La critica impura. Analisi degli interventi sul porno dagli anni Settanta a oggi

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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna FACOLTÁ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di Laurea in D.A.M.S.

LA CRITICA IMPURA ANALISI DEGLI INTERVENTI SUL PORNO DAGLI ANNI SETTANTA A OGGI

Tesi di Laurea in Istituzioni di Storia del Cinema

Relatore: Chiar.mo Prof. GIACOMO MANZOLI

Presentata da: ALESSANDRO BERTI

Correlatore: Dott. CLAUDIO BISONI

Sessione II Anno accademico 2005-2006


a Beatrice

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INDICE

INTRODUZIONE.............................................................................................5 1.

BREVE STORIA DEL CINEMA PORNO..................................... 7

2.

LE FONTI TEORICHE...................................................................... 12 2.1. Marcuse, padre della desublimazione repressiva............................12 2.2. L’erotismo animale di Bataille...........................................................18 2.3. Il teorico della rivoluzione sessuale.................................................. 21 2.4. Della seduzione di Baudrillard.........................................................26 2.5. Barthes & Sade...................................................................................28 2.6. Deleuze e la rivalutazione di Masoch...............................................30 2.7. Ars erotica o scientia sexualis?..........................................................34 2.8.

3.

Per una pornografia ontologica....................................................... 36

TENTATIVI DI DEFINIZIONE DEL GENERE PORNOGRAFICO................................................39

4.

TRIPARTIZIONE DEI DISCORSI ................................................ 55 4.1. La perdita della buona distanza....................................................... 57 4.1.1. Michele Capozzi, il pornologo.................................................57 4.1.2. L’autore Coniglio..................................................................... 58 4.1.3. Video.........................................................................................61 4.2. La posizione intermedia: Pietro Adamo...........................................67 4.2.1. La pornografia e i suoi nemici.................................................67 4.2.2. Il porno di massa..................................................................... 73 4.3. Gli interventi teorici...........................................................................78 3


4.3.1. Stoller: per un’introduzione al porno....................................... 79 4.3.2. La prospettiva Hard core di Linda Williams...........................82 4.3.3. L’approccio cinefilo di Filmcritica.......................................... 86 4.3.4. Un po’ di fanta-catto-comunismo............................................88 4.3.5. Salotti e Lo schermo impuro.................................................... 92 4.3.6. Uno sforzo collettivo................................................................95 4.3.7. L’istituzione della censura vista da Coetzee............................99

5.

RUOLO DEL FEMMINISMO NEL DISCORSO SUL PORNO......................................................101 5.1. Nadine Strossen, la liberale che difende la pornografia.....................102 5.2. Il Porno manifesto di Ovidie..............................................................106 5.3. Erika Kaufmann: la psicanalista con licenza di critico......................110 5.4.

6.

La rivista Jump Cut........................................................................... 111

LA VISIONE ESTERNA: DIALOGO CON GUALTIERO DE MARINIS ..............................................119

CONCLUSIONI............................................................................................ 124

FILMOGRAFIA............................................................................................127

SITOGRAFIA................................................................................................ 129

BIBLIOGRAFIA...........................................................................................130

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INTRODUZIONE

L’ambito di questo studio riguarda il rapporto tra la critica cinematografica e il genere pornografico. Vengono presi in considerazione sia articoli apparsi su riviste di cinema sia saggi e testi sulla pornografia. L’obiettivo non è quello di definire il fenomeno della pornografia in sé, né di offrire una teoria del genere pornografico, quanto piuttosto quello di creare una mappatura dei discorsi sul porno, evidenziare eventuali modalità discorsive ricorrenti e costruire un quadro d’insieme. I limiti temporali di questo lavoro coprono uno spazio di trent’anni. Preso come punto d’inizio il 1975, lo studio si sviluppa fino al 2005 osservando le varie tipologie di interventi sul cinema porno. Il 1975 è l’anno di uscita di Salò o le centoventi giornate di Sodoma; questo film rappresenta l’occasione per molti critici di introdurre il discorso della rappresentazione pornografica al cinema. La stessa possibilità è offerta l’anno successivo da Ecco l’impero dei sensi. Inoltre la decisione di prendere come punto di partenza questa data deriva dall’espansione dei film a luci rosse nei circuiti cinematografici mondiali. Il 1972 vede l’uscita negli Stati Uniti di Deep Throat, in Italia Gola profonda. Rappresenta universalmente la data di nascita del cinema hard mondiale e il suo arrivo in Italia nel 1977 causa la comparsa delle luci rosse davanti a qualche sala. Sono state prese in considerazione per la ricerca le principali riviste italiane di cinema: “Cineforum”, “Filmcritica”, “Il Patalogo”, “Bianco e nero”, “Cinema nuovo”, “Segnocinema”, “Cinema Sud”, “Ciak”, “Nocturno”, “La rivista del cinematografo” ed una rivista dedicata ai prodotti audiovisivi in generale che prevedeva un inserto fisso sui film hard, “Video”. Le riviste sono il luogo preferito per esporre un’opinione sul fenomeno del genere pornografico, e il dibattito è stato particolarmente vivo dalla fine degli anni Settanta. Lo studio dei testi prende in considerazione le opere uscite in Italia di maggior rilievo e anche scritti di autori stranieri che hanno avuto influenza sui critici italiani. I testi provenienti dall’estero sono anche antecedenti il 1975, come nel caso de La rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich, testo del 1930, più volte citato nei discorsi sul porno. Il primo capitolo traccia una breve storia della pornografia. Si parte dalle prime proiezioni per adulti rivolte al singolo spettatore nei kinetoscopi di fine Ottocento, quindi viene analizzato l’iter grazie al quale la pornografia è diventata di massa. Particolare attenzione è dedicata allo sviluppo dei primi anni Settanta dapprima nel mercato statunitense, in seguito con l’avvento delle videocassette in 5


Europa. Un rapido sguardo su Internet offre una panoramica sul nuovo medium attualmente preferito per la diffusione del porno. Di seguito, il secondo capitolo stabilisce un quadro teorico che funge da sfondo per i vari interventi critici. Qui vengono analizzate e contestualizzate le fonti maggiormente utilizzate nei discorsi. I modelli più citati sono esclusivamente stranieri: Marcuse, Reich, Foucault, Bataille, Baudrillard, Barthes, Bazin e Deleuze. Il terzo capitolo raccoglie diversi tentativi di definizione del genere pornografico. Per descrivere il nascente genere sono stati utilizzati numerosi strumenti tra i quali paradigmi semiotici, sociologici e talvolta medici. Nel quarto capitolo è proposta una tripartizione dei discorsi che prende in considerazione tutti gli interventi analizzati sia sulle riviste che sui testi. L’obiettivo è di delineare delle analisi discorsive e creare uno studio sui discorsi che tenga in considerazione eventuali modalità ricorrenti. La posizione femminista è illustrata nel quinto capitolo, attraverso articoli apparsi sulle riviste di cinema citate e testi pubblicati anche all’estero. Un punto di vista importante è rappresentato dalla rivista statunitense Jump Cut, che qui viene assunta come luogo d’elezione per l’esposizione delle tesi legate alla critica femminista “militante” (più che alla Feminist Film Theory). A concludere un’intervista a Gualtiero De Marinis, tra i primi in Italia a scrivere sul porno su una rivista di cinema specializzata.

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1. BREVE STORIA DEL CINEMA PORNO

La data di nascita ufficiale del cinema pornografico si ritiene coincida con l’uscita americana di Deep Throat nel 1972. Ma come riporta Salotti, “qualcuno ha detto che Mona è una specie di Nascita di una nazione del cinema pornografico”1, in riferimento al film di Bill Osco nel 1970. Si attribuisce anche una paternità dubbia a Gabriele D’Annunzio circa il primo film porno italiano. In realtà è un’impresa difficile trovare una data precisa, se si pensa che alcuni lavori fotografici commissionati prima della nascita del cinema, oggi sono considerati dei precursori del porno. Intorno al 1870, il fotografo inglese Muybridge compie degli studi sulla locomozione umana utilizzando modelli nudi; stessa pratica adottata da Marey con i suoi fucili cronofotografici. Questi studi precedenti allo sviluppo del cinema, introducono la tematica del nudo, ma per il resto non sono definibili come materiali pornografici. La critica si presenta quasi all’unanimità nel riconoscere The Kiss di John C. Rice, come prima esperienza erotica sullo schermo; si tratta del bacio filmato in primo piano tra lo stesso Rice e May Irvin. I cataloghi Pathé di inizio secolo sono ricchi di scénes grivoises à caractère piquant, mentre altre cineteche hanno interi reparti di spezzoni erotici senza titolo, catalogati sotto il nome di Unidentified sexploitation. L’unica prerogativa di queste riprese, è fornire immagini a sfondo sessuale, senza alcun tipo di narrazione. E’ inevitabile che con lo sviluppo del cinema tradizionale, anche questi materiali assumano una forma più stabile; degni di nota per i loro sforzi narrativi sono La bonne auberge, francese del 1908, Free Ride, con cittadinanza statunitense del 1915 e Saffo e Priapo, databile tra il 1921 e il 1922. La differenza con i documenti precedenti riguarda l’introduzione dell’aspetto narrativo nelle vicende riprese. Il caso di Saffo e Priapo è noto all’interno della storia del cinema italiano, in quanto le didascalie riportano la paternità del film a Gabriele D’Annunzio. Come nota Paolo Cherchi Usai “attribuito al Vate per ciò che il cartiglio iniziale annunciava, [Saffo e Priapo] ha goduto dell’instabile reputazione dovuta a un prodotto privo di identità autoriale ma nondimeno circondato da un’aura di preteso valore estetico” 2. Negli Stati Uniti i primi materiali porno ancora privi di una dimensione narrativa sono chiamati stag, brevi documenti a cavallo di inizio secolo; la curiosità di vedere delle immagini in movimento, Salotti Marco, Lo schermo impuro. Il cinema pornografico dalla clandestinità alle luci rosse, Editore Del Grifo, Siena, 1982, p. 94. 2 Cherchi Usai Paolo, “Il caso di Saffo e Priapo (1921-1922) e le origini del cinema porno” in Bianco e nero, n. 1, gennaio-marzo, 1988, p. 114. 1

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è ancora il motivo di attrazione principale dello spettatore. Linda Williams pone in rilievo che la visione di cose nascoste nella vita ordinaria come il seno e gli organi sessuali, rappresenta la ragione per cui la narratività non si è sviluppata subito; infatti, commenta la studiosa, se gli stag propongono dei contenuti straordinari per il pubblico, “who needs more?” 3. Le proiezioni negli Stati Uniti seguono lo sviluppo della tecnologia del cinema; prima sono trasmessi dai kinetoscopi per la visione di una sola persona, poi vengono proiettati per una visione collettiva. In Europa, si inserisce il materiale hard nei club privati, cercando di eccitare il cliente e indurlo a soddisfare i desideri con le prostitute a sua disposizione. Fino a metà degli anni Cinquanta il porno vive nella clandestinità, non sviluppa la sua specificità strutturale e resta relegato nelle zone del proibito. Negli Stati Uniti con la proiezione dei primi nudies e di documentari sui campi nudisti, la pornografia vede un barlume di spazio su cui affacciarsi. Con The Immoral Mr. Teas nel 1959, Russ Meyer riprende le vicende di un uomo che dopo essere andato dal dentista, sviluppa l’abilità, condivisa dal pubblico, di vedere attraverso i vestiti. Con questi film si sviluppa la dimensione narrativa, e in più la grande novità è la proiezione sul grande schermo in maniera legale e pubblica. Ma prima che sequenze hard tipiche degli stag venissero integrate nei lungometraggi di inizio anni Settanta, ci sono altri stadi intermedi come i beaver film: un sottogenere illegale dello stag dove sono riprese donne che si spogliano mettendo in mostra il pube. La diffusione di questi film si affida alle strutture dei peep-show oppure alla spedizione del materiale a casa. Il passo successivo è l’approdo all’action beaver, dove le protagoniste si scambiano delle effusioni. Contemporanea a questi stadi sperimentali del porno, è la diffusione di documentari sulla Danimarca, paese dove viene liberalizzata la pornografia. “Nel giugno 1967 (per quanto riguarda la letteratura) e poi nel giugno 1969 (materiali fotografici e filmici) il codice penale danese viene modificato in modo da decriminalizzare la produzione e la distribuzione della pornografia, trasformando in breve tempo il paese in un centro di irradiazione di materiali hard core”4. Nei primissimi anni Settanta si scopre quindi la possibilità di produrre e diffondere materiali hard, in primo luogo su riviste e poi su filmini, i cosiddetti loops: letteralmente “cerchi”, indicano il particolare meccanismo che permette la riproduzione continua del filmato senza bisogno di ricaricarlo. Mantengono la stessa caratteristica primitiva dell’assenza di narrazione, ma la loro produzione si caratterizza per i contenuti estremi; la violenza, oppure pratiche radicali come il sadomaso, l’urofilia, il fisting sono inserite in queste produzioni generaliste. Il 1970 indica una delle possibili nascite del genere pornografico; infatti Bill Osco dirige il primo 3

Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, p. 71. 4 Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 1.

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film di hardcore pornography, vale a dire di pornografia “dura”, dove gli atti sessuali non sono mimati ma compiuti veramente sulla scena. Si intitola Mona: The Virgin Nymph, interpretato da Fir Watson, e vi si riconosce anche una struttura drammatica. Due anni più tardi esplode il fenomeno Deep Throat, film costato 25.000 dollari e che ne ha fruttati oltre 50 milioni. Sulla scia del successo, escono Behind the Green Door dei Mitchell Brothers e The Devil in Miss Jones ancora di Damiano intorno al 1972. Questi film definiscono i codici della rappresentazione tipica hard; suono in presa diretta, ricorso sistematico al primo piano, costruzione di un impianto narrativo credibile. Come accennato in precedenza, il materiale porno nelle sue diverse forme ha sempre circolato nell’ambito dell’illegalità; è datato 1969 negli Stati Uniti il primo intervento giuridico sulla produzione di porno. Si tratta della sentenza Stanley v. Georgia che definisce lecita la visione del porno nella propria abitazione. In pieno spirito sixties la sentenza è interpretata in chiave permissiva: quindi se è lecita la fruizione, di conseguenza non viene perseguitata la produzione, la distribuzione e la commercializzazione. L’anno successivo la commissione nominata da Lyndon Johnson nel 1968 per definire uno sguardo sulla pornografia, stabilisce che quest’ultima non ha effetti negativi sulla società, nonostante le esplicite descrizioni di violenza. Il successore di Johnson, il repubblicano Nixon si discosta dalle conclusioni liberali della commissione con questi termini: “se si adottasse un atteggiamento permissivo nei riguardi della pornografia, ciò contribuirebbe alla creazione di un’atmosfera che ammetterebbe l’anarchia in ogni altro campo e aumenterebbe sia le minacce per il nostro ordine sociale sia quelle per i nostri principi morali” 5. La sentenza Stanley v. Georgia e le conclusioni della commissione danno il via libera tuttavia alla circolazione dell’hard e rendono quindi vani qualsiasi intervento delle autorità locali; nel 1973 il porno negli Stati Uniti totalizza quasi un quarto degli incassi totali dei cinema. Questo successo inizia a creare fastidi all’esterno del mondo dei pornografi, dunque verso la metà del 1973 la Corte Suprema sotto il controllo di Nixon, emana una serie di decreti noti collettivamente come Miller v. California. Di fatto viene revocata la protezione federale ai prodotti pornografici e restituito il potere agli enti giudiziari locali. Lo storico del cinema John Lewis sostiene che la sentenza sia stata ispirata dai grandi tycoons hollywoodiani, spaventati dal successo del porno 6. Anche in Europa la pornografia è liberalizzata; nel 1973 la Repubblica Federale Tedesca e nel 1975 la Francia approvano una legge che legittima la pornografia. In Italia la situazione è sempre stata incerta; nessuna presa di posizione o condanna ufficiale, una politica impostata sul laissez-faire alternata a iniziative decisamente reazionarie spesso spinte da singoli individui. Tra i magistrati antiporno più noti vi sono a partire da metà anni Settanta, il pretore di Palermo Vincenzo Salmeri, il procuratore generale dell’Aquila Massimo Bartolomei, il sostituto procuratore generale di Milano 5 6

Kendrick Walter, The Secret Museum, Viking, New York, 1987, p. 219. Lewis John, Hollywood v. Hard Core, New York University Press, New York-London, 2000, p. 98.

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Nicola Cerrato, il pretore di Civitavecchia Antonio Lojacono e il sostituto procuratore di Roma Alfredo Rossini; tutti protagonisti di sentenze, ordini di sequestro e condanne sulla pornografia. Il governo laburista britannico nel 1977 convoca un comitato, noto con il nome del suo presidente, il filosofo Bernard Williams, costituito da membri di estrazione più varia rispetto alla commissione Johnson. Quest’ultima è composta da professori di diritto e di sociologia, rappresentanti di varie confessioni, esperti di cinema ed editoria mentre la commissione Williams vede al suo interno presidi, giornalisti e operatori sociali. Due anni più tardi il comitato presenta una visione della pornografia in chiave moderata, riconoscendo la libertà del porno ma consigliando delle strategie di limitazione. Tornando agli Stati Uniti, nel 1980 compare un’altra storica sentenza che modifica definitivamente l’aspetto dell’hard; viene censurato il doppio fisting vaginale presente nel film di Bob Chinn Candy Stripers del 1978. La scena incriminata si presenta solare e priva di morbosità, come pure il resto del porno anni Settanta, il quale fa appello alle situazioni estreme per esprimere la sua tendenza alla liberazione e all’apertura dei costumi; da questa data quindi, la produzione si de-estremizza. Ma la più famosa commissione è datata 1985 ed è voluta da Ronald Reagan con l’esplicito compito di confutare le conclusioni troppo liberali del rapporto Johnson. L’anno successivo la commissione con a capo Edwin Meese composta quasi esclusivamente da conservatori, tra i quali si alleano destra cristiana e gruppi di femministe, esprime una serie di condanne senza appello. Ci sono anche dei membri che si dissociano da queste conclusioni accusando la commissione di aver pesantemente manipolato le prove. E’ chiaro lo slittamento verso un atteggiamento più repressivo nella terza commissione; se nelle prime due, la Johnson e la Williams, il rapporto causale tra fruizione della pornografia e predisposizione a commettere atti violenti è messo in forte dubbio, la Meese dichiara questo rapporto chiaro e fondato su (discutibili) prove in laboratorio. Sul tema riguardo l’immagine reificata e degradante della donna, l’atteggiamento riflette un orientamento sempre più conservatore; la commissione Johnson esclude che questo sia uno degli effetti della pornografia. Il comitato Williams dichiara semplicemente che i gruppi femministi giudicano più importante la libertà d’espressione che la necessità di reprimere la pornografia; mentre la commissione Meese giunge a definire questo elemento “una precisa causa della discriminazione delle donne” 7 nella società. La convinzione principale alla base della commissione Meese è che “la pornografia è nociva perché indebolisce la nozione di famiglia come solo contesto di una sessualità moralmente accettabile per la società”8. Inoltre la commissione non si lascia sfuggire la possibilità di utilizzare le posizioni teoriche sul realismo fotografico di Bazin; egli nota come la rappresentazione della morte e dell’atto 7 8

Hawkins G. e Zimring F.E., Pornography in a Free Society, Cambridge University Press, Cambridge, 1988, p. 81. Arcand D., Il giaguaro e il formichiere, tr. it. Garzanti, Milano, 1995, p. 91.

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sessuale sia oscena, richiamando un concetto di “pornografia ontologica” 9. Tuttavia prima dei vari comitati d’inchiesta, il cinema pornografico conosce la rivalità con gli altri media: in primis la televisione e le videocassette. In Italia dal 1977 le neo-televisioni private attraverso l’escalation dagli spogliarelli di casalinghe, passando per i film erotici, arrivano a trasmettere film porno senza censura. Le antenne private resistono fino a metà anni Ottanta, quando tra vive proteste dei comitati e crociate antiporno dei magistrati, la tecnologia introduce la videocassetta e per il genere porno al cinema è segnata la morte ufficiale. Come ricorda Adamo “il cinema è solo uno dei supporti possibili del porno, e non tra i più convenienti” 10, quindi ogni nuova tecnologia si serve del porno come testa d’ariete per sfondare nel mercato; è successo così con le videocassette, con i primi servizi telefonici a pagamento e una rapida occhiata a qualsiasi rete di scambio di materiale sul web tramite peer-to-peer, dà un’idea del ruolo centrale del porno. Diventa ormai un prodotto di massa grazie alla diffusione del videoregistratore a metà anni Ottanta e, due lustri più tardi, alle potenzialità maggiori della Rete. In queste nuove situazioni si riciclano anche molti registi del porno classico su pellicola e dagli Stati Uniti all’Italia il passaggio al nuovo modo di girare, porta ingenti differenze soprattutto di carattere produttivo. I costi irrisori del nastro magnetico e la versatilità maggiore del nuovo supporto offrono la possibilità di creare in maniera maggiore rispetto agli inizi. Nascono prodotti confezionati in un giorno, in più si apre la possibilità al tradizionale utente di pornografia di realizzare i suoi film in casa; denominato amatoriale, è uno dei sottogeneri che riscuotono più successo. La motivazione si può leggere nella stanchezza di vedere i soliti performer curati e perfetti, accompagnata da un’esigenza di tipo realista dello spettatore. Gli ultimi sottogeneri nati e che si diffondono prevalentemente tramite Internet sono i casting, gli amateur e i gonzo, i quali condividono un’estetica realista e la possibilità infinita di una struttura seriale. Naturalmente la premessa di realismo spesso si traduce in un’esca per attirare l’utente e la messinscena realista cela al contrario un’accurata produzione. Un’ultima caratteristica del porno contemporaneo è l’ampia differenziazione tra i sottogeneri; inutile tentare una lista che risulterebbe sempre incompleta, basti pensare che per ogni pratica sessuale esiste il suo corrispettivo all’interno di film specializzati e che digitando le parole chiave su un motore di ricerca sarà data la possibilità di avere a ciascuno il suo.

2. LE FONTI TEORICHE Bazin André, Che cosa è il cinema?, presentazione, scelta dei testi e traduzione di Adriano Aprà, Garzanti, Italy, 1973, riedizione 1999, p. 212, titolo originale, Qu’est-ce que le cinéma?I II III IV, Editions du Cerf, 1958, 1959, 1961, 1962. 10 Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 11. 9

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Negli interventi di riflessione teorica il richiamo a studiosi passati è molto frequente; al contrario la critica “bassa” raramente utilizza riferimenti alti. Nella maggior parte delle volte si tratta di un semplice rimando a opere che in passato hanno trattato argomenti simili al concetto di pornografia, come per esempio l’erotismo, oppure l’evoluzione del concetto di sessualità, i rapporti tra la società e gli aspetti riconducibili all’Eros. Il filosofo che conta il maggior numero di citazioni è Herbert Marcuse con Eros e civiltà, L’uomo a una dimensione e Saggio sulla liberazione. Il secondo è Bataille con L’erotismo. Poi spesso anche La rivoluzione sessuale, un testo di Wilhelm Reich del 1930, viene chiamato in causa; iniziano a ottenere meno sguardi di riflessione e di spunto Della seduzione di Baudrillard, Sade, Fourier, Loyola di Roland Barthes, la Presentazione di Sacher Masoch di Gilles Deleuze, La volontà di sapere di Michel Foucault e i brevi cenni sulla tematica sesso/rappresentazione di André Bazin in Che cosa è il cinema?. Prendiamo ora in considerazione singolarmente ciascuna influenza degli autori citati.

2.1

MARCUSE, IL PADRE DELLA DESUBLIMAZIONE REPRESSIVA

E’ l’esponente di spicco della Nuova Sinistra e conta il maggior numero di citazioni nei testi e negli articoli. Quando si recupera il suo lavoro, lo si fa in nome del carattere rivoluzionario del pensiero e delle idee. Propone il concetto interessante della desublimazione repressiva, ripreso da Adamo11 e da Coetzee12. Il primo, delineando un quadro storico delle teorie degli anni Sessanta, lo inserisce tra l’avvento dei beat e degli hippy negli Stati Uniti e il mancato tentativo di rivoluzione sessuale progettato già dagli anni Trenta da Wilhelm Reich. Le teorizzazioni di Reich saranno chiaramente esposte nel prossimo capitolo, per adesso basti sapere che la sua idea fondamentale è la trasformazione della società – nei suoi aspetti del lavoro, del piacere, del potere, dello stato, dell’individuo- attraverso un’esplicazione libera, dinamica e orgiastica della sessualità.

Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004. Coetzee J. M. Pornografia e censura, tr. it. di Maria Baiocchi, Donzelli, Roma, 1996, titoli originali Taking offense; “Lady Chatterley’s Lover”: the taint of the pornographic; The harms of pornography: Catherine MacKinnon, in Giving offense, the University of Chicago, 1996. 11

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Coetzee lo cita riguardo ai principi liberali e lo prende come esempio di sguardo lucido sul presente: secondo “Marcuse (…) nel XX secolo (…) gli Stati hanno sviluppato tecniche di utilizzazione della tolleranza per fini sottilmente repressivi” 13. La desublimazione repressiva è ripresa durante una tavola rotonda sulla pornografia nel 1976 dai critici de “La rivista del cinematografo” e Arosio ne dà una definizione molto chiara: “Come è noto, secondo Marcuse, il permissivismo erotico della società dei consumi, mentre dà agli individui l’illusione di riuscire a sottrarsi alla repressione sessuale imposta da una società che ha bisogno di funzionalizzare persino il rapporto erotico ai bisogni della produttività, in realtà finisce per aggravare l’alienazione, in quanto elimina quel tanto di liberatorio che permaneva nei processi di sublimazione, cioè nel tentativo degli individui di trasferire i valori istintuali repressi su un piano più alto, esprimendoli in termini di arte” 14. Passiamo a osservare più da vicino le opere principali di Marcuse che hanno influenzato la critica. I testi ai quali si fa riferimento sono stati fondamentali per i movimenti studenteschi del 1968 assieme al sostegno delle opere di Mao e Marx. Delle tre opere in questione il primo a uscire è Eros e civiltà nel 1955, tradotto in Italia nel 1964 da Einaudi con una fondamentale introduzione di Giovanni Jervis in cui chiarisce le premesse teoriche di Marcuse. La conoscenza di Totem e tabù e di Il disagio della civiltà di Freud permettono al pensatore di sostenere che il consorzio umano parte dalla repressione degli istinti, necessaria da parte della società. Mentre dal paradigma marxista acquisisce la tesi dell’alienazione: nella società capitalista la condizione dell’uomo si richiama al suo lavoro alienato, per Marx la liberazione è la presa di possesso degli strumenti di produzione, per Marcuse invece la liberazione consiste nella riconquista della fantasia e del gioco (liberazione dal, e non del, lavoro). La tesi principale di questo testo è che “la manipolazione sociale delle anime e la scienza delle relazioni umane forniscono la necessaria catessi della libido” 15; con il termine catessi si indica la concentrazione dell’attività di pensiero su un’idea o un soggetto. Quindi le autorità provvedono alla soddisfazione della carica sessuale e dell’aggressività dei soggetti. “La direzione scientifica dei bisogni istintuali è da tempo divenuta un fattore di vitale importanza per la riproduzione del sistema: le merci che debbono essere comprate e consumate sono trasformate in oggetti di libido; e il Nemico nazionale che deve essere combattuto ed odiato è distorto e gonfiato in modo tale da poter scatenare e soddisfare l’aggressività che si cela nella profondità dell’inconscio. La democrazia di massa fornisce l’armamentario politico per realizzare

Ivi, p. 35. AAVV, “La violenza pornografica”, in La rivista del cinematografo, anno 49, n. 6, giugno, 1976, p. 232. 15 Marcuse Herbert, Eros e civiltà, tr. it. di Lorenzo Bassi, Einaudi, Torino, 1964 e 1967, p. 50, titolo originale Eros and Civilisation. A Philosophical Inquiry into Freud, The Beacon Press, 1955. 13 14

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questa introiezione del principio di realtà. […] La gente, efficacemente manipolata ed organizzata, è libera: ignoranza, impotenza e eteronomia introiettata costituiscono il prezzo della sua libertà” 16. Il linguaggio utilizzato risente dello stile e dei contenuti di Marx e di Freud, si trovano combinati concetti come sistema o merce assieme a libido e inconscio. La civiltà è poi analizzata nel suo evolversi attuale prendendo in considerazione luoghi coinvolti in conflitti come il Vietnam, il Congo, il Sudafrica e l’Alabama e sostiene che proprio nel nome della libertà vengono perpetrati dei crimini contro l’umanità. La similitudine con la situazione attuale è evidente se si fa riferimento anche solamente al nome con cui viene chiamata l’operazione militare in Iraq: Enduring Freedom. “Il popolo, la maggioranza del popolo nella società opulenta, è dalla parte dell’ordine così com’è non come potrebbe e dovrebbe essere. E l’ordine costituito è sufficientemente forte e sufficientemente efficiente da giustificare questa adesione e da garantirne il perpetuarsi” 17. Secondo Marcuse quindi il sistema capitalistico attuale ha bisogno della continua escalation di guerre e l’opposizione alla guerra diventa uno strumento per opporsi alla radice del sistema. Per ottenere ciò, è necessaria la diffusione di un sapere non controllato e non manipolato. Scindendo i contenuti politici, gli interventi teorici fanno riferimento al controllo dell’eros da parte della società e sostengono che la diffusione della pornografia sia indispensabile per creare un controllo; per questo motivo è spesso ripreso il concetto di desublimazione repressiva presente in L’uomo a una dimensione, libro del 1964, giunto in Italia appena tre anni dopo. Grazie a questo testo Marcuse diventa, all’interno della Scuola di Francoforte, il leader della Nuova Sinistra che si distingue dalla “Vecchia” per l’atteggiamento critico nei confronti dell’Unione Sovietica. Nell’introduzione dal titolo “La paralisi della critica: la società senza opposizione” 18, la posizione dello studioso rivela che la società nella quale vive è, nell’insieme, irrazionale; il fatto che la maggior parte della popolazione la accetti in quanto tale non ne giustifica una presunta possibilità di essere razionale. Uno degli aspetti più inquietanti della civiltà industriale avanzata è il carattere razionale della sua irrazionalità. La contraddizione interna di questa civiltà, l’elemento irrazionale nella sua razionalità è la presenza simultanea di una tendenza alla piena realizzazione della razionalità tecnologica e gli sforzi intensivi per contenere tale tendenza entro le istituzioni stabilite. La pace è mantenuta grazie a una continua minaccia di guerra e a una repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l’esistenza- individuale, nazionale e internazionale. Ivi, p. 45. Ivi, p. 30. 18 Marcuse Herbert, L’uomo a una dimensione, tr. it. di Luciano Gallino e Tilde Giani Gallino, Einaudi, Torino, 1964 e 1991, p. 4, titolo originale One-Dimensional Man. Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, Beacon Press, Boston, 1964. 16 17

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Questa repressione agisce da una posizione di forza. Riesce a domare le posizioni centrifughe grazie alla Tecnologia; il ruolo di quest’ultima consiste nell’istituire nuove forme di controllo sociale riuscendo anche a determinare i bisogni e le aspirazioni individuali. La razionalità tecnologica è divenuta quindi razionalità politica. Una teoria critica della società contemporanea ha il dovere di comprendere le radici e le possibili alternative storiche di questa società. Al fine di porre le premesse teoriche corrette per affrontare la questione, Marcuse sostiene che “L’uomo a una dimensione oscillerà da capo a fondo tra due ipotesi contraddittorie: 1) che la società industriale avanzata sia capace di reprimere ogni mutamento qualitativo per il futuro che si può prevedere; 2) che esistano oggi forze e tendenze capaci di interrompere tale operazione repressiva e fare esplodere la società. Io non credo si possa dare una risposta netta; ambedue le tendenze sono tra noi; fianco a fianco, ed anzi avviene che una includa l’altra.” 19 La società tende a essere autoritaria in termini economico-tecnici, riesce a manipolare i bisogni; i bisogni umani sono bisogni storici, sono determinati dalla società che definisce le istituzioni e gli interessi sociali al momento prevalenti nella misura in cui la società stessa richiede lo sviluppo repressivo dell’individuo. Marcuse opera quindi una distinzione tra bisogni veri e bisogni falsi. I bisogni falsi sono sovrimposti all’individuo da parte di interessi sociali particolari cui preme la repressione: tali bisogni hanno un contenuto e una funzione sociali determinati da potenze esterne, sulle quali l’individuo non ha alcun controllo. I soli bisogni che hanno diritto illimitato a essere soddisfatti sono quelli vitali: il cibo, il vestire, un’abitazione adeguata. L’unico che può definire i propri bisogni, è l’individuo in una situazione di libertà derivata da una presa di coscienza della condizione di schiavitù; lo scopo ideale è la sostituzione dei bisogni falsi da parte di quelli veri e l’abbandono della soddisfazione repressiva. I prodotti manipolano l’individuo e producono una falsa coscienza; creano un modo di vivere e per tale via emergono forme di pensiero e di comportamento ad una dimensione. “Il pensiero a una dimensione è promosso sistematicamente dai potenti della politica e da coloro che li riforniscono di informazioni per la massa. […] La società avanzata fa del progresso tecnico e scientifico uno strumento di dominio” 20. Nel testo si affronta anche il rapporto tra cultura alta e realtà sociale, sottolineando che sono sempre state su due piani diversi, su due diverse dimensioni. Adesso attraverso l’inserimento in massa dei valori culturali nell’ordine stabilito avviene la loro riproduzione ed esposizione su scala massiccia. Funzionano quindi da strumenti di coesione sociale; la cultura alta diventa parte della cultura materiale, e perde, nel corso della trasformazione, la maggior parte della sua verità.

19 20

Ivi, p. 70. Ivi, p. 98.

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In contrasto al concetto marxiano, l’alienazione artistica consiste nella trascendenza consapevole dell’esistenza alienata. Si apre la questione sul fatto che le opere alienanti e alienate di una cultura perdano la loro carica eversiva a causa della diffusione in massa. La risposta va cercata nel regno della cultura dove il nuovo totalitarismo si manifesta precisamente in un pluralismo armonioso, dove le opere e le verità più contraddittorie coesistono pacificamente in un mare di indifferenza. Platone, Hegel, Baudelaire, Bach, Marx, Freud tornano in vita come classici, ma in questa versione tornano in vita come altri da sé, privati della loro forza antagonista, dell’estraniazione che era la dimensione stessa della loro verità. L’intento e la funzione di queste opere sono mutati, mentre un tempo contraddicevano lo status quo, la contraddizione è stata ora appianata. L’alienazione artistica è sublimazione, di conseguenza la trasmissione commerciale a fini economici delle opere rappresenta una sorta di desublimazione. Il “principio di piacere” assorbe il “principio di realtà”; la sessualità viene liberata (o meglio liberalizzata) in forme socialmente costruttive. Il sesso è integrato nelle relazioni di lavoro come nelle relazioni pubbliche; per questo gli si permette di trovare più facilmente soddisfazione (controllata). Una rapida allusione a questi due principi se la concede Davide Ferrario in un articolo sul film di Morrissey Flesh. Osservando la vita del protagonista, un prostituto interpretato da Joe Dallesandro, nota un momento in cui sta giocando con un bambino su un tappeto e sottolinea il modo in cui “il principio di piacere si svincola dal principio di realtà imperante nel resto del film” 21. Il concetto di desublimazione controllata implica la possibilità di uno scarico simultaneo di sessualità repressa e di aggressività. La desublimazione istituzionalizzata si presenta come un aspetto della “conquista della trascendenza” attuata dalla società unidimensionale. Nella conclusione Marcuse dichiara una posizione nettamente pessimista; per avere una società libera e razionale sarebbe necessario un nuovo Soggetto storico, situazione impossibile allo stato attuale delle cose. Una delle tesi fondamentali del filosofo è che le società europee siano delle blockierte Gesellschaft, società bloccate dal punto di vista politico, culturale e anche sul piano della speranza in un cambiamento futuro. Il motivo circa la visione pessimista sul futuro riguarda la considerazione sulla classe operaia ormai come parte integrante del sistema sociale e quindi incapace di assumere il ruolo di soggetto storico atto a portare avanti delle innovazioni radicali. La Scuola di Francoforte dà molta importanza al concetto di totalità nelle sue ascendenze hegeliane e marxiane; l’applicazione di tale concetto porta Marcuse a un pessimismo radicale che non vede spiragli per un possibile cambiamento nelle società industriali avanzate se non nelle frange dei diseredati.

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Ferrario Davide, “Paul Morrissey. Flesh”, in Cineforum, 176, luglio-agosto, 1978, p. 462.

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Nel 1979, Giampaolo Bernagozzi su “Cineforum” in un articolo sulla rappresentazione della violenza al cinema ripropone ancora la “creatura” preferita partorita dalla mente di Marcuse: “E’ la marcusiana “desublimazione repressiva” che esplode là dove la civiltà industriale avanzata democratizza le autorizzazioni allo sfogo (una volta privilegi della classe alta) e questa forma di compenso serve a rafforzare il governo che la consente e le amministrazioni che somministrano il compenso”22. Il ruolo dell’intellettuale nei movimenti studenteschi diventa di prima rilevanza; il Saggio sulla liberazione23 è pubblicato e importato in Italia nel medesimo anno, il 1969. Si analizza come l’opposizione al modello del capitalismo non permetta al mondo socialista di svilupparsi, ma anzi lo costringa a una posizione di difesa e competitiva. Esiste comunque una via alternativa rappresentata dal cosiddetto grande rifiuto, il quale assume varie forme; esempi sono reperibili in Vietnam, Cina, Cuba, America Latina e in generale nell’opposizione studentesca. Queste forze non vanno sopravvalutate, ma indicano alla società le possibilità per sviluppare una società socialista qualitativamente diversa da quella esistente. “Hanno risuscitato uno spettro […]: lo spettro di una rivoluzione che subordina lo sviluppo delle forze produttive e l’elevazione del tenore di vita alla creazione di una solidarietà tra gli uomini, che porti all’abolizione della povertà e del bisogno al di là di ogni frontiera nazionale e di sfera d’interessi, e al raggiungimento della pace. In una parola: essi hanno tolto l’idea di rivoluzione dal continuum della repressione, e l’hanno posta nella sua dimensione autentica: quella della liberazione” 24. Ritorna anche il concetto circa la scienza e la tecnologia e la loro caratteristica di essere dei veicoli di liberazione, i quali però diventano a loro volta veicoli della dominazione a causa dell’utilizzo e condizionamento nella società repressiva. Cita proprio questo testo Grossini nel suo libro del 1982 25, affermando la tesi che la liberalizzazione sessuale ricrea un sistema di potere oppressivo che definendo cosa è lecito guardare, definisce una falsa trasgressione; quest’ultima si consuma solo infatti nel campo delle immagini e della fantasia, unici luoghi dove è permesso un illusorio trasgredire del comune senso del pudore. Secondo Grossini “la morale sessuale della pornografia è di tipo repressivo, che sta ad indicare (sulla traccia di Marcuse) un abbassamento della tensione erotica nell’amore e nei rapporti interpersonali, caratterizzati invece dalla incomunicabilità e dalla espropriazione dei sentimenti grazie a sistemi di organizzazione del lavoro che limitano sempre più lo spazio vitale e creativo dell’individuo il quale delega ad altri anche l’esercizio della sessualità. Ecco perché la pornografia circola liberamente e Bernagozzi Giampaolo, “Per una violenza esplicita contro il potere: l’eros nel cinema off”, in Cineforum, 186, agosto, 1979, p. 411. 23 Marcuse Herbert, Saggio sulla liberazione. Dall’”uomo a una dimensione” all’utopia, tr. it. di Luca Lamberti, Einaudi, Torino, 1969, titolo originale An Essay on Liberation, copyright di Herbert Marcuse, 1969. 24 Ivi, p. 38. 25 Grossini Giancarlo, I 120 film di Sodoma. Analisi del cinema pornografico, Dedalo, Bari, 1982. 22

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con un allentamento del tutto fittizio delle catene al tabù sessuale” 26. La prospettiva marxista di Grossini lo spinge a prendere una posizione netta nei confronti del ruolo dei mass media sostenendo come “il potere del capitalismo abbia soffocato lo sviluppo della coscienza e dell’immaginazione; i suoi mass media hanno adattato le facoltà razionali ed emotive del pubblico ai suoi mercati e alla sua politica e le ha indirizzate alla difesa del proprio dominio” 27. Nel 1979 appare su Il Patalogo un estratto tradotto dell’articolo di Yann Lardeau dai Cahiers du cinéma28. Anche in questo caso il concetto marcusiano ripreso è quello della desublimazione repressiva. “Neutralisation du sexe, désublimation répressive, certes – mais là, par contre, se lit tout l’imaginaire du politique et du scientifique […] l’obsession de vérité, de tout savoir, que rien n’échappe à la connaissance, d’épuiser et de saturer le réel jusque dans ses interstices, […] panoptisme dont la caméra, dans sa capacité à reproduire parfaitement le réel, est le procédé technique achevé”29.

2.2

L’EROTISMO ANIMALE DI BATAILLE

“La personalità (della donna) muore e lascia il posto alla cagna che gode urlando” 30 A differenza di Marcuse, Bataille viene citato di solito per uno solo dei suoi libri. L’erotismo, pubblicato nel 1957, tratta aspetti correlati come la violenza, l’oscenità, il divieto, la trasgressione e la morte. “ “Io non sono un filosofo, ma un santo, forse un pazzo”, diceva Georges Bataille (Puy-de Dôme, 10 settembre 1897 – Parigi, 9 luglio 1962), che è stato, o comunque ha aspirato a essere tutto, interessandosi alla filosofia come all’arte, alla sociologia come all’economia, all’etnografia come all’antropologia, all’erotismo come alla violenza, alla criminalità come alla religione e ad altro ancora”31. In questa sede prenderemo in considerazione solo gli interventi sull’erotismo.

