Filosofia morale lm 2013

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La virt첫, il tempo e il conflitto: Machiavelli Informazioni preliminari: - natura e obiettivi del corso; - illustrazione del programma - tempi e modi (modo di lavorare) - prova finale (esame) http://filmorbologna.blogspot.it/


Machiavelli: interpretazioni “estreme” – Demonizzazione: Christopher Marlowe (1564-1593), L’ebreo di Malta (Machiavelli è il diavolo); Leo Strauss (1899-1973), Pensieri su Machiavelli («maestro del male», «maestro della bestemmia). – Celebrazione-santificazione: interpretazione “obliqua” (Machiavelli insegna ai principi per educare i popoli alla libertà): Alberico Gentili (1552-1608); Baruch Spinoza (1632-1677); Vittorio Alfieri (1749-1803); Ugo Foscolo (1778-1827).


La virtù, il tempo e il conflitto: Machiavelli • La virtù, il tempo e il conflitto: Machiavelli I. Opere di Machiavelli: • N. Machiavelli, Il principe (in una qualsiasi edizione; consigliato: ed. a cura di G. Inglese, Einaudi). • N. Machiavelli, I discorsi sulla prima Deca di Tito Livio (in una qualsiasi edizione; consigliato: ed. Inglese-Sasso, Rizzoli-Bur). II. Letteratura secondaria: • L. Althusser, Machiavelli e noi, Roma, Manifestolibri, 1999. • R. Caporali (a cura di), La varia natura, le molte cagioni. Studi su Machiavelli, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2007. • R. Caporali, V. Morfino, S. Visentin (a cura di), Machiavelli: tempo e conflitto, Milano, Mimesis, 2012.


Filosofia – storia U. Cerroni, L’identità civile degli italiani, Lecce, Manni, 1996 «Se ogni esempio di repubblica muove, quelli che si leggono nella propria muovon molto di più e molto più sono utili»


U. Cerroni, L’identità civile degli italiani

- Precocità culturale dell’Italia - Catastrofe della mancata unificazione politico-statuale


Cerroni: identità civile degli italiani: precocità “culturale” - Letteratura: Scuola poetica siciliana; Stil Nuovo; Dante, Petrarca, Boccaccio. - Pittura: Cimabue, Giotto, Simone Martini. - Architettura: Arnolfo di Cambio; Giovanni e Nicola Pisano. - Diritto: Graziano (diritto canonico); Irnerio, i Glossatori; le Costituzioni di Melfi. - Filosofia: razionalismo arabo, Tommaso. - Filosofia politica: Dante, Marsilio da Padova.


Cerroni: identità civile degli italiani: mancata unificazione politica

Federico II di Svevia (“di Iesi”) (1194-1250)


Manzoni - Sismondi (sul ruolo della Chiesa nella storia d’Italia) Sismondi: Storia delle repubbliche italiane nel Medioevo (1818). Manzoni: Osservazioni sulla morale cattolica (1819).


Niccolò Machiavelli

1469-1527


Italia ‘400 - prima metà 400: guerre per l’egemonia (Milano, Venezia, Regno di Napoli) - 1454: Pace di Lodi (Lorenzo il Magnifico) - 1494: discesa Carlo VIII; conflitto Francia-Spagna per l’egemonia in Italia. - 1559: Trattato Cateau Cambresis: controllo spagnolo dell’Italia.


Identità civile degli italiani - E. Galli della Loggia, L’identità italiana, Bologna 1998. - A. Schiavone, Italiani senza Italia. Storia e identità, Torino 1998. - S. Patriarca, Italianità. La costruzione del carattere nazionale, Roma-Bari 2010.


Machiavelli (1469-1527)

ÂŤnacqui povero e imparai prima a stentare che a godereÂť


Machiavelli (1469-1527) Primi scritti politici: - 1503: Del modo di trattare i popoli della Vandichiana ribellati. - 1503: Il modo che tenne il duca Valentino per ammazzar Vitellozzo, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca Gravina Orsini. - 1512: Ritratto di cose di Francia. - 1512: Ritratto di cose della Magna.


Machiavelli: opere - 1513: Principe - 1513-1519: Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio - 1519-1520: Dialoghi dell’arte della guerra - 1525: Istorie fiorentine


Machiavelli: opere letterarie - Canti carnascialeschi. - Capitoli (argomenti etico-politici, in rima: fortuna, occasione, ambizione). - Asino (poemetto satirico: autobiografia comico-grottesca). - Favola (Novella di Belfagor Arcidiavolo: satira donne e matrimonio). - Clizia e Mandragola. - Epistolario.


Machiavelli: la «varia natura» «Chi vedesse le nostre lettere, honorando compare, et vedesse le diversità di quelle, si maraviglierebbe assai, perché gli parrebbe hora che noi fussimo huomini gravi, tutti vòlti a cose grandi, et che ne’ petti nostri non potesse cascare alcuno pensiere che non havesse in sé honestà et grandezza. Però, dipoi, voltando carta, gli parrebbe quelli noi medesimi essere leggieri, incostanti, lascivi, vòlti a cosa vane. Questo modo di procedere, se a qualcuno pare sia vituperoso, a me pare laudabile, perché noi imitiamo la natura, che è varia; e chi imita la natura non può essere ripreso» (lettera a Francesco Vettori, 31 gennaio 1515)


Machiavelli e la filosofia “italianaâ€? - Id., Origine e vita nel pensiero di Machiavelli, in Machiavelli: tempo e conflitto - R. Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualitĂ della filosofia italiana, Einaudi, Torino 2010.


