Lomellina:
Terre di Riso e Castelli Storia, Arte e Cultura
LOMBARDIA
Guide
PAVIA e PROVINCIA
Mangiare Bere Dormire www.mabedo.it 2013
Lodi e la sua Provincia Vol. 3 LOMBARDIA
Guide
LODI e PROVINCIA
Mangiare Bere Dormire www.mabedo.it 2013
Mariano Peviani Assessore al Turismo della Provincia di Lodi
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osse presenze, verdi silenzi, azzurri intrecci: benvenuti nel paese dei colori”. Recitava così, ormai qualche anno fa, lo slogan dell’allora Azienda di Promozione Turistica del Lodigiano. Il riferimento, naturalmente, era a ciò che di più bello il territorio tra Milano e il Po poteva offrire all’occhio dei visitatori, dai monumenti storici ai palazzi, alle chiese e ai castelli, dai grandi parchi alle aree naturalistiche, alle campagne, fino all’intricato percorso del Grande Fiume, ma anche dell’Adda e del Lambro, oltre alla miriade di canali e canaline che hanno trasformato in terra fertile e ricca l’antica palude del lago Gerundo. Oggi il Lodigiano è ancora così. Datato, forse, è solo lo slogan. Ma ciò che raccontava allora, è valido ancora oggi.
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i colori, se possibile, sono sempre più splendenti, perché la gente laboriosa che abita questa terra ha imparato a valorizzarla e a offrirla nella sua veste migliore alla fame di forestieri sempre più numerosi; ha scoperto di avere a disposizione un tesoro di storia, arte e natura che si presta a un turismo certamente non frenetico, ma di sicura qualità, davvero a misura d’uomo, desideroso di scoprire un contatto intenso con la campagna e i boschi, con il fascino degli itinerari fluviali e la maestosità degli edifici; di assaporare un’accoglienza che si declina nella cordialità dei lodigiani, nelle prelibatezza della cucina tipica, nell’originalità delle residenze. Qui ci sono cattedrali e abbazie fra le più belle d’Italia, qui si trovano immutate le tracce di eventi storici che hanno cambiato il Paese e forgiato l’Europa, qui si intrecciano le grandi vie della fede. Sempre qui centinaia di chilometri di ciclabili attraversano paesaggi di struggente bellezza; i battelli solcano i fiumi; musei, raccolte d’arte e collezioni uniche aprono le porte alla curiosità e alla passione. Il Lodigiano è tutto questo e molto altro. E raccontarlo attraverso i suoi 61 Comuni, le decine e decine di campanili che si stagliano verso il cielo, i luoghi, le piazze e i suoi angoli più suggestivi significa dispiegare la mappa di una terra che merita una visita, anzi la cerca e ad essa si offre con straordinaria generosità. Il paese dei colori, le sue presenze, i suoi silenzi e i suoi intrecci rimangono tra le cose più belle che la Lombardia possa regalare. Mariano Peviani Assessore al Turismo della Provincia di Lodi
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a copertina della Guida Mabedo sulla Provincia Lodigiana è opera dell’artista contemporaneo Marco Lodola, pavese e notissimo per i lavori a olio e le sculture luminose. Le sue opere sono oggi presenti in tutto il mondo e recensite dai critici internazionali. La poliedricità è un tratto caratteristico dell’arte di Lodola, il quale ha realizzato illustrazioni per copertine di numerosi romanzi e saggi e ha collaborato in campo musicale e teatrale. Lodola ha esposto al Padiglione Italia della 53° Biennale di Venezia, all’Expo internazionale di Shangai; nel 2012 ha partecipato alla 54̊ Biennale di Venezia con “Cà Lodola”, la magnifica installazione luminosa posta alla Cà d’Oro, un progetto curato da Vittorio Sgarbi. Il logo ideato per noi da Marco Lodola rappresenta il nostro territorio dove vengono identificate graficamente le vie di terra, le vie d’acqua e le terre che a esse si correlano, divise ed intersecate dal tipico cromatismo di Lodola. Lo sfondo è “calpestato” dai passi del viandante, che percorre con lento incedere i nostri territori, in qualità di pellegrino, di turista curioso e di semplice amante delle proprie terre d’origine. Sono, questi, i passi di un turismo lento e radicato, che consente di godere degli aspetti naturalistici, storico-artistici e ambientali in modo nuovo perché guardati con occhi nuovi. Un procedere lento che regala il gusto delle piccole cose, il piacere di momenti importanti ma anche quella poesia del cibo che passa attraverso l’attenzione ad antichi sapori legati alla tradizioni della terra. Nel logo ideato da Marco Lodola, le gambe piegate dall’incedere, a volte anche con fatica, stanno proprio a simboleggiare un percorso intrapreso non solo fisicamente, ma anche e soprattutto, spiritualmente.
Prefazione Mabedo
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uovi orizzonti per Mabedo…
La nuova Guida Mabedo sul Lodigiano è stata per tutti noi una grande sfida e un lungo lavoro! In ben tre volumi abbiamo voluto raccontare parte della lunghissima storia di questo affascinante territorio, le sue bellezze, le sue tradizioni, i suoi gusti. Terre pianeggianti, campagne lungo le quali lo sguardo si perde, coltivazioni e colori forti ci hanno tenuto compagnia per mesi. Fede accesa, chiese, splendidi monumenti storici, personaggi illustri e misteriosi. Fiumi, natura, parchi, flora rigogliosa; e ancora il cibo, cui il lodigiano è particolarmente votato…formaggi, latte, dolci squisiti e risotti robusti. Fiere che durano da secoli, piste ciclabili, pellegrini e pendolari…tutto questo (e molto altro) è il Lodigiano! Turisti, curiosi e amanti delle tradizioni…leggete questa guida e partite alla scoperta del Lodigiano, una terra tutta da svelare!
Indice 16
Montanaso Lombardo
22
Mulazzano
26
Orio Litta
54 86
Ospedaletto Lodigiano Ossago Lodigiano
90
Pieve Fissiraga
94
Salerano sul Lambro
100
San Fiorano
112
San Martino in Strada
118
San Rocco al Porto
122
Sant’Angelo Lodigiano
138
Santo Stefano Lodigiano
142
Secugnago
148
Senna Lodigiana
158
Somaglia
180
Sordio
184
Tavazzano con Vallivese
188
Terranova dei Passerini
192
Turano Lodogiano
196 200
Valera Fratta Villanova del Sillaro
204
Zelo Buon Persico
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a presente guida è stata suddivisa per Comuni.
Ognuno di essi viene presentato nei suoi aspetti storici, artistici e tradizionali, insieme ad un cospicuo apparato fotografico. Al termine delle presentazioni il lettore potrĂ trovare indicazioni di dove Mangiare, Bere e Dormire, con una selezione delle migliori attivitĂ del Paese cui si fa riferimento, incontrate e provate dallo Staff Mabedo.
Montanaso Lombardo
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ttestato dal X secolo, da allora appartenne ai Vescovi di Lodi e a vari signori che ne occuparono il feudo; dal 1295 fu sempre base strategica di Matteo Visconti. Secondo la versione di un poeta secentesco il toponimo deriverebbe dal profumo dei fiori dei giardini che al tempo costellavano la zona attorno al nucleo storico del paese, detto “il Palazzone”. A Montanaso Lombardo sorge la Chiesa di S. Giorgio Martire (1925), progettata da Daltarino Gaetano Noli, a pianta longitudinale e in stile neogotico. Internamente presenta il ritmo insistente degli archi ogivali, le tre navate sono sostenute da pilastri alternati a colonne. In fondo alle navate laterali si aprono due piccole cappelle a pianta poligonale. La struttura è coperta da volte a crociera costolonate, mentre il presbiterio è quadrato. Anche l’abside poligonale è coperta da un delizioso catino absidale suddiviso in spicchi di vela. Nella prima campata della navata laterale di destra c’è il fonte battesimale che proviene dall’ Ex chiesa, posto in un vano dalla pianta sempre poligonale. Curioso il campanile della chiesa, terminante in una cupola di cono.
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Ex Chiesa di S. Giorgio, invece, oggi è sconsacrata ma ancora visitabile, ad una sola navata. La curiosità di questo edificio è che, all’ingresso, sul lato destro è conservato un pilastro in granito che apparteneva al perimetro in cui sorgeva l’originale torre campanaria. Davvero poco resta, invece, del Castello di Montanaso (XIV secolo), le cui vestigia sono state completamente inglobate in un’abitazione di proprietà privata. All’interno del Palazzo Municipale di Montanaso si può ammirare, sulla parete di fondo dell’Aula Consiliare, una grande opera del pittore lodigiano Felice Vanelli. L’affresco (12 x 3,5 m) tratta diversi temi inerenti la società civile. Il Comune accoglie, infine, il curioso Museo di Vita Contadina “Tra un Nigul e un Rag de Sul, Robe de Tüti i dì di Nosti Végi”, un’esposizione permanente degli oggetti raccolti con pazienza da Antonio Ferrari. Il museo è stato aperto nel 2002 in una parte dello storico palazzo “El Palasson, acquisito allora dall’Amministrazione Comunale. La prosecuzione dell’allestimento portò, nel 2003, alla sistemazione della sala relativa alle attività lavorative, arricchita da una serie di quadri di Marino Cavalloni illustranti scene di lavoro in campagna e in cascina e collegata ad uno spazio esterno riservato agli attrezzi di maggiori dimensioni.
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ccanto agli oggetti usati dalla comunità contadina nelle sale del museo trovano posto le testimonianze del cambiamento strutturale avvenuto nella società dagli anni Cinquanta in poi un po’ in tutti i settori. Tra gli oggetti più curiosi c’è un caricatore con una serie di immagini della prima guerra mondiale, in coppia su lastra, predisposto per la visione stereoscopica. All’esterno, sotto il portico, si trovano gli attrezzi per il bucato e mezzi legati alla vendemmia ed al trasporto delle merci. (Per info: Tel. 0371.68590 Antonio Ferrari - 0371.68434 Marino Cavalloni; apertura su richiesta, ingresso gratuito. Visite guidate previo appuntamento). Da Montanaso Lombardo dipende la frazione Arcagna, che accoglie l’Istituto Sperimentale per l’Orticoltura, un distaccamento dell’Università di Milano per la sperimentazione della frutticoltura. Ad Arcagna si può visitare il Santuario dell’Assunzione della Vergine, decorata da Silvio Migliorini, Nunzio Taragni e dallo Zambellini. La facciata è abbellita da statue di santi e il portale è preceduto da un elegante protiro. L’interno è a pianta longitudinale, coperto a tetto, semplice, a due falde simmetriche. Segnaliamo altre località sparse sul territorio, come la Cascina Ballisolina, Cascina Pantanasco, Cascina Ca’ de Cani, Cascina Pizzafuma e Pizzafuma Nuova, Cascina Belvedere, Cascina Lazzara, Cascina Gamorra, Cascina Mazzucca, Cascina Case Nuove, Cascina Belgiardino, Cascina Palazzo e Cascina Colombera.
Mulazzano M
ulazzano si trova nella zona a nord rispetto a Lodi. Era il lontano 1282 quando il vescovo Bongiovanni Fissiraga affittò le decime di Mulazzano a Sozzone Denari. Anticamente infeudato come molti dei paesi della zona, Mulazzano nel 1546 fu venduto ai Principi Tassis, napoletani d’origine, residenti a Milano; nel 1685 fu dei Magnani. Il nome di Mulazzano deriva da “Mulatius”o “Mulacius”, personaggio romano. A Mulazzano il visitatore può ammirare la storica Villa d’Adda, a pianta rettangolare, circondata dal giardino, costruita in origine nel 1296, poi molto rimaneggiata. Ora è un’abitazione padronale, privata, di agricoltori. Nel Comune si può apprezzare anche la Chiesa di S. Stefano, che presenta una facciata ad intonaco, con un’unica navata centrale sormontata da una finestra a lunetta e da una piccola nicchia appena sotto il tetto a capanna della chiesa. Nella facciata si aprono anche due finestre laterali a loro volta sormontate da oculi. A fianco della chiesa sorge il campanile a pianta quadrangolare.
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ltre a Mulazzano il Comune comprende diverse altre località: Quartiano, Cassino d’Alberi, Casolta, Mongattino, Roncomarzo, Isola Balba e molte altre cascine. Per visitarle consigliamo una bella passeggiata per la campagna durante la bella stagione o, perché no, magari anche in bici o a cavallo. Potrete visitare questi piccoli centri con le loro chiesette, come la Chiesa dell’Annunciazione di Maria Santissima in loc. Roncomarzo, dall’interno ricco, inserita in un contesto agreste molto suggestivo! O la Chiesa dei SS. Nazario e Cesio in loc. Cassino, dagli splendidi affreschi e la Chiesa di S. Pietro Apostolo in loc. Quartiano, del XVII secolo e che conserva una bellissima pavimentazione policroma.
Orio Litta I
l paese di Orio Litta si trova geograficamente a confine tra province di Pavia e di Lodi. Orio è detta anche la “Porta della Via Francigena” lodigiana, in quanto era una delle tappe, la XXXIX per la precisione, del percorso indicato dall’Arcivescovo di Canterbury Sigerico, la via di fede che i pellegrini percorrevano diretti a Roma. Orio Litta era una tappa molto importante nel percorso lodigiano della Via Francigena perché qui veniva data ospitalità ai fedeli prima dell’attraversamento del fiume Po presso Corte Sant’Andrea. Orio Litta, di fondazione romana, una volta era chiamata “Horreum”, che significa “granaio”: era, infatti, una stazione di approvvigionamento di grano per i romani. A Orio passa la Strada Regina che congiungeva Piacenza a Pavia. Proprio lungo il tratto oriese, presso il Lambro, avvenne nel 476 d. C. l’ultima battaglia delle legioni romane del Generale Oreste, sconfitto dal Re degli Eruli Odoacre.
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isalgono all’885 dC i documenti che attestano la donazione dell’imperatore Carlo il Grosso ai monaci Benedettini di San Pietro di Lodi Vecchio delle terre e dei beni della pianura di Orio presso il fiume Lambro. Quei beni furono poi confermati dal Re Berengario, che donò anche altre terre e ulteriori possedimenti. Nell’XI secolo gli stessi Benedettini edificarono il loro insediamento rurale nel centro del paese, sullo spalto che guarda la campagna in bassura (Horeum de subtus). Nel XV secolo il cuore agricolo del paese era incentrato attorno alla Grangia Benedettina, una sorta di ostello medievale ricavato nella torre da cui si osserva la torre della seicentesca Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista. La Grangia Benedettina, risalente al X secolo, fu ristrutturata nel 2000, nell’ambito di un grande progetto per il Giubileo. Si presenta ancora con la sua compatta struttura, con la facciata che volge a sud, con trenta bifore lungo tutto il corpo centrale, che guardano la nuova cavea, anfiteatro architettonico dove i romei sostano a toccare la rosa dei venti e il logo del pellegrino nel grande rosone che indica la Via per Roma. Un tempo la Grangia era adibita a cascina, costituita da una tipica architettura rurale dal grande impianto scenico.
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ll’interno della torre vi sono due piccole stanze, su due piani e con quattro letti, che restano ancora oggi a disposizione dei pellegrini che ripercorrono le strade della Via Francigena Lodigiana. Lungo tutta la struttura, vi è un bellissimo porticato percorribile, luogo di meditazione, di preghiera, dove si può riscoprire se stessi. Di fronte all’architettura della grangia si trova, come detto, la cavea, decorata con una nuova pavimentazione in pietra colorata, che rappresenta una rosa dei venti, all’interno della quale è raffigurato, guarda caso, un pellegrino. Il sindaco, il Professor Pier Luigi Cappelletti, esperto e grande appassionato della Via Francigena sin dal 1996, fornisce un attestato di “passaggio” a tutti i pellegrini che si fermano alla Grangia e fa firmare loro l’apposito registro, il “libro d’onore”. Accanto si trova Piazza dei Benedettini, dove settimanalmente (il giovedì) si svolge il mercato. A pochi passi dalla Grangia si può apprezzare la Cascina Aione, oggi sede del Municipio, un esempio encomiabile di ristrutturazione di una storica, tipica, cascina lombarda. Il territorio fu feudo dei Lampugnani dal 1375, successivamente passò nelle mani di varie famiglie, fino ad arrivare ai Cavazzi (1700), che per primi portarono a Orio un grande splendore.
