RIVISTA DI DIRITTO INTERNAZIONALE AnnoSXCVISFasc.S1S-S2013
ISSNS0035-6158
Emanuele SCimiotta
LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA E LE REAZIONI ALLA VIOLAZIONE DI TRATTATI BILATERALI: LA SOSPENSIONE DEL TRATTATO E GLI ALTRI RIMEDI Estratto
MilanoS•SGiuffrèSEditore
LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA E LE REAZIONI ALLA VIOLAZIONE DI TRATTATI BILATERALI: LA SOSPENSIONE DEL TRATTATO E GLI ALTRI RIMEDI
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive: l’oggetto della controversia tra l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e la Grecia devoluta alla Corte. — 2. Le tre difese « addizionali » avanzate dallo Stato convenuto: l’adozione di un comportamento difforme rispetto all’accordo bilaterale tra le parti come reazione a precedenti inadempimenti addebitabili allo Stato attore. — 3. La posizione della Corte secondo cui i regimi normativi di riferimento delle varie argomentazioni difensive sarebbero accomunati da due « minimum conditions ». Critica. — 4. Necessità di distinguere i presupposti applicativi e il contenuto normativo di ciascun regime. — 5. I limiti del ragionamento seguito dalla Corte riguardo alle condizioni sostanziali previste dall’art. 60 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969. L’esigenza di definire la nozione di material breach, ai sensi del par. 3, lett. b). — 6. Segue: ... e riguardo ai requisiti procedurali di cui agli articoli 65-68 della Convenzione di Vienna. Il problema della notifica in base all’art. 65, paragrafi 1 e 5. — 7. Segue: il problema dell’acquiescenza ai sensi dell’art. 45, lett. b). — 8. La nozione di exceptio non adimpleti contractus e i suoi rapporti con la facoltà di sospendere l’applicazione di un accordo bilaterale in conformità all’art. 60 della Convenzione di Vienna. — 9. Segue: i rapporti tra la facoltà di sospensione ex art. 60 e le contromisure aventi ad oggetto obblighi derivanti dal trattato violato. — 10. Segue: il residuo spazio di operatività di queste ultime nell’ordinamento internazionale. — 11. Le relazioni intercorrenti tra i tre regimi normativi. Distinzione in ragione degli effetti giuridici prodotti, dello scopo perseguito dal soggetto reagente, dei caratteri della violazione all’origine della reazione e degli adempimenti preventivi. — 12. Brevi osservazioni conclusive.
1. Il 5 dicembre 2011 la Corte internazionale di giustizia ha risolto, con sentenza, la controversia tra l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (d’ora in avanti, FYROM) e la Grecia nell’affare relativo all’Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995 (1). Particolarmente lacunoso e criticabile appare il ragionamento seguito dalla Corte riguardo alle difese « addizionali » avanzate dallo Stato (1) Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995 (ex Repubblica iugoslava di Macedonia c. Grecia), sentenza del 5 dicembre 2011 (di seguito, Applicazione dell’Accordo provvisorio). Il testo è riprodotto in Rivista, 2012, p. 167 ss. Nelle note che seguono faremo riferimento alle versioni della sentenza e dei pleadings reperibili sul sito della Corte (www.icj-cij.org). Rivista di diritto internazionale - 1/2013
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convenuto per giustificare l’illiceità della condotta di cui era chiamato a rispondere. Questi, in estrema sintesi, i fatti rilevanti. Il 17 novembre 2008 la FYROM è ricorsa alla Corte dell’Aja chiedendole di accertare la violazione, da parte della Grecia, dell’art. 11, par. 1, dell’accordo bilaterale stipulato il 13 settembre 1995 (2) (d’ora in poi, Accordo). In particolare, la Grecia si sarebbe opposta, adducendo la mancanza di una soluzione definitiva all’annosa controversia sul nome ufficiale dello Stato ricorrente (3), alla domanda di ammissione alla NATO presentata da quest’ultimo utilizzando la denominazione provvisoria in uso presso le Nazioni Unite, conformemente all’art. 11, par. 1, dell’Accordo (4). Al vertice della NATO che si svolse a Bucarest dal 2 al 4 aprile 2008 venne esaminata la candidatura della FYROM a divenire membro dell’Organizzazione. Essa non fu invitata a iniziare i colloqui preliminari all’adesione, ai sensi dell’art. 10 del Trattato del Nord Atlantico del 4 aprile 1949 (5). Stando a un comunicato stampa emesso a conclusione del vertice, tali colloqui avrebbero preso il via non appena i due Stati (2) United Nations Treaty Series, vol. 1891, p. 3 ss. (3) Il 17 settembre 1991 la Repubblica socialista di Macedonia dichiarò l’indipendenza dalla Repubblica federale socialista di Iugoslavia e apportò alcune modifiche alla propria carta costituzionale, adottando tra l’altro un nuovo nome: Repubblica di Macedonia. Per ragioni di carattere storico, geografico e culturale, la Grecia contestò fin da subito questa decisione, opponendosi all’ingresso del nuovo Stato nelle organizzazioni internazionali di cui la Grecia era membro e introducendo alcune restrizioni ai loro rapporti commerciali. Nel 1993, dopo che la Grecia aveva criticato la domanda di ammissione proprio a causa del nome indicato nella Costituzione, la Repubblica di Macedonia fu ammessa dall’Assemblea generale a divenire membro delle Nazioni Unite, in conformità all’art. 4 della Carta, con la denominazione provvisoria di ex Repubblica iugoslava di Macedonia (UN Doc. A/RES/47/225 dell’8 aprile 1993), proposta dal Consiglio di sicurezza in attesa della risoluzione della controversia sul nome (UN Doc. S/RES/817 del 7 aprile 1993). Successivamente, la Grecia proseguì la politica di intransigenza rispetto all’ingresso della FYROM nelle organizzazioni internazionali di cui la Grecia era membro, fin quando, il 13 settembre 1995, i due Stati conclusero un accordo allo scopo di normalizzare i loro rapporti, avviare relazioni diplomatiche e impegnarsi a negoziare in buona fede la risoluzione della predetta controversia. La Grecia riconobbe la FYROM, mentre quest’ultima accettò di non utilizzare i simboli della cultura greca e non interpretare determinate norme costituzionali in senso irredentista. In base all’art. 11, poi, la Grecia s’impegnò a non opporsi all’ammissione della FYROM in organizzazioni e istituzioni internazionali multilaterali e regionali di cui fosse membro, sempreché tali enti si rivolgessero ad essa adoperando la designazione provvisoria utilizzata dalle Nazioni Unite. Tuttavia, la controversia relativa al nome ufficiale del Paese sopravvisse alla conclusione dell’accordo. Per alcuni approfondimenti, v. IOANNIDIS, Naming a State - Disputing over Symbols of Statehood at the Example of « Macedonia », Max Planck Yearbook of United Nations Law, 2010, p. 507 ss. (4) Cfr. Application Instituting Proceedings del 17 novembre 2008, par. 6. (5) United Nations Treaty Series, vol. 34, p. 243 ss.
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fossero pervenuti a una soluzione concordata della predetta controversia (6). La decisione fu unanime, dato il carattere consensuale del relativo procedimento e la minaccia della Grecia di porre il proprio veto alla membership della FYROM. In breve, la lite incardinata davanti alla Corte aveva ad oggetto la pretesa violazione dell’art. 11, par. 1, dell’Accordo, che proibisce alla Grecia di opporsi all’ammissione della FYROM alle organizzazioni internazionali di cui sia membro (7). 2. La Grecia ha articolato le sue argomentazioni difensive in un’ampia serie di punti, ciascuno sussidiario rispetto ai precedenti, anche a causa della decisione di riunire l’eccezione di incompetenza alla trattazione delle questioni di merito. Essa anzitutto ha lamentato il difetto di giurisdizione e l’inammissibilità del ricorso. Ha poi affermato l’infondatezza del ricorso, negando di aver disatteso i suoi obblighi ai sensi dell’art. 11, par. 1, dell’Accordo. In via subordinata — vale a dire, in caso di accertamento della violazione imputata — ha sostenuto infine che le sarebbe stato consentito di bloccare l’ingresso della FYROM nella NATO, contrariamente a quanto previsto dall’art. 11, par. 1, avendo agito in risposta a precedenti inadempimenti dell’Accordo ascrivibili alla stessa FYROM. Pertanto, il comportamento all’origine del ricorso presentato alla Corte avrebbe dovuto ritenersi giuridicamente giustificato. Con particolare riferimento a quest’ultimo punto, secondo la Grecia l’illegittimità della propria condotta avrebbe dovuto escludersi giacché l’obiezione all’ammissione della ricorrente alla NATO sarebbe stata formulata in applicazione della dottrina dell’exceptio non adimpleti contractus (d’ora in avanti, exceptio o eccezione di inadempimento); a titolo di contromisura in base al diritto della responsabilità statale per fatto illecito; ovvero a seguito della sospensione parziale dell’Accordo in conseguenza della sua violazione sostanziale, in conformità all’art. 60 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969 (8). Si tratta di tre difese addizionali e alternative, che giustificherebbero il comportamento greco sottoposto alla cogni(6) Bucharest Summit Declaration Issued by the Heads of State and Government Participating in the Meeting of the North Atlantic Council in Bucharest on 3 April 2008, par. 20, reperibile on line, all’indirizzo www.summitbucharest.ro. (7) V., per alcuni svolgimenti, KARAVIAS, TZANAKOPOULOS, Legality of Veto to NATO Accession: Former Yugoslav Republic of Macedonia Sues Greece before the ICJ, ASIL Insights, 29 dicembre 2008 (www.asil.org). (8) United Nations Treaty Series, vol. 1155, p. 331 ss.
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zione della Corte, tutte basate sull’asserita pregressa violazione, da parte della FYROM, di determinate norme dell’Accordo. In merito alla difesa per così dire principale (9), secondo la Corte le prove prodotte dallo Stato attore a supporto dei fatti contestati dimostrerebbero che, per lo Stato convenuto, la soluzione della controversia relativa al nome avrebbe condizionato l’ammissione alla NATO. Considerato che la Grecia si era opposta all’ingresso della FYROM nell’Organizzazione denunciando la sopravvivenza dell’indicata controversia, essa avrebbe trasgredito il divieto stabilito dall’art. 11, par. 1, dell’Accordo. La condotta greca, poi, sempre secondo la Corte, non ricadrebbe nell’eccezione prevista dalla seconda frase dell’art. 11, par. 1, né sarebbe legittimata dall’art. 22, che subordina le situazioni giuridiche prodotte dall’Accordo, compreso il divieto in discorso, ai diritti soggettivi e agli obblighi giuridici di cui i contraenti siano titolari in base a trattati preesistenti rispetto ad esso, tra cui il diritto, spettante alla Grecia per via dell’appartenenza alla NATO, di esprimersi in ordine all’assolvimento dei criteri per l’ammissione da parte degli Stati candidati (10). 3. Quanto invece alle difese addizionali, la Corte ha preso le mosse individuandone in astratto i presupposti (11), rilevando in particolare che lo Stato che le aveva proposte avrebbe indicato « certain minimum conditions that are common to all three arguments ». Si tratta: a) della pretesa violazione di alcune disposizioni dell’Accordo da parte della FYROM, verificatasi prima dell’illecito contestato alla Grecia; b) del collegamento funzionale tra gli inadempimenti imputa(9) Di cui naturalmente i giudici si sono occupati a lungo nella sentenza: Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., paragrafi 62-113. (10) Su questi e altri aspetti della pronuncia, esorbitanti dall’oggetto della nostra analisi, v. CANNONE, La sentenza della Corte internazionale di giustizia nella controversia tra la ex Repubblica Jugoslava di Macedonia e la Grecia: brevi osservazioni, La Comunità int., 2012, p. 331 ss.; EVOLA, La Corte internazionale di giustizia e l’ammissione alle organizzazioni internazionali: la controversia relativa alla Macedonia, Rivista, 2012, p. 829 ss.; MESSINEO, Maps of Ephemeral Empires: The ICJ and the Macedonian Name Dispute, Cambridge Journal of Int. and Comparative Law, 2012, p. 169 ss. Per un approfondimento del problema relativo alla configurazione giuridica, sul piano della responsabilità statale, dell’esercizio del diritto di voto nell’ambito delle organizzazioni internazionali si veda invece PALCHETTI, Sulla responsabilità di uno Stato per il voto espresso in seno ad un’organizzazione internazionale, Rivista, 2012, p. 353 ss. (11) Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., paragrafi 114-165.
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bili alla FYROM e l’opposizione della Grecia all’ammissione della medesima alla NATO in violazione dell’Accordo (12). Essa è poi passata a valutare le prove presentate dalla Grecia a carico della FYROM (13), finendo per riscontrare un solo episodio rilevante: l’uso del simbolo facente parte del patrimonio storico-culturale greco, vietato dall’art. 7, par. 2, che proibisce allo Stato attore di utilizzare in qualunque modo e in qualunque forma l’emblema esposto sulla sua bandiera nazionale prima dell’entrata in vigore dell’Accordo. Tale simbolo era stato dispiegato da un reggimento dell’esercito macedone nel 2004. L’illecito era cessato lo stesso anno, grazie allo scioglimento del reggimento (14). Infine, la Corte è giunta a verificare in concreto l’assolvimento dei presupposti individuati in precedenza. In primo luogo, essa ha escluso la ricorrenza, nel caso di specie, delle condizioni di applicabilità dell’art. 60 della Convenzione di Vienna. In proposito, per « violazione sostanziale » ha inteso unicamente l’ipotesi prevista dalla lett. b) del par. 3 (15), ricordando di aver accertato una sola violazione, singola e isolata, da parte della FYROM, la quale « cannot be regarded as a material breach within the meaning of Article 60 of the 1969 Vienna Convention » (16). Secondo la Corte, poi, la Grecia non aveva dimostrato che il comportamento tenuto nell’aprile 2008 in relazione alla domanda di ammissione della FYROM alla NATO fosse stato assunto in risposta alla violazione dell’art. 7, par. 2, dell’Accordo commessa da quest’ultima quattro anni prima (17). In secondo luogo, la Corte ha negato che l’illiceità dell’inosservanza degli obblighi incombenti sulla Grecia fosse preclusa per effetto dell’exceptio o del regime delle contromisure. Di nuovo, a suo dire, non era stato provato che l’obiezione all’ingresso della FYROM nella NATO, risalente al 2008, fosse stata effettuata in risposta alla violazione dell’art. 7, par. 2, perpetrata nel 2004 (o sulla base della convinzione che l’exceptio escludesse l’illegittimità dell’obiezione) (18), o — date le ragioni dell’obiezione (che la Corte, in una parte precedente della sentenza, aveva ritenuto essere incentrate sull’assenza di una soluzione definitiva della controversia sul nome) (19) — perseguisse lo (12) (13) (14) (15) (16) (17) (18) (19)
Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem,
par. 123. paragrafi 124-160. paragrafi 150-153 e 160. par. 162. par. 163. par. 163. par. 161. paragrafi 72-83.
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scopo di far cessare l’uso illecito da parte della FYROM del simbolo proibito dall’art. 7, par. 2. Tale condotta, infatti, era già terminata quattro anni prima (20). Infine — ha sottolineato la Corte dell’Aja — siccome lo Stato convenuto non ha dimostrato di aver soddisfatto le condizioni cui aveva subordinato l’applicabilità della dottrina dell’exceptio, sarebbe stato « unnecessary for the Court to determine whether that doctrine forms part of contemporary international law » (21). Né, per le stesse ragioni, vi era motivo di valutare le altre argomentazioni formulate dalle parti rispetto al regime cui soggiace l’adozione delle contromisure nel diritto internazionale (22). I giudici si sono limitati in sostanza a constatare l’insussistenza dei presupposti indicati, a loro dire, dallo stesso Stato che aveva presentato le relative difese — vale a dire, la precedente violazione di un obbligo convenzionale della controparte e la consequenzialità della reazione greca — per poi negare l’applicazione delle norme preposte alla disciplina delle medesime. Essi tuttavia si sono disinteressati della natura, del contenuto e dei rapporti intercorrenti tra tali norme nell’ordinamento internazionale. Un simile modus procedendi ha portato la Corte a tralasciare una serie di problemi assai spinosi e rilevanti, che da tempo impegnano la dottrina e in relazione ai quali non si è ancora approdati a soluzioni sufficientemente condivise, motivo per cui il caso in commento avrebbe potuto costituire l’occasione affinché il massimo organo nella comunità internazionale deputato alla risoluzione delle controversie interstatali potesse contribuire a fare chiarezza. Peraltro, alcuni di questi problemi hanno senz’altro un impatto dirimente sull’esito della controversia deferita alla sua cognizione. Senza voler entrare nel dibattito sul ruolo e i compiti del giudice nel processo internazionale, né in quello sull’alternativa tra il c.d. judicial restraint e il c.d. judicial activism, ciò induce a non attribuire un rilievo assorbente alla tendenza della Corte internazionale di giustizia, nella prassi, a evitare di approfondire, da un punto di vista generale, questioni giuridiche controverse, se ritenute non avere alcuna incidenza sulla definizione del caso sottoposto alla sua competenza, poiché essa in principio sarebbe libera di basare la propria decisione sugli elementi che ritenga più funzionali allo scopo (23) e chiamata a rispondere ad (20) Ibidem, par. 164. (21) Ibidem, par. 161. (22) Ibidem, par. 164. (23) Certi prestiti norvegesi (Francia c. Norvegia), sentenza del 6 luglio 1957, I.C.J. Reports 1957, p. 9 ss., p. 25.
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esigenze di economia processuale (24). Simili circostanze, infatti, non ricorrono nel caso in esame (25). In particolare, la Corte ha evitato di chiarire alcune questioni ancora dubbie riguardo al contenuto normativo dell’art. 60 della Convenzione di Vienna e alle sue modalità di funzionamento, nonché al modo di essere e di operare delle contromisure incidenti sugli obblighi prodotti dal trattato violato, e alla sopravvivenza e alla portata, nell’ordinamento internazionale, dell’eccezione di inadempimento in seguito all’entrata in vigore della Convenzione di Vienna, la quale, non stabilendo alcunché in proposito, potrebbe averla assorbita nella facoltà di sospensione ex art. 60. È degno di nota, ai nostri fini, come quest’ultimo punto sia stato messo in luce dai giudici Bennouna e Simma, rispettivamente nella dichiarazione (26) e nell’opinione separata (27) allegate alla sentenza. Tanto meno la Corte ha cercato di ricostruire i rapporti intercorrenti tra i predetti istituti (28). Alcuni di questi problemi, o di loro singoli aspetti, erano già stati affrontati dalla Corte internazionale di giustizia nella sua giurisprudenza precedente, per larghi tratti ignorata dalla sentenza in esame, come proveremo ad evidenziare nel corso del lavoro. Si tratta di aspetti assai delicati e ricchi di implicazioni sul piano più generale delle relazioni tra settori diversi dell’ordinamento internazionale. Secondo una parte della dottrina, infatti, proprio l’art. 60 della Convenzione di Vienna e l’identificazione delle reazioni consentite alla violazione di obblighi pattizi costituirebbero terreno d’elezione delle interazioni tra
(24) Critico nei confronti della tendenza della Corte a evitare di occuparsi, per esigenze di economia processuale, di questioni giuridiche controverse tra le parti e incerte nello stesso ordinamento internazionale, ma logicamente strumentali alla decisione, quando possa dirimere la lite di cui è investita sulla base di circostanze meno dibattute, appare di recente ZARBIYEV, Judicial Activism in International Law - A Conceptual Framework for Analysis, Journal of Int. Dispute Settlement, 2012, p. 247 ss., pp. 257-258 (a cui si rinvia anche per l’analisi di alcuni casi esemplificativi dell’indicata tendenza). Sul ruolo e il significato del principio di economia processuale e l’ampio ricorso che ad esso è stato fatto nella prassi dei tribunali internazionali, compresa quella della Corte internazionale di giustizia, v. PALOMBINO, Judicial Economy and Limitation of the Scope of the Decision in International Adjudication, Leiden Journal of Int. Law, 2010, p. 909 ss. (anche per ulteriori riferimenti bibliografici). (25) Così già FORLATI, Reactions to Non-Performance of Treaties in International Law, Leiden Journal of Int. Law, 2012, p. 759 ss., p. 765. (26) Declaration of Judge Bennouna, paragrafi 4-5, 11. (27) Separate Opinion of Judge Simma, par. 6 ss. (28) Aspetto, questo, enfatizzato anche dal giudice Simma: ibidem, par. 6.