Descartes: fondazione metafisica del “soggetto” «Ma subito dopo mi resi conto che nell’atto in cui volevo pensare così, che tutto era falso, bisognava necessariamente che io che lo pensavo fossi qualcosa. E osservando che questa verità, penso dunque sono, era così salda e certa da non poter vacillare sotto l’urto di tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accettare senza scrupolo come il primo principio della filosofia che cercavo» (Discorso sul Metodo, IV)


Machiavelli e lo Stato - J.F. Fichte - C. von Clausewitz, Sul “Principe� di Machiavelli (1807); - G.W.F. Hegel, La costituzione della Germania (1803); - F. Meinecke, L’idea della ragion di Stato nella storia moderna (1924); - F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana (1870); - M. Horkheimer, Gli inizi della filosofia borghese della storia (1930).


Machiavelli - biografia Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli G.M. Barbuto, Machiavelli, Salerno Editrice, Roma 2013


[prova di riconoscimento] •

«Chi se ne intende dice […] che cielo, terra, dei, uomini, sono collegati in un tutto grazie all'unione, all'amicizia, all'armonia, alla temperanza, alla giustizia, e che per tale ragione, amico mio, questo tutto è chiamato "cosmo" [ordine], e non "acosmia" [disordine] e dissolutezza». «D’altronde, che il popolo romano si sia proposto il predetto bene [= il bene pubblico] con la sottomissione del mondo intero, lo testimoniano chiaramente le imprese compiute. Attraverso esse, infatti, svincolandosi da ogni cupidigia, nemica da sempre dello Stato, e prediligendo, al contrario, la pace universale insieme alla libertà, quel santo, pio e glorioso popolo appare aver trascurato i propri vantaggi particolari a favore di quelli pubblici per la salvezza del genere umano». «Sebbene nulla di ciò che è opera dei mortali possa essere immortale, tuttavia, se gli uomini facessero uso della ragione che pretendono di avere, i loro Stati sarebbero al riparo almeno dalla rovina causata da mali interni. Infatti, in base alla natura della procedura che li istituisce, sarebbero destinati a vivere quanto l’umanità, le leggi di natura o la giustizia stessa che dà loro la vita. Perciò, quando essi si vengono a dissolvere a causa non già di una violenza esterna ma del disordine interno, la colpa è degli uomini non in quanto ne sono la materia, bensì in quanto ne sono gli artefici e gli ordinatori».


Ordine-disordine •

«Chi se ne intende dice […] che cielo, terra, dei, uomini, sono collegati in un tutto grazie all'unione, all'amicizia, all'armonia, alla temperanza, alla giustizia, e che per tale ragione, amico mio, questo tutto è chiamato "cosmo" [ordine], e non "acosmia" [disordine] e dissolutezza» (Platone, Gorgia, 508a-b). «D’altronde, che il popolo romano si sia proposto il predetto bene [= il bene pubblico] con la sottomissione del mondo intero, lo testimoniano chiaramente le imprese compiute. Attraverso esse, infatti, svincolandosi da ogni cupidigia, nemica da sempre dello Stato, e prediligendo, al contrario, la pace universale insieme alla libertà, quel santo, pio e glorioso popolo appare aver trascurato i propri vantaggi particolari a favore di quelli pubblici per la salvezza del genere umano» (Dante, Monarchia, II, v). «Sebbene nulla di ciò che è opera dei mortali possa essere immortale, tuttavia, se gli uomini facessero uso della ragione che pretendono di avere, i loro Stati sarebbero al riparo almeno dalla rovina causata da mali interni. Infatti, in base alla natura della procedura che li istituisce, sarebbero destinati a vivere quanto l’umanità, le leggi di natura o la giustizia stessa che dà loro la vita. Perciò, quando essi si vengono a dissolvere a causa non già di una violenza esterna ma del disordine interno, la colpa è degli uomini non in quanto ne sono la materia, bensì in quanto ne sono gli artefici e gli ordinatori» (T. Hobbes, Leviatano, XXIX).


Ordine-disordine «Io dico che coloro che dannono i tumulti intra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma; e che considerino più a’ romori ed alle grida che di tali tumulti nascevano, che a’ buoni effetti che quelli partorivano […] Né si può chiamare in alcun modo, con ragione, una repubblica inordinata, dove siano tanti esempli di virtù; perché li buoni esempli nascano dalla buona educazione; la buona educazione, dalle buone leggi; e le buone leggi, da quelli tumulti che molti inconsideratamente dannano» (Discorsi, I,iv)


Il conflitto: Eraclito «Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte il re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi». (Eraclito, fr. 53, ed. Diels-Kranz). 24


Ordine-disordine «Le gravi e naturali nimicizie che sono intra gli uomini, popolari e nobili, causati da il volere questi comandare e quelli non ubbidire, sono cagione di tutti i mali che nascano nelle città; perché da questa diversità di umori tutte le altre cose che perturbano le repubbliche prendano il nutrimento loro. Questo tenne disunita Roma; questo, se gli è lecito le piccole cose alle grandi agguagliare, ha tenuto diviso Firenze; avvenga che nell’una e nell’altra città diversi effetti partorissero: perché le nimicizie che furono nel principio in Roma intra il popolo e i nobili, disputando, quelle di Firenze combattendo si diffinivano; quelle di Roma con una legge, quelle di Firenze con lo esilio e con la morte di molti cittadini terminavano […] La quale diversità di effetti conviene che sia dai diversi fini che hanno questi duoi popoli causata: perché il popolo di Roma godere i supremi onori insieme con i nobili desiderava; quello di Firenze per essere solo nel governo, senza che i nobili ne partecipassero, combatteva […]. (Istorie Fiorentine, III, 1).


