note sull’Amministrazione Transitoria, cit., p. 86; FRULLI, op. cit., p. 347 ss. 205 C ARDONA L LORENS, op. cit., p. 852 ss.; DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 284 s. 206 PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 37; C ELLAMARE, Il ruolo 204
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Anche con riferimento al requisito dell’uso della forza, così come per l’imparzialità, ci sembra quindi che una ricostruzione capace di rappresentare il carattere unitario delle operazioni di pace sia quella che collega la possibilità di usare la forza di fronte al tentativo di ostacolarla nell’adempimento del proprio mandato207 . Ciò significa in concreto che le operazioni aventi semplici compiti di interposizione potranno usare la forza solo nel caso in cui fossero attaccate nel loro ruolo di “cuscinetto” tra le parti, le operazioni incaricate della distribuzione di aiuti umanitari potranno usare la forza per difendere il loro carico di aiuti e le Amministrazioni territoriali, incaricate di importanti funzioni di gestione diretta di un territorio, potranno usare la forza nei confronti di chi impedisce loro di realizzare il mandato ricevuto dal Consiglio di sicurezza. La ricostruzione qui proposta, che emergeva già nel ricordato Rapporto Brahimi, appare quella che meglio riesce a cogliere e razionalizzare il concetto di operazioni di pace, alla luce della trasformazione radicale cui tale concetto è andato incontro nella prassi208 . Le Amministrazioni territoriali rappresentano quindi una tipologia nell’ambito dell’ampia categoria delle operazioni di pace, che comprende da una parte le semplici missioni di osservatori, per poi passare alle operazioni di peace-keeping aventi meri compiti di interposizione e alle c.d. operazioni multifunzionali. Volendo utilizzare la suddivisione proposta dal Segretario generale Boutros Ghali, si potrebbe parlare di operazioni di post-conflict peace-building209 , anche se non tutte le Amministrazioni territoriali presentano tale carattere210 . Con le delle organizzazioni regionali, cit., p. 57. PINESCHI, L’emploi de la force, cit., par. 2.2, rileva più in generale come, nelle risoluzioni più recenti istitutive di operazioni di mantenimento della pace “robuste”, il Consiglio di sicurezza autorizzi l’impiego di tutti i mezzi necessari e non menzioni il principio della legittima difesa, il che si traduce in una minore ambiguità rispetto al passato. 207 FRULLI, op. cit., p. 368 e p. 387, ma v. anche p. 375 s. («i contingenti impiegati in un’operazione di peacekeeping non possono prendere l’iniziativa di usare la forza armata, ma possono usare le armi solo per rispondere ad attacchi o a tentativi di attacchi armati»). 208 In una prospettiva simile v. T SAGOURIAS, Consent, Neutrality/Impartiality and the Use of Force in Peacekeeping: Their Constitutional Dimension, in Journal CSL, 2006, p. 465 ss. 209 In merito v. HAN, op. cit., p. 837 ss.; J EONG (ed.), Approaches to Peacebuilding, Houndmills, 2002; GIOIA, The End of the Conflict, cit., p. 182 ss. (che segnala anche una certa confusione nelle classificazioni operate da Boutros Ghali nella Agenda for peace, rapporto A/47/277-S/24111 del 17 giugno 1992, e nel suo Supplement, rapporto A/50/60-S/1995/1 del 3 gennaio 1995). 210 È condivisibile, infatti, ed emerge dallo studio della prassi relativa a tutte le
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Amministrazioni territoriali il Consiglio di sicurezza decide di perseguire al massimo grado una “paix sécuritaire”, piuttosto che limitarsi a garantire una “paix sectorielle”, come avviene con le operazioni di peace-keeping tradizionali211 . Il Rapporto Brahimi, peraltro, con riferimento alle “transitional civil administrations”, oltre al riconoscimento che tale strumento «faces challenges and responsibilities that are unique among United Nations field operations», pone «the larger question of whether the United Nations should be in this business at all, and if so whether it should be considered an element of peace operations or should be managed by some other structure»212 . Sotto il profilo considerato, quindi, il Rapporto Brahimi pone una questione di opportunità e di capacità dell’Organizzazione nel gestire tali operazioni, non una questione di legittimità213 . Non appare casuale la circostanza che, in adesione all’approccio proposto nel Rapporto Brahimi e all’opposto rispetto a quanto accaduto in Kosovo e a Timor est, nel 2001, nel momento in cui si è posta la questione della ricostruzione dell’Afghanistan, l’Organizzazione ha dispiegato un’operazione (UNAMA, United Nations Assistance Mission in Afghanistan) caratterizzata da una assai ridotta partecipazione di personale straniero e con un mandato limitato al supporto alle istituzioni locali214 , e ha autorizzato una operazioni aventi funzione di amministrazione territoriale, la posizione espressa da WILDE, Representing International Territorial Administration, cit., p. 81 ss., secondo cui l’istituzione di Amministrazioni territoriali non costituisce esclusivamente un fenomeno dovuto all’esistenza di un pregresso conflitto armato o di un “failed State” (concetto già criticabile in sé), dovendosi piuttosto parlare di uno strumento volto a garantire stabilità a un certo territorio, sia in seguito ad un conflitto, sia in altre circostanze. 211 Per i concetti, richiamati nel testo, di “paix sécuritaire” e di “paix sectorielle” v. DUPUY (R.J.), Le Conseil de sécurité en recherche de paix, in DAUDET (dir.), op. cit., p. 15. 212 Cfr. i paragrafi 77 e 78 del Rapporto, su cui v. DAUDET, op. cit., p. 478 s. 213 In tale prospettiva si collocano anche FRANCK, op. cit., p. 859, il quale, criticando l’approccio ad hoc seguito in Kosovo afferma «[i]f the world is to take responsibility for the condition of oppressed people, it must be given the means promptly to effect the civil reconstruction of destroyed civil cultures. That requires a dedicated, rapid deployable reserve of police, judges, magistrates, health care providers and administrators», e C HOPRA, The UN’s Kingdom, cit., p. 35. Parzialmente differente è la posizione di C HESTERMAN, East Timor in Transition, cit., p. 47: «[...] the United Nations is becoming involved in such state-building projects without any clear institutional mandate or political consensus». 214 In tema v. VILLANI, Riflessioni sul ruolo dell’ONU per il mantenimento della pace e la lotta al terrorismo nella crisi afghana, in Volontari e terzo mondo, 2001, n. 4, p. 14 ss.; C HESTERMAN, Walking Softly in Afghanistan: The Future of UN State-
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forza multinazionale (ISAF), del tutto autonoma ed indipendente dall’UNAMA215 . 13. Il fondamento della competenza del Consiglio di sicurezza ad amministrare un territorio Come accennato, non ci sono contestazioni significative alla competenza del Consiglio di sicurezza ad istituire un’operazione di pace avente un mandato di amministrazione diretta di un territorio 216 . In dottrina, tale competenza è stata ricollegata al potere del Consiglio di adottare misure non implicanti l’uso della forza ai sensi dell’art. 41, con riferimento alla componente civile delle Amministrazioni territoriali, e in quello di azione ai sensi degli articoli 42 e 48, per la loro componente militare217 . Building, in Survival, 2002, n. 3, p. 37 ss.; ID ., Justice under International Administration, cit.; ID ., You, The People, cit., p. 88 ss. Non è quindi accoglibile, perché troppo generica, la ricostruzione proposta da STAHN, Justice under Transitional Administration, cit., p. 314 s., che considera insieme situazioni tra loro assai diverse per presupposti giuridici e modalità d’azione, quali quelle del Kosovo e di Timor est e quella dell’Afghanistan dopo l’intervento armato dell’ottobre 2001 e dell’Iraq dopo l’attacco anglo-americano del marzo 2003. Sulle missioni politiche dell’ONU per il consolidamento o il ristabilimento della pace v., in generale, DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 251 s., che ne parla come di una caterogia “residuale”, «plus proche d’une forme institutionnalisée de bons offices du Secrétaire général [...] que des opérations multinationales en vue du rétablissement de la paix». 215 L’ISAF fu autorizzata inizialmente con la risoluzione n. 1386 del 20 dicembre 2001, l’UNAMA fu istituita con la risoluzione n. 1401 del 28 marzo 2002. In argomento, oltre che a DAUDET, op. cit., p. 490 ss.; PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 59 ss.; C ELLAMARE, Il ruolo delle organizzazioni regionali, cit., p. 68 s.; sia consentito rinviare al nostro studio su L’azione internazionale per la ricostruzione dell’Afghanistan, in CI, 2004, p. 525 ss. 216 In senso critico, con riferimento all’UNMIK, v. però T RIANTAFILOU , Matter of Law, Question of Policy: Kosovo’s Current and Future Status under International Law, in Chicago JIL, 2004, p. 355 ss. 217 B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 231 ss. In questo senso v. anche K ONDOCH, op. cit., p. 256 s.; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 131; ID ., The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 139 s.; DAUDET, op. cit., p. 488; B ENZING , op. cit., p. 315 s.; FRIEDRICH, op. cit., p. 234; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 108. B OTHE, PeaceKeeping, cit., p. 685, rileva peraltro che, qualora un’Amministrazione territoriale fosse istituita nell’ambito del capitolo VI, l’appropriata base giuridica sarebbe l’art. 36. Anche SICILIANOS, L’ONU et la démocratisation de l’Etat, cit., p. 231, afferma che può esservi un fondamento giuridico differente per le diverse componenti di un’operazione, anche se non appare poi condivisibile, per le motivazioni che ve-
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Questa appare la soluzione maggioritaria e quella preferibile, anche se per alcuni autori il riferimento all’art. 41 è affiancato da quello all’art. 39218 e altri richiamano anche la nota teoria dei poteri impliciti219 . A questo proposito, sono da più autori considerati significativi alcuni passaggi della pronuncia del Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex-Iugoslavia nel caso Tadi 220 . In particolare, si fa riferimento alla parte in cui il Tribunale afferma che «nothing in the Article [41] suggests the limitation of the measures to those implemented by States. The Article only prescribes what these measures cannot be. Beyond that it does not say or suggest what they have to be» (par. 35), per aggiungere: «Logically, if the Organization can undertake measures which have to be implemented through the intermediary of its Members, it can a fortiori undertake measures which it can implement directly via its organs, if it happens to have the resources to do so. It is only for want of such resources that the United Nations has to act through its Members. But it is of the essence of “collective measures” that they are collectively undertaken. Action by Member States on behalf of the Organization is but a poor substitute faute de mieux, or a “second best” for want of the first» (par. 36)221 . In effetti, l’idea che le Amministrazioni territoriali costituiscano una “misura atipica” che il Consiglio è competente ad adottare ai sendremo subito di seguito, la collocazione della componente militare nel capitolo VII e di quella civile in un capitolo definito quale “VI bis”. Sulla possibilità di un diverso fondamento giuridico per le differenti componenti di un’operazione di peacekeeping v. già B OWETT, op. cit., p. 266 ss.; PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite, cit., p. 48 ss. 218 VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 341 ss., che fa anche riferimento ai poteri impliciti. In adesione FRIEDRICH, op. cit., p. 234 s. 219 RUFFERT, op. cit., p. 620 s.; DAUDET, op. cit., p. 488 ss.; A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 326 ss.; DE WET, The Chapter VII Powers of the United Nations Security Council, Oxford-Portland, 2004, p. 315, la quale sembra però fornire una ricostruzione parzialmente diversa laddove divide le Amministrazioni tra quelle fondate sul capitolo VI½ e quelle fondate sul capitolo VII, tra quelle sostenute da una norma consuetudinaria e quelle fondate su un potere implicito (DE WET, The Direct Administration of Territories, cit., p. 316 ss.). 220 Cfr. Prosecutor v. Tadi (caso n. IT-94-1), Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, 2 ottobre 1995. 221 MATHESON, op. cit., p. 83 s.; NILSSON, UNMIK and the Ombudsperson Institution in Kosovo: Human Rights Protection in a United Nations “Surrogate State”, in NQHR, 2004, p. 391 (nota n. 11); YANNIS, The UN as Government in Kosovo, in Global Governance, 2004, p. 84. Ma v. la decisa critica di A RANGIO-RUIZ, On the Security Council’s Law-Making, in RDI, 2000, p. 723 s.
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si dell’art. 41222 trova conferma nei lavori preparatori della Carta ONU. Alla Conferenza di San Francisco, nella discussione in merito alle misure coercitive, fu infatti ritirato un emendamento della delegazione norvegese, che proponeva di inserire nella Carta un riferimento espresso al potere del Consiglio di sicurezza di «take over on behalf of the Organization, the administration of any territory of which the continued administration by the state in possession is found to constitute a threat to the peace»223 . Come rilevò il delegato britannico, tale previsione avrebbe potuto essere considerata troppo specifica e quindi limitativa delle misure a disposizione del Consiglio, in quanto «the presumption might be created that the Council lacked certain other specific powers not mentioned». In conseguenza di ciò, la delegazione norvegese accettò di ritirare il proprio emendamento «with the understanding that the record of the Committee’s work should show fully the grounds upon which the Delegate from the United Kingdom had opposed the amendment»224 . Per la componente militare, invece, il riferimento all’art. 42 è giustificato dalla circostanza di fornire alla stessa un mandato potenzialmente coercitivo, al fine di svolgere un’azione decisa dal Consiglio di sicurezza e che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale, mentre l’art. 48 prevede che tali azioni siano realizzate da tutti gli Stati membri o da alcuni di essi, anche attraverso l’azione di altre organizzazioni internazionali225 . Sembra in definitiva 222
L AGRANGE (E.), op. cit., p. 344; Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 438; FROWEIN e K RISCH, Article 41, cit., p. 743 s.; E ISEMANN e L AGRANGE (E.), Article 41, in C OT, PELLET e FORTEAU (dir.), op. cit., vol. I, p. 1221 s. 223 Cfr. Amendments and observations on the Dumbarton Oaks proposals, submitted by the Norwegian delegation, del 3 maggio 1945, Doc. 2 G/7 (n) (1), in Documents of the United Nations Conference on International Organization (San Francisco, 1945), vol. III, London-New York, 1945, p. 365 ss., partic. p. 371 s. 224 Cfr. Summary Report of eleventh meeting of Committee III/3 del 23 maggio 1945, in Documents of the United Nations Conference, cit., vol. XII, London-New York, 1945, p. 354 s. e p. 357, e Report of Mr. Paul-Boncour, rapporteur of Committe III/3 to Commission III on Chapter VIII, section B (Doc. 881, III/3/46, del 10 giugno 1945), ivi, p. 508 e p. 524. 225 Così, nella dottrina italiana, STARACE, Uso della forza nell’ordinamento internazionale, in EG, vol. XXXII, 1994, p. 8 s.; MARCHISIO, L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Bologna, 2000, p. 256 s. Con riferimento alle autorizzazioni all’uso della forza, la loro legittimità in base agli articoli 39 e 42 della Carta è da tempo affermata da VILLANI, L’ONU e la crisi del Golfo, III ed. riveduta ed ampliata, Bari, 2005, p. 83 s. Il riferimento all’art. 42 caratterizza anche gli ampi studi condotti da SAROOSHI, The United Nations and the Development of Collective Security. The Delegation by the Security Council of Its Chapter VII Powers, Oxford, 1999, passim; K OLB, Ius contra bellum. Le droit international relatif au maintien de la paix, Bâle,
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che, stante l’ampio consenso nella comunità internazionale e in dottrina sulla legittimità di questo tipo di azioni, volendo cercare comunque il loro fondamento nella Carta, pur consapevoli dell’esistenza di autorevoli opinioni orientate in senso differente, esso vada rintracciato in queste due norme, in particolare nell’art. 42. Secondo un autore, poi, qualora vi fosse il consenso delle parti coinvolte, anche l’Assemblea generale avrebbe il potere di istituire Amministrazioni territoriali226 . Ora, se è vero che in passato essa ha autorizzato il Segretario generale a svolgere una funzione di amministrazione territoriale227 e ha anche tentato di esercitare una tale funzione in prima persona, attraverso l’istituzione del Consiglio per la Namibia, abbiamo già considerato che si è trattato di casi particolari, sia per il momento storico, sia per il contesto oggettivo in cui si inserivano, riguardando territori coloniali; inoltre, l’Assemblea, stante il limite posto dall’art. 11, par. 2, della Carta, non sarebbe competente ad istituire o autorizzare la componente militare dell’Amministrazione. Come è stato in passato rilevato con riferimento alle operazioni di mantenimento della pace possiamo dire che si tratterebbe di una scelta politica dell’Assemblea generale, ma non legittima sotto il profilo giuridico 228 .
2003, partic. p. 92 ss. Ma v. in tema il più volte menzionato studio critico di PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 10 ss. 226 STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 131; ID ., The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 139 s. 227 Cfr. il par. 3 della già citata risoluzione n. 1752 (XVII) con riferimento ai poteri che l’Accordo di New York del 1962 conferiva al Segretario generale con riferimento al territorio della Nuova Guinea occidentale (Irian occidentale). 228 PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite, cit., p. 166.
CAPITOLO TERZO LE PRINCIPALI FUNZIONI SVOLTE DALLE OPERAZIONI DI AMMINISTRAZIONE TERRITORIALE 1. L’estensione dei poteri delle Amministrazioni territoriali e gli aspetti problematici connessi al loro accentramento in capo alle medesime Il principale tratto distintivo delle operazioni di amministrazione territoriale dell’ONU è dato dall’estensione dei loro poteri e dalla loro rilevante ricaduta sul territorio in cui sono dispiegate e sulla sua popolazione. Le Amministrazioni territoriali sono chiamate a svolgere compiti e responsabilità già presenti in qualche misura in alcune altre operazioni di pace. Le principali funzioni da esse svolte, tra loro interconnesse, sono costituite da: assistenza umanitaria, ritorno dei rifugiati, ricostruzione economica, mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna, tutela dei diritti umani, svolgimento di funzioni civili di base, creazione di istituzioni locali democratiche e sostegno alla società civile. Ma, a differenza delle altre operazioni di pace, nel caso qui considerato l’esercizio di quelle funzioni si caratterizza come potere di governo sul territorio in cui le Amministrazioni sono dispiegate1 . Di seguito riportiamo la prassi rilevante. Nel caso di Trieste lo Strumento provvisorio, immaginato per gestire la fase di emergenza successiva alla costituzione del Territorio libero, in attesa che il Consiglio di sicurezza approvasse lo Statuto permanente e indicasse la data della sua entrata in funzione, assegnava al Governatore ampi poteri di gestione diretta, mentre lo Statuto permanente, preordinato a gestire la fase post-emergenziale, gli conferiva ampi poteri di supervisione, ma al contempo anche quello di intervenire, in casi di particolare necessità, sostituendosi alle istituzioni di governo locali2 . Con riferimento all’UNTEA l’art. V dell’Accordo di New York del 1962 ri1
C ORELL, Authorization for State-Building Missions, cit., p. 31 ss., rileva: «If, like in the situations of Kosovo and East Timor, the UN mission is charged with the government of the territory, the picture changes completely». Ma v. anche la posizione pragmatica di C APLAN, op. cit., p. 10, il quale rileva come un’amministrazione internazionale dotata di piena autorità esecutiva abbia maggiori possibilità di raggiungere i propri obiettivi rispetto ad un’operazione di peace-keeping avente unicamente poteri di supervisione e controllo. 2 Cfr. ad esempio l’art. 22 dello Statuto permanente.
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conobbe all’Amministratore nominato dal Segretario generale “piena autorità di amministrare il territorio”, incluso il potere di adottare nuovi atti normativi o di modificare o abrogare quelli preesistenti, qualora ciò fosse necessario al fine di uniformarsi allo spirito del medesimo Accordo3 . Il Consiglio per la Namibia ebbe invece il compito di amministrare quel territorio sino all’indipendenza, adottando gli atti normativi a ciò necessari, in attesa dell’elezione di un’Assemblea legislativa, approvando tutte le misure necessarie a mantenere la legge e l’ordine pubblico4 . Il mandato originario della MINURSO assegnò al Rappresentante speciale tutti i poteri necessari per l’organizzazione e la gestione del processo referendario inerente l’indipendenza di quel territorio. All’UNTAC fu assegnato il controllo diretto dei settori dell’amministrazione cambogiana suscettibili di influire sullo svolgimento delle consultazioni elettorali e al Rappresentante speciale furono conferiti il diritto di partecipare alle riunioni del Consiglio nazionale supremo, valutando la conformità degli atti da esso approvati con gli Accordi di Parigi, e il potere di decidere qualora fosse venuto a mancare il consensus tra i membri di quell’organo5 . Con riferimento all’UNTAES la risoluzione n. 1037 assegnò all’Amministratore transitorio l’esercizio dell’autorità conferita all’Organizzazione dall’Accordo di Erdut, ossia il compito di governare la regione per un periodo transitorio; l’Amministratore aveva anche, a tal fine, la possibilità di esercitare una funzione legislativa6 . Lo stesso è a dirsi per i casi del Kosovo e di Timor est. Anche se la risoluzione n. 1244 non era esplicita in tal senso, con il citato regolamento n. 1999/1, il primo adottato dall’UNMIK, il Rappresentante speciale si è assegnato poteri molto ampi di amministrazione diretta del Kosovo7 , nonostante l’opposizione del Governo iugoslavo a salvaguardia della propria sovranità e della propria integrità territoriale8 . 3
Cfr. anche l’art. XI. Cfr. la parte II della risoluzione n. 2248 (S-V), cit. 5 C ELLAMARE, L’Autorità Transitoria, cit., p. 287, afferma però che tali procedure erano volte unicamente a «favorire la formazione di posizioni convergenti tra l’UNTAC e il CNS sulla gestione dell’operazione». 6 Cfr. il par. 17 del rapporto del Segretario generale S/1995/1028, cit. 7 In senso critico v. T ANCREDI, op. cit., p. 513; B RAND , Effective Human Rights Protection when the UN ‘Becomes the State’: Lessons from UNMIK, in WHITE (N.D.) e K LAASEN (eds.), The UN, Human Rights and Post-Conflict Situations, Manchester, 2005, p. 348 ss. 8 L’articolata posizione espressa in più occasioni dai rappresentanti iugoslavi può leggersi, ex multis, in UN Docc. S/1999/828 e S/1999/1124, entrambi già citati in precedenza. 4
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La sezione 1.1 di questo regolamento, riprendendo quanto già previsto nel rapporto con cui il Segretario generale propose al Consiglio di sicurezza la struttura e i poteri dell’UNMIK9 , dispone: «All legislative and executive authority with respect to Kosovo, including the administration of the judiciary, is vested in UNMIK and is exercised by the Special Representative of the Secretary-General». Più esplicita in tal senso è invece la successiva risoluzione n. 1272 con riferimento a Timor est, il cui par. 1 affermò che l’UNTAET avrebbe potuto esercitare «all legislative and executive authority, including the administration of justice»10 , mentre il successivo par. 6 assegnò al Rappresentante speciale il potere «to enact new laws and regulations and to amend, suspend or repeal existing ones»11 . L’idea alla base di questo ampio conferimento di poteri è che, nei casi considerati, l’esercizio da parte dell’Organizzazione di poteri di governo, attraverso un suo organo sussidiario qual è l’Amministrazione territoriale, può garantire la pace e l’ordine nel territorio in questione. Come accennato12 , infatti, un’Amministrazione territoriale è istituita al fine di risolvere un problema di sovranità o uno di governabilità, il che comporta che essa, a seconda dei casi, sarà volta a costruire e organizzare le istituzioni di un nuovo Stato, a riorganizzarle, o ancora a gestirle stante l’incapacità dello stesso a farlo13 . Non si tratta peraltro, come già rilevato e come vedremo più approfonditamente in seguito14 , di un esercizio illimitato, in quanto l’Amministrazione agisce nell’ambito del mandato conferitole dal Consiglio di sicurezza, che ne stabilisce le finalità, l’estensione territoriale e la durata, e con il consenso del sovrano territoriale e/o della popolazione. È però vero che, fintantoché l’Amministrazione esercita il proprio potere di governo, quelli del sovrano territoriale sono fortemente limitati15 , quando non addirittura sospesi16 . Si potrebbe par9
Cfr. par. 35 del citato rapporto del 12 luglio 1999, S/1999/779. Così si esprimeva anche il par. 26 del citato rapporto S/1999/1024, con cui il Segretario generale propose al Consiglio di sicurezza caratteri e struttura dell’UNTAET. 11 In tal senso, cfr. il par. 32 del rapporto S/1999/1024, cit. 12 V. supra, capitolo I, par. 5. 13 DAUDET, op. cit., p. 513. 14 V. infra, capitolo IV, sezione I. 15 VIRALLY, op. cit., p. 297, parla di «souveraineté [...] gravement compromise [per uno Stato] si des autorités extérieures acquièrent le droit d’agir sur son territoire et d’exercer un pouvoir sur les personnes qui s’y trouvent». 16 Così si esprime SALZANO, op. cit., p. 105, il quale, pur rilevando il carattere non appropriato di tale termine secondo il diritto internazionale, nondimeno lo utilizza 10
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lare di una sovranità formale in capo al sovrano territoriale e di una sovranità sostanziale in capo all’Amministrazione territoriale, ovvero di una sovranità posseduta dallo Stato e/o dalla popolazione, il cui esercizio è trasferito in maniera temporanea all’Amministrazione dell’ONU17 . Non sarebbe però corretto affermare che l’Amministrazione territoriale ha sovranità “piena” sul territorio18 , in quanto l’ONU è inper mettere in luce il carattere peculiare della situazione del Kosovo sotto l’amministrazione dell’UNMIK. Di sovranità sospesa, con riferimento alla situazione della RFI rispetto al Kosovo, parlano RINGELHEIM , op. cit.; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 135 («Kosovo has been transformed into an “internationalized” territory, which is de facto a “sovereignty-free-zone” [...]. The same problem arises in East Timor»); FRIEDRICH, op. cit., p. 242; A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 339. Per un approfondimento sulle principali opinioni dottrinali espresse in merito alla sovranità in relazione ai territori sottoposti ad amministrazione internazionale, si rinvia a YANNIS, The Concept of Suspended Sovereignty in International Law and Its Implications in International Politics, in EJIL, 2002, p. 1037 ss.; K NOLL, United Nations Imperium: Horizontal and Vertical Transfer of Effective Control and the Concept of Residual Sovereignty in “Internationalized Territories”, in ARIEL, 2004, p. 3 ss.; SALAMUN, op. cit., p. 31 ss. 17 Al proposito è possibile richiamare un concetto già utilizzato da MARAZZI, op. cit., p. 176, che parlò di una cessione in amministrazione da parte dello Stato sovrano. Nel senso indicato nel testo v. B RAND , Institution-Building, cit., p. 463; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 119; RIGAUX, Guerres et interventions, cit., p. 202 (che parla di scissione degli attributi della sovranità); DE WET, The Direct Administration of Territories, cit., p. 331; SALAMUN, op. cit., p. 29; DISTEFANO, Territorio (dir. int.), in Dizionario di diritto pubblico, vol. VI, 2006, p. 5906. V. anche DAUDET, op. cit., p. 470 ss., che rileva come la possibilità di istituire Amministrazioni territoriali sia favorita da un contesto internazionale in cui la sovranità non è più intesa come un concetto unitario e ad appannaggio esclusivo dello Stato. 18 Così YDIT, op. cit., p. 320, definiva in generale i territori internazionalizzati: «Populated areas, established for an unlimited period as a special political entities, whose supreme sovereignty is vested in, and partly (or exclusively) exercised by, the supreme organisation of international community, the “United Nations Organisation”». C HOPRA, Introductory Note, cit., p. 936 ss., afferma tra l’altro, con riferimento all’UNTAET, che questa ha rappresentato «in every respect the formal government of the country», che la risoluzione n. 1272 «was the instrument for bestowing sovereignty over East Timor to the U.N.» e che «the U.N. had achieved a form of statehood in East Timor». Lo stesso C HOPRA, The UN’s Kingdom, cit., p. 29, ha enfaticamente definito lo status operativo e giuridico dell’ONU a Timor est «comparable with that of a pre-constitutional monarch in a sovereign kingdom» (in senso contrario v. MORROW (J.), The Development of the Constitution of East Timor: A UN Perspective, in ANZSIL Proc., 2002, p. 29 ss.). Simile è la posizione di RINGELHEIM , op. cit., e di STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 171, con riferi-
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tervenuta in base ad accordi tra le parti o comunque in base al consenso del sovrano territoriale e/o della popolazione e non è competente a determinare discrezionalmente e autonomamente il destino del territorio19 . Ciò costituisce, in ultima analisi, una tra le maggiori prerogative della “piena” sovranità e la distingue da quella che autorevole dottrina indica quale sovranità “qualificata”, che comprende il diritto alla potestà di governo, ma non il diritto di disporre del territorio20 . Una conferma in tal senso è ricavabile dalle vicende relative all’Accordo concluso il 22 febbraio 2001 tra la Serbia-Montenegro e la Repubblica ex-iugoslava di Macedonia (FYROM) relativo alla determinazione e alla demarcazione della frontiera tra i due Stati, che riguarda anche il territorio del Kosovo. Il Rappresentante speciale ha appoggiato tale iniziativa e, di fronte alle proteste dell’Assemblea del Kosovo, ha dichiarato «null and void» la presa di posizione da essa assunta contro tale Accordo21 . mento all’UNMIK in Kosovo, almeno sino all’approvazione del Constitutional framework, che ha portato ad una condivisione dei poteri con le istituzioni locali (così SALAMUN, op. cit., p. 134). 19 Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 423 ss. Sotto il profilo segnalato, una severa critica all’azione dell’UNMIK e al ruolo marginale lasciato alle autorità iugoslave in Kosovo, nonostante la previsione del par. 6 dell’allegato 2 alla risoluzione n. 1244 – secondo il quale ad un certo numero di personale iugoslavo e serbo sarebbe stato consentito di ritornare in Kosovo al fine di svolgervi alcuni compiti civili e militari –, è avanzata da YANNIS, Kosovo under International Administration, cit., p. 31 ss. («Yugoslav presence [...] resembled a diplomatic mission inside its own state») e da SANTORI, op. cit., p. 1689 ss., che qualifica tali autorità «more as representatives of a foreign State than co-citizens of the same legal persons» (p. 1718). Alla luce della prassi rilevante K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 91 ss., affermano: « [...] le RSSG adopta d’autres mesures législatives qui, à l’évidence, auraient dû relever plutôt des compétences de la RFY». 20 C ONFORTI, Sovranità sui Paesi in amministrazione fiduciaria e rapporti tra gli ordinamenti dell’amministrante e dell’amministrato, in RDI, 1955, p. 23; L AUTERPACHT, The International Personality of the United Nations. Capacity to Administer Territory, in ICLQ, 1956, p. 410; MARAZZI, op. cit., p. 80 ss. (che parla a tal proposito di internazionalizzazione “parziale” o “totale” a seconda che intervenga in territori posti o meno sotto la sovranità di uno Stato); SOLÁ DOMINGO, op. cit., p. 132 ss. (che parla di una competenza di natura funzionale in capo all’Organizzazione, contrapposta alla competenza di natura territoriale, che è quella esercitata di regola dagli Stati); L AGRANGE (E.), op. cit., p. 350. In senso diverso v. GORDON, Some Legal Problems, cit., p. 316: «Control of internal and external affairs is the essence of sovereignty, and surrendering all powers over these matters to another entity is a relinquishment of sovereignty». 21 Cfr. l’intervento del Rappresentante speciale e quello del delegato della FYROM alla riunione del Consiglio di sicurezza del 30 luglio 2002 (UN Doc. S/PV.4592).
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È stato anche rilevato che i poteri di cui dispone l’Amministrazione territoriale non sono sempre omnicomprensivi sotto il profilo “soggettivo”, in quanto la sua azione viene sviluppata in collaborazione con altri enti internazionali o con le istituzioni di governo del territorio 22 . Solo in casi estremi e di particolare urgenza l’operazione delle Nazioni Unite ha dovuto esercitare in piena autonomia questi poteri, senza quindi condividerli con le istituzioni politiche locali. In molti casi, anzi, uno dei compiti principali dell’Amministrazione ha riguardato la costituzione di tali istituzioni di governo, rappresentative del territorio (oltre che di istituzioni giudiziarie), e il progressivo trasferimento a queste degli anzidetti poteri, o almeno una condivisione delle scelte più significative attraverso un modello di co-gestione. Nondimeno, è all’Amministrazione territoriale che spetta il potere di adottare – in ultima istanza – numerose decisioni che non solo hanno carattere vincolante per il territorio, ma che di regola non possono essere contestate in giudizio. Sul punto torneremo in seguito approfonditamente. La ripartizione dei poteri con le istituzioni locali si sviluppa, quindi, nel contesto di una rigida gerarchia, che vede al suo vertice l’Amministrazione territoriale, titolare del potere di modificare o bloccare ogni decisione adottata dalle istituzioni locali, incluse quelle rappresentative degli abitanti del territorio, che essa consideri in contrasto con il proprio mandato 23 . L’estensione dei poteri delle Amministrazioni territoriali comporta l’insorgere di taluni problemi con riferimento ad uno degli elementi operativi che in genere caratterizzano le operazioni di pace, vale a dire l’accentramento dei poteri in capo all’operazione e nella persona del Rappresentante speciale del Segretario generale, che la guida24 . La 22
Così DAUDET, op. cit., p. 495 ss., che ricostruisce anche un secondo profilo di limitazione dei poteri dell’Amministrazione territoriale, in quanto le sue competenze non comprendono tutti i settori dell’attività statale. 23 In senso critico, con riferimento al contesto bosniaco, v. C OX, op. cit., p. 216. GALBRAITH, The United Transitional Authority in East Timor (UNTAET), in ASIL Proc., 2003, p. 211, rileva come l’UNTAET, pur avendone il potere, non abbia mai bloccato alcuna decisione del Governo transitorio di Timor est. 24 In tema v. MORROW (J.) e WHITE (R.), op. cit., p. 17 ss.; A BLINE, op. cit., p. 364 s.; VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 346; B ENZING , op. cit., p. 343 ss.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 270 s. L’ampiezza dei poteri conferiti ai Rappresentanti speciali del Segretario generale in queste due operazioni aventi funzione di amministrazione diretta di territori ha portato HILL HAWK, op. cit., p. 98, a paragonarli a quelli di uno “zar”, mentre SASSÒLI, Droit international pénal et droit pénal interne: le cas des territoires se trouvant sous administration internationale, in HENZELIN e ROTH (pub.), Le droit pénal à l’épreuve de l’internationalisation, Paris-Genève-Bruxelles, 2002, p.
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principale perplessità è data dall’intrinseca contraddizione tra l’accentramento dei poteri in capo al Rappresentante speciale e l’affermazione, da parte delle Nazioni Unite, dei principi di democrazia e dello stato di diritto, sia in generale che nel caso specifico delle operazioni di pace. L’accentramento dei poteri nelle mani di un’unica struttura e la connessa mancanza di un equilibrio tra i poteri e di un reciproco controllo non appaiono, infatti, espressione di principi democratici25 e fanno emergere la difficoltà di conciliare l’obiettivo, costituire le Amministrazioni territoriali per creare istituzioni di governo democratiche e rappresentative, e lo strumento a tal fine utilizzato, l’accentramento dei poteri in capo ai Rappresentanti speciali del Segretario generale26 . Alcuni hanno sottolineato che l’assenza di separazione dei poteri a livello di istituzioni internazionali incaricate dell’amministrazione di un territorio è comunque un dato consolidato nella rilevante prassi27 e la difficoltà di applicare nei confronti dell’Amministrazione territoriale i medesimi criteri che sono di regola utilizzati nei confronti delle istituzioni statali al fine di valutare se siano espressione di una democrazia rappresentativa, di un governo responsabile di fronte alla popolazione su cui esercita le proprie funzioni28 . Ci sembra però che le motivazioni alla base dell’accentramento dei poteri, in primo luogo la situazione di emergenza e la necessità di una guida unica per evitare il 127, definisce i Rappresentanti speciali come un «souverain de l’époque absolutiste» e DAUDET, op. cit., p. 521, come un «véritable chef de gouvernement». Più in generale, SALAMUN, op. cit., p. 125, afferma: «[...] the absence of binding legal rules for the exercise of power by representatives of the international organisation [...] displays obvious similarities with a dictatorship». Una critica all’accentramento dei poteri di controllo in capo ad un solo responsabile era già stata avanzata da MARAZZI, op. cit., p. 125. 25 C HESTERMAN, The United Nations as Government: Accountability Mechanisms for Territories under UN Administration, Paper delivered at the conference Fighting Corruption in Kosovo: Lessons from the Region, Pristina, Kosovo, 4-5 March 2002, consultabile sul sito internet www.ipacademy.org, definisce tale paradosso con l’espressione «‘do-as-I-say-not-as-I-do governance’» (v. anche ID ., You, The People, cit., p. 150 s.); B ONGIORNO, op. cit., p. 655 s. 26 C AHIN, op. cit., p. 162. Sull’atteggiamento autoritario e poco democratico dell’UNMIK v. MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 97; VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 374 ss. Con riferimento alla Bosnia-Erzegovina v. le considerazioni critiche di C OX, op. cit., p. 210 s. In generale sul tema v. K ORHONEN, op. cit., p. 528 s.; HILL HAWK, op. cit., p. 125; FRIEDRICH, op. cit., p. 287 s.; B ENZING , op. cit., p. 352 ss.; SALAMUN, op. cit., p. 59 s. C HESTERMAN, Kosovo in Limbo, cit., p. 10, rileva che tale paradosso divide anche gli stessi funzionari dell’UNMIK. 27 SALAMUN, op. cit., p. 131 ss. 28 C APLAN, op. cit., p. 77.
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riacutizzarsi di tensioni e conflitti, possano giustificare solo in parte tale accentramento che, visto nella sua oggettività, appare non corrispondente ai valori che l’ONU persegue. Questa critica appare ancor più fondata se si considerano l’esiguità e la scarsa incisività dei meccanismi di controllo sugli atti e i comportamenti delle Amministrazioni territoriali, sia quelli interni all’Organizzazione, sia quelli ad essa esterni, su cui ci soffermeremo più avanti29 . Inoltre, in questo modo si lede il fondamentale principio di accountability, che si è progressivamente affermato e che caratterizza ogni sistema di amministrazione finalizzato a garantire il benessere della popolazione amministrata. Il termine accountability, infatti, il quale non ha un corrispettivo in italiano, può essere identificato come comprensivo della responsabilità dei governanti nei confronti dei governati, sia nel senso di rendere conto ad essi delle proprie azioni, sia in quello di tener conto della loro volontà. Esso si applica anche alle organizzazioni internazionali, in primis all’ONU, quando si trovano ad amministrare un territorio30 . 2. L’esercizio di funzioni amministrative e giudiziarie. Il potere di nomina e di revoca dei pubblici funzionari Il principale potere assegnato alle Amministrazioni territoriali consiste nell’organizzazione e nello svolgimento diretto di funzioni di gestione diretta del territorio amministrato e della sua popolazio29 V. infra, capitolo IV, sezione II. Per un primo approfondimento v. STAHN, Governance beyond the State, in IOLR, 2005, p. 9 ss. 30 Il tema dell’accountability delle organizzazioni internazionali è stato di recente oggetto di studio da parte di un comitato ad hoc dell’International Law Association (cfr. il rapporto finale presentato alla Conferenza di Berlino del 2004, consultabile sul sito internet www.ila-hq.org). Sull’accountability delle organizzazioni internazionali e dell’ONU in particolare, v. REINISCH, Governance without Accountability?, in German YIL, 2001, p. 270 ss., partic. p. 279 ss.; HOLDER, International Organizations: Accountability and Responsibility, in ASIL Proc., 2003, p. 231 ss.; HAFNER, Accountability of International Organizations, ivi, p. 236 ss.; NANDA, Accountability of International Organizations: Some Observations, in Denver JILP, 2005, p. 379 ss.; VERDIRAME, UN Accountability for Human Rights Violations in Post-Conflict Situations, in WHITE (N.D.) e K LAASEN (eds.), op. cit., p. 92 ss. WELLENS, Accountability of International Organizations: Some Salient Features, in ASIL Proc., 2003, p. 241 ss., rileva come, in numerose attività delle organizzazioni internazionali «if accountability mechanisms exist, they are not available to nonstate actors», il che è particolarmente criticabile per le operazioni di pace e induce a ritenere auspicabile la creazione di meccanismi giudiziari o quasi-giudiziari o, almeno, di inspection panels o di un ombudsman’s office. In tema v. infra, capitolo IV, par. 8.