Ivi, p. 81. Ivi, p. 94. 28 Lardeau Yann, “Il sesso meccanico”, in Il Patalogo uno, Ubulibri Il Formichiere, Milano, 1979, p. 141. L’articolo di Lardeau compare con il titolo completo “Le sexe froid. ( Du porno et au dela)” sui Cahiers du cinéma, 289, giugno, 1978, pp. 49-63. 29 Lardeau Yann, “Il sesso meccanico”, in Il Patalogo uno, Ubulibri Il Formichiere, Milano, 1978, p. 142. (Tr. it. “Neutralizzazione del sesso, desublimazione repressiva, certo. In compenso, vi si legge tutto l’immaginario del politico e dello scientifico […] l’ossessione della verità, del saper tutto, del non lasciar sfuggire nulla alla conoscenza, di esaurire e saturare il reale fino nei suoi interstizi […] pan-otticismo di cui la macchina da presa, nella sua capacità di riprodurre il reale, è il processo tecnico perfetto.”). 30 Bataille Georges, L’erotismo, traduzione di Adriana Dell’Orto, Es, Milano, 1991, p. 163, prima edizione Les editions de minuit, Paris, 1957. 31 Tratto dall’introduzione di Oreste Del Buono al romanzo L’azzurro del cielo di Georges Bataille. 26 27

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Esso è definito come l’approvazione della vita fin dentro la morte e come una forma particolare dell’attività sessuale di riproduzione. La caratteristica che lo differenzia dalla semplice funzione riproduttiva, è una ricerca psicologica indipendente dal fine naturale e non estranea alla morte. Un altro aspetto ripreso negli interventi è la coincidenza tra la sfera dell’erotismo e la sfera della violenza; quest’ultima è esclusa dall’universo del lavoro, poiché è riconducibile sia alla riproduzione sessuale sia alla morte. Qui Bataille si trova d’accordo con Sade il quale sostiene che il movimento d’amore, portato alle sue estreme conseguenze, sia un movimento di morte. Adamo in Il porno di massa utilizza Bataille per sostenere le sue tesi. Nell’ambito del discorso del femminismo antiporno statunitense nota come intorno agli anni Ottanta la critica femminista e quella liberals abbiano prediletto un tipo di pornografia politically correct. Obbietta quindi in questa maniera: “ Se la pornografia ha un qualche merito culturale […] lo fa perché mette in scena pulsioni, desideri e fantasie primordiali, che rimandano a zone sommerse della psiche e della coscienza. In altri termini, esplicita, sia pure nella forma mediata e non particolarmente riflessiva della produzione culturale di massa, uno dei lati oscuri dell’Occidente, quella zona in cui la sessualità si coniuga con forze ed esperienze primarie dell’esperienza umana, la violenza, il sangue, la morte, il sacrificio”32. Citando esplicitamente Bataille, Adamo ne condivide la teoria sulla confluenza nella sfera sessuale di aspetti come la morte, il sacrificio, la violenza. In seguito Adamo nel capitolo “Sesso violenza stupro: intorno all’immaginario pornografico” 33, assume un’altra teoria basilare da L’erotismo, l’inscindibilità della sessualità dalla violenza. Bataille sostiene che la messa in opera erotica abbia come principio la distruzione della struttura dell’essere chiuso. “Bataille non assimila l’interrelazione sessuale in sé allo stupro, ma ne sottolinea la componente di annichilimento, che si estrinseca al meglio proprio attraverso la violenza e che esprime, come tensione e movimento piuttosto che come realizzazione dell’atto supremo della distruzione dell’altro […], la volontà di “dissoluzione dell’essere costituito nell’ordine del discontinuo”, vale a dire una momentanea apertura sulla totalità dell’essere. […] E tale processo non può verificarsi se non attraverso la violenza e la violazione: è in questo elemento che Bataille rintraccia l’assonanza tra sessualità e sacrificio. La violenza del sesso e la morte nel sacrificio hanno la funzione di spalancare la porta sul sacro, di aprire a forza una dimensione in cui si coglie con pienezza la totalità dell’essere” 34. Adamo quindi utilizza Bataille in chiave sociologica per uno studio sull’individuo, cercando di mostrare come può agire l’erotismo nella persona. Deleuze invece, nella Presentazione di SacherMasoch, lo utilizza per uno studio sul linguaggio di Sade. Attraverso Bataille illustra come “ il Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 175. Ivi, p. 189. 34 Ivi, pp. 203-204. 32 33

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linguaggio di Sade è paradossale perché è essenzialmente il linguaggio di una vittima. Soltanto le vittime possono descrivere le torture; i carnefici usano necessariamente il linguaggio ipocrita dell’ordine e del potere costituito” 35. Il tema della trasgressione è invece ripreso da Coetzee in Pornografia e censura36 nel capitolo riguardante la vicenda giudiziaria sulla pubblicazione integrale nel 1960 che ha coinvolto L’amante di Lady Chatterley di Lawrence. Si pongono interrogativi sulla presenza di tabù, dato che il rapporto tra la protagonista e il guardacaccia “trasgredisce almeno tre regole: è adulterino; viola i confini di casta ed è a volte “contro natura”, ovvero anale” 37. In questo caso Bataille è utilizzato per la sua concezione del ruolo della trasgressione. “La trasgressione organizzata assieme al tabù fanno della vita sociale quello che è. La frequenza- e la regolarità- della trasgressione non ledono l’intangibile stabilità del divieto, poiché ne sono anzi il completamento…proprio come l’esplosione segue alla compressione.[…] Il modo migliore di ampliare e moltiplicare i desideri è cercare di frenarli”38. Nelle riviste di cinema il primo a citare Bataille è Roberto Nepoti nel suo articolo-fiume su “Bianco e nero”39 nel 1978. Questo articolo attinge a diverse fonti: Deleuze, Barthes, Marcuse, Bataille, Reich, Foucault, Baudrillard. Dapprima utilizza l’autore de L’erotismo per affermare una tesi contraria; riprende la tipica dichiarazione sul fatto che la proibizione esista per essere violata, per evidenziare come invece si produca sullo spettatore di un film porno un effetto di castrazione. Secondo Nepoti si creerebbe un’insopportabile ripetizione degli stessi atti sessuali, mentre “la soddisfazione dell’investimento libidico dovrebbe attuarsi sulla base del rapporto reichiano carica/scarica. Nel pubblico del pornofilm si verifica, al contrario, il solo fenomeno di scarica, non preceduto da una carica adeguata. Immobile nello spazio fantasmatico del cinema, immerso nel buio della sala uterina, lo spettatore-voyeur pratica un coitus interruptus dal quale uscirà vergognoso e frustrato”40. Appare un po’ debole questa affermazione, soprattutto adesso che la pornografia trova una diffusione enorme attraverso Internet, luogo per eccellenza dove trovare anche solo estratti da film di rapporti sessuali o sequenze di montaggio costruite proprio sul meccanismo della semplice ripetizione.

Deleuze Gilles, Presentazione di Sacher Masoch. La ricerca dei modi con cui opera la repressione, tr. it. di Mario de Stefanis, Iota, Milano, 1973, p. 5, titolo originale, Presentation de Sacher-Masoch, Editions de Minuit, Paris, 1967. 36 Coetzee J. M. Pornografia e censura, tr. it. di Maria Baiocchi, Donzelli, Roma, 1996, titoli originali Taking offense;“Lady Chatterley’s Lover”: the taint of the pornographic; The harms of pornography: Catherine MacKinnon, in Giving offense, the University of Chicago, 1996. 37 Ivi, p. 65. 38 Ivi, nota 10, p. 76. 39 Nepoti Roberto, “Cinema pornoerotico. Le pratiche del dis-piacere”, in Bianco e nero, 5-6, settembre-dicembre, 1978, pp. 3-65. 40 Ivi, p. 9. 35

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Nelle prime righe di un capitolo dedicato alla storia del porno 41, Nepoti nota come le numerose avanguardie abbiano rivestito di una carica rivoluzionaria la pulsione sessuale, dal surrealismo all’underground americano. Inoltre Marx vede la formazione della coppia come il primo atto per l’abolizione della proprietà privata e viene ricordato il possibile fine sacrale della trasgressività di Bataille42. Ritorna in maniera tradizionale sul concetto della trasgressione anche Scibilia su “Segnocinema”; ricordando come per Bataille l’erotismo sia esercizio della trasgressione, il critico richiama un paragone con l’animale che non è mai stato citato da L’erotismo. “La bellezza è infatti per Bataille una sorta di tabù che idealizza il corpo, sottraendolo ad ogni somiglianza con l’animale; il desiderio sessuale viola la bellezza e riconduce il corpo all’animalità, violando a sua volta il tabù; in questo modo si produce godimento”43. Per una visione d’insieme si tengano in considerazione altri due aspetti presenti nel testo originario. Bataille richiama i rapporti Kinsey, il primo, Il comportamento sessuale dell’uomo del 1948, e il secondo, Il comportamento sessuale della donna del 1954. Ricordando che a volte nell’uomo emerge l’animalità, Bataille sottolinea come il sesso sia di per sé una cosa, mentre il comportamento sessuale rappresenta un’attività funzionale della cosa-sesso. I rapporti Kinsey hanno permesso di parlare del comportamento sessuale come di una cosa, ma il godimento non è assolutamente una cosa. L’animalità, in altre parole l’esuberanza sessuale, è in noi ciò per cui non possiamo essere ridotti a cose. Riscontriamo anche un accenno che richiama Marx e anticipa le conclusioni di Marcuse; Bataille asserisce quanto l’umanità in ciò che ha di specifico, il tempo del lavoro, tenda a fare di noi delle cose, a spese dell’esuberanza sessuale. Esiste quindi una incompatibilità di fondo tra la coscienza connessa al lavoro e la vita sessuale.

2.3

IL TEORICO DELLA RIVOLUZIONE SESSUALE

L’interpretazione dei sogni compare nel 1900, quando Reich ha tre anni. Il giovane Wilhelm in seguito diventa un allievo diretto di Freud, per poi però intraprendere una sua carriera personale di studi. Elabora una teoria basata sulla scoperta dell’orgone, una forma energetica che permea tutto l’universo e rappresenta la congiunzione tra la vita e la morte. Nel passato altre teorie orientali Ivi, “Barbarella nel regno di Tartufo”, p. 12. Ibidem, “E’ appunto Bataille a rilevare come soltanto l’uomo abbia fatto “della propria attività sessuale un’attività erotica: ciò che differenzia la semplice attività dall’erotismo è una ricerca psicologica indipendente dal fine naturale insito nella riproduzione” (G. Bataille, “L’erotismo”)”. 43 Scibilia Giovanni, “Le trasgressioni di eros”, in Segnocinema, 44, luglio, 1990, p. 26. 41 42

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hanno posto alla base del sistema della vita un principio unico di energia onnipresente come lo Yin Yang, il Prana, e anche i Greci hanno disquisito sull’esistenza dell’Etere. La critica scientifica non riconosce la teoria di Reich come valida, in quanto non esistono prove scientifiche che la supportino. Per questo e anche per le sue idee politiche, Reich ha sempre trovato ostilità nel suo ambiente; quando nel 1927 si iscrive al partito comunista, si isola completamente dai suoi colleghi, tutti appartenenti alla borghesia. Partendo da premesse freudiane, lo psicanalista si convince che esista un nesso tra la repressione sociale e la repressione della sessualità. Questi argomenti saranno ripresi anche da Marcuse (si veda il capitolo precedente a proposito). A parte la svolta del 1927 che lo allontana completamente dalla comunità scientifica, le similitudini con Freud sono chiare: entrambi riconoscono la centralità dell’aspetto sessuale nella psicanalisi, Freud sostiene la presenza di movimenti pulsionali come forze motrici della psiche, la libido, accettata anche da Reich e intesa come valore psichiatrico. La teoria dell’istinto di morte elaborata dal padre della psicanalisi è invece rigettata da Reich: il primo crede che sia radicato nell’uomo, mentre il secondo lo ritiene una pulsione secondaria rispetto alla funzione primaria che rimane quella vitale. Un’altra differenza riguarda i metodi di lavoro, risultati di esperienze diverse; Freud aderisce in pieno ai metodi della scuola tradizionale, quindi opta per l’ipnosi, l’analisi dei sogni e la ricerca di eventuali traumi del paziente nel suo passato. Non convinto della sufficienza di una buona pratica psicoterapeutica, Reich agisce sulla base che la scoperta e la rimozione dei “blocchi psichici” può essere facilitata dall’eliminazione dei “blocchi fisici”. Per questo conduce numerosi esperimenti per sbloccare le tensioni muscolari psicosomatiche, certo che una terapia della mente non possa prescindere da una cura del corpo. Ma la prassi accolta con più entusiasmo da Reich comprende l’ipotesi che a una forma di rilassamento fisico si debba associare una sorta di liberazione mentale mediante il rilascio a livello cerebrale di endorfine. All’epoca il sistema più noto (e semplice) per produrre le endorfine era l’orgasmo: qui si fonda, a torto o a ragione l’importanza che Reich dà all’orgasmo e di conseguenza alla liberazione dei costumi sessuali al fine di rendere l’uomo più libero e consapevole della propria sessualità e dei legami tra una sessualità repressa e l’insorgere di patologie psicofisiche. Non va dimenticato il contesto storico e geografico in cui vive Reich: è l'inizio del ventesimo secolo in una Europa continentale contadina e borghese, almeno trent’anni prima del movimento del '68, quando per la prima volta nel mondo viene messa in dubbio l'etica sessuale in vigore in Occidente. Per le sue teorie sulla sessualità e i suoi appelli pubblici per la liberazione dei costumi Reich è passato alla storia, considerato unanimemente il “profeta” di quella rivoluzione sessuale che scuote l'Europa tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta. Reich tende a identificare la salute psichica con la 22


liberazione della sessualità; passando sul piano politico, questa teoria da psicologica diventa sociologica e condanna la società dell'epoca, vista come borghese e oscurantista. Riesce così nel non difficile compito di coniugare Marx e Freud, accusando la classe dominante di mantenere l’ordine sociale, e con esso la propria supremazia, reprimendo il libero manifestarsi dell’energia sessuale. La morale sessuale dominante nella società e nella famiglia si manifesta in sostanza, tramite una struttura psichica che reprime le pulsioni sessuali, generando nevrosi ed infelicità. Nella prefazione della seconda edizione nel novembre del 1935, Reich chiarisce il suo punto di vista. “E’ l’energia sessuale a governare la struttura dei sentimenti e del pensiero umani. La sessualità (in termini fisiologici, le funzioni del parasimpatico) è l’energia vitale per sé. Reprimerla significa turbare le funzioni fondamentali della vita, non solo nel campo medico, ma in generale. La più importante espressione sociale di questo fatto è l’azione irrazionale, il misticismo e la religiosità, la prontezza a fare guerre, ecc. Il punto di partenza di una politica sessuale, perciò, deve essere: Qual è la ragione della repressione della vita amorosa dell’uomo? […] Poiché il nucleo del funzionamento psichico è la funzione sessuale, nucleo di una psicologia pratica non può essere altro che una politica sessuale. Questo fatto si riflette nella letteratura e nel cinema: il novanta per cento dei romanzi e il novantanove per cento dei film e dei lavori teatrali sono produzioni il cui richiamo si basa su bisogni sessuali insoddisfatti. […] Certo non sarà possibile dominare l’attuale processo culturale se non si comprende il fatto che il nucleo della struttura psichica è la struttura sessuale, e che il processo culturale è determinato essenzialmente dai bisogni sessuali. […] Se 1800 milioni di abitanti del mondo capissero le attività dei cento diplomatici che li guidano tutto andrebbe bene. Allora la società e i bisogni umani non sarebbero più governati secondo gli interessi dell’armamento e le esigenze politiche. Ma questi 1800 milioni di individui non riusciranno a essere padroni del loro destino finché non acquisteranno consapevolezza delle loro modeste vite personali. A impedirglielo sono due forze intime: il moralismo sessuale e il misticismo religioso”44. Una contraddizione riscontrata in Freud riguarda la filosofia della civiltà; l’ottica freudiana prevede che alla base dello sviluppo di una società, ci sia la repressione e la rinuncia degli istinti. Quindi repressione e soppressione sono due fattori fondamentali per il progresso, mentre la storia dimostra che esistono società di alta civiltà che non conoscono una repressione sessuale e hanno una vita sessuale assolutamente libera. Un aspetto conservatore della società è l’istituzione del matrimonio, fondato su interessi economici. “La morale del matrimonio è l’ultima espressione ideologica della società e come tale permea il

Reich Wilhelm, La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, Milano, 1965, pp. 10-15, titolo originale Die Sexualitat im Kulturkampf, 1930. 44

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pensiero e l’azione di ogni riformatore conservatore rendendo impossibile ogni vera riforma sessuale.”45. Altri aspetti conservatori sono costituiti dalla famiglia autoritaria come apparato educativo e la pretesa dell’astinenza sessuale dei giovani come logica misura per l’educazione al matrimonio monogamico. Secondo Reich, una severa morale sessuale che non tiene in considerazione le naturali esigenze sessuali, porta a risultati opposti. Il matrimonio monogamico porterebbe il maschio all’adulterio, mentre la castità per le ragazze le condurrebbe alla prostituzione. La ripresa di Reich si ha nel saggio di Roberto Nepoti pubblicato su Bianco e nero nel 197846. Lo studioso ne riconosce l’importanza storica e lo affianca a Freud: “Dalle acquisizioni freudiane della civiltà costituitasi sulle norme repressive, alle teorie di Reich secondo il quale la funzione sessuale messa al bando si esprime in forme deviate e pornografiche e dà origine all’autoritarismo, dall’opposizione marcusiana tra principio del piacere e principio di prestazione fino alle estensioni aggiornate dei desiderativi categorici deleuze-guattariani, che fanno della storia un modello dicotomico desiderio/repressione, le posizioni più accreditate sembrano confermare la correttezza della lettura di un divieto normativo al discorso sessuale” 47. Un accenno a Reich lo concede anche Renato Stella 48; lo unisce a Marcuse e a Malinowski nella persuasione che la repressione sessuale non sia uno strumento di civilizzazione, come sostiene invece Freud in Totem e tabù del 1913, ma piuttosto una forza conservatrice e reazionaria. Adamo riprende Reich in entrambi i suoi libri, rilevando come serva da fonte per i discorsi teorici della rivoluzione sessuale negli anni Sessanta. Nel testo del 1996 la sua utilità è accostata a Marcuse:“Per quel che riguarda il sesso, gli argomenti venivano ripresi da Wilhelm Reich, da Herbert Marcuse e dai loro epigoni (Paul Goodman, Norman Brown, Wayland Young), i quali sostenevano che la famiglia, il matrimonio e le relazioni sessuali basate sull’autorità e il dominio, nonché la tecnocrazia e il capitalismo, sarebbero stati distrutti da una generale liberazione della libido, lasciando il posto a una “società dionisiaca” fondata sul principio del piacere” 49. Anche ne Il porno di massa Reich è trattato nel capitolo della rivoluzione sessuale, in maniera più approfondita rispetto al libro precedente. Adamo utilizza un’elegante definizione di Theodore Roszak per definire la rivoluzione sessuale nei Sessanta: “Da quel dissenso è emerso il più ambizioso progetto di ricerca per la valutazione dei valori culturali mai prodotto da qualsiasi società. Tutto è stato rimesso in gioco: la famiglia, il lavoro, l’istruzione, il successo, l’educazione Ivi, p. 44. Nepoti Roberto, “Cinema pornoerotico. Le pratiche del dis-piacere”, in Bianco e nero, 5-6, settembre-dicembre, 1978, pp. 3-65. 47 Ivi, pp. 3-4. 48 Stella Renato, L’osceno di massa. Sociologia della comunicazione pornografica, Franco Angeli, Milano, 1991. 49 Adamo Pietro, La pornografia e i suoi nemici, il Saggiatore, Milano, 1996, p. 33. 45 46

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dei giovani, la relazione tra maschio e femmina, la sessualità, l’urbanizzazione, la scienza, la tecnologia, il progresso”50. Da questa definizione Adamo ne ricava due diverse accezioni. La prima, più generica e diffusa, fa riferimento alle differenze a livello di mentalità e di costume, rese possibili grazie a un maggiore permissivismo nell’etica sessuale. Qui rientrano le innovazioni come il divorzio, l’aborto, la legalizzazione delle coppie di fatto, gli atteggiamenti legislativi che mirano a una parità tra l’uomo e la donna, le novità nell’abbigliamento. La seconda accezione “indica una specifica teoria dalle implicazioni sessuologiche, psicologiche, sociologiche e infine politiche, sviluppata soprattutto negli anni Cinquanta (con prodromi in anni precedenti) allo scopo di produrre mutamenti decisivi non solo nelle istituzioni occidentali, ma nell’immaginario della politica. […] Per questi innovatori la società va trasformata alle radici – nella concezione del lavoro e del piacere, del potere e della comunità, dello stato e dell’individuo – attraverso un’esplicazione libera, dinamica e orgiastica della sessualità. E’ qui che si registra la maggiore ambiguità del tema “rivoluzione sessuale”: se da un lato gli anni Sessanta hanno innescato mutamenti sociali e culturali decisivi, questi si sono però rivelati ben lontani dall’attuare quel progetto rivoluzionario di totale sovversione del mondo capitalista e industriale sognato da Wilhelm Reich ancora negli anni Trenta” 51. In definitiva ogni studioso che ricorre a Reich, ha due possibilità davanti a sé. Può semplicemente ricordare il suo ruolo precursore nella storia della cultura occidentale e le tesi sostenute con molta audacia. Questo è lo stadio in cui si fermano Nepoti e Stella. Oppure,secondo l’esempio di Adamo, si procede oltre evidenziando come queste teorie siano rimaste incompiute a livello tecnico, ma abbiano ugualmente una loro importanza. In altri termini le conclusioni di Reich anche se non hanno uno sbocco rivoluzionario, riescono a esercitare la loro influenza sull’evoluzione dei costumi e sul pensiero di intellettuali posteriori.

50 51

Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 21. Ivi, pp. 25-26.

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2.4

DELLA SEDUZIONE DI BAUDRILLARD

Già nel titolo originale, De la séduction, si riscontra il desiderio di rimandare ai saggi latini, prendendo in esame un argomento specifico e lasciando scorrere in maniera libera dei pensieri. Baudrillard compone questo saggio attraverso paralleli nella storia dell’arte, della letteratura, della filosofia e del cinema. Richiama lavori di Kierkegaard, Laclos, Baudelaire, i trompe-l’oeil e la pornografia in generale, accomunandoli con il concetto di seduzione. Essa porta lungo la sua tradizione, accezioni in prevalenza negative; è sempre stata vista riferita al male e alla dimensione dell’artificio. Non vanta quindi un’eredità limpida come i valori universali della bellezza o della natura, al contrario ha vissuto sempre nell’ombra. Baudrillard parte dalla posizione freudiana riguardo all’esistenza di una sola sessualità, un'unica libido, quella maschile, mentre il femminile, e qui si trova il segreto della sua potenza, è sempre stato altrove. La potenza del femminile è appunto quella della seduzione. Le donne però non si rendono conto della potenzialità che detengono, e alla struttura fallocratica non oppongono mai la seduzione; esse “non capiscono che la seduzione rappresenta la signoria dell’universo simbolico, mentre il potere rappresenta solo la signoria dell’universo reale”52. Ammettendo con Freud che l’anatomia sia il destino, la seduzione vi si oppone con forza, riesce a spezzare la sessualizzazione che si produce sui corpi e l’economia fallica che ne deriva. Baudrillard individua l’incertezza della femminilità come punto di forza e apre una parentesi sul travestitismo; i travestiti non sono né omosessuali né transessuali, la loro caratteristica è di giocare con i segni e creare situazioni in cui la seduzione abbia un ruolo fondamentale. Tornando alle donne, le detentrici di quella potenza irresistibile che è la seduzione, lo studioso offre il suo punto di vista sul rapporto con l’uomo: “E d’altronde, c’è poi stato davvero un potere fallocratico? Forse, tutta questa storia di dominio patriarcale, di fallocrazia, di privilegi maschili immemorabili, è solo una storiella stravagante. […] Perfettamente plausibile, e in qualche modo più interessante, è l’ipotesi inversa, e cioè che il femminile non sia mai stato dominato: è sempre stato dominante”53. La fortezza fallica sarebbe stata eretta per contrastare proprio questa spinta femminile, e si nota come il maschile esista solo in virtù di un enorme sforzo di sopravvivenza. La causa di questo sarebbe una sorta di ribaltamento della teoria freudiana dell’invidia del pene, e cioè una gelosia dell’uomo per il potere di fecondazione della donna. Questa posizione originale è condivisa anche dal comico Daniele Luttazzi, che durante un suo spettacolo racconta in chiave umoristica di come da piccolo abbia sofferto di invidia dell’utero. Baudrillard Jean, Della seduzione, a cura di Pina Lalli, Cappelli, Bologna, 1980, p. 17, titolo originale De la séduction, Paris, Galilée, 1979. 53 Ivi, pp. 26-27. 52

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Un secondo aspetto che riguarda l’oppressione delle donne è l’espropriazione del godimento. Su questo punto anche Linda Williams sottolinea come il punto più vulnerabile di contraddizione del testo hard sia l’incapacità, la cecità di rendere visibile il piacere della donna (si veda il capitolo dedicato ad Hard core in “Gli interventi teorici”). Dopo queste premesse, Baudrillard apre un capitolo sulla pornografia e il suo funzionamento partendo da un parallelo con la pittura: “il trompe-l’oeil toglie una dimensione allo spazio reale: questa è la sua seduzione. La pornografia, al contrario, aggiunge una dimensione allo spazio del sesso, lo rende più reale del reale – e questo la priva di seduzione” 54. Quindi la pornografia porta a uno sguardo troppo ravvicinato, ci si appressa alla realtà in maniera microscopica e si raggiunge qualcosa di diverso dal reale, l’iperreale. Secondo lo studioso, l’iperrealismo è una condizione contraria alla seduzione, il continuo fornire dati ulteriori della realtà finisce col rendere lo spettatore troppo passivo e incapace di restituire qualcosa in termini di immaginazione. “Alla pornografia si fa comunemente un doppio processo – l’uno per manipolazione sessuale a fini ben noti di disinnesco della lotta di classe (sempre la vecchia “coscienza mistificata”), e l’altro per corruzione commerciale del sesso – il vero, il buono, quello che si libera e che fa parte del diritto naturale. Così, la pornografia maschera o la verità del capitale e dell’infrastruttura, oppure quella del sesso e del desiderio. Invece, la pornografia non maschera assolutamente nulla (è proprio il caso di dirlo) – non è un’ideologia, e cioè non è qualcosa che nasconda la verità, ma è un simulacro, e cioè l’effetto di verità che nasconde che quest’ultima non esiste. La pornografia dice: c’è un sesso buono da qualche parte, dato che io ne sono la caricatura” 55. Si ha dunque una definizione di pornografia come un’ossessione maniacale del reale, una dimensione dell’iperrealismo, priva di seduzione. Sono proprio queste le posizioni più riportate all’interno dei discorsi sul cinema porno. Stella dopo aver citato il concetto elaborato da Baudrillard, afferma: “L’iperrealtà pornografica entra appieno nella funzione di accessorio sessuale, essa garantisce che le cose che si vedono sono accadute davvero, che il sesso che si rappresenta non è artificiale né falso” 56. Il pensiero sull’iperrealismo della pornografia è la tesi più convincente e maggiormente citata del testo di Baudrillard. Di fatto anche Roberto Nepoti su Bianco e nero, condivide il suo punto di vista. “Secondo le affermazioni di Baudrillard, ciò che ci affascina non è la nostra inclusione in un’opera, bensì e precisamente l’esclusione da essa, che si determina in base alla perfezione interna del testo. La fascinazione dello spettatore non pertiene dunque alla trasparenza, ma piuttosto alla sua

Ivi, p. 44. Ivi, pp. 54-55. 56 Stella Renato, L’osceno di massa. Sociologia della comunicazione pornografica, Franco Angeli, Milano, 1991, p. 182. 54 55

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extraterritorialità del rappresentato e perfino all’opacità dell’ostacolo (opacità che non respinge l’immaginario)”57. La riflessione del teorico è condivisa da più voci, quindi è possibile desumere che l’utilizzo di Baudrillard rientri nel campo della definizione del genere pornografico sotto parametri semiologici. Unica eccezione è Pietro Adamo che mette in evidenza un risvolto sociologico delle teorie di Baudrillard; “l’argomento porno, prima ancora di farsi di massa, suscita interpretazioni e letture contrastanti, sospese tra la sua condanna senza appello, in quanto forma privilegiata e canonica della corruzione commerciale del sesso che disinnesca ogni reale potenzialità rivoluzionaria (Jean Baudrillard)…”58. Questo intervento si trova all’interno di un capitolo sulla rivoluzione sessuale negli anni Sessanta, periodo in cui maggiormente sono stati richiamati i concetti progressisti di vari teorici come Marcuse, Reich, Bataille e Baudrillard. Nel monografico di Filmcritica, si riporta una critica nei confronti della teoria del trompe-l’oeil; Hendel nota come l’opinione comune ritenga che dal momento in cui il porno è diventato di massa, abbia perso la dimensione del segreto da nascondere che lo rendeva affascinante. La riproduzione, e la diffusione, tecnica permette di creare dei simulacri delle pratiche sessuali rappresentate, e secondo Hendel, “qui salta agli occhi l’incapacità di Beaudrillard [sic] di cogliere questo processo, di vedere che l’iperrealismo della pornografia non abolisce il trompe l’oeil, anzi ne costituisce un altro, proprio nel modo in cui sostituisce al segreto (che non inganna l’occhio, ma semplicemente lo copre) un autentico trompe l’oeil, copia iperreale di una realtà della quale forse prende il posto una volta rappresentata” 59. E’ una critica che rovescia la considerazione della pornografia di Baudrillard, descritta solitamente priva di seduzione e che si dimostra acuta. La possibilità di ricreare una dimensione altra partendo dalla realtà, non determina la caduta della fascinazione dell’immagine; al contrario, il desiderio trova soddisfazione nell’ipertrofica volontà di vedere, una schaulust paga di avvicinarsi quanto più possibile al rappresentato.

2.5

BARTHES & SADE

Nell’articolo su Filmcritica60, Hendel propone lo spogliarello trasmesso sulle reti televisive come un mezzo propedeutico all’avvento del porno. Descrive come alla base ci sia una struttura fissa con dei Nepoti Roberto, “Cinema pornoerotico. Le pratiche del dis-piacere” in Bianco e nero, 5/6, settembre-dicembre, 1978, p. 29. 58 Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 30. 59 Hendel Lorenzo, “Strisce di pelle in televisione: (Spogliarello premessa dell’hard)”, in Filmcritica, 326-327, agostosettembre, 1982, p. 401. 60 Hendel Lorenzo, “Strisce di pelle in televisione: (Spogliarello premessa dell’hard)”, in Filmcritica, 326-327, agostosettembre, 1982, p. 401. 57

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classemi propri, come il ritardare l’apparizione del sesso, la continua allusione e infine la negazione dell’oggetto del desiderio. Lo strip-tease diventa quindi racconto ed Hendel nota, attraverso Barthes61, come in Sade invece non sia presente questa dimensione. La dimensione sadiana si fonda principalmente su una pratica e solo occasionalmente ci si sofferma sull’aspetto del denudamento del corpo. In Sade “l’avventura comincia più oltre: quando il corpo, immediatamente denudato, propone tutti i propri siti da molestare o da occupare” 62. Sade è considerato da Barthes come un produttore di pornogrammi, elementi che nella sua scrittura fondono i due aspetti del Logos e dell’Eros, in modo che “sia possibile parlare dell’erotica da grammatico e del linguaggio da pornografo”63. Nell’analisi della scrittura sadiana, Barthes dà una definizione di pornografia: si tratta del “discorso che si tiene sul […] tessuto di figure erotiche, ritagliate e combinate come le figure retoriche del discorso scritto”64. Una descrizione utile anche per quanto riguarda la pornografia visiva del cinema, spesso, infatti, studiosi come Ziplow e Linda Williams hanno ricercato gli elementi-base che determinano il genere. Un altro parallelo tra Sade e la pornografia si riscontra nel modo in cui i contenuti sono presentati; Barthes nota che “il lessico sessuale di Sade (quando è “crudo”) compie una prodezza linguistica: quella di mantenersi nella denotazione pura (impresa ordinariamente riservata ai linguaggi algoritmici della scienza)”65. La prosa di Sade e il linguaggio pornografico sono accomunati quindi da un rifiuto della dimensione erotica, utilizzata spesso per dare un elemento in più alla rappresentazione. Come citato in precedenza, in Sade si esaurisce tutto nella pratica, e lo stesso si verifica nella maggior parte dei casi di film hard. Si tratta, del resto, solo di una minoranza di film, identificabile in gran parte con la produzione del porno al femminile di Candida Royalle 66, che cerca di creare delle situazioni di erotismo propedeutiche alla rappresentazione degli atti sessuali espliciti. Di solito il sesso funziona come pratica autonoma e non richiede una premessa erotica, come si può notare anche nella costruzione dei film all sex. All’interno de Le 120 giornate di Sodoma, gli oggetti del piacere dei libertini sono marcati con dei nastri. Queste firme indicano lo sverginamento di ciascuna vittima e nel caso delle donne, la marca è doppia in quanto i luoghi da deflorare sono due. Ciascun colore poi appartiene a uno dei quattro libertini protagonisti e indicano le “proprietà” assegnate. Il nastro ricopre quindi una triplice Barthes Roland, Sade, Fourier, Loyola, traduzione di Lidia Lonzi, Einaudi, Torino, 1977, titolo originale Sade, Fourier, Loyola, Editions du Seuil, Paris, 1971. 62 Ivi, p. 145. 63 Ivi, p. 146. 64 Ivi, p. 120. 65 Ivi, p. 121. 66 Per uno sguardo sulle caratteristiche del cinema di Candida Royalle si veda il capitolo “Michele Capozzi, il pornologo”. 61

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funzione; diventa “un indice di proprietà […], un atto di identificazione […] e un gesto feticista” 67. Su Cinema nuovo68, la psicanalista con licenza di critico cinematografico Erika Kaufmann, riprende il concetto di feticcio e dichiara che elementi come giarrettiere o collane, hanno la funzione di “firmare” il corpo della donna. Sostiene infatti che “il film erotico-pornografico […] debba dare la garanzia al maschio di scrivere il proprio nome su questo corpo femminile che non viene accettato nella totalità naturale ma è filtrato attraverso il feticcio” 69. Barthes è utilizzato anche da Roberto Nepoti 70 nella classica divisione tra erotismo e pornografia; il critico di Bianco e nero rileva come il porno sopprime l’immaginario evocato dall’erotismo e invece richiama fortemente il realismo. Attraverso Barthes, commenta come “l’“erotico” sarebbe allora una compensazione e una soddisfazione vicaria della impotenza reale delle nostre società” 71. Per concludere, non vi sono altri richiami a Barthes, a esclusione di Stella nel suo testo su L’osceno di massa, dove accenna agli studi sulla fotografia di Barthes in relazione alla pornografia criminale72.

2.6

DELEUZE E LA RIVALUTAZIONE DI MASOCH

L’unico testo di Deleuze citato nel discorso sul porno è la Presentazione di Sacher-Masoch73, un libro agile del 1967, scritto alle soglie dei moti studenteschi e dedito ad affrontare una figura storica che solitamente non viene analizzata con cura. Ed è proprio questa motivazione che spinge Deleuze a dedicargli uno studio approfondito; i torti poi che Masoch subisce sono essenzialmente di due tipi. Innanzitutto quando il suo nome entra nel linguaggio corrente, la sua opera letteraria viene dimenticata all’istante. Il secondo cattivo uso riguarda il fatto che venga posto clinicamente come complemento di Sade. Nella psichiatria, infatti, il sadomasochismo è una sindrome patologica che riunisce due psicosi: il sadismo, provare in pratica piacere nell’infliggere sofferenze mentali e fisiche e il masochismo, caratterizzato dal provare godimento nel subire delle sofferenze. Deleuze definisce il termine sadomasochismo come un “mostro semiologico” 74.

Barthes, p. 130. Kaufmann Erika, “Perché il maschio firma il corpo della donna” in Cinema nuovo, 271, giugno, 1981, pp. 9-12, sugli altri contenuti dell’articolo rimando all’interno del capitolo “Ruolo del femminismo nel discorso sul porno”. 69 Ivi, p. 12. 70 Nepoti Roberto, “Cinema pornoerotico: le pratiche del dis-piacere”, in Bianco e nero, 5/6, sett-dic, 1978, pp. 3-65. 71 Ivi, p. 8. 72 Stella Renato, L’osceno di massa. Sociologia della comunicazione pornografica, Franco Angeli, Milano, 1991, p. 234. 73 Deleuze Gilles, Presentazione di Sacher-Masoch. La ricerca dei modi con cui opera la repressione, tr. it. Mario de Stefanis, Iota, Milano, 1973, titolo originale, Presentation de Sacher-Masoch, Editions de Minuit, Paris, 1967. 74 Ivi, p. 139. 67 68

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L’accezione di sadomasochismo ha trovato molto successo nel linguaggio comune e anche nel gergo della pornografia; si incontra spesso la sigla S/M o quella più complessa BDSM. Questa è un insieme libero di acronimi: bondage, disciplina, dominazione, sottomissione, sadismo e masochismo. Il BDSM si distingue dal sadomasochismo in senso clinico per la soddisfazione reciproca dei due praticanti, la consensualità dell’altro, la flessibilità nei ruoli, l’uso di parole di sicurezza che dà la possibilità al partner passivo di interrompere il gioco in qualsiasi momento 75 e il principio del SSC, cioè sano, sicuro, consensuale. Per garantire una corretta autonomia a Masoch e poiché il giudizio clinico è pieno di pregiudizi secondo Deleuze, egli ritiene che si debba partire da un punto fuori dalla clinica, quindi dalla letteratura. L’opera dello scrittore austriaco è stata da lui concepita come una serie di cicli; quello principale ha come titolo Il lascito di Caino e probabilmente proprio nella scelta di questo titolo vi è la volontà di riunire le sofferenze che opprimono l’umanità. Deleuze conduce il suo lavoro confrontando spesso i due autori che dalla psichiatria sono stati uniti. Per esempio definisce paradossale il linguaggio di Sade, poiché rappresenta il linguaggio di una vittima. “L’atteggiamento di Sade è l’opposto di quello di un carnefice, di cui è l’esatto contrario” 76. Mentre in Masoch si ha una vittima che cerca il suo carnefice, che ha bisogno di mettere degli annunci sul giornale e che stabilisce dei meticolosi contratti, in Sade la situazione è lasciata più allo slancio creativo del momento, spesso, come ne Le centoventi giornate di Sodoma, stimolato da racconti che fungono da scintilla per accendere i desideri dei libertini. Mentre sono conosciute le pratiche preferite dei libertini, anche grazie all’ultimo film di Pasolini, quelle di Masoch sono da ricordare: “giocare all’orso e al bandito; farsi cacciare, legare, farsi infliggere punizioni, umiliazioni e anche acuti dolori fisici con la frusta da una donna opulenta in pelliccia; travestirsi da domestico, accumulare feticci e travestimenti; pubblicare annunci personali sul giornale, stabilire un “contratto” con la donna amata, all’occorrenza prostituirla” 77. Quindi abbiamo in entrambi i casi delle situazioni che preparano e determinano le pratiche adottate; in Masoch troviamo gli annunci sul giornale che mancano nel sadismo, la stipulazione di relazioni contrattuali, mentre il sadico aborre qualsiasi contratto ma necessita invece delle istituzioni. Il ruolo del feticcio è più predominante nel masochismo, mentre appare occasionale nel sadismo: “I principali feticci di Masoch e dei suoi eroi sono le pellicce, le scarpe, la stessa frusta, gli strani copricapi di cui amava adornare le donne, i travestimenti de La Venere”78. E’ curioso come la parola internazionalmente scelta per indicare la sospensione della pratica s/m sia il termine italiano basta. 76 Deleuze, p. 5. 77 Ivi, p. VI. 78 Ivi, p. 22. 75

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Un ruolo importante nell’opera di Masoch è dato dalla sospensione. Questa figura tralascia la frenesia delle fantasie del libertino che si accumulano e provocano un effetto di accelerazione, dando luogo invece a una dimensione più adatta alla rigidità e alla sospensione masochistica. Deleuze chiarisce dove sia nata la complementarietà di Sade e Masoch: “L’entità sadomasochista non fu inventata da Freud, la troviamo in Krafft-Ebing, in Havelock Ellis, in Féré. Tutti i memorialisti o medici hanno presentito lo strano rapporto tra il piacere di fare del male e il piacere di subirlo. Ancor più, il punto d’“incontro” tra sadismo e masochismo, il richiamo dell’uno e dell’altro, sembrano essere chiaramente presenti nell’opera di Sade come in quella di Masoch. Vi è una specie di masochismo nei personaggi di Sade: in Les cent vingt journées sono dettagliati i supplizi e le umiliazioni che i libertini si fanno infliggere. Il sadico ama frustare così come ama essere frustato […] Viceversa, troviamo una specie di sadismo nel masochismo” 79. Quindi si è cercato di unire due aspetti che a prima vista sembrano essere assolutamente accoppiabili, e invece a un’analisi più attenta si rivelano essere due realtà mentali diverse e non così facilmente accostabili. “Frettolosamente affermata, l’unità sadomasochista rischia di essere una sindrome grossolana, inadeguata alle esigenze di una vera sintomatologia. […] Non vi sono forse alla base dell’affermazione dell’unità equivoci e deplorevoli facilità? Può infatti sembrare evidente che un sadico e un masochista debbano incontrarsi. […] Se la donna carnefice nel masochismo non può essere sadica, è appunto perché essa è nel masochismo, perché è parte integrante della situazione masochista, elemento realizzato del fantasma masochista: essa appartiene al masochismo. […] L’associare sadismo e masochismo implica astrarre due entità […] e ritenere scontato che queste due astrazioni si accomodino insieme una volta prive del proprio Umwelt, della propria carne e del proprio sangue”80. Le citazioni di questo testo sono fugaci, come quella di Nepoti nel suo saggio su Bianco e nero81, all’interno del capitolo che tratta delle perversioni; egli nota come a causa della ripetitività del gesto meccanico della copula, lo schermo proponga tutta la gamma delle perversioni sessuali, a partire dal sadomasochismo fino alle più bizzarre. Anche oltreoceano è arrivato il saggio di Deleuze; con il titolo Masochism: An Interpretation of Coldness and Cruelty viene pubblicato nel 1971 e presentato da Williams in Hard core. La statunitense non ne dà una lettura nuova, semplicemente riporta il contenuto del libro nel suo capitolo intitolato “Power, Pleasure, Perversion”. Williams tiene a precisare l’ordine tra le due sfere della sofferenza e del piacere, sottolineando come la prima sia condizione preliminare della seconda. “The very law which forbids the satisfaction of a desire under the throat of subsequent Ivi, pp. 28-29. Ivi, pp. 30-32. 81 Nepoti Roberto, “Cinema pornoerotico. Le pratiche del dis-piacere”, in Bianco e nero, 5-6, settembre-dicembre, 1978, pp. 3-65. 79 80

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punishment is converted into one which demands the punishment first and then orders that the satisfaction of the desire should follow upon the punishment” 82. Infine Deleuze dedica anche un commento sullo stile di scrittura dei due autori; riscontra come siano comuni le scene di violenza, di costrizione e di uso della parola per giungere a tali scopi: “Perciò , se l’opera di Sade e quella di Masoch non possono essere definite pornografiche, se meritano il nome più elevato di “pornologia”, ciò è dovuto al fatto che il loro linguaggio erotico non si lascia ridurre alle funzioni elementari del comando e della descrizione” 83.

Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, p. 213, “La legge che proibisce la soddisfazione del desiderio sotto la minaccia di una punizione è convertita in una legge che richiede la punizione precedentemente e poi ordina che la soddisfazione del desiderio debba avvenire dopo tale punizione”. 83 Deleuze, p. 6. 82

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2.7

ARS EROTICA O SCIENTIA SEXUALIS?

La divisione tra ars erotica e scientia sexualis esposta ne La volontà di sapere84, è la tesi più citata di Foucault. Prima di procedere con il suo impiego nel discorso teorico, osserviamo cosa indica questa suddivisione. All’interno della produzione dei discorsi sul sesso, Foucault individua due procedure che nel corso della storia dell’umanità hanno prodotto la verità sul sesso. Società come la Cina, il Giappone, Roma, le società arabo-musulmane si sono date un’ars erotica; il discorso sul sesso è organizzato attorno a una conoscenza generale basata sull’esperienza e che tiene molto in considerazione l’aspetto del piacere stesso. Questo sapere derivante dalla comunicazione dell’esperienza, deve riversarsi poi nella pratica sessuale. La trasmissione di questo sapere avviene tramite la figura di un maestro, detentore dei segreti. La nostra società possiede un altro metodo che Foucault definisce scientia sexualis: si tratta di una procedura che produce la verità sul sesso tramite la confessione, una meccanica di potere-sapere completamente diversa rispetto all’arte dell’iniziazione e ai segreti del maestro. Si sviluppa dal Medio Evo questo rito e nel presente è la tecnica più valorizzata per produrre la verità; la sua impronta si riflette nella giustizia, nei rapporti familiari, nella medicina, nelle relazioni amorose. Quindi la differenza principale tra le due procedure è che mentre “in Grecia […] il sesso serviva da supporto per le iniziazioni alla conoscenza, per noi, la verità ed il sesso si connettono nella confessione, attraverso l’espressione obbligatoria ed esaustiva di un segreto individuale. Ma, questa volta, è la verità che serve da supporto al sesso ed alle sue manifestazioni” 85. Nella nostra società, questo grande archivio del sesso è rimasto nel subconscio collettivo, fino a quando alcune dottrine scientifiche hanno iniziato a renderlo oggetto d’indagine; Krafft-Ebing, Havelock-Ellis e altri psichiatri intorno al XIX secolo tentano una classificazione dei comportamenti sessuali senza tralasciare continue scuse di carattere morale a causa dei materiali trattati, considerati, nell’esatta concezione etimologica, osceni. Con Freud la sessualità diventa un argomento meno intoccabile, fino ad arrivare alla situazione contemporanea per osservare come la sessualità sia un argomento trattato anche con superficialità in trasmissioni televisive e giornali. I passaggi grazie ai quali è possibile parlare di sessualità sono stati la codificazione clinica del “far parlare”, ovvero l’atto di combinare la confessione con l’esame, poi l’ipotesi di una causalità generale e diffusa che pone il principio secondo cui “il sesso è causa di tutto” e per questo è giustificata la natura inquisitoria della confessione. Si invoca anche una sorta di missione della scienza, poiché il funzionamento della Foucault Michel, La volontà di sapere, tr. it. di Pasquale Pasquino e Giovanna Procacci, Feltrinelli, Milano, 1978, titolo originale, La volonté de savoir, Gallimard, Paris, 1976. 85 Ivi, p. 57. 84

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sessualità è oscuro, quindi compito della scienza è cercare di far luce in questa selva oscura. Inoltre la confessione può essere completa solo se dall’altra parte vi è una persona che ascolta, padrona della verità, il quale veste la funzione ermeneutica. Infine il discorso sul sesso si carica di un’importante valenza medica, vale a dire che compare il lato patologico del sesso e in tal modo la confessione assume il tipico compito guaritore della scienza. Dopo questa inevitabile introduzione al concetto foucaultiano, osserviamo che Linda Williams in Hard core è sulla stessa linea di pensiero, mettendo in evidenza come “the proliferating medical, psychological, juridical, and pornographic discourses of sexuality have functioned as transfer points of knowledge, power, and pleasure. They are places where sexualities could be specified and solidified”86. Grazie a questa premessa, Williams dichiara uno degli obiettivi del suo testo: “one of my goals is to show that a cinematic hard core emerges more from this scientia sexualis and its construction of new forms of body knowledge than from ancient traditions of erotic art” 87. La pornografia diventa quindi un campo dove si mescolano potere, conoscenza e piacere. Lo stesso concetto è citato da Nepoti nel suo saggio teorico 88, dove il critico richiama Foucault e lo contrappone a Freud, Reich e Marcuse. Questi teorici sostengono l’esistenza di un divieto normativo circa il discorso sessuale, mentre l’autore di La volonté de savoir sposta la questione sulla produzione stessa della sessualità, la quale è “una grande trama di superficie dove la stimolazione dei corpi, l’intensificazione dei piaceri, l’incitazione al discorso, la formazione delle conoscenze, il rafforzamento dei controlli e delle resistenze si legano gli uni con gli altri sulla base di alcune grandi strategie di sapere e di potere” 89. Adamo considera Foucault come una radice teorica fondamentale per il movimento femminista antiporno statunitense il quale “ha lasciato spazio […] a una posizione più “europea”, che deve molto a un’impostazione epistemologica post-strutturalista e all’analisi del rapporto potere/soggetto elaborata da Michel Foucault, e che, come punti di riferimento, guarda più a Evelyn Fox-Keller o Luce Irigaray che non al Radical Feminism”90.

