Caruso St John - V&A Museum of Childhood

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Caruso St John

The

Museum of Childhood

Filippo Consoli




Politecnico di Milano - Polo territoriale di Mantova Laboratorio di Progettazione Finale Tavolo di Lavoro - L’architettura del Museo Redazione

Filippo Consoli A.A. 2020-2021


Caruso St John The Victoria & Albert Museum of Childhood


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INDICE p. 07

Abstract

p. 09

Introduzione

p. 11

1/ Londra e il V&A Museum of Childhood

p. 21

2/ L’intervento di Caruso St John

p. 31

3/ Il padiglione di ingresso

p. 43

4/ L’allestimento

p. 55

Conclusioni

p. 56

Appendice

p. 70

Bibliografia

p. 71

Sitografia

p. 72

Indice fotografico

p. 15 p. 17

p. 25 p. 27

p. 35 p. 37 p. 41

p. 47 p. 51

1.1 La storia dell’edificio 1.2 Il contesto

2.1 La poetica 2.2 L’incarico

3.1 Il principio del rivestimento 3.2 La geometria policroma 3.3 La connessione tra antico e nuovo

2.1 Gli ambienti 2.2 La collezione


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ABSTRACT Il saggio analizza il lavoro di Caruso St John al Victoria & Albert Museum of Childhood, nel quartiere di Bethnal Green a Londra. Lo studio si è visto impegnato nella realizzazione del nuovo padiglione di ingresso al museo, e del riallestimento della collezione. Tra la dissonanza e il mimetismo dei materiali, lo studio Caruso St John ha saputo offrire al Museum of Childhood un padiglione di ingresso ed un allestimento in chiave moderna, con un forte richiamo alle tecniche e ai materiali legate alla preesistenza e alla storia della città. La costante attenzione alla qualità e al dettaglio degli architetti rende la dissonanza e il mimetismo dei materiali il mezzo per raccontare la storia della preesistenza.


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“[…] Sometimes it’s not so clear whether an element is a lining or a cladding, but still a room’s scale and character – its theme – is given by the surfaces. It’s like Loos theory of cladding1 . […]But if you are a real architect, you worry about the things that you hang on the wall, because that is what gives the space its character.”2 “[…] And the corollary of that is that […] our buildings are often characterized by having a strong facade. And then there’s always been a certain kind of stilness, a kind of monumentality in the character of our buildings, which is the implication of our interest in the facade and the wall. […]”3 (“[…] A volte non è così chiaro se un elemento sia uno strato interno o un rivestimento, ma la dimensione e il carattere di una stanza – il suo tema – sono dati dalle superfici. È come la teoria del rivestimento di Loos. […] Se sei un vero architetto, ti preoccupi delle cose che appendi al muro, perché è questo che dà carattere allo spazio.” “[…] E il corollario di ciò è che […] i nostri edifici sono spesso caratterizzati dall’avere una facciata forte. E poi c’è sempre stato un certo tipo di quiete, una sorta di monumentalità nel carattere dei nostri edifici, che è l’implicazione del nostro interesse per la facciata e il muro. […]”)

Adam Caruso & Peter St John


1 Adolf Loos, “The principle of cladding”, Spoken Into the Vold, MIT Press, Cambridge, MS, 1982. 2 Adam Caruso, Pier Vittorio Aureli, “A Conversation with Caruso St John”, El Croquis, 2013. 3 Peter St John, Pier Vittorio Aureli, “A Conversation with Caruso St John”, El Croquis, 2013.

INTRODUZIONE Sin dal 1990, quando lo studio Caruso St John apre a Londra, è subito stato chiaro come la loro architettura sia fortemente caratterizzata dalla ricerca di una testimonianza dei processi storici, raccontati attraverso il dettaglio materico e la forma. L’obiettivo della seguente ricerca è quello di approfondire il tema del principio del rivestimento, con la conseguente analisi delle relazioni, nonché delle scelte, che si originano nel progetto dello Studio per il Victoria & Albert Museum of Childhood, nel quartiere di Bethnal Green a Londra. Il progetto vede la realizzazione del nuovo padiglione di ingresso e il riallestimento della collezione esistente. L’elaborato si compone di un’analisi dettagliata delle scelte progettuali dello Studio, approfondendo il dialogo tra la nuova loggia di ingresso e l’edificio del Museo preesistente, costruito nel 1857 dall’architetto britannico J.W. Wild. Nel saggio affioreranno tematiche legate ai loro riferimenti, che renderanno sempre più chiaro lungo la narrazione come il loro intervento sia in perfetta armonia con la preesistenza. Trattandosi di un uno spazio espositivo, verranno poi analizzati gli spazi dell’esporre e il loro cambiamento rispetto alla disposizione originale. A concludere il saggio, un’ulteriore analisi della loro poetica, dell’interesse per l’ornamento, e di un immagine di architettura che possa, in una frazione di secondo, far scaturire un dialogo con il visitatore.



