Lodi e provincia vol 2_2013

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Lomellina:

Terre di Riso e Castelli Storia, Arte e Cultura

LOMBARDIA

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PAVIA e PROVINCIA

Mangiare Bere Dormire www.mabedo.it 2013



Lodi e la sua Provincia Vol. 2 LOMBARDIA

Guide

LODI e PROVINCIA

Mangiare Bere Dormire www.mabedo.it 2013


Mariano Peviani Assessore al Turismo della Provincia di Lodi

“R

osse presenze, verdi silenzi, azzurri intrecci: benvenuti nel paese dei colori”. Recitava così, ormai qualche anno fa, lo slogan dell’allora Azienda di Promozione Turistica del Lodigiano. Il riferimento, naturalmente, era a ciò che di più bello il territorio tra Milano e il Po poteva offrire all’occhio dei visitatori, dai monumenti storici ai palazzi, alle chiese e ai castelli, dai grandi parchi alle aree naturalistiche, alle campagne, fino all’intricato percorso del Grande Fiume, ma anche dell’Adda e del Lambro, oltre alla miriade di canali e canaline che hanno trasformato in terra fertile e ricca l’antica palude del lago Gerundo. Oggi il Lodigiano è ancora così. Datato, forse, è solo lo slogan. Ma ciò che raccontava allora, è valido ancora oggi.



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i colori, se possibile, sono sempre più splendenti, perché la gente laboriosa che abita questa terra ha imparato a valorizzarla e a offrirla nella sua veste migliore alla fame di forestieri sempre più numerosi; ha scoperto di avere a disposizione un tesoro di storia, arte e natura che si presta a un turismo certamente non frenetico, ma di sicura qualità, davvero a misura d’uomo, desideroso di scoprire un contatto intenso con la campagna e i boschi, con il fascino degli itinerari fluviali e la maestosità degli edifici; di assaporare un’accoglienza che si declina nella cordialità dei lodigiani, nelle prelibatezza della cucina tipica, nell’originalità delle residenze. Qui ci sono cattedrali e abbazie fra le più belle d’Italia, qui si trovano immutate le tracce di eventi storici che hanno cambiato il Paese e forgiato l’Europa, qui si intrecciano le grandi vie della fede. Sempre qui centinaia di chilometri di ciclabili attraversano paesaggi di struggente bellezza; i battelli solcano i fiumi; musei, raccolte d’arte e collezioni uniche aprono le porte alla curiosità e alla passione. Il Lodigiano è tutto questo e molto altro. E raccontarlo attraverso i suoi 61 Comuni, le decine e decine di campanili che si stagliano verso il cielo, i luoghi, le piazze e i suoi angoli più suggestivi significa dispiegare la mappa di una terra che merita una visita, anzi la cerca e ad essa si offre con straordinaria generosità. Il paese dei colori, le sue presenze, i suoi silenzi e i suoi intrecci rimangono tra le cose più belle che la Lombardia possa regalare. Mariano Peviani Assessore al Turismo della Provincia di Lodi



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a copertina della Guida Mabedo sulla Provincia Lodigiana è opera dell’artista contemporaneo Marco Lodola, pavese e notissimo per i lavori a olio e le sculture luminose. Le sue opere sono oggi presenti in tutto il mondo e recensite dai critici internazionali. La poliedricità è un tratto caratteristico dell’arte di Lodola, il quale ha realizzato illustrazioni per copertine di numerosi romanzi e saggi e ha collaborato in campo musicale e teatrale. Lodola ha esposto al Padiglione Italia della 53° Biennale di Venezia, all’Expo internazionale di Shangai; nel 2012 ha partecipato alla 54̊ Biennale di Venezia con “Cà Lodola”, la magnifica installazione luminosa posta alla Cà d’Oro, un progetto curato da Vittorio Sgarbi. Il logo ideato per noi da Marco Lodola rappresenta il nostro territorio dove vengono identificate graficamente le vie di terra, le vie d’acqua e le terre che a esse si correlano, divise ed intersecate dal tipico cromatismo di Lodola. Lo sfondo è “calpestato” dai passi del viandante, che percorre con lento incedere i nostri territori, in qualità di pellegrino, di turista curioso e di semplice amante delle proprie terre d’origine. Sono, questi, i passi di un turismo lento e radicato, che consente di godere degli aspetti naturalistici, storico-artistici e ambientali in modo nuovo perché guardati con occhi nuovi. Un procedere lento che regala il gusto delle piccole cose, il piacere di momenti importanti ma anche quella poesia del cibo che passa attraverso l’attenzione ad antichi sapori legati alla tradizioni della terra. Nel logo ideato da Marco Lodola, le gambe piegate dall’incedere, a volte anche con fatica, stanno proprio a simboleggiare un percorso intrapreso non solo fisicamente, ma anche e soprattutto, spiritualmente.



Prefazione Mabedo

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uovi orizzonti per Mabedo…

La nuova Guida Mabedo sul Lodigiano è stata per tutti noi una grande sfida e un lungo lavoro! In ben tre volumi abbiamo voluto raccontare parte della lunghissima storia di questo affascinante territorio, le sue bellezze, le sue tradizioni, i suoi gusti. Terre pianeggianti, campagne lungo le quali lo sguardo si perde, coltivazioni e colori forti ci hanno tenuto compagnia per mesi. Fede accesa, chiese, splendidi monumenti storici, personaggi illustri e misteriosi. Fiumi, natura, parchi, flora rigogliosa; e ancora il cibo, cui il lodigiano è particolarmente votato…formaggi, latte, dolci squisiti e risotti robusti. Fiere che durano da secoli, piste ciclabili, pellegrini e pendolari…tutto questo (e molto altro) è il Lodigiano! Turisti, curiosi e amanti delle tradizioni…leggete questa guida e partite alla scoperta del Lodigiano, una terra tutta da svelare!



Indice 22

Corno Giovine

34

Cornovecchio

36 42

Corte Palasio Crespiatica

48

Fombio

66

Galgagnano

68

Graffignana

74

Guardamiglio


78

Livraga

92

Lodi Vecchio

100

Maccastorna

110

Mairago

120

Maleo

138

Marudo

142

Massalengo

146

Meleti

150

Merlino


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a presente guida è stata suddivisa per Comuni.

Ognuno di essi viene presentato nei suoi aspetti storici, artistici e tradizionali, insieme ad un cospicuo apparato fotografico. Al termine delle presentazioni il lettore potrĂ trovare indicazioni di dove Mangiare, Bere e Dormire, con una selezione delle migliori attivitĂ del Paese cui si fa riferimento, incontrate e provate dallo Staff Mabedo.



Cornegliano Laudense

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eograficamente Cornegliano è attraversato dal Canale Muzza. Per molto tempo furono titolari del feudo i Capitanei di Cornegliano. Dopo l’estinzione della famiglia il territorio passò al ramo cadetto e, dal 1633, ai Conti Barni. Il toponimo deriverebbe dal periodo romano, precisamente dalla Villa Cornelia: qui infatti trovavano stabile dimora alcune nobili famiglie romane. Oggi è frazione di Cornegliano anche Muzza Sant’Angelo, dove si trova la Sede Comunale, che negli ultimi anni ha visto un crescente sviluppo. Oggi esiste, quindi, l’antico centro di Cornegliano, la frazione Muzza e un’importante zona artigianale e commerciale detta “del Codognino”.



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ra i monumenti di interesse storico – artistico vi è la Chiesa di S. Callisto Papa e Martire, a Cornegliano, eretta già nel 1261 secondo i documenti pervenutici, sita poco fuori da centro abitato. Dobbiamo il progetto a Bortolo Vanazzi, mentre parte della decorazione è di Degrà da Lodi. La facciata è abbellita da un protiro, secondo lo stile locale e, ai lati del fronte, vi sono due cappelle a pianta rettangolare coperte da volte a crociera. L’edificio è a una sola navata, con presbiterio rettangolare, coro semicircolare e due cappelle laterali. La chiesa conserva due opere d’arte importanti: un affresco con la “Madonna tra i Santi Bassiano e Callisto” e una Natività (della fine del XV secolo). Particolari anche i dipinti secenteschi con i “Misteri del Rosario”. Esternamente la facciata si rifà ai modelli tardo rinascimentali con aggiunte barocche. In frazione Muzza sorge, invece la Chiesa dei SS. Simone e Giuda Taddeo, progettata da Giuseppe Tirelli, un edificio a pianta rettangolare e dalla copertura lignea a cassettoni; internamente, ai lati dell’ingresso, vi sono due cappellette semicircolari. La chiesa accoglie alcuni affreschi del pittore lodigiano Vanelli, come la Divina Maternità, la Pietà e la Gloria dei Beati attorno al Cristo risorto, insieme ad alcune decorazioni di Cesare Minestra. Il campanile che si erge a sinistra della facciata è stato progettato dal Rozza.



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uale ultimo edificio ecclesiastico di rilevanza, segnaliamo la Ex chiesa dei SS. Simone e Giuda, dalla facciata neoclassica, che sorge nel centro di Muzza di Sant’Angelo, progettata da Bovi Bovio. Curiosità : secondo una tesi non ancora sostenuta da documentazione, la Cascina Semones sorgerebbe sul luogo dove nell’anno mille, esisteva un importante ospedale. Sul territorio sono presenti anche alcuni edifici privati di particolare pregio, come la bella Villa Squintana e le cascine Fabia, Bassa, Papina e Campolungo.



Corno Giovine N

on si hanno notizie certe della fondazione del Comune di Corno Giovine, ma negli ultimi anni è stata proposta una teoria assai interessante, secondo la quale il paese si formò a seguito della costituzione di un piccolo agglomerato costruito da un gruppo di abitanti fuggiti nel 1158 da Laus Pompeia distrutta dai milanesi. La maggior parte della popolazione allora si rifugiò a Pizzighettone, ma probabilmente un gruppo, deviando verso Maleo, si fermò proprio nella terra dove sorgerà Corno Giovine. La piccola comunità crebbe nei secoli e fu feudo di importanti famiglie: dal 1272 la famiglia Vincemala esercitò il Mero e Misto Impero, nel 1346 fu concessa, come Corno Vecchio, ai nobili Bevilacqua da Gian Galeazzo Visconti. La famiglia non risiedette mai nel comune (i Bevilacqua abitavano a Ferrara), ma lo tenne per quattro secoli, fino alla seconda metà del XVIII secolo. Per questo motivo a Corno Giovine non vi sono castelli o ville nobiliari; si trovano, invece, testimonianze di abitazioni della borghesia signorile dei cornogiovinesi, che si prodigarono nel campo dell’agricoltura e dell’artigianato. Rimangono, quindi, tracce del Castelletto, Contesse, Campagnetta e Palazzo Pedrazzini, settecentesco, oggi di proprietà comunale.



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a zona subì nei secoli molte violente alluvioni, data la vicinanza de Po. Nel Cinquecento queste calamità naturali causarono un “allungamento verso nord del fiume a forma di cuneo, quasi a formare un corno”: Corno Giovine e Santo Stefano al Corno. L’economia di tutta questa zona si basa in massima parte sull’agricoltura, grazie alla solita conformazione pianeggiante del territorio e, neanche a dirlo, dall’abbondanza di canali e corsi d’acqua per l’irrigazione. Qui sono molto diffuse le aziende agricole a conduzione diretta, con coltivazioni di cereali e foraggi, allevamenti di bovini da carne e da latte; meno diffuse, ma comunque presenti, le industrie di artigianato e tessili. Tra i monumenti a Corno Giovine si può ammirare la Chiesa parrocchiale di San Biagio Martire (1512). L’interno è in stile rinascimentale – barocco, con ricchi arredi liturgici settecenteschi; al XVIII secolo risale l’ampliamento con quattro cappelle del corpo longitudinale della chiesa e la ristrutturazione del campanile con sei campane. La decorazione pittorica risale all’inizio del Novecento su progetto del pittore Mario Albertella: la navata centrale è abbellita da cinque medaglioni dipinti, mentre il catino absidale ospita l’affresco di tre figure rappresentanti la Fede, la Speranza e la Carità, con al centro un Crocifisso ligneo del Settecento. A decorare l’abside vi sono anche due affreschi rappresentanti San Biagio e il suo martirio; di rilevanza artistica l’organo della seconda metà del XIX secolo.



