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Il Diritto dei Popoli Lezioni sulla filosofia politica di John Rawls
Gabriele Scardovi
Antecedenti Si dovrebbe iniziare da Immanuel Kant e dalla sua proposta per il raggiungimento di una pace perpetua, ma il realismo politico reclama la sua parte d’attenzione. Si inizi quindi da Machiavelli.
Il principe, cap. XIV
Quod principem deceat circa militiam [Quello che s’appartenga a uno Trascinare principe circa la milizia]
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«Debbe adunque uno principe non avere altro obietto né altro pensiero, né prendere cosa alcuna per sua arte, fuora della guerra et ordini e disciplina di essa; perché quella è sola arte che si espetta a chi comanda.
segue…
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Et è di tanta virtù, che non solamente mantiene quelli che sono nati principi, ma molte volte fa li uomini di privata fortuna salire a quel grado; e per avverso si vede che, quando e’ principi hanno pensato più alle delicatezze che alle arme, hanno perso lo stato loro. E la prima cagione che ti fa perdere quello, è negligere questa arte; e la cagione che te lo fa acquistare, è lo essere professo di questa arte».
Jacob Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, 1905
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ÂŤUn popolo impara realmente a conoscere tutte le proprie energie nazionali solo in guerra, nella lotta agonistica contro altri popoli, perchĂŠ solo allora esse sono presenti; a questo punto dovrĂ cercare di mantenerleÂť.
(J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, Milano, SE, 1990, p. 159)
Ancora Burckhardt, sulla valore persino “igienico” della guerra «Una lunga pace non produce soltanto snervamento, ma consente il sorgere di una gran massa di esistenze stentate, miserabili e paurose, che senza di essa non sorgerebbero, e che si aggrappano poi all’esistenza con alte strida sul loro “diritto”, sottraendo spazio alle autentiche energie e ispessendo l’aria, e tutto sommato degradando anche il sangue della nazione. La guerra riporta in onore le energie autentiche. E quelle esistenze stentate le mette, forse, almeno a tacere». (J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, Milano, SE, 1990, p. 160)
Non tutte le guerre si equivalgono «Terribili sono […] le lotte religiose, specialmente in quelle religioni in cui predomina il pensiero dell’al di là, oppure in cui il fattore morale appaia strettamente intrecciato a quella data forma religiosa, oppure in cui la religione sia divenuta saldamene nazionale, sicché in essa e con essa un nucleo nazionale si difende. Ma tutto ciò avviene nel modo più atroce proprio presso i popoli civili: i mezzi di offesa e di difesa non conoscono limiti; la morale comune e il diritto vengono completamente sospesi nel nome di “fini superiori”; si rifiutano transazioni e compromessi, si vuole tutto o niente». (J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, Milano, SE, 1990, pp. 57-58)
«Talvolta poi interviene un filosofo con una utopia, per teorizzare in che modo un popolo debba o avrebbe dovuto essere organizzato sin dall’inizio per non essere costretto a subire nessuna frode democratica, nessuna guerra del Peloponneso, nessun nuovo intervento persiano. Una simile teoria sul modo di evitare le crisi si può trovarla nella Repubblica di Platone. Ma a prezzo di quale privazione di libertà dovrebbe risultare possibile una cosa simile! E vi sarebbe ancora da chiedersi quanto bisognerebbe attendersi perché scoppi una rivoluzione persino nelle utopie».
(J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, Milano, SE, 1990, pp. 179-180)
«Condizione fondamentale di ogni cultura superiore […] è la società. Essa rappresenta l’esatta antitesi delle caste con la loro cultura parziale e unilaterale, sia pur elevata, che può avere una sua ragion d’essere nel campo della tecnica, nell’acquisizione e nel perfezionamento di capacità esteriori, ma nel campo spirituale, come insegna il fondamentale esempio degli egizi, produce in ogni caso ristagno, limitatezza e presunzione verso il mondo esterno». (J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, Milano, SE, 1990, p. 69)
Nonostante il suo scetticismo, Burckhardt rimane un uomo del XIX secolo, il secolo di Napoleone Nella sua visione della storia si riassume un modo di intendere i cambiamenti storici che risente dell’Idealismo (ottimistico) del Romanticismo (pessimistico) di analogie biologistiche Anche nell’opera di Burckhardt riecheggia più volte una certa ammirazione per il grande uomo, genio del suo tempo.
