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Anno LXXIV (Seconda Serie) - N. 1
ISSN 0035-6182
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DIRITTO PROCESSUALE TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB MILANO - PUB. BIMESTRALE
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RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE - Anno LXXIV (Seconda Serie) - 2019 - N. 1
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FONDATA NEL 1924 DA G. CHIOVENDA, F. CARNELUTTI e P. CALAMANDREI GIÀ DIRETTA DA E.T. LIEBMAN, G. TARZIA e E.F. RICCI
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IL POTERE SOSPENSIVO DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE NELL’AMBITO DEL PROCEDIMENTO DI FRONTE ALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE SOMMARIO: 1. Un controllo «politico» sull’operato della Corte penale internazionale. – 2. La previsione di un potere sospensivo in capo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: un percorso travagliato. – 3. La procedura sospensiva: garanzie e prassi distorsive. – 4. Tempi ed effetti dell’esercizio del potere sospensivo sul procedimento penale internazionale: una disciplina lacunosa. – 5. (Segue) Gli effetti sulla conservazione e sulla raccolta del materiale probatorio – 6. (Segue) Gli effetti sulle misure limitative della libertà personale. – 7. Riflessioni conclusive.
1. – Nel realizzare l’istituzione di una Corte penale internazionale competente a giudicare crimini gravissimi (1), capaci non solo di lacerare i legami sociali e di minare alle basi la convivenza civile di un popolo, ma anche di minacciare la pace e la sicurezza internazionale (2), i redattori dello Statuto di Roma (3) avevano compreso che la persecuzione di tali condotte criminose non potesse essere affidata esclusivamente ai singoli Stati, ma richiedesse la creazione di un sistema sovranazionale di giustizia penale (4). Nondimeno, per le implicazioni che la persecuzione di quei crimini determina più in generale sugli equilibri politici internazionali, si è data la possibilità a un organo non giudiziario ma politico di esercitare un controllo penetrante sul processo di fronte alla Corte (5). Ci si riferisce al
(1) Si tratta, in particolare, del genocidio, dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità e del crimine di aggressione. (2) Sul percorso evolutivo che ha portato dalla creazione dei Tribunali ad hoc per l’ex Yugoslavia e per il Ruanda all’istituzione della Corte penale internazionale cfr. F. Lattanzi, E. Sciso (a cura di) Dai tribunali penali internazionali ad hoc a una corte permanente, Napoli 1996. (3) Si tratta di un trattato multilaterale che è stato adottato il 17 luglio 1998 all’esito della Conferenza diplomatica tenutasi a Roma (A/CONF.183/9) ed è entrato in vigore il 1˚ luglio 2002 con il deposito del sessantesimo strumento di ratifica presso la Segreteria delle Nazioni Unite (art. 126 Statuto). (4) Il Preambolo dello Statuto di Roma, infatti, sottolinea come un’efficace persecuzione dei crimini internazionali possa avvenire solo se si interviene sia a livello nazionale sia sul piano internazionale (Considerando 4, Preambolo Statuto di Roma). (5) In generale, ex multis, sul tema dei rapporti fra la Corte e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite cfr. P. Gargiulo, The Relationship between the ICC and the Security Council, in F. Lattanzi (a cura di), The international Criminal Court: Comments on the Draf Statute, Napoli 1998, 95 ss.; V. Berman, The Relationship between the International Criminal Court and the Security Council, in H. A.M. von Hebel, J. G. Lammers, J. Schukking (a cura di), Reflections on the International Criminal Court, T.M.C. The Hague 1999, 173 ss.; L. Yee, The International Criminal Court and the Security Council: Articles 13(b) and 16, in R. Lee (a cura di), The Making of the Rome Statute. Issues, Negotiations, Results, Amsterdam
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Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (6), a cui è riconosciuto il potere di sospendere il procedimento penale internazionale o di impedirne l’instaurazione per un periodo di tempo limitato (7), qualora rilevi che tale procedimento possa recare pregiudizio per la pace e per la sicurezza internazionale (art. 16 Statuto di Roma) (8). Un tale potere di interferenza del Consiglio di Sicurezza appare espressivo della volontà di operare un controllo politico sull’azione della Corte. Si tratta di un aspetto peculiare, che trova la sua ragione nel fatto che, con riguardo al processo di fronte alla Corte, valgono logiche diverse rispetto a quelle che si applicano con riferimento ai processi penali nazionali, nell’ambito dei quali l’obiettivo centrale è costituito dall’accertamento della responsabilità penale. Nel contesto del sistema della Corte, invece, questo fine si affianca e viene bilanciato da esigenze eminentemente politiche, che vengono individuate nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, alle quali anzi sembrerebbe essere riconosciuto un peso addirittura maggiore rispetto alla finalità accertativa (9), anche se è evidente che non possono giungere a vanificarla, pena il venir meno della stessa ragione costitutiva di tale sistema di giustizia, che è finalizzato a por fine all’impunità dei responsabili di crimini internazionali (Considerando 5 e art. 1 Statuto) (10). Una premessa e una chiave di lettura indispensabili al riguardo sembrano venire da una prima constatazione: in uno scenario internazionale,
1999, 143 ss.; L. Condorelli, S. Villalpando, Referral and Deferral by the SC, in A. Cassese, P. Gaeta, J.R.W.D. Jones (a cura di), The Rome Statute of the International Criminal Court: a Commentary, Oxford 2002, 627 ss.; J. Trahan, The Relationship between the International Criminal Court and the UN Security Council: Parameters and Best Practices, in Criminal Law Forum 2003, 428 ss.; D.R. Verduzco, The Relationship between the ICC and the United Nations Security Council, in C. Stahn (a cura di), The Law and Practice of the International Criminal Court, Oxford 2015, 30 ss. (6) Il Consiglio di sicurezza è l’organo delle Nazioni Unite che si occupa di mantenere la pace e la sicurezza internazionale (art. 24 Carta delle Nazioni Unite). Esso è costituito da quindici membri, di cui cinque permanenti (Stati Uniti, Cina, Federazione Russa, Francia e Regno Unito) e dieci non permanenti, che sono eletti per un periodo di due anni (art. 23 Carta delle Nazioni Unite). (7) La sospensione può essere disposta per un periodo di dodici mesi rinnovabili senza limiti. (8) Lo Statuto di Roma riconosce al Consiglio di Sicurezza anche il potere di segnalare al Procuratore della Corte la commissione di crimini sia sul territorio di uno Stato parte sia all’interno di uno Stato non parte, cosı̀ estendendo la giurisdizione di tale sistema di giustizia (art. 13.1 lett. b Statuto). (9) M. Bergsmo, J. Pejić, Article 16. Deferral of investigation or prosecution, in O. Triffterer (a cura di), Commentary on the Rome Statute of the International Criminal Court, Baden-Baden 1999, 377. (10) To put an end to impunity per utilizzare il linguaggio dello Statuto.
