Lodi e provincia vol 1_2013

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Lomellina:

Terre di Riso e Castelli Storia, Arte e Cultura

LOMBARDIA

Guide

PAVIA e PROVINCIA

Mangiare Bere Dormire www.mabedo.it 2013



Lodi e la sua Provincia Vol.1 LOMBARDIA

Guide

LODI e PROVINCIA

Mangiare Bere Dormire www.mabedo.it 2013


Mariano Peviani Assessore al Turismo della Provincia di Lodi

“R

osse presenze, verdi silenzi, azzurri intrecci: benvenuti nel paese dei colori”. Recitava così, ormai qualche anno fa, lo slogan dell’allora Azienda di Promozione Turistica del Lodigiano. Il riferimento, naturalmente, era a ciò che di più bello il territorio tra Milano e il Po poteva offrire all’occhio dei visitatori, dai monumenti storici ai palazzi, alle chiese e ai castelli, dai grandi parchi alle aree naturalistiche, alle campagne, fino all’intricato percorso del Grande Fiume, ma anche dell’Adda e del Lambro, oltre alla miriade di canali e canaline che hanno trasformato in terra fertile e ricca l’antica palude del lago Gerundo. Oggi il Lodigiano è ancora così. Datato, forse, è solo lo slogan. Ma ciò che raccontava allora, è valido ancora oggi.



E

i colori, se possibile, sono sempre più splendenti, perché la gente laboriosa che abita questa terra ha imparato a valorizzarla e a offrirla nella sua veste migliore alla fame di forestieri sempre più numerosi; ha scoperto di avere a disposizione un tesoro di storia, arte e natura che si presta a un turismo certamente non frenetico, ma di sicura qualità, davvero a misura d’uomo, desideroso di scoprire un contatto intenso con la campagna e i boschi, con il fascino degli itinerari fluviali e la maestosità degli edifici; di assaporare un’accoglienza che si declina nella cordialità dei lodigiani, nelle prelibatezza della cucina tipica, nell’originalità delle residenze. Qui ci sono cattedrali e abbazie fra le più belle d’Italia, qui si trovano immutate le tracce di eventi storici che hanno cambiato il Paese e forgiato l’Europa, qui si intrecciano le grandi vie della fede. Sempre qui centinaia di chilometri di ciclabili attraversano paesaggi di struggente bellezza; i battelli solcano i fiumi; musei, raccolte d’arte e collezioni uniche aprono le porte alla curiosità e alla passione. Il Lodigiano è tutto questo e molto altro. E raccontarlo attraverso i suoi 61 Comuni, le decine e decine di campanili che si stagliano verso il cielo, i luoghi, le piazze e i suoi angoli più suggestivi significa dispiegare la mappa di una terra che merita una visita, anzi la cerca e ad essa si offre con straordinaria generosità. Il paese dei colori, le sue presenze, i suoi silenzi e i suoi intrecci rimangono tra le cose più belle che la Lombardia possa regalare. Mariano Peviani Assessore al Turismo della Provincia di Lodi



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a copertina della Guida Mabedo sulla Provincia Lodigiana è opera dell’artista contemporaneo Marco Lodola, pavese e notissimo per i lavori a olio e le sculture luminose. Le sue opere sono oggi presenti in tutto il mondo e recensite dai critici internazionali. La poliedricità è un tratto caratteristico dell’arte di Lodola, il quale ha realizzato illustrazioni per copertine di numerosi romanzi e saggi e ha collaborato in campo musicale e teatrale. Lodola ha esposto al Padiglione Italia della 53° Biennale di Venezia, all’Expo internazionale di Shangai; nel 2012 ha partecipato alla 54̊ Biennale di Venezia con “Cà Lodola”, la magnifica installazione luminosa posta alla Cà d’Oro, un progetto curato da Vittorio Sgarbi. Il logo ideato per noi da Marco Lodola rappresenta il nostro territorio dove vengono identificate graficamente le vie di terra, le vie d’acqua e le terre che a esse si correlano, divise ed intersecate dal tipico cromatismo di Lodola. Lo sfondo è “calpestato” dai passi del viandante, che percorre con lento incedere i nostri territori, in qualità di pellegrino, di turista curioso e di semplice amante delle proprie terre d’origine. Sono, questi, i passi di un turismo lento e radicato, che consente di godere degli aspetti naturalistici, storico-artistici e ambientali in modo nuovo perché guardati con occhi nuovi. Un procedere lento che regala il gusto delle piccole cose, il piacere di momenti importanti ma anche quella poesia del cibo che passa attraverso l’attenzione ad antichi sapori legati alla tradizioni della terra. Nel logo ideato da Marco Lodola, le gambe piegate dall’incedere, a volte anche con fatica, stanno proprio a simboleggiare un percorso intrapreso non solo fisicamente, ma anche e soprattutto, spiritualmente.



Prefazione Mabedo

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uovi orizzonti per Mabedo…

La nuova Guida Mabedo sul Lodigiano è stata per tutti noi una grande sfida e un lungo lavoro! In ben tre volumi abbiamo voluto raccontare parte della lunghissima storia di questo affascinante territorio, le sue bellezze, le sue tradizioni, i suoi gusti. Terre pianeggianti, campagne lungo le quali lo sguardo si perde, coltivazioni e colori forti ci hanno tenuto compagnia per mesi. Fede accesa, chiese, splendidi monumenti storici, personaggi illustri e misteriosi. Fiumi, natura, parchi, flora rigogliosa; e ancora il cibo, cui il lodigiano è particolarmente votato…formaggi, latte, dolci squisiti e risotti robusti. Fiere che durano da secoli, piste ciclabili, pellegrini e pendolari…tutto questo (e molto altro) è il Lodigiano! Turisti, curiosi e amanti delle tradizioni…leggete questa guida e partite alla scoperta del Lodigiano, una terra tutta da svelare!



Indice 16

Abbadia Cerreto

24 34

Bertonico Boffalora D’Adda

42

Borghetto Lodigiano

78

Borgo San Giovanni

82

Brembio

92

Camairago

110

Casaletto Lodigiano

114

Casalmaiocco

116

Casalpusterlengo


132

Caselle Landi

148

Caselle Lurani

152

Castelnuovo Bocca D’Adda

158

Castiglione D’Adda

164

Castiraga Vilardo

168

Cavacurta

182

Cavenago D’Adda

192

Cervignano D’Adda

196

Codogno

218

Comazzo


L

a presente guida è stata suddivisa per Comuni.

Ognuno di essi viene presentato nei suoi aspetti storici, artistici e tradizionali, insieme ad un cospicuo apparato fotografico. Al termine delle presentazioni il lettore potrĂ trovare indicazioni di dove Mangiare, Bere e Dormire, con una selezione delle migliori attivitĂ del Paese cui si fa riferimento, incontrate e provate dallo Staff Mabedo.



Abbadia Cerreto

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l piccolo paese di origine altomedievale si è storicamente sviluppato attorno alla celebre Abbazia dei SS. Pietro e Paolo, costruita dai monaci benedettini nel 1131 su una precedente fondazione del 1084, voluta allora da Alberico da Montecassino (grazie alle donazioni dei Conti Cassino). Fu lo stesso Benno Cassino che, dopo la fondazione dell’abbazia, le donò i possedimenti compresi nell’attuale circoscrizione comunale e non solo. Passata poco dopo ai cistercensi per volere del Vescovo di Lodi, essa è un preziosissimo esempio di architettura cistercense lombarda e che segna stilisticamente il passaggio dal romanico al gotico. In quel periodo la piccola comunità fu teatro degli scontri tra Federico III e Francesco Sforza e l’abbazia fu gravemente danneggiata nel corso delle operazioni belliche. Ancora Giulio II, alleatosi nel 1508 con l’imperatore Massimiliano d’Asburgo e col re di Francia Luigi XII nella Lega di Cambrai, affrontò nelle campagne circostanti le armate di Venezia per contrastarne l’espansione.



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abbazia prosperò, quindi, per tutto il Medioevo finché, alle soglie dell’età moderna, perse il ruolo di riferimento per l’economia di tutto il territorio imposto dai monaci. Solo con l’abate Federico Cesi l’abbazia si risollevò dallo stato di trascuratezza. Oggi di tutto il complesso abbaziale resta la Chiesa di S. Pietro, costruita tra il 1160 e il 1170 e ripresa ai primi del Duecento e parte del convento, completamente trasformato in abitazioni private. Delle strutture abbaziali originarie restano tracce nei mattoni degli archi dell’antico chiostro, ambiente con soffitto a vela multipla. Nel 1542 ci fu una completa riforma dell’abbazia, che vide l’alterazione sia della struttura della chiesa che del monastero. La bella facciata in cotto a capanna accoglie i fedeli, semplice ed austera. La diversa altezza delle parti della facciata suggerisce la divisione interna a tre navate e i contrafforti ben visibili sul fianco settentrionale della chiesa indicano le campate. Il richiamo interno – esterno è tipico dei dettami architettonici della regola di San Bernardo e dell’esempio della sobrietà della vita dei monaci (existens minimum), che si rispecchia Si accede all’edificio passando da un portico – pronao a trifore formato da tre campate e diviso da contrafforti. Da lontano si può già scorgere la tipica torre ottagonale cistercense.



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interno è a croce latina con volte a crociera. I pilastri, in cotto, si presentano in fasce di semicolonne con capitello a cubo sgusciato. L’essenzialità della struttura corrisponde alla sobrietà di vita dei monaci. Quasi priva di decorazione, la chiesa presenta elementi stilistici cistercensi quali le tre monofore e l’oculo disposti a croce sulla parete piatta del coro. Tra le poche decorazioni presenti possiamo ammirare la cinquecentesca Pala Cesi, conservata all’interno della chiesa, di Callisto Piazza con la “Madonna con Bambino, i Santi Pietro e Paolo e il committente Federico Cesi”, opera della maturità artistica del pittore, collocata nel transetto sinistro. La pala di Callisto è anche il primo grande intervento pittorico all’interno dell’abbazia, fino ad allora rimasta priva di ogni tipo di decorazione. Accanto alla Pala Cesi si trova una “Madonna del Latte” del XVI secolo, di fattura nordica. Lungo la navata sinistra si apre la Cappella del Rosario (XVI secolo) riservata alle donne. La vasta decorazione avviata nel Settecento è visibile nei medaglioni che rappresentano gli abati dell’ordine cistercense e nei festoni di fiori della controfacciata e lungo la navata centrale. Da segnalare anche il bellissimo portale ligneo (1636), il pulpito (1726), il coro di Stefano di Lesman e il cinquecentesco crocifisso bronzeo.



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el 1798 l’abbazia venne soppressa e i monaci abbandonarono il Cerreto; fu acquistata nello stesso anno da Giorgio Teodoro Trivulzio, discendente di quel Giangiacomo Trivulzio che sconfisse la Lega dei Tredici Cantoni nella Battaglia di Marignano del 1515. Lo stesso toponimo del paese è indissolubilmente legato all’abbazia: la prima parte, cioè “Abbadia” è un antico nome che indicava l’abbazia, mentre “cerreto” deriva dai cerri, un tipo di alberi simili alle querce e molto diffusi nella zona (e che sorgono anche davanti all’abbazia!). Ad Abbadia Cerreto sono presenti, infine, diversi complessi cascinali, data l’accentuata vocazione agricola della zona, come il complesso di Cascina Fontanello (XVII – XVIII secolo) e la Cascina Resega, coeva alla precedente, dove si può ancora vedere il vecchio mulino.



Bertonico B

ertonico appartenne storicamente al Vescovo di Lodi dall’XI secolo; solo nel 1359 Barnabò Visconti la concesse agli Ospedali di Brolo e di Santa Caterina di Milano. Nel 1458 passò all’Ospedale Maggiore di Milano, sino al XVIII secolo. Da non perdere a Bertonico sono la Chiesa di San Clemente, edificata alla metà del Cinquecento su disegno di Giovan Battista Lonate, dalle forme bramantesche e che contiene un dipinto del Melosso. Sul territorio comunale è presente anche la piccola Cappella di San Rocco (XV secolo), a pianta quadrangolare e aperta ad arco con sacello. Al suo interno sono conservati importanti affreschi votivi del XVI secolo. Tutta la zona è costellata da architetture rurali storiche, che denotano la spiccata propensione agricola del paese. Tra le tipiche strutture agricole vi è l’Ex Arsenale dell’Ospedale Maggiore di Milano, una tipologia di cascina a barchessa, ricostruita nelle forme attuali nel 1745 circa.



S

i tratta di un esempio unico nella sua tipologia, una tradizionale cascina su pilastri in muratura coperta da un tetto a capriate. Il portico si sviluppa su tutti e quattro i lati ed è perciò chiuso verso l’esterno. Inizialmente veniva usato per lo stoccaggio di legnami; attualmente è sede di sporadiche manifestazioni pubbliche. Consigliamo anche una rapida visita a ciò che resta del Castello di Bertonico, oggi privato. L’architettura fortificata risalente al XIV secolo si trova nel vicolo Mirabello, fuori dal centro abitato, in posizione dominante rispetto al resto del territorio. E’ d’obbligo citare, infine, alcune della più importanti cascine, storicamente radicate nel territorio, come la Cascina Gora (1867), la Cascina Brusada (la cui prima costruzione è attestata poco dopo il 1486), la Cascina Campolongo (ante 1503) e la Cascina Colombina (ante 1653).



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illa Fabrizia è un palazzo signorile del Settecento che sorge sull’antico “Feudo di Bertonico” di proprietà dell’Ospedale Maggiore di Milano. Nell’Ottocento fu nominato sede del Podestà di Bertonico; successivamente l’edificio diventò Palazzo dell’Agenzia o Agenziale, cioè sede dell’amministratore delle proprietà ospedaliere nel territorio, con annesso l’Arsenale e le Carceri. Alla fine del Novecento il Palazzo diviene proprietà privata e subisce un radicale intervento di recupero, una sapiente ristrutturazione voluta da un “illuminato” imprenditore cremasco, Andrea Goldaniga, ed eseguita da architetti e maestranze di fama internazionale, che hanno portato alla luce ed esaltato l’eleganza delle linee architettoniche originali della villa settecentesca, sia per gli esterni che per gli interni. Oggi la Villa prende il nome dalla “padrona di casa”, la Signora Fabrizia, moglie di Andrea Goldaniga, che ha voluto dedicarle quella che entrambi definiscono “la realizzazione di un sogno”: dare pregio a una struttura ormai abbandonata e far rivivere la Villa come centro enogastronomico e come complesso di preziose suite. Gli interni sono stati eccezionalmente curati da Laurent Fort, artista geniale e poliedrico capace di conciliare nel design tecnologia ed echi ancestrali, creando così un voluto contrasto tra arredamento contemporaneo e il sapore assolutamente antico della Villa.



