uomini e sport
2
d i Simo n e Mo r o | p ag. 4
Grande Evento Sul Grignone, Inaugurato Il Bivacco Riva-Girano
d i S e r g i o L o n g o n i | p ag. 8
Una Baita Sul Grignone Conquista L’emigrante Venuto Dal Sud
d i Pa o l o F i o c c hi | p ag. 10
L e Pr ospe t t i v e Agonis t iche Dello Sno w
d i C e s ar e Pi s o n i | p ag. 12
Proposte Per Freeriders Avventurosi | p ag. 14
d i Riky Felderer; C e s ar e Pi s o n i
K ilian Bur gada | p ag. 18
d i ASD Fal c hi
Mt b Mongolia Bike Challenge | p ag. 22
d i S t e f an ia Val s e c c hi
Mt b Tr av er s a t a Delle Dolomi t i | p ag. 26
d i S t e f an ia Val s e c c hi
C as sin, A Un A nno Dalla Mor t e | p ag. 30
d i Re na t o Fr i g e r i o
Il Tor Des Géants, Una Gara Unica | pag. 31
intervista ad Alessandro Crippa
Sup er v isione: S er gio L ongoni In r e da z ione: Daniela L ongoni, Fabio Palma C ollab or a t or e: Rena t o Fr iger io P e r man dar e n o t i z i e o p r o p o s t e ar t i c o li in f o@d f- s p o r t s p e c iali s t .i t s o g g e t t o: UOMINI& SP OR T o p p ur e DF SP OR T SPECI A L IS T Re da z i o n e Uo mini& Sp o r t V I A FIGL IOD ONI 14 23891 BA RZ A NO’ ( L c) Nume r i ar r e t r a t i s u w w w.d f- s p o r t s p e c iali s t .i t
in c o p e r t ina: FREERID E . F o t o a r c h i v i o DA INES E
INDICE
Inverni Ad Alta Quota
uomini e sport
EDITORIALE E
cco il secondo numero di Uomini&Sport,
che sarà una rivista trimestrale e che, come annunciato già nel primo editoriale, sarà una rivista che tratterà tutti gli Sport, cercando anche di scavare nelle storie sportive del nostro territorio. Abbiamo la fortuna di avere tanti Testimonials e amici in tutti gli sport, ma dovrete anche essere voi lettori a stimolarci con proposte di nuovi articoli, idee e curiosità. Nel frattempo ci stiamo organizzando per costruire rubriche strutturate, che recuperino articolo storici e che siano tempestive nello scoprire lo sport lombardo. Come vedete, siamo già cresciuti, raddoppiando le pagine, e il primo numero, letteralmente volatilizzatosi, è naturalmente disponibile sul nostro sito. Vi invito alle nostre serate, quando leggerete queste righe avremo già ospitato il leggendario Doug Scott, un alpinista inglese che con Messner e Bonington ha scritto la storia dell’alta quota degli anni ’70. Il 18 Novembre a Sirtori avremo Kilian Burgada, campione del mondo di scialpinismo e dominatore dello skyrunning,fuoriclasse che conoscerete meglio con questa numero. Poi il 25 Novembre a Lissone, Franco Gionco presenterà una nuova serata con fotografie bellissime delle Alpi e della Norvegia e il suo nuovo libro, accompagnato dal Presidente del comprensorio sciistico della Paganella il quale omaggerà i presenti con giornalieri per gli impianti sciistici , accompagnati dalla degustazione di prodotti tipici del Trentino. E noi non mancheremo di completare il tutto con un buon bicchiere di vino e piatti di buoni assaggi.
Sergio Longoni
D A I
N O S T R I
Inverni ad alta quota
T E S T I M O N I A L S
di Simone Moro
Sono oltre 20 anni che Simone Moro è testimnial del cammino di Sergio Longoni, prima con la Longoni sport, poi con Sport Specialist. Ed ecco il perché: Simone è uno dei più forti Himalayisti al mondo, e vanta un curriculum davvero entusiasmante, che non è corso dietro la collezione degli 8000 ma piuttosto la ricerca di salite innovative. LHOTSE (2 volte) – SHISHA PANGMA (2 volte) - EVEREST (3 volte) – CHO OYU – BROAD PEAK - VINSON in Antartide, 5 vette di oltre 7000 metri in Pamir, Thien Shan e Nepa e molte altre vette di 6000 e 5000 metri. E, nel 2009, la prima invernale del colossale Makalu, insieme a Denis Urubko
4
Ho appena finito di passare la seconda notte in una portaledge, l’amaca rigida che si usa in alpinismo ed in arrampicata laddove non esiste la possibilità di piazzare una tenda o un bivacco comodo. Non sono su nessuna parete alpina o Himalayana, ma appeso a 30 metri da terra su una delle più alte strutture di Oslo. E’ un’iniziativa commerciale del mio sponsor principale in occasione dell’opening di uno store monomarca nella capitale Norvegese. E’ curioso e buffo vedere la gente che cammina nel centro della città e si ferma col naso all’insù per guardare questa strana tendina sospesa e chi c’è dentro. Essendo posizionata sulla verticale del negozio che aprirà stamattina richiama decisamente l’attenzione anche sulle vetrine sottostanti piene di prodotti e fotografie d’avventura dello stesso brand. Tra poco scenderò da qua ed entrerò nel negozio per la cerimonia di apertura ma avendo a disposizione ancora qualche minuto ho deciso di scrivere questo pezzo. Ciò che mi aspetta tra 3 mesi esatti sarà decisamente diverso e molto più autentico di questo comodo bivacco urbano. .. Partirò infatti per la mia ennesima (undicesima) spedizione invernale e questa volta l’obbiettivo sarà il Gasherbrum 2, in Karakorum, Pakistan, con l’intento di realizzane la prima scalata di sempre nella stagione fredda. Il 21 dicembre di ogni anno inizia astronomicamente la stagione invernale e come sempre si è usato e rispettato nel mondo alpinistico, si aprirà la stagione che per 3 mesi offrirà la possibilità a chi ne è capace e ne è intenzionato, di realizzare la propria azione verticale invernale. Farlo sulle Alpi ha rappresentato per decenni il simbolo di quell’alpinismo
