ITALIANA A TUTTI I COSTI. I FINANZIAMENTI DEL GOVERNO ITALIANO A SOSTEGNO DELLA PROPAGANDA NAZIONALE NELLA ZONA B DEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE 1945-1954 di Irene Bolzon
Introduzione […] devo dire, per mia convinzione, […] e per raccomandazione e mandato dei miei concittadini, che questo accordo ci ha profondamente delusi, ci ha indignati, ci ha mortalmente offesi. […] È un’Italia provvisoria che torna a Trieste, in pantofole, quale amministratrice per conto di quell’ibrido che è l’Organizzazione delle nazioni unite di cui a Londra si è consacrata la provocatoria e ridicola sovranità su Trieste ed a prezzo di un troppo grande sacrificio, a prezzo di un inaudito abbandono della generosa terra istriana nelle grinfie ancora insanguinate del maresciallo balcanico. […] Sono con me gli esuli disperati. Io so che la battaglia continua1.
A tuonare nell’aula parlamentare con queste parole fu Carlo Colognatti, deputato del MSI, nell’ambito delle discussioni aperte il 12 ottobre 1954 con la presentazione al Parlamento da parte di Gaetano Martino, allora ministro per gli affari esteri, del testo del Memorandum di Londra siglato nella giornata del 5 e che, con l’assegnazione della Zona A del Territorio Libero di Trieste all’Italia e della Zona B alla Jugoslavia, poneva fine all’annosa «questione di Trieste»2. A fare da eco alle parole di Colognatti furono anche gli onorevoli Lucifero, Cantalupo e Delcroix del Partito Nazionale Monarchico che nell’ambito dello stesso dibattito bollarono come irricevibile la cessione della Zona B e dei territori istriani in essa inglobati, imputandola alle inettitudini della politica degasperiana, la cui arrendevolezza, a loro dire, si era già ampiamente palesata con il Trattato di Pace del 10 febbraio del 1947, un diktat imposto dalle grandi potenze all’Italia che aveva compromesso irreparabilmente i destini delle popolazioni istriane3. 1. Camera dei Deputati, atti parlamentari, seduta pomeridiana del 15 ottobre 1954. 2. Per una panoramica generale sulle vicende del confine orientale italiano cfr. Wörsdörfer (2009); Troha (2008); Cattaruzza (2007); Catalan et al. (2007); Parlato (2007); Pupo (2007); Spazzali (2006); Valdevit, (2004); Verrocchio (2004); Cattaruzza et al. (2003); Finzi et al. (2002); Kacin Wohinz, Pirjevec (1998); Purini (1995); Apih (1988); Valussi (1972). 3. Per i testi completi dei loro interventi vedere Camera dei Deputati, atti parlamentari, seduta pomeridiana del 13 e del 18 ottobre 1954. Società e storia n. 148, 2015
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Nonostante il clima di sollievo e moderata soddisfazione che accolse a livello nazionale e locale la notizia del ritorno di Trieste all’Italia, alcuni dei temi toccati da parte dell’opposizione di destra, come quello della debolezza della politica degasperiana e del sostanziale disinteresse di Roma nei confronti della questione istriana, finirono per essere recepiti come validi anche dopo il 1954 da una parte consistente dell’associazionismo esule, che raccoglieva l’esperienza di una comunità che aveva vissuto in prima persona le conseguenze della faticosa definizione del tracciato confinario4. Tali temi avrebbero così segnato per decenni parte del panorama culturale giuliano, fuoriuscendo da una connotazione prettamente localistica e riacquisendo una visibilità di più ampia portata soprattutto in tempi recenti, con l’istituzione della Giornata del Ricordo5 che ha nuovamente richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale sulla questione del confine orientale, ponendola come cardine di nuove mitologie nazionali6. Dietro al palco di temi che hanno trovato la loro fortuna nell’ambito di vulgate storiche e politiche tutt’ora persistenti, rimangono però inesplorate le profondità di una politica governativa chiamata dopo la fine del conflitto mondiale ad affrontare le numerose criticità poste dal quadro internazionale, le quali andarono a stratificarsi anche sul confine orientale italiano, le cui dinamiche di definizione vennero ben presto inserite nella logica di confronto tra blocchi. Se sul fronte delle strategie diplomatiche la storiografia ha ormai da tempo posizionato con chiarezza il ruolo dell’Italia sullo scacchiere internazionale e valutato criticamente gli esiti scaturiti dalle vertenze sul confine7, solo in tempi recenti è stato possibile analizzare nel dettaglio gli interventi politici attuati dal governo italiano sui territori contesi. Un contributo fondamentale all’apertura di una nuova stagione di studi sulla conduzione delle politiche governative in merito alle frontiere ancora in corso di definizione nel secondo dopoguerra lo ha offerto il recente riordino del fondo dell’Ufficio per le zone di confine (UZC) presso l’Archivio generale della Presidenza del consiglio dei ministri (AGPCM). Istituito il 1° novembre del 1947 in seno alla Presidenza del consiglio dei ministri, l’Ufficio nasceva con l’obiettivo di avviare una gestione straordinaria 4. Per un approfondimento sul tema si rimanda solo ad alcuni volumi di riferimento: Crainz et al. (2008); Crainz (2005); Pupo (2005); Marchis (2005); Kacin Wohinz (2004); Volk (2004); Cattaruzza et al. (2000); Colummi et al. (1980); 5. Legge 30 marzo 2004, n. 92 «Istituzione del “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004. 6. Sul tema cfr. Tenca Montini (2014). Per una carrellata sui temi che negli ultimi anni hanno caratterizzato l’attività culturale del gruppo esule rimando alla raccolta on-line del periodico “Difesa Adriatica”, dal 1947 organo stampa dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, leader nell’universo associazionista esule in Italia http://www.anvgd.it/qdifesa-adriaticaq.html. 7. Rimando solo ad alcuni dei principali contributi sulla questione: Trinchese, Caccamo (2011); Bernardelli (2006); Di Nolfo et al. (1990); Pupo (1979); Valdevit (1986).
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e fortemente centralizzata delle questioni confinarie, rappresentando un organo istituzionale capace di mettere in collegamento Roma con le realtà politiche locali e di tradurre in pratiche di governo del territorio le strategie politiche adottate a livello centrale. Tali compiti di intermediazione politica hanno reso l’Ufficio un collettore di documentazione estremamente interessante per comprendere non solo le direttive emanate dagli organi di governo in merito alla gestione delle aree di confine, ma anche le condizioni sociali, politiche ed economiche delle popolazioni che vi erano attestate, oggetto di indagini conoscitive capillari, indispensabili alle istituzioni per comprendere attraverso quali canali intervenire per alterare il quadro locale. Numerose le piste di ricerca scaturite dall’apertura del fondo, come lo studio sulle modalità seguite nella costruzione dell’apparato propagandistico attivo a Trieste e in Istria, la pianificazione delle operazioni relative all’esodo da Pola o il monitoraggio delle attività politiche e culturali dei gruppi sloveni presenti nel capoluogo giuliano e nell’isontino8. Uno dei filoni di maggiore interesse presenti nella documentazione è però quello relativo ai finanziamenti. Fu infatti attraverso l’erogazione di fondi cospicui destinati alla compagine locale che lo Stato italiano tentò di promuovere nelle aree periferiche la propria presenza politica e amministrativa9, cercando di rafforzare i propri rapporti con quegli attori locali che, come le associazioni e i partiti, avrebbero potuto contribuire a rendere concreta ed efficace la campagna per l’italianità dei territori giuliani. Sfogliando i libri contabili dell’Ufficio e seguendo il percorso delle risorse economiche investite nel tessuto giuliano salta immediatamente all’occhio il flusso di capitali che investì numerosi enti, tra i quali il CLN dell’Istria (CLNI), associazione nata a Trieste già nell’estate del 1945 per iniziativa di un gruppo di antifascisti istriani che avevano scelto la via dell’esodo. L’ente, impiegato in attività politiche e assistenziali rivolte sia agli italiani rimasti in Istria che agli esuli presenti a Trieste, avrebbe svolto un’opera importante soprattutto a seguito dell’istituzione del Territorio libero di Trieste (TLT), gestendo i rapporti tra il governo e gli italiani presenti nella Zona B. La possibilità di integrare la documentazione dell’UZC con l’archivio dell’ente istriano, disponibile presso l’Istituto regionale di cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste (IRCI), ha permesso di ricostruire sia le intermediazioni tra l’ente e il governo, chiarendo gli obiettivi politici che quest’ultimo perseguiva attraverso la gestione della comunità istriana, sia le modalità di ricezione e di distribuzione delle risorse finanziarie sul territorio, aspetti la cui analisi costituisce l’obiettivo del presente lavoro. Capire infatti attraverso quali rivoli andarono ad incanalarsi le risorse investite dallo Stato italiano nel CLNI significa leggere attraverso l’astrattezza dei documenti contabili il grado di priorità che la que8. Pupo (2010a), pp. 57-64. Per un punto sulla situazione degli studi scaturiti dall’apertura del fondo cfr. D’Amelio et al. (2015) e Pacini (2014), che ha preso in esame i rapporti tra l’UZC e i circoli eversivi giuliani di estrema destra. 9. Maione (2010), p. 17.
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stione istriana rivestì nell’agenda politica governativa negli anni successivi al diktat del 1947, dando spessore alle intenzionalità politiche di un governo i cui meccanismi decisionali non avevano fino ad oggi potuto essere messi correttamente a fuoco a causa delle lacune documentarie. La ricerca, che si è avvalsa anche della consultazione dei fondi del gabinetto della Presidenza e del Ministero dell’interno presso l’Archivio centrale dello Stato e dell’Archivio del Ministero degli affari esteri, ha dunque tentato di inquadrare la questione dei finanziamenti al CLNI nell’ambito dei complessi rapporti tra centro e periferia instauratisi nel secondo dopoguerra. Ovviamente le vicende politiche del CLNI e i compiti dei quali venne investito non esauriscono da soli l’analisi della strategia globale adottata dal governo per la risoluzione delle questioni poste dai territori istriani. La documentazione disponibile lascia infatti intuire la presenza, anche se meno continua e strutturata, di altri soggetti coinvolti nell’ambito delle pianificazioni governative per la Zona B, come per esempio la rete delle parrocchie istriane o la Lega Nazionale10. Tuttavia la ricchezza del materiale documentario, la possibilità di ricostruire nel dettaglio l’entità delle risorse governative incamerate e la buona corrispondenza tra informazioni desunte da fonti eterogenee fanno del CLNI un caso di studio particolarmente documentato e completo, utile a comprendere secondo quali intenzioni e attraverso quali vie passò la capacità di Roma di intervenire sul quadro locale.