2.8

PER UNA PORNOGRAFIA ONTOLOGICA

Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, p. 35, “I diffusi discorsi medici, psicologici, giuridici e pornografici della sessualità hanno funzionato come punto di trasferimento della conoscenza, del potere e del piacere. Sono luoghi dove la sessualità può essere specificata e solidificata”. 87 Ivi, p. 36, “Uno dei miei obiettivi è mostrare che la pornografia cinematografica deriva più da questa scientia sexualis e le sue costruzioni di nuove forme sulla conoscenza del corpo che dalle antiche tradizioni dell’arte erotica”. 88 Nepoti Roberto, “Cinema pornoerotico: le pratiche del dis-piacere”, in Bianco e nero, 5/6, sett-dic, 1978, pp. 3-65. 89 Ivi, p. 4. 90 Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 169. 86

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Ma due momenti della vita sfuggono radicalmente a questa concessione della coscienza: l’atto sessuale e la morte. L’uno e l’altro sono alla loro maniera la negazione assoluta del tempo oggettivo: l’istante qualitativo allo stato puro. Come la morte, l’amore si vive e non si rappresenta- non è senza ragione che lo si chiama la piccola morte- o almeno non lo si rappresenta senza violazione della sua natura. Questa violazione si chiama oscenità. La rappresentazione della morte reale è anch’essa un’oscenità, non più morale come nell’amore, ma metafisica. Non si muore due volte. (Morte ogni pomeriggio, 1949-1951, p. 32)

Mi ricordo di aver scritto a suo tempo, a proposito di una celebre sequenza d’attualità in cui si vedevano giustiziare in mezzo ad una strada di Shangai delle “spie comuniste” da parte degli ufficiali di Ciang Kai-shek, mi ricordo, dicevo, di aver notato che l’oscenità dell’immagine era dello stesso ordine di quella di un film pornografico. Una pornografia ontologica. La morte è in questo caso l’equivalente negativo del godimento sessuale, che non per nulla viene qualificato come “piccola morte” 91. ( In margine a “L’erotismo al cinema”, 1957, p. 212)

Questi sono i principali estratti in cui Bazin prende in esame la rappresentazione pornografica e a questi due fanno riferimento i teorici che citano lo studioso francese nei discorsi sul porno. Analizziamo le posizioni di Bazin prima di prendere in considerazione il suo utilizzo. I temi evocati in questi estratti riguardano diversi aspetti che il discorso pornografico suscita. La rappresentazione esplicita del sesso è messa in dubbio. Più precisamente Bazin sostiene che si cade nell’oscenità cercando di rappresentare l’amore e la morte. Il divieto circa la morte ha una motivazione metafisica, riprendendo l’unicità dell’atto della morte e rivendicando che la rappresentazione della morte è anch’essa un’oscenità. Entrambi se rappresentati al cinema perdono il loro statuto e il loro legame con la realtà. Il cinema raccoglie direttamente dalla fotografia l’eredità di essere un perfetto latore della realtà e appare quindi “come il compimento nel tempo dell’oggettività fotografica”92. Bazin descrive l’amore e la morte come due elementi esterni alla normale realtà; se infatti il cinema riproduce delle situazioni reali, si mostra come autentico e fedele specchio grazie anche al suo meccanismo che teoricamente esclude l’uomo e, di conseguenza, ogni possibile manipolazione. Ma se il cinema deve riprodurre i due soggetti discussi, Bazin confessa la loro impossibilità di essere riprodotti se non attraverso una palese violazione. Subentra quindi il Bazin André, Che cosa è il cinema?, presentazione, scelta dei testi e traduzione di Adriano Aprà, Garzanti, Italy, 1973, riedizione 1999, titolo originale, Qu’est-ce que le cinéma?I II III IV, Editions du Cerf, 1958, 1959, 1961, 1962. 92 Ivi, p. 9. 91

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concetto di oscenità; se si rappresenta la morte si tratta di un’oscenità metafisica, nel caso dell’amore è di carattere morale. Il termine pornografia non è citato nel primo estratto, mentre sei anni più tardi Bazin afferma di averlo già utilizzato per descrivere l’oscenità della scena dell’uccisione delle spie. A parte la poco rilevante imprecisione filologica, si chiarisce un parallelo tra le sue teorie e l’idea di cinema pornografico. Nel 1957, la pornografia non è ancora nata ufficialmente come genere; in quel periodo circolano clandestinamente materiali prevalentemente muti, in bianco e nero e non narrativi, una sorta di incrocio tra un loop e uno stag. Il genere pornografico non è ancora stato codificato, quindi si presta all’intervento di varie interpretazioni. Il concetto che però esprime Bazin ha un respiro molto più ampio e si applica sia al porno delle origini sia a quello contemporaneo. Grazie a questa attualità è ripreso da Yann Lardeau sui Cahiers du cinéma93, il quale cita il Bazin di Morte ogni pomeriggio. Condivide che il cinema è un’arte oscena per le sue stesse caratteristiche tecniche: “C’est le cinéma lui-même, comme medium, qui est pornographique. Tel est le message final (et même unique) du porno: l’irruption en gros plan du sexe sur l’écran cinématographique ne prostitue pas l’Art cinématographique […], elle réinscrit l’être profond du cinéma comme art de la prostitution”94. Lardeau sostiene che Bazin è molto lucido quando dimostra il funzionamento del modo di operare del cinema e il conseguente corto circuito che avviene quando si mostrano immagini di sesso o di morte. Linda Williams in Hard core, riprende la stessa nozione circa l’ontologia dell’immagine fotografica. Uno uso della teoria baziniana per criminalizzare la pornografia, è adottato invece dalla Meese Commission secondo cui il cinema, essendo una rappresentazione seconda estremamente fedele alla realtà, riprodurrebbe l’atto sessuale attraverso precisi dettagli. Comunque Bazin resta alla base di molte teorie realiste del cinema. Williams cita la volontà del teorico francese di non vedere al cinema episodi di morte o di sesso, poiché il cinema dovrebbe ispirarsi all’arte e quindi rappresentare attraverso la finzione questi aspetti della realtà. “Real sex, like real death, is unaesthetic and therefore out of place” 95. Da notare che Bazin conclude il saggio del 1957 dove parla per la prima volta di pornografia con questa frase: “Accordare al romanzo il privilegio di evocare tutto e di rifiutare al cinema, che gli è così vicino, il diritto di mostrare tutto è una contraddizione critica che constato senza superarla… Lascerò al lettore la cura di riuscirci” 96. L’articolo in questione è “Le sexe froid. (Du porno et au dela)”, in Cahiers du cinéma, 289, giugno, 1978, pp. 49-63. Ivi, p. 54, “E’ il cinema stesso, come medium, ad essere pornografico. Questo è il messaggio finale (ed unico) del porno: l’irruzione del sesso in primo piano sullo schermo cinematografico non prostituisce l’Arte cinematografica […], riscrive l’essere profondo del cinema come arte della prostituzione”. 95 Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, p. 186, “Il sesso reale, come la morte reale, è antiestetico e spesso fuori luogo”. 96 Bazin, p. 214. 93 94

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Non è la prima volta che Bazin tenta una via di fuga per mantenere integre le sue idee; richiama anche la teoria che il cinema è un linguaggio e che quindi gli sia permesso creare delle strutture nuove e originali per esprimersi.

3. TENTATIVI DI DEFINIZIONE 38


DEL GENERE PORNOGRAFICO

“Vedi, secondo me, ci sono due tipi di film di questo genere: da una parte c’è il cinema erotico, che ha una sua ragion di essere, che può interessare certi strati… e dall’altra c’è il cinema pornografico, pura e semplice pornografia. Ed è l’unico che a me piace!” (da “Io sono un autarchico”, di Nanni Moretti, 1976)

La tendenza è quella di utilizzare un metodo prettamente visivo per delineare le caratteristiche del cinema porno. Il rapporto sessuale chiaramente offerto alla visione rappresenta una macrostruttura che determina l’appartenenza o meno al genere. Un esempio evidente è la differenza tra le versioni soft core e quelle hard core dello stesso film; di solito sono girate contemporaneamente, gli attori mimano il rapporto sessuale, facendo attenzione a non mostrare i genitali alla macchina da presa. Oppure la versione soft nasce grazie al certosino lavoro di montaggio e l’uso smodato del ralenti sulla già girata versione hard. Il motivo di questa duplice versione è una semplice questione di mercato; la versione erotica può circolare anche sulle televisioni locali e satellitari, la versione “dura” percorre solo gli altri canali del cinema, della Rete, della videocassetta. La visione esplicita dei genitali in azione si utilizza per stabilire la differenza tra cinema erotico e pornografico. Ma prima di tentare di dare una definizione del genere, vanno chiariti almeno due termini che ritorneranno nella discussione; per meat shot si intende l’inquadratura che riprende in dettaglio gli organi genitali in azione durante il rapporto. Il come shot, detto anche money shot per la sua importanza, è la ripresa dell’eiaculazione maschile, solitamente utilizzato per concludere ogni sequenza hard dall’amatoriale alla produzione cinematografica. Spesso per dare una definizione classica di genere cinematografico si prendono in considerazione cifre stilistiche, regimi narrativi, uso delle luci e delle scenografie; seguendo questa prassi si ottengono i generi classici come il western, il noir, l’horror. Come accennato in apertura del capitolo, per il porno è sufficiente un metro di carattere puramente visivo per farlo rientrare nella classificazione di un genere preciso. Dallo studio degli elementi basilari sono esclusi quindi l’analisi della storia e le sue modalità di racconto, dal momento che il fulcro dell’attenzione si trova da un’altra parte. Uno dei migliori esiti nel definire il genere pornografico spetta a Giorgio Cremonini: “Una 39


definizione del genere “porno” appare, anche a uno sguardo superficiale, immediatamente affidata ad una codificazione di tipo iconografico o profilmico: ciò che qualifica come pornografico un film è, apparentemente, solo ciò che si vede.[…] Ad una prima macroscopica codificazione iconograficaprofilmica se ne accompagna però sempre una seconda di tipo filmico, una sorta di “stilistica” standardizzata che poggia essenzialmente sulla rappresentazione in dettaglio di zone erogene primarie, di organi genitali […] Il pornofilm è caratterizzato da una generale abbondanza di primi piani e di dettagli”97. La lucida visione di Cremonini rifiuta ogni possibile giudizio sociologico o moralistico, una trappola nella quale sono rimasti invischiati molti altri critici. Sottolinea inoltre come il porno sia un linguaggio rigoroso, così incentrato sul suo elemento base da concedere pochi spazi a una possibile narratività portante. Gli unici segmenti narrativi, sui registri della commedia, del drammatico, del comico, servono per introdurre i rapporti filmati; il porno non ha creato una tipologia caratteristica di narrazione, soprattutto perché non ne ha bisogno. Questo è confermato in alcuni film dove le scene di rapporti irrompono nella vicenda senza alcuna motivazione narrativa, mantenendo gli stessi attori ma slegando completamente l’atto sessuale ripreso dagli avvenimenti della fabula. Oltreoceano Stephen Ziplow anticipa di qualche anno le conclusioni di Cremonini circa la molecola di base del film pornografico; anzi, riesce nell’operazione più raffinata di scindere la materia e individuare quello che secondo lui è l’elemento base del porno, cioè il come shot. “If you don’t have the come shots you don’t have a porno picture”98 sostiene lo statunitense. Tuttavia individua altri elementi che circondano il money shot, poiché esso non può esistere in completo isolamento ma necessita di essere inserito in un complesso di elementi tipici. Questa lista di pratiche, in totale sette, cerca di soddisfare anche dei generali gusti in materia sessuale: la masturbazione, il sesso diretto inteso come interazione uomo-donna, gli atti lesbici, il sesso orale, il ménage à trois, l’orgia e il sesso anale. Linda Williams condivide questa lista, ma in più aggiunge la pratica del sado-maso. Per Ziplow il money shot è la conditio sine qua non dei lungometraggi pornografici; la necessità di mostrare l’eiaculazione maschile all’esterno del corpo della donna, rappresenta il climax di ogni atto eterosessuale. Il bisogno di un climax si avverte proprio nel passaggio dagli stag e dai loops alla produzione di lungometraggi di fiction; siamo intorno quindi agli anni Settanta, mentre la produzione precedente tendeva ad assemblare materiale hard senza una continuità narrativa. Sulla questione delle due inquadrature obbligatorie, Balla e Martinat citano un pensiero di Enzo Ungari: (il porno è) “chiuso tra due inquadrature che lo definiscono come genere (il meat-shot, l’unico punto di vista da cui, contemporaneamente, vediamo gli organi sessuali dei due partner in Cremonini Giorgio, “La forma porno della cultura di massa” in Cineforum, 217, settembre, 1982, pp. 30-31. Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, p. 126. La citazione si trova in Ziplow Stephen, The Film Maker’s Guide to Pornography, Drake, New York, 1977. 97 98

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attività e il come-shot, che mostra l’eiaculazione e offre la garanzia della “realtà” di quanto vediamo)”99. Questo codice visivo si presenta forte, con carattere autoritario, tale da rendere di genere anche una sequenza appartenente a un film non necessariamente pornografico. Solitamente non accade che si ricorra a un meat shot in film non hard; se ci sono dei rapporti si preferisce mantenere una distanza di norma garantita dal piano medio. Lo stesso codice visivo guida la definizione di Abruzzese: “c’è pornografia solo quando vi è la messa in scena degli organi genitali al lavoro” 100. Anche Franco La Polla riesce a mantenersi su un livello di definizione del genere puramente denotativo, senza inserire pregiudizi che spesso interferiscono nelle prese di posizione. Nel suo articolo101 riconosce che la qualità media dei “pornofilm”, come li definisce con linguaggio completamente calato negli anni Ottanta, è di bassissimo ordine. Solo qualche anno dopo, Olivier Smolders sostiene sulla linea di La Polla, che il film porno richiede un’assenza di talento, una sceneggiatura inconsistente, regia sgrammaticata, recitazione al limite della caricatura e immagini e suoni mediocri102. Su questo aspetto La Polla stabilisce un parallelo con il cinema di Andy Wharol, chiarendo però che mentre qui le produzioni sono sostenute da un supporto di teorica di cinema, nell’hard il livello teorico è praticamente inesistente, mentre permane la bassa qualità. “Le caratteristiche fondanti, primarie del genere (o comunque del narrato) si condensano quantitativamente a un grado tale da diventare, appunto, eccesso. Non, si badi, eccesso strettamente sessuale, non eccesso - cioè – di proposta hard. Questo non potrebbe mai essere vero per un pornofilm usuale, dal momento che esso è già eccesso, è per definizione continua addizione. Ma, è importante notarlo, continua addizione dello stesso addendo, grado zero della narratività, incipit narrativo che continua a ripetersi come un disco che si incanta. In questo senso il pornofilm non è affatto un “genere” cinematografico dal momento che non ha affatto sviluppato una retorica narrativa, ma solo una retorica grammaticale e non sintattica” 103. Utilizzando questo criterio quindi il porno non rientra nei classici generi cinematografici, si mantiene in una zona neutra. Una scena può essere definita porno, in base ai criteri iconografici citati, ma la mancanza di uno sviluppo della retorica narrativa impedisce il riconoscimento di un’autonomia del genere. Prosegue La Polla riferendosi al porno, “Naturalmente anch’esso ha alcune precise figure retoriche (nel senso di regolarmente ricorrenti, nel senso – intendo dire – di tòpoi visivi), e addirittura una sorta di struttura (microstruttura a dire il vero) narrativa che si attua attraverso la giustapposizione di alcuni tipi di copulazione i quali seguono di norma un percorso cronologico sempre identico (e Balla Piero e Martinat Giuliana, “Aprirsi con amore”, in Segnocinema, 16, genn, 1985, p.27. La citazione da Ungari è presa da Schermo delle mie brame, Vallecchi, 1975. 100 Abruzzese Alberto, “Pornografia, cinema, elettronica”, in Filmcritica, 326-327, agosto-settembre, 1982, p. 324. 101 La Polla Franco, “C’è porno e porno. Il cinema, il diavolo e Miss Jones”, in Cineforum, 252, marzo, 1986, p. 45-47. 102 Smolders Olivier, Eloge de la pornographie, Editions Yellow Now, 1992. 103 La Polla, p. 46. 99

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sarebbe qui estremamente interessante avere il tempo di svolgere alcune considerazioni sull’innaturalità di quello che dovrebbe essere invece il più naturale degli atti, il quale –insostenibile paradosso – finisce regolarmente con un’interruzione di coito cosicché lo spettatore possa accertare la verità dell’eiaculazione). Ma gli manca l’ampiezza diegetica non dico del western o della fantascienza (ambedue fondati su una larghissima idea di spazio) ma nemmeno del melodramma, nemmeno – cioè – del genere cinematografico più potenzialmente ristretto in termini spaziali, più disponibile a un Kammerspiel proprio perché appuntato, giocato sui corpi degli attori e su quelli soltanto”104. Evidenti analogie si riscontrano con Ziplow circa la lista stilata dallo statunitense sulle pratiche sessuali, anche se La Polla non ha, o non ritiene il caso, di elencare eventuali microstrutture. Si limita a evidenziare che le tipologie dei rapporti sessuali, variano secondo codici precisi che hanno il loro punto di forza nel presentarsi sempre costanti. E’ una conferma indiretta della tesi di Cremonini, il quale afferma la rigidità del porno: “Laddove i “generi”, nel loro farsi evolutivo, ma soprattutto nel loro continuo disfarsi, si aprono alle contaminazioni più varie e permettono ingressioni ripetute da ciò che è esterno al codice – il pornofilm è un codice rigoroso, che non ammette scarti. Solo per rispondere ad esigenze narrative (che peraltro gli sono esterne e alle quali fa ricorso solo per riempire i tempi di proiezione) il pornofilm introduce di tanto in tanto, in misura maggiore o minore, brani la cui configurazione, in genere assai vaga, non rientra in quella sua propria. Si tratta però di momenti di uscita dal codice, non di rottura: momenti privati di ogni significatività che tutto al più corredano la codificazione “porno” di elementi evasivi (la commedia, l’avventura, ecc.)”105. L’innaturalità cui fa riferimento La Polla riguarda l’atto conclusivo del rapporto sessuale; l’eiaculazione forzatamente imposta al di fuori della sua sede naturale, la vagina, per garantire un neorealistico effetto di verità. In realtà, il luogo dove avviene l’eiaculazione non deve rispettare una presunta sede naturale, se non si discute in termini prettamente anatomici. La sfumatura innaturale andrebbe posta sulle dinamiche attraverso le quali si sviluppa il rapporto sessuale; spesso si assiste a situazioni totalmente inverosimili, soprattutto nei film che dichiarano la loro fedeltà alla realtà. Questo aspetto non può essere generalizzato a tutto il cinema pornografico, poiché troppi sono i fattori che subentrano nel determinare ciascun film: l’appartenenza a un genere specifico come l’amatoriale, la recitazione dei performers, lo sviluppo dell’azione nella diegesi. Nel genere casting, per esempio, lo spettatore non è chiamato a ritenere la situazione in corso come un estratto di realtà. Si conosce esattamente lo sviluppo della sequenza, ed è inevitabile alla fine del colloquio iniziale che il conduttore della situazione abbia un rapporto con la ragazza protagonista. La fase di presentazione e l’intervista alla ragazza hanno il compito di offrire quel surplus di realtà 104 105

Ivi, pp. 46-47. Cremonini, p. 33.

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che un semplice filmato all sex non è in grado di dare. La maggior parte degli interventi prende in considerazione anche l’erotismo, un aspetto generale che per comodità è accostato alla pornografia. Da rilevare che in questa prospettiva del confronto, la pornografia risulta sempre perdente. Nepoti nel 1978 si chiede, infatti, se la distinzione tra pornografia ed erotismo sia attendibile, e pone al suo discorso una chiara premessa: “Poiché tuttavia l’opinabile distinzione tra i due termini si è mostrata in grado di assumere un certo valore operativo, tentiamo una verifica dei loro connotati, pur senza dimenticare come, di volta in volta, e in dipendenza di istanze culturali diverse, le interpretazioni di erotico e pornografico possano risultare commutabili” 106. L’ottica del confronto spesso stabilisce una “bellezza libidinalizzata (l’erotismo) e una laidezza funzionale (la pornografia)”107, quindi è per questo motivo che i tentativi di definizione del genere pornografico attraverso l’utilizzo della categoria dell’erotismo, risultano spesso oziosi o propedeutici a critiche negative infarcite da pregiudizi morali. Nepoti possiede l’onestà intellettuale di riconoscere questo pericolo sottolineando che “la recente riconnotazione della pornografia come campo d’azione dell’Eros mercificato appare, d’altra parte, troppo vaga e in ciò non convince a sufficienza”108; non sembra azzardato un riferimento alle prese di posizione assunte dal blocco degli autori di Cinema nuovo, pronti a caricare la pornografia di valenze sociali e di potenzialità politiche. Nepoti nel suo tentativo di definizione attraverso i termini del linguaggio cinematografico non richiama diciture tecniche come Cremonini, Ziplow e La Polla, tuttavia la sua ipotesi è chiara:“il porno risulterebbe allora una modalità dell’erotismo strettamente attinente al campo della rappresentazione.[…] Più spesso, la dicotomia si fonda sulla definizione del porno come mise en scène della fisiologia, opposta all’allusività che si vuole propria del film erotico. […] Il film pornografico, al contrario, abdica allo spazio della fantasia per la rappresentazione diretta e totale dell’atto sessuale. […] La pornografia, “pratica bassa” (ma forse tutto il cinema è tale) comporta il “piegarsi dell’immaginario sul reale” (Lacan)” 109. Anche se non esplicitata, Nepoti utilizza una codificazione di tipo iconografico; si serve dell’erotismo come il più diretto e naturale termine di paragone, ma non dà giudizi qualitativi sulle due tipologie di discorso. Questo approccio è simile agli interventi citati in precedenza: li accomunano la lucidità nell’analisi, l’obiettività delle argomentazioni e la mancanza di prese di posizioni moralistiche o politiche. Una differenza ulteriore riscontrata da Nepoti riguarda il modo di produzione tra i due generi: “Un Nepoti Roberto, “Cinema pornoerotico: le pratiche del dis-piacere”, in Bianco e nero, 5/6, sett-dic, 1978, p. 5. In merito all’opportunità di questa distinzione si veda la posizione di Ghezzi riportata nel capitolo “Gli interventi teorici”). 107 Ibidem. 108 Ibidem. 109 Ivi, pp. 6-8. 106

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elemento di differenziazione tra cinema erotico e cinema pornografico viene talora individuato nei modi di produzione del film. Il porno ignora – o ignorava fino a pochissimo tempo addietro – la politica degli autori, il box office e, al limite, la figura istituzionale della star” 110. Si deve ricordare che il pezzo è del 1978, quindi sono passati sei anni dall’uscita di Deep Throat e un solo anno dalla sua diffusione nelle sale italiane; nell’inciso Nepoti sembra riferirsi al fenomeno appena scoppiato di Linda Lovelace, penetrato poi di forza nella mitologia maschile, al fianco delle varie liceali, infermiere e professoresse di scienze naturali. Nel corso dell’intervento Nepoti riflette su un possibile sviluppo del linguaggio cinematografico del film porno, tornando alla divisione che vedrebbe il piano medio caratterizzare il cinema erotico, mentre il primo piano sarebbe peculiare dell’hard. “Il film porno presupporrebbe invece, quale massima realizzazione delle sue premesse, una inquadratura fissa e virtuale […] Il dispositivo della pornografia in piano fisso è più suggestivo di quello organizzato secondo i principi del montaggio […] Un porno siffatto (e gli esempi sono, a nostra conoscenza, pressoché inesistenti) assommerebbe due vantaggi: in primo luogo la assenza di scollamenti di montaggio non indurrebbe lo spettatore a suture di senso, inevitabilmente operanti sotto l’ipoteca dei codici dominanti della rappresentazione; secondariamente, si eviterebbe lo spezzettamento del corpo in immagini parziali e sezionate (dettagli), respingendo – o perlomeno attenuando – le istanze del feticismo. […] L’hardcore esige la più diretta sensazione di autenticità e vieta, virtualmente, la pratica del montaggio” 111. Tali affermazioni non possono fare a meno di ricordare antiche eco baziniane sul montaggio proibito; sulla stessa linea di pensiero, sono alcune frasi come “il porno suggerisce una regressione psicologica alle origini dell’espressione cinematografica […] il cinema sembra offrirsi come trasparenza, flagranza, realtà immediata. Esibizione, soprattutto. Le elaborazioni del linguaggio sono rimosse a favore della ripetizione ininterrotta della medesima sequenza” 112. Una riflessione di carattere estetico conduce poi Nepoti a ritenere, giustamente, un prodotto noioso e piatto se costruito mediante queste direttive. In più, “il campo medio verrebbe a contraddire proprio il principio fondamentale del pornofilm, quello cioè dell’esibizione degli organi genitali” 113. L’articolo apparso su Bianco e nero condivide un aspetto importante con un saggio uscito solo qualche mese prima sui Cahiers du cinéma a opera di Yann Lardeau e tradotto parzialmente nel numero del 1979 de Il Patalogo. Lardeau suddivide il suo intervento in due capitoli: “Le sexe mécanique. Le porno ou la stratégie du gros plan”, estratto tradotto per intero su Il Patalogo e la parte intitolata “Le sexe inexistant: au dela du porno”, dove tratta gli effetti del primo piano. Il critico francese inizia identificando il primo piano come elemento costitutivo del porno: “Le Ivi, p. 10. Ivi, p. 30. 112 Ivi, p. 25. 113 Ivi, p. 30. 110 111

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principe du porno, c’est le gros plan. Là est l’opération de vérité – et c’est pourquoi les intrigues sont toujours pauvres et les acteurs médiocres; ce ne sont que des accessoires, des supports de la mise en scène du sexe dont celle-ci, en même temps, vise toujours à faire l’économie. Insignifiance des acteurs et de l’intrigue dont le gros plan est l’expression vigoureuse: car il ne s’agit, pour le porno, que de serrer le sexe au plus près, d’en donner l’image la plus nette et la plus proche: la plus précise”114. E’ pratica comune riconoscere l’importanza del primo piano nel genere pornografico, da Ziplow a Cremonini, da Nepoti a Ungari. Lardeau commenta in più la qualità delle prove degli attori, riguardo alla recitazione e le giudica scadenti. Bisogna distinguere quando si parla della recitazione di un attore hard tra il momento preparatorio all’atto sessuale e la performance tecnica. E’ lecito generalizzare il discorso circa le prove recitative degli attori; prendendo un film qualsiasi, escludendo gli amatoriali, è evidente la carenza qualitativa nelle scene di collegamento tra una performance e l’altra. Del resto, gli attori più famosi, oltre a garantire la prestanza fisica necessaria, sono apprezzati anche per le loro doti nelle parti di “prosa”; negli Stati Uniti Jamie Gillis, il villain per eccellenza dell’hard americano dagli anni Settanta, offre buone prove in questo senso. L’equivalente italiano potrebbe corrispondere a Franco Trentalance, attivo da metà anni Novanta e richiesto da diverse produzioni internazionali per la sua bravura anche nei ruoli di commedia. Dall’intervento di Lardeau si nota come la recitazione scadente non sia un difetto all’interno del film; si instilla anche il dubbio che sia proprio inutile ricercare una recitazione, in quanto sarebbe un elemento non richiesto. Gli attori sono semplici accessori dello sviluppo delle scene sessuali, non sono nemmeno utili allo sviluppo della storia, poiché essa è spesso debole. Tornando alla questione del primo piano, Lardeau ne definisce la strategia, e giunge a una conclusione inaspettata: “Le rapprochement microscopique qui caractérise le gros plan, loin d’éveiller du plaisir chez le spectateur, se traduit par une mise à distance de celui-ci, son exclusion de facto […] Plus exactement, c’est le projet fou qui est à l’origine du porno, le phantasme despotique de réaliser le phantasmatique qui, précisément, barre l’imaginaire: on sait que la programmation de la jouissance est la meilleure prévention de la jouissance […] Car le gros plan neutralise le sexe”115. Ritorna un concetto marcusiano di desublimazione repressiva tramite la neutralizzazione del sesso; questo procedimento è reso possibile grazie al “panoptisme dont la Lardeau Yann, “Le sexe froid (du porno et au dela)”, in Cahiers du cinéma, n. 289, giugno, 1978, p. 50, la traduzione italiana di seguito è mia: “Il principio del porno è il primo piano. E’ lì il momento della verità - ed è per questo che le trame sono sempre povere e gli attori mediocri; sono solamente degli accessori, supporti della messa in scena del sesso, che tende spesso a economizzare. Quindi insignificanza degli attori e dell’intrigo di cui il primo piano è l’espressione vigorosa: poiché per il porno si tratta di circoscrivere il sesso il più vicino possibile, di darne l’immagine più netta e vicina: la più precisa”. 115 Ibidem, “L’avvicinamento microscopico che caratterizza il primo piano, invece di suscitare piacere nello spettatore, si traduce in una sua distanziazione, nella sua esclusione de facto […] Più esattamente, è il progetto folle che è all’origine del porno, il fantasma dispotico di rendere concreto il fantasmatico che, di preciso, blocca l’immaginario: si sa che la programmazione del desiderio è la migliore prevenzione del godimento stesso […] Il primo piano neutralizza il sesso”. 114

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caméra, dans sa capacité à reproduire parfaitement le réel, est le procédé technique achevé” 116. Il porno riesce a neutralizzare il sesso poiché non può goderne che a un livello secondario, tramite un’operazione feticista. La messa in scena del sesso da parte del porno può avvenire solo in termini funzionali, esibendone una rappresentazione. “Cette déliaison du sexe, loin d’être le signe de sa “liberation”, dessine au contraire le lieu de sa réclusion. Dissocié, isolé (autonomisé) du corps par le gros plan, circonscrit à sa matérialité génitale (objectivé), il peut alors circuler librement hors de sujet”117. Come altri critici, anche Lardeau accosta il porno al cinema erotico. Assume subito una posizione netta sostenendo che non c’è nessuna differenza tra porno ed erotico. “Si, à la différence du porno qui joue essentiellement du gros plan, le film érotique (Emmanuelle, Histoire d’O, etc.) se construit surtout à coups de plans moyens […], le principe qui y œuvre est toujours le même. Car le gros plan du porno et le plan moyen de l’érotique fonctionnent selon un même registre, mais sur des modes inversés: c’est toujours l’hyperfocalisation sur le lieu objectif du sexe, sur le parties génitales, qui gouverne l’un e l’autre “genres” – evidente au porno, inductrice dans l’érotique” 118. Non esiste differenza quindi tra le due modalità discorsive, solo una diversa ottica per giungere a un medesimo obiettivo: la messa in scena del sesso. La diversità consiste nel modo di rappresentazione: “C’est donc simplement par un degré supérieur de raffinement, d’artificialité, que le féticisme de l’érotique se distingue de celui du porno” 119. Nell’erotico i feticci possono essere un capo di biancheria, oppure situazioni più costruite; per esempio la figura femminile che ricopre un ruolo di potere nella vicenda, come la donna all’interno di una caserma con i soldati ai suoi ordini. Oppure il feticcio rientra in alcune tipologie di inquadrature pronte a svelare i gioielli indiscreti; classica è diventata l’inquadratura dal basso utilizzata per riprendere Laura Antonelli sulla scala in Malizia, oppure la ripresa attraverso il mascherino che riproduce il buco della serratura, cliché declinato a partire dagli anni Settanta. Lardeau richiama la nozione di “simulacro” dovuta a Baudrillard e instaura una metafora per differenziare il porno dall’erotico: “Dans l’ordre des simulacres (Baudrillard), le porno a, dans son technologisme, pour modèle-type, le robot; l’erotique, dans son sémiologisme, le mannequin. En Ibidem, “Pan-otticismo di cui la macchina da presa, nella sua capacità di riprodurre fedelmente il reale, è il processo tecnico perfetto”. 117 Ivi, p. 51, “Questo scollamento del sesso, lungi dall’essere il segno della sua “liberazione”, fissa al contrario il luogo della sua reclusione. Dissociato, isolato (autonomizzato) dal corpo attraverso il primo piano, circoscritto alla sua materialità genitale (oggettività), può circolare liberamente aldifuori del soggetto”. 118 Ivi, p. 52, “Se, a differenza del porno che applica essenzialmente il primo piano, il film erotico ( Emmanuelle, Histoire d’O, ecc) si costruisce soprattutto a colpi di piani medi […], il principio è sempre lo stesso. Il primo piano del porno e il piano medio dell’erotico funzionano secondo uno stesso registro, anche se con modalità inverse: è sempre l’iperfocalizzazione sul luogo oggettivo del sesso, sulle parti genitali che governa l’uno e l’altro “genere”, evidente nel porno, induttiva nell’erotico”. 119 Ibidem, “E’ dunque solo per un grado superiore di raffinatezza, di artificialità, che il feticismo dell’erotico si distingue da quello del porno”. 116

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termes clairs, pour renvoyer à la face du cinéma érotique le cynisme de son propre discours: le porno, c’est le cinéma erotique des ignobles; le cinéma érotique, c’est le porno des nobles” 120. La figura del robot evidenzia la funzione meccanica rivestita dagli attori davanti all’obbiettivo; sono i rappresentanti di una dinamica sessuale che segue dei codici di sviluppo spesso ripetitivi. L’attore è spesso definito performer, in quanto il suo ruolo si esaurisce con il termine del rapporto sulla scena e consiste quasi totalmente nell’offrire una prestazione. C’è poco spazio, e soprattutto non vi è richiesta in questo senso, per un approfondimento del carattere del personaggio. Anche in questo caso, solo i grandi attori porno, sono riconosciuti per le loro modalità di recitare; Rocco Siffredi porta avanti uno stile che persegue delle “finalità fusioniste” 121con la partner, il suo modus operandi prevede un tipo di procedura nei rapporti molto selvaggia, spontanea e impetuosa. E’ continuamente ricercato il contatto fisico complessivo e totale, e Adamo riporta una riflessione di Simone de Beauvoir a proposito: “Lo stringere porta facilmente a mordere, pizzicare, graffiare; questi atteggiamenti in genere non sono sadici, esprimono un desiderio di fondere, non di distruggere; e il soggetto che li subisce non cerca di rinnegarsi, di umiliarsi, ma di unirsi; d’altronde sono tutt’altro che specificatamente mascolini” 122. Un secondo esempio di stile riconoscibile attraverso le diverse prove lo fornisce Max Hardcore; il genere nel quale opera è un ibrido tra il gonzo, il casting e l’amatoriale e la tecnica utilizzata è una violenza lucida e asettica. Non lascia trasparire espressioni di coinvolgimento, al contrario assume un atteggiamento clinico e manipolatore e tende a degradare la donna proponendo un modello tipico dell’immaginario erotico: la femmina assatanata, una sorta di prostituta sadiana disposta a subire tutto. Proseguendo nell’analisi del saggio, Lardeau considera gli effetti del primo piano pornografico: “Exteriorisation, déliaison et abstraction du sexe dès lors libre pour toutes les connexions, isolement et identification du sexe aux organes génitaux, réduction du caché et de l’invisible à l’épuisement et à la saturation du représenté”123. Giunge quindi a una definizione di iperrealismo del rappresentato, ciò che viene mostrato perde il suo significato immanente. Il primo piano assume una dimensione astratta e, come accennato in precedenza, arriva a neutralizzare il sesso fino a creare una situazione in cui il sesso stesso non esiste più, diventa un puro artefatto. Il porno dimostra l’inesistenza di un luogo oggettivo del sesso: “multipliant les termes identificateurs de l’échange sexuel pour en Ivi, p. 53, “Nell’ordine dei simulacri (Baudrillard), il porno ha, nel suo tecnologismo, per modello-tipo il robot; l’erotico, nel suo semiologismo, il manichino. Insomma, per rigettare in faccia al cinema erotico il cinismo del suo discorso: il porno è il cinema erotico degli ignobili; il cinema erotico è il porno dei nobili”. 121 Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 243. 122 Ibidem, la citazione in nota riporta S. de Beauvoir, Il secondo sesso (1949), tr. it. il Saggiatore, Milano 1991, p. 457. 123 Lardeau, p. 53, “Estrinsecazione, scollegamento ed astrazione del sesso da questi elementi libero per qualsiasi relazione, isolamento e identificazione del sesso con gli organi genitali, riduzione del nascosto e dell’invisibile allo sfinimento e alla saturazione del rappresentato”. 120

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conjurer l’absence, de par sa représentation même et malgré lui, le porno nous dit, en fin de compte, que le sexe est irreprésentable, immontrable” 124. Il progetto utopico è di mostrare la realtà del sesso, ma, forse, dimentico del suo statuto simbolico, non riesce che a simularla. “Ne restent plus alors au porno que le modèle de simulation de la sexualité (le code) et le cinéma, du fait de la réalistique de ses images, comme medium privilégié, comme mode, par excellence, de la simulation – et corollairement comme mode de vérification”125. Secondo Lardeau il messaggio del porno è che il cinema sia esso stesso, come medium, pornografico: “car le porno ne nous montre que cela: cette chirurgie des corps, cette boucherie des sexes qui s’étale sur l’écran est à censurer (ou à mettre à part) parce que s’y extériorise en toute innocence cette obscénité ontologique du cinéma”126. La rappresentazione pornografica si fa portatrice di una rivelazione che investe il linguaggio del cinema per intero e solamente questa modalità può rivelare la condizione del cinema. Gli altri generi, continua Lardeau, hanno saputo nascondere l’oscenità ontologica del cinema tramite artifici secondari della messa in scena come per esempio le trame complesse, le scenografie e le prove di recitazione degli attori. Portando questi elementi a un grado zero, emerge l’aspetto che soggiace indisturbato. Retrocedendo attraverso questo lavoro di spoglio dei vari artifici, si giunge a trattare il porno come un ritorno delle origini; la semplice ripresa della realtà rimanda ai Lumière, e un ulteriore passo indietro rispolvera i fucili cronofotografici di Marey e le apparecchiature di Muybridge. Tra il porno e il cinema delle origini si stabiliscono numerosi collegamenti: consideriamo per un momento i tratti distintivi che nel 1990 Noël Burch delinea per definire il Modo di Rappresentazione Primitivo: “autarchia del quadro (anche dopo che viene introdotto il sintagma di successione), posizione orizzontale e frontale della macchina da presa, aderenza al piano d’insieme e tendenza centrifuga”127. Caratteristiche che ritornano spesso nella rappresentazione hard, a partire dagli stag degli anni Venti, ma anche dal cinema pornografico ufficiale della metà dei Settanta, fino al contemporaneo. Questa considerazione non tende a identificare in toto il porno con il cinema delle origini o con l’M.R.P. di Burch; ha la funzione di riconoscere che nei codici della rappresentazione pornografica sono utilizzate strutture simili alle costruzioni primitive sopra citate. Ivi, p. 54, “Moltiplicando i termini di identificazione dello scambio sessuale per scongiurarne l’assenza, nonostante la sua rappresentazione e malgrado esso, il porno ci dice, in fine dei conti, che il sesso è irrapresentabile, non si può mostrare”. 125 Ibidem, “Allora non restano più al porno che il modello di simulazione della sessualità (il codice) e il cinema, a causa della sua riproducibilità realistica delle immagini, come medium privilegiato, come modo, per eccellenza, della simulazione – e in secondo luogo come modo di verifica”. 126 Ivi, p. 57, “Perché il porno ci mostra ciò: questa chirurgia dei corpi, questa macelleria dei sessi che si staglia sullo schermo è da censurarsi ( o da mettere in disparte) perché vi si esteriorizza in tutta innocenza l’oscenità ontologica del cinema”. 127 Burch Noël, Il lucernario dell’infinito. Nascita del linguaggio cinematografico, tr. it. di Paola Cristalli, Il Castoro, Milano, 2001, p. 167, titolo originale La lucarne de l’infini. Naissance du langage cinématographique, Nathan/Her, Paris, 1990. 124

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Inoltre grazie a questi elementi rientra una considerazione circa lo statuto del genere pornografico; quest’ultimo riesce a presentarsi come genere utilizzando strutture primitive che, evidentemente, venivano utilizzate prima di ogni possibile organizzazione e classificazione dei generi cinematografici. In altre parole, il genere hard non necessita di accessori come inquadrature tipiche, scenografie, colpi di scena nella narrazione o caratterizzazioni particolari: recuperando il concetto di Cremonini, si definisce porno utilizzando un semplice parametro iconografico, anche se la ripresa può rientrare perfettamente nei codici del cinema delle origini. Quindi l’unico elemento indispensabile per ottenere la qualifica di genere pornografico risulta il codice iconografico, un elemento puramente visivo. Il modo in cui si presenta non incide particolarmente; si può avere una rappresentazione che segue da vicino i dettami del cinema delle origini, quindi una camera fissa, una ripresa frontale e un’assenza di movimenti di macchina. Come d’altra parte, lo stesso obiettivo si raggiunge passando attraverso codici costruiti, accettati e riconosciuti come il money shot, una ripresa ravvicinata, l’impiego di caratteri fissi come quello del villain negli attori e delle varie tipologie di ideali femminili. Per tornare alla vicinanza con il cinema delle origini, Linda Williams nel suo testo più importante, Hard core, sceglie per la copertina una serie di fotografie di Eadweard Muybridge. Si tratta di una classica ripresa in sequenza, commissionata per lo studio del corpo in movimento; in otto riquadri si vede una ragazza che fa accomodare su una sedia un’altra donna che fuma. Le due sono completamente nude. Williams considera il concetto di feticizzazione del corpo femminile e lo confronta in due ambiti diversi: in un film e in una sequenza di Muybridge. Per il primo caso sceglie la figura di Marlene Dietrich nei film di von Sternberg; qui la donna posta al di fuori del flusso degli eventi sembra appiattire la veridicità della sua rappresentazione, ritardare la narratività dell’azione e far diventare la figura femminile una sorta di icona. In Muybridge al contrario i corpi nudi delle persone sembrano richiamare una narratività, un possibile aspetto che organizza una narrazione attorno a micro-storie128. L’ipotesi che sostiene Williams è dimostrare che la feticizzazione della donna provoca sempre un disturbo nel testo; nel caso di Muybridge si verifica la creazione di un aspetto narrativo prima inesistente, mentre nei film classici, la narrazione è ritardata in favore di una contemplazione della figura femminile. Il fatto che Williams aggiunga il concetto di feticizzazione, è un surplus teorico utile per analisi di carattere psicologico ma per una definizione del genere risulta secondario. Al contrario Paolo Mereghetti individua le caratteristiche fondanti del porno in un suo intervento molto sintetico e dai toni finali drammatici. Secondo il critico “la ricerca quasi ossessiva del realismo e la presenza Per questo aspetto si veda Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, pp. 42-43. 128