eroico, estremo e forse irripetibile di quei grandissimi uomini , famosi e meno, che hanno scritto pagine indelebili di alpinismo. Poi sono arrivati i polacchi, con Andrej Zawada, che hanno inventato l’alpinismo invernale himalayano sugli 8000 metri e nel 1980 aprirono i “giochi” subito con l’Everest che salirono fino in vetta il 12 febbraio di quell’anno grazie alla tenacia e all’abilità di K. Wielicki e L Cichy. Da allora e per otto anni solo loro, i polacchi, riuscirono a raggiungere in prima mondiale 7 delle 14 vette che superano quota 8000. Sembravano capaci solo loro di soffrire e combattere con la stagione più inospitale dell’anno per realizzare i sogni gelidi e alti dell’Himalaya e quelle scalate invernali erano divennero una loro esclusiva abilità. Dopo la salita del Lhotse del 31 dicembre 1988 però, si interruppe questa inesorabile collezione di prime salite mondiali invernali agli 8000 e per 17 anni più nessuno riuscì a proseguire ed evolvere in queste fredde esplorazioni verticali. Io come tantissimi altri giovani alpinisti avevo letto e sognato leggendo le cronache e guardando le fotografie dell’alpinismo invernale polacco in Himalaya, nonché del grande alpinismo precedente realizzato dai miti dell’alpinismo. Fui decisamente ispirato come tanti altri, da queste vicende e fu dunque per me naturale crescere applicando le regole e gli insegnamenti appresi da chi aveva creato il mondo verticale in cui avevo deciso di vivere. Ecco perché già alla mia seconda spedizione, nel 1993, partii per una salita invernale in sud America all’Aconcagua che salii in stile alpino ed in velocità in compagnia di Lorenzo Mazzoleni. Ma quattro anni dopo non poteva non arrivare anche il momento di una invernale in Himalaya.
5
D A I
N O S T R I
T E S T I M O N I A L S
Inverni ad alta quota
Quella del Natale 1997 alla parete sud dell’Annapurna fu la mia prima, tragica esperienza d’inverno in altissima quota, di cui sono note le vicende riguardanti la morte di Anatoli Boukreev e del mio rocambolesco autosoccorso e salvataggio dopo un volo di 800 metri travolto da una valanga. Incassai il colpo, riflettei molto sul da farsi e alla fine continuai la mia carriera alpinistica mantenendo fede ai sogni di salite invernali, traversate, nuove vie, salite in velocità. Tornai dunque in Himalaya in inverno dopo un analoga esperienza vittoriosa in Thisn Shan sulla montagna chiamata Pik Mramornaiestina. Nel 2005 erano passati 17 anni dall’ultima salita invernale di un 8000 e sembravano quasi stregate la sette vette di 8000 metri rimanenti. Non volevano lasciarsi scalare d’inverno e la partita rimaneva ferma al 1988 col raggiungimento del 50% delle salite effettuate dopo il 21 dicembre. Finalmente il 2005 fu l’anno buono. Per la prima volta nella storia veniva salito il Shisha Pangma 8027 metri e per la prima volta c’era un non polacco sulla cima. C’era un italiano, colui che scrrive…. Assieme a me l’amico (polacco) Piotr Morawski. Divennero dunque 8 le cime salite d’inverno e rimanevano le ultime 6 da scalare. Il K2, Broad Peak, Gasherbrum 1 e 2, Nanga Parbat in Pakistan ed il Makalu in Nepal. Dopo due personali tentativi al Broad Peak 8047 m nel 2007 e 2008 dove mi fermai a meno di 200 metri dalla cima ed altri tentativi effettuati da altre spedizioni s altre montagne, venne la mia spedizione invernale al Makalu del 2009. Fu una spedizione leggera e veloce come fu quella al
6
Shisha Pangma, ma su un ottomila decisamente più alto e difficile. Quasi 8500 metri che da 29 anni resisteva a tutti i tentativi di salita invernale da parte dei più noti e forti alpinisti. Tentai la salita in compagnia di Denis Urubko, l’amico kazako con cui ho condiviso gli ultimi 11 anni di alpinismo. In 19 giorni, sfruttando la nostra velocità e l’approccio in stile alpino alla salita e acciuffando al volo le prime due finestre di bel tempo, raggiungemmo la vetta della quinta cima più alta del pianeta e chiudemmo i giochi con le montagne Nepalesi. Anche il Makalu, la nona vetta salita in invernale, venne annoverata tra le pagine di storia verticale realizzate.In primavera del 2010 fu l’anno in cui salii per la mia quarta volta l’Everest ,ma l’inverno che aveva preceduto quella spedizione era stato un dei pochi degli ultimi anni in cui avevo deciso di stare a casa e guardare cosa sarebbe accaduto in Karakorum visto che c’erano due spedizioni che avevano raccolto l’invito indiretto che le mie realizzazioni invernali avevano rilanciato nella comunità alpinistica. Purtroppo il meteo fu pessimo e le due spedizioni dovettero tornare a casa a mani vuote. Ora sta per arrivare la nuova stagione fredda ed ecco perché riparto per il Karakorum. Quei cinque 8000 aspettano ancora di essere saliti e mi piacerebbe tanto materializzare anche in quella catena montuosa una prima storica salita. Denis Urubko sarà il mio compagno e Cory Richards il fotografo e cameraman che documenterà quel tentativo. Sarà difficile, complicato, costoso e le possibilità di riuscita saranno come sempre molto basse, ma ricordo che lo erano anche al Shisha Pangma e al Makalu…