«La storia ama talvolta condensarsi d’improvviso in un individuo, a cui per questa ragione il mondo obbedisce. Questi grandi individui rappresentano la coincidenza dell’universale e del particolare, di ciò che è statico e di ciò che è dinamico, in una sola personalità. Essi riassumono Stati, religioni, culture e crisi».
(J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, Milano, SE, 1990, p. 215)
ÂŤInfatti i grandi uomini sono necessari alla nostra esistenza, affinchĂŠ il moto universale della storia si renda periodicamente e di un sol colpo libero da forme di vita ormai inaridite e dalla retorica raziocinanteÂť.
(J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, Milano, SE, 1990, p. 230)
Per una pace perpetua (figlia del diritto) Trascinare l'immagine su un segnaposto o fare clic sull'icona «Lo stato di pace […] non è affatto uno stato di natura (status naturalis), il quale è piuttosto uno stato di guerra nel senso che […] è […] continua la minaccia [che esso abbia] a prodursi. Lo stato di pace deve dunque essere istituito, poiché la mancanza di ostilità non significa ancora sicurezza»
(I. Kant, Per la pace perpetua (1795), Milano, Editori Riuniti,1992, p. 12)
Il diritto internazionale inteso come diritto alla guerra non è propriamente concepibile [‌]: a meno che non lo si voglia intendere nel senso che uomini i quali pensano in tal modo hanno la sorte che si meritano, se si distruggono a vicenda e trovano cosÏ la pace eterna nella vasta fossa che copre tutti gli orrori della violenza e insieme anche i loro autori.
(I. Kant, Per la pace perpetua, Milano, Editori Riuniti,1992, p. 20)
Natura societaria, non patrimoniale dello Stato Lo Stato è una società di uomini su cui nessun soggetto politico, a esclusione di essa stessa, può reclamare diritti di proprietà. Di ogni Stato va tutelata l’esistenza come persona morale. L’idea del diritto internazionale presuppone la separazione di molti Stati vicini e indipendenti tra loro. La «fusione» in una sola monarchia universale è da scartare (p. 31).
Necessità di una costituzione repubblicana Solamente gli Stati in cui vige una costituzione repubblicana hanno la possibilità di arrivare, nei rapporti con gli Stati loro vicini, ugualmente repubblicani, alla pace perpetua. Nelle monarchie assolute «la guerra è la cosa più facile del mondo perché il sovrano non è membro dello Stato, ma ne è il proprietario» e «nulla ha da rimettere a causa della guerra dei suoi banchetti, delle sue cacce, delle sue case da diporto, delle sue feste di corte ecc». (I. Kant, Per la pace perpetua, Milano, Editori Riuniti,1992, p. 13)
Idea positiva e surrogato negativo Ciò che è giusto in tesi, viene rigettato in ipotesi: un autentico Stato dei popoli (civitas gentium), mantenuto in ordine grazie a «leggi pubbliche coattive», non è accettabile da parte dei singoli popoli. Se l’idea positiva di una «repubblica universale» non può tradursi in istituzione concreta, rimane la speranza di un suo «surrogato negativo»: una lega (Bund), un assetto confederativo legittimato dai vantaggi che porta ai popoli che vi aderiscono.
La lega della pace Se si vuole mettere fine a tutte le guerre e non a una soltanto, un semplice patto (trattato) di pace non basta. Ciò che occorre è piuttosto un lega per la pace. La lega per la pace non ha lo scopo di rendere uno Stato potente, in modo da incutere timore ai vicini, ma mira «alla conservazione ed alla sicurezza della libertà di uno Stato per sé e ad un tempo per gli altri Stati confederati» (p. 19).
Graduale estensione dell’idea federalistica La pace perpetua sarà raggiunta attraverso un aumento progressivo del numero degli Stati che si legheranno agli altri nel fœdus pacificum, entrando così nella lega o confederazione.