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costante del primo e del primissimo piano” 129 sono le caratteristiche che qualificano il porno come genere cinematografico. Rileva come siano fondamentali questi due fattori, anche a scapito della trama che può tranquillamente non esistere. In più riconosce come agli inizi degli anni Settanta, il porno si sia dato delle regole interne per una sua struttura di genere: “suono in presa diretta, linguaggio tra finzione e documentario, ricorso sistematico a piani sequenza e al primo piano, distruzione della psicologia e della narrativa tradizionale” 130. Richiama Lardeau, quando descrivendo le modalità di costruzione sostiene che i film porno “finiscono per mostrare il sesso dell’uomo e della donna come nessuno li ha mai visti e mai li vedrà. In definitiva come non sono mai esistiti” 131. Una conseguenza di questa visione si trova nella conclusione del pezzo di Mereghetti: “il cinema pornografico porta dentro di sé un germe autodistruttivo: quanto più vuole essere realistico tanto meno lo diventa, quanto più vuole essere pornografico tanto meno ci riesce. […] Il cinema pornografico trascina quindi con sé la morte stessa del cinema: la voglia di realtà (inarrivabile) che lo contraddistingue disinnesca (e distrugge) lo scarto dell’immaginario su cui il cinema ha costruito il suo potere di spettacolo di massa e di presa sul pubblico”132. Non è il primo intervento che rivela come il porno sia il portatore della morte del cinema; è una questione tipica all’interno del postmodernismo discutere sulla morte del cinema e ogni volta si cerca un colpevole. Oltre all’avvento delle videocassette, dei nuovi media dove i film possono vivere, la dissoluzione dei generi e la conseguente contaminazione degli stessi, è inevitabile che tra i soliti sospetti rientri anche uno degli ultimi generi nati. Gualtiero De Marinis risponde così a chi vede nell’esibizione delle luci rosse, l’ultimo rantolo di un cinema (non solo porno) in agonia: “Il cinema è morto? Poco male, era già vivo prima della sua nascita, potrà ugualmente continuare dopo la sua morte” 133. Se poi si deve descrivere come si presenta quest’ultimo nato, i toni si fanno aspri e nella definizione di Rosella Lerose traspaiono chiaramente: “Oggi, per pornografia, s’intende qualcosa che offende, che ferisce, qualcosa di brutale, grezzo, crudo, aggressivo”134. Come è stato accennato in apertura di questo capitolo, la pornografia risulta perdente nel confronto che tipicamente si instaura con l’erotismo; nel caso dell’intervento di Giovanni Scibilia, lo studioso dapprima riconosce la scorrettezza di porsi nell’ottica di un confronto con l’erotismo per tentare di Mereghetti Paolo, “Porno o il suicidio del cinema. Un genere cinematografico che ricerca il realismo e assicura notevoli incassi”, in Scena, n. 9/10, novembre, 1980, p. 29. 130 Mereghetti Paolo, “Breve storia del cinema porno”, in Scena, n. 9/10, novembre, 1980, p. 33. 131 Mereghetti Paolo, “Porno o il suicidio del cinema. Un genere cinematografico che ricerca il realismo e assicura notevoli incassi”, in Scena, n. 9/10, novembre, 1980, p. 29. 132 Ivi, pp. 29-30. 133 Da Marinis Gualtiero, “Il cinema delle luci rosse. Il senso del peccato: un senso in meno”, in Cineforum, n. 188, ottobre, 1979, p. 579. 134 Lerose Rosella, “Erotismo, pornografia, commedia sporcacciona, hard-core, soft-core…”, in Scena, n. 9/10, novembre, 1980, p. 30. 129

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definire la pornografia. Infatti, riferendosi ai due termini, si chiede: “cosa sottende la dicotomia? In sostanza: che il cinema erotico eleva ciò che la pornografia mostra in modo greve ed immediato” 135. In seguito giustifica questo confronto richiamando una lettura freudiana che ritrae la pornografia come qualcosa di vergognoso, per cui viene nascosta sotto il termine di erotismo. Quest’ultimo però ha la propensione alla rappresentazione del sesso, idealizzandolo; qui la libido è ridotta a una rappresentazione psichica, mentre la componente somatica, produttiva, viene rimossa. “E’ Freud stesso quindi a praticare ciò che temeva, l’occultamento della sessualità ad opera della natura rappresentativa di Eros. La rappresentazione rimuove il corpo e le sue pratiche rimandano ad altro”136. Scibilia individua nella pornografia l’unica forma di rappresentazione filmica che rispetterebbe lo statuto dinamico della libido. Si tratta dunque di una rappresentazione che è, al tempo stesso, produzione. Oltre alle modalità di rappresentazione, considera anche la dimensione temporale: “la coazione a ripetere dà luogo inoltre ad una struttura temporale di tipo circolare: a coito segue coito, ad orgasmo orgasmo. Nel film pornografico come non esiste plot (se non come ritmo di sesso e pause narrative), così non esiste tempo. Meglio, l’unico tempo è il presente” 137. Gli interventi fin qui analizzati sono caratterizzati da un tipo di approccio scevro da qualsiasi connotazione politica; a parte il pezzo di Vittorio Giacci apparso su Cineforum, questi tipi di scritti politici, appaiono spesso su Cinema nuovo. “Sulla parola pornografia si è costruita una delle più grandi mistificazioni, poiché si è data una connotazione morale a quella che è innanzitutto categoria politica, cioè scelta di valori od antivalori più o meno funzionali ad un intero sistema, assolutizzando un concetto del tutto relativo sia nel tempo che nello spazio”138. Questo estratto sintetizza la posizione di Giacci e ne rivela tutto l’aspetto politico, riscontrabile anche nell’uso di termini come sistema e mistificazione. La causa per la quale si batte Giacci riguarda la libertà di scelta di ciascun individuo, senza l’intervento dello stato conservatore. Prosegue poi assumendo una posizione marxista che rivendica un’unità rispetto alla divisione dei sessi nell’atto della riproduzione. In altre parole, va sostituita la differenziazione dei classici ruoli sociali di maschio e femmina, che permette la conservazione dell’ordine esistente, con la loro unità come spinta rivoluzionaria. “E’ in questo senso allora, politico e non morale, che si deve rifiutare la “pornografia”, intesa come speculazione volgare e mercificata delle problematiche sessuali, e non tanto perché essa sia moralmente inaccettabile, quanto perché con la pornografia non si rivoluziona nessun rapporto sociale, anzi, se ne rafforzano semmai le basi, grazie all’eccesso di un proibito che, in quanto esagerata rappresentazione di determinati comportamenti, non rimette Scibilia Giovanni, “Le trasgressioni di eros”, in Segnocinema, n. 44, luglio, 1990, p. 24. Ibidem. 137 Ivi, p. 25. 138 Giacci Vittorio, “Il falso concetto di pornografia”, in Cineforum, n. 133, giugno, 1974, p. 409. 135 136

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mai in discussione i principi di quella morale (e quindi della struttura socio-economica che l’ha prodotta) che così platealmente sembra negare, limitandosi a dilatarla forzosamente” 139. Lo studioso nota poi come si siano, apparentemente, allargate le maglie della censura, permettendo il passaggio nelle sale di film erotici di basso livello. Si tratta però di un’apertura fittizia: queste farse non mettono in discussione la morale, mentre sono le opere che utilizzano l’aspetto erotico per una riflessione critica che vengono colpite dalla censura. Le opere di Bertolucci, Pasolini, Ferreri sono sottoposte a processi e spesso subiscono tagli dalla commissione censura; le commedie cosiddette scollacciate, invece passano nelle sale senza problemi. Oltre a casi sporadici su altre riviste, sull’esempio di Giacci in Cineforum, gli interventi definibili politici sono ospitati sempre da Cinema nuovo. Uno dei primi interventi si intitola “Mistificazione del costume nel filone nazi-porno”140, uscito nel 1978 con la firma di Giancarlo Grossini, il quale punta l’indice contro questi film per la loro carica reazionaria. Verso la fine dello stesso anno, esce un articolo dove si tenta di inquadrare il nuovo genere. Subito Liborio Termine inizia con uno dei luoghi comuni più diffusi: “Chi ama questo genere di spettacoli, guarda la luce, neppure più il titolo del film che si proietta. Tanto, son tutti uguali: il film porno non ha molta fantasia”141. L’inesattezza riguarda la seconda parte della frase, poiché si può osservare come anche oggi sui quotidiani non appaia nella pagina degli spettacoli, il titolo del film proiettato, ma spesso ci sia solo una dicitura generale del tipo “Film V.M. 18”. L’analisi di Termine si allarga a livello sociologico, tralasciando l’aspetto puramente cinematografico come spesso accade negli interventi della rivista. “Ecco perché non credo che ci troviamo di fronte a un autentico atto di libertà del costume sessuale: perché non assistiamo ad una vera esplosione o manifestazione del “diritto alla perversione”, ma al riconoscimento che la “perversione” ha un suo diritto a manifestarsi in forme, tempi e modi ben codificati” 142. Si noti come sia utilizzato il termine “perversione” come un sinonimo di “devianza”, in base ai risultati di un’analisi di Cesare Musatti secondo cui i meccanismi psichici che si mettono in moto osservando delle rappresentazioni erotiche, attivano l’eros dello spettatore secondo canali e modalità omosessuali. Musatti utilizza un concetto freudiano circa la canonicità dei rapporti sessuali; è lecito solo il rapporto tra un uomo e una donna, un rapporto a tre è già sintomo di una perversione. “Allo spettatore cinematografico accade appunto di essere coinvolto in una rappresentazione erotica né più né meno che se fosse il terzo partner. Per il meccanismo dell’identificazione, infatti, lo spettatore tenderà a identificarsi con (ad essere) il protagonista. Sullo schermo, cioè, nel momento del coinvolgimento, non ci sono più un attore e un’attrice, ma insieme Ivi p. 412. Grossini Giancarlo, “Mistificazione del costume nel filone nazi-porno”, n. 251, gennaio-febbraio, 1978, pp. 36-39. 141 Termine Liborio, “Quelle discrete luci rosse”, in Cinema nuovo, n. 256, novembre-dicembre, 1978, p. 44. 142 Ivi, p. 45. 139 140

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con loro due c’è anche lo spettatore che vive, attraverso il (o, se donna, la) protagonista, la stessa esperienza e le stesse emozioni di questi. Ma poiché l’identificazione con l’attore non è una sostituzione che lo elimina, di fatto è come se psicologicamente lo spettatore godesse dell’attore con il quale si identifica. In quel momento, appunto, senza esserne affatto consapevole, egli mette in atto processi omosessuali”143. Un altro articolo che guarda alla pornografia da una prospettiva sociale è quello di Franco Basaglia dall’emblematico titolo “La pornografia come mezzo del controllo sociale”. La teoria sostenuta è che “l’eros ha ricevuto maggior rilievo dall’oppressione cui è stato sottoposto, in quanto mezzo di controllo sociale estremamente importante […] Quanti più film erotici vengono immessi sul mercato tanto più c’è autocensura del film erotico” 144. Spesso comunque sono presenti fugaci giudizi sulle persone che frequentano le sale a luci rosse e sui film; mentre per Erika Kaufmann “chi si reca regolarmente a tali spettacoli per trarne soddisfazione, psicologicamente è già un individuo guastato; chi ci va con scopi culturali naturalmente non fa testo perché non resta turbato” 145, per Gillo Dorfles “lo spettatore tipico del film pornografico è essenzialmente frustrato”146. Inoltre definisce i film come “immagini patologicamente eccitanti” 147. Talvolta i critici hanno l’onestà intellettuale nel dichiarare di non essere mai entrati in una sala a luci rosse e, quindi, di dare dei giudizi in base a una credenza diffusa. Dorfles ammette apertamente: “in realtà non mi sono mai recato a vedere questi spettacoli tipicamente pornografici”148. Delle osservazioni politiche le offre anche una conversazione raccolta da Giancarlo Grossini con Franca Rame, la quale si chiede in che condizioni aumenti la liberalizzazione del sesso. La risposta è “quando esistono dei grossi problemi politici; e così il sesso insieme al calcio diviene lo strumento politico del padrone […] Il calcio è la droga di sempre, la droga leggera; ci sono poi le droghe pesanti, pastiglie, psicofarmaci e, appunto, la pornografia” 149. Gli interventi della rivista risentono soprattutto del clima fortemente politico degli anni Settanta; infatti, già nel corso della decade successiva i toni si smorzano e diminuiscono gli interventi a base di politica. Nel 1987, Paolo Lughi teorizza l’avvicinamento di due forme: il soft core e l’hard core. Tra i vari Ibidem. Basaglia Franco, “La pornografia come mezzo del controllo sociale”, in Cinema nuovo, n. 270, aprile, 1981, pp. 7-8. 145 Kaufmann Erika, “Perché il maschio firma il corpo della donna”, in Cinema nuovo, n. 271, giugno, 1981, p. 12. 146 Dorfles Gillo e Selingheri Pes Fulvia, “La ricerca del potere nel simbolismo dell’osceno”, in Cinema nuovo, n. 273, ottobre, 1981, p. 7. 147 Ibidem. 148 Ibidem. 149 De Marchi Luigi e Rame Franca, “Film di copertura per sessualità dimezzate”, in Cinema nuovo, n. 274, dicembre, 1981, p. 9. 143 144

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Samperi, Brass e Lavia, prende come esempio Joe D’Amato, regista di film hard che è passato alla produzione di soft; in maniera furbesca il regista inserisce spezzoni hard mediandoli attraverso stratagemmi diversi. Gli specchi, mezzo utilizzato in maniera ridondante anche da Brass, paraventi che richiamano le ombre cinesi, oppure l’escamotage del film nel film. Altri modi sono l’uso dei disegni animati quando si tratta di rappresentare una penetrazione sessuale, oppure le stampe orientali, notando come lo spostamento del rappresentabile in un’ambientazione esotica permetta una maggiore licenziosità; il più noto predecessore di queste trasposizioni geografiche con conseguente rivalutazione dei metri di giudizio è senza dubbio Gualtiero Jacopetti, autore dei due Mondo cane. Spiegando l’avvicinamento tra le due forme, Lughi sostiene che “la debolezza della formula softcore, si rivela dunque in questi azzardi continui, in queste mediazioni che non alludono più al sesso ma lo riproducono seppur distanziandolo o traducendolo in altri linguaggi” 150.

4. TRIPARTIZIONE DEI DISCORSI

E’ possibile costruire un’organizzazione dei discorsi sul porno sulla base di una tripartizione. La prima modalità di discorso si avvicina al porno dal solo punto di vista cronachistico, approfondisce le conoscenze a livello d’esplorazione del mondo hard in maniera superficiale ed è priva di fondamenti teorici. Definibile come critica bassa pornofila è fondamentale nel reperire informazioni sul sottobosco del porno, e fornire continui dati sulle persone che operano nel settore. La seconda categoria di discorsi è individuabile nell’opera di Pietro Adamo, docente di Storia

Lughi Paolo, “Indietro nel tempo e oltre lo specchio dell’erotismo”, in Cinema nuovo, n. 306, marzo-aprile, 1987, p. 33. 150

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moderna, limitatamente ai due testi sulla pornografia: La pornografia e i suoi nemici151 e Il porno di massa152. Il primo testo affronta lo sviluppo del porno lungo diversi secoli e analizza dei testi letterari importanti al fine di comprendere le posizioni assunte dalla società per affrontare la questione pornografia. Il secondo parte da una ricostruzione storica dell’affermazione del porno come genere di massa popolare e arriva a un’analisi dell’hard contemporaneo. Il lavoro di Adamo si differenzia dalla critica bassa pornofila grazie a una preparazione più solida e supportata da strumenti teorici validi. Numerosi sono i richiami ad autori che hanno trattato tematiche utili per un’analisi della pornografia: Bataille, Marcuse, Coetzee, Reich, Stella, Strossen, Stoller. I suoi studi sul porno si caratterizzano per la particolare attenzione riguardo al rapporto con la società. A conferma dell’indispensabilità della prima categoria di discorsi anche nel lavoro di Adamo, si noti la dedica che apre il secondo testo, rivolta a una rivista spenta di pornografia, Video Impulse153. Il terzo polo dei discorsi comprende gli interventi compiuti da teorici, studiosi e accademici. Il luogo d’elezione per questa tipologia di contributi è la rivista di cinema, uno spazio che permette di esprimere in modo argomentato e libero i propri spunti di riflessione. Rientrano qui anche due testi storici per lo studio della pornografia: Il porno154 di Robert Stoller e Hardcore155 di Linda Williams. Questa organizzazione critica degli interventi sul porno, è opportuno sottolineare, non crea un ordine di importanza o di maggiore affidabilità tra i tre settori. La critica bassa pornofila deve avere lo stesso rispetto degli interventi sulle riviste di cinema. Ritorniamo solo un momento alla dedica che Adamo rivolge alla rivista Video Impulse nel suo ultimo libro, al fine di portare un esempio di come sia indispensabile la prima categoria di discorsi come punto di partenza per studi più approfonditi. D’altra parte le differenze sono importanti; la critica bassa pornofila utilizza come metodo d’indagine preferito la discesa in campo mediante interviste, visite sui set e raccolta di esperienze vissute dai protagonisti del genere. Come risultato si ottengono dei resoconti dettagliati e precisi, utili per capire come viene costruito il prodotto pornografico. Una critica da muoversi è la mancanza di un atteggiamento distaccato che spesso porta alla composizione di pezzi troppo coinvolti e sbilanciati. Gli interventi teorici, invece non si soffermano sul processo di costruzione del prodotto porno per Adamo Pietro, La pornografia e i suoi nemici, Il Saggiatore, Milano, 1996. Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004. 153 Ivi, la dedica per esteso è: “ Agli amici di Video Impulse, in memoriam (la rivista, non gli amici)”. 154 Stoller Robert, Il porno. Miti per il XX secolo, traduzione di Sandro Lombardini, Feltrinelli, Milano, 1993, titolo originale Porn. Myths for the twentieth century, Yale University Press, 1991. 155 Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989. 151 152

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due motivi; ritengono inutile fornirne una descrizione oppure considerano questo aspetto come un dato già assodato o comunque reperibile in modo piÚ agevole rispetto a una riflessione critica come si appresta a essere fruito l’intervento teorico. Adesso prendiamo in considerazione singolarmente le tre categorie dei discorsi iniziando dalla critica bassa pornofila.

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4.1

LA PERDITA DELLA BUONA DISTANZA

4.1.1 MICHELE CAPOZZI, IL PORNOLOGO Nel settore porno è diventato senza dubbio una figura principale pur non rivestendo né il ruolo tipico dell’attore né quello del regista 156; Di Quarto e Giordano lo definiscono “una sorta di Kezich del cinema a luci rosse”157, ma senza paragoni precari è uno dei massimi esperti di pornografia a livello mondiale. Dopo la laurea conseguita a Genova in giurisprudenza, passa tutto il 1970 a Londra, poi ritorna a Roma e nel 1972 inizia a occuparsi di cinema tradizionale come assistente volontario del regista Mino Guerrini durante la lavorazione de Il colonnello Buttiglione diventa generale. Sul set conosce l’operatore Joe D’Amato, Donatella Donati, la segretaria di edizione e suo padre, il produttore Ermanno Donati. Grazie alla sua dimestichezza con l’inglese ricopre diversi ruoli all’interno della produzione anche con registi stranieri; è aiuto regista di Brian De Palma in Complesso di colpa, aiuto regista dell’action unity in Agente 007 - La spia che mi amava di Lewis Gilbert nelle sequenze girate in Sardegna, lavora con Roberto Faenza, Barry Gordy e Daniel Mann. Nel 1978 si stabilisce su una barca ormeggiata nella baia dell’Hudson, nel New Jersey e prima di entrare nel mondo del cinema, conosce Piero Longo, un organizzatore di viaggi turistici nella New York alternativa. Capozzi si specializza nei giri notturni e tra le centinaia di visitatori la sua macchina ospita anche Michelangelo Antonioni; è un perfetto conoscitore della grande città statunitense, ottiene interviste su Panorama e L’Espresso e presto si ritaglia una posizione nella New York alternativa. Il contatto con il porno avviene nel 1980 attraverso il produttore Bob Samner che gli assegna il compito di direttore della produzione, conoscendo le esperienze passate di Capozzi. Il film è Girl’s Best Friend di Henry Pachard con Juliet Anderson, Veronica Hart, Samantha Fox e Ron Jeremy da poco attore hard. Immediate sono le differenze che Capozzi riscontra, limitatamente al suo incarico, rispetto al cinema tradizionale; gli viene chiesto di redigere un piano di lavorazione di undici giorni con 150.000 dollari a disposizione come budget, una cifra molto alta. Poi scrive qualche sceneggiatura e riesce a rimanere all’interno dell’ambiente. Nel 1984 si reca a Harlem con un’attrezzatura leggera video dove gira un documentario dal titolo T.V. Transvestite; è la documentazione realizzata assieme a Simone Di Bagno di un concorso di bellezza riservato a travestiti e transessuali. In quel periodo nasce anche la sua collaborazione con le riviste; scrive due lunghi articoli per Playmen sulle notti newyorchesi. Alla rivista Video manda senza una regolare scadenza i resoconti delle sue Per completezza Capozzi ha recitato in qualche film porno ma solamente in brevi ruoli marginali non hard; inoltre durante la trasmissione “Le iene” di martedì 14 marzo 2006 è stato intervistato sul set di un film hard in Ungheria del quale stava curando la regia. 157 Di Quarto Andrea e Giordano Michele, Moana e le altre, Gremese, Roma, 1997, p. 144. 156

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“esplorazioni urbane” e solo dal numero 34 dell’ottobre 1984, sotto la direzione generale di Carlo Rocco, Capozzi entra stabilmente nella redazione del mensile; cura l’Inserto X in busta chiusa che si trova alla fine di ogni numero. Le sue principali attività prevedono di frequentare i set, mantenere i contatti con l’ambiente, andare alle premiazioni che si svolgono a Las Vegas e a Los Angeles. Si ritrova a lavorare in un periodo molto rilevante nella storia del porno, infatti si sta verificando il passaggio dalla pellicola tradizionale al nuovo supporto video. Nel frattempo in Italia il porno si sta sviluppando, anche grazie alla nuova possibilità delle videocassette, e nel settembre del 1986 l’editore di Video, la Tattilo Editrice, decide di lanciare una rivista specializzata, X Eros in Video, un bimensile. Diventa subito una rivista di culto anche perché escono solamente dieci numeri curati quasi interamente da Capozzi, poi nel marzo del 1988 il giornale chiude. Capozzi continua a scrivere su Video e il suo inserto continua a ottenere un buon successo nonostante la comparsa di nuove riviste specializzate come Video Impulse, nell’aprile 1992, Cinema Video X, VHS Video. Il rapporto con la rivista si interrompe nel 1995 e negli anni novanta tiene molte conferenze in scuole e università, mentre collabora a Playmen e alle italiane Blue, Italian Video XXX e la rivista leader Video Impulse. Torna poi al settore della produzione realizzando dei prodotti video per la Libido Production di Marianne Beck e Jack Hafferkamp e con Candida Royalle. Quest’ultima dopo aver recitato nel cinema porno statunitense, ha fondato una casa di produzione rivolta alle donne dal nome Femme Productions; i prodotti si distinguono dai classici codici della pornografia eterosessuale per un utente maschile e cerca di soddisfare le donne che pretendono di avere un prodotto pornografico costruito in base alle loro esigenze; quindi i dialoghi sono maggiormente curati, le situazioni di seduzione sono più elaborate e spesso sono le donne a condurre il gioco, gli atti sessuali sono rigorosamente protetti, si dedica più tempo allo spazio che precede e che segue l’atto sessuale (il cosiddetto foreplay e afterplay), la violenza è spesso bandita salvo che non rientri nella sfera di controllo della donna, le fantasie femminili hanno un ruolo centrale, la sceneggiatura presenta trame verosimili, la presenza fisica degli attori e la recitazione sono a un livello maggiore dei normale standard.

4.1.2 L’AUTORE CONIGLIO “La stima nasce anche dal mio saper stare in disparte, capire la situazione e regolarmi. Seguire le indicazioni dei miei padrini, non farmi prendere la mano né da pruriti né da ansie” 158

158

Carvelli Roberto, La comunità porno. La scena hard italiana in presa diretta, Coniglio Editore, Roma, 2004, p. 14.

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Prendiamo in considerazione un libro pubblicato da Coniglio Editore nel 2004 dal titolo La comunità porno, scritto da Roberto Carvelli. Nelle prime pagine la dedica 159 è rivolta a Michele Capozzi e a Franco Trentalance. Il primo è il pornologo ufficiale, mentre il secondo è un attore porno; sono quindi due personaggi che vivono all’interno del settore e sono a stretto contatto con il mondo della pornografia. Dedicare il libro a loro, prima di essere un segno di ringraziamento, è anche una dichiarazione di come si è svolto il lavoro. Carvelli cita come indispensabile l’apporto di “uno dei massimi esperti di pornografia a livello mondiale” 160 e senza dubbio la qualifica di pornologo che si è attribuito lo stesso Capozzi non è infondata. La seconda persona nominata è un personaggio che ha anche lavorato come attore porno. Sono quindi due soggetti molto coinvolti nell’ambiente e che hanno un’esperienza di vita diretta all’interno del porno. La dichiarazione metodologica è esplicita anche nel sottotitolo del libro: la scena hard italiana in presa diretta. Questa tipologia di critica prevede l’intervento fisico sul campo ed effettivamente Carvelli apre il suo libro con un capitolo che riporta le avventure nelle quali si è imbattuto frequentando i set pornografici. “Eccomi finalmente. Su un set porno.” 161. Sono le parole d’esordio del primo capitolo intitolato appunto Sul set, e rivelano una intima soddisfazione per essere sul posto dove avvengono le riprese. Il capitolo utilizza un linguaggio semplice, è una descrizione dettagliata di ciò che succede, quasi un diario di bordo di una segretaria di edizione. Termini molto colloquiali e talvolta volgari sono riportati virgolettati come espressioni captate sul set; tuttavia Carvelli a volte si lascia andare a qualche intercalare che lui stesso definisce tecnico 162. La modalità per reperire le informazioni è spesso l’intervista diretta, sia di persona, che tramite telefono o posta elettronica; Carvelli indossa metaforicamente le vesti dell’antropologo e la “discesa in campo” è effettiva, non solamente dichiarata nel sottotitolo del libro. Il libro è diviso in capitoli dedicati ciascuno a figure specifiche del cinema hard: produttori, registi, sceneggiatori, attrici e attori, maestranze varie e poi distributori, noleggiatori, semplici consumatori e gli inevitabili esperti del settore, capitolo che si apre con Michele Capozzi. La prefazione è riservata a una breve intervista a Enrico Ghezzi composta da cinque domande alle quali le risposte sono inaspettatamente pertinenti. E’ chiesto al critico in che relazione sia con la pornografia, se ci sia un regista hard che manderebbe in onda, un giudizio sulle incursioni di pornostar nel cinema d’autore, quale sia il regista che incarna cinematograficamente l’apice 159

Ivi, pag. 4. La dedica per esteso è: “A Michele Capozzi e Franco Trentalance senza i quali”. Ivi, pag. 172. 161 Ivi, p. 7. 162 Ivi, p. 15, “Poi è lei a far uscire la baiaffa di lui dal pantalone e segue gelateria”. 160

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dell’eros e infine una domanda poco chiara che si presta per lanciare il tipico volo pindarico ghezziano163. La relazione che dichiara di aver avuto con la pornografia, è legata alla visione in sala e quindi al di fuori di un uso masturbatorio. “Il porno, insieme con lo schermo bianco o nero, è quanto di più vicino esista al cinema come riconoscimento del mondo intero come “opera”, come readymade duchampiano post-artistico. In più, ha il valore “politico” di porre la questione della legge, di essere posto da essa e di contestarla o infuocarla dall’interno.”164; il parallelo che pone con la storia dell’arte indica l’utilizzo di un materiale preesistente, non creato appositamente per la ripresa, ma un aspetto di realtà che viene catturato e nel caso del cinema impressionato sulla pellicola. Dopo aver risposto alla seconda domanda ricordando a Carvelli che aveva già trasmesso, riquadrandolo, anzi “dehardizzandolo”165, l’intero Devil in Miss Jones, dichiara che “le interpretazioni alla Siffredi/Breillat sono affascinanti ma più annunciate come evento rottura del tessuto o enfatizzazione trasgressiva dell’autore”166. Ghezzi fa riferimento anche alle partecipazioni in televisione di pornostar come Moana Pozzi e ricorda che solamente la loro presenza è in grado di rivelare la sostanza hard dei talk show e della televisione in generale. In risposta alla domanda su quale regista incarni il concetto di eros, i nomi citati (Lubitsch, von Sternberg, Wilder, Buñuel, Barnet) sono subito ritrattati proclamando tutti i registi portatori di eros al cinema; il cinema, o meglio tutto il cinema è un fantasma di eros. Anche l’azione fisica di andare al cinema può caricarsi di un risvolto erotico, immaginando due corpi che si sfiorano all’interno di una sala durante una proiezione. La domanda conclusiva di Carvelli risulta sconnessa, forse qualche errore di trascrizione la rende oscura, comunque la risposta di Ghezzi arriva ugualmente e porta come esempio di scena più intensa di sesso due sequenze di L’Atalante di Jean Vigo: la scena d’amore nei due letti separati e le sovrimpressioni acquee visionarie che ritornano nella sigla di Fuori Orario. A chiudere il libro un’analisi linguistica su alcune sceneggiature porno 167 a cura di Francesca Serafini168. Riconosce che non si usano vocaboli “caldi” in senso affettivo, laddove si immagina 163

Ivi, p. 6, “Tecnicamente, in quale film ti è capitato di vedere una scena di sesso che hai giudicato perfetta per inquadratura scelta del punto di vista uso della camera?”. A questa domanda abbastanza lunga ma priva di punteggiatura che aiuti a comprenderne il senso, Ghezzi, dopo una breve riflessione postmoderna sul concetto di rivisione e del mezzo supremo che la rende possibile, il dvd, cerca una risposta citando la scena del tuffo in acqua di Jean Dasté nell’Atalante. Forse non a caso sceglie un’immagine utilizzata come sigla, quindi ripetutamente vista. Inoltre definisce oscena la possibilità di rivedere nel campo del cinema, poiché rivela wilderianamente che “nessuna scena è perfetta”. 164 Ivi, p. 5. 165 Ibid. 166 Ibid. 167 Il titolo completo della postfazione è Le parole che mancano. Appunti per uno studio linguistico dei film pornografici. 168 Francesca Serafini è nata nel 1971 ed è laureata in Storia della Lingua Italiana. Ha pubblicato saggi, articoli e racconti. Con L’Accademia degli Scrausi: La lingua cantata (Garamond, 1994), Versi rock (Rizzoli, 1996), e Parola di scrittore (minimum fax, 1997). E’ autrice del volume secondo di Punteggiatura (Holden Maps- Rizzoli, 2001) e del saggio introduttivo alla raccolta di David Mamet, I tre usi del coltello (minimum fax, 2002).

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invece una partecipazione emotiva molto alta, ma ci si affida alla soluzione del tecnicismo, del gergo o del turpiloquio. Segue quindi un breve elenco sui diversi termini per indicare i soggetti principali in un hard. A livello di costruzione del film Serafini propone una buona distinzione, “una distinzione di massima fra una tendenza mimetica, “fondata cioè sul tentativo di riprodurre i meccanismi narrativi ed estetici del cinema alto” e una tendenza performativa, fondata esclusivamente, cioè, sulla messa in scena di atti sessuali di ogni tipo” 169. Confrontando i due tipi di film, riscontra che non vi sono sostanziali differenze sul piano linguistico, le donne si esprimono molto meno rispetto agli uomini e il loro contributo rientra nel campo dell’onomatopea. Il termine di senso compiuto più spesso utilizzato dalle attrici è l’avverbio sì in risposta alle richieste dei loro partner che con scarsa fantasia si riducono a imperativi di basso livello linguistico. Un aspetto che ha notato Serafini riguarda come le esplicite richieste dei partner maschili si traducano in concreti atti delle donne: il che fa assumere a queste stesse richieste un valore puramente performativo. Il registro violento è spesso utilizzato anche nei titoli, luogo dove rispetto ai dialoghi l’impegno creativo dà i migliori risultati (Abusi, Stupri gallery, Dammi tua figlia!). Alcuni titoli giocano sul significato che parole di uso comune assumono nel nuovo contesto a doppio senso della sfera sessuale (Anal Fabete), oppure prendono spunto dalla televisione (Ano mattina, Schizzi a parte, Il grande randello) e più spesso dal cinema tradizionale (Arma rettale, Gruppo di famiglia in un incesto, Il portiere di gnocche, Io non chiavo da sola). Un altro gruppo di titoli rievoca frasi fatte e proverbi opportunamente riveduti (A caval donato lo si prende in bocca, 100 di questi culi, Inculando s’impara) oppure gioca sulle rime come le commedia boccaccesche degli anni Settanta (Sotto l’abito talare si nasconde un grosso… affare, Mamma e figlia, che zozza famiglia). La conclusione dell’analisi linguistica è affidata alla conferma del sospetto con il quale Serafini aveva iniziato il suo lavoro: il sospetto di trovare poche parole da analizzare si è rivelato esatto.

4.1.3 VIDEO La rivista Video nasce nel novembre del 1981 e prevede di fornire notizie tecniche sui nuovi videoregistratori e sugli apparecchi audiovisivi in generale. Affronta anche argomenti meno prettamente tecnici raccogliendo opinioni su fotografia, cinema e televisione. Nel primo numero, un articolo dal titolo Videocassex appare con la firma di Ann O’Nyn e riferisce con entusiasmo dell’arrivo in Italia delle videocassette targate “X”. Celato sotto uno pseudonimo, l’autore dell’articolo scrive del “caso” della Electric Blu, una casa di produzione che mette in circolazione la 169

Carvelli, p. 218.

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prima rivista video; nata in Gran Bretagna e diffusa in Francia dona un soffio vitale alle modelle cartacee del mondo delle riviste per adulti. Poi aggiorna la situazione della produzione di videocassette erotiche e pornografiche in Europa e negli Stati Uniti citando Russ Meyer, John Holmes, Cadinot e le pornostar Vanessa Del Rio, Seka e Désirée Cousteau, per concludere con un interrogativo riguardo quando l’Italia “il paese che ha inventato il latin lover” 170 entrerà nel circuito della produzione di video X. Una pagina fissa sul mensile, Video “X”, indica dove trovare questi oggetti del desiderio proibito disponibili nei diversi formati Betamax, VHS e Video 2000; i rivenditori si trovano spesso a Milano e una cassetta costa in media sulle ottantamila lire. E’ noto che proprio questi titoli hanno permesso la diffusione delle videocassette nel vasto pubblico riuscendo ad abbattere il costo dei nuovi supporti video. Nel 1982 un articolo dichiara che il pubblico è “ormai maturo per passare dalla posizione primaria del coito-unione, espressa dal fotogramma, ad altre più mature e complesse” 171. Le fotografie delle riviste pornografiche sono considerate come portatrici di “tanti piccoli ritagli di realtà, devitalizzati e perciò morti”172. Si aggira quindi lo spettro barthesiano del noema della fotografia, di un aspetto che è stato. Il giornalista battezza l’ingresso “nell’era della pornovisione, che oltre ad avere le caratteristiche di sequenza-movimento, ci sembra anche più si avvicini ad una visione erotica della realtà. L’erotismo, infatti, coinvolge strati mentali più maturi rispetto a quelli toccati dalla pornografia, specialmente quella fotografica. Attraverso la videopornografia mettiamo in moto sentimenti meno primordiali e più elaborati, in cui l’istintualità è mediata da un sentimento e da una fantasia più creativi. E’ una dispersione in cui più facilmente anche il pubblico femminile riesce a muoversi”173. Iniziano anche recensioni sui film disponibili in videocassetta. Sono più complete rispetto al paginone Video “X”, il quale elenca una serie di titoli in inglese, tedesco e italiano, il prezzo a seconda dei vari formati e la videoteca (o casella postale) di riferimento. Per ogni film c’è una breve scheda tecnica che indica il regista, gli interpreti, il paese d’origine, la durata, la qualità della duplicazione, la casa di distribuzione e il prezzo. Di seguito una breve critica che si riserva commenti sulla produzione e sulla realizzazione, gli immanchevoli giudizi sulla fotografia, brevi cenni sulla trama e soprattutto che tipologie di incontri sessuali avvengono nel corso del film. Infine un breve capoverso dal chiaro titolo Momento caldo indica la situazione più interessante a giudizio del relatore. Il tono dei pezzi è contenuto, non presenta volgarità di linguaggio. Tutte le recensioni 170

Ann O’Nyn, “Videocassex”, in Video, n. 1, novembre, 1981, p. 38. Anne O’Nyn, “La fotopornografia è morta viva la video pornografia”, in Video, anno II, n. 12, dicembre, 1982, p. 98. 172 Ibidem. 173 Ibidem. 171

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sono prive di una firma, ma sembrano appartenere alla stessa penna. Non sono presenti esaltazioni senza freni dei materiali visionati e talvolta si incontrano giudizi pregni di modesta consapevolezza circa i film analizzati: recensendo due film tedeschi l’anonimo scrive che “sono due filmati realizzati con professionalità, sempre compatibilmente al genere porno che non facilita gli slanci creativi”174. Sono pubblicate interviste ai registi Damiano e Russ Meyer e alle pornostar Annette Haven, Marlene Willoughby e Seka. Dal numero 34 uscito nell’ottobre del 1984 entra nella redazione di Video Michele Capozzi che assume la gestione dell’Inserto “X”, un allegato posto alla fine della rivista che dichiara dalla copertina di trattare argomenti riservati a un pubblico maggiorenne. Arriva con la falsa qualifica di regista di film hard; in realtà si tratta di un equivoco in quanto ha girato solo un documentario con Simone Di Bagno dal titolo “T.V. Transvestite” su un concorso di bellezza ad Harlem riservato a travestiti e transessuali. Per undici anni cura l’inserto chiuso e racconta le sue avventure negli Stati Uniti a contatto diretto con il mondo del porno; si guadagna l’appellativo di “pornologo” e dall’ottobre del 1988 ha un suo spazio riservato nell’Inserto “X” dal titolo “Il taccuino del pornologo”. Continuano a scrivere altre persone sulla rivista sotto diversi pseudonimi: Sharon, il Barone, Drop Out, il Guardone, Redpen. Si alternano interviste a interpreti, registi, distributori con inchieste sulla diffusione delle videocassette in Italia, la situazione del cinema a luci rosse ed eventi che ruotano attorno al mondo del porno. Un bilancio della stagione 1984 lo redige Sharon e ricorda come sia stato l’anno del boom delle videocassette a luce rossa; le cassette hard ricoprono il 25-30 % dell’intero fatturato circa la vendita, mentre si sale verso il 50% se si fa riferimento al noleggio. In questo articolo Sharon si lascia andare a un velato giudizio morale mentre parlando di tendenze esordisce con un “In discesa, fortunatamente, film sado-maso. Forse perché al giorno d’oggi l’uomo è sottoposto a violenze psicologiche e a sottomissioni ideologiche fin troppo per desiderarne anche nell’intimità” 175. Si noti come la pratica sado-maso sia accostata automaticamente a un aspetto negativo da stigmatizzare; questo è dovuto alla novità rappresentata da certe tendenze non ancora conosciute ma che godono lo stesso di un pregiudizio pesante che deriva dall’ignoranza riguardo l’argomento. Non c’è costrizione nel sado-maso a opera del dominatore e neppure una sottomissione coercitiva nel dominato, le parti sono determinate da entrambi i partecipanti all’attività. Si ha l’impressione che Sharon confonda il sado-maso con lo snuff movie, unico genere che, se veramente esistesse, giustificherebbe la presenza dell’avverbio utilizzato. L’andamento del mercato delle videocassette 174 175

Ivi, p. 94. Sharon, “Una anno di luce rossa”, in Video, anno IV, n. 12, dicembre, 1984, p. 12, il corsivo è mio.