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truttura di grandissima rilevanza per tutto il territorio lodigiano è la Villa Litta - Carini, leggiadra mole con giardini e le caratteristiche 365 finestre e considerata la “Versailles del lodigiano”, una splendida villa di delizie. All’interno è presente anche il Museo permanente dell’Antiquariato, insieme agli splendidi giardini. La struttura presenta un’elegante pianta a “U” tipica delle ville di delizia di campagna della bassa lodigiana della seconda metà dei seicento. La villa ha un grande salone d’onore centrale, mentre sul retro vi è un curatissimo giardino alla francese, con elementi architettonici romani, e le tipiche terrazze che degradano verso il Po. La villa fu fatta edificare dalla famiglia Cavazzi della Somaglia. Per il progetto fu chiamato l’architetto Giovanni Ruggeri, probabilmente alla metà del seicento. Il Conte Antonio Cavazzi della Somaglia lasciò nel 1688 la villa alla sua morte al pronipote Paolo Dati, il quale lavorò intensamente all’ampliamento del Palazzo di Orio, trasformandola in una villa di villeggiatura, nonché luogo di incontri di personalità legate alla letteratura ed alla cultura italiana del tempo. In particolare si ricordi che il Dati aveva sposato in prime nozze Fulvia Visconti, dalla quale aveva avuto molti figli; la penultima delle sei figlie sposò il conte Gabriele Verri: dalla loro unione nascerà Pietro Verri, illuminista e uomo di grande cultura, che aggregò a sè un folto gruppo di intellettuali e fondò la rivista Il Caffè. Nel 1739 il conte Paolo Dati morì e lasciò la villa al figlio, Già Batta Antonio Somaglia.
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l decennio 1739 – 1749 fu quello di maggiore attività edilizia della villa, che in quegli anni acquisì l’aspetto simile a quello attuale che possiamo apprezzare. Proprio la data 1749 è impressa sul cosiddetto “Dio del Tempo” o “Angelo della morte”, posto sulla sommità della villa e che rappresenta la figura di un uomo che tiene tra le mani una falce e una campana: questi, collegati al meccanismo dell’orologio sottostante, battevano le ore (da qui il nome “Dio del Tempo”). Il nome “Angelo della morte” deriva invece dal fatto che la campana suonava anche nei momenti di calamità naturale: incendi, invasioni di truppe nemiche e carestie. Guardando la facciata della villa, si nota che è circondata da una splendida cancellata decorata, ai lati della quale si ergono due corpi di fabbrica uguali e speculari: a destra era l’edificio del corpo di guardia, mentre l’altro era la cappella privata della famiglia. Nel complesso, nella parte dedicata ai servizi, vi erano cucine, lavanderie, granai, deposito del carbone, macelleria, ghiacciaia, cantine, agrumaie, magazzini per la frutta, orti e vigne. Gli appartamenti del proprietario prevedevano il salone delle feste, il teatro, la sala da biliardo, l’oratorio e altri molti saloni. Il giardino retrostante è ciò che oggi rimane dell’immenso giardino all’italiana che si estendeva dalla villa sino al Po: una distesa immensa di giardino, successivamente smantellato e adibito a campagna, che si perdeva nell’orizzonte.
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el settecento, esisteva una strada che dalla villa percorreva in linea retta tutta la campagna sino al Po, dove c’era un attracco di barche, esclusivo a servizio della villa. Il palazzo rimase proprietà dei Dati-Somaglia sino al 1824, quando gli ingenti debiti costrinsero i conti a vendere l’intero palazzo, terre comprese. Allora fu venduta all’inglese Sir Richard Holt, il quale non acquistò di certo la villa per questioni di fama, ma bensì per costituirvi un filatoio e quattro filande nel giro di vent’anni. Ma l’inglese non aveva fatto bene i conti, evidentemente, e presto si trovò oberato di debiti. La Villa passò ancora ad un nuovo proprietario e, stavolta, toccò nientemeno al Conte Giulio Litta Visconti Arese, nel 1852. La famiglia Litta riportò la villa al suo splendore, grazie a molti interventi di restauro e alla continua presenza di una corte di personaggi illustri e intellettuali di spicco dell’epoca. Nel 1891, però, la famiglia Litta vide il suo declino: le spese ingenti, il depauperamento del patrimonio dovuto ai finanziamenti continui dei giovani rampolli della famiglia a favore della causa risorgimentale, insieme agli sperperi del conte Pompeo durante il suo viaggio in America, costrinsero i Litta a privarsi della villa.
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uesta, da allora, passò di mano in mano, spesso venendo utilizzata in modi non del tutto consoni alla struttura (fu usata come magazzino, ricovero di bestiame e, ancora, come filanda durante la proprietà di Federico Colombo negli anni trenta), finché, negli anni settanta, fu acquisita dal Conte Oreste Carini. Da allora, fortunatamente, i Carini, famiglia di antiquari originari di Piacenza, iniziarono un processo di recupero e di ristrutturazione della villa, grazie al quale oggi la possiamo vedere ancora in tutta la sua bellezza. La villa è oggi visitabile previa prenotazione (Dott.ssa Elisabetta Carini, 0377 944591./ 339 4396148 - info@villalitta.it): l’interno presenta al piano terra una serie di stanza riccamente decorate con stucchi e affreschi del Maggi e una serie di preziosi arredi d’antiquariato e quelle dedicate ai servizi. Al piano superiore, che si raggiunge salendo un bellissimo scalone d’onore in marmo rosa e nero, ci si ritrova nel magnifico salone delle feste, dal quale si passa alla parte dedicata al museo.
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o storico Caseificio Zucchelli prende il nome dal fondatore, Ambrogio Zucchelli (1889-1948) che con la moglie Rosa Dede’ e i figli Giovanni e Lucia si trasferirono nei primi anni Quaranta alla Cascina Marmorina di Orio Litta, ancora oggi sede del caseificio. L’Azienda conosce dagli anni Ottanta una decisiva fase di espansione, sino alle dimensioni attuali. Fortemente radicata, sia geograficamente che culturalmente nel territorio lodigiano, l’azienda coniuga la tradizione (Medievale, in queste terre) della produzione casearia locale e le moderne tecnologie. La provenienza del latte qui lavorato è fortemente legata al territorio, tanto che gli allevamenti della filiera Zucchelli si trovano in un raggio di soli 8 chilometri dal caseificio. La stretta relazione territoriale con la materia prima è una condizione fondamentale per la produzione di formaggi a latte crudo; l’origine e la qualità del latte caratterizzano in modo predominante il prodotto finale. Immancabile qui la raspadüra, un formaggio grana, con 6 mesi di stagionatura, presentato in sottilissime sfoglie raschiate con un particolare coltello. Fiore all’occhiello dell’azienda Zucchelli è senza dubbio la bella ed elegante zona degustazione, dove è possibile assaggiare i prodotti tipici di produzione propria, salumi e formaggi in primis, ma dove si trova anche una vasta scelta di gustosi prodotti regionali provenienti da tutta Italia. Nella bella sala con una ventina di posti si possono gustare ottimi cibi genuini e vini tradizionali, in un’atmosfera rilassata e conviviale. Caseificio Zucchelli S.p.a.
Cascina Marmorina 26863 Orio Litta - Lodi Telefono: 0377 804232 Fax: 0377 804021 E-mail: info@caseificiozucchelli.com www.caseificiozucchelli.com
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ll’interno delle belle terre coltivate di Orio Litta l’Oasi Venere si propone come un luogo tranquillo, riposante, dove riprendersi dallo stress della vita contemporanea. Inserito nel verde parco che circonda la struttura, dove ci si può addentrare per una passeggiata a contatto con la natura del luogo, l’Oasi Venere è una vera e propria “oasi” di pace, un ambiente ampio e piacevole, per trascorrere rilassanti momenti in compagnia di amici, in coppia o da soli. La grande struttura si divide in più parti, ognuna dedicata ad una particolare attività, per ogni età, necessità e desiderio. Bellissima è l’ampia sezione dedicata allo sport, che mette a disposizione un grande campo da calcio, tennis e pallavolo, ma il vero cuore del centro è la piscina. Questa si trova su un terrazzamento con una bella vista sulla collinetta sottostante e sul parco. Di sera è completamente illuminata: il posto ideale per feste estive in piscina, all’insegna della movida e del divertimento. La piscina resta aperta normalmente fino a metà settembre, quando ancora si può godere delle tiepide giornate e delle serate di fine estate. Accanto si trova un chiosco caratteristico in legno per cocktails e aperitivi...per trascorrere spensierate notti in compagnia a suon di musica! Ambrogio, il proprietario del centro, è sempre disponibile ad accordarsi per le singole necessità dei clienti ed è possibile affittare lo spazio della piscina anche per feste private. Ambrogio e Giovanni vi aspettano per organizzare feste private ed eventi, in questa location davvero suggestiva! Non mancano spazi dedicati ai bambini e alle attività dei più piccoli, come la piccola piscina, adiacente a quella per gli adulti.
Oasi Venere
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l centro ha inoltre un bar, con servizio di tavola fredda, un momento di svago e uno spuntino tra le varie attività. Accanto sorge invece il ricchissimo e moderno centro benessere, gestito dalla moglie di Ambrogio, Ivana, dove ci si può far coccolare dall’esperto personale con tantissimi trattamenti di bellezza, tra solarium e massaggi, chiudendo i contatti con la vita frenetica e trovando il meritato riposo (la stanza relax con idromassaggio e bagno turco è davvero un sogno!). Il centro benessere è particolarmente attrezzato, con macchinari per la cura estetica all’avanguardia e si sviluppa in uno spazio molto grande e accogliente. Di recentissima costruzione, è la parte dedicata alla pesca sportiva: all’interno del parco vi sono due grandi laghetti per gli appassionati. Ambrogio e il suo staff vi aspettano anche per serate in musica, raduni e feste organizzate dall’Oasi Venere! Oasi Venere
Loc. Venere 26863 Orio Litta - Lodi Telefono: 0377 944 696 E-mail: oasi.venere@libero.it www.oasivenere.it
I
l Ristorante Pizzeria Maiori è ubicato nella zona industriale, a Orio Litta. Forse a qualcuno l’impatto esterno lascerà un po’ a desiderare, ma una volta entrati ci si ricrederà. All’interno il locale sembra un antico cascinale coperto da volte alla vecchia foggia, tutto rivestito con mattoni. Il soffitto è in parte coperto anche da lunghe travi in legno ricreando un ambiente molto accogliente e caldo. Verrete accolti dai due giovani gestori della pizzeria, i simpaticissimi fratelli Simone e Manuel e dall’efficientissimo personale di sala, sempre molto gentile, preparato e disponibile. La proposta culinaria prevede le pizze, che qui ovviamente non potevano mancare e che vengono proposte accostate con una miriade di gustosi ingredienti! Le radici partenopee dell’attività, infatti, sono insite già nel suo nome: Maiori, una località appartenente alla Costiera Amalfitana. Proprio per la loro propensione per la cucina mediterranea, il locale è molto conosciuto anche per le specialità di pesce. Oltre ad una serie di piatti che troverete sempre, ogni settimana lo chef propone antipasti, primi e secondi diversi da quelli scritti sul menù. Sarà il cameriere stesso a proporle. Gli affezionati, ormai, seguono il rituale: entrano, si siedono e lasciano fare alla fantasia giornaliera dello chef. Nato nel 2009 il locale sta riscuotendo un gran successo. E’ dotato di un ampio parcheggio e una grande sala con 200 coperti. L’aspetto carino del locale è che, grazie all’affabilità dei proprietari e del personale, da sempre l’impressione di sentirsi come a casa. Pizzeria Maiori
Via Cascina Marmora 26863 Orio Litta - Lodi Telefono: 0377 804210
Ristorante Pizzeria Maiori
Ospedaletto Lodigiano O
spedaletto vanta una fondazione romana e successive dominazioni dei suoi territori da parte dei Liguri, Etruschi e Galli, che lasciarono tracce del loro passaggio. Dopo la completa conquista romana nel 222 aC, in prossimità della cascina Braglia di Senna Lodigiana, sorse l’antica stazione cosiddetta “ad rotas”, luogo di sosta e di rifornimento per i viandanti, con tanto di stalla e spazi per rifocillarsi. La stazione sorse nel luogo dove si incrociavano le strade romane che portavano a Lodi, Milano, Pavia e Piacenza. La caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 dC, segnò il decadimento dei traffici e l’affievolirsi dello sviluppo di piccoli insediamenti. A seguito delle invasioni barbariche, delle catastrofi sismiche attestate, alluvioni e inondazioni, il piccolo centro scomparve. Dopo queste distruzioni col tempo molte persone presero ad aggregarsi attorno a piccoli villaggi già esistenti: probabilmente lo stesso vicino villaggio di Senna Lodigiana sorse in questo modo, al quale sono storicamente legate anche le sorti di Ospedaletto Lodigiano.
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uando Senna divenne, per volontà di Carlo Magno, Corte Regia, il paese venne dotato di un piccolo Ospedale, una sorta di ostello che accoglieva i pellegrini e i viaggiatori che attraversavano la Via Romea: un “ospedaletto”, che dipendeva dalla “plebania” sennese di Santa Maria di Galilea documentata nel 1144 e il 1152. Sappiamo che, accanto all’ospizio, era situato un piccolo santuario retto dai monaci benedettini. Col tempo l’ospedale si ingrandì sempre più, arricchendosi anche grazie alle ingenti donazioni dei Conti Palatini di Lodi e dei Visconti di Milano. Il piccolo centro si sviluppò a tal punto, che col tempo divenne un vero e proprio monastero, con tanto di tenuta agricola annessa, sino a quando terre e beni vennero consegnati in commenda a Lupo d’Olmeto, generale dei Gerolomini, nel 1433. Il Monastero e il grande complesso dei Gerolomini è ancora visibile tutt’oggi, in parte privato. Dopo aver attraversato l’Arco della Pace, si accede al cortile della Chiesa Abbaziale dei Santi Pietro e Paolo. Secondo la tradizione l’arco ha una duplice storia: c’è chi sostiene che nel 1804 il francese Chevilly lo avesse fatto costruire in prossimità della chiesa parrocchiale dedicandolo a Napoleone, quasi, sembrerebbe, per voler ripagare gli abitanti di Ospedaletto delle continue ruberie del generale francese. Altri, invece, ritengono che l’arco, che oggi è, però, dedicato ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, sia ciò che resta dell’antico accesso principale del Monastero.
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l Monastero nacque come Hospitale altomedievale, un’importante struttura di ricovero per i bisognosi, per tutti i secoli XII, XIII e XIV. Nel XV secolo la struttura diventò Monastero e successivamente, tra il XVI e il XIX secolo acquisì sempre più importanza grazie alle corpose donazioni delle diverse Congregazioni laiche gli Ordini Monastici, gli Ordini Militari Cavallereschi e il Clero regolare che nel tempo si avvicendarono sul territorio. La prima documentazione che attesta l’esistenza del complesso risale al 1152, in cui si parla della presenza presso l’Hospitale di 12 frati guidati da Otto Camola, che aveva il titolo di “Minister”. Il Monastero passò all’Ordine spagnolo dei Gerolomini solo molto più tardi, attorno al quarto decennio del XV secolo. L’ordine era nato in Spagna dall’aggregazione di alcuni terziari francescani di Tommasuccio da Siena, riconosciuti da Gregorio XI nel 1374 sotto la giurisdizione del Monastero centrale di San Bartolomeo di Lupiana, Diocesi di Toledo, secondo la regola agostiniana. Per quanto concerne l’arrivo dei Gerolomini al Monastero di Ospedaletto, non si hanno notizie chiare, ma si suppone che dopo centoventi anni dei quali non si hanno documenti sulla sua storia, esso versasse in pessime condizioni. Solo nel 1455 Papa Callisto III autorizzò la costruzione ex novo della chiesa, del monastero e del cimitero, che avvenne tra il 1460 e il 1470.