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il diritto dei trattati e il diritto della responsabilità degli Stati per fatti illeciti (29). Non è tutto. Lascia ancora più perplessi il fatto che la maggior parte dei problemi appena accennati aveva radicalmente diviso le parti — a testimonianza, tra l’altro, della loro importanza — le cui posizioni la Corte ha riferito nelle motivazioni della pronuncia, senza poi però tentare di conciliarle o di risolvere le disparità di vedute via via segnalate. Sotto questo profilo essa sembrerebbe avere disatteso uno dei suoi compiti istituzionali (30). Proveremo ad affrontare i problemi in discorso, focalizzando l’attenzione sull’art. 60, sull’exceptio e sul regime delle contromisure nei limiti in cui comportino la sospensione, non anche l’estinzione, di accordi bilaterali, non anche multilaterali (31). Non intendiamo contribuire alla sistematizzazione delle relazioni intercorrenti tra i su indicati settori dell’ordinamento internazionale, ma più semplicemente a metterne in evidenza alcune delle possibili interazioni nell’ipotesi in cui un accordo bilaterale subisca una violazione sostanziale. 4. Innanzitutto, come anticipato, nel caso dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio la Corte internazionale di giustizia non ha individuato né esaminato le condizioni di carattere sostanziale e procedurale (29) V. DUPUY, Droit des traités, codification et responsabilité internationale, Annuaire français de droit int., 1997, p. 7 ss., p. 10; FORLATI, Diritto dei trattati e responsabilità internazionale, Milano, 2005, p. 61. Sulle reciproche interferenze tra il diritto dei trattati e il diritto della responsabilità statale, nella prospettiva al centro della nostra indagine, v., per limitarci all’essenziale, in aggiunta ai lavori appena citati, BOWETT, Treaties and State Responsibility, in Le droit international au service de la paix, de la justice et du développement. Mélanges Michel Virally (a cura di Bardonnet et al.), Paris, 1991, p. 137 ss.; WEIL, Droit des traités et droit de la responsabilité, in El derecho internacional en un mundo en transformación. Liber amicorum en homenaje al Profesor Eduardo Jiménez de Aréchaga (a cura di Rama-Montaldo et al.), Montevideo, 1994, p. 523 ss.; WECKEL, Convergence du droit des traités et du droit de la responsabilité internationale, Revue générale de droit int. public, 1998, p. 647 ss. (30) Il punto è sottolineato anche dal giudice Bennouna: Declaration, cit., par. 1. (31) Com’è ampiamente noto, tutte le cause di estinzione dei trattati previste dalla Convenzione di Vienna possono, benché a volte in presenza di presupposti diversi, operare anche solo come cause di sospensione dell’applicazione dei medesimi. Nell’ipotesi di violazione di un trattato multilaterale — di cui, lo ripetiamo, non ci occuperemo nel corso del lavoro — la sospensione può essere dichiarata talvolta quale unica conseguenza, talaltra in alternativa all’estinzione (art. 60, par. 2). Sono otto le disposizioni della Convenzione di Vienna che prescrivono come e quando uno Stato contraente possa reagire a una violazione sostanziale sospendendo, anche solo in parte, l’applicazione dell’accordo bilaterale. Si tratta degli articoli 42, par. 2, 44, par. 2, 60, 65-68 e 72. Va infine ricordato che, sebbene la sospensione costituisca un rimedio meno radicale dell’estinzione, la Convenzione non distingue il grado di « sostanzialità » della violazione necessario per l’invocazione dell’una piuttosto che dell’altra.
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associate a ciascuna delle difese supplementari esposte dalla Grecia, essendosi limitata a percepire queste ultime come un unicum, sul presupposto che condividerebbero determinate « common minimum conditions ». In proposito i giudici hanno seguito quanto dedotto, a loro modo di vedere, dallo Stato convenuto (32). Tuttavia, non è da escludere che tali condizioni siano diverse le une dalle altre e necessitino di essere identificate e discusse separatamente. Del resto, la Corte sembra aver distorto la tesi della Grecia, su cui a suo dire avrebbe incentrato la sentenza. In effetti, nonostante abbia affermato che le varie difese fossero assimilabili, nel diritto internazionale, in base a un « common element », la Grecia nei suoi atti difensivi aveva individuato tale « element » nella circostanza, assai generica, che esse avessero tutte ad oggetto « lawful responses to unlawful conduct by another State » (33), non anche nei due elementi indicati dai giudici nella pronuncia (34). Inoltre, la Grecia aveva riconosciuto che « the conditions triggering the exception of non-performance are different from [...] the conditions for suspending a treaty or precluding wrongfulness by way of countermeasures » (35). Anche per lo Stato greco, insomma, i presupposti applicativi varierebbero da difesa a difesa; di conseguenza i rispettivi regimi giuridici andrebbero mantenuti distinti. Non si vede come la Corte abbia potuto semplificare tale impostazione, comprimendola al punto da desumere un elemento « common » alle tre difese, che per giunta neppure corrisponde a quello prospettato dallo Stato che le ha invocate. Inoltre, non chiarendo i rapporti intercorrenti tra i regimi che sovraintendono alle predette difese, né i loro limiti, la sentenza in esame lascia al lettore il dubbio che essi, sebbene a torto o a ragione inapplicabili al caso di specie, siano per certi versi fungibili. Occorre allora domandarsi se tali regimi presentino contenuti normativi autonomi e diversificati. In caso di risposta affermativa, andrà poi verificato in quali rapporti versino in presenza della violazione sostanziale di un accordo bilaterale. Anticipando per grandi linee quanto cercheremo di dimostrare nel prosieguo del lavoro, a nostro modo di vedere essi, limitatamente all’ipotesi presa in considerazione, sembrerebbero preservare uno spazio di operatività autonomo e in qualche misura completarsi, soprattutto in ragione degli effetti giuridici (32) par. 123. (33) (34) (35)
Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., Counter-memorial of Greece, p. 164, par. 8.7. Riportati ante, nel passo del testo che fa capo alla nota 12. Counter-memorial, cit., p. 165, par. 8.7.
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prodotti e della finalità perseguita dallo Stato contraente attraverso la reazione. Un’ultima annotazione. Nel corso del procedimento che è sfociato nella sentenza allo studio la Grecia aveva sviluppato, in modo assai denso e articolato, la ricostruzione appena sintetizzata, a testimonianza di come la definizione dei problemi sopra riportati avrebbe potuto incidere sulla risoluzione della controversia di cui la Corte era investita. 5. Ai sensi dell’art. 60, par. 1, della Convenzione di Vienna, qualora uno degli Stati parti di un accordo bilaterale si renda responsabile di una « violazione sostanziale » (material breach) degli obblighi contratti, l’altro può invocare la violazione come motivo di sospensione totale o parziale dell’applicazione del medesimo. La regola incorporata nell’art. 60 corrisponde al diritto internazionale generale, come a più riprese ribadito dalla stessa Corte internazionale di giustizia (36). La questione è tuttavia irrilevante nel caso in esame, dal momento che entrambi gli Stati in lite sono parti della Convenzione di Vienna, la quale si applica ai trattati che, come l’Accordo, sono stati conclusi in seguito alla sua entrata in vigore. In particolare, la Grecia ha fatto leva sull’art. 60 per sostenere che l’Accordo fosse stato sospeso, nella parte contenente l’art. 11, par. 1, prima del vertice di Bucarest dell’aprile 2008 (37). Al centro della previsione normativa sta evidentemente la nozione di « violazione sostanziale », specificata al par. 3 dell’art. 60. La lett. b) la identifica nella « violazione di una disposizione essenziale per il raggiungimento dell’oggetto e dello scopo del trattato ». Nel caso in commento la Corte internazionale di giustizia non ha commisurato la nozione di cui all’art. 60, par. 3, lett. b), al testo dell’Accordo, con ciò distaccandosi da un suo precedente filone giurisprudenziale. Ad esempio, nella sentenza resa nel caso dell’Appello relativo alla competenza del Consiglio dell’ICAO, la Corte aveva ritenuto necessario interpretare i (36) Cfr. Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza del Sud Africa in Namibia (Sudovest africano) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza, parere del 21 giugno 1971, I.C.J. Reports 1971, p. 16 ss., p. 46, par. 94; Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros (Ungheria c. Slovacchia), sentenza del 25 settembre 1997, I.C.J. Reports 1997, p. 7 ss., p. 65, par. 106. (37) Nel Counter-memorial del 19 gennaio 2010 la Grecia aveva precisato di non voler dichiarare sospeso l’Accordo ex art. 60 o invocare le contromisure come circostanza di esclusione dell’illiceità (doc. cit., pp. 163-164, paragrafi 8.2-8.3), nonostante in linea teorica si fosse riconosciuta legittimata ad avvalersene (ibidem, p. 178, par. 8.29). In seguito, nel Rejoinder del 27 ottobre 2010, essa tuttavia si è riservata la facoltà di sospendere l’Accordo in base all’art. 60, date le numerose violazioni sostanziali perpetrate dalla FYROM (Rejoinder of Greece, p. 187, par. 8.3, nota 426).
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trattati asseritamente inadempiuti al fine di verificare se la condotta imputata allo Stato convenuto ricadesse nella fattispecie di cui all’art. 60, par. 3, lett. b) (38). Considerato il dibattito ancora acceso in dottrina, avrebbe meritato di essere chiarito se la predetta nozione sia incentrata esclusivamente sull’importanza della previsione violata o anche sulla gravità del comportamento difforme, allo scopo di assodare se essa possa essere integrata da una violazione secondaria di una disposizione essenziale. L’art. 60, par. 3, lett. b), in effetti, appare piuttosto vago e necessita di essere precisato, nella prassi, dai tribunali chiamati a darvi applicazione. Com’è noto, si tratta di uno dei principali problemi interpretativi sottesi all’art. 60 nel suo insieme. Stando alla lettera dell’art. 60, par. 3, lett. b), qualsivoglia violazione di una disposizione essenziale per il raggiungimento dell’oggetto e dello scopo di un trattato sembrerebbe costituire una violazione sostanziale. Non è da escludere che anche una violazione marginale di una simile disposizione possa ricadere nella portata della previsione (39). In quest’ottica, avrebbe necessitato maggiori riflessioni la conclusione della Corte secondo cui l’uso del simbolo proibito dall’art. 7, par. 2, dell’Accordo da parte della FYROM « cannot be regarded as a material breach », ai sensi dell’art. 60, par. 3, lett. b) (40). Nel testo della sentenza non si rintracciano le ragioni di tale conclusione. In concreto, poi, la decisione se una violazione minore di una disposizione essenziale costituisca o meno un material breach è rimessa (38) Cfr. Appello relativo alla competenza del Consiglio dell’ICAO (India c. Pakistan), sentenza del 18 agosto 1972, I.C.J. Reports 1972, p. 46 ss., p. 67, par. 38. Altri casi analoghi davanti alla Corte internazionale di giustizia sono riportati da GOMAA, Suspension or Termination of Treaties on Grounds of Breach, The Hague, 1996, pp. 152-155. (39) Così SIMMA, Reflections on Article 60 of the Vienna Convention on the Law of Treaties and Its Background in General International Law, Österreichische Zeitschrift für öffentliches Recht, 1970, p. 5 ss., p. 61; GOMAA, Suspension, cit., pp. 32-34, 47, 121; SIMMA, TAMS, Article 60, in Les Conventions de Vienne sur le droit des traites. Commentaire article par article (a cura di Corten e Klein), Bruxelles, 2006, p. 2131 ss., p. 2142 ss.; VILLIGER, Commentary on the 1969 Vienna Convention on the Law of Treaties, Leiden, 2009, p. 743; TANZI, Introduzione al diritto internazionale contemporaneo3, Padova, 2010, p. 153. V. inoltre PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione e sospensione dei trattati per inadempimento, Milano, 1984, p. 116 ss. (anche per un’analisi dei lavori preparatori dell’art. 60, par. 3, diretti a escludere l’elemento della gravità della violazione). Altri autori, al contrario, ritengono che i due elementi debbano coesistere e che, di conseguenza, rilevino solo le violazioni di particolare gravità: KIRGIS, Some Lingering Questions about Article 60 of the Vienna Convention on the Law of Treaties, Cornell Int. Law Journal, 1989, p. 549 ss., pp. 551 ss., 555; FORLATI, Diritto, cit., p. 72 ss. (40) Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., p. 46, par. 163.
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alla valutazione delle parti contraenti. La norma in esame solleva infatti anche il problema di determinare il significato del concetto di « disposizione essenziale ». In proposito, alcuni autori registrano un « notevole margine di apprezzamento soggettivo » (41). Altri osservano che per « disposizione essenziale » dovrebbe intendersi una previsione normativa alla radice del trattato, la cui inosservanza priverebbe i contraenti di ogni interesse all’ulteriore esecuzione del medesimo (42). Se ne ricava un’accezione di segno decisamente soggettivo. Deve trattarsi insomma di norme importanti nell’economia complessiva del trattato, secondo la percezione che ne hanno gli Stati contraenti. Nel commentare il progetto di articolo poi confluito nell’attuale art. 60, la Commissione del diritto internazionale ha sottolineato che la nozione di « disposizioni essenziali » non è circoscrivibile a quelle che toccano direttamente « the central purposes of the treaty », giacché « other provisions considered by a party to be essential to the effective execution of the treaty may have been very material in inducing it to enter into the treaty at all, even although these provisions may be of an ancillary character » (43). Proprio in questa prospettiva la Commissione ha inteso estendere la portata dell’art. 60, quando ha provveduto a sostituire la locuzione « fundamental breach », comparsa nel progetto (41) STROZZI, Il diritto dei trattati, Torino, 1999, p. 112. V. inoltre REUTER, Introduction au droit des traités3, Paris, 1995, p. 173; DUPUY, Droit, cit., p. 26; FORLATI, Diritto, cit., pp. 73-74; VILLIGER, Commentary, cit., p. 743; BARIATTI, L’accordo nel sistema delle fonti e il diritto dei trattati, in BARIATTI, CARBONE et al., Istituzioni di diritto internazionale4, Torino, 2011, p. 87 ss., p. 121. (42) Secondo CAPOTORTI, L’extinction et la suspension des traités, Recueil des cours, vol. 134 (1971-III), p. 417 ss., p. 551, è da ritenersi essenziale la clausola senza la quale una delle funzioni o delle finalità oggettive cui tende il trattato risulti irrealizzabile. Così anche GOMAA, Suspension, cit., p. 31. Per oggetto e scopo si intendono evidentemente le ragioni per cui un trattato è stato concluso, gli obiettivi finali attesi dalla sua esecuzione: v. Report of the International Law Commission on the Work of Its Eighteenth Session, Yearbook of the Int. Law Commission, 1966, vol. II, p. 172 ss., p. 278, par. 9. Si tratta, come si vede, di valutazioni sostanzialmente soggettive. D’altronde, l’introduzione del criterio dell’oggetto e dello scopo del trattato nella lett. b) del par. 3 dell’art. 60 è in sé espressione del ruolo che si è voluto attribuire ai contraenti nella determinazione della violazione sostanziale di un trattato. Un cenno in proposito, nei lavori preparatori della Convenzione di Vienna, si trova nel Second Report on the Law of Treaties del relatore Waldock, ivi, 1963, vol. II, p. 36 ss., p. 76, par. 12. (43) Report of the International Law Commission on the Work of Its Eighteenth Session, cit., p. 255, par. 9. Il problema semmai è che né l’art. 60 né il commentario al relativo progetto chiariscono il significato di « ancillary provisions ». A tal proposito, alcuni autori guardano alle c.d. clausole compromissorie: SIMMA, Reflections, cit., p. 62. L’esempio è tratto dal Second Report on the Law of Treaties del rapporteur Waldock, cit., p. 75, par. 11.
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presentato dal rapporteur Gerald Fitzmaurice (44), con la locuzione « material breach », proposta dal successivo rapporteur, Humphrey Waldock (45). Nella medesima direzione depone poi il fatto, pure segnalato in dottrina (46), che permangono dei « margini di incertezza » quanto all’individuazione delle violazioni contrarie all’oggetto e allo scopo di un trattato, tanto che esse vanno riscontrate caso per caso, in base alle circostanze concrete volta a volta rilevanti. Del resto, anche l’accertamento di violazioni non qualificate risente di un tasso di discrezionalità piuttosto ampio. Al riguardo, è significativo che il trattato al centro della nostra indagine non designi alcuna delle sue disposizioni come essenziale, contrariamente a una prassi largamente seguita. Alla luce di quanto precede, a nostro avviso la Corte avrebbe dovuto verificare se l’unico inadempimento dell’Accordo addebitato alla FYROM (l’episodio del 2004 in contrasto con l’art. 7, par. 2) avesse colpito una disposizione ritenuta essenziale dalle parti. Ora, mentre la FYROM ha negato che i fatti attribuitile costituissero altrettanti inadempimenti dei suoi obblighi convenzionali, men che mai violazioni sostanziali (47), la Grecia naturalmente ha sostenuto l’esatto contrario, anche con specifico riguardo alla lamentata violazione dell’art. 7, par. 2 (48). Pertanto, avrebbe dovuto riscuotere maggiore attenzione la tesi difensiva secondo cui l’uso improprio dei simboli appartenenti al patrimonio storico e culturale greco costituiva una violazione sostanziale dell’Accordo (49), poiché comprometteva il processo di stabilizzazione dei rapporti tra i due Paesi. Quest’ultimo può infatti annoverarsi tra gli scopi perseguiti dall’Accordo. Sia infine consentita un’ultima considerazione, sempre in ordine ai presupposti materiali dell’art. 60, par. 1. La Corte ha evitato di domandarsi se l’esercizio della facoltà accordata da tale previsione (44) V. i progetti degli articoli 18, 19 e 20 contenuti nel Second Report on the Law of Treaties, Yearbook of the Int. Law Commission, 1957, vol. II, p. 16 ss., pp. 30-32 (per il testo), pp. 52-56 (per i rispettivi commenti). La categoria in discorso è specificata all’art. 19, par. 2 (il cui commento si può leggere a p. 53, par. 116). (45) Cfr. Second Report on the Law of Treaties, cit., pp. 75-76, paragrafi 11-12. (46) V. FORLATI, Diritto, cit., p. 73. (47) Cfr. Memorial of FYROM del 20 luglio 2009, p. 106 ss., par. 5.55 ss.; Reply of FYROM del 9 giugno 2010, p. 165 ss., par. 5.84 ss. (con specifico riguardo all’uso del simbolo vietato, v. p. 176, par. 5.95). (48) Cfr. Counter-memorial, cit., pp. 174-179, paragrafi 8.27, spec. lettere f) e h), 8.29, 8.31-8.32, pp. 191-193, paragrafi 8.52-8.57; Rejoinder, cit., pp. 177-185, paragrafi 7.71-7.82, spec. 7.78 e 7.81. (49) Cfr. Counter-memorial, cit., p. 191, par. 8.52: « [t]his provision [l’art. 7, par. 2, dell’Accordo] was particularly important for Greece ».
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normativa sia subordinato all’osservanza di requisiti supplementari rispetto a quelli espressamente previsti. In proposito, è stato rilevato come determinate restrizioni discendano al contempo da altre norme della Convenzione di Vienna e dal diritto internazionale generale (50). Si allude, in particolare, alla perdita della facoltà di avvalersi dell’art. 60, par. 1, per avere lo Stato reagente contribuito alla (o addirittura provocato la) violazione, circostanza questa di cui la Corte si era occupata nella nota sentenza relativa al Progetto Gabčíkovo-Nagymaros (51); al principio della proporzionalità nelle sue varie declinazioni (quantitativa, secondo cui l’intensità della reazione non deve essere sproporzionata rispetto all’intensità della violazione (52); qualitativa, secondo cui il soggetto reagente deve rivolgere la misura che intende adottare verso gli obblighi pregiudicati dalla violazione originaria (53)); ma soprattutto al fatto che la disciplina di cui al par. 1 dell’art. 60 non opera allorquando l’accordo in causa rechi una propria regolamentazione in tema di violazioni, così come statuito dall’art. 60, par. 4. A nostro modo di vedere, andava allora preliminarmente verificato cosa prescrivesse l’Accordo al riguardo (54). In proposito va ricordato che, (50) V. SIMMA, TAMS, Article 60, cit., p. 2167 ss. (51) Cfr. Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., p. 67, par. 110. Diversamente dall’art. 60, altre disposizioni della Convenzione di Vienna in materia di sospensione disciplinano simili ipotesi. Ad esempio, l’art. 61, sull’impossibilità sopravvenuta (al par. 2), e l’art. 62, sul mutamento fondamentale delle circostanze (al par. 2, lett. b)). (52) Per alcuni autori, date le limitazioni imposte dall’art. 60, tale criterio deve ritenersi in esso incorporato (GOMAA, Suspension, cit., p. 120; FORLATI, Diritto, cit., pp. 103-104, secondo cui la gravità del presupposto delle facoltà accordate dall’art. 60 renderebbe di per sé proporzionata anche la denuncia dell’intero trattato, sicché l’esercizio delle medesime non andrebbe di volta in volta giustificato alla luce del suddetto criterio). Per altri, invece, considerato che la proporzionalità costituisce un principio generale delle reazioni alla violazione del diritto internazionale e che una violazione sostanziale può consistere nell’inadempimento marginale di una disposizione essenziale di un trattato, tale principio dovrebbe essere applicato anche alle misure prese in base all’art. 60. Ciò richiederebbe alla parte lesa di astenersi dal sospendere totalmente un trattato in risposta a una violazione minoris generis (SICILIANOS, The Relationship between Reprisals and Denunciation or Suspension of a Treaty, European Journal of Int. Law, 1993, p. 341 ss., p. 358; SIMMA, TAMS, Article 60, cit., p. 2170). Il problema se il principio di proporzionalità quantitativa sia o meno normativamente incorporato nell’art. 60 non è stato del tutto risolto nella prassi. Anche sotto questo profilo, l’opinione della Corte, qualora questa avesse avvertito l’esigenza di individuare le condizioni riconnesse a ciascuna delle difese addizionali promosse dalla Grecia, avrebbe senz’altro contribuito a fare chiarezza. (53) Il testo dell’art. 60, par. 1, in realtà, non introduce una simile restrizione e sembra lasciare gli Stati contraenti liberi di selezionare la disposizione o le disposizioni dell’accordo da sospendere. (54) In tal modo, del resto, la Corte aveva proceduto in passato: cfr. Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., pp. 62-63, par. 100.