Simone Moro
7
E S C U R S I O N I S M O
Grande evento sul Grignone, inaugurato il bivacco Riva-Girano di Sergio Longoni
C’erano centinaia di persone, il 26 Settembre, sulle pendici del Grignone per l’inaugurazione del bivacco voluto da Sergio Longoni alle storiche baite dei Comolli, che sorgono a 1900 metri sul sentiero invernale che conduce alla cima. Una giornata splendida, incastonata fra un Sabato e un Lunedì invernali, davvero un bel auspicio per il futuro del bivacco, sicuramente utile a tutti gli amanti del montagna. Il bivacco offrirà un appoggio ai numerosissimi escursionisti diretti in cima al Grignone o al rifugio Brioschi: uno spazio di 180 mq attrezzato con stufa, legna, un fornello, un grande tavolo di ottima fattura, e primi generi alimentari. Tutto, insomma, anche per un buon thè o caffè anche quando in pieno Inverno si procede fra neve alta. Cinque posti letto al piano superiore, soppalcato, in legno e dotato di materassi, che possono ospitare 4/5 persone. Ecco il bivacco Riva-Girani, che sorge a fianco della baita dedicata alle due figlie di Longoni, Francesca e Daniela e che da oggi offrirà ristoro agli escursionisti diretti sul Grignone dalla via invernale. da sinistra: Sergio Longoni, Don Bruno, Silvana Longoni, Daniela Longoni
Il bivacco porta il nome di Ermanno Riva e Piero Girani. Due grandi amici che hanno condiviso con lui momenti particolarmente felici della loro vita. Nel discorso, un Longoni particoalarmente emozionato ha detto “Due persone speciali, come ricordano tutti cloro che li hanno conosciuti. Spero che le famiglie siano contente di questa dedica” ha detto Longoni durante il commosso discorso inaugurale che ha preceduto la S. Messa. Per l’inaugurazione, il patron di Sport Specialist ha portato lassù tutto il team del punto vendita di Sirtori e molti altri dai vari negozi Sport Specialist, e si è svolta anche una dura gara di mountain bike. Inoltre, un elicottero ha permesso a numerosissime persone, con tanti viaggi, di arrivare sul posto anche se non in grandi condizioni fisiche. Presente anche il tradizionale rinfresco a base di ravioli, pane e mortadella offerto a tutti gli intervenuti, oltre a vino e grappa, proprio come accade alle serate d’alpinismo di Bevera di Sirtori. Molto toccante la predica della messa di Don Bruno seguita con attenzione anche da tantissimi bambini che sono saliti lungo i 1200 metri di dislivello senza battere ciglio e portando una grande ventata di allegria.
8
Sergio Longoni
9 9
E S C U R S I O N I S M O
U NA BAITA SUL GRIGNONE CONQUISTA L’EMIGRANTE VENUTO DAL SUD
di Paolo Fiocchi
Per gentile concessione dell’autore, riportiamo integralmente un suo articolo che, con il titolo “Un salernitano sulle montagne di Lecco”, è stato pubblicato sulla rivista valsassinese “Il Grinzone”. A motivo di una più evidente coincidenza con l’articolo che in questo numero si richiama alle stesse baite “Comolli”, abbiamo solo dato un titolo diverso e modificato due semplici vocaboli.
10
Vittorio Faiella, meglio conosciuto come Pappagone, nativo di Cava dei Tirreni, giunse a Lecco in cerca di lavoro, come tanti altri meridionali, alla fine degli anni 50. Aveva circa vent’anni ed era stato chiamato da un cognato già stabilitosi in zona. Ottimo lavoratore, non tardò a trovare un buon posto in una delle tante officine del Lecchese. Dopo alcuni anni lasciò Lecco, per raggiungere un fratello in Canada, dove però non riuscì ad ottenere il permesso di lavoro. Dovette quindi rientrare in Italia a Lecco presso la sorella. Il caso volle che trovasse il nuovo lavoro presso l’officina di Dino Piazza, uno dei più forti alpinisti del gruppo Ragni. Dino lo prese in simpatia e incominciò a portarlo in montagna, dapprima come portatore e poi, visto l’entusiasmo di Vittorio, su vere e proprie ascensioni. Non si riesce a ricostruire il passato più che escursionistico di Vittorio, ma risulterebbe aver
fatto in Val Malenco, tra l’altro, la Nord del Cassandra: alcune fotografie lo ritraggono, ancora giovane e biondo, su un’impegnativa parete di roccia. Nel frattempo molti dell’ambiente alpino lo avevano conosciuto e l’avevano soprannominato Pappagone, dal famoso personaggio di De Filippo, a causa del suo forte accento napoletano che non perderà mai. La sua disponibilità e la sua simpatia gli procurarono subito molte amicizie; fra gli altri conobbe il Sig. Comolli, proprietario delle baite dette del “pittore”, site sul versante Sud del Grignone a quota 1.800 circa, lungo la via invernale per la vetta. Pietro Comolli, ormai anziano, affidò la custodia di una delle baite a Vittorio. Vittorio la riordinò e in breve tempo la rese abitabile: si concretizzò così la sua passione per il Grignone.