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a comunità abbaziale assunse sempre più importanza grazie alle immunità concesse nel 1462 da Bianca Maria Visconti e alla generosa donazione dei conti Balbi nel 1516, vincolata all’edificazione della chiesa. Quando il re Filippo III unì alla Congregazione di Spagna i conventi dell’ordine, il priore di Ospedaletto assunse la carica di priore generale dell’ordine e l’abbazia lodigiana visse il periodo di massimo splendore. Quello fu un’epoca di grandi opere di recupero e bonifica del territorio che favorirono l’agricoltura in tutta la tenuta gerolomina, coinvolgendo i frati nelle attività anche nei paesi limitrofi. La parte del Monastero che ancora sopravvive si trova a fianco della chiesa e oggi è di proprietà privata. Si può ancora apprezzare lo splendido chiostro trecentesco finemente decorato, così come gli interni affrescati. A richiesta è possibile affittare questo magico luogo per cerimonie e matrimoni (per informazioni: 0377.864929). La Chiesa dedicata ai Santi Pietro e Paolo così come ci appare oggi venne edificata per volere dei Conti Balbi, che allora detenevano la proprietà del complesso monastico, la quale decise di donare l’ospedale e tutti i beni connessi ai Gerolomini, con l’obbligo di tenervi un Priore con dodici monaci e di sostentarvi venti gentiluomini poveri della famigli Balbi se vi fossero, con obbligo di risiedere nel monastero.
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d oggi, seppur non in ottime condizioni, rimangono diverse parti del monastero sopravvissute alla Storia; una delle parti più interessanti è di certo la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, uno scrigno di opere d’arte risalenti alla seconda metà del Cinquecento...una vera meraviglia! La chiesa consacrata solennemente nel 1599, venne decorata in modo sfarzoso sul modello figurativo di San Sigismondo, a Cremona. L’edificio presenta una bella facciata a capanna, con al centro una finestra a serliana, chiusa ai lati da due grossi pilastri con un’alta cornice in cotto decorata da archetti e sormontata da cuspidi. Nella parte inferiore alla facciata è stato addossato un portico costituito da tre archi voltati a crociera; gli archi sono sorretti da esili pilastri che reggono un’elegante balconata, settecentesca. Il portico esterno, sotto gli archi, è decorato ad affreschi, restaurati nel 1897, con la tecnica del trompe l’oeil. La croce sulla facciata presenta dei particolari inserti in ceramica che ricordano delle scodelle, le quali simboleggiano l’accoglienza della Chiesa, che ad ogni viandante non avrebbe mai negato una scodella di minestra calda. Sul lato sinistro si innalza il campanile cinquecentesco terminante con la caratteristica cuspide. Dell’antico convento resta oggi una parte del chiostro con tracce di affreschi e l’abitazione dell’abate. La chiesa internamente ha una pianta rettangolare coperta da volta a botte e cappelle laterali, tre per lato comunicanti tra loro.
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elemento distintivo dell’edificio è di certo la sua decorazione: vi sono conservate eccellenti opere del Giampietrino come il trittico, ora smembrato datato 1520 con i Santi Pietro e Paolo, collocate lateralmente sulle pareti del presbiterio. Di particolare pregio è anche “Madonna con Bambino e santi”, inserita in una cornice dorata di gusto barocco e sistemata tra il presbiterio e il coro: le chiare influenze leonardesche dello stile simboleggiano la ricezione e la diffusione leonardesca da parte dell’artista. E’ presente, inoltre, un bellissimo coro ligneo intagliato risalente al XVI secolo, con scene riprese dalle Storie della vita di San Gerolamo. La seconda cappella di sinistra custodisce una “SS. Cecilia e Caterina” del 1598, opera di Andrea Mainardi, detto il Chiaveghino, dall’assetto elegante e dalle figure delle due Sante allungate e tornite, che rappresentano il tipico manierismo cremonese. Sempre sulla sinistra la terza cappella si trova un pregevole “SS. Agostino e Gerolamo” (1599) del pittore Luca Cattapane, dal prezioso gusto naturalistico; dello stesso autore anche una tavola con “Sant’Agostino e Gesù”. Cattapane realizzò tutti i riquadri ad affresco delle cappelle che uniscono elementi manieristici e sperimentazioni realistiche.
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ia il Mainardi che il Cattapane riprendono nella composizione delle loro opere quelle di Bernardino Campi realizzati, appunto, a San Sigismondo a Cremona. Di rilevanza artistica è anche la Cappella della Madonna del Rosario decorata nel XVIII secolo dal cremonese Giuseppe Natali, con due begli affreschi del “Battesimo di Gesù Cristo” e una “Madonna tra i Santi”. La Chiesa dei Santi Pietro e Paolo rappresenta una pagina fondamentale per la storia dell’arte pittorica e architettonica lodigiana, davvero da non perdere! Poco distante dal Monastero, costeggiando la strada e svoltando sulla sinistra, si segue una stradina sterrata e si giunge al piccolo Santuario della Madonna del Fontanone, che fa parte del percorso provinciale “Sulle orme dei pellegrini”, un percorso ciclabile, detto non a caso la “Ciclabile del Fontanone”, che parte da Orio Litta e prosegue per Senna Lodigiana e Corte Sant’Andrea, per tornare poi a Orio. Il piccolo santuario sorge proprio lungo la strada: si tratta di una piccola chiesetta preceduta da un protiro coperto da una volta a crociera. Sotto è stata costituita una vasca, da cui l’appellativo de “il Fontanone”, da cui sgorga l’acqua. La vasca è abitata da pesci ed è simbolo di ristoro per tutti i pellegrini, pedestri o bikers, che giungono al sanutario. L’interno è ad aula unica rettangolare, coperta da una volta a padiglione a sesto ribassato. Il presbiterio è a sua volta coperto da una volta a vela quadrata affrescata. Sopra l’altare si può apprezzare l’effige che rappresenta la madonna cui la chiesa è dedicata.
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Affittacamere Trattoria del Cristo è un’antichissima Locanda ubicata lungo la Via Francigena, in Ospedaletto Lodigiano, a pochi chilometri da Lodi, a sud di Milano. La struttura ha una rilevanza storica importante, soprattutto per chi ripercorre le antiche strade, i traffici lenti, che passavano proprio da Ospedaletto. La struttura fu costruita sullo scorcio del ‘600 dai Frati Gerolomini come oratorio e cappella con l’appellativo “del Cristo”,. che resta ancora oggi. Il 3 Maggio di ogni anno il popolo si portava in processione in questa cappella per festeggiare la Festa dell’Invenzione della S. Croce, rendendo il luogo il centro di una piccola festa campestre. La locanda, oltre a disporre di un ampio parcheggio, sorvegliato ma non recintato, è ben posizionata sulla strada provinciale 234. Collocata nei pressi dell’uscita autostradale Casalpusterlengo lungo la A1 MI-BO, è ben servita dal servizio di autobus che la collega alle città di Lodi, Milano, Piacenza, e ai paesi limitrofi. Oltre alla fermata dell’autobus di fronte all’Affittacamere si trova la stazione ferroviaria che la collega a Pavia e Cremona. L’Affittacamere dista 18 km da Lodi, 22 km da Piacenza, 32 km da Pavia e 45 km da Milano. Insomma, la sua posizione strategica la rende ottimale per chiunque voglia scoprire il lodigiano, da turista o da lavoratore: da qui sono facilmente raggiungibili e visitabili, oltre ad Ospedaletto e il suo grande complesso abbaziale dei Padri Gerolomini, Livrava e il suo museo contadino, Somaglia e Fobio con i loro bellissimi castelli e i centri di Casaplpusterlengo e Codogno. Oggi la Padrona di Casa è la Sig.ra Sabrina, solare e simpatica, che accoglie i suoi ospiti in questo ambiente molto semplice e familiare, ma con l’esperienza che le deriva da anni di professione nel campo dell’accoglienza.
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abrina ha, infatti, lavorato per molti anni come direttrice d’albergo alle Bahamas! Sabrina ha scelto di ospitare i clienti in una struttura che lei considera “una Seconda Casa”: chi sceglie di pernottare al Cristo, lo fa per sentirsi come a casa. Qui la pulizia è attenta e curata, i servizi offerti sono essenziali senza la ricerca dell’eleganza, ma della funzionalità. Dispone di sei camere tutte completamente arredate con mobili semplici, alcuni anche “vintage”, con il bagno privato e doccia; ogni camera è dotata di rete wireless e di un ventilatore a pale. L’ambiente è molto familiare, al fine di rendere confortevole il soggiorno consigliato a clienti non esigenti. All’interno della struttura vi è anche la Trattoria dove, dal lunedì al venerdì, lo Chef Gaspare prepara piatti di ottima qualità, sia a pranzo che a cena, rispettando un menù tipico stagionale. Nella sala della trattoria i clienti della locanda possono gustare dolcissime colazioni, scegliendo tra una vastissima varietà di prodotti di pasticceria. All’interno del bar-tabacchi si serve la colazione anche per i “golosi” di passaggio, a partire dalle 04.00 del mattino. Per tutti coloro che sceglieranno di pernottare nell’Affittacamere, sarà offerta la possibilità di prenotare presso il Centro Benessere Oasi Venere (a Orio Litta) dei trattamenti estetici usufruendo di uno sconto particolare e, sempre lì, di accedere ai laghetti e praticare lo sport ittico. Per gli amanti dell’equitazione si offre la possibilità di accedere al Centro di Equitazione ubicato nei pressi della locanda del Cristo; poca distanza si può trovare, infine, una pista per gokart, per automobili e per motocross. Sabrina vi aspetta! Affittacamere Trattoria del Cristo Via del Cristo 40 Ospedaletto Lodigiano 26864 - Lodi Telefono: 346 6907832
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toria e tradizione, gusto e territorialità. Queste sono le parole che meglio descrivono l’essenza dell’attività del signor Fabrizio Tasca. Il signor Fabrizio è nel campo della ristorazione da quando, ancora bambino, preparava le colazioni in un vecchio bar di Ospedaletto. Dopo anni di esperienza vissuti tra Milano e il Lodigiano, ventidue anni fa ha aperto questa graziosa trattoria nel centro del paese di Ospedaletto, nello stabile che ancora oggi appartiene alla Cooperativa del paese, e da cui deriva il nome. Prima cameriere, poi amministratore della cooperativa, oggi Fabrizio ne è diventato gestore. Il suo locale è bar, trattoria e pizzeria (anche d’asporto). Lo aiutano i due figli, Giampiera e Davide, che ha studiato presso la scuola alberghiera e che si occupa principalmente della preparazione delle pizze. Il vero protagonista della cucina è, però, il signor Fabrizio, certo che la sua cucina casalinga, sempre aggiornata a seconda dei prodotti stagionali del territorio, sia la migliore.
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i invitiamo ad assaggiare gli ottimi piatti di pesce della trattoria, in particolare la grigliata e la frittura mista di pesce, i gustosissimi antipasti caldi e freddi di pesce; tra le carni, in particolare durante il periodo autunnale e invernale, si possono trovare lepri e selvaggina in generale. La trattoria Coop è una delle aziende storiche e più radicate sul territorio, conosciuta da tutte le persone della zona, che spesso trascorrono piacevoli serate gustando piatti genuini, in un’atmosfera calda casalinga, ideale per le famiglie e per i gruppi di amici. La sala del ristorante viene anche normalmente usata per banchetti, cerimonie e raduni sportivi. Dobbiamo precisare, infatti, che il signor Fabrizio è anche presidente della Polisportiva di Ospedaletto, la Nuova ASD Ospedaletto, che si prodiga nell’organizzazione e nella gestione delle attività della squadra di calcio locale. Bar Trattoria Coop
Via Baldi, 67 Ospedaletto Lodigiano 26 26864 - Lodi Telefono: 0377 864176 - 0377 401096
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ella piccola cittadina di Ospedaletto Lodigiano, centro agricolo di origine Medievale a pochi chilometri da Lodi, sorge il Dea Cafè gestito dai simpaticissimi titolari Carla e Davide. Il bar, sin dal mattino presto, vizia i suoi affezionati clienti in ogni ora della giornata. I proprietari alzano la saracinesca all’alba e alle sei del mattino danno il buongiorno a tutti quei lavoratori di passaggio che non vogliono rinunciare ad un buon inizio di giornata con un ottimo caffè e fragranti brioches freschissime ed appena sfornate. V e r s o le otto e trenta e’ il turno delle mamme che, dopo aver accompagnato i pargoli a scuola, si concedono una dolce pausa facendo due chiacchiere tra di loro davanti ad un caldo cappuccino straripante di soffice schiuma. Oltre alle brioches, il Dea Cafè propone alla clientela delicati pasticcini e donats con glassa di cioccolato al latte, glassa bianca e classiche con granella di zucchero.
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abedo consiglia inoltre una pausa pranzo presso il locale per assaporare i panini con salumi affettati al momento, invitanti pizzette e focaccine e sfiziose piadine. Il pomeriggio è il momento dei bambini che, dopo le fatiche scolastiche, si precipitano al Dea Cafè per fare un’abbondante e golosa merenda. Nella stagione fredda, gettonatissime sono le cioccolate con panna fresca e il classico tè accompagnato da golosi pasticcini. Durante l’ora dell’aperitivo, invece, il Dea Cafè prepara raffinati stuzzichini da accompagnare a drink alcolici e analcolici; è l’ora ideale per incontrare gli amici davanti ad un buon bicchiere di vino. In estate il Dea Cafè offre uno spazio all’aperto incorniciato da un giardino curato; in questa occasione i gelati la fanno da padrone. Il Dea Cafè propone anche la possibilità di acquistare articoli regalo: cioccolatini finissimi, golose caramelle e ottimi biscotti olandesi. Mabedo segnala le squisitezze della domenica mattina: pasticcini freschi che allieteranno il vostro pranzo festivo. Un bar ideale, insomma, per ogni momento della vostra giornata!
Dea Cafè
Via Cesare Balbi, 38 Ospedaletto Lodigiano 26864 - Lodi Telefono: 338 9544025
Ossago Lodigiano O
ssago si trova sulla strada tra Borghetto Lodigiano e Casalpusterlengo. Il paese ha mantenuto la sua originale fisionomia di borgo rurale, con viette strette e tortuose. Anticamente il paese si chiamava “Orxagum”, poi trasformato in Ossago. Le prime notizie risalgono al 972 ed era allora posseduto dai Monaci di San Pietro di Lodi Vecchio. Il territorio era attraversato dalla cosiddetta via de Ronchalia, che incontrava la strada romana Cremona – Laus Pompeia nei pressi di San Martino in Strada. Nel 1226 Ossago fu governata, per volere dei Capitani di Merlino (feudatari del Vescovado) a Pietro Soffientini; fu poi dei Domenicani e dei Canonici Regolari Lateranensi, dei quali è ancora conservata una lapide nella facciata della chiesa parrocchiale. Successivamente il feudo di Ossago fu a lungo governato dai Carcano, grazie ai quali, secondo la tradizione, fu usato per la prima volta il “nero di raffineria” per concimare i campi, che divennero particolarmente fertili.
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a Chiesa parrocchiale di Ossago è dedicata ai SS. Gervasio e Protasio ed è un importante Santuario per il culto Mariano: qui si conserva una veneratissima immagine quattrocentesca in terracotta policroma della Mater Mirabilis proveniente dalla Chiesa di Santa Maria in Brera, oggi soppressa. Questo oggetto, ospitato ad Ossago dal 1811, è da sempre fulcro di grandi venerazioni, anche a seguito di miracolose guarigioni. Queste risalgono a dopo il 1923, quando la Madonna venne riportata alla chiesa di Ossago con una solenne processione, dopo il suo restauro. Nella cripta della chiesa è conservata una serie di ex voto che ricordano i miracoli della Madonna; qui, dal 1966, si trova anche la fonte miracolosa dalla quale sgorga l’acqua taumaturgica. La forte spinta di fede e l’arrivo si pellegrini sempre più numerosi portò la necessità di ampliare la chiesa: dal 1925 iniziarono significativi lavori di rimaneggiamento, che terminarono solo nel 1957. Oggi l’edificio ha una facciata ariosa, con un bel rosone e affiancata da due campanili cuspidati (quello di sinistra è rimasto tronco). All’interno la navata centrale è affiancata da cappelle, a loro volta ornate da sculture in terracotta con episodi delle Sacre Scritture e agiografie di Santi. Nel 1929 accanto al Santuario fu creato un parco con delle ricostruzioni dei luoghi della Palestina: una ricostruzione davvero suggestiva, per una visita a tappe, che ricostruisce gli episodi cui si lega la nascita di Gesù...insomma, una sorta di Presepio “itinerante”!