Ordine-disordine «[…] coloro che sperano che una repubblica possa essere unita, assai di questa speranza s’ingannono. Vera cosa è che alcune divisioni nuocono alle repubbliche, e alcune giovano: quelle nuocono che sono dalle sette e dalle fazioni accompagnate; quelle giovano che senza sette e senza partigiani si mantengono. Non potendo adunque provedere uno fondatore di una repubblica che non sieno inimicizie in quella, ha a provederealmeno che non vi sieno sette». (Istorie Fiorentine, VII, 1).


Machiavelli: conflitto

G. Sasso, Machiavelli, vol I (“Il pensiero politico�), il Mulino, Bologna 1993/2


Machiavelli: conflitto N. Matteucci, Alla ricerca dell’ordine politico. Da Machiavelli a Toqueville, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 87-91; R. Esposito, Ordine e conflitto. Machiavelli e la letteratura politica del Rinascimento italiano, Napoli, Liguori, 1984, pp. 111-178; F. Del Lucchese, Tumulti e indignatio. Conflitto, diritto, moltitudine in Machiavelli e Spinoza, Milano, Ghibli, 2001, pp. 71-95; M. Geuna, Machiavelli ed il ruolo dei conflitti nella vita politica, in A. Arienzo e D. Caruso (a cura di), Conflitti, Napoli, Dante & Descartes, 2005, pp. 19-57.


Ordine-disordine «Le contenzioni tra la plebe et i nobili augmentano la repubblica quando sono contese d’onore e vince la plebe in modo che ella entri nelli onori con i nobili e partecipi delle lor virtù, come avvenne a Roma» (T. Campanella, Aforismi politici, n. 19)


Ordine-disordine Vico (1668-1744), Scienza nuova: Storia delle nazioni = conflitto delle «plebi» contro gli «eroi», che dispiega «ragione» e «uguaglianza», la «vera natura degli uomini»


Uguaglianza «Né vi sbigottisca quella antichità del sangue che ei ci rimproverano; perché tutti gli uomini, avendo avuto uno medesimo principio, sono ugualmente antichi, e da la natura sono stati fatti ad uno modo. Spogliateci tutti ignudi: voi ci vedrete simili; rivestite noi delle veste loro ed eglino delle nostre: noi senza dubbio nobili ed eglino ignobili parranno; perché solo la povertà e le ricchezze ci disaguagliano». (Istorie fiorentine, III, 13).


Uguaglianza

Michele di Lando


Uguaglianza (discorso Ciompo) «Convienci per tanto, secondo che a me pare, a volere che ci sieno perdonati gli errori vecchi, farne de’ nuovi, raddoppiando i mali, e le arsioni e le ruberie multiplicando, e ingegnarsi a questo avere di molti compagni, perché dove molti errano niuno si gastiga, e i falli piccoli si puniscono, i grandi e gravi si premiano; e quando molti patiscono pochi cercano di vendicarsi, perché le ingiurie universali con più pazienza che le particulari si sopportono». (Ist. Fior., III, 13)


Uguaglianza (discorso Ciompo) - «La opportunità che dalla occasione ci è porta vola, e invano, quando la è fuggita, si cerca poi di ripigliarla»; - «coloro che vincono, in qualunque modo vincono, mai ne riportono vergogna»; - Nessun guadagno senza frode e forza: ««Perché Iddio e la natura ha posto tutte le fortune degli uomini loro in mezzo; le quali più alle rapine che alla industria, e alle cattive che alle buone arti sono esposte: di qui nasce che gli uomini mangiono l’uno l’altro, e vanne sempre col peggio chi può meno». (Ist. Fior., III, 13).


Movimento - uguaglianza • «acciò che nelle cose umane non sia nulla o perpetuo o quieto» (Ist. Fior., III, 5). • «sendo tutte le cose degli uomini in moto, e non potendo stare salde» (Discorsi, I, 6).


Uguaglianza «Machiavelli non fu un filosofo nel senso classico o medievale del termine. Non aveva un sistema speculativo e nemmeno un sistema di politica. Tuttavia, il suo libro esercitò un influsso indiretto fortissimo sullo sviluppo generale del pensiero filosofico moderno. Poiché egli fu il primo che, in modo deciso e incontestabile, tagliò i ponti con tutta la tradizione scolastica. Egli distrusse la pietra angolare di quella tradizione: il sistema gerarchico. […] Innumerevoli volte i filosofi medievali avevano citato il detto di san Paolo, che ogni potere viene da Dio. […] Machiavelli non si dà nemmeno la pena di mettere in discussione questo principio: semplicemente lo ignora». (E. Cassirer, Il mito dello Stato, 1945, trad. it. Milano, Longanesi, 1971/2, p. 237).


Uguaglianza • «in tutte le città ed in tutti i popoli sono quegli medesimi desideri e quelli medesimi omori, e come vi furono sempre»; • gli uomini non mutano mai «di moto, di ordine, di potenza», proprio come «il cielo, il sole, li elementi»; • «hanno ed ebbono sempre le medesime passioni»; • «nacquero, vissero e morirono, sempre con uno medesimo ordine». (Discorsi: Proemio; I, 11; I, 39; III, 43).


Desiderio «Egli è sentenzia degli antichi scrittori come gli uomini sogliono affliggersi nel male e stuccarsi nel bene; e come dall’una e dall’altra di queste due passioni nascano i medesimi effetti. Perché, qualunque volta è tolto agli uomini il combattere per necessità, combattono per ambizione; la quale è tanto potente ne’ petti umani, che mai, a qualunque grado si salgano, gli abbandona. La cagione è, perché la natura ha creati gli uomini in modo, che possono desiderare ogni cosa, e non possono conseguire ogni cosa: talché, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca soddisfazione d’esso. Da questo nasce il variare della fortuna loro: perché, desiderando gli uomini, parte di avere più, parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alle inimicizie ed alla guerra; dalla quale nasce la rovina di quella provincia e la esaltazione di quell’altra». (Discorsi, I, 37).