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come quello di cui ci stiamo occupando, non sono facilmente riproducibili le dinamiche di diritto interno alle quali siamo abituati. In altre parole, non è qui possibile ragionare in termini di strutturazione gerarchica, né di completa separazione dei poteri. Si tratta di un assetto particolarmente complesso, che risulta problematico anche sotto un altro profilo. Nell’ambito del Consiglio di Sicurezza il potere politico è in larga parte gestito da cinque Stati – i cosiddetti membri permanenti – di cui tre – e per giunta i più influenti (Stati Uniti, Federazione Russa e Cina) – non sono nemmeno parte dello Statuto di Roma. Si tratta di un profilo particolare, che, oltre a differenziare il modello della Corte da quello dei tribunali penali internazionali per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda (11), i quali, pur essendo stati istituiti con risoluzione del Consiglio di Sicurezza, non erano sottoposti ad un simile controllo da parte di tale organo (12), pone in luce un paradosso. L’art. 16 affida infatti la gestione del potere sospensivo a Paesi che non solo non fanno parte del sistema della Corte (13), ma che addirittura hanno manifestato la propria ostilità nei confronti di quest’ultimo, sia durante i lavori della conferenza diplomatica, sia dopo la sua istituzione (14). In questa prospettiva, non si può escludere che il potere sospensivo del Consiglio di Sicurezza, anziché essere funzionale al perseguimento di valori condivisi di pace e sicurezza, possa pregiudicare l’operato della Corte, quantomeno nelle ipotesi in cui quest’ultimo collida con gli interessi geopolitici di quei Paesi. 2. – Data la delicatezza degli interessi in gioco, l’art. 16 dello Statuto di Roma rappresenta, come si può intuire, l’esito di complesse trattative. In sede di conferenza diplomatica, si avvertiva la necessità di disciplinare l’eventualità che la Corte si trovasse ad affrontare casi di competenza
(11) M. Bergsmo, J. Pejić, op. cit., 382. (12) Il Consiglio di Sicurezza esercita comunque una forma di controllo su tali tribunali, dato che ne nomina il Procuratore e stila la lista dei giudici, i quali poi vengono eletti dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. (13) In particolare, Cina e Stati Uniti. Cfr., in questo senso, G. della Morte, La potestà giurisdizionale della Corte penale internazionale, in G. Carlizzi (a cura di), La Corte penale internazionale: problemi e prospettive, Napoli 2003, 36. (14) Si vedano, in particolare, le posizioni assunte dai rappresentanti della Cina (U.N. Doc. A/AC.244/1, 20 marzo 1995, p. 8 ss.) e degli Stati Uniti (U.N. Doc. A/AC.244/1/Add. 2, 31 marzo 1995, p. 7 ss.) durante i lavori preparatori dello Statuto di Roma. Più di recente, il Presidente degli Stati Uniti ha duramente criticato l’operato della Corte durante la 73ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si è tenuta nel settembre 2018 (https:// www.whitehouse.gov/briefings-statements/remarks-president-trump-73rd-session-united-nations-general-assembly-new-york-ny/).