E S C U R S I O N I S M O
La attrezzò con ogni possibile confort, giungendo a installarvi una cucina economica, una a gas con forno e un doppio sistema di illuminazione, a gas ed elettrico con un piccolo generatore a benzina. Il problema dei rifornimenti diventò importante, specialmente per la legna da bruciare, ma Vittorio lo seppe sempre gestire con la sua fantasia tipicamente meridionale. Essendo stato sempre disponibile ad aiutare il gestore del rifugio Brioschi, ottenne il permesso di usare la teleferica della vetta, che ha una sosta tecnica alla stessa altezza delle baite, a una distanza di circa 200 metri. Ma in caso di necessità trovava sempre qualche conoscente, che si metteva nel sacco qualche pezzo di legna in cambio di un buon calice di vino. Nel frattempo le slavine avevano semi distrutto le altre baite, ma quella di Vittorio si era salvata, non sporgendo dal filo del terreno. E così ogni domenica, fino a quando lavorò, Vittorio saliva alla sua baita partendo all’inizio dalla cappelletta dei Grassi Lunghi e poi da dove riusciva ad arrivare con la sua Panda. Spesso raggiungeva anche il rifugio Brioschi dove aiuta-
va il gestore, ma anche apriva la cucina e preparava, per qualche amico di passaggio, due spaghetti cotti al punto giusto e conditi con l’ottimo sugo preparato dalla moglie. Naturalmente, dalla sua baita controlla il passaggio verso la vetta; non passa ancora oggi persona, senza essere riconosciuta fin da lontano. Conobbi Vittorio alla capanna Ventina dove era salito per aiutare nel montaggio del bivacco Rauzi in cima al Disgrazia. Lo ritrovai alla sera, dopo essere salito in vetta e ridisceso per la parete Est, nel campo base dei lavori posto sulla vedretta sottostante. La serata, insieme al dottor Rauzi e alle guide, fu molto piacevole. Da allora lo incontrai sovente sui sentieri delle nostre montagne oppure a casa dove spesso passava a salutarmi. Un bel giorno annunciò che andava al Sud per sposarsi: poco dopo arrivò a presentare la moglie, una bella ragazza che gli era stata indicata dalla famiglia e che lui aveva visto solo due o tre volte prima del matrimonio, naturalmente sempre sotto l’occhio vigile di qualche zia. Il Sig. Comolli lo incaricò in quel periodo di provvedere alla manutenzione di una baita che possedeva nella zona
di Chiareggio, e Vittorio incominciò a frequentare anche la Val Malenco, salendo spesso alla Porro dove si aggregava a qualche cordata per salire le cime che contornano la vedretta del Ventina. Anche lì incominciò i suoi scambi di cortesia a base di “pomarole” e mozzarelle ricevendo in ringraziamento le cose più strane, come le piastre per cuocere i cibi sul fuoco del camino. Grande camminatore, malgrado un piccolo difetto a un piede, non è mai stato un grande sciatore. Lo portai una volta, con il nostro gruppo di scialpinismo, a fare il Gran Paradiso: non ebbe nessun problema in salita ma, in compenso, faticammo non poco per farlo scendere, anche a causa della neve abbastanza difficile. Ricordiamo tutti la sua entrata al rifugio Vittorio Emanuele pronunciando in perfetto napoletano “Pappagone è finito”. Ormai da parecchi anni ha abbandonato gli sci, ma anche con molta neve fresca raggiunge ugualmente le “baite”, aprendo la traccia a quelli che passano per la cima, lungo la via invernale. Nel 1998 Vittorio andò in pensione e, nonostante continuasse a fare lavoretti vari, trovava però il tempo, a metà settimana, di salire su qualche montagna. Ultimamente Vittorio aveva deciso che doveva portare in cima al Grignone un africano del Burkina Faso, che lavora con suo figlio. Un bel sabato lo portò a dormire in baita e la mattina salirono insieme fino alla cresta per la via invernale. Qui decise che era meglio non affrontare la cresta, non essendo l’africano dotato di ramponi, per cui ridiscesero in baita per una spaghettata. Essendo una bella domenica, incontrarono molta gente; ai molti che gli domandavano chi era il suo compagno, Vittorio rispondeva che era una guida del Kilimangiaro. Non sappiamo quante volte Vittorio sia arrivato in cima al Grignone, ma sembra che in un certo anno vi sia arrivato più di sessanta volte. Credo quindi che vi sia salito in 35 anni da 1.500 a 2.000 volte, giustificando così il titolo di questo articolo.
11 11
D A I
N O S T R I
F REERIDE E BACKCOUNTRY
T E S T I M O N I A L S
di Cesare Pisoni
Il Backcountry o Snowboard Alpinismo rappresenta l’essenza dello Snowboard, in questo sport il rider affronta la montagna in perfetta autosufficienza, non solo deve scendere i pendii ma li deve anche risalire senza l’ausilio degli impianti di risalita. Gli attrezzi per la risalita possono essere vari: Ciaspole (Racchette da Neve): Attrezzo molto comune, allargando la base d’appoggio del piede permette una miglior galleggiabilità, è sempre dotato anche di ramponcini per evitare di scivolare su superfici particolarmente ghiacciate. Pregi: costo contenuto e facile utilizzo Tavole Split Board: Sono tavole che per la risalita possono essere divise in due per poter essere utilizzate come due sci alpinismo e avendo applicate delle pelli di foca permettono la risalita. Pregi: non si deve portare la tavola sullo zaino Difetti: Costo elevato, peso elevato nei piedi, difficoltà nei tratti più pendenti o impegnativi Sci corti: sono degli sci alpinismo lunghi dai 90 ai 110 cm che permettono la risalita applicando sulle solette delle pelli di foca. Pregi: Leggerezza nei piedi, velocità nei cambi Difetti: Tavola sulle spalle
Due discipline agonistiche che stanno appassionando sempre più snowboarder sono il Freeride ed il Backcountry o Snowboard Alpinismo. Freeride è tutto quello che riguarda il fuoripista che rappresenta il luogo dove lo snowboard raggiunge la sua massima espressione. Non solo quando ci sono condizioni ideali di neve fresca (powder) ma anche quando le condizioni possono essere le più varie possibili: Neve trasformata, marcia, crostosa ecc. Lo snowboard grazie alla larghezza e alle caratteristiche costruttive permette di surfare su qualsiasi tipo di terreno in maniera più semplice rispetto a qualsiasi altro attrezzo. Le nuove caratteristiche delle tavole (Rocker) facilitano ulteriormente l’approccio a questa disciplina: Il ponte inverso e lo shape (la forma) della tavola permettono una maggiore galleggiabilità e maneggevolezza dello snowboard. Le competizioni di Freeride si svolgono su percorsi fuoripista con indicazioni di massima sulle linee da mantenere ma lasciando parecchia libertà di interpretazione da parte dei riders. Naturalmente una buona conoscenza delle regole da rispettare in montagna è fondamentale, imparare le tecniche di autosoccorso ed il relativo utilizzo di pala arva e sonda sono obbligatori.
12
Più ancora che per il Freeride è fondamentale la conoscenza dei cosiddetti “Pericoli della Montangna”. Diventa di fondamentale importanza un approccio a questa disciplina partecipando a Camp dedicati che organizzano i nostri negozi DF SPORT SPECIALIST o i corsi che vengono organizzati dagli Istruttori di Snowboard Alpinismo del CAI. Oltre che Pala A.R.V.A. e Sonda, obbligatori, risulta fondamentale imparare a muoversi con gli attrezzi di risalita, e scegliere i pendii corretti per risalita e discesa. A livello agonistico da cinque anni a questa parte esiste la Coppa Italia di Snowboard Alpinismo organizzata dalla FSI Federazione Snowboard Italia alla quale si può partecipare tesserandosi con un qualsiasi club affiliato.
