L'architettura di regime - come specchio della società

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Politecnico di Milano - Pol o Territoriale di Mantova Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria del l e Costruzioni Corso di Laurea in Progettazione dell'Architettura Studente: Fil ippo Consol i Rel atore: Luigi Mario Spinelli A.A. : 2020-2021



L’architettura di regime

Come specchio della società

The regime architecture As a mirror of society


Politecnico di Milano - Polo territoriale di Mantova Relatore

Luigi Mario Lorenzo Spinelli

Studente

Filippo Consoli A.A. 2020-2021


INDICE p. 07

Abstract

P. 09

Premessa - “L’architettura di regime”

p. 11

CASO STUDIO 1 - L’Opera Nazionale Balilla

p. 31

CASO STUDIO 2 - I Club Operai sovietici

p. 41

ATTUALIZZAZIONE - La Corea del Nord

p. 51

Conclusioni - aspetti critici

p. 52

Apparati - Bibliografia

p. 21 p. 25

p. 37 p. 39

- Casa delle Armi - funzione sociale dell’architettura di regime - Casa della G.I.L. in Trastevere - il ruolo educativo dell’opera

- Club Rusakov - composizione architettonica sovietica - Club Svoboda - la funzione definisce la forma

- Didascalie


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ABSTRACT L’architettura di regime, un’architettura che racconta la storia, la cultura, la società e le memorie di un periodo storico in cui il regime politico è stato capace di influenzare intere popolazioni e il loro modo di pensare. Come accade per gli altri elementi del quotidiano, anche l’architettura durante particolari periodi storici viene chiamata a rappresentare ed assumere un ruolo ben preciso all’interno della società. Oggi essa diventa testimonianza viva dei cambiamenti politici, economici e culturali che hanno lasciato un segno profondo nella storia contemporanea. Questo primigenio interesse scaturisce dalle diverse occasioni di analisi dei seguenti temi che si sono presentati durante il percorso universitario, in particolare da alcune lezioni del professore Luigi Spinelli, nelle quali si è esaminata la tipologia architettonica dei club operai sovietici, e ancora da interventi svolti in occasione di Mantova Architettura, specificatamente nella lecture del fotografo di architettura Roberto Conte che, indaga i tratti del razionalismo italiano nell’architettura sovietica. (Luigi Spinelli, corso di Caratteri distributivi e tipologia degli edifici; Dal razionalismo italiano all’architettura dell’ex unione sovietica – Roberto Conte, Mantova Architettura 2020). In questo saggio critico, la volontà è quella di tradurre un semplice interesse verso un’architettura non convenzionale, in un percorso di confronti tra tre differenti realtà, sia per periodo storico che per situazione politica, enfatizzandone differenze e similitudini. I numerosi punti di contatto, legati da un’ideologia totalitaria comune, hanno influenzato fortemente l’architettura, facendola diventare spesso parte integrante della propaganda politica. Primo di tutti l’episodio italiano, il Fascismo, esaminato attraverso il caso dell’ONB; poi la Russia, con i club operai sovietici, e infine, per concludere l’indagine, un’attualizzazione dello stesso tema attraverso il caso della Corea del Nord.

Regime architecture, an architecture that narrates the history, the culture, the society and memories of a historical period in which the political regime was able to influence entire populations and their way of thinking. As with other elements of everyday life, architecture during this particular historical periods is called to represent a well-defined role within society. Today it becomes a living witness to the political, economic and cultural changes that have left a heavy mark on contemporary history. This initial interest for this topic, arises from the various occasions that presented during different university lessons, in particular from some lectures by Professor Luigi Spinelli, in which the architectural typology of the Soviet workers’ clubs was examined, and again, from participation carried out during “Mantova Architettura”, specifically in the lecture of the architectural photographer Roberto Conte, who investigated the features of Italian rationalism in Soviet architecture. In this critical essay, the aim is to translate a simple interest in an unconventional architecture, in a path of comparisons between three different realities, both for historical period and for political situation, while emphasizing their differences and similarities. The numerous points of contact, linked by a common totalitarian ideology, have strongly influenced architecture, making it often an integral part of political propaganda. First of all the Italian episode, Fascism, examined through the case of the Onb; then Russia, with the Soviet workers’ clubs, and finally, to conclude the investigation, an actualization of the same theme through the case of North Korea.


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PREMESSA “Oggi attribuiamo grande valore alle apparenze, come un tempo si usava l’architettura per dimostrare potere: lo stile fascista, per esempio, che non ho mai amato, rappresentava la potenza di un governo, di una nazione, facendo un uso improprio della bellezza. […]” Oscar Niemeyer Obiettivo del seguente elaborato è la ricerca delle analogie architettoniche mediante il confronto tipologico delle architetture dei regimi totalitari. Il tema connettore è quello del tipo edilizio al servizio della collettività: le Case del Balilla come i Club operai sovietici sono pensati come condensatori sociali che accolgono i cittadini per la loro istruzione alla nuova ideologia fascista o comunista, oltre che a quella culturale e militare. L’analisi del caso dell’ONB rende evidente come Renato Ricci è intervenuto per soddisfare le richieste del partito in un contesto totalitario in cui l’architettura diventa un forte elemento di propaganda. Le Case del Balilla rappresentano un primo strumento con cui il regime attua il piano di istruzione del “nuovo italiano fascista”. Una situazione simile a quella italiana si presenta in Unione Sovietica con Konstantin Mel’nikov e l’istituzione dei Club operai. Come la Casa del Balilla, il club operaio diviene il luogo di svago e ritrovo del lavoratore, nel quale si possa formare una nuova collettività intorno agli ideali del socialismo. Nel saggio affiorano tematiche legate alle varie ideologie che rendono sempre più chiaro lungo la narrazione come la ricerca di un tipo edilizio fascista e di uno sovietico abbiano lo stesso obiettivo: guidare la giornata del ragazzo balilla o dell’operaio sovietico verso l’accettazione dei nuovi ideali e dell’appartenenza a una collettività. Mediante l’istituzione di un tipo edilizio l’architettura non viene vista solo come immagine del potere, ma come struttura e organizzazione tipologica al servizio del partito. La forte relazione tra l’immagine che l’ar-

chitettura definisce e la politica è visibile ad oggi in modo evidente in Corea del Nord. Il programma politico totalitario nordcoreano ha portato negli anni alla realizzazione di architetture, monumenti e grandi spazi di rappresentanza del partito e di culto alla dinastia Kim, fondatrice della Repubblica democratica di Corea. Ancora una volta si ritrova lo stretto rapporto tra politica e architettura, a conferma dell’importanza che quest’ultima rappresenta per i regimi totalitari.