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anche del Consiglio di Sicurezza (15). Si erano contrapposte al riguardo due posizioni (16): secondo la prima, in tali casi, la Corte avrebbe dovuto essere autorizzata dal Consiglio di Sicurezza ad esercitare la propria giurisdizione (17); i fautori della seconda posizione sostenevano, invece, che il Consiglio di Sicurezza non potesse disporre di poteri di interferenza rispetto al procedimento penale internazionale (18). La soluzione elaborata all’esito di questo complesso dibattito costituisce un compromesso (19), che appare senz’altro preferibile rispetto alla prima proposta, ma che si rivela comunque insoddisfacente. L’art. 16 Statuto, infatti, pur non subordinando il potere di azione della Corte ad un’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, affida penetranti poteri di interferenza a quest’organo, che non solo è esterno al sistema della Corte, ma che è anche dotato di scarsa rappresentatività (20), essendo costituito da solo quindici Stati membri, di cui, come si è visto, tre non sono nemmeno parte dello Statuto di Roma. Inoltre, come si vedrà, il fatto che Consiglio di Sicurezza debba adottare una risoluzione motivata e che la sospensione possa essere disposta per un periodo di tempo limitato non costituisce, alla luce della prassi che si è sviluppata, una garanzia sufficiente nella prospettiva di assicurare un esercizio equilibrato del potere sospensivo. 3. – Al fine di limitare la discrezionalità del Consiglio di Sicurezza, l’art. 16 dello Statuto di Roma dispone che il potere sospensivo possa
(15) Un indizio di tale potenziale interferenza sembra potersi ricavare dal Preambolo dello Statuto di Roma, il quale evidenzia che i crimini internazionali costituiscono una minaccia alla pace, alla sicurezza e al benessere mondiale (Considerando 3). (16) M. Bergsmo, J. Pejić, op. cit., 375; W. Schabas, An introduction to the International Criminal Court, 2a ed., Cambridge 2004, 82 ss. Per una ricostruzione del dibattito in sede di lavori preparatori cfr. Report f the ad hoc Committee on the Establishment of a Permanent Criminal Court, U.N. Doc. A/50/22 (1995), I, 28 s.; Report of the Preparatory Committee on the Establishment of an International Criminal Court, U.N. Doc. A/51/22 (1996), I, 33 s. (17) Cfr., in questo senso, l’art. 23.3 della bozza presentata dalla Commissione del Diritto internazionale (U.N. Doc. A/49/10 del 1994, p. 45). In questo modo, si sarebbe configurato un rapporto di subordinazione della Corte rispetto al Consiglio di Sicurezza simile a quello che si realizza nell’ambito delle Nazioni Unite tra il Consiglio e l’Assemblea Generale. Quest’ultima non può adottare raccomandazioni con riguardo a materie di competenza del Consiglio, a meno che esso non la autorizzi in tal senso. Cfr. G. della Morte, op. cit., 38. (18) M. Bergsmo, J. Pejić, op. cit., 375; L. Condorelli, S. Villalpando, op. cit., 644 s. (19) Si tratta del c.d. Singapore compromise, poiché la proposta sulla quale si è formato l’accordo è quella di Singapore. Cfr. G. della Morte, op. ult. cit., 39; A. Ciampi, I rapporti della Corte con le Nazioni Unite, in G. Lattanzi, V. Monetti (coordinato da), La Corte penale internazionale, Milano 2006, 149. (20) G. della Morte, op. cit., 40.
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essere esercitato solo con una risoluzione adottata in conformità al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (21), nel quale sono disciplinate le misure dirette a contrastare una minaccia o una violazione della pace e della sicurezza internazionale. Da questo punto di vista, diventava centrale l’obiettivo che il Consiglio di Sicurezza si assumesse una significativa responsabilità di fronte alla comunità internazionale attraverso l’adozione di un atto motivato (22) che esplicitasse quali pregiudizi in concreto potrebbe arrecare alla pace e alla sicurezza il procedimento incardinato dalla Corte. Tuttavia, la prassi si è discostata da questa rigorosa impostazione. Infatti, nelle risoluzioni sinora adottate (23), il Consiglio di Sicurezza si è limitato ad identificare una presunzione di pregiudizio per quegli obiettivi fondamentali, sostenendo che essi sarebbero automaticamente conculcati dall’eventuale instaurazione di un procedimento di fronte alla Corte nei confronti dei partecipanti alle operazioni militari autorizzate dalle Nazioni Unite che provengano da Paesi non membri dello Statuto di Roma (24), a cui veniva cosı̀ riconosciuta una sorta di immunità (25). Si tratta di un’applicazione chiaramente distorta della previsione statutaria, laddove essa impone l’adozione di una motivazione in concreto – e non solo in astratto – in ordine ai pregiudizi per le esigenze di pace e sicurezza internazionale di uno
(21) Si richiede, pertanto, che il Consiglio si esprima formalmente, approvando una risoluzione con il voto positivo di almeno nove membri, inclusi quelli permanenti (art. 27.3 Carta delle Nazioni Unite). Inoltre, occorre evidenziare come si ritenga che sia sufficiente anche l’astensione dei Membri permanenti. Sul punto v. S. Zappalà, Il Procuratore della Corte penale internazionale, luci ed ombre, in Riv. dir. int. 1999, 66. (22) S. Zappalà, op. cit. loc. cit. Secondo l’Autore, il potere sospensivo deve conciliare «il proprio carattere politico con il carattere decisamente giurisdizionale del procedimento sui cui interviene. Infatti, nell’ambito della giurisdizione (ed è precisamente in quest’ambito che si producono gli effetti dell’azione del Consiglio di sicurezza) l’obbligo di motivazione costituisce come un corollario del principio di legalità e un dovere generale dei pubblici poteri a garanzia dell’interesse pubblico alla trasparenza dei procedimenti giurisdizionali e a tutela, nell’ipotesi in esame, delle aspettative di giustizia delle vittime dei crimini». (23) Cfr. risoluzione 1422/2002 del 12 luglio 2002, rinnovata con il medesimo contenuto con risoluzione 1487/2003 del 12 giugno 2003. V. anche le risoluzioni 1593/2005 del 31 marzo 2005 e 1970/2011 del 26 febbraio 2011, le quali precisavano che i crimini commessi rispettivamente in Sudan e in Libia dai partecipanti alle operazioni di peacekeeping provenienti da Stati non parte dello Statuto di Roma dovessero essere giudicate dai tribunali nazionali di origine di tali soggetti. (24) Il problema si era posto per quei casi in cui le operazioni di peace-keeping si fossero svolte all’interno di uno Stato parte dello Statuto di Roma. Tale atto normativo prevede, infatti, che la Corte sia competente a giudicare anche crimini commessi sul territorio di uno Stato parte da cittadini di uno Stato non parte del sistema della Corte. (25) Tali soggetti rimangono comunque sottoposti alla giurisdizione dello Stato d’origine.