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secondo la FYROM, la Grecia, per far valere le pretese violazioni dell’Accordo, avrebbe dovuto dare esecuzione alla clausola compromissoria di cui all’art. 21, ricorrendo ai mezzi di risoluzione delle controversie sull’interpretazione e l’applicazione dell’Accordo ivi indicati, anziché a misure unilaterali (55). Ora, però, benché l’art. 60, par. 4, della Convenzione di Vienna lasci impregiudicate le disposizioni pattizie eventualmente operanti in caso di violazione, viene da chiedersi che rilievo e quale grado di attuazione possa avere in casu il suddetto art. 21 — attributivo della giurisdizione alla Corte dell’Aja — se poi quest’ultima neppure prova a dirimere le « difference[s] or dispute[s] » insorte tra le parti sulla « interpretation » dell’art. 7, par. 2, dell’Accordo, trascurando di appurare se tale previsione normativa sia essenziale per il raggiungimento dell’oggetto e dello scopo dell’Accordo. 6. L’iter argomentativo percorso dalla Corte mostra a nostro avviso alcune lacune anche relativamente all’analisi dei requisiti procedurali dell’esercizio della facoltà di cui all’art. 60, par. 1. Com’è noto, la sospensione degli effetti di un trattato è subordinata a una manifestazione di volontà della parte vittima della violazione sostanziale — non conseguendo a quest’ultima in modo automatico — volontà che chiaramente la parte è libera di manifestare o meno (56). Secondo alcuni autori, lo Stato leso non sarebbe necessariamente tenuto a seguire la procedura dettata dagli articoli 65-68 della Convenzione di Vienna e dal relativo allegato, che rende limitata ed eccezionale la facoltà di invocare la violazione al predetto fine (57), poiché « ciò lo (55) Cfr. Memorial, cit., p. 90 ss., par. 5.12 ss. (56) Secondo MORELLI, Nozioni di diritto internazionale7, Padova, 1967, p. 327, « [c]ausa di estinzione del trattato non è [...] il fatto dello inadempimento in quanto tale, bensì la dichiarazione di volontà con cui lo Stato leso nel proprio diritto subbiettivo esercita il potere giuridico sorto per effetto dello inadempimento ». Così anche CAPOTORTI, L’extinction, cit., p. 550. (57) Tale procedura, com’è ampiamente noto, mira a garantire la stabilità delle relazioni pattizie, impedendo a un contraente di ritenersi esonerato dall’osservanza dei suoi obblighi convenzionali semplicemente invocando, in modo discrezionale (come accadeva sotto il previgente regime consuetudinario), una delle cause codificate dalla Convenzione di Vienna. Essa introduce un congegno finalizzato a ridurre il rischio di azioni arbitrarie, specie in relazione a quelle cause di sospensione (e soprattutto di estinzione) che, come la violazione sostanziale, si prestano a valutazioni soggettive (v. ante, il paragrafo precedente), dunque assai discutibili, degli elementi di fatto e sollevano l’esigenza di dipanare i contrasti suscettibili di insorgere tra le parti contraenti sulla loro esistenza (nei lavori preparatori della Convenzione di Vienna ciò emerge dal Second Report on the Law of Treaties del rapporteur Fitzmaurice, cit., p. 55, par. 136; dal Second Report on the Law of Treaties del rapporteur Waldock, cit., p. 87, par. 1; e dal commento della Commissione del diritto internazionale a quello che è poi diventato l’art. 60 della Convenzione: Report of the International Law Commission on the Work
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obbligherebbe a continuare a rispettare il trattato durante lo svolgimento della procedura » (58). Nel silenzio della Convenzione di Vienna sulla sorte del trattato in pendenza dell’indicata procedura, la dottrina è giunta a conclusioni divergenti, compresa quella che vede i contraenti liberi di decidere unilateralmente di non eseguirlo (59). of Its Eighteenth Session, cit., p. 254, par. 6). Stesso discorso può farsi rispetto al mutamento fondamentale delle circostanze, non anche all’abrogazione, alla decorrenza del termine finale e all’impossibilità sopravvenuta, per loro natura idonee a operare in modo automatico, in relazione alle quali sembrano maggiormente fondate le perplessità di coloro che reputano « illogico pretendere che il trattato rispetto al quale esse hanno operato continui per un certo periodo ad avere esecuzione », a causa appunto delle norme di cui agli articoli 65-68: MOSCONI, La Convenzione di Vienna e le controversie sull’invalidità e l’estinzione dei trattati, Diritto int., 1970, p. 252 ss., p. 268. Più di recente, CIAMPI, Invalidity and Termination of Treaties and Rules of Procedure, in The Law of Treaties Beyond the Vienna Convention (a cura di Cannizzaro), Oxford, 2011, p. 360 ss., pp. 365-366. (58) STROZZI, Il diritto, cit., p. 112. Sulla (più o meno ampia) automaticità delle conseguenze correlate alle cause di sospensione dei trattati, v. SINCLAIR, The Vienna Convention on the Law of Treaties2, Manchester, 1984, pp. 188-189; ROSENNE, Breach of Treaty, Cambridge, 1985, p. 35 ss.; CONFORTI, LABELLA, Invalidity and Termination of Treaties: The Role of National Courts, European Journal of Int. Law, 1990, p. 44 ss.; REUTER, Introduction, cit., p. 151 ss. Per l’automaticità sembra propendere anche TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, 2005, p. 435 ss., spec. pp. 438-439. Secondo CANNIZZARO, Corso di diritto internazionale, Milano, 2011, p. 186, invece, la Convenzione di Vienna non chiarirebbe se una parte contraente debba necessariamente seguire la procedura in discorso per far valere una causa di sospensione. Per la tesi secondo cui al contrario la facoltà accordata dall’art. 60 non sia esercitabile in modo unilaterale e improvviso, con effetti automatici e immediati, ma sia subordinata all’espletamento degli adempimenti procedurali di cui agli articoli 65-68, v. CAPOTORTI, L’extinction, cit., p. 550; ZOLLER, Peacetime Unilateral Remedies: An Analysis of Countermeasures, Dobbs Ferry, 1984, p. 31 ss.; YAHI, La violation d’un traité: l’articulation du droit des traités et du droit de la responsabilité internationale, Revue belge de droit int., 1993, p. 437 ss., p. 449 ss.; GOMAA, Suspension, cit., pp. 95 ss., 157 ss.; AUST, Modern Treaty Law and Practice, Cambridge, 2000, pp. 237, 244-245; SIMMA, TAMS, Article 60, cit., pp. 2164, 2171; SBOLCI, Obblighi di procedura nell’estinzione dei trattati, Padova, 2008, pp. 202 ss., 283 ss. (cui si rinvia anche per l’analisi dell’influenza che hanno avuto i suddetti articoli sulla prassi statale successiva alla Convenzione di Vienna: p. 239 ss.); VILLIGER, Commentary, cit., pp. 739-740, 741, 806; CIAMPI, Invalidity, cit., p. 360 ss., p. 365 ss. Inoltre, l’esigenza di assolvere obblighi preventivi alla dichiarazione delle conseguenze della violazione di un accordo è stata dedotta logicamente dal funzionamento del sistema delle contromisure: v. GIANELLI, Adempimenti preventivi all’adozione di contromisure internazionali, Milano, 1997, p. 631. Il rilievo assunto nella prassi da tali limiti è stato riconosciuto dalla Corte dell’Aja: cfr. Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza del Sud Africa in Namibia (Sudovest africano) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza, parere cit., p. 46 ss., par. 92 ss.; Giurisdizione in materia di pesca (Gran Bretagna c. Islanda), sentenza (competenza), 2 febbraio 1973, I.C.J. Reports 1973, p. 3 ss., p. 21, paragrafi 44-45; Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., p. 66, par. 109. (59) BARILE, Lezioni di diritto internazionale, Padova, 1977, pp. 117-118. Secondo alcuni autori la sospensione provvisoria dell’esecuzione avverrebbe a scopo cautelare e
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Tuttavia, va osservato, l’art. 42, par. 2, della Convenzione di Vienna (recante le condizioni generali in materia di sospensione dell’applicazione di un accordo), sebbene non rinvii esplicitamente alla procedura delineata dagli articoli 65 e seguenti, non si limita (sotto un profilo per così dire sostanziale) ad assoggettare l’operare della sospensione al ricorrere di una delle cause elencate nella parte V della Convenzione, ma, prevedendo che essa possa « avere luogo solo in applicazione [...] della presente Convenzione », richiama inevitabilmente anche le regole di natura procedurale ivi contenute (60). Vale ora la pena di riassumere brevemente i passaggi in cui si snoda la procedura in discorso. La parte che intende invocare un motivo per dichiarare sospesa l’applicazione di un accordo bilaterale deve notificare per iscritto (art. 67, par. 1) la propria pretesa alla controparte, precisando la misura proposta nei confronti dell’accordo e i motivi che ne sono alla base (art. 65, par. 1). Qualora entro tre mesi l’altra parte non sollevi obiezioni, lo Stato che ha proceduto alla notifica può adottare, nelle forme indicate dall’art. 67, la misura proposta (art. 65, par. 2). Altrimenti, sorge una controversia, da dirimere attraverso i mezzi previsti dall’art. 33 della Carta dell’ONU (art. 65, par. 3), nonché, laddove non si dovesse approdare a una soluzione concordata entro dodici mesi dalla formulazione dell’obiezione, mediante il procedimento conciliativo obbligatorio disciplinato dall’allegato alla Convenzione (art. 66, lett. b)). La declaratoria di sospensione deve essere redatta in forma scritta e inserita in uno strumento comunicato alla controparte e sottoscritto dal Capo dello Stato, dal Capo del Governo, dal Ministro degli affari esteri o da chi disponga dei pieni poteri (art. 67, par. 2). Tali norme, evidentemente, rendono la sospensione un atto formale. Tuttavia, assai significativamente ai nostri fini, il par. 5 dell’art. 65, lasciando impregiudicato quanto disposto dall’art. 45 (61), fa salva senza alcun obbligo preventivo: SIMMA, Reflections, cit., pp. 81-82. Contra MOSCONI, La Convenzione, cit., p. 268; PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione, cit., pp. 162-163; VILLIGER, Commentary, cit., pp. 806-807. (60) Così peraltro risulta dai relativi lavori preparatori: v. Report of the International Law Commission on the Work of Its Eighteenth Session, cit., p. 237, par. 4 (in cui sono indicati i progetti poi confluiti negli attuali articoli 65 e 67). In dottrina, v. GOMAA, Suspension, cit., p. 157, nota 1; KOHEN, Article 42, in Les Conventions, cit., p. 1593 ss., pp. 1601-1602; SBOLCI, Obblighi, cit., pp. 203-204; VILLIGER, Commentary, cit., pp. 545, 549. Nell’attività della Corte, invece, è degna di nota l’opinione separata del giudice Dillard nell’affare dell’Appello relativo alla competenza del Consiglio dell’ICAO, sentenza cit., p. 101. (61) Sui problemi concernenti l’art. 45, in relazione al caso in esame, v. il prossimo paragrafo.
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la facoltà della parte tenuta alle incombenze di cui al par. 1 di effettuare la predetta notifica anche in risposta alla controparte che richieda l’adempimento del trattato o ne lamenti la violazione. Pur non codificando il diritto internazionale generale (62), le previsioni normative contenute negli articoli 65 e seguenti vincolano la Grecia e la FYROM a titolo di diritto pattizio. Orbene, tornando al caso dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio, sorprende come la Corte abbia ignorato i problemi posti dal meccanismo appena riprodotto, nonostante le parti, nei loro atti processuali, avessero concentrato l’attenzione proprio sul ruolo e la portata dell’art. 65. Ciò del resto era stato rilevato dalla stessa Corte, nella parte della sentenza in cui aveva riferito le posizioni assunte nei pleadings riguardo all’applicabilità dell’art. 60 (63). Posizioni che, a suo dire, si sarebbero rivelate in contraddizione soprattutto sotto il profilo dell’obbligatorietà della notifica preventiva, ossia in ordine alla questione se la Grecia avesse dovuto informare la FYROM della sua intenzione di sospendere l’applicazione degli obblighi derivanti dall’art. 11, par. 1, dell’Accordo prima di opporsi all’ingresso della medesima nella NATO. Il problema, schematizzando al massimo, è se l’art. 65, par. 5 (che, come anticipato, rende la notifica un’eccezione a un’azione di controparte, piuttosto che una domanda diretta, come voluto invece dall’art. 65, par. 1) fosse o meno applicabile. Anche in tale circostanza la Corte ha preferito evitare di adoperarsi
(62) Così si è espressa, a più riprese, la stessa Corte dell’Aja: cfr. Interpretazione dell’Accordo del 25 marzo 1951 fra l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Egitto, parere del 20 dicembre 1980, I.C.J. Reports 1980, p. 73 ss., p. 96, par. 49; Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., p. 66, par. 109; Attività armate sul territorio del Congo (nuovo ricorso) (Repubblica democratica del Congo c. Ruanda), sentenza (competenza e ricevibilità), 3 febbraio 2006, I.C.J. Reports 2006, p. 6 ss., pp. 51-52, par. 125. (63) Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., par. 118 (per la posizione della Grecia) e par. 119 (per quella della FYROM). La prima, pur dichiarandosi al corrente dei requisiti prescritti dall’art. 65, non riteneva necessaria la notifica preventiva, dal momento che, a suo dire, aveva manifestato la volontà di sospendere l’applicazione dell’Accordo in risposta alla contestazione della sua violazione proveniente dalla controparte, in applicazione dell’art. 65, par. 5 (Rejoinder, cit., pp. 193-196, paragrafi 8.16-8.23). D’altro canto, la FYROM replicava sostenendo che la Grecia non aveva rispettato quanto previsto dall’art. 65, par. 1, per non avere mai notificato, neppure prima del vertice di Bucarest, l’intenzione di invocare la violazione sostanziale dell’Accordo attribuita alla FYROM come motivo per sospenderne l’applicazione, in conformità all’art. 60, par. 1, né indicato le disposizioni che intendeva sospendere, né comunicato le ragioni della sua pretesa (Memorial, cit., p. 94 ss., par. 5.21 ss., spec. p. 96 ss., par. 5.26 ss.).
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per dirimere una divergenza di opinioni tra le parti su una questione di diritto (64). Ora, non c’è alcun dubbio che la Grecia non abbia provveduto ad attenersi alle modalità indicate dagli articoli 65, par. 1, e 67, nell’esercizio della facoltà di sospensione dell’Accordo conferita dall’art. 60, prima di incorrere, in occasione del vertice di Bucarest, nella violazione dell’art. 11, par. 1. Non ci risulta che sia stato comunicato alla FYROM, in conformità all’art. 67, alcuno strumento contenente la relativa dichiarazione. Tuttavia, anche qualora la Grecia avesse effettuato la notifica di cui all’art. 65, par. 1, non avrebbe comunque potuto procedere alla sospensione dell’Accordo. Difatti, come abbiamo visto in precedenza, all’art. 65, paragrafi 2-3, la Convenzione di Vienna esige ulteriori attività preliminari. In proposito, va detto, nei suoi atti processuali la FYROM ha precisato che avrebbe certamente respinto l’accusa di essersi resa responsabile di una violazione sostanziale dell’Accordo. Tale posizione, poi, sarebbe stata ancor più netta laddove l’eventuale notifica avesse avuto ad oggetto la proposta di sospendere l’applicazione dell’obbligo di cui all’art. 11, par. 1 (65). Ebbene, a nostro avviso la Corte avrebbe dovuto approfondire le conseguenze dell’applicazione, alla controversia demandata alla sua cognizione, dell’art. 65, par. 5, della Convenzione di Vienna (66). (64) Tanto più che, è stato osservato, la procedura dettata dagli articoli 65-68 non andrebbe esperita qualora si intenda sospendere l’applicazione soltanto di una parte del trattato violato, dato che né l’art. 65, né l’art. 42, par. 2, si riferiscono apertamente all’ipotesi della sospensione parziale, contemplando unicamente l’ipotesi della sospensione del trattato in blocco. V. KIRGIS, Some, cit., p. 558 ss. Contra SIMMA, TAMS, Article 60, cit., p. 2171. (65) Memorial, cit., p. 98, paragrafi 5.31-5.33. Assai significative, sempre nella stessa direzione, appaiono le conclusioni cui è pervenuta la FYROM: « by providing the requisite notification, the Respondent would have provided the Applicant an opportunity to invoke proceedings before the Court in advance of the Respondent’s unilateral suspension. [S]ince the Respondent has [not] notified an intent to suspend any part of the Interim Accord [...] the substantive obligation set out in Article 11(1) [...] remains fully in effect » (ibidem, pp. 99-100, paragrafi 5.35-5.37). (66) Il caso, infatti, sembra rientrare nell’ipotesi concepita dalla Commissione del diritto internazionale in sede di commento del progetto di articolo poi tradotto senza modifiche nell’art. 65, par. 5: « a State might well not have invoked the ground in question before being confronted with a complaint [...] before a tribunal » (Report of the International Law Commission on the Work of Its Eighteenth Session, cit., p. 263, par. 8). A ciò corrisponde la posizione espressa dalla Grecia davanti alla Corte, secondo cui la notifica dell’invocazione della violazione dell’Accordo in vista della conseguente sospensione potrebbe avvenire, agli effetti dell’art. 60, soltanto attraverso il primo atto difensivo (il Counter-memorial, che avrebbe quindi svolto la funzione di notifica « tardiva » ai sensi dell’art. 65, par. 5) successivamente al deposito del ricorso introduttivo (Counter-memorial, cit., pp. 173-174, paragrafi 8.25-8.26; Rejoinder, cit., p. 195, par. 8.23).
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Considerato che formalmente la Grecia ha contestato alla FYROM la violazione dell’Accordo solo una volta che quest’ultima, in seguito al summit degli Stati membri della NATO celebratosi a Bucarest, aveva a sua volta lamentato l’inosservanza dell’art. 11, par. 1, non avendo neppure provato ad assolvere gli adempimenti di cui al par. 1 dell’art. 65, il par. 5 fornisce, sotto il profilo procedurale e limitatamente al rimedio in discussione, il regime giuridico di riferimento della controversia. Ciò sembrerebbe indebolire la tesi della FYROM secondo cui la Grecia, se avesse avuto motivo di ritenere consumata una violazione dell’Accordo anteriormente al predetto summit, avrebbe dovuto comunicarlo alla FYROM, e solo in seguito opporsi alla sua ammissione alla NATO (67). Difatti, l’art. 65, par. 5 (68), opera proprio consentendo a una parte contraente di eccepire l’inesecuzione di un obbligo pattizio in risposta a una protesta della controparte. Approntando un mezzo tipicamente difensivo, esso per sua natura può essere attuato solo quando, come nel caso in commento, la parte che intende avvalersene (la Grecia) sia stata effettivamente accusata di aver violato un obbligo pattizio. La previa notifica è logicamente inconcepibile, dato che l’inadempimento della controparte non è invocato alla base di una pretesa (l’ipotesi dell’art. 65, par. 1), ma di una difesa rispetto alle sollecitazioni della medesima. È questa la tesi della Grecia, che la Corte ha evitato di prendere in considerazione (69). Né i giudici si sono soffermati sugli effetti giuridici prodotti da una simile notifica « tardiva » che, è stato rilevato (70), sospende soltanto ex nunc l’operatività degli obblighi pattizi — vale a dire, in seguito alla trasmissione alla controparte dello strumento contenente la dichiarazione di sospensione, secondo le modalità indicate dall’art. 67, par. 2 —, preservandone l’efficacia e non precludendo la responsabilità derivante da violazioni consumatesi fino ad allora. In altre parole, in tale ipotesi, la cessazione temporanea degli effetti del trattato non retroa(67) Per la FYROM, se la Grecia avesse veramente voluto contestarle la violazione dell’Accordo avrebbe dovuto seguire la procedura dettata dall’art. 65 o adire la Corte in attuazione dell’art. 21 dell’Accordo. Né, sempre per la FYROM, le dichiarazioni rese dai dirigenti greci alla stampa e in Parlamento — che secondo la Grecia avrebbero perfezionato, prima del vertice di Bucarest, la notifica della violazione dell’Accordo richiesta dall’art. 65, par. 1 (Counter-memorial, cit., pp. 174-177, par. 8.27) — produrrebbero un simile effetto (Reply, cit., pp. 179-180, paragrafi 5.1005.101). (68) A cui in sostanza è sottesa l’exceptio, come sarà chiarito più avanti: v. infra, il par. 8. Così già SIMMA, Reflections, cit., p. 80, nota 344. A tale circostanza sembra alludere anche il giudice ad hoc Roucounas: Dissenting Opinion, cit., p. 22, par. 67. (69) Cfr. Rejoinder, cit., p. 195, par. 8.21. (70) V. CAPOTORTI, L’extinction, cit., pp. 572-573.