V

illa Fabrizia è una struttura estremamente versatile che rappresenta una soluzione raffinata ed esclusiva per cerimonie, happening, per viaggi di piacere o di lavoro. La Villa si pone come la location ideale per ospitare matrimoni, in quanto dotata di sale da pranzo di varie dimensioni che possono ospitare oltre 200 persone. Alla coppia di sposi che sceglierà Villa Fabrizia come location per il proprio matrimonio, la Direzione omaggerà la prima notte con servizio di prima colazione in una delle meravigliose suite della Villa. Villa Fabrizia è disponibile poi su prenotazione come Ristorante per cene o pranzi privati, come Vinerie, Suite e come location per conviviali meeting e congressi immersi nel verde, dove respirare pace e riservatezza. Qui troverete un servizio di ristorazione di estrema qualità, con una cucina di altissimo livello curata da chef di fama internazionale, unita alla piena valorizzazione della ristorazione locale, eseguita coi prodotti di queste terre: l’arte culinaria di Villa Fabrizia è una continua e accurata ricerca della qualità e rispecchia rigorosamente la tradizione, la classicità, il gusto e l’amore per i prodotti genuini. Una filosofia di approccio che si propone in un servizio degustazione per trasmettere al pubblico la passione, la professionalità e l’eccellenza.



L’

antica dimora è immersa in un angolo di paesaggio e natura lombardi ancora incontaminati e rappresenta la base di partenza ideale per visitare importanti centri storici come quelli di Crema e Lodi, ma anche per raggiungere facilmente centri emiliani e lombardi tra cui Milano, Cremona, Bergamo, Brescia, Pavia, Piacenza e Parma.

Villa Fabrizia: una cornice da sogno, pervasa da un perfetto connubio dove Occhi, Palato e raffinate Sensazioni trovano la loro piĂš alta espressione.

Villa Fabrizia Resort Via Mirabello, 1 26821 Bertonico - Lodi Telefono:348.0065752 E-mail:info@villafabrizia.it Sito Web:www.villafabrizia.it



Boffalora D’Adda I

l Comune di Boffalora d’Adda confina con la Provincia di Cremona, lungo la riva sinistra dell’Adda, ed è infatti compresa tra i comuni di Zelo Buon Persico, Spino d’Adda e Dovera, questi ultimi due già in dipendenti da Cremona. L’origine del curioso toponimo non è certa, ma vi sono diverse interpretazioni, una delle quali lo farebbe derivare dalla parola di origine tedesca Wulfhari; altre dalla fusione delle parole “Boffa l’Ora”, o “Boffa l’Aura” che significa “soffia il vento” o dalla deformazione delle parole tardo-latine “Bufalus Ora”, “Zona dei bufali”. Boffalora è un termine piuttosto diffuso nell’Italia settentrionale in quanto vengono così denominati i luoghi esposti ai venti. Il senso del nome Boffalora si chiarisce considerando che il paese sorge in prossimità del fiume Adda, dalle cui sponde, in passato ricoperte fittamente di boschi, proveniva una gradevole frescura.



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a vicinanza del bacino dell’Adda rese sempre questo paese un punto fondamentale per la linea di collegamento fluviale e il sorgere di nuovi insediamenti sulle sponde tra l’Adda e il Serio, in particolare in epoca longobarda. Possiamo in parte ricostruire la storia dei primi insediamenti di Boffalora d’Adda anche grazie ai preziosissimi ritrovamenti archeologici delle campagne di scavo intercorse tra gli anni Settanta e Ottanta in queste terre: sono riaffiorati alcuni corredi funerari composti da armi riccamente ornate, fibbie incise e una croce d’oro, nella cosiddetta zona del “Pianone”. Dal Medioevo il territorio fu proprietà del Vescovo di Lodi e i documenti attestano, almeno dal Duecento, la presenza a Boffalora dell’Ospedale di S. Cassiano, ceduto nel XV secolo all’Ospedale Maggiore di Lodi. E’ attestato che sull’attuale territorio comunale sorgeva anche un importante monastero dove vivevano le monache di clausura dell’Ordine dei Servi di Maria Vergine dello Spasimo, osservanti le Regole dell’Ordine agostiniano. Dal Seicento Boffalora divenne feudo della famiglia Destrieri e, nel 1632, passò al Marchese Lancelotto Corrado di Lodi. Nel 1662 da feudo divenne contea di Alfonso Corrado, nel 1762 fu dei Barattieri, mentre nel XIX secolo anche Cristina Trivulzio Belgioioso possedette terre in questa zona e nel 1821 divenne proprietaria della Villa Destrieri (oggi Trivulzio Berlgiogioso), nella parte più antica del borgo. Il possedimento passò poi alla famiglia Montini, ai Leinati e ai Bocconi.



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oco fuori dal centro, in località Castellaro, si trovano ancora le tracce dell’antico Castello medievale, all’interno di un’azienda agricola. Luogo di storici fatti d’arme, fondamentale per la sua posizione difensiva sull’Adda, oggi è di proprietà privata. La geografia di Boffalora ha da sempre fatto del paese un luogo di eventi e incontri storici, combattimenti e passaggio di uomini illustri, dagli eserciti di Francesco Sforza a quelli di Bartolomeo Colleoni. Da vedere il Palazzo Municipale, eretto negli anni Trenta, in piena dittatura fascista, per volere dell’allora Podestà, il dott. Maggi (per questo chiamata anche Villa Maggi). Di grandissimo interesse artistico è la Chiesa della Natività di Maria, costruita nel 1513 ma riedificata poco dopo, nel 1590. L’edificio è a navata unica, coperto da volta a botte; la facciata è anticipata da un protiro. Il tetto a spioventi è decorato da statue di angeli suonatori. Nella chiesa si trova un quadro ad olio cinquecentesco di Scipione Piazza con la “Madonna in trono, S. Elena, S. Monica (ai lati), S. Macario e S. Cristinziano” (in basso). Altra opera importante è la “Natività del Redentore” di Pietro Lomazzo, della fine del Quattrocento. Degno di nota l’altare maggiore in marmo, proveniente dall’antica Chiesa di S. Michele di Lodi (XII secolo).





Borghetto Lodigiano I

l paese di Borghetto Lodigiano vanta un’antica fondazione e tutto il suo territorio è interessato dall’attraversamento del fiume Sillaro. Anticamente il paese era diviso in due parti distinte e divise dal fiume: Borghetto e Fossadolto. Quest’ultimo era così chiamato perché si trovava al di sopra del fossato, scavato, con ogni probabilità, per motivi difensivi. Si pensa, inoltre, che proprio qui si ergesse il castello menzionato nelle memorie di Ariberto d’Intimiano nel 1034 e che fu luogo di scontri e battaglie cruente tra lodigiani, cremonesi e piacentini. Ariberto lasciò, successivamente, i suoi possedimenti della zona al Capitolo metropolitano, che furono date in concessione a feudatari, famiglie ricche della zona, come i Rho e i Maineri. E’ certo che per tutto il Duecento e parte del Trecento, il territorio fu soggetto alla dominazione del Capitolo milanese e, ancora, nel 1359 Barnabò Visconti cedette alcune sue proprietà di Borghetto agli ospedali milanesi (che egli stesso aveva fondato).



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el 1481 furono i Rho a diventare signori di Borghetto; nel 1488 vi fu la transizione del Capitolo che decretava Borghetto e Fossalto un paese solo. Testimonianza di questa importante dominazione è Palazzo Rho, uno storico palazzo quattrocentesco che, nel 1609, divenne residenza dei Rho (da cui il nome che si è tramandato sino ai nostri giorni), finché la famiglia non venne spogliata di tutti i suoi beni (a causa dei continui dissidi tra la famiglia e il Capitolo) e questi vennero concessi a Giuseppe Bertoglio nel 1694. Il palazzo è uno splendido esempio di edificio tardo gotico e si presenta come un blocco unitario, un parallelepipedo, quadrangolare, con mattoni a vista e decorazioni sulla facciata, come era in uso nell’alta Lombardia. Il piano terra è intervallato da finestre ad arco, sopra le quali si aprono anche monofore divise in due da un pendente centrale e riquadrate da cornici rettangolari intonacate. Lo stile di questo palazzo ci esemplifica il passaggio tra il periodo tardo gotico e il Rinascimento lombardo. La facciata del palazzo è, inoltre, percorsa interamente dalle due canne fumarie, fino al tetto, dove si slanciano come guglie. Oggi il palazzo è la sede dell’Amministrazione Comunale di Borghetto. Entrando dal monumentale portone ligneo, dopo aver salito lo scalone che è collocato in posizione asimmetrica rispetto alla mezzeria della facciata, si accede all’atrio. Da qui si sviluppa un monumentale scalone “a tenaglia” che conduce al primo piano.





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i nostri occhi si apre la sala principale di tutta la costruzione: uno splendido salone, attualmente la Sala del Consiglio Comunale, coperta da un prezioso soffitto ligneo dipinto e un grande camino. E’ affrescata anche la maggior parte delle altre stanze del palazzo. L’edificio fu ristrutturato nel 1993, quando divenne la sede del Comune di Borghetto. All’ultimo piano, coperto da un meraviglioso tetto a vista, è stato approntato un interessante Museo detto Piccolo Museo dei Lavori Umili. Di pregio artistico è, inoltre, la Chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, che fu fatta edificare dai Rho vicino al loro palazzo. La chiesa è stata restaurata nell’ottocento dall’architetto Giuseppe Pestagalli. La facciata è tripartita, suddivisa da gruppi di colonne e su cui vi sono tre aperture. All’interno si possono ammirare pregevoli affreschi, come quello della “Deposizione” (XV secolo) posto nel terzo altare a sinistra, ed altri affreschi riaffiorati dagli ultimi lavori di restauro, opere di Osvaldo Bignami. Ricordiamo che a Borghetto Santa Francesca Cabrini fondò nel 1885 un Monastero, nel quale raccolse molte giovani fanciulle cui vennero impartiti insegnamenti religiosi; nel 1890 furono inaugurate anche le scuole elementari e la scuola materna. Le Cabriniane operarono a Borghetto sino al 1990. Del territorio comunale fanno parte oltre al capoluogo, le frazioni di Casoni, Fornaci, Panigada, Pantiara e Vigarolo. Il paese è da sempre essenzialmente basato sulla tradizione agricola; la sua popolazione raggiunge oggi circa 4000 abitanti.









L’

attività agricola si rispecchia anche nell’urbanistica: attorno al paese si estendono campi intensamente coltivati e qua e là si possono scorgere immense cascine, vere e proprie imprese agricole di grandi dimensioni. Alcune di esse sono di particolare pregio, poiché risalgono ad epoche molto antiche, come la Cascina Valsecchi, in origine quattrocentesca. Segnaliamo anche Villa dei Rho e Villa Ghisalberti (in frazione Vigarolo). Va ricordato che a Borghetto ogni anno si tiene l’imperdibile appuntamento della celebre Fiera Regionale Polisettoriale, tradizione che viene organizzata dal 1794, quando a Borghetto, capoluogo della tredicesima delegazione della provincia austriaca di Lodi, venne concesso di “tenere l’annual Fiera di bestiame e di ogni sorta di mercanzia” nota come “Fiera di San Bartolomeo”. Oggi si è deciso di anticiparla il primo weekend di maggio, in occasione della celebrazione in ricordo del ritrovamento del Santo Crocifisso di Borghetto, avvenuto nel XVIII secolo. Oggi la fiera si presenta in primis come fiera agricola, ma propone anche la produttività territoriale a 360 gradi, dall’artigianato alle piccole imprese. Da Borghetto Lodigiano è possibile raggiungere la Frazione Fornaci, piccolo centro dalla grande importanza storica.



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ui tappa d’obbligo è l’Oratorio di San Michele, che si trova sulla Strada Comunale delle Fornaci: l’edificio religioso sorge nel centro abitato, con una tipica architettura rurale. La chiesa, risalente al 1753 e progettata da Angelo Ronchetti e Francesco Antonio Albertino, si presenta con una pianta rettangolare in muratura di mattoni coperta da intonaco e pilastri in aggetto. Entrati, si scopre che la navata è unica, con una particolarissima terminazione absidale a pianta semiottagonale, con copertura interna a botte, decorata. Il campanile si staglia nel cielo, al lato della chiesa, ed è a sezione ottagonale, in muratura. Un piccolo gioiello nell’aperta campagna lodigiana.



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al 1803 a oggi, sette generazioni di mugnai

Le prime testimonianze della presenza di un molino nella zona risalgono agli inizi del Quattrocento, con l’insediamento, nel comune di Borghetto Lodigiano, di alcuni frati cistercensi che costruirono quattro opifici a energia idraulica, uno dei quali sarebbe diventato il Molino Pagani. Nel 1803 la famiglia Pagani fa la sua prima comparsa al molino, detto anche della Rusca. Da allora ben sette generazioni di mugnai si sono avvicendate nella gestione di questa azienda che è senza dubbio una delle più antiche d’Italia. Battista Pagani acquista la proprietà dell’immobile del molino e dei terreni annessi nel 1921, avviando una gestione lungimirante e dinamica. Entrano al Molino Pagani i primi laminatoi, poi il primo camion, il primo molino automatico, i silos, il primo laboratorio di analisi, fino al primo computer. Un lavoro che viene proseguito abilmente da Giuseppe Pagani che imprime una svolta imprenditoriale al molino che, negli anni Cinquanta, si trasforma da azienda artigiana in industria moderna. Dopo di lui, il testimone viene raccolto dal figlio Gianbattista Pagani che, insieme ai suoi figli Davide e Giuseppe, prende in mano l’azienda proseguendo il lavoro di ampliamento e ammodernamento, senza disperdere il sapere antico e il patrimonio di esperienza maturato in oltre due secoli di storia. Tra le attività più recenti, l’acquisizione, nel 2002, del Molino Bona di Redavalle (Pv) e, nel 2003, l’avvio dei lavori per la realizzazione del nuovo stabilimento, dotato di una moderna sezione silos per carichi rapidi che permette di preparare un intero carico in mezz’ora, e di una nuova sezione molitoria. Il nuovo molino entra a regime nel 2006, diventando il più grande molino della Lombardia come capacità produttiva e fra i primi in Italia.