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CASO STUDIO 1 L’Opera Nazionale Balilla


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ONB Durante il ventennio fascista viene istituita nel 1926 l’Opera Nazionale Balilla “per l’assistenza fisica e morale della gioventù”. L’organizzazione giovanile del Regno d’Italia nasce prima dell’avvento della dittatura come ente autonomo, con l’obiettivo di “fascistizzare” la società e sulla base delle indicazioni della Commissione Reale, l’ONB ha l’obiettivo di elaborare un progetto relativo all’ordinamento dell’educazione fisica e della preparazione militare che sia complementare all’istituzione scolastica. Nel 1928 Renato Ricci, Presidente dell’Opera nazionale balilla, propone a Mussolini di costruire in ogni capoluogo di provincia, case dotate di palestre attrezzate e di spazi per uffici; in questo modo si ottengono non soltanto sedi per gli organi periferici, ma anche veri centri di attività fisica e di educazione dei giovani secondo lo stile di vita fascista, cancellando ogni altra forma di associazione giovanile. Il progetto politico-pedagogico dell’opera si basa, sull’idea che <<alla educazione delle masse giovanili (…) è necessaria un’opera metodica e costante che è possibile solo quando si disponga di luoghi destinati a raccogliere (…) gran numero di giovani di tutte le catego-

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rie sociali>> (Lettera di Ricci alla presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 Novembre 1928). Prende così avvio un intenso programma edilizio, che vede la costruzione sull’intero territorio nazionale di centinaia di edifici per la gioventù: palestre, case del balilla e della giovane italiana, colonie, accademie e collegi. L’educazione totalitaria e integrale alla scuola è infatti considerata da Mussolini uno dei compiti fondamentali dello Stato; l’educazione fisica rappresenta in quest’ottica lo strumento per <<la bonifica e il miglioramento della razza>> e mezzo per <<cementare il senso della solidarietà nazionale fondendo in un medesimo tenore di vita i giovani di tutte le regioni d’Italia>> favorendo <<opportune forme di addestramento pratico>> (Opera Nazionale Balilla ed educazione fisica e morale della gioventù, in Legislazione fascista, 1929-34, vol. II, pp. 1442-1520). Fondata sul reclutamento volontario, la nuova organizzazione, accoglie i ragazzi tra i sei e i diciotto anni, ottenendo in questo modo il monopolio dell’educazione giovanile, assume la fisionomia di unico ente al quale è assegnato il compito dell’educazione e preparazione “dell’Italiano Nuovo”.

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Definita dal Duce stesso “la pupilla del Regime”, per via dei compiti eccezionali che gli vengono dati da lui stesso, l’ONB verte all’educazione spirituale, culturale e religiosa. Il principale scopo però è quello di infondere nei giovani il sentimento della disciplina e dell’educazione militare, professionale e tecnica secondo l’ideologia fascista, rendendoli consapevoli della loro italianità e del loro ruolo di “fascisti del domani”. L’ONB deve formare in senso patriottico e unitario, cioè fascista, le classi più giovani del popolo. Il caso dell’Opera nazionale balilla è l’unico esempio totalitario per la creazione di un italiano “armonicamente completo”; la volontà di ottenere uomini e donne integralmente fascisti viene perseguita con un’azione plasmatrice ed esercitata sulla mente e sui corpi degli italiani, che “istruiti” dall’ONB fin da bambini crescono con questo ideale già impresso nella mente. La guida del movimento giovanile del Partito Nazionale Fascista è affidata al giovane Renato Ricci, che con il consenso del Duce procede mediante

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il metodo totalitario tipico del fascismo a estendere le competenze e le funzioni dell’associazione ben oltre quelle iniziali, fino a renderla di fatto un’organizzazione. Lo stesso partito fascista prova in diverse occasioni a sottoporre l’ONB al proprio controllo, Ricci già nel 1931 deve difendere l’autonomia della propria organizzazione dalle manovre espansionistiche del PNF; il Partito riconosce la grande importanza che ha l’organizzazione già nel 1936, affermando che l’ONB fosse <<la più nuova e originale>> fra le istituzioni del regime. Essa esercita la sua funzione di educazione fisica, morale e premilitare attraverso le palestre, e gli istituti di istruzione del paese. Il testo ufficiale del Pnf concludeva che <<l’imponente complesso di opere>> dell’organizzazione balillistica la rende <<il più vasto campo sperimentale umano che si sia mai avuto in ogni tempo e in ogni Paese>>. (“Opera Nazionale Balilla ed educazione fisica e morale della gioventù”, in Legislazione fascista, 1929-34). L’Opera balilla ricopre un ruolo assai importante,

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come promotore e committente, nella vicenda dell’architettura “moderna” italiana tra le due guerre. Fin dall’inizio, Renato Ricci si occupa dei progetti dell’ONB con uno straordinario attivismo: per realizzare le strutture edilizie ed i laboratori dove effettuare il “gigantesco esperimento” di creazione di un italiano nuovo, chiama all’opera i giovani architetti scelti da lui personalmente e da lui seguiti nella progettazione. Sotto lo spirito di celebrazione e di culto del Duce nascono, dagli anni Trenta le centinaia di case del balilla, per lo svolgimento delle attività di educazione fisica, premilitare e morale delle nuove generazioni. Le nuove costruzioni, revisionate costantemente da Ricci, vengono costruite secondo un linguaggio arioso, semplice e aderente al nuovo ordine sociale e al nuovo stile di vita di cui il regime si considera ispiratore e artefice, in tal modo, l’attività edilizia dell’ONB si presenta come un campo sperimentale per l’architettura italiana moderna, una palestra per un’intera generazione di nuovi architetti.

I giovani architetti, chiamati da Ricci a realizzare il nuovo stile dell’architettura fascista, erano accomunati dal convincimento della funzione sociale dell’architettura e della ricerca di uno stile originale conforme agli scopi dell’ONB, senza essere uniforme, e tale da esaltare, con la sua netta e preminente visibilità la costruzione fascista nella promiscuità dello spazio urbano. Allo scopo di orientare le scelte tipologiche e controllare la qualità architettonica, Ricci assegna a Enrico Del Debbio l’incarico di preparare una guida per la progettazione degli edifici dell’ONB. L’esito è il volume pubblicato nel 1928, Progetti di costruzioni. Case balilla – palestre – campi sportivi – piscine ecc… quasi un prontuario destinato ai dirigenti provinciali e ai progettisti in cui sono delineati i caratteri dei nuovi tipi edilizi. Per la casa, che ospita funzioni educative, sportive, organizzative e assistenziali, è confermato, con alcune eccezioni, uno schema simmetrico ordinato intorno alla palestra, con biblioteca, aule, uffi-

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ci e in qualche caso piscina, mensa e dormitorio. Dal volume risulta confermata la ricerca di uno stile architettonico fascista, condotta attraverso numerosi esperimenti, opere e monumenti che esprimano in modo più efficace possibile il “nuovo stile fascista”. La composizione architettonica articolata per volumi è giustificata da esigenze funzionali, mentre la secca semplificazione dell’apparato decorativo cui sottoposti i progetti di massima rispecchia il processo di revisione in corso dell’architettura romana minore, che insieme alle forme moderne armonizzanti che alludono ai motivi architettonici classici del tempio greco. Nonostante la presenza del volume che costituisce un ottimo prontuario per i progettisti, è la presenza di Del Debbio che, su incarico di Ricci ottiene la responsabilità di revisionare tutti i progetti dell’Opera, per non lasciare la coerenza delle architetture alla casualità degli incarichi. Per l’architettura viene continuamente ribadita la necessità di accordare il tono della pale-