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vede un incremento, sempre secondo i dati riportati da Sharon, degli hard omosessuali maschili, con una punta più acuta per quanto riguarda i film con transessuali e un incremento delle richieste per le cassette dedicate ai seni enormi, le cosiddette Big Tits. Anche in questo caso vi è una breve quanto immotivata spiegazione del fenomeno: “Chissà poi perché. Forse è una rinascita del mammismo, il calore e la sicurezza di un grosso e morbido seno su cui poggiare il capo e sentirsi ancora bambini, protetti dal caos della vita di oggi” 176. Nello stesso numero di chiusura dell’anno 1984, Sharon scrive un articolo 177 sulla realizzazione dei film porno, sui budget spesi e sui guadagni delle star. Qui si annuncia con molta circospezione la presunta morte del divo John Holmes, “il Numero Uno dei superdotatisuper” 178; la notizia non è ancora ufficiale, ma lo diventerà nel 1988179. Sharon redige una classifica personale dei migliori undici film del 1984 e sono evidenti i passaggi in cui si lascia andare con trasporto al giudizio dei film. Scrivendo di Blue Obsession la cui protagonista è Annette Haven il giudizio critico risente pesantemente della presenza della pornostar statunitense. “Io ne sono letteralmente rapito, affascinato, soggiogato. Se lei volesse potrebbe fare di me ciò che vuole. Il guaio è che lei non vuole, è troppo impegnata nei suoi affari per accorgersi di noi” 180. In questo mensile spesso i giudizi tendono a essere influenzati chiaramente dall’attrice protagonista. Anche se appare in un ruolo secondario, il critico riesce a individuare la sua prediletta e a tesserne le lodi. E’ una tipologia di critica molto attoriale, cerca o meglio ricerca le star preferite, ne segue i percorsi, conosce la filmografia e spesso particolari della vita privata. Diventa un modo per seguire le attrici fuori dal set, per costruirne un’immagine forte che si possa riconoscere anche in un contesto estraneo al film stesso. A questo servono le interviste pubblicate in Video, i reportage fuori dal set; al lettore è permesso di penetrare anche al di fuori dei film, la vita privata delle attrici americane, ritratte mentre fanno shopping, o all’interno delle loro case sempre disponibili a ospitare giornalisti. Adesso i canali per costruire un’immagine si possono avvalere della televisione, di giornali specializzati, eventi, Internet; una pioniera in televisione è stata Moana Pozzi, ospite fissa di programmi di intrattenimento e proto-talk show, la stessa Video ha ospitato a metà anni novanta degli spazi per rispondere ai lettori a Selen e a Rocco Siffredi, frequenti sono le partecipazioni di pornostar nelle vesti di madrine alle varie fiere del sesso come il Mi-sex o Il delta di Venere, adesso ogni attrice di livello nazionale ha il suo sito dove trovare dettagliate e romanzate biografie assieme alle date dei tour nei locali a luce rossa della penisola. Dai primi anni ottanta quindi Video cerca di 176

Ibidem. Sharon, “Costi e indiscrezioni sui pornofilm”, in Video, anno IV, n. 12, dicembre, 1984, pp. 13. 178 Ibidem. 179 Interessante e molto scorrevole la lettura dell’autobiografia del pornodivo soprannominato The King. E’ uscito in Italia con il titolo Re del porno. L’autobiografia del più grande attore hard di tutti i tempi, tr. it. Fabrizio P. Belletati, DeriveApprodi, Roma, 1999. 180 Sharon, “Take eleven”, in Video, anno IV, n. 12, dicembre, 1984, p. 16. 177

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indagare le vite, le storie passate e le curiosità che non trovano spazio nei film hard e che si rivelano importanti per mantenere l’obbiettivo puntato sulle attrici anche quando non sono al lavoro. Il linguaggio delle recensioni utilizza vocaboli tecnici per indicare senza imbarazzi terminologici i contenuti dei film; raramente si trovano termini volgari se si fa eccezione per gli stralci di dialogo talvolta riportati. Partouze, cunnilinguo, i prestiti inglesi anal, manual, oral, pissing e blowjob, d. p. che sta per doppia penetrazione, termini utilizzati tra virgolette per richiamare un latente significato come nel caso della pratica di “adulazione” usata per indicare un cunnilinguo anale; il vocabolario del recensore cerca di mantenere una compassata distanza ma allo stesso tempo una precisione nei confronti delle immagini hard. Solo a volte sono coniati dei neologismi come la trasformazione in verbo del termine blowjob che diventa blowjobare. La rivista spesso ospita interventi sulla circolazione delle opere pornografiche; nel primo articolo 181 della rubrica denominata “Il taccuino del pornologo” Capozzi riferisce della situazione statunitense dopo la sentenza della Commissione Meese. Questa riforma prevede legittimi interventi per tutelare i minori e allo stesso tempo una ridefinizione del concetto di oscenità, in base al quale può essere giudicato detentore di materiale osceno un impiegato che tiene nel cassetto un video osceno o una rivista hard. La riflessione di Capozzi è molto competente. “La società ha un’alternarsi vichiano: prima diventa permissiva e poi se ne spaventa, ritornando più repressiva. Negli anni passati si è sperimentata un po’ di liberazione sessuale, di promiscuità, e oggi c’è un’inversione di tendenza” 182. Nello stesso numero Giulia Bartùli183 conduce un analogo lavoro a quello di Capozzi per la situazione italiana; cita l’operato del vice-procuratore della Repubblica di Roma, Alfredo Rossini, il quale ha ordinato il sequestro di almeno una copia di ogni titolo di videocassetta, film o rivista a luci rosse esistente sul territorio nazionale. La crociata che svolge Rossini è in nome del comune senso del pudore, determinato dagli articoli 528 e 529 del Codice Penale. Il principio su cui si basano i due articoli è elastico, si riferisce a ciò che offende il comune senso del pudore; la clausola è volutamente generale, dimodoché “i giudici al momento dell’applicazione interpretino l’espressione nel senso più conforme al momento storico” 184. Bartùli cita anche l’inchiesta sulla pornografia che l’Ispes (l’Istituto di studi politici economici e sociali di Roma) ha condotto sotto commissione, pare, del Vaticano. Nonostante ciò i risultati non sono drammatici, la pornografia non viene né esaltata né condannata apertamente; l’atteggiamento sembra essere quello di ascendenza buddista del “vivi e lascia vivere”. Un punto nettamente a favore del mensile è la corrispondenza di Capozzi dagli Stati Uniti, paese di 181

Capozzi Michele, “Sesso? Non U.S.A. più”, in Video, n. 82, ottobre, 1988, p. 125. Ibidem. 183 Bartùli Giulia, “Adulti in libertà vigilata”, in Video, n. 82, ottobre, 1988, p. 32. 184 Ivi, p. 35. 182

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riferimento e modello per il mercato mondiale di pornografia. Un intervento del 1990 185 inizia con un breve excursus sulla legislatura italiana illustrando il funzionamento degli articoli 528 e 529 del Codice Penale e poi pone il parallelo con gli Stati Uniti: “ (in Italia) è punibile ciò che è osceno, ed è osceno ciò che offende il comune senso del pudore. Negli Stati Uniti si usa ancora il cosiddetto Miller Test, da un caso discusso dalla Corte Suprema nel 1973, in cui la persona media, applying contemporary community standards (utilizzando standard morali di una certa precisa comunità geografica), può giudicare se un certo materiale sia osceno oppure no. Per cui è sempre il giudice, sia da noi che in USA a stabilire cosa in un certo momento storico può urtare il senso morale della maggioranza dei cittadini”186. Poi Capozzi riporta i risultati di una ricerca firmata da David S. Rudolf, del quale non viene data una qualifica, e condotta in una zona rurale molto conservatrice e religiosa del Nord Carolina. Lo scopo principale della ricerca era di verificare se quella comunità avesse tollerato nello spazio privato delle loro case la visione di materiale che può essere considerato immorale. Seppure il 65% della comunità facesse parte della comunità religiosa dei born-again Christians, non viene richiesta la proibizione del materiale osceno; al contrario viene rivendicato il diritto del privato cittadino di fare ciò che vuole nella sua intimità, purché non leda i diritti degli altri. Si tratta del famoso Primo Emendamento della Costituzione Americana a garantire tale presa di posizione. In conclusione del servizio viene chiesto al lettore di Video di rispondere a un questionario circa il senso del pudore e l’uso di materiale pornografico. I risultati sono pubblicati qualche numero dopo187 e danno gli stessi esiti del sondaggio americano: il cittadino deve avere la libertà di disporre a suo piacimento del materiale pornografico nel suo privato, esige la protezione dei minorenni e giudica l’Italia un paese non troppo permissivo, dove “lo Stato non dovrebbe mettere bocca per stabilire cosa sia osceno”188. Per il numero 150 di Video i redattori chiedono a Capozzi qualcosa di speciale, quindi il pornologo redige una storia che mescola le sue avventure, quelle del porno e quelle della rivista 189. E’ un pezzo ricco di aneddoti ed esperienze vissute da Capozzi dentro e fuori dal set. Dopo questo articolo Capozzi firma solo un altro reportage da Cannes nel luglio del l994 e si aggiungono altre firme al mensile: Fabrizio Zanoni, Max Rebeggiani, Aldo Fittante e Andrea Verde. Gli articoli di questo periodo sono inchieste sulla nuova modalità di circolazione del porno in videocassetta, deboli articoli sul doppiaggio e il solito pezzo monografico su un regista del passato (in questo caso José Benazeraf). Si avverte la mancanza di una figura di riferimento come lo era 185

Capozzi Michele, “A qualcuno piace hard”, in Video, n. 98, febbraio, 1990, p. 117. Ibidem. 187 Bell Jackie e Capozzi Michele, “Il signor X”, in Video, n. 103, luglio, 1990, p. 84. 188 Ibidem. 189 Capozzi Michele, “Miti del porno”, in Video, n. 150, giugno, 1994, p. 202. 186

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stato Capozzi per dieci anni e con una grande conoscenza del mondo del porno alle spalle. Il numero 162 del giugno 1995 ospita l’editoriale in cui Capozzi saluta e ringrazia il suo Editore e dichiara di abbandonare la rivista come collaboratore stabile. L’inserto subisce un grave contraccolpo e i nomi che sono chiamati a scrivere non raggiungono la competenza del pornologo. Dal febbraio del 1997 il mensile diventa Videosat, l’inserto X è saltuario e spesso si limita solo a brevi schede di recensione sui film.

4.2

LA POSIZIONE INTERMEDIA: PIETRO ADAMO

4.2.1 LA PORNOGRAFIA E I SUOI NEMICI190 Si compone di una parte storica che inquadra l’evoluzione della pornografia e di un saggio sul rapporto con la censura, la società e le tesi femministe. Inizia tradizionalmente con la definizione del termine pornografia (per questo si veda il primo capitolo “Tentativi di definizione del genere pornografico”), e una dichiarazione degli obiettivi da parte di Adamo: “ La prospettiva di questo libro è la seguente: i critici, i detrattori, i confutatori e i commentatori in negativo non sono “nemici” della pornografia; in questo ambito rientra soltanto chi propone di adottare concrete misure legislative che limitino significativamente la creazione, la diffusione e la pubblicizzazione di opere pornografiche” 191. Analizzando il termine “pornografia”, Adamo nota che non è mai usato in senso puramente descrittivo, ma è connesso ai concetti di “trasgressione” e di “peccato”. Il motivo è legato al contesto dell’Occidente moderno e cristiano; se si prendono gli esempi della cultura egizia, le stampe orientali, il Kamasutra, gli affreschi di Pompei si pongono tutti lo scopo di stimolare il desiderio sessuale ma sono “privi di trasgressione e senso di colpa. In breve, non sono pornografici”192. Quindi i primi autori detti pornografici sono coloro che si oppongono al cristianesimo e propugnano un’idea di sessualità più aperta, popolare e naturale. Si tratta di autori rinascimentali, come Pietro Aretino (1492-1556) e Antonio dei Buonagiunti Vignale (?- 1559). L’Aretino scrisse i Dubbi amorosi e opere di contenuto religioso tese a renderlo benvoluto nell’ambiente cardinalizio che frequentò a lungo. Ma i suoi componimenti più famosi sono senza Adamo Pietro, La pornografia e i suoi nemici, il Saggiatore, Milano, 1996. Ivi, p. 9. 192 Ivi, p. 14. 190 191

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dubbio i Sonetti lussuriosi, che gli erano stati ispirati dalle incisioni erotiche, ritenute ai limiti della pornografia e realizzate dal pittore Marcantonio Raimondi su disegni di Giulio Romano. Le opere dell’Aretino e del Vignale erano destinate a una cerchia ristretta di dotti e letterati; percorrevano infatti la diffusione lenta dei manoscritti. Solo dopo l’avvento della stampa e delle situazioni correlate come l’abbattimento dei costi e la progressiva alfabetizzazione, si rese possibile la circolazione in un pubblico più vasto. La questione del porno è affrontata anche nel Concilio di Trento del 1563, dove “si ritenne necessario spiegare perché i libri “lascivi e osceni” erano pericolosi sia per la fede che per la morale”193. Anche in ambito europeo durante questo periodo si sviluppano le prime forme di pornografia letteraria; omettendo i nomi di poco noti antesignani è opportuno citare I gioielli indiscreti di Denis Diderot (1748), opera ripresa in apertura del primo capitolo di Hard core di Linda Williams, e Fanny Hill di John Cleland, il romanzo pornografico universalmente più letto di tutti i tempi. Il Settecento introduce caratteristiche tipiche del libertinismo nella pornografia: “l’anticlericalismo (con orde di frati e suore “in azione”), la rivendicazione della “naturalezza” del sesso, l’apologia della promiscuità, la critica del matrimonio, la legittimazione del godimento femminile, coniugati non con il proposito di eliminare le situazioni vigenti, ma con la ricerca di uno spazio in cui praticare la trasgressione”194. Inoltre tra il 1740 e il 1814 vive il massimo esponente di questo pensiero, un personaggio mitico ripreso dal cinema tradizionale più volte e interpretato con un naturale impegno anche da Rocco Siffredi in Il Marchese De Sade (oltre ogni perversione) 195. Con la figura del libertino per eccellenza si abbandonano le dimensioni astratte e si punta più direttamente sulla descrizione esplicita. Adamo correttamente nota come “la cultura libertina ha in un certo senso impresso un marchio indelebile sul porno: l’universo pornografico è diventato uno spazio in cui domina una corporeità sganciata dalle convenzioni, per definizione antitetica al mondo sociale fondato sull’autoimposizione di limiti” 196. Nel Settecento la pornografia viene utilizzata per la prima volta come strumento politico per colpire tramite dei libelli ben curati i sovrani, gli aristocratici e i potenti in generale. L’élite settecentesca si organizza quindi per rispondere a questo potente attacco della pornografia attraverso vie morali, religiose e politiche. Replica sostenendo la difesa dal punto di vista morale della famiglia monogamica, aspetto propugnato anche grazie allo strumento religioso che in più condanna il piacere fisico e cerca di potenziare le valenze spirituali. Le strutture da difendere sono sempre la

Ivi, p. 15. Ivi, p. 17. 195 Film di Joe D’Amato e Luca Damiano del 1995. 196 Adamo, p. 20. 193 194

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famiglia e il matrimonio, come nota anche Reich nella suo testo principale 197. Infine i motivi politici che inducono l’élite a rispondere a questa serie di attacchi, riguardano essenzialmente il prestigio e l’autorità che viene intaccata nella rappresentazione pubblica dei loro costumi sessuali. All’inizio dell’Ottocento la pornografia abbandona la dimensione libertina e si cala nella clandestinità. Opere letterarie di alto valore continuano a forzare i limiti del narrabile, mentre anche attraverso la circolazione delle prime fotografie, un altro canale si presta alla diffusione di materiali osceni. E’ proprio questa sfumatura che prende piede quando si tratta di pornografia: l’oscenità. “La categoria era nuova. Indicava anzitutto un luogo dell’immaginario collettivo […]: sotto l’etichetta dell’“oscenità” venivano radunate raffigurazioni e immagini che sembravano proporre modelli di vita, stili di pensiero e valori associativi non solo antitetici, ma inversi rispetto a quelli giudicati fondativi della società nel suo complesso” 198. Tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento numerosi processi sono stati intentati nei confronti di opere letterarie giudicate oscene: le due cause più importanti riguardano Madame Bovary e L’amante di Lady Chatterley. Sempre in questo periodo nelle grandi biblioteche si allestiscono reparti staccati in cui raccogliere le opere denominate oscene. Adamo suggerisce una chiave di lettura molto utile: “L’inaffidabilità connotativa del termine “oscenità” tradisce le sue origini moralistiche e la sua finalità politica: la repressione” 199. Questo stesso concetto è ripreso dal teorico della rivoluzione sessuale, Wilhelm Reich, e senza dubbio Adamo ne riconosce il fondamentale apporto, assieme a Marcuse, nella rivoluzione sessuale dei Sixties. La relazione tra questo movimento culturale e la pornografia è evidente nella struttura dei film hard statunitensi degli anni Settanta: il sesso percepito come libero e con una funzione talvolta liberatoria per tutti. Emblematica la storia di Deep Throat, dove al centro della sceneggiatura vi è la ricerca del piacere, quindi la liberazione della libido, della protagonista. La versione italiana di Gola profonda inizia con l’inquadratura della copertina dei Tre saggi sulla sessualità di Freud e introduce l’evoluzione sessuale che la protagonista compirà nel film. Senza nessuna pretesa di veridicità scientifica, prima dei titoli di testa si avvisa lo spettatore dello scherzo giocato con la citazione di Freud. Anche The Devil in Miss Jones tratta analogamente la questione della ricerca della felicità e della realizzazione personale. Seguìto poi anche in Francia, il prolifico filone dell’“educazione” di una vergine è un classico impianto narrativo dove inserire l’idea dei piaceri del sesso in chiave liberatoria. Lo sguardo di Adamo si posa poi sulla contemporaneità del porno, notando come in ogni parte del Reich Wilhelm, La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, Milano, 1965, titolo originale Die Sexualitat im Kulturkampf, 1930, si veda il capitolo “Le fonti teoriche” all’interno di questo testo per un riferimento più esplicito. 198 Ivi, p. 26. 199 Ivi, p. 28. 197

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mondo ci sia un atteggiamento diverso nei confronti dell’oscenità. Diversi studi hanno affrontato la pornografia, i più famosi sono i rapporti Johnson, Williams e Meese. La prima commissione Johnson (o Nixon) è stata composta nel 1968, e risente nelle sue conclusioni del fermento rivoluzionario del periodo. Quando nel 1970 consegna al Congresso americano il suo rapporto, le teorie sono molto liberali e chiaramente ispirate al clima permissivista degli anni Sessanta. Nel 1979 sono presentati gli studi conclusivi della commissione Williams al governo britannico. La rielaborazione della questione avviene in chiave moderna e assicura la liceità del porno ma consiglia allo stesso tempo delle misure di limitazione. Il terzo rapporto, detto Meese, è nominato da Reagan nel 1986 ed è costruito con lo scopo di confutare le tesi troppo liberali elaborate dal precedente rapporto Johnson. La commissione è composta prevalentemente da esponenti della Destra cristiana e da conservatori. I temi principali affrontati dalle commissioni riguardano i rapporti tra violenza e pornografia e una riflessione sull’immagine della donna. Sul primo tema le commissioni Johnson e Williams condividono la stessa posizione; non esiste un rapporto causa-effetto tra la fruizione della pornografia e l’inclinazione ad assumere atteggiamenti violenti. Al contrario la commissione Meese ha stabilito sulla base di prove manipolate una connessione diretta tra i due aspetti. Sull’immagine della donna reificata e degradante le commissioni hanno un parere diverso. La commissione Johnson ha negato questa visione della donna nella pornografia, la commissione Williams pur riconoscendo qualche caso di misoginia, ha sostenuto la difesa della libertà d’espressione piuttosto che scagliarsi con anatemi verso la pornografia. Le conclusioni della Commissione Meese, al contrario individuano nella pornografia uno dei fattori della discriminazione della donna nella società. In conclusione della prima metà del libro l’autore compie una breve riflessione che avrebbe meritato una trattazione a parte. Spesso si sente muovere la critica dall’esterno che “il porno sia tutto uguale”; in realtà appare tale solo agli occhi di alcuni critici che non possiedono una conoscenza profonda della materia e si affidano a formule di etichettamento logore e abusate. Il genere hard invece si organizza su una base di specializzazioni e sottogeneri dalle infinite varianti. Come altre pratiche basse la costruzione ripetitiva appare solamente a una visione superficiale e non competente. E’ opportuno citare Serge Daney: “Ciò che è certo è che queste “pratiche basse” (pornografia, fumetto, fotoromanzo, cabaret, ma aggiungerei anche karaté e in senso stretto televisione) sterminano spingendoli al loro massimo gli accatti ideologici presenti nel cinema americano: certo, 70


non si può andare oltre. Ogni film pornografico non fa che realizzare – ripetendolo in maniera selvaggia – una chiave iscritta nel cinema classico: l’atto d’amore (il bacio…); come anche il film karaté propone per un’ora di seguito quello scontro-duello che costituiva nel western il nodo del plot. Si tratta di una caduta irrimediabile dell’immaginario? Non bisogna dirlo così in fretta; certo siamo davanti ad un “grande arresto”, o forse, per dire più precisamente con Lacan, a un piegarsi dell’immaginario sul reale. Resta chiaro comunque come tutta una logica del cinema arriva al suo punto di esaustione”200. Dopo un quadro storico molto ampio, la seconda parte del testo ha un carattere più saggistico; analizza gli argomenti dei “nemici” della pornografia, i pregiudizi che ruotano attorno al porno, le tesi delle femministe e la questione libertaria all’interno di una civiltà liberale. Le persone che criticano la pornografia lo fanno spesso da una posizione di pretesa superiorità e di una presunta conoscenza della materia; diversi sociologi, psicanalisti ed “esperti” di varia estrazione abbozzano critiche poggiando su luoghi comuni scambiati per verità basilari. I miti diffusi sono la violenza, la criminalità organizzata e la pornografia minorile 201. Esponenti religiosi e conservatori sono i più fermi sulle posizioni circa un rapporto di causa effetto tra pornografia e violenza. Richiamano a supporto dati di studi scientifici che hanno portato a un’innegabile dimostrazione del rapporto, mentre i risultati dei rapporti Johnson e Williams hanno chiaramente dimostrato come sia impossibile stabilire una connessione diretta. Adamo nota come gli esperimenti in laboratorio non siano totalmente utili, poiché ricreano un’esperienza artificiale che non esiste nella realtà. L’individuo durante la sua vita è bombardato anche da altri stimoli violenti. Per questo cita opportunamente Stella: “In una società complessa occorre fare i conti con numerose fonti di informazione, le quali costituiscono un ambiente entro cui il peso e l’efficacia del messaggio pornografico possono subire variazioni ragguardevoli rispetto al significato prodotto nella cornice artificiale del laboratorio” 202. Il mito della criminalità riflette sui finanziamenti del cinema porno, un settore dove effettivamente è riciclato il denaro sporco; ma questo riguarda anche altre attività diverse dal cinema. L’aspetto della pornografia criminale comprende l’esperienze di attori o attrici che sono costretti a recitare con la violenza. I casi sono molto rari, ha suscitato molto rumore la confessione di Linda Lovelace di aver subito maltrattamenti durante la lavorazione di Gola profonda. Come giustamente nota Nadine Intervista non firmata, Pratiche alte, pratiche basse, in “Fiction”, 1977-1978, pp. 62-70. L’articolo è tratto dalla dispensa del corso di Storia e metodologia della critica cinematografica tenuto dal prof. Franco La Polla e dal dott. Claudio Bisoni nell’anno accademico 2003-2004 all’interno del corso di laurea Dams a Bologna. 201 Questi luoghi comuni sono criticati anche da Ovidie Becht nel suo Porno manifesto, Flammarion, 2002, tr. it di Lorenzo Paoli, Baldini & Castoldi, Milano, 2003. (Per una trattazione più estesa del pensiero di Ovidie, si veda il capitolo “Ruolo del femminismo nel discorso sul porno”). 202 Adamo Pietro, La pornografia e i suoi nemici, il Saggiatore, Milano, 1996, p. 59. La citazione di Stella si trova in Stella Renato, L’osceno di massa. Sociologia della comunicazione pornografica, Franco Angeli, Milano, 1991, p. 141. 200

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Strossen203 il caso di Linda Lovelace è stato manipolato dalle femministe, le quali hanno reso un caso di violenza domestica, una regola del mondo dell’hard. Le violenze subite dall’attrice sono state inflitte dal marito e manager Chuck Traynor, un personaggio estraneo al mondo dell’hard, mentre in diverse interviste la pornostar ha ribadito come la troupe sul set fosse stata gentile. Altro mito legato alla criminalità organizzata è il fenomeno degli snuff movie, film che dovrebbero circolare nei circuiti clandestini, dove si riprende la morte del protagonista. Basti pensare che non si è mai avuto traccia di uno solo di questi film per confutare la validità dell’ipotesi avanzata. Le tesi femministe nate con l’avvento della pornografia ritengono quest’ultima una violazione dei diritti civili della donna. Le esponenti classiche sono Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon, femministe che non hanno esitato a solidarizzare con la destra cristiana. I punti principali delle tesi femministe riguardano la presentazione della donna come oggetto sessuale, la violenza perpetrata, l’atteggiamento di sottomissione, la riduzione a semplici parti del corpo dell’intera persona, la degradazione della figura femminile. Questi punti non sono condivisi da Judith Kegan Gardiner, una femminista che sostiene il ruolo liberatorio della pornografia: “Per alcune donne la pornografia potrebbe funzionare in concreto come deoggettivizzazione, perché esse la possono usare per confermare i propri desideri e i propri piaceri. Possono anche reinterpretare o controllare la fantasia. […] Possono anche usare la pornografia per spiegare ai loro partner che cosa apprezzano. La pornografia può anche essere utile per defamiliarizzare e romanticizzare le loro relazioni” 204. Come accennato in precedenza, il capitolo finale riguarda la questione libertaria all’interno di una civiltà liberale. La diffusione del porno sfida il principio della libertà d’espressione e l’ideale della società aperta. Il Saggio sulla libertà di John Stuart Mill del 1859 sostiene che ogni atto di un singolo ha diritto d’esistere a meno di non danneggiare i suoi consimili, abitanti di una società progressista. Le posizioni di Mill sono state assunte poi da tutti i sostenitori del liberalismo, della democrazia e del progressismo. Quindi l’espressione pornografica trova un altro ostacolo da superare: le critiche mosse partendo dalla presunta violazione della libertà dell’individuo. Si ragiona sull’individuo che usufruisce del porno, quindi una violazione il più delle volte inconsapevole soprattutto nel caso dei minori. In secondo luogo, la libertà violata è quella della donna che recita in un hard, con le usuali critiche di oggettivazione e degradamento impugnate dalle femministe.

Strossen Nadine, Difesa della pornografia. Le nuove tesi radicali del femminismo americano, Castelvecchi, Roma, 1995. 204 Adamo Pietro, La pornografia e i suoi nemici, il Saggiatore, Milano, 1996, p. 85. La citazione è tratta da Strossen Nadine, Difesa della pornografia. Le nuove tesi radicali del femminismo americano, Castelvecchi, Roma, 1995, pp. 165-166. 203

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4.2.2 IL PORNO DI MASSA205 A otto anni di distanza, Adamo ritorna sull’argomento del porno focalizzando l’attenzione sulla situazione contemporanea dell’hard. Nell’introduzione chiarisce quale sia il suo punto di vista; parte da una tipologia di critica di genere, che si distingue da una possibile e già compiuta critica del genere. L’elemento fondamentale per questa critica è una philia di base, serve “perché l’analisi sia competente, una dose smodata di passione per l’argomento, spesso precedente a qualsiasi intenzione critica”206. Adamo sottolinea come il porno sia una pratica bassa in base a due motivi: per prima cosa, la costruzione del prodotto solitamente tralascia le intenzionalità artistiche e, in secondo luogo, il basso livello si riflette nell’atmosfera, nell’ambiente dove il porno prende corpo. Nel testo i temi affrontati sono quelli classici come la storia del porno, la rivoluzione sessuale, il femminismo, le mitologie della violenza e la società liberale. Per quanto riguarda la storia del porno e l’intreccio con la rivoluzione culturale e sessuale, si rimanda al capitolo storico, mentre è da notare come lo stile di Adamo riesca a essere preciso riportando le relazioni del contesto storico agli sviluppi del genere. Ne è un chiaro esempio la sua idea che il porno di massa veda nella liberazione sessuale “una volgarizzazione al maschile delle sue istanze rivoluzionarie” 207. Affronta poi il tema delicato della pedofilia nel capitolo “Il porno innocente: Lolita a luci rosse”. L’amore verso l’adolescente si sviluppa su due possibili binari opposti. In Sade il rapporto con l’adolescente è vissuto in chiave di liberazione, c’è un forte risvolto pedagogico nella lezione che il libertino tiene alla sua vittima. Se quest’ultima sopravvive è indirizzata a percorrere lo stesso iter del suo maestro, proseguendo con l’insegnamento ad altri discepoli. L’aspetto destabilizzante in questa pratica si trova nell’infrangere il tabù del rapporto sessuale con l’adolescente e nel creare individui autonomi e slegati dalle convenzioni sociali vigenti. Dall’altro lato vi è la violenza sui giovani compiuta senza fini rivoluzionari o pedagogici, l’attuale concezione di pedopornografia concepita come sfruttamento del minore. Da quando però il porno intorno agli anni Sessanta diventa di massa, la preoccupazione per la pedofilia cresce a livelli molto elevati. Da più parti si condanna la realizzazione e la diffusione di questo materiale, mentre contemporaneamente si sviluppa un nutrito mercato clandestino, soprattutto attraverso Internet. Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004. Ivi, p. XI. 207 Ivi, p. 38. 205 206

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Il cinema pornografico statunitense già dalla fine dei Sessanta dedica buona parte della sua produzione all’amore lolitesco. Se si eccettua la produzione dei loops, per definizione estrema, nel porno di fiction l’amore praticato da minorenni richiama l’ottica sadiana della liberazione e dell’affrancamento dalle convenzioni sociali, sull’onda delle teorie di Wilhelm Reich. In più si riconosce uno statuto di indipendenza dal mondo degli adulti in una generale celebrazione dell’innocenza. In Francia l’attenzione è rivolta alla maturazione sessuale del minore, con grande successo per quei film che delineano il percorso verso lo stadio della maturità sessuale dell’educazione della vergine. L’anno 1986 è difficile per la pornografia in generale soprattutto per gli sviluppi negli Stati Uniti; escono gli atti della Commissione Meese, voluta da Reagan con orientamento nettamente conservatore, è pubblicata Out of Bondage, quarta biografia di Linda Lovelace ricca di falsi collegamenti tra violenza e mondo del porno, inoltre si scopre che Traci Lords, tra le più giovani e famose pornostar del momento, è veramente una minorenne. Le persone coinvolte nella realizzazione di film con lei subiscono costosi processi e la conseguenza più rilevante è un diffuso atteggiamento più prudente nel trattare l’argomento lolitesco. Negli anni Novanta il genere adolescenziale segue la strada del porno in generale; si specializza, vengono create serie sulla struttura di casting e amateur, dove il rapporto con il minore, o presunto tale, è volontario e consenziente. “La politica della bestemmia: anticlericali dell’hard” è un breve capitolo dove Adamo osserva il rapporto del porno con la religione. Già nel Trecento con Boccaccio e più tardi con l’Aretino l’anticlericalismo popolano è diffuso, il suo scopo non prevede un attacco diretto alle istituzioni religiose ma una libera esaltazione della carne. Nel Settecento, prendendo ancora in questo caso il divino marchese, l’attacco è sferrato anche sul versante politico; oltre a trasgredire le norme vigenti, un obbiettivo del libertino è istruire una persona attraverso i suoi stessi comportamenti. Adamo definisce chiaramente la posizione dell’hard verso la religione: “Il porno è fondamentalmente anticristiano, in un’accezione molto forte, direi quasi ontologica. E’ incentrato sul corpo e sulle sue meccaniche: carne, peli, secrezioni, cavità interne sono esplorate e dettagliate sino a riempire schermo e occhio […] In altre parole, l’hard è una celebrazione della materialità corporea”208. L’anticlericalismo dell’hard non giunge ad attaccare i valori della religione, anche perché sarebbe inutile e devierebbe l’attenzione dello spettatore; ci si mantiene più su una iconoclastia generica, un uso improprio di oggetti sacri come crocefissi e qualche film con protagonisti sacerdoti e suore. Sul tema della violenza Adamo cita ancora la vicenda di Linda Lovelace, come ha già scritto nel suo 208

Ivi, p. 92.

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testo precedente, e la sua strumentalizzazione da parte dei gruppi femministi. Le tesi di quest’ultimi si basano sulla ricostruzione ad arte di un rapporto diretto tra le violenze che Linda Lovelace dichiara di aver subito e il mondo dell’hard. Le dichiarazioni in un’intervista di Eric Danville datata 2001 (solo due anni prima della sua morte) di Linda Lovelace fanno chiarezza sull’intera vicenda. “Alla domanda di Danville sul perché non si sia impegnata contro l’abuso domestico invece che contro il porno, la risposta è innocente (ma significativa):“ Chi combatteva l’abuso domestico non mi ha mai contattato. Catharine [MacKinnon] è stata la prima persona che si è davvero avvicinata a me”. La conclusione è quasi perentoria: “ Penso che grazie a me siano partite bene in quello che volevano fare. Ma non mi hanno davvero aiutato. Si sono fatte un mucchio di soldi grazie a me. […] Credo di essere stata più delusa dal movimento femminista che da qualsiasi altra cosa”” 209. Il femminismo è trattato in due capitoli molto ampiamente, l’autore riporta le battaglie condotte dalle pioniere di questi movimenti come MacKinnon, Dworkin, i vari gruppi lesbici e le posizioni pro-sex (si veda il capitolo “Ruolo del femminismo nel discorso sul porno” per un quadro d’insieme). In seguito Adamo riporta l’esperienza dell’esordio letterario di una giovane pornostar femminista francese, Ovidie Becht. Il libro si intitola Porno manifesto210 ed è uscito nel 2002; è un saggio che tratta il femminismo, la pornografia e i luoghi comuni che si sono sedimentati nel corso del tempo. Ovidie, come si fa chiamare, nell’anno dell’uscita del suo libro ha solamente 22 anni, un curriculum che conta più di quaranta film hard come attrice e un paio come regista. Colta, di buona famiglia, è diventata subito un caso in Francia per lo sguardo lucido con cui osserva dall’interno il mondo del porno(si veda il capitolo sul femminismo circa i contenuti del suo libro). Adamo definendolo un “brillante pamphlettino”211 ne dà già un duplice giudizio: è un buon testo ma presenta degli argomenti in maniera furba e talvolta anche ingenua. Ovidie fa riferimento alla femminista statunitense Wendy McElroy che nel 1995 ha scritto XXX. A Woman’s Right to Pornography; la cui tesi principale è il diritto delle donne di utilizzare liberamente il proprio corpo. Il punto debole di Ovidie consiste nel recepire e classificare queste considerazioni scevre di influenze politiche, come espressioni per attaccare i valori del consumismo borghese. Ovidie è una femminista pro-sex e trae dalle tesi di McElroy “una giustificazione del sex work in chiave di vendita/scambio di servizi sulla base di un preciso diritto di proprietà (quello del proprio corpo), ritenendo che però tale prospettiva sia congruente con un attacco tutto sinistrorso al mercato, ai diritti “borghesi”, al consumismo”212. Senza dubbio l’approccio all’argomento di Ovidie Ivi, p. 127. Becht Ovidie, Porno manifesto. Storia di una passione proibita, Flammarion, 2002, tr. it di Lorenzo Paoli, Baldini&Castoldi, Milano, 2003. 211 Adamo, p. 181. 212 Adamo, pp. 183-184. 209 210

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è entusiastico ma si rivela ingenuo nelle azzardate conclusioni filosofico-politiche. I classici luoghi comuni della mafia e della prostituzione sono aggirati con furbizia; Ovidie sostiene che non vi sono prove concrete che dimostrino i collegamenti tra queste attività e il porno. Solo un occhio smaliziato non vedrebbe i rapporti bilaterali, oppure semplicemente Ovidie finge di non conoscere certi aspetti universalmente noti. Il campo della prostituzione è in continua osmosi con il cinema pornografico; sono molti i performers passati da una professione all’altra e il terreno di confine tra sex workers in generale come ballerine, lap dancers, escort e le attrici è sempre più sottile. Dei rapporti con la mafia, le prove esistono addirittura dal caso di Deep Throat, prodotto dalla famiglia mafiosa dei Peraino la quale poi passava personalmente a ritirare gli incassi nelle sale dove si proiettava il film. Facendo un passo indietro è facilmente immaginabile chi gestiva la circolazione clandestina dei loops verso la fine dei Sessanta. Cercando di smontare il luogo comune che una pornostar ha una vita professionale molto breve, Ovidie cita le “lunghe” carriere di miti porno statunitensi come Annie Sprinkle, Candida Royalle, Ginger e Amber Lynn. Omette di dire però come tutte queste attrici hanno avuto dei lunghi periodi di inattività per poi tornare nell’hard con brevi ruoli di prestigio, o in qualità di regista come nel caso di Candida Royalle. Tornando a Il porno di massa, il capitolo più sostanzioso e con buone intuizioni è “Sesso violenza stupro: intorno all’immaginario pornografico”. Adamo constata che in Italia a partire da metà anni Novanta l’hard ha aumentato la produzione di film con uno sfondo di violenza; bastano titoli come Violenza sessuale estrema e Stupri di guerra per farsi un’idea. La donna è sottomessa, sopraffatta e le scelte stilistiche durante i rapporti sessuali riflettono il clima di questa iconografia della violenza: blow job a soffocamento, gang bang, bukkake (eiaculazione di gruppo su una donna), rapporti tra neri super dotati e ragazze bianche e violenza carnale in senso stretto. Il nesso sesso-violenza è alla base di questi prodotti, al punto di non richiedere ulteriori sviluppi narrativi che accompagnino l’azione principale. Questi film rivendicano un’ottica fondata più sul potere maschile che non sul piacere sessuale; “ciò che conta […] è l’uso della violenza, la sottomissione della donna, la sua riduzione a oggetto simbolico al quale si esercita un potere, e che sia quello sessuale non è certo casuale” 213. Adamo propone tre topoi del mito dello stupro; la versione del libertino liberatore, di chiara derivazione sadiana, che scioglie l’individuo dalle briglie della società e crea una persona in grado di godere secondo nuovi canoni comportamentali. Vi è poi il topos del sacrificio rituale che ristabilisce mediante l’atto violento la regola tra i ruoli dell’uomo e della donna. Il terzo è puntato sul destino biologico e riproduttore; fa riferimento ai concetti freudiani di passività e masochismo 213

Ivi, p. 190.

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femminile. Un’altra divisione avanzata da Adamo riguarda le tipologie dello stupro; come nel caso precedente è opportuno notare che tentando di proporre degli schemi al porno, si deve tenere sempre a mente che si sta parlando di un genere popolare. La caratteristica principale è dunque la continua violazione dei propri codici e non il suo rispetto. Il primo dei tre modelli presenta all’apparenza un vero e proprio stupro, solo in un successivo momento però ci si accorge di assistere a uno psicodramma organizzato, dall’inizio la vittima è consapevole. Il secondo modello, il più diffuso, si caratterizza per il passaggio durante la violenza dalla forma non consensuale a quella consensuale; la donna riconosce il piacere della violenza subita, infatti si associa spesso l’ambizione liberatrice a questo genere di porno. La rappresentazione dello stupro “vero e proprio”, vale a dire lo stupro interamente non consensuale, si ha nel terzo caso. Il tratto che li accomuna risponde alla richiesta circa la loro presenza nel porno: come l’hard in generale, la rappresentazione della stupro non punta sulle sue presunte potenzialità liberatrici, ma rispecchia le fantasie e le aspettative del pubblico maschile. L’ultimo capitolo prende in esame la proposta di una pornotax avanzata da Vittorio Emanuele Falsitta, parlamentare di Forza Italia nel 2002. I sostenitori della pornotassa hanno espresso posizioni e pareri contro la pornografia frutto di un imbarazzante ignoranza circa la materia; come sostenere che sia del tutto lecito tassare ulteriormente la pornografia in quanto bene che procura “danno”. Si accosta quindi il porno a prodotti come il tabacco e l’alcol, commettendo però una pesante ingenuità; mentre i primi due causano danni reali e accertati, non esiste alcuna prova che il consumo di materiale pornografico provochi danni fisici o psichici. In più Falsitta si premura di agire mediante un’originale politica di fisco etico, punendo quindi le pratiche che causano danni di carattere sociale. Ragionamento che non può sussistere per due motivi: il primo è la già accennata mancanza di prove scientifiche dei danni provocati, il secondo riguarda l’immotivata intrusione dello stato nella sfera privata del cittadino. Ma la motivazione che cela più di ogni altra la natura autoritaria e illiberale della pornotassa, è la pretesa di tassare un prodotto che secondo i politici è superfluo sia dal punto di vista sociale sia da quello intellettuale. Ora, in una società contemporanea occidentale non spetta a una classe politica, né all’opinione pubblica, né allo stato stabilire se un prodotto sia rilevante; per questo esiste “il mercato che […] stabilisce quali sono, per i cittadini, i prodotti “rilevanti” e quelli “irrilevanti”, quelli di prima necessità, di seconda o di terza” 214.

214

Ivi, p. 269.

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4.3

GLI INTERVENTI TEORICI

Lo sguardo e le riflessioni sul cinema porno sono più curati all’interno delle riviste di cinema e nei testi pubblicati da critici. Il discorso sul porno assume entro questi confini rilievi più interessanti e gli interventi sono di norma più approfonditi. Come ogni pratica discorsiva ben fondata, ha i suoi testi cui spesso fa riferimento: in questo caso si tratta del testo di Linda Williams, Hard core e quello di Robert Stoller, tradotto in italiano con Il porno. La caratteristica comune tra questi due libri e tutti gli interventi teorici, consiste nell’assenza di una descrizione circa la costruzione dell’oggetto porno. Questo compito è lasciato ad altre forme di critica, come quella che abbiamo definito critica bassa pornofila, ma non per un atteggiamento snobistico. Si ritiene che l’oggetto della discussione sia già conosciuto a chi entra in questo tipo di discorsi, quindi è considerata inutile una descrizione della genesi del film porno. Questo campo comprende gli interventi di studiosi, critici e accademici, i quali spesso esprimono i loro pareri sulle riviste di cinema specializzate, luogo dove sono maggiormente liberi di esprimersi con un linguaggio tecnico, o spesso dedicano all’argomento scelto un libro. Nel settembre del 1982, Cremonini fotografa la situazione della critica italiana circa lo studio del linguaggio cinematografico all’interno del codice porno: “I pochi tentativi fatti in Italia al riguardo hanno preferito ancora una volta ripiegare su una valutazione sociologica, o di gusto, quando non addirittura moralistica”215. Una valutazione generalmente corretta, ma che non tiene conto della totalità degli interventi. Nello stesso anno è da segnalare il monografico di Filmcritica dedicato al porno, l’uscita di ben tre libri sull’argomento del porno e i suoi derivati e, tornando indietro di sei anni, un testo del 1976 di Gianni Massaro dal titolo L’occhio impuro. Sul numero monografico di Filmcritica torneremo fra poco, mentre per il momento siano sufficienti solo i titoli dei libri usciti nel 1982: Film a luci rosse. Il traffico, la legge, il piacere, poi Lo schermo impuro e I 120 film di Sodoma. Analisi del cinema pornografico. Il testo di Massaro216 esce quando ancora il fenomeno delle luci rosse non è scoppiato in Italia, prima, vale a dire, del 1977, quando aprono le prime sale specializzate e tra i lungometraggi pionieri viene mostrata una versione italiana di Deep Throat. Il lavoro di Massaro è uno studio sul modo di operare della censura cinematografica in Italia negli anni Settanta. Gli interventi censori di questo periodo riflettono la situazione italiana in generale, dipinta negativamente anche da Pasolini: “il ventennio fascista è stato una dittatura, il trentennio democristiano è stato un regime poliziesco Cremonini Giorgio, “La forma “porno” della cultura di massa” in Cineforum, 217, settembre, 1982, p. 30. Massaro Gianni, L’occhio impuro. Cinema, censura e moralizzatori nell’Italia degli Anni Settanta, SugarCo, Milano, 1976. 215 216

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parlamentare”217. La ricostruzione di Massaro è molto completa e rivolge l’attenzione all’iter di una censura, dalla segnalazione del cittadino alla formulazione del giudice e l’intervento della polizia. L’utilità principale del testo di Massaro è il fatto di costituire una fonte completa sulle varie tipologie di censura, arricchita da minuziosi elenchi dei termini più utilizzati. Il lavoro si esaurisce nella ricerca filologica dei termini e non lascia spazio a riflessioni di carattere teorico. I testi che analizzeremo adesso, al contrario, presentano forti connotazioni teoriche e costituiscono i principali interventi sulla teoria del porno.