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ne, o comunque nella direzione e nel controllo sulle modalità di esercizio di tali funzioni da parte delle istituzioni locali. Come accennato, nella fase iniziale di dispiegamento dell’Amministrazione territoriale può accadere che la stessa gestisca in maniera esclusiva tali funzioni, per motivi di emergenza ovvero legati alla mancanza di personale qualificato. In questi casi l’Amministrazione provvede a creare le strutture civili del territorio, al fine di passare progressivamente da una gestione esclusiva ad una co-gestione31 . Peraltro, nei casi in cui non vi siano particolari esigenze di una gestione esclusiva da parte dell’Amministrazione territoriale, sin dall’inizio la stessa utilizza le strutture civili locali preesistenti. Il maggior coinvolgimento possibile della popolazione locale, infatti, evita la sensazione di una eccessiva gestione straniera del territorio, favorisce la formazione e l’addestramento del personale locale ed è consigliabile anche per motivi linguistici e di migliore utilizzazione delle risorse economiche32 . Il potere di amministrazione diretta comprende anche quello di nomina dei pubblici funzionari, che viene di regola esercitato in modo altamente discrezionale, così come il connesso potere di revoca33 . Ciò che è particolarmente criticabile non è tanto il potere di revoca in sé, quanto le modalità del suo esercizio e la mancanza di strumenti per contestare tale scelta in giudizio, soprattutto quando viene utilizzato per rimuovere dall’incarico un soggetto che sia stato scelto dagli abitanti del territorio amministrato. È insomma ben strano che si spinga la popolazione a scegliere i propri rappresentanti e poi si possa, con un atto d’autorità fortemente discrezionale, rimuovere dall’incarico la persona che è stata scelta democraticamente34 . Lo stesso dev’essere rilevato con riferimento ai giudici, rispetto ai quali diviene concreta la preoccupazione già segnalata sulla mancanza di separazione tra i poteri, laddove chi esercita il potere esecutivo può 31
B EAUVAIS, op. cit., p. 1133 ss. In argomento v. infra, capitolo III, par. 4. C APLAN, op. cit., p. 50 ss. 33 Già nel caso dell’UNTAC il Rappresentante speciale aveva il potere di collocare personale in ogni agenzia governativa, con accesso a tutti i documenti e poteva chiedere la ricollocazione o la rimozione del personale cambogiano. Per l’UNTAES cfr. il par. 5 del citato rapporto del Segretario generale S/1996/705 del 28 agosto 1996; per l’UNMIK, cfr. il par. 40 del rapporto del Segretario generale S/1999/779, cit. 34 Con riferimento al contesto bosniaco C OX, op. cit., p. 218 rileva: «Dismissing individual officials seems to be more a gesture of frustration with the slow progress of the peace process than a coherent strategy. There is no sign that dismissing a single official changes the political environment in strategic locations». L’affermazione può essere estesa alle Amministrazioni territoriali dell’ONU. 32
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seriamente condizionare chi esercita la funzione giudiziaria35 . In materia di nomina e rimozione dei giudici e dei pubblici ministeri la prassi non appare peraltro univoca36 . In alcuni casi, come ad esempio nelle amministrazioni realizzatesi a Danzica e a Mostar, l’indipendenza fu assicurata sin dal loro dispiegamento, mentre in altri (Trieste, Gerusalemme, Br ko) si è passati da una nomina inizialmente effettuata dall’autorità internazionale incaricata dell’amministrazione ad un sistema che ha garantito maggiore indipendenza. Anche nei due esempi più recenti, quelli del Kosovo e di Timor est, nonostante il richiamo all’indipendenza del potere giudiziario contenuto nei documenti relativi alle due Amministrazioni37 , inizialmente le nomine sono state effettuate discrezionalmente dal Rappresentante speciale, che si è avvalso delle indicazioni fornitegli da organi a carattere consultivo. Solo in un secondo momento si è passati ad una procedura di nomina che ha tutelato maggiormente l’indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo38 . Il Rappresentante 35
C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 155, rileva come l’UNMIK e l’UNTAET rappresentino l’unico caso in cui un’operazione delle Nazioni Unite ha esercitato «full judicial power within a territory». 36 In tema v. diffusamente SALAMUN, op. cit., p. 134 ss. 37 Cfr., nel caso del Kosovo, il par. 40 del rapporto del Segretario generale S/1999/779, cit., in base al quale il Rappresentante speciale «shall, furthermore, promote the independence of the judicial system as the guarantor of the rule of law»; l’indipendenza del potere giudiziario è anche affermata nel Constitutional framework. Nel caso di Timor est, cfr. i regolamenti dell’UNTAET n. 2000/11 (On the Organization of Courts in East Timor), adottato il 6 marzo 2000, e n. 2001/25 (On the Amendment of UNTAET Regulation No. 2000/11 on the Organization of Courts in East Timor and UNTAET Regulation No. 2000/30 on the Transitional Rules of Criminal Procedure), adottato il 14 settembre 2001. 38 Cfr. il regolamento n. 1999/3 dell’UNTAET (On the Establishment of a Transitional Judicial Service Commission), adottato il 3 dicembre 1999, parzialmente modificato dal successivo regolamento n. 2001/26 (On the Amendment of UNTAET Regulation No. 1999/3 on the Establishment of a Transitional Judicial Service Commission and on the Amendment of UNTAET Regulation No. 2000/16 on the Organization of the Public Prosecution Service in East Timor), adottato il 14 settembre 2001. La Commissione era composta da tre est timoresi e due stranieri, nominati (e suscettibili di essere rimossi) dal Rappresentante speciale del Segretario generale per un periodo di sei mesi, rinnovabile. In Kosovo il compito spettò inizialmente al Kosovo Judicial and Prosecutorial Council, istituito con il regolamento n. 2001/8 dell’UNMIK (On the Establishment of the Kosovo Judicial and Prosecutorial Council), adottato il 6 aprile 2001. Il Consiglio, composto in maggioranza da stranieri, ha preso il posto della precedente Advisory Judicial Commission, istituita con il regolamento n. 1999/7 dell’UNMIK (On Appointment and Removal from Office of Judges and Prosecutors), adottato il 7 settembre 1999. In seguito, con il regolamento n. 2005/52 dell’UNMIK (On the Establishment of the Kosovo Judicial Council),
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speciale può, a proprio discrezione e senza le adeguate garanzie, anche rimuovere dall’incarico chi esercita il potere giudiziario39 . Un ulteriore motivo di preoccupazione è anche dato dalla previsione, contenuta nella sezione 2 del citato regolamento n. 1999/24, in base alla quale i giudici possono chiedere al Rappresentante speciale chiarimenti sul diritto applicabile, il che, se fosse inteso nel senso di obbligare il giudice ad attenersi all’interpretazione data dal Rappresentante speciale, sarebbe palesemente in contrasto con i principi della separazione dei poteri e dell’indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo40 . In Kosovo e a Timor est le corti interne hanno assunto un carattere misto, sia sotto il profilo della loro costituzione, quale risultato della collaborazione tra le istanze locali e i Rappresentanti speciali, sia con riferimento alla composizione, in quanto accanto ai giudici e ai pubblici ministeri locali i Rappresentanti speciali ne hanno nominati alcuni stranieri41 , adottato il 20 dicembre 2005, è stato costituito il Kosovo Judicial Council, «to ensure the maintenance of an impartial, integrated, independent, professional and accountable judiciary». È positivo che tale nuovo Consiglio si presenti, nella sua composizione, caratterizzato da maggiore indipendenza rispetto ai precedenti, in quanto al Rappresentante speciale spetta il potere di nominare solo una parte dei componenti, mentre gli altri vi siedono d’ufficio, e che nel corso degli anni siano state limitate le attribuzioni del Rappresentante speciale in tale settore, cercando di giungere progressivamente ad una gestione “locale” del processo di nomina e rimozione dei giudici e dei pubblici ministeri, anche se l’ultima parola rimane al Rappresentante speciale. 39 SALZANO, op. cit., p. 118, segnala come in Kosovo il settore della magistratura sia uno di quelli in cui si manifesta maggiormente «[l]a mancanza di “riscontro sociale” di cui soffre per definizione un’amministrazione internazionale». 40 STAHN, Justice under Transitional Administration, cit., p. 331; SALAMUN, op. cit., p. 138. In senso contrario v. l’opinione di B RAND, Effective Human Rights Protection, cit., p. 358: «[...] the SGSR’s legal opinion does not seem to be binding on the courts». Come osservato criticamente da MOLE, Who Guards the Guards – the Rule of Law in Kosovo, in EHRLR, 2001, p. 296 ss., ricordando la sentenza del 24 novembre 1994 della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Beaumartin c. Francia (appl. 15287/89): «It is to be hoped that the Special Representative will not think that his “clarification” could constitute anything approaching a binding interpretation». 41 Cfr., in aggiunta a quelli già richiamati, il regolamento n. 2000/6 dell’UNMIK (On the Appointment and Removal from Office of International Judges and International Prosecutors), adottato il 15 febbraio 2000. Esso si applicava limitatamente al territorio di competenza della Corte distrettuale di Mitrovica. Il successivo regolamento n. 2000/34 dell’UNMIK (Amending UNMIK Regulation No. 2000/6 on the Appointment and Removal from Office of International Judges and International Prosecutors), adottato il 27 maggio 2000, ha esteso la nomina di giudici e pubblici ministeri stranieri all’intero territorio del Kosovo. Inoltre, in base alle sezioni 1.2 e 1.3 del citato regolamento n. 2000/6 dell’UNMIK, i giudici e i pubblici ministeri stranieri hanno la possibilità di scegliersi i casi da trattare, il che comporta però il ve-
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sia infine alle norme di diritto e di procedura da applicare42 . Queste esperienze sono riconducibili al modello che è correntemente definito di “corti ibride”, ossia corti interne rispetto alle quali l’intervento di un soggetto straniero rispetto al territorio interessato incide sulla loro costituzione e composizione, sul diritto applicabile e sulle regole di funzionamento43 . Esse, pur non qualificabili quali trinir meno di un elemento di garanzia costituito dall’assenza di un giudice predeterminato. Cfr. anche il regolamento n. 2001/2 dell’UNMIK (Amending UNMIK Regulation No. 2000/6, as Amended, on the Appointment and Removal from Office of International Judges and International Prosecutors), adottato il 12 gennaio 2001. In senso critico v. MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 119 ss.; SALAMUN, op. cit., p. 139. 42 Sull’azione dell’UNMIK e dell’UNTAET per la ricostruzione e riorganizzazione del sistema giudiziario v. STROHMEYER, Building a New Judiciary for East Timor: Challenges of a Fledging Nation, in Criminal LF, 2000, p. 259 ss.; ID ., Collapse and Reconstruction of a Judicial System: The United Nations Missions in Kosovo and East Timor, in AJIL, 2001, p. 46 ss.; ID ., Policing the Peace: Post-Conflict Judicial System Reconstruction in East Timor, in University of New South Wales Law Journal, 2001, p. 171 ss. (l’autore è stato Legal adviser dell’UNMIK e dell’UNTAET); B ETTS, C ARLSON e GISVOLD , The Post-Conflict Transitional Administration of Kosovo and the Lessons-Learned in Efforts to Establish a Judiciary and Rule of Law, in Michigan JIL, 2001, p. 371 ss.; L INTON, Rising from the Ashes: The Creation of a Viable Criminal Justice System in East Timor, in Melbourne ULR, 2001, p. 122 ss.; OTHMAN, Peacekeeping Operations in Asia: Justice and UNTAET, in Int. Law FORUM, 2001, p. 114 ss.; PRITCHARD , United Nations Involvement in Post-Conflict Reconstruction Efforts: New and Continuing Challenges in the Case of East Timor, in University of New South Wales Law Journal, 2001, p. 183 ss.; C HESTERMAN, Justice under International Administration, cit., p. 3 ss.; MARSHALL, Reviving the Judicial and Penal System in Kosovo, in PUGH e SIDHU (eds.), op. cit., p. 155 ss.; MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 95 ss.; K ATZENSTEIN, Hybrid Tribunals: Searching for Justice in East Timor, in Harvard HRJ, 2003, p. 245 ss.; VON C ARLOWITZ, op. cit., p. 372; C ERONE e B ALDWIN, Explaining and Evaluating the UNMIK Court System, in ROMANO, NOLLKAEMPER e K LEFFNER (eds.), Internationalized Criminal Courts and Tribunals, Oxford, 2004, p. 41 ss.; C ADY e B OOTH, Internationalized Courts in Kosovo: An UNMIK Perspective, in ROMANO, NOLLKAEMPER e K LEFFNER (eds.), op. cit., p. 59 ss.; Z UBILLAGA e GAMARRA, Towards the Rule of Law in Kosovo: The Judicial System under International Administration, in Global Community YILJ, 2006-I, p. 165 ss. 43 Sui c.d. “tribunali penali misti” la bibliografia è sovrabbondante e, in ragione di ciò, ci limitiamo a rinviare ai numerosi contributi apparsi in alcune opere collettanee di recente pubblicazione: A MBOS e OTHMAN (eds.), New Approaches in International Criminal Justice: Kosovo, East Timor, Sierra Leone and Cambodia, Freiburg im Breisgau, 2003; ROMANO, NOLLKAEMPER e K LEFFNER (eds.), op. cit.; A SCENSIO, L AMBERT-A BDELGAWAD e SOREL (dir.), Les juridictions pénales internationalisées (Cambodge, Kosovo, Sierra Leone, Timor Leste), Paris, 2006. Per la pertinente prassi più recente v. l’ampio studio condotto da FOCARELLI et al., The Case-Law of Criminal International and Hybrid Tribunals in the Two-Year Period 2005-2006, in CS, vol. XXIII, 2007, p. 565 ss.
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bunali penali internazionali, sono a questi accostabili in ragione dell’intromissione delle Nazioni Unite nell’esercizio di una funzione, quella giudiziaria, che è di regola riservata alla competenza interna degli Stati44 . Esula dalla presente indagine l’approfondimento delle modalità di repressione dei crimini commessi nei territori soggetti alle Amministrazioni istituite dal Consiglio di sicurezza45 . Ci limitiamo a rilevare che queste sono state spesso dispiegate in territori in cui sono stati commessi crimini internazionali da parte di individui e che gli stessi sono stati oggetto di modalità di accertamento e di repressione differenti. Le risoluzioni istitutive dell’UNTAES e dell’UNMIK hanno imposto loro, così come alla KFOR, di collaborare pienamente con il Tribunale penale internazionale per l’ex-Iugoslavia46 , istituito dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione n. 814 del 25 maggio 1993. Con riferimento ai crimini commessi nel Kosovo, è significativo che il Tribunale, in questi anni, abbia giudicato (o stia giudicando) sia quelli commessi dai serbi sia quelli degli albanesi, a testimonianza che le gravi violazioni dei diritti umani commesse in quel territorio non fossero addebitabili ad una sola delle parti in conflitto47 . In Kosovo, inol44
In tema v. le considerazioni di SHRAGA, The Second-Generation UN-Based Tribunals: A Diversity of Mixed Jurisdiction, in ROMANO, NOLLKAEMPER e K LEFFNER (eds.), op. cit., p. 15 ss.; C AHIN, L’impact des Tribunaux pénaux internationalisés sur la (re)construction de l’État, in A SCENSIO, L AMBERT-A BDELGAWAD e SOREL (dir.), op. cit., p. 265 ss. 45 In tema v. STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 171 ss.; ID ., United Nations Peace-Building, Amnesties and Alternative Forms of Justice: A Change in Practice?, in RICR/IRRC, 2002, p. 196 ss.; T URNS, op. cit., p. 123 ss.; K RITZ, Progress and Humility: The Ongoing Search for Post-Conflict Justice, in B ASSIOUNI (ed.), Post-Conflict Justice, Ardsley, 2002, p. 70 ss.; C LANTON, International Territorial Administration and the Emerging Obligation to Prosecute, in Texas ILJ, 2006, p. 569 ss. 46 Cfr., rispettivamente, il par. 20 della risoluzione n. 1037 e il par. 14 della risoluzione n. 1244. 47 Al giugno 2008, con riferimento a crimini commessi in Kosovo nel 1998 da albanesi appartenenti all’UCK, il Tribunale si è pronunciato, nei seguenti casi: Prosecutor v. Limaj, Musliu, and Bala (caso n. IT-03-66, giudicato in primo grado il 30 novembre 2005 e in appello il 27 settembre 2007), sul giudizio di primo grado v. il commento di C HIFFLET, The First Trial of Former Members of the Kosovo Liberation Army: Prosecutor v. Fatmir Limaj, Haradin Bala, and Isak Musliu, in Leiden JIL, 2006, p. 459 ss.; Prosecutor v. Haradinaj, Balaj, and Brahimaj (caso n. IT-04-84, giudicato in primo grado il 3 aprile 2008). Con riferimento ai crimini commessi da serbi nel Kosovo contro gli albanesi nei primi mesi del 1999 è attualmente pendente il processo contro sei imputati, tra responsabili politici e militari, Prosecutor v. Milutinovi e al. (caso n. IT-05-87), che comprendeva inizialmente tra gli accusati an-
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tre, per alcuni mesi, dopo il dispiegamento dell’UNMIK, sembrò sul punto di essere costituita una Kosovo War and Ethnic Crimes Court48 , ma in seguito la competenza a perseguire tali crimini è stata assegnata alle corti interne, che in alcuni casi – come accennato – comprendono anche una componente straniera49 . Con riferimento ai crimini commessi sul territorio di Timor est50 è stato scelto un approccio differente. Nel 2000 l’UNTAET ha creato una Serious Crime Investigation Unit51 all’interno della Dili District Court, al fine di investigare sui crimini gravi (genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità, omicidi, crimini sessuali, tortura) commessi tra il 1° gennaio e il 25 ottobre 1999, che devono poi essere che l’ex-Presidente iugoslavo Miloševi , prima che i due procedimenti fossero separati (Prosecutor v. Miloševi , caso n. IT-02-54). Com’è ampiamente noto, l’exPresidente iugoslavo, arrestato il 1° aprile 2001 dalle autorità serbe e trasferito al Tribunale per l’ex-Iugoslavia, è deceduto in carcere l’11 marzo 2006 in attesa di giudizio. 48 Cfr. il par. 111 del rapporto del Segretario generale S/2000/177 del 3 marzo 2000. In argomento v. MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 130 ss. 49 La presenza di alcune decine di giudici e di pubblici ministeri stranieri non si è dimostrata sufficiente a garantire una visione maggiormente oggettiva delle controversie, scevra cioè da motivazioni etniche, dal momento che i collegi sono stati spesso formati, oltre che da un cittadino straniero, da quattro giudici locali. Il regolamento n. 2000/64 dell’UNMIK (On Assignment of International Judges/Prosecutors and/or Change of Venue), adottato il 15 dicembre 2000, ha consentito al Department for Judicial Affairs di nominare, per i processi aventi ad oggetto crimini di guerra, anche dietro richiesta dei pubblici ministeri, dell’accusato o del suo difensore, un pubblico ministero straniero e un collegio giudicante composto in maggioranza da giudici stranieri qualora fosse necessario assicurare l’indipendenza e l’imparzialità del giudizio o la corretta amministrazione della giustizia. Cfr. anche il citato regolamento n. 2001/2 dell’UNMIK, che è volto, tra l’altro, a consentire ai pubblici ministeri stranieri di proseguire un’inchiesta che i giudici locali abbiano interrotto o archiviato. 50 Sui quali v. ampiamente il rapporto del 31 gennaio 2000 dell’International Commission of Inquiry on East Timor, nominata dal Segretario generale (UN Doc. A/54/726-S/2000/59), nel quale si proponeva tra l’altro l’istituzione di un tribunale penale internazionale ad hoc (par. 152). OTHMAN, East Timor: A Critique of the Model of Accountability for Serious Human Rights and International Humanitarian Law Violations, in Nordic JIL, 2003, p. 455, ritiene che tale scelta non sia stata dovuta alle difficoltà tecnico-finanziarie connesse all’istituzione di un ulteriore tribunale ad hoc, ma ad una scelta politica dovuta all’importanza dell’Indonesia. 51 Cfr. i regolamenti dell’UNTAET n. 2000/15 (On the Establishment of Panels with Exclusive Jurisdiction over Serious Criminal Offences), adottato il 6 giugno 2000, che individua la procedura e definisce i crimini, e il regolamento n. 2000/16 (On the Organization of the Public Prosecution Service in East Timor), adottato il 6 giugno 2000, che prevede un Deputy General Prosecutor for Serious Crimes. Il sistema giudiziario di Timor est è stato organizzato con il citato regolamento n. 2000/11.
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giudicati da Special Panels for Serious Crimes, composti da giudici locali e stranieri52 . Inoltre, nel 2001 l’UNTAET ha istituito la Commission for Reception, Truth and Reconciliation, avente il compito di fare luce sulle violazioni dei diritti umani commesse tra il 24 aprile 1974 e il 25 ottobre 199953 . Infine, dal momento che i menzionati Special Panels sono competenti a giudicare solo coloro che si trovano sul territorio di Timor est, anche l’Indonesia, in seguito ad una pressante richiesta della comunità internazionale54 , ha istituito l’Ad Hoc Human Rights Tribunal, collocato presso la Corte di Giacarta e competente a giudicare i responsabili di quei crimini che si trovino sul territorio indonesiano55 . 52
L’UNTAET, con il regolamento n. 2000/30 (On Transitional Rules of Criminal Procedure), adottato il 25 settembre 2000, ha disposto le regole di procedura penale da applicare temporaneamente nelle corti di Timor est. L INTON, Prosecuting Atrocities at the District Court of Dili, in Melbourne JIL, 2001, p. 414 ss., critica la scelta di perseguire quei crimini in base al diritto interno, piuttosto che considerarli quali violazioni di norme del diritto internazionale umanitario e quali crimini internazionali degli individui. Per una ricostruzione parzialmente differente v. SAUL, Was the Conflict in East Timor ‘Genocide’ and Why Does it Matter?, ivi, p. 477 ss.; OTHMAN, East Timor: A Critique, cit., p. 449 ss. In tema v. anche T URNS, op. cit., p. 134 ss. 53 Cfr. il regolamento n. 2001/10 dell’UNTAET (On the Establishment of a Commission for Reception, Truth and Reconciliation in East Timor), adottato il 13 luglio 2001. In tema v. STAHN, Accommodating Individual Criminal Responsibility and National Reconciliation: The UN Truth Commission for East Timor, in AJIL, 2001, p. 952 ss.; B URGESS, Justice and Reconciliation in East Timor. The Relationship between the Commission for Reception, Truth and Reconciliation and the Courts, in Criminal LF, 2004, p. 135 ss.; L YONS, Getting Untrapped, Struggling for Truth: The Commission for Reception, Truth and Reconciliation (CAVR) in East Timor, in ROMANO, NOLLKAEMPER e K LEFFNER (eds.), op. cit., p. 99 ss. 54 Cfr., ad esempio, il par. 3 della risoluzione n. 1319 del 20 settembre 2000, in cui il Consiglio di sicurezza afferma, con riferimento alle milizie filo-indonesiane: «[...] grave violations of international humanitarian and human rights law have been committed [...] those responsible for these violations should be brought to justice» (nello stesso paragrafo il Consiglio richiama anche la lettera di pari tenore inviata il 18 febbraio 2000 del Presidente di turno del Consiglio di sicurezza al Segretario generale, UN Doc. S/2000/137). 55 Cfr. il decreto presidenziale n. 96/2001 del 1° agosto 2001, fondato sulla legge n. 26/2000 del 23 novembre 2000 sulle Human Rights Courts. Il decreto presidenziale n. 96/2001 è stato criticato, al pari del precedente decreto presidenziale n. 53/2001 del 23 aprile 2001 che è venuto a modificare, in quanto restringe la responsabilità ai soli crimini di genocidio e contro l’umanità commessi nei mesi di aprile e settembre 1999 in tre (Dili, Liquiça e Suai) dei tredici distretti in cui è suddiviso il territorio di Timor est (cfr. l’opinione dell’Alto Commissario per i diritti umani dell’ONU, UN Docc. E/CN.4/2001/37 del 6 febbraio 2001, A/56/337 del 6 settembre 2001 e E/CN.4/2002/146 del 21 marzo 2002). V. anche DE B ERTODANO, East
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L’istituzione di Amministrazioni territoriali è anche stata l’occasione per riflettere sull’utilità o meno di elaborare nell’ambito dell’ONU un codice penale da mettere a disposizione delle operazioni di pace, affinché possano utilizzarlo nel momento in cui si insediano e in attesa di definire la questione del diritto applicabile nel territorio amministrato, evitando così vuoti normativi. In senso favorevole si è espresso il Rapporto Brahimi, che, con specifico riferimento alla formazione del personale delle Amministrazioni territoriali, ha proposto l’adozione di un «interim legal code […] that contains the basics of both law and procedure»56 . Il Segretario generale ha istituito un gruppo di lavoro su tale questione, che si è però mostrato critico sulla possibilità di definire un “codice penale tipo” e propenso piuttosto a limitare l’attenzione agli aspetti pratici della procedura penale57 . 3. La responsabilità per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica Le Amministrazioni territoriali dell’ONU hanno tra i loro comTimor: Trials and Tribulations, in ROMANO, NOLLKAEMPER e K LEFFNER (eds.), op. cit., p. 79 ss.; L INTON, Unravelling the First Three Trials at Indonesia’s Ad Hoc Court for Human Rights Violations in East Timor, in Leiden JIL, 2004, p. 303 ss. Per gli sviluppi più recenti, v. RAINAUD , La Commission bilatérale “Vérité et Amitié”: une certaine conception de la justice en tant qu’instrument de la paix au Timor Leste et en Indonésie, in A SCENSIO, L AMBERT-A BDELGAWAD e SOREL (dir.), op. cit., p. 241 ss. 56 Cfr. il Rapporto Brahimi, cit., par. 81 s., che riprende sul punto un’idea già proposta in dottrina (v. K ELLY, op. cit., p. 98). In tema v. anche le osservazioni di SASSÒLI, op. cit., p. 140 s. 57 Cfr. UN Doc. A/55/502 del 21 ottobre 2000. Sull’ipotesi contenuta nel Rapporto Brahimi, nel senso dell’opportunità di elaborare un codice ad interim di diritto e procedura penale, v. B EAUVAIS, op. cit., p. 1156 e p. 1175; RAWSKI, To Waive or Not To Waive: Immunity and Accountability in U.N. Peacekeeping Operations, in Connecticut JIL, 2002, p. 132; STROHMEYER, Collapse and Reconstruction, cit., p. 62 s.; C HESTERMAN, Justice under International Administration, cit., p. 6; ID ., You, The People, cit., p. 169; DAUDET, op. cit., p. 533 (solo con riferimento ad un codice penale); SMITH e DEE, op. cit., p. 110; OSWALD , Model Codes for Criminal Justice and Peace Operations: Some Legal Issues, in Journal CSL, 2004, p. 253 ss.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 306 s.; mentre FITZPATRICK, op. cit., p. 26 ss., mette in luce l’esigenza di una normativa provvisoria in tema di restituzione di beni immobili. Sulla specifica questione della legislazione in materia di diritti di proprietà nel Kosovo v. VON C ARLOWITZ, Crossing the Boundary from the International to the Domestic Legal Realm: UNMIK Lawmaking and Property Rights in Kosovo, in Global Governance, 2004, p. 307 ss.
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piti quello di mantenere l’ordine pubblico nel territorio amministrato. Non si tratta, come in altre situazioni in cui è dispiegata un’operazione di pace, di svolgere eccezionalmente una ruolo di polizia per sopperire ad una situazione di instabilità all’interno dello Stato, né solo di effettuare una supervisione sull’esercizio di questa funzione da parte del sovrano territoriale58 . Il compito di amministrazione diretta dell’ONU richiede una gestione in prima persona dell’ordine pubblico all’interno del territorio, svolgendo anche attività che rientrano nei poteri di governo, come la costruzione e l’amministrazione del sistema carcerario, i controlli alle frontiere, l’investigazione criminale59 . A ciò si aggiunge il compito di formare le nuove forze di polizia del territorio in conformità ai principi dello stato di diritto e, laddove richiesto dalle circostanze, su base multietnica, al fine di trasferire loro progressivamente la gestione dell’ordine pubblico60 . Mentre l’UNTAC ebbe meri compiti di controllo sulla polizia civile, per favorire il mantenimento dell’ordine pubblico, l’applicazione imparziale delle leggi e la tutela dei diritti umani, è con le tre Amministrazioni istituite tra il 1996 e il 1999 che viene in rilievo la funzione di gestione diretta dell’ordine pubblico. L’UNTAES fu incaricata di istituire una forza di polizia temporanea, definirne la struttura e l’ampiezza, sviluppare e monitorare il programma di formazione, monitorare il trattamento degli accusati e il sistema carcerario; all’UNMIK fu assegnato il compito di mantenere la legge e l’ordine, inizialmente attraverso il dispiegamento di personale di polizia internazionale, ed essa dovette provvedere all’istituzione e alla formazione delle forze di polizia locali, mentre l’UNTAET ebbe l’incarico di garantire la sicurezza e mantenere la legge e l’ordine pubblico. L’esercizio dei compiti di polizia civile nei territori sotto amministrazione diretta richiede un impegno considerevole dell’ONU in 58
Sullo svolgimento di questi compiti da parte delle operazioni di pace v. C EL-
LAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 110 ss. 59
Sullo svolgimento di compiti di polizia e investigativi da parte delle Amministrazioni territoriali v. E IDE, The Internal Security Challenge in Kosovo, in Int. Spect., 2000, n. 1, p. 49 ss.; GUILLAUME, MARHIC e E TIENNE, op. cit., p. 321 ss.; C OCKELL, op. cit., p. 115 ss.; NAARDEN e L OCKE, Peacekeeping and Prosecutorial Policy: Lessons from Kosovo, in AJIL, 2004, p. 727 ss.; HOOD , Security Sector Reform in East Timor, 1999-2004, in Int. Pk. (Frank Cass), 2006, p. 60 ss. In generale, sul tema, v. GWALTNEY e WESTON, Soldiers as Cops, Judges and Jailers: Law Enforcement by the U.S. Military in Peace Operations, in B ASSIOUNI (ed.), op. cit., p. 863 ss. 60 La difficoltà di svolgere il duplice ruolo di mantenimento dell’ordine pubblico e di formazione delle nuove forze di polizia è stato segnalato dallo stesso Police Commissioner dell’UNMIK (cfr. UN Doc. S/2000/363, del 29 aprile 2000).
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termini di uomini e mezzi ed è reso più complesso dalla circostanza che solo alcuni Stati membri possiedono (e rendono disponibili per le operazioni di pace) propri reparti di polizia addestrati a svolgere tali mansioni nel territorio di un altro Stato, spesso in un contesto – sociale, politico, normativo – diverso da quello del proprio Stato e in un ambiente caratterizzato, almeno nella fase iniziale, da forti tensioni. Vi è poi, sotto il profilo pratico, un problema di coordinamento tra funzionari di polizia appartenenti a diversi Stati membri e dispiegati sul terreno come se fossero un’entità unica, dal momento che gli Stati fornitori di personale non hanno i medesimi standards in termini di addestramento, preparazione, rispetto per i diritti degli accusati, lotta alla corruzione, ecc. Ora, se è già difficile il coordinamento tra forze militari appartenenti a Stati diversi, come di regola avviene per le operazioni di pace incaricate di svolgere compiti militari, che richiedono un ridotto livello di interazione con la popolazione locale, la difficoltà è maggiore nelle Amministrazioni territoriali, il cui mandato include lo svolgimento di compiti di polizia, che incidono sensibilmente sulla comunità territoriale. In alcune situazioni, inoltre, per sopperire alla carenza di un adeguato numero di personale preparato e in ragione del fatto che la situazione sul terreno è stata caratterizzata da continue violenze e quindi, almeno nella fase iniziale, ha richiesto un approccio “pesante” al problema della sicurezza, le Amministrazioni territoriali hanno affidato i compiti di polizia alle forze militari61 . Queste ultime, però, non hanno le medesime competenze delle forze di polizia, né agiscono con gli stessi strumenti; di conseguenza, la militarizzazione della funzione di polizia accresce il rischio di violazioni dei diritti umani fondamentali, come ad esempio è avvenuto nel Kosovo, con la prassi dei c.d. executive orders (o extra-judicial detentions), ossia degli arresti per un lungo periodo senza l’elevazione di un’imputazione formale e la possibilità di mantenere in carcere un sospettato senza sottoporlo a processo62 , talora anche in presenza di un ordine dell’autorità giudiziaria per il suo rilascio. 61
Cfr., ad esempio, i regolamenti dell’UNMIK n. 2000/62 (On the Exclusion of Persons for a Limited Duration to Secure Public Peace, Safety and Order), adottato il 20 novembre 2000, n. 2001/7 (On the Authorization of Possession of Weapons in Kosovo), adottato il 21 febbraio 2001, e n. 2001/10 (On the Prohibition of Unauthorized Border/Boundary Crossing), adottato il 24 maggio 2001, che qualificano come autorità di “law enforcement” sia la Polizia dell’UNMIK sia la KFOR. 62 Cfr., a questo proposito, il regolamento n. 1999/2 dell’UNMIK (On the Prevention of Access by Individuals and Their Removal to Secure Public Peace and Order), adottato il 12 agosto 1999.
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A fronte di ciò, la strada da intraprendere sembra quella – suggerita dal più volte ricordato Rapporto Brahimi – della predisposizione, da parte degli Stati membri dell’ONU, di unità di polizia, addestrate secondo regole comuni e preparate ad agire in situazioni di profonda instabilità e di tensioni etniche, che possano essere dispiegate con rapidità63 . Inoltre, come già accennato, nei territori amministrati occorre procedere celermente alla costituzione e all’addestramento di forze di polizia locali, al fine di garantire quanto prima il loro affiancamento a quelle dell’Amministrazione territoriale e il successivo trasferimento della funzione di polizia a tale forze nazionali. 4. L’esercizio della funzione legislativa. Il progressivo coinvolgimento della popolazione locale Le Amministrazioni territoriali non svolgono, come di regola accade per molte delle operazioni di pace dell’ONU, una mera attività di consulenza o di assistenza legislativa alle autorità nazionali dello Stato in cui sono dispiegate, ma sono incaricate di amministrare in prima persona una comunità territoriale, che è caratterizzata da una propria tradizione giuridica e da propri usi e costumi. Ciò accresce enormemente le loro responsabilità, dovendo disciplinare una grande quantità di aspetti relativi alla gestione quotidiana del territorio stesso e alla vita dei suoi abitanti e incidere quindi in maniera diretta e rilevante sull’ordinamento giuridico interno e sul suo funzionamento64 . Inoltre, le Amministrazioni sono chiamate ad operare delle scelte rispetto alla precedente legislazione applicata nel territorio in cui sono dispiegate e quindi in merito alle determinazioni assunte dal sovrano territoriale che, in alcuni casi, tornerà ad amministrare il territorio una volta terminata l’operazione. Gli atti adottati a tal fine dalle Amministrazioni territoriali non hanno unicamente il valore di atti dell’Organizzazione. Essi, al di là dell’origine internazionale, non si distinguono dai normali atti normativi interni, in quanto non sono diretti a regolamentare la struttura ed il funzionamento dell’Amministrazione, ma a disciplinare aspetti della vita quotidiana della comunità territoriale amministrata65 . Si rea63
Cfr. il Rapporto Brahimi, cit., paragrafi 118-126. STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 145, definisce ciò come una “internazionalizzazione” del sistema giuridico precedentemente applicabile nel territorio. 65 RUFFERT, op. cit., p. 622; STAHN, The United Nations Transitional Adminis64
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lizza quindi una compenetrazione tra il diritto applicabile nel territorio e le norme progressivamente emanate dall’Amministrazione territoriale dell’ONU per svolgervi la propria attività. Gli atti delle Amministrazioni territoriali, inoltre, pur definiti genericamente “regolamenti”, hanno un valore giuridico superiore a quelli già vigenti nel territorio66 . In Kosovo e a Timor est i primi regolamenti adottati hanno riguardato il diritto applicabile nei due territori e, con una soluzione simile, hanno previsto che continuassero ad applicarsi le norme del diritto, rispettivamente, iugoslavo e indonesiano precedenti all’istituzione delle due Amministrazioni67 , a condizione che fossero compatibili con gli standards internazionali sui diritti umani, con il mandato assegnato alle Amministrazioni dalle risoluzioni istitutive del Consiglio di sicurezza e con i regolamenti successivi emanati dalle stesse Amministrazioni68 . Questa scelta, giustificata dalla necessità di evitare un vuoto normativo, è conforme alla precedente prassi realizzata dalle operazioni aventi compiti di amministrazione territoriale69 , ma ha comportato alcuni problemi di attuazione, in quanto i menzionati regolamenti, salvo rari casi, non hanno specificato quali tra le norme precedentemente in vigore fossero da considerarsi compatibili e hanno posto a carico degli operatori locali del diritto, spesso non dotati di una grande esperienza, il difficile compito della loro interpretazione e applicazione, caso per caso70 .
trations, cit., p. 146 ss.; DAUDET, op. cit., p. 528 ss.; DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 331. In senso dubitativo v., invece, B ENZING , op. cit., p. 321. 66 Sulla gerarchia delle fonti di norme applicabili nel territorio amministrato v. infra, capitolo III, par. 5. 67 Cfr., rispettivamente, le sezioni 1.1 e 1.2 del citato regolamento n. 1999/24 dell’UNMIK e la sezione 3 del regolamento n. 1999/1 dell’UNTAET (On the Authority of the Transitional Administration in East Timor), adottato il 27 novembre 1999. 68 Con riferimento al Kosovo cfr., in tal senso, già il par. 36 del rapporto del Segretario generale S/1999/779, cit. 69 Come rilevato da DAILLIER, L’administration internationale directe, cit., p. 60, con riferimento all’UNTEA e al Consiglio per la Namibia: «L’Organisation ne peut invoquer ni législation propre ni services publics en activité. Elle doit donc faire appel dans la mesure du possible aux Etats – ceux qui fournissent des contingents militaires pour les tâches de police et de securité du territoire – et à la legislation de l’Etat prédécesseur». 70 STROHMEYER, Collapse and Reconstruction, cit., p. 58 s.; DEVEREUX, Searching for Clarity: A Case Study of UNTAET’s Application of International Human Rights Norms, in WHITE (N.D.) e K LAASEN (eds.), op. cit., p. 300 ss.