Cesare Pisoni
13
P ROPOSTE PER FREERIDERS AVVENTUROSI
di seguito alcuni itinerari avvincenti e particolari, redatti dai nostri migliori esperti e amici
ITINERARIO CIMA BIANCA
Cima Bianca - Bormio Entusiasmante freeride, possibile tutti gli anni ma consigliato particolarmente quando l’innevamento è abbondante. Una discesa meravigliosa, dapprima in pendii aperti, poi in una pineta immacolata. Si parte dalla stazione a monte di Bormio 3000, il Cima Bianca. Da qui si segue la pista rossa che porta al Cimino, dalla quale ad un certo punto, dove la pista diventa pianeggiante e si può girare a destra (direzione NNE) in neve fresca si comincia il freeride. Verosimilmente si può partire più in alto, ma il pericolo di valanghe è alto, e lo si dovrebbe fare solo in compagnia di una guida. LA discesa a questo punto è aperta e ampia, si può scegliere la linea più gradita. Quando si entra nei boschi, due strade portano di nuovo agli impianti (attenzione, spesso non sono tracciate e si deve spingere un po’), oppure si può scendere fino alla frazione di San Niccolò da dove si rientra via auto o con mezzi pubblici (sulla strada che collega Bormio a Santa Caterina Valfurva). Ricordarsi sempre di osservare gli eventuali divieti e di avere con sé il materiale per autosoccorso obbligatorio per legge (Pala, ARVA, sonda). La gita è stata fatta in compagnia della locale Guida Alpina Giuliano Bordoni. Dislivello totale max 1600 mt Esposizione NE Pendenza max 30° a cura di Riky Felderer
14 14
FERRANTINO (m 2325)
ITINERARIO
Località partenza: Valzurio (Spinelli), m 949 Dislivello: 1376 m Tempo di salita: 3- 4 ore Esposizione: Varie Periodo: Febbraio - Aprile
FERRANTINO
Il Monte Ferrante (a sinistra) ed il Ferrantino visti dalle baite che si incontrano dopo le Stalle di Möschel.
L’itinerario è abbastanza logico e non presenta particolari pericoli. Prestare attenzione al tratto finale nel caso si voglia raggiungere la vetta del Monte Ferrante (ramponi). Percorrere la Valle Seriana in direzione di Valbondione. Subito dopo il bivio di Ponte Nossa prendere a destra per Villa D’Ogna - Valzurio. Proseguire sino a dove le condizioni di innevamento lo consentono (solitamente si arriva sino alla piccola frazione di Spinelli). Proseguire lungo la strada carrozzabile che, dopo aver attraversato una bella pineta, arriva alla stupenda radura delle Stalle del Möschel (m.1265). Seguire, sempre in direzione nord - est le tracce della strada che, dopo aver attraversato una fascia boscosa, giunge alla baita Pegherola di Mezzo (m. 1639). dal Ferrante. Verso nord si distingue ora l’arrivo della seggiovia che sale da Colere. Salire liberamente il pendio esposto a sud sino a giungere all’arrivo della seggiovia. Piegando a sinistra, in direzione nord ovest, raggiungere in breve la vetta arrotondata del Ferrantino. Prestare attenzione al primo tratto della salita, subito dopo l’arrivo degli impianti, dove è facile trovare ghiaccio. Volendo si può anche proseguire e raggiungere, salendo a piedi il ripido tratto finale, la vetta del vicino Monte Ferrante (m.2427). La discesa si effettua lungo lo stesso itinerario.
a cura di Cesare Pisoni
Monte Ferrantino (a destra) e la parete nord della Presolana visti dal colletto che separa il Ferrantino.
15 15
ITINERARIO I FORTINI
I Fortini – La Thuile Qui il gioco si fa serio, e le pendenze ci sono! È un itinerario semplice da individuare, breve e a dir poco esaltante. Ma da non sottovalutare assolutamente! Si deve raggiungere il versante francese de La Thuile, prendere la seggiovia del Belvedere. Salendo, sulla destra si vede già la linea di discesa. Si può affrontare centralmente (solo se in condizioni stabili) o sulla destra (guardando dal basso). Giunti in cima alla seggiovia si segue la stradina che in costa porta sotto gli edifici di fortificazione (Fortini) della 2° guerra mondiale, quindi si gira verso la cima. Facendo attenzione alla cornice, si comincia la discesa. Si può scegliere se tenere la destra scendendo per riprendere la seggiovia (5 minuti a piedi di risalita) o se girare a sinistra in direzione NO per andare a riprendere i pendii vicino al Piccolo S.Bernardo. Ricordarsi sempre di osservare gli eventuali divieti e di avere con sé il materiale per autosoccorso obbligatorio per legge (Pala, ARVA, sonda). Vista la pendenza dell’itinerario, lo si consiglia a rider esperti e conoscitori della neve, per il pericolo valanghe. Da fare solo con neve assestata. Dislivello circa 500 mt Esposizione N Pendenza massima 40° a cura di Riky Felderer
16
i nostri cataloghi SCI e SNOW
17 17
I
N O S T R I
K ilian Burgada
G R A N D I
O S P I T I