Male «Egli è per certo gran cosa a considerare quanto gli huomini sieno ciechi nelle cose dove e’ peccono, et quanto e’ sieno acerrimi persecutori de’ vizii che non hanno» (Discorsi, I, 37 ) «Magnifico oratore, e’ non ci si è se non pazzi». (Lettera a Francesco Vettori, 5 gennaio 1514)


Male — «Gli uomini salgono da un’ambizione a un’altra; e prima si cerca di essere offeso, di poi di offendere altrui» (Discorsi); — «È cosa veramente molto naturale et ordinaria desiderare di acquistare» (Principe); — uomini non si accontentano del loro, ma vogliono «comandare altrui»: ci si può assicurare solo con la «potentia» (Discorsi); — chi più ha, più desidera acquistare, «perché non pare agli uomini possedere sicuramente quello che l’uomo ha, se non si acquista di nuovo dell’altro» (Discorsi); — «ma l’ambizione dell’uomo è tanto grande che per cavarsi una presente voglia non pensa al male che è in breve tempo risultargliene» (Discorsi); — gli uomini commettono questo errore, «che non sanno porre termine alle speranze loro, ed in su quelle fondandosi, sanza misurarsi altrimenti, rovinano»; — «mai gli uomini non si soddisfano, e avuta una cosa, non vi si contentando dentro, ne desiderano un’altra …» (Ist. Fior.); — gli uomini si devono «o vezzeggiare o spegnere» (Principe)


Ambizione «Qual regione o qual città n’è priva? Qual borgo, qual tugurio? In ogni lato l’Ambizione e l’Avarizia arriva. Queste nel mondo, come l’uom fu nato, nacquono ancora; e se non fussi quelle, sarebbe assai felice il nostro stato […] Di qui nasce ch’un scende e l’altro sale; di qui dipende, sanza legge o patto, il variar d’ogni stato mortale. […] Dovunque gli occhi tu rivolti, miri di lacrime la terra e sangue pregna, e l’aria d’urla, singulti e sospiri […]». (Capitolo Dell’Ambizione)


Uomini “rei” «Come dimostrano tutti coloro che ragionano del vivere civile, e come ne è piena di esempli ogni istoria, è necessario a chi dispone una repubblica, ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini rei, e che li abbiano sempre a usare la malignità dello animo loro, qualunque volta ne abbiano libera occasione; e quando alcuna malignità sta occulta un tempo, procede da una occulta occasione, che, per non si essere veduta esperienza del contrario, non si conosce; ma la fa poi scoprire il tempo, il quale dicono essere padre d’ogni verità». (Discorsi, I, 3)


Uomini “rei” «O mente umana insaziabil, altera, subdola e varia, e sopra ogni altra cosa maligna, iniqua, impetuosa e fera, poi che, per la tua voglia ambiziosa, si fe’ la prima morte violenta nel mondo, e la prima erba sanguinosa!». (Capitolo Dell’Ambizione)


Teologia negativa Paolo di Tarso Agostino (scritti contro Pelagio) Lutero Giansenio Manzoni (Adelchi)


Uomini “rei” N. Matteucci, Alla ricerca dell’ordine politico. Da Machiavelli a Tocqueville, Bologna, il Mulino, 1984. S. Zeppi, Studi su Machiavelli pensatore (Milano, 1976):

«il peccato originale che corrompe e inquina natura umana è la volontà di potenza e sopraffazione, la brama di dominio e prevaricazione, la smania di supremazia e soverchieria …»

la di di di


Contiguità male e bene «E’ pare che nelle azioni degli uomini, come altra volta abbiamo discorso, si truovi, oltre alle altre difficultà, nel volere condurre la cosa alla sua perfezione, che sempre propinquo al bene sia qualche male, il quale con quel bene sì facilmente nasca che pare impossibile potere mancare dell’uno, volendo l’altro. E questo si vede in tutte le cose che gli uomini operano» (Discorsi, III, 37).


Natura umana: variabilità, incostanza, mutevolezza «Chi vedesse le nostre lettere, honorando compare, et vedesse la diversità di quelle, si maraviglierebbe assai, perché gli parrebbe hora che noi fussimo huomini gravi, tutti vòlti a cose grandi, et che ne’ petti nostri non potesse cascare alcuno pensiere che non havesse in sé honestà et grandezza. Però dipoi, voltando carta, gli parrebbe quelli noi medesimi essere leggieri, incostanti, lascivi, vòlti a cose vane. Questo modo di proccedere, se a qualcuno pare sia vituperoso, a me pare laudabile, perché noi imitiamo la natura, che è varia; et chi imita quella non può essere ripreso» (Lettera a Francesco Vettori, n. 239).


bene - male «Ed è vero che la Fortuna e la Natura tiene el conto per bilancio: la non ti fa mai un bene, che, a l’incontro, non surga un male». «Non sai tu quanto poco bene si truova nelle cose che l’uomo desidera, rispetto a quello che l’uomo ha presupposto trovarvi?» (Mandragola, atto IV, scena prima)


Storia

Discorsi, II, 5


Tempo ed eternitĂ G. Sasso, "De aeternitate mundi", in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, Napoli 1987, pp. 167-399.