Un diritto cosmopolitico In quanto stranieri che si trovano in uno Stato diverso dal proprio, non si può reclamare, in nome di una generica filantropia, un diritto a una incondizionata accoglienza. Si ha piuttosto un diritto di visita, forma giuridicamente riconosciuta dell’ospitalità. Il diritto di visita afferma che, fintanto che si comporta pacificamente, un cittadino straniero non può essere allontanato dal paese di arrivo. Il diritto di visita discende da un principio di tolleranza, emergente a sua volta da un diritto, riconoscibile all’intera umanità, al possesso comune di tutta la superficie (sferica) della terra.
Il giudizio di Kant sulle imprese coloniali, alla luce del diritto cosmopolitico «Se si paragona con questo la condotta inospitale degli Stati civili, soprattutto degli Stati commerciali del nostro continente, si rimane inorriditi a vedere l’ingiustizia ch’essi commettono nel visitare terre e popoli stranieri (il che è per essi sinonimo di conquistarli). L’America, i paesi dei negri, le Isole delle Spezie, il Capo di Buona Speranza ecc., all’atto della loro scoperta erano per loro terre di nessuno, non tenendo essi in nessun conto gli indigeni». (I. Kant, Per la pace perpetua, Milano, Editori Riuniti,1992, pp. 22-23)
Rapporti fra morale e politica
«Oggettivamente (in teoria) non esiste […] alcun dissidio tra la morale e la politica. Ma soggettivamente (nella tendenza egoistica degli uomini, la quale però [non è] fondata su massime razionali) un tale conflitto sussisterà e potrà sempre sussistere in quanto serve come incentivo alla virtù […]». (I. Kant, Per la pace perpetua, Milano, Editori Riuniti,1992, p. 48)
Le due idee principali alla base del diritto dei popoli secondo Rawls I grandi mali della storia umana derivano dall’ingiustizia politica, con le crudeltà e la spietatezza che l’accompagnano. Una volta eliminate le forme più serie di ingiustizia politica questi grandi mali alla fine spariranno.
J. Rawls, Il diritto dei popoli [1999], Torino, Edizioni di Comunità, 2001, pp. 7-8.
Lo scopo del diritto dei popoli
Lo scopo del diritto dei popoli sarebbe pienamente raggiunto quando tutte le società fossero state capaci di stabilire regimi democratici liberali o decenti, per quanto improbabile ciò possa essere (p. 6).
La «utopia realistica» di Rawls
«Inizio e concludo con l’idea di utopia realistica. La filosofia politica è realisticamente utopica quando estende quelli che di solito sono considerati i limiti delle possibilità politiche pratiche» (p. 6).
La «società dei popoli»
Attraverso un patto di fedeltà (fœdus), estensione al livello internazionale dell’idea moderna di contratto sociale, e attraverso il rispetto del diritto dei popoli si può arrivare alla costituzione di una pacifica «società dei popoli».
Per un diritto dei popoli, contro la guerra Le società a democrazia costituzionale non entrano in guerra fra di loro. È la struttura istituzionale interna alle democrazie costituzionali a permettere che si evitino le guerre. Non occorre che i cittadini delle democrazie costituzionali siano particolarmente buoni e giusti.
p. 9
La via che porta verso la pace passa attraverso lo sviluppo di una ÂŤstruttura di base che sorregga un regime ragionevolmente giusto o decente e renda possibile un diritto dei popoli ragionevoleÂť
p. 164
Lo sviluppo della struttura di base spetta ai singoli popoli.
Distinzioni che riguardano termini e concetti I popoli tendono a identificarsi con le società in cui nascono, crescono e muoiono le persone. I popoli non sono Stati, né nazioni, né comunità. In particolare occorre fare attenzione alla distinzione fra popoli e nazioni: nella trattazione rawlsiana il concetto di “popolo” pare più ampio del concetto di “nazione”.
pp. 30-38
Concezione rawlsiana della persona La persona è intesa come «unità di base del pensiero, dei processi deliberativi e della responsabilità», inserita in «una concezione politica della giustizia, ma non in una dottrina comprensiva». La persona è dunque «adatta a essere la base di una cittadinanza democratica».