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gisce al momento in cui la causa di sospensione si è verificata. Ciò è particolarmente rilevante nel caso in esame, giacché, anche quando lo si volesse ritenere applicabile, l’art. 65, par. 5, potrebbe risultare inidoneo a legittimare la condotta imputata alla Grecia, che si è opposta all’ingresso della FYROM nella NATO, in violazione dell’Accordo, molto prima di aver replicato alle contestazioni da questa provenienti in conformità ad esso. Inoltre, lo Stato che si avvale della notifica « tardiva » è comunque chiamato a seguire le varie fasi in cui si articola la procedura prescritta dagli articoli 65-68, restando dunque proibita l’adozione di atti di sospensione unilaterali, produttivi di effetti immediati (71), e al contrario doverosa la comunicazione della pertinente declaratoria ai sensi dell’art. 67, par. 2. Come abbiamo rilevato in precedenza, si tratta di una comunicazione che la Grecia non ha mai formalizzato. 7. Un problema strettamente correlato all’applicabilità in casu dell’art. 65, par. 5 — pure « dimenticato » dalla Corte — è quello dell’acquiescenza ai sensi dell’art. 45, lett. b) (72), la cui sfera di operatività è espressamente fatta salva dallo stesso art. 65, par. 5. In particolare, la questione è se il comportamento tenuto dalla Grecia in seguito alla violazione da parte della FYROM dell’art. 7, par. 2, dell’Accordo avesse determinato la perdita della facoltà di invocare, in vista del vertice di Bucarest, quella specifica violazione come motivo per dichiarare parzialmente sospeso l’Accordo. L’art. 45 stabilisce che la mancata invocazione da parte di uno Stato contraente di un motivo per sospendere l’applicazione di un trattato bilaterale ai sensi dell’art. 60, dopo avere avuto conoscenza dei relativi fatti, può implicare l’acquiescenza di tale Stato alla continuata applicazione del trattato, con conseguente perdita della facoltà di far valere in futuro quei fatti agli effetti dell’art. 60. Si tratta, com’è noto, di un istituto derivante da regole generali di certezza del diritto e stabilità delle relazioni convenzionali, nonché di una garanzia contro il rischio di abusi (73). (71) Sul punto, v. SBOLCI, Obblighi, cit., pp. 204-206 (con particolare riferimento alle facoltà di risoluzione e di recesso). (72) Su cui v. SCALESE, Diritto dei trattati e dovere di coerenza nella condotta, Napoli, 2000. Più di recente, KOHEN, Article 45, in Les Conventions, cit., p. 1667 ss.; VILLIGER, Commentary, cit., p. 572 ss. (73) Cfr. il commentario al progetto definitivo di articoli sul diritto dei trattati: Report of the International Law Commission on the Work of Its Eighteenth Session, cit., p. 239, par. 1. In passato la Corte si era già pronunciata su tale istituto, da ultimo nella sentenza sulle eccezioni preliminari adottata il 13 dicembre 2007 in relazione alla Controversia territoriale e marittima (Nicaragua c. Colombia), in cui aveva affermato che
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Abbiamo visto nel paragrafo precedente che lo Stato intenzionato ad avvalersi di una violazione sostanziale di un trattato bilaterale per dichiararne la sospensione è tenuto a notificare la sua pretesa alla controparte. La Convenzione di Vienna non fissa un termine entro cui la notifica deve essere inoltrata, né indicazioni al riguardo provengono dal commentario al progetto definitivo di articoli sul diritto dei trattati (74). Tuttavia, secondo alcuni autori « non deve intercorrere un tempo troppo lungo » dal momento della conoscenza dei fatti inerenti alla violazione (75). Nella giurisprudenza precedente la sentenza in commento la Corte internazionale di giustizia aveva osservato: « what period of notice of termination should be given [is a] matter which necessarily vary according to the requirements of the particular case. [I]t is for the parties in each case to determine the length of th[is] period » (76). Sembra derivarne che la determinazione dell’intervallo di tempo necessario per la notifica debba essere effettuata caso per caso, alla luce delle circostanze concrete e in ossequio a criteri di ragionevolezza. Questa lettura trova riscontro anche nei lavori preparatori della Convenzione di Vienna (77). una parte contraente che non abbia sollevato una questione di invalidità per più di cinquant’anni, durante i quali si sia pure conformata ai dettami del trattato viziato, non possa poi farne valere l’invalidità (I.C.J. Reports 2007, p. 832 ss., p. 859, paragrafi 79-81). (74) Cfr. Report of the International Law Commission on the Work of Its Eighteenth Session, cit., pp. 239-240. (75) SALERNO, Diritto internazionale. Principi e norme2, Padova, 2011, p. 197. Così anche GOMAA, Suspension, cit., p. 128, ma soprattutto PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione, cit., pp. 48 ss., 72-73, 338, il quale ritiene che l’esercizio della facoltà di sospensione sia da considerarsi precluso una volta trascorso « un ragionevole periodo di tempo dal momento in cui si è verificata o è divenuta nota la violazione ». Siffatto limite andrebbe inquadrato nel « concetto di rinuncia ». La rinuncia si verificherebbe non tanto e non solo qualora lo Stato vittima abbia ingiustificatamente lasciato trascorrere un ragionevole periodo di tempo prima di sollevare la questione, quanto soprattutto se nel frattempo abbia continuato a eseguire il trattato e a pretenderne l’esecuzione. Si tratta di un fatto che dimostra la volontà implicita di rinunciare alla titolarità e all’esercizio della relativa facoltà. Sulle condizioni, nell’ordinamento internazionale, affinché si determini l’estinzione di una posizione soggettiva attiva in conseguenza della rinuncia tacita ad essa, v., nella letteratura tradizionale, ANZILOTTI, Corso di diritto internazionale. Introduzione - Teorie generali3, Roma, 1928, pp. 314-315; MORELLI, Nozioni, cit., pp. 289-290; QUADRI, Diritto internazionale pubblico5, Napoli, 1968, pp. 575-576. (76) Interpretazione dell’Accordo del 25 marzo 1951 fra l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Egitto, parere cit., p. 96, par. 49. In seguito, il brano riportato nel testo è stato riproposto anche in sede contenziosa: Affare concernente il progetto GabčíkovoNagymaros, sentenza cit., p. 66, par. 109. (77) V., in particolare, il progetto di art. 19, par. 3 (e il relativo commento) presentato dal relatore Fitzmaurice nel suo Second Report on the Law of Treaties, cit., pp. 31, 55, paragrafi 133 e 134.
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Ciò, chiaramente, chiama in causa l’attività dell’interprete, attività assolutamente carente nel caso in esame, in cui invece avrebbero dovuto essere valutate e bilanciate le varie circostanze rilevanti (quali, ad esempio, l’oggetto e lo scopo dell’Accordo, la natura e l’intensità della violazione, l’atteggiamento assunto dallo Stato leso in seguito a essa, e così via) al fine di accertare se la Grecia avesse perso la facoltà di addurre, dopo più di quattro anni, l’inosservanza del divieto di cui all’art. 7, par. 2, dell’Accordo da parte della FYROM, e dichiarare parzialmente sospeso l’Accordo in sede processuale, in risposta alle contestazioni mosse dalla controparte. Una simile verifica avrebbe potuto rendere superflua l’analisi dei presupposti applicativi dell’art. 60 della Convenzione di Vienna, ad eccezione naturalmente della « sostanzialità » della violazione, inducendo la Corte a giudicare irricevibile la pretesa della Grecia di aver agito in base ad esso. Stesso discorso può farsi riguardo alla determinazione in astratto, e al riscontro in concreto, delle condizioni al ricorrere delle quali si possa ritenere che uno Stato abbia manifestato la propria acquiescenza (quale comportamento espressivo del consenso tacito verso una situazione o una posizione giuridica) alla continuata applicazione dell’accordo di cui è parte. Si tratta del principale problema interpretativo sollevato dalla lett. b) dell’art. 45, come tale necessariamente destinato a dover essere affrontato da chi è chiamato a darvi applicazione (78). 8. Venendo all’analisi del contenuto delle altre difese addizionali presentate dallo Stato convenuto e dei rapporti intercorrenti tra loro, conviene, seguendo l’ordine sistematico adottato dalla Corte, prendere le mosse dal raffronto tra l’exceptio inadimpleti contractus e la facoltà di sospendere un accordo bilaterale disciplinata dall’art. 60, par. 1, della Convenzione di Vienna. Il problema principale — fanno notare alcuni autori (79) e alcuni giudici nelle loro opinioni individuali allegate alla sentenza (80) — è verificare, in astratto, se e in che misura l’exceptio, sancita dal diritto internazionale previgente la Convenzione di Vienna, sia sopravvissuta alla codificazione del diritto dei trattati (oltre che a quella della responsabilità statale per fatto illecito). Inoltre, in concreto, si tratta di (78) Sul punto, v. diffusamente KOHEN, Article 45, cit., p. 1685 ss. (79) V. FORLATI, Reactions, cit., p. 765 ss.; GIANELLI, L’incerto destino dell’eccezione di non adempimento dell’accordo, Rivista, 2012, p. 151 ss. (80) Cfr. Declaration of Judge Bennouna, cit.; Separate Opinion of Judge Simma, cit.
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accertare se essa, nei limiti in cui la si dovesse ritenere esistente nell’attuale assetto dell’ordinamento internazionale, assuma un qualche rilievo nella controversia tra la FYROM e la Grecia. In effetti, le due parti, anche in ordine a tale aspetto, hanno assunto posizioni diametralmente opposte e assai articolate. Una parte della dottrina sostiene che in aggiunta alla sospensione « of the operation of a treaty » ex art. 60, par. 1, una forma di reazione all’inadempimento altrui consisterebbe — in base al principio di reciprocità, quale concetto giuridico autonomo nell’ambito del diritto dei trattati, espresso appunto dall’exceptio — nella « non-performance » di norme contenute nel trattato violato (81). Si tratterebbe del rifiuto temporaneo di assolvere lo stesso obbligo o un obbligo corrispondente a quello inadempiuto, a prescindere dalla gravità dell’inadempimento originario, e senza che sia necessario soddisfare i requisiti di carattere procedurale stabiliti dall’art. 65 (82). Tale misura andrebbe mantenuta distinta da quelle di cui all’art. 60, par. 1, poiché l’accordo disatteso continuerebbe a restare formalmente in vigore, ad applicarsi e a vincolare le parti. Al contrario, un accordo sospeso ex art. 60 cessa provvisoriamente di spiegare effetti vincolanti nei confronti dei contraenti, i quali, stando all’art. 72, par. 1, lett. a), della Convenzione di Vienna, sono sollevati dall’obbligo di eseguirlo, nella parte colpita dalla sospensione, col risultato che durante il periodo di sospensione (81) V., per limitarci alla letteratura successiva alla Convenzione di Vienna e senza alcuna pretesa di completezza, NISOT, L’exception “non adimpleti contractus” en droit international, Revue générale de droit int. public, 1970, p. 668 ss.; SIMMA, Reflections, cit., pp. 19 ss., 39-40; ZOLLER, Peacetime, cit., pp. 14 ss., 27 ss.; CAMPIGLIO, Il principio di reciprocità nel diritto dei trattati, Padova, 1995, pp. 240 ss., 282 ss.; CRAWFORD, OLLESON, The Exception of Non-Performance: Links between the Law of Treaties and the Law of State Responsibility, Australian Yearbook of Int. Law, 2001, p. 55 ss., p. 65; FORLATI, Diritto, cit., p. 63 ss.; LALY-CHEVALIER, La violation du traité, Bruxelles, 2005, pp. 417-418. V. altresì GIANELLI, Adempimenti, cit., p. 144, nota 345, la quale precisa: « è lo stesso fatto dell’inadempimento a creare sia il potere di formulare un’eccezione di fronte alla richiesta di adempimento da parte dell’altro contraente, sia il potere di sospendere o eventualmente risolvere l’accordo » (della stessa a. v., più di recente, Aspects of the Relationship between the Law of Treaties and State Responsibility, in Studi di diritto internazionale in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, vol. II, Napoli, 2004, p. 757 ss., p. 797; e L’incerto, cit., pp. 155-156). Contra SINHA, Unilateral Denunciation of Treaty because of Prior Violations of Obligations by Other Party, The Hague, 1966, p. 75; KIRGIS, Some, cit., p. 562 ss. (82) Lo stesso KIRGIS, Some, cit., pp. 558 ss., 569, 571-573, riconosce che l’art. 65 non inibisce l’inesecuzione, unilaterale e immediata, di obblighi corrispondenti a quelli colpiti da una violazione sostanziale, contenuti nel trattato violato, a titolo di reciprocità, secondo un meccanismo che si avvicina molto, per sua stessa ammissione, all’eccezione di inadempimento, quale istituto autonomo dell’ordinamento internazionale.
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nessun contraente può invocare le disposizioni interessate dalla relativa misura (83). Più in particolare, l’exceptio configurerebbe un mezzo di difesa provvisoria, esperibile in via immediata, automatica e unilaterale e con effetti circoscritti alla parte che se ne avvale, senza i limiti imposti da condizioni preliminari (quali, su tutte, la notifica dell’inesecuzione), in risposta a una richiesta di adempimento o a una contestazione di inadempimento avanzate dalla controparte, in quanto e fintantoché quest’ultima a sua volta non assolva l’obbligo convenzionale legato, a quello oggetto dell’inesecuzione, dal vincolo del sinallagma. Ciò darebbe luogo semplicemente a una situazione di fatto, insuscettibile di incidere sull’efficacia dell’obbligo in causa (84) — il quale preserverebbe la propria vigenza nei rapporti tra le parti —, ma in grado soltanto di legittimare la parte lesa ad astenersi in via provvisoria dall’eseguire la prestazione corrispettiva (non qualunque, come vuole l’art. 60) a quella inattuata dalla controparte (85). L’esecuzione dovrebbe riprendere non appena la controparte sia pronta ad adempiere i propri obblighi convenzionali, mentre la sospensione dell’applicazione di un trattato in base all’art. 60 viene in genere revocata in seguito alla conclusione tra le parti di un accordo in proposito (86). (83) V. ZOLLER, Peacetime, cit., pp. 15, 19; CAMPIGLIO, Il principio, cit., p. 282 ss.; FORLATI, Diritto, cit., p. 69 ss.; LALY-CHEVALIER, La violation, cit., p. 423. (84) Da tale angolazione l’exceptio si avvicinerebbe al regime delle contromisure consistenti nell’inadempimento di obblighi pattizi, il quale si limita a escludere l’illiceità di quelle che in sostanza restano violazioni materiali di norme internazionali (v. più ampiamente infra, il testo successivo alla nota 132). In quest’ottica, l’exceptio sarebbe assimilabile più a una circostanza di esclusione dell’illiceità, che non a una causa di sospensione di un accordo. Così, in effetti, era stata presa in considerazione nei lavori di codificazione della responsabilità statale per fatti illeciti. L’ultimo rapporteur meditava di introdurla tra le esimenti, al pari delle contromisure (v. infra, nota 92) (tesi, questa, prospettata anche dalla Grecia nel caso al centro della nostra indagine: Rejoinder, cit., p. 188 ss., par. 8.6 ss., secondo cui l’exceptio, ricostruita in termini di circostanza esimente, sarebbe fatta salva dall’art. 56 del progetto di articoli approvato in seconda lettura nel 2001). Tuttavia, il tentativo di codificarla come tale alla fine è naufragato (v. di nuovo la nota 92). (85) Così, nei lavori di codificazione del diritto dei trattati, il rapporteur Fitzmaurice, nel suo Fourth Report on the Law of Treaties, Yearbook of the Int. Law Commission, 1959, vol. II, p. 37 ss., p. 66, par. 82, p. 70, par. 102. (86) Su quest’ultimo punto v. GAJA, Trattati internazionali, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. XV, Torino, 2000, p. 344 ss., p. 363. La distinzione tracciata fin qui è diffusa nelle legislazioni nazionali. Possono vedersi, a titolo esemplificativo e perché particolarmente emblematici nell’ottica indicata (ma senza nessuna pretesa di analogia, date le peculiarità dell’ordinamento internazionale), gli articoli 1453 (risolubilità del contratto per inadempimento) e 1460 (eccezione d’inadempimento) del codice civile italiano.
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In sintesi, l’eccezione di inadempimento e la facoltà di sospensione ex art. 60 della Convenzione di Vienna presenterebbero natura, oggetti, effetti e condizioni di ammissibilità sensibilmente diversi (87). Da quanto precede può ricavarsi che, mentre la sospensione dell’applicazione di un trattato bilaterale nei confronti di entrambi i contraenti è consentita soltanto, come tassativamente prescritto dall’ art. 42, par. 2, della Convenzione di Vienna, in attuazione delle disposizioni del trattato stesso o della Convenzione di Vienna, l’inesecuzione dell’obbligo della parte lesa corrispondente a quello violato dalla controparte, anche se non prevista dall’art. 60 (né da altre norme della Convenzione), è una reazione in sé sempre lecita nella misura in cui riposi sulla natura del sinallagma. In effetti, nel caso delle prestazioni sinallagmatiche — ognuna delle quali è la corrispettiva dell’altra, per cui è l’obbligatorietà giuridica dell’una a dipendere dall’obbligatorietà e dall’esecutorietà dell’altra e viceversa — qualora una non sia eseguita, è la stessa obbligatorietà dell’altra a venire meno, con conseguente liberazione del contraente onerato dai relativi vincoli. Ciascuna parte contraente in tanto assume l’obbligo di eseguire una determinata prestazione in favore dell’altra in quanto quest’ultima a sua volta si impegni a eseguire una controprestazione in suo favore. Di conseguenza, in tanto l’una è tenuta ad attuare la prestazione contratta in quanto l’altra attui o offra di attuare simultaneamente la propria. Le due prestazioni sono legate tra loro da un rapporto di condizionalità reciproca. L’exceptio allora opera sul presupposto che, in base all’interpretazione dell’accordo, risulti che l’adempimento di un obbligo sia mutua(87) Ciò trova riscontro anche nei lavori di codificazione della responsabilità statale per fatti illeciti. Nel progetto presentato nel 1984, il rapporteur Willem Riphagen dedicò due articoli separati, l’art. 8 e l’art. 9, rispettivamente alle misure di reciprocità (in sostanza, l’exceptio) e alle contromisure, e distinse la « suspension of the operation » dalla « suspension of the performance » (effetto, quest’ultimo, derivante sia dalle misure di reciprocità, con specifico riguardo agli obblighi corrispondenti a quello violato, sia dalle contromisure, con riguardo ad altri obblighi, purché proporzionali a quello violato: Fifth Report on the Content, Forms and Degrees of International Responsibility (Part 2 of the Draft Articles), Yearbook of the Int. Law Commission, 1984, vol. II, 1, p. 1 ss., p. 3). Infatti, all’art. 16, il progetto di articoli elaborato da Riphagen prevedeva che esso « shall not prejudice any question that may arise in regard to the [...] suspension of the operation of treaties ». Ciò sembra accreditare la distinzione tra sospensione dell’esecuzione dell’obbligo corrispondente e sospensione dell’applicazione del trattato teorizzata dalla dottrina riportata ante, nella nota 81. Nonostante la proposta di Riphagen fosse stata respinta dalla Commissione del diritto internazionale (Report of the International Law Commission on the Work of Its Forty-fourth Session, ivi, 1992, vol. II, 2, p. 1 ss., p. 23, par. 151), l’ultimo rapporteur fece propria la predetta distinzione, come vedremo meglio più avanti (infra, nota 92).
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mente subordinato al corrispondente adempimento o all’offerta di contemporaneo adempimento dell’obbligo della controparte (88). Ciò si verifica ad esempio, com’è stato suggerito dal rapporteur James Crawford, nel caso degli accordi bilaterali che hanno ad oggetto lo scambio di prigionieri di guerra, la distruzione di armi, il cessate-ilfuoco o il finanziamento congiunto di un determinato progetto (89). Ebbene, a nostro avviso, comunque la si preferisca chiamare — exceptio non adimpleti contractus, principio di reciprocità applicato ai trattati internazionali o altro —, se si ammette che la giuridica obbligatorietà di una prestazione convenzionalmente pattuita dipende causalmente dall’obbligatorietà di una controprestazione originata dallo stesso strumento normativo, l’inesecuzione dell’una rende in sé giuridicamente inesigibile l’altra, perché non più dovuta. Da questa prospettiva, non sembrerebbe neppure strettamente necessario domandarsi se l’art. 60 della Convenzione di Vienna abbia o meno assorbito l’exceptio, quale rimedio autonomo alla violazione di norme pattizie, poiché l’inesecuzione non costituisce l’oggetto di una situazione giuridica istituita dall’art. 60 (da una norma consuetudinaria o da un principio generale), ma una conseguenza fisiologica della natura del rapporto instauratosi tra due prestazioni convenzionali. Non è da escludere che essa possa sopravvivere a qualsivoglia processo di codificazione che non si preoccupi di disciplinarla specificamente, nella misura e nei limiti in cui sia connaturata a tale rapporto. Infine, è vero che, come ha dichiarato la Corte nell’affare dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio, presupposto dell’applicazione dei (88) Che l’esistenza del vincolo del sinallagma tra obblighi giuridici e diritti soggettivi oggetto di una relazione pattizia — e con essa l’operatività dell’exceptio — sia una questione di interpretazione, è sostenuto da una parte importante della dottrina: v. CAPOTORTI, L’extinction, cit., p. 548; CRAWFORD, OLLESON, The Exception, cit., p. 74; FORLATI, Reactions, cit., p. 769. Esse dipendono dall’esame del rapporto giuridico intercorrente tra gli Stati contraenti e delle circostanze che hanno portato alla sua formazione. Il punto era stato colto dal relatore Riphagen, il quale aveva sottolineato: « if the relationship is created by a bilateral treaty, the connection between the obligation breached by the author State and the obligation whose performance is suspended by the injured State is clear enough, either because the content of the obligation is the same for both parties or because it is established that the parties intended that one performance would be the counterpart of another » (Sixth Report on the Content, Forms and Degrees of International Responsibility (Part 2 of the Draft Articles), Yearbook of the Int. Law Commission, 1985, vol. II, 1, p. 3 ss., p. 11, par. 4; dello stesso relatore, v. Fourth Report on the Content, Forms and Degrees of International Responsibility (Part 2 of the Draft Articles), ivi, 1983, vol. II, 1, p. 3 ss., p. 18, par. 98). (89) Cfr. Second Report on State Responsibility, Yearbook of the Int. Law Commission, 1999, vol. II, 1, p. 3 ss., pp. 87-88, par. 358; Third Report on State Responsibility, ivi, 2000, vol. II, 1, p. 3 ss., p. 95, par. 364.