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stra con quello della casa e di evitare troppi elementi decorativi come cornici, lesene, nicchie, statue… Il lavoro di Del Debbio si poteva riassumere sostanzialmente nel limitare un’eccessiva monumentalità e un eccessivo razionalismo. L’architettura delle case del balilla deve essere pertanto nuova, <<armonica, basata unicamente sulla distribuzione delle masse volumetriche e dei buoni rapporti fra i vuoti e i pieni, superfici nette, chiare, senza fronzoli>>. (Enrico del Debbio, parere sul progetto per Parma del 7 settembre 1932) La prima impresa edilizia dell’Opera è la costruzione a Roma della sede dell’Accademia fascista di educazione fisica, con lo scopo di formare gli insegnanti che si distribuiranno nelle numerose case del Balilla. Contemporaneamente al cantiere dell’accademia, sorgono le prime case del Balilla, talvolta come riadattamenti di edifici esistenti, distribuite casualmente secondo le disponibilità economiche, progettate spesso dai tecnici comunali parlano dichiaratamente un linguag-


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gio monumentale o esplicitamente eclettico del convenzionale edificio pubblico. Nell’assortimento di queste prime, eterogenee prove è evidente la difficoltà sia di trovare una identità tipologica e formale che di comporre la duplice identità della casa – struttura rappresentativa e di servizio – tanto che di nucleo sportivo, unico elemento nuovo, che viene trattato come un’attrezzatura tecnica e quindi spesso aggiunto come un’appendice. Nel 1933 Renato Ricci chiede la collaborazione di Luigi Moretti per sostituire Enrico Del Debbio nella direzione dell’ufficio tecnico dell’ONB. Pochi anni dopo, nel 1936, Luigi Moretti scrive che le case del balilla devono essere, come gli edifici dei gymnasi greci e romani, <<la più alta espressione di civiltà politica>>, ed esprimere <<la nuova grande civiltà, il nuovo “modo di vita” fascista nel mondo>> (Luigi Moretti, Case del Balilla, cit.). Come i grandi edifici romani rappresentano la potenza e la gloria dell’Impero Romano, altrettanto devono fare le architetture del fascismo. La casa del

balilla deve avere funzione simile alle palestre degli antichi romani, in quanto il nuovo italiano fascista è chiamato ad allenarsi per servire e combattere per i propri ideali, il nuovo ideale fascista. Alla funzionalità semplice e razionale, posta come criterio fondamentale dell’architettura dell’ONB, Moretti aggiunge l’esigenza, altrettanto dominante, del simbolismo sacrale, del tutto coerente con il carattere fideistico dell’educazione fascista. La qualità dell’architettura delle case dedicate all’educazione della gioventù italiana, non deve essere strettamente legata alle tendenze artistiche o dalla bravura dell’architetto, bensì viene valutata dal livello di aderenza dell’opera realizzata alla politica del fascismo ed ai suoi canoni. Il mutamento di stile nell’architettura dell’ONB dopo il 1936 non dipende soltanto dai condizionamenti imposti dalla politica autarchica e dalle difficoltà economiche. È anche conseguenza di un irrigidimento ideologico del regime che si riflette in una mag-

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giore formalità della monumentalità fascista. In questo modo, le case costruite prima del ’36 risultano caratterizzate da uno stile più moderno, più sobrio e severo, allo stesso tempo arioso e luminoso, che indurrebbe a dimenticare la loro funzione originale. Va tenuto a mente che all’interno di questi edifici viene attuato un “gigantesco esperimento di educazione di Stato”, che plasma le nuove generazioni secondo un modello di “cittadino soldato”, esaltando l’annientamento dell’individuo in una collettività di massa entusiasta e adorante, destinata a vivere e a esaurire la propria esistenza nell’ottemperanza dei comandi di uno Stato totalitario. Nel 1937 nasce la GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Da tempo la volontà del Partito Nazionale Fascista è quella di assimilare l’ONB, a causa della grande libertà che Ricci detiene nel dirigere l’organizzazione e all’autonomia che aveva assunto. Il Duce e Achille Starace si rendono conto che Ricci ha troppo potere, il complotto per la sua rimozione a capo dell’organizza-

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zione, permette così l’assorbimento dell’ONB da parte del PNF. La nascita della GIL segna in tal modo il controllo diretto dell’operato da parte del Partito, nella logica tipicamente fascista di diretta militarizzazione delle giovani leve. In realtà, l’integralismo totalitario, l’ortodossia fascista, l’indottrinamento ideologico, la militarizzazione della gioventù, sono funzioni che lo stesso Ricci, fedele devoto al Duce e al partito, ha voluto rivendicare alla sua organizzazione, per formare le nuove generazioni di “cittadini soldati” allevati nel culto fanatico del Duce e del fascismo. Tali funzioni rimangono nel momento in cui l’ONB viene assorbita nel PNF per diventare la GIL, nell’ottica di un potenziamento totalitario del comando unico del Partito. Nell’analisi del rapporto fascismo-architettura, il caso dell’ONB rappresenta le effettive connessioni ideologiche e politiche tra il Partito e Ricci, come si svolgono le relazioni e come di fatto variano, in un contesto che né il committente né l’architetto concepiscono


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come tecnicamente neutro. Tutti gli architetti che partecipano ai concorsi e ai bandi sono consapevoli del carattere politico delle opere loro commissionate dal presidente dell’ONB, anche se non sono meri esecutori dei canoni ideologici. Negli anni del Ventennio fascista la produzione architettonica è elevata, lo scopo è quello di realizzare il maggior numero possibile di case del balilla, per poter accogliere ed “istruire” tutti i giovani, futuri “italiani fascisti”. Il rifiuto delle memorie legate agli anni del Fascismo portò nel tempo a una defascistizzazione dell’esperienza architettonica dell’ONB, l’azione di governo e controllo del fascismo viene così

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scissa e rimossa dall’architettura, per far passare l’ONB come un’istituzione che non avrebbe avuto un effettivo coinvolgimento politico e ideologico nel regime totalitario. Lo stesso Ricci dichiara assieme ai suoi collaboratori il loro disinteresse per la politica e l’indipendenza dal Regime totalitario, mentre si sa con certezza che l’ONB nasce per istruire all’ideologia fascista i nuovi giovani italiani. L’architettura viene pensata per rappresentare la forza, la sicurezza e la potenza del partito, gli spazi pubblici sono funzionali alle celebrazioni e i monumenti a ricordare al popolo la loro devozione al partito.


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CASA DELLE ARMI

Funzione sociale dell’architettura di regime La “Casa delle Armi”, conosciuta anche come “Accademia della Scherma”, la cui prima denominazione è “Casa del Balilla sperimentale”, opera di Luigi Walter Moretti, sorge a Roma, all’estremità Sud del Foro Italico, sulla destra dell’asse che passa sul Tevere per il nuovo Ponte della Musica. Vittima di una damnatio memoriae per i ricordi che evoca e per un utilizzo nel corso del tempo improprio, l’opera fa parte dell’eccellenza del razionalismo italiano, ed ospita secondo la canonica formula razionalista funzioni separate: il corpo minore, perpendicolare al Lungotevere, raccoglie la vastissima palestra, fiancheggiata da una balconata interna contenente gli spogliatoi e dotata di una straordinaria copertura a mensole indipendenti, rafforzate e sfalsate all’attacco, in modo tale che la lunga vetrata di raccordo tra l’una e l’altra funga solamente da chiusura, garantendo al contempo una ventilazione e una illuminazione perfetta.