Definizione di «persona» «è persona chi può essere un cittadino, cioè un membro normale e pienamente cooperativo, per tutta la vita, della società»; «concepiamo inoltre i cittadini come persone libere e uguali; l’idea di base è che le persone siano libere grazie ai loro due poteri morali e ai poteri della ragione».
I due poteri morali Capacità di «avere giustizia», cioè la capacità di concepire «un’idea condivisa dei termini di cooperazione equi, tali da poter essere accettati da ogni partecipante, a patto che anche tutti gli altri li accettino».
Rawls parla di questo primo potere morale anche come del potere di essere ragionevoli.
Capacità di «concepire il bene», cioè la capacità di ogni singolo partecipante alla vita sociale di concepire e promuovere il proprio vantaggio individuale, ferma restando l’equa cooperazione.
Rawls parla di questo secondo potere morale anche come del potere di essere razionali.
I poteri della ragione
di giudizio; di pensiero; di inferenza.
Perché si possa parlare di persona, questi poteri devono essere legati a quelli morali.
ÂŤIl fatto di avere questi poteri nella misura minima indispensabile per essere membri pienamente cooperativi della societĂ rende uguali le personeÂť.
J. RAWLS, Liberalismo politico, Torino, Einaudi, 20053, p. 19.
Distinzioni fra popoli e loro conseguenze I popoli possono essere:
liberali
decenti
SocietĂ bene ordinate
Illiberali, indecenti
Stati fuorilegge, societĂ svantaggiate, assolutismi benevoli
Le tre caratteristiche di base dei popoli liberali Un governo democratico costituzionale ragionevolmente giusto al servizio dei loro interessi fondamentali Cittadini uniti da un «comune sentire» (seguendo J.S. Mill, cittadini che siano più disposti a cooperare tra loro che con altre persone, che desiderino vivere sotto lo stesso governo e il cui governo sia esclusivamente nelle loro mani, di tutti o di una parte di essi) Una natura morale
p. 30
Ăˆ con piena coscienza che Rawls elabora la proposta per un diritto dei popoli piuttosto che una proposta per un diritto degli Stati.
Sulla distinzione fra popolo e Stato «[È importante comprendere che nell’elaborazione] del diritto dei popoli lo Stato, inteso come organizzazione politica di un popolo, non è, per così dire, l’autore di tutti i suoi poteri. […] Dobbiamo riformulare i poteri di sovranità alla luce di un diritto dei popoli ragionevole e negare agli stati il diritto di dichiarare guerra e il diritto a un’autonomia interna illimitata, assegnatagli dalla tradizione» (p. 34).
Fermi ai tempi di Tucidide… «La prospettiva tipica delle relazioni internazionali è fondamentalmente la stessa dai tempi di Tucidide e non è stata superata in epoca moderna, quando la politica mondiale appare ancora segnata dalla lotta degli stati per il potere, il prestigio e la ricchezza in una condizione di anarchia globale. L’entità della differenza fra stati e popoli dipende da come si intendono la razionalità, la preoccupazione per il potere e gli interessi fondamentali di uno stato» (p. 36).
Popoli e pluralismo Obiezioni di fondo alla tesi di Rawls secondo cui una società dei popoli è possibile: I popoli (le società) hanno di fronte il problema del pluralismo interno. Lo stesso avviene se si passa al livello superiore delle relazioni fra popoli (società). Il pluralismo è un ostacolo insuperabile alla convivenza dei cittadini secondo giustizia e alla costituzione di una pacifica società dei popoli.
Un pluralismo ragionevole Risposte di Rawls: Se il pluralismo è ragionevole, il raggiungimento di un accordo di natura politica all’interno di una società è possibile e quella società potrebbe sperimentare la giustizia. Se il pluralismo è ragionevole, è possibile – per quanto difficile – arrivare alla costituzione della società dei popoli.
La ragionevolezza
La ragionevolezza si può estendere su tre livelli:
Ragionevolezza dei singoli individui Ragionevolezza interna alle società Ragionevolezza estesa alla società dei popoli
La ragione pubblica
«I cittadini comprendono che […] hanno bisogno di […] esaminare quali tipi di ragioni possano ragionevolmente offrirsi l’un l’altro quando sono in gioco questioni politiche fondamentali» (pp. 175176).