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egnaliamo anche la Chiesa di San Rocco, quattrocentesca, presso la quale sorse, all’inizio del XVII secolo, un piccolo convento di Monaci Eremitani di S. Agostino. Nel 1632, soppresso l’ordine dei monaci, il Convento passò alle Suore Convertite di S. Leonardo di Lodi. Da queste venne ceduto alla comunità di Corno nel 1708. Oggi la chiesa, recentemente restaurata, ospita opere pittoriche e tele di autori cremonesi. Attorno al paese sorgono un consistente numero di cascine, dei veri e propri monumenti, che rappresentano la storia della tradizione del territorio. Tra le tante ricordiamo Cascina Cà Vecchia, Cascina Vidore, Cascina Campagnetta e Cascina Temisvar. Nel territorio sono da sempre fonte di produttività le fornaci, alcune molto antiche. Una delle più importanti è la vecchia Fornace Rubini di tipo Hoffman situata in aperta campagna e una volta adibita alla produzione principalmente di laterizi. Ora parte della fornace è adibita a atelier dell’artista Ilia Rubini. Altro artista conosciuto di Corno Giovine è Mauro Ceglie. Segnaliamo anche l’importante Mulino di Sopra (Mulino Raggi), luogo storico situato accanto alla Roggia Guardalobbia, che ha funzionato sino agli anni Settanta. Fu edificato nei primi dell’Ottocento. Prima funzionava con la classica ruota esterna, poi sostituita da quella orizzontale a tazze (turbina) che sfruttava meglio la forza idrica. Una parte del mulino passò alla famiglia Raggi (da cui prende il nome). In anni più recenti l’opificio fu chiuso, ma conserva gli interni e i macchinari storici.



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uogo assolutamente da menzionare nella zona è il Santuario detto i Morti della Porchera, che si trova nei pressi del Po, in località Mazzano Passone, nel tratto di pianura tra S. Stefano Lodigiano, Corno Giovine e Caselle Landi. Esso è legato ad avvenimenti miracolosi e soprannaturali, di forte suggestione popolare. Prima del 1751, questo era la località dove venivano sepolti i corpi dei morti di peste (la famosa peste manzoniana), posto isolato, in aperta campagna, lungo la strada detta “della Porchera”. Si tramanda che anticamente qui sorgeva un antico santuario dedicato a San Michele, che veniva continuamente distrutto e riedificato a causa delle soventi alluvioni. Oggi del piccolo Santuario vediamo un sacello, un “Madonnino”: malgrado le sue condizioni di conservazione, è un luogo di grandissima devozione per gli abitanti della zona...tra leggende e superstizioni.



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l laghetto di pesca sportiva di Corno Giovine esiste dalla metà degli anni ‘80, ma è a partire dal 2002, ossia dall’inizio dell’attuale gestione condotta da Roberto Lucchini che il sito ha avuto lo sviluppo che lo ha portato ad avere la struttura e la fama attuale. In questa oasi a pochi passi dal Po si è cercato di unire le aspettative degli amanti della pesca a quella delle famiglie e dei giovani (per quest’ultimi sopratutto nelle ore notturne) che ricercano qualche ora di sana spensieratezza in un a cornice naturale ed accogliente valida per ogni stagione: - La calda accoglienza dello chalet in legno d’inverno. - Gli spazzi verdi per allietare la primavera. - Il refrigerio delle fresche frasche d’estate. - La disponibilità di comode biciclette per godersi i colori accesi degli argini e dei vicini corsi d’acqua nell’autunno. L’attività sportiva di punta è ovviamente la pesca alla trota che si svolge nei mesi autunno/vernini, ma nei mesi più caldi pesci gatti, carpe e storioni possono soddisfare i pescatori più accaniti. L’attività di pesca sportiva è convenzionata con ARCI PESCA e per poter accedervi è necessario il tesseramento....ma per bere e mangiare è sufficiente una pancia capiente...



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l titolare è persona attenta al servizio ed ai prodotti serviti. Sebbene sprovvisto di cucina questo è il luogo ideale per merende a base di ottimi salumi piacentini e cremonesi, piadine piadizze e pizze che vengono impreziosite con succulenti farciture. I vini rossi per lo più del piacentino vengono accompagnati anche dai fratelli maggiori della Toscana per cui oltre a Gutturnio, Barbera e Bonarda troviamo anche una più che degna rappresentativa di Chianti. Questi vini sono gli sposi naturali di grigliate a base di carne di ogni genere che, su prenotazione, la maestria di Lucchini e del suo rifornitissimo reparto griglie vi farà gustare. Per i bianchi Malvasia, Ortrugo e Monterosso la fanno da padrone, ma il Prosecco rigorosamente di Valdobbiadene è un ospite fisso sul bancone del bar. Da ultimo, ma non perchè meno importante, se nel raggio di 30 Km si vuole bere dell’ottima Birra occorre venire in questo luogo, perchè la bevanda con il luppolo viene scelta dalle competenze e dalla passione maturata negli anni dal titolare. Ottima Birra proveniente direttamente da una birreria artigianale di Monaco viene servita per rinfrescare le gole d’estate e scaldare le ossa infreddolite d’inverno. Per questo mastro Lucchini ha unito le tante qualità di questo luogo chiamandolo La Trota nel Birreto... Se arrivate al locale all’01.00 di notte e avete fame e sete...state tranquilli alla Trota nel Birreto ai clienti non si dice mai di no! La Trota nel Birreto

Via Vittorio Veneto Corno Giovine 26846 - Lodi Telefono: 0377 767133



Corno Vecchio E

sattamente come la maggior parte dei comuni dei territori limitrofi, anche Corno Vecchio fu storicamente conteso tra Milano, Cremona, Piacenza e Lodi. Il Comune aveva un castello, oggi distrutto; il paese passò a molti feudatari, in particolare ai Bevilacqua, cui il territorio fu concesso da Gian Galeazzo Visconti nel 1385. Il suo curioso toponimo deriva dalla parola “cornu”, cioè ansa, con riferimento al corso del fiume Po. Dal 1809 al 1816, durante la dominazione napoleonica, il paese fu frazione di Corno Giovine ma, poco più tardi, riottenne l’autonomia. A Corno Vecchio si può visitare la Chiesa della Purificazione della Beata Vergine Maria, ricostruita su una struttura preesistente nel 1772 e ampliata dopo un periodo di abbandono. Qui si può ammirare il fonte battesimale cinquecentesco e la bella statua settecentesca della Vergine, che ricorda la dedicazione mariana della chiesa. Particolarità di Corno Vecchio: è il più piccolo paese in Italia riscaldato completamente a metano!



Corte Palasio I

l Comune di Corte Palasio fa parte del Parco Adda Sud ed è lambito dal fiume Tormo. Per la sua particolare posizione geografica, dal punto di vista naturalistico, gran parte del suo territorio è inserito, oltre che nel Parco del fiume Tormo, anche nel Parco Adda Sud, e nel sito di interesse comunitario “Lanca di Soltarico”. Corte Palasio si trova nella parte meridionale di quello che fu il lago Gerundo (qui vive ancora la leggenda del drago Tarantasio!). Non a caso il patrono di una delle due parrocchie è proprio San Giorgio, il santo che viene raffigurato nell’atto di uccidere il drago. Il paese ha origine celtica ed appartenne ai Conti di Comazzo già dall’anno mille. Sul territorio sono stati ritrovati reperti archeologici di una necropoli, risalente al I – IV secolo. Dopo essere stato “corte longobarda” e Mensa Vescovile, nel 1143 il territorio di Corte Palasio è attestato come possedimento della celebre Abbazia di Abbadia Cerreto, che gestiva tutte le terre del circondario per diversi chilometri. Questo fu un periodo di grande fervore economico, religioso e culturale dato dalla presenza dei monaci e dell’abbazia.



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l paese fu, successivamente, venduto dagli stessi monaci alla famiglia Pusterla, che ne divenne defraudata da Luchino Visconti. Dai Visconti il feudo passò agli Sforza e, nel XVII secolo, facendo parte della dote che la marchesa Anna Orsini Sforza portò per il suo matrimonio nel 1460 con il principe Trivulzio, passò alla famiglia di lui. I Trivulzio approntarono diverse bonifiche nel territorio, rendendo straordinariamente fertile la zona, dove Carlo Cattaneo, tra gli altri, decise di fondare l’Istituto Agrario, con annessa un’azienda agricola. Il progetto fu realizzato nella seconda metà dell’Ottocento; dopo l’Unità d’Italia il governo italiano da poco costituitosi sarà promotore della realizzazione di una Scuola Superiore di Agricoltura. Fallito l’esperimento, le proprietà dell’azienda passarono al marchese De Ferrari, banchiere genovese, che alla sua morte le lasciò alla vedova; questa ne affidò, sfortunatamente, la gestione ad amministratori che non riusciranno a valorizzarne le potenzialità. L’architettura sacra è rappresentata qui a Corte Palasio, dalla Chiesa di San Giorgio in Prato, forse terminata nel XVI secolo. La facciata è molto semplice, a capanna, con timpano spezzato nelle due ali laterali. La parete è mossa dalla presenza di due paraste e un piccolo portico che precede l’unico ingresso. Nella fascia sovrastante si aprono due bifore e un oculo tra esse, con l’effige di S. Giorgio. Internamente la chiesetta è molto graziosa: a navata unica con cappelline laterali e voltata a botte. L’abside è rettangolare, coperta da una volta a schifo lunettata; nella controfacciata si può apprezzare l’organo settecentesco.



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oco dopo la chiesa sorge la Villa Trivulzio – Galliera (1644), dalla planimetria complessa, a pianta a “L”. Sopra l’androne d’ingresso troneggia una sorta di torretta, sulla quale appare un affresco commissionato dalla Duchessa di Galliera, raffigurante lo stemma nobiliare del suo casato (e ricoperto, successivamente, da quello dei Trivulzio). A questo edificio si affiancano la casa colonica, la stalla e altre costruzioni. Il giardino è stato trasformato in Parco Agricolo. Curiosa e da vedere anche la cosiddetta Casa del Livellario, una tipica architettura agricola eretta prima del 1672, era anticamente la casa del Livellario del Marchese Trivulzio. Elemento riconoscibile la torretta con orologio del corpo principale; il complesso si compone della casa colonica e di alcuni ruderi attorno. Nella frazione Cadilana sorge il secondo edificio religioso, la Chiesa della Natività di Maria, dalla facciata austera e un timpano terminante con una statua della Vergine Maria. Dai recenti restauri sono emersi alcuni affreschi della scuola del Luini. Segnaliamo anche la Cappella votiva della Beata Vergine Maria, del XVIII secolo, sulla SP 124, l’Ex Teatro S. Giorgio, il Molino di Prada e le innumerevoli cascine, come Cascina Grande a Cadilana, la Cascina Dosso e la Cascina Cadilana Bassa. Nel territorio prosperano una trentina di aziende agricole. Questa è un’area molto pianeggiante, di campagna intensamente coltivata e tutta l’area era anticamente un grandissimo latifondo. Lungo la SS 235 sorge l’Antica Osteria, che svolge questa funzione dal XVII secolo (ancora oggi è adibita a locale “di passaggio”).