4.3.1 STOLLER: PER UN’INTRODUZIONE AL PORNO Un testo fondamentale è il pluricitato lavoro dello psicoanalista Robert Stoller, Il porno218. Il metodo che utilizza è molto simile alla ricerca sul campo compiuta da Roberto Carvelli (si veda all’interno di questo capitolo “L’autore Coniglio”); la differenza risiede negli strumenti utilizzati dallo statunitense. La sua esplorazione sul campo si avvale di solide basi psicoanalitiche, con le quali affronta i protagonisti del settore, attori, attrici, produttori e sceneggiatori. Stoller si pone due obiettivi; il primo è di “contemplare ulteriormente l’elaborazione di una teoria dell’eccitazione erotica”219, mentre il secondo “riguarda l’etnografia, in particolare come l’etnografia e la psicoanalisi possano rafforzarsi vicendevolmente” 220. Poche righe prima, l’autore dichiara di aver svolto una sorta di lavoro definibile come etnografia urbana, addentrandosi nel mondo della pornografia pur non avendo nessuna qualifica per definirsi un vero etnografo. Specifica inoltre il campo di riferimento circa la pornografia di taglio eterosessuale, escludendo volontariamente ogni intervento nel settore della pornografia gay e in quella rivolta alle donne. Spiega poi l’utilizzo del termine colloquiale del titolo, come una scelta volontaria che porta direttamente a pensare a un tipo di consumatore prevalentemente maschio eterosessuale e anche al settore che offre il prodotto. Il metodo seguito da Stoller, ispirato dichiaratamente all’etnografia, comporta una convinzione basilare; studiando i personaggi del porno, si riesce a creare un’immagine della storia, dello sviluppo e della situazione erotica del mondo occidentale. Chiave necessaria per ottenere questo Pasolini Pier Paolo, “Previsione della vittoria al “referendum””, pubblicato su Il Corriere della Sera il 28 marzo 1974 e compreso in Scritti corsari, edizione speciale fuori commercio per i lettori di Epoca num. 1968 del 20.6.1988, Garzanti Editore S.P.A., 1975, p. 28. 218 Stoller Robert, Il porno. Miti per il XX secolo, traduzione di Sandro Lombardini, Feltrinelli, Milano, 1993, titolo originale Porn. Myths for the twentieth century, Yale University Press, 1991. 219 Ivi, p. 8. 220 Ibidem. 217

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risultato è l’empatia, un modo di comprendere con rispetto l’interiorità di una persona. In più per raccogliere delle informazioni attendibili, il metodo scelto dallo psicoanalista è quello delle verifiche incrociate. L’oggettività nella raccolta dei dati di Stoller è molto lucida, in quanto sostiene che sebbene si possano effettuare numerosi esami, il problema del resoconto fedele rimane comunque senza soluzione. Ad accompagnarlo in questa esplorazione c’è Bill Margold, pornografo-attore; egli rappresenta una sorta di guida spirituale che consiglia l’eroe nell’ingresso al paese sconosciuto, figura descritta da Vanoye221 nel suo testo sulla sceneggiatura. Il testo si struttura sugli incontri con gli informatori, trascritti da Stoller, con le relative domande e risposte. Sono intervistate sette persone: Bill Margold, figura polifunzionale dell’hard statunitense in quanto attore, sceneggiatore, produttore e regista, Jim Holliday, una versione statunitense del pornologo genovese Michele Capozzi, Merlin, pornografo sadomaso, Ron, figura simile a Margold però ritiratosi dalle scene, e tre attrici hard celate sotto un nome di fantasia. Dalle interviste si ricavano informazioni utili alla comprensione del porno, sulla stessa linea degli esiti della cosiddetta critica bassa pornofila (si veda la prima parte di questo capitolo); gli obiettivi che però Stoller annuncia nell’introduzione non sono pienamente raggiunti. Per quanto riguarda l’elaborazione di una teoria dell’eccitazione erotica, l’immagine che il lettore si crea, deriva principalmente dalle interviste alle persone. Raramente, se non nelle conclusioni, Stoller prende la parola per esporre e riordinare i dati raccolti; d’altra parte si tratta di una conseguenza del metodo scelto. L’approccio etnografico filtrato dalla prospettiva dello psicoanalista all’ascolto, si preoccupa di ottenere una buona quantità di materiale, ma manca una rielaborazione dello stesso. L’autore è del resto totalmente consapevole dei risultati circa il metodo utilizzato, infatti nelle conclusioni si permette un pensiero per il lettore: “molte, forse tutte le mie convinzioni sul porno e la sua gente sono lì, nelle trascrizioni, e non hanno perciò bisogno di essere ripetute in questa sede. A voi è comunque concesso di trarne indipendentemente le vostre conclusioni” 222. L’opera di Stoller può essere quindi un’ottima visione generale del mondo del porno, un testo che senza dubbio è giustamente indicato per una propedeutica allo studio del genere e un adeguato mezzo per entrare in contatto con l’hard. D’altra parte offre poche possibilità di approfondimento per uno studioso che si presume conosca già il funzionamento e le meccaniche organizzative dietro al porno, inclusi aneddoti e variegati punti di vista nel settore. E’ per questo motivo che le conclusioni stilate a fine libro, sono la parte più interessante del testo. Qui l’autore trae in prima persona delle riflessioni, tra cui la più interessante riguarda il ruolo della Francis Vanoye nel suo La sceneggiatura. Forme, dispositivi, modelli, riprende una mappa dell’itinerario eroico archetipico per descrivere il cammino del protagonista in una struttura di sceneggiatura classica. La mappa che cita è ripresa da Joseph Campell, The Hero with a Thousand Faces, Bollingen Series, Princeton, 1949-1968. 222 Stoller, p. 266. 221

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pornografia nella società. “La pornografia appare più un derivato della nostra società in mutamento che non una causa del mutamento stesso; la pornografia (con poche eccezioni, quali l’uso dei minori) incide poco, sia in senso benefico che in senso deleterio […] se dobbiamo bandire la pornografia perché può nuocere, allora (argomento familiare) dovremmo bandire anche l’alcool, le automobili, i film non vietati, la legge, la politica, le vitamine, i tacchi a spillo, i calcolatori, il denaro, lo sci, la sperimentazione sugli animali, qualsiasi religione che non sia la nostra, nonché la luce del sole”223. In più si chiede se si debbano considerare seriamente le posizioni anti-porno che prendono le difese degli attori, alludendo chiaramente al caso emblematico di Linda Lovelace, vicenda diventata un vessillo per le femministe. Stoller richiama a questo punto la libera scelta degli attori che scelgono questo tipo di attività e chiosa con una domanda retorica: “subiscono più coercizione le donne che lavorano nel porno delle attrici che lavorano nel mondo del cinema non porno?” 224. Nelle interviste più volte i personaggi si sono definiti come gli ultimi ribelli della società; Stoller riprende queste affermazioni e sospetta che “tutti quelli che lavorano in una produzione porno stiano, con diversi gradi di visibilità, menando per il naso (per il perineo) la società. Giacché al – nel, sul – fondo del porno c’è l’ira: la ribellione contro le convenzioni, le istituzioni, le leggi, i genitori, le femmine, i maschi” 225. Una considerazione contro le tesi delle femministe che vedono ogni film come fortemente antifemminile, porta l’autore a replicare che spesso le storie narrano percorsi di libertà. Linda Williams in Hard core ricorda film come Joy del 1975 e Insatiable del 1980 nei quali l’eroina giunge al termine a una agognata libertà sessuale. Un altro mito sfatato è l’uguaglianza tra pornografia e prostituzione; troppo spesso si fa leva sulla situazione che gli attori praticano del sesso in cambio di denaro. Ma Stoller evidenzia come “innanzitutto, manca il cliente; il proprio partner è semplicemente un altro attore. In secondo luogo, l’attore non viene ingaggiato dal partner dell’uomo o della donna. In terzo luogo, entrambi gli attori vengono ingaggiati, e da una terza parte in causa, non partecipante. In ultimo, entrambi gli attori sanno di recitare e rispettano, dal più al meno, i problemi che il partner può avere nel compiere questo atto peculiare”226.

4.3.2 LA PROSPETTIVA HARD CORE DI LINDA WILLIAMS

Ivi, p. 257. Ivi, p. 258. 225 Ivi, p. 259. 226 Ivi, p. 264. 223 224

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E’ il testo sull’hard più noto a livello internazionale, la sua lettura è raccomandata anche nell’introduzione de Il porno di Stoller ed è universalmente riconosciuto come un punto basilare nello studio del genere. Non trascura la dimensione storica, i primi tre capitoli trattano lo sviluppo della pornografia dalla nascita del cinema. Poi analizza il fenomeno del feticismo, le strutture caratteristiche, la pornografia sadomaso e la produzione contemporanea. E’ il primo libro che prende in considerazione il genere pornografico seriamente, quindi quasi subito dopo la sua uscita nel 1989, diventa un piccolo classico e innesca discussioni sulla pornografia. La stessa autrice dichiara di essere stata in errore, prima di iniziare a studiare a fondo il fenomeno; invece di generalizzare dopo la visione di uno o due film, riconosce che la pornografia non è solamente il regno degli uomini dove il sadismo e l’oggettivazione della donna sono le regole base. Williams sceglie come campo di studio, la pornografia eterosessuale in quanto quest'ultima già dai primi anni Settanta include donne etero come spettatrici. Inoltre un secondo motivo è la sua incapacità di leggere un testo proveniente dal cinema lesbo o dalla pornografia gay, in quanto lei non rappresenta il destinatario ideale. Quindi nello studio sul porno, la studiosa parte con una considerazione attenta alla situazione femminile: “my point, however, is simply to note that, for women, one constant of the history of sexuality has been a failure to imagine their pleasures outside a dominant male economy” 227. Tale posizione si classifica tra le file del femminismo, ma al tempo stesso prende le distanze dalle fazioni estreme capeggiate da Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon; quest’ultime, alleandosi con la destra cristiana, hanno avuto un ruolo centrale nell’elaborazione della Meese Commission del 1986 (si veda a proposito il capitolo storico). Vale la pena ricordare un estratto dal rapporto, uno slogan coniato da una femminista contraria alla pornografia, Robin Morgan, che sinteticamente sentenzia: “Pornography is the theory; rape is the practice” 228. Tornando all’unicità del testo, Williams sottolinea come l’assenza di una storia critica del porno permetta le più libere interpretazioni. Nel caso del femminismo, la pornografia è posta fuori rispetto alla produzione culturale, mentre viene interpretata come estremo esempio del potere patriarcale. Al fine di creare un solido punto di partenza sia nel testo stesso che in un contesto più generale di discussione sul porno, i primi tre capitoli, come già detto, analizzano lo sviluppo e la fruizione delle rappresentazioni pornografiche. Le prime sono spinte dal desiderio di conoscere le semplici meccaniche del corpo umano; diversi studiosi scientifici hanno scritto a Marey chiedendo di fugare Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, p. 4, la traduzione di seguito è mia: “Una mia convinzione nota semplicemente che per le donne, una costante nella storia della sessualità è stato il fallimento nell’immaginare i loro piaceri all’infuori di un modo di pensare maschile dominante”. 228 Attorney General’s Commission on Pornography. 1986. Final Report, volume 1, p. 78, 2 vols, Washington, D.C., citato in Hard core, p. 16, “La pornografia è la teoria; lo stupro è la pratica”. 227

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alcuni dubbi grazie all’uso del nuovo mezzo. Tuttavia, quando sono le donne le protagoniste delle riprese fotografiche, si crea una situazione che richiama una certa necessità di mise en scène, quindi si creano piccole storie costruite su una serie di scatti fotografici. Attraverso l’osservazione di questi testi e degli stag, Williams elabora un concetto di feticizzazione del corpo femminile (si veda il capitolo “Tentativi di definizione del genere pornografico”), il quale spiega come il fenomeno descritto crei sempre un disturbo del testo. Un aspetto notato da Williams circa gli stag, è la mancanza di forme narrative in favore del principio della massima visibilità; un parallelo con la situazione contemporanea è più che legittimo, mentre il periodo in cui scrive la studiosa non è ricco di alternative circa la produzione hard. Se prendiamo in considerazione le forme di pornografie presenti oggi come l’amatoriale, i film costruiti su sequenze di specifiche pratiche sessuali, la classica fruizione su Internet, condividono anch’essi il principio di massima visibilità sulla scena e non richiedono assolutamente un appoggio a strutture narrative per essere fruibili. Una seconda differenza tra gli stag e la pornografia moderna riguarda il piacere della donna; da sempre il punto più vulnerabile di contraddizione del testo hard core è l’incapacità, la cecità di rendere visibile il piacere della donna. Agli inizi del Novecento, gli stag sono generalmente misogini; dal momento della diffusione di massa intorno a metà anni Settanta, l’hard non può fare a meno di ignorare le obbiezioni dei gruppi femministi e anche le richieste di donne che desiderano vedere un prodotto confezionato appositamente per loro. Da queste richieste nascono le esperienze registiche di ex attrici hard nella produzione di film per donne; la più conosciuta è Candida Royalle con la sua casa chiamata Femme Productions. Prendiamo adesso in considerazione le strutture che secondo Williams compongono l’hard; esse sono “sexual action in, and as, narrative”229. Quindi due elementi che si compenetrano tra di loro e che spesso sono difficilmente distinguibili. Il genere che si avvicina maggiormente a questo tipo di costruzione, è il musical; la prima similitudine è la presenza del potere maschile in entrambi i generi. Ponendo un paragone con dei musical come My Fair Lady, dove il professor Higgins istruisce la signorina Doolittle, oppure i film in cui Fred Astaire insegna dei passi di danza a Judy Garland, molti hard vedono il protagonista maschile “liberare” la donna dalla sua condizione di inferiorità230. “As in these musicals, too, the fundamental issue, underlying linguistic, musical, or sexual performance is power. […] In a Foucauldian sense, the knowledge of sexual technique […] is offered as a potential form of power” 231. Inoltre la studiosa nota delle somiglianze tra alcune Williams, p. 121, “le azioni sessuali nelle, e viste anche come, aspetti narrativi”. Questo aspetto è presente anche nei vari film erotici come Histoire d’O, Emmanuelle, in cui la donna, coadiuvata dall’uomo, compie un percorso sessuale che la porta alla libertà personale. Williams segnala gli esempi di Deep Throat e The Opening of Misty Beethoven. 231 Williams, p. 137, “Come in questi musical, la questione fondamentale che soggiace alle performance linguistiche, musicali o sessuali, è il potere. In termini foucaultiani, la conoscenza della tecnica sessuale è offerta come una 229 230

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pratiche sessuali e delle strutture ricorrenti nei musical: la masturbazione messa in parallelo con i numeri di assolo di canto o ballo, il rapporto sessuale e un classico duetto eterosessuale, il ménage à trois e le performance in trio, le orge e le canzoni d’amore corali. Riguardo agli atti sessuali presenti in un tipico hard, Williams condivide pienamente la lista stilata da Stephen Ziplow (si veda il capitolo “Tentativi di definizione del genere pornografico”) e aggiunge solo la dimensione del sesso sadomaso. Il capitolo dedicato al s/m evidenzia come la Meese Commission abbia utilizzato le note teorie di Bazin circa il realismo dell’immagine fotografica; secondo il francese il sesso e la morte sono antiestetici e fuori luogo e naturalmente il Rapporto Meese non ha tralasciato una così valida e riconosciuta motivazione teorica per arrivare ai suoi scopi censori. Williams descrive il s/m come perverso secondo l’accezione freudiana; è tale poiché la violenza e il dolore vanno a sostituire gli atti sessuali nella loro funzione di eccitare. Inoltre un aspetto riscontrato all’interno del s/m è la maggioranza di persone che desidera essere sottomessa invece di dominare, differenza basilare rispetto alla pornografia eterosessuale. La studiosa opera una divisione delle rappresentazioni pornografiche tra amateur sadomasochism, single number e aesthetic sadomasochism. I primi due sono accomunati dal punto di osservazione che prende sul serio o finge di credere, che le violenze inflitte siano reali; mentre il terzo intende la violenza del s/m come arte, effetti creati da una accurata messa in scena. Come dice Williams, l’effetto è più eisensteiniano che baziniano. In ogni caso l’assegnazione dei ruoli tra dominatore e dominato è chiaramente esplicitata tra i due performer prima dell’inizio del rapporto, esistono degli accordi circa lo svolgimento delle azioni. Ricorda quindi gli aspetti di contrattualità che ritornano nelle relazioni di Sacher Masoch ( si veda il capitolo teorico su Deleuze), a differenza della violenza sadiana tipica del libertino. Per mantenere appunto questa oscillazione tra i due poli, Williams giustifica così perché preferisca il termine s/m: “While still problematic, the term at least keeps in play the oscillation between active and passive and male and female subject positions, rather than fixing one pole or the other as the essence of the viewer’s experience”232. Questa caratteristica apre delle possibilità interessanti circa i contenuti rappresentabili grazie all’introduzione della dimensione del s/m; infatti se si stabiliscono delle relazioni improntate sul s/m e quindi con una conseguente oscillazione tra i ruoli, vengono accolte anche scene solitamente considerate estreme nella normale produzione hard, come ad esempio un rapporto orale tra due uomini. Lo stesso accade in Ecco l’impero dei sensi, dove in un contesto di diversi equilibri all’interno del rapporto sessuale, si rovesciano le gerarchie e l’organo sessuale maschile è minacciato. E’ importante in ogni caso precisare che i film s/m non intendono sfidare il potenziale forma di potere”. 232 Williams, p. 217, “Anche se ancora problematico, il termine comprende l’oscillazione tra posizioni di soggetto attive e passive, maschili e femminili, piuttosto che cristallizzare in un polo o nell’altro l’esperienza dello spettatore”.

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dominio maschile, pongono l’accento solamente sulla natura intersoggettiva del desiderio e del piacere e sull’inevitabilità del potere all’interno del piacere. La situazione contemporanea, ricordiamo che siamo nel 1989, è analizzata prendendo come modelli i sequel di due classici dell’hard; nel 1984 Damiano gira Throat – Twelve Years After mentre un paio di anni più tardi i fratelli Mitchell e Sharon McKnight dirigono Behind the Green Door – The Sequel. Sono rilevanti i mutamenti nella rappresentazione ed evidente è l’operazione di “cleaning up” dei film. Il primo è girato tenendo in forte considerazione il nuovo mercato che si è aperto con l’avvento della visione domestica del porno grazie ai videoregistratori; si tratta della fruizione del prodotto da parte della coppia. Il secondo introduce l’aspetto della prevenzione nei rapporti sessuali; infatti è molto diffuso lo spettro dell’AIDS intorno alla metà degli anni Ottanta. Entrambi i film rispecchiano le caratteristiche che presentano anche i lungometraggi prodotti dalla coeva Femme Productions di Candida Royalle: sceneggiature credibili, buoni dialoghi, interpreti di bella presenza, centralità delle fantasie femminili, carenza dei classici money shot, maggiore attenzione ai preliminari e al dopo-rapporto, uso del preservativo, tema dell’AIDS, situazioni create dal desiderio della donna.

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4.3.3 L’APPROCCIO CINEFILO DI FILMCRITICA Rappresenta un caso unico nella critica cinematografica italiana, il numero 326-327 di questa rivista. Si tratta di un monografico sul cinema porno curato da Enrico Ghezzi, all’interno del quale gli interventi si susseguono secondo diverse modalità: interviste, riflessioni teoriche, elenchi, una filmografia dichiaratamente incompleta, indagini parallele. Il fine del lavoro è dimostrare come il porno sia un campo di differenze, al contrario del pensiero sostenuto da luoghi comuni popolari e da importanti riviste come Cinema nuovo ( si veda il capitolo “Tentativi di definizione del genere pornografico” circa gli interventi sulla rivista di Aristarco). Gli scritti in questo numero sono caratterizzati da un solido approccio teorico, gli autori più citati sono Barthes, Bataille e nell’introduzione si trova un riferimento a Marx: “Se il cinema è perverso in genere, la pornografia in particolare si dà esclusivamente attraverso la “normalità” del sistema economico di produzione, nell’“oscenità della merce” (Marx) nella sua trasparenza” 233. Un secondo e fondamentale aspetto che accomuna i pezzi in questo numero, è la mancanza di giudizi moralistici e di improvvisate riletture sociologiche del fenomeno porno e dei suoi consumatori. Sono numerose le intuizioni valide in questo numero, tra le migliori rientra la breve considerazione generale di Giuseppe Turroni sul linguaggio; egli nota, senza ulteriori argomentazioni, come la mancanza della parola sia una delle strutture del porno (su questo aspetto del linguaggio si veda la ricerca di Francesca Serafini citata nel capitolo “L’autore Coniglio”). Le definizioni di genere pornografico in questo numero si basano su quel codice visivo che ha generato le migliori descrizioni, a partire da Cremonini in Cineforum e che in questa rivista sono avvallate da Turroni e Bertolina. Quest’ultimo dà la definizione di “rappresentazione iterata di puri e semplici rapporti sessuali dal vivo”234. Nell’intervento di Ghezzi, che vanta uno dei migliori titoli mai composti, “Reintroduzione”, si trovano diversi spunti di discussione interessanti; secondo il critico, condizione basilare per parlare di pornografia è il recupero di quell’ingenuità che caratterizza Robert De Niro in Taxi Driver, per il quale portare Cybil Sheperd al cinema significa in tutta naturalezza farle vedere un hard, che la disgusterà. Ghezzi in seguito considera la classica distinzione tra erotismo e pornografia, ripresa più volte nei discorsi sul porno, e la critica apertamente: “Spezzare questa ideologia dell’opposizione erotismo/pornografia è il presupposto di qualsiasi discorso dell’hard. Perché la pornografia sarebbe fuori del discorso, sarebbe automatismo “naturale”, vile riproduzione meccanica, etc. – Il “discorso” sarebbe tutto dalla parte dell’erotismo, figura ideologica tutta raffinatamente costruita sul versante 233 234

Bruno Edoardo, Rosetti Riccardo, “Introduzione” in Filmcritica, n. 326-327, agosto-settembre, 1982, p. 323. Bertolina Giancarlo, “Pornofilm: la non-scrittura dell’eros” in Filmcritica, p. 330.

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del vuoto, della sottrazione, dell’allusione, del gioco del desiderio che cerca il suo oggetto (perduto anche se pensabile)”235. Come osservato nel capitolo circa i tentativi di definizione del genere pornografico, sono solamente Ghezzi e Nepoti che mettono in discussione l’opportunità di questa distinzione tra erotismo e pornografia; operazione che risulta sempre col definire la pornografia come perdente. Viene presa in considerazione la fruizione di massa che il porno incontra negli anni Settanta: “L’arrivo sul grande schermo: importante perché il film porno si colloca di colpo vicino ad altre immagini, o al posto di esse, […] diventando un genere, uscendo dalla situazione di “oggetto particolare” e avvicinandosi a una fruizione di massa” 236. Oltre a Ghezzi, anche Lorenzo Hendel si sofferma sulla questione della fruizione di massa: “la pornografia infatti è oggi oggetto di consumo di massa, ma al tempo stesso non c’è più traccia di segreto da nascondere o da svelare”237. Diventando quindi un prodotto di massa, cambiano statuto e conseguenze del suo uso; perde quell’aura segreta e trasgressiva che aveva all’epoca in cui filmini muti e in bianco e nero provenienti dal Nord Europa venivano proiettati clandestinamente. Il prodotto vive un’esistenza sociale più ampia e legalmente riconosciuta. Naturalmente ci sono anche alcune tesi che oggi risentono del tempo trascorso, come proprio all’interno dell’intervento di Hendel. Il suo articolo riguarda lo spogliarello come una premessa per arrivare poi all’hard, e questa considerazione sul consumo di pornografia, oggi, risulta decisamente fuori luogo: “già nello spogliarello si è visto che la pornografia come pura visualizzazione del corpo è stata costretta a dotarsi di forme narrative più complesse via via che assurgeva allo statuto di testo (perché un testo sia consumabile ha bisogno di strutture narrative, sia pure in senso lato, come quelle che abbiamo rintracciato negli spogliarelli)”238. Se si confronta con la fruizione attuale attraverso Internet, è evidente la differenza; sulla rete trovano spazio e godono di un’ottima circolazione estratti di film, scene all sex, sequenze di montaggio costruite su precise pratiche sessuali, filmati amatoriali. Tutto questo materiale è privo di una struttura narrativa, ed è ugualmente usufruito dallo spettatore-navigatore, al contrario di quanto sostiene Hendel nel suo articolo. In più senza spostare il pensiero di Hendel ai giorni nostri, si nota egualmente una scorrettezza. Se torniamo ai filmati delle origini, oppure a un prodotto più recente come gli stag statunitensi e i loop nordeuropei, constatiamo che tutte e tre le modalità non si strutturano su alcun principio narrativo. L’unica posizione contraria nella rivista al riconoscimento del porno come genere è offerta in maniera poco convincente da Giancarlo Bertolina; “lo sperma emesso in ogni performance non Ghezzi Enrico, “Reintroduzione” in Filmcritica, p. 418. Ivi, p. 414. 237 Hendel Lorenzo, “Strisce di pelle in televisione: (Spogliarello premessa dell’hard)” in Filmcritica, p. 400. 238 Ivi, p. 407. 235 236

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viene mai ingoiato, neppure in un contesto di avanzata perversione, dalla partner, la quale si limita a leccarlo (o spalmarlo e disperderlo sulla superficie del proprio corpo, nel caso di “normali” rapporti genitali interrotti), in ciò vanificando la componente primaria della sessualità orale, e personificando una sottile frustrazione di pienezza mancata. Questo dato intrinseco dissolve, a mio parere, la carica desiderante che dovrebbe garantire lo specifico del fotogramma porno, che anzi potrebbe fondare l’unica possibile specificità (ammesso che sia logico cercarla) del genere porno, che tuttavia non è e non sarà mai tale in senso stretto, come alcuni volenterosi saggisti sostengono”239. Già dal punto di vista formale, il pensiero di Bertolina si presenta poco convinto; si notino l’inciso che fa riferimento alla perversione, l’aggettivo “normali” virgolettato e la parentesi dubbiosa sulla validità del riconoscimento del porno come genere. Tralasciando questi elementi che tuttavia sotto l’aspetto formale celano un determinato pensiero, dalla sua posizione si evince una singolare condizione; infatti, se non si vedesse l’eiaculazione, il porno potrebbe allora venire classificato come genere? Infine vale la pena segnalare un errore di battitura all’interno dell’intervista di Rosella Lerose all’attrice Annette Haven; il termine hard core diventa hand core. Questa perversione nel refuso chiama in causa la fruizione privata della pornografia, indicando come il “nocciolo” sia presente nella “mano”. Slittamento di significato avvenuto casualmente che consente una lettura di secondo livello, parzialmente ludica e in parte autorizzata da cesellate reinterpretazioni dei lapsus freudiani.

4.3.4 UN PO’ DI FANTA-CATTO-COMUNISMO Nella Commissione Meese del 1986 la destra cristiana si allea con i gruppi femministi nella lotta contro la pornografia. In Italia non avvengono casi di questo genere, tuttavia si possono riscontrare delle posizioni simili tra esponenti di campi diametralmente opposti. Prendiamo in considerazione due testi contro la pornografia, il primo di un teorico che scrive su Cinema nuovo, il secondo di un giornalista di Avvenire240. Il punto in comune è la posizione contraria alla pornografia, anche se i metodi e i contenuti utilizzati nei due testi divergono. Grossini dichiara necessario l’utilizzo della psicoanalisi, “unico strumento in grado di svelare i meccanismi che stanno oltre la pornografia, droga legalizzata ad uso e consumo di larghi strati di pubblico”241. Secondo lo studioso, lo spettatore rinnegherebbe la realtà, secondo il tipico concetto di verleungung freudiana e la sostituirebbe con il feticcio filmico. La visione però non permette una Bertolina, p. 331. Grossini Giancarlo, I 120 film di Sodoma. Analisi del cinema pornografico, Dedalo, Bari, 1982 e Festorazzi Roberto, Hard da morire. Manuale di autodifesa dalla pornosocietà, Limina, Arezzo, 1997. 241 Grossini, retro di copertina. 239

240

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scarica

liberatrice,

ma

solo

una

sublimazione

delle

pulsioni

sessuali. A proposito

dell’identificazione con l’attore sullo schermo, l’autore cita una tesi di Liborio Termine secondo il quale “poiché l’identificazione con l’attore non è una sostituzione che lo elimina, di fatto è come se psicologicamente lo spettatore godesse dell’attore con il quale si identifica. In quel momento […] senza esserne affatto consapevole, egli mette in atto processi omosessuali” 242. Le matrici teoriche di Grossini sono evidentemente Freud e Marcuse. I termini per descrivere lo spettatore oscillano tra il nevrotico e il demente paranoico, l’alienazione e la regressione a stati infantili. La convinzione dello studioso di Cinema nuovo è che la pornografia non richieda doti di codificazione dell’immagine in termini di lettura, quindi la facilità d’uso di questo genere allo stesso tempo abbatte le barriere culturali ed economiche ma ne crea della altre; la divisione sociale di coloro che dirigono il mercato del cinema e coloro che da questi prodotti vengono alienati. Sulla linea di pensiero di Marcuse, si può ricordare che la liberalizzazione sessuale ricerca un sistema di potere oppressivo che definendo cosa è lecito guardare definisce una falsa trasgressione; quest’ultima si consuma solo infatti nel campo delle immagini e della fantasia, unici luoghi dove è permesso un illusorio trasgredire del comune senso del pudore. Per avere un’idea circa la definizione che Grossini attribuisce allo spettatore tipo, basti osservare come ritiene agisca la visione sulla persona: “simile alla costruzione delle visioni riscontrata nella demenza paranoica, ciò che lo spettatore vede assume un valore impersonale, soggetto a un graduale, benché spontaneo aumento, contro cui egli resta impotente tant’è assorbito e alienato da ciò che vede […] Egli si sente attratto in modo morboso e totale da quel che vede sullo schermo; la sua partecipazione si riassume nella cosiddetta partecipation mystique primitiva. […] Così nello spettatore non solo viene attuata una regressione ma la calata a capofitto nella fantasticheria di stampo sessuale; è un appellarsi alla sola istintualità, alle partes inferiores delle funzioni psichiche”243. Per completare il quadro, ecco la nozione junghiana dell’ “abaissemente du niveau mental”, cioè un abbassamento del livello mentale necessario alla ricezione dell’immagine porno. Una tesi che negli Stati Uniti il duo Dworkin-MacKinnon non avrebbe esitato a condividere è la convinzione che il film porno veicoli una libertà apparente in quanto riproduce la stessa mistificazione che si ritroverebbe nella vita familiare: la donna diventa oggetto e quindi utilizzabile dall’uomo. Ricapitolando, alla base della critica di Grossini ci sono importanti strumenti teorici che sostengono tesi con notevoli risvolti politici. Dato non meno importante è la competenza cinematografica dello studioso, situazione che non riscontriamo nel giornalista dell’Avvenire. Grossini, p. 43. La citazione di Termine è tratta da “Quelle discrete luci rosse” in Cinema nuovo, 256, novembredicembre, 1978, p. 46. 243 Grossini, pp. 43-44. 242

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Nel capitolo intitolato “Pornografia come droga”, Grossini individua i tre fattori fondanti: lo schermo – feticcio ed enorme specchio del desiderio dello spettatore -, lo spettatore – soggetto contemporaneamente attivo, per il processo di identificazione, e passivo, per la sottomissione al fascino del feticcio, che regredisce in un’omosessualità coatta in virtù delle componenti morbosovoyeuristiche - e l’oggetto pornografia – condensato nel feticcio-atto sessuale. Grazie a queste solide basi teoriche, lancia un anatema contro l’uso politico della censura; essa è responsabile di lasciare circolare liberamente i film pornografici, mentre si accanisce contro le opere veramente trasgressive degli autori come Pasolini, Bertolucci, Jancso. Come detto prima, la posizione finale (o iniziale) di Festorazzi è la stessa di Grossini: una condanna senza appello alla pornografia, alla quale però vi arriva percorrendo sentieri più scivolosi. Non vi è traccia di strumenti e fonti solidi come in Grossini; il materiale di partenza è costituito da una pletora di fatti di cronaca. L’approccio rispetto al testo precedente, è più infervorato, ma si dimostra privo di mezzi per sostenere le audaci posizioni dichiarate nell’introduzione. Qui si parla di “estetica della decadenza” e di “epocale erosione dei valori” in corso nel nostro Paese. L’autore perfeziona la mira inquadrando più precisamente quale sia il vero problema: “a essere violato è soprattutto lo spazio sacro dell’intimità che custodisce da sempre i segreti della vita” 244. Difficile non vedere un refuso di cattolicesimo in questa affermazione. Se per caso un lettore facilmente impressionabile si fosse imbattuto in questa introduzione dai toni apocalittici, Festorazzi è pronto a offrire una via per la salvezza; infatti assicura che “l’umanità possiede sufficienti anticorpi per non doversi sentire avviata verso una fatale autodistruzione” 245. Il manuale di autodifesa dalla pornosocietà, come recita il sottotitolo, considera le nuove vie della pornografia come i cd rom, la telefonia erotica, Internet, ma non adempie alla funzione di manuale di autodifesa. E’ più una serie di dati allarmistici, mentre non indica una sola via per mettersi al riparo da questi pseudo pericoli. Anche la definizione di pornosocietà non è sostenuta da un’analisi valida; Festorazzi conduce un’indagine superficiale sulla società basandosi esclusivamente su fatti di cronaca piegati al suo scopo. Le vicende citate non sono contestualizzate, sono accolte solamente nel loro aspetto esteriore. Quando un fatto viene approfondito, come nel caso dell’assassino seriale di prostitute Gianfranco Stevanin, l’approccio diventa morboso, annotando i più scabrosi elementi dell’uomo; le tendenze sadomaso, la mania di collezionare i peli pubici, la misura esatta del pene. Nel capitolo finale intitolato “L’hard fa male?”, la risposta di Festorazzi dovrebbe apparire chiara e forte, ma improvvisamente si aprono dubbi e spiragli che mai un’introduzione così dura avrebbe lasciato intravedere. Dapprima per rispondersi alla domanda posta, l’autore cita l’importante opera 244 245

Festorazzi, p. VII. Ivi, p. X.

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di J.M. Coetzee, Pornografia e censura, e chiara è l’impressione di aver commesso un (volontario?) autogol. “Per applicare vincoli occorre accertare che quel determinato aspetto sia dannoso per la società. E questo, secondo Coetzee, non è il caso della pornografia, la cui pericolosità sociale sarebbe stata sopravvalutata dai fautori della censura. Su questo punto, tuttavia, vi sarebbe molto da discutere. Una lunga casistica tende a dimostrare, ad esempio, la natura criminogena del consumo rituale e compulsivo di materiale hard” 246. Per ribattere alla buona argomentazione di Coetzee, Festorazzi menziona una non precisata casistica, senza riportare dati, o perlomeno indicare in una nota, delle fonti alle quali attingere per verificare la validità di questa casistica nominata. Ad esempio, in L’osceno di massa247 del sociologo Renato Stella, sono citati e commentati molti esperimenti di laboratorio circa la fruizione della pornografia. Infine, cercando di dare una risposta al quesito che poteva apparire in un primo momento retorico, Festorazzi dichiara: “il discorso si farebbe molto lungo, ma vale la pena di concludere che se si può discutere attorno alla domanda se pornografia generi mostri, non si può tuttavia negare che essa non contribuisca a formare persone autenticamente libere”248. La scelta del libero arbitrio appare come una via oltremodo comoda e generale per fornire una risposta. I nuovi media attraverso cui la pornografia dovrebbe rivelare la sua “natura criminogena”, sono i cd rom, la televisione e Internet. I primi rientrano in una tipologia di fruizione ormai standard, poiché si tratta solo di un’evoluzione tecnologica delle videocassette. La televisione al contrario, è considerata una fucina di mostri. La televisione della fascia notturna è definita come “squallida intrattenitrice e allevatrice di guardoni”249, mentre di seguito si riporta il caso di una lettera sconsolata inviata a Famiglia cristiana da una moglie che ha scoperto la passione del marito immerso in un’ebbrezza panica durante la programmazione notturna. D’altra parte anche la fascia diurna non si salva dal giudizio spietato di Festorazzi: “Il mondo di Castagna, di Ambra e di Fiorello non può che produrre, purtroppo, queste forme di sesso estremo” 250. Sul banco degli imputati salgono anche reality show, sit-com e soap opera, ai quali lo scrittore concede un’importanza enorme nel ruolo di manipolatori di menti all’interno di un coinciso pensiero di revisionismo storico: “Duemila anni di cristianizzazione, o cinquant’anni di comunismo, in fondo scorrono rapidi nei sifoni della storia perché a piallare i cervelli della gente ci pensano le sit-com made in USA, unico, autentico Grande Fratello” 251. Lo stato di allarmismo che aleggia nel testo trova modo di scatenarsi nel medium più recente e quindi meno conosciuto: la Rete. Già il nome del capitolo a essa dedicato, dà la giusta chiave di Ivi, p. 109. Stella Renato, L’osceno di massa. Sociologia della comunicazione pornografica, Franco Angeli, Milano, 1991. 248 Festorazzi, p. 110. 249 Ivi, p. 31. 250 Ivi, p. 72. 251 Ivi, p. 15. 246 247

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lettura della questione, “Internet, autostrada del sesso”. E Festorazzi ammonisce chiaramente: “chi sceglie Internet sa a quali pericoli andrà incontro”252. Naturalmente trova ampio spazio l’argomento della pedofilia in Rete, con una dettagliata lista di siti a carattere pedopornografico e numerosi fatti di cronaca ricollegabili al cattivo uso di Internet. L’acredine con cui Festorazzi si scaglia contro il gruppo degli Elio e le storie tese è altrettanto notevole; il successo del gruppo “è esemplare e rivelatore della crisi della nostra società” 253. Sono presi di mira per il loro linguaggio, i testi delle canzoni e naturalmente per la partecipazione al film di Rocco Siffredi, Rocco e le storie tese, del 1997. Secondo l’autore in questa operazione si sono sposati una forma di musica vuota e di pessimo gusto con uno dei massimi esponenti della pornografia. Alcuni testi del gruppo richiamano argomenti sessuali, citazioni dirette come nel caso di John Holmes (una vita per il cinema), rapporti tra giovani, secondo un’ottica ironica che evidentemente Festorazzi non coglie. In conclusione la similitudine con il testo di Grossini è confinata solo alla posizione nettamente contraria verso il porno in generale; ma mentre gli strumenti dello scrittore di Cinema nuovo sono validi sotto l’aspetto teorico, le analisi nell’altro caso hanno una pretesa sociologica scarsamente supportata da elementi efficaci. Il numero dei fatti di cronaca è troppo elevato, e finisce col diventare un coacervo di materiale privo di un’utilità al fine di costruire una tesi presentata in maniera così veemente.

4.3.5 SALOTTI E LO SCHERMO IMPURO Sempre nel 1982, l’anno di grazia per quanto riguarda la produzione di materiali di studio sul porno, esce il testo di Marco Salotti, Lo schermo impuro254; uno sguardo lucido sul cinema pornografico dalle sue origini fino al battesimo come genere cinematografico. Le fonti teoriche sono ricche e non sono abusate per sostenere tesi contro la pornografia. Gli autori citati sono Foucault, Baudrillard, Bataille e Bazin oltre ai richiami a teorici di quegli anni come Mancini, Lardeau, Basaglia e Kaufmann. Tra le varie definizioni di porno, dalla posizione estremista di Basaglia di Cinema nuovo e la raffinatezza di Baudrillard, Salotti sposa una delle più classiche e riconosciute. Quella di Ado Kirou secondo cui la pornografia sarebbe l’erotismo degli altri, frase così celebre da indicare da sola l’approccio con cui avvicinarsi al materiale; un criterio lucido, che tiene in considerazione il Ivi, p. 89. Ivi, p. 99. 254 Salotti Marco, Lo schermo impuro. Il cinema pornografico dalla clandestinità alle luci rosse, Editore Del Grifo, Siena, 1982. 252 253

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proliferare di luoghi comuni sulla pornografia e la tratta con il rispetto dovuto a un oggetto di studio. Uno dei primi argomenti che affronta è la rappresentazione pornografica e riconosce che “il cinema pornografico è etimologicamente osceno e aspira all’oscenità come al suo spazio specifico” 255. Chiarisce che il significato del termine osceno va ricercato nella dimensione dell’ob scena, cioè quello che non si può mostrare in scena, anche se spesso si ricollega all’ob coenum, cioè lordo. Sostiene la realisticità della pornografia e lambisce i territori baziniani senza però cadere in posizioni che lo inducano a ritenere corretta o meno la ripresa degli atti sessuali. La sua è una sicura descrizione impostata su parametri visivi e iconografici che, come già detto in precedenza nei casi di Cremonini e Ziplow solo per citarne un paio, è il metodo che porta alle definizioni più salde e oggettive. Il linguaggio utilizzato nel porno evita quindi immagini velate, procedimenti come la sineddoche tipici dell’erotico e mira a farsi specchio della realtà: “La metafora […] deve essere assolutamente estranea al linguaggio del porno-film. E’ piuttosto all’ingenuità della tautologia che il porno-film aspira, cioè ad una corrispondenza sempre più trasparente tra un “fare” (il coito, la fellatio, la sodomia, il cunnilingus…) e un “veder fare”” 256. Il parallelo con l’erotismo si presenta inevitabile, come d’altra parte già citato all’inizio nella definizione di Kirou, ed è affrontato sempre con i paradigmi adatti, senza cercare un confronto tra i due campi. Salotti sa che se si instaura un paragone di questo tipo, una delle più battute interpretazioni vede la pornografia come una squallida esplicitazione di quello che l’erotismo invece tende a velare e suggerire sotto voce. “La pornografia richiede solo di guardare senza lo sforzo di immaginare. L’erotismo tende ad una rappresentazione che sottrae e allude, mentre la pornografia è protesa verso un effetto di realtà “eccessivo”. Baudrillard parla della pornografia come quadrifonia del sesso, di sesso ad alta fedeltà” 257. Quando Salotti si riferisce all’atteggiamento passivo dello spettatore, lo considera solamente come una precisazione sugli aspetti della fruizione del prodotto. Quest’ultimo necessita di attenzione ma non richiede una rielaborazione del significato dell’immagine, essa viene offerta secondo una modalità realistica al fine di far riconoscere una situazione immaginaria allo spettatore. Anche in questo caso, l’autore evita giudizi sullo spettatore; spesso sono negativi in quanto lo definiscono un essere frustrato, sessualmente represso e talvolta malato. Il nodo centrale risiede nel fatto che il porno è l’esposizione di una prassi, non si tenta di creare un discorso. Chiara e semplice la citazione della scena di sodomia in Ultimo tango a Parigi; mentre Brando prende Maria Schneider, le illustra la sua posizione sull’istituzione della famiglia e tutta la Ivi, p. 20. Ivi, p. 18. 257 Ivi, p. 13. 255 256

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scena assume un significato ulteriore rispetto a quello che vediamo sullo schermo. Nel porno al contrario, la stessa scena di sodomia è una struttura autosufficiente, regge la situazione anche se solamente accompagnata dai suoni e i versi degli attori. L’occhio della macchina da presa è attivo, agisce sempre secondo un criterio di funzionalità. Deve mostrare al meglio la situazione allestita, e spesso si affida all’uso del primo piano. “Ma nel cinema porno la volontà di vedere espone i piani troppo ravvicinati al rischio di un eccesso di realtà che finisce per provocare l’insignificanza erotica dell’anatomia o l’astrattezza del documento scientifico sull’attività sessuale. […] Primi piani, primissimi piani, dettagli, sono le forme di un vedere analitico che postula la divisione, richiede il frammento, esige il “discontinuo””258. Salotti richiama Lardeau e condivide l’importanza del primo piano come principio per costruire lo sguardo nel cinema porno ( per le teorie di Lardeau si veda il capitolo “Tentativi di definizione del genere pornografico”). La migliore riflessione critica, riguarda gli attori o cosiddetti performer, i quali per entrare in scena non hanno bisogno di una descrizione psicologica oppure fisica. Essi sono attori nel senso etimologico del termine, quindi persone agenti. Sono definibili in base alle loro azioni; è per questo che Salotti richiama una tesi di Propp: “gli elementi costanti, stabili della fiaba sono le funzioni dei personaggi indipendentemente da chi essi siano e in che modo le assolvano” 259. Propp nella sua Morfologia della fiaba, isola dei caratteri fissi che mandano avanti l’azione grazie alle funzioni che rappresentano. Per questo nel porno intorno al periodo d’uscita dalla clandestinità, si sviluppano caratterizzazioni tipiche come il dottore, il venditore a domicilio, il rappresentante. La diffusione agli inizi degli anni Settanta segue dei canoni del cinema tradizionale; la differenza principale rispetto agli stag degli anni Venti e ai loop dei Sessanta, è l’aggiunta di una dimensione narrativa. Uno dei progenitori della pornografia, è senza dubbio Mona, un lungo di sessanta minuti girato da Bill Osco nel 1970, a colori, sonoro, con attori credibili e una struttura narrativa attendibile. Per uno sguardo completo, due capitoli di Lo schermo impuro sono dedicati alla produzione porno con animali e ai cartoni animati. Circa il primo sotto-genere, Salotti ricorda la più grande diva animal degli anni Settanta, Bodil Joensen, capace di incontri approfonditi con tutti gli abitanti della fattoria. L’animal è distante dall’obbiettivo del porno tradizionale di eccitare, rientra piuttosto nella variante inconsueta, quel genere che oggi chiameremmo bizarre. Il motivo per cui non raggiunge lo scopo tradizionale del porno, è l’azzeramento dell’erotismo e la mancanza di un performer attraverso il quale riconoscere l’atto sessuale rappresentato nella sua fedeltà al reale. Discorso simile vale per la pornografia d’animazione; “il cartone animato si addice poco o punto al film pornografico. La sua ossessiva richiesta di trasparenza realistica non tollera la materia 258 259

Ivi, p. 37. Ivi, p. 41.

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artificiale dei corpi, l’assenza della carne, la mediazione del disegno, l’esuberanza delle soluzioni immaginarie, la durata irreale delle performance”260. I cartoni porno fanno la loro comparsa già nel 1926 con Buried Treasure, il cui protagonista ha un nome programmatico, Everready ed è l’uomo portato a spasso dal suo enorme pene. Un film noto anche in Italia, è Fritz the cat di Ralph Bakshi, caso forse unico di film d’animazione vietato ai minori di 18 anni. Si tratta dell’animazione del personaggio creato dal disegnatore californiano Robert Crumb, autore di American Splendor, che descrive le avventure del gatto sessantottino contestatore. L’animazione offre la possibilità di creare situazioni paradossali, gag a sfondo sessuale, potenziare gli elementi umoristici presenti negli stag, ma come accennato prima, il porno prevede delle richieste realistiche che l’animazione non può garantire.