di ASD Falchi quasi quattro ore il record precedente detenuto dall’italiano Pierrot Santucci. La GR 20 è considerata la via più dura sulla lunga distanza in Europa, con 190 km e 21.000 metri di altitudine cumulativa. Il 1º ottobre del 2009 ha demolito un altro record; questa volta in Sierra Nevada (Stati Uniti), concludendo il Tahoe Rim Trail, un test intorno al Lago Tahoe che passa attraverso gli stati della California e del Nevada con partenza ed arrivo a Sunnyside-Tahoe City, in 38 ore e 32 minuti. Il vecchio record del percorso di 265 chilometri e 8.000 metri di dislivello, fissato nel 1995 in 45 ore e 58, apparteneva a Tim Twietmeyer. Nonostante alcuni intoppi di carattere burocratico (infatti il progetto prevedeva di ridurre a settembre del 2009 anche i tempi di percorrenza del chilometro verticale e del John Muir Trail, 340 km attraverso tre parchi nazionali della California), il 9 giugno del 2010 Kilian ha ottenuto l’ennesimo record della sua carriera portando a termine la traversata dei Pirenei in soli otto giorni e tre ore. L’atleta spagnolo, partito da Cabo Higuer sulle rive dell’Atlantico con l’ausilio di un Gps e un telefono, è arrivato al Mar Mediterraneo dopo una corsa a fil di cresta lunga 830 chilometri per un totale di 40 mila metri di dislivello. Il precedente record si attestava intorno ai 15 giorni, mentre i normali escursionisti percorrono questa distanza in almeno un mese. intervista di Riccardo Ghislanzoni (FALCHI di LECCO, www.asfalchi.it)
Il 18 Novembre, al negozio Sport Specialist di Sirtori, ci sarà la serata di Kilian Burgada, un fuoriclasse dello skyrunning ben noto agli appassionati italiani. Un ragazzo bionico, verrebbe da dire. Vediamo di scoprirlo in anticipo in vista della sua grande serata
18
Chi è Kilian Burgada Da sempre legato alla montagna, Kilian è nato e cresciuto in un rifugio a 2000 metri, gestito dalla sua famiglia in Cerdagna. I suoi genitori, grandi appassionati di sport e di montagna, sin da bambino l’hanno coinvolto in parecchie ascensioni, anche in quota; a tre anni Kilian aveva già coronato i suoi primi tremila, scalando il picco di Mulleres, a cinque anni il Del Mar, e a sei il Breithorn. All’età di 13 anni ha iniziato a fare gare agonistiche di sci alpinismo, entrando nel CTEMC (Centro de Tecnificación de esquí de montaña, centro di scialpinismo della Catalogna. Come molti scialpinisti (tra cui Agustí Roc, Manu Pérez, Toti Bes, …), in estate gareggia nelle corse a piedi per prepararsi (da ottobre ad aprile) alla stagione invernale. Vive in Catalogna, sui Pirenei, a Font Romeu, una stazione sciistica a 1800 metri, dove si allena e frequenta l’università di Scienze e tecniche delle attività fisiche e sportive. Al fine di mostrare il pieno potenziale dell’atleta, lo sponsor Salomon ha organizzato un progetto denominato Kilian’s Quest, nato per battere i record più importanti della corsa in montagna. Il 17 giugno del 2009 ha battuto il record del percorso GR 20, che attraversa l’intera isola della Corsica in 32 ore 54 minuti e 24 secondi, riducendo di
Chi è Kilian Jornet Burgada? Sono uno scialpinista e corridore di montagna, ho 22 anni (27-101987) e vivo in Catalogna, sui Pirenei, a Font Romeu, una stazione sciistica a 1800 metri, dove c’è l’università e mi alleno. Sono una persona felice perché posso seguire le mie passioni: le gare e la montagna. Vuoi raccontarci come è nata la tua passione per la montagna e per la corsa? Da sempre sono stato in montagna, sono nato in un rifugio sui Pirenei a 2000 metri. I miei genitori erano i gestori e sono stati sempre grandi appassionati di sport e di montagna. Con loro ho fatto parecchie ascensioni, anche in quota. Mia madre faceva anche gare di sci e di corsa. Per me e mia sorella, che ha un anno meno di me, andare in montagna è stato da sempre un gioco. Quando tornavamo da scuola, andavamo a giocare in montagna e, in inverno, con gli sci da fodo. E in vacanza andavamo sempre in montagna con i nostri genitori, sui Pirenei, sulle Alpi, sui Monti Atlas (Marocco), in Argentina… ma sempre montagna! Poi ho cominciato a correre per allenarmi per lo scialpinismo e a 13 anni ho iniziato a fare gare di scialpinismo, entrando nel CTEMC (Centro de Tecnificación de esquí de montaña, centro smo della Catalogna). Per allenarmi, in estate andavo in montagna a camminare coi bastoncini e correvo. Come molti scialpinisti (tra cui Agustí Roc, Manu Pérez, Toti Bes, …), in estate gareggiavo nelle corse a piedi per prepararmi alla stagione invernale. Adesso da maggio a ottobre corro e poi mi dedico allo scialpinismo fino ad aprile. Kilian, oltre alla corsa, quali sport pratichi? Soprattutto lo scialpinismo! E per allenarmi, faccio skiroll e sci di fondo in inverno e bicicletta in estate. Mi piace anche l’arrampicata e l’alpinismo ma non ho più il tempo per farli… -Hobby, passioni?
Kilian Burgada
19
I
N O S T R I
G R A N D I
O S P I T I
K ilian Burgada
20
Oltre all’università e all’allenamento non mi rimane più troppo tempo. Ma mi piace molto la lettura, mi piace disegnare (graffito e carboncino) e mi appassiona lo studio, soprattutto dei materiali e della fisiologia. - Rimanendo nella corsa, che specialità preferisci? Corsa in montagna (gare brevi o Vertical Kilometer), skyrace o ultra-trail? In estate mi piacciono tutte. Il Chilometro Verticale è una gara molto “fisica”. Le skyrace sono le migliori per me: montagna e tecnica. Le ultra sono “superazione”, trovare i tuoi limiti. Dopo ci sono tanti altri fattori, come l’organizzazione, l’ambiente, il paesaggio… - Come organizzi la tua settimana nel periodo delle gare? Come distribuisci i tuoi allenamenti?
due settimane per far recuperare il mio fisico dalla lunga stagione invernale (di solito sono 18-20 gare…) . Quindi ricomincio a correre e le gare iniziano presto: dalla ultima gara di scialpinismo a Zegama, la prima skyrace, hai al massimo un mese per riprendere a correre. Poi faccio grandi volumi di allenamento e gareggio fino alla fine di settembre. Quindi riposo per altre due settimane e ricomincio a preparare la stagione dello scialpinismo.