Il criterio di reciprocità «Il criterio di reciprocità richiede che, nel proporre certi termini di cooperazione come i più ragionevoli, chi li difende pensi che anche gli altri possano per buone ragioni accettarli, e farlo in quanto cittadini liberi ed eguali, non assoggettati o manipolati da alcuno, né sotto la pressione di una posizione politica o sociale inferiore» (p. 182).
Un modello espositivo per il contrattualismo di Rawls I livello: posizione originaria e velo d’ignoranza per arrivare a princìpi di giustizia accettabili e condivisi in una società liberale.
II livello: posizione originaria e velo d’ignoranza per arrivare alla formazione di una società dei popoli liberali e decenti.
In una società liberale giusta, i cittadini sono rappresentati da parti razionali, che collocandosi nella posizione originaria, sotto un velo d’ignoranza, si impegnino a scegliere i princÏpi di giustizia validi per la struttura di base.
pp. 39-40
«Si ricordi che noi siamo alla ricerca di una concezione politica della giustizia adatta a una società democratica, vista come sistema di equa cooperazione fra cittadini liberi ed eguali che, in quanto politicamente autonomi, accettino volontariamente i princìpi di giustizia pubblicamente riconosciuti che determinano gli equi termini di questa cooperazione» (pp. 40-41).
Il velo d’ignoranza al di sotto del quale ci si pone prima di scegliere i princÏpi di giustizia deve essere cosÏ spesso da impedire che si conoscano le dottrine comprensive delle singole persone.
I due principi di giustizia 1)
Ogni persona ha un uguale diritto a un sistema pienamente adeguato di uguali diritti e libertà fondamentali; l’attribuzione di questo sistema a una persona è compatibile con la sua attribuzione a tutti, ed esso deve garantire l’equo valore delle uguali libertà politiche, e solo di queste.
2)
Le disuguaglianze sociali ed economiche devono soddisfare due condizioni: primo, devono essere associate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa uguaglianza delle opportunità; secondo, devono produrre il massimo beneficio per i membri meno avvantaggiati della società.
J. RAWLS, Liberalismo politico, Torino, Einuadi, 20053, p. 7.
Elenco di base dei cinque beni primari a) diritti e libertà fondamentali, specificati a loro volta da un elenco; b) libertà di movimento e libera scelta dell’occupazione in un contesto di occasioni diversificate; c)
poteri e prerogative delle cariche e delle posizioni di responsabilitĂ nelle istituzioni politiche ed economiche della struttura di base;
d) reddito e ricchezza; e) basi sociali del rispetto di sĂŠ.
J. RAWLS, Liberalismo politico, 20053, p. 166. Cfr. anche Ivi, p. 282.
Adattamenti fra I e II livello
Nel passaggio dal I al II livello, il modello deve essere adattato: al II livello le parti poste sotto il velo d’ignoranza ignorano, per esempio, l’estensione del territorio o l’entità della popolazione o l’entità delle risorse naturali o il loro livello di sviluppo economico, ecc.
Ignorano soprattutto la concezione comprensiva fatta propria dal loro popolo, perchĂŠ una societĂ liberale non ha una concezione del bene comprensiva. p. 44
Divieto di andare verso uno Stato mondiale
I princĂŹpi del diritto dei popoli consentiranno una varietĂ di forme di associazione e federazione fra popoli, ma non uno Stato mondiale, perchĂŠ si rischierebbe un dispotismo globale.
Otto princìpi rawlsiani; articoli kantiani 1) I popoli sono liberi e indipendenti, e la loro libertà e indipendenza devono essere rispettate dagli altri popoli. 2) I popoli sono tenuti all’osservanza dei trattati e degli impegni presi. 3) I popoli sono eguali e prendono parte agli accordi che li vincolano. 4) I popoli sono tenuti all’osservanza del dovere di non intervento.