Londra e il V&A Museum of Childhood



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LA STORIA DELL’EDIFICIO Img. 4 Fotografia del prospetto ovest del Museo, si nota il rapporto tra il padiglione e l’edificio storico. Img. 5 Planivolumetrico della città di Londra, scala 1:20000; si nota la distanza che intercorre tra la sede originale del Museum of Childhood, e quella odierna, a nord est della città. Img. 6 Raffigurazione di una veduta aerea del Crystal Palace, 1851. Img. 7 Raffigurazione del complesso di edifici soprannominato “Brompton Boilers”, l’edificio nella raffigurazione diverrà poi il Museo di Bethnal Green.

Il Victoria & Albert Museum fu originariamente istituito con lo scopo di istruire la popolazione, in particolare i designer e gli industriali all’arte e al design. Le origini risiedono nella Grande Esposizione del 1851 – la prima Grande Esposizione sui temi del design e della produzione, la quale venne realizzata sotto suggerimento di un giovane funzionario pubblico, Henry Cole. Cole visitò alcune esposizioni nazionali a Parigi, e suggerì al Principe Alberto che un’esposizione simile a Londra avrebbe portato all’Inghilterra molti benefici, istruendo la popolazione e ispirando i designer e gli industriali inglesi. Alla sua conclusione, vennero registrati circa sei milioni di visitatori, che all’epoca equivalevano quasi a un terzo della popolazione inglese, a seguito dell’enorme successo il Principe Alberto vide la necessità di mantenere e migliorare le conoscenze tecniche dell’industria inglese per poter competere nei mercati internazionali, decise quindi di utilizzare i ricavi della Grande Esposizione per la realizzazione di un distretto culturale di musei e collegi nel quartiere di South Kensington. Per la realizzazione di questo nuovo distretto culturale il principe Alberto scelse l’area di Brompton,

che venne acquistata con i soldi derivati dalla Grande Esposizione, alla quale Cole suggerì di dare un nome che fosse più aristocratico, ovvero South Kensington. L’edificio del museo fu il primo realizzato del distretto culturale, nella parte sud-est dell’area, venne costruito nel 1857 e inizialmente ospitava una collezione di oggetti selezionati dalla Grande Esposizione. Costruito con pochi fondi, si presentava come una struttura temporanea in ferro, che non riscontrò molto successo, e a seguito di un articolo negativo sulla rivista di architettura “The Builder”, nel quale si criticava la struttura e la si accomunava per la somiglianza a quella di un boiler per l’acqua calda, venne infatti soprannominato “Brompton Boilers”. La struttura era simile per intenzione a quella che Joseph Paxton realizzò per il Crystal Palace, l’ambiente interno era composto da tre navate con volte a botte sorrette da un sottile telaio di ferro, l’illuminazione derivava dalle aperture a shed della copertura. Il museo per oltre quarant’anni fu conosciuto semplicemente come il Museo di South Kensington, solo in seguito venne rinominato in onore dei suoi fondatori, da qui Victoria & Albert Museum.


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Img. 8 Raffigurazione di una veduta aerea del complesso di edifici situato nel quartiere di South Kensington prima della costruzione della sede odierna del V&A Museum.

Nel 1865 il museo di South Kensington si espanse, e seguendo un programma di miglioramento sociale tipicamente vittoriano, con l’obiettivo di portare salute e cultura nelle regioni più povere di Londra, si decise di smontare la struttura dell’edificio e ricostruirla nel quartiere di Bethnal Green, tredici chilometri a nord-est dal sito originale. Rimanendo sotto il controllo dell’istituto principale lasciò lo spazio a quella che sarà la sede principale del Victoria & Albert Museum. Al momento della ricostruzione della struttura in ferro, nel nuovo sito a Bethnal Green, venne incaricato l’architetto J.W. Wild di redigere un progetto che sostituisse il telaio esterno dell’edificio in lamiera grecata verniciata, e che contemporaneamente andasse a progettare una nuova facciata, una loggia di ingresso, una torre dell’orologio, la residenza del curatore del Museo e la biblioteca. L’architetto sostituì la lamiera grecata con una pelle di mattoni finemente lavorati, adornata con pannelli a mosaico sui prospetti lunghi.

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L’attenzione per la qualità della facciata in mattoni e dei mosaici derivava dalla storia dell’architetto, un architetto eclettico che aveva viaggiato a lungo, con un carattere bizantino latente nei suoi dettagli; la presenza di questi pannelli a mosaico e la loro brillante qualità minerale ha origine con questo riferimento veneziano. La mancanza di finanziamenti, purtroppo, lasciò il Museo privo di un ingresso adeguato e delle funzioni accessorie, come la biblioteca e la residenza del curatore, conferendo all’edificio una facciata decisamente smussata contro la quale la sporgenza del colonnato ha tentato di definire la sequenza di ingresso. Il Museo divenne ufficialmente il Museum of Childhood nel 1974, quando iniziò ad ospitare la collezione di giochi dell’infanzia. Il lavoro di Caruso St John pone fine all’incompletezza della facciata, costruendo un nuovo ingresso, creando un atrio generoso ed elegante che porti sia ai nuovi ambienti di servizio nel seminterrato, che nel grande spazio dell’esposizione.