Crespiatica I

l paese di Crespiatica e la sua frazione, Tormo, sorgono al confine con la Provincia di Cremona, tra i Comuni di Corte Palasio e Dovera (già Cremona). Da Crespiatica dipendono anche le frazioni Campagna, Casaletti e Benzona, con i rispettivi complessi cascinali ivi ospitati. Il toponimo sembra derivare dal latino “Crespius”, cui si sarebbe aggiunto il suffisso “-atica” ad indicare appartenenza. La tradizione locale, invece, vuole che il nome provenga da un’erba chiamata dai crespiatichesi “crespola”. Il territorio di Crespiatica fu, almeno dal 1100, feudo del vescovo di Pavia sino al XV secolo. In questi secoli, pur essendo sempre inglobata nella diocesi, passò a molte importanti nobili famiglie, come ai Della Torre, nel XIV secolo, ai Pusterla, a Regina della Scala (moglie di Barnabò Visconti) e, dal 1652, a Francesco del Maino. Fu possedimento anche dei Cagnola, e, nel XVIII secolo, dei Bertoglio, dei Padri Somaschi di Lodi (dal 1810) e dei Cavezzali – Gabba. Nel Comune di Crespiatica segnaliamo la bella Chiesa di S. Andrea in stile barocco, edificata nel Seicento. La sua facciata è tripartita su tre ordini, coronata da un frontone a forma di lunetta e decorata da colonnine addossate rettangolari.



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ll’interno dell’edificio religioso sono conservati una pala d’altare secentesca con il “Martirio di S. Andrea”, quattro dipinti del Molciani e una cattedra episcopale della stessa epoca. Spostandoci nella frazione di Tormo, il cui nome deriva dal fiume che lambisce l’abitato, sappiamo che appartenete ad illustri e nobili famiglie. Nel XI secolo faceva parte del contado di Treviglio, poi, nel 1186, l’imperatore Federico Barbarossa la cedette ai milanesi, suoi alleati nella guerra contro la città di Cremona. Si alternarono, poi, una lunga serie di famiglie: dai Della Torre ai Visconti, fino ai nobili Cavezzali Gabba. Questi ultimi fecero costruire, nel 1830, una bellissima villa ed un tempietto. La Villa Cavezzali Gabba, circondata da un grande parco, conserva ancora all’interno raffinate stanze e pregiate tele dei maestri italiani dell’ottocento. La Villa fu eretta per volere del Dottor Francesco Cavezzali, chimico lodigiano, nel 1836 come villa di campagna, alla morte della moglie Teresa dei Conti Marsili, già vedova Zumalli. Il nobile Cavezzali, uomo di grande cultura e di gusto artistico, promotore delle arti nella buona società milanese, coinvolse per il progetto della villa gli architetti Leopoldo Lavelli e Tazzini. La costruzione della villa e della chiesetta durò sino al 1845.



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a Chiesa dedicata alla Beata vergine Addolorata e a S. Ambrogio presenta un maestoso propileo sopraelevato su gradoni in pietra e sostenuto da quattro grandi colonne ioniche, molto simile ad un tempietto neoclassico. La chiesa è ad aula unica, coperta da soffitto a cassettoni e due cappelle poco sporgenti, una per lato: quella di sinistra accoglie il monumento sepolcrale della famiglia Cavezzali Gabba realizzato dallo scultore Gaetano Manfredini (uno dei migliori allievi del Canova) su progetto di Pelagio Pelagi. All’interno si possono ammirare gli affreschi di Francesco Podesti sulla volta dell’abside dove si vede un “Cristo nell’orto”. La villa è architettonicamente gemella della chiesa e si sviluppa su una pianta rettangolare. Entrando nel cortile principale si oltrepassa il cancello sui cui pilastri cono posti i busti di Napoleone I e di Dante. Nella facciata sul retro sono state posizionate quattro statue in marmo scolpite da Abbondio Sangiorgio che rappresentano le scienze del Quadrivio (Aritmetica, Geometria, Astronomia e Musica). L’interno della villa accoglie, nelle bellissime stanze affrescate, quadri, statue e oggetti di sommo pregio, come alcune tele di Hayez, Pedesti e i cartoni di Domenico Induno. La villa è circondata anche da un meraviglioso giardino di vegetazione autoctona, alberi secolari e un curioso bosco di bamboo.



Fombio F

ombio è situato nella fascia di territorio al confine col Piacentino. Il paese sorge su una zona leggermente più elevata rispetto alla pianura circostante. Il centro è caratterizzato dall’importante presenza del Brembiolo, corso d’acqua che nasce a Ossago Lodigiano, attraversa Fombio e Casalpusterlengo ed entra infine nella Mortizza. Anticamente Fombio si chiamava “Flumpo”, nome che deriva dalla contrazione “Ad Flumen Padum”: ciò porta a credere che in tempi remoti il Po scorresse non lontano dal paese, anche se oggi scorre a diversi km di distanza dal centro. Storicamente Fombio è legato alla storia longobarda: nel 723 fu donato da Liutprando al Monastero pavese di San Pietro in ciel d’Oro. Con la rifondazione longobarda Fombio prese il toponimo di “Amfenengo”. Nel 1226 passò sotto il dominio del Podestà di Piacenza e fu chiamato Fombio Piacentino; nel 1299 fu feudo di Alberto Scotti (o Scoto) e a questo si deve la costruzione del Castello di Fombio, che ancora oggi possiamo visitare.



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l Castello Douglas – Scotti fu legato ad importanti battaglie storiche. Edificato, come detto, dagli Scotti agli inizi del XIV secolo (probabilmente sulle vestigia di un antichissimo castello anteriore all’anno mille), il castello si trova in una posizione dominante rispetto all’abitato e al territorio circostante. La fortificazione appare in tutta la sua massiccia struttura, sintomo della sua funzione difensiva; è a pinta a “U” e costituito da spesse mura in mattoni; attorno un tempo era circondato da fossati, oggi tutti colmati. L’architettura subì molti rimaneggiamenti, soprattutto durante il Settecento, quando venne aggiunto il porticato che si affaccia sul cortile d’onore e una veranda che unisce le due ali del castello. Attualmente il Castello Douglas – Scotti appartiene al Comune di Fombio, il quale ha recentemente approntato ingenti lavori di restauro, che ne hanno permesso l’apertura al pubblico di una parte. Nelle stanze del piano terra, nei sottarchi e sulle pareti, sono ancora riconoscibili tracce degli affreschi secenteschi (grottesche e motivi allegorici) che ornavano l’edificio. Sono anche conservati i bellissimi soffitti a cassettoni lignei del XV secolo e un camino in pietra del Quattrocento recante lo stemma degli Scotti. Nel Cinquecento il Castello fu scenario delle battaglie tra Guelfi e Ghibellini, dove i Landi (che incendiarono il paese) erano contro i Guelfi Scotti. Poi il castello fu dei Trivulzio di Retegno. Attualmente viene usato dall’Amministrazione Comunale come spazio espositivo per mostre ed eventi culturali.







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ombio, in anni più recenti, fu scenario di un’altra battaglia storica, detta Battaglia di Fombio, del 1796, quando fu uno dei primi campi di guerra delle campagne napoleoniche tra i repubblicani francesi del generale La Harpe e gli austriaci di Liptay. Qui gli austriaci furono messi in fuga e si rifugiarono presso Pizzighettone, mentre i francesi proseguirono verso Codogno. A Fombio possiamo visitare anche la Chiesa parrocchiale dei SS. Paolo, Pietro e Colombano Abate. La chiesa fu fondata nel 1390 per volontà di Alberto Scotti. Nel 1621 venne restaurata ed ampliata; un secondo importante ampliamento data 1928, dopo il crollo di una cospicua parte dell’edificio. Un secondo crollo, risalente al 1974, richiese interventi e scavi più invasivi e che portarono al ritrovamento di corpi e di ossa, sepolti in quello che doveva essere il perimetro dell’originaria chiesa trecentesca. Noi oggi possiamo visitare la parrocchiale dalla facciata di gusto eclettico con elementi tardo barocchi e neoclassici, volute e lesene classicheggianti che decorano la fronte sormontata da un timpano e cuspidi. L’interno è a croce latina; la cupola è affrescata con i quattro Evangelisti, mentre il catino absidale presenta “Cristo che consegna le chiavi a S. Pietro”. Adiacente la chiesa si trova anche Palazzo Douglas – Scotti, che è stato donato dalla famiglia alla chiesa: gli interni dell’edificio sono affrescati, ma versano in stato di degrado.



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ul territorio è possibile visitare altri due edifici ecclesiastici, entrambi nella frazione di Retegno: S. Isidoro e la Chiesa della Beata Vergine Maria Lauretana. La frazione di Retegno un tempo fu “Imperial Baronia”, oltre che feudo della famiglia Trivulzio. Il suo nome deriverebbe dall’aggettivo dialettale “tegnus” che significa “taccagno” riferito ai suoi abitanti. Infatti, qui a Retegno vi era la celebre Zecca di Retegno istituita nel 1654 da Ferdinando III, il quale concesse anche il cosiddetto “privilegio di zecca” alla famiglia Trivulzio. Inizialmente il privilegio fu concesso al Cardinal Gian Giacomo Teodoro Trivulzio, che non lo sfruttò; ne usufruì invece il principe Ercole Teodoro Trivulzio, che proprio nella Zecca di Retegno fece coniare monete d’argento tra il 1656 e il 1664, dall’ottima fattura, tanto da essere tecnicamente comparabili con quelle della Zecca di Milano. Il conio proseguì sino al XVIII secolo, da parte di Teodoro, Antonio e Tolomeo Trivulzio, che fecero battere monete in oro e in argento. Oggi della Zecca si può ammirare ancora il Portale barocco, cuspidato e decorato con statue sulla cima; da qui attualmente si accede ad un nuovo fabbricato privato. Il progetto del portale si deve all’ingegnere piacentino Giovan Battista Barattieri.



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ttorno al paese di Fombio, segnaliamo la presenza di alcune cascine storiche, come la Cascina Girola (il cui nome deriva dalla natura ghiaiosa del terreno), risalente al XVI secolo. Alla fine dell’Ottocento apparteneva alla famiglia Anguissola di Piacenza ed era abitata da circa ottanta persone. Oltre alla Cascina Girolone (XVI secolo), ricordiamo anche il Mulino Nuovo (XVIII secolo). La maggior parte delle altre cascine sono state edificate tra L’Ottocento e il Novecento, tra cui la Cascina Prini, una vecchia “casera”, così chiamata perché qui si produceva formaggio grana. Curiosità: il piatto tipico di Fombio è la “panissa”, da molti conosciuto come piatto piemontese, ma che qui a Fombio viene cucinato secondo una particolare ricetta, senza fagioli. Altre tipicità culinarie sono la trippa e i cosiddetti “Oss di mort”, biscotti di pastafrolla e così chiamati perché vengono consumati, secondo la tradizione, il giorno dei Morti.



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l Ristorante-Pizzeria “L’Orizzonte” si trova a Fombio, nella suggestiva campagna pianeggiante del Basso Lodigiano. Qui il locale vi sorprenderà subito con la sua atmosfera calorosa e soft, colorata dalle tinte pastello dei suoi interni e dalle sfumature delicate delle tende in organza. Una volta preso posto a uno dei tavoli in legno in raffinata arte povera, potrete iniziare a respirare il sapore rustico e autentico di questo ristorante a gestione familiare: il titolare, il signor Gimmy e la moglie Valentina, cuoca, insieme ai figli Dorina, responsabile di sala e Renato, pizzaiolo, sapranno offrirvi una ricchissima scelta di piatti da gustare in questo ambiente caldo e accogliente. Il menù comprende una vasta scelta di specialità di terra e di mare, a partire dagli antipasti, per passare poi ai primi: tagliolini all’astice, il risotto ai frutti di mare e i fusilli dell’Orizzonte, un piatto inedito assolutamente da scoprire. Come seconda portata spiccano il filetto di branzino, la grigliata di pesce e la grigliata di carni miste e per finire, dolci di produzione propria, tra cui la “torta dell’Orizzonte”, il dessert segreto della casa.