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Nella prima fase, vale a dire nel momento in cui l’Amministrazione si insedia nel territorio e inizia la propria attività, la popolazione locale è consultata attraverso un organo istituito ad hoc, che riunisce alcuni suoi rappresentanti eminenti. In seguito, l’Amministrazione procede alla nomina e alla costituzione di altre strutture consultive, rappresentative della popolazione locale, al fine di poter progressivamente trasferire ad esse funzioni di co-amministrazione. Infine, una volta costituite istituzioni locali siffatte, avviene il trasferimento dei poteri, garantendo quindi anche la realizzazione del profilo interno del diritto all’autodeterminazione dei popoli71 (che, secondo l’opinione preferibile, postula il diritto di ogni popolo «di determinare le forme di organizzazione e le istituzioni politiche in cui riconoscersi» e non un più ampio diritto alla democrazia)72 . Nella fase successiva, quando l’Amministrazione trasferisce progressivamente i propri poteri alle istituzioni locali che si sono andate formando sotto la sua supervisione, non le compete più adottare gli atti normativi di governo del territorio, ma ha la più limitata funzione di valutarne la conformità con il mandato ricevuto e con il sistema delle fonti, procedendo poi alla loro promulgazione, dopo averli eventualmente emendati. Le spetta quindi in questo caso un potere di veto e di modifica con riferimento agli atti adottati dalle istituzioni rappresentative del territorio amministrato 73 . Durante l’amministrazione del bacino della Saar, le istituzioni di governo locali ebbero meri poteri consultivi74 , mentre nel caso dell’UNTEA le nuove leggi e i nuovi regolamenti furono adottati solo dopo aver consultato i Consigli rappresentativi e il Consiglio della Nuova Guinea occidentale. L’EUAM a Mostar adottò atti normativi 71
DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 329; SALAMUN, op. cit., p. 54. In senso contrario, con riferimento agli albanesi del Kosovo, v. QUANE, op. cit., p. 227. V. anche l’opinione di SALZANO, op. cit., p. 123: «Paradossalmente, durante il periodo di “co-gestione” [...] la componente locale aveva goduto di una capacità di incisione nella vita politica locale molto più efficace – anche se formalmente meno istituzionalizzata – di quanto è avvenuto a seguito della creazione delle PISG [Istituzioni provvisorie di autogoverno]». 72 In tema v. PALMISANO, Nazioni Unite e autodeterminazione interna. Il principio alla luce degli strumenti rilevanti dell’ONU, Milano, 1997, p. 88 e p. 391 ss., che non distingue l’autodeterminazione interna da quella esterna come fossero due diversi diritti spettanti al popolo, ma individua due dimensioni, quella esterna e quella interna, dello stesso diritto, quello di ogni popolo di stabilire lo status politico in cui riconoscersi in quanto tale. Così già A RANGIO-RUIZ, Autodeterminazione (diritto dei popoli alla), in EG, vol. IV, 1988, p. 5. 73 Sul punto torneremo infra, capitolo III, paragrafi 7 e 8. 74 SALAMUN, op. cit., p. 98 ss.
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tenendo conto dell’opinione delle parti in conflitto e della popolazione e fu creato un Advisory Council, competente anche a formulare proposte, decise per consensus, che fu in seguito sostituito da un’Assemblea comunale eletta dai cittadini75 . L’amministrazione del Distretto di Br ko ha invece previsto un Advisory Council e una District Assembly, eletta democraticamente e avente funzioni legislative e il potere di nominare un Executive Board e un District Government. Con riferimento alle tre Amministrazioni territoriali più recenti, nel caso dell’UNTAES fu lo stesso Segretario generale a suggerire la costituzione di un Consiglio transitorio e di diversi comitati ad hoc76 , che furono in seguito creati dall’Amministratore al fine di contribuire alla realizzazione di quanto previsto nell’Accordo di Erdut. Sia il Consiglio transitorio sia i comitati comprendevano un rappresentante del governo croato, uno della popolazione locale serba e di quella croata e di altre minoranze locali77 . A Timor est il coinvolgimento della popolazione locale fu previsto già dalla risoluzione istitutiva dell’UNTAET e la stessa Amministrazione adottò numerosi regolamenti per garantire tale coinvolgimento, passando, come già accennato, da un mero ruolo consultivo 78 ad uno di co-amministrazione79 . Nel settembre 2001 fu costituito un Consiglio dei ministri80 , mentre un’Assemblea costituente ad elezione diretta prese il posto del Con75
Cfr. gli articoli 7, 8 e 10.3 del citato memorandum of understanding. Cfr. il citato rapporto S/1995/1028. 77 Cfr. il paragrafi 14-16 del rapporto S/1995/1028, cit. 78 Cfr. il regolamento n. 1999/2 dell’UNTAET (On the Establishment of a National Consultative Council), adottato il 2 dicembre 1999, in base al quale tale Consiglio, che aveva poteri consultivi su tutte le questioni connesse all’esercizio delle funzioni legislative ed esecutive dell’UNTAET, comprendeva, oltre all’Amministratore transitorio, che lo presiedeva, 11 est timoresi e 3 stranieri, nominati dallo stesso Amministratore. SALAMUN, op. cit., p. 102 s., rileva come esso, per la sua composizione, la procedura di formazione e i limitati poteri non, ha assicurato la partecipazione effettiva degli est timoresi così come previsto nel regolamento n. 1999/2. Lo stesso è a dirsi per i Consigli di villaggio e sub-distrettuali, istituiti con il successivo regolamento n. 2000/13 dell’UNTAET (On the Establishment of Village and Sub-Districts Development Councils for the Disbursement of Funds for Development Activities), adottato il 10 marzo 2000. 79 Cfr. i regolamenti dell’UNTAET n. 2000/23 (On the Establishment of the Cabinet of the Transitional Government in East Timor), adottato il 14 luglio 2000, e n. 2000/24 (On the Establishment of a National Council), adottato in pari data e modificato dal successivo regolamento n. 2000/33 (To Amend Regulation No. 2000/24 on the Establishment of a National Council), adottato il 26 ottobre 2000. 80 Cfr. il regolamento n. 2001/28 dell’UNTAET (On the Establishment of the Council of Ministers), adottato il 19 settembre 2001, con cui fu anche istituita la East Timor Public Administration, gestita dalle istituzioni territoriali. 76
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siglio nazionale consultivo81 e, in seguito all’indipendenza, è divenuta il primo Parlamento di Timor Leste82 . In Kosovo fu costituito inizialmente un Kosovo Transitional Council con funzioni consultive, seguito all’inizio del 2000 da una Kosovo Joint Interim Administrative Structure, comprendente un Interim Administrative Council e un Joint Advisory Council, aventi entrambi carattere consultivo83 . A livello centrale furono poi progressivamente costituiti venti Dipartimenti amministrativi, guidati da un funzionario nazionale e da uno internazionale84 . A livello locale dal gennaio 2000 vi furono i Municipal Councils, mentre dopo le elezioni locali del 28 ottobre 200085 furono costituite le Assemblee municipali86 , verso le quali c’è stato il primo trasferimento di poteri da parte dell’UNMIK. Tra i numerosi regolamenti adottati dall’UNMIK in questi anni presenta un rilievo particolare il n. 2001/9 del 15 maggio 2001, contenente il Constitutional framework for provisional self-government in Kosovo, già in precedenza ricordato, che rappresenta il principale atto per l’autogoverno di quel territorio, su cui si fondano le Istituzioni provvisorie di autogoverno87 : l’Assemblea, il Presidente e il Primo 81
Cfr. il regolamento n. 2001/2 dell’UNTAET (On the Election of a Constituent Assembly to Prepare a Constitution for an Independent and Democratic East Timor), adottato il 16 marzo 2001. 82 Cfr. anche il regolamento n. 2002/1 dell’UNTAET (On the Election of the First President of an Independent and Democratic East Timor), adottato il 17 gennaio 2002, che ha disciplinato l’elezione diretta del Presidente del futuro Stato di Timor Leste. In tema v. la sintetica ricostruzione di A PPICCIAFUOCO, Timor est: processo costituente e transizione verso l’indipendenza, in DPCE, 2002, p. 516 ss. 83 Cfr. il regolamento n. 2000/1 dell’UNMIK (On the Approval of Kosovo Joint Interim Administrative Structure), adottato il 14 gennaio 2000. 84 Cfr. anche il rapporto del Segretario generale S/2000/177, cit. 85 Per una forte critica alla scelta dell’UNMIK di condurre queste elezioni, giudicate non “free and fair” in ragione della situazione venutasi a realizzare Kosovo cfr. la posizione della RFI espressa in UN Doc. S/2000/829, cit. Né, d’altro canto, appare convincente l’affermazione di B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 236, secondo cui «it is highly questionable whether the administration had to tolerate the conduct of elections for the central organs of Yugoslavia» in Kosovo, il che sembra negare del tutto la sovranità della RFI. 86 Cfr. il regolamento n. 2000/45 dell’UNMIK (On Self-Government of Municipalities in Kosovo), adottato l’11 agosto 2000, modificato dal successivo regolamento n. 2007/30, adottato il 16 ottobre 2006. 87 STAHN, Constitution Without a State? Kosovo under the United Nations Constitutional Framework for Self-Government, in Leiden JIL, 2001, p. 531 ss., ritiene che il Constitutional framework non sia concettualmente legato ad alcuno Stato e lo qualifica come «a “constitutional framework” for an internationalised territory», ma
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ministro a capo di un governo provvisorio con dieci ministri, cui in seguito è stata affidata la co-gestione delle scelte politiche principali. 5. Segue: la prevalenza delle norme adottate dalle Amministrazioni territoriali sulle norme locali. L’incerta collocazione delle norme internazionali sui diritti umani richiamate negli atti delle Amministrazioni territoriali Gli atti adottati dalle operazioni con funzioni di amministrazione territoriale prevalgono, di regola, sulle norme locali applicabili nel territorio amministrato88 . Come accennato, si tratta di norme che sono al contempo internazionali, in quanto adottate da un soggetto che è emanazione dell’ONU, e nazionali, in quanto volte a disciplinare l’assetto giuridico della comunità territoriale amministrata89 . La circostanza che il sistema normativo, inclusa la gerarchia delle fonti, sia stabilito dall’Amministrazione territoriale comporta un’intromissione importante negli affari interni del territorio o, nei casi in cui è applicabile il principio di autodeterminazione esterna90 , sul suo effettivo rispetto. non come una costituzione in senso formale, anche se non esclude tale evoluzione in futuro (p. 543 ss.). Per una critica al Constitutional framework sotto il profilo del mancato rispetto della sovranità iugoslava – anche in difformità con i c.d. accordi di Rambouillet – v. SANTORI, op. cit., p. 1706 s. Per una descrizione dell’azione dell’UNMIK in Kosovo fino all’adozione del Constitutional framework v. C ATENA, La Missione ONU in Kosovo: mantenere o fare la pace?, in CI, 2001, p. 579 ss. 88 Per un approfondimento della prassi v. SALAMUN, op. cit., p. 125 ss., che indica quali limitate eccezioni l’art. 2, par. 2, della Costituzione della Bosnia-Erzegovina, che riconosce prevalenza solo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e lo Statuto di Br ko, che è soggetto alla Costituzione bosniaca. 89 B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 229. K NOLL, Beyond the Mission Civilisatrice: The Properties of a Normative Order within an Internationalized Territory, in Leiden JIL, 2006, p. 280, parla a tale proposito di “collasso” del dualismo nel territorio sottoposto ad un’Amministrazione territoriale dell’ONU che, «though not sovereign, is exclusively subject, without the intervention of any other state entity, to international norms and legislation created by the international organ administering it». 90 Né la risoluzione n. 1244, né la risoluzione n. 1272 parlano di autodeterminazione, anche se nella seconda il Consiglio di sicurezza prende nota della volontà chiaramente espressa dal popolo di Timor est nel senso di intraprendere un processo di transizione, sotto l’autorità delle Nazioni Unite, finalizzato all’indipendenza. C ONFORTI, Le Nazioni Unite, cit., p. 222, rileva che gli atti di governo di territori sotto il controllo e le direttive del Consiglio devono conformarsi al diritto internazionale generale, particolarmente al diritto umanitario ed al principio di autodeterminazione dei popoli.
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L’accennata prevalenza emerge nell’atto istitutivo dell’Amministrazione, ovvero in uno dei primi atti adottati dalla stessa. Il progetto di amministrazione per Gerusalemme, ad esempio, prevedeva che la legislazione in vigore il giorno precedente il termine del mandato inglese restasse in vigore in città nella misura in cui non fosse in contrasto con lo Statuto e che avrebbe potuto essere sostituita o emendata dalla legislazione successiva91 , mentre quello per Trieste disponeva che la Costituzione (atto di diritto interno) sarebbe stata sottoposta allo Statuto (atto di diritto internazionale)92 . Con riferimento alla Nuova Guinea occidentale, l’art. XI dell’Accordo del 15 agosto 1962 impegnò l’UNTEA ad agire rispettando “lo spirito e il quadro” di quel trattato, che fu quindi posto in posizione di superiorità rispetto agli atti adottati dall’Amministrazione. L’Accordo inoltre assegnò all’UNTEA il potere di promulgare norme attuative dell’Accordo di New York e dispose che le leggi e i regolamenti in vigore restassero tali se conformi alla lettera e allo spirito dell’accordo. In Kosovo, il diritto applicabile comprende, in primo luogo, i regolamenti promulgati dal Rappresentante speciale e gli atti ad essi sussidiari (che nella prassi hanno assunto la veste di direttive amministrative) e, in secondo luogo, le leggi in vigore in Kosovo al 22 marzo 1989, ossia prima che il Parlamento serbo eliminasse lo statuto di autonomia di questo territorio93 . Come accennato, la sezione 1 del regolamento n. 1999/24 prevede anche che, se una questione non è disciplinata dalla legge applicabile al 22 marzo 1989, in via eccezionale debba essere data applicazione alle leggi successive (ossia quelle iugoslave e serbe adottate tra il 1989 e il 1999), a condizione che non abbiano un carattere discriminatorio e siano conformi agli standards internazionali sui diritti umani o qualora, trattandosi di norme relative ai procedimenti penali, contengano una disciplina di maggiore favore verso l’imputato94 . Nel caso di Timor est, abbiamo accennato alla circostanza che l’UNTAET, con il regolamento n. 1999/1, alle sezioni 3 91
Cfr. l’art. 43, par. 6, del progetto aggiornato di Statuto, cit. Si segnala come a Gerusalemme lo Statuto sarebbe stato anche la Costituzione. 92 Cfr. l’art. 10 dello Statuto provvisorio, cit. 93 Cfr. la sezione 1 del citato regolamento n. 1999/24: «The law applicable in Kosovo shall be: (a) The regulations promulgated by the Special Representative of the Secretary-General and subsidiary instruments issued thereunder; and (b) The law in force in Kosovo on 22 March 1989. In case of a conflict, the regulations and subsidiary instruments issued thereunder shall take precedence». 94 Ciò trova conferma anche nel successivo regolamento n. 2000/59 dell’UNMIK (Amending UNMIK Regulation No. 1999/24 on the Law Applicable in Kosovo), adottato il 27 ottobre 2000.
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e 4, chiarisce la prevalenza delle norme sui diritti umani e di quelle (regolamenti e direttive) adottate dall’UNTAET sulla normativa interna (consistente nella precedente legislazione indonesiana)95 , almeno fino al trasferimento dell’autorità dall’Amministrazione territoriale alle istituzioni democratiche del territorio, le quali hanno il potere di modificare le norme adottate dall’UNTAET96 . Un rilievo particolare tra le norme applicabili nei territori amministrati hanno quelle internazionali pattizie a tutela dei diritti umani97 , che sono in genere richiamate nei vari atti istitutivi ed espressamente dichiarate applicabili dalle Amministrazioni territoriali nell’esercizio del loro potere legislativo. Si realizza così quella che sembra possibile qualificare come una ricezione materiale del contenuto di quegli accordi nell’ordinamento giuridico del territorio amministrato. Le disposizioni contenute in quei trattati sono richiamate da atti normativi emanati dall’Amministrazione e potranno essere successivamente (e autonomamente) abrogate dalle istituzioni locali progressivamente create. In definitiva, non si realizza un’adesione a quegli accordi98 , quanto piuttosto l’inserimento del loro contenuto nel sistema giuridico applicabile all’interno del territorio amministrato 99 . Si pone la questione di come collocare le norme internazionali a tutela dei diritti umani richiamate negli atti adottati dalle Amministrazioni territoriali nella gerarchia delle fonti di diritto applicabili nel territorio. Dal momento che la loro applicazione è prevista da un rego95
Cfr. anche la sezione 3 del citato regolamento n. 1999/1 dell’UNTAET: «Until replaced by UNTAET regulations or subsequent legislation of democratically established institutions of East Timor, the laws applied in East Timor prior to 25 October 1999 shall apply in East Timor insofar as they do not conflict with the standards referred to in section 2 [quelli internazionali sui diritti umani], the fulfilment of the mandate given to UNTAET under United Nations Security Council resolution 1272 (1999), or the present or any other regulation and directive issued by the Transitional Administrator». 96 Si segnala peraltro che la sezione 167 della Costituzione di Timor Leste dispone che i regolamenti dell’UNTAET restino in vigore anche dopo l’indipendenza, mentre la sezione 163 prevede lo stesso anche per il sistema giudiziario stabilito dall’Amministrazione. 97 Sul rilievo delle norme a tutela dei diritti umani quale limite all’azione delle Amministrazioni territoriali e sul possibile ricorso ai meccanismi di tutela dei diritti umani azionabili da parte dei singoli, previsti da alcuni accordi internazionali, in particolare dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nei confronti delle Amministrazioni stesse v. ampiamente infra, capitolo IV, paragrafi 5 e 7. 98 DAUDET, op. cit., p. 532. 99 DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 408: «Les conventions [...] en cause ne sont prises en considération que pour leur contenu matériel, non pas en tant que support juridique».
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lamento dell’Amministrazione territoriale, andranno considerate come sottoposte a questo?100 In Kosovo il Constitutional framework ha chiarito che le norme internazionali sui diritti umani in esso richiamate sono direttamente applicabili e devono essere osservate dalle Istituzioni provvisorie di autogoverno 101 , sancendo quindi la prevalenza delle norme sui diritti umani sulle norme adottate dalle istituzioni territoriali. Il Constitutional framework, inoltre, al capitolo 9.4.11, lett. a), prevede l’istituzione di una Camera speciale della Corte suprema competente a decidere se una legge adottata dall’Assemblea del Kosovo – non quindi un regolamento dell’UNMIK – sia compatibile con il Constitutional framework e richiama espressamente «the international legal instruments specified in Chapter 3 on Human Rights», al fine di utilizzarli come parametro di legittimità per le leggi adottate dall’Assemblea102 . La soluzione più corretta appare quella di collocare le norme di atti internazionali sui diritti umani richiamate nei regolamenti delle Amministrazioni territoriali sullo stesso piano di altri regolamenti definiti “costituzionali”, ossia quelli che affermano valori e principi e disciplinano la struttura istituzionale del territorio103 . Esse sono quindi suscettibili di essere derogate da regolamenti successivi aventi il medesimo carattere e sono superiori rispetto agli altri regolamenti e alle direttive amministrative adottate dalle Amministrazioni e alla legislazione locale.
100
È la posizione di B RAND , Institution-Building, cit., p. 476, che però critica tale scelta. NILSSON, op. cit., p. 396, in base alla previsione posta dalla sezione 1.2 del citato regolamento n. 2000/59 dell’UNMIK, li subordina anche alla legge applicabile in Kosovo al 22 marzo 1989. In questo senso si è espressa anche l’Ombudsperson Institution in Kosovo nel par. 10 del suo rapporto speciale n. 2 del 30 maggio 2001, Certain Aspects of UNMIK Regulation No. 2000/59 Amending UNMIK Regulation No. 1999/24 on the Law Applicable in Kosovo (27 October 2000). 101 Cfr. rispettivamente i capitoli 3.3 e 3.2. 102 La Camera speciale, che ha anche il compito di risolvere le controversie tra le Istituzioni provvisorie di autogoverno, al 2008 non risulta ancora costituita. In tema v. le osservazioni critiche di STAHN, Constitution Without a State?, cit., p. 553 ss.; MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 108. K NOLL, Beyond the Mission Civilisatrice, cit., p. 284 ss., segnala la difficoltà di applicare tale sistema, in quanto anche se alcuni poteri sono stati trasferiti alle Istituzioni provvisorie, spesso le leggi adottate sono il risultato di decisioni assunte in parte dall’Assemblea, in parte dall’UNMIK. 103 RUFFERT, op. cit., p. 613 ss.; DAUDET, op. cit., p. 529 s.; SALAMUN, op. cit., p. 127.
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6. Il potere estero delle Amministrazioni territoriali Nella prassi le Amministrazioni internazionali hanno esercitato anche un potere estero, sia sotto forma di conclusione di accordi internazionali, sia per l’instaurazione di relazioni di natura diplomatica con altri soggetti internazionali, sia infine con riferimento alla protezione degli interessi degli abitanti del territorio amministrato. Si tratta di una prassi non lineare e che occorre considerare con cautela al fine di determinarne la legittimità. Con riferimento alla conclusione di accordi, il relativo potere è stato riconosciuto alle Amministrazioni territoriali nei rispettivi atti istitutivi o si è comunque manifestato nella prassi in seguito al loro dispiegamento. Si tratta di accordi conclusi con il sovrano territoriale o con altri soggetti di diritto internazionale e che hanno avuto ad oggetto il territorio amministrato ovvero lo svolgimento da parte delle Amministrazioni territoriali delle loro funzioni. Un primo caso ha riguardato il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia, che nel 1974 è divenuto un membro associato in alcuni istituti specializzati dell’ONU, tra cui l’Organizzazione mondiale della sanità, e che alla fine degli anni ’70 è entrato a far parte di pieno diritto di altri istituti specializzati104 . Lo stesso Consiglio per la Namibia è stato anche ritenuto competente e capace di concludere accordi in nome di quel territorio 105 , considerata la situazione eccezionale di un territorio sotto amministrazione internazionale, posto sotto la responsabilità diretta dell’ONU, negli stessi termini in cui tale potere era posseduto dalla precedente potenza mandataria106 . Nel caso dell’UNTAES, invece, furono stipulati diversi accordi con la Croazia, in particolare per il co-finanziamento dei servizi pub104 Come la FAO (nel 1977), l’ILO (nel 1978), l’UNESCO (nel 1978). In tema v. OSIEKE, Admission to Membership in International Organizations: The Case of Namibia, in British YBIL, 1980, p. 189 ss. Con riferimento al potere estero Z ACKLIN, op. cit., p. 311 ss., rileva che il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia ha potuto esercitare effettivamente e in maniera positiva il suo compito di autorità amministratrice, che non poté svolgere a livello interno. Nello stesso senso cfr. Annuaire juridique des Nations Unies, 1982, p. 193 («peut promulguer les lois, décrets et règlements administratifs nécessaires, mais il ne possède pas actuellement les moyens d’appliquer ces mesures»). 105 Cfr. ad esempio la risoluzione n. 38/21 del 22 novembre 1983, con cui l’Assemblea generale accolse con favore l’accettazione da parte della Namibia, rappresentata dal Consiglio delle Nazioni Unite, avvenuta l’11 dicembre 1982, della Convenzione del 1965 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. 106 Cfr. Annuaire juridique, cit., p. 191 ss.
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blici nel territorio croato amministrato dall’UNTAES107 e al fine di assicurare alla popolazione della Slavonia orientale e degli altri territori sotto amministrazione il godimento di certi diritti nella fase successiva alla partenza dell’UNTEAS e al loro ritorno sotto il controllo del Governo croato 108 . Il primo tipo di accordi può essere fatto rientrare tra quelli volti al funzionamento dell’Amministrazione territoriale, mentre quelli del secondo tipo sembrano caratterizzare l’UNTEAS quale mediatore tra le parti al fine di rendere effettivi gli obblighi assunti con l’Accordo di Erdut, in particolare quelli assunti dal Governo croato. Con riferimento all’Amministrazione del Kosovo, anche se la risoluzione n. 1244 non riconosce all’UNMIK il potere di concludere accordi internazionali, nondimeno l’operazione lo ha esercitato nel corso della propria azione. L’UNMIK si è in seguito espressamente assegnata tale competenza con il capitolo 8.1 del Constitutional framework109 . Tra i numerosi accordi conclusi dall’UNMIK ricordiamo quello con la FYROM del 7 marzo 2000 sulla cooperazione transfrontaliera in tema di questioni economiche legate all’attraversamento della frontiera110 , gli accordi con la Svizzera del 6 aprile 2000 sul ritorno dei rifugiati e del 23 settembre 2000 sulla collaborazione tecnica e scientifica, l’accordo con gli Stati Uniti del 17 maggio 2002 sul sostegno ai progetti di investimento in Kosovo, l’accordo con l’Albania del 17 maggio 2002 sul trasporto su strada di passeggeri e merci, lo scambio di lettere con la FYROM del 27 novembre 2002 sulla cooperazione di polizia, l’accordo con l’ICAO del 24 febbraio 107
UN Doc. S/1996/648, cit. Cfr. gli accordi elencati nell’allegato I al rapporto del Segretario generale S/1997/953, del 4 dicembre 1997. 109 Come segnalato da K NOLL, From Benchmarking to Final Status? Kosovo and the Problem of an International Administration’s Open-Ended Mandate, in EJIL, 2005, p. 644 ss., «UNMIK authorized itself to exercise external affairs powers». Cfr. in particolare le lettere i (Exercising powers and responsibilities on an international nature in the legal field), m (Concluding agreements with states and international organizations in all matters within the scope of UNSCR 1244(1999)), n (Overseeing the fulfilment of commitments in international agreements entered into on behalf of UNMIK) e o (External relations [...] as may be necessary for the implementation of his mandate). Cfr. anche il regolamento n. 2004/30 dell’UNMIK (On the Promulgation of the Law on International Financial Agreements Adopted by the Assembly of Kosovo), adottato il 9 agosto 2004, che assegna al Rappresentante speciale il potere di concludere accordi con Stati o organizzazioni finanziarie internazionali in materia finanziaria, «acting for and on behalf of the PISG». 110 Cfr. il par. 20 del rapporto del Segretario generale S/2000/538 del 6 giugno 2000. 108
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2003 sui servizi di gestione, diversi accordi di libero scambio, il memorandum d’intesa con l’Italia del 18 settembre 2003 per un contributo finanziario a sostegno del ritorno dei rifugiati interni, i due accordi conclusi con il Consiglio d’Europa il 23 agosto 2004 per il reinserimento della Convenzione-quadro sulle minoranze nazionali nel diritto applicabile in Kosovo e sui meccanismi tecnici connessi all’applicazione della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti111 , l’accordoquadro con la Banca europea per gli investimenti del 3 maggio 2005 sulla gestione delle sue attività in quel territorio. L’esperienza dell’UNMIK sembra aver costituito la base dell’esplicita assegnazione all’UNTAET del potere di concludere accordi internazionali112 . Nella prassi, ricordiamo un accordo con l’International Development Association, concluso il 21 febbraio 2000 e trasfuso nel citato regolamento n. 13/2000 dell’UNTAET113 , il memorandum of understanding con l’Indonesia del 6 aprile 2000, sulla cooperazione per le questioni giuridiche, giudiziarie e di tutela dei diritti umani, lo scambio di note e quello del 10 febbraio 2000 con l’Australia per mantenere provvisoriamente in vigore l’accordo con l’Indonesia dell’11 dicembre 1989 sulla piattaforma continentale114 , nel
111
Sulla rilevanza di questi due accordi al fine di accrescere il livello di tutela dei diritti umani in Kosovo v. infra, capitolo IV, par. 8. 112 Così Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 449. Ciò fu riconosciuto nel già citato rapporto S/1999/1024, sottoposto dal Segretario generale al Consiglio di sicurezza per l’istituzione di tale Amministrazione. Cfr. il par. 35: «The United Nations will conclude such international agreements with States and international organizations as may be necessary for the carrying out of the functions of UNTAET in East Timor». 113 C HOPRA, Introductory Note, cit., p. 936 ss.; ID ., The UN’s Kingdom, cit., p. 29 s. La stipulazione di questo accordo è, per tale autore, la principale dimostrazione del trasferimento della sovranità su Timor est alle Nazioni Unite, dal momento che l’accordo è stato firmato dall’Amministratore territoriale come capo di Stato e non semplicemente come rappresentante delle Nazioni Unite. 114 Cfr. Exchange of Notes Constituting an Agreement between the Government of Australia and the United Nations Transitional Administration in East Timor (UNTAET) Concerning the Continued Operation of the Treaty between Australia and the Republic of Indonesia on the Zone of Cooperation in an Area between the Indonesian Province of East Timor and Northern Australia of 11 December 1989. In tema v. ONG , The Legal Status of the 1989 Australia-Indonesia Timor Gap Treaty Following the End of Indonesian Rule in East Timor, in Netherlands YIL, 2000, p. 67 ss.; ID ., The Legal Status of the Timor Gap Treaty Post-UN East Timor Referendum: Is State Succession to Joint Development Mandated by International Law?, in ANZSIL/ASIL Proc., 2000, p. 143 ss. In una prospettiva più ampia v. MCL AUGHLIN,
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concludere il quale l’UNTAET ha affermato di agire “a nome” di Timor est, prevedendo inoltre che l’accordo non potesse pregiudicare la posizione del futuro Stato indipendente. In seguito, il 5 luglio 2001, è stato concluso tra le medesime parti un memorandum of understanding sul Timor Sea Arrangement, negoziato insieme da rappresentanti dell’UNTAET e delle istituzioni provvisorie di governo di Timor est e poi firmato tra Australia e il nuovo Stato il 20 maggio 2002, giorno dell’indipendenza, come Timor Sea Treaty115 , in vigore dal 2 aprile 2003116 . La conclusione di accordi da parte delle Amministrazioni territoriali non è stata valutata in maniera univoca in dottrina. Alcuni affermano che non si tratta di veri accordi internazionali, i quali esulerebbero dalla competenza delle Amministrazioni territoriali, e quindi non ritengono possibile parlare di una personalità internazionale in capo alle Amministrazioni117 . Altri parlano di una «limited internaEast Timor, Transitional Administration and the Status of the Territorial Sea, in Melbourne JIL, 2003, p. 323 ss. 115 Cfr. Exchange of Notes Constituting an Agreement between the Government of Australia and the Government of the Democratic Republic of East Timor Concerning Arrangements for Exploration and Exploitation of Petroleum in an Area of the Timor Sea between Australia and East Timor; e il contestuale Timor Sea Treaty. In tema v. MORROW (J.) e WHITE (R.), op. cit., p. 25 ss.; A TWELL, East Timor and the Timor Gap Treaty: Coming to Terms with the Past, in ANZSIL Proc., 2002, p. 41 ss.; K NOLL, From Benchmarking to Final Status?, cit., p. 643 s. Il capo-delegazione dell’UNTAET per tale accordo ha sostenuto: «The East Timorese asked UNTAET to negotiate a new treaty that would take effect on East Timor’s independence» (GALBRAITH, op. cit., p. 211). 116 L’Accordo del 20 maggio 2002 non ha risolto tutte le controversie sui confini marittimi tra i due Stati. Il 6 marzo 2003 e il 12 febbraio 2006 l’Australia e Timor Leste hanno sottoscritto due ulteriori Accordi in materia (cfr. rispettivamente Agreement Relating to the Unitisation of the Sunrise and Troubadour Fields e Treaty on Certain Maritime Arrangements in the Timor Sea, entrambi in vigore dal 23 febbraio 2007) e il 21 marzo 2002 (ossia due mesi prima che Timor est divenisse indipendente) l’Australia ha, in via “precauzionale”, deciso di limitare la propria accettazione della competenza contenziosa della Corte internazionale di giustizia e del Tribunale internazionale del diritto del mare, escludendo le controversie relative alla delimitazione marittima e allo sfruttamento di ogni area marina contesa (cfr. Declaration under the Statute of the International Court of Justice concerning Australia’s Acceptance of the Jurisdiction of the International Court of Justice). In tema v., ex multis, T RIGGS e B IALEK, The New Timor Sea Treaty and Interim Arrangements for Joint Development of Petroleum Resources of the Timor Gap, in Melbourne JIL, 2003, p. 322 ss.; T RIGGS, The Timor Sea Treaty and the International Unitisation Agreement for Greater Sunrise: Practical Solutions in the Timor Sea, in Australian YBIL, 2004, p. 161 ss. 117 RUFFERT, op. cit., p. 630.
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tional legal personality» che i territori amministrati hanno quale conseguenza della loro internazionalizzazione e che è esercitata dall’UNMIK e dall’UNTAET118 . Altri, infine, fanno discendere tale competenza dalla nozione di trusteeship, che ingloba anche il diritto di rappresentanza esterna del territorio119 . A nostro avviso, il potere delle Amministrazioni territoriali di concludere accordi internazionali discende dal loro essere un’emanazione dell’ONU, la cui soggettività internazionale è un dato acquisito. Un problema diverso attiene al tipo di accordi che le Amministrazioni territoriali possono concludere e al loro oggetto. In proposito non sembrano esserci obiezioni di principio quando gli accordi riguardano semplici questioni inerenti l’organizzazione o il funzionamento dell’Amministrazione medesima, in quanto essa, esercitando poteri di governo sul territorio, si trova di fatto ad intrattenere rapporti internazionali, con la conseguenza che può essere indispensabile concludere degli accordi, o anche solo semplici intese, ai fini dell’amministrazione del territorio. Al contrario, con riferimento agli altri accordi sembra opportuno operare una distinzione tra i casi in cui l’Amministrazione agisce sul territorio di uno Stato sovrano e quelli in cui abbia luogo su un territorio conteso ovvero non sottoposto alla sovranità di alcuno Stato. Nelle situazioni considerate da ultimo, infatti, non basta la mera consultazione, ma occorrono il consenso e la partecipazione diretta ai negoziati da parte dei rappresentanti delle parti che si contendono la sovranità e/o della popolazione locale, specificando inoltre che gli accordi stessi dovranno essere in seguito confermati dalle autorità di governo che verranno a consolidarsi sul territorio. Quando invece l’Amministrazione territoriale sia costituita su una porzione del territorio di uno Stato sovrano, se si intende rispettarne la sovranità occorre limitare gli accordi internazionali a ciò che è strettamente necessario per il funzionamento dell’Amministrazione territoriale stessa. Tale soluzione si impone considerato che, se è vero che può riconoscersi all’Amministrazione, in quanto emanazione dell’ONU, l’esrcizio della personalità internazionale di quest’ultima, lo stesso non è possibile fare con riguardo alla porzione di territorio 118
Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 449; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 176 ss. SANTORI, op. cit., p. 1708 s., individua invece nella “self-defined external activity” una manifestazione del carattere di entità indipendente dell’UNMIK. 119 B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 241.
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amministrata120 . Né una diversa soluzione potrebbe affermarsi sul presupposto che l’Amministrazione territoriale si fonda su una risoluzione del Consiglio di sicurezza; questo, infatti, non ha il potere di imporre ad uno Stato l’adesione ad un accordo. Le Amministrazioni territoriali sono state chiamate a svolgere anche una funzione di rappresentanza diplomatica attiva e passiva, avviando contatti diplomatici, aprendo propri uffici all’estero e consentendone l’apertura da parte di Stati stranieri sul territorio amministrato. Nel corso dell’operazione di pace, infatti, il territorio in questione rimane al centro di intense relazioni diplomatiche con Stati e organizzazioni internazionali, in particolare per la presenza dell’Amministrazione territoriale, per l’impegno multinazionale che la sostiene e per quello finalizzato alla ricostruzione del sistema economico e infrastrutturale. L’UNMIK ha adottato il regolamento n. 2000/42 e l’UNTAET il regolamento n. 2000/31121 , con cui decisero l’istituzione di liaison offices e di representative offices di governi stranieri in quei territori al fine, oltre che di rappresentarli e intrattenere relazioni con le Amministrazioni territoriali, di proteggerne gli interessi, inclusi quelli dei loro cittadini e delle loro imprese, e di promuovere relazioni amichevoli con il territorio. Gli stessi regolamenti, pur non utilizzando la medesima terminologia, garantiscono ai componenti di tali uffici e ai loro congiunti privilegi, immunità ed esenzioni a carattere diplomatico, conformi alle consuete immunità diplomatiche di cui gli organi rappresentativi di uno Stato beneficiano nello Stato in cui sono inviati a svolgere la propria funzione di rappresentanza, in conformità con la Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961122 . Sia l’UNMIK sia l’UNTAET hanno aperto dei liaison offices in Stati e territori confinanti. La prima in Albania (a Tirana), nella FYROM (a Skopje) e a Podgorica123 , la seconda in Indonesia (a Gia120
Sul problema della soggettività internazionale dei territori soggetti all’amministrazione di un’organizzazione internazionale v. SALAMUN, op. cit., p. 30. 121 Cfr. il regolamento n. 2000/42 dell’UNMIK (On the Establishment and Functioning of Liaison Offices in Kosovo), adottato il 10 luglio 2000, e il regolamento n. 2000/31 dell’UNTAET (On the Establishment of Representative Offices of Foreign Governments in East Timor), adottato il 27 settembre 2000. 122 In questo senso v. STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 177 s.; Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 450; SANTORI, op. cit., p. 1709. In senso contrario v. RUFFERT, op. cit., p. 630. Per la posizione del tutto contraria della RFI all’istituzione di liaison offices in Kosovo, a tutela delle proprie prerogative sovrane, cfr. UN Doc. S/2000/829, cit. 123 Cfr. il par. 52 del rapporto del Segretario generale S/1999/779, cit.
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karta, ma anche a Kupang, nella parte occidentale di Timor), Nuova Zelanda (a Darwin), oltre che in Portogallo (a Lisbona), stante l’impegno a costituire con quest’ultimo Stato un meccanismo di consultazione124 . Già nel caso dell’UNTEA Indonesia e Paesi Bassi aprirono liaison missions in Nuova Guinea occidentale125 . A seconda dei casi si è trattato di esercitare una rappresentanza diplomatica piena, dal momento che mancava il sovrano territoriale (Timor est), oppure di supplire all’impossibilità del sovrano territoriale ad esercitarla (Kosovo). Nel primo caso non sembrano esserci obiezioni di principio all’esercizio della funzione di rappresentanza diplomatica attiva e passiva da parte dell’Amministrazione territoriale, a condizione che ciò avvenga con il coinvolgimento dei rappresentanti del territorio. Più problematica appare invece la situazione per quei territori che appartengono ad uno Stato sovrano, temporaneamente interdetto dall’esercitare i propri poteri di governo sul territorio amministrato. In questo caso, infatti, il diritto di rappresentanza diplomatica attiva e passiva appartiene al sovrano territoriale e risponde alle sue scelte di politica estera e ai suoi interessi nazionali, di cui rimane l’esclusivo detentore. Di conseguenza, l’Amministrazione territoriale potrebbe esercitare una funzione di rappresentanza diplomatica limitatamente allo svolgimento della loro attività e non quella, più ampia, che riguarda il territorio e che quindi potrebbe anche essere in contrasto con le scelte e gli interessi del sovrano territoriale. Se appare quindi legittimo consentire a Stati stranieri di aprire dei “punti di contatto” presso l’Amministrazione territoriale al fine di gestire i propri interessi coinvolti dall’operazione stessa (relazioni con il proprio personale impegnato nell’operazione, controllo sull’utilizzo dei finanziamenti messi a disposizione per la ricostruzione, ecc.), non così è a dirsi per l’avvio di vere e proprie relazioni diplomatiche con il territorio amministrato, poiché ad esso, in questi casi, manca un’autonoma soggettività internazionale. Infine, le Amministrazioni territoriali sono talora chiamate a svolgere un’ulteriore funzione caratteristica dell’esercizio della sovranità su una comunità territoriale, consistente nel garantire agli abitanti del territorio amministrato la possibilità di viaggiare oltreconfine e nella connessa possibilità di tutelarli all’estero qualora fossero vittime di violazioni dei propri diritti. In queste situazioni, infatti, gli abitanti dei territori sotto amministrazione o non possono essere tutelati da 124 125
Cfr. i paragrafi 36 e 45 del rapporto del Segretario generale S/1999/1024, cit. Cfr. Yearbook of the United Nations, 1962, p. 126.