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Qui Moretti si destreggia con disinvoltura tra lo spirito classicista del modernismo fascista e le nuove idee di trasparenza e leggerezza. Pensata come un tempio per il nuovo uomo fascista, la casa è articolata in due corpi parallelepipedi distinti e ortogonali tra loro, connessi quasi liberamente da due passerelle “a giorno” in quota all’altezza dei lati corti a Sud-Ovest. I due corpi sono uniformati sia per il materiale di rivestimento – in masselli di marmo di Carrara accuratamente levigati – sia per l’altezza della copertura. Se sul fronte Sud l’edificio si presenta con una pura e materica parete marmorea, sul lato Ovest la facciata si anima con una piccola forma ellissoidale, prima di tornare al pacato ritmo di un ordine di tre file di lunghe bucature. Il volume a Sud, che si presenta chiuso al fronte strada, trova una grande apertura verso la corte a Nord, con una grande vetrata a tutta altezza


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introdotta da un ampio mosaico con figure mitologiche. Nell’altro edificio, Moretti dispone in basso una fascia vetrata che, proseguendo anche sul lato Nord lascia fluttuare la texture marmorea sovrastante. Il rapporto con il contesto è definito sul lato corto del primo fabbricato da lunghi tagli orizzontali che si contrappongono a Est, in un gioco mimetico alla Foresteria, che completa l’ingresso meridionale del foro Mussolini – l’ambizioso progetto pensato da Del Debbio e dal direttore della ONB Renato Ricci come il fulcro dell’educazione ginnico-musicale della gioventù –. Pensata nell’ottica dell’ideale fascista e sviluppata nel giro di quattro anni, quella che nasce come la “Casa Balilla Sperimentale” è il tentativo di sublimare in un evento architettonico l’intera filosofia del pensiero fascista, quest’ultima basata sul culto della prestanza fisica e l’adesione ai dettami del regime. Accedendo dall’ingresso di rappresentanza sul lato corto ad Est, si scende una scalinata verso un’aula destinata

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ad esposizioni, oppure si può imboccare il sinuoso corpo scala elicoidale a destra, o in alternativa salire attraverso gradini meno cerimoniosi sullo stesso lato, e raggiungere il primo piano, nel quale uno spazio a doppia altezza è adibito a biblioteca; la luce qui filtra dall’alto attraverso lo stacco del soffitto, e attribuisce sacralità allo spazio. Da questo si entra nel volume a pianta ovoidale che accoglie una sala riunioni e un corpo scala a chiocciola che porta al sottostante ingresso degli allievi a pavimentazione musiva opera dello stesso Moretti. Attraverso la passerella in quota, si raggiunge l’edificio adiacente della palestra. Quest’ultima, larga 25 metri e lunga 45, presenta una copertura costituita da un interessante sistema strutturale a semi-volte sfalsate sorrette da mensole in calcestruzzo armato, e scandita in due parti funzionalmente diverse e spazialmente separate da un setto. Su uno dei lati lunghi corre un affaccio sull’ambiente a tutt’altezza che ospita la pedana, illuminata dalla fascia vetrata in basso e per mezzo dell’asola


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luminosa ottenuta dalla differenza di quota delle mensole; sull’altro versante la parete definisce un angusto ambulacro con le docce, su cui aggettano due ballatoi in cui sono disposti armadietti e spogliatoi. La palestra presenta un interessante innovazione nell’uso della luce: due semivolte in cemento armato sfalsate in altezza lasciano affluire la luce naturale, che si riflette sui piani curvi dei soffitti, permettendo un’illuminazione omogenea dello spazio che, seppur con un’altezza di 12 metri, esprime una marcata orizzontalità esaltata dal passaggio in quota del ballatoio per il pubblico, che percorre integralmente lo spazio della palestra. Uno spazio ed

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una luce diversi caratterizzano invece l’ala dell’edificio contenente gli ambienti degli spogliatoi, l’ambiente, attraversato da un triplo volume, riceve luce dall’alto con la conseguente percezione di verticalità. La composizione degli spazi è chiara guardando la sezione trasversale, osservandola si nota che essa ricalca la suddivisione funzionale degli ambienti. Un maestoso muro di spina articola due soluzioni strutturali molto diverse: verso la palestra sorregge una sequenza di travi reticolari estradossate che tendono la volta della palestra, verso gli spogliatoi invece proietta una serie di setti che culminano con archi ed una lunga incisione nella copertura.


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CASA DELLA G.I.L. in TRASTEVERE Il ruolo educativo dell’Opera La casa romana in Trastevere (193337) che, proponendosi come nuovo riferimento tipologico e manifesto dell’ideologia dell’educazione promulgata dal fascismo apre una nuova, ricca stagione di produzione edilizia. Qui, Moretti, nella prima casa del balilla della capitale, definisce con chiarezza e organicità la sua idea di casa come sintesi di struttura sociale e di scenario rituale del fascismo. Attentissimo è lo studio funzionale e sorprendenti sono l’articolazione plastica degli interni, il proporzionamento delle parti, lo svolgimento del tema costruttivo. L’edificio esibisce, secondo le migliori regole codificate dal razionalismo le singole funzioni, correttamente involucrate in volumi separati e ricuciti da nessi di raccordo. Scomposte le funzioni e rese riconoscibili nella disposizione dei volumi, Moretti organizza la casa in parti perfettamente individuabili, <<fuse tuttavia in un insieme intero ed intese come sequenza inin-

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terrotta>> (P. Marconi, “Casa della Gioventù Italiana del Littorio a Roma in Trastevere”, in Architettura, 9-10, 1941, pp. 360-375) e aggiunge alle quattro funzioni – sportiva, culturale, organizzativa, assistenziale – il “nucleo politico” che ha centro nella “sala d’onore e delle memorie” posta come fondale dell’ingresso, in posizione sopraelevata, al termine della “galleria d’onore”. Rispettata in tal modo la “poetica dell’elenco” l’architetto si diverte a declinare dall’interno tutte le molteplici possibilità di trasparenze e di osmosi che l’accostamento dei singoli volumi offre. Con la casa di Trastevere si passa quindi all’assemblaggio di singoli nuclei al loro collegamento, basato su relazioni e corrispondenze secondo un preciso ordine spirituale e sottolineato da elementi formali come le vetrate che svuotano e saldano gli angoli, le scale e le gallerie che sottolineano la fluidità dello spazio e le palestre so-


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vrapposte, <<grandi impalcati esterni che vanno sempre figurati ornati da ragazzi in movimento>> (P. Marconi, “Casa della Gioventù Italiana del Littorio a Roma in Trastevere”, in Architettura, 9-10, 1941) e che, specchiandosi nella piccola piscina all’aperto, si moltiplicano scenograficamente. Moretti studia poi il complesso funzionamento di questa macchina educativa nei vari reparti e nelle diverse occasioni e lo esplicita attraverso schemi e grafici. In continuità con quella di Piacenza, un ruolo centrale è riservato alle opere d’arte considerate per il loro valore educativo. L’edificio sorge nelle vicinanze di Porta Portese sull’angusto spazio triangolare tra Via Gerolamo Induno e Via Ascianghi, sulla quale insiste la torre con l’arengario. L’estrema trasparenza dell’edificio è data grazie alle grandi superfici vetrate, dalle palestre sovrapposte lasciate completamente aperte e dagli spazi attrezzati esterni, a giustificare il grande impiego di vetrate e aperture non sono solo motivi igienici o un’adesione al gusto