Il governo italiano al bivio del Trattato di pace: nuovi piani operativi tra dimensione locale e internazionale Il Trattato di pace siglato il 10 febbraio del 1947 e la prevista istituzione del TLT, stato-cuscinetto neutrale posto sotto l’egida dell’ONU che sarebbe dovuto nascere dalla fusione della Zona A (che sottoponeva a provvisorio controllo alleato i territori tra Duino a Muggia comprendendo Trieste), e della Zona B (con la parte nord-occidentale dell’Istria sotto temporanea gestione jugoslava), segnava per l’Italia un momento cruciale per la sua posizione in ambito internazionale. L’armistizio dell’8 settembre 1943 a cui erano seguite le contrapposte occupazioni dei tedeschi al nord e degli Alleati al sud l’aveva in10. L’associazione, fondata per la prima volta nel 1890, aveva come obiettivo la promozione di attività culturali ed educative mirate al rafforzamento della cultura nazionale italiana in corrispondenza dei territori giuliani e altoatesini, interessati dalla compenetrazione secolare di gruppi etnici e linguistici diversi. L’associazione chiuse e riaperse più volte i battenti, rifondandosi definitivamente nel 1946 a Trieste con lo scopo di rinvigorire l’azione dell’associazionismo filo-italiano sia nel capoluogo giuliano che in Istria. Cfr. Spazzali (1986); Secco (1995); De Rosa (2000); Redivo (2005). Oggetto di finanziamenti specifici da parte del governo per attività nella Zona B, il sodalizio venne coinvolto nel 1948 in uno scandalo per l’appropriazione indebita di fondi governativi che lo obbligò a porre fine ai suoi interventi in area istriana. Per approfondimenti cfr. Archivio di Stato di Trieste, Tribunale civile e penale, b. 1267, processo verbale di denuncia e Archivio di Stato di Venezia, Corte d’Appello di Venezia, sentenza n. 684, n. 363/50 del Reg. Gen.
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fatti cancellata dal suo ruolo di potenza in grado di discutere delle proprie sorti, ponendola come elemento passivo nell’ambito delle decisioni prese dai soggetti che in quel momento ne controllavano i territori di pertinenza. Tale situazione la costrinse tra il 1943 e il 1945 a perpetrare una serie di faticosi tentativi volti al recupero di uno status e di una identità in ambito internazionale, che si muoveva tra gli spazi angusti lasciati aperti delle discussioni in corso tra inglesi e americani, impegnati a cercare soluzioni condivise per la gestione dell’area mediterranea11. La diplomazia italiana arrivata al capolinea del 1945 doveva fare dunque i conti con una situazione difficile, che la vedeva giocare in un ruolo di assoluta subalternità rispetto non solo alle potenze di cui avrebbe cercato l’appoggio nell’ambito delle dispute diplomatiche, ma anche rispetto a quelle che si sarebbero poste immediatamente come sue rivali sul tavolo delle rivendicazioni territoriali. Infatti gli Alleati scelsero di avviare con il conflitto ancora in corso interlocuzioni principalmente con la Jugoslavia, la quale non solo stava partecipando efficacemente sul piano militare al contrasto dell’esercito tedesco, ma stava profilandosi, con le proprie intenzioni annessioniste sulla Venezia Giulia, come soggetto capace di mettere in discussione i piani angloamericani per il dopoguerra circa il controllo dell’area alto adriatica12. Le fasi finali del conflitto inoltre, con l’occupazione jugoslava di Trieste e la successiva spartizione della Venezia Giulia in due diverse aree di influenza divise dalla Linea Morgan, sancita dall’accordo di Belgrado (9 giugno 1945), avevano di fatto visto giocare l’Italia nel ruolo di esclusa dal processo decisionale dal quale dipendevano le sorti di quei territori. Per tale ragione la diplomazia italiana tentò di recuperare spazi affidandosi alla tutela alleata, basata sulla poco realistica convinzione che soprattutto gli americani fossero disposti a sostenere fino in fondo le sue posizioni13, dato che si erano dimostrati contrari all’adozione di una linea punitiva contro l’Italia, avendo come obiettivo quello di orientarne a proprio favore l’opinione pubblica in senso anticomunista. L’Italia però poteva vantare un peso specifico talmente risibile da non mettere gli Stati Uniti nella posizione di poterla sostenere fino in fondo di fronte alle dure opposizioni sovietiche e jugoslave. Per questo motivo le speranze italiane, sintetizzate nell’ottimistico intento iniziale della diplomazia di voler rivendicare tutta la Venezia Giulia compresa nel trattato di Rapallo del 192014, vennero progressivamente erose nel corso delle trattative avviate alla Conferenza di pace di Parigi, che si concluse con una soluzione di compromesso dura per l’Italia. L’Istria venne infatti in parte annessa alla Jugoslavia e in parte inserita nel Territorio Libero di Trieste, mentre il capoluogo giuliano venne affidato all’amministrazione del Governo Militare Alleato, che agiva sotto la responsabilità dell’ONU15. Le durissime reazioni dell’opinione
11. Di Nolfo (1975), p. 297. 12. Valdevit (1986), p. 50. 13. Valdevit (1986), pp. 92-102. 14. Pupo (1979), pp. 42-59. 15. De Robertis (1989), p. 595.
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pubblica italiana e degli ambienti filo-italiani della Venezia Giulia dimostrarono la scarsa coscienza di tali circuiti circa la debolezza di una posizione che scaturiva dalle pesantissime responsabilità dell’Italia, che non solo aveva giocato nel ruolo di aggressore durante il secondo conflitto mondiale, ma la cui alleanza con Hitler era risultata fatale data la condanna unanime dei crimini commessi in Europa per mano dell’ideologia nazifascista16. Inoltre le grandi potenze dovevano affrontare la ricerca di un difficile assetto internazionale stabile e a loro favorevole, che poneva decisamente in secondo piano quanto riguardava le ambizioni italiane17. Tuttavia, gli esiti del Trattato sancirono per l’Italia l’opportunità di riottenere un collocamento politico e diplomatico più dignitoso, che le avrebbe consentito di trovare protezione sotto il mantello diplomatico americano, soprattutto nei termini dei piani di aiuto economici finalizzati alla gestione politica dell’Italia, ormai indiscutibilmente inserita nell’alveo delle potenze occidentali. La stabilizzazione della situazione internazionale permise dunque al governo italiano di iniziare a pianificare con maggiore sistematicità i propri interventi relativi ai territori inglobati nel TLT che, nonostante la presenza di autorità straniere, avevano vissuto la proliferazione di forze politiche locali disposte ad attivarsi a favore della causa dell’italianità dell’intera Venezia Giulia. Per quanto riguardava la Zona B del TLT ad attirare l’attenzione del governo italiano sarebbe stata soprattutto la condizione in cui versava la comunità italiana, la quale viveva su di sé l’intreccio di numerose dinamiche conflittuali18. Rispetto alla zona ad amministrazione alleata, la Zona B era infatti andata incontro a stravolgimenti più radicali dell’assetto preesistente, avviati in maniera spedita nei territori a est della Linea Morgan già nell’estate del 1945. La politica dell’amministrazione militare jugoslava che assunse il loro controllo partiva infatti da presupposti programmatici estremamente chiari, mirati a porre in maniera immediata le condizioni per una trasformazione strutturale del sistema politico ed economico in chiave socialista. In campo amministrativo la struttura portante era costituita dai Comitati Popolari (CPL), sottoposti direttamente al controllo del Partito Comunista Croato (KPH)19 che assunsero il ruolo di organi supremi del potere popolare, dirigendo ogni aspetto della vita sociale, amministrativa ed economica della zona e andando a costituire un autentico potere di tipo statuale20. I CPL non rappresentarono in ogni caso l’unica forma di potere presente in Istria, dal momento che dopo gli accordi di Belgrado la Zona B al di là della Morgan rimase sotto l’amministrazione militare ju16. Pupo (1979), pp. 138-148. 17. Lorenzini (2007), pp. 61-98. 18. Per approfondimenti sulla situazione istriana cfr. Dukovski (2001). Per alcuni aggiornamenti sulla storiografia d’oltreconfine in merito ai territori presi in esame cfr. Roknić (2008); Žitko (2003). 19. Orlić (2008), p. 124. 20. Troha (2010); Nassisi (1980), pp. 93-94; Orlić (2008), p. 134. Per approfondimenti vedere anche Moscarda Oblak (2003); Moscarda Oblak (2004).
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goslava (la VUJA-Vojna Uprava Jugoslavenske Armije), la massima autorità giudiziaria del territorio di cui era responsabile. L’amministrazione civile incarnata dai CPL e quella militare della VUJA, pur costituendo due diversi livelli di esercizio del potere, vedevano unificate le proprie prerogative nel controllo su di esse esercitato dai vertici jugoslavi e in maniera diretta da Tito21. Veniva così a determinarsi un’aderenza perfetta tra le strutture dell’amministrazione civile e militare e gli organi direttivi del Partito, stato di cose che rendeva necessaria una rigida selezione del personale politico destinato all’apparato burocratico, che avrebbe determinato non solo l’esclusione di coloro che potevano essere accusati di consenso, anche tacito, al regime fascista o di collaborazionismo, ma anche di quegli esponenti antifascisti che si erano dichiarati immediatamente contrari ai progetti annessionistici jugoslavi. Parte dei provvedimenti di epurazione finì in questo modo per colpire numerosi italiani, non solo tra gli esponenti della tradizionale classe dirigente locale tacciata di aver fiancheggiato il fascismo, ma anche tra coloro che avevano avuto ruoli importanti nell’esercito partigiano nel corso della guerra di Liberazione, portando alla creazione di gruppi dirigenti all’interno dei quali la presenza italiana risultava essere piuttosto risicata. Tale situazione venne da subito vissuta con allarme dalla popolazione italiana, la quale ne ricavò la sensazione di essere stata esclusa dalla partecipazione al nuovo corso politico in atto22, divenendo ben presto un focolaio vivace di opposizione ai poteri popolari. Per tali ragioni, le forme di controllo politico esercitate nei suoi confronti si fecero più serrate, facendola entrare soprattutto nel mirino dell’OZNA23, la polizia politica jugoslava, la quale attraverso persecuzioni, rapimenti e arresti si sarebbe accanita con particolare violenza su tutte le forme di dissenso politico da essa manifestate. La ratifica del Trattato di pace cadde dunque a livello locale in un contesto all’interno del quale lo scontro tra realtà diverse appariva già piuttosto radicalizzato e che ebbe come immediata conseguenza l’esodo massivo di migliaia di italiani dalle zone cedute, che scelsero così di esercitare il diritto di opzione sancito dagli accordi di pace, il quale prevedeva la possibilità per le popolazioni della Venezia Giulia di trasferirsi liberamente nel paese del quale volevano essere cittadini. La portata del fenomeno avrebbe suscitato significative reazioni di natura politica da parte italiana e jugoslava. Le autorità popolari colsero immediatamente le criticità poste dal trasferimento di una quota così significativa di popolazione, che non solo depauperava il territorio di capitale umano prezioso, ma incrinava a livello internazionale il prestigio e la credibilità del nuovo corso politico jugoslavo. Per tale ragione, non senza il ricorso a pratiche vessatorie da parte dell’OZNA, i poteri popolari tentarono di impedire l’esercizio del diritto di opzione e le partenze verso l’Italia. Dal canto suo invece il governo italiano tentò di presentare in sede diplomatica l’esodo come un “plebiscito d’italianità”, con lo scopo di utilizzare i comportamen21. Orlić (2008), p. 135. 22. Nassisi (1989), p. 105. 23. Moscarda Oblak (2013); Klinger (2012); Torkar (2007).