Pieve Fissiraga L’
antico piccolo centro di Pieve Fissiraga è attestato dal 1211, quando la pieve sorgeva poco lontano dal centro attuale, sviluppatosi solo nel XX secolo (alcune centinaia di metri a nord), che oggi è solo un grande complesso cascinale. Originariamente si trovava dove oggi sorge la Località Cascina Fissiraga, distinto dal centro odierno. Anticamente era chiamata “Orgnaga” (nome che è rimasto per la località che oggi sorge poco distante). Cambiò il nome nel 1879 per Decreto Regio; il nome “pieve” esisteva già nel XIII secolo. La seconda parte del toponimo, invece, deriva da una menzione del XII secolo, dal termine “Fuxiraga”, probabilmente derivante a sua volta dal vocabolo “Flexura”, cioè curva, ansa del fiume.
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uesto piccolo villaggio diede il nome anche ad una delle famiglie più importanti della storia di Lodi, i Fissiraga, che furono Signori della città tra il XIII e XIV secolo. Dalla pieve di Orgnaga proveniva la famiglia degli Overgnaghi, ghibellini, noti a Lodi nel XII secolo. Dal XIV al XVIII secolo Pieve Fissiraga passò alternativamente a famiglie lodigiane e milanesi, agli ordini monastici e alla curia vescovile. Dagli anni Settanta si è verificato un grande sviluppo industriale nella zona di Quartiere Europa, che costeggia l’autostrada del Sole. Qui sono nate molte attività produttive che hanno completamente mutato la fisionomia del territorio. Il piccolo centro può vantare dal punto di vista artistico la Chiesa di Santa Maria Assunta, a tre navate, coperta a volte, progettata da Bovio Carlo e realizzata nel XIII secolo, poi ricostruita nei primi anni del XVIII secolo con le attuali forme neoclassiche. L’interno presenta due altari marmorei del Settecento e due pregevoli statue di S. Bassiano e della Madonna Assunta. Poco fuori dal centro abitato, arredano la bella campagna lodigiana due Oratorii, l’Oratorio di S. Giorgio (lungo la Strada Vicinale per Cascina Bonora) e l’Oratorio dei SS. Giuseppe e Rocco (a Pezzolo). Il territorio circostante è costellato di aziende agricole e antiche cascine, come il complesso della Cascina Bonora, la Cascina Fissiraga (XVIII secolo), la coeva Cascina Triulzina e la Cascina Pezzolo e la storica Cascina Orgnaga.
Salerano sul Lambro L
a prima attestazione del paese di Salerano in nostro possesso risale al 1122. Il suo nome deriverebbe dall’antico “Salarianum Vucus”, molto probabilmente derivante dalla parola “sale”, poiché da qui passavano le barche che, risalendo il fiume Lambro (da cui il nome “al Lambro”), trovavano l’approdo per lo scarico delle merci e il dazio. Durante il Medioevo Salerano fu feudo dei Capitanei di Salerano, mentre dal 1307 al 1685 appartenne ai Vistarini, celebre famiglia nobile lodigiana. Successivamente il paese passò ai Sommariva, che mantennero il titolo di Marchesi di Salerano sino agli anni Dieci del Novecento. Da sempre Salerano basa la sua economia sull’agricoltura e sulla pesca, che è sempre stata un’attività particolarmente proficua. Sfortunatamente la forte urbanizzazione e il sopraggiungere del progresso hanno completamente distrutto il patrimonio ittico del Lambro, riducendolo oggi in uno stato di inquinamento preoccupante; a causa di ciò attualmente la pratica della pesca è proibita. Cosa visitare a Salerano?
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eh, ce n’è davvero per tutti. Iniziamo dal Castello Vistarini, un’architettura fortificata, nel centro abitato e risalente al XIV secolo; presenta un impianto planimetrico a “C”, ai cui vertici sorgono le torrette. I muri sono particolarmente spessi (oltre 80 cm), come era tipico delle architetture fortilizie dell’epoca. Attualmente la proprietà è in parte pubblica, adibita a Biblioteca e parte privata, con funzione di abitazione. Da vedere anche la Chiesa della Purificazione di Maria Vergine, particolarmente curiosa perché ha ben due facciate: la principale ha una forma a capanna ed è molto semplice, come elemento decorativo ha un protiro che poggia su colonne in granito rosa posto in corrispondenza dell’entrata principale, sormontato da un affresco e da una lunetta aperta che dà luce all’interno. Ai lati si trovano due altre entrate sopra le quali si aprono altre due finestre rettangolari e due piccoli oculi. La seconda facciata si affaccia, invece, su Piazza Maggiore; è decorata con quattro lesene con capitelli ionici e frontone triangolare come coronamento. Sopra la porta d’entrata vi è una lunetta affrescata. Il campanile a pianta quadrata, arricchito di orologio e torre campanaria, è del 1670, progettato da Bovi Bovio. La dedicazione della chiesa alla Purificazione della Vergine è anche conosciuta come la Candelora, che cade all’inizio di febbraio. Secondo la tradizione essa coincide anche con il ciclo agreste con la fine dell’inverno e l’inizio della bella stagione. Secondo un famoso detto popolare in quei giorni si recita questa filastrocca: “Quando vien la Candelora de l’inverno semo fora; ma se piove o tira il vento de l’inverno semo dentro”.
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al 1981 Salerano ha indetto un Premio chiamato “la Candelina d’Oro” assegnato a personaggi del paese che si sono particolarmente distinti. Nel 2002 la Candelina d’Oro è toccata ad Agostino Cazzulani, classe 1940, e fondatore del singolarissimo Museo del Presepio presso la sua Cascina Vistarina, lungo la SP n.17 (che da S. Angelo Lodigiano porta a Melegnano). Il Mondo del Presepio è un Museo permanente che presenta una ricchissima collezione di oltre quattrocento presepi, frutto del collezionismo del Signor Tino, il proprietario, che da oltre trent’anni raccoglie presepi da tutto il mondo. Le rappresentazioni e il singolarissimo allestimento che comprende tutto il fienile della cascina permettono di scoprire le diverse tradizioni del presepe; particolarmente suggestiva è la parte dedicata ai diorami, che ricostruiscono tutta la vita di Gesù, dall’Annunciazione alla Resurrezione. Presepi, napoletani, veneziani, inglesi, russi, americani, polacchi, africani...insomma, un percorso molto ricco e curioso, per gli amanti della Sacra Rappresentazione. Il museo è aperto con possibilità di visite guidate sabato e domenica dalle 14.30 alle 17.30, a partire dalla prima domenica di Dicembre fino alla seconda domenica di Gennaio. Chiuso il giorno di Natale. Visite guidate infrasettimanali, per gruppi e scolaresche, su prenotazione al numero 0371.71155. L’ingresso è offerta libera che sarà devoluta alle missioni. Oltre alla Cascina Vistarina accenniamo ad altre cascine storiche sul territorio, come la Cascina Cantarana, la Cascina Ghione e la Cascina Canovette. Prima di lasciare Salerano, ancora un’ultima curiosità: il paese è famoso per il gran numero di cicogne che ogni anno nidificano nelle campagne del suo territorio!
San Fiorano S
an Fiorano è un grazioso comune del basso lodigiano di cui si ha testimonianza già dal lontano 997. Rogerio di Bariano ne ricevette il feudo, secondo i documenti, dall’imperatore Ottone III. Le vicessitudini storiche di San Fiorano si rispecchiano in quelle del suo castello, che fu scenario di continue lotte, passaggi di potere e distruzioni. Un primo fortilizio è attestato nel 1216, ma fu presto distrutto dalle truppe milanesi allora alleate dei piacentini nello scontro contro pavesi, lodigiani e cremonesi. Fu, perciò, ricostruito nel 1239: dopo poco fu preso e incendiato dai piacentini nella guerra contro i lodigiani, schierati con Federico Barbarossa. Terza ricostruzione, nell’anno 1278, voluta dai nuovi conquistatori milanesi: anche questa volta il castello fu raso al suolo dai lodigiani, alleati dei cremaschi, che se ne impadronirono e lo distrussero ancora. Ricostruito, servì successivamente come rifugio per la famiglia Tresseni, fuggita da Lodi per motivi politici e che ebbero potere a San Fiorano sino al XV secolo.
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el castello originario oggi resta ben poco, ma viene normalmente attribuito il nome di “castello” a quella che, ormai, è la Villa Pallavicino – Trivulzio. I Trivulzio, milanesi, furono molto importanti per lo sviluppo di San Fiorano, governato dalla famiglia dal XVI secolo. Nel 1645 Giangiorgio Pallavicino comprò il feudo di San Fiorano, iniziando un lungo dominio della casata sul paese. Della famiglia faceva parte anche Giorgio Guido Pallavicino, che fu patriota del Risorgimento italiano. La Villa Pallavicino – Trivulzio fu edificata su una precedente dimora feudale, costruita per volontà del Marchese Giorgio Guido Pallavicino. Venne ultimata nel 1842 ed oggi è di proprietà privata. La villa, nell’assetto che vediamo oggi, risale al XX secolo ed è situata nel centro di San Fiorano, proprio di fronte alla chiesa parrocchiale. Vi si accede attraverso un portale monumentale, arricchito da un cancello decorato in ferro battuto, due colonne sormontate da leoni in pietra e lo stemma della famiglia. La villa si sviluppa in forma longitudinale e si affaccia sul grande parco; la struttura nel suo complesso comprendeva diverse parti, come le rimesse e la cavallerizza, una struttura coperta da una lunga serie di archi, negli ultimi anni diversamente adibita. Nella parte retrostante, la villa si affaccia sulla campagna, dove si trova il cosiddetto “galoppatoio”, incorniciato da suggestivi filari di ippocastani.
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a Villa ospitò per ben due volte Garibaldi, l’eroe dei Due Mondi, come ricordano le rievocazioni storiche spesso organizzate dal Comune di San Fiorano. Dinanzi alla Villa è stato eretto il Monumento a Giorgio Pallavicino (1903) opera di Annibale Monti. Di fronte, si può ammirare la Chiesa di San Fiorano, dedicata al santo omonimo. In realtà ci appaiono due chiese, una attaccata all’altra: quella di sinistra è la parrocchiale, mentre quello di destra è un oratorio, detto “la chiesina”, dove è conservato, nella parete sinistra, un grande dipinto del 1920, opera del prof. Mario Albertella che celebra i caduti della Prima guerra Mondiale. La chiesa parrocchiale risale al 1502, ampliata nel 1643, quando prese le forme attuali, anche grazie alle donazioni della marchesa Olimpia Pallavicino. Alla chiesa si accede passando da un portico terminante con un timpano addossato alla facciata; questa si sviluppa su diversi livelli, con decorazioni chiare e lineari. Nella zona presbiteriale si possono ammirare dei pregevolissimi stucchi in bianco e oro del XVII secolo. La chiesa contiene, inoltre, una tavola di scuola pittorica leonardesca (attribuibile probabilmente a Bernardino Lanzani, 1520) con la “Madonna con Bambino e i Santi Giovanni Battista, Fiorano e Agata”, compatrona della parrocchia; qui è inoltre conservato un coro ligneo della fine del XVII secolo e l’organo Carcano (1845). Nella chiesa si notano le lapidi funerarie di Gianfermo Trivulzio e Caterina Landi (1547), nonché di Giorgio Trivulzio e Ottavia Pallavicino.
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arliamo ora di San Fiorano, patrono del paese e oggetto di devozione secolare. San Fiorano martire abitante della zona dell’alta Austria e le vicine regioni bavaresi, dopo aver confessato la sua fede cristiana fu flagellato e ucciso per annegamento nel 304. In realtà si pensa che, data la vicinanza con Piacenza, il San Fiorano venerato qui al paese altri non fosse che il Vescovo di Piacenza, succeduto a Savino e Mauro, di nome, appunto, Fiorano, che morì nel 451 e che fu adorato come santo dai fedeli della zona. E’ attestato che nel primo cristianesimo era consuetudine attribuire i tratti di un santo ad un personaggio locale che aveva lo stesso nome. La decorazione della zona presbiteriale fu terminata con un cospicuo intervento del 1903, con l’apporto degli stuccatori bergamaschi Flli Perico e il pittore Carnelli, che dipinse la volta con le scene del martirio di San Fiorano (pregevoli la scena di “San Fiorano flagellato” e “San Fiorano riceve la palma del martirio”). Il paese è, inoltre, conosciuto per il suo mercato storico. Nel lontano 1543 Gian Fermo Trivulzio ottenne da Carlo V il permesso di tenere un mercato nelle sue terre, ed egli scelse proprio San Fiorano (una lapide sulla facciata della chiesa lo ricorda). Il mercato richiamava molti commercianti ed era rinomatissimo; si tenne sino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Poco lontano dal centro si può visitare il Mortarino, costruito nel 1765, recentemente ristrutturato poiché vessava in pessime condizioni. Si tratta dell’antico cimitero del paese; il terreno sul quale sorge il Mortarino era stato donato alla comunità di San Fiorano nel 1684 dal Conte Giorgio Pallavicino Trivulzio. Il Mortarino fu edificato per delimitare l’area cimiteriale, che al tempo era racchiusa da un semplice recinto.
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l lineare portale d’ingresso, sorretto da colonne e che decora le mura esterne di cinta, porta il motto: “O peccator sovvengati del figliul di Dio l’acerbo duol e rio che tollerò per te”. La struttura a pianta quadrata è circondata da un quadriportico retto da colonne in granito, coperto da volte a crociera (cinque per lato). Le pareti sono decorate con affreschi del 1767 e rappresentano le quattordici stazioni della Via Crucis. I dipinti, di gusto spiccatamente settecentesco, presentano finte finestre e porte e trompe l’oeil. L’autore del ciclo pittorico è G. B. Ronchelli, allievo e collaboratore del Magatti (autore, a sua volta, della Via Crucis del Chiostro di Santa Maria alle Grazie di Codogno). Sotto il portico vi sono sei lastre tombali; il Mortarino espletò le funzioni cimiteriali sino al 1808, quando venne costruito il nuovo cimitero, nel lato nord – ovest del paese. Meritano menzione, a questo punto, due sanfioranesi illustri, che dobbiamo assolutamente menzionare: Pietro e Paolo Polenghi, padri della famosa Polenghi Lombardo, industria di latte e derivati, fondata nel 1870 e che, già dal 1879, esportò i propri prodotti all’estero, fondando una prima sede a Londra. I non più giovanissimi ricorderanno le pubblicità della Polenghi durante Carosello. Da Codogno, la sede dell’industria si spostò successivamente a Lodi; il marchio sopravvisse fino al 1998. Oltre alla lavorazione del latte, i fratelli, essendo proprietari terrieri, si prodigarono molto anche per l’innovazione delle colture, tanto che dal 1921 costruirono a San Fiorano un grande vivaio con piante ornamentali e da frutto, che sopravvive ancora oggi con il nome di Podere San Fiorano. L’attività vivaista che ancora particolarmente diffusa nel paese.
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opravvive anche il Cascinale Paolo, proprietà dei Botturi – Polenghi, di proprietà della famiglia omonima, allora latteria e salumificio. Fu costruita su progetto dell’Ing. Lucca negli anni Venti, presentandosi come un grande complesso altamente funzionale: un massiccio portone a sesto acuto immette nel cortile dell’abitazione, riccamente decorata con pitture e ferri battuti di gusto spiccatamente romanico ed umanistico, come confermano le tante citazioni in latino. Si pensi che già nel momento della costruzione, il complesso aveva acqua corrente ed impianto elettrico. Segnaliamo una serie di storiche aziende agricole della zona, come la Cascina Dovizia, la Cascina Foina, la Cascina Fontana, la Cascina Piantada, la Cà Nova, la Cascina Corradina e Balbana.