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vari regimi in esame è sempre l’inadempimento altrui di una norma convenzionale. Tuttavia, non deve necessariamente trattarsi di un illecito internazionale, ma, è stato fatto notare, possono venire in rilievo ipotesi diverse. L’exceptio, infatti, opera anche di fronte a un’inesecuzione lecita, perché ad esempio dovuta a forza maggiore o a uno stato di necessità. Nell’ipotesi invece della regola incorporata nell’art. 60 (e delle contromisure) è necessario un inadempimento caratterizzato dall’illiceità (90). La prassi (invero piuttosto scarsa) conosce la categoria in discorso fin dalla sentenza resa nel 1927 dalla Corte permanente di giustizia internazionale in relazione al celebre caso delle Officine di Chorzów (91). Nei lavori, anche più recenti, di codificazione della responsabilità degli Stati per fatto illecito se ne rinvengono altre tracce (92). Alcuni riferi(90) Così, all’esito di uno studio assai articolato ed efficace, FORLATI, Diritto, cit., pp. 64 ss., 85, 97, secondo cui anzi, nell’ordinamento internazionale attualmente vigente, l’exceptio opererebbe solo come rimedio a inadempimenti leciti (ossia, giustificati) di norme pattizie: Reactions, cit., p. 767 ss. (91) Sentenza del 26 luglio 1927, P.C.I.J., Publications, Series A, No. 9, p. 31. (92) Crawford trattò l’exceptio nell’ottica dell’inesecuzione di un obbligo convenzionale a causa della precedente trasgressione dello stesso o di un obbligo correlato. Egli fece notare come il concetto fosse equiparabile a quello di contromisura reciproca, proposto in un precedente progetto dal rapporteur Riphagen (ante, nota 87), ricordando che la Commissione del diritto internazionale aveva già negato l’inclusione di una disposizione avente ad oggetto tale rimedio quale forma di contromisura. Ciò nondimeno, propose di concepire l’exceptio come una circostanza ulteriore e autonoma di esclusione dell’illiceità, e disciplinarla all’art. 30-bis, da introdurre nel capitolo V dell’articolato subito appresso alla disposizione dedicata alle contromisure in senso stretto (Second Report on State Responsibility, cit., p. 80 ss., par. 322 ss., p. 87, par. 358). La proposta non venne accolta e fu ritirata (Third Report on State Responsibility, cit., pp. 95-96, paragrafi 363-366). Tale circostanza avrebbe dovuto operare nella misura in cui una parte contraente, attraverso la propria condotta illecita, impedisse all’altra di agire conformemente ai suoi obblighi, in quanto le rispettive prestazioni fossero tenute insieme da un legame causale diretto, per cui l’esecuzione dell’una fosse un presupposto dell’esecuzione dell’altra. Molto significativamente, ai nostri fini, fu sottolineato che « [t]he essential question is whether the exception is to be conceived in international law as limited to [...] treaty obligations, i.e. as an inference to be drawn, as a matter of interpretation, from an exchange of obligations in a treaty, or whether it has a broader legal basis. If the former, it can properly be classified as a primary rule and need not be included in the draft articles » (ibidem, p. 95, par. 365). Pertanto, l’esclusione dell’exceptio, quale esimente autonoma, dall’articolato definitivo indurrebbe piuttosto a percepirla come l’oggetto di una norma primaria. Nel commentario al progetto definitivo, la Commissione del diritto internazionale, motivando tale esclusione, ha evidenziato che l’exceptio è una caratteristica specifica degli obblighi sinallagmatici, riconoscendone l’autonomia rispetto alle norme secondarie (Report of the International Law Commission on the Work of Its Fifty-third Session, cit., p. 72, par. 9). Pur non annoverandola tra le esimenti, il progetto neppure sembra respingerla totalmente, ammettendone in principio l’esistenza. Infine, va ricordato che anche Crawford enfatizzò le differenze rispetto alla facoltà di sospensione ai sensi dell’art. 60 nei termini sintetizzati più sopra nel testo (Second Report on State Responsibility, cit.,
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menti all’exceptio si trovano poi nell’attività della Corte internazionale di giustizia (93). Inoltre, gli effetti giuridici del rimedio di cui all’art. 60, come sopra riportati, sono stati riscontrati dalla Corte dell’Aja nella sentenza emessa a conclusione del noto caso delle Attività militari e paramilitari degli Stati Uniti in e contro il Nicaragua (94). All’indicata distinzione tra l’exceptio e il regime della sospensione ex art. 60 ha aderito anche la Grecia nel corso del procedimento al centro della nostra indagine (95). In definitiva, l’exceptio sembra aver preservato un proprio ambito di applicazione autonoma nonostante la codificazione del diritto dei trattati e del diritto della responsabilità statale, coabitando con questi rami dell’ordinamento internazionale, poiché è ancorata alla relazione sinallagmatica intercorrente tra le situazioni passive in ordine alle quali può entrare in gioco e non trova la sua fonte in una consuetudine o in un accordo di codificazione, ma (almeno formalmente) in un principio generale di diritto (96) — la reciprocità degli obblighi giuridici — previgente la Convenzione di Vienna e il progetto di articoli sulla responsabilità statale (97), e da questi lasciato inalterato. Data la ratio e la natura, l’exceptio opera anche di fronte a violazioni sostanziali di un accordo, in principio ricadenti nell’art. 60 della Convenzione di p. 81, par. 327). Per maggiori approfondimenti sulle vicende dell’eccezione di inadempimento nei lavori della Commissione del diritto internazionale, v. da ultimo GIANELLI, L’incerto, cit., pp. 152-153. (93) Cfr. l’opinione separata del giudice de Castro nel caso dell’Appello relativo alla competenza del Consiglio dell’ICAO (doc. cit., p. 128, nota 1, p. 129) e l’opinione dissidente del giudice Schwebel nel caso delle Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua (Nicaragua c. Stati Uniti), sentenza del 27 giugno 1986, I.C.J. Reports 1986, pp. 380-381. Qualche spunto sembrerebbe poi potersi ricavare dall’Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., p. 65, par. 106. (94) Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua, sentenza cit., p. 95, par. 178. (95) Cfr. Counter-memorial, cit., p. 164, paragrafi 8.3 e 8.6, p. 166, par. 8.11, p. 167 ss., paragrafi 8.13 ss., 8.26 e 8.28. (96) Il punto è stato messo in rilievo anche dal giudice Simma (Separate Opinion, cit., p. 4, par. 12). Secondo alcuni autori, ancorché l’exceptio sia da più parti ricostruita come un principio generale di diritto, in quanto desumibile dagli ordinamenti giuridici statali, essa difetterebbe della generalità tipica di tale fonte di diritto internazionale. Piuttosto che di un principio generale, si tratterebbe semmai dell’« espressione » del principio inadimplenti non est adimplendum: FORLATI, Reactions, cit., p. 766, nota 56. (97) Così anche — oltre agli autori citati ante, nella nota 81 — il giudice ad hoc Roucounas: Dissenting Opinion, cit., par. 66. Prima di lui, il giudice Anzilotti, nell’opinione dissidente allegata alla sentenza resa il 28 giugno 1937 dalla Corte permanente di giustizia internazionale in relazione al caso della Deviazione delle acque della Mosa (Paesi Bassi c. Belgio), P.C.I.J., Publications, Series A/B, No. 70, p. 50, e il giudice Hudson, nell’opinione individuale allegata alla medesima sentenza: ibidem, p. 77.
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Vienna (98). D’altronde, nei pur rari episodi della prassi, gli Stati continuano a servirsene parallelamente all’art. 60 (e al regime delle contromisure). Prova ne sia l’atteggiamento della Grecia nel caso in commento (99), così come, non molto tempo fa, quello degli Stati Uniti nella controversia con l’Iran sulle Piattaforme petrolifere (100). Ora, pur avendo diviso, oltre alle parti, gli stessi membri del collegio, il problema del rapporto tra i due rimedi in discorso e della sopravvivenza dell’exceptio non è stato affatto affrontato nella sentenza adottata in relazione al caso dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio. La Grecia (101), il giudice Bennouna (102) e il giudice ad hoc Roucounas (103) hanno accolto la soluzione prospettata dalla tesi dominante, così come riportata in precedenza. Non anche la FYROM (104) e il giudice Simma (105). Di nuovo, la Corte internazionale di giustizia ha (98) Così anche Crawford: Second Report on State Responsibility, cit., p. 81, par. 327. Quanto alle violazioni minoris generis, essendo spesso, diversamente dalle violazioni sostanziali, il frutto di errori scusabili, secondo alcuni autori sarebbe loro ricollegabile soltanto l’inadempimento dell’obbligo corrispondente in virtù del principio di reciprocità. V. CAMPIGLIO, Il principio, cit., pp. 260 ss., 282 ss.; FORLATI, Reactions, cit., p. 765 ss. (99) A testimonianza del suo rilievo nell’ordinamento internazionale — e del fatto che, dato il carattere elastico, immediato e informale, si presti a essere largamente invocata dagli Stati cui è contestato un comportamento difforme rispetto agli impegni pattuiti — sulle prime la Grecia ha fatto leva esclusivamente sull’exceptio, pur registrando la natura sostanziale delle violazioni dell’Accordo imputabili alla FYROM, non ritenendo necessario ricorrere all’art. 60 (poiché « [it did] not aim at a suspension of the Interim Accord »), né alle contromisure (Counter-memorial, cit., pp. 163-164, paragrafi 8.2-8.3, p. 178, par. 8.29). Quando in seguito è passata a esporre anche le altre giustificazioni, essa ha tenuto a precisare che l’exceptio sarebbe rimasta la prima e principale difesa addizionale (Rejoinder, cit., p. 196, par. 8.24, pp. 203-204, par. 8.41). (100) In cui l’exceptio era stata evocata sul presupposto che l’Iran avesse violato obblighi identici a quelli la cui violazione era all’origine del ricorso alla Corte (CR 2003/11, udienza del 25 febbraio 2003, p. 26 ss., par. 14.1 ss.). Già in occasione della trattazione del noto caso dell’Accordo sui servizi aerei del 27 marzo 1946 tra gli Stati Uniti d’America e la Francia (d’ora in avanti, Servizi aerei) gli Stati Uniti, nella memoria presentata al tribunale arbitrale investito della controversia (risolta il 9 dicembre 1978), avevano sostenuto la liceità di un provvedimento difforme da un accordo bilaterale stipulato con la Francia in base, simultaneamente, ai vari rimedi su indicati, poiché assunto in risposta a un precedente inadempimento dell’accordo da parte francese (Reports of Int. Arbitral Awards, vol. XVIII, p. 417 ss., p. 428, par. 18). (101) Cfr. Counter-memorial, cit., pp. 164-178, paragrafi 8.6-8.28, p. 179, par. 8.31; Rejoinder, cit., p. 188 ss., par. 8.6 ss. (102) Cfr. Declaration, cit., par. 6. (103) Cfr. Dissenting Opinion, cit., par. 66. (104) Cfr. Memorial, cit., pp. 94-106, paragrafi 5.21-5.54; Reply, cit., p. 147 ss., par. 5.46 ss., spec. pp. 154-163, paragrafi 5.63-5.80. (105) Secondo cui l’art. 60 della Convenzione di Vienna, codificando tutte le norme primarie del diritto dei trattati sulle conseguenze dell’inadempimento di obblighi convenzionali, esaurirebbe i rimedi disponibili, in base alle consuetudini previgenti la Convenzione, alla parte contraente che intenda reagire a simili inadem-
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omesso di dipanare una diversità di vedute tra le parti in ordine a una questione giuridica, benché avesse ampiamente tenuto conto del contraddittorio instauratosi al riguardo (106). In passato essa non aveva mai avuto l’occasione di esprimersi in proposito. Sembrava dunque essere arrivato il momento di potervi provvedere. Tale lacuna balza ancora più agli occhi ove si osservi che la perdurante centralità del principio di reciprocità nell’ordinamento internazionale è stata registrata da una parte del collegio. Il giudice Simma, nella sua opinione separata, ne ha evidenziato l’inerenza a un ordinamento giuridico, qual è quello internazionale, dotato di un modesto grado di istituzionalizzazione e di meccanismi di attuazione coercitiva del diritto assai rudimentali (107). Il giudice Bennouna, nella sua dichiarazione, ha criticato l’inerzia della Corte, sottolineando che avrebbero dovuto essere chiariti il ruolo e la portata dell’exceptio sia in generale sia in relazione agli specifici obblighi assunti dalle parti (108). Tanto meno la Corte ha provato a delimi-
pimenti. Così, l’art. 60 escluderebbe l’exceptio, quale misura protettiva operante nei confronti dei soli obblighi corrispondenti, la cui sedes materiae si trovi nel diritto dei trattati (Separate Opinion, cit., paragrafi 19, 21-22, 26, 29; per una posizione in parte analoga, sotto il profilo dell’inapplicabilità al caso di specie dell’exceptio a titolo di lex generalis, v. FONTANELLI, The Invocation of the Exception of Non-Performance: A Case-Study on the Role and Application of General Principles of International Law of Contractual Origin, Cambridge Journal of Int. and Comparative Law, 2012, p. 119 ss.). Tra i motivi alla base di questa ricostruzione, che per ammissione dello stesso giudice rovescia un’opinione personale maturata più di quarant’anni prima (Separate Opinion, cit., par. 22), rileva soprattutto il carattere tassativo delle cause di sospensione elencate dalla Convenzione di Vienna, così come disposto dall’art. 42, par. 2 (ibidem, par. 19). Ne discenderebbe (anche secondo la FYROM: Reply, cit., p. 155, paragrafi 5.64-5.65) che qualsivoglia sospensione dell’efficacia di un trattato o di una sua parte in risposta a una precedente violazione non possa che essere valutata in riferimento alle condizioni fissate dall’art. 60 della Convenzione di Vienna. Tuttavia, va osservato, la tassatività delle cause di sospensione prescritta dall’art. 42, par. 2, opera nei confronti della « suspension of the operation » di una o più norme pattizie, quando invece, abbiamo visto in precedenza, l’exceptio consente alla parte lesa meramente di astenersi dall’eseguire un obbligo corrispondente a quello violato. Pertanto, il limite principale della soluzione in esame è che l’art. 60 non ha, come sembrerebbe volersi intendere, l’effetto di sospendere la « performance » di un obbligo convenzionale (Separate Opinion, cit., par. 22), ma quello, ben più invasivo, di sospendere l’« operation » della relativa norma, rendendola giuridicamente inefficace nei confronti di entrambi i contraenti. (106) Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., p. 36, paragrafi 115-116 (per la posizione della Grecia), par. 117 (per quella della FYROM). L’opportunità di un intervento della Corte a risoluzione del conflitto insorto circa l’esistenza e il contenuto dell’exceptio è rilevata anche da GIANELLI, L’incerto, cit., pp. 154-155. (107) Separate Opinion, cit., par. 10. (108) Declaration, cit., par. 3.
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tare la nozione di exceptio, riferendosi invece ad essa « as it [was] defined by the Respondent » (109)! Del resto, non è da escludersi che la Corte internazionale di giustizia, quando afferma essere « unnecessary [...] to determine whether that doctrine forms part of contemporary international law » (110), sottintenda in ultima analisi una qualche apertura al riconoscimento dell’exceptio nell’ordinamento internazionale. Formule come questa in effetti non sono infrequenti nella sua giurisprudenza. In simili circostanze, essa sembrerebbe non chiudere del tutto la porta alla possibilità di rilevare, in termini generali, l’esistenza e il contenuto normativo, nel diritto internazionale, di una data situazione giuridica su cui non vi sia concordanza tra le parti (111). Inoltre, considerato che l’operatività dell’exceptio dipende dal contenuto delle norme convenzionali in causa e dalla sinallagmaticità dei relativi obblighi, sarebbe stato necessario procedere all’interpretazione del testo dell’Accordo onde verificare se l’obbligo incombente sulla Grecia in base all’art. 11, par. 1, fosse causalmente connesso — come la Grecia affermava (112), e la FYROM negava (113) — al divieto (109) Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., par. 161. La Grecia, si osservi, ha desunto a sua volta la definizione dalla dottrina: Counter-memorial, cit., p. 165, par. 8.8 e nota 417. (110) Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., par. 161. (111) È possibile ad esempio ritenere che l’analoga frase contenuta nella sentenza resa il 19 dicembre 2005 nel caso delle Attività armate sul territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda) (per la Corte non è necessario « respond to the contentions of the Parties as to whether and under what conditions contemporary international law provides for a right of self-defence against large-scale attacks by irregular forces »: I.C.J. Reports 2005, p. 168 ss., p. 223, par. 147) costituisca un revirement rispetto alla posizione di netta chiusura espressa nel precedente parere del 9 luglio 2004 sulle Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati (I.C.J. Reports 2004, p. 136 ss., p. 194, par. 139), con riguardo all’assai nota e controversa questione se la risposta armata da parte di uno Stato ad attacchi provenienti da entità non statali stanziate sul territorio di un altro Stato possa essere qualificata come legittima difesa. Su tale aspetto della sentenza v., per tutti, CANNIZZARO, La legittima difesa nei confronti di entità non statali nella sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso Congo c. Uganda, Rivista, 2006, p. 120 ss., pp. 121-122. (112) Cfr. Counter-memorial, cit., p. 31, par. 3.49, pp. 171-172, paragrafi 8.198.21, p. 179, par. 8.31, p. 191 ss., par. 8.52 ss., in cui la Grecia ha dichiarato di essersi impegnata a non opporsi all’ingresso della FYROM nelle organizzazioni internazionali di cui fosse membro, in quanto a sua volta la FYROM ha accettato, tra l’altro, di porre fine ai suoi atteggiamenti ostili: in tal senso, la corrispondenza permeerebbe di sé l’intero Accordo. Cfr. inoltre, e con specifico riferimento al divieto incombente sulla FYROM in forza dell’art. 7, par. 2, Rejoinder, cit., pp. 192-193, paragrafi 8.13-8.15, p. 201, par. 8.35: « [t]he interrelation between the FYROM’s insistence on [...] the use of the Sun of Vergina and the FYROM’s admission in international institutions is beyond peradventure of doubt ». (113) Cfr. Reply, cit., p. 150, par. 5.52, pp. 163-165, paragrafi 5.81-5.83. La FYROM ha anche precisato: « it cannot be argued that the Respondent was “pre-
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gravante sulla FYROM in forza dell’art. 7, par. 2 (114). Il punto è stato colto, ad esempio, dal giudice Bennouna (115). Né la Corte, a prescindere da qualsivoglia attività interpretativa, si è interrogata circa la concreta rilevanza dell’exceptio nella controversia di cui era investita, alla luce della natura giuridica della medesima. Trattandosi di una mera difesa di cui una parte contraente può giovarsi di fronte a una richiesta di adempimento avanzata dalla controparte, fintantoché quest’ultima a sua volta non si dimostri pronta a eseguire la propria prestazione, detta rilevanza sembrerebbe doversi escludere. Quando nel 2008 la Grecia si è opposta all’ingresso della FYROM nella NATO, la seconda tecnicamente non aveva domandato alla prima di assolvere l’obbligo di cui all’art. 11, par. 1, e, d’altro canto, aveva da tempo ripreso a uniformarsi al divieto sancito dall’art. 7, par. 2. Pertanto, la Grecia non avrebbe potuto eccepire l’inadempimento, da parte della FYROM, di un obbligo corrispondente a quello derivante dall’art. 11, par. 1. In definitiva, essa non sembrerebbe aver potuto agire con la convinzione che l’exceptio giustificasse temporaneamente la sua condotta in contrasto con l’Accordo. 9. Passiamo adesso a confrontare la facoltà di sospensione ex art. 60 della Convenzione di Vienna e le contromisure aventi ad oggetto obblighi generati da un accordo colpito da violazione. Va subito notato che — contrariamente a quanto sembra trapelare dalla pronuncia in esame e a quanto propugnato dall’orientamento che tende a ricollegare vented” from meeting its obligation under Article 11(1) of the Interim Accord as a “direct result” of an alleged prior breach of the Applicant » (p. 161, par. 5.76). Tuttavia, va notato, secondo la FYROM alcuni degli obblighi pattizi, di cui la Grecia lamentava la violazione, sinallagmatici rispetto a quello derivante dall’art. 11, sarebbero stati assunti al contempo da entrambe le parti. Pertanto, essi non avrebbero potuto essere dovuti dalla sola FYROM in cambio di un obbligo imposto alla Grecia. Tra loro però non figura il divieto sancito dall’art. 7, par. 2 (pp. 163-164, par. 5.82), a dimostrazione di come esso in principio possa considerarsi corrispettivo all’obbligo di cui all’art. 11. Oltretutto la FYROM ha ammesso che se mai un obbligo fosse stato inteso dalle parti come sinallagmatico rispetto a quello discendente dall’art. 11, par. 1, questo era proprio l’obbligo di rimuovere dalla sua bandiera nazionale il simbolo della Stella di Vergina dispiegato prima dell’entrata in vigore dell’Accordo (p. 164, nota 376). L’art. 7, par. 2, vieta l’uso di tale simbolo « in any way », non solo dunque nella predetta bandiera, ma anche altrove, ad esempio da parte dell’esercito macedone. (114) Qualche apertura in tal senso proviene dalla FORLATI, Reactions, cit., p. 769, ancorché in riferimento all’Accordo nel suo insieme. (115) V. Declaration, cit., par. 7, secondo cui il divieto imposto alla Grecia di opporsi all’ammissione della FYROM alla NATO sarebbe legato dal nesso del sinallagma esclusivamente rispetto all’obbligo della FYROM di aderire alle organizzazioni di cui la Grecia sia membro adoperando la designazione provvisoria in uso presso le Nazioni Unite, prescritto dall’art. 11, par. 1, seconda frase.