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poi c’è la pizza, sottile e fragrante come non mai: troverete tutte le classiche varianti, ma non perdete l’occasione di assaggiare la “pizza dell’Orizzonte”, l’originalissima creazione del pizzaiolo. Il Ristorante presenta tutti i comfort per organizzare pranzi e cene in compagnia: ampio parcheggio esterno e tre spaziose sale interne, pensate per garantire a ciascuna la propria atmosfera e privacy, per vivere al meglio ritrovi in famiglia e tra amici. Perfetto per cene aziendali, pranzi in compagnia, ma anche per tutte le occasioni importanti come matrimoni e banchetti: Gimmy e la sua famiglia vi consiglieranno al meglio per un menù speciale!

Ristorante Pizzeria L’Orizzonte

Ragione sociale: Everest S.a.S. di Shabani Valentina & C. Via Roma, 5 26861 Fombio (LO) Tel. 0377.435189



Galgagnano G

algagnano sorge nella parte nord della Provincia di Lodi.

Dalla prima metà del X secolo fu concesso dall’imperatore Ottone I al Vescovo di Lodi sino al 1142, quando fu ceduto ad Uberto dei Casetti. Fino al 1440 il paese è stato centro della circoscrizione plebana. Di rilievo nel Comune è la Chiesa di San Sisino, del 1540, anche se oggi ha una struttura molto mutata rispetto all’originale Cinquecentesca, a causa di continui rimaneggiamenti. La facciata della chiesa è molto lineare, con una terminazione semicircolare e che si affaccia su una tranquilla piazzetta. Su questo territorio vi sono ancora molti possedimenti dell’Ospedale Maggiore di Milano, soprattutto cascine, ora gestite da privati.



Graffignana A

nticamente sul territorio di Graffignana sorgevano insediamenti abitativi rurali romani, notizia certa anche grazie al ritrovamento di tombe romane in località Villa Pelloia. In epoca longobarda fu costruito nel centro del Paese un convento, con annessa una piccola chiesetta dedicata a S. Salvator. Artefici furono alcuni monaci di Pavia. Chiesa e convento col tempo divennero luogo di accoglienza per i pellegrini, spesso fedeli in viaggio verso Roma che attraversavano queste terre. Di questa struttura, purtroppo, oggi non resta traccia, ma fu davvero un centro focale per la vita del piccolo paese. Il Trecento fu un secolo importante per Graffignana e per i territori limitrofi, da S. Angelo Lodigiano, a Belgioioso, a Chignolo, a S. Colombano al Lambro. Tutti vennero assoggettati al potere di Gian Galeazzo Visconti e per sua volontà in questa zona venne istituita una riserva di caccia; nel 1395 il Conte donò il feudo alla Fabbrica della Certosa di Pavia, lasciando la gestione del territorio ai monaci certosini.



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icordiamo che a loro dobbiamo il grande lavoro di bonifica della zona; al periodo “certosino” risale anche la costruzione di un castello, un fortilizio a scopo difensivo ed eretto su un piano rialzato lungo la sponda del fiume Lambro. Della struttura castrense, oggi privata, sopravvivono solo i resti delle mura che costituivano la pianta quadrata e il portale d’ingresso. Nel 1782 i certosini furono cacciati e Graffignana passò al governo austriaco. Giuseppe II d’Austria lo diede, poi, ai Principi Barbiano di Belgioioso. Attorno a Graffignana sorgono i Colli di S. Colombano, che si estendono nei Comuni di Miradolo Terme, Inverno e Monteleone e S. Angelo Lodigiano, tra le Province di Lodi e Pavia. Questi Colli sono celebri per i loro vigneti: secondo la tradizione locale fu S. Colombano, monaco irlandese che nel VI secolo arrivò a cristianizzare queste terre, ad insegnare agli autoctoni la coltura dell’uva. Grazie, o meno, a San Colombano, questa zona è una delle maggiori per la produzione vitivinicola: dal 1984 il vino di S. Colombano ha ottenuto la denominazione di origine controllata.



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n Graffignana segnaliamo il Parco Pubblico Spadazze, con il bel “laghetto dei cigni” al suo interno e la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo. La chiesa originaria risaliva al Duecento, secondo quanto ci dicono i pochi documenti che abbiamo a nostra disposizione. Inizialmente era un edificio molto piccolo rispetto all’attuale: sappiamo che, nel 1680, aveva una sola navata centrale e due cappelle ai lati dell’altare maggiore; nel 1840 - 45 furono costruite le navate laterali. Oggi ammiriamo la facciata tripartita, la parte centrale più alta rispetto alle laterali, a tre aperture e con un bel rosone; le porte laterali sono sormontate da lunette con mosaici dell’artista milanese Filiberto Sbardella, del 1941. Poco distante dal centro, verso le colline di Miradolo, è possibile visitare la famosa Villa Petrarca, una villa del 1930 adibita per molto tempo ad abitazione, su due piani, di forma rettangolare; all’ingresso presenta un portico in muratura. Attualmente è usata come pub – ristorante. E per i più sportivi...perché non visitate anche il Bosco di Graffignana? Il bosco è costituito da castagni che si sono conservati in una condizione semi – naturale, nella parte nord-ovest dei Colli di S. Colombano. Vi si possono riconoscere anche carpini bianchi, farnie (una specie di querce), rovere; per quanto concerne la fauna, grazie alla presenza di un piccolo laghetto, il bosco è abitato da specie ittiche e uccelli, come il passero, il merlo, la cinciallegra, lo scricciolo, tordi, pettirossi e usignoli; tra i piccoli mammiferi qui si nascondono donnole, tassi e volpi. (Per le visite rivolgersi al Signor Patrizi, presso l’Agriturismo Il Bosco, tel. 335-5330320).



Guardamiglio I

l territorio su cui si estende il paese di Guardamiglio è quello su cui un tempo esisteva una landa deserta, boschiva e paludosa, lungo il corso del Po o del vecchio alveo del fiume Lambro. Guardamiglio si trova sull’estremo lembo meridionale della pianura lombarda, stretta nell’ansa più profonda e più larga che il Po forma nel suo passaggio nel territorio lodigiano. Tutto il territorio è ancora caratterizzato dalle tipiche architetture agricole sparse per chilometri e chilometri di pianura e di campi intensamente coltivati. Ancora oggi la zona presenta una ricca vegetazione autoctona, dove la flora cresce in un ambiente particolarmente umido e acquitrinoso. L’etimologia del toponimo del paese è stato ricondotto al console Lucio Emilio e che ricorderebbe il suo valore per domare una ribellione dei Galli, già soggiogati nel 224 a.C. e da allora avrebbe preso il nome di “Ardor Aemilli”. L’altra motivazione fa derivare il nome dalla distanza che separava il paese di Guardamiglio da Piacenza, cioè da “ad quartum miliarum”, letteralmente “quarto miglio”.



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l centro presenta anche particolari testimonianze artistiche che ricordano il glorioso passato e le fondazioni romane di Guardamiglio. Il paese fu successivamente dominio longobardo e possedimento del Monastero di San Pietro in Ciel d’Oro, che lo vendette solo nel 1225. Fu poi feudo dei Landi di Caselle nel XIII secolo; passò a diversi signori fino al 1681, quando divenne proprietà di Giovanni Nicelli, seguendo le vicende del Ducato di Piacenza. Da segnalare a Guardamiglio la Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista del 1678, progettata da Matteo Monti, un edificio in stile neoclassico, in Piazza IV Novembre. La struttura religiosa presenta una facciata semplice suddivisa su due ordini con lesene doriche. Sulla sommità della facciata si trova un timpano triangolare. Il secondo ordine è interrotto da un finestrone centrale e da nicchie laterali. La vera particolarità di questa chiesa, davvero degna di nota, è la cupola, impostata su un alto tamburo cilindrico, decorato con piccole lesene e oculi ciechi, terminanti in una lanterna. Anche la pianta è molto particolare: è a tre navate, attraversate a metà da un braccio passante sul cui innesto con la nave mediana si imposta il tamburo della cupola. Tutta la chiesa è deliziosamente affrescata con personaggi biblici dai colori sgargianti. Dal Comune di Guardamiglio dipende anche la frazione Vallora, con la sua piccola Chiesetta e il Monumento ai Caduti.



Livraga L

ivraga è un Comune dalle antichissime origini, tanto che con ogni probabilità la sua fondazione si deve alla tribù dei Galli Boi, in epoca pre – romana. Dal XII secolo i documenti iniziano a parlare di Livraga e del suo castello, come dipendenza dai Vescovi di Lodi. Dopo la vittoria di Federico Barbarossa su Lodi, si concesse ai Vescovi la piena sovranità su Livraga. Nel 1609 Livraga e Orio divennero feudo dei Cavazzi della Somaglia. A Livraga è possibile visitare le due chiese, quella molto antica di San Bassiano e quella più recente di San Martino. La Chiesa di San Bassiano risale agli inizi del XV secolo, fu poi ampliata nel 1576. Sappiamo con certezza che già nel 1550 – 1560 l’edificio aveva già assunto l’assetto esterno attuale, con la sua bella facciata di gusto neoclassico, a due ordini. Sul fronte si aprono, inoltre, cinque nicchie che contengono altrettante curiose statue, che rappresentano i Santi: in alto S. Bassiano, con le tre dita della mano aperte, in segno di benedizione, nel registro superiore a sinistra S. Carlo Borromeo, con le mani giunte e a destra S. Filippo che tiene in mano il libro dei Disciplini, di cui fu il fondatore; nel registro inferiore si riconoscono a sinistra S. Fermo, che tiene in mano la spada, e a destra S. Rocco, con il cane e il bastone da pellegrino.



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uesta chiesa è stata da sempre sede della Confraternita della SS. Trinità. Fu S. Filippo Neri a fondare, nel 1548 a Roma, questa confraternita, formata da laici. Il suo scopo era quello di assistere i pellegrini che venivano da Roma e quello di soccorrere i poveri. Livraga con la Chiesa di S. Bassiano posta lungo la Strada Romea (percorsa dai pellegrini “Romei”) divenne sede della Confraternita nel 1575; vicino sorgeva anche un “hospitale” per l’accoglienza dei viandanti. L’interno, a navata unica, custodisce molte preziose opere artistiche, come lo splendido affresco della “Madonna della Rosa” del XVI secolo, eseguita da un pittore lodigiano. Questo è l’unico affresco che resta di tutti quelli che abbellivano la chiesa prima dell’ampliamento della seconda metà del XV secolo. Di pregevole fattura l’altare della Beata Vergine, secentesco e le tele con il “Martirio di S. Fermo” e il “Martirio di S. Giovanni Battista”. Particolarmente suggestivo, nella piccola cappella a destra, l’altare di S. Fermo, decorato da stucchi secenteschi, angeli cariatidi e bassorilievi che si accostano alla più moderna statua di S. Fermo. Apprezzabili anche il bellissimo coro secentesco e gli affreschi con il “Battesimo di S. Fermo” e il “Miracolo di S. Bassiano”; l’arcone che sovrasta il ciborio è stato finemente affrescato in età barocca (XVII secolo), con la Trinità del pittore cremasco Giovan Battista Botticchio. Gli angeli qui reggono gli strumenti della Passione di Cristo. Sotto all’altare si possono vedere i resti dell’antica fondazione della chiesa.



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a piccola chiesa di S. Bassiano ebbe funzione oratoriale sino al 1937, quando passò alla Chiesa di San Martino. Essa sorge nel centro del paese, in via Dante Alighieri, e la sua prima costruzione risalirebbe all’inizio del XVI secolo. La struttura è scandita da tre navate, la maggiore più alta rispetto alle laterali e separata dalle altre da arconi a sesto acuto rette da grandi pilastri. La chiesa è coperta da eleganti volte a crociera costolonate; è stata decorata, in tempi diversi, dall’Oppi, dal Secchi e da Carlo Facchini. Livraga diede anche i natali a personaggi famosi, come Giovanni Vittadini, nato nel 1865 presso la Cascina Vignazza di Brembio. Alla morte della famiglia, il giovane Vittadini si stabilì a Livraga presso alcuni parenti alla Cascina Cantone. In breve, grazie ad una serie di felici intuizioni e una spiccata propensione imprenditoriale, Giovanni Vittadini portò la sua azienda latteario casearia a livelli competitivi con le maggiori industrie nazionali del ramo. Da semplice agricoltore e piccolo produttore, divenne un grande industriale della produzione diretta di latte, specializzandosi in particolar modo nella produzione di burro (chi ricorda il celebre “Burro Ideal”?). L’attività di Vittadini fu davvero fondamentale per il paese di Livraga: attorno all’industria si sviluppò per decenni la vita sociale della comunità. Accanto alla figura dell’industriale non si costituì solo un tessuto produttivo, ma anche un’attività filantropica, con un respiro sia locale nella città di Lodi.