Tempo «padre della verità» – Chiunque «dispone una repubblica» deve «presupporre tutti gli uomini rei», pronti a ricorrere alla «malignità dello animo loro qualunque volta ne abbiano libera occasione»; e quando questa malignità resta momentaneamente nascosta, «la fa poi scoprire il tempo, il quale dicono essere padre d'ogni verità» (Discorsi I, 3) – «bisogna aspettare el tempo che è padre della verità» (legazioni) – «vedrassi con el tempo, che è padre del vero quello che seguirà»(legazioni) – «di cosa nasce cosa e 'l tempo la governa» (Callimaco in Mandragola I,1) – «Bisogna che 'l tempo chiarisca questa posta, e quanto s'intenderà tanto scriverò a vostre Signorie»(legazioni)


Progresso

R. Koselleck - C. Meier, Fortscrift (1975), trad. it. Progresso, Venezia, Marsilio, 1991.


Progresso • B. Mandeville, Favola delle api (1705) • A. Smith, La ricchezza delle nazioni (1776) • Condorcet, Saggio di un quadro storico dei progressi dello spirito umano (1794-95, postumo) • I. Kant, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi (1793): «Io potrò dunque supporre che, in quanto il genere umano è costantemente in progresso riguardo alla cultura, la quale è il suo fine naturale, esso sia anche pensato in progresso verso il meglio riguardo al fine morale della sua esistenza, e che questo progresso venga talvolta sì interrotto, ma mai fermato».


Natura - storia - progresso – «[…] e così sempre fue il mondo fatto, moderno e antico» (Dell’Ambizione, vv. 71-72) – «mi pare che tutti li tempi ritornino, et che noi siamo sempre quelli medesimi» (Lettera 290, a Francesco Guicciardini)


natura - storia «Sogliono le provincie, il più delle volte, nel variare che le fanno, dall’ordine venire al disordine, e di nuovo poi dal disordine all’ordine trapassare; perché, non essendo dalla natura conceduto alle mondane cose il fermarsi, come le arrivano alla loro ultima perfezione, non avendo più da salire, conviene che scendino; e similmente, scese che le sono, e per li disordini ad ultima bassezza pervenute, di necessità, non potendo più scendere, conviene che salghino; e così sempre da il bene si scende al male,e da il male si sale al bene». (Istorie fiorentine, V,1).


Polibio (II-III sec. D.C.)

Anakyklosis Miktè politéia


natura - storia «Sogliono dire gli uomini prudenti, e non a caso né immeritatamente, che chi vuole vedere quello che ha a essere, consideri quello che è stato; perché tutte le cose del mondo, in ogni tempo, hanno il proprio riscontro con gli antichi tempi. Il che nasce perché, essendo quelle operate dagli uomini, che hanno ed ebbono sempre le medesime passioni, conviene di necessità che le sortischino il medesimo effetto» (Discorsi, III, 43). «Io ho sentito dire che la istoria è la maestra delle azioni nostre, e massime de’ principi, e il mondo fu sempre ad un modo abitato da uomini che hanno avuto sempre le medesime passioni …» (Dei popoli della Valdichiana ribellati).


natura - storia ÂŤMa quanto allo esercizio della mente, debbe il principe leggere le istorie, e in quelle considerare le azioni degli uomini eccellenti; vedere come si sono governati nelle guerre; esaminare le cagioni delle vittorie e perdite loro, per potere queste fuggire, e quelle imitareÂť. (Il principe, 14)


storia - natura «Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi, e di principe e di stato, io addurrò grandissimi essempli; perché, camminando gli uomini quasi sempre per le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie di altri al tutto tenere, né alla virtù di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare, acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore; e fare come gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di sì alta mira, pervenire al disegno loro». (Il principe, 6)


storia - natura «Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, et mi metto panni reali et curiali; et rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per 4 hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversatione ho fatto capitale, et composto uno opuscolo De principatibus […]». (Lettera a Francesco Vettori, 10 dicembre 1513)


natura - storia «E benché di tutte queste cose non si possa dare determinata sentenzia, se non si viene a’ particulari di quelli stati dove si avessi a pigliare alcuna simile deliberazione, nondimanco io parlerò in quel modo largo che la materia sopporta» (Il principe, 20).


Relatività, assenza di Principio «perché tutto netto, tutto sanza sospetto non si truova mai» (Discorsi, I, 6).


Virtù (prove di rinoscimento) «La convinzione per cui l’uomo è tenuto a osservare la legge morale è la seguente: osservare la legge per dovere, non per propensione spontanea e neanche per uno sforzo non comandato, intrapreso spontaneamente e con piacere; e il suo stato morale, nel quale può sempre trovarsi, è la virtù, ossia la convinzione morale in lotta, e non la santità, nel presunto possesso di una completa purezza delle convinzioni della volontà». «Dopo ciò bisogna esaminare che cos’è la virtù. Poiché, dunque, gli atteggiamenti interni all’anima sono tre, passioni capacità disposizioni, la virtù deve essere uno di questi. Chiamo passioni il desiderio, l’ira, la paura, la temerarietà, l’invidia, la gioia, l’amicizia, l’odio, la brama, la gelosia, la pietà, e in generale tutto ciò cui segue piacere o dolore. Chiamo, invece, capacità ciò per cui si dice che noi possiamo provare delle passioni, per esempio, ciò per cui abbiamo la possibilità di addolorarci o di sentir pietà. Disposizioni, infine, quelle per cui ci comportiamo bene o male in rapporto alle passioni: per esempio, in rapporto all’ira, se ci adiriamo violentemente o debolmente ci comportiamo male, se invece teniamo una via di mezzo ci comportiamo bene». «Perché né un’interrotta serie di simposi e di festini né il godimento di fanciulli e di donne né il gustare pesci e quante altre leccornie offra una tavola sontuosa producono la soave vita, ma un sobrio calcolo che ricerchi le cause di ogni scelta e di ogni avversione e bandisca le vane opinioni per opera delle quali un intenso tumulto s’impadronisce delle anime».