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un sovrano territoriale, poiché non esiste ancora, o non si ritengono da questo tutelati, per esempio in ragione delle discriminazioni subite in passato. Anche con riferimento a tale questione la prassi non è univoca. La Città libera di Danzica poté fornire passaporti ai propri cittadini, ma la protezione degli stessi all’estero spettava alle autorità polacche, a condizione che i passaporti avessero un visto polacco126 . Nel caso dell’amministrazione della Saar spettò alla Francia il potere di protezione diplomatica degli abitanti di quel territorio, mentre il progetto di amministrazione per Gerusalemme assegnò al Consiglio di amministrazione fiduciaria il potere di concludere accordi per la protezione consolare dei cittadini di Gerusalemme fuori dal loro territorio. Con riferimento all’amministrazione della Nuova Guinea occidentale, invece, in base ad una nota diplomatica inviata al Segretario generale dell’ONU, i governi di Paesi Bassi e Indonesia, all’atto della conclusione dell’Accordo di New York del 15 agosto 1962, conferirono all’UNTEA l’autorità di emettere documenti di viaggio per gli abitanti di quel territorio, i quali peraltro avrebbero potuto chiedere il passaporto indonesiano, e mostrarono la loro disponibilità a fornire, dietro richiesta del Segretario generale, assistenza consolare e protezione all’estero per gli abitanti della Nuova Guinea occidentale127 . Anche il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia emise documenti di viaggio per i namibiani in esilio, in linea con quanto ipotizzato dall’Assemblea generale nella risoluzione n. 2372 (XXII) del 12 giugno 1968128 . Infine, anche l’UNMIK ha emesso documenti di viaggio per i residenti in Kosovo 129 , al fine di facilitare i loro spostamenti verso Stati terzi, il che induce a ritenere che essa si sentisse legittimata anche a proteggere i kosovari130 . 126
Cfr. l’art. 2 del Trattato di Parigi del 9 novembre 1920 tra la Città libera e la Polonia. In tema v. T URACK, Passports Issued by Some Non-State Entities, in British YBIL, 1968-69, p. 209 ss. 127 Il Segretario generale manifestò la disponibilità a svolgere la prima funzione e chiese ai due Stati di svolgere la seconda. I documenti rilevanti sono riprodotti in HIGGINS, op. cit., p. 108 s. In argomento v. anche MONCONDUIT, op. cit., p. 499 s. 128 Cfr. il par. 4, lett. b). Con riferimento alla situazione del Consiglio per la Namibia e all’UNTEA v. E NGERS, op. cit., p. 572 ss. 129 Cfr. il par. 129 del rapporto del Segretario generale S/2000/177, cit., e il par. 93 del successivo rapporto S/2000/538, cit. Cfr. inoltre i regolamenti dell’UNMIK n. 2000/13 (On the Central Civil Registry), adottato il 17 marzo 2000, e n. 2000/18 (On Travel Documents), adottato il 29 marzo 2000. Il Registro contiene i nomi di coloro che sono abitualmente residenti in Kosovo e costituisce il riferimento per l’ottenimento di un documento di viaggio. 130 In senso positivo v. Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 451: «It is hardly con-
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7. Il progressivo trasferimento di poteri alle istituzioni territoriali e la questione della dipendenza del territorio dall’Amministrazione dell’ONU Come accennato, l’Amministrazione territoriale ha, tra i suoi compiti, quello di procedere alla creazione delle strutture di governo del territorio, al fine di poter in seguito trasferire progressivamente ad esse gli ampi poteri esercitati all’atto del suo dispiegamento, adempiendo così al mandato ricevuto e avviando a conclusione la propria permanenza sul territorio. Quello della exit strategy è un problema che riguarda tutte le operazioni di pace dell’ONU e che non si presta a soluzioni univoche, come segnalato dallo stesso Segretario generale in un rapporto preparato ad hoc nel 2001 su richiesta del Consiglio di sicurezza131 . Considerati i poteri delle Amministrazioni territoriali, tale questione risulta ancora più complessa. I tempi di realizzazione del trasferimento di poteri mutano a seconda della situazione concreta, ma in linea di massima si possono svolgere alcune considerazioni in merito. Per un verso, infatti, il passaggio dei poteri avviene per gradi, con un continuo impegno di mediazione tra le parti e solo una volta riportata una relativa tranquillità nel territorio e avviato il processo di ricostruzione economica, senza “accelerazioni” che potrebbero rischiare di vanificare il lavoro compiuto dall’Amministrazione territoriale, ma cercando anche di evitare eccessivi “rallentamenti”132 , che farebbero emergere un problema di sovranità sul territorio e sulle scelte per esso determinanti, soprattutto quando le elezioni, la condivisione ed il trasferimento dei poteri avvengono in un arco temporale non breve (di alcuni anni)133 . È quindi preferibile una strategia di disimpegno progressivo, seceivable why the United Nations should be denied the power to exercise the rights necessary to the protection of the individuals placed under its supervision». Ma in senso critico cfr. la posizione della RFI a tutela della propria sovranità, contenuta in UN Doc. S/2000/829, cit. 131 Cfr. il citato rapporto No exit without strategy. 132 Sull’approccio seguito dall’UNTAET, improntato ad una notevole flessibilità, v. VIEIRA DE MELLO, op. cit., p. 96. Più in generale v. PERRITT, op. cit., p. 467 ss.; DICKERSON, op. cit., p. 191, che afferma: «[...] United Nation’s [...] prolonged presence in certain cases seems suspiciously paternalistic and based largely upon Western ideals of what constitutes good governance». 133 C APLAN, op. cit., p. 55. In adesione v. SALAMUN, op. cit., p. 63: «[...] ruling by decree risks that local population [...] will draw the wrong lessons from the more peremptory methods employed by transitional administrators».
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condo un percorso che preveda non solo il trasferimento dei poteri dall’Amministrazione territoriale alle istituzioni di governo del territorio, ma anche la sostituzione dell’operazione avente un mandato di amministrazione territoriale con un’operazione avente compiti più limitati di consolidamento della pace e, in seguito, semplici compiti di assistenza tecnica, in modo da accompagnare il territorio, senza “abbandonarlo”134 . È il modello seguito a Timor est, laddove è stata adottata una strategia di disimpegno progressivo. Il Consiglio di sicurezza, con la risoluzione n. 1410 del 17 maggio 2002, ha sostituito l’UNTAET con l’UNMISET135 , istituita in vista dell’indipendenza. All’UNMISET ha fatto seguito l’UNOTIL, costituito dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione n. 1599 del 28 aprile 2005136 , composto da poche decine di unità di personale e avente unicamente compiti di sostegno alle istituzioni e all’apparato di polizia locali. Quella di Timor est (oggi Timor Leste) avrebbe potuto quindi essere considerata una delle operazioni di pace meglio riuscite dell’ONU, inclusa l’appena ricordata transizione progressiva verso la stabilità. Questa ha però incontrato un serio ostacolo nel conflitto tra il Governo del nuovo Stato e una parte dell’esercito e delle forze di polizia, cui sono seguiti contrasti anche all’interno dello stesso Governo. Il 24 maggio 2006 le autorità di Timor Leste hanno chiesto il sostegno militare di Australia, Malaysia, Nuova Zelanda e Portogallo, che hanno inviato forze militari e di polizia al fine di contribuire al ristabilimento dell’ordine pubblico, al rispetto della legge e al ritorno alla normalità. Anche il Consiglio di sicurezza ha modificato la propria strategia di disimpegno e il 25 agosto 2006 ha approvato la risoluzione n. 1704, con cui oltre a mostrare apprezzamento e sostegno per l’azione condotta dai quattro Stati membri su richiesta del Go134
DAUDET, op. cit., p. 511 s. United Nations Mission of Support in East Timor (in seguito prorogata con le risoluzioni n. 1543 del 14 maggio 2004 e n. 1573 del 16 novembre 2004). In tema v. ISHIZUKA, Peacekeeping in East Timor: The Experience of UNMISET, in Int. Pk. (Frank Cass), 2003, n. 3, p. 44 ss.; MARTIN e MAYER-RIECKH, op. cit., p. 116 s. K LABBERS, Redemption Song? Human Rights Versus Community-Building in East Timor, in Leiden JIL, 2003, p. 370, considera la sostituzione dell’UNMISET all’UNTAET quale manifestazione della difficoltà dell’ONU nel settore del community-building; tale critica non appare condivisibile, in quanto quel settore era stato gestito per tre anni dall’UNTAET e poi trasferito alla popolazione di Timor est nell’esercizio del suo diritto all’autodeterminazione. 136 United Nations Office in Timor-Leste, il cui mandato è stato in seguito prorogato fino al 25 agosto 2007 (cfr. le risoluzioni n. 1677 del 12 maggio 2006, n. 1690 del 20 giugno 2006 e n. 1703 del 18 agosto 2007). 135
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verno di Timor Leste, ha istituito una nuova operazione per quel territorio, l’UNMIT (United Nations Integrated Mission in TimorLeste), al fine tra l’altro di sostenere le autorità locali, contribuire allo svolgimento delle future elezioni e assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico137 . Ad oggi, non sembra che la situazione nel Paese sia sostanzialmente migliorata, come testimoniano drammaticamente gli attentati dell’11 febbraio 2008 contro il Presidente e il Primo ministro 138 . C’è poi un altro rischio da evitare, ossia che si instauri una forma di dipendenza del territorio dall’Amministrazione dell’ONU, sia in termini finanziari sia di scelte politiche. La permanenza per troppo tempo sul territorio di un’operazione con funzioni di amministrazione diretta e il consolidarsi del suo profilo “interventista” negli affari interni possono infatti risultare problematici139 . Al riguardo, sono due i profili più significativi. In primo luogo, queste operazioni, che non sono espressione della popolazione, né sono da questa scelte, si trovano ad agire in un contesto difficile e spesso non conosciuto in profondità, per cui rischiano di “bruciare” in breve tempo il consenso che le accompagna all’atto del loro dispiegamento sul territorio. Va anche considerato come il già rilevato accentramento dei poteri acuisca la sensazione di una gestione “straniera” del territorio, a discapito delle potenzialità locali140 . In alcuni contesti, ciò può comportare anche un ostacolo all’autodeterminazione della popolazione, intesa sia nella sua dimensione esterna, cioè come libertà di decidere il futuro assetto del territorio, sia in quella interna (qualora si ritenga esistente una norma consuetudinaria che la preveda)141 , vale a dire nel determinare le proprie forme di organizzazione e le proprie istituzioni politiche. 137 L’UNMIT è stata prorogata con le risoluzioni n. 1745 del 22 febbraio 2007 e n. 1802 del 5 febbraio 2008. 138 Cfr. anche i rapporti del Segretario generale, in particolare quelli del 6 dicembre 2007 (UN Doc. S/2007/711) e del 17 gennaio 2008 (UN Doc. S/2008/26). 139 Si vedano, con riferimento alla Bosnia-Erzegovina, le considerazioni di C OX, op. cit., p. 240 s., e di MAZIAU e PECH, L’administration internationale de BosnieHerzégovine. - Un modèle pour le Kosovo?, in Civitas Europa, 2000, n. 4, p. 51 ss., riprese da DAUDET, op. cit., p. 481 s. 140 È ciò che C HESTERMAN, Virtual Trusteeship, cit., p. 227, definisce «a cycle of dependence». La potenziale contraddizione insita nel duplice ruolo svolto dalle Amministrazioni territoriali nel raggiungimento dei loro obiettivi (amministrare il territorio e fare in modo che lo stesso si amministri da sé) è segnalata da WILDE, The Ambivalent Mandates, cit., p. 320. 141 V. infra, capitolo III, par. 8.
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In secondo luogo, questo tipo di operazioni richiede un notevole dispiegamento di uomini e mezzi, con un rilevante impatto economico sul territorio in cui hanno luogo. Ciò produce, oltre ad effetti positivi, come la crescita complessiva del benessere nel territorio, anche effetti negativi, come il drenaggio delle risorse umane locali da parte dell’operazione, a discapito delle istituzioni locali, in particolare in ragione della assai rilevante differenza di salari, a parità di condizioni di impiego, e dell’aumento dell’inflazione e del costo della vita142 . 8. Segue: lo svolgimento di elezioni quale elemento indispensabile per il trasferimento di poteri. Il permanere in capo alle Amministrazioni di poteri di controllo e di veto sugli atti delle istituzioni territoriali Un passaggio fondamentale affinché possa realizzarsi il trasferimento di poteri è lo svolgimento di elezioni attraverso le quali la popolazione è chiamata a scegliere i propri governanti143 . Le elezioni non devono essere il momento conclusivo dell’Amministrazione territoriale. Ma sono un elemento indispensabile al fine di costituire istituzioni locali democratiche e rappresentative144 cui trasferire (o riconsegnare) i poteri esercitati temporaneamente dall’Amministrazione. Le elezioni rappresentano anche un elemento di “garanzia” democratica per il territorio nei rapporti con Stati e organizzazioni interna-
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C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 200 ss.: «Every significant UN mission creates a parasitic and unsustainable economy to serve the needs of the transient internationals». V., con riferimento a Timor est, C HOPRA, The UN’s Kingdom, cit., p. 27 ss.; T RAUB, op. cit., p. 84 s. («the new colonialism looks and feels powerfully like the old [...]. UNTAET [...] is omnipresent and well-nigh omnipotent»); ISHIZUKA, op. cit., p. 54 s. Con riferimento al Kosovo, v. VON C ARLOWITZ, UNMIK Lawmaking, cit., p. 384. 143 In tema v., per considerazioni di ordine generale, B ARNES, The Contribution of Democracy to Rebuilding Postconflict Societies, in AJIL, 2001, p. 86 ss. B EAUVAIS, op. cit., parla di un duplice mandato per l’UNTAET a Timor est, quello di esercitare funzioni sovrane e quello di preparare la popolazione per l’auto-governo democratico (p. 1108), funzioni che definisce compatibili e tra loro complementari (p. 1112). 144 Cfr. The United Nations Transitional Administration in Eastern Slavonia, cit., par. II.15: «Elections do not necessarily lead to national reconciliation. It is imperative to develop a national reconciliation strategy and programme that go beyond the elections». C APLAN, op. cit., p. 61 ss.; C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 234. MANNING , op. cit., p. 31 ss., sottolinea anche l’importanza di coinvolgere le strutture territoriali periferiche nel processo di “statebuilding”.
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zionali, oltre che un elemento di legittimazione dei governanti agli occhi dei governati145 . La prassi mostra che le operazioni incaricate dell’amministrazione diretta di un territorio, sin dalle loro prime manifestazioni, che come già rilevato sono antecedenti all’istituzione dell’ONU, hanno nella gran parte dei casi deciso la creazione di istituzioni locali aventi un fondamento democratico146 . Non è scontato, peraltro, che le elezioni siano sufficienti a realizzare un effettivo sistema democratico, soprattutto nei territori divisi da profonde tensioni, etniche o di altro genere147 . L’ONU ha sviluppato nel corso degli anni ’90 una significativa prassi nel settore dell’assistenza elettorale, con un impegno che si è variamente articolato in intensità ed ha condotto anche all’elaborazione di un sistema di regole consolidate applicabili dall’Organizzazione nello svolgimento di tali attività148 : dalla semplice assistenza 145
C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 180 ss. Anche per questo motivo HILL HAWK, op. cit., p. 122, mette in luce l’importanza di non ritardare eccessivamente lo svolgimento di elezioni nel territorio amministrato. SALAMUN, op. cit., p. 182, afferma, con riferimento alle Amministrazioni territoriali realizzate da Stati membri del Consiglio d’Europa in un territorio che aspira a divenirne membro, che «a reluctant transfer of powers from the international to the local institutions could be reviewed and sanctioned by the European Court of Human Rights as a violation to take part in government», il che non appare giuridicamente fondato. 146 In tema v. l’analisi di SALAMUN, op. cit., p. 143 ss. 147 B ARNES, op. cit., p. 101: «The immediate aftermath of ethnic and factional conflict may pose the strongest challenge for implementing democracy». In tema v. C OX, op. cit., p. 220; GRIFFIN e J ONES, op. cit., p. 81; C APLAN, op. cit., p. 61. Per un’analisi delle scelte effettuate dall’UNMIK in Kosovo DOMESTICI-MET, La mission d’administration provisoire du Kosovo: les limites d’une gestion de substitution, in MEHDI (dir.), op. cit., p. 128 ss., parla di «démocratie communautaire»; v. anche SIMONSEN, Nation Building as Peacebuilding: Racing to Define Kosovars, in Int. Pk. (Frank Cass), 2004, p. 289 ss. In senso fortemente critico v. K LABBERS, op. cit., p. 367 ss.; YANNIS, Kosovo under International Administration, cit., p. 37 ss. SCHWARZ, Communities and Minorities in UNMIK’s Virtual World of a Multicultural Kosovo, in ZaöRV, 2003, p. 778, rileva come le scelte dell’UNMIK abbiano favorito la separazione etnica (in senso contrario v. SALAMUN, op. cit., p. 176 ss.). Per una critica simile, con riferimento al contesto bosniaco, v. OELLERS-FRAHM , op. cit., p. 179 ss. 148 In tema, per la prassi rilevante, le principali posizioni della dottrina e ulteriori riferimenti bibliografici, v. C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 122 ss.; SICILIANOS, L’ONU et la démocratisation de l’Etat, cit., p. 157 ss.; C OGEN e DE B RABANDERE, Democratic Governance and Post-conflict Reconstruction, in Leiden JIL, 2007, p. 669 ss. SAPIENZA, Considerazioni sulle attività di assistenza e monitoraggio elettorale dell’ONU, in RDI, 2005, p. 657, rileva che la «prassi mostra con dovizia di particolari che si è costruita una competenza dell’Organizzazione in materia elettorale».
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tecnica alle autorità locali, passando per la supervisione, sino al controllo e alla gestione diretta dell’intero processo elettorale149 . Le Amministrazioni territoriali offrono esempi di massimo coinvolgimento dell’ONU nel processo elettorale dei territori in cui sono dispiegate, in quanto si occupano di ogni aspetto ad esso relativo, dalla redazione della legge all’iscrizione degli aventi diritto al voto nelle liste elettorali, dalla registrazione dei partiti politici alle regole sullo svolgimento della campagna elettorale, dallo spoglio delle schede alla proclamazione dei risultati, e portano avanti tale processo secondo le linee-guida del rispettivo mandato istitutivo. In particolare, la legge elettorale si caratterizza in genere per la previsione di divieti alla partecipazione alle elezioni di partiti estremisti o che predicano l’odio e la violenza, così come dei candidati accusati di gravi crimini, tra cui anche quelli contro le minoranze150 ; al contempo, si garantisce la rappresentanza di tutti i principali gruppi politici, etnici o religiosi attraverso il sistema elettorale proporzionale, si riservano alcuni posti per le minoranze e si cerca di assicurare una significativa rappresentanza femminile. L’Amministrazione territoriale disciplina anche l’accesso di tutti i gruppi politici ai mezzi di informazione e impone a questi di non fomentare l’odio e le divisioni nel territorio, dal momento che il periodo elettorale è, già di per sé, un momento di particolare tensione nel processo di riconciliazione nazionale. L’importanza che le operazioni di amministrazione territoriale assegnano allo svolgimento di elezioni “libere e corrette” quale momento cruciale per il ritorno alla normalità del territorio costituisce una conferma dell’atteggiamento costantemente seguito negli ultimi due decenni dall’ONU nel senso di promuovere la democrazia all’interno degli Stati membri151 . L’Organizzazione ha non solo adottato solenni dichiarazioni di principi e risoluzioni, ma ha soprattutto svolto una funzione operativa, principalmente in due direzioni: de149
Cfr. il par. 62, lett. d), del rapporto del Segretario generale S/22464, cit., che con riferimento alla MINURSO segnalava come la responsabilità per l’organizzazione e lo svolgimento di una consultazione elettorale comportasse l’insorgere di questioni più complesse rispetto al semplice ruolo di supervisione e controllo o a quello di osservazione di elezioni organizzate e gestite da altri. 150 In tema, per la prassi rilevante in tema di elettorato attivo e passivo e le norme a tutela dei diritti politici delle minoranze, v. SALAMUN, op. cit., p. 168 ss. 151 In tema v. VILLANI, Democratizzazione all’Est e Nazioni Unite, in Z ICCARDI C APALDO (a cura di), Democratizzazione all’Est e diritto internazionale, Napoli, 1998, p. 59 ss.; MARICONDA, Il ruolo del Consiglio di Sicurezza nei processi di democratizzazione, in CI, 2008, p. 489 ss.
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terminazione di codici di condotta e di standards minimi per lo svolgimento dei processi elettorali e la loro valutazione; assistenza, organizzazione e monitoraggio delle elezioni in numerosi Stati membri, con la connessa garanzia di imparzialità, obiettività e neutralità rispetto ad attività simili svolte a livello bilaterale152 . Quanto appena ricordato non comporta però riconoscere l’esistenza di una norma consuetudinaria sull’autodeterminazione interna, intesa come diritto alla democrazia, né quella, ad essa connessa, sul fondamento democratico quale requisito per la soggettività internazionale degli Stati153 . Infatti, in numerosi Paesi le elezioni non si svolgono o sono prive di alcuna garanzia di correttezza, senza che ciò provochi condanne né reazioni generalizzate da parte della comunità internazionale; inoltre, il monitoraggio elettorale avviene di regola su invito del sovrano territoriale e talvolta le elezioni monitorate dall’ONU (o da altre organizzazioni internazionali come l’OSCE) non sono riconosciute come free and fair. La prassi dell’Organizzazione in materia sembra quindi indicare che l’esigenza di realizzare elezioni libere e democratiche si impone alle operazioni dell’ONU, nei casi in cui queste ne hanno il mandato. Essa rafforza la tendenza alla formazione di una norma consuetudinaria internazionale avente questo contenuto, che al momento non ci sembra ancora esistente in quanto, pur sostenuta da un numero crescente di Stati, non è ritenuta vincolante da molti altri. Come accennato, lo svolgimento delle elezioni, la costituzione di istituzioni di governo rappresentative della popolazione e il trasferimento alle stesse di alcuni poteri non comportano il venir meno dell’esigenza che aveva condotto all’istituzione di un’Amministrazione territoriale dell’ONU, in quanto è solo dal funzionamento di queste istituzioni che potrà emergere il loro impegno a portare avanti il processo di pace e di riconciliazione nazionale. La prassi, infatti, mostra che le elezioni devono essere considerate come un momento indispensabile, ma non definitivo, nell’impegno internazionale in un territorio, dal momento che non sono, di per sé sole, sufficienti a creare un ambiente politico stabile154 . In ragione di ciò, il trasferimento di poteri alle istituzioni territo152
DAUDET, La restauration de l’ tat, nouvelle mission des Nations Unies?, in DAUDET (dir.), op. cit., p. 21 ss. 153 In tema v., per la prassi rilevante e per ulteriori riferimenti bibliografici, PALMISANO, Nazioni Unite, cit., p. 335 ss.; C ELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., p. 188 ss.; SAPIENZA, op. cit., p. 647 ss. 154 C HESTERMAN, East Timor in Transition, cit., p. 55.
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riali è parziale e progressivo e l’Amministrazione mantiene una posizione di preminenza rispetto alle istituzioni costituite e passa a svolgere una funzione di controllo sul loro operato155 . La stessa può, infatti, intervenire per bloccare le decisioni delle istituzioni locali in contrasto con il mandato dell’Amministrazione, contenuto nella risoluzione istitutiva del Consiglio di sicurezza, o rimuovere dall’incarico pubblici funzionari, tra cui quelli democraticamente eletti. Ad esempio, nel caso dell’internazionalizzazione di Trieste al Governatore fu riconosciuto il potere di bloccare le decisioni delle istituzioni locali che fossero contrarie alle norme fondamentali che disciplinavano il Territorio libero 156 . In Slavonia orientale, il progressivo trasferimento dei poteri dall’UNTAES alle autorità locali e la contestuale “ristrutturazione” dell’Amministrazione transitoria sono stati proposti dal Segretario generale e accettati dal Consiglio di sicurezza, che ha approvato la risoluzione n. 1120 del 14 luglio 1997157 . In una prima fase l’Amministratore transitorio ha proceduto al trasferimento dei poteri, mantenendo l’autorità di intervenire e modificare le decisioni qualora provocassero un peggioramento della situazione. Il trasferimento fu condizionato all’impegno del Governo croato nel rassicurare le minoranze serbe di quei territori e nel perseguire un pacifico reintegro degli stessi sotto il proprio controllo. Una volta acquisite queste garanzie, si passò alla seconda fase, con il trasferimento dei restanti poteri. In Kosovo, il capitolo 8 del Constitutional framework garantisce al Rappresentante speciale ampie competenze (c.d. reserved powers), tra cui quella di sciogliere l’Assemblea elettiva e di indire nuove elezioni qualora la stessa non agisca in conformità con la risoluzione n. 1244 e con i poteri del Rappresentante speciale, nonché le competenze in materia di politica monetaria, controllo sul potere giudiziario e affari esteri158 . Inoltre, il preambolo e il successi155
DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 504, afferma che si passa progressivamente da una logica di amministrazione internazionale ad una di assistenza tecnica. Peraltro, tale fenomeno non è nuovo, né peculiare alle Amministrazioni territoriali istituite dall’ONU negli anni ’90 (per la prassi precedente v. SOLÁ DOMINGO, op. cit., p. 131 s.). 156 Cfr. gli articoli 19 e 24 dello Statuto permanente, cit. 157 Cfr., in particolare, i paragrafi 9-11 della risoluzione e il rapporto del Segretario generale S/1997/487 del 23 giugno 1997. 158 Il Rappresentante speciale del Segretario generale è più volte intervenuto nel processo legislativo per bloccare leggi ritenute in contrasto con la risoluzione n. 1244 o con lo stesso Constitutional framework. In tema v. K NOLL, Beyond the Mission Civilisatrice, cit., p. 292 ss. Secondo MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 107, l’UNMIK ha adottato atti in contrasto con le previsioni del Constitutional frame-
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vo capitolo 12 riconoscono l’“authority” del Rappresentante speciale, specificando che le Istituzioni provvisorie di autogoverno, nell’esercizio dei propri poteri, non devono limitare la sua responsabilità nell’assicurare piena attuazione alla risoluzione n. 1244 e devono quindi lasciare inalterato il suo potere di intervento in ultima istanza e il suo potere di veto. Allo stesso modo, il capitolo 13 riconosce l’“authority” della KFOR «to fulfil all aspects of its mandate under UNSCR 1244(1999) and the Military Technical Agreement (Kumanovo Agreement)».
work. Per una severa critica all’azione dell’UNMIK v. anche K REILKAMP, op. cit., p. 647 ss., che richiama alcuni passaggi del documento dell’Independent International Commission on Kosovo, The Follow-up of the Kosovo Report. Why Conditional Independence?, Solna, 2001.
CAPITOLO QUARTO I LIMITI ALL’AZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI E I MECCANISMI VOLTI AD OPERARE UN CONTROLLO SUL LORO SVOLGIMENTO 1. Considerazioni introduttive. La questione dell’applicabilità alle Amministrazioni territoriali delle norme sull’occupazione bellica Le operazioni di amministrazione diretta di un territorio, pur nell’ampiezza dei poteri che esercitano, si svolgono comunque nel rispetto di alcuni limiti, derivanti sia da norme del diritto internazionale generale sia dall’esigenza di rispettare il mandato istitutivo. Il controllo del rispetto di tali limiti si realizza attraverso diverse istanze, alcune aventi carattere giudiziario, altre politico. Esamineremo di seguito tali questioni, ma in via preliminare occorre considerare l’applicabilità alle Amministrazioni territoriali delle norme sull’occupazione bellica, come proposto da alcuni autori, poiché in caso di risposta affermativa le Amministrazioni sarebbero tenute a rispettare i limiti imposti da tali norme. Come ampiamente noto, si ha occupazione bellica per la situazione di fatto in cui un esercito straniero controlla in maniera effettiva un territorio1 . Tale fenomeno è disciplinato in maniera dettagliata dal Regolamento allegato alla IV Convenzione dell’Aja del 18 ottobre 1907, relativa alle leggi e agli usi della guerra terrestre2 , dalla IV Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 sulla protezione dei civili in tempo di guerra3 e dal primo Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra, concluso l’8 giugno 1977 e relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali4 . Si tratta di norme che, pur avendo origine pattizia, hanno in seguito acquisito in gran parte carattere consuetudinario.
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Per un quadro sintetico della disciplina internazionale in tema di occupatio bellica v. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 237 ss. 2 Cfr. gli articoli da 42 a 56. 3 Cfr. gli articoli da 27 a 33 e da 47 a 78. 4 Cfr. l’art. 72 ss.
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CAPITOLO QUARTO
In linea di principio, non ci sembra che sussista in capo alle Amministrazioni territoriali l’obbligo di rispettare queste regole5 . Se è vero, infatti, che per certi aspetti l’occupazione bellica e l’amministrazione di un territorio da parte di un’operazione istituita dal Consiglio di sicurezza dell’ONU si assomigliano, nel senso dell’ampiezza dei poteri esercitati da un soggetto terzo su un determinato territorio, e se è altresì possibile che un’occupazione bellica sia realizzata anche da un’organizzazione internazionale6 , non ci sembra che ciò avvenga nel caso delle Amministrazioni territoriali dell’ONU. Le operazioni che fanno capo all’Organizzazione, infatti, non producono una situazione propriamente definibile di conflitto armato o di guerra7 , in quanto l’azione del Consiglio di sicurezza è diretta a mantenere o a ristabilire la pace e la sicurezza internazionale e non a “debellare” uno Stato, né tanto meno ad occuparne il territorio8 . Nel caso delle Amministrazioni territoriali abbiamo anche già rilevato come l’uso della forza sia rivolto di regola al mantenimento dell’ordine pubblico, 5
In tal senso v. MÉGRET e HOFFMANN, The UN as a Human Rights Violator? Some Reflections on the United Nations Changing Human Rights Responsibilities, in HRQ, 2003, p. 333; C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 7; DE WET, The Direct Administration of Territories, cit., p. 323 ss.; DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 368 s.; FRIEDRICH, op. cit., p. 281; PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 55 (nota n. 144); A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 358 ss.; RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 241. IRMSCHER, op. cit., p. 374 ss., afferma invece che l’applicabilità delle norme sull’occupazione bellica all’UNMIK è gerarchicamente subordinata alla risoluzione n. 1244, dal che fa derivare che «those activities of UNMIK not expressely prescribed or implied in that document are subject to external restrictions by these rules [quelle sull’occupazione bellica]» (p. 387 ss.). Inoltre, riconosce che ciò che vale per il Kosovo non vale per tutti i casi di Amministrazione territoriale, a partire dall’UNTAET a Timor est (p. 395). 6 V., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 217 ss. 7 K ONDOCH, op. cit., p. 259 s. MARCHISIO, La specificità delle peace-keeping operations, cit., p. 42: «[...] le operazioni di peace-keeping hanno sempre mantenuto il comune denominatore di rimanere comunque estranee alla sfera della guerra». In senso contrario v. K ELLY, op. cit., p. 172 ss. 8 In tema v. le osservazioni contenute nei rapporti preliminare e definitivo presentati all’Institut de Droit International nel 1969-1970 da DE VISSCHER, Les conditions d’application des lois de la guerre aux opérations militaires des Nations Unies, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1971-I, p. 1 ss. e p. 116 ss., partic p. 31. V. anche GREENWOOD , The Administration of Occupied Territories in International Law, in PLAYFAIR (ed.), International Law and the Administration of Occupied Territories, Oxford, 1992, p. 250 s.; VITÉ, L’applicabilité du droit international de l’occupation militaire aux activités des organisations internationales, in RICR/IRRC, 2004, p. 20 ss.
LIMITI ALL’AZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI
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nel senso quindi di forza interna, piuttosto che caratterizzarsi come azione di enforcement in un contesto di conflitto armato. Inoltre, nelle Amministrazioni territoriali manca un elemento tipico dell’occupazione militare classica, ossia il carattere di “conservazione” in attesa dei futuri sviluppi. Mentre nell’occupazione bellica l’occupante governa il territorio principalmente nel proprio interesse, per cui la disciplina giuridica applicabile è volta a limitare tale controllo, le Amministrazioni dell’ONU agiscono nell’interesse generale al mantenimento della pace e della giustizia tra le nazioni e nell’interesse particolare della comunità territoriale amministrata9 , per cui non si giustificano le limitazioni previste in caso di occupazione bellica. Abbiamo del resto già rilevato come le Amministrazioni territoriali dell’ONU siano state istituite dal Consiglio di sicurezza anche sulla base del consenso del sovrano territoriale10 e/o della popolazione locale, oltre che attraverso il richiamo del capitolo VII della Carta. La circostanza che alle Amministrazioni territoriali non debbano applicarsi de jure le norme sull’occupazione bellica non esclude che esse possano essere applicate de facto, in ragione della loro universale accettazione e del loro carattere dettagliato, al fine di risolvere questioni concrete che possono presentarsi nel corso dell’attività quotidiana di tali operazioni11 . La prassi seguita da alcune Amministrazioni sembra confermare tale ricostruzione12 . 9
B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 220; SASSÒLI, op. cit., p. 147; VON C ARLOWITZ, UNMIK Lawmaking, cit., p. 364; DE WET, The Direct Administration of Territories, cit., p. 330; VITÉ, op. cit., p. 19 s. e p. 25 ss. (che, in ragione di ciò, ritiene necessaria «l’identification d’un régime juridique particulier» per le Amministrazioni territoriali decise dal Consiglio di sicurezza); B ENZING , op. cit., p. 333; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 223. 10 SASSÒLI, op. cit., p. 141 ss. In adesione, v. B ENZING , op. cit., p. 332. In senso opposto, v. VITÉ, op. cit., p. 22 s. e p. 27. 11 In questo senso v. SASSÒLI, op. cit., p. 143; VON C ARLOWITZ, UNMIK Lawmaking, cit., p. 364 («it makes sense to regard these provisions as a practical tool and possibly apply them on an individual basis as guidelines») e p. 374; FRIEDRICH, op. cit., p. 281; A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 360. K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 225 ss., parlano di «une adaptation» del diritto dell’occupazione bellica al regime giuridico delle Amministrazioni territoriali, almeno con riferimento alle norme volte a tutelare le persone (non per quelle relative alle prerogative della potenza occupante), e, nel considerare l’opportunità di un’applicazione de facto del diritto dell’occupazione bellica anche alle Amministrazioni territoriali, auspicano per il futuro l’adozione in tale direzione di una decisione del Consiglio di sicurezza all’atto della loro istituzione (in questo senso v. già VITÉ, op. cit., p. 29 ss.). 12 Ad esempio, per quella relativa all’UNMIK, v. IRMSCHER, op. cit., p. 394. SASSÒLI, op. cit., p. 134, con riferimento all’applicazione, da parte delle Amministrazioni
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Del resto, è noto che le norme in questione rientrano nel più ampio settore del diritto internazionale umanitario, che comprende sia le norme del diritto bellico (c.d. diritto dell’Aja) sia quelle a tutela delle persone umane nei conflitti armati (c.d. diritto di Ginevra), considerati oramai fusi in un unico sistema di diritto, come autorevolmente riconosciuto anche dalla Corte internazionale di giustizia13 . In ragione di ciò, non può escludersi che nei confronti delle Amministrazioni territoriali, in particolare della loro componente militare, si debbano applicare in talune circostanze le pertinenti norme del diritto internazionale umanitario14 . In tal senso depone una consolidata prassi per le operazioni di mantenimento della pace dell’ONU15 e si esprime anche la sezione 1.1 del Bollettino del Segretario generale del 1999 sul rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario da parte di forze dell’ONU16 . Questo documento indica i principi fondamentali e le regole di diritto internazionale umanitario che le forze militari dell’ONU, coinvolte tanto in azioni di enforcement quanto in operazioni di peace-keeping, devono osservare quando sono impegnate territoriali, del diritto penale nazionale in vigore nel territorio prima del loro insediamento, parla di una soluzione conforme a quella imposta alle potenze occupanti dalle norme sull’occupazione bellica. 13 Cfr. il par. 76 del parere dell’8 giugno 1996 sulla liceità della minaccia o dell’uso dell’arma nucleare. 14 Il diritto internazionale umanitario è ritenuto applicabile alle Amministrazioni territoriali da B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 238. Più in generale RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 146, rileva: «In linea di principio, le forze delle Nazioni Unite sono obbligate a rispettare il diritto internazionale umanitario in quanto diritto internazionale consuetudinario». 15 In base all’accordo “modello” tra l’ONU e gli Stati membri per mettere il personale a disposizione delle operazioni di pace dell’ONU, infatti, le forze messe a sua disposizione devono osservare “lo spirito e i principi” delle convenzioni generali di diritto internazionale umanitario (cfr. UN Doc. A/46/185 del 23 maggio 1991). Negli ultimi anni si è diffusa anche la prassi di inserire una disposizione simile nei SOFA conclusi tra l’ONU e gli Stati che ospitano le operazioni di pace. 16 Cfr. UN Doc. ST/SGB/1999/13 del 6 agosto 1999. V., ex multis, nella dottrina italiana, le osservazioni di C ONDORELLI, Le azioni dell’ONU e l’applicazione del diritto internazionale umanitario: il “bollettino” del Segretario generale del 6 agosto 1999, in RDI, 1999, p. 1049 ss.; B ENVENUTI, Recenti sviluppi in tema di osservanza del diritto internazionale umanitario da parte delle Forze delle Nazioni Unite: il bollettino del Segretario Generale, in CI, 2000, p. 379 ss. V. inoltre; anche per ulteriori riferimenti bibliografici, il recente studio di NALIN, I rapporti tra ONU e Stati fornitori dei contingenti nella prevenzione e repressione degli abusi sessuali commessi dai peace-keepers, in Studi in onore di Vincenzo Starace, vol. I, Napoli, 2008, p. 549 ss.