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specifico procedimento di fronte alla Corte (26). Per di più, il Consiglio di Sicurezza aveva posto il suo veto in maniera ipotetica, mentre l’esercizio del potere sospensivo presuppone l’esistenza o, quantomeno, la possibilità di instaurare un procedimento penale internazionale, come l’apertura da parte del Procuratore di una preliminary examination, la quale costituisce una fase pre-investigativa, che mira a verificare la seriousness della notizia di reato (27). Sempre con l’obiettivo di restringere i poteri discrezionali del Consiglio di Sicurezza, l’art. 16 limita la durata della sospensione del procedimento a dodici mesi, sia pure consentendo che la risoluzione con cui viene disposta la misura sospensiva possa essere rinnovata senza limiti alle stesse condizioni, quindi sempre con un’adeguata motivazione. Questo potere di rinnovo potrebbe determinare pericolose distorsioni nella prassi (28), se, come si è visto, si procedesse a immunità presuntive rinnovabili ad libitum (29). Nell’ottica di evitare simili distorsioni, è opportuno chiedersi se possa essere esercitata qualche forma di controllo sulle determinazioni del Consiglio di Sicurezza. In questa prospettiva, occorre ricordare come il Trattato tra la Corte e le Nazioni Unite, che regola la cooperazione e le relazioni diplomatiche fra tali istituzioni, preveda che la risoluzione del Consiglio debba essere notificata a cura del Segretario generale delle Nazioni Unite al Presidente della Corte e al Procuratore. Essi, dal canto loro, devono informare il Consiglio di Sicurezza delle misure che intendono adottare a seguito di quella risoluzione (art. 17.2). In queste reciproche forme di comunicazione sembrerebbe implicita una possibilità di controllo da parte della Corte (30), di cui peraltro resta indefinita la portata.
(26) Cfr. A. Ciampi, op. cit., 152. (27) Durante la preliminary examination, che, come si vedrà, resta esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 16, il Procuratore può compiere una serie di attività, come raccogliere documenti o sentire testimoni. Per una panoramica in rapporto a questa fase cfr., tra gli altri, M. Bergsmo, J. Pejic, D. Zhu, Article 15 Prosecutor, in O. Triffterer, K. Amboos, Rome Statute of the International Criminal Court. A Commentary, 3a ed., Oxford 2016, 731 ss. (28) In questa prospettiva, cfr. M. Bergsmo, J. Pejic, D. Zhu, Article 16. Deferral of investigation or prosecution, in O. Triffterer, K. Amboos, Rome Statute of the International Criminal Court cit., 780. (29) In questo modo, sembrerebbe configurarsi una metamorfosi dell’art. 16, che di fatto assumerebbe i connotati della prima proposta che era stata avanzata in sede di conferenza diplomatica: la Corte potrebbe agire nei confronti dei responsabili di crimini internazionali solo su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Su questo aspetto cfr. G. della Morte, op. cit., 43. (30) In questo senso, cfr. L. Condorelli, S. Villalpando, op. cit., 651, che mettono il luce
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Indubbiamente, se si riconoscesse alla Corte il compito di verificare la sussistenza della minaccia alla pace o alla sicurezza indicata nella risoluzione, si attribuirebbe ad un organo giudiziario il potere di operare una valutazione sulla base di parametri politici, che, per loro stessa natura, dovrebbero restare estranei dall’orizzonte conoscitivo di tale sistema di giustizia (31). Sembrerebbe allora più opportuno ritenere che la Corte possa esercitare il proprio controllo solo sui profili formali (32), potendo rifiutare di eseguire una risoluzione solo quando essa appaia illegittima, ad esempio, perché disponga una sospensione a tempo indeterminato del procedimento, o quando essa non presenti alcuna motivazione (33). In questa prospettiva, è evidente come il perimetro entro il quale si dispiega il vaglio della Corte avrebbe margini assai limitati. 4. – Sotto una diversa prospettiva, occorre evidenziare come manchi nello Statuto (34) una disciplina puntuale relativa sia ai tempi di esercizio del potere sospensivo del Consiglio di sicurezza, sia alle conseguenze che esso determina sul procedimento penale di fronte alla Corte. Sotto il primo profilo, occorre domandarsi se la richiesta di sospensione da parte del Consiglio di sicurezza debba essere effettuata entro un termine preciso. Il tenore letterale dell’art. 16, che si riferisce sia all’instaurazione di un’indagine o di un processo, sia alla loro prosecuzione, sembrerebbe indurre a ritenere che la richiesta di sospensione possa intervenire in ogni stato e grado del procedimento (35): in particolare, dal-
come il potere di controllo spetti in concreto alla Pre-Trial Chamber, alla Trial Chamber o all’Appeals Chamber, a seconda della fase in cui intervenga la misura sospensiva; v. anche A.S. Knotterus, The Security Council and the ICC, in Netherlands International Law review 2014, 200, il quale evidenzia come tale potere di controllo deriverebbe, invece, dal principio generale di kompetenz-kompetenz, che è stato sviluppato nell’ambito del Tribunale penale per l’ex Yugoslavia (Appeals Chamber, Prosecutor v. Duško Tadic, Decision on the Defence Motion for the Interlocutory Appeal on Jurisdiction, 2 ottobre 1995, par. 6, 14-22) e che consente ad ogni sistema di giustizia internazionale di decidere su ogni questione che riguarda la propria giurisdizione. (31) Cfr., ex multis, H.P. Kaul, International Criminal Court (ICC), in Max Planck Encyclopedia of Public International Law 2010, par. 118, che considera la Corte un organo esclusivamente giudiziario, a cui non competono valutazioni di tipo politico. (32) Cfr., anche se con sfumature diverse, C. Stahn, The Ambiguities of Security Council Resolution 1422 (2002), in EJIL 2003, 102; A.S. Knotterus, op. cit. loc. cit. (33) Basti pensare al caso di una risoluzione in cui manchi del tutto un’indicazione delle ragioni che giustificano l’attivazione del meccanismo previsto dall’art. 16 dello Statuto. (34) E, più in generale, in tutti gli atti che disciplinano il sistema della Corte, comprese le Regole di procedura e prova, che sono state approvate nel 2002 e disciplinano alcuni aspetti procedurali e amministrativi non regolati dallo Statuto di Roma. (35) Cfr. S. Zappalà, op. cit., 67 s.