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ti di quella comunità come spunto per tentare di orientare a proprio favore le discussioni in corso24. Tale strategia, elaborata come risposta immediata alle partenze di massa, nascondeva però l’avvenuto avvio di interlocuzioni assai più articolate tra le istituzioni di governo circa il destino della comunità italiana in Istria. Le possibili conseguenze dell’esodo, che avevano iniziato a porsi già a seguito delle ultime battute del dopoguerra, non erano infatti sfuggite nella loro portata all’allora ministro degli affari esteri, Alcide De Gasperi, il quale già nel maggio del 1945 inviava a Bonomi una preoccupata corrispondenza nella quale chiariva che «la sottrazione di questa quota di popolazione italiana dalla regione giuliana, sposta in maniera a noi del tutto sfavorevole la porzione tra i due gruppi etnici»25. L’esodo da Pola e le vicende contingenti al Trattato di pace avevano dunque reso ancora più evidente l’impossibilità da parte italiana di rivendicare territori dove la propria presenza risultava essere sempre meno significativa. Per tale ragione il Ministero per gli affari esteri faceva sapere alla Presidenza del consiglio dei ministri nel febbraio del 1947 che le future strategie rivolte alla comunità istriana avrebbero dovuto essere orientate affinché «l’elemento italiano delle zone da cedere alla Jugoslavia non [subisse] ulteriori sostanziali diminuzioni»26. Il gruppo istriano dunque, sia esule che rimasto nella Zona B del TLT si stava configurando come un soggetto importante per le strategie romane sul territorio. La maggiore stabilità del quadro diplomatico aveva inoltre consentito al governo di avviare una programmazione a lungo termine in merito alla questione dei confini, che si sarebbe concretizzata con l’istituzione dell’UZC, il quale da subito si ripropose di mettere ordine nel quadro degli enti locali presenti a Trieste. Essi infatti avevano posto numerosi problemi fino a quel momento, dato che muovendosi in ordine sparso senza una forte leadership politica di riferimento, avevano finito per rendere frammentata e inefficace l’azione della campagna a favore dell’italianità della Venezia Giulia. In questo modo avevano contravvenuto ai desideri della Presidenza che avrebbe voluto interfacciarsi a Trieste con un unico e compatto «Fronte italiano» in grado di contrastare le organizzate attività delle formazioni politiche filo-jugoslave presenti in tutto il territorio giuliano e di recepire le sue direttive. Il primo punto messo a segno dall’UZC fu l’istituzione nel marzo del 1947 della Giunta d’Intesa dei partiti politici italiani, concepito come organo di collegamento tra l’Ufficio e Trieste27. La Giunta prendeva il posto del CLN della Venezia Giulia, il quale, nato nel contesto dell’occupazione nazista, aveva costituito il punto di riferimento delle forze antifasciste non comuniste presenti in città nelle concitate 24. Pupo (2005), pp. 103-120; Ferrari (1980), pp. 145-214; Spazzali (2010a); Spazzali (2010b). 25. Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Presidenza del Consiglio dei ministri (d’ora in poi PCM), Gabinetto, 1944-1947, b. 3721, Riservatissima personale di De Gasperi a Bonomi del 28.05.45. 26. Archivio del Ministero degli affari esteri (d’ora in poi AMAE), Affari Politici 19501957, b. 507, telespresso, n. 06104 del 28.02.1947. 27. Millo (2011), pp. 58-59.
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fasi che avevano visto passare Trieste dai “40 giorni” di occupazione jugoslava all’istituzione del Governo Militare Alleato28. Il CLNI si era già più volte dimostrato poco incline all’approvazione della politica romana che, tramite il Ministero dell’interno, aveva tra l’estate del 1945 fino al Trattato di pace finanziato numerose formazioni paramilitari di estrema destra per smuovere il quadro politico giuliano29. Per tale ragione finì per essere considerato da Roma un ostacolo ai propri piani30, la quale promosse dunque la sua rimozione e l’inserimento nella Giunta d’Intesa del Fronte dell’Uomo qualunque, che aveva raggruppato attorno a sé molti esponenti di ispirazione nazionalista, alcuni dei quali in collegamento con lo squadrismo di matrice fascista che aveva agitato la città fino a quel momento e che tanto consenso trovava nella fascia media e medio-alta della società triestina31. Questa nuova entità ebbe il compito sostanziale di coordinare le attività della realtà politica locale, e di garantire maggiore controllo e sistematicità nella distribuzione dei finanziamenti governativi a quei soggetti ritenuti utili ai fini della causa italiana, andando a rendere maggiormente razionale il sistema di erogazione dei fondi fin a quel momento vigente a Trieste e in Istria. Fino all’Istituzione dell’UZC infatti, facendo soprattutto leva sulla collaborazione di uomini legati al Ministero dell’interno e al CLN della Venezia Giulia, erano stati numerosi i soggetti che avevano goduto di stanziamenti provenienti dalle casse dello Stato. Consistente il contributo ricevuto per esempio dalla stampa e dalle formazioni politiche locali, con riferimento particolare all’associazionismo giovanile, alle parrocchie e a gruppi di ispirazione paramilitare intenzionati, sia a Trieste che in Istria, a mobilitarsi di fronte a una qualsiasi prova di forza da parte jugoslava32. 28. Per approfondimenti sulle vicende del CLN a Trieste cfr. Novak (1973); Spazzali (1992); Paladin (2004); Fonda Savio (2006); Troha (2008); Pupo (2010b). 29. Millo (2011), p. 41; Cattaruzza (2007), p. 298; Fasanella, Zornetta (2008), p. 74. 30. Sulla situazione politica triestina e sul ruolo del CLN della Venezia Giulia si soffermano a lungo le relazioni degli agenti legati al Ministero dell’Interno. Vedere ACS, PCM, Gabinetto, 1944-1946, b. 4561, Comunicazione dell’Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore dell’Esercito alla PCM; ACS, MI, Gabinetto, 1944-1946, b. 256, Comunicazione della Direzione Generale per la Pubblica Sicurezza a PCM dell’08.04.1946; ACS, MI, DGPS, 1944-1946, b. 59, Comunicazione della Direzione Generale della Pubblica Sicurezza alla PCM dell’08.03.1946; ACS, MI, DGPS, 1944-1946, b. 59, Comunicazione della Polizia della Venezia Giulia al Capo della Polizia del 04.03.1946; ACS, MI, Gabinetto, 1944-1946, b. 256, Comunicazione della Direzione Generale per la Pubblica Sicurezza alla PCM dell’05.07.1946; AMAE, Affari politici 1946, Jugoslavia, b. 5, Comunicazione della Direzione Generale per la Pubblica Sicurezza alla PCM dell’06.06.1946; AMAE, Affari politici 1946, Jugoslavia, b. 5, Comunicazione della Direzione Generale per la Pubblica Sicurezza alla PCM dell’05.12.1946. Sulle posizioni politiche del CLN vedere ACS, PCM, Gabinetto, 1944-1946, b. 3721, comunicato del CLN della Venezia Giulia alla PCM. 31. Millo (2011), pp. 58-59. 32. Sui finanziamenti ai giornali locali cfr. D’Amelio (2010), pp. 65-78. Sui finanziamenti ad associazioni, partiti e formazioni paramilitari vedere ACS, PCM, Gabinetto, 19441946, b. 3721, Relazione Callipari inviata al Ministero dell’interno il 22.03.1946. Sulle formazioni paramilitari in Istria cfr. Dato (2014), pp. 89, 193-238.
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A ricevere fondi sarebbero stati anche numerosi gruppi di resistenza politica e armata nati in Istria dall’esperienza dell’antifascismo italiano e tra questi soprattutto il Gruppo esuli istriani (GEI). L’associazione era stata fondata a Trieste nel luglio del 1945 per iniziativa di un gruppo di esponenti azionisti e del Partito repubblicano33 che, fedeli alla propria ispirazione patriottica e mazziniana, dopo aver imbracciato le armi contro l’occupazione nazista in Istria e aver faticosamente resistito ai tentativi di assorbimento da parte della resistenza jugoslava comunista, si erano ritrovati a non condividere i progetti annessionisti di Tito sulla Venezia Giulia34. Rivendicando l’italianità dell’intera regione istriana, essi finirono per considerare quella jugoslava come una seconda occupazione, decidendo di continuare la lotta di liberazione contro i poteri popolari consolidatisi nell’estate del 194535. Per tali ragioni questi nuclei, rientrati subito nella clandestinità, avevano finito per diventare oggetto di dure repressioni da parte dell’OZNA, motivo che costrinse alcuni dei loro esponenti a lasciare la propria terra d’origine per trovare rifugio a Trieste. Obiettivo del GEI, i cui principali animatori furono Ruggero Rovatti e Rinaldo Fragiacomo, era quello di dare vita alle prime iniziative assistenziali a favore di coloro che stavano scegliendo la via dell’esodo verso Trieste e di coordinare dal capoluogo giuliano i CLN rimasti attivi in Istria. Stando ai verbali costitutivi dell’associazione, che chiarì la propria organizzazione interna e le proprie modalità operative nel gennaio del 194636, il GEI si configurava innanzitutto come una struttura clandestina, con l’intento di agire in incognito non solo in Istria ma anche a Trieste. Nel darsi chiari obiettivi di natura politica mirati al sostegno della causa italiana in Istria, il GEI rilevava poi da subito la necessità di agire in collegamento con il governo italiano, il cui ruolo andava letto secondo una duplice prospettiva: Roma rappresentava l’orbita all’interno della quale gravitare al fine di dare pregnanza alla propria attività, ma era a sua volta un centro da dover rendere edotto delle effettive condizioni del territorio e della comunità italiana alle prese con i poteri popolari, con l’obiettivo di provocarne un intervento politico volto a migliorarle. Da qui dunque l’incarico dato a tutti i CLN clandestini di redigere materiale informativo da inviare al governo con lo scopo di sensibilizzarlo e di spronarlo ad una maggiore decisione nell’azione politica internazionale. Non mancava poi la dimensione dell’assistenza destinata agli esuli istriani, che assieme all’attività politica svolta in Istria, a Trieste e a Roma, faceva del GEI un ente non solo votato alla causa della difesa della Venezia Giulia ma anche pronto a candidarsi come rappresentante della popolazione istriana, esule e non. 33. Cella (1990), p. 67. 34. Sulla Resistenza italiana in Istria vedere Colummi (1980); De Simone, (1971); Drndić (1981); Fogar (1968); Martini (1976); Martini (1983); Pacor (1962), pp. 37-53; Sema (1971); Scotti, Giuricin (1975); Nemec (1998), pp. 137-157. 35. Bonifacio (2006), pp. 70-73. 36. Archivio dell’Istituto regionale di cultura istriano-fiumano-dalmata (d’ora in poi IRCI), Fondo CLNI, verbale dell’11.01.1946.