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come combattenti in conflitti armati, sia internazionali che interni. Il Bollettino, peraltro, non fornisce una disciplina esaustiva, per cui i componenti dei singoli contingenti nazionali restano impegnati, per la parte da esso non disciplinata, a rispettare le norme pattizie che vincolano il loro Stato17 . Il rispetto delle norme del diritto internazionale umanitario si impone anche alle forze autorizzate dal Consiglio di sicurezza, ma in questo caso occorrerà rifarsi, oltre che alle norme consuetudinarie, agli obblighi pattizi che vincolano i singoli Stati impegnati nella forza multinazionale autorizzata18 . Occorre comunque considerare che, in base allo studio della rilevante prassi, la dottrina ha affermato l’esistenza di altre tipologie di occupazione, diverse rispetto a quella “classica”19 . In estrema sintesi, si è parlato di occupazione pacifica, ossia basata su un accordo, su un invito, su ritiro di un mandato internazionale20 , di occupazione bellica senza resistenza armata, considerata dall’art. 2, par. 2, della IV Convenzione di Ginevra del 1949 (che tende a uniformare il regime giuridico dei diversi casi di occupazione bellica)21 , di occupazioni militari non belliche22 , o ancora di occupazioni finalizzate a realizzare anche un interesse della comunità internazionale23 . Di conseguenza 17
RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 146; B ARTOLINI, op. cit., p. 212; NALIN, op. cit., p. 552. 18 B ENVENUTI, Forze multinazionali e diritto internazionale umanitario, in RONZITTI (a cura di), Comando e controllo, cit., p. 242. 19 V. l’ampia disamina operata da ROBERTS, What Is a Military Occupation?, in British YBIL, 1984, p. 249 ss. 20 Sul concetto di “non-belligerent occupation” v. K ELLY, op. cit., p. 129 ss. e p. 162 ss. Secondo VITÉ, op. cit., p. 12, occorre separare i casi di occupazione “bellicosa” e quelli di occupazione pacifica, di modo che ai primi devono applicarsi le norme relative ai conflitti armati internazionali, mentre con riferimento ai secondi a tali norme ci si può ispirare per analogia. 21 Cfr. ad esempio l’art. 2, par. 1, di tale Convenzione, che, pur disciplinando l’occupazione armata, prescinde dal riconoscimento dello stato di guerra. 22 C APOTORTI, L’occupazione nel diritto di guerra, Napoli, 1949, p. 26 ss. 23 Secondo il ragionamento seguito da VIRALLY, L’administration internationale de l’Allemagne du 8 mai 1945 au 24 avril 1947, Paris, 1948, p. 5, che qualificò la situazione della Germania sotto il controllo degli Alleati al termine della II guerra mondiale come «un système original d’administration internationale, plutôt qu’une forme particulière de l’occupation militaire», organizzato dall’Accordo di Londra del 1° maggio 1943 e simile ad un mandato (p. 15 ss. e p. 158). In questo senso v. anche C RAWFORD , op. cit., p. 452 ss., nonché WILDE, From Danzig to East Timor, cit., p. 583 s., e C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 25 ss. STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 134, e T OMUSCHAT, op. cit., p. 336 s., avvicinano i poteri dell’UNMIK a quelli degli Alleati. Lo stesso STAHN, Constitution Without a State?, cit., p. 551 ss., assimila il trasferimento di poteri dall’UNMIK alle Istituzioni
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riteniamo che, ferma restando la segnalata differenza tra le Amministrazioni territoriali e l’occupazione bellica “classica”, sarebbe possibile utilizzare alcune delle ricostruzioni da ultimo considerate per avvicinare il fenomeno dell’amministrazione territoriale a quello dell’occupazione inteso in senso lato24 . Il Kosovo si pone come un caso-limite tra occupazione bellica e amministrazione territoriale dell’ONU, in quanto il dispiegamento delle due presenze internazionali si è realizzato al termine di un attacco armato e, per quanto concerne la KFOR – guidata dalla stessa Organizzazione (la NATO) che aveva condotto quell’attacco –, il suo legame con il Consiglio di sicurezza consiste in un’autorizzazione ad usare la forza, ma essa non è un’operazione dell’ONU. Pur in presenza di queste circostanze riteniamo però che il fatto che la KFOR sia stata autorizzata dal Consiglio e sia fondata anche sul consenso iugoslavo porti ad escluderne la qualificazione quale forza di occupazione bellica25 . Ciò non esclude che siano applicabili nei suoi confronti, ossia nei confronti degli Stati membri che vi partecipano, le pertinenti norme di diritto internazionale umanitario quando lo richiedano le circostanze. La differenza tra un’Amministrazione territoriale e una vera e propria occupazione bellica, nonostante il tentativo di taluno di considerarle quale fenomeno unitario26 , emerge abbastanza nitidamente provvisorie di autogoverno del Kosovo a quello che fecero gli Alleati con la Germania nel secondo dopoguerra. 24 V. anche RATNER, Foreign Occupation and International Territorial Administration: The Challenges of Convergence, in EJIL, 2005, p. 695 ss., il quale propone di unificare le regole applicabili all’occupazione e all’amministrazione diretta di territori. 25 In tema v. PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 51, nota n. 133, il quale segnala che con l’adozione della risoluzione n. 1244 si manifesta «l’esigenza da parte dell’ONU di sovrapporre e assorbire, con la propria operazione complessiva, la presenza e l’attività di una forza di occupazione militare». 26 DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 313, pone la situazione dell’Iraq dopo l’invasione anglo-americana del 2003 e l’adozione, da parte del Consiglio di sicurezza, della risoluzione n. 1483 del 22 maggio 2003 sullo stesso piano delle Amministrazioni dell’ONU in Kosovo e Timor est, affermando che vi sarebbe un’amministrazione civile “esterna” autorizzata dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII. La stessa DE WET, The Direct Administration of Territories, cit., p. 291 ss., ha proposto una suddivisione tra co-administration e fully-fledged direct administration, cui aggiunge la situazione dell’Iraq sotto il controllo anglo-americano, qualificata come un caso di delega del Consiglio a due Stati membri del potere di amministrazione diretta di un territorio. Tali ricostruzioni non appaiono condivisibili. In primo luogo, perché non considerano tutta la prassi in materia di Amministrazioni territoriali dell’ONU. Inoltre, non sembrano considerare che tali Ammi-
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dall’esame della situazione venutasi a realizzare in Iraq dopo l’attacco armato condotto a partire dal marzo 2003. Esso è stato realizzato al di fuori del sistema di sicurezza collettiva dell’ONU da parte di una coalizione di Stati guidata dagli USA27. Il Consiglio di sicurezza, nel momento in cui ha considerato la questione, ha preso atto dell’avvenuta occupazione bellica e ha invitato gli Stati autori della stessa a rispettare le pertinenti regole internazionali che disciplinano questa situazione28 . Esso ha anche assegnato alle Potenze occupanti poteri maggiori rispetto a quelli che esse avrebbero potuto esercitare in base alle ricordate norme consuetudinarie del diritto dell’occupazione bellica, che il Consiglio ha quindi derogato unilateralmente29. Sezione I I LIMITI ALL’AZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI
2. Il rispetto del diritto internazionale cogente, della Carta dell’ONU e della sovranità statale quali limiti per l’istituzione delle Amministrazioni territoriali e per il loro svolgimento Le Amministrazioni territoriali sono istituite dal Consiglio di sicurezza e devono svolgersi in conformità con le norme internazionali che vincolano lo stesso Consiglio e prevalgono anche sulle decisioni nistrazioni sono esercitate in maniera collettiva e nell’interesse del territorio amministrato, cosa ben diversa di una occupazione bellica. Per le significative differenze tra le Amministrazioni territoriali e la situazione dell’Iraq dopo il maggio 2003 v. K OHEN, L’administration actuelle de l’Irak: Vers une nouvelle forme de protectorat?, in B ANNELIER et al. (dir.), L’intervention en Irak et le droit international, Paris, 2004, p. 308 ss., in cui l’autore auspica, al fine di por termine all’illecito internazionale perpetrato, la sostituzione delle forze di occupazione con un’amministrazione transitoria dell’ONU; GIOIA, The End of the Conflict, cit., p. 184 s. 27 In tema si rinvia, anche per ampi riferimenti bibliografici, a PICONE, La guerra contro l’Iraq e le degenarazioni dell’unilateralismo, in RDI, 2003, p. 329 ss.; VILLANI, L’ONU e la crisi del Golfo, cit., p. 121 ss. 28 Cfr. 13° “considerando” e par. 5 della risoluzione n. 1483 del 22 maggio 2003. In tema v. nella dottrina italiana, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, VILLANI, L’ONU e la crisi del Golfo, cit., p. 156 ss.; PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 63 ss.; GIANSANTI, Transizione in Iraq, diritto internazionale bellico e ruolo delle Nazioni Unite, in CI, 2008, p. 105 ss. 29 In tema v. ROBERTS, Transformative Military Occupation: Applying the Laws of War and Human Rights, in AJIL, 2006, p. 580 ss.
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adottate ai sensi del capitolo VII. Il principale limite che quest’organo incontra nell’istituzione di un’operazione avente compiti di amministrazione territoriale, e che s’impone anche ad essa nello svolgimento della propria attività, inerisce al rispetto della sovranità sul territorio in cui l’operazione è dispiegata, da intendersi come il potere di disporre del territorio30 . L’Amministrazione, inoltre, deve rispettare i limiti derivanti sia dalle norme cogenti del diritto internazionale31 , sia dalla sua natura di istituzione a carattere temporaneo. Abbiamo già rilevato come l’esercizio dei poteri di governo sul territorio da parte dell’Amministrazione territoriale realizzi un notevole restringimento della sovranità sullo stesso, tanto che, in alcune situazioni-limite, taluni hanno ritenuto che questa fosse passata in capo all’ONU32 . E abbiamo rilevato come ciò non sarebbe legittimo, dal momento che l’Organizzazione non può essere considerata come il sovrano territoriale e che il Consiglio di sicurezza, anche quando agisce ai sensi del capitolo VII, richiede, a seconda dei casi, il consenso del sovrano territoriale e/o quello della popolazione locale33 . Se è quindi possibile che, in casi eccezionali e per motivi importanti, l’Amministrazione territoriale dell’ONU eserciti ampi poteri di governo, restringendo notevolmente quelli di uno Stato sul proprio territorio, non sarebbe tuttavia legittimo un esercizio assoluto di tali poteri, in quanto ciò costituirebbe una violazione della norma inter30
MARCHISIO, L’ONU, cit., p. 125: «[...] l’Organizzazione deve conformarsi alle norme del diritto internazionale generale delle quali è divenuta destinataria, che attengono all’esercizio della sovranità su un dato territorio». IRMSCHER, op. cit., p. 354, parla di “dovere di rispettare l’integrità territoriale degli Stati”. 31 È rilevante che in tal senso si sia espresso C ORELL, The Role of the United Nations in Peacekeeping, cit., p. 5, che come già ricordato era, all’epoca dei fatti, sottoSegretario generale per gli affari giuridici e Consigliere giuridico dell’ONU; B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 237; K ONDOCH, op. cit., p. 257. In senso critico, con riferimento alle decisioni assunte per il Kosovo, v. T OMUSCHAT, op. cit., p. 338 ss. MORPHET, Current International Civil Administration: The Need for Political Legitimacy, in Int. Pk. (Frank Cass), 2002, n. 2, p. 140, considera invece il rispetto delle norme e dei principi giuridici internazionali lo strumento per consentire alle Amministrazioni territoriali «to achieve political legitimacy, nationally and internationally, as well as in the long (and short) terms». 32 V. supra, capitolo III, par. 1. 33 Non appare fondato l’argomento, avanzato da DE HOOGH, op. cit., p. 31 s., con riferimento all’UNTAET, per cui, dal momento che la fonte del potere legislativo conferito all’Amministrazione risiede nelle competenze del Consiglio di sicurezza ai sensi del capitolo VII della Carta, ciò giustificherebbe unicamente l’attività legislativa direttamente collegata al mantenimento o al ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale, mentre per le misure di altro genere il fondamento sarebbe costituito dal consenso del Portogallo, in quanto autorità amministratrice.
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nazionale cogente che tutela il fondamento della sovranità su un territorio. Ciò impedirebbe al Consiglio di sicurezza sia di mutare unilateralmente e a propria discrezione lo status di un territorio, sia di produrre modifiche irreversibili del suo sistema giuridico, vincolando così per il futuro il sovrano territoriale e/o la popolazione del territorio amministrato 34 . 3. La transitorietà dell’Amministrazione come garanzia della sovranità statale. Spunti critici con riferimento all’UNMIK e alla KFOR Un ulteriore elemento che limita l’azione di amministrazione territoriale dell’Organizzazione e tutela la sovranità del territorio è costituito dalla temporaneità dell’Amministrazione territoriale35 , dal suo essere quindi uno strumento transitorio, utilizzato per raggiungere un determinato obiettivo36 (ritorno del territorio sotto la piena sovranità di uno Stato, costituzione o rifondazione delle istituzioni statali, indipendenza del territorio, ecc.) e non più necessario una volta che esso sia conseguito ovvero quando divenga irraggiungibile37 . 34
DE H OOGH, op. cit., p. 33; K NOLL, From Benchmarking to Final Status?, cit., p. 656 ss. Ricordiamo, più in generale, un passo dell’opinione dissenziente espressa dal giudice Fitzmaurice in occasione dell’adozione del parere della Corte internazionale di giustizia del 21 giugno 1971 sulla Namibia, cit.: «Even when acting under Chapter VII of the Charter itself, the Security Council has no power to abrogate or alter territorial rights, whether of sovereignty or administration» (cfr. par. 115). V. anche, più in generale, GILL, Legal and Some Political Limitations on the Power of the UN Security Council to Exercise Its Enforcement Powers under Chapter VII of the Charter, in Netherlands YIL, 1995, p. 33 ss. Alla conclusione opposta pervengono, attraverso ragionamenti differenti, MATHESON, op. cit., p. 85, e K IRGIS, Security Council Governance of Postconflict Societies: A Plea for Good Faith and Informed Decision Making, ivi, p. 579 ss. 35 Sulla temporaneità v., in generale, le considerazioni di MARAZZI, op. cit., p. 49 e p. 173. A tale requisito lo stesso autore aggiungeva quello della relatività (p. 49), in quanto l’azione di governo delle organizzazioni internazionali è garantita «da norme di diritto internazionale particolare opponibili solamente agli Stati che hanno dato vita all’ente collettivo e si sono reciprocamente obbligati a rispettarne l’attività». V. anche DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 509 ss. DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 314, differenzia la situazione dell’UNTAES da quella di UNMIK e UNTAET basandosi sulla durata solo biennale della prima, il che non appare condivisibile, dal momento che la questione dei limiti ai poteri esercitati dalle Amministrazioni territoriali sembra porsi nello stesso modo nelle tre situazioni. 36 B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 236. 37 Ma v. FARRAND , op. cit., p. 581 ss., che considera il possesso di un mandato a
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Il Consiglio gode di un’ampia discrezionalità nel decidere se rinnovare il mandato di un’operazione di pace e potrebbe anche scegliere di non procedere in tal senso, ad esempio in ragione di una mutata situazione sul terreno, in special modo qualora venisse meno il consenso del sovrano territoriale e/o della popolazione, che come detto rappresenta un elemento rilevante per la costituzione e il funzionamento delle Amministrazioni territoriali. Rientra nella discrezionalità del Consiglio anche la scelta di modificare il loro mandato. Il carattere transitorio delle Amministrazioni territoriali, così come in genere delle operazioni di pace dell’ONU, deriva da una prassi consolidata, dovuta alla scelta del Consiglio di sicurezza di tenere regolarmente sotto controllo le operazioni che istituisce, rinnovandone il mandato ove lo ritenga necessario e consideri permanere le condizioni per proseguire nelle loro attività38 . Il carattere temporaneo è anche dovuto alla necessità di trovare le risorse economiche ed umane per realizzare l’operazione, il che, come già rilevato, risulta essere ancora più importante nel caso delle Amministrazioni territoriali, alla luce della notevole quantità di risorse che queste richiedono. La prassi dei mandati a termine consente inoltre ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza di porre il veto al rinnovo del mandato di un’operazione (o alla proroga di un’autorizzazione) o di subordinare il proprio voto favorevole (o l’astensione) ad una modifica dello stesso. In mancanza di una scadenza temporale si potrebbero invece avere operazioni “eterne”, vale a dire che un membro permanente potrebbe, con il suo veto, impedire l’approvazione di una risoluzione destinata a far cessare l’operazione, realizzando uno scenario che è stato definito quale “reverse veto”39 . Dall’esame della prassi abbiamo già rilevato come le Amministrazioni territoriali siano state istituite per una durata iniziale predeterminata e come alcune siano state in seguito rinnovate. Una significativa eccezione riguarda le due presenze internazionali dispiegate in Kosovo, in quanto il par. 19 della risoluzione n. 1244 ha previsto che l’UNMIK e la KFOR fossero istituite per un periodo iniziale di 12 mesi, «to continue thereafter unless the Security Council decides otempo indefinito una delle condizioni che, sotto il profilo politico, determinano il successo di un’operazione di amministrazione territoriale. 38 C ONFORTI, Le Nazioni Unite, cit., p. 204 s. 39 In generale, sul “reverse veto”, v. C ARON, The Legitimacy of the Collective Authority of the Security Council, in AJIL, 1993, p. 577 ss. FROWEIN e K RISCH, Introduction to Chapter VII, cit., p. 714, si pronunciano nel senso della sua eliminazione. Un cenno è anche in PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza, cit., p. 15.
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therwise». Questa scelta inusuale40 , dettata da motivi politici e dall’obiettivo di giungere ad un compromesso tra i membri permanenti41 , ha prodotto una assai rilevante limitazione della sovranità della RFI sul Kosovo 42 , ha reso meno “centrale” il ruolo del Consiglio di sicurezza nella gestione dell’Amministrazione e comporta delle conseguenze giuridiche significative sulla sua durata43 . L’UNMIK e la KFOR, infatti, dovranno proseguire finché il Consiglio, con il voto favorevole (o almeno l’astensione) dei cinque membri permanenti, deciderà che sono venute meno le ragioni della loro permanenza in Kosovo. Qualora uno dei membri permanenti si opponesse all’adozione di una tale delibera le due presenze internazionali sarebbero legittimate a proseguire44 . 4. Il rispetto del mandato istitutivo quale limite all’attività delle Amministrazioni territoriali L’amministrazione diretta di un territorio da parte di un’operazione di pace istituita dal Consiglio di sicurezza dell’ONU deve 40
DOMESTICI-MET, op. cit., p. 127 (il rinnovo tacito dell’UNMIK «n’était pas jusque-là dans les habitudes des Nations Unies»). 41 C APLAN, op. cit., p. 83; DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 510. In generale, su questo aspetto, v. le osservazioni di PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite, cit., p. 117 ss. 42 Cfr. in tal senso l’intervento del rappresentante della RFI dinanzi al Consiglio di sicurezza, convocato il 10 giugno 1999 per deliberare in merito all’istituzione dell’UNMIK (UN Doc. S/PV.4011, p. 6). 43 HILL HAWK, op. cit., p. 113, ritiene invece più opportuno non fissare una data, ma un obiettivo; tale argomento è utilizzato anche da K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 86, che parlano di una limitazione ratione temporis, in quanto considerano il mandato conferito all’UNMIK; ciò non appare però condivisibile, in ragione dell’estrema ampiezza di tale mandato. Di natura temporanea dell’UNMIK parlano invece Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 441 ss. (v. anche STAHN, The United Nations Transitional Administrations, p. 118). Diversa è la posizione di YANNIS, Kosovo under International Administration, cit., p. 44 s., che ipotizza un impegno di lunga durata della comunità internazionale in Kosovo, in termini politici, militari e finanziari, sul presupposto della mancanza di un’effettiva e stabile pacificazione. 44 Ma v. DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 316 s., secondo cui, in presenza di un “reverse veto”, l’UNMIK sarebbe legittima solo finché un’ampia maggioranza del Consiglio di sicurezza, compresa la maggioranza dei membri permanenti, fosse a favore della sua prosecuzione. Tale ricostruzione, oltre che non conforme al testo dell’art. 27, par. 3, della Carta, appare imprecisa poiché parla genericamente di maggioranze all’interno del Consiglio e tra i membri permanenti. Sembra, quindi, porsi in una prospettiva di “equilibri” e di opportunità politica, piuttosto che giuridica.
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svolgersi nei limiti del mandato da esso approvato (ed eventualmente in seguito modificato). Questo costituisce quindi il parametro di legittimità dell’azione dell’Amministrazione territoriale e si aggiunge ai già rilevati limiti che all’operazione derivano dal diritto internazionale cogente e dalla Carta ONU45 . L’Amministrazione territoriale, infatti, in quanto organo sussidiario del Consiglio di sicurezza, non può andare oltre ciò che è previsto dalla risoluzione istitutiva46 . Vedremo in seguito quali sono i poteri di controllo esercitabili sull’operazione e in che modo (e su iniziativa di chi) può avvenire la loro attivazione. Di regola, il Consiglio approva mandati alquanto generici e le risoluzioni fanno riferimento ad altri documenti (rapporti del Segretario generale, accordi tra le parti, ecc.), utili al fine di definire con maggiore precisione i compiti dell’operazione. È palese che, tanto più generico è il mandato tanto maggiore sarà la libertà di manovra per l’operazione, anche se questo potrebbe dare luogo a difficoltà pratiche, in quanto suscettibile di comportare una diversa ricostruzione di alcuni aspetti del mandato a seconda di come lo vogliano intendere le parti interessate. Ciò è accaduto in Kosovo in seguito all’approvazione della risoluzione n. 1244, quando il Consiglio non è stato in grado, per le divisioni tra le parti coinvolte e tra gli stessi membri permanenti, di indicare con chiarezza la soluzione finale cui l’Amministrazione territoriale sarebbe dovuta pervenire. In casi come questo sarà poi compito del Segretario generale e dei suoi rappresentanti speciali proseguire nell’attività di confronto e di mediazione tra le parti al fine di tentare di determinare con maggiore chiarezza gli aspetti controversi. Come rilevato, occorre rifarsi al mandato istitutivo anche per caratterizzare gli elementi dell’imparzialità e dell’uso della forza da parte delle operazioni di pace. In tale contesto, l’ampio mandato conferito alle operazioni aventi compiti di amministrazione territoriale comporta a loro carico l’obbligo di agire in modo da non favorire alcuna delle parti coinvolte, pur potendo utilizzare i mezzi di pressione legittimi al fine di portare avanti le proprie attività e di contrastare chi ostacola il processo di pace, utilizzando anche la forza per difendere il mandato. In concreto, l’Amministrazione territoriale potrà anche 45
C ORELL, The Role of the United Nations in Peacekeeping, cit., p. 5; IRMSCHER, op. cit., p. 355 s. PAULUS, op. cit., p. 545, rileva: «Article 25 obliges member states to accept and execute the decisions of the SC, including the decisions of subsidiary organs to the extent they exercise them in accordance with their mandate». 46 B ENZING , op. cit., p. 323 s. In senso critico, con riferimento all’azione dell’UNMIK in Kosovo, v., ex multis, SANTORI, op. cit., p. 1689 ss.
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trovarsi a difendere la posizione di una parte, in specie di una minoranza, qualora questa risulti oggetto di un trattamento discriminatorio, di aggressioni o di violenza47 , così come in altri casi potrà condannare il comportamento di quei gruppi che, impegnatisi nel processo di riconciliazione nazionale, non rimangano fedeli a tale impegno. 5. Il rispetto dei diritti umani Un altro limite che le Amministrazioni territoriali dell’ONU incontrano nello svolgimento della loro attività consiste nel rispetto delle norme internazionali sui diritti umani48 , che tutelano gli abitanti del territorio amministrato. Tale obbligo è spesso previsto dagli atti che istituiscono le Amministrazioni. Già nelle disposizioni relative al Territorio libero di Trieste fu posta grande enfasi sulla tutela dei diritti umani49 , mentre ai cittadini di Gerusalemme il progetto aggiornato di Statuto avrebbe garantito il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali50 . Nel caso della Nuova Guinea occidentale, UNTEA e Indonesia si impegnarono a garantire pienamente i diritti umani degli abitanti, inclusi il diritto di parola, la libertà di movimento e il diritto di assemblea51 , mentre il par. 12 della risoluzione n. 1037 incaricò l’UNTAES di monitorare che le parti rispettassero gli impegni assunti con l’Accordo di Erdut in materia di rispetto dei più elevati standards nei settori dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Con riferimento alla situazione del Kosovo, il par. 11, lett. j), della risoluzione n. 1224 assegnò all’UNMIK il compito di tutelare e pro-
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In senso fortemente critico, con riferimento alla mancata protezione offerta dalla KFOR ai gruppi di serbi del Kosovo oggetto di attacchi sistematici da parte degli albanesi, v. MURPHY, United Nations Peacekeeping and the Use of Force – the Failure to Protect in Kosovo, in Baltic YIL, 2005, p. 77 ss. 48 C ORELL, The Role of the United Nations in Peacekeeping, cit., p. 5. 49 In particolare si richiamano gli articoli 4 (Human Rights and Fundamental Freedoms), 5 (Civil and Political Rights) e 17 (Responsibility of the Governor to the Security Council, che include il monitoraggio della tutela dei diritti umani fondamentali) dello Statuto permanente, cit. 50 In base all’art. 9 del progetto aggiornato di Statuto, cit., a Gerusalemme sarebbero stati garantiti i diritti umani fondamentali, e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sarebbe stata uno standard da raggiungere per la città. 51 Cfr. l’art. XXII, par. 1, dell’Accordo di New York del 1962, cit.
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muovere i diritti umani in quel territorio52 . La sezione 1.3 del regolamento n. 1999/24 dell’UNMIK impone a chiunque eserciti pubbliche funzioni di osservare gli standards internazionali sui diritti umani53 , in particolare richiamando, con un’elencazione non tassativa: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 e i relativi protocolli, i due Patti ONU del 16 dicembre 1966 (sui diritti civili e politici, con i relativi protocolli, e sui diritti economici, sociali e culturali), la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 17 dicembre 1979, la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 17 dicembre 1984 e la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989. La stessa impostazione caratterizza il capitolo 3.1 del citato Constitutional framework, il quale dispone che a tutte le persone in Kosovo deve essere assicurato il godimento, senza discriminazioni e in piena eguaglianza, dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Il Constititional framework prevede inoltre che le Istituzioni provvisorie di autogoverno devono osservare e assicurare i diritti umani e le libertà fondamentali riconosciuti a livello internazionale54 . Gli atti internazionali richiamati nel Constitutional framework corrispondono solo in parte a quelli indicati dal regolamento n. 1999/2455 , ma ciò non sembra determinante, in quanto si tratta, in entrambi i casi, di elencazioni aventi mero carattere esemplificativo. A Timor est, il par. 15 della risoluzione n. 1272 sottolineò l’importanza di includere nel personale dell’UNTAET soggetti con una 52 Lo stesso Segretario generale, al par. 42 del rapporto S/1999/779, cit., ha affermato che l’attività dell’UNMIK si sarebbe fondata sugli standards sui diritti umani universalmente riconosciuti. 53 Ciò era già previsto dal par. 38 del rapporto del Segretario generale S/1999/779, cit. 54 Cfr. anche il preambolo del Constitutional framework. Da esso A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 363, ricavano anche l’impegno dell’UNMIK a rispettare i trattati sui diritti umani di cui è parte la RFI, ma ciò non risulta dal documento in questione. 55 Non sono richiamate la Convenzione contro la tortura, quella contro la discriminazione razziale e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, mentre trovano spazio la Carta europea per le minoranze regionali o linguistiche del 5 novembre 1992 e la Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazionali del 1° novembre 1995.
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adeguata formazione, tra l’altro, nel settore dei diritti umani56 . La sezione 2 del regolamento n. 1999/1 dell’UNTAET affermò che, nell’esercizio delle loro funzioni, tutti coloro che avessero esercitato funzioni pubbliche in quel territorio erano tenuti a osservare gli «internationally recognized human rights standards», richiamando i medesimi atti internazionali contenuti nel ricordato regolamento n. 1999/24 dell’UNMIK, ad eccezione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si tratta di un aspetto del tutto peculiare, dal momento che, di regola, le organizzazioni internazionali non esercitano nei confronti degli individui un potere tale da far emergere a loro carico l’obbligo di rispettarne i diritti umani. La situazione muta sensibilmente nel caso qui considerato, in quanto è l’ONU che istituisce e gestisce un’Amministrazione territoriale ed esercita quindi rilevanti poteri legislativi, esecutivi e giudiziari su una comunità territoriale, trovandosi coinvolta in numerose situazioni in cui vengono in rilievo possibili violazioni dei diritti umani57 . In questi casi l’ONU, in quanto soggetto internazionale, è vincolata dalle norme a tutela dei diritti umani a carattere cogente58 e, alle stesse condizioni degli altri soggetti internazionali, anche da quelle consuetudinarie. È stato altresì rilevato, ri56
In tema v. la critica di DEVEREUX, op. cit., p. 297 ss., che ritiene che il Consiglio avrebbe dovuto formulare in maniera più esplicita il mandato dell’UNTAET nel senso della tutela e promozione dei diritti umani, stante il contesto in cui tale Amministrazione è stata dispiegata. 57 Secondo MÉGRET e HOFFMANN, op. cit., p. 321 ss., la responsabilità per violazione dei diritti umani deriva dall’intensità del controllo esclusivo che il soggetto esercita sugli individui, per cui nel momento in cui le Nazioni Unite si limitano a promuovere il rispetto dei diritti umani, come chiede la Carta, non sono in condizione di violarli, ma nel momento in cui sono chiamate ad applicare gli stessi, allora diviene concreta la possibilità che li violino. In generale sul tema v. K ONDOCH, Human Rights Law and UN Peace Operations in Post-Conflict Situations, in WHITE (N.D.) e K LAASEN (eds.), op. cit., p. 33 ss.; C ERONE, Reasonable Measures in Unreasonable Circumstances: A Legal Responsibility Framework for Human Rights Violations in Post-Conflict Territories under UN Administration, ivi, p. 61 ss. 58 T ONDINI, I diritti umani nei conflitti armati e nelle operazioni di pace: l’equilibrio del diritto tra uso della forza e dovere di protezione, in DPCE, 2006, p. 1196 ss. La difficoltà di individuare con precisione quali norme del diritto internazionale umanitario e di quelle a tutela dei diritti umani abbiano carattere cogente è segnalata da K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 254 ss. e p. 335 ss.; B ONGIORNO, op. cit., p. 638 ss. Per una severa, ma non condivisibile, critica all’insistenza dell’ONU, nella sua attività di peace-building, sulla tutela dei diritti umani v. K LABBERS, op. cit., p. 373 ss.: «Instead of being a conditio sine qua non for the building of a new community, an insistence on human rights and on punishment may actually turn out to be most divisive, and in a variety of ways».
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chiamando il parere della Corte internazionale di giustizia dell’11 aprile 1949 sui danni sofferti al servizio delle Nazioni Unite, che l’Organizzazione ha doveri oltre che diritti, per cui «when the U.N. undertakes governmental functions, the duties corresponding to these functions in international law also apply», incluse le norme sui diritti umani59 . La questione è assai complessa con riferimento alle norme pattizie. Le organizzazioni internazionali non sono, in linea di massima, destinatarie degli accordi concernenti la tutela dei diritti umani, che sono conclusi e vincolano unicamente gli Stati60 . D’altro canto, come già ricordato le Amministrazioni territoriali hanno espressamente indicato numerosi atti internazionali sui diritti umani quale corpus di norme applicabile nel territorio amministrato, gerarchicamente superiore rispetto agli atti legislativi interni, garantendo così ai soggetti amministrati la possibilità di beneficiare di tali diritti. Si pongono però sia la questione se la stessa Amministrazione sia vincolata al rispetto di quei diritti, sia quella delle modalità attraverso cui gli stessi potrebbero essere fatti valere nei suoi confronti. Ci sembra che il richiamo di accordi internazionali sui diritti umani negli atti adottati dalle Amministrazioni territoriali non comporti l’adesione dell’ONU a quegli accordi, ammesso che ciò fosse tecnicamente possibile, quanto piuttosto l’impegno unilaterale dell’Amministrazione a garantire la loro applicazione nel territorio amministrato. Riteniamo infatti che la circostanza che sia l’Amministrazione stessa a fissare gli standards di tutela dei diritti umani per i soggetti ad essa sottoposti vincoli la stessa al loro rispetto, pur non essendo parte contraente agli accordi medesimi61 . Il richiamo al rispetto dei diritti umani contenuto negli atti adottati dalle Amministrazioni territoriali può essere considerato come un binding self-commitment, che estende alle stesse l’obbligo di rispettare le norme sui diritti umani, in ra59
B ONGIORNO, op. cit., p. 642 ss. In senso contrario v. K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 241, che qualificano tale argomento come “formalista”, affermando che «l’absence d’un droit exprès autorisant les organisations à adhérer à certaines conventions ne devrait pas exclure la possibilité d’une participation». Gli stessi ipotizzano anche l’accettazione dell’obbligo pattizio in via unilaterale da parte dell’ONU con una dichiarazione ad hoc (p. 245). 61 In senso affermativo v. B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 237 («if UNMIK is to protect human rights, it cannot itself violate human rights standards»); IRMSCHER, op. cit., p. 366 ss.; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 150 s.; MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 104; FRIEDRICH, op. cit., p. 270 s. 60
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gione del fatto che esercitano l’autorità di governo sul territorio62 . Ciò è a dirsi con riferimento agli obblighi sostanziali posti da tali accordi, mentre più complessa è la connessa questione dell’azionabilità degli strumenti di ricorso internazionali previsti da alcuni dei suddetti accordi, con riferimento ai quali si pone il problema dell’imputabilità delle violazioni63 . Inoltre, su un piano più generale, sarebbe assai difficile comprendere come l’ONU promuova il rispetto di numerosi diritti umani quando si rivolge agli Stati membri – sia nel senso di affermarli negli articoli 1, par. 364 , e 55 della Carta65 e in numerose risoluzioni dei suoi principali organi, tra cui le risoluzioni istitutive delle Amministrazioni territoriali, sia favorendo la conclusione di apposite convenzioni internazionali e invitando gli Stati membri ad aderirvi, sia, infine, attraverso l’azione delle sue istituzioni deputate al controllo sul rispetto di tali diritti, ma possa poi disattenderne l’applicazione nel momento in cui è l’Organizzazione stessa, attraverso un proprio organo sussidiario qual è un’Amministrazione territoriale, ad esercitare poteri di governo su una comunità territoriale66 . Si pensi ai numerosi comitati istituiti da convenzioni internazionali concluse nell’ambito dell’ONU67 nonché all’attività di organi come la Commissione dei diritti dell’uomo, sostituita nel 2006 dal Consiglio dei diritti umani68 , e ai numerosi meccanismi (quali commis62
B ENZING , op. cit., p. 324 ss. V. infra, capitolo IV, par. 7. 64 Esso afferma che l’ONU intende conseguire «la cooperazione internazionale […] nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti». 65 In tema v. DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 320. V. anche RUFFERT, op. cit., p. 623 s.; NILSSON, op. cit., p. 397; K NOLL, Beyond the Mission Civilisatrice, cit., p. 287 s. 66 Del resto, come rilevato da DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 514 s., l’azione di un’Amministrazione territoriale «consiste fondamentalement à remplir les fonctions normales d’une administration démocratique et soucieuse de respecter les principes de l’Etat de droit» (v. anche p. 524). In tema v. K ELLY, op. cit., p. 173; B EAUVAIS, op. cit., p. 1169; B ONGIORNO, op. cit., p. 632 ss. 67 Si pensi al Comitato dei diritti dell’uomo, al Comitato per i diritti economici, sociali e culturali, al Comitato contro la tortura, al Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale, al Comitato per i diritti del fanciullo, al Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne. In tema v. K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 379 ss. 68 Cfr. la risoluzione dell’Assemblea generale n. 60/251 del 15 marzo 2006 e quella del Consiglio economico e sociale n. 2006/2 del 22 marzo 2006. In tema v., ex multis, GARGIULO, Le Nazioni Unite e la tutela dei diritti umani dopo il Vertice mondiale del 2005: conferme (molte) e novità (poche), in CI, 2006, p. 709 ss. 63
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sioni d’inchiesta o rapporteur territoriali o per materia) ad essi connessi. Le Amministrazioni territoriali, al fine di giustificare la propria azione non conforme agli standards internazionali sui diritti umani, non potrebbero utilmente invocare la clausola di deroga costituita dalla situazione di emergenza in cui spesso sono chiamate ad operare, in particolare nel periodo immediatamente successivo al loro dispiegamento69 . Com’è noto, tale clausola è prevista dai principali accordi internazionali a tutela dei diritti umani (art. 15 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, art. 4 del Patto sui diritti civili e politici70 , art. 27 della Convenzione americana dei diritti umani), ma conosce alcune limitazioni. In primo luogo, ci sono diritti non derogabili neppure in situazioni eccezionali. Inoltre occorre interpretare tali clausole in senso restrittivo71 , lo Stato che vuole avvalersene deve procedere informando le altre Parti contraenti attraverso una dichiarazione ad hoc e comunque la deroga non deve protrarsi al di là del tempo strettamente necessario per superare la situazione di emergenza. Con riferimento al Kosovo, l’UNMIK ha in più occasioni affermato di non sentirsi vincolata automaticamente dagli accordi conclusi dalla RFI in materia di diritti umani72 . Ciò comporta che la loro ap69
DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 322, sostiene: «As far as the Security Council is concerned, a determination that the situation in the administered territory constitutes a threat to international peace, would suffice to indicate the existence of a state of emergency». In caso contrario, tale autore argomenta che vi sarebbe una eccessiva restrizione della discrezionalità del Consiglio e una limitazione della “presunzione di legittimità” che, a suo dire, accompagna le risoluzioni; per un’opinione simile v. già L ORENZ, The Rule of Law in Kosovo: Problems and Prospects, in Criminal LF, 2000, p. 135. Contro v. MOLE, op. cit., p. 295; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 153; ID ., The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 166 s.; SALAMUN, op. cit., p. 72. 70 Con riferimento a tale Patto K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 309, ritengono possibile parlare di restrizioni, autorizzate anche in situazioni ordinarie (articoli 12 e 19), piuttosto che di deroghe, previste unicamente nelle situazioni di emergenza. 71 DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 529 s. (nota n. 164). 72 Cfr. il rapporto presentato dall’UNMIK al Comitato dei diritti umani dell’ONU, Report Submitted by the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo to the Human Rights Committee on the Human Rights Situation in Kosovo since June 1999. Kosovo (Serbia and Montenegro) (UN Doc. CCPR/C/UNK/1 del 13 marzo 2006, p. 28). La RFI, all’atto dell’istituzione dell’UNMIK, era vincolata dai due Patti ONU del 1966, dalla Convenzione contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984 (compreso il protocollo facoltativo per i ricorsi individuali al Comitato contro la tortura), dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965,
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plicazione in Kosovo deriva da un impegno internazionale assunto dalle autorità iugoslave, in quanto diritto già in vigore in quel territorio all’atto dell’istituzione dell’UNMIK, ma da tali autorità non è possibile pretendere il rispetto dei diritti e degli obblighi derivanti da tali norme convenzionali, essendo loro materialmente precluso il potere di governo in Kosovo. Al fine di ricostruire un obbligo dell’UNMIK in tale direzione, oltre a quanto già rilevato con riferimento ad un suo impegno unilaterale, con riferimento agli accordi che vincolavano la RFI al giugno 1999 può essere utilmente richiamata la posizione espressa dal menzionato Comitato dei diritti umani dell’ONU nel General comment n. 26 del 29 ottobre 199773 . Secondo tale organo, infatti, una popolazione che gode di un certo diritto lo mantiene anche quando muta la situazione territoriale, attraverso una sorta di successione automatica (o functional succession) negli accordi sui diritti umani. Potrebbe quindi ritenersi che l’UNMIK, che non è il successore nella sovranità iugoslava e alla quale quindi non si trasmettono gli obblighi derivanti per la RFI dai menzionati trattati sui diritti umani con riferimento al Kosovo, per il fatto di esercitare la pubblica autorità in quel territorio sia nondimeno tenuta a garantire agli abitanti la tutela offerta dalle norme convenzionali sui diritti umani che vincolano la RFI74 . Il 28 luglio 2004 il suddetto Comitato, nelle osservazioni conclusive sul rapporto presentato dall’allora Serbia-Montenegro, stante l’“impossibilità”, dichiarata da tale Stato, «to discharge its responsibilities with regard to the human rights situation in Kosovo», ha invitato l’UNMIK, in collaborazione con le Istituzioni provvisorie di autogoverno kosovare, a sottoporre un rapporto sulla situazione dei diritti umani in quel territorio dopo il giugno 1999, considerato che il Patto continua a essere applicabile75 . Peraltro, è stata segnalata la difficoltà di applicare il criterio elaborato dal Comitato nel citato General comment n. 26 con riferimento da quella sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 1979 e dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989. 73 Cfr. UN Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.8/Rev.1 (Continuity of Obligations), dell’8 dicembre 1997. Sul ruolo del Comitato dei diritti umani e sulla rilevanza giuridica da riconoscere ai suoi General comments, v. B UERGENTHAL, The U.N. Human Rights Committee, in Max Planck YUNL, 2001, p. 341 ss., partic. p 386 ss. 74 Cfr. il par. 4 del General comment n. 26, cit. In senso affermativo v. C ERONE, Minding the Gap, cit., p. 474; IRMSCHER, op. cit., p. 371 ss.; B ENZING , op. cit., p. 329; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 280 s. 75 Cfr. UN Doc. CCPR/CO/81/SEMO, del 12 agosto 2004, par. 3. Sul punto torneremo più avanti nel testo.