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l’inizio delle indagini fino al giudizio d’appello. Resta esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 16 la preliminary examination, che, avendo natura preinvestigativa, nel caso di emissione di una risoluzione «sospensiva» da parte del Consiglio di Sicurezza, potrebbe continuare il suo corso, essendo però preclusa al Procuratore la possibilità di aprire un’indagine (36). Sotto il secondo profilo, occorre interrogarsi sulle ripercussioni sia sul piano della conservazione e della raccolta del materiale probatorio, sia sul versante della durata delle misure cautelari. La paralisi del procedimento potrebbe provocare non solo una dispersione delle prove, ma anche un’irragionevole durata delle misure coercitive adottate. Gli atti normativi che disciplinano il sistema della Corte non individuano specificamente la disciplina applicabile a queste ipotesi ed è, dunque, opportuno procedere ad un’interpretazione sistematica al fine di valutare se vi siano degli strumenti che consentono al Procuratore o ai giudici di intervenire. Diversamente, la paralisi del procedimento potrebbe comportare, da un lato, un’evidente limitazione delle esigenze accertative del processo penale e, dall’altro, una notevole compressione delle garanzie difensive (37). 5. – Con riguardo agli effetti sul piano della conservazione del materiale probatorio, occorre richiamare l’art. 54.3 lett. f dello Statuto (38), il quale prevede che il Procuratore possa richiedere o prendere ogni misura che ritiene necessaria per garantire la conservazione delle prove eventualmente raccolte (39). Si allude alla possibilità di adottare quei provvedimenti che consentano di custodire e preservare l’integrità del materiale probatorio (40). Un simile potere è riconosciuto anche alla Pre-Trial Chamber, cioè all’organo giurisdizionale che riveste un ruolo di garanzia dei diritti dell’indagato e di controllo dell’attività del Procuratore durante la fase delle indagini (41). Essa, qualora lo ritenga necessario, può adottare d’ufficio
(36) In tal senso v. A.S. Knotterus, op. cit., 201. (37) Sia sul piano della ragionevole durata del procedimento nel suo complesso (art. 67.1 lett. c), sia sul versante del diritto alla prova (art. 67.1 lett. e). (38) Cfr. A.S. Knotterus, op. cit. loc. ult. cit. (39) Lo Statuto di Roma utilizza l’espressione preservation of evidence. (40) Tale potere, disciplinato in via generale dallo Statuto, trova la sua specificazione nella Rule 10 delle Regole di procedura e prova. (41) Si tratta di un organo a cui sono riconosciute molteplici prerogative e che presenta alcune similitudini con il nostro giudice per le indagini preliminari, dato che, ai sensi dell’art. 57 dello Statuto, la Pre-Trial Chamber è competente a emettere le misure limitative della libertà personale richieste dalla Procura e a disporre la c.d. unique investigative opportunity,
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nella fase investigativa le misure conservative delle eventuali prove raccolte (art. 57.3 lett. c Statuto). Questo compito sembrerebbe poter essere affidato anche alla Trial Chamber – cioè al giudice dibattimentale – nel caso in cui venisse richiesta la sospensione del dibattimento. Essa, infatti, ha il potere di garantire l’equità e la speditezza del procedimento, proteggendo i diritti dell’imputato, i testimoni e le vittime (art. 64.2 Statuto) (42). In questa prospettiva, è difficile pensare che tali valori fondamentali possano essere tutelati se la sospensione del dibattimento abbia determinato la dispersione del materiale probatorio (43). Come si vede, si tratta di disposizioni molto generiche, che, per un verso, riconoscono al procuratore e ai giudici della Corte ampi margini di discrezionalità, dato che l’adozione delle menzionate misure non risulta obbligatoria, ma dipende da valutazioni di opportunità degli organi giudiziari, e, per l’altro, non indicano i presupposti che consentono di attivare tali meccanismi (44). Sotto un diverso profilo, l’art. 56 dello Statuto consente alla Pre-Trial Chamber di assumere durante le indagini, d’ufficio o su richiesta del Procuratore, le prove non rinviabili al dibattimento, anche nell’interesse della difesa (45).