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la facoltà di sospensione di un accordo per inadempimento altrui al regime della responsabilità statale per fatto illecito, ravvisando nell’atto che ne costituisce l’esercizio una forma di contromisura nei confronti dell’autore dell’inadempimento (116), in una sorta di rapporto di genere a specie (117) — secondo l’opinione oggi prevalente tale facoltà presenterebbe un contenuto giuridico autonomo rispetto all’istituto della contromisura (118).
(116) Si veda lo studio, ancora centrale nella letteratura italiana a sostegno dell’indicata posizione, di PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione, cit., p. 328 ss. In senso anche solo in parte analogo, v. LATTANZI, Sanzioni internazionali, in Enciclopedia del diritto, vol. XLI, Milano, 1989, p. 536 ss., pp. 537, 542; SICILIANOS, The Relationship, cit., pp. 358-359; YAHI, La violation, cit., passim; FOCARELLI, Le contromisure nel diritto internazionale, Milano, 1994, pp. 267 ss., 333 ss., 381 ss., 495 ss.; DUPUY, Droit, cit., p. 7 ss. Nella stessa direzione sembra muovere, più di recente, SALERNO, Diritto, cit., pp. 195-196. (117) Una parte della dottrina — considerato che le contromisure, per loro natura e per le loro finalità, devono essere reversibili e temporanee (art. 49, paragrafi 2-3, dell’articolato sulla responsabilità statale), dunque vanno revocate non appena sia cessato l’illecito alla loro origine — ritiene che solo i provvedimenti sospensivi ne costituiscano una specificazione, non anche i provvedimenti risolutivi (com’è invece sostenuto dalla gran parte degli autori citati nella nota precedente). Questi ultimi, essendo irreversibili e definitivi, potrebbero essere adottati esclusivamente in base all’art. 60 della Convenzione di Vienna. V. FOCARELLI, Lezioni di diritto internazionale, vol. I, Padova, 2008, p. 172; CONFORTI, Diritto internazionale8, Napoli, 2010, p. 389. Per alcune aperture in tal senso v. inoltre KIRGIS, Some, cit., pp. 560 ss., 562, 566; WECKEL, Convergence, cit., p. 666; e, all’esito di un’analisi assai articolata, GRADONI, Regime failure nel diritto internazionale, Padova, 2009, p. 192 ss. Contra GIANELLI, Adempimenti, cit., pp. 626, 631, secondo cui le contromisure a carattere definitivo, quali quelle « esecutive », sarebbero in astratto ammissibili. A queste sarebbe equiparabile l’estinzione del trattato che pone l’obbligo inadempiuto dalla controparte. In tal senso, v. altresì PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione, cit., pp. 320-321; SICILIANOS, The Relationship, cit., pp. 355-356. (118) V. SIMMA, Reflections, cit., p. 5 ss.; CAPOTORTI, L’extinction, cit., p. 548 ss.; ZOLLER, Peacetime, cit., passim; DE GUTTRY, Le rappresaglie non comportanti la coercizione militare nel diritto internazionale, Milano, 1985, p. 42 ss., spec. pp. 48-49; SCHACHTER, International Law in Theory and Practice, Dordrecht, 1991, p. 190; CAMPIGLIO, Il principio, cit., pp. 254-255; GOMAA, Suspension, cit., p. 118 ss.; GIANELLI, Adempimenti, cit., p. 159 ss.; ID., Aspects, cit., p. 791 ss.; CANNIZZARO, Il principio della proporzionalità nell’ordinamento internazionale, Milano, 2000, pp. 393-394; GAJA, Trattati, cit., p. 363; CRAWFORD, OLLESON, The Exception, cit., pp. 65-66; FORLATI, Diritto, cit., p. 63 ss.; VILLIGER, Commentary, cit., p. 738. Altri autori, avvicinandosi a tale corrente di pensiero da una diversa prospettiva, individuano nel sinallagma convenzionale il fondamento giuridico delle misure di sospensione dei trattati per inadempimento altrui. Queste ultime sarebbero autonome rispetto alla categoria delle contromisure, perché inapplicabili a rapporti giuridici diversi da quelli di natura sinallagmatica. V. FORLATI PICCHIO, La sanzione nel diritto internazionale, Padova, 1974, pp. 9 ss., 71 ss.; in adesione, PIETROBON, Il sinallagma negli accordi internazionali, Padova, 1999, p. 308 ss. Prossima a questa ricostruzione è la teoria che áncora la facoltà di sospensione al principio di reciprocità, la cui radice risiederebbe nel diritto interno in materia di contratti, quando invece le contromisure costituirebbero un istituto tipico
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Così d’altronde sembra essersi espressa la Corte dell’Aja nella sentenza relativa al Progetto Gabčíkovo-Nagymaros, quando ha affermato che la violazione di un trattato bilaterale ne giustifica solo a certe condizioni la sospensione, mentre consente più ampiamente il ricorso a contromisure (119), anche incidenti sul trattato violato (120). Un approccio analogo è stato adottato dalla Commissione del diritto internazionale, durante i lavori di codificazione del diritto dei trattati (121) e della responsabilità statale per fatto illecito (122). del diritto internazionale. V. DECAUX, La réciprocité en droit international, Paris, 1980, pp. 221 ss., 257 ss. (119) Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., p. 65, par. 106. (120) Ibidem, p. 67, par. 110. Secondo la Corte, la costruzione della c.d. Variante C da parte della Slovacchia, in violazione dell’accordo bilaterale concluso nel 1977 con l’Ungheria, in linea di principio avrebbe potuto essere giustificata a titolo di contromisura, alla luce del precedente ripudio dell’accordo da parte ungherese. (121) Il relatore Fitzmaurice (cfr. Second Report on the Law of Treaties, cit., pp. 28-32 (per il testo degli articoli 16-20), 48-56 (per i rispettivi commenti); Fourth Report on the Law of Treaties, cit., pp. 45 ss. (articoli 18, 20, 34-39), 66-71, 80-81) ha affrontato il tema delle interazioni tra le varie misure (compresa l’exceptio, su cui v. il paragrafo precedente) in modo molto dettagliato, prospettando, principalmente in ordine ai trattati bilaterali, la risoluzione solo in presenza di una violazione fondamentale (art. 37, lett. c)); l’inesecuzione di un obbligo pattizio equivalente o corrispondente a quello violato, in base al principio di reciprocità, a prescindere dalla gravità dell’inadempimento originario (articoli 20, 37, lett. d)); e l’inosservanza di un obbligo non corrispondente prodotto dal trattato violato, di un obbligo derivante da un trattato diverso da quello violato o da una norma consuetudinaria, a titolo di rappresaglia (articoli 18, 37, lett. f)). A quest’ultima secondo Fitzmaurice poteva ricorrersi soltanto qualora l’inosservanza di un obbligo equivalente o corrispondente « would not afford an adequate remedy, or would be impracticable » (art. 18, par. 1), sempreché fossero stati presi determinati accorgimenti preventivi e la contromisura fosse « necessary in the circumstances, in order to provide adequate redress or avoid further prejudice » (art. 18, paragrafi 3-4, art. 39). Com’è noto, le proposte di Fitzmaurice, finalizzate all’organizzazione dei rapporti tra i rimedi alla violazione di norme convenzionali, furono abbandonate nel prosieguo dell’elaborazione della Convenzione di Vienna. Il successivo rapporteur, Waldock, non affrontò il problema, tralasciando molte delle questioni sollevate dall’inesecuzione dei trattati. (122) Le proposte sintetizzate nella nota precedente furono riprese dalla Commissione nel corso dei lavori in materia di responsabilità statale, i quali sfociarono in alcune sistemazioni delle relazioni tra i vari istituti al fine soprattutto di definire la nozione di contromisura. In particolare, ciò si deve al progetto di articoli presentato dal relatore Riphagen, evidentemente influenzato dalle soluzioni escogitate da Fitzmaurice, in specie nella parte in cui, come abbiamo visto in precedenza (ante, nota 87), lasciava impregiudicate le norme della Convenzione di Vienna sulle conseguenze di una violazione, introducendo invece un regime, intermedio rispetto alle contromisure, consistente nella « suspension of the performance » degli obblighi verso lo Stato responsabile — corrispondenti a quelli violati — « by way of reciprocity », indipendentemente dalla loro natura pattizia o consuetudinaria. A tali misure si sarebbe potuto ricorrere anche nei casi di violazione non fondamentale (Fourth Report on the Content, Forms and Degrees of International Responsibility, cit., p. 18, par. 98, p. 23, paragrafi
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Ora, cominciando dagli aspetti cruciali dell’indicata impostazione, l’autonomia della facoltà di sospensione per inadempimento si dovrebbe anzitutto al diverso scopo perseguito dal contraente leso attraverso la reazione (123). L’inosservanza di un trattato a titolo di contromisura è diretta in linea di principio a esercitare pressioni sullo Stato per primo inadempiente per indurlo a cessare l’illecito e riparare il pregiudizio causato (oltre che, se del caso, fornire adeguate garanzie di non ripetizione), cioè a ripristinare lo status quo ante, riprendendo l’effettiva esecuzione del trattato e/o risarcendo il danno. Essa persegue principalmente uno scopo coercitivo. Ne discende che vi si ricorrerà qualora permanga l’interesse a ricevere dalla controparte l’attuazione del trattato che ha subìto la violazione. La facoltà di sospensione in base al diritto dei trattati è invece primariamente finalizzata a restaurare « al ribasso » l’equilibrio, turbato dalla violazione, del complesso delle 123 e 126; Sixth Report on the Content, Forms and Degrees of International Responsibility, cit., pp. 10-11, 15). La divaricazione tra contromisure e misure di reciprocità, e più in generale la questione delle interazioni tra sospensione, estinzione e contromisure, come suggerita da Riphagen, fu abbandonata nel prosieguo dei lavori della Commissione, tanto che non ve n’è traccia nel progetto approvato in prima lettura nel 1996. Il successivo rapporteur, Arangio-Ruiz, riservava ampio spazio ai rapporti tra sospensione e risoluzione, da un lato, e contromisure, dall’altro, ricordando che queste ultime potevano seguire alla violazione di obblighi anche non convenzionali. Egli evidenziava come la Convenzione di Vienna, all’art. 60, coprisse solo un aspetto della disciplina (la sospensione e l’estinzione di un trattato a causa della sua violazione sostanziale, non contemplando « the regime of all the measures that can be resorted to in connection with a breach of a given treaty; or the regime of the various measures (suspension and termination included) which may be resorted to in connection with the infringement of any obligation arising from any rule of international law »: Third Report on State Responsibility, Yearbook of the Int. Law Commission, 1991, vol. II, 1, p. 1 ss., p. 23, paragrafi 72-73), non esaurendola, e lasciando aperto il problema di determinare il regime applicabile alla sospensione e alla risoluzione al di fuori della fattispecie ivi regolata. Tale problema avrebbe dovuto essere affrontato alla luce dei principi vigenti nel comparto delle contromisure, per cui andava verificato se i limiti previsti in generale per l’adozione di queste ultime potessero applicarsi anche ai suddetti istituti. Secondo Arangio-Ruiz, mentre la sospensione e l’estinzione dichiarate in circostanze diverse dalla violazione sostanziale di un trattato avrebbero dovuto essere considerate alla stregua di contromisure, il loro regime avrebbe potuto variare rispetto a quello ordinario, in funzione della loro natura. Tuttavia, non fu predisposta alcuna disposizione al riguardo (ibidem, pp. 11-14, 22-25, paragrafi 26 ss., 28 ss., 33 ss., 69 ss.). Anche l’ultimo relatore, Crawford, riprese sul piano teorico la distinzione tra i due rimedi in discorso (Third Report on State Responsibility, cit., pp. 86-87, paragrafi 324-325). (123) V. SIMMA, Reflections, cit., pp. 11 ss., 19 ss., 49 ss.; FORLATI PICCHIO, La sanzione, cit., p. 76 ss.; DE GUTTRY, Le rappresaglie, cit., pp. 45-46. Sui vari scopi che lo Stato leso persegue, o può perseguire, reagendo alla violazione di un obbligo pattizio dovuto nei suoi confronti, v. gli studi del rapporteur Arangio-Ruiz: Third Report on State Responsibility, cit., pp. 15-16, paragrafi 39-45; Fourth Report on State Responsibility, Yearbook of the Int. Law Commission, 1992, vol. II, 1, p. 1 ss., pp. 6-8, paragrafi 3-5.
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reciproche posizioni giuridico-soggettive delle parti (124), sollevando la parte lesa dai vincoli derivanti dal trattato una volta cessati i relativi vantaggi. Essa procura direttamente una forma di riparazione, anziché premere sull’autore dell’illecito affinché vi provveda. Perciò, persegue innanzitutto uno scopo riparatorio (125). Ne consegue che vi si ricorrerà allorquando la violazione sia tale da rendere assai improbabile, nel breve periodo, la ripresa dell’esecuzione del trattato (126). Un altro aspetto, a nostro avviso centrale, attiene agli effetti giuridici dei due rimedi (127). A conclusione dei lavori di codificazione della responsabilità statale per fatto illecito (anche se, si osservi, il punto era già stato valorizzato nel corso degli analoghi lavori in materia (124) V. CANNIZZARO, Corso, cit., p. 184, che parla di una « reazione di carattere normativo », tesa, attraverso la temporanea cessazione degli effetti del trattato, a « realizzare, ad un diverso livello, l’equilibrio normativo che si riflette nel trattato e che è stato alterato dalla violazione ». Al contrario, quando un contraente non si premuri di sospendere il trattato ma « reagisca [...] direttamente con un comportamento di tipo materiale, la reazione non è di carattere normativo ma si colloca piuttosto nel campo della responsabilità internazionale ». Così già SIMMA, Reflections, cit., pp. 20, 55; CAPOTORTI, L’extinction, cit., p. 549; GOMAA, Suspension, cit., p. 118 ss. (125) In proposito, FORLATI PICCHIO, La sanzione, cit., p. 76 ss., fa opportunamente notare che, sebbene la facoltà di sospensione ai sensi dell’art. 60 della Convenzione di Vienna possa in principio essere pure destinata a premere sull’autore della violazione per costringerlo a cambiare atteggiamento (in adesione, YAHI, La violation, cit., p. 447; GOMAA, Suspension, cit., pp. 119-120; FORLATI, Diritto, cit., pp. 104-105, specie in riferimento alla sospensione parziale, dato l’ampio margine di apprezzamento lasciato allo Stato leso nel decidere quali e quante norme sospendere e la scarsa importanza attribuita dallo Stato responsabile alla disposizione violata, sicché la sospensione di disposizioni diverse appare maggiormente in grado di indurlo a riconsiderare la sua posizione e riprendere l’esecuzione del trattato), a risultati simili può approdarsi anche tramite l’inosservanza, a titolo di contromisura, di norme contenute in un trattato diverso da quello violato, se non di norme consuetudinarie. Il risultato tipico esclusivamente delle misure basate sull’art. 60 sta invece nella liberazione temporanea o definitiva della parte lesa dagli obblighi derivanti dal trattato colpito da violazione. È l’attitudine a provocare tale conseguenza il fattore caratterizzante la sospensione ex art. 60, come rimedio autonomo nell’ambito della categoria generale delle reazioni all’illecito. (126) Contra, per le difficoltà che tale distinzione incontra dal punto di vista sia pratico che teorico, poiché entrambe le misure avrebbero sempre in sé la duplice finalità di sanzioni privative per la parte inadempiente e autotutela riparatoria per la parte lesa, v. PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione, cit., pp. 316-317, 322-323; STROZZI, Il diritto, cit., pp. 112-113. Segnala invece l’inesistenza di un fine internazionalmente rilevante per le contromisure FOCARELLI, Le contromisure, cit., p. 426 ss. (127) V. SIMMA, Reflections, cit., p. 55; CRAWFORD, OLLESON, The Exception, cit., pp. 65-66. Enfatizza pressoché unicamente questo elemento distintivo GIANELLI, Adempimenti, cit., pp. 161-162, la quale però poi è portata a evidenziare che « tale ricostruzione, se appare corretta sul piano teorico, sembra comunque non troppo significativa dal punto di vista delle conseguenze » materiali, dal momento che « le varie misure [...] si risolvono tutte in condotte contrarie a quanto previsto da determinate norme » (così già PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione, cit., p. 329). Della stessa a. v. inoltre Aspects, cit., pp. 798-799.
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di diritto dei trattati (128)), la Commissione del diritto internazionale, aderendo alla tesi prospettata da Riphagen (129) e ripresa da Crawford (130), ha opportunamente ricordato che, come abbiamo rilevato in precedenza (131), la sospensione ex art. 60 della Convenzione di Vienna incide sull’efficacia delle norme pattizie, le quali cessano di produrre i loro effetti nei rapporti tra i contraenti fin quando non ne venga meno la causa e si provveda a riattivarle. Le parti non possono pretendere l’attuazione delle posizioni soggettive attive accordate loro dalle previsioni sospese, né essere chiamate a rispondere dei comportamenti difformi dalle posizioni soggettive passive imposte loro dalle medesime (132). Al contrario, ha osservato la Commissione, una condotta divergente dal trattato assunta a titolo di contromisura non ne sospende gli effetti, non opera cioè sul piano dell’efficacia del trattato — il quale continua a rimanere in vigore e vincolare le parti —, ma costituisce l’oggetto di una causa di esclusione dell’illiceità dell’inadempimento, ed opera sul diverso piano della responsabilità interstatale. La parte che l’assume è tenuta a giustificare l’inesecuzione riferendosi alle condizioni di legittimità delle contromisure fintantoché essa perdura, dal momento che si tratta della violazione materiale di una norma di diritto internazionale (133). A riprova si può richiamare l’art. 49, par. 2, del progetto definitivo di articoli sulla responsabilità statale, a norma del quale le contromisure consistono nel « non rispetto » temporaneo di obblighi internazionali dello Stato che agisce nei confronti dello Stato responsabile. Pertanto, mentre la sospensione preclude il verificarsi di un inadempimento, giacché eventuali atteggiamenti in contrasto con un trattato sospeso sono in sé del tutto leciti, operando come (128) In particolare dal rapporteur Fitzmaurice, negli studi dedicati all’inesecuzione di norme convenzionali: Fourth Report on the Law of Treaties, cit., p. 41, par. 8, p. 62, par. 55. (129) Cfr. Fourth Report on the Content, Forms and Degrees of International Responsibility, cit., p. 17, paragrafi 92-93. (130) Cfr. Third Report on State Responsibility, cit., pp. 86-87, par. 324. (131) Ante, passo del testo che fa capo alla nota 83. (132) In ogni caso, durante il periodo in cui sono sospese, le disposizioni pattizie preservano il proprio valore normativo, tant’è che riacquistano vigore una volta revocata la sospensione e le parti devono astenersi dal compiere qualsiasi atto che possa ostacolare la ripresa della loro applicazione (art. 72, par. 2, della Convenzione di Vienna). L’art. 72 della Convenzione di Vienna stabilisce inoltre che è l’applicazione del trattato, o parte di esso, ad essere sospesa, non il trattato in sé. (133) V. l’introduzione al capitolo del progetto definitivo di articoli sulla responsabilità statale dedicato alle contromisure e il commentario all’art. 22: Report of the International Law Commission on the Work of Its Fifty-third Session, cit., p. 71, paragrafi 3 e 7, pp. 75-76, p. 128, par. 4. Anche la FYROM, nei suoi pleadings, ha sposato tale ricostruzione: Memorial, cit., p. 101, par. 5.41.