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l processo produttivo delle farine Molino Pagani è completamente automatizzato. Le varie tipologie di grano necessarie a ciascuna qualità di farina vengono prelevate dai silos automaticamente, con appositi dosatori ponderali. Il grano passa nei macchinari che eseguono un accurato lavoro di pulitura, e poi alla macinazione. Il sistema di produzione, all’avanguardia e completamente informatizzato, rende possibile: sicurezza, qualità e totale tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti; macinazione ‘a luci spente’ per oltre 48 ore; regolazione automatica delle macchine, in base a ricette impostate dai tecnici. Il Molino Pagani può contare su macchinari di ultima generazione: due impianti da oltre 250 tonnellate sulle 24 ore. Il nuovo impianto è concepito per una macinazione “lenta”, che non “stressa” i prodotti. Impianto di bagnatura innovativo e af elevato standard igienico, che migliora la lavabilità dei chicchi; impianto di miscelazione a batch con potenzialità di 30 ton/h, per assicurare massima corrispondenza delle farine ai capitolati sia aziendali sia personalizzati per clienti industriali. Capacità produttiva: 550 t al giorno di grano. Capacità di stoccaggio: 7.000 t di grano; 3.500 t di farina. Trasporti: Cisterne e cassonati aziendali e aziende trasporti full time. Responsabili vendita dedicati per: panificazione artigiana, Industria, Gdo, Grossisti di pizzerie, pasticcerie, panificazione. Molino Pagani

Via dei Molini 38 Borghetto Lodigiano - Lodi Telefono: 037129011 E-mail: info@molinopagani.it www.molinopagani.it







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iso Dragoni nasce nel 1890 come molino da cereali e riseria. Nel primo dopoguerra abbandona l’ attività molitoria per dedicarsi esclusivamente alla lavorazione del riso. Le generazioni che si sono susseguite nel tempo hanno sempre privilegiato la qualità come scelta delle materie prime che, accompagnata da una accurata e competente lavorazione garantiscono al consumatore un prodotto di sicura qualità e di grande tradizione. Il rinnovamento continuo degli impianti e dei metodi di confezionamento hanno contribuito con l’apporto di personale specializzato a raggiungere questi obbiettivi. La volontà e la voglia di diversificazione l’hanno portata ad impegnarsi anche nella lavorazione di riso e farine di riso biologiche e di prodotti destinati ad alimenti per la prima infanzia. Oggi, oltre ad esportare i propri marchi in 20 paesi del mondo, è fornitore di importanti aziende alimentari che utilizzano i suoi prodotti come materia prima.

Riso Dragoni Localita’ Ghisella, 26812 Borghetto Lodigiano - Lodi Telefono:0371 897532



Loc. Propio - Str. Prov. 107 - Km. 11 26812 Borghetto Lodigiano (LO) Telefono: 0371 80238 Fax: 0371 265884 www.caseificiodede.it

“Dal prato al formaggio”



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al prato al formaggio” non è solo il motto che la famiglia Dedè ha scelto per identificare la propria attività, ma soprattutto definisce il rapporto profondo fra l’azienda e il proprio territorio. E’ così da sempre, in questa zona, posta nella lingua di terra che dal lodigiano scende verso il piacentino, fra fiumi e rogge che alimentano prati ricchi di foraggio. Qui una volta si lavorava a filiera completa, partendo proprio dall’abbondanza del foraggio, sia fresco che secco, che dava cibo ai bovini, e, passando attraverso la tipica produzione del formaggio grana e del burro, si arrivava all’allevamento dei suini, nutriti con il siero del latte. Ora, nel territorio, è rimasta solo l’azienda dei Dedè a difendere questa antichissima modalità di produzione, che, secondo la saggezza dei nostri avi, non butta via proprio niente. La Cascina Rosa si staglia fra i campi, testimoni di una storia secolare, ed esempi di modernità come l’autostrada e la linea dell’alta velocità, ma i suoi proprietari, a partire da Arturo, il fondatore, e poi Alberto, hanno saputo coniugare la tradizione con la modernità, per salvaguardare un prodotto di altissima qualità come il grana a lunga stagionatura, almeno venti mesi, ma anche oltre, ottimo anche per chi è intollerante al lattosio, ma anche un grana di breve stagionatura dal quale si ricava la “raspadüra”, cioè la raspatura della forma con un attrezzo apposito, lunghi petali leggeri di grana, ottimi per gli aperitivi e per mantecare squisiti risotti.



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ttualmente la gestione è affidata ai componenti della famiglia, Alberto e il figlio Ferruccio, esperto nella gestione della stalla e dei bovini, coadiuvati da validi ed affezionati collaboratori. Tutti i freschissimi prodotti possono essere acquistati nel moderno spaccio dove, pur nel rigoroso rispetto delle moderne norme igieniche, si respira un’aria di tradizione e continuità con il passato. L’attaccamento alla tradizione è proprio il tratto distintivo di questa azienda, fiore all’occhiello della produzione lodigiana, basata sulla vera passione per “le cose fatte bene”.





Borgo San Giovanni A

bbiamo pochi documenti che riguardano l’origine di Borgo S. Giovanni e che ci possono fornire informazioni a riguardo, ma è probabile che il paese fu fondato verso il 1034. Il nome antico era Cozemano e, durante il Medioevo, fu possedimento di Ariberto d’Intimiano. Successivamente prese il nome di Cazzimani, da Cà de Zimani, famiglia lodigiana che in antico aveva delle terre in loco. Il nome Cazzimani rimase sino al 1929, quando in epoca fascista fu cambiato in Borgo Littorio. Solo dal 1947, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si chiamò Borgo San Giovanni, prendendo il nome del patrono. Percorsa dal fiume Lambro, nel Trecento la zona corrispondente all’attuale Cà dell’Acqua appartenne ai Visconti, mentre nel Seicento l’intero territorio fu dei Massereni (che lo ricevettero dal governatore spagnolo).



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a visitare, qui a Borgo San Giovanni, è la Chiesa di San Giovanni, in stile neogotico, datata 1930 – 1933. Progettata da Paolo Costermanelli, la chiesa è a tre navate con transetto e cappelle laterali; tutte le campate sono coperte da volte a crociera con nervatura cromaticamente evidenziata. La facciata in cotto rosso è tripartita: ognuna delle tre entrate è sormontata da una bifora. La parte centrale è decorata da un arcone ogivale e da decorazioni di santi. Merita una particolare menzione la Cascina Cà dell’Acqua (in Loc. Cà dell’Acqua), un complesso storico molto importante, oggi di proprietà privata e che svolge funzioni agricole. Qui si può ancora vedere quel che resta dell’antico Mulino del XIV secolo e della cascina del XIX secolo. La casa padronale presenta notevoli decorazioni policrome lungo la fascia della sottogronda. Qui è possibile vedere anche l’antico Oratorio di S. Maria Assunta (XIII secolo), oggi in disuso, di piccole dimensioni a pianta rettangolare, dalla semplice facciata, ad aula unica. Sempre in località Cà dell’Acqua, si trova il centro A.DI.CA. (Associazione per la Difesa del Cane) che da anni si occupa dei piccoli amici a quattro zampe più sfortunati, cercando loro una sistemazione e una famiglia che li sappia amare (per info e contatti: 0371/97035, 339/7186155, associazione@adica.org, www.adica.org). Segnaliamo anche la presenza di altre cascine nel circondario, come la Cascina Case Nuove (complesso del XV secolo), la Cascina Rita (prima metà del XVIII secolo) e la Cascina Triulza, di origini trecentesche.



Brembio B

rembio è un paese di origine antica, romana per la precisione. Dal 725 appartenne al Monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia e, successivamente, alla Chiesa di Santa Maria di Lodi. Protagonista delle terre brembiesi è il fiume Brembiolo (che prende il nome dal paese), che nasce nella zona di Ossago (ad est rispetto a Brembio), passa poi a ovest rispetto al Monasterolo, continuando per Zorlesco e Casalpusterlengo, in prossimità del Convento dei Cappuccini. Uno dei luoghi chiave di questo paese, che ha segnato significativamente la sua storia, è il cosiddetto Monasterolo, che si trova a circa 1 km dal centro di Brembio. Con tutta probabilità sorse laddove esisteva già un piccolo villaggio, poiché normalmente i monaci benedettini costruivano i loro monasteri in luoghi già abitati.



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el Quattrocento il feudo fu commenda di Pietro Modignani, poi passò a Giovanni Maria Sforza. Questi, Arcivescovo di Genova, lo diede in commenda a Papa Leone X, che la conferì a sua volta ai monaci di S. Gerolamo di Ospedaletto. Ai monaci, al momento dell’investitura, fu dato l’obbligo di costruire un convento, a Lodi o appena fuori Lodi. In città non poterono costruirlo, poiché ve n’erano in gran numero, e a Brembio la costruzione di un altro convento era impossibile, data la vicinanza del monastero dei Gerolomini di Ospedaletto Lodigiano. I monaci giustificarono questa mancanza asserendo che qui a Brembio erano sempre stati presenti dei monaci (anche se in numero ridotto: da qui il nome di Monasterolo). Nel 1638, dopo una lunga lite tra i frati e il potere temporale, i monaci cedettero al Capitolo molte terre, cascine e una somma ingente di denaro. I beni passarono, quindi, al Marchese Malaspina. Il 1439 fu il tragico anno della strage dei monaci benedettini (avvenuta a causa dello Scisma di Basilea). Correva l’anno 1499 quando Erasmo Triulzi, già feudatario degli Sforza, prestò giuramento al Re di Francia Luigi XII a da questi ottenne i feudi di Brembio e Secugnago; nel 1573 il feudo fu venduto dalla Regia Camera a Ferdinando Vistarini; fu dei Negrioli nel 1583.



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el 1519 il Monasterolo passò ai monaci Gerolomini; sfortunatamente fu poi oggetto di disastrosi incendi, tanto che oggi ne esiste ancora una sola parte che funge da abitazione. Il monastero di San Michele fu soppresso e i suoi beni furono divisi tra le famiglie nobili della zona; il Monasterolo fu soppresso nel 1772. La chiesa di Brembio era molto povera alla fine del Cinquecento e per buona parte del Seicento fu tentata la costruzione di un edificio ecclesiastico. Solo alla metà del Settecento si intromisero i Gerolomini di Ospedaletto, che si proposero come amministratori della chiesa parrocchiale, creando una parrocchia monastica. Questa chiesa fu voluta dai Gerolomini di Ospedaletto, che già nel 1529 erano entrati in possesso del Convento di San Michele, a pochi chilometri da Brembio, e della già citata frazione Monasterolo. I monaci edificarono, inoltre, il loro monastero proprio adiacente alla chiesa, che divenne poi l’attuale Palazzo Andreani, sede del Municipio e delle scuole di Brembio. Il progetto fu ideato dagli architetti Sartori, Pier Giacomo e Michele. Il palazzo accoglie i visitatori nel suo cortile interno su cui si affaccia l’elegante facciata ad archi. Nel 1756 fu così soppressa la chiesa parrocchiale precedente e ne fu costruita una nuova, che vediamo tutt’ora, la graziosa Chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente, dalle lineari forme neoclassiche, iniziata nel 1731, con alcune decorazione di Cesare Secchi.





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a chiesa è una tipica costruzione settecentesca, con inserti classici. Nella facciata si aprono le tre archi: il portale centrale è sormontato da un grande affresco e da due porte laterali minori. La facciata accoglie anche quattro nicchie con le statue di Evangelisti e termina con un classico timpano con la nicchia della Vergine. Dinnanzi alla chiesa i fedeli sono accolti dalle statue dei SS. Pietro e Paolo. Brembio diede i natali ad un personaggio singolare, di cui magari non tutti ricordano il nome, ma i cui fumetti sono da sempre impressi nella mente: Luigi Marchesi, il disegnatore di Diabolik e della bella Eva Kant. “Gigi” iniziò a collaborare con le sorelle Giussani, storiche creatrici del personaggio di Diabolik, nel 1963, proclamando la fortuna del fumetto. Dal 1965 lavorò per la Mondadori, smise di disegnare fumetti e si dedicò completamente alla pittura e alla scultura.



Camairago I

l paese appare da subito nella sua veste medievale, che mantiene sin dalle origini, che si collegano alla figura del Vescovo Andrea che, già dal 972, donò le decime di Camairago e le terre limitrofe della sua Diocesi al Monastero di S. Pietro di Lodi Vecchio. Camairago e le sue terre appartennero, poi, ad Ariberto d’Intimiano almeno dal 1034, il quale le lasciò alla Chiesa di Milano. Nel 1039 il Conte Ildebrando da Comazzo donò molti dei suoi beni al Monastero di S. Vito (da lui stesso fatto edificare) presso la “curte qui vocatur Camairaco”. Allora già sorgeva un primo fortilizio, che fu, però, incendiato e distrutto già nel 1158, durante i violenti scontri tra Milano e Lodi, sostenuta dal Barbarossa.



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l 1440 fu la volta di Filippo Maria Visconti che concesse il feudo a Vitaliano Borromeo per i suoi aiuti militari e i prestiti in denaro ricevuti e, dieci anni dopo, lo confermò al Conte Filippo Borromeo. Insieme al feudo i Borromeo acquisirono anche la licenza di fortificarlo: eressero, quindi, un maestoso castello, un grande complesso, che è giunto in ottime condizioni sino ai nostri tempi. Il Castello Borromeo fu scenario di molte vicende storiche, conflitti, guerre e saccheggi, nonché della peste che colpì Camairago e la zona intera nel 1460. Nel XVI secolo il castello accolse più volte anche San Carlo Borromeo (1538 – 1584), che spesso durante i suoi viaggi da e per Roma si fermava qui dove risiedeva anche la famiglia. Il castello subì nel corso del tempo, il passaggio di diverse dominazioni, come quella di Francesco Sforza, che sconfisse i veneziani nel 1447; nel 1509 fu occupata dai francesi e, nel 1629, ricordiamo che il Castello Borromeo fu preso con la forza anche dai Lanzichenecchi, che parteciparono all’assedio di Mantova. Ma non finisce qui. Nel 1848, durante la prima Guerra d’Indipendenza, il castello fu la sede del quartier generale del maresciallo Radetzky. Ed eccoci ai giorni nostri: oggi il castello è ancora di proprietà della famiglia Borromeo ed è utilizzato come location per eventi. Splendidamente conservato, è ancora possibile ammirare il bellissimo maniero inserito nel curatissimo giardino; all’interno vi sono le bellissime sale, come la Sala degli Stemmi e del camino, dove campeggiano antichi arredi, la libreria e l’esposizione di baionette e fucili usati a difesa del castello (qui, secondo la tradizione, era solito alloggiare San Carlo).





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l fortilizio sorge su una posizione più elevata rispetto alle mura (erette per volontà dell’ammiraglio e viceré di Sicilia Marco Antonio Colonna nel 1521) ed esternamente vi sono tracce della presenza di un ponte levatoio; entrando si accede al grande cortile interno rettangolare, coronato da archi a sesto acuto. Le austere torri angolari ricordano ancora l’antica funzione difensiva del maniero quattrocentesco. Chi visita Camairago può apprezzare anche le lievi forme della recente Chiesa dei Santi Cosima e Damiano. L’edificio è stato completamente ricostruito sulle rovine di una precedente struttura negli anni 1959 – 62, con un progetto dell’architetto triestino Tamburini. La chiesa è ad unica navata con cappelle laterali; si deve la decorazione pittorica all’artista lodigiano Felice Vanelli, che da dipinto la volta e l’abside con scene della vita di Cristo. Particolarmente interessante, se non altro per il suo valore devozionale nella zona, è il Santuario della Madonna della Fontana, che si trova poco fuori dal centro di Camairago, raggiungibile da una strada di campagna. Secondo la tradizione nel XIII secolo sulla costa del fiume Adda, nel tratto che bagna il paese, sorgeva già una piccola cappella dedicata alla Vergine che custodiva l’effige di una Madonna con Bambino (oggi al Museo Diocesano di Lodi), venerata soprattutto da pescatori e barcaioli. Nel XVII secolo presso l’antica fontana che si trovava accanto all’antica chiesa sgorgò inspiegabilmente una nuova fonte d’acqua che, secondo la credenza locale, era miracolosa: si narra che un fanciullo muto dalla nascita, una volta bevuta l’acqua della fonte, acquisì la parola.