San Martino in Strada Q
uesta località ha origini antichissime (attestata per la prima volta nel 975), posta lungo la strada romana, che collegava Laus Pomepia, la vecchia Lodi, a Cremona. Il comune deve il proprio nome probabilmente ai Franchi che portarono in Italia il culto per San Martino, Vescovo di Tours e che da queste terre diffuse la sua devozione. La seconda parte del toponimo risale al XII secolo e fa riferimento all’arteria viaria che lambiva S. Martivo e che lo collegava al Cremonese. Nel X secolo queste terre furono donate dall’imperatore Ottone alla curia laudense. All’inizio del XII secolo queste terre furono cedute in pegno dal Vescovo Giovanni ad Uberto dei Cassetti e, dalla seconda metà del Duecento, il feudo passò a molte famiglie nobiliari, dai Tresseni, potentissima famiglia lodigiana e ai Cadamosto. A questi successero i Capitanei di Merlino sino al 1304 quando passò ai Merlini, poi ai Signori di Cuzigo, Capitanei di Melegnano, quindi i Villani di Lodi.
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Villani continuarono, per secoli, ad esercitare grande influenza nel paese quasi fino a metà del secolo XIX. Contemporaneamente ai Villani, spadroneggiarono a San Martino in Strada i Cadamosto. I Barattieri successero ai Cadamosto; Antonio Maria Barattieri. I possessi dei Barattieri passarono quindi ai conti Vimercati di Crema: e successivamente, in parte, ai Locatelli. I Vistarini, i Vignati, i Fissiraga, avevano anch’essi vasti possedimenti in questo paese. Il territorio fu spesso soggetto a saccheggi e distruzioni causati dal passaggio delle truppe lungo la strada che toccava il centro abitato, soprattutto durante il Cinquecento, quando le truppe (veneziani, spagnoli, francesi e soldati del Ducato di Milano) trovavano qui rifugio. L’opera di devastazione fu tanto forte che per anni i campi rimasero incolti. Elemento di particolare rilevanza storica è la Chiesa di San Martino di cui si ha notizia sin dal principio del secolo XII. La chiesa attuale è del 1516 e si presenta con le sue belle forme classiche; si accede all’edificio da un protiro retto da colonne ioniche. Il campanile invece è della fine del secolo XVII. L’interno è suddiviso in tre navate con due cappelle a pianta quadrata e la cupola centrale. La navata centrale è coperta a volta a botte e le laterali con voltine a crociera. Il pavimento è in marmo policromo e l’altare è sopraelevata, separata dal corpo della chiesa da una balaustra.
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li edifici più notevoli, sotto l’aspetto paesistico-architettonico, risultano le case padronali delle vecchie cascine come la Cascina Barattiera, la cascina a Cà del Conte, la Pompola, la Baggia, la Canova, la Campagna e la Villana. Cà De Bolli, Cà del Conte e Sesto oggi dipendono da S. Martino in Strada, mentre prima erano entità amministrative autonome. A Cà De Bolli sorge l’Oratorio di S. Bernardino, del XVII secolo. Negli ultimi anni il Comune ha avuto un grande sviluppo edilizio. Ricordiamo che a San Martino in Strada è nato Giovanni Agnelli, forse il più famoso storico lodigiano, autore del famoso volume: “Lodi ed il suo territorio”.
San Rocco al Porto S
an Rocco al Porto è situato lungo la via lombarda del fiume Po, ed è separato dalla provincia emiliana da un lunghissimo ponte (lungo ben 4 km!) che attraversa il Po e che caratterizza fortemente il territorio. Il territorio si estende per 10 km tutti sull’ampia ansa del fiume. La zona golenale interessa una cospicua parte del territorio comunale. Questa parte ha un notevole valore paesaggistico. Continuando per la stessa strada, si giunge a Piacenza. Il territorio comunale si estende per tutto l’argine del Po, tanto che una breve striscia del paese di San Rocco si estende sulla sponda emiliana del fiume, alla sua confluenza con il fiume Trebbia. La storia del paese è stata da sempre legata alle vicende del Po, che rese la zona spesso soggetta a inondazioni. La fondazione di San Rocco al Porto risalirebbe, con ogni probabilità, all’epoca romana, quando venne costruito un edificio che serviva come abitazione per il personale di sorveglianza della Via Emilia, che allora partiva da Piacenza.
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l nome del villaggio che si sviluppò a quel tempo prese il nome di “Cà Rossa”, il colore che doveva avere quel primo edificio romano, da cui poi si sviluppò l’intero abitato. Dopo la caduta dell’impero romano il paese seguì le vicende della vicina Piacenza; l’attraversamento del Po è sempre stato motivo di interesse per i traffici economici e commerciali, nonché strategici per le città di Lodi, Milano e Piacenza stessa. Nel paesino di San Rocco visitiamo la Chiesa Parrocchiale dedicata al Santo omonimo, San Rocco. Essa è posta sotto il livello stradale: ci si accede, infatti, scendendo una breve scalinata. All’interno si riconosce la pianta longitudinale, a tre navate, con pilastri; la navata centrale è coperta da volte a botte. Le due navate laterali, con cinque cappelle in corrispondenza per lato, sono invece coperte da volte a crociera. Le cappelle sono poco profonde, come è tipico delle architetture religiose della zona, coperte da archi ribassati. Il catino absidale è suddiviso da sei vele, che portano un’elegante decorazione. Sul presbiterio quadrangolare si innesta il coro semicircolare e la cappella ottagonale della Madonna. Tra gli autori della Chiesa ricordiamo lo Zambellini per le decorazioni, Albartella e Cesare Secchi. Nella frazione di San Rocco, Mezzena Casati, si trova la Chiesa di San Pietro Apostolo. Tutt’attorno si vedono, e si possono visitare, moltissimi insediamenti rurali e le cascine, tra cui segnaliamo il Complesso Padronale Cascina Colombarone (del XVI secolo), la Cascina Casino, la Cascina Sisto, la Cascina Belvedere, la Cascina Berghente, la Cascina Moientina e il Palazzo Ferrari.
Sant’Angelo Lodigiano S
appiamo che Sant’Angelo Lodigiano fu abitato già dal X – XI secolo ed è da sempre attraversato dal fiume Lambro, che scorre proprio al centro del paese. E’ uno dei paesi più grandi del Lodigiano insieme a Casalpusterlengo e Codogno; oggi è una cittadina particolarmente vivace, un centro agricolo ed industriale cui dipendono le frazioni di Maiano, Ranera e Domodossola. Nel XII secolo Sant’Angelo appartenne al Vescovado di Lodi e passò poi ai Visconti. La storia di Sant’Angelo Lodigiano è strettamente legata a quella del suo bellissimo Castello Morando Bolognini. Il maniero fu terminato nel 1224 ed eretto dai milanesi per contrastare la città di Lodi e per avere il controllo sul Lambro.
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rima del 1370 era una struttura militare, poi mutata in residenza signorile estiva. Fu rimaneggiata nello stesso anno da Regina della Scala, moglie di Barnabò Visconti: il grande progetto di rinnovamento portò il maniero alle forme attuali. Nel 1383 Regina della Scala fece costruire la Torre Maestra, detta anche Torre di Regina della Scala, che ancora oggi svetta al centro del paese e dalla cui cima si può apprezzare una bellissima vista su tutto il territorio. Fu Gian Galeazzo Visconti che trasformò tutto il territorio in riserva di caccia. Nel 1452 il castello e il borgo vennero venduti da Francesco Sforza a Matteo Attendolo Bolognini, sancendo il passaggio del Ducato dai Visconti agli Sforza. La rocca, una delle meglio conservate di tutta la Lombardia, è a pianta rettangolare con torri rettangolari con riferimento all’architettura medievale. Si accede al bel cortile interno, le cui pareti sono decorate da eleganti bifore, da un grande arco; al centro del cortile si trova un antico pozzo. Prima del 1370 era una struttura militare, poi mutata in residenza signorile estiva. Fu rimaneggiata nello stesso anno da Regina della Scala, moglie di Barnabò Visconti: il grande progetto di rinnovamento portò il maniero alle forme attuali. Nel 1383 Regina della Scala fece costruire la Torre Maestra, detta anche Torre di Regina della Scala, che ancora oggi svetta al centro del paese e dalla cui cima si può apprezzare una bellissima vista su tutto il territorio.
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u Gian Galeazzo Visconti che trasformò tutto il territorio in riserva di caccia. Nel 1452 il castello e il borgo vennero venduti da Francesco Sforza a Matteo Attendolo Bolognini, sancendo il passaggio del Ducato dai Visconti agli Sforza. La rocca, una delle meglio conservate di tutta la Lombardia, è a pianta rettangolare con torri rettangolari con riferimento all’architettura medievale. Si accede al bel cortile interno, le cui pareti sono decorate da eleganti bifore, da un grande arco; al centro del cortile si trova un antico pozzo. Il castello è attualmente sede di tre musei: il Museo Storico – artistico Morando Bolognini, che contiene arredi, armature e dipinti dal 1700 al 1900; nel 1933, la contessa Lydia Caprara Morando Bolognini, moglie del Conte Gian Giacomo Morando Bolognini, creò a nome e ricordo del marito, la Fondazione Morando Bolognini con finalità di ricerca e divulgazione dell’agricoltura e adibì il Castello a Museo. Per questa ragione, esso ricorda e rappresenta la storia della Famiglia Bolognini e del castello stesso: i mobili, i quadri e gli oggetti esposti testimoniano la grande passione della famiglia Bolognini per il collezionismo iniziato alla fine del Seicento. Della collezione originaria, già una prima parte era stata donata, nel 1865, al Comune di Milano per costituire il nucleo primitivo delle “Raccolte civiche d’Arte del Castello Sforzesco. Il Museo apre in specifiche giornate dedicate al pubblico i suoi ventiquattro saloni riccamente arredati secondo lo stile di una “Casa-Museo” offrendo ai visitatori la possibilità di rivivere antiche e suggestive atmosfere.
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i particolare interesse è la Biblioteca che ospita circa 2.000 volumi e un’interessantissima Armeria, costituita da circa 500 pezzi di varie epoche e provenienze. Degne di nota anche la Sala del trono, la Sala degli antenati, la Cappella, la Sala degli specchi e le Sale da pranzo. Al Museo si accede dall’atrio dell’ala di levante che introduce le sale di rappresentanza del Castello di Sant’Angelo, caratterizzate da alti soffitti a volta, decori alle pareti e arredamento austero. Nell’ordine, si visitano: la Sala di ricevimento, un tempo destinata agli ospiti del Castello, la Sala del Trono dove un’intera parete raffigura l’albero genealogico del casato, la Sala degli Antenati con i ritratti della famiglia Bolognini, la Biblioteca, la Sala del Polittico, la Cappella privata, la Sala della tessitura e la Cucina. Questi due ultimi ambienti sono stati allestiti recentemente, appositamente ricostruiti sulla base delle abitudini, dei gusti e delle tendenze di quell’epoca. La visita prosegue con la stanza Ottagonale dalla quale si accede all’Ala di Ponente del Museo, dove gli ambienti presentano soffitti in gran parte ammezzati e un arredamento consono alla vita quotidiana. Il Castello ospita oggi anche il Museo del Pane con una raccolta di pezzi provenienti da ogni parte del mondo e il Museo Lombardo di Storia dell’agricoltura e che presenta documenti e reperti dal Neolitico all’età romana e altri attrezzi di meccanizzazione agricola. (Per info e prenotazioni: http://www.castellobolognini.it/, tel. 0371 211140).
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a famiglia Bolognini all’inizio del Novecento, ancora proprietaria del castello, fece importanti lavori di restauro, riportando il castello agli antichi splendori estetici. I Bolognini mantennero la loro supremazia sul paese per diversi secoli, contrastati solo, nel XVII secolo, dalla famiglia dei Barasa, che rappresentava le classi più popolari e che, però non acquistò mai il completo potere. Storicamente i Conti Bolognini si impegnarono attivamente nella vita del paese, favorendo la creazione di istituzioni assistenziali e di opere pubbliche come, ad esempio, il primo ponte in ferro sul Lambro, detto “il Ferrante”, e un impianto idraulico per la molitura e nuovi canali di irrigazione. Sant’Angelo Lodigiano è famoso anche per aver dato i natali a Santa Francesca Cabrini, Santa patrona e protettrice degli emigranti. Nel paese, in via Madre Cabrini, si trova ancora la Casa Natale di Santa Francesca Cabrini, dove la piccola Francesca nacque nel 1850 e trascorse gli anni della sua giovinezza, prima di partire, appena trentenne, per le Americhe: dopo aver fondato la Congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, Francesca, allora solo una piccola suora, partì per gli Stati Uniti. Qui la Santa fondò molti centri di accoglienza per gli emigranti italiani che alla fine dell’Ottocento lasciavano l’Italia per cercare fortuna Oltreoceano. La Santa Cabrini continuò il suo operato di assistenza anche nell’America Centrale, in Brasile e in Argentina, dove aprì scuole, orfanotrofi, educandati ed ospedali.
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al 2009 la sua casa natale, qui a Sant’Angelo è divenuta una sorta di casa museo, dove è stata ricreata la cucina, una piccola cappella, la camera dove probabilmente nacque la Santa e la stanza dei suoi viaggi missionari, corredata di oggetti e di abiti che Francesca soleva portarsi in viaggio. Curioso è il mantello di pesante lana di alpaca che la Santa indossò per attraversare le Ande nel 1875, nella lunga traversata da Panama all’Argentina. La visita prosegue nella camera da letto e nel cortiletto della modesta abitazione. Santa Francesca Cabrini morì nel 1917 a Chicago, fu beatificata nel 1938 e canonizzata nel 1946; nel 2010 si è svolta la dedicazione della Stazione Centrale di Milano alla Patrona degli emigranti Francesca Cabrini, simbolo di accoglienza e di cosmopolitismo. All’interno della Casa Museo si trova anche il Centro di Documentazione Cabriniano. La devozione per la Santa Cabrini è particolarmente viva a Sant’Angelo, tanto che in diversi punti del paese sorgono statue ed effigi che rappresentano la Santa, come la statua bronzea di Enrico Manfredini. Di rilevante spessore artistico è anche il Duomo di Sant’Angelo Lodigiano, la grande Basilica di S. Antonio Abate e S. Francesca Cabrini. La chiesa attuale, rimaneggiata nel 1946 e nel 1968, sorge su alcune precedenti chiese antichissime, una duecentesca e l’altra cinquecentesca.
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el Seicento, su richiesta dei parrocchiani, fu eretta una nuova grande basilica, che iniziò a prendere le forme attuali. La chiesa oggi è a pianta a croce latina con un santuario a trifoglio deformato; la pianta è suddivisa in tre navate e quella centrale si allarga in corrispondenza dei bracci di croce trasversali. All’incrocio dei bracci si erge una grande cupola ottagonale. Esternamente appare la statua dell’Arcangelo Michele. Sul fianco sinistro della basilica si erge l’elegante mole della torre campanaria, la cui base risale al XV secolo e sopraelevata nel 1826. L’interno della chiesa è molto ricco di marmi e decorazioni in stile rinascimentale bramantesco, opera della scuola dei Taragni di Bergamo; i grandi affreschi delle absidi e delle lunette sono di Pasquale Arzuffi. Pregevoli anche le belle vetrate policrome istoriate di Gaetano Bonelli che decorano la parte absidale e quelle che narrano le Storie della Santa Cabrini eseguite da Veder Art della Fabbrica del Duomo di Milano. Segnaliamo la Cappella Cabrini, dove si trova il reliquiario con il radio della Santa. Lungo tutto il piano superiore della basilica, nel matroneo, che si affaccia sul piano terra, è stato allestito l’apprezzabile Museo Storico Artistico della Basilica che contiene curiosi oggetti liturgici, arredi, reliquie e baldacchini usati nelle processioni.