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o stesso tessuto urbano di Livraga, durante i primi anni del Novecento, risentì molto del prestigio economico – sociale dell’impresa di Vittadini, considerato per la sua opera uno dei “Padri del capitalismo agrario”. Dopo essere stato Sindaco di Livraga, nel 1905 ottenne il Cavalierato della Corona d’Italia; nel 1931 ricevette il titolo di Cavaliere ufficiale per le sue benemerenze industriali e di generosa beneficienza. Alla sua morte, nel 1940, lasciò la sua attività senza eredi. L’intero suo impero passò, quindi, alla Fondazione Vittadini, che vive ancora oggi e che persegue scopi benefici. La sede della Fondazione si trova presso la Villa Vittadini, una bellissima struttura costruita nel 1867, in stile eclettico lombardo, soprattutto per le decorazioni esterne. Le finestre sono sormontate da timpani e decorazioni floreali, con lesene e colonnette addossate. Il complesso si compone di una villa padronale, la casa colonica, la stalla, il fienile, magazzino e rimessa.All’interno si può visitare la parte del salone d’onore: un vero spettacolo! Qui si possono ammirare i mobili d’epoca in legno, splendide statue di ottima fattura e il singolarissimo “affresco”, che in realtà è un enorme dipinto su tela! Il parco antistante la villa è curato sempre dalla Fondazione Vittadini. La villa è circondata da una recinzione continua in muratura. (Per info e contatti, Fondazione Vittadini, tel. 0377 87726). Lungo la via principale di Livraga, nella direzione che porta a Borghetto Lodigiano, è possibile vedere l’Auditorium (1936). La struttura dalla facciata neoclassica fu edificata dal Commendator Vittadini per accogliere il Corpo Bandistico del paese, inizialmente Banda di Santa Cecilia, poi ribattezzata Banda Vittadini, in onore del filantropo.



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er gli amanti della campagna, per i nostalgici delle vecchie tradizioni agricole (o solo per i curiosi), è d’obbligo una visita al Museo del lavoro povero e della civiltà contadina di Achille Mazzocchi e Carla Bertolotti. Il Museo è stato allestito nel 1999 in una vecchia stalla di una grande cascina (donata dalla Fondazione Vittadini per la costituzione del museo) che si sviluppa su una superficie di 700 mq e raccoglie oltre 3000 attrezzi, dagli utensili usati per il lavoro agricolo ai costumi legati alle tradizioni locali, risalenti ad un periodo che va dalla fine del Seicento ai primi del Novecento. Vi sono, poi, ricostruzioni di ambienti rurali e botteghe artigiane (una sorta di Period rooms), ed attività organizzate ad hoc, come interessantissime visite per le scuole, dove i bambini possono esperire concretamente i lavori della campagna partecipando a laboratori, ed esempio, sulla trebbiatura del mais e la pigiatura del vino, nell’ottica del “living museum”. Al museo, inoltre, vengono ciclicamente presentati libri e organizzate mostre sulla vita, la tradizione del territorio e la sua storia. Il museo è gestito unicamente da volontari. (Per info e visite: tel. 0377 987387, o 0377 987253 Sig.Dalla Valentina).



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mmaginate un bellissimo, antico cascinale magistralmente ristrutturato, dai colori tenui, un meraviglioso porticato dagli arredi in ferro battuto e magari un romantico tramonto dai colori rosati all’orizzonte. Questo è ciò che vi si presenterà arrivando al Ristorante Ca’ de Mazzoli, immerso nella natura, poco fuori dal centro abitato del paese di Livraga. Il Ristorante, al quale è annessa anche l’enoteca, sorge nel suo corpo longitudinale dall’aspetto rustico e imponente. Qui lo chef Adriano vi accoglierà con tutta la sua famiglia, la moglie Vittorina e i tre figli Matteo, Giovanni e Lorenzo, con il calore e la cortesia che contraddistingue tutti loro. Il Ristorante è gestito dalla famiglia dal 2008, grazie alla quale la vecchia cascina ha riscoperto le glorie del passato, dopo una sapiente ristrutturazione che non ha calpestato la storia e la tipicità di questa architettura rurale. La struttura accoglie i suoi ospiti in due grandi sale, una al piano terra, l’altra al primo piano, dalla quale si gode una bellissima vista di tutto il complesso della cascina. Arredi, quadri e dettagli sono particolarmente curati, fiori e colori pacati rendono l’atmosfera del locale calda, elegante ed accogliente. Adriano per i palati esigenti della sua clientela prepara piatti tipici della tradizione lombarda e lodigiana; in particolare i suoi piatti forti sono i prelibati risotti...assolutamente da provare quello con la salsiccia, vino rosso e raspa!



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i potranno accompagnare i piatti con ottimi vini italiani.

A Ca’ de Mazzoli si organizzano anche serate a tema, come le rinomate serate con portate a base di tartufo. Le sale possono essere affittate per cerimonie e matrimoni, soprattutto nella bella stagione, nelle giornate di primavera e d’estate, dove si può sfruttare il bel porticato e il cortile all’aperto di fronte al ristorante. Si organizzano, inoltre, menù aziendali, buffet per eventi speciali, dove si possono concordare menù a piacere. Tutto qui sa di tradizione ottimamente reinterpretata: se cercate un cestino, dovete gettare la carta in un caratteristico bidone del latte!! L’atmosfera soft, associata a un servizio attento e cordiale, rende il ristorante luogo ideale per staccare la spina, per lasciarsi alle spalle la velocità frenetica dei ritmi metropolitani, per gustare un pasto e del buon vino in tutta tranquillità.

Cà de Mazzoli s.r.l. Via Cà de Mazzoli - 26814 Livraga(LO) Mail: cademazzoli@email.it Per info e prenotazioni: Cà de Mazzoli 0377.987238 Sig Boschi 338.7684333 Il giorno di chiusura è il lunedì sera e il sabato a pranzo. Il martedì sera e mercoledì sera il ristorante è aperto.



Lodi Vecchio S

econdo la testimonianza di Plinio il Vecchio, l’antica Lodi, chiamata Laus Pompeia, fu fondata dai Gallo Boi attorno al 500 a.C. Fu successivamente colonia dei romani, da cui prese il nome di Laus, dal latino “lode”, “onore”. Nell’89 a.C. si aggiunse al toponimo “Pompeia”, dal nome del generale Gneo Pompeo Strabone che aveva il controllo del territorio. Nel 49 a.C. Giulio Cesare concesse alla popolazione il diritto alla cittadinanza romana. Nel 303 a Lodi Vecchio furono decapitati San Felice e San Nabore, soldati romani convertiti al cristianesimo. Nella seconda metà del IV secolo Laus divenne sede vescovile per volere di Sant’Ambrogio. Nel 1027 Ariberto d’Intimiano, vescovo di Mediolanum, assediò il villaggio dando inizio ad una rivalità tra lodigiani e milanesi che continuerà per secoli. Per resistere all’assedio, Laus si alleò con Pavia e Cremona, scampando la sconfitta, ma la guerra con Mediolanum continuò. Da allora due momenti segnarono le sorti, infauste, di Laus: il 1111 fu l’anno in cui le milizie milanesi ripresero d’assedio la città e il 1158 quello della completa distruzione del villaggio. Laus venne completamente rasa al suolo, mentre sopravvissero solo alcune chiese, tra cui l’importantissima Basilica di S. Bassiano.



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a città era tanto devastata che fu impossibile ricostruire gli edifici distrutti; i cittadini chiesero la protezione di Federico Barbarossa: grazie all’intercessione e l’aiuto dell’imperatore fu creato un nuovo insediamento sul colle Eghezzone, l’attuale Lodi. Nella vecchia Laus restò solo un gruppo di monaci benedettini, che non vollero abbandonare la Chiesa di S. Pietro. Segno tangibile dell’antica storia di Laus è la Basilica di San Bassiano, la cui storia si intreccia strettamente con quella di Lodi Vecchio. La Basilica nacque per volontà del primo vescovo laudense, Bassiano (nato a Siracusa nel 319 e patrono di Lodi), che la consacrò nel 387 d.C. e la dedicò ai Dodici Apostoli. La chiesa sorge poco fuori dal centro abitato, completamente immersa nella verde e pianeggiante campagna lodigiana, in un paesaggio particolarmente suggestivo per chi la visita. Essa si trova su un’antica area cimiteriale. Alla morte del Vescovo Bassiano, nel 409, il suo corpo fu sepolto nella Basilica (e vi restò sino al 1163, quando fu traslato nella cripta del Duomo di Lodi), che da allora assunse il suo nome, con cui ancora oggi è nota. Fortunatamente la chiesa fu salvata dall’abbandono e ricostruita in parte nelle forme trecentesche che oggi vediamo, nel XIV secolo. Ciò ci permette di apprezzare la splendida facciata “a vento” che immette all’interno della basilica, scandita in tre navate absidate e sorrette da massicci pilastri polistili. La chiesa è coperta da volte a crociera costolonate, tipiche del romanico lombardo. Si tratta di uno dei più begli esempi di architettura gotico – lombarda del territorio, che brilla da lontano nella sua pietra rossa.



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isalgono al XII secolo i capitelli scolpiti in pietra bianca, molto probabilmente materiali di reimpiego provenienti dalla vecchia Laus, che mostrano animali ed elementi decorativi; sono del XIII secolo le due formelle con le scene delle corporazioni dei calzolai e dei contadini. Dello stesso secolo è la bellissima decorazione ad affreschi, opera del Maestro di San Bassiano e dei suoi collaboratori, che orna l’abside con il “Cristo Benedicente” seduto in una mandorla e affiancato dai simboli degli Evangelisti e dalle figure di S. Bassiano, della Vergine, di S. Giovanni Battista e di S. Cristoforo. Significativo è l’affresco nella volta centrale raffigurante il lavoro dei bovari, con riferimento ad una delle corporazioni che presero parte al finanziamento dei lavori, come è testimoniato da una lapide ancora conservata sulla parete sinistra della navata centrale che consente di datare l’opera 1323. La Basilica è stata proclamata Monumento Nazionale nel 1875. Nel centro storico di Lodi Vecchio, in Piazza Santa Maria, troviamo il cosiddetto Conventino, un ex convento edificato nel XVII secolo che si sviluppa su due piani. L’edificio è stato sapientemente restaurato negli ultimi anni dal Comune ed è oggi sede di mostre ed eventi culturali. Accanto al Conventino si possono visitare i resti del Foro Romano e della Cattedrale di S. Maria. Gli scavi (in particolare quelli sovvenzionati dalla famiglia Cavezzali) hanno portato alla luce oggetti in bronzo e materiali ceramici tra il fiume Sillaro e il foro. Da questa alacre attività furono rinvenuti altri oggetti in bronzo e marmo; negli anni Ottanta furono ritrovati i resti di un teatro di età augustea.



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a questa alacre attività furono rinvenuti altri oggetti in bronzo e marmo; negli anni Ottanta furono ritrovati i resti di un teatro di età augustea. Tra gli edifici più antichi arrivati quasi integri fino a noi, vi è la Chiesa di San Pietro, che sorge al centro del paese. Essa era parte dell’omonima chiesa benedettina che, dopo la distruzione, fu il cuore della rinascita del piccolo centro.Con molta probabilità la prima chiesa fu costruita dopo la concessione di culto ai cristiani (successivamente all’Editto di Milano del 313 d.C.), mentre l’edificio odierno risale al XVII secolo. Di particolare interesse è anche il Palazzo sede della Biblioteca di Lodi Vecchio, un edificio di pianta rettangolare eretto tra il 1920 e il 1930. Segnaliamo anche la Cappella della Madonna della Valletta, a pianta rettangolare e coperta a volta a botte, risalente al XVII – XVIII secolo e la Cappella Campestre di S. Maria Rossa a S. Marco di Lodi Vecchio (XVII secolo).