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olti ritengono che l’acqua della fonte sia stata benedetta da S. Carlo Borromeo stesso, durante una delle sue visite alla famiglia presso il castello. A seguito di questi eventi tra il 1682 e il 1684 fu eretta, al posto della precedente, l’attuale cappella dedicata alla Vergine delle Grazie. Al suo interno si distinguono l’altare ligneo barocco e un’importante effige della Madonna con Bambino. Il Comune di Camairago accoglie anche parte della Tenuta del Boscone, situata all’interno del Parco Regionale Adda Sud, che si snoda tra le Province di Lodi e di Cremona per 300 ettari di vegetazione fitta e verdissima. Il Parco si compone di una rigogliosa flora tipica delle aree fluviali dell’Adda, e da una fauna variegata: non è difficile scorgere qualche scoiattolo (simbolo e mascotte della tenuta), falchi, daini, aironi e gazzelle. Chi visita il Parco può scegliere diverse modalità, a seconda delle proprie preferenze ed attitudini: si possono percorrere le piste ciclabili, fare splendide passeggiate, fare footing; ci si può divertire seguendo gli itinerari di birdwatching o crogiolarsi al sole nel parco dopo una bella grigliata presso le aree attrezzate. Per i più sedentari è a disposizione anche un giro con il trenino e il servizio ristorante presso una bellissima cascina secentesca. Dalla Tenuta è, inoltre, possibile imbarcarsi per un suggestivo giro in battello sull’Adda, godendo della pace e del verde del parco. (Per info sulla Tenuta il Boscone visitare il sito: www.tenutadelboscone.com, info@boscone.it, tel. 0377-59384; per info sulla navigazione dell’Adda visitare il sito: www.navigareladda.it, tel. 0372-21529).



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ercorrendo il Parco Regionale Adda Sud, tra le Province di Lodi, Cremona e Piacenza, vedrete sorgere, nel piccolo comune di Camairago, il Castello Borromeo, dimora quattrocentesca immersa nel lodigiano e adagiata sulla valle dell’Adda, che disegna le campagne con lo snodarsi delle sue acque, seguendo l’antica strada romana che da Milano conduceva a Cremona. Correva l’anno 1400 quando Filippo Maria Visconti, ultimo duca di Milano, concesse al Conte Vitaliano Borromeo il feudo di Camairago insieme alla licenza di fortificare un preesistente fortilizio medievale, come segno di riconoscimento per le sue condotte militari e come forma di ringraziamento per prestiti in denaro ricevuti. Nel Seicento il Castello è dimora di San Carlo Borromeo; nel 1629 ospitò i famigerati Lanzichenecchi che presero parte all’assedio di Mantova. Nell’estate del 1848, durante la Prima Guerra di Indipendenza, il Castello fu sede del quartiere generale delle truppe austriache: proprio qui il maresciallo austriaco Radetzky respinse l’offerta di siglare l’armistizio voluto dal ministro inglese Sir Abercromby. Oggi il Castello Borromeo di Camairago è dimora privata tuttora di proprietà della famiglia Borromeo ed è Partner Certificato del network “Residenze d’Epoca”, proponendosi come location ideale per ogni tipo di ricevimento: non solo è un luogo fantastico per celebrare al completo il giorno delle nozze, in un’atmosfera d’altri tempi, ma anche per organizzare meeting aziendali, allestire mostre, vernissage, set cinematografici e qualsiasi altro evento che meriti un’ambientazione speciale e unica come quella proposta da uno dei castelli più belli del lodigiano e d’Italia.



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n particolare, il Castello offre angoli particolarmente suggestivi come la corte e il giardino, ampi spazi (oltre 1300 mq) dove il verde lussureggiante e alberi secolari si compenetrano perfettamente e in pieno equilibrio con l’architettura rinascimentale; qui sarà possibile allestire qualsiasi tensostruttura o gazebo, arrivando così ad accogliere fino a 800 persone invitati. Il parco è inoltre dotato di una affascinate illuminazione notturna che permette di organizzare eventi memorabili all’interno di atmosfere incantevoli in qualsiasi momento della giornata. Il loggiato, il bar e la cucina rappresentano un complesso di ambienti rustici perfettamente restaurati e combinati con un moderno impianto di climatizzazione e tutti i comfort che rendono questa struttura d’epoca perfettamente fruibile e vivibile, mantenendo tuttavia intatto il sapore di tempi antichi. Il loggiato comprende la zona ristorante e lounge bar, è circondato da ampie vetrate ed è capace di accogliere fino a 150 persone sedute. La Sala degli Stemmi è la suggestiva sala d’ingresso del Castello, un androne in stile tardo-medioevale, con gli stemmi di famiglia riportati sui muri originali. Salendo per lo scenografico Scalone si accede al 1° piano alla sala più importante del Castello, la Sala del Camino arredata come un tempo, con la libreria in legno intarsiato e adornata con fucili a baionette usati durante le difese del Castello. In questa parte della struttura alloggiava abitualmente San Carlo nelle sue frequenti soste sulla strada per Roma.



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l Castello di Camairago mette a disposizione le proprie strutture sia per la cerimonia che per l’aperitivo, il pranzo o la cena di nozze. Per la celebrazione del rito del matrimonio, il Castello propone due chiese situate nelle vicinanze: il Santuario della Madonna della Fontana, risalente al 1500 (con una capienza di 60 persone), dedicato alla Vergine Maria e alla leggendaria fonte di acqua miracolosa, e l’Ex Convento dei Serviti di Cavacurta, risalente al 1600 (con una capienza di 180 persone). Il Castello dispone infine di tutti i comfort, tra cui un comodo e ampio parcheggio. Matrimoni da favola, eventi memorabili, ricevimenti importanti trovano nel Castello la loro perfetta cornice, in un’ambientazione storica e in atmosfere suggestive impareggiabili, che saranno completate dal servizio di catering esterni di massima qualità e professionalità per soddisfare qualsiasi necessità.

Castello Borromeo di Camairago Via Castello, 16 - Camairago (Lodi) Telefono: +39 392 5592840 E-mail: info@castellodicamairago.it Sito web: www.castellodicamairago.it



Casaletto Lodigiano L

a storia del Comune si lega alla dominazione dei Masserati e successivamente ai Conti Lurani. La sua fondazione risale, quasi certamente, all’epoca longobarda. La straordinaria vocazione agricola di Casaletto ha permesso il sorgere di una serie di antiche e importanti cascine, come la Cascina Beccalzù, la Cascina Bernareggia, la Cascina Guado (ante 1723), la Cascina Guardarotta, la Cascina Molino del Guado, la Cascina Moncucca, la Cascina Porticone e la Villarossa (ex convento del XVIII secolo, adibita oggi ad uso agricolo, di proprietà privata), solo per citarne alcune. Le particolari testimonianze artistiche del Comune di Casaletto sono di certo le tre chiese: la parrocchiale di Casaletto, la Chiesa di San Giorgio Martire, datata XVIII secolo, classica chiesa di campagna. La sua facciata ha la tipica forma a capanna sulla quale si imposta un protiro poggiante su colonne che precede l’ingresso dell’edificio. Il protiro è coperto da una volta a vela affrescata. La struttura della chiesa è suddivisa in due corpi distinti: uno è l’ambiente principale della chiesa, l’altro la parte absidale; il campanile quadrangolare è adiacente all’edificio, sul lato destro.



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al Comune di Casaletto Lodigiano dipendono due frazioni, Mairano e Gugnano, le quali accolgono rispettivamente le due parrocchiali, Sant’Apollinare e San Vito. La Chiesa di Sant’Apollinare Vescovo di Mairano fu progettata dall’architetto Giovanni Antonio Veronesi nel 1745; essa presenta una particolare valenza artistica, specialmente nel fronte dai caratteri tipicamente barocchi, a forma convessa e terminante con un frontone curvilineo. La chiesa è fiancheggiata da due piccoli edifici di forma semicircolare. L’interno è a navata unica con due cappelle che si aprono ai lati, le decorazioni ricoprono le pareti e le lesene che scandiscono la navata sono dipinte ricreando l’effetto del marmo. E’ presente anche un affresco che potrebbe essere coevo alla chiesa posto sotto la trabeazione (tutti gli altri sono di epoca più recente). La Chiesa di San Vito Modesto Crescenzo di Gugnano, del 1575, è un complesso al quale è stato addossato il campanile nella zona absidale. La facciata è in stile tardo – rinascimentale, decorata e scandita da lesene binate. Il tetto è coronato da quattro obelischi, sul timpano e sulle balconate laterali. L’interno è scandito da tre archi. A Casaletto si può ancora vedere la cosiddetta Torre Borromea (oggi purtroppo in stato di degrado), in via Roma. Il suo nome deriva dalle modifiche che vi furono apportate dall’omonima famiglia, dopo che passò a lei dai Visconti. In tutti e tre i paesi, Casaletto, Mairano e Gugnano, particolarmente legati tra loro, si trovano i Monumenti ai Caduti.



Casalmaicco I

l piccolo centro di Casalmaiocco è fondamentalmente basato sull’agricoltura. Sappiamo che nel XII secolo era chiamato “Casale de Alamaniis”. Nel 1417 divenne feudo dei Maiocchi, da cui ancora oggi deriva il toponimo, cioè dal “Casale della famiglia Maiocchi”. Dal 1627 fu dei Brivio. Attualmente è ancora possibile ammirare i due bei palazzi storici di due delle famiglie che possedettero queste terre: Palazzo Brivio, secentesco, e la Dimora dei nobili Sempreri – Poggio, sempre del XVII secolo. Casalmaiocco è attraversato dal Cavo Marocco, un canale artificiale che nasce dal Canale Addetta. Nel centro sorge la Chiesa di S. Martino, costruita per la prima volta nella prima metà del Cinquecento, poi riedificata nel XVIII secolo e soggetta e recenti restauri. Si tratta di un edificio dalla fronte neoclassica sulla quale si trova una nicchia con la statua di S. Martino. Le decorazioni sono di Cesare Secchi e Cesare Minestra. Segnaliamo anche la settecentesca Cascina Codogno, completamente immersa nella campagna lodigiana.



Casalpusterlengo

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origine di Casalpusterlengo, una delle cittadine più grandi del Lodigiano, si deve con una certa probabilità ai Galli. Il suo nome, prima “Casale de Pusterlenghis”, poi Casalpusterlengo, si deve alla casata dei Pusterla. La storia di Casalpusterlengo è strettamente legata a questa famiglia nobiliare, i Pusterla appunto, che ne segnarono le sorti fino al XIV secolo, governando la città per più di ottant’anni. Ai Pusterla, nel 1450, succedettero i Lampugnani per volere di Francesco Sforza e, dal 1665, i Marchesi Castelli; dal 1665 al 1695 fu dei Trivulzio. Casalpusterlengo fu soggetta negli anni futuri alla dominazione di francesi, spagnoli e austriaci fino al 1796, anno della vittoria di Napoleone sul Ponte di Lodi: Napoleone Bonaparte scelse Casalpusterlengo come suo quartier generale, presso Palazzo dei Pedroli, in via Cavour, dove è ancora conservata la stanza dove dormì l’imperatore.



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ggi della lunga denominazione dei Pusterla rimane la famosa torre merlata, detta appunto Torre Pusterla, la quale è stata soggetta ad un recente restauro che l’ha riportata al suo splendore; ad esempio fu rimosso il tetto ligneo, che copriva la torre, per cui ora la si può apprezzare senza copertura, nel pieno della sua bellezza, con la merlatura a coda di rondine. Casalpusterlengo conservò il suo Castello sino al 1846, di cui oggi resta solo la torre suddetta. Nel documento di investitura dei Pusterla (1352) si parla di una “Castellum”, vale a dire un castello difeso da un fossato. Anticamente la torre doveva sorgere proprio all’interno di questo castello. Nel XVI secolo la torre venne trasformata in carcere. Internamente si aprono ambienti bui e suggestivi, suddivisi su più piani collegati da scale; il primo e il secondo piano sono coperti da volte a crociera e a botte. La Torre Pusterla è costituita da blocchi quadrangolari compatti sovrapposti, coronata da merli ghibellini, su un basamento “a scarpa”. Una volta la torre era costituita da ben cinque piani, adibiti poi a carcere o a bergello (con questo termine si indica una torre fortificata o castello). Proprio l’immagine della torre è stata usata per lo stemma civico di Casalpusterlengo. Oggi la Torre è sede della Proloco. A Casalpusterlengo segnaliamo il Centro Cultura, composto dal Cinema – Teatro Comunale e dalla Biblioteca Carlo Cattaneo e dalla Torre Piazzetta, un importante luogo di aggregazione cittadino, dove si svolgono incontri e mostre.



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ui si trova anche la Pinacoteca Comunale, che contiene preziosi dipinti di artisti quali Enrico Baj e Gino Carrera. Consigliamo una visita alla Chiesa parrocchiale di San Bartolomeo Apostolo e Martino Vescovo: essa ricalca la struttura seicentesca, la facciata è armoniosa, scandita da lesene corinzie. La navata unica è coperta da una volta a botte, mentre la cupola è stata recentemente affrescata dal pittore Secchi. L’interno ospita importanti opere come la tela con “San Pietro Martire” del Nuvolone (1651), l’ “Ecce Homo” della scuola di Guido Reni e una bellissima Madonna del Sassoferrato. E’ presente, inoltre, un’apprezzabile grande tela con “San Carlo Borromeo che comunica Luigi Gonzaga” proveniente dalla soppressa chiesa di Santa Maria in Brera di Milano, di Francesco del Cairo. Il Santuario della Madonna dei Cappuccini, invece, si trova sulla sponda destra del Brembiolo e risale al XVI secolo; il Simulacro della Madonna dei Cappuccini è invece precedente, del XV secolo. Essa sorge su un’antichissima chiesa dedicata a San Salvatore del 1039 circa, ma della cui esistenza si hanno notizie già prima dell’anno mille (addirittura prima dell’880, in alcune antiche carte risalenti all’età di Carlo il Grosso) ed era citata come facente parte del convento di San Vito. Il monastero, dopo anni di floridezza, andò in rovina, sinché, alla fine del XVI secolo, un fatto prodigioso narrato in un manoscritto di Padre Salvatore da Rivolta, scosse le coscienze religiose di Casale.