4.3.6 UNO SFORZO COLLETTIVO Sempre nel 1982, esce una raccolta di saggi 261 sul cinema hard che tocca le tematiche del piacere, del pubblico, della distribuzione e della legge. Il primo intervento a opera di uno dei due curatori dell’opera, Paolo Di Maira, aggiunge poco alle ormai classiche osservazione sul film hard; sottolinea come sia assente una storia nei film e come la sovrabbondanza di primi piani e dettagli sia il linguaggio preferito dal film porno. Il secondo saggio offre invece un approccio al genere pornografico di carattere semiotico più interessante. Massimo Buscema, il secondo curatore, cerca di analizzare come il film pensa il suo pubblico, come lo riconosce, come lo immagina, che tipo di competenze gli attribuisce. Individua subito la caratteristica tradizionale del dettaglio, il quale funziona come marca di autenticità e attraverso questo, il film porno nomina continuamente se stesso. Abbiamo quindi una visione del genere che lo considera tenacemente attaccato all’unica forma di rappresentazione che indubbiamente riesce a qualificarlo come genere. Il modo con cui lo sguardo si relaziona allo spettatore è complice di una visione totalitaria; la macchina da presa simula la presenza di un nuovo attore che guarda, questo nuovo attore userebbe lo sguardo come gli attori sullo schermo usano il tatto. Buscema descrive questo Osservatore – Modello (O-M), non come il classico spettatore, ma “in quanto soggetto che il film stesso costruisce come attore fantasma che tocca con lo sguardo i fantasmi degli attori ripresi”262. Una punto di vista non condivisibile, riguarda la rappresentazione necessariamente anonima degli Ivi, p. 74. Di Maira Paolo e Buscema Massimo (a cura di), Film a luci rosse. Il traffico, la legge, il potere, Liberoscambio, Firenze, 1982. 262 Ivi, p. 30. 260 261

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attori. Questa condizione sarebbe necessaria affinché lo spettatore abbandoni la sua sessualità mentale e si cali nella tipica identificazione con l’attore. A mettere in dubbio la validità della posizione esposta da Buscema, è il successo internazionale di alcuni attori e la creazione di un sistema divistico anche nel porno. Attori come John Holmes e Ilona Staller, non rappresentano l’uomo comune nella sua anonimia, però i loro film riscuotono ugualmente successo. La riflessione di Buscema assume un nuovo valore dopo oltre vent’anni; il mercato attuale vede adesso una crescente domanda di film amatoriali, gli attori non professionisti hanno abbandonato la mascherina tipica da club scambista, e soprattutto grazie al web, trovano un canale adatto per diffondere le loro produzioni. Sulla questione più generale della classificazione come genere, Buscema nota che non si è riusciti a individuare una definizione di film pornografico, al contrario: “si è scoperto che l’unica cosa che esiste nell’ambito della pornografia filmica […] è un genere filmico pornografico; vale a dire, un insieme di regole enunciative, semantiche e sintattiche in grado di produrre un’infinità di “film porno”, il cui scopo dominante sta nello rispiegare ogni volta all’O-M il funzionamento di tali regole”263. Il film porno cita e dimostra la sua appartenenza al genere attraverso la modalità di visione indicata, l’uso di primi piani e iperboli, e si “presenta come un “genere forte”; vale a dire come un sistema che produce i suoi elementi conformi ed evita quelli trasgressivi”264. L’attenzione si sposta decisamente sul pubblico nell’intervento di Alberto Abruzzese, notando come la pornografia si adatti all’evolversi dello spettatore. Da un tipo di pornografia a basso costo per un pubblico popolare, si rivolge a spettatori più selezionati e smussa le brutalità dell’eccesso degli inizi. La qualità si fa quindi strumento sottile che esce dai confini della pornografia ma vi tende ad esempio, nel campo della pubblicità. Questa forma culturalmente accettata, permette alla pornografia di agire in maniera forte grazie a queste tecniche di mascheramento. Anche Abruzzese non si esime dal cercare una definizione del genere; elenca tre livelli di pertinenza e iniziando con il solido approccio visivo-iconografico, sostiene che la pornografia è la semplice esposizione degli organi sessuali al lavoro. Un secondo livello si compone dagli aspetti strutturali come l’abbondanza del dettaglio, la coazione a ripetere, la negazione del racconto e della psicologia. Il terzo livello di pertinenza rappresenta l’universo della coppia nel loro rapporto. E’ qui, e sicuramente MacKinnon sarebbe d’accordo, che ritorna “la sostanza fallocratica della pornografia, la sua dimensione maschilista, il suo essere luogo di devastazione e di violenza sul corpo della donna, il suo agire un immaginario maschile imperialista su quello femminile”265. La coppia rappresenta dunque lo specchio dei rapporti sociali di tutte le persone. Posizione estrema di Ivi, p. 43. Ibidem. 265 Ivi, p. 74. 263 264

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Abruzzese che senza mai citare un’esponente femminista radicale, ne condivide in pieno le teorie. La posizione della donna viene anche contestualizzata: “la subordinazione della donna, attante della scena pornografica, può essere interamente addebitata al ritardo con cui essa va impossessandosi della lingua generale della merce”266. La donna è vista come soggetto debole all’interno della società dei consumi creata dall’uomo. Il saggio di Di Carlo, distributore cinematografico, è il più leggero e meno teorico di tutti. Racconta come si è sviluppato attraverso modi un po’ illegali il commercio di film porno, dalla proiezione a Cannes di Deep Throat nel 1977 e il suo successivo sbarco nelle sale italiane. Secondo Di Carlo il film di Gerard Damiano è stato “l’interruttore che accese le “luci rosse” in Italia” 267 e senza dubbio ha ragione. Raul Alvarez nell’intervento dal titolo dannunziano Il piacere, trae conclusioni simili a quelle di Buscema, sostenendo che lo spettatore si perde a causa dell’eccesso di visibilità e si illude di toccare le immagini con la vista. La macchina da presa simula un contatto con la carne sullo schermo, tramite l’avvicinamento microscopico dell’occhio. In sostanza, il cinema possiede e domina il senso supremo della vista e lo spinge alle sue massime potenzialità, cercando di sopperire alla mancanza del senso tattile. “La dinamica del piacere non è legata principalmente alla natura dei temi filmati ma al modo in cui essi sono mostrati dal linguaggio filmico” 268; Alvarez si riferisce all’uso dei primi piani e dei dettagli che simulano un contatto corporeo altrimenti impossibile. L’originalità del suo intervento si trova nell’accostamento che costruisce tra lo sguardo dello spettatore e la visione dalla culla. Secondo alcuni studiosi, lo sguardo dello spettatore porno è tipico di un soggetto psicologicamente infantile; Alvarez prende questa definizione tralasciando qualsiasi accezione moralistica e la sviluppa ponendola in parallelo con la tipologia di visione che si può avere dalla culla. Il neonato conosce il mondo esterno tramite una sequenza di primi piani e di oggetti ingigantiti che richiamano strutturalmente le inquadrature tipiche della pornografia. L’ultimo saggio è firmato dall’avvocato e giornalista Gianni Massaro e analizza l’aspetto legislativo della pornografia. Solo sei anni prima Massaro scrive un libro 269 dedicato alla censura (si veda la parte iniziale di questo capitolo), quindi in questo intervento non aggiunge molto rispetto a prima. E’ importante ricordare in ogni caso il ruolo avanguardistico del cinema d’autore italiano degli anni Sessanta, grazie al quale sono stati affrontati temi scottanti e sono state combattute diverse lotte contro la censura. Negli anni Settanta anche i film popolari godono delle conquiste ottenute da autori come Fellini, Pasolini e Monicelli; per citare un esempio, tutto il filone decamerotico non ha Ivi, p. 76. Ivi, p. 80. 268 Ivi, p. 91. 269 Massaro Gianni, L’occhio impuro. Cinema, censura e moralizzatori nell’Italia degli Anni Settanta, SugarCo, Milano, 1976. 266 267

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condotto la minima battaglia con gli uffici della censura, mentre il film originario di Pasolini ha avuto un percorso molto pi첫 impervio.

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4.3.7 L’ISTITUZIONE DELLA CENSURA VISTA DA COETZEE Nel 1996 appare un testo molto importante dello scrittore sudafricano John Maxwell Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003, sull’argomento della censura. Nel brillante Pornografia e censura270 Coetzee affronta l’istituzione della censura e il rapporto con la pornografia, poi analizza uno dei casi più famosi di opera letteraria censurata, L’amante di Lady Chatterley e infine riflette sulla posizione della femminista radicale Catharine MacKinnon. Tralasciando la parte dedicata alle traversie dell’opera di Lawrence, affrontiamo gli altri due capitoli. E’ chiara la posizione contraria alla censura di Coetzee: “La censura di Stato ci offre un indizio. La censura di Stato si presenta come una roccaforte a difesa della società che vuole preservare dalle forze sovversive o corrotte. […] E’ caratteristico della logica paranoide della censura ritenere che la virtù, in quanto virtù, debba essere innocente e dunque, se non protetta, vulnerabile alle astuzie del vizio”271. Condivide le teorie libertarie di John Stuart Mill, secondo cui alla lunga la censura diventa più pericolosa per la società della libera circolazione dei materiali osceni. In merito alla questione dell’oscenità, Coetzee tiene a precisare come spesso ci sia una confusione terminologica tra osceno e pornografia. In merito alla seconda, afferma come sia impossibile giungere a una definizione unanime; un aspetto ritenuto assodato è che il termine pornografia non sia una denominazione neutra, ma contenga un’accezione dispregiativa. Osceno e pornografia, dunque, non sono legati da un nesso causale, ciascuna dimensione può sussistere senza la presenza dell’altra. In merito ai danni che la pornografia causerebbe agli individui, Coetzee ridimensiona il saggio L’immaginazione pornografica di Susan Sontag, pubblicato nel 1967. La studiosa recentemente scomparsa notava come “la pornografia è solo uno dei tanti articoli pericolosi che circolano in questa società e, per quanto possa essere disgustoso, è uno dei meno letali, dei meno onerosi per la comunità in fatto di sofferenza umana” 272. Rispetto a oggi, la pornografia ha conosciuto una diffusione maggiore rispetto agli anni Sessanta, mentre sono aumentati i casi di violenza, criminale e domestica, sulle donne. In più le femministe hanno posto in relazione questi due aspetti. In quest’ottica, quindi, la posizione di Sontag appare decisamente superata. Secondo la visione della femminista Annette Kuhn, esisterebbe un rapporto paradossale in quanto la pornografia ha bisogno della censura per conservare il suo fascino. Dichiarazione-limite poiché riconduce un aspetto alla nemesi dell’altro, chiave di lettura utilizzata anche nel cinema contemporaneo per definire i tratti dei supereroi e dei rispettivi nemici. Coetzee J. M. Pornografia e censura, tr. it. di Maria Baiocchi, Donzelli, Roma, 1996, titoli originali Taking offense; “Lady Chatterley’s Lover”: the taint of the pornographic; The harms of pornography: Catherine MacKinnon, in Giving offense, The University of Chicago, 1996. 271 Ivi, p. 15. 272 Ivi, p. 45, tratto da Sontag Susan, Styles of radical will, Secker & Warburg, London, 1969, pp.71-72, (trad. it. in Sotto il segno di Saturno, Einaudi, Torino, 1982). 270

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Coetzee si interroga sul rapporto tra pornografia e pubblicità, riscontrando come il sesso sia diventato sempre più esplicito e pervasivo; ma in che senso vada intesa la relazione tra sessualizzazione del contesto e diffusione della pornografia non è chiarito. Le femministe rispondono in vario modo; per Carole Smart la pubblicità e le telenovelas sono più potenti della pornografia nell’organizzazione di un immaginario circa la rappresentazione della donna. Per Rosalind Coward, invece, è la pornografia che si inserisce nelle altre forme all’interno delle quali si può formare l’immagine della donna. In conclusione Coetzee sceglie una teoria che vede sia la pornografia sia la pubblicità apportare un uguale contributo alla creazione di modelli da desiderare. Interessante è l’osservazione sul comportamento della pubblicità: “e nell’uso che fa del divieto la pubblicità è più scaltra della pornografia. Sapendo che non può soddisfare, indica il divieto: se non fosse per quello – dice – ti potrei far vedere quello che vuoi; per ora dovrai accontentarti di meno, di un accenno appena”273. La posizione di MacKinnon è osservata e contestualizzata nell’ambito degli interventi contrari alla pornografia. La motivazione che spinge la critica femminista di MacKinnon, riguarda la questione del potere e, al tempo stesso, l’incontro con la dimensione dell’osceno non influenza le idee della studiosa. L’accusa alla pornografia è di perpetrare e mantenere una situazione di potere maschile sulle donne, istituzionalizzando la supremazia maschile attraverso la rappresentazione delle dinamiche sessuali. “Forse per una qualche sua ragione strategica non si domanda perché, se è negli interessi degli uomini costruire e imporre una versione del desiderio femminile, non dovrebbe essere nell’interesse delle donne costruire e imporre una contro-visione del desiderio maschile” 274. Nelle conclusioni, Coetzee muove alla visione femminista la stessa critica che possiamo riscontrare nell’intervista finale a Gualtiero De Marinis; si chiede in maniera retorica se i film pornografici rappresentano un crimine contro le donne, anche i film di guerra allora dovrebbero rappresentare un crimine contro l’umanità. E’ in questione quindi il presunto valore didattico negativo delle immagini pornografiche, principio che si può allargare e condividere a tutto il cinema.

5. RUOLO DEL FEMMINISMO NEL DISCORSO SUL PORNO 273 274

Ivi, p. 59. Ivi, pp. 96-97.

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Tra i fermenti della rivoluzione degli anni Sessanta nascono i primi gruppi di femministe. Il Cell 16 di Boston applica le teorie della femminista radicale Valerie Solanas, l’autrice di SCUM, il libro di riferimento per le posizioni estreme. Nel 1969 l’esponente di punta Roxanne Dunbar sostiene che il porno costituisce una violenza contro le donne e lo equipara al linciaggio. La pornografia è considerata come una costruzione ideologica che mantiene il potere maschile sulla donna attraverso lo strumento del sesso. Continuare ad avere rapporti eterosessuali confermerebbe una collaborazione al sistema, quindi l’omosessualità femminile diventa a questo punto un atto politico. Le più dirette sono senza dubbio Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon, due femministe radicali che nel 1983 si uniscono per stendere la famosa ordinanza di Minneapolis contro la pornografia. Per rendere un’idea generale, vale la pena citare i nove punti sui quali si articola il pensiero antipornografia: “1) donne presentate come oggetti sessuali, cose o merci deumanizzate; 2) o come oggetti sessuali che godono dell’umiliazione e del dolore; 3) o come oggetti sessuali che provano piacere sessuale nello stupro; 4) o come oggetti sessuali legati, tagliati, mutilati, feriti o fisicamente lesi; 5) o in posizioni o atteggiamenti di sottomissione, servilismo e disponibilità sessuale; 6) oppure che parti del corpo – incluse, ma non solo, vagine, seni e natiche – siano esibiti riducendo la donna a queste parti; 7) donne presentate come puttane per natura; 8) o penetrate da oggetti o animali; 9) o presentate in uno scenario di degradazione, umiliazione, insulto, tortura, oppure mostrate come sozze o inferiori, sanguinanti, ferite o lese in un contesto che renda sensuale la loro situazione”275. In Pornography. Men Possessing Women, Dworkin si presenta come apertamente anti-sex e accenna alla scelta del lesbismo come un atto politico. E’ nel libro pubblicato due anni più tardi che Dworkin definisce il rapporto sessuale classico all’interno di una dimensione da “padrone/schiava” 276, mentre MacKinnon per descrivere il rapporto sessuale utilizza il termine conficcare per indicare come l’uomo penetri la donna. E’ chiaro che per entrambe il coito è portatore di un’oppressione millenaria, espressione del dominio e del mantenimento del potere sulla donna da parte dell’uomo; questa posizione fallofobica conduce all’unica espressione sessuale permessa, l’omosessualità femminile. Si organizzano gruppi come il Women against Violence in Pornography and the Media (WAVPM) a Los Angeles nel 1976, mentre nel 1979 a New York viene fondata Women Against Pornography Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 162, la citazione è tratta dalla rivista Caught Looking, p. 88. 276 Dworkin Andrea, Right-Wing Women, The Women’s Press, London, 1983. 275

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(WAP), gruppi che diffondono la concezione antifemminile dell’hard e spesso sono a favore della censura. Intorno alla metà degli anni Ottanta, uno di questi gruppi, il FACT – Feminist Anti-Censorship Taskforce – crea la rivista Caught Looking, rivolta alle donne e che presenta accanto a immagini pornografiche stimolanti, dei saggi sul femminismo, la censura e la pornografia in generale. Il FACT era nato inizialmente per opporsi alle posizioni radicali della coppia Dworkin-MacKinnon, poi ha continuato ad esistere per combattere i tentativi dello stato di controllare l’espressione della sessualità femminile. Il femminismo antiporno radicale si è guadagnato però una posizione isolata nell’opinione comune; il suo dogmatismo di fondo non permette il confronto con posizioni diverse. Quindi la coppia Dworkin-MacKinnon resta come un punto di approdo per femministe radicali e poco disposte al dialogo. Negli anni Settanta e Ottanta si formano quindi gruppi di femministe che si oppongono alla censura ed hanno una visione del rapporto eterosessuale più aperta come Luce Irigaray e Nadine Strossen. Questa nuova forma di femminismo ha conosciuto il porno attraverso i film del periodo d’oro statunitense ed in seguito grazie anche alla diffusione delle videocassette. Approccio nettamente diverso rispetto alle femministe radicali, le quali costruiscono le loro teorie in base alle fotografie proiettate durante gli incontri organizzati dalle femministe antiporno. Ne deriva una conoscenza della materia incompleta e slegata dal contesto del film, quindi più facilmente soggetta a interpretazioni schematiche e faziose. Se prendiamo in considerazione le protagoniste dei principali film hard, si nota come l’eroina sia il prototipo della donna libera, che attraverso un percorso di natura sessuale, ottiene la consapevolezza del suo piacere (come nel caso di Deep Throat). A parte qualche raro caso di violenza, spesso giustificato dal contesto narrativo, la donna rappresentata non appartiene alla tipologia della donna sottomessa e oppressa. Prendiamo adesso in considerazione alcuni casi di femministe, le quali rappresentano diverse espressioni nel campo internazionale sul discorso circa il porno.

5.1

NADINE STROSSEN, LA LIBERALE CHE DIFENDE LA PORNOGRAFIA

Il movimento femminista di cui fa parte Nadine Strossen è contrario alla censura e tiene conto dei diritti delle donne ponendoli come fondamento per difendere la pornografia. Sono più volte citate Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon, due femministe radicali contrarie alla pornografia in ogni sua espressione. I MacDworkinisti svolgono una parte importante anche nella Commissione Meese 102


del 1986, dove si sono alleati con i conservatori e i religiosi; li unisce l’obiettivo comune di ostacolare la pornografia, ma al tempo stesso presentano differenze sostanziali di pensiero. Per esempio i conservatori e i cristiani lottano contro la pornografia, ma non hanno intenzione di combattere per i diritti delle donne. Le femministe radicali ritengono che la pornografia debba essere soppressa perché porta alla discriminazione e alla violenza delle donne, e un modo per combatterla è sostenere la censura di ogni espressione sessuale. La posizione opposta è occupata da Strossen e da altri gruppi di femministe liberali, come le Feminists for Free Expression, che si oppongono fermamente alle limitazioni dell’espressione della sessualità per due motivi: il primo riguarda la violazione del Primo Emendamento che garantisce la libertà d’espressione, il secondo perché un’azione simile minerebbe la parità dei diritti e l’autonomia della donna. Le tesi delle radicali sono quindi procensura e tendono a dipingere il rapporto eterosessuale in maniera completamente negativa; Dworkin descrive il rapporto etero come un’invasione militare, un’occupazione del corpo della donna. La donna quindi è soggiogata e priva di libertà come ogni paese che viene invaso militarmente. Non solo l’atto eterosessuale è considerato una violenza, Dworkin afferma che anche il porno lesbico è un’espressione di odio verso le stesse donne. L’intenzione di Dworkin e di MacKinnon è di “istituire un rapporto di identità tra la molestia sessuale e la pornografia. Grazie a questa identificazione, mettendo al bando tutte le espressioni sessuali, la loro presa di posizione ha avuto un preoccupante successo” 277 e grazie a questa identificazione, vogliono rendere uguali sessualità e sessismo. La demonizzazione dell’espressione sessuale porta poi a varie visioni distorte. Primo, si sopravvaluta il ruolo della pornografia nella creazione dell’immaginario collettivo, dato che si trascurano importanti mezzi di comunicazione quali la televisione, la pubblicità, il cinema, la musica, l’arte, la letteratura popolare, i quali hanno un impatto molto più forte rispetto alla pornografia nella formazione di modelli. In secondo luogo si presume una ricezione automatica e uguale per tutti gli spettatori, al fine di giustificare un controllo totalitario. La produzione pornografica viene completamente omologata, come se ogni tipo di pornografia veicolasse messaggi misogini. Si ignora poi che un mercato lentamente in crescita è rappresentato dalle donne, quindi lo spettatore tipo non è più solo il maschio. Le spettatrici a loro volta, rappresentano diversi tipi di personalità e possono avere reazioni completamente opposte davanti a una scena di violenza sessuale subita da una donna; Strossen cita l’esempio letterario di Anaïs Nin, entusiasta e eccitata mentre fantastica di essere presa con forza da uno sconosciuto. Se prendiamo in considerazione un’altra immagine tipica della pornografia, che assieme alle scene Strossen Nadine, Difesa della pornografia. Le nuove tesi radicali del femminismo americano, Castelvecchi, Roma, 1995, p. 19. 277

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di violenza viene indicata come degradante della donna, si riscontrano anche qui diverse reazioni. Si tratta dell’eiaculazione sul volto della donna; spesso poi la donna si spalma lo sperma sul corpo e lo lecca. “La scrittrice canadese Wendy McElroy ha suggerito un’altra interpretazione di queste scene. Ella nota che si inseriscono spesso queste scene dell’eiaculazione semplicemente per provare che il maschio eiacula realmente, che è propriamente all’interno dell’azione sessuale. In modo analogo, la risposta della donna di spargere lo sperma sul suo corpo o di gustarlo, vorrebbe semplicemente dimostrare che anche lei è presa entusiasticamente, pazzamente, dal rapporto sessuale” 278. Questa posizione è comunemente accettabile in quanto esposta da una donna; si noti come invece quando un uomo debba sostenere la medesima tesi, vale a dire fornire un’interpretazione valida della scena dell’eiaculazione, ricorra a creative interpretazioni freudiane: “ciò che l’uomo fa quando eiacula sulla donna si rivolge ad una volontà di replicare il ruolo della madre che dà il latte all’infante […] Se questa analisi è accettabile, allora la pornografia non mostra, come affermano le femministe, odio nei confronti delle donne, ma piuttosto un desiderio di essere come loro” 279. Strossen pone in rilievo come il Rapporto della Meese Commission sia paradossalmente uno dei testi più pornografici mai redatti; su una totalità di quasi duemila pagine, ben trecento sono dedicate alla descrizione dettagliata di storie e immagini derivati da film, libri e riviste. “Nessuna meraviglia che la sexpert Susie Bright abbia esclamato che “venne tre volte” leggendo il rapporto della Meese Commission”280. Lo stesso accade con i testi di Dworkin e di MacKinnon; sono riportati letteralmente descrizioni e dialoghi che rispondono esattamente alla concezione di pornografia giudicata dalle stesse femministe degradante per la donna. La Meese Commission riconosce anche degli usi positivi della pornografia; nel trattamento di disfunzioni sessuali, nella diagnosi e nella terapia di parafilie (preferenze per una pratica sessuale), nel dissuadere persone dal commettere crimini, “naturalmente ciò contraddice uno dei punti contenuti nel documento della commissione che pone la pornografia come causa di crimini” 281, nel rinsaldare la vita sessuale delle relazioni matrimoniali in crisi. Il suo utilizzo quindi si presenta utile per una vasta gamma di persone e pratiche sessuali, in questo modo gli spettatori possono esplorare la loro sessualità e conoscere nuovi potenziali rapporti con altre persone. Qui soggiace uno degli aspetti più rivoluzionari della pornografia e di questo le autorità ne sono a conoscenza: “Questa radicale premessa egalitaria, che il sesso e le rappresentazione sessuali possano rompere ogni altra barriera tra le persone, è senza dubbio una delle ragioni per cui le opere sessualmente esplicite sono state frequentemente viste come una minaccia per la stabilità politica, così come per le norme

Ivi, p. 38. Ivi, p. 39. La citazione è tratta da Day Gary, Perspectives on Pornography: Sexuality in Film and Literature. 280 Ivi, p. 41. 281 Ivi, p. 48. 278 279

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morali e culturali”282. Alcune femministe come Judith Kegan Gardiner, notano che la pornografia ha molto da offrire alle donne, nei termini di insegnamenti di nuovi rapporti e nuovi equilibri con l’uomo. La pornografia può aiutare le donne a sentirsi deoggettificate, una delle accuse classiche del femminismo radicale, e porre al centro del rapporto le proprie fantasie sessuali e il raggiungimento del piacere. MacKinnon prende poi sul serio la violenza rappresentata nei film e la condanna come se fosse reale. Secondo lei non esiste differenza tra le donne che subiscono reali violenze e le attrici che recitano sul set; nel 1993 scrive che “la pornografia è costituita da violenza negli studi cinematografici, sui set, nelle camere da letto private, nei seminterrati, nei vicoli, nelle celle delle prigioni e nei bordelli” 283. Le femministe liberali non condividono le tesi macdworkiniste, vedono anzi un valore rivoluzionario della pornografia. Essa sostiene elementi condivisi dalle stesse liberali come l’aggiramento dei tradizionali costumi sessuali, la sfida allo status quo, il potere di abbattere le barriere individuali e sociali. Strossen riporta le tesi di femministe come Lisa Duncan, Nan Hunter e Carol Vance, secondo le quali “la pornografia è servita a raggirare i convenzionali costumi sessuali, a ridicolizzare l’ipocrisia sessuale e a sottolineare l’importanza dei bisogni sessuali. La pornografia implica molti altri messaggi oltre a quello dell’odio per la donna: sostiene l’avventura sessuale, il sesso fuori del matrimonio, il sesso per nessun’altra ragione che il piacere, il sesso casuale, il sesso anonimo, il sesso di gruppo, il sesso voyeuristico, il sesso illegale, il sesso in pubblico.[…] L’esperienza della pornografia nella donna non è universalmente vittimizzante come l’ordinanza [MacKinnon-Dworkin] vorrebbe sostenere”284. Strossen riflette in seguito sulla convinzione che le femministe pro-censura hanno, sostenendo che le donne sono costrette a posare per le produzioni pornografiche. Così facendo, screditano la maturità della donna e la rapportano a una situazione infantile. Secondo loro, l’aspetto della costrizione è sempre presente, sia che le donne lo riconoscano o meno. Al centro di questa teoria, vi è la palese strumentalizzazione della vicenda di Linda Lovelace. Durante la lavorazione di Deep Throat, è stata vittima di ripetute violente da parte del marito Chuck Traynor, un individuo che non aveva alcuna relazione con il mondo dell’hard. La storia della Lovelace andrebbe inserita nei numerosi casi di violenza domestica; perfino la stessa attrice ha riconosciuto questa strumentalizzazione della sua vicenda e in seguito ha ritrattato alcune sue posizioni. Le femministe pornofobiche hanno volutamente distorto i fatti per elaborare la loro teoria pro-censura. A tal proposito il giudice Richard Posner, sottolinea come sia fallace la logica di basarsi su aneddoti per Ivi, p. 51. Ivi, p. 58. La citazione è tratta da “Rape into Pornography: Postmodern Genocide”, in Ms, luglio-agosto, 1993. 284 Ivi, p. 62. 282 283

105


stabilire una generale connessione causale tra l’esposizione ai materiali sessuali e la violenza contro le donne. “La trattazione da parte della MacKinnon dell’aspetto centrale della pornografia, così come ella stessa lo pone – il danno che la pornografia arreca alle donne – è scioccamente casuale. Gran parte delle sue prove sono aneddotiche e, in una nazione di 260 milioni di persone, gli aneddoti sono una debole forma di prova”285. Da porre in evidenza che la Meese Commission ha preso per buone le posizioni macdworkiniste, ignorando numerosi interventi a favore della pornografia e contrari alla censura. Dal coro dei dissidenti, forti si sono alzate le voci di attrici riconosciute, per sostenere di aver scelto la propria professione in maniera libera e autonoma. La questione della censura apre una riflessione circa la sua reale opportunità; infatti la censura colpirebbe, non aiuterebbe, le interpreti della pornografia. Supponendo che la censura diventi legale, la pornografia diventerebbe uno di quei campi del proibito dove le interpreti, a quel punto, sarebbero realmente meno protette e tutelate. Lampanti esempi sono il Proibizionismo e la prostituzione, campi che se non vengono regolati con leggi, finiscono col diventare una giungla di diritti violati e illegalità. In un regime non censorio, al contrario si potrebbero stipulare degli accordi contrattuali che garantiscano l’integrità del sex worker. La storia porge delle testimonianze riguardo alla repressione della libertà d’espressione; uno dei primi aspetti colpiti è il discorso sessuale esplicito, esso è bandito nei regimi repressivi come il comunismo nella forma sovietica, in quella del blocco orientale, l’apartheid in Sudafrica e le dittature in Cile, Iran e Iraq. Non è una coincidenza che proprio in questi paesi le violenze sulle donne siano maggiori rispetto a paesi come Danimarca, Germania e Giappone dove la pornografia è facilmente accessibile. In conclusione Strossen giudica le MacDworkiniste troppo radicali e condivide il pensiero con il giudice Posner, tanto da citarlo più volte nel suo testo. Uno stralcio da una sua dichiarazione rende al meglio le sue teorie: “ Io non so che cosa ha spinto la MacKinnon a diventare e, caso ancor più sorprendente, a restare così ossessionata dalla pornografia, e così zelante nei confronti della censura. Ma non lasciamo che le nostre libertà civili si sacrifichino sull’altare della sua ossessione”286.

5.2

IL PORNO MANIFESTO DI OVIDIE

Di questo libro è stato già accennato qualche contenuto nel capitolo su Pietro Adamo (“La posizione Ivi, p. 128. Si tratta dello stesso metodo seguito da Festorazzi nel suo libro, per il quale rimando al capitolo “Un po’ di fanta-catto-comunismo”. 286 Ivi, p. 23. La citazione è tratta da un’esposizione presso la Corte d’Appello degli Stati Uniti, Settima Circoscrizione Giudiziaria. 285

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intermedia”), citando solo le parti che l’autore prende in considerazione. Come anticipato, il libro esce nel 2002 in Francia e rappresenta un caso letterario, essendo il primo libro di una giovane attrice e regista hard di 22 anni. Ovidie Becht, si dichiara femminista pro-sex, una posizione che vede le donne disponibili a lavorare all’interno delle professioni denominate sex work: attrici, regista hard, spogliarelliste, professioniste del sesso in generale. Per collocare questo movimento all’interno della vasta corrente del femminismo, si può avvicinare ai gruppi femministi contrari alla censura come l’americano Feminists for Free Expression e il britannico Feminists Against Censorship, ma anche alle posizioni liberali di Nadine Strossen. Naturalmente Ovidie presenta delle differenze nell’approccio con l’hard per due motivi: la giovane età e l’appartenenza diretta al mondo dell’hard. Questi due aspetti si mescolano tra loro e costituiscono una visione partecipata, coinvolta, e spesso non oggettiva. Ad esempio, quando si tratta di delineare delle analisi con basi filosofico-politiche, è evidente l’uso disinvolto di teorie solitamente utilizzate in campo economico. Il pensiero di Ovidie è chiaro, l’entusiasmo con cui sono utilizzati paradigmi tecnici permette di intravedere le posizioni della scrittrice. Quest’ultima attinge cospicuamente dalla sua esperienza personale e professionale; ricorda che fin da adolescente le viene impartita la nozione che la pornografia è sessista, è un prodotto a uso esclusivamente maschile e riduce la donna a oggetto. Parla in prima persona e racconta la sua esperienza nel settore hard, arrivata a contare quaranta film come interprete e due come regista. Si scaglia contro il femminismo moderno, reo di aver ottenuto delle false conquiste; secondo Ovidie, le femministe della generazione precedente hanno inteso il diritto a consumare, di diventare cittadine tramite il voto, di lavorare alla pari dell’uomo, come una liberazione. In realtà, avrebbero solo cambiato padrone, passando dal classico padrone originario, l’uomo, a una nuova forma di necessità economica, il capitalismo. Di seguito Ovidie, smaschera alcuni dei miti, o meglio luoghi comuni, sulla pornografia. Queste posizioni sono assunte in generale da molti teorici che vogliono dimostrare come attorno al porno si sedimentino discorsi stereotipati; non si presenta ardua quindi, l’operazione di svelamento della realtà circa queste condizioni. Il primo discorso affrontato riguarda l’uguaglianza tra pedofilia e pornografia. Ovidie nota che negli anni Novanta, diversi casi di cronaca, come il mostro di Marcinelle, hanno suscitato l’attenzione nei riguardi della pedofilia e uno dei motivi per cui lo spazio occupato nei telegiornali è sempre stato in aumento, confluisce nella strategia di distogliere lo sguardo dai problemi sociali e politici reali. Inoltre Ovidie conferma, grazie alla sua esperienza, che nessun regista o produttore prenderebbe in un film una ragazza minorenne poiché troppi sarebbero i problemi legali successivi. Essendo un settore regolare, con contratti, paghe e accordi, l’hard cerca di non alimentare voci equivoche circa attrici molto giovani e soprattutto tende al 107


massimo della regolarità; è per questo che prima delle riprese, ciascun attore viene fotografato con accanto almeno due documenti d’identità che attestino la maggiore età. Quindi il commercio delle cassette pedofile rientra nella clandestinità, un campo trasversale che ha a che vedere con diverse attività, ma che spesso viene associato ingiustamente alla pornografia. Lo stesso ragionamento vale per gli snuff, cioè la loro eventuale circolazione si deve al mercato clandestino. Quando si tratta di criticare la convinzione circa la breve durata della carriera di un’attrice, Ovidie ricorre a una soluzione astuta. Cita alcune pornostar statunitensi e rileva come abbiano alle spalle più di venti anni di carriera; è inesatto parlare di carriera continuativa, perché diverse attrici sono tornate sulle scene solo per qualche breve apparizione oppure hanno intrapreso il mestiere di regista o produttore. Gli altri luoghi comuni facilmente smontati riguardano l’uguaglianza tra pornografia e prostituzione, pornografia e mafia, la presunta responsabilità di stupri e crimini reali; sono argomenti che esistono dalla nascita del genere hard, e al tempo stesso, sono noti i ragionamenti per contrastarli. Un capitolo è dedicato al ruolo del corpo nella pornografia attuale; Ovidie nota nel cinema porno europeo, l’arrivo di attrici ungheresi e ceche, portatrici di un nuovo modello di donna iper attiva sessualmente e disposta a tutto. Le conseguenze si hanno sia per le altre attrici sia per lo spettatore. Le prime sono messe in disparte in favore delle nuove arrivate, poiché queste richiedono cifre più basse, rappresentano una novità e sono disponibili a girare scene estreme. Lo spettatore riconosce e accoglie la nuova tipologia di ragazza che gli viene proposta, una bellezza giovane, diversa dalla solita figura di donna matura dell’hard tradizionale. Ovidie interpreta questo cambiamento attraverso la sua ottica femminista: “la produzione europea di film pornografici ha deciso dalla seconda metà degli anni Novanta di chiudere in un cassetto l’immagine della Donna a vantaggio della Lolita, fenomeno che può essere superficialmente riscontrato negli altri settori dello showbusiness (musica, cinema…). Perché la Donna per il fatto di essere estremamente sessuale, fa paura. La Lolita rassicura l’uomo. Giovinezza e purezza fittizia le conferiscono uno status d’inferiorità” 287. Dopo l’analisi sulle protagoniste dell’hard, viene presa in considerazione la sessualità che si impone nella rappresentazione. Ovidie nota che l’eiaculazione maschile è l’unica secrezione autorizzata durante i rapporti e inoltre è spesso celebrata come degna conclusione di ogni atto sessuale. I rapporti omosessuali femminili sono tranquillamente accettati, anzi, la scena cosiddetta lesbo è diventata ormai un must nel film. Al contrario non è accettata dalla pornografia commerciale l’omosessualità maschile, quindi i rapporti anali sono riservati solamente alle donne. Il cinema hard ha stilato anche una lista di pratiche devianti o estreme. “Sono sessualmente corrette: fellatio, cunnilingus, penetrazione vaginale e anale della donna per mezzo del sesso maschile o di un oggetto Becht Ovidie, Porno manifesto. Storia di una passione proibita, Flammarion, 2002, tr. it. di Lorenzo Paoli, Baldini&Castoldi, Milano, 2003, p. 56. 287

108


fallico

(vibratore),

la

doppia

penetrazione

vaginale

e

anale.

Qualsiasi

altra

pratica

(sadomasochismo, fist-fucking, urofilia ecc.) è sconsigliata agli attori e attrici se tengono alla loro “reputazione”.[…] Proibendo qualsiasi pratica “deviante” il cinema pornografico è diventato difensore dei buoni consumi”288. A proposito della militanza dell’autrice presso le file delle femministe pro-sex, segue una lista di ritratti di donne che hanno sviluppato una pornografia esplicitamente femminista: Annie Sprinkle, Betty Dodson, Candida Royalle e Véronica Véra. Sono principalmente ex attrici porno che conducono delle attività legate alla loro esperienza e condividono una visione femminista liberale della pornografia. In seguito si esamina anche il caso di Puzzy Power, sorella minore di Zentropa, la casa di produzione cinematografica di Lars von Trier e Peter Aalbaek Jensen. Uno dei motivi che ha stimolato la nascita di questa diramazione della casa di produzione, è l’ampio utilizzo di prodotti pornografici in Scandinavia. In questi paesi la pornografia è liberalizzata dagli anni Sessanta, e ben il 30% della popolazione vede film pornografici, tra cui figurano moltissime coppie. Puzzy Power si rivolge anche alla donna, poiché riscontra una carenza in questo senso nella pornografia attuale e adotta le stesse scelte di rappresentazione delle colleghe statunitensi come Candida Royalle. La parte finale del libro comprende delle interviste alla co-regista di Baise-moi – Scopami, Coralie Trinh Thi e a tre pornostar francesi, Andschana, Océane, Titof. In conclusione il testo va valutato tenendo in considerazione il punto di vista dell’autrice e soprattutto la sua giovane età; possiede caratteristiche tipiche del romanzo biografico, nelle parti in cui Ovidie riporta la sua esperienza professionale e i brevi accenni sulla sua situazione familiare. E’ lontano però dal rappresentare un best seller sulla scia di libri come Melissa P., poiché mancano totalmente aspetti romanzeschi. Inoltre l’autrice dichiara subito la sua appartenenza al femminismo pro-sex, mettendosi sulla stessa linea di pensiero di studiose affermate come Nadine Strossen e importanti gruppi di femministe; condividono le posizioni teoriche e sono contrarie all’uso della censura. Le critiche al femminismo moderno sono valide nel loro aspetto semplice e diretto, anche se non sono supportate da qualche convinzione di base e non sono citate le classiche fonti per organizzare un discorso teoricamente valido sul porno. L’uso libertario di termini come “mercificazione” è messo in risalto anche da Adamo (si veda il capitolo “La posizione intermedia”).

288

Ivi, p. 59.

109


5.2

ERIKA KAUFMANN: LA PSICANALISTA CON LICENZA DI CRITICO

Perché il maschio firma il corpo della donna. Con questo articolo uscito prima su Cinema nuovo289 e poi ripreso nel testo di Grossini290, la psicanalista Erika Kaufmann espone il suo punto di vista sul cinema pornografico. Si dichiara generalmente femminista, ma non chiarisce a quale settore appartenga; la sua è una posizione oscillante tra i due principali schieramenti delle liberali e delle radicali. Delle prime condivide il netto rifiuto alla censura “perché abbiamo visto fin troppo bene che cosa produce: l’effetto è quello di dare connotazioni turpi a qualsiasi forma di erotismo specialmente nel cinema”291. Accetterebbe al limite l’intervento della censura nella televisione, medium che raggiunge un pubblico maggiore rispetto alle sale a luci rosse, ma la rifiuta con fermezza quando si tratta di intervenire su materiali che uno spettatore adulto decide liberamente di vedere. Uno dei danni della censura è quello di aver tenuto nell’ombra autori intelligenti per il solo motivo di essersi occupati di erotismo, come nel caso di Anaïs Nin. Dalle femministe radicali modello Dworkin-MacKinnon, riprende la classica tesi della donnaoggetto. Il film porno, sostiene Kaufmann, è maschilista nella sua essenza, poiché risponde esclusivamente all’immaginario dell’uomo e tende a fissare dei ruoli stereotipati. Non è meno tenero il giudizio sullo spettatore “psicologicamente guastato” 292 dei film porno. Munita dei potenti mezzi psicanalitici, Kaufmann lo definisce vicino allo stato schizofrenico “perché ha un’immagine del corpo frammentato. Si tratta dunque di persone che hanno un rapporto non risolto con il corpo, in quanto non lo hanno accettato, e che perciò hanno bisogno della sua distruzione”293. In più la psicanalista diventa d’emblée sociologa, quando riferisce della sua esperienza di visione di film porno nelle sale di Parigi. Riscontra l’alta percentuale di immigrati nei cinema e chiosa in questi termini “altro problema da considerare è l’emigrazione, dal Sud al Nord, dall’Africa all’Europa, di individui interiormente eguali a noi, ma che si portano appresso tabù tali per cui l’incontro con l’altro sesso risulta disastroso: a essi molte volte non resta altro che la possibilità di soddisfarsi visivamente, masturbandosi” 294. Questa osservazione non si limita solo all’esperienza parigina, ma allarga la sua portata alla società contemporanea e offre una spiegazione del bisogno di pornografia: “a un certo punto ci si reca a vedere questi film perché il consumo personale di sesso è diminuito; esso regredisce sempre più e

Kaufmann Erika, “Perché il maschio firma il corpo della donna” in Cinema nuovo, 271, giugno, 1981, pp. 9-12. Grossini Giancarlo, I 120 film di Sodoma. Analisi del cinema pornografico, Dedalo, Bari, 1982, pp. 162-170. 291 Kaufmann, p. 10. 292 Ivi, p. 12. 293 Ibidem. 294 Ivi, p. 10. 289 290

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per svariati motivi: il consumismo, la nevrosi, la stanchezza fisica” 295. Non è la prima volta che un intervento su Cinema nuovo avanza spiegazioni sociologiche, si ricordano, infatti, posizioni simili nell’articolo di Franco Basaglia dal titolo “La pornografia come mezzo del controllo sociale” 296 precedente di soli due mesi all’articolo di Kaufmann. Un aspetto che invece differenzia le teorie di Kaufmann rispetto ai suoi colleghi della rivista, è l’unione della pornografia con l’erotismo. Solitamente tenuti separati per condannare la prima come oscena esplicitazione del secondo, la psicanalista sostiene “che tra i due termini, erotismo e pornografia, è difficile trovare nette differenze poiché sono decisamente intrecciati” 297. Nota come ci sia sempre un aspetto di vendita sia nell’erotico sia nel pornografico, svincolando la pornografia dalla posizione di unica detentrice di un oggetto merce come il sesso.