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entieri tra i campi coltivati a frumento, pioppi che sorgono lungo i fossi e...le immancabili cascine. Questo è il paesaggio che circonda Lodi Vecchio. Patrimonio di storia, tradizione, identità storica, fede e lavoro, a Lodi Vecchio sorgono la Cascina Gualdane (lungo la Strada Comunale per S. Zenone) che conserva il mulino risalente al 1797, ancora funzionante e la Cascina San Marco che riveste il maggior valore storico e architettonico: antica abbazia cluniacense, fu costruita dai monaci sfuggiti alla distruzione di Laus Pompeia. I Cluniacensi furono poi espulsi dalla struttura nel 1438, per avere aderito al concilio di Basilea, ed allora la cascina fu tenuta in commenda; ospitò anche la corporazione dei Carmelitani Scalzi; oggi è di proprietà privata. Tra gli altri numerosi insediamenti cascinali ne ricordiamo tre con vincolo storico: la cascina Dossena, la Santa Maria e la San Marco. La frazione Dossena era sull’antica via romana che collegava Laus Pompeia a Cremona.



Maccastorna P

iccolissimo paese, Maccastorna sorge sulle sponde dell’Adda, poco distante dalla Provincia di Cremona. Piccolo davvero, dato che conta solo poco più di una sessantina di abitanti (è uno dei comuni meno popolosi d’Italia!), ma che mantiene gelosamente la sua autonomia amministrativa. Malgrado ciò, Maccastorna è uno dei centri del Lodigiano più ricco di storia: un vero concentrato di importanti e...cruenti fatti storici! Il paese sorse e si sviluppò attorno all’antica Rocca, un antichissimo castello. Quando vedrete il Castello di Maccastorna vi sembrerà uscito da una fiaba dei tempi antichi, tempi si signori e nobiltà, di feudi...efferati assassinii e...fantasmi! Andiamo per gradi. Storicamente sappiamo che la prima roccaforte, che anticamente si chiamava Belpavone o Mancasturma (quest’ultimo toponimo derivava da una casata cremonese), venne eretta nel 1250 circa, dagli esponenti della fazione ghibellina scacciata dai Guelfi da Cremona. Nel 1271 i nemici Guelfi attaccarono la roccaforte di Maccastorna espugnandola, saccheggiandola e massacrandone i residenti; infine, incendiarono il castello. Per sfortuna, questo fu solo il primo di una serie di tristi e cruenti fatti di sangue.



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cremonesi ricostruirono il castello mantenendolo nella stessa posizione (ottimale per la vicinanza con il guado dell’Adda, strategico per il controllo sul territorio). Le forme che assunse la roccaforte sono quelle che vediamo ancora oggi, anche se mancano cinque delle otto torri originarie, che conferivano un aspetto particolarmente austero. Nel 1371 il complesso fu comprato dai Visconti che avevano conquistato il Ducato di Milano e fu così concesso da Gian Galeazzo Visconti alla famiglia veronese Bevilacqua, a Guglielmo Bevilacqua, nel 1385. Salvo poche e brevi parentesi, la proprietà del castello e delle terre di Maccastorna restarono all’interno della famiglia veronese fino al 1901, quando passarono ai Biancardi di Codogno, ancora attuali proprietari. Il periodo di particolare interesse storico che interessò il nostro castello fu, però, il Quattrocento: nel 1402 Gian Galeazzo Visconti morì di peste lasciando senza guida le sue terre. Approfittarono della situazione i Cavallabò, che non persero tempo e si fecero eleggere signori di Cremona e presero anche possesso di Maccastorna. I Cavallabò commisero, ahimè, il grave errore di donare il castello al Capitano di ventura Cabrino Fondulo (1370 – 1425), originario di Soncino, che aveva combattuto con i Cavallabò. Fondulo da sempre covava desideri di dominio: aspettò l’occasione propizia per coronare il suo sogno di gloria e di dominio. Quando Carlo Cavallabò con i figli Giacomo e Ludovico, di ritorno da una visita diplomatica a Milano, accettarono la sua ospitalità per la notte al castello di Maccastorna, vennero violentemente uccisi nel sonno. Questo avvenimento passò alla storia con il nome di “Eccidio dei Cavalcabò”, avvenuto con ogni probabilità la notte del 24 luglio 1406.



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urono brutalmente strozzate e pugnalate dodici persone, un’immane strage, infelice esempio di un potere conquistato con l’inganno e il sangue. Ironia della sorte, Fondulo stesso morì nel 1525 sul patibolo in Piazza del Broletto a Milano per mano di Giovanni Maria Visconti. A Fondulo dobbiamo diversi interventi al castello di Maccastorna, come la nuova fortificazione, le balconate interne e le delicate pitture, che oggi possiamo parzialmente ancora apprezzare. Fu ancora Fondulo che fece riedificare la Chiesa di San Giorgio, originaria del 1250 ca, per celebrare le sue nozze con Giustina dè Rossi. La chiesa oggi è a navata unica, coperta da quattro volte archiacute. A sinistra del presbiterio si trova la cappella dedicata alla Madonna di Lourdes, che riproduce la grotta dell’apparizione. Lungo la navata si aprono quattro navate comunicanti, una dedicata a San Giorgio Martire. Ma torniamo al nostro castello e raccontiamo dell’ultimo delitto compiuto all’interno della spesse mura della rocca. Era il 1523 quando il Conte Riccardo Bevilacqua venne pugnalato qui dai sicari di Teodoro Trivulzio.



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a allora il castello non fu più teatro nessun altro delitto e, per fortuna, i successivi proprietari della rocca si dedicarono saggiamente alla più tranquilla attività dell’agricoltura, ma storie, leggende, foschi avvenimenti e credenze da sempre circondano le mura della fortificazione. Qualcuno racconta che ancora oggi durante le notti estive, si manifestano attorno al castello, peraltro molto ben conservato, i fantasmi delle vittime dell’eccidio che chiedono vendetta e si odono urla disperate...un castello da brivido! L’esigua comunità di Maccastorna oggigiorno si basa su un’economia quasi totalmente agricola e sulla produzione di latte.



Mairago L

e notizie più antiche che abbiamo di Mairago risalgono al 69 dC, quando questi luoghi vennero visitati da San Siro Vescovo di Pavia che attraversò il Lodigiano percorrendo la vecchia strada romana che dall’antica Acerra (Gera d’Adda) portava a Lodi (Laus Pompeia, attuale Lodi Vecchio). Dal 725 anche il territorio di Mairago, come molti degli altri territori limitrofi, passò per volere del re longobardo Liutprando al Monastero di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia, fino al 1053, quando la gestione di queste terre fu della Canonica di S. Ambrogio di Milano. Nel 1189 i Signori di Salerano riscossero le decime della zona; all’inizio del Trecento Mairago fu feudo del Vescovo di Lodi, il quale lo concesse, a sua volta, a diverse famiglie, come i Mammarella e gli Zurla. Dopo varie vicende, nel Cinquecento Mairago fu tenuto da Giovanni Angelo Talenti, ambasciatore di Ludovico il Moro presso la Corte di Napoli. Nel 1703 fu investito come feudatario Giulio Cesare Vaino. A Mairago si possono visitare la Chiesa di San Marco Evangelista (XVII secolo, con capertura a volte) e la piccola Chiesa di San Giorgio Martire a Basiasco (sempre risalente al XVII secolo).



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er gli amanti della natura, Mairago offre un museo davvero unico, anzi, un Ecomuseo! Stiamo parlando dell’Ecomuseo della Cascina Grazzanello, completamente immerso nella campagna lodigiana, tra filari di alberi, campi bassi coltivati, tanti fossi e stradine in terra battuta. L’ecomuseo comprende tutta l’area verde e la cascina, un insieme di fabbricati che presentano l’originale tipologia costruttiva dei cascinali della zona. Vi è anche il museo degli attrezzi agricoli, i granai e le antiche case coloniche, la torre passeraia merlata, le stalle, le scuderie e l’antico mulino settecentesco. L’obiettivo del museo è quello di mantenere inalterati gli equilibri agricoli del territorio; per questo sono stati piantati ben sette chilometri di filari e siepi, un piccolo frutteto e quattromila latifoglie, tra noci, ontani e frassini. L’ecomuseo della Cascina Grazzanello fa parte del Sistema Museale del Lodigiano. E’ possibile visitare la cascina seguendo diversi percorsi di visita naturalistici, pensati per le scuole, per le famiglie e compagnie di amici. (Per info: 0371 – 487261, email: grazzanello@ tiscali.it, www.grazzanello.it). Segnaliamo che al suo interno la cascina svolge anche l’attività agrituristica.



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airago offre anche la possibilità di visitare una struttura davvero particolare: l’Osservatorio Astronomico Provinciale. L’osservatorio è gestito dal Gruppo Astrofili Messier 42, un gruppo di volontari appassionati di astronomia. Il centro è stato fondato nel 1992 a Lodi Vecchio e qui a Mairago nel 1999, nella sede dell’ex scuola materna del Paese, che ora è stata dotata di una cupola di 4 metri di diametro per l’osservazione della volta celeste, di una sala per le videoconferenze e di due camere per il pernottamento delle scuole o del pubblico, per un totale di venticinque posti letto. Tra le strumentazioni dell’Osservatorio vi sono un telescopio Schmidt Cassegrain di 30 centimetri di diametro e 3 metri di focale, strumento adatto all’osservazione del cosiddetto profondo cielo, un telescopio rifrattore apocromatico di 10 centimetri di diametri e 88 di focale, perfetto per osservazioni più a largo campo e per l’osservazione di pianeti e Luna. (Per info e prenotazioni visite: www.gam42.it, email info@ gam42.it).



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el centro di Mairago, in Piazza Roma, troverete il Ristorante Pizzeria Il Giardino, gestito da personale altamente qualificato che, grazie alla grande esperienza nel campo della ristorazione, saprà soddisfare ogni vostra esigenza culinaria. Qui sarete accolti con disponibilità e cortesia ed avrete sempre a disposizione un ricchissimo menù, con proposte prelibate, sia di carne che di pesce. Qualche suggerimento? Oltre al menù alla carta sarà possibile scegliere tra ben sei menù a prezzo fisso, e potrete assaggiare, tra le prelibatezze, degli ottimi salumi misti con focaccia o gnocco fritto, tra gli antipasti. Tra i primi non perdete le specialità lodigiane come il risotto alla lodigiana con salsiccia e raspa o tagliatelle con funghi porcini, il risotto zucchine e gamberetti o le linguine allo scoglio mentre, tra i secondi, provate le squisite grigliate miste di carne e pesce, la tagliata con rucola o radicchio, i gamberoni ai ferri, il fritto misto e il filetto di orata al cartoccio. Per gli amanti della pizza Il Giardino propone una scelta di più di sessanta tipologie! Dalle più classiche e quelle più originali, come ad esempio la pizza Carbonara con pancetta, uovo e grana, la pizza Contadina con zola e porcini, la pizza Rotonda con rucola, raspadüra, verdure, crudo e pomodorini, la pizza Messicana con salame piccante, fagioli, cipolle e peperoncino e il Calzone Giardino con rucola, raspadüra, crudo e pomodorini.