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el 1574, secondo la tradizione, per varie sere la popolazione assistette a processioni molto particolari di religiosi Cappuccini, mai visti prima in queste zone, che giungevano alla chiesa per la via di San Salvario: arrivavano, rendevano omaggio alla Madonna e poi sparivano. Nelle ultime serate, dopo la processione dei frati, tutti vedevano la Madonna che appariva sopra la cappellina, benedicendo il popolo accorso. Anche successivamente si verificarono una serie di altri fatti miracolosi, come il trasferimento della statua della Madonna che, portata nella chiesa di Sant’Antonio Abate in Casale, il giorno successivo veniva ritrovata nella stessa cappellina. Dopo gli eventi miracolosi i casalesi chiamarono i Frati Cappuccini (ordine minore dei Frati Francescani) a custodire il Simulacro della Madonna e a costruire un convento chiamato “I Frati della Madonna” sulla chiesa già esistente, ceduta dai Lampugnani insieme al terreno circostante. Fu così iniziata la costruzione di una nuova chiesa, che avrebbe inglobato la preesistente. Pochi giorni dopo la cessione fu benedetta la prima pietra e dopo solo due anni il convento fu pronto; i lavori furono seguiti da P. Marco da Bergamo con Fra Fortunato da Milano. Il complesso era di cospicue dimensioni, composto da coro, refettorio, cucina e, nella parte superiore, dalle celle. Il monastero era abitato da una ventina di frati, ma era un centro di grandissima devozione. La chiesa di San Salvario fu distrutta prima del 1368 e di questa restano oggi poche tracce.



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d oggi la chiesa e il complesso monastico annesso si presentano in una struttura piuttosto articolata e complessa. Una parte fu ricostruita nel 1615; negli anni venti del Seicento fu edificata una chiesa nuova e, nel 1624, venne consacrata la nuova chiesa, che assunse il nome di Santuario Mater Salvatoris (conosciuta da tutti come “Madonna dei Frati Cappuccini”), poi rimaneggiata pesantemente nel Settecento. La facciata della Chiesa è ornata lateralmente da due avancorpi, terminante con un frontone triangolare e da due modanature curvilinee. Alla chiesa si accostano chiostro, convento e un’antica cascina. L’edificio religioso si compone di una navata unica, con quattro cappelle che si aprono sui lati, mentre la copertura è a volta. Il presbiterio è leggermente rialzato rispetto al pavimento della chiesa; dietro si trova un coro diviso da una trammezza in muratura e coperto da una cupola. Il progetto dell’ampliamento si deve all’ingegner Pietro Grazioli. All’interno della chiesa, nella Cappella di San Salvario, in una nicchia, c’è la Madonna di argilla e dipinta con vernice piombifera, plasmata con Gesù Bambino tra le braccia, opera di un artigiano casalese del XV secolo. Sappiamo che per gli ultimi ritocchi al volto della Madonna egli fu aiutato da un misterioso pellegrino, probabilmente di origine emiliana, data la fattura della scultura. All’interno si conserva, sopra l’altare maggiore, la tela con l’ “Ascensione” di Gianbattista Trotti detto il Melosso, datata 1593. (Per info e visite: 0377.84880).



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onsigliamo anche una visita alla Chiesa di Sant’Antonio Abate, alla Chiesa di San Rocco e alla Chiesa di San Bernardino, quest’ultima dalla ricca facciata barocca, dall’interno sobrio e l’altare del XVIII secolo; nella cappella di sinistra, appena entrati, si può ammirare la grande tela con i “Re Magi” attribuita alla scuola bresciana del Moretto. Lungo via Garibaldi c’è una lapide che ricorda il passaggio dell’Eroe dei Due Mondi in città. Casalpusterlengo ha due frazioni, Zorlesco e Vittadone. In quel di Zorlesco è immancabile una visita alla meravigliosa Villa Biancardi. La sua costruzione si deve a Serafino Biancardi. La villa si trova dove prima sorgeva il castello: per questo molti si riferiscono all’abitazione chiamandola “il castello di Zorlesco”. I lavori iniziarono nel 1911 e il progetto fu affidato a Gino Coppedè. L’architettura e lo stile della villa sono davvero singolari, unici del loro genere, tanto da rendere questa struttura unica nel suo genere nel territorio lodigiano. L’edificio è in stile Liberty eclettico con riferimenti al Medioevo, al Gotico e al Rinascimento, cui deriva il suo eclettismo. La villa si compone di una lunga parte longitudinale e di un’elegante torre con belvedere. Nell’ala lunga, la facciata presenta un importante portico sorretto da colonne e coperto da archi a tutto sesto.



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u uno dei lati della torre si scorge un elegantissimo bow window coperto con falde, particolarmente decorato con graffiti e altri inserti pittorici, come tutta la torre. Internamente troviamo le camere adibite ad abitazione: sono tutte decorate, ognuna con un diverso motivo decorativo. In particolare le stanze presentano decorazioni sulla fascia superiore delle pareti e bellissimi soffitti a cassettoni. Imperdibile l’ex Sala della Caccia (in realtà era la sala da pranzo), cosiddetta per le decorazioni che seguono questo tema, opera di Angelo Prada, artista casalese. Molto suggestiva anche la Sala del Biliardo, dove è conservato, tra gli altri arredi originali, anche il biliardo, da cui il nome. L’ambiente principale della villa è quello in cui si trova la grande scala d’onore costituita da tre rampe in rovere, realizzata interamente senza sostegni. Essa è decorata con motivi floreali e nastri, arricchita di splendidi ferri battuti, eleganti e particolareggiati, probabilmente del maestro Mazzucotelli. Al piano superiore si trova la stanza da letto del Biancardi, dove si vede, in un grande tondo, l’affresco con la “Natività”, sempre del Prada. (Per info e visite, Comune di Casalpusterlengo: 0377.92331).



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iamo anche qualche indicazione di carattere gastronomico: qui a casale non può mancare una menzione alla celebre “Turta dal casal” (Torta del Casale) fatta di pasta frolla, pesche e pere o marmellata lavorata con mandorle tritate e amaretti. Ottimo anche il torrone di Casale. Ricordiamo anche le Sagre: quella storica del bestiame, che cade il secondo giovedì di aprile e che si ripete per la Sagra di San Bartolomeo l’ultima settimana di agosto.



Caselle Landi C

aselle Landi sorge sulle rive del Po e dal fiume derivano molti dei fatti storici legati al paese. Il nome del comune è relativamente recente, infatti anticamente si chiamava Caselle Vecchie e poi Caselle del Po. I nomi derivano dalla storia: Caselle Landi e tutto il territorio da Cremona a Piacenza fu dominato anticamente dai Romani e dai Galli. Fu teatro di battaglie e scontri con l’obiettivo di tutti dell’egemonia sul territorio. Nel 191 aC i Romani vinsero e costruirono le prime capanne, che vennero chiamate “caselle” e poi, appunto, chiamate “caselle vecchie del Po” perché poi ne vennero edificate di nuove. Il nome attuale del paese risale almeno al 1262: allora le “caselle” passarono ai feudi dei Landi, feudo e signoria che costituivano lo Stato dei Landi. Questa era una famiglia di antichissime origini e che segnò la storia del paese. I Landi furono feudatari del paese sino al 1796.



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a vicinanza al fiume Po ha fatto la storia di questo paese e già nel Cinquecento furono approntati dei profondi interventi di bonifica delle zone paludose per rendere fertili le terre attorno al paese. Risale sempre al XVI secolo la deviazione del Po, che portò Caselle sulla riva sinistra del fiume. Queste terre furono poi per molti anni territori sottoposti all’influenza di Piacenza, almeno fino al Congresso di Vienna (1815) e da allora divenne definitivamente lombardo. Caselle Landi è famosa per il suo Castello, fatto costruire per volere del Conte Pompeo Landi come abitazione del feudatario e fortezza del feudo. Fu completato nel 1533. Con la costruzione di questa fortezzacastello l’allora Caselle del Po non fu più solo un “vico”, ma un vero e proprio “castrum”, perdendo la sua precedente aura pacifica. Ad oggi questa parte del castello viene chiamata Vecchio Castello, dove abitavano i Landi. Accanto sorge, invece, Palazzo Nuovo, detto dagli autoctoni “Palàsi”, che è stato dato in uso al marchese Manfredi Landi e ad alcune famiglie, mentre fino agli anni Ottanta ha ospitato una farmacia. Attualmente il Vecchio Castello conserva poche delle tracce originali: è a pianta quadrata e conserva una sola delle quattro torri angolari. Per quanto concerne il Palazzo Nuovo, la sua costruzione fu concessa dagli Sforza nel 1491; fu scelta allora una zona lambita dal Po, carattere che contribuiva a tener lontano i nemici.





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a visitare anche la Chiesa della Beata Vergine Maria, datata 1750 circa, dell’architetto Luigi Riboni. L’edificio è a pianta rettangolare con l’abside semicircolare; è coperta da una volta a botte, ad una grande aula unica sulla quale si aprono profonde nicchie laterali. La vasta facciata si configura su due ordini, culminante con un timpano triangolare. Sopra il portale d’ingresso si può apprezzare l’effige della Vergine. L’alto campanile addossato alla facciata non è coevo alla chiesa. All’interno è presente un affresco di Luigi Arzuffi del 1984 con “Santa Francesca Cabrini”. Da segnalare anche il Palazzo del municipio, inserito nel complesso di Palazzo Sordi, della prima metà del XIX secolo. Per i turisti più “comodi”: sappiate che, nei mesi estivi, potrete ristorarvi al “Pozzuolo”, un laghetto d’acqua sorgiva situato accanto al Po (e formatosi con le acque di questo che sono filtrate attraverso la sabbia). Oggi viene usato come oasi naturale, dove è anche possibile fare il bagno.



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l bar trattoria “La Messicana” si trova a Caselle Landi, in provincia di Lodi, verso il confine tra Lombardia ed Emilia Romagna, una terra ricca e generosa attraversata dalle ampie anse del Po e dalla fascia dei fontanili che accompagnano il corso del fiume. Dal 1991 la Signora Antonella è titolare e cuoca della Trattoria insieme al Signor Luigi e da ben 20 anni accolgono i loro ospiti offrendo il meglio della cucina tipica della Bassa Padana, una tradizione in cui si intrecciano memorie e sapori di civiltà e ricette antiche.In un ambiente caldo, accogliente e familiare vi verranno serviti taglieri di salumi a cavallo tra la tradizione Lombarda ed Emiliana e poi piatti tipici che hanno l’inconfondibile profumo di queste terre, come risotti e pasta casereccia arricchiti con sughi ai funghi porcini, stufati, trippa, cacciagione allo spiedo, lepre e cinghiale in salmì, pesce persico, lumache. Il Ristorante ricrea l’ambiente rustico tipico della Bassa Padana, con un portico e una veranda con travi e panche in legno, dove, nella bella stagione, vengono organizzate serate enogastronomiche a tema, serate danzanti, musica dal vivo. È possibile inoltre rivolgersi ai titolari per l’organizzazione di matrimoni, convegni, cresime, battesimi, cene aziendali, feste private: Luigi e Antonella vi sapranno sempre consigliare al meglio e saranno lieti di accogliervi per farvi riscoprire sapori e tradizioni da gustare in compagnia. Ristorante La Messicana di Luigi Pisolini Viale IV Novembre, 4 26842 Caselle Landi (LO) Tel. 0377.69105





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rattoria della Frasca.

Si tratta di una trattoria a carattere familiare, immersa nella campagna della bassa lodigiana, a Bruzzelle, sulla provinciale per Caselle Landi. Nel 1955 Natale Orsi, padre dell’attuale titolare, il Sig. Claudio, rilevò dai cugini l’Osteria che qui già da tempo esisteva e alla quale diede il nome che ancora oggi porta. L’ambiente, raccolto e semplice, è molto curato negli arredi della sala e nei tavoli: sembra di entrare nella sala da pranzo di un’antica famiglia di campagna, la cui naturale disponibilità e cordialità sono accompagnate dalla riservatezza. Per quanto riguarda la cucina, è il trionfo della tradizione, che viene esaltata dalla bontà delle materie prime e dall’abilità della cuoca Francesca, con alle spalle anni di esperienza dietro ai fornelli. Il menù tipico prevede i classici antipasti di salumi tradizionali, prodotti con macellazione propria, accompagnati da torta fritta. Tra i primi piatti, ottime sono le lasagne della nonna, i nidi di rondine, il risotto ai funghi porcini o al radicchio, i tortelli ripieni di ricotta e spinaci, i classici pisarei e fasoi. Tra i secondi spiccano l’arrosto di manzo, il magatello di vitello arrosto, la lonza alla panna, il pollo disossato ripieno, le fettine di tacchino alla scamorza.



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noltre, su prenotazione, si possono gustare alcune delle tipiche specialità della tradizione rurale di un tempo, quali la trippa, polenta e merluzzo, polenta e brasato, lepre in salmì e tagliatelle al sugo di lepre, caseola di maiale e verze, la panisa, cotechino e lenticchie. Come dolci si possono gustare delle deliziose crostate o torte di mele. E’ inoltre degna di nota la selezione di vini DOC e IGT di diversa provenienza regionale, tra cui la Barbera, Vigna Montecalò di Montù Beccaria, e gli inconfondibili Barbona e Gutturnio Riserva “il Poggiarello”.

Trattoria della Frasca Strada Provinciale 195 26842 Caselle Landi - Lodi Telefono: 0377 69408



Caselle Lurani C

ome Caselle Landi, anche Caselle Lurani deriva la seconda parte del suo toponimo, aggiunta con un Regio Decreto del 1863, da una nobile famiglia di proprietari terrieri. La prima parte, invece, è simile al lombardo “casèl”, equivalente a ‘capanna, cascina’, ma forse deriva da “casella”, diminutivo di “casa”. Le prime notizie storiche che riguardano Caselle Lurani risalgono al 1189, quando venne citata come possedimento dei Duchi di Salerano. Nel 1199 la proprietà passò all’Ospedale Maggiore di Milano; appartenne successivamente ai Visconti che la concessero in signoria ai Trivulzio. Nel 1647 fu dei Lurani e nel 1691 Caselle divenne contea. Il territorio comunale comprende anche le frazioni di Calvenzano, Cusanina, Grugnetto e Pozzobonella e le cascine Lurani, Moschinone, Del pozzo, San Gabriele e San Geminiano.



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Caselle Lurani consigliamo una visita al Castello Lurani il quale, sebbene intitolato ai Lurani, appartenne quasi certamente già ai Trivulzio; si tratta di una costruzione di discrete dimensioni, trasformata nella seconda metà del Seicento, quando passò da fortificazione a uso civile (residenza signorile). Oggi sopravvivono il corpo centrale a pianta quadrata, distribuito su due piani, e le quattro torri angolari, sporgenti e sopraelevate rispetto al resto della costruzione. Risale al Settecento (ma l’originale era cinquecentesca), l’attuale Chiesa di Santa Caterina, dalla bella facciata in stile rinascimentale intonacata, con edicole decorative che ospitano statue in cotto. Il ritmo del fronte è scandito da quattro lesene poggianti su un basamento in pietra. La chiesa è costruita interamente in muratura di malta e mattoni; il solaio è costituito da una volta a botte lunettata che ricopre l’intera navata, mentre l’abside e il presbiterio sono ricoperti da una cupola semicircolare. Il campanile, che sorge adiacente alla chiesa, risale al 1709. Ben più antica, invece, è la Chiesa romanica di Santa Maria Nascente, nella frazione Calvenzano: essa, risalente probabilmente già al VI secolo, presenta un portale duecentesco e una struttura semplice, praticamente priva di rivestimenti e decorazioni all’esterno. La facciata è caratterizzata dal timpano che poggia sulla coppia di lesene binate con capitello in pietra. Segnaliamo anche il Municipio, dalla struttura curiosa, costruito nel XX secolo già con la funzione di accogliere gli uffici comunali: ha una facciata importante, marcata da lesene dipinte a due colori.