che consente l’acquisizione anticipata delle prove in fase di indagine quando vi sia il rischio di una loro dispersione. La Pre-Trial Chamber, inoltre, decide sulle cause di improcedibilità che intervengano durante la fase delle indagini preliminari e della confirmation of charges hearing (simile alla nostra udienza preliminare), autorizza il Procuratore a svolgere determinate attività investigative all’interno del territorio di uno Stato che non sia in grado (unable) di cooperare con l’organo d’accusa e di eseguirne le richieste. (42) A.S. Knotterus, op. cit. loc. ult. cit. (43) Peraltro, in questa prospettiva, la Rule 138 prevede che il Registry, un organo assimilabile alla Cancelleria, ma che possiede rilevanti competenze in materia di tutela delle vittime e dei testimoni, abbia l’obbligo di conservare le prove raccolte durante il dibattimento. (44) Per un’applicazione delle misure conservative anche in caso di esercizio del potere sospensivo da parte del Consiglio di Sicurezza cfr. M. Bergsmo, P. Kruger, Duties and Powers of the Prosecutor, in O. Triffterer (a cura di), Commentary on the Rome Statute of the International Criminal Court, Baden-Baden 1999, 725; G. Turone, Powers and Duties of the Prosecutor, in A. Cassese, P. Gaeta, J.R.W.D. Jones (a cura di), The Rome Statute of the International Criminal Court: a Commentary, cit., 1171. (45) Secondo questa procedura, che presenta alcune similitudini con il nostro incidente probatorio, il Procuratore, quando rilevi che durante le indagini sussista il rischio che la prova non possa essere raccolta in un momento successivo, deve informare la Pre-Trial Chamber, la quale adotta le misure necessarie per acquisire il materiale probatorio. Si tratta di un meccanismo che non prevede la partecipazione necessaria della difesa: spetta, infatti, alla Pre-Trial Chamber, su sollecitazione del Procuratore o, in caso di sua inerzia, d’ufficio, raccogliere la prova che ritiene essenziale per la difesa. Cfr. J. Wouters, S. Verheven, B.
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Sembrerebbe che anche questa norma possa essere applicata in caso di esercizio del potere sospensivo da parte del Consiglio di Sicurezza, quando la paralisi che esso determina possa comportare la dispersione di prove la cui mancata acquisizione potrebbe rendere inutile la prosecuzione del procedimento (46). In questo caso, occorre porre in bilanciamento il potere politico con l’esigenza di tutela della prova. Ciò induce a ritenere che il provvedimento sospensivo non possa rendere vana la finalità del processo, che potrebbe sempre riprendere il suo corso, e che quindi esso non valga ad impedire gli atti di assicurazione della prova non rinviabili (47). Senonché occorre pure farsi carico del caso in cui lo stesso atto acquisitivo della prova costituisca di per sé ostacolo al raggiungimento della pace e sicurezza internazionale. In questo caso, dovendo simili esigenze «politiche» prevalere, come si diceva, su quelle all’accertamento penale in caso di conflitto, la specifica attività probatoria di cui si discute dovrebbe rientrare nel divieto imposto dalla risoluzione. Tuttavia, anche questa prevalenza non dovrebbe essere intesa in senso assoluto, non potendo essere del tutto vanificata la finalità accertativa. In questa prospettiva, occorre ricercare dei meccanismi che permettano di contemperare i due tipi di esigenze in gioco. In questo senso, un’utile guida potrebbe essere rappresentata dal principio di proporzionalità, il quale, pur non essendo previsto espressamente dallo Statuto, rappresenta comunque un criterio generale che ben potrebbe ritenersi implicitamente informare anche il processo di fronte alla Corte penale internazionale. Tale principio, che assume importanza cruciale nel quadro del diritto europeo (48), si declina in un giudizio che permette l’adozione di soluzioni
Demeyere, The International Criminal Court’s Office of the Prosecutor: Navigating between Independence and Accountability?, in International Criminal Law Review 2008, 8, 311. (46) Per certi versi, un tale assetto risulta simile a quello configurato nel nostro codice di rito dall’art. 71 c.p.p., il quale prevede che, in caso di sospensione del procedimento dovuta all’accertamento dell’incapacità dell’indagato o dell’imputato, il giudice può provvedere, se vi è pericolo nel ritardo, all’acquisizione delle prove in dibattimento o, qualora ci si trovi in fase di indagini, in sede di incidente probatorio. Anche in questo caso, l’adozione di provvedimenti urgenti da parte dell’autorità giudiziaria, pur dipendendo dalla diversa circostanza dell’accertata incapacità dell’imputato o dell’indagato, è preordinata ad evitare la dispersione del materiale probatorio. (47) In una simile prospettiva, l’art. 18.6 dello Statuto, nel regolare la procedura di sospensione del procedimento di fronte alla Corte in caso di proposizione da parte di uno Stato o di un imputato di una questione di procedibilità, dispone che durante la paralisi il Procuratore possa, in casi eccezionali, rivolgersi alla Pre-Trial Chamber quando ritenga che sia necessario raccogliere delle prove non rinviabili al dibattimento. (48) Sia sul fronte del diritto dell’Unione, sia sul versante della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sotto il primo profilo, basti pensare alla normativa sull’ordine europeo
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flessibili e che implica la valutazione di tre parametri (49): idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto della misura da adottare. Nel quadro della disciplina del potere sospensivo riconosciuto al Consiglio di Sicurezza, l’applicazione del canone della proporzionalità richiederebbe, in primo luogo, che la risoluzione debba risultare idonea rispetto agli obiettivi che si propone di conseguimento della pace e della sicurezza internazionale. Inoltre, il criterio della necessità impone che la paralisi del procedimento costituisca l’extrema ratio: vale a dire che la sospensione possa essere disposta solo ove non sia possibile adottare provvedimenti che, per tutelare quegli obiettivi, impongano minore sacrificio per le esigenze accertative della Corte. In questa prospettiva, con riguardo al problema che pone un atto acquisitivo della prova che potenzialmente sia idoneo a pregiudicare la pace e la sicurezza, si potrebbe pensare ad una misura che assicuri tale obiettivo senza compromettere in via definitiva la raccolta del materiale probatorio. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla possibilità che la Corte stipuli accordi con le Nazioni Unite per l’acquisizione delle prove (art. 18.1 Trattato fra Corte e Nazioni Unite) (50), in modo da evitare che essa possa avvenire con modalità e tempistiche tali da pregiudicare la pace e la sicurezza internazionale (51).