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Sempre i verbali del GEI rivelano inoltre che l’associazione in Istria fino al 1948 tentò, anche se senza arrivare a risultati particolarmente significativi, di sostenere forme di resistenza di tipo militare, che si sarebbero tradotte nella fondazione ad Isola d’Istria del Gruppo di resistenza istriana, impegnato nel portare avanti sia attività di tipo propagandistico, come volantinaggi e piccole manifestazioni contro le autorità popolari, che di sabotaggio agli impianti di comunicazione, secondo le modalità operative tipiche dei CLN nati durante l’occupazione nazista37. Nel marzo del 1946 l’associazione però, nonostante gli sforzi sostenuti, non era riuscita a costruirsi significativi agganci politici, soprattutto con gli ambienti governativi, e per tale ragione decise di rifondarsi dandosi il nome di Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria (CLNI). L’obiettivo del nuovo soggetto associativo era quella di portare avanti l’attività già precedentemente svolta dal GEI, avviando però rapporti diretti con Roma, la cui collaborazione risultava essere fondamentale per dare maggiore respiro alle proprie proposte38. Grazie all’intermediazione di alcuni politici istriani legati soprattutto alla DC, nella seconda metà del mese di maggio il CLNI riuscì ad inviare a Roma la sua prima delegazione, incassando per la prima volta un riscontro positivo da parte del Governo: il viaggio a Roma è stato utilissimo e converrà con una certa frequenza ripeterlo, in quanto gli approcci con il governo sono indispensabili. […] Si è appreso dalla viva voce del Presidente del Consiglio on. De Gasperi qual’è [sic] la situazione nel complesso internazionale ed in particolare del nostro spinoso problema. […] Abbiamo esposto ciò che volevamo. Siamo stati ascoltati con molta attenzione e comprensione. […] De Gasperi ha chiesto delucidazioni su alcuni punti ed ha voluto anche che gli fosse fatta pervenire una relazione completa della situazione etnica in relazione alla popolazione di lingua slava. […] De Gasperi ha accettato di menzionare sempre nei suoi discorsi che il problema di Trieste era lo stesso dell’Istria italiana ed ha avuto parole di incoraggiamento per il lavoro futuro, per il quale ha assicurato tutto l’appoggio morale e materiale del Governo italiano39.
In quel periodo a segnalare la crescente attività del gruppo fu anche un informatore del Ministero dell’interno attivo nella Venezia Giulia, che in un appunto per la Presidenza del consiglio segnalava tra gli enti da tenere in considerazione per futuri finanziamenti anche il GEI-CLNI: «il Comitato Esuli Istriani, […] pur svolgendo attualmente solo opera assistenziale, potrebbe divenire un efficiente strumento di propaganda e resistenza»40.
37. Archivio IRCI, Fondo CLNI, verbale del 15.01.1946. Cfr. inoltre Parma (2005), pp. 174-176. 38. Archivio IRCI, Fondo CLNI, verbale del 14.05.1946. 39. IRCI, Fondo CLNI, verbale del 30.05.1946. 40. ACS, PCM, Gabinetto, 1944-1946, b. 3721, Pro memoria per il Presidente del Consiglio.
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Grazie al costante impegno investito nella ricerca di interlocutori governativi, il CLNI acquisì un ruolo sempre più esclusivo nella gestione dei rapporti con la comunità istriana. Riuscì infatti non solo ad inserire uno dei suoi uomini nella delegazione giuliana che si era recata a Parigi per le trattative di pace41, ma anche ad ottenere il privilegio di una voce di stanziamento apposita per le proprie attività, concessagli dal Governo dietro suggerimento del Ministero dell’interno, il quale riteneva che «l’utilissima opera del citato C.L.N. dell’Istria, svolta a favore degli istriani rifugiati a Trieste e dei C.L.N. clandestini nella zona B»42 non dovesse venire meno. L’istituzione dell’UZC finì per influire anche sulla storia dell’ente istriano, dal momento che, a seguito della razionalizzazione dei rapporti avviati in ambito locale, il CLNI divenne il principale interlocutore governativo per quanto riguardava la comunità di cui si sentiva rappresentante. A influenzare questo processo di selezione sarebbe stata innanzitutto la definitiva consacrazione da parte governativa del tema istriano come argomento attraverso il quale fare pressione sulla comunità internazionale in senso filo-italiano e la scelta di fare della comunità italiana in Istria non solo un soggetto politico la cui presenza andava mantenuta nella Zona B del TLT ma anche uno strumento di lotta contro i poteri popolari. Abbandonate le premesse dell’attività paramilitare condotta in Istria all’indomani della guerra, il governo mirava infatti tra la fine del 1947 e l’inizio del 1948 a fare della comunità italiana uno strumento di lotta politica, invitandola a partecipare a forma di resistenza passiva contro i poteri popolari, disertando le manifestazioni organizzate dalle associazioni comuniste e portando avanti in tutti i modi possibili la propaganda a favore della causa italiana43. Per stabilire un contatto continuato con questi gruppi venne scelto come intermediario delle istituzioni il CLNI, l’ente che poteva vantare collegamenti più immediati con quel gruppo e che durante i suoi contatti con De Gasperi aveva manifestato piena adesione ai progetti governativi. A garantire un futuro ai rapporti tra l’ente istriano e il governo era stato soprattutto il Ministero degli affari esteri Sforza, il quale durante un colloquio con Fragiacomo, presidente del CLNI, dichiarò che «la riorganizzazione dell’Ufficio Venezia Giulia a Roma gli dava la piena garanzia che in brevissimo tempo si sarebbe cominciato a fare molto di più che per il passato, anche e soprattutto per la Zona B del T.L.T.»44. A costituire i principali interlocutori del CLNI sarebbero stati l’UZC e la Rappresentanza Italiana a Trieste, ossia la delegazione ufficiale del Ministero 41. Cella (1990), pp. 92-102. 42. ACS, PCM, Gabinetto, 1944-1946, b. 3721, Appunto per la Presidenza del Consiglio. 43. Sulla linea politica del governo in merito questione istriana vedere Archivio IRCI, fondo CLNI, verbale del 04.01.1948, AGPCM, UZC, Sez. II – Fvg, Trieste, b. 55 vol. I, f. Assistenza straordinaria alla Zona B (Cln), Relazione del Clni inviata ad Andreotti il 20.11.1952, AGPCM, UZC, Sez. II – Trieste, b. 69, Rappresentanza italiana di Trieste a UZC, 4 maggio 1950 e 09.06.1950. 44. Archivio IRCI, Fondo CLNI, verbale del 04.01.1948.
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degli esteri presso il Governo Militare Alleato, i quali impostarono i propri rapporti con l’ente incaricandolo di alcuni compiti specifici. Il primo atteneva strettamente all’aspetto informativo: attraverso le sue fonti in Istria il CLNI avrebbe dovuto inviare il maggior numero di notizie concernenti le condizioni in cui versava la Zona B dal punto di vista politico, sociale, scolastico ed economico, realizzando dossier che sarebbero poi stati spediti alle principali cancellerie delle potenze occidentali. Scopo di tali materiali non era tanto quello di fornire notizie attendibili sui fatti intercorsi nella zona, quanto individuare nei dati raccolti il maggior numero di spunti polemici da utilizzare contro l’amministrazione jugoslava, con l’obiettivo di dimostrare il clima oppressivo al quale la comunità istriana era sottoposta. Da qui l’importanza di fomentare attività di resistenza da parte di quella stessa comunità: in primo luogo garantire la costante organizzazione di manifestazioni politiche contro la VUJA significava poter presentare in sede internazionale come argomento a favore della cessione all’Italia della Zona B la mancata volontà della popolazione locale di aderire ai progetti jugoslavi. In secondo luogo le immancabili ritorsioni repressive da parte dei poteri popolari contro tali attività potevano tornare utili come elementi probanti della mancanza di democrazia nella gestione della Zona45. Per orientare i comportamenti della comunità italiana in Istria il CLNI aveva però bisogno di stabilire un contatto continuato con i suoi componenti, individuando strumenti in grado di fidelizzarli ad una causa tutta politica. Per tale ragione lo strumento sul quale scelse di fare leva fin dall’inizio della sua esperienza sarebbe stato il canale assistenziale che, tramite l’erogazione di assegni mensili, consentiva la creazione di una rete stabile, saldata dall’interesse che i singoli beneficiati avevano nel continuare la loro relazione con il CLNI e che avrebbe avuto modo di svilupparsi con maggior vigore grazie ai finanziamenti che l’UZC avrebbe deciso di erogare all’ente. La natura ramificata dell’intervento operato dal CLNI nell’ambito dei suoi rapporti con il gruppo istriano lo aveva costretto a dotarsi di una struttura particolarmente articolata, che si dipanava tra Trieste e l’Istria46. Per quanto riguardava la Zona B, l’organizzazione era basata sui CLN clandestini. Presenti nei principali centri urbani dell’Istria, essi svolgevano la funzione di coordinare l’attività delle comunità di riferimento, facendo soprattutto leva sulla presenza dei fiduciari. Essi rappresentavano figure alle quali spettava il compito di tradurre nei fatti le direttive politiche ricevute, per tramite del CLNI, da Roma, facendosi soprattutto carico del compito di individuare 45. Tali dinamiche sono leggibili all’interno dei materiali inviati all’ONU dal CLNI. Vedere Archivio IRCI, Fondo CLNI, verbali del 04.01.1948; AMAE, Affari Politici, 19461950, b. 134, telespressi n. 5/3111 del 18.12.1947, n. 27/21 del 02.01.1948, n. 1.272/69 del 14.01.1948, b. 171, Comunicazione del MAE alla Rappresentanza italiana di Trieste del 28.08.1948, b. 214, carteggio Guidotti-Castellani; Archivio IRCI, Fondo CLNI, Seg. 47, Relazione Fragiacomo del 15.09.1948. 46. Sulle sue complesse ramificazioni vedere AGPCM, Uzc, Sez. II – FVG, Trieste, b. 48 vol. II, «Relazione delle spese preventive dal CLN dell’Istria per l’assistenza in Zona B e per il funzionamento degli uffici e servizi nell’anno finanziario 49-50».
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sul territorio le famiglie che avrebbero potuto beneficiare dei sussidi pagati dall’UZC. La selezione del personale affiliato al CLN clandestino e delle famiglie che potevano ricevere le quote in denaro destinate all’assistenza avveniva secondo rigidi parametri politici, indicati da Fragiacomo in una circolare indirizzata ai fiduciari: 1) quale atteggiamento politico ha serbato nei confronti dell’Italia e della Nazione Italiana durante la nostra sovranità in Istria; 2) quale contegno ha tenuto durante l’occupazione jugoslava e susseguente annessione di detto ex nostro territorio nazionale; 3) se conosca perfettamente la lingua italiana e abbia usato la stessa in tutti i suoi rapporti familiari, privati ed in pubblico47.
La selezione politica dei sussidiati rappresentava un aspetto cruciale dell’intera organizzazione, chiamata a stringere attorno a sé persone che potessero essere considerate affidabili in quanto fedeli alla causa portata avanti dal governo italiano e, dunque, disposte a farsi carico delle conseguenze derivanti dalla concretizzazione delle strategie di resistenza elaborate da Roma. Il fiduciario era poi anche incaricato di coordinare le attività di raccolta informazioni nelle sue aree di pertinenza, redigendo una serie di relazioni da inviare con cadenza almeno settimanale al CLNI, compilate facendo riferimento alle notizie fornite dalla rete degli stessi assistiti48. Essi, in cambio del sussidio ricevuto, erano chiamati a segnalare ogni fatto saliente accaduto nella zona, finendo per essere coinvolti nella rete informativa che stava alla base dei dossier che Roma avrebbe poi inviato a tutte le cancellerie occidentali con lo scopo di sensibilizzarle alla questione istriana49. Di fondamentale importanza però anche le attività gestite dal CLNI a Trieste. In qualità di unico ente autorizzato dal governo a concedere la certificazione di profugo necessaria agli esuli per avere accesso ai servizi assistenziali, esso rappresentava per gli istriani che lasciavano la Zona B e i territori già annessi alla Jugoslavia un autentico punto di riferimento50. Tale esclusività permetteva all’ente di gestire le prime fasi dell’accoglienza, inserendo gli esuli nell’ambito della propria struttura associativa, la quale avrebbe curato, attraverso attività politiche e ricreative, l’inserimento del gruppo esule all’interno del tessuto triestino. Il fatto che nella concessione delle certificazioni venissero applicati gli stessi criteri di discriminazione politica adottati nella selezione degli assistiti in Zona B permetteva inoltre all’ente di fare della comunità esu47. Archivio IRCI, Fondo CLNI, Seg. 22, Comunicato del CLNI ai fiduciari di Montona. 48. Archivio di Stato di Trieste (d’ora in poi AST), fondo “Luigi Drioli”, Comunicazione della Segreteria del CLNI ai fiduciari in Zona B. 49. Per una raccolta di questi materiali, cfr. AGPCM, UZC, Sez. II – Fvg, Trieste, bb. 43-46, 48, 55 vol. I, 65, 69, 85. All’interno delle buste indicate possono essere reperite decine di relazioni inviate dal CLNI negli anni compresi tra il 1946 e il 1954, molte delle quali inoltrate soprattutto al Foreign Office e a Washington. 50. AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, Trieste, b. 69, Pro memoria del CLNI al Presidente del Consiglio del 10.03.1947.