In estate è più facile perché non c’è l’università e ho tutto il tempo disponibile. E allora tutto dipende dalle gare che faccio. Di solito prendo il mio furgone (o il camper se devo dormire) e vado in montagna. Mi alleno tutti i giorni e, se ho una gara, il venerdì riposo. In estate non faccio “intensità” perché già in inverno con gli sci ne faccio troppa! Preferisco andare a correre in montagna. Di solito faccio 4-5 giorni di corsa sempre in montagna, tra le 2 e le 4-5 ore, e 2-3 giorni di bicicletta su strada. Poi mi piace andare nei luoghi delle gare, allenarmi e conoscere la montagne di quella regione. - Come ti organizzi, invece, nel periodo lontano dalle gare? In inverno mi alleno solo con gli sci, da novembre ad aprile non corro mai. Faccio allenamento di “quantità” e progressivamente inserisco quello sull’intensità da novembre a dicembre, quando non ci sono le gare. Poi da gennaio ad aprile ci sono gare quasi tutti i fine settimana e l’allenamento sono il recupero e alcuni lavori sull’intensità. Poi verso aprile-maggio c’è la transizione, e cerco di riposare per
- la più spettacolare? Quella in Malesia per i paesaggi e la Sierre-Zinal in Svizzera per la velocità. - quella con il pubblico più caldo? Zegama! - quella che consiglieresti di correre? Zegama, Giir di Mont, Sierre-Zinal, Grigne. - quella che non rifaresti? Nessuna. - quella a cui sei più affezionato? Andorra, Zegama, Giir di Mont. - Quale atleta ammiri di più o prendi come riferimento nel mondo della corsa? Agustí Roc mi ha sempre dato tanti consigli e mi ha insegnato tanto! Bruno Brunod è il più tecnico, il migliore skyrunner, basta una parola: Cervino! Dopo, ho tanta ammirazione per Marco De Gasperi. - Ultra-Trail du Mont-Blanc, 166 km intorno al Monte Bianco: Marco Olmo (classe 1948) vince le edizioni 2006 e 2007 mentre Kilian Jornet Burgada (classe 1987) vince le edizioni 2008 e 2009, l’esperienza e la regolarità contro l’entusiasmo e la brillantezza giovanile. Ma
- Risposte lampo. Tra le gare che hai corso, qual è stata: - la più tecnica? La Mount Kinabalu Climbathon in Malesia e il Sentiero delle Grigne. - la più faticosa? Il Tahoe Rim Trail. - la più emozionante? Tante…
I
N O S T R I
G R A N D I
O S P I T I
quale elemento conta di più per vincere questa gara? Nelle Ultra è più importante la testa (almeno un 50%), il corpo va ma è la testa che ti fa continuare quando sei morto, non ti fa sentire il dolore e ti fa correre quando pensi solo a riposare… E questo vale a tutte le età. - Qual è la tua dote migliore nella corsa? La salita, la discesa, la resistenza, la completezza... Penso che le gare si vincono in salita ma si perdono in discesa e cerco di allenarmi per andare forte sia in salita che in discesa. A piedi vado bene, ma con gli sci è duro il livello là davanti! Credo di avere una buona resistenza ma poi si può sempre migliorare tanto… - Molti si stupiscono di come tu sia in grado di fare così tante gare ad alto livello, un susseguirsi di vittorie con tempi di recupero ridottissimi. Chi non ti conosce potrebbe dire: “Non è possibile, per me fa uso di doping!”. Tu cosa gli risponderesti? Penso e voglio pensare che il doping non sia diffuso. Questo perché corriamo per piacere, per amore della montagna, e la montagna è trovare e superare i NOSTRI limiti come persone. Se ti dopi non saranno più i nostri limiti ma altri. Se volessimo i soldi, allora lavoreremmo in ufficio, o faremmo altri sport come la corsa su strada o il ciclismo… Io penso che dobbiamo fare le cose per piacere, andare ad allenarci perché ti piace correre in montagna. Se qualcuno non crede che sia possibile fare queste cose senza doping, può pensare quello che vuole. Ritengo che sia più corretto andare ad allenarsi, e allenarsi duramente, piuttosto che restare davanti al computer o a casa e pensare che gli altri vincono grazie al doping e non perche si allenano di più o perché hanno più capacità. Dopo, i casi come quelli di Patrick Blanc (campione francese di scialpinismo squalificato per uso di EPO nel 2008, NdA) sono un duro colpo, perché non capisco, perché? Non è più correre per piacere, il piacere non è la vittoria, il piacere è andare tutti giorni in montagna. Penso che comunque siano caso isolati. - Quale consiglio daresti a chi si avvicina alle corse in montagna? Che lo facciano per piacere, l’allenamento non deve essere più allenamento ma è il divertirsi tutti i giorni in montagna. Bisogna poi essere coscienti che siamo in montagna e la montagna è sempre quella che vince. E allora dobbiamo sapere che i limiti sono due: i nostri, quelli fisici, tecnici e mentali, che dobbiamo allenare per migliorare, e i limiti della montagna, il meteo, la tecnicità del percorso, il tempo, le condizioni… Dobbiamo considerare tutti questi elementi quando abbiamo un obiettivo.
tutta d’oro della 18.a edizione della corsa lecchese, entrambi già campioni del mondo nello scialpinismo, che non si sono limitati a vincere, ma hanno letteralmente polverizzato il record. Il catalano ha fermato il cronometro su 3h01”14” sverniciando il suo precedente primato di 3h05’08”, mentre la transalpina (3h46’40”), alla sua prima partecipazione, senza mai aver provato il percorso, ha “limato” di ben 15’ il precedente primato centrato nel 2007 da Emanuela Brizio (4h01’52”). Al secondo posto tra i maschi il forestale Marco De Gasperi, rimasto al comando fino a metà gara quando ha subito l’attacco violento di Kilian Jornet Burgada. Al terzo posto dopo un significativo recupero lo spagnolo Luis Alberto Hernando. Col quinto posto il lecchese Nicola Golinelli si è aggiudicato l’oro nella combinata.