di indagine penale (cfr., tra gli altri, L. Bachmaier, Transnational Evidence Towards the Transposition of Directive 2014/41 Regarding the European Investigation Order in Criminal Matters, in Eucrim 2015, 2, 47 ss.; M. Daniele, La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull’ordine europeo di indagine penale, in Dir. pen. cont. - Riv. trim. 2015, 4, 86 ss.; R.E. Kostoris, Ordine di investigazione europeo e tutela dei diritti fondamentali, in Cass. pen. 2018, 1437 ss.). Sotto il secondo profilo, il principio di proporzionalità viene anche applicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla giurisprudenza della Corte europea in materia di tutela del diritto al confronto (cfr., ex multis, Corte eur. 23 aprile 1997, Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, par. 58 ss.; in dottrina v., tra gli altri, M. Vogliotti, La logica floue della Corte Europea dei diritti dell’uomo tra tutela del testimone e salvaguardia del contraddittorio: il caso delle «testimonianze anonime», in Giur. it. 1998, 851 ss.; L. Bachmaier Winter, Transnational Criminal Proceedings, Witness Evidence and Confrontation: Lessons from the ECtHR’s Case Law, in Utrecht L. Rev. 2013, 9, 143 ss.). (49) Il triplice test di proporzionalità è stato sviluppato ad opera della giurisprudenza tedesca. V., per tutti, E.R. Belfiore, Giudice delle leggi e diritto penale, Milano 2005, 280 ss. (50) Cfr., in questo senso, i memorandum of understanding stipulati dalla Corte con le Nazioni Unite, i quali individuano una serie di misure volte alla conservazione e la raccolta del materiale probatorio (Best Practices Manual For United Nations – International Criminal Court Cooperation, 26 settembre 2016, 11 s.). V. anche I. Caracciolo, Light and Shade of the Legal Framework on Cooperation between the ICC and Peacekeeping, in I. Caracciolo, U. Montuoro (a cura di), New models of peacekeeping security and protection of human rights. The Role of the UN and Regional Organizations, Torino 2018, 159 ss. (51) Resterebbe escluso dalla possibilità di stipulare simili accordi l’imputato, il quale
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Infine, il criterio della proporzionalità in senso stretto dovrà implicare che la misura adottata dal Consiglio di Sicurezza non sia tale da vanificare il fine accertativo del processo. Se prima si era affermato che la Corte aveva un potere di controllo anzitutto formale sulla risoluzione (52), ora dobbiamo chiederci se questo organo possa esercitare un vaglio sul rispetto del principio di proporzionalità da parte del Consiglio di Sicurezza e se possa conseguentemente rifiutare di eseguire un provvedimento sospensivo qualora ritenga che esso violi tale canone. Sembrerebbe opportuno rispondere affermativamente a tale quesito. Il fine accertativo rappresenta un profilo essenziale del sistema della Corte, la cui compressione, come si è visto, non può tradursi in una sua vanificazione. Tale valore fondamentale resterebbe privo di tutela se si impedisse alla Corte di esercitare un controllo sulla proporzionalità della risoluzione e di rifiutare l’esecuzione di una misura sospensiva che violi tale canone. Peraltro, il vaglio da parte di entrambe le istituzioni potrebbe condurre allo sviluppo di prassi virtuose, che garantiscano un equilibrio tra le istanze del Consiglio di Sicurezza, da un lato, e le finalità della Corte, dall’altro. Prassi che sarebbe auspicabile si radicassero nel tempo e portassero anche a soluzioni sufficientemente conoscibili e prevedibili (53). Questo assetto comporterebbe però che la Corte debba considerare, seppur nell’ottica del bilanciamento con la finalità accertativa, esigenze di carattere politico, estendendo dunque la portata del proprio vaglio a profili ulteriori rispetto a quelli meramente formali. Emerge, sotto questo aspetto, l’ambiguità di tale sistema di giustizia che, pur pretendendo di avere natura giudiziaria (54), si occupa di crimini che hanno una spiccata valenza politica (55).
