ATTI DEL CONVEGNO:
Parole in conserva: “O Briganti o Migranti” di
Flaviano Garritano
Quaderno n. 12 Stampato in proprio Online: www.academia.edu www.issuu.com
INTRODUZIONE
Il presente opuscolo riporta gli atti del convegno tenutosi nel borgo di Tarsia (CS) sul tema dei briganti nella valle del Crati. Un dibattito all’aperto tenutosi in una calda sera d’estate nell’accogliente centro storico con la dott.ssa Emilia Sannuto e il prof. Franco Marchianò. Il convegno si è svolto nell’ambito delle manifestazioni culturali dell’Amministrazione del Comune di Tarsia.
Il fenomeno del brigantaggio va innanzitutto delineato dal punto di vista geografico e temporale. Si parla di briganti nella Calabria Citra (grosso modo la provincia di Cosenza e di Catanzaro), nelle montagne della Basilicata e in alcune parti del Lazio. Quindi bisogna dire che non era un fenomeno diffuso in tutto il territorio nazionale ma in alcune aree specifiche. Per quando riguarda il periodo bisogna dire che molti scrittori, in diverse epoche, ne hanno parlato ma io voglio soffermarmi nell’Ottocento che ha visto diversi cambi di governo e poi c’è stata l’Unita d’Italia: uno spartiacque. Il brigantaggio da noi era organizzato in bande armate, la “compagnia” come si firmavano loro in dei “viglietti” di riscatto; la loro forza non erano tanto le armi ma i manutengoli, che gli fornivano viveri, notizie e anche ospitalità; e poi c’era il territorio impervio e poco accessibile che li aiutava a nascondersi e preparare le loro imboscate. Per conoscere meglio il brigantaggio bisogna leggere scrittori di quel periodo, che hanno vissuto quella realtà condizionata dalle angherie di questi fuoriusciti. Ho letto diversi scrittori dell’ottocento che parlano del brigantaggio in Calabria, in particolare nella Sila e in val di Crati. Nicola Misasi elegge la Sila a monumento nel suo libro “Magna Sila” e con i suoi romanzi ci descrive questi briganti quasi come se fossero dei Robin Hood. Norman Douglas ad inizio Novecento, attraversando al nostra Calabria, si lascia scappare un termine quando arriva in Sila e la definisce “il paese dei briganti” proprio per far capire che questa montagna boscosa era infestata dai briganti che facevano il bello e il cattivo tempo proprio per la morfologia della stessa. Poi c’era un prete di Acri un po’ rivoluzionario, come lo definivano alcuni, che per le sue lotte contro i ricchi latifondisti del tempo e per essere favorevole all’occupazione delle terre da parte dei contadini che vedevano usurpati gli “usi civici” pagò un caro prezzo: l’uccisione del fratello Giacomo, percosse verso la sua persona, processi e il controllo continuo e costante della sua persona da parte polizia sotto il governo borbonico. Gli fu negata la possibilità di insegnare, la sua famiglia fu vista sempre con un occhio di diffidenza e fu costretto a lasciare la sua terra di Acri, dovette riparare prima a Rossano, ospite di alcuni amici di famiglia, e poi a Napoli ma sempre sotto vigilanza della polizia. Questo prete con le sue vicende e i
suoi ideali unitari e di libertà dovette migrare in altre terre ma non si fermò mai nelle sue battaglie infatti con l’unità d’Italia poté insegnare e fondò il giornale “Il Bruzio” e con l’uso della penna fece un’importante descrizione socio - antropologica della situazione in cui versava questa nostra terra. Denunciò le angherie dei briganti e li invitò a costituirsi poiché non avrebbero avuto altra scelta. Infine vorrei ricordare Alexandre Dumas che nei suoi scritti fa un’affermazione: “in Calabria il fenomeno del brigantaggio è endemico”, un’affermazione grave ma vera che stava a significare che qui in ogni età ci sono stati dei briganti che hanno condizionato la realtà in cui operavano. Quindi se vogliamo conoscere questo fenomeno non bisogna guardare ai briganti con gli occhi di oggi ma bisogna immergersi in quel periodo, altri tempi correvano per queste mulattiere. Ogni brigante ha una sua storia, non vi era uno schieramento politico ma ognuna di queste bande “compagnie” aveva un modus operandi a seconda del periodo e della convenienza. Potrebbero essere dei delinquenti come degli eroi a seconda di come vogliamo guardarli ma non è un’analisi completa. Inoltre vi è da aggiungere che si cadrebbe in errore se associamo ai briganti solo figure maschili. Infatti diverse furono le donne che hanno partecipato ad assalti delle compagnie ed in particolare c’è la cavallerizza Maria Oliverio alias “Ciccilla” moglie del temuto brigante Pietro Monaco. Sulla sua personalità già il suo soprannome la dice lunga, infatti siccome il Re di Borbone era detto “Franceschiello”, che in dialetto veniva trasformato in “ciccilluzzu”, lei, Maria Oliverio quale regina e cavallerizza della sua banda di briganti, si fece chiamare “Ciccilla”. Era una bella donna, prima di diventare una feroce sanguinaria i testimoni del tempo la descrivono come cattolica e di buona famiglia, ma poi si diede alla “macchia” per seguire il marito e ne fu coinvolta in un vortice sanguinario che molti sapranno come finì anche se ci sono cose nuove sul suo epilogo e che presto verranno pubblicate. Il fenomeno del brigantaggio va visto quindi nel suo complesso dei suoi aspetti socio antropologici come dice lo storico Peppino Curcio: i briganti avevano come protettrice la Madonna del Carmine, avevano strette relazioni con i carbonai e si sposavano tra loro. I loro indumenti, il loro vestito sempre nero, era quasi una divisa, così come il loro cappello a
punta, un distintivo. E poi c’era il pugnale fatto e forgiato su commissione: chi lo faceva sapeva già a chi andava e per cosa sarebbe servito. Secondo lo storico Peppino Curcio sembra che ci fosse una sorta di gerarchia nelle bande e la lavorazione del pugnale ne indicava proprio il “grado”. Capite benissimo che c’è ancora molto da ricercare su chi fossero questi briganti.
Tarsia, 13 agosto 2018
Teschi di briganti a Campotenese (1852)