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reazione di carattere normativo, la contromisura — che invece configura una reazione di carattere materiale, prescindendo dalla previa sospensione del trattato in causa — consiste nell’inadempimento di un obbligo convenzionale, perfettamente vigente ed efficace (134). In quest’ultima ipotesi, il trattato, anche qualora venga ripetutamente violato, continua a disciplinare i rapporti tra i contraenti (135). A confermare la fisionomia propria e distinta della facoltà di sospensione interviene poi la sua fonte. Le contromisure si fondano sul diritto internazionale generale in materia di responsabilità per fatto illecito, dunque su norme secondarie, operanti potenzialmente in relazione a qualunque settore. Al contrario, la base giuridica della facoltà di sospensione va ricercata tra le norme primarie del diritto dei trattati, come codificate dalla Convenzione di Vienna (136), in quanto corollario del principio inadimplenti non est adimplendum (137). In aggiunta, può ricordarsi l’oggetto. A titolo di contromisura uno Stato può rifiutarsi di rispettare una norma originata da una fonte diversa da quella violata, purché si conformi al criterio della proporzionalità (138). A titolo di sospensione per inadempimento, invece, una parte contraente può rifiutarsi di eseguire, anche se in tutto o in parte, esclusivamente il trattato violato (139), e solo in via del tutto eccezionale
(134) V. GIANELLI, L’incerto, cit., p. 153. (135) È questa la posizione della Corte dell’Aja: cfr. Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., p. 63, par. 101, p. 68, par. 114 (in cui la Corte ha affermato che l’accordo bilaterale tra Slovacchia e Ungheria, malgrado le numerose violazioni compiute dalle parti, fosse rimasto in vigore, stante l’insussistenza dei presupposti giuridici dell’estinzione o della sospensione), p. 76, par. 133. (136) Anche il giudice Simma ha ricordato che la facoltà di cui all’art. 60 e le contromisure, ancorché agli effetti pratici possano confondersi, riposano tuttavia su fonti normative diverse: Separate Opinion, cit., p. 1, p. 7, par. 20. (137) V. SIMMA, Reflections, cit., pp. 35-37; CAPOTORTI, L’extinction, cit., pp. 548-549; WEIL, Droit, cit., p. 531. Contra DUPUY, Droit, cit., pp. 22-23, secondo cui l’art. 60, disciplinando le conseguenze di un comportamento antigiuridico, enuncerebbe una norma secondaria. (138) Così anche Arangio-Ruiz, Third Report on State Responsibility, cit., p. 23, par. 72. La prassi peraltro dimostra che nella maggior parte dei casi le contromisure sono contraddistinte dall’asimmetria tra la regola violata dal fatto illecito e quella violata dalla reazione: v. FOCARELLI, Le contromisure, cit., p. 13 ss., passim. (139) Ad ogni modo quindi non c’è equivalenza, ma trascendenza del singolo caso concreto, perché lo Stato reagente può decidere di sospendere qualunque disposizione o anche tutte le disposizioni pattizie in risposta alla violazione di una sola di esse. Com’è noto, ai sensi dell’art. 44, par. 2, della Convenzione di Vienna, l’art. 60 enuclea l’unica causa di sospensione dei trattati che, per sua natura, può essere fatta valere liberamente sia sul trattato in blocco sia su determinate disposizioni, senza le limitazioni inerenti alla divisibilità e all’integrità stabilite dall’art. 44, par. 3.
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un trattato diverso ma interdipendente (140). Invero, tutte le disposizioni della Convenzione di Vienna in tema di sospensione per inadempimento si applicano ad un ambito ben determinato: quello in cui tanto la violazione quanto la reazione si situino all’interno dello stesso strumento normativo (141). Un’altra differenza risiede nel presupposto materiale della loro applicazione (nel senso della natura della disposizione violata e dei caratteri dell’inadempimento). Le contromisure sono praticabili in risposta alla violazione di qualunque norma internazionale (consuetudinaria e convenzionale), anche se si tratti di una violazione non sostanziale (142), mentre la sospensione di cui all’art. 60 può operare solo in presenza della violazione sostanziale di una o più norme pattizie (143). Quanto poi al requisito della proporzionalità, mentre le contromisure devono essere proporzionate solo quantitativamente, secondo alcuni autori l’esercizio della facoltà di sospensione per inadempimento deve informarsi a un criterio di proporzionalità anche qualitativo nella selezione delle previsioni normative suscettibili di essere prese di mira (144). (140) V. SIMMA, Reflections, cit., pp. 21-22; FORLATI PICCHIO, La sanzione, cit., p. 79 ss. Anche chi tende a equiparare i due regimi finisce per ammettere quanto riferito nel testo: v. SICILIANOS, The Relationship, cit., p. 354. Del resto, la Convenzione di Vienna, all’art. 2, par. 1, lett. a), definisce un trattato come un accordo contenuto in due o più strumenti connessi. Contra PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione, cit., pp. 318-319. (141) Alcuni autori fanno osservare che l’inadempimento di una norma convenzionale il cui contenuto corrisponda a quello di una norma consuetudinaria porta a conseguenze diverse a seconda che lo Stato vittima decida di provvedervi a titolo di contromisura o avvalendosi della facoltà di cui all’art. 60. Nella prima ipotesi esso può liberamente disattendere al contempo entrambe le norme. Nella seconda, invece, solo la norma pattizia, rimanendo detto Stato tenuto all’osservanza della corrispondente norma consuetudinaria. V. DE GUTTRY, Le rappresaglie, cit., pp. 47-48. Un cenno in proposito si trova anche nella giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia: cfr. Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua, sentenza cit., p. 95, par. 178. (142) V. più ampiamente il paragrafo seguente. (143) V. SIMMA, Reflections, cit., p. 62; FORLATI, Diritto, cit., p. 64 ss. Anche la Commissione del diritto internazionale ha valorizzato tale elemento distintivo: Report of the International Law Commission on the Work of Its Fifty-third Session, cit., p. 117, par. 4. Il presupposto al ricorrere del quale è ammessa la reazione di cui all’art. 60 è dunque più rigoroso di quello previsto dal regime della responsabilità statale, il quale offre ai soggetti lesi margini di manovra più ampi. (144) V. SIMMA, Reflections, cit., pp. 21-22. In adesione, FORLATI PICCHIO, La sanzione, cit., p. 92; SICILIANOS, The Relationship, cit., p. 353. Lo specifico approccio sopra indicato riguardo al criterio in esame è stato seguito da Riphagen (Sixth Report on the Content, Forms and Degrees of International Responsibility, cit., p. 11), da Arangio-Ruiz (Third Report on State Responsibility, cit., p. 24, par. 77), oltre che dalla Commissione del diritto internazionale in sede di commento all’articolato definitivo in materia di responsabilità statale (Report of the International Law Commission on the
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Un ultimo aspetto attiene agli adempimenti preventivi dettati dagli articoli 65-68 della Convenzione di Vienna, i quali appaiono meno gravosi e stringenti di quelli richiesti per l’adozione delle contromisure (145). Com’è noto, ai sensi dell’art. 52, par. 1, lettere a) e b), del progetto definitivo di articoli sulla responsabilità degli Stati (inteso qui come dato normativo di riferimento e a prescindere dalla sua corrispondenza al diritto generale), affinché sia legittimato ad agire in contromisura (anche qualora voglia disattendere il trattato colpito dalla violazione a cui intende reagire), lo Stato leso deve invitare lo Stato responsabile ad assolvere gli obblighi derivanti dal fatto illecito, nonché comunicargli la propria decisione di prendere una contromisura, offrendo di negoziare (146). La procedura istituita dalla Convenzione di Vienna, invece, è stata già sintetizzata in precedenza (147). Conviene qui soltanto precisare che, per com’è strutturata, tramite la notifica con cui essa si apre la parte lesa « non rivolge alla controparte l’invito a eseguire una prestazione [...], né fa dipendere dalla condotta dello Stato destinatario l’applicazione o meno delle reazioni », come è tipico invece del sistema delle contromisure. Al contrario, tale parte « si limita a comunicare la propria volontà di avvalersi di uno fra i rimedi » previsti dalla Work of Its Fifty-third Session, cit., p. 129, par. 5). Nel caso dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio la FYROM ha sostenuto che il principio della proporzionalità non fosse stato rispettato dalla pretesa azione in contromisura della Grecia: « excluding the Applicant from NATO, potentially for a significant period of time, given the process for admission, would be a vast and disproportionate overreaction by the Respondent to any of the temporary, isolated or minor issues that occasionally have arisen in the course of relations between the two Parties under the Interim Accord » (Memorial, cit., p. 105, par. 5.51). Al contrario, il giudice ad hoc Roucounas ha affermato: « the measure adopted by the Respondent satisfies the condition of proportionality, taking into account the full extent of the injury suffered on account of the violations of Articles 5, 6, 7 and 11 of the Interim Accord » (Dissenting Opinion, cit., par. 74). (145) Così GIANELLI, Adempimenti, cit., p. 617 ss.; FORLATI, Reactions, cit., p. 764. L’opinione contraria all’autonomia della facoltà di sospensione ex art. 60, invece, riconduce quest’ultima nella categoria delle contromisure anche alla luce delle rispettive condizioni di ammissibilità, dal momento che per entrambe sarebbe richiesto, dal diritto internazionale generale, il previo tentativo di ottenere l’adempimento e di dirimere attraverso mezzi amichevoli la controversia che dovesse eventualmente insorgere: v. PISILLO MAZZESCHI, Risoluzione, cit., p. 339; SICILIANOS, The Relationship, cit., p. 348 ss. In senso analogo, ma dall’opposta visuale dell’inesistenza di un obbligo consuetudinario di svolgere attività preliminari, v. FOCARELLI, Le contromisure, cit., p. 360 ss. (146) Si tratta di adempimenti che la Grecia, secondo la FYROM (e chi scrive), avrebbe ignorato (Memorial, cit., p. 102 ss., par. 5.43 ss.), astenendosi dal comunicarle, prima del summit di Bucarest, l’intenzione di opporsi al suo ingresso nella NATO a titolo di contromisura. (147) Ante, il passo del testo successivo alla nota 60. La prospettiva indicata è valorizzata anche da SIMMA, Reflections, cit., pp. 13-14, 79-83. Più di recente, v. SBOLCI, Obblighi, cit., pp. 283 ss., 320 ss. (cui si rinvia anche per alcuni approfondimenti sulla prassi successiva alla Convenzione di Vienna a supporto della medesima prospettiva).
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Convenzione (148). Nel caso della sospensione per inadempimento, la facoltà di dare materialmente corso alla reazione non è condizionata, diversamente dall’ipotesi delle contromisure, dal comportamento dello Stato cui è indirizzata la comunicazione (149). La notifica dunque forma oggetto di una condizione di ammissibilità assai meno onerosa di quelle riconnesse all’adozione delle contromisure, giacché la liceità del rimedio di cui all’art. 60 della Convenzione di Vienna non dipende dal mancato accoglimento di una preventiva richiesta da parte dello Stato destinatario (150). In conclusione, dall’analisi che precede si ricava una sostanziale diversità di contenuti dei regimi giuridici presi in considerazione, aspetto questo completamente ignorato dalla Corte internazionale di giustizia nel caso dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio, la cui decisione suscita l’impressione che, nell’opinione del collegio, si tratti piuttosto di regimi tendenzialmente equivalenti. 10. Secondo la tesi largamente dominante, le contromisure consistenti nell’inadempimento di obblighi pattizi preservano uno spazio di operatività autonoma in caso di violazione non sostanziale di un accordo, nonostante l’entrata in vigore dell’art. 60 della Convenzione di Vienna, il quale non disciplina le forme di reazione consentite in simili ipotesi. Una significativa conferma proviene dall’art. 73 della Convenzione, da cui può ragionevolmente dedursi che un trattato possa essere disatteso, per motivi diversi dalla violazione sostanziale (e dagli altri elencati nella parte V, sezione III, della Convenzione), nel quadro del diritto della responsabilità per fatto illecito. Nelle ipotesi indicate, poi, le contromisure coabitano con l’inesecuzione dell’obbligo convenzionale corrispondente a quello violato, in virtù dell’exceptio inadimpleti contractus (151). (148) GIANELLI, Adempimenti, cit., p. 617 ss. (il brano riportato nel testo è tratto dalla p. 620), cui si rinvia anche per l’esame della prassi rilevante. (149) V. ancora GIANELLI, Adempimenti, cit., p. 535. (150) Tant’è che, secondo una parte della dottrina, lo Stato che ha proceduto alla notifica resterebbe libero di adottare, nei confronti dell’accordo in causa, la misura proposta, anche qualora l’espletamento della procedura conciliativa prevista dall’art. 66, lett. b), della Convenzione di Vienna e dall’allegato alla Convenzione, al fine di risolvere la controversia sorta tra i contraenti rispetto all’esistenza della causa di sospensione, non abbia consentito di raggiungere una soluzione concordata, sempreché esso abbia agito in buona fede. V. GAJA, Trattati, cit., p. 367; SBOLCI, Obblighi, cit., p. 207 ss.; RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale3, Torino, 2009, p. 217; CANNIZZARO, Corso, cit., p. 187; CIAMPI, Invalidity, cit., p. 362. (151) In dottrina si tende a evidenziare come, non prescrivendo alcunché al riguardo, la Convenzione di Vienna non incida sulla facoltà della parte lesa di ricorrere
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Un problema più delicato è invece se la facoltà di ricorrere a contromisure sopravviva (ed eventualmente a quali fini) di fronte alla violazione sostanziale di un accordo bilaterale. In proposito va ricordato che, stando all’art. 72 della Convenzione di Vienna, la sospensione dell’applicazione di un accordo in conformità all’art. 60 non elimina la violazione in sé, né reca effetti retroattivi, né ancora incide sui rapporti giuridici tra le parti, così come instaurati e governati dall’accordo prima che essa abbia avuto luogo. Lo Stato contraente che ha esercitato la relativa facoltà sembrerebbe restare giocoforza legittimato a pretendere, in base al diritto generale in materia di responsabilità per fatto illecito, la riparazione dei danni sofferti a causa della violazione e, se del caso, prendere le contromisure a tal fine necessarie — anche investendo le norme contenute nel trattato violato, specie se significative per lo Stato responsabile — sempreché siano proporzionate alla violazione (152). Tali contromisure continueranno a essere praticabili qualora la controparte non provveda spontaneamente a riparare il danno procurato dalla violazione (anche laddove la facoltà di sospendere l’accordo non sia stata esercitata o sia stata oggetto di rinuncia), nonché allo scopo di dare attuazione agli obblighi convenzionali che non siano a contromisure aventi ad oggetto norme contenute nel trattato violato, scindibili rispetto al resto, purché sia rispettato il criterio della proporzionalità. V. MORELLI, Nozioni, cit., p. 327; SIMMA, Reflections, cit., pp. 59-60; DECAUX, La réciprocité, cit., pp. 310-311; KIRGIS, Some, cit., pp. 572-573; SCHACHTER, International, cit., pp. 190-191; WEIL, Droit, cit., p. 532; CAMPIGLIO, Il principio, cit., pp. 269-270; REUTER, Introduction, cit., p. 173; CANNIZZARO, Il principio, cit., p. 394 e nota 79. Più di recente, SIMMA, TAMS, Article 60, cit., p. 2174; BARIATTI, L’accordo, cit., p. 121; FITZMAURICE (M.), Treaties, in Max Planck Encyclopedia of Public Int. Law, 2012, par. 74 (www.mpepil.com). Anche per la Commissione del diritto internazionale l’inosservanza di una norma pattizia fuori dalla portata dell’art. 60 è da classificarsi tra le contromisure. Ciò dipenderebbe dall’inquadramento della relativa nozione nel progetto definitivo di articoli sulla responsabilità degli Stati per fatto illecito. Per i lavori della Commissione sul punto, si veda il Third Report on State Responsibility del relatore Arangio-Ruiz, cit., p. 23, par. 75. Tracce significative dell’indicato approccio si rinvengono inoltre nei lavori di codificazione del diritto dei trattati: cfr., del relatore Fitzmaurice, Second Report on the Law of Treaties, cit., pp. 30, 53, paragrafi 116 e 121; Fourth Report on the Law of Treaties, cit., pp. 45-46 e 66-71 (articoli 18, 20 e rispettivi commenti), pp. 49-50 e 80-81 (articoli 34-37 e relativi commenti). Nella giurisprudenza della Corte dell’Aja, cfr. Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., p. 67, par. 110. Nella prassi precedente è degno di nota l’affare sui Servizi aerei, in cui il collegio arbitrale riconobbe agli Stati Uniti la facoltà di prendere contromisure comportanti la parziale inosservanza di un trattato bilaterale, dopo averne riscontrato la violazione, giudicata non sostanziale, da parte della Francia (sentenza cit., p. 443 ss., par. 80 ss.). (152) V. SIMMA, Reflections, cit., p. 20, che intravede nell’adozione di contromisure implicanti l’inosservanza di norme contenute in un trattato colpito da violazione un’azione volta a « compelling the defaulting State [...] to make reparation of eventual damages caused by the treaty violation ». In senso analogo, AUST, Modern, cit., pp. 301-304.
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stati travolti dalla sospensione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 60 e 72 della Convenzione di Vienna. In effetti, la sospensione è destinata primariamente a inibire l’efficacia dell’obbligo o degli obblighi su cui insiste. Le due categorie non sembrano allora escludersi a vicenda, neppure al ricorrere di violazioni sostanziali di un accordo bilaterale, ma al contrario completarsi. Se la violazione provoca un danno, le contromisure per loro natura sono suscettibili di farne valere la riparazione. Il risarcimento, invece, non costituisce la finalità principale, né il prodotto, della sospensione. Tanto meno quest’ultima procura alla parte lesa adeguate assicurazioni di non reiterazione dell’inadempimento, cui invece tendono tipicamente le contromisure, ai sensi del combinato disposto degli articoli 30 e 49, par. 1, del progetto di articoli sulla responsabilità statale. D’altronde, tramite l’art. 73 della Convenzione di Vienna si sono volute fare salve proprio le conseguenze in grado di derivare dalla violazione sostanziale in punto di riparazione (153). L’articolato sulla responsabilità non contiene disposizioni specificamente dedicate alle conseguenze giuridiche della violazione di un accordo, la cui regolamentazione in base al diritto dei trattati è anzi lasciata impregiudicata dall’art. 56 (154). Né il diritto dei trattati può essere considerato un’ipotesi di lex specialis ai termini dell’art. 55, come tale idonea a precludere in blocco l’applicazione dell’articolato nel suo insieme (155). Nessuno dei due regimi disciplina espressamente le relazioni intercorrenti con l’altro. Alcune indicazioni a sostegno delle riflessioni che precedono si ricavano dai lavori preparatori degli articoli 70, 72 e 73 della Convenzione di Vienna (156). La riparazione costituisce uno degli aspetti (153) V. ROSENNE, Breach, cit., p. 22. (154) Indicazioni a sostegno delle considerazioni complessivamente svolte nel testo provengono dai lavori preparatori dell’articolato: cfr. Report of the International Law Commission on the Work of Its Fifty-third Session, cit., pp. 71-72, paragrafi 2, 6-7, p. 88, par. 3, p. 141, par. 3. La prospettiva in discorso emergeva già dagli studi del relatore Riphagen (Fourth Report on the Content, Forms and Degrees of International Responsibility, cit., p. 23, paragrafi 123 e 126) e del successivo rapporteur, Arangio-Ruiz (Third Report on State Responsibility, cit., pp. 22-23, paragrafi 71 e 73). (155) Sul punto v. GIANELLI, Aspects, cit., p. 759 ss. La questione è stata posta da alcuni Stati in sede di commento del relativo progetto di disposizione (cfr. Third Report on State Responsibility del relatore Crawford, cit., p. 109, par. 418). Anche la Sesta Commissione dell’Assemblea generale ha evidenziato il carattere complementare dell’articolato sulla responsabilità rispetto alla Convenzione di Vienna (ibidem, nota 837). (156) Stando al commentario ai rispettivi progetti, i primi due articoli, nel disciplinare le conseguenze dell’estinzione e della sospensione di un trattato, « [do] not deal with any question of responsibility or redress that may arise from acts which are the cause of the termination [or of the suspension] of a treaty, such as breaches of the
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volutamente estromessi dalla codificazione del diritto dei trattati, in quanto destinata a essere presa in considerazione dalla Commissione del diritto internazionale « in connexion with its study of the international responsibility of States » (157). La Commissione era infatti dell’opinione che la riparazione fosse dovuta anche se il trattato oggetto della violazione sostanziale fosse sospeso e, come emerge dall’introduzione al progetto definitivo di articoli in materia, che la clausola di apertura poi confluita nel suddetto art. 73 non trovasse invero origine nell’incertezza del diritto alla riparazione in simili ipotesi, ma nell’esigenza di tralasciare, in sede di codificazione del diritto dei trattati, « the principles governing the reparation to be made for a breach of a treaty », trattandosi di una questione ricadente nel campo della responsabilità statale, oggetto appunto di concomitanti lavori di codificazione (158). La prassi degli Stati (159), degli organismi arbitrali e dei tribunali internazionali (160), per quanto esigua, sembra militare nell’indicata treaty by one of the parties ». Il terzo esclude dalla portata dell’articolato la disciplina della responsabilità originata dall’inosservanza di norme convenzionali, ed è stato introdotto proprio in ragione della presenza, all’interno dell’articolato, di disposizioni dedicate alle cause di estinzione e sospensione dei trattati. Cfr. Report of the International Law Commission on the Work of Its Eighteenth Session, cit., p. 265, par. 1, p. 267, par. 1, p. 268, par. 3. (157) Ibidem, p. 177, par. 31. (158) Ibidem, p. 177, par. 31, p. 254, par. 1, p. 255, par. 6 (dove si ammette che la facoltà di dichiarare, in base al diritto dei trattati, la sospensione di un accordo bilaterale in conseguenza della sua violazione sostanziale « would, of course, be without prejudice to the injured party’s right to present an international claim for reparation on the basis of the other party’s responsibility with respect to the breach »). L’ottica illustrata nel testo risale ai lavori del rapporteur Fitzmaurice. Egli riteneva che il diritto di pretendere la riparazione dei pregiudizi patiti e la facoltà di adottare le contromisure a tal fine necessarie sopravvivessero, in presenza di una grave violazione, anche nonostante la perdita della facoltà di servirsi di quest’ultima come motivo per sospendere l’accordo, dovuta ad esempio a rinuncia o accettazione della violazione: Second Report on the Law of Treaties, cit., pp. 32 (art. 20, par. 4), 55, par. 133; Fourth Report on the Law of Treaties, cit., pp. 49-51 (articoli 34-39), 80-81 (relativi commenti). Negli studi successivi spicca il progetto di art. 20, par. 3, presentato dal rapporteur Waldock, che stabiliva, assai esplicitamente: « [i]n the case of a bilateral treaty, a material breach by one party constitutes a ground upon which the other party may either denounce the treaty or suspend its operation, subject to the reservation of its rights with respect to any loss or damage resulting from the breach; or denounce only the provision of the treaty which has been broken or suspend its operation, subject to the same reservation ». Cfr. Second Report on the Law of Treaties, cit., p. 73 (per il testo), p. 76, par. 14 (per il relativo commento). (159) Per una rassegna delle vicende rilevanti v. GIANELLI, Aspects, cit., pp. 801-802. (160) V. la sentenza arbitrale emessa nel caso sui Servizi aerei (cit., passim, p. 442, par. 78, p. 443, par. 81); la decisione adottata il 30 aprile 1990 a risoluzione dell’affare Rainbow Warrior tra la Nuova Zelanda e la Francia (Reports of Int. Arbitral Awards,
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direzione, riconoscendo il parallelismo dei due comparti e la possibilità che siano applicati contestualmente, ciascuno per i profili di propria competenza, alla medesima situazione. Anche una parte importante, nonché maggioritaria, della dottrina accoglie l’impostazione in discorso (161). Infine, come osservato dalla Commissione del diritto internazionale, va ancora detto che una violazione, anche se sostanziale, non comporta alcun automatismo, ma riconosce allo Stato vittima la facoltà di invocarla, se lo desidera, come motivo di sospensione dell’accordo nei limiti consentiti dalla Convenzione di Vienna. Tale Stato, ad esempio per calcoli di convenienza politica, potrebbe essere interessato non alla sospensione, ma alla continuata vigenza dell’accordo, preferendo tollerarne la violazione o indurre la controparte, in via amichevole, a riprenderne l’esecuzione (162). Identico scenario si ripete nel quadro della responsabilità internazionale. Le contromisure, infatti, sono caratteristiche di un sistema decentrato attraverso cui uno Stato può adoperarsi per far valere le sue pretese.