IL CONTESTO Img. 9 - 10 Scatti di Nigel Henderson che ritrae i bambini di Bethnal Green Img. 11 Veduta satellitare del quartiere di Bethnal Green, da questa prospettiva è chiaro come l’edificio non abbia particolari relazioni, se non con il parco accanto. Img. 12 Planimetria generale del Museo.

L’edificio viene quindi ricollocato nel quartiere di Bethnal Green, con il quale non ha un apparente relazione, la volontà era appunto quella di portare salute e cultura nei quartieri più poveri della città londinese. La mancanza di un accesso adeguato ha ostacolato la sua capacità di essere fruibile dal pubblico e di offrire uno spazio per la comunità e le risorse educative che ci si aspettava. Le vestigia del paesaggio paludoso riaffiorano in molte lacune del tessuto industriale che ha caratterizzato per tutto il Novecento l’East End londinese. La valle a nord-est è attraversata dai bracci divergenti del Tamigi, che si insinuano tra l’urbanistica disordinata, contraddistinta dai quartieri poveri dell’immensa periferia di Londra. Ed è in quest’area che si trova una parte del Victoria & Albert Museum; l’edificio all’apparenza è posto senza riferimento all’interno del quartiere di Bethnal Green, senza legarsi al tessuto urbano. Nei primi anni del 1950, l’artista Nigel Henderson scattò una serie di foto iconiche che ritraevano alcuni

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bambini saltare con la corda, oppure giocare al gioco della campana per le strade di Bethnal Green. Queste potenti immagini illustravano la coesione, trovata attraverso il gioco, nella povertà dell’East End, quartiere fratturato e danneggiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Nella città londinese si accese quindi un dibattito sui valori e sulle entità fisiche che promuovono il senso di comunità, questo dibattito ha influenzato una generazione di architetti, tra i quali lo studio Caruso St John, stimolando un desiderio di migliorare la qualità urbana e sociale nei quartieri meno abbienti della città.

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L’intervento di Caruso St John



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LA POETICA Img. 13 Fotografia di dettaglio della geometria policroma. Img. 14 Fotografia dela facciata con le finestre a incasso del padiglione di ingresso. Img. 15 Adam Caruso e Peter St John.

Adam Caruso e Peter St John sono attualmente tra i più interessanti e innovativi architetti britannici contemporanei. L’attenzione al dettaglio materico, alla sua forma e alla progettazione, sono testimoni di un’opera architettonica dal nucleo interno complesso. Essa offre un’indagine sulle possibilità di costruzione ed espressione, insieme a precise riflessioni sul rapporto urbano, sulla funzione e sullo spazio stesso, scettici che l’astrazione e la semplificazione siano sufficienti per fare architettura. La combinazione di questi elementi produce lo stato d’animo e l’aspetto controllato, multistrato ma sensuale, che è sempre un aspetto essenziale dell’architettura dello studio Caruso St John. L’esito di tale combinazione è un progetto preciso che dialoga criticamente con il suo contesto. Vengono rivelate sorprendentemente nuove possibilità spaziali e architettoniche e il loro significato si estende oltre la lettura immediata della composizione materica. Gli architetti portano l’attenzione sui dettagli spaziali della vita quotidiana e sono più interessati ad una categoria che si trova opposta al su-

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blime, ovvero il pittoresco. Occupandosi della fragilità dello spazio costruito e della sua trasformazione, il loro interesse non risiede nella totalità e nella grandezza, ma nel dettaglio, nell’elemento frammentario che compone un insieme influenzato dai processi storici. Non aspirano a ricostruire alcuna totalità perduta e lavorano in maniera contraria alla tendenza di assorbire passato e futuro nell’ottica di un eterno presente. Sono inoltre interessati non solo all’incoerenza spaziale, ma anche in un’incongruenza temporale, esaminando gli effetti di giustapposizione, collisione e contraddizione interna degli elementi delle loro architetture. La loro visualizzazione del processo architettonico pone l’attenzione anche su come le persone entrano in relazione con la loro architettura. Di conseguenza, le loro rappresentazioni differiscono da quelle consuete: non usano immagini che ritraggono l’intera opera, ma si focalizzano su alcuni dettagli, distinguendo ciò che è importante e ciò che è secondario. Le persone sono presenti essendo parte indispensabile della rappresentazione.


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Dall’inizio del loro operato nel 1990, hanno avuto a che fare con un contesto spesso legato alla vita quotidiana. La singolarità della loro attitudine è in parte dovuta al contesto in cui lavorano, ovvero la città di Londra; qui gli architetti hanno vissuto i forti cambiamenti dell’industrializzazione e della globalizzazione. Adam Caruso e Peter St John hanno potuto osservare questi cambiamenti dalla finestra del loro studio su Coate Street. L’area a nord est di Londra negli anni è cambiata radicalmente, in poco tempo, dove prima vi erano i porti, nascono i distretti economici. I vecchi edifici industriali come il Tate Modern diventano poli culturali, e l’onda di trasformazione arriva perfino al quartiere di Bethnal Green, dove sorge lo studio, proprio dentro a quella che una volta era una fattoria. Gli architetti sono cresciuti nei quartieri periferici di Londra, in un periodo di prosperità economica; non hanno vissuto l’olocausto o la guerra e la difficoltà economica degli anni a seguire. La loro infanzia non comprende questi momenti tragici, ma un contesto di infinite possibilità, crescita economica e progresso tecnologi-

co. Anche per questo non aspirano a ricostruire alcuna totalità perduta; il progetto della nuova loggia di ingresso per il Museo, infatti, non presenta alcuna similitudine con quello originale, né presenta l’uso del mattone. La pietra e le sue geometrie, tuttavia, richiamano e si intrecciano inevitabilmente con la preesistenza.