Castelnuovo Bocca D’Adda

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ià dal toponimo si comprende la vicinanza del fiume Adda e non si fatica ad indovinare l’importanza che storicamente ebbe la presenza dell’acqua per il territorio di Castelnuovo. La prima parte del toponimo deriva dall’antica presenza di un castello, esistente probabilmente dal 1133, poi distrutto e ricostruito più volte. Anticamente prese il nome, almeno dal XII secolo (documentato nell’879), di “Castelnuovo della Badessa”, poiché il paese costituiva una parte della proprietà del Monastero della Resurrezione e dei SS. Fabiano, Sisto e Bartolomeo di Piacenza. Ma perché questo nome “Bocca d’Adda”? Perché nel territorio si trova la confluenza dell’Adda con il Po, in Località Brevia e il Comune è praticamente circondato dai due fiumi. Non appare strano, quindi, che qui sia molto sviluppata la pesca d’acqua dolce.



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l paese fu fondato dai Galli Insubri e, dal 223 aC fu fortificata dai Romani. Per secoli il villaggio fu conteso tra Piacenza e Cremona; nel 1477 divenne feudo dei Fieschi e, dal XVI secolo, dagli Stanga. Nel Comune è d’obbligo una visita al Castello di Castelnuovo (XII secolo): il fortilizio fu scenario di molteplici vicende, come il tremendo incendio da parte dei Parmigiani nel 1188. Dopo la sua nuova ricostruzione, il Castello fu nuovamente ricostruito nel 1226 dal Comune di Cremona, che lo ampliò notevolmente. Ricordiamo che il castello ospitò l’antipapa Giovanni XXIII che proprio tra queste mura incoronò, nel 1414, l’imperatore Sigismondo. Successivamente, nel XVII e XVIII secolo, fu profondamente trasformato sino a diventare, attualmente, un’abitazione privata. Oggi è addirittura chiamato Palazzo Stanga, nome della famiglia che dominò Castelnuovo alla fine del Quattrocento. Di singolare interesse è la Chiesa della Beata Vergine Maria Nascente, consacrata nel 1471 dal Vescovo di Lodi Carlo Pallavicino; fu rifatta in stile barocco nel 1750 – 60, a navata unica e con cappelle laterali. Si possono apprezzare le decorazioni in stucco nel 1900. Gli ultimi restauri risalgono al 1976 e al 2006. All’interno da notare il pavimento marmoreo (più di 500 m²) e il pulpito (1901) realizzato dagli artigiani Zonca di Treviglio. Annessa alla parrocchiale si apre la Cappella Stanga del Cinquecento e dedicata a San Giovanni Battista.



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a struttura è scenografica, a pianta ottagonale e un tempo “patronato” della famiglia Stanga (da cui il nome). Si nota il tipico assetto architettonico rinascimentale – lombardo e, all’interno, si trova la tela con la “Presentazione di Gesù al Tempio” di Angelo Massarotti e quattro stampe del XVIII secolo di grandi dimensioni. Merita una visita anche l’Oratorio della Beata Vergine Maria Annunciata, detta Madonna della Campagna (si trova lungo la Strada Provinciale, davanti al cimitero) edificata a pianta ottagonale nel 1707 come luogo di sepoltura della famiglia Stanga.



Castiglione D’Adda

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astiglione si trova geograficamente a poca distanza dalla confluenza del Canale Muzza nell’Adda. Storicamente il paese fu possesso del vescovo di Lodi e, nel 1389, fu dato come feudo ai Fissiraga; fu concesso successivamente ai Fieschi, Pallavicino e Busseto; dal 1581 al 1602 fu soggetto ai conti Serbelloni. Il territorio è caratterizzato da una forte impronta agricola, con la produzione di mais e foraggi in primis, ma anche di latte e derivati, tanto che la zona è una delle maggiori fornitrici di materia prima per la Polenghi Lombardo e la Centrale del Latte Milano. Castiglione d’Adda conserva ancora il magnifico Castello, poi Palazzo Pallavicino – Serbelloni, costruito nel 1295 per volere di Matteo Visconti. Il castello fu teatro dei frequenti scontri tra le potenze di Milano e Venezia per molti anni. Passò alla famiglia Serbelloni solo alla fine del XVI secolo. Oggi lo possiamo apprezzare con i successivi rimaneggiamenti nella pianta rettangolare e con quattro possenti torri angolari, una diversa dall’altra; la facciata è cinquecentesca in bugnato ed elementi tipicamente manieristici. Il cortile interno è circondato da un elegante porticato sorretto da colonne binate e archi a tutto sesto.



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a visitare la Chiesa parrocchiale dell’Assunta, molto scenografica poiché si raggiunge salendo una grande scalinata. La facciata è tripartita e la parte centrale termina con un timpano triangolare e capitelli in travertino. L’edificio risale al XVI secolo, con rifacimenti successivi. L’interno è a pianta rettangolare, suddivisa in tre navate; nel tiburio è collocato un coro ligneo del 1735. Segnaliamo l’importante Chiesa della Beata Vergine Incoronata, risalente al XV secolo. La struttura ecclesiastica si presenta con una solida facciata in laterizio, di stile romanico, intervallata da due lesene decorative; qui si aprono i tre portoni, i laterali sormontati da un timpano triangolare, quella centrale da una lunetta. All’interno le due navate laterali terminano con due altari del Cinquecento decorati dal pittore mantovano Sanviti. Di grande importanza è il Polittico dell’altare maggiore del pittore lodigiano Alberto Piazza, datato 1520 – 22, di cui sono particolarmente apprezzabili S. Rocco e S. Giovanni Battista; la chiesa custodisce al suo interno anche altre decorazione di Martino Piazza.



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ame? Beh, se vi trovate a Castiglione d‘Adda, dopo aver visitato il Castello Pallavicino Serbelloni e la Chiesa dell’Assunta, Mabedo consiglia una tappa culinaria presso la Trattoria de Castion. “Castion” non è altro che il toponimo di Castiglione in dialetto lodigiano! Ma qui non aspettatevi tovaglie in seta e calici di cristallo! La trattoria…è davvero tale! Un po’ spartana negli arredi, sarà una garanzia per il vostro palato! Alla Trattoria de Castion potrete trovare piatti tipici della cucina tradizionale della bassa padana e lodigiana e non solo! Avrete anche una vasta scelta di pizze, ricchissime e gustose! Noi vi suggeriamo la delicata pizza Regina (pomodoro, mozzarella di bufala, funghi e rucola), la pizza Incontro (pomodoro, mozzarella, rucola, pancetta e grana) o la pizza Contadina (pomodoro, mozzarella, zola, prosciutto e scamorza). Vedrete…ne vale la pena!

Trattoria de Castion

Via Cavour 17, 26823 Castiglione d’Adda - Lodi Telefono: 0377 901078



Castiraga Vidardo

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l paese di Castiraga Vidardo si compone oggi di due centri abitati: Castiraga e Vidardo. Il Comune che accoglie i due paesi, un tempo divisi, è relativamente recente, nato nel 1902. Così sono state scorporate le due frazioni di Castiraga da Reggio e Vidardo dal comune di Marudo, cui prima appartenevano. Castiraga, di origine medievale, fu proprietà dei monaci di S. Pietro di Lodi e, secondo quanto narra la leggenda, l’imperatore Federico Barbarossa si accampò proprio a Vidardo e qui decise di ricostruire Lodi dopo la distruzione di Laus Pompeia nel 1158. Vidardo, invece, è attestata dal XVIII secolo ed anticamente conosciuta con il nome di “Vicodardo”; nel Settecento appartenne alla famiglia dei Talenti, successivamente ai Castelli (che vi edificarono la loro sontuosa residenza, poi acquistata dalla famiglia Maggi – Pisagalli). Fu assediato dall’esercito spagnolo sempre nel Diciottesimo secolo, che allora distrussero il ponte che collegava le sponde del Lambro.



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Vidardo consigliamo di visitare la Chiesa di S. Michele Arcangelo, eretta tra il XVII e XVIII secolo e che presenta una croce latina irregolare, ad aula unica suddivisa in cinque campate e tre cappelle per lato. Il presbiterio è rettangolare, mentre il braccio destro del transetto è suddiviso in due cappelle ed è di ampiezza doppia rispetto all’altro. La torre campanaria sorge sul lato destro della chiesa; le decorazioni del coro sono di Giuseppe Mariani. Adiacente alla chiesa si trova l’Oratorio di Maria Addolorata (prima metà del XVIII secolo), di piccole dimensioni; si accede nell’aula rettangolare coperta a botte, dal presbiterio a pianta ellittica trilobata. Nel paese si può ammirare anche Palazzo Maggi – Pizzigalli (già Castelli), settecentesco, dalla caratteristica forma a “U”. Esso si sviluppa su due piani: il piano terra è interrotto da due fornici con archi a tutto sesto su pilastri che immettono nel cortile interno. A Castiraga si può visitare il piccolo Oratorio della Santa Croce (origini XI secolo). Segnaliamo alcune cascine storiche della zona, come Cascina Rosa (seconda metà del XV secolo) e Cascina Palazzola (XVIII secolo).



Cavacurta C

avacurta è un piccolo comune abitato da 860 abitanti circa, il tipico paese della Bassa Lodigiana, situato all’interno del Parco Regionale dell’Adda Sud. Il territorio ha una spiccata vocazione agricola; si tratta di una terra che fu anticamente strappata alle acque (qui si trovava il Lago Gerundo). Oggi sono testimonianza di questa morfologia le numerose sorgive e rogge che solcano tutte le campagne del territorio. Le origini di Cavacurta sono molto antiche, tanto che i documenti più datati attestano che doveva essere abitato già nel 997. Storicamente appartenne, dall’XI secolo, ad Ariberto d’Intimiano e, successivamente, passò a molte importanti casate nobiliari lombarde: con i comuni di Corno Giovine, Cornovecchio e Maccastorna fu il territorio dove la famiglia Vincemala dal 1272 al 1381 esercitò il Mero e Misto Impero. Fu feudo, quindi, dei Bevilaqcua, andò a Luigi II e nel 1501 ai conti Trivulzio; dal 1678 fu dei Castiglioni di Firenze, sino alla fine del feudalesimo.



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l nome di Cavacurta deriverebbe da un “cavo” aperto in un terrapieno per le acque, che è presente anche nello stemma, emblema comunale. Da visitare l’importante Ex convento dei Servi di Maria. L’ordine dei frati fu soppresso da Napoleone nel 1798 e i loro beni passarono alla famiglia Archinti di Milano. Oggi dell’enorme complesso conventuale rimane solo un’ala, peraltro molto rimaneggiata, ma sappiamo che alla fine del Cinquecento il convento di Cavacurta era uno dei più importanti di tutta la Lombardia, con oltre cinquanta celle per i monaci, un grande refettorio e una biblioteca: una struttura grande e funzionale. Entrando nel cortile, sopra l’arco d’ingresso è ancora presente, nel lunettone di ferro battuto, l’insegna dei Servi di Maria. Nelle cantine del complesso monastico nel 1996 è stato allestito un Museo agricolo “Dal lavoro dei Campi: Bonum Comedere”, dove sono esporti un gran numero di oggetti storici legati all’agricoltura del territorio, provenienti dalle abitazioni dei cavacurtesi e da essi donati al museo. Il percorso museale narra il ciclo che parte dall’agricoltura sino alla consumazione del cibo in tavola. Il museo è stato ricreato in un contesto davvero suggestivo, dove si possono ammirare ancora gli affreschi, le volte a botte delle cantine e un pozzo seicentesco. (Per info e visite: casa parrocchiale, 0377-59118, parrocchiacavacurta@alice.it).



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ncora nel complesso, si trova la bella Chiesa parrocchiale di San Bartolomeo, che sorge sulla chiesa preesistente edificata dai frati Serviti nel 1456 e dedicata a Santa Maria alle Grazie, mentre la chiesa attuale risale al XVII secolo. La facciata si sviluppa su due ordini, conclusa in alto da un timpano triangolare ornato di cuspidi. Sul fronte vi sono due nicchie che ospitano le statue della madonna Addolorata e di San Bartolomeo. Il portone d’ingresso è anticipato da un elegante portale. L’interno è a navata unica, con volte a botte e cappelle laterali. Interessanti e di rilevanza artistica sono il fonte battesimale del 1588 e la Cappella della Beata Vergine Maria, particolarmente ricca e decorata con marmi policromi. La chiesa è poi abbellita da affreschi che rappresentano finte architetture che inquadrano figure di Santi, sempre tardo cinquecenteschi. E’ presente un bell’affresco del XVI secolo con una “Madonna delle Grazie tra i SS. Sebastiano e Giovanni Battista e i donatori”; nella parte destra del transetto si può ammirare un dipinto della bottega del Melosso con San Biagio e Sant’Antonio Abate. Dietro al presbiterio si apre un coro in legno di noce fatto costruire nel 1660; le volte della navata e il presbiterio sono state affrescate all’inizio del Novecento dal pittore lodigiano Cesare Minestra con le Storie di San Bartolomeo e altre figure allegoriche.



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uriosità: all’ingresso della terza cappella, sul pilastro d’ingresso, è posta una reliquia con la forma della pianta del piede di Gesù Cristo portata nel 1448 da Chamis da Mortara. Cavacurta possedeva anche un castello di cui, però, oggi non rimane traccia. Da visitare, inoltre, l’Ex Chiesa di San Rocco, situata nel centro del paese e risalente al XVI secolo, che dai primi anni Sessanta è adibita a laboratorio artigianale. Segnaliamo anche l’elegante Palazzo Inzaghi, residenza nobile di campagna edificata nel XVII secolo, oggi di proprietà privata.



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Cavacurta è impossibile resistere alla tentazione di entrare nella Pasticceria Cream Sound: una bottega con ben trent’anni di attività alle spalle, per deliziare i palati di tutti gli abitanti del paese e conquistare per sempre quelli dei tanti visitatori lungo gli itinerari lodigiani.

Vi accoglieranno subito i signori Patrizia Curti, titolare, insieme al marito Luigi Zanelotti, pasticcere, che dal 1981 si occupano della produzione artigianale di dolci di ogni tipo: pasticceria secca, biscotti, torte tipiche, pasticceria fresca con creme, semifreddi e gelati. La specialità è senza dubbio il famoso “biscotto di Cavacurta”, che diventa protagonista durante “Il Buono – Fiera dei sapori di un tempo”, tradizionale evento che ogni anno fa rivivere storia, tradizione e sapori di Cavacürta. Il “biscotto di Cavacurta” è perfetto in qualsiasi momento della giornata: ideale per coccolarsi a colazione, diventa un dessert di fine pasto da accompagnare con un vino dolce, passito, moscato o malvasia; in orario pomeridiano diventa una sfiziosa merenda da gustare col tè, oppure con la crema lodigiana al mascarpone.