vol. XX, p. 215 ss., p. 249 ss., par. 73 ss., spec. pp. 251-252, par. 75); l’Affare concernente il progetto Gabčíkovo-Nagymaros, sentenza cit., p. 38, par. 47, p. 63, par. 101. (161) V. MORELLI, Nozioni, cit., p. 327; SIMMA, Reflections, cit., p. 42; CAPOTORTI, L’extinction, cit., p. 551; SCHACHTER, International, cit., pp. 190-191; SICILIANOS, The Relationship, cit., pp. 353-354; WEIL, Droit, cit., p. 532; DUPUY, Droit, cit., pp. 22-24; STROZZI, Il diritto, cit., p. 113; AUST, Modern, cit., pp. 236-237, 300-304; GIANELLI, Aspects, cit., p. 804; VILLIGER, Commentary, cit., p. 748; FITZMAURICE (M.), Treaties, cit., par. 74. Per una parte minoritaria, invece, l’entrata in vigore dell’art. 60 avrebbe instaurato un sistema di rimedi tassativo e restrittivo che impedirebbe il ricorso alle contromisure in risposta alla violazione, anche non sostanziale, di un accordo. Altrimenti, si fa notare, tale sistema sarebbe facilmente aggirabile. In quest’ottica rileverebbe soprattutto l’art. 42, par. 2, della Convenzione di Vienna, che consacrerebbe l’esclusività dei meccanismi di sospensione previsti dalla Convenzione o dall’accordo in causa (v. BOWETT, Treaties, cit., pp. 138-140, 142; GREIG, Reciprocity, Proportionality, and the Law of Treaties, Virginia Journal of Int. Law, 1993-1994, p. 295 ss., pp. 356-360, 369-382). Tuttavia, va ricordato (e per rimanere all’interno della Convenzione di Vienna) che la divaricazione tra le reazioni organizzate dal diritto dei trattati e quelle approntate dal regime della responsabilità statale, compreso l’istituto delle contromisure, è riconosciuta dal successivo art. 73. Se letto in combinazione con quest’ultimo, l’art. 42, par. 2, non sembra potersi ragionevolmente interpretare nel senso di escludere in via generale i rimedi basati sul diritto della responsabilità. Oltretutto, si ricordi, tecnicamente le contromisure non sospendono l’applicazione dell’accordo su cui insistono (v. ante, il passo del testo successivo alla nota 132 e, per analogia con le considerazioni svolte in riferimento ai rapporti tra l’exceptio e la facoltà ex art. 60, la seconda parte della nota 105). (162) Cfr. il commento all’art. 29 del progetto definitivo di articoli sulla responsabilità statale: Report of the International Law Commission on the Work of Its Fifty-third Session, cit., p. 88, par. 3.
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Entrambi gli impianti normativi sembrano quindi in grado di essere invocati, simultaneamente o alternativamente, in risposta alla violazione di un accordo bilaterale, secondo le esigenze della parte lesa, sempreché ne ricorrano i presupposti (163). Questa circostanza, è stato rilevato, troverebbe riscontro proprio nel caso dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio (164). Tuttavia, la FYROM, pur non contestando la parallela applicabilità dei due impianti, ha negato che, nel caso di specie, la Grecia fosse stata legittimata ad agire in contromisura, dal momento che le pertinenti condizioni di natura sostanziale e procedurale non sarebbero state soddisfatte (165). Ora, la stessa disattenzione riservata all’esigenza di ricomporre la discordanza tra le parti circa le questioni giuridiche più sopra analizzate (166) si registra anche nei confronti del regime delle contromisure. Dopo aver dato ampiamente conto degli argomenti, opposti e contrari, addotti dalla Grecia e dalla FYROM (167), ed essersi basata esclusivamente su elementi di fatto, la Corte ha rigettato « the Respondent’s claim that its objection could be justified as a countermeasure », aggiungendo laconicamente che non vi fosse motivo « to consider any of the arguments advanced by the Parties with respect to the law governing countermeasures » (168). 11. Nonostante la dottrina non sia ancora approdata a un inquadramento sistematico sufficientemente condiviso delle interrelazioni esistenti tra le varie forme di reazione all’inadempimento di obblighi (163) Così già DUPUY, Droit, cit., p. 14; FORLATI, Diritto, cit., pp. 8 ss., 175 ss. (e da ultimo, della stessa a., Reactions, cit., p. 762). (164) V. FORLATI, Reactions, cit., p. 770. (165) Cfr. Memorial, cit., p. 94 ss., par. 5.21 ss. (166) V. ante, i paragrafi 5-9. (167) Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., paragrafi 120-121 (per la posizione della Grecia), par. 122 (per quella della FYROM). (168) Ibidem, par. 164. In proposito, secondo il giudice Bennouna la Corte avrebbe dovuto constatare che il regime delle contromisure di cui all’articolato sulla responsabilità, ancorché dalla natura consuetudinaria incerta, prevede specifici requisiti di carattere procedurale, rimasti insoddisfatti nel caso di specie, e avrebbe dovuto trarne opportune determinazioni in ordine alla posizione sostenuta dalla Grecia (Declaration, cit., par. 9). Altre condizioni di legittimità avrebbero dovuto essere prese in considerazione dalla Corte, come ad esempio la reversibilità, per poi verificare se la condotta della Grecia le avesse assolte. Il punto non era affatto pacifico. Il giudice ad hoc Roucounas ha osservato: « assuming that the Respondent’s attitude to the subject of the Applicant’s admission to NATO constitutes a countermeasure, that countermeasure is, by its nature, reversible at any time » (Dissenting Opinion, cit., par. 71). Dal canto suo, la FYROM aveva manifestato l’opinione esattamente contraria: « this particular countermeasure [...] was not designed to permit resumption of the Respondent’s Article 11(1) obligation in any meaningful sense » (Memorial, cit., p. 105, par. 5.50).
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convenzionali passate in rassegna nei paragrafi precedenti, e la prassi in materia scarseggi (169), vale la pena provare ad abbozzare, se non altro da un punto di vista teorico, le linee cardine della questione, onde riscontrare se tali reazioni siano riconducibili a un unico genus, come lascia intendere la Corte dell’Aja nella sentenza emanata nel caso dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio. Innanzitutto, benché non possa nascondersi come esse presentino numerosi punti di contatto e a tratti si confondano, dall’analisi complessivamente svolta può desumersi che le contromisure e l’exceptio sono assoggettate a un regime meno stringente di quello a cui è sottoposta la facoltà di sospensione ai sensi dell’art. 60 della Convenzione di Vienna. Inoltre, per i motivi che abbiamo provato a esporre, le varie categorie vanno tenute distinte soprattutto nella misura in cui presentino effetti giuridici e scopi diversi (170). Anche chi si orienta verso la sostanziale affinità tra sospensione ex art. 60 e contromisure è infatti portato a ritenere che la prima abbia principalmente una funzione di natura correttiva, perché diretta a ripristinare l’equivalenza delle reciproche posizioni normative tra le parti contraenti — mantenendo al contempo possibile in prospettiva l’esecuzione — attraverso la liberazione momentanea dagli obblighi rimasti senza contropartita (non essendo invece finalizzata, almeno in prima battuta, a costringere la parte responsabile a mutare atteggiamento) (171). Al contrario, le contromisure mirano a premere sull’autore dell’inadempimento, in vista della ripresa dell’esecuzione e della riparazione dell’eventuale pregiudizio. La parte lesa, in principio lasciata libera nella scelta dei mezzi da impiegare per reagire all’inadempimento di obblighi convenzionali nei suoi confronti (per cui sarà guidata dall’opportunità politica e dal risultato concreto che si propone di conseguire), tenderà verosimilmente a far valere la responsabilità della controparte e le conseguenze dell’illecito piuttosto che incidere sull’efficacia del trattato quando preservi l’interesse a (e la speranza di) mantenere in vita il regime convenzionale, mentre agirà sull’operatività (169) Alcuni autori osservano come raramente la prassi consenta di ricostruire il punto di vista degli Stati riguardo alle pertinenti questioni di diritto (GIANELLI, L’incerto, cit., pp. 151, 154; FITZMAURICE (M.), Treaties, cit., par. 74). Così anche il giudice Simma (Separate Opinion, cit., par. 13). (170) Sulla diversificazione e i rapporti tra la facoltà di sospendere un accordo bilaterale in conseguenza della sua violazione sostanziale ai sensi dell’art. 60 della Convenzione di Vienna, la facoltà di ricorrere a contromisure gravanti sull’accordo violato e l’exceptio inadimpleti contractus, v. ZOLLER, Peacetime, cit., p. 14 ss.; CAMPIGLIO, Il principio, cit., p. 240 ss.; GOMAA, Suspension, cit., p. 63; FORLATI, Diritto, cit., p. 63 ss. (171) V. SICILIANOS, The Relationship, cit., pp. 343-345, 354-357.
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delle norme ivi contenute quando non vi sia più alcuna probabilità, nel breve periodo, di ottenere il corretto assolvimento dei relativi obblighi (172). L’exceptio, infine, conduce unicamente al riequilibrio temporaneo della relazione sinallagmatica eventualmente instaurata tra le parti e persegue uno scopo soltanto difensivo, operando esclusivamente in relazione all’obbligo corrispondente a quello violato e in risposta a un’intimazione proveniente dalla parte per prima inadempiente. L’indicato scopo è espressione del venir meno dell’obbligatorietà della prestazione a causa della rottura del sinallagma. Inoltre, sebbene alla radice dei vari rimedi vi sia sempre la violazione di un obbligo pattizio, essa non deve necessariamente dare luogo a un illecito internazionale in senso stretto, potendo ad esempio l’exceptio acquisire rilevanza anche al ricorrere di una violazione la cui illiceità sia esclusa per effetto di un’esimente. Infine, l’autonomia sembra dipendere dalla circostanza che gli obblighi preventivi all’adozione dei suddetti rimedi risultano via via sempre più rigorosi. In conclusione, può dirsi che le pretese avanzate dalla Grecia, in occasione della controversia sull’Applicazione dell’Accordo provvisorio, confluiscono all’interno di regimi giuridici dotati di una fisionomia autonoma e distinta, i quali, se non altro per quanto concerne la facoltà di sospensione ai sensi dell’art. 60 della Convenzione di Vienna e le contromisure (l’exceptio inadimpleti contractus ispirandosi a una diversa logica, data la natura di strumento meramente difensivo), appaiono legati da un rapporto di complementarità (173). Tuttavia, nella (172) Per alcuni episodi della prassi, anche risalenti, in tal senso, v. GIANELLI, Adempimenti, cit., pp. 222 ss., 295 ss., la quale fa notare che anche la condotta preliminare alla sospensione sembra dipendere dalle valutazioni soggettive dello Stato leso circa lo scopo che si prefigge di raggiungere (pp. 520 ss., 528). Espressivo dell’ottica indicata nel testo appare il caso sui Servizi aerei, in cui il collegio arbitrale osservò che la portata dell’azione intrapresa dagli Stati Uniti fosse valutabile in modo differente a seconda dell’obiettivo da questi perseguito (sentenza cit., p. 442, par. 78). (173) Così già GOMAA, Suspension, cit., p. 63. Una parte della dottrina, poi, distingue i vari rimedi all’inadempimento di norme convenzionali giungendo a ordinarli in una successione a catena di tipo cronologico: v. SIMMA, Reflections, cit., pp. 39-40; e ancora GOMAA, op. cit., p. xvii (alla cui ricostruzione ha aderito anche la Grecia: Counter-memorial, cit., p. 169, par. 8.15). La misura della loro sequenzialità sembrerebbe potersi ricavare da alcuni esempi suggeriti nel corso dei lavori di codificazione del diritto dei trattati. Si veda, in particolare, l’ipotesi teorizzata dal relatore Fitzmaurice nel suo Fourth Report on the Law of Treaties, cit., p. 67, par. 83, e le più ampie riflessioni sintetizzate in precedenza, nella nota 121. Proviamo qui di seguito a proporre un nostro esempio, che possa aiutare a schematizzare, anche solo per grandi linee, le modalità della coabitazione di tali rimedi in caso di violazione sostanziale. Si pensi a un accordo bilaterale avente ad oggetto il finanziamento del progetto di realizzazione di un’opera congiunta, in cui le parti contraenti si impegnino altresì a introdurre all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici norme dirette a
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sentenza pronunciata per risolvere la predetta controversia, ancorché abbia fornito ampia prova delle discordanze tra le parti circa l’esistenza e il contenuto dei regimi preposti a governarne il modo di essere e di operare, la Corte si è limitata acriticamente ad attribuire allo Stato convenuto la tesi della sostanziale affinità « al ribasso » dei vari rimedi, per poi farla propria. Si tratta per giunta di un’attribuzione inappropriata, poiché, al contrario, anche secondo la Grecia in sostanza tali regimi si diversificherebbero in ragione della natura e delle finalità di ciascun rimedio (174). 12. Non è da escludere che, anche qualora avesse affrontato i problemi registrati nel corso della nostra indagine, la Corte avrebbe comunque finito per rigettare le argomentazioni difensive dello Stato convenuto. Date le circostanze concrete inerenti alla lite, e i motivi esposti in precedenza, non è del tutto certo se le condizioni di carattere istituire un organo comune di attività statale interna, al fine di favorire la gestione dell’opera in costruzione. Qualora una parte si rifiuti di corrispondere i finanziamenti dovuti, rendendosi responsabile di una violazione sostanziale dell’accordo, l’altra potrebbe avvalersi dei seguenti rimedi: a) smettere a sua volta di finanziare — con effetti automatici e immediati — laddove richiesta dalla controparte, in attuazione dell’exceptio (in quanto i contributi economici formano evidentemente l’oggetto di obblighi sinallagmatici), garantendo la sopravvivenza dei legami convenzionali esistenti, in particolare delle previsioni a contenuto legislativo, in quanto potrebbe non avere interesse a rallentare (o arrestare) il processo di realizzazione del progetto, ma soltanto a ristabilire, a scopo difensivo, l’equilibrio alterato dalla violazione; b) sospendere in parte l’applicazione dell’accordo in base all’art. 60 della Convenzione di Vienna — prim’ancora che la controparte ne richieda l’adempimento e una volta esaurita la procedura di cui agli articoli 65 e seguenti della Convenzione — incidendo sull’efficacia del medesimo nei confronti di entrambi i contraenti, compresi gli obblighi di produzione legislativa (che non sono legati all’obbligo concernente la contribuzione finanziaria, colpito dalla violazione originaria, dal vincolo del sinallagma), al fine di ripristinare l’equivalenza del complesso delle situazioni giuridiche reciproche tra le parti, qualora si siano affievolite le speranze (e con esse l’interesse a) che l’opera venga completata nei tempi concordati; c) adottare in aggiunta contromisure — nel rispetto dei più onerosi adempimenti preliminari previsti al riguardo — aventi ad oggetto l’inosservanza di altre disposizioni dell’accordo, specie se corrispondenti a norme generali (come tali sottratte alla portata della sospensione ai sensi dell’art. 60), particolarmente significative per la controparte, allo scopo di ottenere appropriate garanzie di non ripetizione e soprattutto il risarcimento dei danni di carattere patrimoniale (insuscettibile di essere procurato dalla sospensione ex art. 60), derivanti ad esempio dal fatto che l’interruzione della costruzione dell’opera abbia fatto perdere alla parte lesa i vantaggi economici connessi alla sua conclusione entro termini prestabiliti, a cui i creditori dei capitali investiti avevano condizionato la concessione di interessi di prestito particolarmente favorevoli. (174) Counter-memorial, cit., p. 165, par. 8.7: « the very nature and purpose of the exception of non-performance [...] explain[s] why, in what respect and to what extent the legal régime of the exceptio differs from those of the suspension of a treaty or of countermeasures ».
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sostanziale e soprattutto procedurale dei tre rimedi all’inadempimento altrui di obblighi convenzionali ricorressero o fossero state soddisfatte dalla Grecia. Forti perplessità in ogni caso permangono riguardo alla natura « sostanziale » dell’unica violazione dell’Accordo riscontrata in capo alla FYROM, e alla corrispondenza degli obblighi disattesi dalle parti, elementi questi che, in caso di accertamento positivo, avrebbero dovuto indurre i giudici a riservare maggior credito se non altro alle tesi greche imperniate rispettivamente sull’art. 60 della Convenzione di Vienna e sull’exceptio. Tuttavia, il modus procedendi seguito dalla Corte internazionale di giustizia nel caso dell’Applicazione dell’Accordo provvisorio lascia molto a desiderare. Non solo perché, in quanto principale organo preposto alla definizione delle controversie interstatali in applicazione del diritto internazionale (e considerate le peculiarità dell’ordinamento in cui è incardinata, notoriamente privo di un’autorità legislativa centralizzata e di un’autorità giudiziaria in senso stretto, che possano sottrarre le norme, specie se generali, a sistematiche divergenze interpretative e applicative), è auspicabile che essa non si sottragga al compito, seppur arduo e scomodo, di chiarire le categorie ambigue (175), come d’altronde ha spesso fatto in passato. Ma soprattutto perché, evitando di individuare ed analizzare i predetti problemi e basandosi esclusivamente su elementi di fatto (quando invece gli elementi di diritto costituivano, per sua stessa ammissione, l’essenza del contraddittorio tra le parti), la Corte suscita l’impressione di essere stata influenzata nella sua decisione, come già accaduto nella prassi, da valutazioni di natura prevalentemente politica (176). Ciò verosimilmente poiché animata da ragioni e finalità in senso stretto politiche è da considerarsi l’opposizione greca alla domanda macedone di ammissione alla NATO. In effetti, questa potrebbe essere percepita, date le sue motivazioni, più come un tentativo di costringere la FYROM a riprendere il negoziato interrotto prima del vertice di Bucarest e desistere dalle rigidità manifestate nei confronti della controversia sul nome del Paese, che non (175) È questa peraltro una posizione autorevolmente sostenuta, anche riguardo ai tribunali internazionali in generale: v. CASSESE, The ICTY: A Living and Vital Reality, Journal of Int. Criminal Justice, 2004, p. 585 ss., p. 590. (176) Un’indicazione in tal senso proviene dall’invito rivolto agli Stati in lite, nella parte conclusiva della sentenza, a proseguire in buona fede il negoziato sulla questione relativa al nome, in attuazione degli obblighi imposti loro dall’Accordo (cfr. Applicazione dell’Accordo provvisorio del 13 settembre 1995, sentenza cit., par. 166; per alcuni approfondimenti, v. CANNONE, La sentenza, cit., pp. 337-338), aspetto, questo, evidentemente esorbitante dall’oggetto della controversia rimessa alla cognizione della Corte (su cui v. ante, la sintesi contenuta nel par. 1).
E VIOLAZIONE DI TRATTATI BILATERALI
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come una reazione consentita dal diritto internazionale a una precedente violazione dell’Accordo. Anziché allora averci offerto solo l’opportunità di riflettere sul contenuto e la portata dei vari rimedi all’inadempimento di obblighi convenzionali nell’ordinamento internazionale, il fatto che la Corte internazionale di giustizia non abbia preso posizione sul punto, malgrado il dibattito ancora acceso in dottrina e le incertezze della prassi, lascia assai perplessi, giacché rafforza, esasperandola, la tendenza alla politicizzazione della sua attività. Tendenza, questa, che porta a indebolire il ruolo delle categorie giuridiche nella risoluzione delle controversie interstatali (e, in modo ancor più evidente, nell’esercizio della funzione consultiva) e comunque a farne l’uso che meglio favorisca, e all’apparenza giustifichi, l’adozione di pronunce preconfezionate. EMANUELE CIMIOTTA