L’INCARICO Lo Studio fondato nel tempo ha guadagnato il rispetto e l’attenzione in Gran Bretagna per i suoi edifici innovativi, legati all’arte e alla storia. Gli architetti hanno combinato la loro capacità di costruire edifici culturali in contesti a volte improbabili con un design espositivo rivoluzionario, spesso integrando idee estetiche complesse ad un interesse per l’integrazione culturale e sociale. Le soluzioni di design apparentemente semplici, in realtà attingono alla storia e ai riferimenti a loro cari. L’incarico per la realizzazione del nuovo volume di ingresso con i servizi, insieme alla riorganizzazione dell’esposizione, al Victoria & Albert Museum of Childhood viene assegnato allo studio nel 2002. Il progetto è stato uno tra quelli più longevi presi in carico dagli architetti, componendosi di una riqualificazione a due fasi di un edificio vittoriano. Il progetto di riqualificazione fa sì che gli spazi del padiglione e gli interni rinnovati dell’edificio storico, siano in accordo con la struttura vittoriana originale, traendo ispirazione proprio da quest’ultima. Gli spazi rinnovati del Museum of Childhood portano con loro la realizzazione di un allestimento contemporaneo che attinge all’ordine e

alla storia della grande museologia Vittoriana. La loro volontà è quella di portare l’attenzione sui dettagli spaziali, la particolare cura al rivestimento delle superfici e alla qualità materica degli spazi, realizzando un’architettura che dialoghi con il visitatore attraverso elementi spaziali alla scala umana. Si vengono così a creare condizioni di intimità che enfatizzano l’esperienza del visitatore. Il progetto affidato allo studio prevede due fasi di realizzazione: nella prima, lo Studio si è visto impegnato nella sistemazione del tetto e degli ambienti interni, al riallestimento della collezione e all’ampliamento della stessa al primo piano. Nella seconda fase di sistemazione dell’edificio storico, gli architetti hanno realizzato la nuova loggia di ingresso, prevedendo due livelli: il primo si trova alla stessa quota della navata centrale del museo, e serve da ingresso per i visitatori. Nello spazio del padiglione di ingresso, sono stati previsti alcuni armadi incassati nel muro per esporre le realizzazioni dei bambini del quartiere. A destra dell’ingresso una scala collega questo primo spazio al piano interrato, mentre proseguendo dritto, si entra all’interno dello spazio espositivo.


28 - 29 Img. 16 Veduta dell’interno del padiglione di ingresso, in fondo le scale per raggiungere il piano interrato, sulla sinistra il varco che lo collega con l’area espositiva.

Il piano interrato del nuovo padiglione presenta due accessi sui lati corti; da questi ultimi si accede al corridoio che distribuisce gli ambienti del piano interrato. I gruppi di bambini, in questo modo, possono raggiungere il nuovo centro di apprendimento, gli spazi artistici e la sala da pranzo. La nuova distribuzione migliora notevolmente l’accesso al museo, consentendo l’accoglienza di gruppi numerosi di visitatori. Al piano interrato sono invece presenti anche altri servizi, secondari rispetto agli altri, come i servizi igienici e gli uffici del Museo. A livello materico, gli spazi e i volumi interni della nuova loggia sono meno caratterizzati dalla ricerca minuziosa del dettaglio: le superfici del piano terra del padiglione sono rivestite in legno di abete verniciato con una tonalità verde muschio. Il piano interrato presenta invece un’espressione materica più chiara, utilizzando il mattone a faccia vista. Questi nuovi spazi sembrano infatti interessati principalmente al volume e alla superficie.


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Il padiglione di ingresso




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IL PRINCIPIO DEL RIVESTIMENTO Img. 17 Prospetto tecnico della facciata del padiglione, lo Studio ha dedicato molto tempo alla progettazione di quest’ultima affinchè fosse il più precisa possibile, come nell’intarsio. Img. 18 Immagine rappresentativa delle relazioni cromatiche e materiche della facciata.