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otrete assaggiare anche le buonissime focacce, con crudo e spek, con gamberetti e rucola, con crudo, rucola e grana, con bresaola, rucola, pomodorini e grana, oppure la focaccia farcita, con tre ingredienti a scelta! Infine, provate i golosissimi dolci, dal tartufo bianco o nero, le crepe con cioccolata calda, i semifreddi affogati a caffè gli affogati al whisky. Il locale, spazioso e ben arredato può ospitare sino a 120 coperti ed è, quindi, ideale per serate tra amici o in famiglia; il Ristorante Il Giardino organizza anche pranzi e cene per cerimonie, compleanni, banchetti aziendali, con menù da concordare in base alle specifiche esigenze. Segnaliamo che il ristorante, in convenzione con l’Osservatorio Astronomico Provinciale di Mairago, accoglie anche i gruppi di scolaresche in visita. Dal lunedì al venerdì il ristorante propone a pranzo un menù a pezzo fisso a 10 euro, mentre il sabato e domenica è preferibile prenotare. Ricordiamo che il giorno di chiusura è il mercoledì. Ristorante Pizzeria Il Giardino Piazza Roma 5 26825 Mairago - Lodi Telefono: 0371 487093



Maleo M

aleo è l’ultimo paese a confine con la Provincia di Cremona, situato appena prima della storica Pizzighettone, già cremonese, ad est. Si tratta, come molte altre, di una zona particolarmente sfruttata dal punto di vista agricolo, poiché ricca di corsi d’acqua, rogge e colatoi: il loro corso e la loro portata oggi è regolata solo dalle esigenze agricole. Qui le rogge sono conosciute una ad una, con il loro nome: la roggia Concilliera, la roggia Morara, il colatore Trecco, la roggia Bossa Gazzaniga, il colatore Morona, la roggia Bossina, ecc. Il territorio è del tutto pianeggiante, costellato da grandi cascine e aziende agricole. Qui sono sviluppate soprattutto le coltivazioni foraggere e cerealicole, la maggior parte delle quali costituisce sostentamento per l’allevamento bovino e suino; caratteristica è la produzione di latte e carne. Non mancano attività collaterali, come la presenza di fornaci per la lavorazione di laterizi e antichi mulini, insieme all’allevamento del baco da seta.



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toricamente le prime notizie di Maleo risalgono al X secolo. Maleo passò nelle mani di molte famiglie nobili locali, come i signori Bariano, i Capelli, i Cotta, i Di Lugo, fino al XV secolo, quando Maleo venne riconosciuto dagli Sforza quale contea e poi marchesato. Fu quindi affidato ai Bevilacqua e successivamente ai Trivulzio. Nel 1685 passò ai Trecchi di Cremona. Il paese presenta diversi elementi di particolare interesse storico-artistico. Giungendo a Maleo dalla strada che porta a Codogno, dalla parte occidentale del paese, si passa sotto al famoso Arco o Portone, costruito nel 1865. L’arco è suddiviso in due ordini, ha un solo fornice con ai lati una coppia di lesene doriche. Al di sopra vi sono due pinnacoli; al centro un alto timpano triangolare. Sull’arco è inoltre presente una lapide che ricorda le vicende della costruzione del monumento stesso e, dall’altra parte, lo stemma del Comune in bassorilievo dipinto. La Collegiata dei SS. Gervasio e Protasio si trova nel centro di Maleo ed è documentata dall’XI secolo. L’ampia facciata è intervallata da cinque nicchie, sedi di cinque statue con i Santi Francesco d’Assisi e Giovanna d’Arco ai lati del finestrone centrale, e gli Apostoli Pietro e Paolo nella parte bassa della facciata. La nicchia in alto ospita la statua dell’Immacolata, in stile barocco, originaria del periodo della costruzione della chiesa. La finestra centrale è chiusa da una bellissima vetrata policroma che rappresenta i Santi Gervasio e Protasio cui la chiesa è dedicata.



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ulla facciata si aprono le tre entrate della chiesa, corrispondenti alle tre navate in cui è suddiviso l’edificio a croce latina. Degno di nota è il campanile, alto ben 48 metri, addossato al corpo della chiesa, costituito da cinque blocchi quadrati sormontati da una “cella serliana” datata 1724. La decorazione interna è molto importante: troviamo diverse opere significative, come gli affreschi con “Gesù che consegna le chiavi a San Pietro alla presenza degli Apostoli” e quello sulla parete absidale con il “Martirio dei SS. Gervasio e Protasio” (1866), del prof. Luigi Valtorta. Ai lati dell’affresco dell’abside sono poste due statue che rappresentano San Bassiano e Sant’Alberto, protettori della Diocesi di Lodi. E’ presente un prestigioso organo (1833-1835) dei fratelli Sarassi di Bergamo e la cantoria. Sul retro del presbiterio si trova un coro ligneo settecentesco, in noce, proveniente dalla Chiesa di San Bartolomeo di Cremona. Al centro della crociera si trova una “tazza” dipinta a finta cupola e nei bracci due altre calotte pure affrescate. Il catino absidale è decorato con l’affresco dell’ “Esaltazione delle tre Virtù Teologali” del prof. Luigi Morgari.



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ungo le navate laterali si aprono una serie di cappelle: in quella di sinistra vi sono la cappella della Madonna del Rosario con alcune pregiate tele del XVII secolo rappresentanti i quindici Misteri del Rosario, l’altare del Crocifisso e quello dedicato a San Carlo Borromeo, voluto dalla famiglia Trecchi. All’inizio della navata destra vi sono la Cappella del Santissimo Sacramento dalle decorazioni neoclassiche. Sul fondo è presente una tela con l’”Adorazione dei Magi” del pittore Francesco Boccaccini. Segnaliamo, poco oltre, il quadro del Santo Martire Sulpizio, conpatrono della Parrocchia; oltre all’effige del Santo, nella chiesa è anche presente una reliquia, dal 1661. Più avanti ancora si apre la Cappella di San Sebastiano, sotto la mensa dell’altare si trova il corpo del Martire S. Ireneo, donato alla chiesa di Maleo nel 1775 dal marchese Manfredo Trecchi, estratto, secondo la tradizione, da una catacomba romana. Alla figura di questo Santo è legata una curiosità del luogo: S. Ireneo è tradizionalmente legato all’acqua (il suo corpo sarebbe arrivato a Maleo da Roma per via fluviale, attraverso l’Adda), per cui ancora oggi è venerato durante i periodi di siccità per ottenere la pioggia e portato in processione, in particolare nelle estati lunghe e poco piovose. Poco distante dalla chiesa parrocchiale sorge Palazzo Trecchi, detto anche Castello, della seconda metà del Cinquecento (1532-1560), voluto dai Trivulzio (nella zona già denominata “del castello”), ma sempre abitato dai marchesi Trecchi. Oggi è di proprietà privata.



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a decorazione interna del palazzo è molto ricca: si pensi che conserva ancora opere di Bernardino Campi, Daniele Cuneo e Gerolamo del Leone. La costruzione si sviluppa in un blocco quadrato, circondato da un grande parco chiuso. L’edificio presenta due facciate, una verso il parco, l’altra verso il cortile. Quest’ultimo ha un ingresso con una loggia a tre fornici poggianti su esili colonne di granito. L’interno si suddivide su diversi piani; curioso che l’edificio mantenga le strutture originarie, come la ghiacciaia. Il piano terra e il primo piano sono separati dal mezzanino per la servitù; salendo lo scalone d’onore si giunge alle stanze degli appartamenti, che prendono il nome dall’iconografia degli affreschi: la Sala dell’Olimpo, la Camera delle Deità marine e il Camerino di Apollo. Oltre al palazzo – castello, a Maleo possiamo vedere anche Villa Trecchi (sempre legata alla nobile famiglia, come suggerisce il nome) costruita alla fine del XVII secolo quale abitazione dalla famiglia, dello stesso casato dei nobili cremonesi, ma del ramo cadetto baronale. Furono i coniugi Giuseppe Trecchi e Fulvia Pallavicino a commissionare la costruzione della villa, che oggi è sede della Scuola media statale “A. Moro”. La villa appartenne alla famiglia Trecchi sino al XIX secolo, quando il regime napoleonico declassò i nobili a “cittadini” e proprio in questi anni la famiglia approntò alcune delle più sostanziali (e ancora visibili) modifiche alla villa: all’inizio dell’Ottocento vennero costituiti dei rustici dove fu approntata una filanda per la seta.



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i rimangono pochi documenti che raccontano dell’attività della filanda; sappiamo che dopo cinquant’anni tutto il complesso della villa, opificio compreso, fu venduto ai signori Ferri di Corno Giovine. Aneddoto curioso è che tutti i documenti d’archivio della villa del periodo della proprietà Trecchi vennero venduti come carta straccia ai fruttivendoli e ai bottegai della zona per incartare le loro merci! Ciò comportò una grande lacuna nella ricostruzione storica delle vicende e dei protagonisti della villa. Successivamente la villa subì un lungo periodo di decadenza, dove l’edificio era ancora adibito a filanda e alcune stanze vennero trasformate in uffici. La villa passò ad altri proprietari: ai dell’Orto, ai Turro e ai Donnagemma, industriali della seta milanesi. Anche in questi anni la villa subì incisivi cambiamenti: una parte fu adibita a laboratori d’analisi per la seta prodotta e venne aggiunto un filatoio. La filanda chiuse durante da Seconda Guerra Mondiale e fu usata come ricovero per gli sfollati. La villa da allora perse definitivamente i fasti di un tempo, sinché fu acquisita e risistemata dal Comune di Maleo. Ad oggi si presenta come edificio a pianta a U e con il lato lungo su via Trecchi. L’altro lato è circondato da un grande parco. E’ conservata la caratteristica torretta belvedere, tipica delle ville dell’epoca.



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a facciata è intervallata da una lunga serie di finestre su due ordini. Dall’androne si passa sotto un ampio porticato, che porta al cortile della villa. L’interno è stato adeguato alle esigenze di un edificio scolastico; è ancora apprezzabile, però, lo scalone d’ingresso che occupa due piani della villa e il caratteristico ballatoio. Al piano superiore si sono conservate due sale con soffitti a cassettoni dipinti. Guardando la facciata della Chiesa, sulla destra della piazza si trova il Palazzo Comunale. L’edificio non presenta particolare pregio architettonico, ma conserva al suo interno importanti opere artistiche salvate, provenienti dal territorio circostante. Si trovano molti quadri, come quello ospitato nell’ufficio del Sindaco, proveniente dal castello di Maleo che gli eredi Trecchi, dopo la morte del marchese Dario Biandrà Trecchi, hanno donato all’Amministrazione Comunale di Maleo e che rappresenta il Ritratto del marchese Antonio Trecchi, opera del XVI secolo. Il nobile è rappresentato con il costume d’epoca, come uno dei personaggi di spicco della società di allora. La sala consiliare ospita un quadro di San Francesco del XIX secolo, del Prof. Enrico Scuri; sulla parete in fondo, vi sono bellissimi disegni dei paesaggi dell’artista Alessandro Trecchi.



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oco fuori dal centro abitato di Maleo, consigliamo di visitare la piccola Chiesa di San Pietro Martire o dei “Morti dal basso”. La storia di questo edificio, davvero carino e suggestivo, situato in campagna, isolato, è legata alla peste del 1630 (quella raccontata dal Manzoni ne “I Promessi Sposi”, per intenderci). Maleo, infatti, era stato appestato dai lanzichenecchi di passaggio per queste terre. Così un’ordinanza comunale impose di seppellire i cadaveri dei morti di peste lontano dal centro abitato per evitare il contagio del morbo. Su quel luogo fu edificato un piccolo Sacello dedicato alla Beata Panacea, sanatrice di ogni male. Nel 1713 i fratelli Schinchini acquistarono quel terreno per costruirvi una vera e propria chiesa, dedicandola a San Pietro Martire. Nel 1775 la chiesa fu comprata dai Trecchi e solo dagli anni Ottanta del secolo scorso l’edificio liturgico è proprietà del Comune di Maleo. La chiesa si trova sulla strada che da castello porta al fiume Adda. L’edificio ha una facciata dolce, suddivisa in due ordini terminanti con un timpano, pinnacoli e un piccolo portico addossato. Sopra la finestra c’è lo stemma della famiglia Trecchi. La pianta è molto particolare, ellissoidale; l’interno è coperto da volte a crociera e presenta decorazioni ottocentesche.