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postandoci lungo Viale Partigiani è possibile ammirare le antiche Mura spagnole, struttura stratificata difensiva, che delimitava l’antico centro abitato, e la Torre della Girona (1370 ca), una torretta d’angolo in laterizio a pianta quadrata molto ben conservata. Da visitare anche molti altri edifici ecclesiastici, come la Chiesa di San Bartolomeo (XVI secolo), la Chiesa di San Rocco (XVII secolo) e le settecentesche Chiese di Santo Stefano Protomartire e del Lazzaretto. Vi consigliamo anche una visita all’elegante Villa Cortese (XIX secolo, oggi adibita a servizi sanitari) e alla Villa Bianchi, del 1930, oggi privata. Lungo la via del centro si affacciano alcuni edifici privati molto caratteristici e dai dettagli Liberty come Casa Beccaria del 1913 (praticamente di fronte al castello) e la Ex Casa Minestra, progettata da Ezio Minestra nel 1940. Diamo segnalazione anche di alcune delle grandi cascine sparse nel territorio comunale coma Cascina Belfiorito, Cascina Belfuggito, Cascina Ghibellina, Cascina Maruduno, Cascina Nuova e Cascina Musella.
Santo Stefano Lodigiano S
anto Stefano è un paese piccolino, che si sviluppa in 4 km e si snoda come un serpente sulla sponda del Po, con una caratteristica forma a “S”. In realtà questa forma geografica in parte oggi è stata modificata dall’aggiunta di nuove strade e costruzioni, che vanno mano a mano alterando la geografia originale. Anticamente il comune si chiamava “Terra di San Fedele” e, dal 1530, “Terra di Santo Stefano al Corno”, perché allora con Cornovecchio e Corno Giovine costituiva “Tre Corni”, tutti collocati sull’ansa del Po. Solo dal 1916 prese il nome di Santo Stefano. Qui si può visitare la Chiesa parrocchiale dell’Assunta, definita “il Duomo della Bassa Lodigiana”, del Settecento (1756). Essa sorge dove prima si trovava un’Abbazia, attiva sin dal 1009, prima Benedettina, poi Cistercense. Qui venne costruita la chiesa parrocchiale per volontà del Cardinale Andrea Doria, commendatario dell’Abbazia. Il progetto passò poi al Cardinal Castelli, che lo fece però ridurre considerevolmente poiché ritenuto troppo dispendioso. La nuova chiesa fu consacrata nel 1776.
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interno è ad unica navata con due cappelle laterali di grandi dimensioni. La volta, la calotta e l’abside sono decorate con gli affreschi dell’Albertella del 1920 e che rappresentano le “Storie di Santo Stefano” e l’”Assunta”. I patroni sono Santo Stefano e Sant’Ignazio di Loyola. Oltre il centro abitato del paese, tutt’attorno sorge una serie di cascine storiche, come Villa Piantada, il cui nome deriva dalle piante che crescono attorno all’edificio rurale e che producono un legname particolarmente adatto alle costruzioni e per il lavoro di falegnameria. La struttura è deliziosamente decorata. Sempre fuori dal centro abitato si può incontrare il piccolo Chiesuolo (1846) costruito per permettere anche agli abitanti delle cascine di seguire la Messa senza dover raggiungere la parrocchiale in paese. Il Chiusuolo fu opera di Carlo Cattaneo. A Santo Stefano si trova, inoltre, un importante museo: il Museo del Giocattolo e del Bambino, aperto dalla Fondazione Franzini Tibaldeo. Si tratta di una raccolta di circa 2000 giocattoli “d’epoca” che risalgono dal Settecento agli anni Sessanta del secolo scorso. In questo museo ci si immerge in un percorso storico tra balocchi e ricordi del passato, dove i grandi potranno tornare bambini e i più piccoli avranno modo di scoprire come ci si poteva divertire anche senza l’uso della tecnologia. La visita è suddivisa in cinque sezioni: il giocattolo artigianale (1700 - 1860), il giocattolo romantico (1820 - 1900), l’era d’oro del giocattolo (1880 - 1915), tra le due guerre (1920 - 1940) e tra passato e futuro (anni’50). (Per info e visite guidate: 0377-65244, p.franzinitibaldeo@libero.it).
Secugnago I
l Comune si trova geograficamente nel centro della Provincia di Lodi. Secugnago comprende anche le Località di Stazione e le molteplici cascine (Cascina Boschelli, Fiandra, Fornelli, Gorghi e S. Ignazio Uggeri). L’origine del paese è probabilmente celtica; antiche notizie sul primitivo villaggio ci sono arrivate dalla Vita di S. Siro, Vescovo di Pavia il quale, secondo la ricostruzione storica, aveva predicato il Cristianesimo attorno al 69 d.C. in queste zone del Lodigiano. Altre notizie ci giungono dal racconto della Vita di San Gaudenzio Vescovo di Novara, il quale è legato a Secugnago da un fatto miracoloso. La tradizione narra che il Santo di ritorno da un suo viaggio a Roma si sarebbe fermato proprio a Secugnago nel freddo gennaio 407: il villaggio era reduce dal recente passaggio degli eserciti dei Goti, che avevano razziato queste terre, lasciandoli in un disperato stato di povertà e distruzione. La gente non aveva nulla da offrire a San Gaudenzio. Egli, allora, fece gettare dei semi in un orto accanto al forno pubblico e, malgrado la stagione invernale, ne spuntarono subito delle rape.
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eguendo le sorti di molti paesi del lodigiano, anche Secugnago fu donato da re Liutprando al Monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia e, dopo il Mille, fu soggetto alla proprietà del Vescovo di Lodi. Nel XII secolo passò alla famiglia dei Tresseni ma, nel 1299, il Vescovo Bernardo Talenti lo affittò ad Antonio Fissiraga; nel 1344 il Vescovo Luca Castelli concesse le terre di Secugnago al figlio di Luchino Visconti, Buzio, governatore di Lodi. Da allora e sino al XVII secolo le terre di Secugnago furono continuamente concesse in affitto dai Vescovi di Lodi ad influenti famiglie lodigiane, dai Lodi, ai Carpiani, Maldotti, ai Museffi. Durante la dominazione francese sul Ducato di Milano Luigi XII assegnò Secugnago ai Baggi e, successivamente, ai Bertoglio. Se siete a Secugnago è d’obbligo una visita alla particolare Chiesa di San Gaudenzio, una grande costruzione che domina l’abitato. L’edificio religioso è in stile neogotico lombardo, costruito nel 1928 – 30 dall’ingegner Noli di Lodi. La nuova chiesa fu edificata sulla precedente, di origine settecentesca. Attualmente essa si compone di tre navate coperte da volte ogivali affrescate e rette da colonne dai capitelli decorati a foglie. Le finestre a sesto acuto sfoggiano delle bellissime vetrate istoriate (1941, eseguite dalla vetreria Malaspina di Lodi).
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e navate laterali presentano dipinti dei “Miracoli di San Gaudenzio”. La struttura attuale conserva opere della chiesa antica, come le pregevoli statue lignee barocche, “la Vergine e S. Gaudenzio”, una Via Crucis, una tela con la “Morte di S. Giuseppe” datata milleseicento e altri arredi settecenteschi. San Gaudenzio si festeggia il 22 di gennaio. Oltre al Sacrario ai Caduti, segnaliamo che il territorio di Secugnago è costellato da cascine e campi coltivati, che sono parte integrante del paese. Perché non fare una bella passeggiata in campagna andando a visitarle?
Senna Lodigiana L’
antica “Curtis Sinna” d’epoca carolingia, fu un antico insediamento gallico e venne colonizzata dai romani nel 222 aC; ricoprì un ruolo molto importante durante il Medioevo, grazie alla sua posizione di vicinanza con il tratto inferiore del Lambro. Senna ad oggi vede circa 2000 abitanti; prese il suo nome attuale nel 1863. Nel 1869, invece, a Senna Lodigiana vennero aggregati Corte Sant’Andrea e Mirabello e altre diverse frazioni: Cascina Castellario, Guzzafame e Malpaga. Prima di giungere a Senna si attraversano distese di campi e una serie di cascine e agglomerati tutti intorno. Oggi come nel Medioevo l’economia è basata sull’agricoltura, sebbene il piccolo paese abbia subito un timido sviluppo negli ultimi anni nel tessuto industriale. Il territorio comunale, così come tutto il territorio limitrofo, ha un profilo regolare, dall’urbanistica razionale.
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utto immerso nella campagna lodigiana, il territorio è attraversato dalla Roggia Rosarola e Roggia Senna. Il paese di Senna Lodigiana si trova a sinistra rispetto al Lambro e al Po, che ne segue il confine, tra i paesi di Orio Litta, Ospedaletto Lodigiano e Calendiasco (già nel Piacentino). Sull’attuale territorio comunale sorgeva un tempo l’antica “Quadrata Padana”, una cittadina menzionata nel III secolo nella mappa della “Tabula Peutingeriana”. Senna fu citata per la prima volta come Corte Regia dell’impero carolingio. Ebbe grande importanza come porto fluviale lungo l’antico corso del Po e per trovarsi anche vicino al Lambro, importantissima via di comunicazione per i collegamenti con Milano. Durante il Duecento Senna fu contesa tra Milano, Lodi e Piacenza, seguendo le vicessitudini dell’imperatore Federico Barbarossa. In questo periodo fu proprietà dei capitani di Cuzigo: in questo momento storico Senna perse parte della sua importanza per la sua posizione geografica perché era stato modificato il corso del fiume. Sembra accertato che l’avvicinamento della foce del Lambro tra Senna e Corte Sant’Andrea avvenne nel periodo tra il 1190 e il 1230. L’espressione “in curte sinna” viene espressa negli atti del Re d’Italia Berengario I del X secolo: ciò fa supporre che sul territorio si ergesse un maniero di grandi dimensioni.
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eguirono, poi, le sorti della vicina Somaglia, conoscendo la dominazione dei Cavazzi. Fu successivamente soggetta ai Carmagnola e a Niccolò Piccinino. Nel XVII secolo fu colpita dalla peste, seguita dall’invasione dei lupi scesi dall’Appennino piacentino, attraverso il letto ghiacciato del Po: un periodo assai complesso, cui seguirono anche le invasioni dell’esercito austro-russo della guerra contro Napoleone. A Senna Lodigiana si può visitare la bella Chiesa di Santa Maria in Galilea, con uno splendido chiostro quattrocentesco. La chiesa fu rifatta tre secoli più tardi. La bella facciata in mattoni è tripartita verticalmente e il timpano ha graziose cornici a dentelli, sormontato da due cuspidi centrali e due laterali. L’ordine inferiore è composto da un unico portale con cornice e gettante su mensoline. Ai lati vi sono due coppie di semicolonne e una specchiatura a livello ribassato. Sopra il portale d’ingresso è presente un bel rosone e due più piccoli ai lati, che sormontano le due entrate laterali. All’interno l’edificio religioso appare a navata unica, con due cappelle laterali e una breve abside curvilinea. Troviamo qui alcune tele di pregio seicentesche e un affresco del cinquecento. E’ presente, inoltre, un grande quadro posto nell’abside che rappresenta la “Madonna con Sant’Ambrogio, San Francesco e Santa Marta”, opera di Camillo Antonio Landriani detto “il Duchino”. Degno di nota è il campanile, coevo, privo di cuspide.
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empre a Senna Lodigiana si può visitare la Cappella della Madonna del Caravaggio, di fine XVIII secolo. Si tratta di una tipica architettura rurale di proprietà privata, a pianta rettangolare. A Corte Sant’Andrea, come detto frazione di Senna Lodigiana, si trova la confluenza del Lambro nel Po. Anche questa località si trova lungo la direttrice della Via Francigena, che Sigerico percorse: nel suo itinerario l’arcivescovo di Canterbury lo nominava come “Sce Andrea”. In questa località vi era il “transitum padi”: qui i pellegrini, sin dall’epoca di Sigerico, aspettavano il traghetto per attraversare il Po. E’ giunto sino a noi un importante documento del 1237 che testimonia l’importanza del guado, dove si dice che Milano cedette alla città di Lodi i terreni perché vi fossero edificati un ponte, un ricovero per i pellegrini, un fossato di difesa e una strada nuova per Lodi. Sulla sponda del fiume si può ammirare la famosa Stele in mattoni posizionata lungo la via d’accesso per ricordare il passaggio dell’Arcivescovo Sigerico. Poco più avanti si nota il punto di approdo per l’attraversamento del fiume in barca, possibile ancora oggi tramite privati (da poco la navigazione è possibile grazie all’Associazione privata San Michele, per info e prenotazioni 02.92273118).
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ell’antica Corte che Carlo Magno donò al Monastero di Santa Cristina, ad oggi possiamo ammirare un piccolo borgo agricolo cui si accede da un Arco trionfale eretto nel 1782, in occasione del matrimonio tra Anna Ricciarda d’Este e Alberico di Belgioioso, dove appaiono, appunto, i rilievi degli stemmi delle due casate nobiliari. Tra i feudatari di Corte Sant’Andrea figurano i Trivulzio, gli Este e i Belgioioso. Qui troviamo anche i resti di “Quadrata Padana”, ritrovati a seguito degli ultimi scavi archeologici. A Corte Sant’Andrea scopriamo la Chiesa dedicata al Santo omonimo, seicentesca, con un grazioso protiro che decora l’entrata; segnaliamo che nella canonica della chiesa è ospitato un Museo dei reperti fossili. A Mirabello, invece, si trova il grande complesso della Chiesa di San Bernardino, che mostra delle innovative soluzioni architettoniche e un grande affresco che ne decora la volta. L’imponente edificio costruito nel 1952 domina il piccolo agglomerato agricolo, poche case e qualche cascina. La frazione si presenta come un borgo agricolo di antica origine. Durante la dominazione napoleonica (1809-1816) fu frazione di Somaglia, prima di passare a Senna Lodigiana. La caratteristica particolare della Chiesa di San Bernardino, progettato dal Gozzi, sono gli oltre 1000 metri quadrati di affreschi realizzati dal pittore lodigiano contemporaneo Felice Vanelli, realizzati tra il 1980 - 1984. Gli affreschi si sviluppano su tutta la navata, il transetto, la cupola e l’abside, secondo un ciclo che ha per tema l’umanità che anela alla vita eterna.
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on tutti sanno che Somaglia, di fondazione romana, è il nuovo nome della vecchia “Roncaglia”, celebre luogo delle “diete”. La dieta era un’adunanza, una sorta di assemblea solenne, un momento di confronto tra l’imperatore, nobili e alto Clero che si confrontavano in merito alle esigenze dello Stato. Durante il Sacro Romani Impero la dieta era un’assemblea che riuniva il re o l’imperatore e i maggiori principi dell’impero, insieme agli esponenti del Clero e della sfera legislativa. L’obiettivo era quello del confronto, del controllo e della legiferazione su temi di carattere generale. La prima dieta tenuta a Roncaglia fu indetta da Ottone III nel 997 dC; a seguire ci fu quella di Enrico IV nel 1076 e 1077. Nel 1100 si tenne quella di Enrico V e la dieta indetta da Lotario nel 1132 e 1136.
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e più celebri furono, però, le diete dell’imperatore Federico Barbarossa: la prima convocata nel 1154, l’altra quattro anni dopo nel 1158 proprio a Roncaglia, con l’obiettivo di rivendicare la supremazia del potere imperiale. La scelta di Somaglia appare funzionale dal punto di vista strategico, in quanto si poneva come incrocio di importanti vie di comunicazione sia stradali che fluviali. Concretamente la dieta era una vera e propria fiera, con tanto di mercanti, artigiani che portavano ogni sorta di mercanzia: un appuntamento cruciale per lo scambio di merci, di idee e di culture. Al giorno stabilito iniziava la dieta dove, tra i tanti incontri, ogni feudatario veniva chiamato al cospetto dell’imperatore per dar conto della sua fedeltà, nonché gli ambasciatori delle varie città e i giureconsulti per risolvere le diatribe tra l’imperatore e le città, tra le città stesse o tra privati. Ancora oggi il paese rivive i tempi degli antichi splendori delle “diete” attraverso suggestive rievocazioni storiche. Somaglia accoglie due importanti testimonianze storico - artistiche, quali la Chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Maria di Monte Oldrato e il Castello. La chiesa attuale fu eretta nel 1769 su disegno dell’architetto Giulio Galeri di Milano e consacrata nel 1773. L’esterno è decorato da un pronao classico.