Nel Victoria & Albert Museum of Childhood la monumentalità intrinseca della geometria della facciata del nuovo padiglione di ingresso si pone in dialogo con quella dell’edificio storico e con il contesto circostante. La storia del Museo si intreccia inevitabilmente con il nuovo padiglione che risolve i precedenti problemi logistici di ingresso all’esposizione, posizionando al piano interrato le funzioni secondarie del museo e migliorando l’accesso. Nel padiglione di ingresso, il linguaggio materico viene definito da un’accurata selezione dei materiali, dei loro accostamenti e dalla cura per il dettaglio. Il rivestimento diventa l’elemento caratterizzante dell’edificio, all’apparenza disomogeneo con l’edificio storico retrostante, in realtà ne richiama la storia e la collezione. La facciata della nuova loggia di ingresso si pone come un nuovo elemento, che rispetta e si mette in relazione con la preesistenza, ma non la replica. La geometria policroma dialoga con l’edificio storico e con il contesto urbano. Fungendo da manifesto, richiama i bambini e i loro giochi e questi, nelle giornate di apertura, animano la piazza anti-

stante l’ingresso, soffermandosi ad ammirare la geometria del padiglione. La loggia di ingresso inizialmente progettata dall’architetto J.W. Wild, che per mancanza di fondi rimase incompiuta, presentava una pelle di mattoni finemente lavorati, adornata con pannelli a mosaico sui lati lunghi dell’edificio. Il progetto del padiglione di ingresso ad opera di Caruso St John si pone in un rapporto di stima, anche se formalmente e materialmente distinto con l’esistente. È attraverso la superficie che gli architetti richiamano la forma della loggia: piuttosto che essere definita spazialmente, è rappresentata pittoricamente attraverso l’applicazione di una pietra geometrica e policroma. Il processo di composizione della facciata viene inteso come costruzione logica dello spazio. Gli architetti trattano il materiale in modo tale che assomigli a un disegno su di una superficie. L’edificio storico non presenta, almeno apparentemente, una relazione con il contesto circostante; l’insieme risulta quindi disorganico, e la nuova facciata diventa l’elemento di connessione visiva fungendo da manifesto al Museo.


36 - 37 Con la nuova loggia di ingresso e i suoi colori, la facciata diventa la protagonista assoluto dello spazio: una superficie come tridimensionale, la cui presenza eccede il semplice ruolo funzionale di partizione. Ponendosi in dialogo con il contesto e con l’edificio del Museo, Caruso St John non essendo interessati alla totalità, non realizzano un elemento monolitico, che crei una coerenza spaziale unica. Le geometrie ed i colori del rivestimento conferiscono tridimensionalità e permettono al padiglione di relazionarsi singolarmente con gli elementi del contesto. Le aperture stabiliscono una continuità visiva tra la strada a fronte del Museo ed il parco a lato.

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LA GEOMETRIA POLICROMA Img. 19 Fotografia del modello di studio, dettaglio della facciata. 4 “It is true that often in our buildings there is an interest in avoiding expression of the intermediate scale of the architecture. When you look at the various project they tend to have a quite dense, volumetric scale which is something you appreciate in the distance. And then when you get close to them there is a fascination with a detailed surface.” “They don’t tend to express their internal complexity in any kind of articulation of their shape and that’s a quality that we found in Islamic architecture, which is volumetrically quite basic, with a very strong surface decoration.”, Peter St John, Paul Vermulen, A Conversation with Adam Caruso and Peter St John. Img. 20 Modello di studio della composizione della facciata.

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La nuova loggia si pone in un rapporto deferente con l’esistente: anche se formalmente e materialmente distinto, il padiglione sembra intenzionato a relazionarsi con l’edificio del Museo. Nel progetto gli architetti non ha utilizzato i mattoni, tuttavia il vecchio materiale si intreccia inseparabilmente con il nuovo. La geometria policroma della loggia è data da tre materiali principali: il porfido, la pietra calcarea e la quarzite. Il porfido rosso raffigura un colonnato trabeato, mentre la pietra calcarea chiara e la quarzite marrone sono utilizzate per riempire le lacune. Questa dialettica tra planarità e profondità percettiva si estende attraverso l’uso di vetri incassati a filo con la pietra in tre campate, mentre le restanti contengono pannelli di motivo geometrico ripetitivo, offrendo un’ulteriore illusione di tridimensionalità. La pietra policroma della nuova loggia risponde ai colori dei mosaici esistenti sul lato dell’edificio storico e attinge al rosso del mattone vittoriano retrostante; gli angoli si piegano in un raggio morbido in modo tale da non interrompere la percezione continua della geometria. Proprio per questo, la ricerca della

qualità e della precisione del giunto strutturale tra ciascuna tessera marmorea doveva essere preciso, come nell’intarsio. La geometria della facciata di ingresso fa riferimento alla scala umana, alla dimensione dei bambini e alla collezione del museo. Come nell’architettura islamica4, la facciata non tende ad esprimere la complessità interna dello spazio in nessun tipo di articolazione della forma. La volumetria piuttosto elementare è caratterizzata da una decorazione superficiale molto forte. La volontà degli architetti era quella di dimostrare come, di fatto, le cose che producono si relazionino con le persone, di come queste vengono in contatto con l’architettura e il sentimento che scaturisce da questo incontro. Il motivo decorativo e pittoresco richiama i processi di apprendimento attraverso il gioco e media, come un filtro, lo spazio interno e quello esterno, senza nascondere o offuscare la continuità tra questi due. Esso rallenta il movimento dei visitatori, producendo immagini fisiche e mentali che relazionano il museo al passato industriale della città, ma anche alla città odierna.