Virtù (prove di rinoscimento) «- E non credi che a ogni cosa cui sia propria una funzione sia propria pure una virtù? Torniamo agli esempi di prima: c’è, diciamo, una funzione propria degli occhi? - C’è. - E non c’è una funzione propria delle orecchie? - Sì. - E dunque anche una virtù? - Sì, anch’essa. - E non è così per tutte le altre cose? - Così». «Non c’è felicità senza coraggio né virtù senza lotta: la parola virtù deriva dalla parola forza: la forza è la base di ogni virtù. La virtù appartiene soltanto agli esseri deboli di natura, ma forti di volontà: per questo appunto rendiamo onore all’uomo giusto e per questo, pur attribuendo a Dio la bontà, non lo diciamo virtuoso, perché le sue buone opere sono da lui compiute senza sforzo alcuno».


Virtù (prove di rinoscimento) «- E non credi che a ogni cosa cui sia propria una funzione sia propria pure una virtù? Torniamo agli esempi di prima: c’è, diciamo, una funzione propria degli occhi? C’è. E non c’è una funzione propria delle orecchie? Sì. E dunque anche una virtù? Sì, anch’essa. E non è così per tutte le altre cose? Così». (Platone, Repubblica, I, 353a). «Dopo ciò bisogna esaminare che cos’è la virtù. Poiché, dunque, gli atteggiamenti interni all’anima sono tre, passioni capacità disposizioni, la virtù deve essere uno di questi. Chiamo passioni il desiderio, l’ira, la paura, la temerarietà, l’invidia, la gioia, l’amicizia, l’odio, la brama, la gelosia, la pietà, e in generale tutto ciò cui segue piacere o dolore. Chiamo, invece, capacità ciò per cui si dice che noi possiamo provare delle passioni, per esempio, ciò per cui abbiamo la possibilità di addolorarci o di sentir pietà. Disposizioni, infine, quelle per cui ci comportiamo bene o male in rapporto alle passioni: per esempio, in rapporto all’ira, se ci adiriamo violentemente o debolmente ci comportiamo male, se invece teniamo una via di mezzo ci comportiamo bene». (Aristotele, Etica Nicomachea,, II, 6, 1106 a 22). «Perché né un’interrotta serie di simposi e di festini né il godimento di fanciulli e di donne né il gustare pesci e quante altre leccornie offra una tavola sontuosa producono la soave vita, ma un sobrio calcolo che ricerchi le cause di ogni scelta e di ogni avversione e bandisca le vane opinioni per opera delle quali un intenso tumulto s’impadronisce delle anime». (Epicuro: Diog. Laert., X, 132).


Virtù (prove di rinoscimento) «Non c’è felicità senza coraggio né virtù senza lotta: la parola virtù deriva dalla parola forza: la forza è la base di ogni virtù. La virtù appartiene soltanto agli esseri deboli di natura, ma forti di volontà: per questo appunto rendiamo onore all’uomo giusto e per questo, pur attribuendo a Dio la bontà, non lo diciamo virtuoso, perché le sue buone opere sono da lui compiute senza sforzo alcuno». (Rousseau, Émile, V). «La convinzione per cui l’uomo è tenuto a osservare la legge morale è la seguente: osservare la legge per dovere, non per propensione spontanea e neanche per uno sforzo non comandato, intrapreso spontaneamente e con piacere; e il suo stato morale, nel quale può sempre trovarsi, è la virtù, ossia la convinzione morale in lotta, e non la santità, nel presunto possesso di una completa purezza delle convinzioni della volontà». (Kant, Cr. R. Prat., I, libro I, cap. III).


Fortuna «Fortuna (tyke) e caso (autómaton) differiscono, in quanto il caso ha un maggior numero di accezioni. Infatti, la fortuna e il fortuito sono propri di quelle cose cui si potrebbe attribuire il successo o, comunque, un pratico risultato. […] sicché quanti non possono agire, non possono neppure far qualcosa di fortuito. E perciò gli esseri inanimati, le bestie, i bambini, non fanno niente per fortuna, perché non hanno scelta; e la buona o la mala fortuna si attribuisce ad essi soltanto per similitudine, al modo in cui Protarco disse che le pietre di un altare sono fortunate perché sono onorate, mentre le loro compagne sono calpestate dai piedi». (Aristotele, Fisica, II, 6, 197 b 1).


Fortuna «Vi sono alcuni ai quali pare che la fortuna sia una causa, ma che si celi al pensiero umano, perché è qualcosa di divino e di troppo demoniaco» (Aristotele, Fisica, II, 4, 196 b).


Fortuna «[…] la fortuna è incostante; infatti non è possibile che alcuna cosa fortuita sia sempre o per lo più. Dunque, come dicevamo, la fortuna e il caso sono entrambi cause accidentali nelle cose che che non possono prodursi né in senso assoluto né per lo più, ma che, comunque, possono prodursi in vista di un fine». (Aristotele, Fisica, II, 197 a 32).


Fortuna «Non ascolta gli infelici, non si cura dei loro pianti; deride inoltre i lamenti che essa, crudele, ha provocato: così essa scherza, così mette alla prova le sue forze». (S. Boezio, De consolatione philosophiae, II, 1)


Fortuna: Dante Fortuna = ministra di Dio, identica a Provvidenza (Inferno, VII, 69-96)