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a chiesa ha una pianta quadrata, con due cappelle laterali, un ampio presbiterio e un’abside a emiciclo. La cappella di sinistra accoglie la “Madonna del Rosario”, una statua lignea settecentesca; di particolare rilevanza è anche l’ancona in legno intagliato con cariatidi e colonne posto sopra il coro, nella cui nicchia si trova la statua in legno dorato con la Vergine Assunta del XVII secolo. La chiesa contiene anche due preziosissime tele, dalla storia lunga e “avventurosa”. Si tratta di due tele o teleri cosiddetti “della Giudecca” di grandi dimensioni (450 X 800 cm) che rappresentano “Il Trasporto dell’Arca Santa” di Sebastiano Ricci dipinto nel 1752 e la “Cacciata dei mercanti dal tempio” di Angelo Trevisani del 1732. Esse erano state realizzate per la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano della Giudecca di Venezia, dove rimasero fino al 1806, a seguito delle soppressione degli ordini monastici da parte di Napoleone. I teleri furono inseriti nel novero dei beni francesi e l’imperatore li fece trasferire a Parigi; tornarono a Milano nel 1809 e furono assegnati alla pinacoteca di Brera. Nel 1818 il conte Gianluca Cavazzi della Somaglia ottenne che fossero depositati e collocati nella Parrocchiale di Somaglia. Nel 1995 la Sovrintendenza ai Beni Artistici della Lombardia ha predisposto un radicale restauro conservativo dei teleri veneti. Altra opera di immenso valore, posto sulla collinetta non lontano dalla chiesa, vi è il Castello Cavazzi della Somaglia, un grande complesso architettonico, situato su un livello più alto rispetto al resto del paese, che presenta le varie modifiche subite nel corso dei tempi. Il castello fu costruito nel XIV secolo, sulle vestigia di un precedente complesso risalente all’anno mille.
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l maniero passò nel tempo attraverso la proprietà di diverse famiglie, fra cui, nel Trecento, Barnabò Visconti e, nel Seicento, ai Conti Cavazzi, da cui la denominazione che è giunta sino a noi. La parte trecentesca si riconosce perché è in mattoni e conserva la merlatura guelfa, mentre quella secentesca è l’adiacente ala intonacata, che i conti Cavazzi avevano trasformato in villa – palazzo. I due corpi di fabbrica sono legati da una torre angolare in mattoni leggermente più alta rispetto alla struttura e che simboleggia l’antica funzione difensiva del complesso. Entrando, si è accolti in una corte attorno alla quale si snoda un portico a serliana e un portichetto che permette l’accesso allo scalone d’onore. A causa delle vicende storiche gli interni sfortunatamente non sono ben conservati e non ci mostrano molto dei bellissimi affreschi che decoravano gli ambienti del castello durante i grandi fasti della corte. Sappiamo che nel 1525 il castello doveva essere circondato da una cinta muraria voluta da Ludovico Vistarini a difesa del maniero. La parte antistante il castello era un tempo adibita a scuderie, che delimitavano la zona conosciuta come “Piazza del Re”, ricordando gli antichi splendori. Il Castello Cavazzi della Somaglia fu usato come abitazione per le famiglie sfollate durante la Seconda Guerra Mondiale; fu completamente abbandonato negli anni Settanta.
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el 1980 Guendalina Cavazzi, discendente della nobile famiglia, ha donato il castello al Comune di Somaglia che lo sta parzialmente ristrutturando. Uscendo dal paese, nella parte meridionale del comune, sulla strada che porta a Guardamiglio, sorge la Cascina Regina Fittarezza, luogo nativo di Mario Borsa, primo direttore del Corriere della Sera dopo la liberazione. Dal 2010, nell’ambito de “I Sensi/Festival di Somaglia”, è stato istituito un premio alla memoria del direttore, da assegnare a chi si è distinto nell’ambito del giornalismo, sulla base degli stessi valori di Mario Borsa. I nomi dei vincitori appaiono assolutamente in linea: Andrea Riscassi, Beppe Severgnini e Benedetta Tobagi. Il Comune di Somaglia ha una piccola e graziosa Frazione, San Martino Pizzolano. Il piccolo centro agricolo ha una piccola chiesa parrocchiale, che porta il titolo di San Rocco Confessore. Non conosciamo esattamente la data di costruzione, ma di certo subì sostanziali modifiche e restauri. La facciata è molto semplice, decorata da un piccolo protiro, sopra il quale c’è l’effige del patrono. L’altissimo campanile risale alla fine del XIX secolo ma già nel 1913 subì rifacimenti.
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ll’interno sono apprezzabili una bella statua della Beata Vergine del Rosario (1895 opera dello Speluzzi) e quella di San Rocco. Di ottima fattura sono il pulpito, il coro ligneo e l’altare maggiore in marmo munito di tempietto, che apparteneva alla soppressa chiesa di San Biagio. Poco distante, sempre all’interno del territorio Comunale di Somaglia si trova la Riserva Naturale delle Monticchie, un’importantissima istituzione che tutela un territorio che si estende per 250 ettari...da non perdere assolutamente! La Riserva delle Monticchie, oggi Riserva Naturale Regionale, racconta una storia lunga e molto controversa: nel 1969 fu inclusa tra le zone di ripopolamento e cattura per la sua preziosa fauna autoctona; successivamente, dopo ben dieci anni dopo, e a conseguenza di una forte lotta combattuta dell’amministrazione comunale e dalla locale sezione del WWF, le Monticchie divenne Oasi di protezione della fauna. Tutta l’area è oggi posta sotto vincolo dalla Regione Lombardia, e la sua gestione è affidata al WWF in collaborazione con il Comune di Somaglia. Le Monticchie sono l’ambiente tipico della valle del Po lodigiano, attraversata dal fiume Brembiolo, il territorio è un intersecarsi di risorgive, boschetti, canneti e campi coltivati. La flora è quella tipica della zona, con specie di piante quali il salice bianco e pioppo nero, di cui vi sono boschi interi; sulle rive prosperano farnie, olmi, gelsi, sanguinella, ontani, salice da vimini e salicone.
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a vera meraviglia della Riserva sono, però, le splendide specie animali: la garzaia di aironi cenerini, garzette e nitticore, ma anche l’airone rosso, la pavoncella, la poiana, il lodolaio, il gufo comune, il falco di palude, il gruccione, il picchio rosso maggiore, il picchio verde e moltissimi passeriformi del canneto e del bosco. Molti anche gli anfibi, tra cui la rara rana di lataste, e i piccoli roditori e carnivori come il tasso, la donnola e la volpe. La Riserva è dotata di numerose strutture di accoglienza, che organizzano diversi percorsi di visita. Qui si trovano il centro Percorsi-natura, Centro di Educazione Ambientale e il Centro visite allestito presso il castello Cavazzi di Somaglia dove vengono organizzati progetti educativi rivolti a studenti ed insegnanti con corsi di formazione. La Riserva è visitabile tutto l’anno previa prenotazione (per info: telefono 0377/44.71.41, info@monticchie.it).
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l Ristorante “Aserei” è situato sulla Strada Provinciale che collega Somaglia a San Martino Pizzolano, con lo scopo di diventare punto di riferimento per quanti, pur trovandosi nelle terre lodigiane, amano i sapori piacentini, senza farsi lunghi viaggi. Lo chef Lorenzo e la di lui Signora, Priscilla, da molti anni lavorano nell’ambito della ristorazione, portando “in tavola” una sapiente professionalità lunga nel tempo. Il ristorante propone a mezzogiorno un menù a prezzo fisso, mentre per cena si può scegliere tra le tantissime proposte dei menù alla carta. Le specialità, ovviamente, sono tutte piacentine: dai tipici antipasti, con coppa piacentina, pancetta piacentina, salame piacentino, fiocco di culatello piacentino, prosciutto crudo, gnocco fritto e superbe torte salate. Tra i primi piatti, estivi e invernali, non mancano i tortelli a caramella ricotta e spinaci, i tortelli a caramella di zucca, gli anolini al sugo di porcini, i panzerotti piacentini ricotta e spinaci, gli immancabili pisarei e fasò, le tagliatelle caserecce ai funghi porcini, gli anolini in brodo e le crespelle vari gusti.
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l tutto è accompagnato dagli ottimi vini piacentini come Gutturnio, Ortugo, Trebbiano, ma anche etichette dell’Oltrepò quali Barbera, Bonarda, Malvasia e Prosecco. Ed ecco qualche suggerimento per i secondi piatti: i lessi misti con la mostarda, arrosti misti, stracotto alla piacentina, stinco di maiale arrosto, coppa arrosto, grigliate miste e selvaggina (in stagione). Il ristorante è anche bar gelateria. Su prenotazione sono possibili anche menù concordati e si accettano prenotazioni per banchetti, cresime e comunioni, matrimoni, ma anche happy hour, aperitivi e feste private, che si possono allestire, nella bella stagione, nel cortiletto esterno di fronte al locale. Da provare! Ristorante Bar Gelateria “Aserei”
Via della Libertà 10 26867 Somaglia - Lodi Telefono: 0377.449102 Cell. 339.8992627 E-mail: aserei@virgilio.it www.aserei.oneminutesite.it
Ristorante Bar Gelateria “Aserei”
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e volete trascorrere un piacevole soggiorno immersi nella quiete della campagna lodigiana, Mabedo vi consiglia di fermarvi nel prestigioso Agriturismo Cà Nova, a Somaglia (LO). La cascina completamente restaurata, che sorge sulle basi di una struttura di metà ottocento, presenta una splendida aia, il grazioso cortiletto, all’ombra del grande ulivo. La struttura dell’Agriturismo offre la possibilità di pernottamento nelle bellissime camere, dagli ambienti ampi, dotati di ogni comfort, dove “la privacy è il motto e la qualità una certezza”. Accanto all’Agrituriamo, si trova l’elegante Ristorante Cà Nova dal raffinato arredo; contiene fino a 250 posti e si presenta come il luogo ideale per cenare davanti al calore del caminetto acceso. La cucina è frutto della grande passione eclettica e dedicata alla qualità dei sapori, dove si propongono piatti tipici del territorio, carne alla griglia o pizza, tutto preparato con ingredienti freschi e selezionati. Tante le atmosfere racchiuse in Ca’Nova: è lo sfondo ideale per pranzi e cene, eventi privati e aziendali, banchetti nuziali, cerimonie, feste tra amici, ritrovi. Meeting e party potranno trovare alla cascina Cà Nova il perfetto ambiente e un’organizzazione impeccabile, anche del più piccolo dettaglio.
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utti gli eventi potranno trovare il proprio sfondo nella zona piscina, nella grande corte, nella sala del ristorante e la Cascina Ca’ Nova diventerà un luogo unico ed ospitale, per accogliere eventi dal carattere più o meno formale, senza dover sacrificare appeal estetico e sfumature d’impatto. La cascina si presta anche per meravigliosi e romantici banchetti di nozze, nelle più belle sfumature di colori e sapori che renderanno unico il giorno del vostro matrimonio. I menù verranno scelti e personalizzati a seconda delle diverse esigenze. Cà Nova si potrà occupare, su richiesta, anche di allestimenti floreali, musica e intrattenimento. Relax, risate, buon cibo... spegnete il telefono e venite a trascorrere dolci momenti in tranquillità alla Cascina Cà Nova!
Agriturismo Cascina Ca’Nova Cascina Canova, 3 26867 SOMAGLIA (LO) E-mail: info@cascina-canova.it Telefono: 0377.452078
Sordio S
ordio è situato al confine con la Provincia di Milano. Le prime attestazioni storiche del paese risalgono al 1034. Nel 1252 il Vescovo di Lodi Bongiovanni Fissiraga decise di togliere alcuni feudi, tra cui Sordio, alla chiesa lodigiana che allora erano gestiti da laici e clerici, poiché questi si erano schierati con il Barbarossa, nemico del papato. Così il paese passò a Bassiano Coladruccio; nel 1445 Sordio fu infeudato ad Antonio Zurigallo e, dal 1493, a Camolino da Lodi, per volere di Gian Galeazzo Sforza. Dobbiamo ricordare Sordio anche per il suo ruolo cruciale durante la Battaglia di Merignano (oggi Melegnano), conosciuta anche come Battaglia dei Giganti, combattuta tra il 13 e 14 settembre 1515 tra la Francia e gli Sforza per il controllo del Ducato di Milano. A Sordio Francesci I re di Francia e Connestabile di Borbone installarono il loro quartier generale (Sordio dista da Melegnano poco più di 4 chilometri!).
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el paese si può ammirare la Chiesa di San Bartolomeo datata ante 1669; a pianta longitudinale e due cappelle simmetriche: essa ci mostra la sua facciata molto singolare, suddivisa in tre parti da due contrafforti. La parte centrale termina con un timpano curvilineo con frontone spezzato: un compendio tra linee rette e linee curve. L’entrata principale è anticipata da un protiro, mentre le porte laterali sono decorate da una cornice sempre con terminazione curvilinea. Il breve sagrato della chiesa è delimitato da una balaustra in pietra che lo separa dalla strada. Alla chiesa è addossato il campanile quadrangolare con torre campanaria. Il progetto dell’edificio è di Bovio Bassano, che ha proposto un interno dall’andamento semplice scandito da lesene, a metà Seicento. L’edificio sorge sulla struttura di una chiesa precedente, parecchio più antica (per questa ragione si possono riconoscere elementi architettonici stilisticamente in disaccordo tra loro, sia all’interno che all’esterno). La chiesa conserva un bellissimo coro ligneo intagliato del Regale e del Piacentino di primo Settecento e in pulpito del 1735; presenti anche un prezioso ciborio marmoreo (nella cappella di destra), con simboli di croci intarsiati della prima metà del Seicento, giunto qui dal soppresso convento degli Umiliati che si trovava nella frazione Roncolo.
Tavazzano con Villavesco I
l nome insolito della località è strettamente legato alla sua particolarità di essere classificato come “comune sparso”, con sede a Tavazzano. Villavesco è attestato dal 994, quando venne definito “Villa Episcopi”, da cui Villavesco, vale a dire “villaggio del vescovo”. Sappiamo che almeno dal 1170 queste terre accoglievano un Ospedale dedicato a Santa Maria e a S. Giovanni Battista, nella località detta “Guado”, perché sorgeva nel punto in cui era più facile l’attraversamento del fiume Sillaro. Detto ospedale, costruito per volontà di Oldrado Modalino, crebbe molto grazie ai cospicui lasciti dei fedeli, sino al 1499, quando passò all’Ospedale Maggiore di Lodi. Dal 1189 appartenne ai signori di Salerano e, dal 1657, ai Buttintricchia; da questi passò ai Rezzonico fino al 1796. Tavazzano, invece, anticamente (almeno da 1170) altro non era che un vecchio cascinale che sorgeva sulla strada che congiungeva Milano a Lodi.
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aggregazione definitiva di Tavazzano con Villavesco risale al 1869, ma solo dagli anni Novanta del secolo scorso, anche grazie ad una forte crescita edilizia, i due piccoli centri si sono “saldati” anche urbanisticamente. Cosa visitare a Tavazzano? Di certo la Chiesa di S. Giovanni Battista, inaugurata nel 1960, particolarmente moderna per la sua struttura e le opere ivi contenute. Si tratta di un edificio molto singolare e scenografico, dalle linee chiare e semplici. E’ un bell’esempio di architettura religiosa contemporanea, progettata da Angela Cavò, dalla facciata un po’ spoglia, in cemento, con tre arcate e una grande croce centrale. La Chiesa contiene un antico dipinto con la “Madonna del viandante” e un “S. Giovanni Battista” attribuito ai Piazza di Lodi, insieme ad alcune opere d’arte contemporanea come l’”Ultima Cena” di Alfredo Pettinari del 2001. La chiesa accoglie, inoltre, un nuovo bellissimo sistema di proiezioni architettuali permanenti, installato nel 2008 dalla Beta Nit, una società italiana attiva nel campo dell’ottica e nella ricerca di nuove tecnologie. A Villavesco è possibile apprezzare la Chiesa della Madonna Assunta, eretta nel 1630; l’edificio è a pianta longitudinale, il coro è coperto da una volta a catino e il campanile ha una bella lanterna ottagonale.