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li ingredienti sono ovviamente un segreto, ma Patrizia e Luigi saranno lieti di svelarvi il suo incredibile sapore! La Pasticceria Cream Sound offre anche un piacevole corner bar dove è possibile gustare le sue prelibatezze, per una colazione, un brunch, una merenda o un dopo-cena diversi dal solito, all’insegna della dolcezza.

La Pasticceria organizza inoltre servizi completi per banchetti di matrimoni, comunioni, battesimi, rinfreschi, colazioni di lavoro, che è possibile concordare direttamente col maître pâtissier.

Bar Pasticceria Cream Sound Via Roma, 2 26844 Cavacurta - Lodi Tel 0377.59208





Cavenago D’Adda

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al punto di vista geografico Cavenago d’Adda si trova tra il Canale Muzza e il fiume Adda, nella parte nord – est della Provincia lodigiana. Già popolata in epoca romana, nel X secolo fu, come molti dei paesi del Lodigiano, possedimento del Vescovo di Lodi. Dal 1297 al 1482 fu feudo della Famiglia Fissiraga; alla fine del Quattrocento passò ai Bocconi, ai Mazzonica, ai Cavenaghi e, infine, ai Clerici. Paese sostanzialmente basato su un’economia agricola, in particolare sulla monocoltura del mais, Cavenago vanta uno dei centri storici più antichi del Lodigiano. Proprio per la posizione dominante sull’Adda del paese, a Camairago esisteva anticamente un castello difensivo e di avvistamento molto importante, di cui oggi non resta traccia, che dominava tutta la valle, e che in particolare controllava i traffici di transito lungo il fiume.



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avenago è inserito nell’area del Parco Adda Sud e una parte del suo territorio appartiene alla Riserva Naturale de “La Zerbaglia”, che ospita specie naturali, vegetali e animali, protette. Il centro di Cavenago d’Adda accoglie diversi monumenti di interesse artistico, come la Chiesa di S. Pietro Apostolo, eretta alla fine del Cinquecento, a tre navate coperte da volte a crociera e due cappelle laterali, una per lato. La facciata si sviluppa su due ordini, sormontata da un timpano e, all’altezza delle navate laterali, si aprono due porticati sorretti da colonne. La torre medievale adiacente la chiesa, è stata trasformata in campanile, con una copertura a cuspide. Il presbiterio è rettangolare, rialzato e separato dal resto della chiesa da una balaustra in marmo rosso. Poco distante dal paese, su un’altura, sorge il Santuario della Madonna della Costa, eretto nel 1872 su una chiesetta precedente. Detto Santuario sorse a seguito di apparizioni e fatti miracolosi legati al culto mariano, risalenti all’anno 1662. La chiesa ha una bella facciata: nella parte inferiore vi è un portico con tre navate a tutto sesto impostate su pilastri e che precede l’ingresso della chiesa. Nella parte superiore del fronte vi sono due nicchie con statue in terracotta dell’Annunciazione. Termina la facciata un timpano triangolare. Il campanile, addossato alla chiesa, è coperto da un elegante tetto a guglie. Adiacente all’edificio è presente un portico dal quale si gode una bellissima vista panoramica di tutta la campagna circostante. In epoca contemporanea ai piedi del Santuario è stata costruita una cappella in ricordo delle apparizioni della Madonna.



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onsigliamo, infine, una visita alla Chiesa di S. Giacomo, settecentesca, e che si trova in una delle frazioni di Cavenago d’Adda, Caviaga (le altre due sono Muzza Piacentina e Soltarico). A tre navate e tre cappelle, la chiesa ha una facciata suddivisa in tre ordini, terminante con un frontone a lunetta. L’accesso dal portale centrale è preceduto da un elegante nartece. Meritano attenzione anche altri edifici qui a Cavenago, in particolare alcune delle meravigliose ville. Ricordiamo Villa Moavero, già Bocconi e del Frate, settecentesca, dalla caratteristica pianta a “C”, oggi privata e la Villa Gazzola, ottocentesca, che al piano terra mostra finti archi che decorano la facciata in un finto bugnato. Infine, la Villa Greppi, in stile neogotico, edificata alla fine del XIX secolo. La storia e la tradizione di Cavenago d’Adda è raccontata anche dai due Musei comunali: il Museo della civiltà contadina Ciòca e berlòca e il Museo della Fotografia Paola e Giuseppe Bescapé. Il Museo della civiltà contadina, allestito su oltre 400 metri quadrati in ampie sale, al primo piano del Comune, espone oltre quattromila pezzi della tradizione agricola. Nato con l’obiettivo di salvaguardare la memoria locale, la tradizione delle antiche pratiche agricole, il Museo ha trovato casa nella suggestiva sede del Palazzo Municipale, denominato Bagatti Valsecchi ed edificato tra il Cinquecento e il Seicento.



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utto il materiale proviene dalle donazioni dei volenterosi cavenaghini, ma anche lodigiani e cremaschi, che hanno ceduto (e continuano a cedere, ampliando sempre più la collezione) di buon grado i loro “pezzi storici” per la libera fruizione del pubblico, locale e non. Tutti gli oggetti esposti sono di un’epoca compresa tra la fine dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del Novecento; i pezzi più antichi sono le due splendide piroghe di epoca longobarda, ritrovate dopo un’alluvione alla confluenza del Serio nell’Adda; curioso è anche il grande barcone utilizzato un tempo dai cavatori di ghiaia. Molto particolare è la raccolta di immagini votive e di santi, i quadri di una Via Crucis in gesso, dipinti a mano, numerosi orologi vecchi di un secolo, oggetti collegati all’allevamento del bestiame (abbeveratoi, catene, oggetti per la mungitura), alla coltura della vite, alla lavorazione del latte, all’allevamento dei bachi da seta, all’artigianato agricolo (seghe, martelli, mazze, attrezzi collegati all’edilizia). Non mancano i manufatti voluminosi (un portone di cascina, un carro agricolo, un torchio per l’uva, uno spazzaneve) o collezioni particolari (una raccolta di pialle da falegname, un’esposizione di trappole per animali). Successivamente al Museo è giunta anche la ricchissima raccolta del Museo Etnografico di Montodine (Cremona), materiale che era alla ricerca di locali nei quali essere riallestito. Il Museo è stato inaugurato nel 2005, anche grazie al lavoro di un gruppo di volontari.



U

n intero salone è dedicato alla casa, dove sono esposti grandi letti a due piazze, scaldini e catene per il fuoco, pentole di rame e stufe, stoviglie e culle, tavoli e sedie. Ci sono sei vecchie macchine da cucire e altrettante per la maglieria...davvero un museo curioso e tutto da scoprire! Nel 2007 è stato inaugurato il Museo della fotografia Paola e Giuseppe Bascapé, composto dalla collezione del fotografo lodigiano Silvano Bescapè. Il percorso museale si compone di attrezzature fotografiche, foto di autori lodigiani di Ottocento e Novecento, fino agli anni Settanta, sale di posa, camere oscure, arredo da studio, macchine fotografiche ed accessori, proiettori cinematografici, cornici, album e gigantografie. “Attraverso i pezzi raccolti, si ripercorre la storia della fotografia, un’arte passata, nel breve volgere di un secolo, da attività difficoltosa e sperimentale a sofisticata espressione del nostro mondo ultra-tecnico”. I musei sono aperti la terza domenica di ogni mese (da marzo a ottobre) dalle ore 15.00 alle ore 18.00; tutti i giorni dell’anno su prenotazione, l’ingresso è gratuito. (Per info e visite guidate gratuite: per il Museo contadino, tel. 0371.70031 o info@museociocaeberloca.it; per il Museo Fotografico, tel. 0377.87602 Sig. Bescapè – 0371.70468 Biblioteca comunale).



Cervignano D’Adda

C

ervignano d’Adda si trova nella parte a nord del territorio provinciale di Lodi. Il paese è di antiche origini, si pensa addirittura romane e proprio dalla lingua latina ne deriva il toponimo. Il suo nome deriva da “Cervinus”, centurione romano che gestiva la coltivazione di queste terre da principio boscoso e acquitrinoso, bonificato piano piano col duro lavoro. Già da allora le terre di Cervignano furono coltivate a cereali e foraggi. Nel Cinquecento il paese era sotto il controllo della Milano di Francesco Sforza che, nel 1530, concesse il feudo ad Alessandro Remignani. Successivamente fu ceduto ai Tessis, famiglia nobile napoletana, che ne detenne il potere sino al 1782. Dal punto di vista artistico consigliamo una visita alla pregevole Chiesa di Sant’Alessandro, eretta nel XIX secolo su un edificio ecclesiastico molto più antico, forse risalente alla fine dei Seicento di cui non resta traccia. La facciata della chiesa è liscia, in muratura, dalle linee semplici, decorata da un protiro retto da esili colonnine; il fronte termina con un timpano triangolare. Il campanile sorge a sinistra del corpo della chiesa. L’edificio è a pianta rettangolare coperta da volta a botte; dalle navate laterali si sviluppano diverse cappelle laterali rettangolari. Internamente la chiesa conserva alcuni dipinti della scuola di Bernardino Luini.



C

onsigliamo anche una visita esterna alla Cascina Galmozzi, che conserva ancora le forme dell’ex convento cui prima era adibita e la Cappella di San Rocco, della prima metà del XIX secolo, decorata dall’artista lodigiano Cesare Minestra. La Cappella è stata ricavata su un lato del corpo di fabbrica dell’antica Cascina Vecchia Cervignano. Si tratta di una struttura in muratura coperta internamente da una volta ad ombrello. Lungo la Roggia Bertonica si trova un’icona che rappresenta la Madonnina, particolarmente amata dai credenti della comunità di Cervignano, dipinta nel 1949. Fuori dal centro abitato sorgono diversi grandi complessi agricoli come la Cascina Colombera e la Cascina Casello; di grande interesse architettonico è la Villa Marmont costruita nel 1940 dall’architetto Gio Ponti, di proprietà privata. La villa si compone di un unico corpo di fabbrica che comprende due abitazioni: quella del nucleo padronale e quella, a fianco, adibita a residenza per il colono (oggi abitata dai custodi della villa). L’abitazione è in muratura di mattoni continua ad un solo piano; la casa padronale è aperta all’esterno attraverso un patio che da sul Canale Muzza e un cortile che guarda il frutteto.



Codogno D

elle origini della cittadina di Codogno non abbiamo notizie certe, ma si pensa che la sua fondazione sia collocabile in epoca romana, dopo la sconfitta della Gallia Cisalpina. Curioso anche il toponimo di Codogno che, si ipotizza, possa avere una doppia derivazione: la prima dall’antica “Cothoneum”, dal nome del Console Aurelio Cotta, vincitore dei Galli Insibri, che popolavano queste terre, ma il nome potrebbe derivare anche dal pomo “Cydonio”, o melo cotogno, frutto tipico di queste zone. Dopo un discreto periodo di sviluppo del paese in epoca tardo romana, per l’intera epoca delle invasioni barbariche ci troviamo dinanzi ad un silenzio documentario, sino al 997, quando Codogno viene menzionato nel Diploma Imperiale di Ottone III. Per tutto l’XI secolo fece parte del Feudo del Vescovo di Lodi, nel 1441 passò alla famiglia Fagnani, nel 1450 ai Trivulzio; nel 1492 Codogno smaniava la propria indipendenza, soprattutto economica e commerciale, così chiese di essere acquisita da Piacenza, che prese il paese sotto la sua protezione. Ecco perché nello stemma di Codogno, legata con una catena d’oro all’albero delle mele cotogne, troviamo la lupa piacentina.



I

l XVI secolo fu per Codogno un’epoca difficile, dovette subire le guerre tra Francia e Spagna, il saccheggio del 1516 del Duca di Borbone, sino al 1672, quando, finalmente, acquisì il titolo di “Borgo Regio”, grazie al Diploma imperiale di Carlo II. Questo fu un momento di particolare benessere economico per il paese, grazie all’agricoltura, all’industria del lino e sella seta e, soprattutto, all’industria casearia, che si sviluppò sino a raggiungere il suo apice nel XVII e XVIII secolo: Codogno ospitò diverse botteghe dal settecento, ma le ditte principali furono di certo la filanda della seta e, dopo il 1900, la ditta Polenghi-Lombardo (poi emigrata, ma di grandissima importanza sul territorio, in quanto fu la prima industria in Italia del settore caseario) e la Felisi, produttrice di passamanerie. Codogno e il suo territorio continuarono a svilupparsi per tutto il XIX secolo; nel 1955 venne elevata al rango di città. A Codogno sono molte le importanti testimonianze storico-artistiche, assolutamente degne di essere conosciute e visitate. Di certo merita nota la Chiesa della Santissima Trinità (1608 circa), austera nella sua facciata a due ordini, separati da una cornice aggettante, finisce con un timpano decorato da cinque curiosi obelischi in pietra. L’interno è distribuito su tre navate, l’altare maggiore è finemente decorato con marmi rari e le absidiole laterali sono chiusi da due altari barocchi.



N

el coro si può apprezzare il quadro della “Trinità e Sant’Agostino e Sant’Anastasio” e di “San Biagio” del Biella datato XVII secolo. Vi è poi l’effige di un “San Bassiano”, probabilmente della famosa bottega dei Piazza da Lodi, una statua lignea di Santa Lucia del XVI secolo e la Croce della Confraternita. Molto carina e, storicamente rilevante, la Chiesa delle Grazie o dei “Frari”: il nome le deriva dal fatto che un tempo ad essa era annesso il convento dei Francescani Riformati. Questo edificio sacro sorse per volere di Teodoro Trivulzio nel 1620, sul progetto dell’ingegnere Marco Antonio Barattieri. La chiesetta è preceduta dal chiostro dell’ex convento, con arcate e portici percorribili, opera di Carlo Francesco Monticelli. Il convento fu soppresso nel 1780 e acquistato da Madre Francesca Cabrini, la quale vi fondò la prima Casa delle missionarie del Sacro Cuore di Gesù. Dal cortile si entra nella chiesa, che è ad aula unica, grande e maestosa, con tre cappelle per lato. Di pregio sono i bassorilievi secenteschi intagliati in legno, sotto le mense degli altari, di Antonio e Francesco da Sirone, laici minori del convento; anche l’altare è del XVII secolo, decorato con fiori e putti di Luigi Miradoro (1652). Da ammirare il quadro di Daniele Crespi con “San Luigi” e il quadro con “la Vergine e San Francesco” di Gerolamo da Premeno.



D

i particolare interesse è la Chiesa di San Teodoro o del Cristo (1642-47), progettata da Giovanni Battista Barattieri, dalle linee architettoniche pure, la facciata è tardosettecentesca, ad un solo ordine, con timpano e lesene angolari molto rilevate e dall’ardita cupola con tiburio ottagonale, progetto di Carlo Antonio Albino, conclusa nella prima metà del XVII secolo. L’edificio è a croce greca, dove l’imponente cupola suddivisa in otto spicchi ognuno dotato di un oculo, occupa quasi interamente lo spazio della chiesa, poiché i bracci della croce della pianta sono poco sporgenti. All’interno, una bella Santa Rita del pittore Enrico Greppi. Segnaliamo anche la Chiesa e il Convento di San Giorgio del 1511, edificata per volere della famiglia Trivulzio con forme neoclassiche quando arrivarono a Codogno i Padri Serviti. Il convento fu costruito qualche anno più tardi della chiesa, nel 1590, ed è oggi inglobato nella vicina residenza per anziani. Dopo la soppressione degli ordini napoleonici del 1796, il complesso restò chiuso per molti anni, fino alla riconsacrazione della chiesa, ad uso degli ospiti della casa di riposo.