38 - 39 5 “We imagined there was a place for very rich intricated interconnected patterns. I mentioned Owen Jones’ Grammar of Ornament. ... The idea of self generating geometrical patterns are in his book...”, Adam Caruso, Peter Vermulen, A Conversation with Adam Caruso and Peter St John. Img. 21 Dettaglio della composizione policroma della facciata del Museo. Img. 22 Dettaglio del Pavimento in Opus Sectile, realizzato da carlo Scarpa alla fondazione Querini Stampalia a Venezia. Img. 23 Pavimento della Basilica di Santa Maria in Ara coeli a Roma. Img. 24 Il Ponte dell’Accademia di Venturi a Venezia. Img. 25 La facciata della Basilica di Santa Maria Novella a Firenze.

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Il loro interesse nella decorazione nasce nella volontà che la facciata non sia la mera rappresentazione della configurazione dello spazio interno, ma che questa rappresenti un’occasione e diventi un elemento autonomo, la cui indipendenza è rinforzata dall’ornamento5. Rimane tuttavia da definire la questione sull’adeguatezza del rivestimento con il motivo geometrico applicato sulla facciata: non si può infatti dire che la struttura originaria del progetto di J.W. Wild rappresenti quelli attuale. L’aggiunta non risulta come uno spazio colonnato, e ogni relazione con i ritmi strutturali dell’edificio preesistente non sono rispettati. Nella composizione della geometria della facciata e nella ricerca della precisione del giunto si riscontrano alcune similitudini con il lavoro di Carlo Scarpa alla Fondazione Querini Stampalia, specialmente per il pavimento d’ingresso in Opus Sectile, ma anche nei pavimenti cosmateschi delle grandi Basiliche Romane. In entrambi, il gioco cromatico e geometrico compone una superficie bidimensionale che genera un’immagine tridimensionale. L’uso di pietre intarsiate policromatiche, richiama poi quelli che compaiono nei battisteri paleocristiani o decorano le facciate delle chiese rinascimentali, in particolare la

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facciata di Alberti per Santa Maria Novella. Il precedente lavoro di Leon Battista Alberti per la chiesa di Santa Maria Novella è sicuramente uno dei riferimenti cari allo studio, infatti, anche Alberti ha dovuto affrontare una situazione simile, dovendo adattare una facciata rinascimentale a una chiesa gotico-romanica. Gli architetti si sono ispirati all’intarsio di marmi della chiesa, rendendo la facciata come una fotografia, da qui nasce l’idea per il padiglione di ingresso. L’uso dell’intarsio di pietre denota fisicamente strutture cerimoniali, in un modo che potrebbe rispondere al programma attuale del museo, ma che offre anche associazioni dirette con teorie architettoniche ottocentesche, come quelle di Gottfried Semper6. Caruso St John ha già espresso in precedenza un’affinità con Semper, nella partecipazione al concorso per il Landesmuseum di Zurigo, intrapreso all’epoca dell’inizio di questo progetto, Adam Caruso dichiarò di aver realizzato “[…] a pure Semper façade. It’s a picture of the structure so it’s real architecture, it’s not the structure itself.” Se si mettono in relazione il progetto per il Landesmuseum e quello per il V&A Museum of Childhood, la somiglianza è evidente.

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6 Il principio del rivestimento secondo Semper sarebbe il seguente: “l’intonaco può essere modellato in qualsiasi ornamento tranne uno: la muratura. Si sarebbe pensato che fosse una questione ovviamente e non c’era bisogno di dirlo, ma recentemente qualcuno mi ha mostrato un edificio con le pareti intonacate, che era stato colorato di rosso e con giunture bianche. Anche la famosa decorazione della cucina che imita i blocchi di pietra rientra in questa voce. Nessun materiale utilizzato per rivestire le pareti deve avere un motivo di mattoni o pietra.

Un secondo riferimento a loro caro è quello di Venturi e del Ponte dell’accademia a Venezia. Con i suoi motivi stilizzati il progetto della facciata mantiene la stessa giocosità degli elementi del ponte, sebbene in questo caso la geometria del ponte rimanga bidimensionale, mentre nel padiglione, la fisicità e il colore degli elementi connotano una dimensione tridimensionale. Il ponte di Venturi ha una collocazione particolare, che genera un effetto intenso, simile a un cartellone pubblicitario, costituendo un’immaginaria facciata del canale. Questo effetto è stato ripreso nel progetto di Londra dove la volontà di Caruso St John è quella di realizzare una facciata-manifesto, che si relazioni con il contesto fungendo da elemento attrattore.

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LA CONNESSIONE TRA ANTICO E NUOVO Img. 26 Fotografia dell’ingresso laterale a piano interrato della nuova loggia. Img. 27 Fotografia della scala che porta dalla piazza antistante il museo al piano interrato e ai servizi. Img. 28 Fotografia della scala interna al padiglione, che collega il piano terra con quello interrato. Img. 29 Il corridoio del piano interrato che distribuisce i vari ambienti.