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moderno, le aperture sono un invito a guardare dentro per constatare il perfetto funzionamento della macchina organizzativa dell’opera e per assistere ai riti collettivi che vi si svolgono. Le vetrate in successione trasformano la Casa a Trastevere in una specie di vetrina di propaganda politica, che consente allo spettatore esterno di osservare la pulsante attività dei giovani fascisti, sotto l’occhio vigile degli educatori. L’organizzazione funzionale dell’edificio – vero e proprio modello ideologico del fascismo – doveva contenere gli strumenti e gli spazi per l’educazione e la preparazione politico-militare, nonché di quella ginnico-sportiva. A differenza degli altri edifici dell’ONB costruiti fino a quel momento, Moretti per questo progetto non fa riferimento al volume redatto da Del Debbio sui modelli da seguire, ma, rifacendosi a modelli classici progetta la Casa in Trastevere secondo una propria visione del valore simbolico e evocativo, oltre che significativo che queste costruzioni dovranno avere, Moretti


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concepisce il progetto come un gymnasium romano. I forti richiami presenti nei progetti di Moretti dei ginnasi romani, delle terme e delle palestre, erano tutti in direzione di una mentalità profondamente fascista che trovava profondi riscontri tra le idee sociali fasciste e l’origine della razza. La volumetria dell’edificio presenta come fondamentalmente l’impostazione architettonica consista nella separazione dei gruppi funzionali e nel renderli strutturalmente e visivamente autonomi. Sugli assi dei percorsi interni si sviluppano i blocchi funzionali, geometricamente ben definiti, questa apparente scansione e delimitazione degli spazi dei blocchi è contraddetta dalla fluidità dello spazio interno e dalla continua ricerca di connessioni spaziali. La trasparenza che caratterizza la maggior parte dell’involucro esterno è presente anche sulle superfici interne, permettendo alla vista e alla luce di attraversare più ambienti consecutivamente. La geometria e le proporzioni studiate nei minimi dettagli sono riconducibili

ai rapporti proporzionali ed alle concezioni estetiche e armoniche di ispirazione classica care all’istruzione di Moretti e fedeli alla sua produzione architettonica precedente. Da queste deriva l’impostazione della pianta sul rettangolo aureo, costituito partendo dal lato corto, e dallo stesso vengono ricavate le altezze e le proporzioni degli alzati. La torre, oltre che a costituire un richiamo visivo, può essere considerata come la memoria romantica in una bilanciata fusione con quella classica della costruzione. Essa è posta ad equilibrare il quasi eccessivo orizzontalismo dell’edificio e al vuoto delle palestre e delle vetrate laterali. L’elemento a torre, sicuramente di derivazione politica, caratterizza la maggior parte delle architetture delle Case della Gioventù, ma questa di Roma si caratterizza per una maggiore altezza e dimensioni. Desta particolare interesse la soluzione terminale, caratterizzata da una pensilina che, insieme alle pareti rastremate verso l’alto doveva enfatizzare l’altezza della torre stessa. La soluzione originale

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dell’arengario vede una sottile e audace pensilina che interrompe e divide in due parti uguali il vuoto dell’apertura; in questo punto della torre viene collocato lo studio del Duce, le cui portefinestre si aprivano sul balcone diventando le quinte laterali, mentre il parapetto era costituito da tre aquile stilizzate. La Casa in Trastevere, carica di significati e profondamente “moderna” può essere considerata espressione evidente e concreta di un tentativo di “italianizzazione” dell’architettura razionalista, non solo per la composizione dell’edificio, ma anche e soprattutto per la matrice materica, l’accostamento di colori ed elementi decorativi fascisti. Le pareti in esterno

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sono caratterizzate da grandi lastre di travertino che accentua i ritmi orizzontali, opponendosi e così bilanciando le bucature verticali. Scrive Plinio Marconi: “Superfluo indicare non essere il caso di parlare, a proposito di questo edificio, di funzionalismo e di razionalismo, intese queste accezioni nel senso consueto; poiché in esso la ricerca della forma aderente alla funzione, lungi dal rimanere fine a se stessa, è solo un mezzo per passare alla esaltazione ideale, in un piano estetico del tutto attuale, della funzione medesima: onde la ricerca analitica, evidente in ogni momento, si trasferisce immediatamente in feconda invenzione”.


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CASO STUDIO 2 I Club Operai sovietici


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IL CLUB OPERAIO La nascita dell’Unione Sovietica segna, come il Fascismo in Italia, l’avvento di una nuova ideologia strettamente legata alla formazione di un nuovo tipo di uomo, un uomo che fosse profondamente convinto dei suoi ideali socialisti. L’urbanistica sovietica, con i suoi blocchi residenziali e i grandi edifici pubblici, racchiude in sé la storia sociale di un paese rimasto nascosto dietro una cortina di ferro per tutta la seconda metà del Novecento. Nel 1926 il governo sovietico conduce il primo censimento; i risultati mostrarono che l’82% della popolazione vive in zone rurali, mentre in quello successivo del 1939 un terzo della popolazione russa si è spostato in città. Gli architetti russi dal punto di vista pratico e ideologico erano convinti che le forme delle città, e quindi degli edifici, dovessero rafforzare i principi del socialismo. Negli anni Venti e Trenta i primi sforzi del regime si indirizzarono a favore della transizione dalla proprietà privata al controllo statalista del territorio e a stimolare in campo urbanistico l’adozione di principi che sostengano una forma di architettura moderna nota con il termine di “costruttivismo”. Il nuovo pensiero socialista crea la

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necessità di uno spazio per l’intrattenimento culturale di massa, un luogo in cui i cittadini si possano ritrovare dopo il lavoro. Da questa situazione si generano i nuovi luoghi del proletariato: la proiezione di film si sostituiva alla discussione attiva della democrazia di base, diventando uno dei mezzi per l’omologazione culturale derivante da una cultura orientata dal partito. Un luogo per lo svago, in cui riunirsi e sentirsi parte di una collettività, uno spazio di tutti e per tutti dove il filo conduttore del pensiero socialista si possa alimentare. I temi che vengono promulgati nei club operai ricordano quelli delle case del balilla, tra i quali: il patriottismo militare, l’educazione morale, fisica ed estetica, la propaganda scientifica, lo sport e l’arte. Il club operaio sovietico diventa in questo modo l’immagine figurativa del proletariato emergente, l’incubatore di una vita collettiva futura, il collegamento mancante tra abitazione e luogo di lavoro, riducendo le conoscenze e i pensieri del lavoratore solamente a quello che veniva approvato dal regime. L’architettura del club appare pertanto come un contrappunto tematico tra architettura e società; l’architettura doveva esprimere la


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nuova era, un’era di cittadini istruiti alla collettività e soggetti attivi della vita politica. Le architetture semplici, ma estremamente dirompenti rispetto al paesaggio urbano, sono caratterizzate dal montaggio di elementi geometrici lineari, diventando edifici che si compongono cambiando e denunciando le loro funzioni e i loro spazi interni. Le strutture monumentali dei nuovi edifici collettivi ridefiniscono continuamente il paesaggio urbano, fungendo da manifesto del nuovo pensiero socialista. Mel’nikov si trova quindi ad operare in una situazione politica e sociale complessa, in cui il regime politico porta la società a ricostruire le proprie basi di civiltà e le proprie istituzioni attraverso la politica e la nuova ideologia socialista. Nell’Unione Sovietica, la nuova organizzazione del lavoro impostata sulla fabbrica determina un miglioramento dell’economia, accompagnato da una produzione architettonica che cerca uno stile proprio e che sia testimone dei cambiamenti.