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le una componente essenziale dell’attività politica e di propaganda svolta in città a favore del “Fronte italiano”. Ciò la rese dunque fortemente ricettiva alle sollecitazioni elettorali di cui era oggetto soprattutto da parte della DC, che aveva costruito proprio sulla causa nazionale italiana e, in buona parte, sul consenso degli istriani, le proprie fortune51. La doppia rete di rapporti costruiti tra Trieste la Zona B dal CLNI era dunque funzionale ad una manipolazione ad ampio spettro della questione istriana, la quale venne utilizzata dalla propaganda governativa con lo scopo di alterare sia gli equilibri triestini che quelli più delicati dell’intero TLT. L’obiettivo era quello di chiamarla alla mobilitazione in corrispondenza di alcuni momenti politici considerati cruciali, come per esempio nell’aprile del 1950 quando nella Zona B vennero indette elezioni da parte dei poteri popolari. La comunità italiana venne invitata dal governo in quel frangente ad astenersi dalle votazioni, provocando una dura reazione repressiva da parte dei poteri popolari contro gli attivisti del CLNI e di coloro che non si erano recati alle urne, che permise alla Farnesina di ingaggiare un’aspra polemica pubblica e diplomatica tra Italia e Jugoslavia destinata a protrarsi per settimane52. In questo modo la comunità istriana andò ad occupare una posizione di primo piano nell’ambito delle strategie governative per i territori contesi divenendo oggetto anche di una attenzione politica specifica, capace di orientare significativamente soprattutto quel flusso di denaro tra Roma e la Venezia Giulia che si era aperto nei mesi successivi alla fine del conflitto.
Tra Roma e la Zona B: i finanziamenti governativi al CLNI Su una popolazione di nazionalità italiana ancora sul posto, che […] si valuta a poco più di 50.000 abitanti, si assistono attualmente in modo continuativo 1602 famiglie e straordinariamente altre 979. Rapportando le 50.000 persone in famiglie secondo un coefficiente di divisibilità di 2.5 (a Trieste ogni famiglia è composta da membri 2.03) si calcolano esistenti circa 20.000 famiglie. Di esse risultano pertanto assistite continuativamente l’8.01% e saltuariamente il 4.89%53.
Questo stralcio di relazione inviata dal CLNI all’UZC nell’estate del 1950 fotografava l’ampiezza della rete costruita dall’ente istriano nella Zona B. Tale
51. Sui rapporti tra istriani, politica cittadina e DC cfr. Volk (2008), pp. 313-327; Pupo (2007); Pupo (2010b), Pupo (2003); D’Amelio (2014). 52. Sulla questione cfr. Colummi (1980), pp. 355-380; Vedere inoltre AMAE, Affari politici 1946-1950, b. 241, telespresso n. 846/225 del 23.02.1950, relazione del 18.04.1950 e trasmissione Radio Capodistria 17.04.1950; AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, b. 44 vol. II, «La politica Jugoslava nella Zona B del Territorio Libero di Trieste. Le elezioni del 16 aprile 1950»; AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, Trieste, b. 48 vol. II, telespresso n. 07268/117 del 05.04.1950 e telespresso n. 09348 del 08.05.1950; 53. AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, Trieste, b. 48 vol. II, Relazione spese consuntive del CLN dell’Istria.
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struttura, destinata negli anni successivi a toccare le tremila famiglie assistite54, rappresentava una mobilitazione piuttosto significativa in termini numerici, tenendo conto che si trattava del frutto di un’azione svolta del tutto clandestinamente, ed era il risultato degli sforzi convergenti investiti nell’ambito di quel contesto sia dal CLNI che dalle sfere governative, le quali avevano deciso di sostenerlo dal punto di vista politico e finanziario. Come già accennato il CLNI iniziò a incamerare risorse pubbliche a partire dalla seconda metà del 1946 e all’inizio del 1947 Fragicomo faceva il seguente punto della situazione di cassa in una sua relazione: erano 32.842.762 lire i soldi incassati nel corso del 1946, di cui 10.815.310 spesi per attività assistenziali a Trieste e 13.843.035 fatti confluire nella Zona B55. La relazione si rivela in tutto il suo interesse soprattutto per un aspetto: con le trattative di pace ancora in corso, congrue somme di denaro provenienti da Roma avevano attraversato la Linea Morgan per scopi di assistenza e propaganda che avevano come destinatario la comunità italiana presente in Istria. Dunque le strategie consolidatesi a seguito del Trattato di Parigi rappresentavano il frutto di una riflessione di lungo corso da parte governativa, che sarebbe andata incontro ad un sostanziale rafforzamento nei primi anni cinquanta. A dimostrarlo è una corrispondenza del febbraio del 1951 di Giulio Andreotti, allora sottosegretario alla Presidenza con compiti di supervisione sul funzionamento dell’Ufficio, all’onorevole Ceccherini del PSDI: […] per l’esercizio in corso [1950/1951], l’assegnazione a favore del C.L.N. è stata portata a L. 5.500.000 mensili […] È poi da rilevare che i contributi disposti per l’attività assistenziale nella zona B del T.L.T. non si esauriscono con la suddetta sovvenzione al C.L.N. ma comprendono anche le seguenti erogazioni: L. 2.000.000 mensili al Vescovo di Trieste L. 2.000.000 mensili all’E.I.S.E.56 per il personale insegnante delle scuole italiane in zona B. In totale, quindi, i fondi corrisposti per tale finalità sommano a L. 114.458.000, cifra che equivale a circa un sesto dello stanziamento di 750 milioni concesso sul capitolo di bilancio amministrato dall’Ufficio Zone di Confine. Per le varie esigenze della città di Trieste è stata disposta l’assegnazione di circa 238 milioni di lire, di cui una parte già erogata ed altre impegnate. Il complesso delle assegnazioni per Trieste e per la Zona B raggiunge così la ragguardevole cifra di circa 352 milioni: il che lascia modesto margine per la difesa dell’italianità nelle altre zone di confine dove le iniziative da sorreggere ed i problemi da risolvere nel nostro interesse esigerebbero somme considerevoli, mentre è stato possibile corrispondere soltanto modestissimi contributi perché la maggior parte dei fondi è stata assorbita da Trieste57.
54. AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, Trieste, b. 55 vol. I, Comunicazione dell’UZC al Direttore Superiore dell’Amministrazione italiana di Trieste del 12.11.52. 55. Archivio IRCI, Fondo CLNI, verbale del 19.01.1947. 56. Ente Incremento Studi Educativi che, in collaborazione con il CLNI, assisteva gli insegnanti italiani della Zona B. 57. AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, b. 48 vol. II.
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I dati riportati da Andreotti in qualche modo definiscono chiaramente l’ordine di grandezza che riguardò i trattamenti economici riservati agli operatori giuliani, distinguendoli notevolmente dalla situazione che stava caratterizzando invece l’altra frontiera interessata dall’operato dell’UZC, ossia quella altoatesina, che ricevette una quantità di denaro decisamente più esigua nell’ambito di tutti i progetti governativi e territoriali che la coinvolsero. L’ago della bilancia dunque pendeva, fortemente, a favore di Trieste e della Zona B, verso le quali il flusso di capitali fu ingente e continuativo per molti anni. Appurata l’entità delle risorse faticosamente investite dal governo in un frangente economico, vale la pena ricordarlo, non facile in virtù delle difficoltà enormi a cui andò incontro il sistema paese nel secondo dopoguerra, occorre chiarire quanta parte ebbe il CLNI nel gravare sui bilanci della campagna per l’italianità della Venezia Giulia. I documenti custoditi nel fondo dell’UZC permettono di ricostruire anno per anno l’entità delle erogazioni ricevute, riassunte nella tabella riportata di seguito58: Esercizio finanziario
Importi
1948/1949
51.500.000
1949/1950
54.000.000
1950/1951
73.000.000
1951/1952
68.400.000
1952/1953
78.400.000
1953/1954
66.250.000
Le cifre si fanno significative se lette in chiave comparativa. Viene soprattutto in aiuto un documento riassuntivo dell’UZC59 che faceva il punto delle quote versate alle associazioni triestine nel corso dell’esercizio finanziario 1950/1951. Se per quell’anno il CLNI aveva incassato la cifra di 73 milioni di Lire, non altrettanto privilegiate potevano dichiararsi altre prestigiose e radicate realtà locali come la storica Lega Nazionale e il clero locale (sia triestino che istriano), alle quali vennero assegnati rispettivamente 26 e 24 milioni di Lire a testa. Inoltre le associazioni sportive e la stampa locale avevano visto l’assegnazione rispettiva di 36 e 24 milioni, nonostante la loro consolidata capacità di coinvolgere in attività di taglio propagandistico e patriottico ampie frange della popolazione triestina. La comparazione permette dunque di stabilire che il CLNI era, tra tutti i soggetti impiegati in prima linea nella battaglia per l’italianità del territorio, l’ente più finanziato di Trieste60, rappresentando 58. Dati tratti dalla documentazione contabile reperibile all’interno di UZC, Sez. II, bb. 48 vol. II, 55 vol. I, 65 vol. I e 70. 59. AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, Trieste, b. 48 vol. II, «Elenco delle sovvenzioni previste da erogare a Trieste nel 1950/51» del 24.07.1950. 60. A individuarne il primato è stato anche Pupo (2010a), p. 58.