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ad una situazione come quella di Timor est, in cui la sovranità, nel periodo precedente all’istituzione dell’UNTAET, era contesa tra l’Indonesia, il Portogallo e la stessa popolazione del territorio76 . Taluni autori, al fine di ricostruire un obbligo in capo alle Amministrazioni territoriali di rispettare i diritti umani, hanno proposto di vincolarle agli obblighi pattizi assunti dagli Stati membri partecipanti alle stesse77 . Ci sembra che tale argomento sia accoglibile solo in parte. Con riferimento alla componente civile delle Amministrazioni territoriali, infatti, che è gestita e dipende direttamente dall’Organizzazione, tale ricostruzione sembra negare l’esistenza di una personalità giuridica distinta dell’Organizzazione, il che non è condivisibile. La questione si pone in termini differenti per la componente militare delle Amministrazioni territoriali, che mantiene un legame con lo Stato di appartenenza e non è quindi posta sotto il comando esclusivo dell’ONU78 . È possibile richiamare al riguardo il General comment n. 31, adottato dal Comitato dei diritti umani il 29 marzo 2004, che afferma non solo che «a State party must respect and ensure the rights laid down in the Covenant to anyone within the power or effective control of that State Party, even if not situated within the territory of the State Party», ma anche: «This principle also applies to those within the power or effective control of the forces of a State Party acting outside its territory, regardless of the circumstances in which such power or effective control was obtained, such as forces constituting a national contingent of a State Party assigned to an international peace-keeping or peace-enforcement operation»79 . Il criterio rilevante diviene allora quello del “controllo effettivo” sul contingente80 ; si potrà pretendere dagli Stati il rispetto dei loro obblighi pattizi in materia di tutela dei diritti umani nei confronti dei 76 A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 364 (nota n. 337). 77 IRMSCHER, op. cit., p. 372 s.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 241 s. 78 In tema v. B ERDAL, Il sistema delle Nazioni Unite di comando e controllo nelle operazioni di peace-keeping, in RONZITTI (a cura di), Comando e controllo, cit., p. 45 ss. 79 Cfr. UN Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.13 (Nature of the General Legal Obligation Imposed on States Parties to the Covenant), del 26 maggio 2004. Corsivi aggiunti. 80 C ERONE, Minding the Gap, cit., p. 475 ss.; MOLE, op. cit., p. 285; STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 151; MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 105; DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 324 s.; FRIEDRICH, op. cit., p. 272 ss.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 288; K NOLL, Beyond the Mission Civilisatrice, cit., p. 289; DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 373 s.
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soggetti che siano sottoposti al loro controllo81 . Vedremo in seguito come ciò possa comportare anche il funzionamento dei meccanismi di controllo che, in taluni trattati sui diritti umani, si accompagnano alla loro applicazione82 . In questi anni, in più occasioni le Amministrazioni territoriali non hanno rispettato gli standards di tutela dei diritti umani universalmente riconosciuti, ovvero posti dagli atti e accordi internazionali poc’anzi richiamati e indicati espressamente in alcuni regolamenti adottati dalle stesse Amministrazioni. Esse, come accennato, sono state criticate anche per il mancato rispetto dei principi democratici, in ragione della «inherent contradiction» dei principi dello stato di diritto e del governo democratico, considerati quali precondizioni per una effettiva tutela dei diritti umani, con la natura dell’amministrazione esercitata e l’accentramento dei poteri in capo al Rappresentante speciale83 . In particolare è stata oggetto di critiche l’Amministrazione territoriale realizzata in Kosovo84 . Le numerose violazioni di norme internazionali sui diritti umani da parte dell’UNMIK e della KFOR85 emergono dagli approfonditi e circostanziati rapporti resi da autorevoli osservatori, governativi (Comitato dei diritti umani dell’ONU86 , 81
K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 251 ss. V. infra, capitolo IV, par. 7. 83 B RAND , Institution-Building, cit., p. 462. In senso critico v. anche VON C ARLOWITZ, UNMIK Lawmaking, cit., p. 347; C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 127 ss.; DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 320; RIGAUX, Guerres et interventions, cit., p. 270; FRIEDRICH, op. cit., p. 284 ss.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 259 s. 84 In tema sia consentito rinviare, anche per ulteriori riferimenti bibliografici e di prassi, al nostro studio su La tutela dei diritti umani nel Kosovo sotto amministrazione diretta dell’ONU, in Studi in onore di Vincenzo Starace, cit., vol. I, p. 447 ss. Alcune critiche sono anche state rivolte all’UNTAET; v., anche per la prassi, MORROW (J.) e WHITE (R.), op. cit., p. 1 ss. Con riferimento all’UNTAES, invece, è stata rilevata soprattutto la mancanza di un reale impegno delle autorità croate nel garantire la parità di trattamento e la non-discriminazione alle popolazioni appartenenti alle minoranze etniche dei territori sottoposti all’Amministrazione dell’ONU, oltre che nel perseguire i reati commessi nei loro confronti dall’etnia dominante. 85 La sezione 2.2 del regolamento n. 2000/47 impegna il personale della KFOR a rispettare le leggi e i regolamenti applicabili nel territorio, anche se solo «insofar as they do not conflict with the fulfilment» del suo mandato. Ciò, pur conforme a quanto dispongono alcuni dei SOFA che regolamentano l’azione di forze multinazionali autorizzate, è stato criticato, considerata l’ampiezza dei poteri che la KFOR esercita in quel territorio. MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 110: «[...] KFOR is bound by the law when it wants to be, but not when it does not». 86 L’ampio rapporto sulla situazione dei diritti umani in Kosovo presentato 82
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OSCE87 , Consiglio d’Europa88 , Ufficio dell’Ombudsperson in Kosovo) e non governativi (come Amnesty International e Human Rights Watch)89 . Nell’amministrazione del Kosovo sono state tra l’altro denunciate violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo90 ,
dall’UNMIK al Comitato dei diritti umani dell’ONU (UN Doc. CCPR/C/UNK/1, cit.), è stato oggetto di numerosi rilievi da parte dello stesso Comitato nelle sue osservazioni conclusive espresse il 27 luglio 2006 (cfr. UN Doc. CCPR/C/UNK/CO/1 del 14 agosto 2006). Tra i rilievi mossi dal Comitato appaiono particolarmente significativi quelli relativi all’incertezza sul diritto applicabile, all’insufficiente azione per l’affermazione dei diritti umani, al trattamento degli sfollati, all’uso eccessivo della forza da parte delle autorità interne ed internazionali incaricate di compiti di pubblica sicurezza e alla connessa impunità di coloro che si rendano responsabili di tali atti, alla prassi delle detenzioni extra-giudiziali, all’assenza di indipendenza dei giudici stranieri e alla frequente inefficacia dei giudicati dei giudici kosovari, al trattamento delle minoranze. 87 Anche l’OSCE svolge un ruolo importante quale meccanismo di controllo non giudiziario sul rispetto dei diritti umani in Kosovo ed è competente, tra l’altro, a monitorare la tutela e la promozione dei diritti umani, inclusa l’istituzione dell’Ufficio dell’Ombudsperson, formulando rapporti pubblici sul rispetto degli standards sui diritti umani da parte dell’Amministrazione territoriale e verificando che le corti e le altre strutture giudiziarie operino in accordo con tali standards. In questi anni, non ha mancato di formulare critiche e rilievi in merito all’azione delle presenze internazionali dispiegate in Kosovo (cfr., ad esempio, il rapporto n. 6 dell’OMIK, del 29 aprile 2000, intitolato non a caso Extension of Custody Time Limits and the Rights of Detainees: The Unlawfulness of Regulation 1999/26), al punto che è stato rilevato come i rapporti dell’OSCE, «privately considered too critical in UN circles, led to its marginalization» (MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 138 ss.) 88 Cfr. il rapporto del 16 ottobre 2002 del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, CommDH(2002)11 (Kosovo: The Human Rights Situation and the Fate of Persons Displaced from their Homes); il parere 280/2004 adottato dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (c.d. Commissione di Venezia) nella sessione dell’8 e 9 ottobre 2004 su Les droits de l’homme au Kosovo: établissement éventuel de mécanismes de contrôle, CDL-AD(2004)033, su cui v. NOLTE, Human Rights Protection against International Institutions in Kosovo: The Proposals of the Venice Commission of the Council of Europe and Their Implementation, in DUPUY (P.M.) et al. (Hrsg./eds.), Völkerrecht als Wertordnung, Common Values in International Law. Festschrift für Christian Tomuschat, Essays in Honour of Christian Tomuschat, Kehl, 2006, p. 245 ss.; la risoluzione n. 1417 e la raccomandazione n. 1691 (Protection of Human Rights in Kosovo) adottate dall’Assemblea parlamentare il 25 gennaio 2005. 89 Cfr. i seguenti rapporti di Amnesty International (EUR 70/13/00, EUR 70/008/2002, EUR 05/002/2004, EUR 70/009/2004, EUR 70/011/2006 e EUR 70/015/2006) e di Human Rights Watch (Not on the Agenda. The Continuing Failure to Address Accountability in Kosovo Post-March 2004). 90 Con particolare riferimento agli articoli 2, 3, 5, 6, 8, 13 e 1 del I protocollo addizionale. In tema v. MOLE, op. cit., p. 293 ss.
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del Patto ONU sui diritti civili e politici91 , della Convenzione sui diritti del fanciullo (art. 37) e della Convenzione ONU contro la tortura (articoli 2 e 14)92 . Tra gli esempi più eclatanti di mancato rispetto degli standards sui diritti umani nell’azione delle presenze internazionali in Kosovo93 rientrano, in primo luogo, alcune violazioni conseguenti all’adozione del regolamento n. 1999/26, che dispone la reclusione in custodia cautelare di soggetti accusati di attività criminali, per un lungo periodo – fino ad un massimo di dodici mesi –, e anche la pratica, già menzionata, dei c.d. executive orders (o extra-judicial detentions)94 , che coinvolge anche la KFOR in ragione della Detention Directive 42 adottata dal suo Comandante il 9 ottobre 200195 . 91
Con particolare riferimento agli articoli 2, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 14, 17, 25 e 26. STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 154 ss.; RAWSKI, op. cit., p. 125; A BRAHAM , The Sins of the Savior: Holding the United Nations Accountable to International Human Rights Standards for Executive Order Detentions in Its Mission in Kosovo, in American ULR, 2003, p. 1304 e p. 1312 ss. 93 Secondo MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 142 ss., il fatto che l’Ufficio per gli affari giuridici dell’UNMIK abbia trascurato di consultare gli esperti in materia di diritti umani dell’Amministrazione territoriale al fine di assicurarne il rispetto nella predisposizione degli atti di amministrazione del Kosovo «resulted in regulations that violate basic human rights standards». Sono considerati come tali, tra gli altri, i regolamenti dell’UNMIK n. 2001/17 (On the Registration of Contracts for the Sale of Real Property in Specific Geographical Areas of Kosovo), adottato il 22 agosto 2001, e n. 2001/28 (On the Rights of Persons Arrested by Law Enforcement Authorities), adottato l’11 ottobre 2001. V. anche B RAND , Effective Human Rights Protection, cit., p. 364. In senso opposto v. C ORELL, Authorization for State-Building Missions, cit., p. 33, che rileva come nel redigere i regolamenti ci si è posti l’obiettivo «that nothing in the legislation promulgated in Kosovo could be allowed to violate international human rights standards», in particolare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. 94 Cfr. il citato regolamento n. 1999/26 dell’UNMIK. In senso fortemente critico cfr. il rapporto speciale n. 3 dell’Ombudsperson Institution in Kosovo, del 29 giugno 2001, The Conformity of Deprivations of Liberty under ‘Executive Orders’ with Recognised International Standards, nel quale è richiamata un’ampia e consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 5 della Convenzione di Roma del 4 novembre 1950. 95 Si consideri peraltro che il citato regolamento n. 2001/28 dell’UNMIK, adottato due giorni dopo la Detention Directive 42 della KFOR, nell’assicurare alle persone arrestate dalle autorità di polizia numerosi diritti riconosciuti da accordi internazionali, non include la KFOR tra tali autorità. In senso critico v. il citato rapporto speciale n. 3 dell’Ombudsperson Institution in Kosovo; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 164 ss. (che mette in luce anche la maggiore correttezza dell’azione condotta dall’UNTAET); A BRAHAM , op. cit., p. 1291 ss.; MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 110 ss.; N ILSSON, op. cit., p. 404 ss.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 310 ss. In senso parzialmente contrario v. C HESTERMAN, Justice under 92
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Altre violazioni derivano dalle menzionate disposizioni relative al potere giudiziario, che consentono ai Rappresentanti speciali del Segretario generale di rimuovere dall’ufficio i magistrati96 ; nel caso dell’UNMIK97 esse appaiono ancor meno garantiste rispetto alla disciplina posta nei regolamenti dell’UNTAET98 Con riferimento al potere giudiziario, un altro motivo di preoccupazione è dato dalla previsione, già ricordata, contenuta nella sezione 2 del citato regolamento n. 1999/24, in base alla quale i giudici possono chiedere al Rappresentante speciale chiarimenti sul diritto applicabile99 . Dall’analisi fin qui svolta, risulta che le Amministrazioni territoriali sono tenute a garantire il godimento dei diritti umani nei territori International Administration, cit., p. 5 ss. Segnala peraltro SASSÒLI, op. cit., p. 146: «D’un point de vue humanitaire et du respect des droits de la personne, une détention administrative provisoire est parfois préférable à une condamnation ou un acquittement par un tribunal partial dans une procédure irrégulière». 96 Ricordiamo che secondo la giurisprudenza degli organi di Strasburgo l’irremovibilità dei giudici da parte dell’Esecutivo è un corollario della loro indipendenza, garantita dall’art. 6, par. 1, della Convenzione europea (cfr. ad esempio la pronuncia nel caso Campbell e Fell c. Regno Unito, appl. 7819/77 e 7878/77, decisione del 28 giugno 1984, par. 80). 97 Ai sensi del citato regolamento n. 1999/7 dell’UNMIK un giudice o un pubblico ministero potevano essere rimossi dal loro incarico in base ad una valutazione ampiamente discrezionale del Rappresentante speciale, in caso di: «(a) Physical or mental disability which is likely to be permanent or prolonged; (b) Serious misconduct; (c) Failure in the due execution of office; or (d) Having been placed, by personal conduct or otherwise, in a position incompatible with the due execution of office» (corsivi aggiunti). Il regolamento non prevede alcuno strumento a disposizione del soggetto rimosso al fine di contestare il provvedimento adottato nei suoi confronti. 98 La sezione. 13 del citato regolamento n. 1999/3 dell’UNTAET, così come modificata dal successivo regolamento n. 2001/26 prevede, infatti, una gradazione delle sanzioni nei confronti dei giudici o dei pubblici ministeri accusati di non svolgere in maniera adeguata il loro incarico e dispone che la loro rimozione possa aver luogo solo per specifiche e serie circostanze e che la Commissione a ciò incaricata, prima di adottare sanzioni, ascolti la persona accusata e le dia la possibilità di presentare le proprie osservazioni. SALAMUN, op. cit., p. 137: «As a result, apart form the involvement and certain margins of discretion of the Transitional Administrator, the independence of the judiciary was largely guaranteed». 99 Una conferma viene dalla sezione 4.3 del successivo regolamento n. 2000/38 dell’UNMIK, cit., che, nel disporre che anche l’Ombudsperson possa prestare ai giudici una consulenza e formulare raccomandazioni sulla compatibilità di leggi e regolamenti interni con gli standards internazionali, esclude i casi in cui il chiarimento sia chiesto al Rappresentante speciale in base alla sezione 2 del regolamento n. 1999/24 dell’UNMIK, cit.
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in cui sono dispiegate. Il problema è quindi quello di individuare i meccanismi giudiziari, sia interni sia internazionali, utilizzabili da parte di chi si ritenga vittima di una siffatta violazione. Come vedremo, è questo un punto assai criticabile nell’azione delle Amministrazioni territoriali. Sezione II IL CONTROLLO SULLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI
6. Il controllo giudiziario. Critica al regime di immunità di cui beneficiano le Amministrazioni territoriali Una prima questione da affrontare è relativa al controllo che i giudici del territorio in cui si svolge l’operazione con funzioni di amministrazione diretta possono esercitare sugli atti della stessa e dei suoi funzionari. Tale controllo non appare efficace, non solo per i dubbi sull’indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo alla luce dell’accentramento di entrambi nell’Amministrazione dell’ONU, ma soprattutto in ragione del regime di immunità di cui questa gode e che copre la gran parte dei suoi atti. Infatti, come in genere per le operazioni di pace, anche quelle con funzioni di amministrazione territoriale beneficiano di privilegi e immunità. Con riferimento all’UNTEA, all’art. XXVI dell’Accordo di New York del 1962 Paesi Bassi e Indonesia si impegnarono ad applicare alle Nazioni Unite, al loro personale e ai loro beni e proprietà i privilegi e le immunità previste dall’apposita Convenzione dell’ONU del 13 febbraio 1946. L’art. 19 del memorandum of understanding del 6 luglio 1994 relativo a Mostar stabilì che all’Amministratore e ai funzionari internazionali dell’EUAM fossero riconosciuti i privilegi e le immunità di cui beneficiano gli agenti diplomatici in virtù della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961. Per l’UNTAES, invece, fu il Consiglio di sicurezza, con il par. 13 della risoluzione n. 1037, a chiedere al Governo croato di estendere a tale operazione il SOFA già esistente, stipulato con l’Organizzazione per disciplinare i privilegi e le immunità dell’operazione fino ad allora dispiegata in territorio croato. Nel caso dell’Amministrazione territoriale per il Kosovo la disciplina delle immunità è alquanto articolata. Il citato regolamento n. 2000/47, in conformità con la citata Convenzione del 13 febbraio
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1946 e con la disciplina contenuta nel menzionato “SOFA modello” dell’ONU e nei SOFA stipulati dalle forze multinazionali autorizzate dal Consiglio di sicurezza100 , riconosce all’UNMIK e alla KFOR l’immunità dalla giurisdizione con riferimento alle loro proprietà, fondi e beni. Inoltre, questo regolamento garantisce l’immunità assoluta al personale internazionale civile e militare della KFOR, sottoposto alla giurisdizione esclusiva dello Stato di invio101 , e l’immunità dalla giurisdizione penale e civile per i funzionari di alto livello dell’UNMIK102 , mentre il restante personale internazionale e locale dell’UNMIK gode dell’immunità funzionale103 , così come il personale locale e i contractors della KFOR104 . In base al regolamento n. 2000/47, inoltre, il personale dell’UNMIK e quello internazionale della KFOR sono immuni da ogni forma di arresto o detenzione, salvo che da parte delle autorità dello Stato di invio per i componenti della presenza militare105 .
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Sul regolamento n. 2000/47 v. SALAMUN, op. cit., p. 68 ss. Cfr. il già citato accordo “modello” tra l’ONU e gli Stati membri per mettere il personale a disposizione delle operazioni di pace dell’ONU. Inoltre, ai sensi del ricordato “SOFA modello” l’ONU non ha alcun potere di controllo né di sanzione per le carenze degli Stati nel punire i propri effettivi che abbiano commesso dei reati. In tema v. K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 407. 102 Si tratta del Rappresentante speciale, dei suoi vice, del Police commissioner e, con una discrezionalità che non può non suscitare perplessità, degli «other highranking officials as may be decided from time to time by the Special Representative» (corsivo aggiunto). 103 In senso critico con riferimento all’estensione delle immunità anche al personale locale delle operazioni di pace con funzioni di amministrazione territoriale, v. RAWSKI, op. cit., p. 110 s. 104 È curioso notare come il Consulente giuridico dell’UNMIK non ritenga che le immunità debbano estendersi ai funzionari che non siano dipendenti dell’ONU, il che non appare corretto dal momento che essi comunque agiscono nel contesto dell’Amministrazione territoriale e dovrebbero essere considerati alla stregua di “esperti in missione” per conto dell’ONU, tanto più che la stessa sezione 6 del regolamento n. 2000/47 prevede che il Segretario generale dell’ONU sia competente a rinunciare all’immunità anche nei confronti del personale dei pilastri gestiti dall’OSCE e dell’UE, con l’unica limitazione che «any waiver of immunity shall be carried out in consultation with the heads of those components». In tema v. la ricostruzione di K NOLL, From Benchmarking to Final Status?, cit., p. 654 s. 105 Per quanto riguarda il personale dell’UNMIK, spetta al Segretario generale, ai sensi della sezione 6 del regolamento n. 2000/47, «the right and the duty to waive the immunity» qualora la stessa costituisca un impedimento alla giustizia e non si arrechi un pregiudizio agli interessi dell’UNMIK, mentre per il personale della KFOR occorre sottoporre una richiesta di rinuncia all’immunità al comandante del contingente nazionale cui appartiene il soggetto che dev’essere processato. 101
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Infine, per quanto riguarda l’UNTAET, anche se in questa materia non ha adottato un atto simile al regolamento n. 2000/47 dell’UNMIK106 , essa ha comunque garantito immunità funzionale al proprio personale, fondandosi sulla citata Convenzione del 1946 sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite107 . Il contenuto degli atti adottati dalle Amministrazioni territoriali in questa materia, sinteticamente richiamati, riconosce ampie immunità a numerosi soggetti, il che è conforme a quanto in genere previsto per le operazioni di pace o le forze multinazionali autorizzate. Al personale civile delle operazioni di pace si applicano lo statuto, il regolamento del personale e gli atti pertinenti dell’Organizzazione, oltre agli accordi ad hoc stipulati per ogni operazione (e quindi le norme convenzionali a tutela dei diritti umani sono applicabili nella misura in cui richiamate da tali atti). Però, considerate le funzioni di amministrazione diretta che tali operazioni svolgono nel territorio in cui sono dispiegate, questo ampio regime di immunità si traduce in un notevole diniego di giustizia108 . Il consueto regime di immunità per le operazioni di pace trova, infatti, la sua giustificazione nell’esigenza di garantire alle stesse la possibilità di svolgere la propria attività senza subire alcun condizionamento da parte delle autorità del territorio in cui sono dispiegate109 , ma non sembra che questa motivazione possa estendersi anche 106
SMITH e DEE, op. cit., p. 140, segnalano che l’Ufficio legale dell’UNTAET ha ritenuto impossibile per una missione di peace-keeping stipulare un SOFA con un’Amministrazione territoriale dell’ONU. 107 In tema v. RAWSKI, op. cit., p. 118. 108 Con riferimento al Kosovo v. in senso critico J OHNSON, op. cit., p. 345, che giudica eccessivo il regime di immunità garantito alla KFOR anche una volta cessata la fase di emergenza; B ARTOLINI, op. cit., p. 104 e p. 108, che rileva come le immunità riconosciute al personale della KFOR siano assai ampie rispetto alla prassi delle forze multinazionali autorizzate; DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 373 s.; A ZNAR-GÓMEZ, Some Paradoxes on Human Rights Protection in Kosovo, in DUPUY (P.M.) et al. (Hrsg./eds.), op. cit., p. 23 ss. Non convince l’osservazione di K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 285, che affermano che il regime di immunità dell’UNMIK «représente seulement un obstacle de nature procédurale sans incidences sur la substance des obligations encourues». 109 In generale v. i recenti studi monografici di REINISCH, International Organizations before National Courts, Cambridge, 2000, p. 233 ss.; WELLENS, Remedies against International Organisations, Cambridge, 2002; DORIGO, L’immunità delle Organizzazioni internazionali dalla giurisdizione contenziosa ed esecutiva nel diritto internazionale generale, Torino, 2008. Con riferimento alle immunità per le operazioni di pace, C HOPRA, Peace-Maintenance, cit., p. 197, afferma: «[...] it will be self-damaging to place the operation above its own law […]. Legal unaccountability will definitely lose for a mission the support of the local population».
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alle Amministrazioni territoriali110 . Queste esercitano poteri di governo su una comunità territoriale, per cui la possibilità per il titolare della sovranità di condizionarle nella loro azione è assai ridotta. I funzionari internazionali sono al contempo anche gli amministratori pubblici nel territorio interessato dall’operazione111 , secondo quella che la Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina ha definito “functional duality”112 e che autorevole dottrina ha da tempo qualificato
110 Cfr., con riferimento all’UNMIK, i paragrafi 23 e 24 del rapporto speciale n. 1 dell’Ombudsperson Institution in Kosovo, del 26 aprile 2001, The Compatibility with Recognized International Standards of UNMIK Regulation No. 2000/47 on the Status, Privileges and Immunities of KFOR and UNMIK and Their Personnel in Kosovo, le cui considerazioni possono essere estese a tutte le Amministrazioni territoriali. Ne riportiamo i passaggi più significativi: «The rationale for classical grants of immunity, however, does not apply to the circumstances prevailing in Kosovo, where [...] UNMIK [...] in fact acts as a surrogate state. It follows that the underlying purpose of a grant of immunity does not apply as there is no need for a government to be protected against itself. [...] With regard to UNMIK’s exercise of its executive and legislative powers for the purpose of granting itself and its security counterpart immunity, the Ombudsperson recalls that the fundamental precept of the rule of law is that the executive and legislative authorities are bound by the law and are not above it. He further recalls that, therefore, the actions and operations of these two branches of government must be subject to the oversight of the judiciary, as the arbiter of legality in a democratic society. Finally, he recalls that these precepts govern the relationship between the state and the individual, who is the subject and not the object of the law. UNMIK Regulation 2000/47 contravenes all of these principles». In tal senso v. STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., p. 160; DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 536; RAWSKI, op. cit., p. 105; A BRAHAM , op. cit., p. 1291 ss.; FRIEDRICH, op. cit., p. 277 ss.; B ENZING , op. cit., p. 342; A RDAULT, A RION, GNAMOU -PETAUTON e YETONGNON, op. cit., p. 365 s. 111 DE WET, The Direct Administration of Territories, cit., p. 330. 112 Cfr. il caso U 9/00, deciso il 3 novembre 2000, e il successivo caso U 25/00, deciso il 23 marzo 2001 (le sentenze sono consultabili sul sito internet www.ustavnisud.ba). In tema, anche per osservazioni critiche sull’approccio troppo riduttivo assunto dalla Corte nel caso U 9/00, v. MARKO, Challenging the Authority of the UN High Representative before the Constitutional Court of Bosnia and Herzegovina, in DE WET, NOLLKAEMPER e DIJKSTRA (eds.), Review of the Security Council by Member States, Antwerp, 2003, p. 113 ss. Con riferimento all’UNMIK e all’UNTAET, v. RUFFERT, op. cit., p. 626 s.; VON C ARLOWITZ, UNMIK Lawmaking, cit.., p. 344; K NOLL, From Benchmarking to Final Status?, cit., p. 645. MARTIN, op. cit., p. 571, rileva la confusione che questo duplice ruolo ha comportato nel caso dell’UNTAET, mentre WILDE, The United Nations as Government, cit., p. 214, e VON C ARLOWITZ, op. ult. cit., p. 383, segnalano la differenza di impostazione che caratterizza un funzionario internazionale da un funzionario governativo e il potenziale conflitto tra gli obiettivi perseguiti attraverso queste due funzioni. In senso contrario v. DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 502 s. («le personnel est re-
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«organi internazionali di attività interna degli Stati interessati»113 . Peraltro, tale natura “duale” delle Amministrazioni territoriali era già stata riconosciuta con riferimento al Consiglio per la Namibia114 . L’ampiezza e l’incisività delle funzioni svolte dalle Amministrazioni territoriali dovrebbero quindi portare a riflettere sull’opportunità di modificare il consueto approccio nel rapporto tra le operazioni di pace aventi tale mandato e il territorio in cui sono dispiegate, poiché in queste circostanze attraverso l’immunità l’ONU lede il principio di accountability, cui già abbiamo fatto riferimento, il quale caratterizza ogni sistema di amministrazione finalizzato a garantire il benessere della popolazione amministrata115 ; inoltre, è stato segnalato come meccanismi di accountability (sotto il profilo politico, giuridico e finanziario) siano stati in alcune circostanze previsti nei confronti delle istituzioni locali dei territori amministrati, ma non per quelle internazionali116 . In dottrina è stato persino rilevato, in maniera quasi paradossale, che il sistema di amministrazione fiduciaria offriva ai cittadini «a greater level of accountability (at least in principle) than was available to the populations of Bosnia, Kosovo, or East Timor»117 . cruté par l’administration des Nations Unies pour servir l’administration des Nations Unies») e K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 112 s. 113 A RANGIO-RUIZ, Diritto internazionale e personalità giuridica, cit., p. 207. 114 Cfr., in particolare, la risoluzione dell’Assemblea generale n. A/32/9 F del 4 novembre 1977 (Programme of Work of the United Nations Council for Namibia), che distinse le funzioni del Consiglio quale organo sussidiario dell’ONU (par. 2) da quelle in quanto entità incaricata di amministrare il territorio namibiano (par. 3). Allo stesso modo, in un memorandum del 20 aprile 1982 indirizzato al Segretario generale dell’ONU, l’Ufficio legale dell’Organizzazione qualificò il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia (cfr. Annuaire juridique, cit., p. 190). 115 STAHN, International Territorial Administration, cit., p. 137; B OTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor, cit., p. 236; B RAND , Institution-Building, cit., p. 479; Z IMMERMANN e STAHN, op. cit., p. 448 («Such an approach raises the impression that the international community is willing to set and enforce rules, while not applying them to its own joint actions»); FARRAND , op. cit., p. 579 ss.; K ORHONEN, op. cit., p. 526 s.; PERRITT, op. cit., p. 445 ss.; DE WET, The Chapter VII Powers, cit., p. 323; OELLERS-FRAHM , op. cit., p. 210 ss.; K NOLL, Beyond the Mission Civilisatrice, cit., p. 286 ss. In generale sul tema, v. Z WANENBURG , Accountability of Peace Support Operations, Leiden-Boston, 2005; WILDE, Understanding the International Territorial Administration Accountability Deficit: Trusteeship and the Legitimacy of International Organizations, in Int. Pk. YIPO, 2008, p. 93 ss. 116 SALAMUN, op. cit., p. 151 ss. 117 C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 45, il quale propone l’istituzione di un comitato per le Amministrazioni territoriali, cui gli abitanti dei territori amministrati potrebbero inviare petizioni, sul modello di quanto l’art. 87, lett. b), della Car-
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In definitiva, l’applicazione alle Amministrazioni territoriali del consueto regime di immunità riconosciuto alle operazioni di pace e alle forze multinazionali autorizzate dall’ONU non appare giustificata, alla luce della diversa funzione che esse svolgono118 . Inoltre, nella presente situazione, lasciare alla discrezionalità del Segretario generale o a quella dei singoli Stati – partecipanti alla componente militare dell’operazione di pace o alla forza multinazionale autorizzata – la possibilità di revocare l’immunità o di punire coloro che si siano resi responsabili di atti criminosi può apparire come una “garanzia di impunità”119 e non contribuisce all’affermazione nel territorio amministrato dei principi di legalità e di responsabilità. È da salutare positivamente, in tale contesto, il ragionamento sviluppato dalla Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina nel ricordato caso U 9/00, la quale, pur riconoscendo che non è possibile controllare i poteri dell’Alto rappresentante – che derivano dagli Accordi di Dayton e dalle Conclusioni di Bonn e sono riconosciuti nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza –, ha però affermato che, quando egli agisce al posto di una istituzione dello Stato bosniaco e adotta atti legislativi, dal momento che la Costituzione bosniaca dispone che questi atti sono sottoposti al controllo di tale Corte, lo saranno anche quando adottati dall’Alto rappresentante120 . Lo stesso ta dispone, a favore degli abitanti di questi territori, nei confronti dell’Assemblea generale e del Consiglio di amministrazione fiduciaria (p. 152). In tema v. anche MOMIROV, The Individual Right to Petition in Internationalized Territories: From Progressive Thought to an Abandoned Practice, in Journal of the History of International Law (Revue d’histoire du droit international), 2007, p. 203 ss. Sul principio di accountability nel sistema di amministrazione fiduciaria v. RAUSCHNING , Article 75, in SIMMA (ed.), op. cit., vol. II, p. 1100. 118 K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 408 ss. Per la prassi relativa all’UNTAET v. MORROW (J.) e WHITE (R.), op. cit., p. 23 ss. V. inoltre RAWSKI, op. cit., p. 118 ss., che ricava dallo studio della prassi di UNMIK e UNTAET la disponibilità a rinunciare all’immunità per serie violazioni dei diritti umani o per altri gravi crimini, ma non quando i diritti degli amministrati siano stati sistematicamente violati «as a consequence of the implementation of mission policy». 119 RAWSKI, op. cit., p. 114, afferma che, in base alla prassi interna all’ONU, nel caso di “gravi violazioni” del diritto internazionale, un rifiuto del Segretario generale di revocare l’immunità sarebbe in contrasto con le sezioni 20 e 23 della Convenzione del 1946 sulle immunità e i privilegi dell’Organizzazione. In senso critico v. anche DAILLIER, Les opérations multinationales, cit., p. 417 s.; MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 112: «[...] there is no remedy or process for review [...] there remains no clear mechanism through which persons can seek redress of alleged human rights abuses by KFOR». 120 Lo stesso però, secondo tale Corte, non vale per le decisioni relative alla revoca dall’incarico dei pubblici ufficiali. In tema v. STAHN, International Territorial
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criterio dovrebbe applicarsi alle operazioni di pace dell’ONU che esercitano funzioni di amministrazione territoriale121 , ferma restando la questione di individuare di volta in volta sia il parametro di riferimento da considerare al fine di valutare gli atti dell’operazione di amministrazione territoriale, sia l’organo incaricato di effettuare tale valutazione e i suoi poteri. È peraltro possibile segnalare alcune limitate disposizioni che consentono ad organi giudiziari operanti nei territori in cui sono dispiegate le Amministrazioni di verificare la legittimità dei loro atti. L’UNTAET ha riconosciuto competenza alle giurisdizioni di Timor est a giudicare alcuni degli atti adottati da organi da essa istituiti, ad esempio in materia di appalti pubblici122 , di tutela del patrimonio forestale di Timor est e delle sue specie e aree protette123 . Con riferimento all’UNMIK, un esempio è dato dalla sezione 3.2 del regolamento n. 2000/62, laddove è disposto che «[a]n international judge in Administration, cit., p. 166 ss.; OELLERS-FRAHM , op. cit., p. 211 s.; SALAMUN, op. cit., p. 160 («Bosnia and Herzegovina presents the only territory administered by international organizations, in which the acts of the international administrator are subject to judicial review»); K NOLL, Beyond the Mission Civilisatrice, cit., p. 295 ss. In senso critico v. le osservazioni di MARKO, op. cit., p. 115 ss. Con riferimento al Kosovo B RAND , Institution-Building, cit., p. 470, e K NOLL, op. ult. cit., p. 294, criticano l’assenza di una Corte costituzionale competente in materia, dal momento che, come già rilevato, il capitolo 9.4.11 del Constitutional framework non riconosce tale competenza alla menzionata Camera speciale della Corte suprema del Kosovo per le questioni costituzionali. 121 In senso contrario v. DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 531, sul presupposto che, a differenza che in Bosnia-Erzegovina, «la conception qui sous-tend les opérations d’administration territoriale des Nations Unies vise à réaliser une certaine extériorité de l’administration internationale par rapport au territoire et à ses institutions [...]. Dès lors, bien qu’ils soient évidemment pris au bénéfice du territoire considéré, les actes adoptés demeurent donc des actes des Nations Unies». 122 Cfr. la sezione 42 del regolamento n. 2000/10 (On Public Procurement for Civil Administration in East Timor), adottato il 6 marzo 2000, sulla contestazione in giudizio di atti o omissioni da parte di un Comitato ad hoc nominato dall’Amministratore transitorio. 123 Cfr. le sezioni 6.4 e 6.5 del regolamento n. 2000/17 (On the Prohibition of Logging Operations and the Export of Wood from East Timor), adottato il 10 maggio 2000, e le sezioni 8.4 e 8.5 del regolamento n. 2000/19 (On Protected Places), adottato il 30 giugno 2000, che dispongono, in maniera identica: «[...] a person or legal entity may challenge a decision of the Deputy Transitional Administrator to uphold the original decision adverse to their interests with the competent judicial authorities in East Timor. [...] In any court proceeding arising out or in connection with the present regulation against UNTAET or a servant of UNTAET, the court shall apply the same substantive norms as would be applicable under the procedures for administrative matters».
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the competent district court shall review an exclusion order» – un ordine della KFOR o della Polizia dell’UNMIK che impone ad una persona di allontanarsi o di restare distante da una certa zona del Kosovo – sulla base della richiesta formulata dal soggetto colpito da tale sanzione, da un suo congiunto o da un rappresentante legale124 . Inoltre, è possibile agire in giudizio dinanzi alle corti interne in casi limitati ed espressamente previsti da regolamenti dell’UNMIK: contro le decisioni del Pharmaceutics Appeals Board125 , contro quelle dell’Independent Review Board, in materia fiscale126 , e in altri settori, come quelli del tabacco127 e della registrazione delle imprese128 . Seppur significativi, questi esempi coprono solo una parte dei possibili illeciti ascrivibili alle Amministrazioni territoriali e resta inoltre fermo il dato di fondo, ossia la mancanza di indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo nei territori amministrati. 7. Segue: la questione dell’utilizzazione dei mezzi di ricorso internazionali Le limitazioni, appena considerate, all’utilizzazione dei mezzi giudiziari interni nei confronti delle Amministrazioni territoriali (e del loro personale) per gli atti illeciti posti in essere nei territori in cui so124
Il giudice, dopo aver sentito in contraddittorio le parti, «will have the authority to approve, rescind or amend the order». 125 Ai sensi del regolamento n. 2000/52 (On the Import, Manufacture, Sale and Distribution of Pharmaceutical Products, Including Narcotic Drugs and Psychotropic Substances), adottato il 2 settembre 2000, la Pharmaceutics Appeals Board è un organo amministrativo, i cui membri (due stranieri e tre kosovari) sono nominati dal Rappresentante speciale. La sezione 13.4 di tale regolamento stabilisce: «Nothing in this section shall preclude an applicant from seeking redress against any decision of the Board from a competent court in Kosovo». 126 Anche l’Independent Review Board è un organo amministrativo nominato dal Rappresentante speciale. La sezione 7.8 del regolamento n. 2000/20 (On Tax Administration and Procedures), adottato il 12 aprile 2000, dispone: «A tax payer or the Tax Administration may apply to a court of competent jurisdiction for the review of a decision made by the Board». 127 Cfr. il regolamento n. 2003/23 (On Excise Taxes on Tobacco Products in Kosovo), adottato il 25 giugno 2003, la cui sezione 9.5 dispone: «An appellant may appeal to a court of competent jurisdiction for the review of a final decision [...] within 60 days of receiving notification of such decision». 128 Cfr. il regolamento n. 2000/8 (On the Provisional Registration of Businesses in Kosovo), adottato il 29 febbraio 2000, la cui sezione 4.4 dispone: «A business affected by the determination made by UNMIK [...] may apply for review of that determination to a court of competent jurisdiction in Kosovo».