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La sua poetica pertanto è profondamente influenzata dal contesto generale della società e dall’architettura sovietica degli anni Trenta poiché in quel periodo intellettuali e artisti intendono far corrispondere intuizioni, enunciati, espressioni alle direttive del nuovo potere sovietico, la cui ideologia è ancora in costruzione. La produzione architettonica di Mel’nikov non è dissimile da quella di tanti architetti russi a lui contemporanei, ritrovatisi nella condizione di dover creare nuove forme compositive. La sua particolarità risiede nella ricerca di una nuova tipologia architettonica, che dialoghi con il contesto urbano e con la vita collettiva. Nella definizione dei punti chiave, facilmente individuabili in tutti e sette i progetti per i club operai, Mel’nikov racchiude la relazione tra architettura e città definendo un’architettura attuale. Questi spazi per il popolo erano nuovi nel programma della politica socialista, tanto che, persino la moglie di Lenin, la pedagoga Nadežda Krupskaja, già nel 1918 aveva pubblicato il suo


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articolo programmatico Come dovrebbe essere un club operaio nella rivista “Proletarskaja Kul’tura”. Nell’articolo descriveva il programma degli spazi: una sala per incontri e rappresentazioni, una mensa, servizi igienici e armadietti per gli abiti degli operai, una biblioteca, una sala di lettura e una sala da tè. La tipologia del club operaio sovietico viene sviluppata sia attraverso veri e propri concorsi, sia mediante schemi astratti di progetto. Dalle soluzioni emergono due principi di progettazione, da una parte le forme scultoree dei costruttivisti: che evitavano l’utilizzo di strutture simmetriche privilegiando la diversa importanza delle varie unità che costituivano l’edificio; il quale poteva considerarsi come un principio funzionalista. Dall’altra, la composizione compatta di una macrostruttura in genere simmetrica, che anche Mel’nikov preferiva, rintracciabile ad esempio nel club Rusakov. Le due opinioni architettoniche distinte si differenziano per l’articolazione della struttura esterna, la prima a favore

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della visibilità delle funzioni interne in facciata, la seconda articolata in base all’importanza dell’immagine sociale dell’intero edificio. Il suo contributo alla costruzione della città contemporanea unisce le memorie del passato con la sperimentazione pratica del costruire, in un’ottica di ricerca di un’architettura sovietica originale e autonoma dall’influenza occidentale. I sette progetti, tutti realizzati nell’arco di tre anni tra il 1927 e il 1929, cinque dei quali a Mosca e uno a Dulëvo sono un’occasione per ricercare l’immagine di un’architettura attuale, contemporanea, costituendo un contributo tra i più consistenti e generosi dell’autorappresentazione della nuova classe operaia. Solo a Mosca i club operai erano più di 800, la maggior parte dei quali viene ricavata in edifici esistenti; il loro compito era quello di tenere unite e politicizzate le masse di lavoratori. I primi prototipi architettonici di Mel’nikov nei concorsi per i club operai si basano sullo studio della compenetrazione funzionale e distributiva delle stanze,


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l’articolazione stereometrica tra i pieni e i vuoti di forma parallelepipeda o cilindrica e gli alzati caratterizzati da fasce orizzontali ritagliate da quadrati e rettangoli verticali. I numerosi sindacati di lavoratori comunali e dell’industria ora ricorrono a lui per il progetto del proprio club. Nel giro di tre anni, dal 1927 al 1929 Mel’nikov riesce a realizzarne sei, il progetto per il settimo club operaio (il club Zuev) verrà realizzato dall’amico Il’ja Golosov. Nei progetti per i club operai Mel’nikov elaborò una soluzione nuova di spazi trasformabili, gli ambienti interni potevano così essere suddivisi per diversi usi. Questa caratteristica conferisce ai suoi club una qualità sia formale che funzionale. Tale combinazione di valori emotivi e razionali, insieme alle imponenti forme geometriche e alle funzioni spesso logiche e organizzate, imprime i club di Mel’nikov nella memoria collettiva. La lettura critica contemporanea dei club sovietici sottolinea come l’architettura attinge direttamente alle forme industriali mediante l’uso delle simmetrie e dei volumi netti, compo-

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nibili facilmente e riconducibili a un immaginario industriale. Nella progettazione del club Svoboda, Mel’nikov è chiaro come prenda a riferimento queste nuove forme industriali. Nella facciata è riconoscibile un tubo ellittico, simile a un grosso serbatoio per l’acqua che viene collocato tra due cubi posti elle estremità. Questo simbolismo non sempre è di chiara e immediata comprensione, molto spesso i club operai vengono soprannominati in base a ciò che ricorda la loro forma. Il club operaio Svoboda si costituisce come chiaro esempio di architettura parlante: la funzione della fabbrica, che produce stivali in gomma, viene denunciata anticipatamente nella forma dell’edificio. I club progettati da Mel’nikov sono un chiaro esempio del metodo costruttivista: a seconda dei diversi utilizzi, le funzioni vengono raggruppate obbedendo razionalmente alla loro organizzazione nello spazio, in tal modo la forma esterna risulta definita dalle funzioni interne, la forma plastica che ne consegue rimane funzionale e priva di elementi di decoro.


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IL CLUB OPERAIO RUSAKOV Composizione architettonica sovietica L’impianto triangolare del Club Rusakov (1927-29) si trova collocato all’angolo di un lotto posto lungo una delle sette strade radiali della città: la ulica Stromynka. I tre auditorium aggettanti verso la strada rappresentano la principale caratteristica di un edificio costruito su una pianta triangolare; devono la loro forma non solo al desiderio di ottenere un effetto scultoreo nel contesto del paesaggio urbano, ma anche ad alcune considerazioni economiche e funzionali. Il fronte strada è risolto con un linguaggio monumentale: le imponenti scale raggiungono due terrazze poste al di sopra del basamento, l’alternanza di corpi scala vetrati – che costituiscono il fusto –, e i corpi delle aule in aggetto – che costituiscono il coronamento del fronte – richiamano il linguaggio monumentale. Il fronte posteriore è costituito da una sovrapposizione di volumi; mentre i due fronti laterali riportano in facciata le aperture e la