difficilmente potrebbe avviare una procedura di consultazione con le Nazioni Unite con l’obiettivo di raccogliere prove a discarico. (52) In particolare, sulla motivazione e sul rispetto dei limiti temporali da parte della risoluzione. (53) Nel quadro del diritto europeo, tale tesi è sostenuta da R.E. Kostoris, op. cit., 1448 ss., secondo il quale, nell’ambito della disciplina dell’o.e.i. dovrebbe essere incentivata l’elaborazione di modelli di bilanciamento «tipizzati». Cfr., sul fronte del diritto Cedu, e in particolare in rapporto ai concetti di conoscibilità e prevedibilità, Corte eur., Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993. (54) Cfr., in questa prospettiva, la relazione di apertura dell’anno giudiziario del Presidente della Corte: S. Fernandez de Gurmendi, Opening remarks at Ceremony for Opening of Judicial Year 2018, in https://www.icc-cpi.int/itemsDocuments/180118-pres-stat-ojyENG.pdf, 18 gennaio 2018, 1. (55) Sulla possibilità che la Corte possa operare valutazioni di tipo politico cfr. A.S.
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6. – Sotto diverso profilo, occorre considerare gli effetti che l’esercizio del potere sospensivo può determinare sulle misure cautelari personali. In questa prospettiva, l’art. 60 dello Statuto obbliga la Pre-Trial Chamber a rivalutare periodicamente i presupposti del provvedimento cautelare almeno a cadenza quadrimestrale (Rule 118 Regole di procedura e prova) e comunque ogni volta in cui ne faccia richiesta il Procuratore o la persona in custodia. I giudici possono optare per una misura meno afflittiva, oppure disporre la liberazione, quando ritengono che il mutamento delle circostanze lo richieda. L’esercizio del potere sospensivo da parte del Consiglio di Sicurezza sembrerebbe poter essere considerata una circostanza che incide sull’applicazione del provvedimento cautelare, di cui dovrebbe determinare la revoca o, quantomeno, la modifica in termini meno restrittivi (56). Nella scelta della misura da adottare nel caso concreto la Pre-Trial Chamber dovrebbe fare anche applicazione a questo riguardo del principio di proporzionalità. Occorrerebbe, in particolare, bilanciare le esigenze cautelari, come il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato (art. 58.1 Statuto), con il diritto dell’accusato ad una durata ragionevole delle misure coercitive e a non essere detenuto in modo arbitrario (art. 55.1 lett. d). In questa prospettiva, ove la revoca della custodia in carcere venisse considerata una misura eccessiva, si potrebbe, ad esempio, pensare alla liberazione dell’imputato, subordinata al rispetto di certe condizioni (57). 7. – In questo contesto, caratterizzato da un precario equilibrio fra poteri, sembrerebbe opportuno valorizzare, al fine di prevenire interferenze pregiudizievoli per il procedimento penale internazionale, le consulta-
Weiner, Prudent Politics: The International Criminal Court, International Relations, and Prosecutorial Independence, in Washington University Global Studies Law Review 2013, 549. (56) V. però contra M. El Zeidi, The United States Dropped the Atomic Bomb of Article 16 on the ICC Statute: Security Council Power of Deferrals and Resolution 1422, in VanderBilt Journal of Transitional Law 2002, 1514, il quale ritiene che il deferral disposto dal Consiglio di Sicurezza non sia di per sé sufficiente a giustificare la revoca o la modifica in senso meno restrittivo della misura limitativa della libertà personale. (57) Si pensi, a titolo esemplificativo, al divieto di espatrio, di rendere dichiarazioni pubbliche riguardanti il procedimento o di mettersi in contatto con i testimoni. Sulle condizioni a cui può essere subordinata la liberazione dell’imputato che si trovi in custodia cautelare cfr., anche se in rapporto ad un caso che non riguarda specificamente l’esercizio del potere sospensivo da parte del Consiglio di Sicurezza, Trial Chamber VII, Decision on Mr Bemba’s Application for Release, ICC-01/05-01/13-2291, 12 giugno 2018, par. 18 ss.
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zioni fra la Corte e le Nazioni Unite (58) previste in via generale dall’art. 3 del Trattato di cooperazione fra tali istituzioni. Questa procedura potrebbe, infatti, evitare che l’esercizio dei poteri di interferenza da parte del Consiglio di Sicurezza determini una gestione inefficiente delle risorse della Corte, scongiurando il rischio di una vanificazione delle attività investigative e probatorie (59). Da questo punto di vista, le soluzioni interpretative che si è cercato di individuare, sia sul versante della conservazione e della raccolta del materiale probatorio sia sul piano dell’esecuzione delle misure cautelari, potrebbero risolvere alcune distorsioni, ma, data la delicatezza degli interessi in gioco e l’assenza di un organo sovraordinato in grado di dirimere i conflitti, sarebbe necessario che il legislatore provvedesse a regolare in modo più chiaro l’esercizio del potere sospensivo, le forme di controllo su tale attività e le conseguenze che essa può avere sui diritti dell’imputato e, più in generale, sul procedimento penale internazionale. MASSIMO BOLOGNARI Titolare di assegno di ricerca nell’Università di Padova
(58) In questo senso, cfr. Statement of the Prosecutor of the International Crimnal Court, Fatou Bensouda, at first arria-formula meeting on UNSC-ICC relations, in https://www.icccpi.int/Pages/item.aspx?name=180706-otp-statement-arria-formula, 6 luglio 2018, nel quale si auspica una più stretta cooperazione fra la Procura della Corte e il Consiglio di Sicurezza. (59) Si tratta attività molto spesso costose in ragione della natura internazionale del procedimento di fronte alla Corte.