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no dispiegate porta a valutare la possibilità, per i soggetti offesi, di utilizzare i mezzi di ricorso internazionali. Il discorso che sarà affrontato di seguito nel testo riguarda gli accordi che, in questa materia, hanno dato vita a meccanismi di garanzia o di monitoraggio azionabili da parte di soggetti privati, quali il Comitato dei diritti umani dell’ONU, istituito nell’ambito del Patto sui diritti civili e politici del 1966, e la Commissione interamericana dei diritti dell’uomo, organo giudiziario costituito con la Convenzione americana sui diritti dell’uomo del 22 novembre 1969. Sarà anche riservata particolare attenzione al meccanismo giurisdizionale creato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in ragione della sua consistente prassi in materia e della collocazione di alcuni dei territori soggetti alle Amministrazioni territoriali nell’ambito di applicazione di tale Convenzione. Non si tratta di una strada facile da percorrere129 . Sul punto non si è pronunciato il Comitato dei diritti umani in quello che, al momento, sembra essere l’unico caso in cui ha esaminato un ricorso individuale contro presunte violazioni da parte di un’Amministrazione territoriale. Si tratta della decisione di inammissibilità resa il 14 luglio 2006 nel caso Kurbogaj e Kurbogaj c. Spagna, motivata in ragione del mancato esaurimento dei ricorsi interni da parte delle presunte vittime, che lamentavano la violazione, da parte di un’Unità di polizia spagnola dell’UNMIK, dei diritti loro garantiti dagli articoli 2, par. 3, lett. a), 7 e 17 del Patto130 . Il problema è connesso a quello della responsabilità di diritto internazionale delle organizzazioni internazionali. Essa dev’essere riconosciuta anche a carico delle Amministrazioni territoriali, come è in genere per le operazioni di mantenimento della pace131 , e non sembra accoglibile l’idea di Daudet, per cui, dal momento che l’Amministrazione conduce un’azione non nel proprio interesse, ma a favore del territorio, è lo stesso territorio a dover “sopportare le conseguenze” dannose degli atti compiuti da agenti stranieri o da funzionari internazionali per conto del territorio132 . Se si volesse seguire tale ragionamento, fondato sul concetto di “a chi giova” l’operazione, 129
Ma v. K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 397, i quali rilevano che, avendo le Amministrazioni territoriali riconosciuto, con propri atti, di essere sottoposte ad alcuni trattati sui diritti umani, è indispensabile che ciò non si limiti ai diritti sostanziali, ma si estenda anche alle procedure di controllo che sono il loro corollario. 130 Cfr. comm. 1374/2005 (UN Doc. CCPR/C/87/D/1374/2005). 131 SOREL, La responsabilité des Nations Unies dans les opérations de maintien de la paix, in Int. Law FORUM, 2001, p. 127 s.; B ONGIORNO, op. cit., p. 648. 132 DAUDET, L’action des Nations Unies, cit., p. 533 ss.
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dovrebbe sempre negarsi una responsabilità delle Nazioni Unite quando svolgono operazioni di pace, cosa invece da lungo tempo acclarata sia nella prassi dell’Organizzazione, sia in generale con riferimento agli enti internazionali dotati di soggettività133 . La soluzione più ragionevole appare quella di individuare il soggetto cui sia imputabile l’atto o l’omissione che ha causato la violazione, attraverso il criterio del “controllo effettivo”, che è utilizzato in generale per l’attribuzione della responsabilità di diritto internazionale ad uno Stato o ad un’organizzazione internazionale per un atto commesso nel corso di un’azione armata di un’operazione di pace134 . Esso è richiamato dalla stessa Commissione del diritto internazionale nell’art. 5 del Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali, attualmente in fase di elaborazione, il quale dispone: «The conduct of an organ of a State or an organ or agent of an international organization that is placed at the disposal of another international organization shall be considered under international law an act of the latter organization if the organization exercises effec133
Tra i numerosi contributi dottrinali in materia si rinvia, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, a HIRSCH, The Responsibility of International Organizations Toward Third Parties. Some Basic Principles, Dordrecht-Boston-London, 1995; K LEIN (P.), La responsabilité des organisations internationales dans les ordres juridiques internes et en droit des gens, Bruxelles, 1998; VACAS FERNÁNDEZ, La responsabilidad internacional de Naciones Unidas: Fundamento y principales problemas de su puesta en práctica, Madrid, 2002. V. anche, con specifico riferimento alle operazioni di pace, DI B LASE, Sulla responsabilità internazionale per attività dell’ONU, in RDI, 1974, p. 250 ss.; DORIGO, Imputazione e responsabilità internazionale per l’attività delle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite, in RDI, 2002, p. 903 ss.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 319 ss.; L ÜDER, Responsibility of States and International Organisations in Respect to United Nations Peace-keeping Missions, in Int. Pk. YIPO, 2008, p. 83 ss. 134 K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 426. Cfr. il rapporto presentato dal Segretario generale all’Assemblea generale in materia di responsabilità e risarcimento del danno da parte di forze delle Nazioni Unite (UN Doc. A/51/389 del 20 settembre 1996, par. 17 ss.); in tema v. SOREL, op. cit., p. 129 ss. Del tutto diversa, ma non condivisibile, è l’impostazione data al problema da FORTEAU , La situation juridique des contingents militaires français charges d’assurer le maintien de l’ordre public sur le territoire d’un Etat étranger, in RGDIP, 2003, p. 637 ss., il quale afferma che la responsabilità degli atti delle forze armate messe da uno Stato a disposizione di un altro Stato per svolgervi compiti di ordine pubblico nell’ambito di autorizzazioni all’uso della forza date dal Consiglio di sicurezza è da imputare a quest’ultimo, sottolineando l’importanza della funzione svolta piuttosto che considerare la questione, che ci sembra invece dirimente, del legame tra l’imputazione della responsabilità e il comando e controllo su questi contingenti militari, elementi che indubbiamente non sono riconducibili allo Stato ospite, né al Consiglio di sicurezza, ma ai rispettivi Stati d’invio.
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tive control over that conduct»135 . Lo stesso principio sembra doversi applicare nei casi in cui nell’Amministrazione territoriale siano coinvolte più organizzazioni internazionali, come nel Kosovo, ai fini dell’attribuzione della violazione. Al fine di imputare l’atto o l’omissione occorre distinguere la componente civile delle Amministrazioni territoriali dalla loro componente militare. Se si tratta di un comportamento riconducibile all’Amministrazione territoriale in quanto tale o ad uno dei suoi funzionari136 – siano essi stranieri o locali – nell’esercizio delle proprie attività d’ufficio, e quindi in definitiva sia da ricondurre direttamente all’ONU, non sarà possibile proporre un ricorso, facendo difetto la competenza ratione personae137 , in quanto l’ONU è un soggetto internazionale distinto rispetto ai suoi Stati membri e non è, in quanto tale, parte contraente dei menzionati accordi. Questa sembra essere la soluzione più corretta, nonostante il suo carattere paradossale, in quanto i soggetti del territorio amministrato godono dei diritti posti da quegli accordi, in ragione di una scelta contenuta nei regolamenti adottati dalle Amministrazioni territoriali, ma non possono utilizzare i meccanismi di garanzia disciplinati da quegli accordi138 . Invece, le forze militari dipendono dagli Stati di appartenenza – nel caso di forze multinazionali autorizzate –, o mantengono con gli stessi un significativo legame in termini di direzione e controllo – nel caso delle forze messe a disposizione dell’ONU per operazioni di pa135
In tema, per i lavori della Commissione del diritto internazionale, cfr. in particolare UN Docc. A/CN.4/L.648, del 27 maggio 2004 (Responsibility of international organizations. Titles and text of the draft articles 4, 5, 6, and 7 adopted by the Drafting Committee), e A/CN.4/541, del 2 aprile 2004 (Second report on responsibility of international organizations, by Mr. Giorgio Gaja, Special Rapporteur), p. 14 ss. Cfr. il commento a tale disposizione contenuto nel rapporto del 2004 della Commissione, redatto in occasione della sua 56ª sessione, UN Doc. A/59/10, suppl. 10. In tema v. GRENIER, Extraterritorial Applicability of International Human Rights Treaty Obligations to United Nations-Mandated Forces, in FAITE e GRENIER (eds.), Applicability of International Humanitarian Law and International Human Rights Law to UN Mandated Forces (Report of the Expert Meeting on Multinational Peace Operations, Geneva, 11-12 December 2003), Geneva, 2004, p. 80 e p. 83 (consultabile sul sito internet del Comitato internazionale della Croce rossa www.icrc.org); VITÉ, Case Study: The Applicability of International Humanitarian Law in Kosovo, ivi, p. 87 ss.; K OLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., p. 426; T ONDINI, op. cit., p. 1204 s. 136 VENTURINI, op. cit., p. 259: «[...] il personale civile che partecipa alle operazioni [...] è pienamente integrato nella struttura di comando e controllo dell’operazione». 137 T ONDINI, op. cit., p. 1200. 138 A ZNAR-GÓMEZ, Some Paradoxes, cit., p. 32.
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ce139 . Sembra quindi possibile imputare in capo allo Stato di appartenenza, a seconda delle circostanze da solo o in corresponsabilità con l’ONU140 , le violazioni dei diritti riconosciuti dalla Convenzione europea e dagli altri accordi richiamati in precedenza, di cui quel determinato Stato sia parte contraente, commesse dal proprio personale141 . A sostegno di quanto appena affermato possono essere utilmente richiamate anche le sentenze della Corte di Strasburgo nei casi Matthews e Bosphorus, in cui essa ha tra l’altro affermato che uno Stato parte alla Convenzione europea rimane responsabile per le violazioni imputabili ai propri organi a prescindere dalla circostanza che ciò derivi dalla necessità di rispettare un obbligo internazionale142 . Inoltre, 139
C ONDORELLI, Le statut des forces de l’ONU et le droit international humanitaire, in RDI, 1995, p. 886 ss. 140 C ONDORELLI, Le statut des forces de l’ONU, cit., p. 894 ss., afferma la duplice e contestuale attribuzione della responsabilità di diritto internazionale per gli atti commessi dal personale militare delle operazioni di pace, che resta al contempo organo del proprio Stato; mentre le violazioni commesse dalle forze autorizzate sono imputabili esclusivamente al rispettivo Stato di appartenenza e non all’ONU, in capo alla quale in questi casi potrà emergere unicamente una più limitata responsabilità per “omesso controllo”. 141 Tralasciamo di considerare la questione della responsabilità, dinanzi alle corti interne dei rispettivi Stati di appartenenza, dell’individuo-organo che abbia commesso una violazione dei diritti umani nel contesto di un’operazione di pace o di una forza multinazionale autorizzata. A tale proposito, con riferimento alla KFOR, si è pronunciata l’High Court of Justice del Regno Unito, che ha riconosciuto la responsabilità di alcuni militari inglesi per atti commessi in Kosovo. Cfr. Bici and Bici v. Ministry of Defence, sentenza del 7 aprile 2004. 142 Cfr. Matthews c. Regno Unito, appl. 24833/94, sentenza del 18 febbraio 1999, paragrafi 32-34, e Bosphorus Hava Yollari c. Irlanda, appl. 45036/98, sentenza della Grande camera del 30 giugno 2005, par. 153. Nella pronuncia Bosphorus la Corte aggiunge che assolvere completamente gli Stati dalle loro responsabilità in base alla Convenzione europea con riferimento ai settori di competenza trasferiti ad un’organizzazione internazionale sarebbe incompatibile con lo scopo e l’oggetto della stessa (così si era già espressa nel par. 67 della precedente sentenza del 18 febbraio 1999 nel caso Waite e Kennedy c. Germania, appl. 26083/94) e che tale possibilità sussiste unicamente nelle situazioni in cui l’organizzazione in questione tutela i diritti umani fondamentali (di carattere sostanziale e procedurale) in modo “equivalente” a quanto prevede la Convenzione europea (cfr. paragrafi 154-155). In tema v., da ultimo, i commenti di B ENOÎT-ROHMER, À propos de l’arrêt Bosphorus Airlines du 30 juin 2005: l’adhésion contrainte de l’Union à la Convention, in RTDH, 2005, p. 799 ss.; C ANNIZZARO, Sulla responsabilità internazionale per condotte di Stati membri dell’Unione europea: in margine al caso Bosphorus, in RDI, 2005, p. 762 ss.; C OSTANTINESCO, L’adhésion de l’Union européenne à la Convention européenne des droits de l’homme – C’est comme si c’était fait?, in CDE, 2006, p. 363 ss.; HINAJEROS PARGA, Bosphorus v Ireland and the Protection of Fundamental Rights in Europe, in ELR, 2006, p. 251 ss.; PHELPS, Reflections on Bosphorus and Human Rights in
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rileva anche il ricordato General comment n. 31 del Comitato dei diritti umani, in cui si afferma che gli Stati parti devono assicurare il rispetto dei diritti posti dal Patto a tutti coloro che sono sottoposti alla loro giurisdizione, inclusi coloro che sono sottoposti al controllo effettivo delle “forze armate” di uno Stato parte al di fuori del suo territorio. Tale impostazione sembra estendibile anche alla Convenzione europea e a quella americana. L’altro possibile ostacolo all’utilizzazione dei mezzi di ricorso internazionali da parte di soggetti che lamentino violazioni dei loro diritti umani commesse dalle Amministrazioni territoriali nel territorio in cui queste sono dispiegate riguarda i limiti all’applicazione extraterritoriale degli accordi internazionali sui diritti umani143 . È noto che l’art. 2 del Patto sui diritti civili e politici impone ad ogni Stato parte di rispettare e garantire i diritti in esso riconosciuti a tutti gli individui «che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione»; esso è stato interpretato considerando separatamente i due elementi, per cui gli Stati parti sono tenuti a garantire i diritti previsti dal Patto anche al di fuori del proprio territorio, agli individui sottoposti alla loro giurisdizione. Tale interpretazione, oltre che affermata dal Comitato dei diritti dell’uomo144 e dalla Commissione interamericana – ad esempio, nel noto caso Coard e al. c. Stati Uniti145 – è stata Europe, in Tulane LR, 2006, p. 251 ss.; E CKES, Does the European Court of Human Rights Provide Protection from the European Community? – The Case of Bosphorus Airways, in EPL, 2007, p. 47 ss. 143 In argomento vi è un’assai ampia bibliografia. V., anche per numerosi riferimenti bibliografici e di prassi, gli scritti contenuti nel volume di COOMANS e KAMMINGA (eds.), Extraterritorial Application of Human Rights Treaties, Antwerp-Oxford, 2004; adde NEGRI, L’applicazione extraterritoriale delle convenzioni sui diritti umani nella giurisprudenza internazionale, in Studi in onore di Vincenzo Buonocore, vol. I, Milano, 2005, p. 559 ss. Con riferimento alla Convenzione europea v., ex multis, i recenti studi di DE SENA, La nozione di giurisdizione statale nei trattati sui diritti dell’uomo, Torino, 2002; GONDEK, Extraterritorial Application of the European Convention on Human Rights: Territorial Focus in the Age of Globalization?, in Netherlands ILR, 2005, p. 349 ss.; BERRY, The Extra Territorial Reach of the ECHR, in EPL, 2006, p. 629 ss. Con riferimento alle operazioni di pace v. TONDINI, UN Peace Operations: The Last Frontier of the Extraterritorial Application of Human Rights, in Revue de droit militaire et de droit de la guerre, 2005, p. 175 ss. 144 In tema v. MCGOLDRICK, Extraterritorial Application of the International Covenant on Civil and Political Rights, in C OOMANS e K AMMINGA (eds.), op. cit., p. 41 ss. L’applicazione extraterritoriale del Patto del 1966 è stata affermata dal Comitato, oltre che nelle pronunce su singoli casi, nel citato General comment n. 31. 145 Cfr. appl. 10.951, rapporto 109/99 del 29 settembre 1999. In tema v., anche per un ampio studio della prassi rilevante dei competenti organi istituiti nel contesto della Convenzione americana, C ERNA, Extraterritorial Application of the Human
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autorevolmente confermata dalla Corte internazionale di giustizia nel parere del 9 luglio 2004 sul “muro” costruito da Israele nei territori palestinesi occupati146 . Con riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la nozione di giurisdizione contenuta nell’art. 1147 non è stata interpretata in maniera uniforme dalla dottrina e nella giurisprudenza degli organi di Strasburgo, ai fini di riconoscerle un carattere strettamente territoriale o anche personale o funzionale148 . La giurisprudenza, a lungo orientata verso una nozione di giurisdizione legata al concetto di “controllo effettivo”149 , il che consente una sua estensione extraterritoriale, ha accolto una diversa impostazione nella pronuncia resa dalla Grande camera nel caso Bankovi . La Corte, al fine di negare la propria competenza a giudicare le violazioni della Convenzione europea seguite al bombardamento della stazione radiotelevisiva serba RTS da parte di aerei di numerosi Stati della NATO, avvenuto nel corso degli attacchi condotti contro la RFI tra il marzo e il giugno 1999150 , ha infatti interpretato il concetto di giurisdizione Rights Instruments of the Inter-American System, in C OOMANS e K AMMINGA (eds.), op. cit., p. 141 ss., che rileva come i casi nei quali è stata riconosciuta un’applicazione extraterritoriale di tale Convenzione hanno riguardato unicamente situazioni giuridiche occorse sul territorio di uno degli Stati che l’hanno ratificata. 146 Cfr. Legal consequences of the construction of a wall in the occupied Palestinian territory, paragrafi 108-111. La Corte ha riconosciuto applicazione extraterritoriale anche alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e al Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. 147 «Le Alte Parti contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà [...]». 148 La ricostruzione preferibile, anche per il suo carattere di unitarietà, è quella di DE SENA, op. cit., passim, partic. p. 9, p. 100 s. e p. 165 s., il quale ritiene che la nozione di giurisdizione vada intesa come il «[...] potere degli Stati di incidere sul godimento dei diritti sanciti [...] dalla Convenzione, di volta in volta fatti valere in giudizio». Questo autore mette anche in evidenza (op. cit., passim, partic. p. 100) come l’applicazione extraterritoriale della Convenzione sia stata determinata indipendentemente dalla valutazione dello status del territorio di volta in volta considerato (p. 168 ss.). In senso conforme v. GUELLALI, L’application extraterritoriale des droits de l’homme en cas de conflit armé ou d’occupation de territoire, in Revue de droit international de sciences diplomatiques et politiques, 2006, p. 295 ss. 149 Affermato a partire dal noto caso Cipro c. Turchia (appl. 6780/74 e 6950/75, decisione del 26 maggio 1975) e più volte confermato nelle pronunce successive degli organi di controllo istituiti dalla Convenzione europea. 150 Cfr. Bankovi e al. c. Belgio, Repubblica ceca, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Turchia e Ungheria (appl. 52207/99, decisione del 12 dicembre 2001). La pronuncia resa nel caso Bankovi è stata oggetto di numerosi commenti, quasi tutti in senso critico; si rinvia, anche per ulteriori riferimenti bibliogra-
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in senso “essenzialmente territoriale”151 , salvo tornare verso il concetto di controllo effettivo nella successiva giurisprudenza152 . Considerato che le componenti militari delle Amministrazioni territoriali esercitano incontestabilmente un potere diretto nei confronti degli individui, sembra possibile ipotizzare l’utilizzazione dei mezzi di ricorso internazionali nei confronti degli Stati parti per le violazioni commesse dai contingenti sui quali esercitano un controllo effettivo. A tal fine può anche essere utilmente richiamato un passaggio della sentenza nel caso Ila cu, laddove la Corte europea ha riconosciuto la responsabilità della Russia per le violazioni commesse da suoi organi nell’autoproclamata Repubblica di Transnistria, ossia su una
fici, a PUSTORINO, Responsabilità degli Stati parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per il bombardamento NATO alla radio-televisione serba: il caso Bankovi , in CI, 2001, p. 695 ss.; DE SENA, op. cit., p. 91 ss. e p. 137 ss.; RESS, Problems of Extraterritorial Human Rights Violations – The Jurisdiction of the European Court of Human Rights: The Bankovi Case, in IYIL, 2002, p. 51 ss.; STARACE, Introductory Note: The European Court of Human Rights in 2001-2002, in Global Community YILJ, 2003-II, p. 983 ss.; C OOMANS e K AMMINGA (eds.), op. cit.; ROXSTROM , GIBNEY , e E INARSEN, The NATO Bombing Case (Bankovic et al v. Belgium et al.) and the Limits of Western Human Rights Protection, in Boston University International Law Journal, 2005, p. 55 ss.; L OUCAIDES, Determining the Extraterritorial Effect of the European Convention: Facts, Jurisprudence and the Bankovi Case, in EHRLR, 2006, p. 391 ss. 151 In questo seguita anche da alcune corti inglesi nelle pronunce rese nel caso AlSkeini. Cfr. The Queen (on the Application of Al Skeini et al.) v. The Secretary of State for Defence, sentenza del 14 dicembre 2004; Court of Appeal, sentenza del 21 dicembre 2005; Appellate Committee della Camera dei Lords, sentenza del 13 giugno 2007. In tema v., in senso critico, i commenti di NIGRO, Il caso Al-Skeini dinanzi alla House of Lords e la nozione di giurisdizione nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in RDI, 2007, p. 1106 ss.; SAPIENZA, L’applicazione extraterritoriale dello Human Rights Act: la decisione della Camera dei Lords nel caso Al-Skeini, in DUDI, 2008, p. 151 ss. 152 Cfr. Issa et al. c. Turchia, appl. 31821/96, decisione del 16 novembre 2004, paragrafi 69 e 72. Al par. 71 della stessa decisione la Corte, a conferma della posizione assunta anche dal Comitato dei diritti umani e dalla Corte interamericana dei diritti dell’uomo, afferma inoltre: «Accountability in such situations stems from the fact that Article 1 of the Convention cannot be interpreted so as to allow a State party to perpetrate violations of the Convention on the territory of another State, which it could not perpetrate on its own territory». In tema v. C OHEN-J ONATHAN, À propos des arrêts Assanidzé (8 avril 2004), Ila cu (8 juillet 2004) et Issa (16 novembre 2004). Quelques observations sur les notions de «juridiction» et d’«injonction», in RTDE, 2005, p. 770 ss.; GONDEK, op. cit., p. 360 ss.; MOLE, Issa v Turkey: Delineating the Extra-territorial Effect of the European Convention on Human Rights?, in EHRLR, 2005, p. 86 ss.; ROXSTROM GIBNEY e E INARSEN, op. cit., p. 124 ss.
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parte del territorio dello Stato moldavo, sottratta al controllo di questo e sottoposta a quello della Russia153 . Nella pronuncia sul caso Bankovi la Corte si è dichiarata competente a giudicare unicamente le violazioni commesse nello “spazio giuridico” della Convenzione, ossia nel territorio di uno dei suoi Stati parti154 . Lasciando da parte le osservazioni sulla condivisibilità di tale criterio e sulla sua correttezza155 , rileviamo che la stessa Corte non ha riaffermato tale concetto nelle sue pronunce successive156 , il che potrebbe indurre a considerarlo un inciso relativo unicamente al caso de quo157 , e che, almeno con riferimento al Kosovo, tale limitazione potrebbe funzionare solo in parte. Se, infatti, al momento dell’adozione della risoluzione n. 1244 la Convenzione europea non era applicabile in Kosovo stante la mancata adesione della RFI, successivamente l’UNMIK l’ha dichiarata applicabile – con il regolamento n. 1999/24 e con il successivo Constitutional framework – e dal marzo 2004 la Serbia ne è divenuta uno Stato parte158 . 153
Cfr. Ila cu e al. c. Moldova e Russia, appl. 48787/99, decisione dell’8 luglio 2004, par. 384. In tema v. NIGRO, Giurisdizione e obblighi positivi degli Stati parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il caso Ila cu, in RDI, 2005, p. 413 ss.; ROXSTROM , GIBNEY e E INARSEN, op. cit., p. 128 ss.; STARACE, Introductory Note: The European Court of Human Rights in 2004, in Global Community YILJ, 2005II, p. 1296 ss. 154 Cfr. par. 80 della sentenza nel citato caso Bankovi : «In short, the Convention is a multi-lateral treaty operating [...] in an essentially regional context and notably in the legal space (espace juridique) of the Contracting States. The FRY clearly does not fall within this legal space. The Convention was not designed to be applied throughout the world, even in respect of the conduct of Contracting States. Accordingly, the desirability of avoiding a gap or vacuum in human rights’ protection has so far been relied on by the Court in favour of establishing jurisdiction only when the territory in question was one that, but for the specific circumstances, would normally be covered by the Convention». 155 V., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, K ARAGIANNIS, Le territoire d’application de la Convention européenne des droits de l’homme. Vaetera et nova, in RTDH, 2005, p. 33 ss.; WILDE, The “Legal Space” or “Espace Juridique” of the European Convention on Human Rights: Is It Relevant to Extraterritorial State Action?, in EHRLR, 2005, p. 115 ss.; L OUCAIDES, op. cit., p. 398 s. 156 Cfr. il par. 74 della sentenza nel caso Issa, cit. 157 In tal senso si esprime GONDEK, op. cit., p. 377. 158 L’adesione alla Convenzione europea, che la Serbia-Montenegro ha firmato il 3 aprile 2003 senza formulare alcuna dichiarazione di limitazione territoriale, divenendone Stato parte il 3 marzo 2004, spinge anche a chiedersi se debbano esserle imputate le violazioni dei diritti garantiti dalla stessa Convenzione commesse in Kosovo. Al proposito appare utile richiamare la ricordata sentenza nel caso Ila cu con riferimento alla possibile formulazione di un ricorso contro la Serbia, ma unicamente per una violazione commessa in quelle aree del Kosovo abitate da serbi e caratteriz-
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I problemi appena affrontati sono stati oggetto di una discutibile pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, che il 2 maggio 2007 ha emanato la prima decisione su casi relativi a lamentate violazioni dei diritti umani commesse nel Kosovo sotto amministrazione diretta dell’ONU. La Grande camera si è espressa, a maggioranza, nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi presentati contro alcuni Stati parti in quanto incompatibili ratione personae con la Convenzione159 . Questa pronuncia, in virtù delle considerazioni svolte in precedenza nel testo, appare convincente nella parte in cui la Corte afferma di non essere competente ratione personae a giudicare gli atti imputabili all’UNMIK. La stessa non appare invece condivisibile quando nega l’imputabilità agli Stati parti degli atti commessi da loro organi partecipanti alla KFOR, sul presupposto che il Consiglio di sicurezza mantiene «ultimate authority and control» sulla presenza militare, posta sotto il comando unificato della NATO, sul presupposto che debbano essere attribuiti all’ONU anche gli atti della forza multinazionale autorizzata. Questa ricostruzione della Grande camera non solo è errata nel qualificare la KFOR e sembra non tenere in alcun conto la circostanza che da tempo si è consolidata nell’ambito dell’ONU la differenza tra forze appartenenti ad operazioni di pace dell’Organizzazione e forze autorizzate dal Consiglio di sicurezza, ma appare anche in contrasto con la precedente (e prevalente) giurisprudenza della Corte, poc’anzi sinteticamente richiamata. Ancor più preoccupante è la circostanza che la Corte abbia confermato questa impostazione in casi successivi, sia con riferimento al Kosovo160 , sia e-
zate dalla presenza di istituzioni parallele, sostenute, gestite e finanziate dalla Serbia. Come rileva A ZNAR-GÓMEZ, Some Paradoxes, cit., p. 35 s.: «[...] another paradox [...] the territorial sovereign could be held responsible not because its de lege jurisdiction but by a de facto jurisdiction over part of its territory». 159 Casi Behrami e Behrami c. Francia, appl. 71412/01, e Saramati c. Francia, Germania e Norvegia, appl. 78166/01. Per un primo commento v. PALCHETTI, Azioni di forze istituite o autorizzate dalle Nazioni Unite davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo: i casi Behrami e Saramati, in RDI, 2007, p. 681 ss.; B RUNO, La Corte europea dei diritti umani e il Consiglio di Sicurezza: la decisione Behrami e Behrami e Saramati, in DUDI, 2008, p. 187 ss.; B RANDOLINO, Amministrazioni ONU e tutela dei diritti umani: osservazioni in margine ai casi Behrami e Saramati, in CI, 2008, p. 279 ss.; L AGRANGE (P.), Responsabilité des Etats pour actes accomplis en application du chapitre VII de la Charte des Nations Unies, in RGDIP, 2008, p. 59 ss. 160 Cfr. i successivi casi Kasumaj c. Grecia (appl. 6974/07, decisione del 5 luglio 2007) e Gajic c. Germania (appl. 31446/02, decisione del 28 agosto 2007), nei quali la Corte europea ha dichiarato inammissibili i ricorsi.
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stendendo l’applicazione della giurisprudenza Behrami a casi occorsi nel contesto territoriale della Bosnia-Erzegovina161 . 8. I meccanismi di controllo non giudiziari Nonostante l’ampio regime di immunità, in alcune occasioni le Amministrazioni territoriali hanno previsto una limitata possibilità di contestazione delle decisioni assunte da taluni organi ad esse riconducibili. Con riferimento all’azione dell’UNMIK gli esempi più significativi sono l’Housing and Property Directorate e l’Housing and Property Claims Commission per le controversie sulle proprietà immobiliari162 , la Detention Review Commission per decidere in ultima istanza sulla legittimità delle c.d. detenzioni extra-giudiziali basate sugli executive orders163 , il Media Appeals Board quale istanza d’appello contro le decisioni del Temporary Media Commissioner in merito alle autorizzazioni e licenze per i mezzi d’informazione164 . Preme però sottolineare che questi meccanismi non hanno un carattere indipendente, in quanto i loro componenti sono nominati dal Rappresentante speciale, né possiedono i requisiti di un tribunale ai sensi della giurisprudenza degli organi di Strasburgo165 , caratterizzandosi al massimo quali meccanismi quasi-giudiziari. Caso Beri e al. c. Bosnia-Erzegovina (appl. 36357 e al., decisione del 16 ottobre 2007). In tema v. l’ampio commento critico di GRADONI, op. cit., p. 621 ss. 162 Cfr. i regolamenti n. 1999/23 (On the Establishment of the Housing and Property Directorate and the Housing and Property Claims Commission), adottato il 15 novembre 1999, e n. 2000/60 (On Residential Property Claims and the Rules of Procedure and Evidence of the Housing and Property Directorate and the Housing and Property Claims Commission), adottato il 31 ottobre 2000. Tale Commissione è composta da tre membri, due stranieri e un kosovaro. 163 Cfr. il regolamento n. 2001/18 (On the Establishment of a Detention Review Commission for Extra-judicial Detentions Based on Executive Orders), adottato il 25 agosto 2001 (la Commissione era composta da tre esperti stranieri). In tema v. B RAND , Effective Human Rights Protection, cit. p. 368 s. 164 Cfr. il regolamento n. 2000/36 (On the Licensing and Regulation of the Broadcast Media in Kosovo), adottato il 17 giugno 2000. Il Board è composto da tre membri, due stranieri e un kosovaro. 165 Cfr., ad esempio, in senso fortemente critico quanto rilevato dall’Ombudsperson Institution in Kosovo nel suo rapporto speciale n. 4, del 12 settembre 2001, Certain Aspects of UNMIK Regulation No. 2001/18 on the Establishment of a Detention Review Commission for Extra-judicial Detentions Based on Executive Orders. Alla scadenza dei tre mesi il mandato di tale Commissione non è stato rinnovato. 161
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Nel caso dell’Amministrazione territoriale di Timor est è stato invece previsto un controllo sulla gestione dei fondi dei donatori, riuniti nel Consolidated Trust Fund for East Timor (TFET) amministrato dalla Banca mondiale e dalla Banca di sviluppo dell’Asia, controllo affidato all’Ufficio dell’Ispettore generale, istituito nel novembre 2000166 . Un discorso a parte, stante la sua rilevanza in materia di tutela dei diritti umani, merita l’istituzione nel contesto delle Amministrazioni territoriali di “difensori civici” incaricati di vigilare sulla loro attività, al fine di garantire che la stessa fosse conforme agli standards internazionali sulla tutela dei diritti umani. A Mostar operò un Ombudsman dell’Unione europea, previsto dall’art. 7A del memorandum of understanding del 6 luglio 1994 e istituito con decisione del Consiglio dell’Unione del 28 novembre 1994167 . Ebbe il compito di ricevere i ricorsi delle persone fisiche o giuridiche residenti o situate nella zona amministrata contro un atto dell’EUAM, una volta esaurite le vie di ricorso interne, e di fare raccomandazioni in merito all’Amministratore o, in casi gravi, anche al Consiglio dell’Unione europea. In Bosnia-Erzegovina, in base all’allegato VI agli Accordi di Dayton (articoli IV-VI) fu creato un Ombudsman, nominato dall’OSCE, competente a ricevere però unicamente ricorsi diretti contro gli atti delle istituzioni locali, non contro quelli dell’Alto rappresentante. Anche in Kosovo è stato istituito l’Ufficio dell’Ombudsperson, cui si è già fatto riferimento. In base a quanto dispone il citato regolamento n. 2000/38 dell’UNMIK, esso deve promuovere e tutelare i diritti e le libertà di tutti coloro che si trovano in Kosovo e assicurare che ogni persona fisica e giuridica possa esercitare in maniera effettiva i diritti umani e le libertà fondamentali previsti dalle pertinenti norme internazionali, con particolare riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e al Patto ONU sui diritti civili e politici168 . 166
Cfr. la sezione 2 del regolamento n. 2000/34 dell’UNTAET (On Appropriations (No.2) 2000-2001), adottato il 16 novembre 2000. A tale proposito il 21 febbraio 2001 è stato concluso un accordo tra l’UNTAET e la Banca mondiale. 167 Cfr. la decisione n. 94/776/CE. In tema v. PAGANI, op. cit., p. 247 ss. 168 Sull’Ombudsperson in Kosovo v. WATERS, Human Rights in an International Protectorate: Kosovo’s Ombudsman, in The International Ombudsman Yearbook, 2000, p. 141 ss.; B RAND , Institution-Building, cit., p. 461 ss.; NILSSON, op. cit., p. 389 ss. Si segnala che l’istituzione di un Ombudsperson per la supervisione sulla tutela dei diritti umani in Kosovo era già prevista dal capitolo 6 dei c.d. accordi di Rambouillet e dai paragrafi 89-90 del rapporto del Segretario generale S/1999/779, cit.
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L’Ombudsperson ha sia compiti di azione preventiva, sia di azione successiva, dal momento che è competente a ricevere e indagare su denunce ricevute da ogni persona in Kosovo relative a violazioni dei diritti umani e a comportamenti che costituiscono un abuso di autorità da parte dell’UNMIK o delle istituzioni locali. Il regolamento n. 2000/38 dispone che l’Ombudsperson può adottare ogni azione necessaria al fine di svolgere il proprio mandato, ha il diritto di esaminare documenti e di chiedere la collaborazione di ogni persona che possa fornirgli informazioni e ha la possibilità di ispezionare luoghi di detenzione e di incontrare in maniera riservata coloro che sono privati della libertà. I poteri di questa istituzione sono però limitati se comparati all’obiettivo che la stessa è chiamata a perseguire, in quanto può solo rivolgere raccomandazioni o richieste alle autorità competenti, le può essere negato l’accesso a persone o documenti e, qualora le autorità o i pubblici ufficiali coinvolti non adottino le misure necessarie entro un periodo di tempo ragionevole o comunque non motivino adeguatamente il loro diniego di fronte alle richieste dell’Ombudsperson, questa istituzione ha unicamente la possibilità di richiamare l’attenzione del Rappresentante speciale, oltre a rendere pubbliche le circostanze del caso e le proprie osservazioni e raccomandazioni169 . Il mandato dell’Ombudsperson conosce altre limitazioni: non può agire nei confronti della KFOR, a meno di non concludere un accordo con la stessa (ipotesi a tutt’oggi non realizzatasi), né occuparsi delle violazioni occorse al di fuori del Kosovo e delle controversie tra l’UNMIK e i suoi funzionari, deve esercitare le proprie attività di indagine solo con riferimento a casi verificatisi dopo il 30 giugno 2000, data di entrata in vigore del regolamento n. 2000/38, ovvero a casi che, pur iniziati in precedenza, continuano dopo tale data170 . L’Ombudsperson (così come i suoi vice) è nominato dal Rappresentante speciale171 , che gode anche di ampia discrezionalità nel rimuoverlo dall’incarico172 . Ciò lascia perplessi sulla sua completa indi169
Cfr. la sezione 4.11 del regolamento n. 2000/38, cit. Cfr. la sezione 3 (punti 3-5) del regolamento n. 2000/38, cit. 171 La sezione 6.1 del regolamento n. 2000/38, cit., dispone che l’Ombudsperson dev’essere una eminente personalità internazionale, ma non può essere cittadino di uno degli Stati ex-iugoslavi, esperta nel settore della tutela dei diritti umani e che offra la massima garanzia di moralità, imparzialità e integrità. 172 Le cause di rimozione dall’incarico previste dalla sezione 8.2 del regolamento n. 2000/38, cit., sono: «(a) Physical or mental disability affecting his or her capacity to perform his or her functions; (b) Final conviction for a criminal offence punishable by a term of imprisonment; (c) Failure in the execution of his or her functions; or 170
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pendenza; inoltre, la scarsa incisività dei suoi poteri e le numerose limitazioni al suo mandato segnalano la differenza rispetto ai caratteri propri di un’autorità giudiziaria, come del resto affermato nella giurisprudenza degli organi di Strasburgo, che ha da tempo chiarito come il ricorso ad un’istituzione come l’Ombudsperson non costituisca un ricorso giurisdizionale effettivo ai sensi dell’art. 13 della Convenzione europea173 . Nonostante le segnalate perplessità e limitazioni, nella prassi di questi anni in Kosovo l’Ufficio dell’Ombudsperson ha perseguito in maniera scrupolosa il proprio mandato, si è occupato di numerosi casi e ha avanzato severe critiche nei confronti della presenza civile internazionale e delle istituzioni locali di autogoverno. In ragione dei – già rilevati – suoi limitati poteri e della scarsa collaborazione ottenuta dall’UNMIK174 , il maggior contributo offerto dall’Ombudsperson risiede nell’aver reso pubbliche e accessibili informazioni e critiche nei confronti della gestione dei diritti umani in Kosovo175 . Appare quindi non condivisibile, sotto il profilo dell’imparzialità e dell’indipendenza, la scelta, operata con il regolamento n. 2006/6 dell’UNMIK, di trasferire tale Ufficio sotto il controllo delle Istituzioni provvisorie di autogoverno, così come prefigurato nel capitolo 10 del Constitutional framework 176 ; tra le principali modifiche introdotte dal regolamento n. 2006/6 si segnalano inoltre quelle inerenti al potere di nomina e revoca, che spetta all’Assemblea del Kosovo, e al fatto che possa essere (d) Having been placed, by personal conduct or otherwise, in a position incompatible with the due exercise of his or her functions» (corsivi aggiunti). Si consideri inoltre che al soggetto rimosso non è offerto alcuno strumento per contestare la scelta del Rappresentante speciale. 173 Si vedano, tra i numerosi casi in cui la Corte e in precedenza la Commissione si sono occupate di tale problematica, i seguenti: X c. Svezia (appl. 3893/68, decisione del 16 marzo 1970), Montion c. Francia (appl. 11192/84, decisione del 14 maggio 1987), Nordblad c. Svezia (appl. 19076/91, decisione del 13 ottobre 1993) e Egmez c. Cipro (appl. 30873/96, decisione del 21 dicembre 2000). 174 MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 138 ss., affermano che tale istituzione è stata spesso ignorata dall’UNMIK proprio in ragione delle numerose critiche da essa formulate. 175 Per un esame della prassi dell’Ombudsperson, cfr. i suoi rapporti annuali e quelli speciali, relativi a questioni particolarmente critiche in tema di tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Kosovo. 176 Cfr. il regolamento n. 2006/6 (On the Ombudsperson Institution in Kosovo), adottato il 16 febbraio 2006. In senso critico si è pronunciata l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (cfr. il par. 13 della risoluzione n. 1533, adottata il 24 gennaio 2007). In tema v. WATERS, Nationalising Kosovo’s Ombudsperson, in Journal CSL, 2007, p. 139 ss.