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struttura interna dell’edificio, evidenziando la sezione del sistema di sale disposte in diagonale. Una volta entrati, sulla sinistra e sulla destra dell’atrio si trovano due scale isolate che, insieme a quella centrale portano in due sale: quella inferiore che poteva essere adibita a ristorante e quella superiore che può essere utilizzata per riunioni o per attività fisica. Nel club sono presenti sei sale indipendenti che possono essere riunite in un unico spazio; le due sale laterali contengono 120 persone, le tre superiori in aggetto esterno 190, mentre il parterre 360. La conformazione generale dell’edificio tiene conto anche dell’acustica: se la fonte del suono è sulla scena in una piccola parte del triangolo, la ripercussione sonora sulle pareti del club permette un’acustica ottimale per tutte le sale. Il sistema di sale presentava una serie di ambienti che affacciano l’uno sull’altro stando su differenti livelli. Mel’nikov per sfrut-


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tare al meglio lo spazio progetta una soluzione che permetta la suddivisione dello spazio per una funzionalità massimale. Lo spazio viene così suddiviso in porzioni più piccole mediante lo scorrimento di alcune pareti mobili ruotabili che separano le tre parti del piano superiore dell’auditorium. L’illuminazione della platea e delle sale conferenze avviene principalmente grazie alla luce naturale, che filtra all’interno tramite le aperture alte e strette poste sulle pareti laterali dell’edificio. I materiali e le strutture impiegati nella costruzione dell’edificio dichiarano la volontà di conferire un linguaggio moderno, che sia testimone dell’avanguardia tecnica; nell’area sovrastante

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la platea prospicente il palco sono poste delle travi a traliccio in vista che, insieme ai contrasti tra le superfici bianche lisce, con il mattone faccia vista e i dettagli tecnicisti interni alludono a una matericità che racconti la nuova società orientata verso il futuro. Le grandi scritte esterne progettate da Mel’nikov stesso dichiarano la destinazione d’uso dell’edificio, ma anche del suo significato ideologico come luogo per il lavoratore socialista. Le scritte erano poste sulle pareti esterne agli auditorium e riportavano frasi come: “Mosc’ proletariata” (potere del proletariato) e “Skola Kommunizma” (scuola del comunismo). Le scritte vennero poi modificate, e infine rimosse.


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IL CLUB OPERAIO SVOBODA La funzione definisce la forma Il club operaio per la fabbrica di stivali in gomma Svoboda viene progettato per l’area industriale a nord di Mosca. Il progetto allude indirettamente col proprio linguaggio simbolico ai prodotti della fabbrica stessa: stivali di gomma per lavorare nell’acqua. Mel’nikov quindi, progettò un cilindro ellittico posto tra due rettangoli che inizialmente suggerisce l’immagine dei vecchi vagoni russi per il trasporto dell’acqua. L’ingresso al club avviene tramite due rampe di scale simmetricamente ricurve al centro del cilindro orizzontale, che conducevano con eleganza all’en-

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trata principale al secondo piano. Qui l’ingresso si scontrava con i potenti tralicci, attraverso i quali venivano calati i pesanti divisori dell’auditorium; questi potevano essere abbassati secondo le necessità. L’idea dei divisori verticali fallì anche qui, per via dell’enorme sforzo e ingombro strutturale, optando per una soluzione più semplice ed economica che vede l’impiego di quelli orizzontali. L’auditorium principale poteva essere così diviso in due parti, rispettando il principio progettuale della flessibilità delle dimensioni dello spazio voluta da Mel’nikov.


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ATTUALIZZAZIONE La Corea del Nord


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COREA DEL NORD Attualizzazione del tema Nella ricostruzione delle grandi città gli architetti ricercano regole, strategie insediative ottimali, capaci di riproporre senso, significato e forma ai luoghi della vita collettiva. Gravemente danneggiata durante la Guerra di Corea (1950-1953), Pyongyang viene ricostruita a fine guerra grazie soprattutto agli aiuti sovietici; ancora oggi si nota infatti l’influenza dell’architettura stalinista in quella nordcoreana. La situazione tragica del dopoguerra rappresentò per il leader Kim Il Sung un’occasione per ricostruire la capitale prendendo come riferimento le migliori architetture internazionali. Le decisioni frettolose portarono da un lato un senso di modernità e avanguardia architettonica, dall’altro comportarono la perdita della cultura architettonica nordcoreana. Il piano di ricostruzione viene preparato attingendo da un’ideale catalogo di architettura di ogni tempo; la città venne quindi riprogettata con grandi viali, monumenti imponenti ed enormi edifici residenziali monoblocco. Nell’insieme si nota la discordanza degli stili e delle architetture che non sono proprie della storia e della cultura coreana. Le nuove architetture de-

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vono esprimere la potenza del partito; Pyongyang è il luogo dove il sogno del moderno è diventato realtà, nel quale si sono realizzati l’utopia e l’incubo di una metropoli costruita sulla base di un unico disegno globale, in cui convivono gli stili, le tradizioni di innumerevoli paesi, combinati in un unico nuovo linguaggio architettonico. La forte crescita demografica del paese ha visto un incremento della necessità di edifici residenziali. I nuovi isolati vengono disegnati da una costruzione alternata di blocchi residenziali e torri. I lunghi fronti dei severi edifici richiamano le forme dell’edilizia sovietica e si contrappongono alla verticalità delle torri. In questo modo il tessuto urbano risulta discontinuo. <<Pyongyang diviene la città analoga costruita: la campionatura della modernità mescolata con l’asciugatura della tradizione costruttiva del luogo>> (PETRECCA, Andrea. “Photoshop Urbanism”. In Domus 882 (2005). La ricostruzione della città esplicita il rapporto che gli architetti nordcoreani hanno voluto cercare tra una modernità estranea alla loro tradizione costruttiva e l’eredità formale dell’architettura locale.


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Il linguaggio per la nuova Pyongyang risulta come una composizione di architetture che, attraverso la differente identità dei singoli edifici racconta la storia e le forme dell’architettura di altri luoghi. A costruire la singolare identità di ogni grande edificio di Pyongyang, si combinano anche le strutture di Nervi, gli sbalzi di Mel’nikov, la plasticità di Niemeyer, i grandi edifici residenziali di Le Corbusier e quelli di Paul Rudolph. Le parti di città costruite più recentemente per l’espansione edilizia si discostano dai vecchi modelli provenienti dai vicini paesi socialisti, di questi però non perdono il monumentalismo che rende questi luoghi quasi irreali, utopici. L’intonaco bianco degli immensi blocchi di abitazioni unito alla scarsità di veicoli circolanti avvicina ancora di più i paesaggi urbani costruiti ai disegni dell’immaginario architettonico dei primi del Novecento. L’architettura della grande città coreana si mescola ai Redents di Le Corbusier. L’utopia modernista è realizzata in tutta la sua agghiacciante astrazione.