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una delle voci più onerose dei capitoli di spesa previsti dall’UZC. La lettura di questo dato consente quindi di stabilire con chiarezza il grado di priorità assegnato nelle strategie della Presidenza alla questione istriana e alla Zona B, la quale mantenne, nell’economia delle strategie governative per l’intera Venezia Giulia, un ruolo di non secondaria importanza, come dimostrato dalle cifre riguardanti gli stanziamenti degli anni successivi. Tirando le somme dei dati a disposizione, il CLNI ricevette complessivamente tra il 1946 e il 1954 la somma di 610 milioni di lire, divenendo il collettore di un travaso di capitali che non ebbe eguali in termini di continuità e sostanza in tutta la Venezia Giulia. Nonostante infatti la consistente quantità di risorse che l’UZC fece affluire in quei territori fino al 1954, in generale la logica di distribuzione adottata prevedeva l’erogazione di contributi ridotti ad una vasta platea di enti. Il CLNI dunque rappresentò un’anomalia nell’ambito di questa strategia, concentrando nelle proprie casse un contributo molto più alto rispetto alla media degli altri soggetti presenti in ambito giuliano, aspetto che permette dunque di posizionare la questione istriana tra quelle più presenti all’attenzione del governo. Ma quanta parte di questi capitali raggiunse la Zona B e la selezionata comunità italiana che si era stretta operativamente attorno al CLNI e quali criteri adottò l’ente nell’investirli con lo scopo di perseguire le precise finalità politiche di cui era investito? Innanzitutto la strategia seguita a livello locale dai fiduciari clandestini era in linea di massima quella di suddividere le risorse a disposizione in modo da ottenere un numero molto alto di sussidi di modesta entità, compresi per lo più tra le 1.000 e le 5.000 Lire. L’obiettivo era infatti quello di supportare economicamente il maggior numero di famiglie possibile, riducendo ad una percentuale ridotta i nuclei che godevano di finanziamenti mensili più consistenti, che venivano individuati soprattutto tra i congiunti degli attivisti condannati a pene detentive, tra coloro che vivevano particolari situazioni di indigenza e tra i fiduciari che si erano maggiormente esposti sul territorio contro i poteri popolari61. In linea di massima dunque il principio adottato dal CLNI era quello di dare pochi soldi a molte famiglie, coerentemente con la necessità di creare una rete diffusa e numericamente determinante. Ne è una riprova il fatto che in corrispondenza del progressivo aumento dei fondi ricevuti nel corso degli anni, il CLNI non scelse di incrementare l’entità dei sussidi, ma di ampliare il raggio degli assistiti. Al di là della filigrana tutta politica che reggeva il senso di questa strategia assistenziale, vale la pena di spendere però qualche ragionamento al fine di attribuire un valore concreto al denaro distribuito dal CLNI, cercando di capire quanto effettivamente esso fu in grado di influire sul bilancio delle famiglie beneficiarie. Per tentare di abbozzare degli ordini di grandezza che aiutino a dare dei riferimenti efficaci al fine di comprendere la corposità effettiva di tali 61. Per i sussidi destinati alle famiglie della Zona B vedere Archivio IRCI, Fondo CLNI, ricevute fuori busta dei CLN clandestini di Pirano, Buie, Verteneglio e Grisignana.
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sussidi, potrebbe essere utile il ricorso a delle comparazioni con i livelli di retribuzione minima della classe impiegatizia in Italia in vigore nell’arco di tempo di nostro interesse. Nel 1948 un impiegato di 1ª categoria percepiva mensilmente 31.500 lire, uno di 2ª 21.850 lire e uno di 3ª una cifra compresa tra le 10.200 e le 13.750 lire al mese62. Nel corso del 1950 i minimi sarebbero stati modificati in sede di trattative sindacali, venendo aumentati rispettivamente a 41.000 lire per un impiegato di 1ª categoria, a 27.050 lire per uno di 2ª e venendo portati per quelli di 3ª a un livello tra le 11.300 e le 16.150 lire63. Dal momento che il CLNI aveva come principale obiettivo quello di venire in aiuto delle fasce di popolazione più in difficoltà, il dato forse più indicativo può essere dedotto dalla situazione retributiva degli impiegati collocati nella categoria più bassa. Di fatto un sussidio medio del CLNI, rapportato alla paga minima di un impiegato di 3ª categoria, rappresentava un’integrazione significativa, soprattutto in riferimento alla sua continuità, garantita generalmente nel corso di tutto l’anno. Anche qualora infatti una famiglia avesse ricevuto solamente 1.000 lire mensili, la somma dei sussidi a fine anno avrebbe apportato al bilancio domestico circa una mensilità in più rispetto a quanto previsto dalla retribuzione ordinaria. Prendendo poi in considerazione i sussidi più consistenti, come quelli destinati alle famiglie dei detenuti, che potevano arrivare fino alle 10.000 lire, la cifra si faceva molto significativa, perché arrivava praticamente a sostituire un regolare stipendio. Il rapporto stabilito con le retribuzioni italiane non ci mette però ancora nelle condizioni di capire fino in fondo l’importanza di tali sussidi, dal momento che non tiene conto del quadro economico e sociale della Zona B, il quale costituiva un caso peculiare, discontinuo non solo rispetto ai sistemi vigenti in Italia e in Jugoslavia, ma anche a quello della Zona A. La carenza di dati statistici controllabili rende assai difficile qualsiasi operazione di quantificazione e raffronto, ma i lavori di Cristiana Colummi e Gianna Nassisi64 consentono di individuare alcuni strumenti di orientamento. Già a partire dal 1946 l’intera area istriana era stata interessata da radicali riforme dell’intero sistema economico, con lo scopo di avviare una transizione che portasse le imprese private sotto controllo statale, attraverso lo sviluppo delle cooperative. Tale sistema mostrò però da subito alcune criticità, dal momento che la tendenza generale delle cooperative fu quella di acquistare dai contadini prodotti agricoli a importi bassissimi per poi rivenderli con maggiorazioni che potevano superare anche il 100%, provocando un’impennata dei prezzi relativi ai beni di prima 62. Il riferimento è alla categoria degli uomini al di sopra dei 21 anni inseriti nella 1ª zona geografica retributiva, ossia quella più alta delle 4 utilizzate a partire dal 1946 per costruire le tabelle di retribuzione. 63. Archivio CNEL, «Accordo per la rivalutazione delle retribuzioni degli operai, degli appartenenti alle categorie speciali e degli impiegati». Il testo, siglato l’8 dicembre 1950, prevedeva la modifica delle tabelle retributive stabilite dall’accordo interconfederale del 14 aprile 1948. 64. Nassisi (1980); Colummi (1980).
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necessità. Per esempio un kg di patate acquistato a 13 lire poteva essere rivenduto dalle cooperative a 25 o 35 lire, innescando un meccanismo che non solo rendeva difficilmente reperibili le merci, ma che aveva provocato l’immediata e significativa erosione del potere d’acquisto della popolazione locale. Dopo il Trattato di pace del febbraio del 1947 le cose non sarebbero migliorate, e i poteri popolari tentarono di porre rimedio alla situazione con una serie di correttivi. Tra il 1951 e il 1952, complice la mancata istituzione del TLT e il permanere delle amministrazioni fiduciarie provvisorie nelle due zone, venne avviata una strategia mirata alla liberalizzazione dei prezzi dei prodotti agricoli. L’esperimento però andò incontro ad un sostanziale fallimento dal momento che la loro scarsa presenza sul mercato aveva determinato un crollo dell’offerta, alla quale seguì una rapidissima impennata del costo della vita da 1 a 5,37 punti verificatasi nell’agosto del 1951. Inoltre il processo di liberalizzazione dell’economia della Zona B era stato notevolmente frenato dalle persistenze del regime statale e vincolistico creato precedentemente attraverso le cooperative, le quali continuarono ad essere le reali calmieratrici del mercato, influenzando la politica del contenimento dei prezzi. Le principali cooperative infatti continuarono a perseguire la logica del sottopagare i produttori al fine di ampliare i propri margini di guadagno. Per esempio nel maggio del 1951 le cooperative che gestivano il mercato ittico avevano imposto un calmiere che avrebbe garantito ai pescatori un guadagno di circa 3.000 dinari al mese, del tutto insufficienti al sostentamento di un nucleo familiare. Al problema dei prezzi dei beni di prima necessità si sommava poi l’ingente pressione fiscale: nel 1949 i contadini della Zona B versarono 16 milioni di dinari all’erario, saliti a 41 nel corso del 1953. Il quadro delineato, sebbene fondato su dati minimi e di certo insufficienti a restituire fedelmente la panoramica di una realtà senza dubbio più complessa, contribuisce a definire il contesto che accolse i sussidi del CLNI, versati alle famiglie sempre in lire65, dal momento che rispetto al dinaro, moneta vigente nella Zona B, rappresentavano una valuta pregiata. Purtroppo i dati a disposizione non consentono di stabilire l’effettivo potere d’acquisto della lira all’interno della Zona a controllo jugoslavo: disponendo infatti al momento per quei territori esclusivamente di informazioni relative ai prezzi al consumo del comparto agricolo, bisogna fare i conti con le forti oscillazioni che essi subirono fino al 1950 soprattutto nel contesto italiano, le quali rendono di difficile comparazione i dati provenienti da contesti economici scossi in modo differente dalla difficile definizione del quadro internazionale e delle politiche in-
65. Non è stato possibile risalire all’effettivo tasso di cambio stabilito tra lira e dinaro. Ancora nel 1951 infatti non erano stati presi accordi tra l’Italia e la Jugoslavia in questo senso. Il governo italiano aveva però stabilito in via provvisoria che per il trasferimento dei fondi liquidi degli optanti sarebbero state corrisposte 3 lire per ogni dinaro depositato presso la Banca nazionale jugoslava al nome dell’Ufficio italiano dei cambi, nel quale erano state accreditate le somme versate dagli optanti per l’Italia. Vedere Atti Parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 28.11.51.
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terne66. In ogni caso, le difficoltà economiche attraversate dalla Zona, il fatto che la lira rappresentasse una moneta di maggior valore, la forte pressione fiscale e in generale le critiche condizioni di retribuzione minima della popolazione rurale, lasciano pensare che gli aiuti distribuiti dal CLNI costituissero per molti una voce importante del bilancio familiare. Non è ovviamente possibile stabilire se il denaro ricevuto fosse da solo sufficiente a convincere gli italiani a prolungare la loro permanenza nella Zona, ma certamente il sussidio rappresentava uno strumento efficace nello stabilire un contatto continuato tra il CLNI e la comunità italiana, che trovò in quelle risorse un aiuto per affrontare le difficili contingenze e motivazioni valide per stringersi attorno agli attivisti dei CLN clandestini, condividendone gli obiettivi politici e rispondendo alle loro sollecitazioni. Sulla base dei documenti contabili del CLNI67 è possibile anche ricostruire quante risorse tra quelle ricevute sarebbero confluite direttamente nella zona sotto amministrazione jugoslava: stando alle somme effettivamente rendicontate tra il luglio del 1946 e il luglio del 1953 il CLNI avrebbe distribuito alla comunità italiana una somma pari a 438.973.251 lire. Dal momento che questa ingente mole di capitali sarebbe stata assorbita da un territorio piuttosto circoscritto e da una comunità fortemente selezionata sulla base di precise connotazioni politiche, sorgono spontanei alcuni interrogativi relativi alle conseguenze che essa ebbe nel delineare la fisionomia economica della comunità istriana, sia esule che “rimasta”, interrogativi che però al momento, in mancanza di un corpus documentario in grado di fornire dati certi, sono destinati a rimanere senza risposte soddisfacenti. Al di là dei dubbi e delle suggestioni che tali cifre portano con sé, esse sono in grado di stabilire con certezza i contorni dell’attenzione particolare espressa dal governo nei confronti di quella comunità italiana divisa territorialmente e politicamente dai dibattiti internazionali in corso. Tale attenzione, però, stando per lo meno alle corrispondenze che il CLNI mandò a Roma nel corso di tutta la sua attività, non venne né compresa da Fragiacomo e dal direttivo da lui guidato né tantomeno trasmessa in termini propagandistici alla comunità istriana trasferitasi a Trieste e a coloro che tenevano le posizioni per
66. Un esempio concreto viene proprio dalla comparazione del prezzo al consumo delle patate. Se nella Zona B esse arrivarono a costare prima del 1950 fino a 35 lire al kg, in Italia il loro prezzo passò dalle 32 lire al kg del 1945 alle 49 lire del 1947, crollando nuovamente a 32 lire nel 1949 (ISTAT, 2011). 67. Per una raccolta di questi materiali vedere Archivio IRCI, Fondo CLNI, verbale del 11.06.1950; IRCI, Fondo CLNI, Amm. 3, Relazione finanziaria del I semestre 1948; Archivio IRCI, Amm. 4, «Contabilità fondi erogati in Zona B» del 07.01.1950 e «Rendiconti erogazioni» del 26.11.1949; AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, Trieste, b. 48 vol. II, Comunicazione del CLNI a Andreotti del 03.11.1950 e «Relazione sull’incarico avuto di esaminare le spese sostenute dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria» a firma del ragionier Rognoni del 14.08.1950; AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, b. 69, Comunicazione del CLNI all’UZC del 28.06.1949, Comunicazione del CLNI all’UZC del 28.06.1949, e Appunto del 13.07.1953.