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ome molte delle chiese della zona il presbiterio è leggermente rialzato rispetto al pavimento, separato da una balaustra; sovrasta l’altare un tabellone retto da due angioletti con il versetto biblico: “Revetarum at Dominum et sanabis nos”, in riferimento alla prima dedicazione Da segnalare anche la Chiesa dell’Annunciata, Chiesa di Santa Teresa, Oratorio dei SS. Carlo Borromeo e Teodoro. A questo punto della nostra visita non possiamo non far menzione del famosissimo Albergo del Sole, situato all’inizio di via Trabattoni, lasciando alle spalle il Monumento ai Caduti. Questo albergo è citato nelle più prestigiose guide turistiche per la sua importanza storica: le prime notizie risalgono al XV secolo, quando si parlava della “Taberna di Maleo”. Dai documenti sappiamo che da più di cinquecento anni l’osteria è sempre stata ubicata dove si trova ancora oggi e che prese il nome di “del sole” solo nel 1876. Dal 1893 fu proprietà dei Trecchi, sino al 1934, quando venne acquistata dai signori Marchesi; oggi l’albergo è gestito dalla famiglia Colombani, che lo ha ristrutturato cercando di armonizzare l’antichissima struttura con le esigenze e i comfort della vita moderna. Maleo ha una frazione, Casenove, e una serie di cascine sparse per il territorio.



Marudo D

i fondazione medievale, il paese è sempre stato fortemente legato all’attività agricola, particolarmente favorita dalla presenza del terreno argilloso (il Comune si trova sulla riva destra del fiume Lambro). Il territorio è noto per la preziosa e abbondante produzione di riso gestita dalle molteplici aziende, a conduzione diretta. Ricordiamo le maggiori, come la Cascina Robadello e Rancati (entrambe del XIX secolo), ma anche la Cascina Luna, Corte Grande (che comprende anche Villa Corte Grande, dalla struttura rettangolare e da sempre adibita a casa padronale) e Cascina Corte Casoni. Altre attività sviluppate qui sono l’allevamento di bovini e l’artigianato, attività che si sviluppano per poco più di 4 Km di estensione. Il toponimo di Marudo deriva dal latino “Maturus”, cioè maturo, precoce, divenuto poi “Maduro” e, infine, nella forma attuale di Marudo. Dopo il X secolo Marudo appartenne al Monastero di Santa Cristina di Ollona, poi al Monastero di San Pietro di Lodi e ad altri enti ecclesiastici della città.



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el XVIII secolo fu proprietà degli Archinti e, successivamente, dei Marchesi Cusani, nel 1787. L’architettura religiosa ha prodotto, qui a Marudo, la bella Chiesa dei SS. Gervasio e Protasio, edificata tra il 1770 e il 1790 sulle macerie di un piccolo oratorio di cui restano tracce in alcuni frammenti di affreschi della chiesa. Il progetto fu di Giovanni Antonio Bocca. E’ una chiesa davvero singolare, a pianta centrale allungata, con un portale d’ingresso dall’andamento curvilineo, preceduto da un protiro su colonne; tutta la facciata è decorata da linee sinuose, spazi concavi e convessi in alternanza, e termina con decorazioni a cuspidi. La copertura dell’edificio è diversa: nella parte centrale è a volta a tutto sesto ribassata, mentre le parti laterali sono coperte a botte. All’interno si conservano alcuni affreschi del XVIII secolo.



Massalengo I

l paese di Massalengo fu inizialmente posseduto dai monaci benedettini di San Pietro in Lodi Vecchio, attestati dal IX secolo su queste terre. Massalengo fu soggetto, successivamente, alla famiglia dei Salerano e, dal 1224, alla famiglia Capitanei, di Cornegliano Laudense. Infine, il conte Pietro Massalenghi detenne il comune come feudo sino dal 1661; nel 1756 passò ad Antonio Vigani. Massalengo si presenta come un paese fortemente caratterizzato urbanisticamente dalle attività agricole. Molte sono le aziende agricole sparse per il territorio. La più conosciuta è la Cascina Grande, un insieme funzionale di corpi di fabbrica diversamente adibiti, che si trova proprio al centro di Massalengo. Il complesso agricolo risale all’inizio del XVIII secolo; all’interno della cascina si può ammirare la bellissima Villa Premoli, proprietà ancora oggi della famiglia. La villa padronale fu costruita nel 1885 in stile Liberty su progetto dell’ingegnere milanese Enrico Barbieri, al centro del grande giardino.



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Massalengo ci si può fermare e visitare anche la Chiesa di Sant’Andrea Apostolo, edificata nel 1621, a pianta rettangolare, suddivisa in tre campate e con terminazione absidale semicircolare. La facciata è lineare, tripartita da lesene; le parti laterali in cui è divisa la fronte sono decorate da nicchie con statue di Santi, mentre quella centrale ospita, sopra il portale centrale, un mosaico sormontato da una bifora. La parte alta della facciata termina con un timpano ornato da due obelischi. Il progetto della chiesa e il mosaico sono di F. Banchi, la decorazione interna si deve, invece, a C. Minestra e C. Sacchi. Segnaliamo anche la moderna Chiesa della Sacra Famiglia, di Ferruccio Rozza.



Meleti S

ituato nella zona a sud della Provincia di Lodi, Meleti conta circa 480 abitanti. Il suo toponimo fa riferimento, forse, alle mele o a frutti in genere che erano presenti in queste terre, mentre lo storico Giovanni Anelli ritiene che il nome deriverebbe dall’umbro, cioè da “waldo”, che significa foresta, da cui “meleto”. Il paese si trova su una delle estremità della “Mulazzana”, cioè la zona in riva all’Adda, nei pressi della confluenza del fiume lodigiano nel Po (presso Castelnuovo Bocca d’Adda). A seguito del ritrovamento archeologico di asce e collane bronzee risalenti al primo millennio a.C., si pensa che l’origine di Meleti sia molto antica; si è ritrovato anche un elmo etrusco (conservato oggi al Museo di Cremona). Nel X secolo Meleti appartenne al Monastero di San Sisto di Piacenza, mentre tra il XII e XIII secolo fu contesa tra Piacenza, Cremona e il Clero laudense. Passò per le mani delle più importanti famiglie lodigiane, come gli Stampa, i Pusterla, i Selvatico e i Corno. Venne concessa nel 1344 dal Vescovo di Lodi a Buzzo Visconti; nel XIV secolo Gian Galeazzo Visconti la concesse a Guglielmo Bevilacqua. Nel 1452 il feudo di Meleti fu comprato da Luigi Bossi, nel Settecento fu dei Figliodoni e, infine, nel XVII secolo passò ai Conti.



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Figliodoni sono particolarmente legati alla storia di Meleti. Essi hanno approntato diverse modifiche soprattutto all’antico castello, di origini medievali (di certo costruito prima del 1207): si tratta di un’architettura fortificata con una semplice pianta quadrata. Oggi è privato e ha preso il nome proprio di Palazzo Figliodoni. L’attività economica del piccolo paese è essenzialmente agricola, distribuita nelle circa dodici cascine distribuite nel territorio. Di interesse artistico a Meleti si trova la Chiesa di S. Cristoforo, cinquecentesca, poi soggetta a molteplici restauri successivi. La struttura è a croce latina, costruita da Matteo Bossi. Le decorazioni sono di Felice Vanelli. Da visitare anche la graziosa Chiesa dei SS. Quirico e Gliulitta, del 1630, a croce latina. L’abside accoglie la ricostruzione della grotta della Madonna e tutte le volte della chiesa, catino absidale compreso, sono ricoperte da una bellissima decorazione ad affreschi.



Merlino M

erlino, come la maggioranza dei Comuni dell’alto Lodigiano, si trova ai confini tra le Province di Milano e di Cremona ed è, con ogni probabilità, di origine romana. Il suo nome deriverebbe dal latino “locus merle”. Sin dal principio il paese appartenne ai Conti Merlino, almeno sino al 1370, quando queste terre furono donate da Barnabò Visconti alla moglie Regina della Scala. Divenne del Conte Belgioioso dal 1647 al 1782. Al centro di Merlino possiamo apprezzare la Chiesa di Santo Stefano Protomartire, rifatta nel 1615 su una chiesa di antiche origini e ristrutturata nei secoli successivi. Leggermente sopraelevata rispetto al livello della strada, l’edificio conserva, entrando sulla destra, il fonte battesimale. Di fronte al Municipio si snoda una strada sterrata che si inoltra nella campagna lodigiana e che porta al Santuario di San Giovanni Battista (presso Calandrone): è uno dei pochissimi santuari della zona che non è dedicato alla Madonna, bensì a S. Giovanni Battista.



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l Calandrone era un canale che circondava il Santuario, ma di cui si sono perse le tracce. Non conosciamo l’anno preciso di costruzione e non se ne hanno notizie certe; le prime informazioni a riguardo risalgono al 1261 sono state trascritte in una pergamena, conservata all’Archivio Vescovile di Lodi. Questa pergamena certifica anche la presenza di un Oratorio, che fu successivamente restaurato nel 1466. Nel corso di questi lavori di restauro furono portati alla luce un antico pozzo, una lapide, un sepolcro ed altri reperti che testimoniano probabilmente la presenza di un antico villaggio, precedente alla fondazione del Comune di Merlino. La dedicazione a S. Giovanni è, come si diceva, particolare, databile in questa area dal XVI secolo. Solo dal 1738 le cronache parlano nelle prime Grazie ottenute per intercessione del Santo dai fedeli che avevano bevuto o si erano bagnati con l’acqua benedetta delle vasche collocate nel Santuario. L’edificio sacro presenta un’imponente facciata inserita tra due portici che delimitano il sagrato antistante; ha pianta a croce latina con terminazione ad abside semicircolare. All’interno si trova un importante affresco del Quattrocento con S. Giovanni Battista, posto sopra l’altare maggiore. La festa di S. Giovanni si festeggia tutt’oggi il 24 giugno e vede qui al Santuario un gran numero di pellegrini.



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oco lontano da Merlino, in frazione Marzano, sorge un’opera architettonica di particolare valore storico – artistico, il Palazzo Carcassola, detto anche Castello, attualmente proprietà dell’Ingegner Grugni. Il palazzo conserva l’aspetto dei castelli viscontei del XIV – XV secolo, soprattutto per la torre, detta del Belvedere (lato est) e per il maestoso portone ad arco in pietra da cui si accede nel cortile. Sul fondo domina un doppio porticato ad archi; gli interni si compongono di una quarantina di stanze, tutte dotate di grandi finestre e da affreschi cinquecenteschi, soffitti decorati a cassettoni in legno intagliato, eleganti camini, scale e balconate. Il palazzo è completamente cintato da un muraglione in pietra. La struttura originaria del palazzo risale al Trecento e fu eretta, così come la vediamo oggi, per volontà della nobile famiglia Carcassola, da cui il nome. Dopo un lungo e florido periodo, durante il quale il palazzo venne circondato da uno splendido giardino, con alberi da frutto, fontane con giochi d’acqua e la peschiera, nella la seconda metà dell’Ottocento il palazzo fu utilizzato per l’allevamento dei bachi da seta e fu di proprietà della famiglia di setaioli bergamaschi Frizzoni. Il palazzo passò ai Grugni nel 1912; nel secondo dopoguerra divenne ricovero di sfollati e la cappella rimase fino alla metà del Novecento adibita a scuola elementare. Posto sotto la tutela del Ministero dei Beni Culturali dal 1981, attualmente il palazzo viene aperto al pubblico in occasione di visite guidate, ma anche di manifestazioni, meeting e cerimonie. Di fronte al palazzo, al di là della Strada Provinciale, si trova la Cascina Brambilla, costruita con molti dei materiali recuperati dalla distruzione delle mura di Palazzo Carcassola.



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