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Ai nuovi quartieri residenziali si affiancano i grandi monumenti del partito. La capitale ospita infatti numerose costruzioni celebrative, molte delle quali dedicate al “Grande Leader Kim Il Sung”. Prima tra tutte la Torre Juche, monumento all’ideologia “Jouche” che in coreano significa “soggetto”. La parola “soggetto” sta a indicare l’ideologia del partito, secondo la quale l’individuo facente parte della società deve contare solo su sé stesso e sulle proprie capacità. Il progetto della torre, alta complessivamente 170 metri consiste di una guglia di 25.550 blocchi di granito, uno per ogni giorno della vita di Kim Il-Sung ed è sormontata da una torcia. L’architettura di propaganda coreana trova numerosi punti in comune con quella italiana e quella sovietica; uno di questi è sicuramente la celebrazione del proprio leader politico. Nel caso della Corea del Nord ne è un esempio la grande statua in bronzo presso Mansu Hill; la sua posizione strategica sul territorio collinare ne permette la vista da gran parte della


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città. Quest’ultima ricorda non solo il colosso dell’Arengario al Foro Mussolini, ma anche il progetto per il Palazzo dei Soviet. L’architettura non era l’unico mezzo di propaganda: le mostre e le esposizioni erano funzionali alla celebrazione della storia, dell’arte e dei costumi del partito, come accadde con la Mostra della Rivoluzione Fascista a Roma. Testimone di una città in attesa di cambiamento è il Ryugyong Hotel, un’enorme struttura in cemento armato alta 330 metri che doveva contenere l’Hotel più alto del mondo. Visibile da ogni punto della città, doveva rappresentare anch’esso la potenza nordcoreana, rimanendo però sola-

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mente come un enorme monolite incastonato nel cuore della capitale. Ad oggi l’edificio rimasto in attesa di completamento da più di vent’anni, è stato ricoperto di led, per diventare alla fine un enorme cartellone propagandistico. In sintesi, la capitale nordcoreana è la concretizzazione di un progetto moderno utopico, la prova evidente di una città che è stata ricostruita in modo quasi arbitrario dalle macerie seguendo ciecamente uno stile moderno. L’architettura di Pyongyang appare come un set cinematografico, nulla sembra fuori posto, non vi è conflitto là dove non vi sono regole.


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CONCLUSIONI Dall’analisi dei casi studio si evince la complessa relazione che lega architettura e politica, ma anche architettura e società. Questo binomio è così composto da un’architettura tipologica e dalla sua relazione con un programma ideale, culturale, politico e sociale. L’architettura nei regimi totalitari diventa la rappresentazione della situazione sociale e culturale del paese; oltre che a essere manifesto di potere e propaganda, ne cambia profondamente la storia e la cultura. La politica, intesa come governo del pensiero collettivo, svolge la sua funzione attraverso gli spazi delle nuove architetture, e l’architettura, intesa come organizzazione tipologica, è al servizio della politica, costituendo il mezzo con cui il regime porta avanti il suo programma. L’accostamento delle fotografie di architetture appartenenti ai diversi regimi ci permette una lettura immediata delle evidenti similitudini, diventando diretta testimonianza di un dialogo tipologico tra architetture di paesi lontani e di ideologie diverse.


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DIDASCALIE Pagina n. 10: Imm. 1:Benito Mussolini e Renato Ricci inaugurano la casa delle Armi al Foro Mussolini, aprile 1936; CAPOMOLLA, Rinaldo; MULAZZANI, Marco e VITTORINI, Rosalia. Case del balilla. Architettura e fascismo. Milano: Electa, 2008. Pagina n. 12: Imm. 2: Manifestazione allo stadio dei marmi alla presenza di Mussolini e Ricci, Roma, 24 Maggio 1936 Pagina n. 13: Imm. 3: menifesto pubblicitario e di propaganda; Imm. 4: pagella di scuola elementare; https://www.dirtywork.it/blog/fascismo-e-pubblicita-la-comunicazione-e-la-propaganda-nella-grafica-pubblicitaria-del-ventennio-fascista/; Pagina n. 14: Imm. 5: Chiave della casa del Balilla a Mantova; Imm. 6: moneta celebrativa Pagina n. 15: Imm. 7: Copertina del manuale redatto da Enrico Del Debbio Pagina n. 16: Imm. 8: Veduta aerea dello stadio dei marmi Pagina n. 17: Imm. 9: Il parapetto dell’arengario alla Casa della Gioventù in Trastevere Pagina n. 18: Imm. 10:Interno della Casa del Balilla a Piacenza Pagina n. 19: Imm. 11: Casa del Balilla a Trecate, Novara Pagina n. 20: Imm. 12: Veduta esterna della Casa Balilla sperimentale (Casa delle armi) al Foro Mussolini Pagina n. 21: Imm. 13: Veduta esterna della Casa Balilla sperimentale (Casa delle armi) al Foro Mussolini Pagina n. 22: Imm. 14: Gli spazi degli spogliatoi Pagina n. 23: Imm. 15: Lo spazio della palestra Pagina n. 24: Imm. 16: Veduta esterna della Casa della Gioventù in Trastevere Pagina n. 25: Imm. 17: Veduta esterna della Casa della Gioventù in Trastevere Pagina n. 26: Imm. 18: Atrio di ingresso principale della Casa della Gioventù in Trastevere Pagina n. 27: Imm. 19: La scala nell’atrio di ingresso laterale Pagina n. 28: Imm. 20: Lo spazio della palestra a pianterreno Pagina n. 29: Imm. 21:Il prospetto degli uffici, con le grandi vetrate Pagina n. 30: Imm. 22: Club operaio Zuev Pagina n. 32: Imm. 23: Club operaio Rusakov Pagina n. 33: Imm. 24: Club operaio Kaucuk Pagina n. 34: Imm. 25: Club operaio Gor’kij Pagina n. 35: Imm. 26: Club operaio Pravda Pagina n. 36: Imm. 27: Club operaio Svoboda Pagina n. 37: Imm. 28: Club operaio Rusakov Pagina n. 38: Imm. 29: Club operaio Rusakov Pagina n. 39: Imm. 30: Club operaio Svoboda Pagina n. 40: Imm. 31: Panoramica della città di Pyongyang Pagina n. 42: Imm. 32: Munumento al partito dei lavoratori Pagina n. 43: Imm. 33: La torre Juche


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Pagina n. 44: Imm. 34: Veduta di una delle principali vie della città Pagina n. 45: Imm. 35: Il piazzale antistante al monumento dei lavoratori Pagina n. 46: Imm. 36-39: Confronti tipologici: in alto il cinema Kaeson di Pyongyang e il Club Rusakov; in basso il progetto per il Palazzo dei Soviet e la statua in bronzo di Kim Il Sung Pagina n. 47: Imm. 40-43: Confronti tipologici: in alto la forma a Y della sede parigina dell’Unesco suggerisce il paragone con gli edifici di Thongil Street; in basso il progetto di Oscar Niemeyer per la Cattedrale di Brasialia e un edificio di Pyongyang Pagina n. 48: Imm. 44-47: Confronti tipologici: in alto la strada Est-Ovest della “Città verticale” a confronto con Thongil Street; in basso Tracey Towers apartments a New York a confronto con Changweng Street Pagina n. 49: Imm. 48-51: Confronti tipologici: in altole “città torri” in mezzo al verde di Le Corbusier, a confronto con Kwangbok Street; in basso la stazione Komol’skaja della metropolitana di Mosca a confronto con Thognil street station Riferimenti iconografici generali: ONB: CAPOMOLLA, Rinaldo; MULAZZANI, Marco e VITTORINI, Rosalia. Case del balilla. Architettura e fascismo. Milano: Electa, 2008. Club Operai sovietici: FOSSO, Mario e MERIGGI, Maurizio. Konstantin S. Mel’nikov e la costruzione di Mosca. Milano: Skira editore, 1999. Corea del Nord: PETRECCA, Andrea. “Photoshop Urbanism”. In Domus 882 (2005).




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