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nominata Ombudsperson solo una persona abitualmente residente in quel territorio177 . Anche l’UNTAET ha dato vita ad un Ombudsperson per Timor est178 – istituito informalmente nel settembre 2000, ma nominato nel maggio 2001 e operativo solo da tale data –, ma senza determinarne con precisione il mandato in un proprio regolamento, né svolgere un’intensa azione informativa relativa alla sua istituzione, il che lo ha reso poco rilevante e poco utilizzato179 . La creazione di questo tipo di autorità è da valutare positivamente, in quanto manifestazione dell’intenzione delle Amministrazioni territoriali di rispettare determinate regole a tutela del territorio e dei suoi abitanti nello svolgimento delle loro attività, ma è criticabile la circostanza che alle stesse non sia conferito il potere di annullare o modificare gli atti dell’Amministrazione contrari alle norme sui diritti umani. Esse quindi non costituiscono un “effective remedy” nel senso degli standards internazionali a tutela dei diritti dell’uomo, avendo il limitato potere di segnalare la situazione al Rappresentante speciale del Segretario generale affinché assuma gli opportuni provvedimenti180 . Inoltre, le ridotte competenze riconosciute a queste autorità confermano la sostanziale intangibilità degli atti delle Amministrazioni territoriali e si pongono quindi come una forma di controllo scarsamente incisiva e non comparabile con un’efficace e indipendente autorità giudiziaria181 . Permane inoltre la questione della loro indipendenza, dovuta alla circostanza che la nomina spetta al Rappresentante speciale182 , né va 177
Cfr. anche il regolamento n. 2007/15 (Amending UNMIK Regulation No. 2006/6 on the Ombudsperson Institution in Kosovo), adottato il 19 marzo 2007, che ha parzialmente modificato il citato regolamento n. 2006/6. 178 Cfr. già il par. 42 del rapporto del Segretario generale S/1999/1024, cit., in base al quale l’Amministratore transitorio avrebbe favorito la creazione di un’istituzione indipendente a tutela dei diritti umani nel territorio di Timor est. 179 DEVEREUX, op. cit., p. 315. 180 C HESTERMAN, The United Nations as Government, cit., afferma che un tale approccio considera l’accountability, in specie in Kosovo, «first and foremost as a political rather than legal problem». In senso critico v. anche NILSSON, op. cit., p. 400 s. 181 B RAND , Institution-Building, cit., p. 482. SALAMUN, op. cit., p. 151: «Even though informal mechanisms of accountability may be effective to some degree, in my view the formal safeguards established in constitutional law serve to create the possibility for the exercise of the informal instruments». 182 Al fine di ovviare, almeno in parte, a tale situazione RAWSKI, op. cit., p. 129 (nota n. 119 e testo corrispondente), propone di creare un legame diretto tra l’Ombudsperson e il quartier generale dell’ONU (Ufficio per gli affari giuridici), in
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sottovalutata la circostanza che tali istituzioni, pur se riconosciute indipendenti, costituiscono comunque una diretta emanazione delle Amministrazioni territoriali dell’ONU, che possono tra l’altro discrezionalmente procedere alla sostituzione del responsabile della loro gestione. Tale nomina, inoltre, non coinvolge i rappresentanti della popolazione, come di solito accade, sia a livello nazionale (si pensi all’Italia, dove la disciplina dell’istituto del difensore civico spetta ai Consigli comunali e provinciali)183 che internazionale (ad esempio, la nomina del Mediatore europeo è fatta dal Parlamento europeo)184 . Un monitoraggio sulla situazione dei diritti umani in Kosovo, che come rilevato ha rappresentato il contesto territoriale in cui più numerose sono state le violazioni dei diritti umani, è stato anche previsto dai due menzionati accordi stipulati con il Consiglio d’Europa il 23 agosto 2004, attraverso i quali l’UNMIK ha accettato il funzionamento dei meccanismi di controllo previsti dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti e dalla Convenzione-quadro sulle minoranze nazionali185 . Entrambi gli accordi sono diretti, stante la circostanza che l’UNMIK non è (né potrebbe divenire) parte contraente di tali due Convenzioni, a consentire comunque agli organi di controllo da esse previsti di svolgere le proprie funzioni con riferimento al Kosovo186 . modo da renderlo maggiormente indipendente dal Rappresentante speciale e da garantire un maggiore controllo sull’attività dell’Amministrazione territoriale. FRIEDRICH, op. cit., p. 286, propone l’istituzione di una «independent expert commission for human rights violations of international territorial administrative bodies». B ONGIORNO, op. cit., p. 677 ss., propone la redazione di un “Bill of Rights” per le operazioni di peace-keeping, nel senso di un impegno esplicito a rispettare gli obblighi posti dalle norme sui diritti umani, comprendente anche una Permanent Human Rights Claims Commission e Human Rights Institutions a livello locale da istituire nei primi giorni di dispiegamento di un’operazione. MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 145, più realisticamente, segnalano la necessità di costituire, all’interno del Dipartimento per le operazioni di peace-keeping dell’ONU, una componente qualificata nel settore dei diritti umani, in modo da garantire esperienza e collaborazione in questo settore alle missioni dispiegate sul terreno. 183 Cfr. l’art. 8 della l. 142/90 dell’8 giugno 1990. 184 Cfr. l’art. 135 del Trattato istitutivo della Comunità europea e l’art. 107 D del Trattato istitutivo della Comunità europea dell’energia atomica. 185 La stipulazione è stata autorizzata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa con decisione del 30 giugno 2004. Al proposito K NOLL, From Benchmarking to Final Status?, cit., p. 646, rileva trattarsi della «very first measure ever to tie an international territorial administration into a multilateral accountability framework». 186 Con il primo accordo l’UNMIK si è impegnata a consentire le visite del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degra-
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Una modifica di un certo rilievo, in relazione al controllo sul rispetto dei diritti umani da parte dell’UNMIK, è intervenuta nel corso del 2006 con l’istituzione dello Human Rights Advisory Panel, creato danti ad ogni luogo in cui vi siano persone private della libertà per effetto di un suo atto di autorità; è previsto che il Comitato formuli un rapporto e delle raccomandazioni in via confidenziale in seguito alla visita e che se l’UNMIK non collabora o rifiuta di migliorare la situazione secondo le raccomandazioni del Comitato, lo stesso può decidere, a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, di rendere pubblica la propria posizione al riguardo; inoltre, il Comitato deve rendere pubblico il proprio rapporto «whenever requested to do so by UNMIK» (art. 7, par. 2, dell’Accordo). La prima visita del Comitato in Kosovo ha avuto luogo dal 21 al 29 marzo 2007, in quanto è stato necessario attendere la conclusione di un apposito trattato tra il Consiglio d’Europa e la NATO, al fine di consentire al Comitato l’accesso ai centri di detenzione della KFOR (cfr. la scambio di lettere tra i Segretari generali delle due organizzazioni del 19 luglio 2006). Con il secondo accordo l’UNMIK si è impegnata, anche a nome delle Istituzioni provvisorie di autogoverno, ad esercitare le rispettive responsabilità in conformità ai principi contenuti in quella Convenzione-quadro e a presentare, entro sei mesi, un rapporto pubblico sulle misure, legislative e di altro tipo, adottate al fine di assicurare il rispetto di quei principi, e, in seguito, rapporti periodici. All’UNMIK possono essere chieste ulteriori informazioni sia da parte del Comitato dei ministri, di cui essa accetta il ruolo di controllo, sia da parte del Comitato consultivo della Convenzione-quadro; il Comitato dei ministri, inoltre, tenuto conto delle osservazioni del Comitato consultivo, adotta le proprie conclusioni sull’adeguatezza delle misure adottate al fine di dare efficacia ai principi della Convenzione-quadro, e può formulare le proprie raccomandazioni al proposito. L’UNMIK ha presentato il primo rapporto nel 2005 (Report Submitted by the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (UNMIK) Pursuant to Article 2.2 of the Agreement between UNMIK and the Council of Europe Related to the Framework Convention for the Protection of National Minorities, ACFC(2005)003 del 2 giugno 2005) e il Comitato dei ministri, nella risoluzione adottata il 21 giugno 2006, ha formulato numerosi rilievi critici (cfr. la risoluzione On the Implementation of the Framework Convention for the Protection of National Minorities in Kosovo (Republic of Serbia), n. ResCMN(2006)9, che in larga parte riprende le considerazioni svolte dal Comitato consultivo nell’Opinion on the Implementation of the Framework Convention for the Protection of National Minorities in Kosovo, adottata il 25 novembre 2005 e resa nota il 2 marzo 2006, ACFC/OP/I(2005)004). Il Comitato dei ministri ha, tra l’altro, rilevato che l’affermazione dei principi della Convenzione-quadro nel Kosovo è difficile e che la violenza inter-etnica continua ad erodere la fiducia tra i diversi gruppi presenti in quel territorio, mettendo in luce alcune limitazioni nell’approccio dell’UNMIK, giudicato talora lento nel rispondere alle necessità delle minoranze stanziate in Kosovo e poco chiaro nella suddivisione delle responsabilità con le istituzioni locali. Con riferimento a queste ultime, il Comitato ha rilevato una mancanza di capacità e di volontà politica di por mano a certi problemi connessi alla tutela delle minoranze, non solo quella serba, ma anche le altre presenti in quel territorio (tra i settori su cui si appunta la critica rilevano in particolare quelli giudiziario, dell’istruzione e della partecipazione alla vita economica e sociale).
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in virtù del regolamento n. 2006/12 quale meccanismo interno di controllo a carattere non giurisdizionale187 . L’Advisory Panel è composto da tre esperti stranieri nominati dal Rappresentante speciale su proposta del Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo ed è competente ad esaminare petizioni da parte di persone singole o gruppi di individui in merito alla violazione da parte dell’UNMIK dei diritti umani posti da alcuni atti internazionali188 . L’Advisory Panel svolge la propria attività su istanza di una parte offesa o d’ufficio e può occuparsi unicamente delle presunte violazioni avvenute sul territorio del Kosovo dopo il 23 aprile 2005 e di quelle cominciate in precedenza e continuate dopo tale data. Si pone, quindi, come un organo di ultima istanza, in quanto può intervenire entro sei mesi dalla decisione finale sulla questione e solo dopo aver determinato «that all other available avenues for review of the alleged violations have been pursued». L’Advisory Panel ha il compito di determinare se vi sia stata una violazione dei diritti umani da parte dell’UNMIK e di formulare le raccomandazioni che ritenga opportune, cui dev’essere data ampia pubblicità; ogni decisione definitiva spetta però al Rappresentante speciale, il quale, in base al regolamento n. 2006/12, «shall have exclusive authority and discretion to decide whether to act on the findings of the Advisory Panel»189 . L’elemento positivo costituito dalla istituzione dell’Advisory Panel, inclusa la procedura di nomina, avente un maggiore grado di imparzialità rispetto ad una scelta del tutto discrezionale da parte del Rappresentante speciale, trova però una importante limitazione nel carattere di mera esortazione che hanno le determinazioni di tale organo, che quindi non è in alcun modo equiparabile ad un tribunale190 . Questo elemento di debolezza dell’Advisory Panel, in uno con l’indicata limitazione della sua competenza ratione temporis, non può non suscitare perplessità sull’idoneità di tale meccanismo ad essere
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Cfr. il regolamento n. 2006/12 (On the Establishment of the Human Rights Advisory Panel), adottato il 23 marzo 2006. Per un primo commento critico v. K NOLL e UHL, Too Little, Too Late: The Human Rights Advisory Panel in Kosovo, in EHRLR, 2007, p. 534 ss. 188 La sezione 1.2 del regolamento n. 2006/12 richiama: Dichiarazione universale del 1948, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Patti ONU del 1966, Convenzioni ONU contro la discriminazione razziale del 1965, contro la discriminazione nei confronti delle donne del 1979, contro la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984 e sui diritti del fanciullo del 1989. 189 Cfr. la sezione 17.3. 190 NOLTE, op. cit., p. 257 s.
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uno strumento efficace per la sanzione delle violazioni dei diritti umani imputabili all’UNMIK. 9. Il controllo dell’ONU sull’attività delle Amministrazioni territoriali Quanto poc’anzi rilevato con riferimento ai limiti all’esercizio di un controllo giudiziario nei confronti dell’Amministrazione territoriale porta anche a considerare quale efficacia potrebbero avere gli strumenti di controllo – a carattere politico e non giudiziario191 – presenti nell’ambito del sistema istituzionale dell’ONU192 . In tale contesto rilevano in particolare il, già menzionato, ruolo del Consiglio di sicurezza nel definire ed eventualmente modificare i caratteri dell’operazione, quello del Segretario generale (e del Segretariato) nella gestione ordinaria di tutti gli aspetti inerenti al funzionamento della stessa e quello dei meccanismi di controllo interni al sistema dell’Organizzazione. Il Consiglio di sicurezza ha una funzione generale di indirizzo dell’azione dell’Amministrazione territoriale, in quanto la stessa si fonda su una risoluzione adottata dal Consiglio, ne è un organo sussidiario e i suoi atti gli sono quindi ascrivibili193 . Il Consiglio è tenuto regolarmente informato dell’andamento dell’operazione attraverso i rapporti del Segretario generale194 , che costituiscono un’utile fonte di informazioni, con il limite però di provenire dagli stessi soggetti “controllati”, per cui appare difficile che essi contengano un esame pienamente obiettivo sul funzionamento dell’Amministrazione195 . Il 191
In senso critico v. E ISEMANN, op. cit., p. 114: «Cette forme d’auto-contrôle n’est pas satisfaisante dès lors que l’on s’interroge sur la légitimité d’une opération de restauration de l’État». V. anche C APLAN, op. cit., p. 58. 192 In generale, sulla supervisione dell’organizzazione internazionale quale meccanismo per realizzare una forma di accountability nei confronti delle amministrazioni internazionali, v. SALAMUN, op. cit., p. 155 ss. 193 PAULUS, op. cit., p. 542; VON C ARLOWITZ, UNMIK Lawmaking, cit., p. 346. 194 Cfr. il par. 4 della risoluzione n. 1037 e il par. 6 della risoluzione n. 1079 con riferimento all’UNTAES; il par. 20 della risoluzione n. 1244 con riferimento all’UNMIK; il par. 18 della risoluzione n. 1272 con riferimento all’UNTAET. Si segnala che già la Commissione di governo della Saar presentò rapporti periodici al Consiglio della Società delle Nazioni, anche se ciò non fu previsto dal Trattato di Versailles. 195 In questo senso rileva l’affermazione di K ORHONEN, op. cit., p. 501: «UNMIK and UNTAET can act without any clear means at the disposal of anyone to question, challenge, or overview them except for the periodic reports that they themselves produce for the agency who created them in the first place. In such a scen-
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Consiglio può inoltre acquisire ulteriori elementi di informazione invitando a partecipare alle proprie riunioni, oltre allo stesso Segretario generale, i responsabili dei Dipartimenti impegnati nella gestione dell’operazione e gli stessi capi-missione e può anche decidere di inviare delle missioni in loco per verificare il funzionamento dell’operazione196 . Se da questa rete di informazioni dovesse emergere la necessità di modificare il mandato o di prestare una maggiore attenzione a qualche profilo problematico, il Consiglio potrebbe dare indicazioni in merito al Segretario generale, oppure intervenire con una nuova risoluzione o con uno statement del Presidente di turno197 . Dal canto suo, il Segretario generale, cui spetta la gestione dell’operazione, è tenuto a garantire che essa rispetti il mandato ricevuto e persegua gli obiettivi indicati dal Consiglio, ha il potere di nominare i funzionari di vertice dell’Amministrazione territoriale e fornisce loro le direttive di azione. Come accennato, in quanto principale autorità amministrativa dell’Organizzazione spetta al Segretario generale il compito di privare dell’immunità quei funzionari che abbiano commesso dei reati nel territorio amministrato. Nel contesto dell’amministrazione diretta di un territorio, considerate le caratteristiche di tale regime e l’ampio sistema di immunità, sarebbe auspicabile che il Segretario generale utilizzasse in modo esteso tale potere, al fine di garantire, nel maggior numero di casi, la sottoposizione a processo ario any international responsibility and accountability can only be attributed in a circular manner from the creating agency to the created and back». V. anche C HESTERMAN, You, The People, cit., p. 151 s.; B ENZING , op. cit., p. 340 s.; DEVEREUX, op. cit., p. 319: «While administrations report on a regular basis to the SC, there are perceptions that such reports were designed to tell the ‘good news’ (and so garner support for renewed mandates and funding), rather than offering an opportunity for real review». 196 Cfr., con riferimento alla MINURSO, UN Doc. S/1995, 498, cit.; con riferimento all’UNMIK, UN Docc. S/2000/363, cit., S/2001/600, del 19 giugno 2001, e S/2002/1376, cit.; con riferimento all’UNTAET, UN Doc. S/2000/1105, del 21 novembre 2000. 197 Abbiamo già considerato, ad esempio, come in base al par. 8 della risoluzione n. 1037 il Consiglio avrebbe potuto riconsiderare il mandato dell’UNTAES qualora, in qualsiasi momento, avesse ricevuto un rapporto del Segretario generale contenente l’indicazione nel senso di un rilevante mancato adempimento delle parti agli obblighi da esse assunti con l’Accordo di Erdut, mentre, con riferimento all’UNTAET, il par. 18 della risoluzione n. 1272 chiese al Segretario generale di informare con regolarità il Consiglio sulla realizzazione degli obiettivi posti dalla risoluzione, con particolare riguardo alle possibili future riduzioni della componente militare dell’Amministrazione.
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dei responsabili e la soddisfazione delle esigenze di giustizia che vengono dal territorio. Sarebbe anzi auspicabile che il Segretario generale, piuttosto che decidere caso per caso, emanasse delle linee-guida generali, in modo da garantire una maggiore trasparenza ed uniformità nell’esecuzione di questo delicato compito. Del resto, è stato lo stesso Segretario generale Kofi Annan a dichiarare, nel suo rapporto del 2005 intitolato In larger freedom: «[...] United Nations peacekeepers and peacebuilders have a solemn responsibility to respect the law themselves, and especially to respect the rights of the people whom it is their mission to help. In the light of recent allegations of misconduct by United Nations administrators and peacekeepers, the United Nations system should reaffirm its commitment to respect, adhere to and implement international law, fundamental human rights and the basic standards of due process. I will work to strengthen the internal capacity of the United Nations to exercise oversight of peacekeeping operations, and I remind Member States of their obligation to prosecute any members of their national contingents who commit crimes or offences in the States where they are deployed»198 . Inoltre, si segnala che è al momento oggetto di discussione l’adozione di una convenzione sulla responsabilità penale del personale e degli esperti in missione delle Nazioni Unite per i “serious crimes” commessi nel corso di operazioni di pace dell’Organizzazione199 . Il progetto di convenzione limita l’attuale sistema di immunità e riconosce la competenza anche ai tribunali dello Stato in cui l’operazione è dispiegata; esso esclude però dal proprio ambito di applicazione gli appartenenti ai contingenti militari degli Stati membri, né tantomeno si applicherebbe al personale delle forze militari autorizzate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII. Ciò non può non lasciare perplessi sulla reale efficacia che un tale strumento, qualora adottato, potrebbe avere. Si può anche ricordare il meccanismo di tutela non convenzionale previsto dalla risoluzione n. 1503 (XLVIII) del Consiglio economico e sociale, adottata il 27 maggio 1970 e in seguito modificata, in base alla quale il Consiglio si è dichiarato competente ad esaminare le comunicazioni relative alle violazioni dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali presentate da individui, gruppi di individui o organiz198
Cfr. In larger freedom: towards development, security and human rights for all, UN Doc. A/59/2005 del 21 marzo 2005, par. 113. 199 Cfr. UN Doc. A/60/980 del 16 agosto 2006, Ensuring the accountability of United Nations staff and experts on mission with respect to criminal acts committed in peacekeeping operations.
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zazioni non governative200 . Tale strumento, che non riguarda singole violazioni, quanto piuttosto pratiche o politiche di violazioni massicce e sistematiche dei diritti umani, è stato immaginato nei confronti degli Stati membri, ma potrebbe applicarsi anche alle Amministrazioni territoriali e, pur non finalizzato all’emanazione di una sentenza, può essere utile per sollecitare l’azione degli organi principali dell’Organizzazione. Un ruolo possono svolgere anche gli organi di controllo amministrativi interni all’ONU, sia a livello centrale che di ogni singola operazione. Nel primo caso rileva in particolare l’azione dell’Office of Internal Oversight Services, istituito nel 1994 al fine di garantire un corretto svolgimento delle molteplici attività dell’Organizzazione. In questi anni, l’Ufficio ha svolto numerose inchieste su casi di cattiva gestione, da parte delle diverse Amministrazioni territoriali o di singoli loro componenti, segnalandone le carenze e le inefficienze201 . A livello di singola operazione rileva invece il ruolo di informazione, sensibilizzazione e controllo interno che possono avere le Human Rights Units delle Amministrazioni territoriali. Come, ad esempio, ha cercato di fare quella dell’UNTAET, anche se la procedura di reclamo dinanzi ad essa non è mai stata formalizzata e la sua effettività in termini di tutela giuridica individuale è rimasta minima, concentrandosi maggiormente l’attenzione su azioni di assistenza e formazione202 . Anche la componente “diritti umani” dell’UNMIK non ha potuto svolgere efficacemente il proprio compito ed è stata coinvolta in maniera insufficiente. Ciò è a dirsi sia con riferimento al Senior Human Rights Adviser del Rappresentante speciale, che secondo il rapporto del Segretario generale del 12 luglio 1999 avrebbe dovuto garantire un approccio propositivo in materia di diritti umani e assicurare la compatibilità dei regolamenti UNMIK con gli standards sui diritti umani; sia all’Office of Human Rights and Community Affairs (OHRCA) del Rappresentante speciale, che ha avuto il compito di verificare che la legislazione predisposta dall’UNMIK 200
V., per un sintetico esame, VILLANI, La tutela internazionale dei diritti umani, in VILLANI, La protezione internazionale dei diritti umani, Roma, 2005, p. 28. 201 Dagli elenchi dei rapporti di tale Ufficio, consultabili sul sito internet www.un.org/depts/oios, emerge una quadro alquanto articolato di illeciti e casi di cattiva amministrazione commessi da funzionari delle Amministrazioni territoriali. Cfr., ad esempio, UN Doc. A/58/592 del 13 novembre 2003, Investigation into the fraudolent diversion of $4.3 million by a senior staff member of the reconstruction pillar of the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (UNMIK). 202 Su cui v. B ONGIORNO, op. cit., p. 651 s.; B ENZING , op. cit., p. 339; DEVEREUX, op. cit., p. 315 ss.
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fosse conforme agli standards sui diritti umani203 . A partire dal giugno 2002 ha iniziato a riunirsi anche uno Human Rights Oversight Committee, che comprende i capi dei diversi pilastri, «to consider and agree on actions and policy to ensure respect for human rights by all UNMIK pillars»204 . È noto infine che nella Società delle Nazioni gli atti istitutivi dei mandati includevano una procedura di giurisdizione obbligatoria della Corte permanente di giustizia internazionale in merito alle controversie relative ai mandati insorte tra uno Stato mandatario e un altro Stato membro della Società. Nell’attuale configurazione delle competenze della Corte internazionale di giustizia non vi è una competenza simile, ma sarebbe auspicabile che l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza o gli altri organi da questi autorizzati utilizzassero il potere previsto dall’art. 96 della Carta per attivare la competenza consultiva della Corte in merito alle questioni giuridiche emerse nella prassi dell’amministrazione di territori da parte dell’Organizzazione, al fine di chiarire alcune delle complesse questioni giuridiche connesse alla loro istituzione e al loro funzionamento205 . 10. Aspetti evolutivi: cenni sul ruolo potenziale dell’opinione pubblica ai fini dell’esercizio di un controllo sulle Amministrazioni territoriali Un controllo sull’azione dell’Amministrazione territoriale è esercitabile anche da parte dell’opinione pubblica locale ed internazionale206 , soprattutto attraverso l’azione delle organizzazioni non governative, come già visto in precedenza a proposito delle violazioni dei diritti umani commesse in Kosovo dalle due presenze internazionali. Il ruolo delle organizzazioni non governative, che si è particolarmente accresciuto dopo la fine della guerra fredda, può, infatti, essere assai rilevante per l’affermazione e il rinnovamento del diritto internazionale207 , soprattutto quando è in gioco un interesse generale 203
MARSHALL e INGLIS, op. cit., p. 138 ss. Tale organo può avvalersi della consulenza di un Inter-Pillar Working Group on Human Rights, composto da rappresentanti dei soggetti internazionali impegnati in Kosovo, ma che non prevede la partecipazione della controparte locale. 205 Per un cenno in tal senso v. K NOLL, From Benchmarking to Final Status?, cit., p. 655. 206 Con riferimento alle organizzazioni non governative v., per sintetiche osservazioni, C APLAN, op. cit., p. 60. 207 In tema v., in generale, C ULLEN e MORROW (K.), International Civil Society 204
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dell’umanità, come è indubbiamente quello connesso al rispetto dei diritti umani208 , tanto più se si tratta di un territorio amministrato dell’ONU209 . Un compito importante, accanto alle organizzazioni non governative, possono svolgere anche fondazioni, centri studi e gruppi di interesse o di pressione costituiti all’uopo (ad esempio, quelli composti da personalità di alto livello politico o di alto spessore morale). È evidente che ciò di cui stiamo occupandoci non dà vita ad un controllo a carattere giudiziario, ma è suscettibile di costituire unicamente uno strumento di monitoraggio e un possibile mezzo di pressione sull’Amministrazione territoriale, sull’Organizzazione e sugli Stati membri, come abbiamo potuto rilevare con riferimento all’impegno di alcune organizzazioni non governative per migliorare la situazione dei diritti umani nel Kosovo sotto amministrazione diretta dell’ONU. Le Amministrazioni, infatti, si muovono in un contesto che, attraverso soprattutto il ruolo dei mezzi d’informazione, è suscettibile di essere sotto la costante attenzione dell’opinione pubblica; il “governo” di un territorio affidato all’ONU costituisce un elemento di novità che alimenta speranze in una sua realizzazione rispettosa dei principi su cui l’Organizzazione si fonda e che essa ha, in molte occasioni, riaffermato a parole, ma non rispettato nei fatti. A fronte di tali aspettative, l’opinione pubblica può, attraverso i consueti canali d’informazione, ma anche utilizzando i nuovi strumenti resi disponibili dallo sviluppo tecnologico (in particolare attraverso la rete di Internet che, con la sua caratteristica di sistema aperto, in International Law: The Growth of NGO Participation, in Non-State Actors and International Law, 2001, p. 7 ss. 208 Si vedano le considerazioni, anche critiche, di B REEN, Rationalising the Work of UN Human Rights Bodies or Reducing the Input of NGOs? The Changing Role of Human Rights NGOs at the United Nations, in Non-State Actors and International Law, 2005, p. 101 ss. 209 Per riprendere un’espressione utilizzata, con riferimento ad un diverso contesto, da IOVANE, Soggetti privati, società civile e tutela internazionale dell’ambiente, in DEL VECCHIO e DAL RI (a cura di), Il diritto internazionale dell’ambiente dopo il Vertice di Johannesburg, Napoli, 2005, p. 133 ss., partic. 144: «[...] quando entrano in gioco interessi propri dell’umanità in quanto tale, s’instaura un rapporto tra Stati e soggetti privati che tende a riprodurre, su scala internazionale, il confronto che si svolge normalmente negli ordinamenti interni nei rapporti tra individui ed organizzazione dello Stato». Lo stesso autore ha sviluppato tale riflessione anche con riferimento all’intervento armato della coalizione a guida statunitense contro l’Iraq occorso nel 2003: IOVANE, Il divieto dell’uso della forza armata tra obblighi degli Stati e diritto dei popoli alla pace, in B OSCHIERO (a cura di), Ordine internazionale e valori etici, Napoli, 2004, p. 79 ss., partic. 113 ss. e p. 128 s.
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consente a chiunque di mettere a disposizione, in continuazione, notizie, riflessioni, immagini, ecc.), ricevere e anche fornire notizie e approfondimenti e avviare campagne di mobilitazione e di sensibilizzazione. È indubbio che ogni informazione, in particolare quella derivante da fonti informali, dev’essere considerata e vagliata con cura, al fine di evitare le manipolazioni che gruppi interessati a rendere più difficile il già complesso lavoro dell’Amministrazione potrebbero tentare di realizzare; ciò detto però, una volta accertata la veridicità di denunce su comportamenti delle Amministrazioni territoriali in contrasto con lo spirito che le deve guidare, l’impatto di una mobilitazione dell’opinione pubblica sulle stesse potrebbe essere notevole. La conoscenza dei problemi, un’informazione corretta e indipendente e un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sono elementi decisivi per consentire a questa di controllare l’azione di amministrazione diretta di un territorio svolta dall’ONU. L’opinione pubblica, quindi, attraverso questi strumenti, avrebbe l’opportunità di attirare l’attenzione su una situazione in cui l’Amministrazione territoriale non agisce in conformità con gli standards internazionali sui diritti umani o non sta comunque rispondendo alle aspettative per cui era stata istituita. Questo non ha alcuna rilevanza in termini giuridici, né potrebbe, in quanto tale, imporre all’Amministrazione di modificare i propri comportamenti. Ma qualora le violazioni denunciate siano particolarmente gravi e il movimento di opinione risulti convincente, potrebbe indurre gli Stati contributori e i finanziatori dell’operazione ad attivarsi, in seno al Consiglio di sicurezza, per determinare una modifica nei comportamenti dell’Amministrazione210 .
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È ciò che IOVANE, Soggetti privati, cit., p. 181, afferma in merito all’azione dei privati che, in taluni casi, «da oggetto dell’attività internazionale diventano parte integrante del sistema di produzione e di garanzia [di norme di diritto internazionale] nell’ambito di particolari regimi».
CONCLUSIONI Le Amministrazioni territoriali dell’ONU, operazioni di pace istituite dal Consiglio di sicurezza per esercitare in via temporanea funzioni di governo su un determinato territorio, sono una manifestazione del più ampio fenomeno dell’internazionalizzazione di territori. Lo studio condotto ha consentito di rilevare come le tre Amministrazioni istituite nel periodo 1996-1999 in Slavonia orientale, Baranja e Sirmium occidentale (UNTAES), in Kosovo (UNMIK) e a Timor est (UNTAET) si pongono in una linea di continuità con una tendenza dell’ONU, e ancor prima della Società delle Nazioni, ad assumere funzioni di amministrazione diretta di un territorio. Abbiamo anche rilevato come le motivazioni alla base di tale fenomeno, seppur molteplici, siano tutte in qualche modo riconducibili alla necessità di risolvere un problema di sovranità su un territorio o di governabilità dello stesso, in cui l’intervento dall’esterno si pone come un momento transitorio. I casi dell’UNTAES, dell’UNMIK e dell’UNAET segnalano una tendenza del Consiglio di sicurezza a svolgere funzioni di amministrazione diretta di un territorio attraverso propri organi sussidiari. Tale tendenza, già manifestatasi in passato – si pensi all’accoglimento da parte del Consiglio del progetto di amministrazione per il Territorio libero di Trieste – è venuta progressivamente a consolidarsi nel corso degli anni ’90, dapprima con l’istituzione della MINURSO (per il Sahara occidentale) e dell’UNTAC (per la Cambogia), realizzatesi solo in parte, e in seguito con le tre Amministrazioni istituite nel periodo 1996-1999. Con riferimento a queste ultime, il Consiglio ha agito richiamando in primo luogo il consenso dello Stato interessato e della o delle altre parti coinvolte e/o della popolazione, ma anche il capitolo VII della Carta. C’è ampio consenso, sia tra gli Stati sia in dottrina, a riconoscere al Consiglio la competenza a svolgere questo tipo di attività, ma non sul suo fondamento e sulla qualificazione delle Amministrazioni territoriali. Riteniamo che la competenza del Consiglio ad esercitare funzioni di amministrazione civile sia riconducibile all’art. 41 della Carta, come mostrano anche i lavori preparatori di tale disposizione, mentre quella ad esercitare funzioni militari si fonda sull’art. 42. Riteniamo inoltre che l’esercizio di funzioni di amministrazione territoriale comporti l’interpretazione in senso assai ampio del concetto di ope-
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razioni di pace dell’ONU decise dal Consiglio di sicurezza, da intendere quale modalità “strutturale-istituzionale” unitaria. Tali operazioni hanno alcuni caratteri comuni (il consenso, l’imparzialità e un uso della forza volto alla difesa personale e/o del mandato), ma svolgono funzioni differenti a seconda del mandato di volta in volta ricevuto, il che richiede di interpretare quei caratteri in relazione a tale mandato. Abbiamo anche considerato la prassi delle Amministrazioni territoriali al fine di verificare l’ampiezza e l’incisività dei poteri che hanno esercitato con riferimento al territorio amministrato e alla sua popolazione, rilevando la contestuale limitazione della sovranità dello Stato in cui le stesse sono dispiegate. Questo ampio esercizio di poteri incontra però alcuni limiti, che condizionano anche le decisioni istitutive del Consiglio di sicurezza. Le Amministrazioni territoriali devono svolgersi in conformità con le norme internazionali che vincolano lo stesso Consiglio e che prevalgono anche sulle decisioni vincolanti adottate ai sensi del capitolo VII. Il principale limite, che s’impone anche ad esse nello svolgimento della loro attività, inerisce al rispetto della sovranità sul territorio in cui sono dispiegate, da intendersi come il potere di disporre del territorio. L’Amministrazione, inoltre, deve rispettare i limiti derivanti sia dalle norme cogenti del diritto internazionale, sia dalla sua natura di istituzione a carattere temporaneo. Un particolare rilievo, quali limiti all’azione delle Amministrazioni territoriali, rivestono le norme internazionali a tutela dei diritti dell’uomo. Di regola, infatti, le organizzazioni internazionali non esercitano nei confronti degli individui un potere tale da far emergere a loro carico l’obbligo di rispettarne i diritti umani. La situazione muta sensibilmente nel caso qui considerato, in quanto è l’ONU che istituisce e gestisce un’Amministrazione territoriale ed esercita quindi rilevanti poteri legislativi, esecutivi e giudiziari su una comunità territoriale, trovandosi coinvolta in numerose situazioni in cui vengono in rilievo possibili violazioni dei diritti umani. Ci sembra che in questi casi l’ONU, in quanto soggetto internazionale, sia vincolata dalle norme a tutela dei diritti umani a carattere cogente e, alle stesse condizioni degli altri soggetti internazionali, anche da quelle consuetudinarie. Con riferimento alle norme pattizie, anche se l’ONU non è parte agli accordi concernenti la tutela dei diritti umani, che sono conclusi e vincolano unicamente gli Stati, ci sembra che la circostanza che le Amministrazioni territoriali abbiano dichiarato applicabili nei territori alcuni accordi sui diritti umani, fissando gli standards di tutela ga-
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rantiti ai soggetti ad esse sottoposti, comporti per la stessa l’obbligo del loro rispetto, quale binding self-commitment. Volendo identificare gli aspetti positivi e quelli problematici dello svolgimento da parte dell’ONU di funzioni di amministrazione territoriale, rileviamo che un elemento positivo consiste anzitutto nella gestione multilaterale dei territori amministrati da parte dell’ONU, maggiormente imparziale e trasparente rispetto a interventi similari condotti da singoli Stati. Inoltre, nel corso del loro svolgimento, le Amministrazioni si sono rivelate uno strumento efficace per il mantenimento della pace e dell’ordine pubblico e nell’assistere le parti coinvolte a risolvere il problema (di sovranità e/o governabilità) che ha condotto alla loro istituzione. Emerge quindi in tale contesto l’importanza del fondamento anche consensuale delle Amministrazioni territoriali, che non sono uno strumento per imporre una soluzione, ma per indirizzare e accompagnare le parti nel risolvere il loro contrasto. Ciò trova conferma nella prassi: il caso in cui si sono manifestate le maggiori difficoltà è infatti quello del Kosovo, in cui le divisioni tra le parti interessate, sia gli attori locali sia i membri permanenti del Consiglio di sicurezza, hanno portato, in assenza di un accordo di riconciliazione nazionale, all’adozione di una risoluzione (la n.1244) dal contenuto ambiguo sulla questione cruciale dello status definitivo e all’affidamento a soggetti diversi e autonomi della componente civile e di quella militare. Queste scelte, entrambe legittime sotto il profilo giuridico, si sono rivelate poco efficaci sotto il profilo pratico. Tra gli aspetti maggiormente criticabili rientrano invece l’improvvisazione e la mancanza di coordinamento che hanno caratterizzato l’azione dei principali Dipartimenti dell’ONU responsabili per la progettazione e lo svolgimento delle Amministrazioni territoriali. Inoltre, l’accentramento dei poteri (di poteri così ampi) nelle mani dei Rappresentanti speciali del Segretario generale, posti a capo delle Amministrazioni, e la connessa “intangibilità” delle stesse, in ragione dell’ampio regime di immunità loro garantito dalle consuete regole sulle operazioni di pace, non contribuiscono all’affermazione nel territorio amministrato dei principi di legalità e di responsabilità (accountability). In prospettiva, sono questi alcuni dei profili principali su cui intervenire al fine di migliorare l’efficienza e l’efficacia di questo strumento, che sembra comunque possedere indubbie potenzialità. Rileviamo peraltro che dopo il 1999 il Consiglio di sicurezza non ha istituito ulteriori operazioni di pace con funzioni di amministrazione territoriale. Ciò non è stato certo dovuto alla mancanza di ter-
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ritori “candidabili” per lo svolgimento di operazioni siffatte, ma discende per un verso dalla ben nota discrezionalità che il capitolo VII assegna al Consiglio nel determinare le proprie scelte operative e le connesse modalità di intervento (su cui hanno un peso determinante gli interessi dei suoi membri permanenti). Inoltre, abbiamo ricordato come nello stesso Rapporto Brahimi ci si fosse posti «the larger question of whether the United Nations should be in this business at all», lasciando trapelare una certa perplessità sull’istituzione futura di operazioni con funzioni di amministrazione territoriale. Queste considerazioni, in uno con le ricordate vicende relative al Kosovo e a Timor Leste, che a distanza di quasi un decennio dall’istituzione dell’UNMIK e dell’UNTAET si caratterizzano come territori ancora in preda ad una rilevante instabilità, non inducono a ritenere probabile, almeno nel breve periodo, un nuovo impegno dell’ONU nell’amministrazione diretta di territori.
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Finito di stampare nel mese di ottobre 2008 presso la Graficarte sas - Marano di Napoli (Na)
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