La seconda fase del progetto ha intrapreso i principali lavori di costruzione del nuovo ingresso e del centro di apprendimento oltre che a realizzare i nuovi servizi igienici e risolvere i problemi di accesso e circolazione del Museo. Il nuovo ingresso risolve il precedente problema della differenza di livello che intercorre tra la strada antistante e il Museo. La nuova piazza, mediante una pendenza dolce, risolve il dislivello oltre che avere un ruolo funzionale. Il nuovo spazio antistante l’ingresso diventa luogo di ritrovo, e durante i giorni di apertura al pubblico si anima; i bambini in visita al museo corrono e giocano affiancati dalle geometrie e dai colori vivaci della facciata del nuovo padiglione. La semplicità dello spazio dell’in-

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gresso, con le grandi vetrate che favoriscono una relazione tra l’interno e l’esterno, permette ai visitatori di accedere più facilmente e in modo diretto alla parte espositiva. Tramite la scala presente a destra dell’ingresso, si raggiunge il nuovo centro di apprendimento e le strutture sottostanti. Esternamente, i muri di contenimento in cemento armato intorno alle aree del cortile, sono costruiti con un aggregato di basalto nero e sono stati levigati in loco per far emergere il colore della pietra. Al livello del seminterrato, il soffitto in cemento ha una finitura sagomata di alta qualità e i mattoni scuri richiamano quelli dell’edificio vittoriano.

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L’allestimento



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GLI AMBIENTI Img. 31 Fotografia dello spazio centrale del Museo. Img. 32 Sir John Soane Img. 33 L’interno del Sir John Soane’s Museum. 7 Rosbottom Daniel, Carusto St John / Museum of Childhood, “The Architects’ Journal”

“Entrando nel grande edificio storico la sua natura sociale è immediatamente evidente, famiglie e bambini di tutte le età, classi e razza si mescolano insieme, l’eccitazione è palpabile, assistita da un’acustica che ricorda quella di un mercato, o di una tenda di un circo.”7 Il progetto del riallestimento della collezione e del rinnovo degli ambienti interni non manca dell’attenzione alla relazione che si origina tra l’antico e il nuovo. Gli architetti si sono visti impegnati nella riqualificazione degli interni, cercando di dare una scala umana agli elementi della mostra, in modo che si relazionassero al meglio con i principali visitatori: i bambini. Nel progetto di riorganizzazione dello spazio allestito è facile riconoscere alcuni riferimenti cari allo Studio, dai quali sono de-

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rivate parte delle scelte intraprese. Tra questi vi è sicuramente il museo di Sir John Soane, la collezione di Soane è composta da un insieme di frammenti, antichità, stampe contemporanee e dipinti che rimane ancora oggi attrattiva; non sottoscrivendosi a una narrativa, non fornisce una rappresentazione lineare della storia, consentendone una riconfigurazione infinita. Esternamente, i muri di contenimento in cemento armato intorno alle aree del cortile, sono costruiti con un aggregato di basalto nero e sono stati levigati in loco per far emergere il colore della pietra. Al livello del seminterrato, il soffitto in cemento ha una finitura sagomata di alta qualità e i mattoni scuri richiamano quelli dell’edificio vittoriano.


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Img. 34 L’interno dell’edificio dispinto della tonalità rosa-biancastra. Img. 35 Joseph Paxton. Img36 Owen Jones. Img. 37 - 39 Sequenza dell’evoluzione dello spazio allestitivo e della mostra del museo nel tempo..

Paxton aveva poi incaricato Owen Jones di progettare una combinazione di colori per il Crystal Palace, al fine di articolare la struttura tettonica degli interni ed evitare il disorientamento. Al museo dell’infanzia, Caruso St John ha esagerato questo concetto e ha dipinto tutte le superfici di una tonalità rosa biancastra e l’estremità più lontana della navata in una tonalità più scura, per evitare l’impressione di una continuità infinita.

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Parlando sempre dello spazio interno, un motivo circolare ad incastro è stato dipinto sul soffitto del mezzanino, disegnato sulla base dei modelli a squame di pesce trovati nel pavimento a mosaico di marmo della sala centrale. Gli architetti hanno infine liberato lo spazio centrale, che in precedenza era occupato dall’allestimento, aggiungendovi la biglietteria, il bar e lo shop.


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LA COLLEZIONE Img. 40 Ridisegno della geometria presente sul soffitto del mezzanino. Img. 41 Modellino di studio dell’allestimento del Museo. Img. 42 - 43 Le teche dell’esposizione al primo piano. Img. 44 Foto zenitale del modello di studio. Img. 45 Foto della facciata del modello.

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I progetti dello Studio per l’allestimento dei musei prendono in seria considerazione la disposizione delle opere nella galleria, privilegiando una spazialità per il singolo, in questo modo il visitatore si trova in relazione diretta con l’opera. L’interno è costituito da uno spazio specifico, definito, non neutrale. La forte presenza spaziale contrasta il “White Cube” e le teche, gli oggetti ed i colori dello spazio, raccontano la storia del Museo. La forma delle teche attinge consapevolmente al passato vittoriano del museo i cui spazi non sono neutrali come in una galleria moderna e la storia dell’edificio si intreccia con

l’esposizione, modificandone le caratteristiche inevitabilmente. Al primo piano si trova l’ampliamento dell’allestimento realizzato dallo Studio, dove le vetrinette con struttura in legno e metallo riprendono quelle originali progettate da Aston Webb; alcune di queste sono ancora presenti ad oggi all’interno del Museo. La forma delle teche e le loro superfici a filo stabiliscono condizioni spaziali intime e complesse, contrapponendo e meditando il senso di scala con quello dei bambini. Il risultato è una griglia naturale che introduce ordine senza partizionamento.