5.4

LA RIVISTA JUMP CUT

“With these articles on women and pornography, Jump Cut hopes to begin an ongoing analysis of pornographic film from a radical and feminist perspective” 298. E’ chiara quindi la posizione con cui Julia Lesage nel 1981 inaugura una serie di scritti sulla rivista statunitense. Il materiale pornografico è trattato secondo una prospettiva femminista e radicale. Dal 1974, solo due sono gli interventi sulla pornografia e si schierano entrambi sulla stessa linea di pensiero esposta da Lesage; si tratta di un articolo di carattere generale e di una presa di posizione sul film di De Palma Dressed to Kill. Nel primo intervento firmato da Carol Lease sono messe in discussione le libertarie conclusioni della Commissione Nixon299 ed è attaccata la rivista Playboy, in quanto il linguaggio utilizzato rappresenterebbe una valida, e illegittima, estensione della libertà di parola. Alla base della critica di Lease, come per altre femministe, vi è l’abuso del Primo Comandamento che garantisce la libertà d’espressione. Citando un passaggio della Commissione Nixon, Lease evidenzia come la pornografia sia un mercato diretto all’uomo eterosessuale, e, in quanto esigenza determinata dalla domanda, si accumulino degli stereotipi sulla donna, caratterizzata sempre all’interno di ruoli fissi. “But in the end, women get screwed […] In pornography women are still the powerless, the Ivi, p. 12. Basaglia Franco, “La pornografia come mezzo del controllo sociale” in Cinema nuovo, 270, aprile, 1981, pp. 7-10, circa il contenuto si veda il capitolo “Tentativi di definizione del genere pornografico”. 297 Kaufmann, p. 9. 298 Lesage Julia, “Women and pornography” in Jump Cut, 26, December, 1981, p. 46, “Con questi articoli sulla pornografia e le donne, Jump Cut si augura di iniziare un’analisi in corso sui film pornografici da un punto di vista femminista e radicale”. 299 Per uno sguardo sulla Commissione Nixon si veda l’iniziale capitolo storico. 295 296

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“fucked”, seduced and abandoned, raped and discarded” 300. La Commissione Nixon nel 1970 dichiara che non vi sono prove materiali che dimostrino il collegamento tra la pornografia e singoli atti di violenza; Lease non mette in discussione questa posizione, ma inserisce l’influenza del porno nel contesto più ampio della realtà sociale. Non importa se l’uomo legge Playboy o guarda film hard, egli gode lo stesso della donna come oggetto sessuale, poiché la pornografia riflette l’attitudine della società. Quattro anni più tardi, appare un manifesto per una marcia di protesta contro Dressed to Kill, film dove il killer si traveste da donna per compiere dei delitti. È una posizione ufficiale dell’associazione nata nel 1976 Women against Violence in Pornography and the Media, e definisce il film di De Palma apertamente misogino: “Dressed to Kill asserts that women crave physical abuse; that humiliation, pain, and brutality are essential to our sexuality” 301. Sull’argomento interviene anche Linda Williams, sostenendo l’appartenenza del film a un genere specifico - definito horror/slasher – che si differenzia in maniera significativa dai prodotti pornografici 302. Nell’articolo del 1981, Lesage esprime il desiderio di vedere pubblicati interventi che mettano in evidenza la connessione tra immagini e fantasie sessuali con la realtà sociale ed economica. Trova spazio una definizione di pornografia che sarà condivisa anche negli interventi a seguire; secondo Lesage, le immagini pornografiche detengono il preciso scopo di eccitare sessualmente lo spettatore. Mentre, nello stesso numero della rivista, Valerie Miner definisce più generalmente la materia di studio: “Pornography is the representation of sexual images, often including ridicule and violence, which degrades human beings for the purpose of entertaining or selling products. An important corollary is that Pornography is more about exercise of power than about the expression of sex”303. Sono spesso citati casi di violenza sulle donne nei quali l’aggressore dichiara di essere stato influenzato dalla visione di materiale pornografico. Si tratta di casi indubbiamente veri, ma che spingono verso una semplicistica conclusione riguardo la causalità tra porno e comportamenti violenti. Diversi studi, condotti anche in Italia da Stella, dichiarano come sia impossibile ricreare una situazione di laboratorio, grazie alla quale si possa studiare il fenomeno dell’influenza della Lease Carole, “Pornography. Exploitation, Not Civil Rights” in Jump Cut, 12-13, December, 1976, p. 31, “In conclusione però le donne vengono scopate […] Nella pornografia le donne sono sempre le più deboli, le “fottute”, sedotte e abbandonate, stuprate e scaricate”. 301 Women against Violence in Pornography and the Media, “Dressed to Kill Protested” in Jump Cut, 23, October, 1980, p. 32, “Dressed to Kill sostiene che le donne desiderano la violenza fisica; che l’umiliazione, il dolore e la brutalità sono aspetti essenziali per la nostra sessualità”. 302 Si veda Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, p. 29. 303 Miner Valerie, “Fantasies and nightmares. The red-blooded media” in Jump Cut, 26, December, 1981, p. 48, “La pornografia è la rappresentazione di immagini sessuali, spesso comprendenti la messa in ridicolo e la violenza, che degrada gli esseri umani allo scopo di intrattenere o vendere il prodotto. Un importante corollario riguarda il fatto che la pornografia è più incentrata sull’esercizio del potere rispetto all’espressione del sesso”. 300

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pornografia sul comportamento dell’individuo. Inoltre c’è un difetto di forma in questo tipo di ricerca; si tende a isolare l’assunzione di pornografia come se si trattasse di un elemento chimico che agisce da solo. In realtà, a formare l’immaginario collettivo e a determinare in maniera successiva i comportamenti, entrano in campo anche altri media come la televisione, la letteratura, la cronaca, le tradizioni popolari. Un’altra conclusione affrettata di Miner, riguarda la diffusione di pornografia e la conseguenza diretta circa l’aumento di stupri e episodi di violenza contro le donne. Come asserisce Coetzee 304, le violenze sessuali si presentano e sono in aumento anche nei paesi dove la pornografia non è diffusa attraverso i media tradizionali. Per Miner, invece, i due fenomeni sono legati assieme e prospetta come unica soluzione un programma di educazione pubblica, senza però poi dare le minime direttive sul progetto. Per quanto riguarda i risvolti della pornografia legati maggiormente al potere rispetto al sesso, Lesage condivide la stessa posizione di Miner; afferma che i modelli proposti nella pornografia emergono e consolidano le relazioni sociali patriarcali 305. La modalità di interventi più presente in Jump Cut è il dossier, raccolte di articoli che affrontano la pornografia attraverso diversi approcci. Nel 1986 appare un’intervista a sei stelle dell’hard statunitense, tra cui Candida Royalle e Annie Sprinkle, dove discutono sulla libertà di scelta per una donna di diventare un attrice hard. Il Club 90

306

, nome del circolo ristretto formato dalle sei attrici

nel 1983, si presenta come un proto sindacato dove le pornostar danno spazio alle voci contrarie al sistema del porno. Il gruppo si presenta come femminista in quanto ricerca la tutela della donna sul lavoro ed è l’ambiente dove Candida Royalle partorisce l’idea della casa di produzione per film hard rivolti al pubblico femminile, la futura Femme Productions. Il Club 90 ribalta poi l’accusa delle femministe radicali riguardo alla donna-oggetto. Si riconoscono in questo ruolo e candidamente dichiarano di essere felici nell’interpretare questa parte. Cercano di comunicare che si tratta appunto di una messa in scena, una finzione che non corrisponde alla realtà e che richiede molto impegno per calarsi nel personaggio. In modo provocatorio, rispondono che anche l’uomo si presenta come oggetto, privo di capacità psicologiche, in quanto il ritratto che appare dai film, descrive una figura con l’unico obbiettivo di avere rapporti sessuali con ogni tipo di donna. Senza dubbio, l’articolo più interessante del dossier è a cura di Patricia Erens 307 e tratta le Coetzee J. M. Pornografia e censura, tr. it. di Maria Baiocchi, Donzelli, Roma, 1996, pp. 110-112, titoli originali Taking offense; “Lady Chatterley’s Lover”: the taint of the pornographic; The harms of pornography: Catherine MacKinnon, in Giving offense, The University of Chicago, 1996. 305 Lesage Julia, “Artful racism, artful rape” in Jump Cut, 26, December, 1981, p. 51, “these patterns emerge from and serve to reinforce patriarchal social relations in the world outside the film”. 306 L’esperienza del Club 90 è citata anche in Williams Linda, Hard core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1989, p. 249. 307 Erens Patricia, “The Pornographic Impulse in Slasher Films” in Jump Cut, 32, April, 1986, pp. 53-55. 304

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similitudini tra gli slasher e i film porno. Come rappresentanti del genere sono citati Halloween, Friday the 13th, e Body Double308, opere che hanno raccolto buon successo presso il pubblico americano. Alcune caratteristiche di questo genere si costruiscono in opposizione al genere horror; gli slasher hanno una protagonista femminile al centro della storia, a differenza dell’horror tradizionale che incentra le vicende solitamente su una figura maschile. E subito appare chiara una similitudine con il porno: il corpo femminile diventa l’attore principale sullo schermo come lo è negli hard e nelle riviste porno. Inoltre le scelte riguardo l’uso della soggettiva, puntano verso l’identificazione con l’assassino, mentre nell’horror più spesso si assume la prospettiva della vittima. Riflettendo ora sullo slasher solamente, Erens nota principalmente l’utilizzo della punizione come tema centrale e non solamente come caso incidentale all’interno della narrazione e la descrizione accurata della violenza, in special modo l’accoltellamento. La protagonista è una donna vergine, oppure che presenta un’innocenza a livello sessuale che costituisce un corrispettivo alle donne più attive sessualmente, le quali vengono puntualmente uccise. Quest’innocenza è fondamentale per sopravvivere e giungere alla fine riuscendo a sconfiggere il nemico maschile. L’omicidio finale riprende una sorta di perdita della verginità della protagonista, la quale abbandona il suo stato di candore e si macchia del sangue dell’uomo; non è un caso che spesso l’omicidio sia condotto con l’utilizzo del coltello, simbolo fallico ormai assunto con la funzione vicaria del pene. “In general, in Slasher Films, sexual knowledge is punishable by death”309 quindi la purezza della donna si pone come condizione base per sconfiggere l’uomo che la perseguita; la donna prende il potere e rovescia la situazione di dominata alla quale il fallo la costringe. Il coltello diventa pene e uccide colui che grazie alla pratica sessuale, ha creato un sistema di controllo sulla donna e ha mantenuto inalterato questo rapporto conservando le antiche strutture patriarcali. In una nota conclusiva, Erens elenca alcune definizioni di pornografia; esse hanno in comune la descrizione degli atti sessuali, la presenza di fantasie e il mirato scopo di eccitare sessualmente o stimolare la masturbazione. Dopo l’uscita di Hard core nel 1989, nuovi interventi appaiono su Jump Cut sempre mantenendo la stessa linea femminista, anti-razzista e positiva riguardo al sesso, degli anni precedenti. Nel 1990 è tradotto un saggio di Gertrude Koch dal carattere generale sul cinema pornografico 310; nell’introduzione storica riflette sul ruolo del film pornografico nell’evoluzione dei media. Agli inizi del secolo gli hard, o sarebbe meglio dire gli stag, sono proiettati nei bordelli e nei club privati Sono usciti in Italia con i titoli Halloween: la notte delle streghe di John Carpenter, 1978, Venerdì 13 di Sean S. Cunningham, 1980 e Omicidio a luci rosse di Brian De Palma, 1984. 309 Erens, p. 55, “Generalmente, negli slasher la conoscenza sessuale è punita con la morte”. 310 Koch Gertrude, “The body’s shadow realm” in Jump Cut, 35, April, 1990, pp. 17-29, tradotto da Jan-Christopher Horak, titolo originale “Lust und elend: das erotische kino” di Karola Gramann, Gertrude Koch, Heide Schlüpman, Möna Winter, Bernhard Pleschinger e Karsten Witte in Report Film, Munich, 1981. 308

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per offrire un divertimento a pagamento e invogliare i clienti a soddisfare materialmente le fantasie stimolate dalle proiezioni. A partire da questi esempi di inizio secolo fino ai cinema porno gay di New York degli anni Settanta, Koch suggerisce l’importanza del contesto nel determinare gli effetti sullo spettatore. Le immagini pornografiche agirebbero da pretesto e non sarebbero le cause degli stimoli e desideri sessuali dei frequentatori, ma il contesto della sala a luci rosse crea già una situazione tipo per incontri con altre persone. Il cinema pornografico non si riduce però a immagini inosservate, segue ugualmente l’evoluzione del costume e i gusti del pubblico. Si presenta come specchio delle principali fantasie del periodo, declinando con maggior frequenza ora storie di sottomissione, ora di violenza, ora di fantasie quotidiane. Affrontando la posizione dello spettatore, l’autrice riporta la parola tedesca Schaulust, termine appropriato traducibile letteralmente con il piacere di vedere, ma la parola contiene anche connotazioni erotiche comprendenti la lussuria e la curiosità della visione. Torna utile questo termine nell’ottica foucaultiana di conoscenza e desiderio di sapere sessuale; il piacere di vedere diventa lo strumento cognitivo dello spettatore, grazie al quale entra in contatto con la sessualità e la dimensione della conoscenza. Ma l’interpretazione più convincente proposta da Koch, riguarda il concetto di feticcio identificato con il piacere sessuale della donna. Si tratta di una posizione originale, in quanto il feticcio non è più individuato in un pezzo di lingerie o in una pratica sessuale, ma diventa il rappresentante di un aspetto difficilmente descrivibile. L’orgasmo femminile quindi va incontro al processo grazie al quale qualcosa di invisibile diventa visibile nel feticcio. La donna riesce a evitare la mancanza del fallo, sostituendolo con l’orgasmo e ponendolo al centro della rappresentazione. Dal 1996 gli interventi dirigono la loro attenzione su altri aspetti; le posizioni

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teoriche sono state ampiamente illustrate e commentate, adesso si considera l’opportunità di inserire la pornografia come materia d’insegnamento nelle facoltà universitarie. Nel loro articolo, Kirkham e Skeggs311 riferiscono dell’esperienza di Constance Penley nell’insegnamento di un corso presso l’università di Santa Barbara nel 1993. La prima difficoltà incontrata, riguarda lo scetticismo sulle sue posizioni teoriche; il Santa Barbara County Citizens Against Pornography protesta nei confronti dell’Università poiché ritiene inammissibile che l’insegnamento sia tenuto da una femminista pro-sex. Lo stereotipo diffuso sul femminismo a quel tempo, aveva persuaso le persone che tutte le femministe odiassero la pornografia. In più gli studenti del corso si sono presentati in aula dubbiosi e prevenuti. Le esperienze di insegnamento successive hanno potuto quindi avvalersi del tentativo sperimentale di Penley, come nel caso riportato di Chuck Kleinhans312, insegnante universitario e titolare di corsi sulla pornografia. Le modalità del corso prevedono l’inserimento della pornografia nell’intero contesto delle rappresentazioni sessuali della cultura contemporanea, al fine di evitare di considerare la pornografia come una forma ghettizzata. Kleinhans dà ai suoi studenti le motivazioni sociali per affrontare il nuovo tipo di materiale di studio; questo, suggerisce, serve a rassicurare alcuni studenti che incontrano iniziali difficoltà nel rapportarsi all’hard nell’ottica dello studio. Lo svolgimento delle lezioni in classe garantisce la massima libertà allo studente di uscire dall’aula nel momento in cui si trovi a disagio; in più, nelle fasi iniziali, le domande rivolte all’insegnante sono consegnate su fogli anonimi. Il reperimento dei materiali per lo studio a casa è assicurato dai videonoleggi, mentre se alcune persone hanno difficoltà nel procurarsi il materiale autonomamente, Kleinhans viene loro incontro consegnando personalmente le videocassette. Kleinhans è prodigo di cautele, “another superego justification is the course’s presenting experimental films with sexual content as examples of art”313. In questo modo gli studenti si approcciano in maniera differente rispetto all’atteggiamento con cui vedono la pornografia commerciale. Oppure, per alcuni studenti funziona invece la motivazione di studiare il materiale in qualità di espressione di una minoranza culturale. Nel 1997 sempre Kleinhans introduce delle note scritte da Peter Lehman a margine dell’uscita del film di Milos Forman The People vs. Larry Flynt. Lehman sottolinea come nonostante Forman abbia pubblicamente sostenuto la sua posizione contro la pornografia in generale, le ire delle femministe anti-porno si siano scatenate ugualmente contro il film. Secondo una delle esponenti più fervide, Gloria Steinem, il film compie un’azione di cleaning up sulla figura del proprietario di Kirkham Pat e Skeggs Beverley, “Pornographies, pleasures, and pedagogies in U.K. and U.S.” in Jump Cut, 40, March, 1996, pp. 106-113. 312 Kleinhans Chuck, “Teaching sexual images. Some pragmatics” in Jump Cut, 40, March, 1996, pp. 119-122. 313 Ivi, p. 121, “un’altra giustificazione riguarda il fatto di presentare film sperimentali con espliciti contenuti sessuali come esempi di arte”. 311

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Hustler; la produzione e la diffusione di fotografie degradanti l’immagine della donna, non sarebbero state poste in rilievo da Forman. Al contrario, Flynt è ritratto come un eroe del Primo Comandamento, alfiere quindi della libertà di espressione. Tuttavia, secondo Lehman, Milos Forman è sulla stessa linea di Steinem; “in a sense Forman is anti-porn, but he prefers to live in a society where pornographers are free to practice their “tasteless” business while he is free to ignore it”314. Un aspetto pornografico nel film, Lehman lo riscontra osservando la presentazione dei personaggi allo spettatore. Stabilisce un parallelo con Notorious di Hitchcock, film che presenta l’attrice protagonista contesa tra due “sistemi maschili”, uno positivo interpretato da Cary Grant dipendente del governo americano, l’altro negativo con il nazista Claude Rains. Il personaggio di Grant emerge come eroe positivo nel confronto con il villain Rains, anche se in realtà il primo è ugualmente un personaggio con degli aspetti negativi. Nel film di Forman succede lo stesso: Flynt è presentato come attivo persecutore dei diritti alla libertà d’espressione, mentre Falwell, uno dei suoi oppositori, rappresenta una semplice minaccia alla libertà di parola. Dando quindi allo spettatore la presunta possibilità di scegliere tra i due, è scontata l’opzione per Flynt. E’ qui che Lehman sostiene l’unico concetto di pornografia applicabile al film; “to position not only women but all spectators of the film in such a manner is truly pornographic”315. Forse se Lehman avesse vissuto cinquant’anni prima, sarebbe stato tra coloro i quali si sentirono indignati e presi in giro da Hitchcock nel porre al centro della storia di Stage Fright un narratore non fidedegno. In conclusione, uno degli ultimi interventi316 su Jump Cut riguarda i cosiddetti roadshow delle femministe di entrambi gli schieramenti. Si tratta di conferenze itineranti nelle università, con la proiezione di immagini, tenute sia dalle femministe anti-porno sia dalle pro-sex. Le due tattiche discorsive sono divergenti, come spiega Johnson, l’autore dell’articolo: “1) the anti-porn roadshow defines pornography as patriarchal propaganda for violence against women, illustrated by images from porn, advertising, and horror movie; 2) the pro-sex roadshow defines pornography as a genre in order to show its mutability as a cultural form and its accessibility to women as producers and consumers”317. L’esponente principale della prima fazione, Gail Dines, legge la pornografia secondo la classica e ormai stantia ottica della reificazione della donna, mentre Susie Bright, la più nota sexpert negli Stati Uniti, presenta l’hard come territorio fertile per qualsiasi fantasia sessuale. Non è un caso che i roadshow di Bright siano supportati da organizzazioni gay, lesbiche e bisessuali. Lehman Peter, “Will the real Larry Flynt please stand up?” in Jump Cut, 41, May, 1997, p. 22, “In un certo senso Forman è anti-porno, ma preferisce vivere in una società dove i pornografi sono liberi di praticare “senza tatto” i loro affari mentre lui è libero di ignorarli”. 315 Ivi, p. 25, “porre in queste condizioni non solo le donne ma tutti gli spettatori del film è veramente pornografico”. 316 Johnson Eithne, “Porn-education roadshow” in Jump Cut, 41, May, 1997, pp. 27-35. 317 Ivi, p. 27, “1) il roadshow anti-porno definisce la pornografia come propaganda patriarcale per la violenza contro le donne, coadiuvata da immagini pornografiche, pubblicità e scene tratte da film dell’orrore; 2) il roadshow pro-sex ritrae la pornografia come un genere in grado di mostrare la sua capacità di cambiare in quanto forma culturale e mostrare la sua accessibilità alle donne nelle vesti di produttrici e consumatrici”. 314

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Dines ricerca le origini della situazione attuale anche nel cinema tradizionale e afferma come Hitchcock, De Palma e gli slasher abbiano caratterizzato il ruolo dei personaggi femminili come vittime, rendendo così popolare al grande pubblico l’immagine di una donna priva di profondi aspetti psicologici e destinata a soccombere. Il metodo delle slide proiettate da Dines, svolge un ruolo fondamentale nel processo di smembramento del corpo femminile; contribuisce in modo parziale alla considerazione che la pornografia produca una dissezione della donna, “it gives a serial display of anonymous female body parts cut out of any meaningful context” 318. Quindi il metodo utilizzato nei roadshow porta intrinsecamente con sé la chiave di lettura per arrivare alle conclusioni sostenute dalle femministe anti-porno. Presenta anche il porno come una forma culturale di tipo statico, il contrario della visione che offre Susie Bright nelle sue conferenze pro-sex; al posto della monodirezionale lettura che impongono le slide, utilizza delle videocassette che riprendono aspetti gioiosi del sesso e momenti di masturbazione femminile seguita da orgasmi. Bright conosce che il piacere femminile è sempre stato posto in una zona d’ombra nel porno eterosessuale, quindi lo mostra apertamente e lo pone in primo piano. I due modelli di roadshow hanno un impatto diverso sullo spettatore; la platea di Dines esce terrorizzata dalle proiezioni molto dure, mentre lo spettatore di Bright vive un’esperienza più rilassata e conosce una versione della pornografia che probabilmente prima ignorava.

Ivi, p. 31, “ offre una mostra in maniera seriale di parti del corpo femminile anonime estrapolate da qualsiasi contesto con un suo significato”. 318

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6. LA VISIONE ESTERNA: DIALOGO CON GUALTIERO DE MARINIS

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Com’era la situazione circa gli interventi critici sulla pornografia al momento del suo articolo su Cineforum?

Nel 1979 siamo in un periodo di crisi del cinema, la solita crisi ogni volta annunciata. Le sale a luce rossa alla loro comparsa propongono una sfida al passante, ci sono sale che espongono una “tripla luce rossa”, indice di film super hard. Il pezzo che mi viene commissionato, il mio primo pezzo a ventitrè anni, richiede un taglio sociologico-economico, quindi non è prettamente un intervento sul cinema porno. All’epoca c’erano due atteggiamenti diversi per affrontare il discorso: il primo è il citato approccio sociologico-economico, quindi un’analisi spostata più sullo spettatore e sulla fruizione del film porno, un inquadramento del fenomeno pornografico. Il secondo rientra all’interno del “giochino del critico”. Trovare quindi un Autore, il capolavoro assoluto e quello relativo, delineare le possibili correnti di un mondo che funziona con regole diverse. L’unico a godere di buona attenzione critica è Damiano. Il monografico di Filmcritica pur presentando degli interventi diseguali, ospita dei veri pornografi come Germani, delle persone molto competenti, figure opposte a quello che ero io nel ruolo improvvisato per la stesura del pezzo su Cineforum.

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Per quanto riguarda invece la situazione attuale?

Quando ho scritto il mio pezzo, pratica comune era quella di appoggiarsi ad autori di riferimento, vedi Bataille, che trattano argomenti simili come l’erotismo. Adesso la situazione è cambiata, soprattutto il consumo di pornografia ha subito notevoli sviluppi. Si è passati dal mercato delle videocassette, alla fruizione tramite Internet. Questa nuova modalità ha imposto dei prodotti dalla durata più breve, e spesso basati su situazioni tipo. Quindi quelli che si occupavano di cinema, giustamente non penso si occupino di questa produzione. Al massimo si trovano persone che fanno recensioni di siti porno, descrivendo che tipo di servizi offrono, ma non esiste un approccio critico del tipo classico.

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Che tipo di produzione caratterizzava le prime proiezioni a luci rosse?

I film in pellicola sono tutti sostanzialmente uguali. Le storie sono standard, l’elemento di originalità stava nel creare la “versione porno di…”. Massaccesi ne ha girati molti. Si tratta di film in costume, fantascientifici o noir. In fondo il mercato non richiedeva una differenziazione particolare; il porno funziona su costi bassi, sulla presenza di attrici famose, raramente sugli attori, a parte i casi di Holmes e Siffredi, mentre non c’è una cura particolare circa la vicenda, la recitazione, la scenografia. Da questo mondo ghettizzato però alcuni attori sono usciti per interpretare ruoli nel cinema mainstream; Marylin Chambers ha lavorato con Cronenberg in Rabid, Ron Jeremy in Killing Zoe, Traci Lords con John Waters. I registi invece non riescono ad approdare a questi traguardi, al massimo raggiungono la serie B.

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Quali cambiamenti ci sono stati nel genere pornografico?

Negli anni Settanta registi come Damiano, i Mitchell Brothers dovevano confezionare un prodotto della durata di circa 70-80 minuti, con una storia credibile. Anche se spesso si ricorreva al film a episodi, caratterizzato da una produzione più veloce e da un filo logico spesso molto semplice. Importante era il ruolo delle riviste, l’altra fonte dove recuperare materiale porno. Con l’avvento di Internet, i siti porno hanno solitamente una sezione video e una sezione foto, quindi hanno fagocitato sia il film porno sia la rivista. I film porno degli anni Settanta si ritrovano catalogati sotto le varie etichette di classical, vintage o retro. Hanno preso piede invece i reality, produzioni che offrono all’utente l’illusione di essere girati dal vero; si tratta di finti reclutamenti di giovani ragazze per strada, seguiti da un breve colloquio dove si convince la ragazza a girare un amatoriale. Molto diffuso è anche il genere audition; una ragazza è intervistata e poi ripresa mentre fa sesso. Inoltre serie come MILF, Mother I Want to Fuck, raggiungono numeri altissimi di puntate, sempre basati sullo stesso schema di reclutamento di ragazze per strada. Si sono creati quindi nuovi generi attraverso Internet, basati perlopiù su situazioni standard e caratterizzati dalla brevità della durata. Qualche anno fa nel circuito tradizionale sono usciti Boogie Nights e Larry Flynt; due film che oltre a restituire un ricostruzione dell’epoca, sono un segnale circa la situazione attuale del porno. Se Hollywood infatti gira dei film sul porno, lo può fare perché adesso l’argomento non è più 120


pericoloso, ed essendo diventato materiale di narrazione cinematografica, dà molto a pensare che il genere sia veramente finito. C’è poi un aspetto caratterizzante: una grande forza del porno è sempre stata quella di diffondere le nuove tecnologie - in Italia funziona anche con il calcio – i videoregistratori sono stati venduti in concomitanza dei Mondiali di calcio e al boom delle cassette porno. I nuovi servizi telefonici hanno sfondato con le linee erotiche, adesso sono disponibili diversi servizi telefonici, ma i primi sono stati del genere degli 144. Lo stesso discorso vale anche per Internet; i primi film scaricati sono stati dei porno perché in Rete la prima cosa che trovi è quella fuori dall’usuale commercio. Da questo punto di vista il porno è sempre stato una macchina propulsiva per le nuove tecnologie.

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Che sguardo avevano le principali riviste cinematografiche circa il genere porno?

L’approccio di Cinema nuovo aveva un taglio sociologico-economico, talvolta anche con interventi di carattere psicanalitico. Tuttavia non se ne occupavano molto. All’estero invece c’era un atteggiamento più positivo; negli Stati Uniti dopo Gola profonda, The devil in Miss Jones e Dietro la porta verde, si è radicata un’idea sul porno di provocazione gioiosa e liberatoria. Quando i Mitchell Brothers iniziano a fare porno, sono convinti di compiere un gesto “di sinistra”, diciamo liberal, poi avrebbero voluto girare altri film. Progetto che però non hanno realizzato in quanto il mondo del cinema porno è pur sempre un ambiente ghettizzato. La motivazione principale negli States di girare del porno non era quella economica, ma bensì perché era considerato divertente e liberatorio farlo.

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Perché il discorso sul porno ha subito una drastica riduzione dopo l’apice del 1982? Forse perché come ricorda Cremonini319 si trattava già di un mercato stanco?

Il primo motivo va ricercato nel fatto che noi critici non abbiamo trovato il genio da sostenere, quindi il giochino critico non poteva andare avanti! Comunque ritengo che anche giustamente non avessimo trovato un ottimo regista, poiché non penso che ci siano stati dei geni non scoperti nell’ambito del porno. In secondo luogo, la solita crisi del cinema annunciata ogni anno, è andata avanti e, con l’avvento delle videocassette, ha colpito anche il settore a luci rosse. Un tempo a Bologna erano presenti circa otto sale a luci rosse, adesso ne sono rimaste tre e dislocate anche in 319

Cremonini Giorgio, “La forma porno della cultura di massa” in Cineforum, 217, settembre, 1982, pp. 30-31.

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prima periferia. All’epoca in cui scrissi il pezzo c’erano addirittura due sale hard in pieno centro, il Royale e il Cinema Ambasciatore che esponevano le locandine dei film e suscitavano un notevole interesse nei passanti.

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Quali sono stati gli interventi che le sono piaciuti oppure che offrivano un punto di vista diverso?

Oltre al numero di Filmcritica, il caso di Capozzi. Non ha una visione teorica del fenomeno, però offre un interessante punto di vista interno all’industria. Restituisce al lettore un’idea di come si costruisce un film porno, i dietro alle quinte. Anche se siamo già in epoca delle videocassette, quindi fuori dalle sale, Capozzi si presenta al di fuori del giro dei critici cinematografici, ma presenta un’ottima competenza. Fuori dall’Italia, i francesi contribuiscono con ottimi interventi sul porno; forse sono meno cattolici di noi, hanno meno complessi di colpa quindi si pongono meno problemi quando devono parlare di porno. La Revue du Cinéma, sia nell’annuario sia nei numeri ordinari, continuava a pubblicare recensioni “serie” sui film porno che uscivano in Francia. Per “serie” intendo dire che fornivano informazioni sulla storia e nel caso si fossero imbattuti in un tipico film costruito al montaggio, invitavano lo spettatore a non vederlo. Per la serie invece “noi ci guardiamo il porno però dobbiamo trovare il grande autore”, i Cahiers inserirono in una collana dei 100 capolavori del cinema, un film dei Dark Brothers. Cercando di valorizzare il lavoro dei registi, effettivamente più curato rispetto alla media, circa la storia, il trucco, le riprese, nella scelta degli attori, i Cahiers li inseriscono quasi per avere nella collana un rappresentante del genere porno. In America poi, all’inizio Variety ha pubblicato delle recensioni sui porno, però poi ha smesso poiché i film non avevano un’uscita nazionale e il meccanismo della rivista prevedeva le recensioni dei soli film usciti in tutta la nazione.

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Come considera gli interventi delle femministe sul cinema porno?

Tendenzialmente gli interventi erano tutti contrari, poche erano le voci che uscivano dal coro. Dal mio punto di vista è possibile che all’interno dell’industria del cinema porno ci siano casi di sfruttamento, che sconfinano poi nella prostituzione e nella malvivenza. Tuttavia è sempre valido il principio che “quello che vedi al cinema non è vero”, nel senso che è sbagliato accusare un film per 122


i contenuti che mostra. L’accusa tipica delle femministe combatteva la visione degradata, succube della donna nel film porno. Anche se fosse vero, non è detto che immagini del genere abbiano un valore didattico negativo. Ci sono state registi donna, come Candida Royalle, che hanno cercato di dare l’altra visione della sessualità, cercando quindi di soddisfare le esigenze del pubblico femminile. Ma il mio principio è molto generale, si applica anche al cinema normale; non è detto che immagini violente scatenino delle reazioni simili. Peckinpah suggerirebbe la funzione catartica della violenza, ma senza arrivare a tali posizioni, non è semplicemente sostenibile una causalità tra le immagini e le azioni dello spettatore. A prescindere dalle femministe, l’accusa principale al porno era di essere noioso. Però dipende molto da come lo vedi; negli Stati Uniti uno dei modi è il cosiddetto marital aid, vale a dire un aiuto alle coppie stanche, le quali non cercano una storia coinvolgente e credibile, preferiscono piuttosto scene di sesso esplicite.

CONCLUSIONI 123


Il discorso critico segue l’evoluzione del genere pornografico, ne ricalca l’andamento secondo modi che richiamano il modello indicato da Menarini320 circa la parodia e i suoi testi di riferimento. In sintesi, la parodia svolge una funzione denominata “termometro”; se il genere da cui trae ispirazione si presenta forte, ovvero la ricezione dei suoi contenuti è ben salda nell’immaginario collettivo, allora la parodia può esistere e avere una buona diffusione. Simile meccanismo si rivela nella critica impura, gli interventi più importanti coincidono con l’apice dell’hard e successivamente entrambi i campi osservano una produzione decisamente inferiore. Intorno alla metà degli anni Ottanta in Italia, il commercio delle videocassette porno, ha paralizzato quasi del tutto la produzione su pellicola; le cause di questo mutamento di supporto sono rintracciabili nell’abbassamento dei costi di produzione e nella migliore fruibilità del prodotto garantito dalla privacy della visione domestica321. Gli effetti sulla critica si manifestano nella diminuzione generale degli interventi subito dopo l’apice nel 1982, anno in cui sono pubblicati tre testi di carattere teorico e il monografico su Filmcritica. Quindi cercando di definire dei limiti temporali circa la massima diffusione e produzione di film porno e interventi critici, individuiamo come estremi il 1977 e il 1982; dall’uscita italiana di Deep Throat al citato numero monografico sull’hard. Gli approcci principali con cui gli interventi affrontano il porno sono di carattere sociologicoeconomico o di tipo semiotico. I primi sono ospitati spesso da Cinema nuovo, rivista nella quale si possono trovare spunti per delle riflessioni psicanalitiche che hanno poco a che vedere con l’aspetto cinematografico. Inoltre anche Cinema Sud condivide la condanna della pornografia attraverso gli stessi approcci della rivista di Aristarco con l’aggiunta di non troppo velati moralismi e la mancanza di risvolti psicanalitici. Il sottotitolo dell’articolo di Giacomo D’Onofrio indica l’orientamento generale: “il “ruolo” di Carmen Villani, di Edvige Feneck [sic], di Femy Benussi è diventato il simbolo della “pruderìe” e dell’“amplessologia” al servizio di una “mafia” senza scrupoli. Inqualificabili Produttori alimentano il filone di un film evasivo e privo di “contesti sociali” che può far comodo soltanto agli attuali Governanti. Soggettisti e neo-registi “senza fantasia”” 322. Il cinema è costretto dalla mancanza di discorsi a ricorrere a dei “surrogati porno” 323 e per questo D’Onofrio individua come un’unica rivalutazione un inevitabile ritorno al Neorealismo. Non mancano i giudizi Menarini Roy, La Parodia nel Cinema Italiano. Intertestualità, parodia e comico nel cinema italiano, Hybris, Bologna, 2001, “il processo parodico […] funge molto spesso da indicatore dei processi formali, stilistici, tematici e pragmatici in atto nel cinema ufficiale”, p. IX. 321 “Il cinema è solo uno dei supporti possibili del porno, e non tra i più convenienti”, tratto da Adamo Pietro, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 11. 322 D’Onofrio Giacomo, “La crisi del cinema italiano” in Cinema Sud, 66, marzo, 1978, p. 41. 323 Ivi, p. 42. 320

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sugli spettatori, esponenti della società definita da Antonio Salvo “bambina”, in quanto morbosamente attirata dai film “sexj” [sic]. Salvo riprende l’esempio letterario di L’amante di Lady Chatterley e rileva come il sesso possa essere importante nell’analisi della personalità, mentre invece i “filmetti […] altro scopo non hanno che quello di incassare quattrini facendo il solletico a certe ghiandole”324. Un’altra posizione contro la pornografia trova ospitalità ne La rivista del cinematografo, dove nel giugno 1976 sono ospitati due interessanti tavole rotonde sull’argomento e che dopo il passaggio nel 1988 alla Sanpaolofilm, “in spirito di collaborazione cordiale che testimonia una sostanziale sintonia di intenti di servizio pastorale e culturale”325, dà spazio solo a interventi sulla censura. Tra gli spunti degni di nota nei due articoli collettivi, da sottolineare la tesi di Bolzoni convinto che la pornografia venga diffusa nelle situazioni sociali critiche. Porta gli esempi di La cena delle beffe, dove il seno di Clara Calamai avrebbe calmato nel 1941 i soldati italiani al fronte, e nota come il lancio della pornografia negli Stati Uniti sia avvenuto durante la guerra del Vietnam 326. Questi esempi di interventi appartengono all’approccio sociologico-economico, il quale ha come prerogativa quella di contestualizzare il fenomeno porno e studiarlo all’interno della sua dinamica nella società. Il rischio di questo metodo è di assumere spesso una posizione contraria alla pornografia e mancare delle possibili definizioni del genere. L’approccio semiotico si basa invece, sull’utilizzo di strumenti come l’analisi e l’osservazione dei film; qualche esempio come Cremonini, Ziplow e Abruzzese327 grazie all’utilizzo di codici visivi, offrono le migliori definizioni di porno. Dopo il 1982, una delle crisi del cinema affonda le sale a luci rosse e gli interventi critici. Verso la metà degli anni Novanta nasce una “tendenza alla cinefiliaca rivalutazione del “basso” – o del “trash””328. E all’interno di questa tendenza il genere hard viene riscoperto; la rivista Nocturno, nata nel 1994, è dedicata interamente alla rivalutazione dei generi di serie B e dei vari filoni sviluppati dagli anni Settanta, compreso quindi anche il porno. La situazione attuale anche nel campo delle pubblicazioni di singoli libri, è priva di interventi teorici e tende a porgere uno sguardo storico sul porno. Sono diffusi testi sulla storia del porno corredati di infiniti aneddoti e dati personali dei protagonisti dell’hard, biografie di attori famosi e saggi provvisti di un’ottica squilibrata che mettono assieme porno, erotico e Pasolini. I testi apparsi nelle librerie sono chiaramente esplicativi anche nel titolo: Moana e le altre, Pornodive, La comunità porno, Porn’Italia. Il cinema erotico italiano. Questa produzione si caratterizza per la ricostruzione dettagliata di storie del porno, I riferimenti sono tratti da Salvo Antonio, “Sesso e pornografia. Parole chiare e concrete di A. Salvo” in Cinema Sud, n. 38, ottobre, 1966, pp. 8-9. 325 Dall’editoriale di La rivista del cinematografo, n. 1, anno 58, 1988, p. 2. 326 L’intervento si trova in La rivista del cinematografo, n. 6, anno 49, giugno, 1976, pp. 238-239. 327 Citati nel capitolo “Tentativi di definizione del genere pornografico”. 328 Menarini Roy, p. XI. 324

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approcci diretti con i protagonisti, mescolamento di diversi generi. Riguardo al lavoro critico incide anche lo spostamento su Internet del porno; se negli anni Settanta era proiettato nelle sale, era più probabile che qualche critico potesse dare il suo parere sulle riviste. Il trasferimento sul web, invece non ha creato l’istituzione di una critica ufficiale, al limite esistono delle recensioni sui servizi offerti dai siti. La critica ha seguito l’evoluzione del porno, e quando quest’ultimo è scomparso dai grandi schermi, essa ha smesso di occuparsene sulle riviste di cinema. I testi apparsi sul porno non propongono ulteriori definizioni di genere o discorsi sulla censura; seguendo la trasmigrazione del porno dal cinema a Internet, la critica non ha trovato un luogo per esprimersi.

FILMOGRAFIA

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La seguente filmografia fornisce i dati di tutti i film citati all’interno del libro. Non si tratta di una filmografia esaustiva sul genere pornografico, operazione tecnicamente impossibile per diversi motivi, al contrario comprende film che esulano dal contesto specifico.

The Kiss, John C. Rice, Stati Uniti, 1895-1896 La bonne auberge, autore ignoto, Francia, 1908 Free Ride, autore ignoto, Stati Uniti, 1915 Saffo e Priapo, autore ignoto, Italia, 1921-1922 L’Atalante, Jean Vigo, Francia, 1934 Notorious, (Notorious – L’amante perduta), Alfred Hitchcock, Stati Uniti, 1946 Stage Fright, (Paura in palcoscenico), Alfred Hitchcock, Stati Uniti, 1950 The Immoral Mr. Teas, Russ Meyer, Stati Uniti, 1959 Mondo cane, Gualtiero Jacopetti, Italia, 1962 Mondo cane 2, Gualtiero Jacopetti, Italia, 1963 Mona: The Virgin Nymph, Bill Osco, Stati Uniti, 1970 Behind the Green Door, (Dietro la porta verde), Mitchell Brothers, Stati Uniti, 1972 Deep Throat, (Gola profonda), Gerard Damiano, Stati Uniti, 1972 The Devil in Miss Jones, (Il diavolo in Miss Jones), Gerard Damiano, Stati Uniti, 1972 Fritz the Cat, (Fritz il gatto), Ralph Bakshi, Stati Uniti, 1972 Ultimo tango a Parigi, Bernardo Bertolucci, Italia-Francia, 1972 Malizia, Salvatore Samperi, Italia, 1973 Il colonnello Buttiglione diventa generale, Mino Guerrini, Italia-Francia, 1974 Joy, Mansfield, Stati Uniti, 1975 Obsession, (Complesso di colpa), Brian De Palma, Stati Uniti, 1975 Salò o le 120 giornate di Sodoma, Pier Paolo Pasolini, Italia-Francia, 1975 Ai no Corrida – L’Empire des sens, (Ecco l’impero dei sensi), Nagisha Oshima, Giappone-Francia, 1976 Io sono un autarchico, Nanni Moretti, Italia, 1976 Rabid, (Rabid sete di sangue), David Cronenberg, Canada, 1976 Taxi Driver, Martin Scorsese, Stati Uniti, 1976 The Spy Who Loved Me, (Agente 007 – La spia che mi amava), Lewis Gilbert, Gran Bretagna, 1977 Candy Stripers, Bob Chinn, Stati Uniti, 1978 Halloween, (Halloween: la notte delle streghe), John Carpenter, Stati Uniti, 1978 127


Dressed to Kill, (Vestito per uccidere), Brian De Palma, Stati Uniti, 1980 Friday the 13 th, (Venerdì 13), Sean S. Cunningham, Stati Uniti, 1980 Girl’s Best Friend, Henry Pachard, Stati Uniti, 1980 Insatiable, Godfrey Daniels, Stati Uniti, 1980 Blue Obsession, Martin & Martin, Stati Uniti, 1984 Body Double, (Omicidio a luci rosse), Brian De Palma, Stati Uniti, 1984 Throat – Twelve Years After, Gerard Damiano, Stati Uniti, 1984 T.V. Transvestite, Michele Capozzi e Simone Di Bagno, documentario indipendente, 1984 Behind the Green Door- The sequel, Mitchell Brothers e Sharon McKnight, Stati Uniti, 1986 Stupri di guerra, Nicky Ranieri, Italia, 1993 Killing Zoe, Roger Avary, Stati Uniti, 1994 Il Marchese De Sade (oltre ogni perversione), Joe D’Amato e Luca Damiano, Italia, 1995 The People vs. Larry Flynt, (Larry Flynt – Oltre lo scandalo), Milos Forman, Stati Uniti, 1996 Boogie Nights, (Boogie Nights – L’altra Hollywood), Paul Thomas Anderson, Stati Uniti, 1997 Rocco e le Storie Tese, Rocco Siffredi, Italia, 1997 Guardami, Davide Ferrario, Italia, 1999 Baise-moi, (Scopami), Virginie Despentes e Trinh Thi Coralie, Francia, 2000 Violenza sessuale estrema, autori vari, Francia, 2002

SITOGRAFIA

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RIVISTE Le seguenti riviste sono state consultate presso la Cineteca Comunale di Bologna, tra parentesi sono indicati gli estremi del periodo studiato, in relazione ai testi citati nel volume. Per ciascuna rivista il periodo di osservazione inizia dal 1975 e termina nell’anno 2005. Bianco e nero (n. 5/6, settembre-dicembre, 1978 – n. 1/2, gennaio-giugno, 1997) Ciak (n. 8, dicembre, 1985 – anno 20, n. 5, maggio, 2005) Cineforum (n. 151, gennaio-febbraio, 1976 – n. 388, ottobre, 1999) Cinema nuovo (n. 251, gennaio-febbraio, 1978 – n. 344-345, luglio-ottobre, 1993) Cinema Sud (n. 58, marzo, 1975 – n. 97, dicembre, 1987) Filmcritica (n. 256, agosto, 1975 – n. 428, settembre-ottobre, 1992) Jump Cut (n. 12-13, dicembre, 1976 – n. 41, maggio, 1997) Nocturno (anno II, n. 3, aprile-giugno, 1995 – n. 14, ottobre, 2000) Il Patalogo (Il Patalogo Uno, 1979 – Il Patalogo Quattro, 1982) 136


La rivista del cinematografo (anno 49, n. 6, giugno, 1976 – anno 61, n. 6/7, giugnoluglio, 1991) Segnocinema (n. 16, gennaio, 1985 – n. 103, maggio-giugno, 2000) Video (n. 1, novembre, 1981 – n. 162, giugno, 1995)

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