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conto del governo nella Zona B. Continue infatti sarebbero state le lamentele indirizzate dall’ente istriano all’UZC e alla Presidenza, accusati di non aver saputo fare finanziariamente fronte alle sue numerose esigenze. La querelle tra Roma e il CLNI era iniziata nel 1949 quando Andreotti, allora sottosegretario alla Presidenza del consiglio e supervisore politico dell’UZC, aveva disposto dei controlli contabili all’ente per verificare l’effettiva destinazione dei fondi erogati dall’Ufficio, rilevando la necessità di ridurre soprattutto le spese sostenute dal CLNI per la propria attività di rappresentanza68. Tagliente la risposta di Fragiacomo che, in una lunga lettera polemica, espose il proprio punto di vista, ponendo la necessità di incrementare i fondi fino ad allora ricevuti, giustificandola con la drammaticità della questione istriana, posta come unico spunto utile di discussione: È doveroso comunque da parte nostra sottoporvi consuntivamente lo specchio riepilogativo dei titoli dettagliati di impiego dei fondi; da questi infatti, risulterà con tutta evidenza che le nostre spese di organizzazione assommano solo ad un 8% circa del totale stanziamento. Tutto il resto è impiegato per l’assistenza in Zona B, onde aiutare quei nostri fratelli a non abbandonare per fame o miseria la regione e per dar modo agli optanti del territorio ceduto di resistere sino a quando potranno esodare. […] Così esposta in una particolareggiata relazione l’entità dell’attuale destinazione, ci lusinghiamo anche a seguito dell’esplicita dichiarazione di pieno consenso alla nostra azione da parte di S.E. De Gasperi in occasione del colloquio avuto col sottoscritto a Trieste il 12 giugno, che, pur di fronte alle ridotte disponibilità di bilancio, codesto Ufficio per le Zone di Confine vorrà benevolmente acconsentire a non imporre ulteriori sacrifici agli istriani già tanto duramente provati69.
Nonostante il costante aumento dei fondi di cui poteva beneficiare, il CLNI continuò anche nel corso dell’anno successivo la propria campagna rivendicativa a spese del governo, leggendo nelle ristrettezze economiche di cui si sentiva oggetto la scarsa attenzione da parte romana nei confronti della causa istriana: L’esodo in atto da tutte le località italiane della Zona B, ma principalmente da Capodistria, è sensibilmente aumentato, sino a toccare limiti preoccupanti. Non occorre essere profeti per ritenere che entro settembre, se l’esodo non sarà arrestato, le proporzioni tra italiani e slavi in zona B saranno capovolte a tutto nostro sfavore. La ragione di questo improvviso accentuarsi dell’esodo che compromette definitivamente le sorti della zona B è la conseguenza della politica della VUJA che è riuscita dopo 5 anni di pressioni di ogni sorta a fiaccare i nervi e intaccare la fiducia delle popolazioni, ma è anche la conseguenza della politica parolaia e scarsamente efficace del Governo italiano70. 68. AGPCM, UZC, Sez. II, FVG – Trieste, b. 69, Lettera di Andreotti al CLNI del 21.06.1949. 69. AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, Trieste, b. 69, Comunicazione del CLNI all’UZC del 28.06.1949. 70. AMAE, Affari politici 1950-1957, Trieste, b. 552, Comunicazione del CLNI alla Rappresentanza italiana a Trieste del 22.06.1950.
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Tali parole, se messe vicine al dato del successivo aumento a 73 milioni di Lire dei finanziamenti annuali destinati al CLNI per l’esercizio 1950/1951, finiscono per farsi espressione di un atteggiamento tipico degli enti locali giuliani, ancorati ad una lettura particolare, interessata e assolutamente periferica delle questioni poste dal confine orientale italiano. Ad allontanare dunque l’ente istriano da Roma, nonostante l’assoluta aderenza dell’ente a posizioni filogovernative, era l’impossibilità di far dialogare dimensioni che si muovevano secondo prospettive interpretative diverse e, per certi versi, inconciliabili. Il CLNI si era infatti dato come mission politica quella di rendere fattiva la restituzione integrale dell’Istria all’Italia, obiettivo il cui raggiungimento rendeva secondaria ogni riflessione sul reale status dei rapporti a livello internazionale che, dopo la rottura tra Tito e Stalin avvenuta nel 194871, avevano visto la Jugoslavia assumere una posizione privilegiata nell’ambito dei contatti con le potenze occidentali e reso sempre più difficile per l’Italia la possibilità di incassare una soluzione che prevedesse l’annessione dell’intero TLT72. La sostanziale incomprensione dei fatti internazionali a cui l’ente era in parte obbligato dal senso stesso della propria azione politica nei confronti degli istriani, avrebbe dunque incrinato, senza tuttavia arrivare ad un punto definitivo di rottura, i rapporti tra il CLNI e Roma. L’evoluzione successiva del quadro politico, sfociata negli accordi di Londra del 1954, costrinse il CLNI ad operare un progressivo ripiegamento delle proprie pretese, interpretato come una premessa dell’oramai inevitabile epilogo verso il quale stava andando l’intera questione istriana. Gli schematismi propagandistici ai quali il CLNI si piegò nel corso di tutta la sua attività e che gli impedirono di comprendere la posizione di privilegio da esso ricoperta assieme alla comunità istriana nelle prospettive governative presentarono un conto piuttosto salato soprattutto all’indomani del Memorandum, quando il gruppo istriano si ritrovò alle prese con un esito internazionale profondamente deludente.
La comunità istriana dopo il Memorandum di Londra e la fine del CLNI Il 1954 aveva segnato il completo riposizionamento dei rapporti tra Roma e Trieste e rimesso in discussione il ruolo di quegli enti locali e di quei soggetti politici che fino ad allora erano stati mobilitati attorno alla causa italiana. La cessione della Zona B aveva infatti cambiato radicalmente le agende politiche dei gruppi triestini, obbligati a fare i conti con una situazione che li aveva costretti a costruire nuovi approcci nei confronti di quello che era stato per loro negli anni precedenti un tema fondamentale, ossia la restituzione dell’Istria all’Italia. Altro elemento di fondamentale impatto nelle dinamiche tra Roma e Trieste era stata poi la soppressione dell’UZC ufficializzata il 20 luglio 1954, 71. Sulla questione cfr. Scotti (1980); Pirjevec (1985); Banac (1988); Gibianskij (2002), pp. 45-59. 72. Sul quadro diplomatico dopo il 1948 cfr. De Leonardis (1992), pp. 120-135.
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alla quale era seguito il trasferimento dei suoi affari al Gabinetto della Presidenza del consiglio dei ministri e, in parte, all’Ufficio Regioni, sancendo la fine definitiva di una lunga fase che aveva visto le frontiere al centro di una gestione particolare da parte del governo. A cambiare era stato anche l’assetto istituzionale di Trieste. Il 26 ottobre 1954 il generale Edmondo De Renzi aveva preso in consegna dagli Alleati l’amministrazione della Zona A e tre giorni dopo Giovanni Palamara, già prefetto di Gorizia, venne nominato Commissario generale del Governo per il Territorio di Trieste. Era quello l’inizio di un passaggio finalizzato alla progressiva integrazione di Trieste alla realtà amministrativa della Repubblica, che nel 1956 portò al ripristino dell’ordinamento provinciale, e, nell’anno seguente, all’elezione per la nuova provincia di tre deputati al Parlamento. Il CLNI rappresentava forse uno degli enti più pesantemente colpiti dal corso degli eventi: nonostante la capacità dimostrata nel saper gestire la comunità istriana secondo le direttive romane, l’intera strategia di cui era stato oggetto si era dimostrata un fallimento. Ad inficiare sulle concrete possibilità di successo dei piani elaborati dal governo era stata la mancata comprensione da parte romana degli ordini di grandezza ai quali obbedivano le logiche delle potenze occidentali. Queste infatti, esattamente come nel 1947, avevano seguito in tutte le fasi del dibattito sulla “questione di Trieste” il bisogno di trovare un compromesso sugli equilibri internazionali, senza porre come prioritari i problemi e le aspettative di cui si facevano portatori i differenti gruppi etnici presenti sui territori oggetto di discussione. Era dunque stata un’illusione quella che aveva convinto il governo che i destini delle comunità locali potessero spostare l’ago della bilancia diplomatica. Tale illusione però aveva dato precisi connotati all’identità politica della comunità istriana, esule e non, che si era affidata alle direttive del CLNI e che, oggetto di una mobilitazione propagandistica continua, non era stata messa nelle condizioni di comprendere l’evoluzione di un quadro internazionale che avrebbe portato inevitabilmente alla cessione della Zona B e la cui delusione trovò immediata espressione nell’esodo di massa degli istriani verificatosi alla fine del 195473. Nel tentativo di aiutare la comunità istriana ad affrontare gli esiti del trattato e con lo scopo di avviarla ad un lento processo di normalizzazione che le permettesse una più facile integrazione nel tessuto sociale sia triestino che nazionale, il CLNI tentò di impostare secondo i seguenti punti la propria azione: 1) contribuire al contenimento del fenomeno dell’esodo nei limiti del possibile per evitare la “dalmatizzazione” completa della regione; 2) risollevare il morale dei nostri connazionali facendo loro sentire la presenza dell’Italia e il suo appoggio spirituale e materiale; 3) aiutare economicamente i nuclei familiari più poveri privati, per la partenza dei componenti validi, delle forze morali e materiali necessarie a far fronte ad una pesante congiuntura74. 73. Sull’esodo dalla Zona B cfr. Pupo (2005), pp. 180-186. 74. AGPCM, UZC, Sez. IV, b. 33, Relazione del CLN datata 03.10.1956.