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CONCLUSIONI La natura performante degli spazi di Caruso St John, la loro esistenza tra solido e fragile, tra statico e dinamico, tra bidimensionale e tridimensionale, tra passato e presente e la loro articolazione del processo storico, possono essere visti come un rimando a all’immagine come elemento che cerca di catturare l’effimero e il transitorio, nonché le relazioni e il dialogo della loro architettura con gli utenti. L’approccio dei due all’architettura, è guidato sia dalla loro abilità di rimanere contemporanei e allo stesso tempo di trasformarsi. La loro insistenza sul piano verticale e sul tema del muro come facciata affronta la possibilità di recuperare non solo la forma, ma anche l’unicità in architettura. L’uso dell’ornamento e della delicata configurazione della facciata in tutti i loro edifici è sempre strategicamente utilizzato per rinforzare un senso materico, e affronta il potenziale per un intenso progetto, uno che riconosca che tutto quello che ci circonda è costruito, e che l’esperienza fisica è l’unico modo per dargli un senso.


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INDICE FOTOGRAFICO Pagina n. 4: Pagina n. 6: Pagina n. 8: Pagina n. 13: Pagina n. 14: Pagina n. 16: Pagina n. 17: Pagina n. 18: Pagina n. 23: Pagina n. 24: Pagina n. 25: Pagina n. 29: Pagina n. 34: Pagina n. 36: Pagina n. 37: Pagina n. 38: Pagina n. 39: Pagina n. 40: Pagina n. 41: Pagina n. 45: Pagina n. 46: Pagina n. 47: Pagina n. 48: Pagina n. 49: Pagina n. 50: Pagina n. 51: Pagina n. 52: Pagina n. 53: Pagina n. 54: Pagina n. 56:

img. 01, foto a cura di Daniel Rosbottom, “Caruso St. John: Museum of Childhood”, Architects’ journal, 2007; img. 02, foto a cura di Hélène Binet, EL CROQUIS, Caruso St John – Form and resistance 1993-2013, num. 166, 2013; img. 03, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); img. 04, foto a cura di Hélène Binet, EL CROQUIS, num. 166, 2013; img. 05, elaborato planimetrico a cura dell’autore; img. 06 - 07, rappresentazione a cura di ignoto; img. 08, rappresentazione a cura di ignoto; img. 09 - 10, foto a cura di Nigel Henderson; img. 11, elaborato planivolumetrico a cura dell’autore; img. 12, inquadramento dell’edificio a cura dell’autore; img. 13, foto a cura di Hélène Binet, Caruso St. John: Almost everything, Poligrafa 2008; img. 14, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); img. 15, foto a cura di ignoto; img. 16, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); img. 17, elaborato grafico a cura dell’autore; img. 18, elaborato grafico a cura dell’autore; img. 19, foto a cura dell’autore; img. 20, foto a cura dell’autore; img. 21 - 22 - 23, foto a cura di ignoto; img. 24 - 25, foto a cura di ignoto; img. 24, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); img. 27, foto a cura di Hélène Binet, Almost everything, Poligrafa 2008; img. 28 - 29, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); img. 30, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); img. 27, foto a cura di Hélène Binet, Almost everything, Poligrafa 2008; img. 32 - 33, foto a cura di ignoto; img. 34, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/);ù img. 35 - 36, foto a cura di ignoto; img. 37 - 38 - 39, foto a cura di ignoto; img. 40, elaborato grafico a cura dell’autore che rappresenta il decoro sul soffitto del mezzanino del Museo; img. 41, foto a cura dell’autore; img. 42 - 43, foto a cura di Hélène Binet, Almost everything, Poligrafa 2008; img. 44, foto a cura dell’autore; img. 45, foto a cura dell’autore; img. 46, rappresentazione a cura di ignoto; img. 47, foto a cura di Hélène Binet, EL CROQUIS, num. 166, 2013;


Pagina n. 57: img. 48, foto a cura di Hélène Binet, EL CROQUIS, num. 166, 2013; img. 49, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); Pagina n. 58: img. 50, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); Pagina n. 59: img. 51, foto a cura di Hélène Binet, EL CROQUIS, num. 166, 2013; Pagina n.60: img. 52, ridisegno della pianta del piano terra a cura dell’autore; Pagina n. 61: img. 53, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); Pagina n. 62: img. 54, ridisegno della pianta del primo piano a cura dell’autore; Pagina n. 63: img. 55, foto a cura di Hélène Binet, (https://carusostjohn.com/); Pagina n. 64: img. 56, elaborato grafico della nuova facciata a cura dell’autore; Pagina n. 66: img. 57, dettaglio tecnico della nuova facciata a cura dell’autore; Pagina n. 68: img. 58, elaborato grafico di un modello assemblabile a cura dell’autore; Pagina n. 69: img. 59, elaborato grafico di un modello assemblabile a cura dell’autore;




“[…]But if you are a real architect, you worry about the things that you hang on the wall, because that is what gives the space its character.” Adam Caruso & Peter St John


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