LA REALTA' DEL COVID19 SUI POSTI DI LAVORO

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LA REALTÀ DEL COVID19 SUI POSTI DI LAVORO. Contributo della federazione FLAICA CUB TORINO


Alla fine di Maggio il rapporto dell’INAIL sugli infortuni sul lavoro ex COVID-19 ha fotografato una realtà ben diversa da quella che ci è stata raccontata a proposito della “democraticità” dell’infezione da Coronavirus.Dalla fine di Febbraio alla fine di Maggio gli infettati e le infettate sul posto di lavoro sono stati quasi 45 mila (43.399 per l’esattezza) e i morti sono stati 171. Un terzo degli infortuni e quasi metà dei decessi sono avvenuti in Lombardia, la regione italiana che ha mantenuto aperti più siti produttivi in percentuale su quelli esistenti durante il lockdown; se aggiungiamo alla Lombardia Piemonte e Liguria i numeri sono ancora più impietosi: il 55.2% degli infortuni e il 57.9% dei morti. Non si tratta solo del fatto che nel nord ovest italiano si concentra la maggior parte dell’industria nazionale (quella per intenderci che non ha mai chiuso), si tratta di un’attitudine al disprezzo dei rischi delle lavoratrici e dei lavoratori che è nettamente più diffusa nelle zone d’Italia dove il mito della produttività ad ogni costo ha attecchito maggiormente in questi decenni.


Naturalmente la Sanità risulta essere il posto di lavoro maggiormente a rischio; la maggior parte degli infortuni riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale (infermiere ed OSS) anche se i mediaci pagano un tributo altissimo in termini di morti professionali. Anche qui categorie di lavoratrici e lavoratori sono stati sacrificati sull’altare dei tagli alla spesa sanitaria e su quello del trasferimento continuo di fondi alla sanità privata, rivelatasi durante la fase acuta dell’epidemia una macchina mangiasoldi per di più assolutamente inutile dal punto di vista della salute pubblica.Un altro dato sconvolgente riguarda l’età media dei morti da Covid-19 sul lavoro; se il 70 % si concentra nella fascia d’età 50-64 anni, il 20% appartiene alla fascia oltre 64 anni. Una delle tristi conseguenze delle continua controriforme delle pensioni subite in queswti anni. Senza la Fornero, queste morti non ci sarebbero state dal momento che chi ha lasciato la pelle non avrebbe dovuto più essere in un posto di lavoro.


Dal punto di vista del genere i dati dell’INAIL confermano come in Italia ci siano mestieri per donne, meno pagati, più pesanti e più fortemente a rischio dal punto di vista sanitario; lavori cura, lavori di pulizia, lavori di servizio ed assistenza alla persona, oltre che il lavoro nella Grande Distribuzione. Le donne infatti sono il 71,7% delle infortunate; i lavori “femminili” occupano gran parte delle denunce di infortunio: 72,8% sanità e assistenza sociale, 12,9% commercio e grande distribuzione. Solo al terzo posto troviamo un settore tipicamente maschile come il trasporto e magazzinaggio dal quale arriva il 9.7% degli infortunati.Di fronte a questi dati la posizione assunta dall’INAIL che ha iniziato a rendere più difficile il riconoscimento degli infortuni da Covid ci dice moltissimo di cosa sia il “ritorno alla normalità” così auspicato da Governo, opposizione e padroni: un bel telo bianco steso sulla tragedia sanitaria che la nostra classe ha vissuto in questi mesi.


Ma siccome la “festa (per modo di dire)” è passata, l’INAIL ha anche contribuito a ridurre i premi assicurativi per i lavoratori fragili, aumentando la quota di risparmio dell’ente destinata a garantire il debito pubblico italiano (31 miliardi di euro). L’ovvia conseguenza è che i lavoratori e le lavoratrici fragili si troveranno ora senza la necessaria copertura assicurativa e rischiano di essere mandati a casa, magari ad anni dalla pensione, senza una lira in tasca.Tutto questo avviene in un paese dove la media annuale dei morti sul lavoro è passata da 2,21 decessi al giorno a 3,82. In altre parole, ogni 100 lavoratrici e lavoratori che ogni giorno escono da casa per andare al lavoro, ce ne sono 4 che non torneranno a casa.

ALLORA, SIAMO ANCORA CONVINTI CHE SIAMO TORNATI A LAVORARE IN SICUREZZA?


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