1. Nessun trattato di pace deve considerarsi tale, se è stato fatto con la tacita riserva di pretesti per una guerra futura. 2. Nessuno Stato indipendente (non importa se piccolo o grande) può venire acquistato da un altro per successione ereditaria, per via di scambio, compera o donazione. 3. Gli eserciti permanenti devono con il tempo scomparire completamente.
5) I popoli hanno diritto all’autodifesa, ma non hanno alcun diritto di scatenare una guerra per ragioni diverse dall’autodifesa. 6) I popoli sono tenuti a onorare i diritti umani. 7) I popoli sono tenuti all’osservanza di certe specifiche restrizioni nella condotta in guerra.
4. Non si devono contrarre debiti pubblici in vista di controversie fra Stati da svolgere all’estero. 5. Nessuno Stato deve intromettersi con la forza nella costituzione e nel governo di un altro Stato. 6. Nessuno Stato in guerra con un altro deve permettersi atti di ostilità che renderebbero impossibile la reciproca fiducia nella pace futura: come, ad es., l’assoldare sicari, ed avvelenatori, …
8) I popoli hanno il dovere di assistere altri popoli che versano in condizioni sfavorevoli tali da impedire loro di avere un regime sociale e politico giusto o decente.
Articoli definitivi per la pace perpetua tra gli Stati 1. La costituzione civile di ogni Stato dev’essere repubblicana. 2. Il diritto internazionale dev’essere fondato su un federalismo di liberi Stati. 3. Il diritto cosmopolitico dev’essere limitato alle condizioni dell’universale ospitalità.
Differenza rispetto al trascendentalismo kantiano Il liberalismo politico è distinto dal trascendentalismo kantiano, perché specifica l’idea del ragionevole, invece che collocarla sullo sfondo, come avviene per la ragione pratica di Kant. L’idea del ragionevole (ragione pratica) rawlsiana «consiste né più né meno che nel ragionamento su cosa fare, oppure nel chiedersi quali istituzioni e politiche siano da considerarsi ragionevoli, decenti o razionali, e perché. Non ci sono liste di condizioni necessarie e sufficienti […] differenze di opinione in proposito sono più che probabili» (p. 115).
Ancora sulle differenze fra I e II livello Gli interessi fondamentali dei cittadini risultano dalle loro concezioni del bene e dalle loro «capacità di realizzare a un livello adeguato i loro due poteri morali».
Gli interessi fondamentali di un popolo risultano «dalla sua concezione politica della giustizia e dai princìpi alla luce dei quali aderiscono al diritto dei popoli». p. 51
Per un mercato libero e concorrenziale In nome del diritto dei popoli, le nazioni più ricche non monopolizzano né formano oligopoli o cartelli.
Equi standard (specificati, seguiti e fatti rispettare) negli scambi sono la conseguenza del trovarsi nella posizione originaria sotto il velo d’ignoranza. p. 55
L’apprendimento morale (non kantiano)
I popoli vedono i vantaggi che vengono, in termini di benessere, dal rispetto delle norme del diritto dei popoli.
Con «il passare del tempo tendono ad accettare questo diritto come ideale di condotta».
Questo «processo psicologico», essenziale all’utopia realistica, è un vero apprendimento morale.
Il Kazanistan
I popoli decenti non possono essere accusati di non rispettare i diritti umani. Per questo sarebbe un errore escluderli dalla società dei popoli. Il “caso Kazanistan” insegna.
p. 99-103
Gli svantaggi di un diritto cosmopolitico In nome di un diritto dei popoli realistico, inclusivo dei popoli decenti, il contrattualismo non può aprirsi a un diritto cosmopolitico. «La preoccupazione ultima di una prospettiva cosmopolitica è il benessere degli individui, non la giustizia delle società. Secondo questa prospettiva, anche dopo che ciascuna società particolare ha realizzato istituzioni giuste al suo interno, si pone ancora la questione della necessità di un’ulteriore distribuzione globale» (p. 160).
Conclusioni
«Non si trova la pace denunciando l’irrazionalità o la distruttività della guerra, per quanto tutto ciò sia vero, ma approntando la strada percorrendo la quale i popoli siano in grado di sviluppare una struttura di base che sorregga un regime ragionevolmente giusto o decente e renda possibile un diritto dei popoli ragionevole» (p. 164).