Fortuna: Umanesimo e Rinascimento Già il sommo Padre, già l'architetto divino aveva costruito, con le leggi della sua arcana sapienza, questa dimora terrena, questo tempio augustissimo della divinità, che è il nostro mondo. Già aveva posto gli spiriti ad ornamento della regione superna; già aveva seminato di anime immortali i globi eterei e riempito di ogni genere di animali le impure e lercie parti del mondo inferiore. Ma compiuta la sua opera, l'artefice divino vide che mancava qualcuno che considerasse il significato di così tanto lavoro, ne amasse la bellezza, ne ammirasse la grandezza. Avendo, quindi, terminata la sua opera, pensò da ultimo – come attestano Mosè e Timeo – di produrre l'uomo. [...] Ormai tutto era pieno, tutto era stato occupato negli ordini più alti, nei medii e negl'infimi. [...] Stabilì, dunque, il sommo Artefice, dato che non poteva dargli nulla in proprio, che avesse in comune ciò che era stato dato in particolare ai singoli. Prese pertanto l'uomo, fattura priva di un'immagine precisa e, postolo in mezzo al mondo, così parlò: «Adamo, non ti diedi una stabile dimora, né un'immagine propria, né alcuna peculiare prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà quella dimora, quell'immagine, quella prerogativa che avrai scelto da te stesso. Una volta definita la natura alle restanti cose, sarà pure contenuta entro prescritte leggi. Ma tu senz'essere costretto da nessuna limitazione, potrai determinarla da te medesimo, secondo quell'arbitrio che ho posto nelle tue mani. Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo. Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine.» (Giovanni Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate, 1487)


Fortuna: Umanesimo e Rinascimento Leon Battista Alberti, “Fatum et fortuna�, in Id., Intercenales (1441 ca) Enea Silvio Piccolomini (Pio II), Somnium de fortuna (1444) Giovanni Pontano, De fortuna (1508, postumo) Francesco Guicciardini, Ricordi (dal 1512, pubblicati postumi a Parigi nel 1576).


Fortuna: Umanesimo e Rinascimento «Ho appreso che il Fato non è altro che il corso degli eventi nella vita degli uomini, che trascorre secondo un proprio ordine. Ho compreso che è più agevole la Fortuna per coloro che al momento della caduta nel fiume hanno dappresso o intere assicelle o addirittura una nave. Ho capito che al contrario la Fortuna è dura per noi che cademmo nella corrente quando era necessario superare con un continuo nuoto l’impeto dell’onda. E tuttavia non ignoreremo che nelle umane vicende vale moltissimo la prudenza e l’industria». (Leon Battista Alberti, “Fatum et fortuna”, in Id., Intercenales, 1441 ca)


Fortuna: Umanesimo e Rinascimento Giovanni Pontano, De Fortuna (1508, postumo): - Fortuna da influsso delle stelle - Conciliazione con la Provvidenza divina


Fortuna: Umanesimo e Rinascimento «Chi considera bene, non può negare che nelle cose umane la fortuna ha grandissima potestà, perché si vede che a ognora ricevono grandissimi moti da accidenti fortuiti, e che non è in potestà degli uomini né a prevedergli né a schifargli: e benché lo accorgimento e sollicititudine degli uomini possa moderare molte cose, nondimeno sola non basta, ma gli bisogna ancora la buona fortuna» (F. Guicciardini, Ricordi, n. 30)


Fortuna: occasione – Chi se’ tu, che non par donna mortale, di tanta grazia el ciel t’adorna e dota? Perché non posi? E perché a’ piedi l’ale?– – Io son l’Occasione, a pochi nota; e la cagion che sempre mi travagli, è perch’io tengo un pie’ sopra una rota. […] Li sparsi mia capei dinanti io tengo; con essi mi ricuopro il petto e ‘l volto perch’un non mi conosca quando io vengo. […] – Dimmi: che è colei che teco viene?– – È Penitenzia; e però nota e intendi: chi non sa prender me, costei ritiene. E tu, mentre parlando il tempo spendi, occupato da molti pensier vani, già non t’avvedi, lasso! E non comprendi com’io ti son fuggita tra le mani.–


Fortuna «Et poiché la Fortuna vuol fare ogni cosa, ella si vuole lasciarla fare, stare quieto et non la dare briga, et aspettar tempo che la lasci fare qualche cosa agli uomini» (Lettera 216, a F. Vettori)


Fortuna ÂŤMa la fortuna, inimica alla sua gloria, quando era tempo di dargli vita gliene tolse, e interruppe quegli disegni che quello molto tempo innanzi aveva pensato di mandare ad effetto, nĂŠ gliene poteva altro che la morte impedireÂť (Vita di Castruccio Castracani)


Fortuna «Io credo che, come la Natura ha facto ad l’uomo diverso volto, così li habbi facto diverso ingegno et diversa fantasia. Da questo nascie che ciascuno secondo lo ingegno et fantasia sua si governa. Et perché da l’altro canto e tempi sono varii et li ordini delle cose sono diversi, ad colui succedono ad votum e suoi desiderii, et quello è felice che riscontra el modo del procedere suo con el tempo, et quello, per opposito, è infelice che si diversifica con le sue actioni da el tempo et da l’ordine delle cose». (Lettera 116, a G.B. Soderini)


Fortuna «Et veramente chi fussi tanto savio che conoscessi e tempi et l’ordine delle cose et adcomodassisi ad quelle, harebbe sempre buona fortuna o e’ si guarderebbe sempre da la trista, et verrebbe ad essere vero che ‘l savio comandassi alle stelle et a’ fati. Ma, perché di questi savi non si truova, havendo li huomini prima la vista corta, et non potendo poi comandare alla natura loro, ne segue che la Fortuna varia et comanda ad li huomini, et tièngli sotto el giogo suo». (Lettera 116, a G.B. Soderini)


Fortuna (Cosimo de’ Medici) «Degli stati de’ principi e civili governi niuno altro al suo tempo per intelligenza lo raggiunse: di qui nacque che in tanta varietà di fortuna, e in sì varia città e volubile cittadinanza, tenne uno stato trentuno anno; perché, sendo prudentissimo, cognosceva i mali discosto, e per ciò era a tempo, o non li lasciare crescere, o a prepararsi in modo che, cresciuti, non lo offendessero». (Istorie fiorentine, VII, 5).