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L’intento manifestato dal CLNI era innanzitutto quello di abbandonare definitivamente ogni impianto organizzativo fondato su attività di natura clandestina nella ex Zona B, ponendo fine al suo programma di lotta politica e dando vita ad un’impostazione di profilo più marcatamente assistenziale e culturale, operazione da incanalare sempre nell’alveo di una condotta marcatamente filogovernativa75. La scelta di sostenere il governo nonostante le accuse di cui era oggetto soprattutto da parte delle forze di opposizione di destra, che esercitavano un forte appeal su parte dell’opinione pubblica giuliana, era legata non solo alla necessità di mantenere una linea coerente con l’azione intrapresa fino a quel momento, ma anche alla consapevolezza dell’ente di non aver grandi margini di sopravvivenza senza agganci governativi in un contesto che vedeva gli istriani fortemente delusi dalle promesse di cui esso stesso si era fatto convinto assertore fino a poche settimane prima del Memorandum di Londra. In generale dunque il CLNI, abbandonati i toni revanscisti che lo avevano connotato in passato, scelse di seguire un percorso funambolico, nel tentativo di trovare un equilibrio tra la necessità di farsi portavoce di una comunità istriana scontenta e arrabbiata, di mantenere inalterata la propria vocazione antifascista in un contesto che stava virando velocemente a favore delle destre più radicali e di garantire una continuità dei rapporti intrattenuti fino ad allora con Roma. Ma a volersi smarcare dai rapporti con CLNI furono sia il governo che la stessa comunità esule. Per quanto riguardava Roma, già a pochi mesi del Memorandum, il Gabinetto della Presidenza del consiglio aveva iniziato a porre questioni serie sulla sua gestione futura: Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria […] espleta funzioni si assistenza in Italia in favore dei profughi istriani nonché dei connazionali residenti tuttora nella zona B del T.L.T. e nei territori annessi alla Jugoslavia a seguito del Trattato di Pace con l’intento di rafforzare la resistenza politica e morale di quest’ultimi costretti a vivere in un ambiente particolarmente difficile ed ostile. La sua opera è stata indubbiamente di un certo rilievo, ma ora con il rimpatrio quasi totalitario dei nostri connazionali in quelle zone, la sua attività per quanto riguarda l’opera di propaganda e di assistenza svolta fuori dal territorio nazionale è venuta a perdere parte della sua importanza. Continua invece l’opera di interessamento e di assistenza espletata a Trieste in favore dei profughi istriani, i quali si sono fermati in gran numero nella città giuliana. Ciò naturalmente non ha facilitato il compito delle autorità per una loro sistemazione lavorativa, tenuto conto del rilevante numero di disoccupati triestini (oltre 16.000). D’altro canto è da rilevare il contributo massiccio dato dai profughi all’affermazione dei partiti democratici nelle ultime triestine, come è apparso dagli esiti che si sono avuti nelle selezioni elettorali in cui erano iscritti esclusivamente o prevalentemente detti profughi76.
75. La linea politica del CLNI è riassunta in una serie di scritti dei suoi principali esponenti riportati in «Trieste. Rivista politica giuliana», Anno I, n. 1, maggio-giugno 1954 e «Trieste. Rivista politica giuliana», Anno II, n. 7, maggio-giugno 1955. 76. AGPCM, UZC, Sez. IV, b. 30, appunto del 08.07.1957.
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L’atteggiamento governativo era legato a calcoli d’interesse precisi: con l’esodo massiccio dalla Zona B provocato dalla notizia del Memorandum era venuta meno non solo la consistenza del gruppo italiano in Istria, ma anche l’esigenza politica di dargli connotazioni identitarie forti e riutilizzabili a fini propagandistici. La comunità italiana rimasta in Istria a quel punto per il governo rappresentava un fronte problematico solo per quanto concerneva la sua sistemazione nell’ambito dell’universo jugoslavo in vista degli accordi previsti dal Memorandum, argomento che risultava avere riflessi considerevoli per le politiche che il governo italiano avrebbe dovuto porre in essere nei confronti degli sloveni presenti a Trieste e nel suo hinterland77. Inoltre il governo, dopo il 1954, con l’apertura del Consolato generale italiano a Capodistria e la sottoscrizione dei vari accordi bilaterali poteva tutelare in via diretta e pienamente legittima i diritti della minoranza italiana, avvalendosi di una presenza istituzionale che rendeva totalmente inutile il ruolo di quei soggetti, quali il CLNI, che, durante gli anni del TLT e degli infuocati scontri frontali tra i due paesi, avevano svolto in via del tutto clandestina il compito di tenere in vita i contatti tra Roma e la comunità italiana della Zona B. Tale situazione metteva dunque il CLNI nella difficile posizione di dover riprogrammare la propria presenza in ambito giuliano, concentrandosi, sulla questione dei profughi che erano arrivati a Trieste, attorno ai quali, però, sin dall’immediato dopoguerra si erano attivati numerosi altri enti ed associazioni che, proprio a seguito del Memorandum, avevano notevolmente accresciuto la propria capacità di influenza sul gruppo esule. Tra queste figuravano soprattutto l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, fondata a Roma nel 1947 e che vantava numerose sezioni in tutte le principali città italiane, e l’Unione degli Istriani, nata nel 1954 a Trieste con l’obiettivo di richiedere la non applicazione del Memorandum. Le due associazioni si erano apertamente schierate contro gli esiti scaturiti dagli accordi di Londra e, approfittando del fatto che essi erano stati presentati all’opinione pubblica italiana come provvisori e passibili di revisioni nonostante la loro portata definitiva, avviarono un’intensa campagna propagandistica tra gli esuli presenti a Trieste e nel resto del territorio nazionale con l’obiettivo di intercettarne delusioni e bisogni. Tale azione si sarebbe inoltre avvalsa dell’appoggio garantito dai circoli eversivi neofascisti e dal MSI, che, a lungo foraggiati dai finanziamenti governativi e fiancheggiati dai servizi segreti italiani, avevano consolidato la propria autonomia, traendo linfa vitale dal malcontento e dalla disillusione che serpeggiava in tutta la città78. Ben presto la loro risoluta azione, capace di penetrare con facilità nel gruppo istriano, finì per abbattersi sul CLNI, accusato di aver tradito la causa istriana, di perseverare nell’appoggio a un governo che aveva ceduto l’Istria allo 77. Sul contegno del governo nei confronti della minoranza italiana vedere AGPCM, UZC, Sez. IV, b. 30, telespresso n. 39/742 del 18.10.1955; AGPCM, UZC, Sez. II – FVG, b. 44 vol. I, telespresso n. 12/760 del 02.05.1959. 78. Sul tema cfr. Tonel (1991), pp. 9-11.
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storico “nemico jugoslavo” e di portare avanti istanze filo-titoiste79. A segnalare al governo la situazione di difficoltà vissuta dall’ente era una lettera di uno dei suoi esponenti inviata al sottosegretario alla Presidenza del consiglio onorevole Russo: Crescente campagna tra i profughi e sulla stampa (Difesa Adriatica) contro il C.L.N. da parte dell’A.N.V.G.D. con evidente sottointeso di parte e l’intento di fare opera di proselitismo fra i profughi per l’estrema destra. Difesa da parte dell’Associazione e dell’Unione degli Istriani degli interessi costituiti, manovre per sostituirsi al C.L.N. sul piano politico ed organizzativo dopo la cessazione della sua attività e per creare piattaforme elettorali […] il tutto non solo in funzione antigovernativa ma antidemocratica. Pressioni in questo senso sulla stampa locale ed a Roma80.
Roma, più volte sollecitata dal CLNI ad intervenire in sua difesa, non prese mai posizione nell’ambito dei dibattiti in corso, abbandonando definitivamente l’ente istriano al suo destino. Le accuse a carico del CLNI, completamente infondate alla luce della sua storia precedente, finirono per attecchire facilmente tra i profughi istriani presenti sul territorio, i quali, arrivati in massa dalla Zona B, coltivavano sentimenti contrastanti, segnati da cariche antagoniste politicamente marcate, che facilitavano notevolmente l’assorbimento di istanze irredentiste e revansciste. Giocando sulla parola d’ordine del “tradimento” e facendo leva sulle difficoltà concrete di gruppi familiari alle prese con i problemi di alloggio e con complessi processi di disgregazione e ricomposizione dei propri nuclei intimi, l’ANVGD mirava dunque ad addossare al CLNI la responsabilità dei problemi da loro affrontati, spezzando definitivamente quei legami di fiducia che l’ente aveva tentato di coltivare nella Zona B con la comunità italiana e con gli esuli presenti a Trieste. Leggendo il percorso affrontato dalle due associazioni nel corso del decennio successivo, con il CLNI costretto a sciogliersi e rifondarsi in una nuova entità associativa e con l’ANVGD invece consolidata nel ruolo di leader nell’associazionismo della realtà esule, si può dire che tale operazione centrò i suoi obiettivi. Le motivazioni del progressivo allontanamento di una parte consistente degli esuli istriani dall’alveo del CLNI erano però numerose e stratificate. Da una parte pesò senza ombra di dubbio l’attenzione maggiore dedicata dagli ambienti governativi all’ANVGD, che, contrariamente al CLNI, godeva di sezioni sparse in tutta Italia e che comprendeva in sé tutte le dimensioni dell’esodo giuliano, dunque non solo quella istriana, candidandosi a divenire un soggetto capace di avviare una capillare gestione del gruppo esule e di mantenere vivi i legami comunitari di partenza anche di fronte alla dispersione su tutto il territorio nazionale dei profughi. Nonostante però l’isolamento a cui venne costretto, il CLNI dovette fare i conti anche con gli errori commessi in passato nella gestione emotiva e pubblica degli istriani a lui affiliati. I 79. Archivio IRCI, Fondo CLNI, Amm. 16. 80. AGPCM, UZC, Sez. IV, b. 19, «Promemoria del C.L.N. dell’Istria presentato all’On. Sottosegretario Russo il giorno 25 gennaio scorso nella sua visita a Trieste».
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costanti contatti con il governo, il profondo legame con De Gasperi e i cospicui finanziamenti ricevuti nel corso di tutta la lunga “questione di Trieste”, espressione dell’investimento notevole in termini di risorse e attenzione da parte del governo italiano nei confronti della questione della Zona B, non furono mai oggetto di comunicazione e scambio di informazioni tra il CLNI e i suoi assistiti, i quali sostanzialmente si trovarono ad ignorare gli sforzi compiuti da Roma al fine di risolvere i loro problemi. Inoltre le uscite talvolta polemiche contro il governo, il malcontento aprioristico spesso manifestato dall’ente per il mancato ottenimento delle condizioni richieste e l’assoluta mancanza di una riflessione strutturata sulle condizioni diplomatiche disagevoli a cui l’Italia era obbligata impedirono agli istriani di prendere consapevolezza del complesso gioco di variabili che gravava sui territori contesi. La propaganda del CLNI dunque, finalizzata a dare agli italiani motivazioni convincenti per mantenere la propria presenza nella Zona B, finì per creare un ventaglio di speranze e di attese che mai, alla luce della realtà dei fatti, avrebbero potuto concretamente realizzarsi e che finirono per andare traumaticamente in frantumi all’indomani del Memorandum. A quel punto la delusione e l’esperienza dell’esodo finirono per far approdare a Trieste gruppi di persone legate da un forte risentimento politico e sociale, al quale la nuova linea moderata e lungimirante del CLNI non era però a quel punto in grado di fornire risposte ritenute sufficienti e adeguate. Rimanendo dunque in parte vittima della sua stessa strategia, il CLNI si ritrovò alle prese con un vocabolario inadatto ad interpretare le istanze degli esuli, i cui disagi finirono per trovare espressione nelle vulgate politiche proposte dall’ANVGD, la quale sottrasse all’ente istriano ogni margine di manovra politica in città. Con la chiusura dell’ente decretata nel 1966, assieme alla storia travagliata di un soggetto politico che aveva svolto un’attività di intermediazione pericolosa e cruciale tra Roma e la sua periferia nordorientale durante gli anni del TLT si spegnava anche la consapevolezza pubblica degli sforzi compiuti dal governo in merito alla questione istriana. La possibilità di avere accesso a incartamenti completamente inediti mette però in luce aspetti di riflessione nuovi, in grado di decostruire quelle vulgate storiche e politiche di taglio nazionalista che ancora oggi gravano sul dibattito inerente la “questione di Trieste”.
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