N

ell’itinerario di visita di Codogno, uno dei luoghi più significativi della storia della città è il Museo Cabriniano, centro di fervente spiritualità legato alla figura di Santa Madre Francesca Saverio Cabrini. Nelle sale del Museo i visitatori possono trovare ambientazioni (come la ricostruzione della stanza da letto della Madre, con mobili originali), oggetti, indumenti e ricordi che ricostruiscono l’avventurosa della Santa missionaria e delle origini del suo Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, fondato proprio qui a Codogno nel 1880. Annessa all’Istituto è visitabile la Chiesa del Tabor, che custodisce la preziosa reliquia del Cuore della Cabrini. (Per il Museo Cabriniano, ingresso gratuito, aperto tutti i giorni, 9:00-12 / 14 – 18. Visite guidate gratuite, anche su prenotazione per gruppi – per informazioni: 0377.32370 / 430826). Proseguendo con la visita dei luoghi di culto codognesi, da visitare assolutamente è la Parrocchiale di San Biagio e Chiesa di Santa Maria Addolorata, in Piazza XX Settembre, sulla quale si affacciano eleganti palazzi come l’ex Palazzo Trivulzio, oggi Palazzo Dansi. La maestosa struttura dalle forme rinascimentali fu inizialmente edificata nel 1491, restaurata nel 1524, accentuandone le forme architettoniche classiche. Nel 1584 l’architetto Regolino riprogettò la facciata in cotto, come la vediamo oggi, con accenti manieristi e sulla quale spicca la statua bianca di San Biagio, un rifacimento moderno dello scultore Aleardi di una più antica.



L’

interno è a croce latina, con cappelle laterali; la chiesa contiene pregevoli opere pittoriche, come “L’Assunta”, opera della maturità di Callisto Piazza, uno dei maggiori pittori della scuola rinascimentale lodigiana, una “Sacra Famiglia” di Cesare Magni, pittore tardoleonardesco, una “Madonna con Bambino e Angeli” di Daniele Crespi e un bellissimo ostensorio di corallo, oro e pietre preziose del XVII secolo. Nella chiesa si trova anche un organo pregiatissimo del Sarassi. Per gli amanti dell’arte Codogno offre la possibilità di apprezzare una collezione importante: la Raccolta d’arte Lamberti. Oggi è ospitata nelle sale del piano nobile di Palazzo Lamberti (XIX secolo); si tratta di una raccolta di dipinti, acquerelli, disegni e sculture datate dal XVI secolo fino ai nostri giorni. Carlo Lamberti iniziò a collezionare le sue opere nel 1973 e, dopo la sua morte, lasciò i suoi averi alla fondazione benefica che porta il suo nome. Della collezione fanno parte opere dello stesso Lamberti, di Tranquillo Cremona, Arturo Tosi, Enrico Groppi, Angelo Pietrasanta, Giuseppe Novello, Alessandro Beltrami e Giorgio Belloni. (La Raccolta Lamberti è visitabile su prenotazione, l’ingresso è gratuito. per info: Proloco 0377.431238). Indichiamo anche la piccola Chiesa di Santa Maria della Neve, del 1604, costruita per volere della Confraternita del Gonfalone. E’ a navata unica, con due statue lignee della Madonna e dell’Argangelo Gabriele, sempre secentesche.



C

hi visita Codogno non può esimersi da una visita al particolarissimo Santuario della Beata Vergine del Caravaggio. La chiesa settecentesca (1711-14) svetta in tutta la sua altezza sulla piazzetta. Essa fu progettata dall’architetto Carlo Antonio Albino dove in precedenza sorgeva un sacello dedicato alla Vergine che, secondo la tradizione era apparsa a una contadina di Caravaggio ed il cui culto si era rapidamente diffuso in Lombardia. Il Santuario è a croce greca, studiato per accogliere la singolarissima cripta, posta in posizione centrale rispetto alla pianta e ribassata dal pavimento: tutto questo conferisce all’interno dell’edificio un assetto mosso, tridimensionale e di particolare eleganza policroma e luminosa. Gli stucchi, i mosaici e le pitture che decorano l’interno sono senza dubbio derivazioni dello stile di Lorenzo Bernini e del tardobarocco. La cupola fu aggiunta nel 1844, progettata dall’ingegner Giuseppe Squassi. Ultima tappa delle bellezze codognesi, il Vecchio Ospedale Soave (1779-1781), l’ex ospedale civile di Codogno, esempio di architettura sanitaria assistenziale. Oggi la struttura viene usata per l’allestimento di mostre e manifestazioni culturali; è sede della Biblioteca Civica.



C

uriosità: ogni anno, da più di duecentoventi anni, Codogno ospita la celeberrima Fiera del bestiame. La fiera viene organizzata addirittura dal 1790: in una notificazione emanata il 20 ottobre del 1791 si legge, infatti: «In coerenza di Sovrana Disposizione di Sua Maestà per favorire il Commercio della Provincia Lodigiana […] essendo stato accordato al Borgo di Codogno l’istituzione di un’annuale Fiera d’ogni sorta di Mercanzia, per la quale sono stati siffatti li giorni di Giovedì, Venerdì, e Sabato della Settimana successiva al S. Martino d’ogni Anno». Una fiera importante, dove economia, scienza e tradizione si fondono e diventano ausilio l’una per l’altra, un appuntamento che fa parte della Storia dei Codognesi e della loro terra, che però sa aggiornarsi e porsi quale strumento a favore del mondo dell’agricoltura e dell’allevamento. La fiera di Codogno gratifica e celebra il senso d’appartenenza della Comunità Agricola, così profondamente radicata nel territorio Lodigiano.



I

n una vietta caratteristica nel centro di Codogno troverete questa piccola ed accogliente Osteria, proprio come quelle di una volta, quelle, per intenderci, dove ci si sente davvero come a casa. L’arredamento tradizionale, “casereccio”, con i classici tavoli in legno e le tovaglie a quadretti bianchi e bordò concorrono a rendere l’ambiente dell’Osteria di Codogno particolarmente caldo e accogliente. La maggior parte dei clienti, specialmente a pranzo, è spesso “di casa”, tanto che non di rado si sentono frasi come: “Allora Giusy, oggi che si mangia di buono?”. L’osteria è gestita da due giovani fratelli, Diego e Fabio Rizzi, i quali hanno già una lunga esperienza nel campo della ristorazione e che tre anni fa hanno deciso di rilevare la vecchia e storica Osteria di Codogno. L’ambiente e la cucina sono sempre legati alla tradizione del territorio lodigiano. Qui tutto viene ancora fatto in casa, esattamente come una volta, utilizzando prodotti freschissimi ogni giorno. In cucina troviamo la bravissima Silvia, che propone ottimi risotti e tortelli, di zucca e di magro, a seconda dei prodotti stagionali e del territorio. Tra i secondi piatti si può scegliere tra ottime carni, arrosti, bolliti e brasati, provenienti da allevamenti nostrani.



A

lla sera, su richiesta, la cuoca soddisferà i palati più golosi con portate più elaborate e ricercate, come il gustosissimo entrée di raspadura, insalata russa e giardiniera, insieme ai tipici salumi della “bassa” lodigiana. Si continua con risotto taleggio e pere, pannerone (formaggio tipico lodigiano) e tartufo, i famosi tortelli con la coda e i particolarissimi gnocchi con lardo, cioccolata, gorgonzola e noci. Tra i secondi Silvia è orgogliosa dei suoi brasati, al barolo, come si usa a Bobbio, il merluzzo in casseruola e la tipica trippa lodigiana. Ogni piatto sarà accompagnato dai vini, in particolare quelli della tradizione piacentina (Gutturnio, vivace e fermo, in primis), ma anche vini del Piemonte, Toscana e Sicilia. E non mancano i dolci!!!...Giusto per ingolosirvi, troverete la prelibata torta pere e cioccolata, la tortionata lodigiana, i semifreddi e dolci al cucchiaio, come il tiramisù servito in graziosissimi barattolini di vetro! Vi ricordiamo che l’Osteria di Codogno è chiuso il lunedì e il martedì sera, mercoledì e giovedì sera su prenotazione. Che dire? Da provare!

Osteria di Codogno

via Ugo Bassi, 20 26845 Codogno (LO) Telefono: 0377.379216 Email: losteria@fastwebmail.it



N

ella strada principale di Codogno, la centralissima Via Roma, al numero 73, incontriamo il Caffè Cornali Wine Bar. L’ormai affermato locale è abbinato alla rinomata e storica Pasticceria Cornali, famosissima per i suoi prodotti artigianali e i tradizionali Biscotti Codogno. Il Caffè Cornali è aperto dalle 7.00 del mattino alle 2.00, dal martedì alla domenica. Contesto caldo e accogliente d’inverno offre inoltre la possibilità di sedersi all’aria aperta con l’arrivo della bella stagione. Questo Bar è ideale per ogni tipo di esigenza, dalla colazione, ai pranzi di lavoro, al caffè veloce, alla tazza di the caldo accompagnato magari da qualche pasticcino, alle cioccolate.. ed infine, agli aperitivi e cocktails. Da non sottovalutare è infatti la varietà dei vini e la cura con cui il titolare Daniele e le sue ragazze vi prepareranno diversi tipi di cocktails. Il Caffè Cornali si fa spesso protagonista di varie iniziative ed eventi come musica dal vivo e feste nei week end, e, come non citare l’appuntamento della domenica, ore 18.30 happy hour con buffet. Caffè Cornali Wine Bar

Via Roma 73 26845 Codogno - Lodi Telefono:340 1392880 E-mail:caffe.cornali@libero.it



Comazzo L

a comunità di Comazzo fu menzionata già per la prima volta nell’XI secolo. Fu storicamente contesa tra Lodi e Milano per tutto il XIII secolo. Dal 1661 appartenne prima ai Premoli, poi ai Pertusati. Il suo toponimo deriva di certo dal latino, “Comatio” o “Commacium”. A Comazzo si vede assolutamente visitare Palazzo Pertusati: il corpo centrale risale al Cinquecento, mentre le due parti laterali sono più recenti, della seconda metà del Settecento. La costruzione fu voluta da Cristoforo Pertusati, nobile milanese e maresciallo delle Armate del principe Eugenio di Savoia. La Villa ha una pianta a “U”, le ali laterali sono ricurve e sorreggono la cancellata. Il complesso si compone di altri corpi di fabbrica adibiti a rustici, situati in una seconda corte. Il progetto è di Francesco Croce, ma la spettacolare sistemazione scenografica del giardino e l’aspetto definitivo dell’edificio sono attribuibili a Carlo Croce, che vi lavorò dopo il 1746. La villa si trova nel centro abitato ed è attorniata da un grande giardino; secondo una precisa scelta paesistica su un bastione naturale che domina la depressione del fiume. All’epoca del suo splendore la villa era circondata da viali, cascate con giochi d’acqua e statue di ninfe.



O

ggi, purtroppo, la villa non si trova in buono stato conservativo e dell’antico fastoso giardino rimane poco. Possiamo ancora riconoscere una bellissima fontana, originalissima opera chiamata “Fontana della musica” (che recentemente, dopo più di un secolo, è stata recuperata e messa in funzione), formata da sette scalini ognuno dei quali, grazie a particolari giochi d’acqua, riproduceva il suono di una nota musicale. Si tratta di un’opera importante, che non ha eguali in Italia se non alla Reggia di Caserta. Attualmente la villa è in parte privata e in parte pubblica, sede del Municipio di Camazzo e delle scuole. All’interno sono conservati ancora degli affreschi. Sempre nel Comune di Comazzo sorge Villa Visconti, oggi privata, fuori dal centro abitato, lungo la Strada Comunale Lavagna – Gardino. La villa risale al XVI secolo e ha una tipica pianta a “L”. Nell’ala nord è inserito un oratorio; da segnalare le decorazioni, opera di Agostino de Fondulis, cinquecentesche. Per quanto concerne l’arte ecclesiastica, Comazzo ospita diversi edifici di culto, tra cui la Chiesa di San Materno Vescovo, costruita prima del 1623 ad aula unica, con due cappelle laterali e abside semicircolare, campanile quadrangolare e facciata abbellita da un protiro.



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egnaliamo anche la Chiesa di San Bassiano Vescovo a Comazzo e la Chiesa di San Biagio, nella frazione Lavagna, in Località Rossate. Quest’ultima merita una particolare menzione data la sua importanza artistica. Si tratta di un edificio rurale di epoca rinascimentale, di certo di influenza bramantesca, anzi, molti studiosi ritengono che il progetto fu proprio, almeno nella prima parte, seguito dal Bramante stesso. Ma cosa ci fa una chiesa bramantesca nel bel mezzo della campagna lodigiana? Bene, all’inizio del Cinquecento questa zona era feudo della famiglia Calchi, in particolare di Bartolomeo Calchi, Ministro delle finanze dell’ultimo Sforza di Milano, prima del 1515, quando il Ducato fu preso dai francesi. Davanti alla chiesa si trova la Cascina Castello, probabilmente la residenza del feudatario di campagna, poi diventata cascina di proprietà privata, ma si possono riconoscere ancora degli elementi architettonici castrensi. A rigor di logica, quindi, la chiesa di San Biagio sarebbe stata costruita dal feudatario del castello, figlio di Bartolomeo Calchi. Si pensa che il progetto sia in parte del Bramante poiché l’architetto al tempo lavorava per gli Sforza a Milano e dove ebbe la possibilità di conoscere il Calchi; il progetto sarebbe poi passato quasi subito all’architetto Bartolomeo Suardi, ma la storia di questo edificio è particolarmente difficile da ricostruire, poiché tutto l’archivio dei Calchi è andato perduto. Le sole notizie che abbiamo sono quelle tratte dai resoconti delle visite vescovili post Concilio di Trento.



L’

edificio è a pianta quadrata con cappella, sulla quale si innesta un tiburio ottagonale coronato da oculi, una struttura modulare che ricorsa quella di Santa Maria alle Grazie di Milano del Bramante. Al suo interno si conservano parti di affreschi degli anni Ottanta del Cinquecento, affiorati dopo lo scialbo pochi anni fa e il Crocifisso miracoloso. Quest’ultimo, documentato in questa chiesa dal 1715, veniva portato in processione da qui sino al fiume Muzza, dove veniva immerso per contrastare la siccità. Sino a pochi anni fa la chiesa vessava in uno stato di grave abbandono ma, dal 2001, è stato iniziato un intenso restauro che ha salvato la chiesa dal crollo. Comazzo, come molti altri paesi, oltre alla frazione Lavagna, comprende anche molte cascine, in diverse località, come Cascina Gardino, Cascina Mairana, Cascina Ghinella e Cascina Nuova.



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