Fortuna («impetuoso», «respettivo») «Io ho considerato più volte come la cagione della trista e della buona fortuna degli uomini è riscontrare il modo del procedere suo con i tempi: perché e’ si vede che gli uomini nelle opere loro procedono, alcuni con impeto, alcuni con rispetto e con cauzione». Esempi di prudenza: Quinto Fabio Massimo e Pier Soderini; di impeto: Giulio II (Discorsi, III, 9).


Prudenza: «veder discosto» - «[…] prevedendosi discosto, facilmente vi si può rimediare» (Principe, 3). - «[…] io credo che l’uffizio di un prudente sia in ogni tempo pensare quello li potesse nuocere et prevedere le cose discosto, et il bene favorire, et al male opporsi a buon’ora[…]» (Lettera 205, a F. Vettori). - Cosimo de’ Medici «cognosceva i mali discosto» (Istorie fiorentine, VII, 5).


Pier Soderini La notte che morì Pier Soderini, l’anima andò de l’inferno a la bocca; gridò Pluton: — Ch’inferno? Anima sciocca, va su nel limbo fra gli altri bambini.— (Epigrammi, I)


Contro “neutralità” – «E sempre interverrà che colui che non è amico ti ricercherà della neutralità, e quello che che ti è amico ti richiederà che ti scuopra le arme. E li principi mal resoluti, per fuggire e’ presenti periculi, seguono el più delle volte quella via neutrale, e il più delle volte ruinano» (Il Principe, 21). – «chi sta neutrale conviene che sia odiato da chi perde, et disprezzato da chi vince» (Lettera 233, a F. Vettori)


«Tentare la fortuna» – «[…] egli è assai meglio tentare la fortuna dov’ella ti possa favorire, che, non la tentando, vedere la tua certa rovina. Ed è così grave peccato,in questo caso, in uno capitano il non combattere, come è d’avere avuta occasione di vincere e non la avere conosciuta per ignoranza o lasciata per viltà». (Dell’arte della guerra, IV). – «chi aspetta tutte le comodità, o e’ non tenta mai alcuna cosa, o, se la tenta, la fa il più delle volte a suo disavantaggio»; «la fortuna è amica più di chi assalta di chi si difende» «mostrare alla fortuna il viso» (Istorie fiorentine, III, 9; IV, 6)


Rinascimento “inquieto” Quant'è bella giovinezza,che si fugge tuttavia!Chi vuol esser lieto, sia:di doman non c'è certezza. (Lorenzo il Magnifico, Trionfo di Bacco e Arianna, 1490 ca, vv. 1-4).


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto”


Rinascimento “inquieto�

E. Raimondi, Rinascimento inquieto, Torino, Einaudi


Realtà «inquieta» «[…] non potendo e’ principi mancare di non essere odiati da qualcuno, si debbano prima forzare di non essere odiati dall’universale» (Il Principe, 19)


Realtà «inquieta» «[…] la prudenzia consiste in sapere conoscere le qualità degli inconvenienti e pigliare il meno tristo» (Il Principe, 21).


Virtù-Fortuna «la vera virtù non teme ogni minimo accidente […] Perché una vera virtù, un ordine buono, una sicurtà presa da tante vittorie non si può con cose di poco momento spegnere, né una cosa vana fa loro paura, né un disordine gli offende» (Discorsi, III, 33).


Virtù-Fortuna «Affermo bene di nuovo questo essere verissimo, secondo che per tutte le istorie si vede, che gli uomini possono tessere gli orditi suoi e non rompergli. Debbono bene non si abbandonare mai; perché non sappiendo il fine suo, e andando quella per vie traverse e incognite, hanno sempre a sperare e sperando non si abbandonare in qualunque fortuna ed in qualunque travaglio». (Discorsi, III, 29).


Politica-religione «E veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio; perché altrimenti non sarebbero accettate: perché sono molti i beni conosciuti da uno prudente, i quali non hanno in sé ragioni evidenti da poterli persuadere a altrui» (Discorsi, I, 12; esempi di Licurgo, Solone, Numa)


Politica-religione «Valeva assai, nel tenere disposti gli soldati antichi, la religione e il giuramento che si dava loro quando si conducevano a militare; perché in ogni loro errore si minacciavano non solamente di quelli mali che potessono temere dagli uomini, ma di quegli che da Dio potessono aspettare. La quale cosa, mescolata con altri modi religiosi, fece molte volte facile a’ capitani antichi di ogni impresa, e farebbe sempre, dove la religione si temesse e si osservasse». (Dell’arte della guerra, IV; esempi di Sertorio, Silla, Giovanna d’Arco)


Politica-religione «la religione antica […] non beatificava se non uomini pieni di mondana gloria; come erano capitani di eserciti e principi di repubbliche. La nostra religione ha glorificato più gli uomini umili e contemplativi, che gli attivi. Ha dipoi posto il sommo bene nella umiltà, abiezione, e nel dispregio delle cose umane: quell’altra lo poneva nella grandezza dello animo, nella fortezza del corpo, ed in tutte le altre cose atte a fare gli uomini fortissimi. E se la religione nostra richiede che tu abbi in te fortezza, vuole che tu sia atto a patire più che a fare una cosa forte. Questo modo di vivere, adunque, pare che abbi renduto il mondo debole, e datolo in preda agli uomini scelerati; i quali sicuramente lo possono maneggiare, veggendo come l’università degli uomini, per andarne in Paradiso, pensa più a sopportare le sue battiture che a vendicarle». (Discorsi, II, 2).


Politica-religione «Di modo che tutte le guerre che, dopo a questi tempi, furono da’ barbari fatte in Italia furono in maggior parte dai pontefici causate; e tutti i barbari che quella inundorono furono il più delle volte da quegli chiamati. Il quale modo di procedere dura ancora in questi tempi; il che ha tenuto e tiene l’Italia divisa». (Istorie fiorentine, I, 9).


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