Terranova dei Passerini P
iccolo paese (con ben 914 abitanti!) dal nome curioso, situato proprio nel cuore del Lodigiano. Cominciamo dal suo toponimo. Terranova dei Passerini è un villaggio di antichissima tradizione agricola, conosciuto per secoli come “terra nuova” e solo nel 1863 prese ufficialmente il nome completo attuale. Il nome di terra “nuova” dipende dal fatto che si trattava di un nuovo insediamento, costituito da ben sedici agglomerati, agricoli per lo più. La parte del toponimo più curiosa e quel “dei Passerini”...da cosa deriva? In realtà ci si dovrebbe chiedere “da chi?”, poiché Messere Rinaldo detto dei Passerini (forse per la sua piccola statura), era un importante membro della famiglia Bonaccolsi che fu proprietaria delle terre del Lodigiano nel XIV secolo. Egli fu un abile politico, capitano delle truppe imperiali e nominato vicario imperiale da Enrico VII, ma fu anche un perfido tiranno di queste terre. Si pensi che contro Rinaldo scoppiò, nel 1328, la Rivolta di Mantova alimentata anche dai Gonzaga: nello stesso anno il nostro eroe venne ucciso per mano di Luigi Gonzaga e la stessa fine toccò al figlio, decretando la scomparsa della casata dei Bonaccolsi.
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isitando il paese ci si può fermare a visitare alcuni monumenti ecclesiastici, tra cui la Chiesa di San Giacomo Maggiore presso Cascine dei Passerini, datata 1781, suddivisa su tre navate con decorazioni di Luigi Prada e dello Zanolini. Luogo di grande devozione è l’Oratorio della Natività della Beata Vergine, una struttura a parallelepipedo costruita prima del 1710 e l’Oratorio della Visitazione della Beata Vergine (XVI – XVII secolo), posto fuori dal centro abitato, caratterizzato da una copertura a volta a botte e a crociera sulla cappella maggiore, mentre il campanile è annesso al coro sul lato sinistro. Deliziosi anche i due Oratorii di S. Antonio da Padova, il primo del 1925 (presso S. Giacomo), in mattoni che creano fasce decorative che ricordano il neogotico; il secondo è invece una piccola chiesetta in aperta campagna del 1655, con pianta rettangolare, oggi è di proprietà privata ma in disuso. Il territorio sul quale sorge Terranova presenta geologicamente i caratteri di un’area alluvionale, un’immensa pianura nella quale sorgono le storiche cascine lodigiane, la maggior parte risalente al XVIII secolo, come la Cascina Riboni, la Cascina Barattè, la Biraga e Biraghina. Nei pressi di quest’ultima durante la Seconda Guerra Mondiale furono approntati degli scavi per estrarre torba da usare come combustibile: durante l’estrazione furono rinvenuti resti di un villaggio paleolitico su palafitte e molti reperti della vita degli uomini primitivi come punte d’osso, selci lavorate, crani e ossa umane, tutto sfortunatamente andato perduto. Ricordiamo anche le Cascine Mulazzana, Terranova e Biraga che, nel 1629 – 30, ospitarono i Lanzichenecchi, le truppe mercenarie tedesche, durante l’assedio di Mantova.
Turano Lodigiano L
e prime attestazioni riguardanti Turano Lodigiano, Comune prettamente legato all’attività agricola, risalgono al 927. Il paese è attraversato dal Canale Muzza e sorge sulla riva destra del Fiume Adda. Oltre a Turano, il Comune si sviluppa in altre località: Melegnanello, Cascina delle Donne, Mairaga e Molino Terenzano. Sino al 1928 aveva solo il nome di Turano e le forme più antiche del nome erano “Turris Amnis” (torre o fortezza sull’Adda). Alcuni ritengono che proprio dove oggi sorge la chiesa parrocchiale di Turano, prima sorgesse la fortezza, da cui il paese ha tratto il nome. Nel X secolo questo fantomatico castello apparteneva alla famiglia Sommariva, ma a quel tempo fu distrutto dagli Ungari. La proprietà, ricostruita, passò quindi ai Vignati, che la tennero fino al XV secolo, poi ai Mazzonica, una delle famiglie più importanti di Lodi, per volere del re di Francia Luigi XII. A questo periodo risale anche la fondazione del Monastero di S. Lorenzo (post 1485, ante 1502), che fu soppresso nel 1772. Del monastero oggi si possono vedere i resti dell’edificio, ormai alterato e trasformato nella Cascina S. Lorenzo, oggi proprietà privata, ad uso rurale.
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urante il XVI e XVII secolo il feudo fu conteso tra molte famiglie locali: i Modignani, i Visconti, i Corrado, i Cadamosto e i Calderari. Questi ultimi conquistarono Turano nella seconda metà del XVII secolo e lo tennero sino alla fine del feudalesimo. Si ritrovano tracce della presenza di questa importante famiglia nobiliare in alcune opere architettoniche, come la Cascina Cerri, presso Molino Terenzano, dove la masseria fu fatta costruire nel XVIII secolo proprio dalla famiglia Calderari. La cascina comprende anche il coevo Oratorio della Madonna degli Angeli. Sul territorio comunale sorge anche l’Ex Palazzo Calderari, probabilmente poco lontana da dove sorgeva l’antico castello. Si tratta sempre di un’architettura fortificata costruita dopo il 1675 e che oggi è di proprietà privata. In quel di Turano si consiglia una visita alla Chiesa dell’Assunta, risalente al XVI secolo, ad aula unica con cappelle laterali, e che conserva al suo interno una Madonna appartenente al soppresso Monastero di San Lorenzo. L’edificio ha una facciata lineare e molto semplice, all’interno si può apprezzare, nella seconda cappella di destra, un affresco della cerchia di Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone. Il successivo progetto di ampliamento della chiesa è di Bovio Bassano. Merita una visita anche la piccola Chiesa di S. Ilario a Melegnanello, un edificio datato 1527.
Valera Fratta I
l comune di Valera Fratta si trova nella zona nord – ovest della Provincia di Lodi; si tratta di un piccolo paese di antica fondazione, romana secondo i ritrovamenti archeologici e gli studi storici. Proprio dove si trova oggi Valera Fratta, infatti, un tempo sorgeva una “villa rustica”, una sorta di fattoria cui era annessa una necropoli. Durante il Medioevo Valera seguì le sorti dei paesi lodigiani limitrofi e la comunità si sviluppò attorno alla chiesa di S. Zenone sino alla fine del XII secolo: tra il 1170 e il 1200 i monaci cistercensi di Chiaravalle acquistarono una grande parte dei terreni boschivi attorno al paese. A Valera, precisamente dove attualmente sorgono le Cascine Castello e la Cascina Casone (XVIII secolo) i monaci si insediarono edificando la propria grangia, una cascina grande e funzionale, con una serie di servizi all’avanguardia per l’epoca e gestita direttamente dai monaci e da altri laici. Da allora iniziò a delinearsi la distinzione tra Valera Nuova e o “Fratta”, nome con cui si indicava il complesso della grangia e le abitazioni ad essa circostanti, e il più antico insediamento chiamato “Valera Zucca” o “Vetula”, cioè vecchia. Solo alla metà del Cinquecento avvenne, almeno dal punto di vista ecclesiastico, l’unificazione delle due “Valera”.
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l curioso toponimo di Valera Fratta si compone, quindi, di una prima parte, Valera, che deriva dal latino “vallis” cioè valle, cui si aggiunse il suffisso “aria”; la seconda parte deriva da “fractus”, “fracta” al plurale neutro, che significa macchia o disboscamento, o fratta, nel senso di separata. Nel XIV secolo il paese fece parte dei possedimenti dei Visconti, che vi insediarono nei territori la propria riserva di caccia. Di interesse artistico troviamo la Chiesa di San Zenone, edificata su un precedente edificio di culto duecentesco, dipendente dalla chiesa di S. Angelo. La chiesa è a tre navate con presbiterio quadrato, coro rettangolare e cappelle laterali. La facciata è molto semplice, tripartita, con frontone spezzato e decorato da lesene rettangolari. La navata centrale è coperta da quattro volte a crociera a sesto ribassato; il coro ha una curiosa forma ellittica. Le decorazioni dell’edificio sono di Cesare Secchi. Del Castello medievale, invece, non resta traccia. Segnaliamo alcune importanti cascine sul territorio comunale, come la Cascina Bordona del XVIII secolo, lungo la SP 123, la Cascina Boscata, la Cascina Cà Nova, la Cascina Morgana e la Cascina Sacchella.
Villanova del Sillaro V
illanova è una tipica località agricola inserita nella campagna lodigiana, conosciuta per secoli come “Villa Nuova”: “villa” deriva dal latino e con l’aggettivo “nuova”, si intende “nuovo insediamento”. La seconda parte del toponimo si rifà, evidentemente, al corso d’acqua del Sillaro, che scorre proprio nel paese e che, probabilmente, storicamente doveva avere una portata ben superiore. Dai documenti a noi pervenuti, sappiamo che i diritti feudali di Villanova furono detenuti da diverse famiglie, dai Pozzo ai Barbavara, dai Martini, ai Soncino, ai Rho. La casata dei Sommariva fu particolarmente legata alla storia di Villanova: inizialmente ebbe a scontrarsi con Federico Barbarossa, che tolse loro il feudo concedendolo agli Overnaghi. Alla morte dell’imperatore i Sommariva vennero reintegrati nei loro possedimenti e il Cardinale Angelo Sommariva fondò qui un monastero olivetano. A fianco venne edificata anche una chiesa, l’attuale Chiesa di S. Michele Arcangelo, ultimata nel 1480. Il monastero crebbe molto, tanto che nel Seicento ci vivevano ben una trentina di monaci. L’edificio sopravvisse tra incursioni e saccheggi fino al 1796 quando, imposta la soppressione degli ordini religiosi, tutti i beni furono messi in vendita.
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a chiesa è inserita completamente nella campagna, leggermente fuori dal centro abitato. E’ ad aula unica, scandita da tre campate: le prime due sono coperte da volte a crociera costolonate, con decorazioni in stucco. L’ ex Sacrestia Grande è diventata oggi la Cappella della Madonna Bianca. La facciata è a spioventi con contrafforti angolari e pinnacoli. Sull’asse centrale, sopra l’ingresso, vi sono due altre aperture che decorano la facciata, un rosone e una monofora, mentre il campanile risale al 1632. La decorazione della sacrestia è di Cesare Secchi. Consigliamo di visitare anche la Chiesa di S. Leone II Papa, presso la Cascina S. Leone e il Palazzo Radice – Fossati, di origine quattrocentesca e che oggi si presenta in stile barocco lombardo. Oltre a Villanova, il Comune comprende la frazione di Bargano e le Cascine S.Tommaso, Monticelli, S. Maria, Chiaravalle, Galeotta, Postino e Cascinetta. Curiose sono le tante cappellette votive sparse nelle campagne del territorio, tra le quali segnaliamo la Cappella di Santa Giustina del XVIII secolo (lungo la SP 167, a Monticelli), la Cappella della Beata Vergine del Caravaggio (in via degli Olivetani) e il più recente Oratorio di S. Francesco, oggi privato, progettato da Carlo Nazari (lungo la SP 167, a Monticelli).
Zelo Buon Persico
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elo Buon Persico, Comune del Nord Lodigiano, conta oggi quasi settemila abitanti. La vicinanza alla Provincia di Milano ha da sempre segnato la storia del paese e degli zelaschi, così come la presenza, ad est, del fiume Adda che definisce il profilo naturalistico della zona. Grazie alla presenza fluviale, Zelo fu sempre luogo importante per gli scambi: a Bisnate esisteva, almeno dal Cinquecento sino all’età napoleonica, un porto detto “Volante” costituito da due imbarcazioni affiancate tra loro, legate con una corda a due pontili, collocati sulle sponde opposte; questo piccolo porto fu in parte teatro della Battaglia di Agnadello del 1509 contro i Francesi. Dalla metà del Cinquecento appartenne ai Barni, poi ai Principi Tassis, successivamente divenne feudo di altre nobili famiglie, come i Trivulzio, sino alla seconda metà del Settecento. Il nome del paese deriva dalla parola “Agellum”, cioè piccolo campo. Il suffisso “Buon Persico” deriverebbe, secondo un documento del XII secolo conservato all’archivio vescovile di Lodi, da un certo Gompertus, che qui viene citato come proprietario di alcuni terreni di Zelo.
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alla fondazione medievale il paese è sempre stato legato alla tradizione agricola, anche se negli ultimi anni anche il settore agricolo (alimentare e tessile in particolare), ha visto una discreta crescita, nella zona che costeggia la Strada Paullese. Da Zelo dipendono ben sei frazioni: Bisnate (retta per più di cento anni dai Conti Cani), Casolate (che fu proprietà del Vescovo di Lodi; dalla metà del Seicento sino alla fine del feudalesimo il feudo fu ceduto ai Conti Melzi Malingegni), Mignete (che appartenne ai Conti Cani, poi ai Bonesana, ai Crivelli e anche all’Ospedale Maggiore di Milano), Molinazzo, Muzzano e Villa Pompeiana, insieme ai complessi della Cascina Giussana e della Cascina Molinetto. Le origini di Villa Pompeiana sono lacunose, ma con ogni probabilità il suo nome è legato alla presenza di una villa (e di un porto fluviale) di proprietà del patrizio romano Cneo Pompeo Strabone. La frazione fu del Vescovo di Lodi, poi dei Berinzaghi, Barni, Cani, Trivulzio e Modignani. Qui si può ancora ammirare i ruderi dell’antica chiesa di S. Maria di Montebello o di Pizighetono, le vecchie case dei contadini e, andando verso Mignete, scorgiamo la Chiesa di San Michele, che è stata restaurata da un privato, poi venduta alla Provincia di Lodi e oggi viene usata per riunioni o incontri di vario genere. Vicino alla chiesetta, in una depressione del terreno, passa la Muzzetta, che va a gettare le sue ultime acque dentro l’Adda.
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er gli amanti dell’arte il territorio offre un patrimonio di interessanti edifici ecclesiastici, come la Chiesa di Sant’Andrea, a Bisnate, a navata unica e sei cappelle laterali, tre per parte, risalente al XVII secolo. Si accede all’edificio salendo una breve scalinata e passando sotto un elegante protiro. La facciata è tripartita, lineare, terminante con un timpano semicircolare e decorata da statue di angeli suonatori; sopra il portale appare nel grande tondo affrescato S. Andrea. Internamente, sulla controfacciata, si può ammirare il grande organo del maestro Luigi Riccardi. Segnaliamo anche altri edifici ecclesiastici, come la Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo (a Mignate), la Chiesa di S. Pietro (a Casolate, la chiesa presenta in impianto curioso, centrale oblungo, con un insolito orientamento nord – sud), e la Chiesa di S. Alessandro (a Bisnate, che conserva la cappella nobiliare dei De Cani ed alcune preziose decorazioni di Vincenzo Foppa). Per gli amanti della natura, invece, consigliamo una visita al Parco Ittico Paradiso, per una passeggiata che vi permetterà di conoscere la natura ed in particolare fauna e flora degli ambienti d’acqua dolce. Esteso su 130.000 metri quadrati, è stato formato dal fiume Adda che, deviando in passato il suo corso, ha ritagliato un territorio ricco di sabbie e ghiaie, ma povero di humus e quindi poco interessante dal punto di vista agricolo.
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ato alla fine degli anni Ottanta come allevamento ittico e arricchitosi spontaneamente di nuove specie di fauna e flora, il complesso è stato poi riqualificato come struttura naturalistica e, allo scopo di renderlo ancora più ricco e vario, sono stati ricreati numerosi ambienti fluviali e palustri modificando il corso dei canali progettati per l’allevamento e ripopolati di nuove specie ittiche e arboree. Oggi il Parco offre l’opportunità di osservare vari ambienti naturali a pochi metri l’uno dall’altro, con il vantaggio per i ragazzi di apprezzare le caratteristiche specifiche di ognuno, confrontandolo con gli altri. (Il Parco Ittico Paradiso è aperto da marzo a settembre dalle 9:00 alle 17:30, mentre il sabato e nei giorni festivi sino alle 19:00. Da ottobre a febbraio il Parco è chiuso. Per info: info@parcoittico.it, www.parcoittico.it).
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