GIIR DI MONT, Comunicato Stampa del 25 Luglio 2010
Tra le donne la francese Laetitia Roux era inarrestabile e per lei non c’era solo la vittoria, ma anche il record ed il “mondiale“ di combinata, ed andava a precedere la spagnola Mireia Mirò a 7’12”. Negli ultimi chilometri la piemontese Emanuela Brizio inseriva il turbo ed il terzo gradino del podio era suo. Nulla da fare invece per Stephanie Jimenez, quarta ma anche lei sotto le 4 ore. Per l’Italia era oro mondiale per nazioni, in combinata con il Campionato Mondiale di Vertical Kilometer di Canazei, con l’argento assegnato alla Spagna e il bronzo alla Francia. Una gara da incorniciare per l’A.S. Premana, con 650 partecipanti al via e tantissimo pubblico lungo tutto il tracciato e strabocchevole all’arrivo.
SKYRUNNING MONDIALE COL GIIR DI MONT A PREMANA ORO PER JORNET BURGADA E LA ROUX Gara da record a Premana per il Campionato del Mondo skymarathon. Lo spagnolo Kilian Jornet Burgada blocca il cronometro su 3h01’14” Velocissima la francese Laetitia Roux, record women con 3h46’40” In 650 al via in una giornata tutta da incorniciare per l’A.S. Premana A Premana, oggi, il Giir di Mont ha assegnato i titoli mondiali di Skyrunning “marathon” sul tradizionale tracciato di 32 km con 2.400 durissimi metri di dislivello. Kilian Jornet Burgada (ESP) e Laetitia Roux (FRA) sono la coppia
21
D A I
N O S T R I
T E S T I M O N I A L S
MTB MONGOLIA BIKE CHALLENGE, di Stefania Valsecchi (prima donna classificata)
22
di Stefania Valsecchi
10/20 Agosto 2010. 10 tappe: 1400 km - 14.000 mt di dislivello in MTB. Oggi considerata la gara a tappe MTB più dura al mondo. 5 tappe nel deserto del Gobi, tra sabbie, terra, toule onduleé e 5 tappe nella catena della grandi montagne del Khangai con neve a 2200 mt e valichi a 2900 mt.
nel mondo (Crocodile Trophy, Trans Rockies, Transalp, Ruta de los Conquistadores...) o perché corrono le “24Ore” in MTB. Io non conosco nessuno, non ho mai fatto competizioni di resistenza-durata, non conosco le altre gare a tappe di cui parlano: per un attimo la fantoziana certezza di essere nel luogo sbagliato al momento sbagliato prende il sopravvento e ripartono i tremori... ma son qui per correre i 1.400 km e 14.000 mt di dislivello tra
Sabato 7 agosto 2010, Ulaan Bataar – Capitale della Mongolia. Mancano 3 giorni all’inizio della prima edizione del Mongolia Bike Challenge e già un forte tremito mi scuote da capo a piedi: la mia MTB non ha volato con me e non mi ha raggiunta qui !! Abbandonata nello scalo di Mosca ? Imbarcata su un volo per Pechino?! O dimenticata in uno scantinato dell’Aeroflot ?! disdetta! Io finalmente a Ulaan Bataar dopo tanti mesi di allenamento ossessivo-compulsivo e dopo aver acquistato apposta per questo evento questa MTB e lei, la MTB amata, rimasta chissà dove: un’ouverture che ha per colonna sonora le lacrime di Rossella Ohara in “Via col vento” ! Il panico dura 24 ore poi, per grazia!, anche io posso togliere dal cartone la Lee Cougan Negative Gravity in titanio e rimontarci in sella per le vie di Ulaan Baatar anche se il feedback di ghisa delle mie gambe mi spaventa non poco, ma mi dico ottimista: tranquilla Ste, passerà tutto sotto lo striscione del via ! I 92 partecipanti alla competizione – provenienti da una quindicina di stati differenti - son tutti riuniti nel medesimo albergo: molti fra loro si conoscono perché hanno già partecipato a raid simili
il deserto del Gobi e la grande catena montuosa del Khangai, troppo tardi per farsi prendere dai timori e se l’ottimismo è il sale della vita: vai Ste che l’avventura ha inizio! Il 9 Agosto “l’esercito titanico” del Mongolia Bike Challenge si sposta da Ulaan Baatar a Bagarin Chulu, dove l’indomani avrà inizio la sfida, e già l’organizzazione appare davvero degna dell’Impero di Gengis Khan: 20 furgoni 4x4 UAZ (URSS 1941) la maggioranza dei quali trasporta sopra il tetto 6 MTB perfettamente allineate e al proprio interno altrettante persone; 2 camion per le cucine, 2 autobotti per l’acqua, 2 jeep per seguire la gara, 2 ambulanze, 1 camion della televisione Mongola, altri camion per le attrezzature.... Vedere questo schieramento in moto, aperto a ventaglio nella steppa e nel deserto del Gobi mentre allontanandosi solleva nuvole di sabbia, provoca davvero una notevole suggestione. Per non dire della scenografia hollywoodiana del campo montato: 93 tendine gialle in file ordinate per i 93 concorrenti; 6 tendine arancione per le docce sempre funzionanti grazie ad autopompe azionate da generatori elettrici, 6 tende marroni per le toilettes,
Stefania Valsecchi
23
D A I
N O S T R I
T E S T I M O N I A L S
MTB MONGOLIA BIKE CHALLENGE enormi tendoni verde militare per il “ristorante”, la sala bevande calde e fredde, l’ufficio stampa coi PC sempre all’opera, la tenda per i massaggi, quella dei medici ... Sono così emozionata di partecipare ad una cosa tanto affascinante che fatico a dormire: peccato che già il giorno dopo, finita la prima tappa, mi ritrovo talmente imbalordita dalla stanchezza che un senso di urto e sbandamento ha mantenuto, da lì in poi, il primato su fascino e bellezza! Si perché eravamo tutti coscienti che ognuna delle 10 tappe del MBC fosse lunga e faticosa, ma il clima ed il fondo hanno sicuramente moltiplicato le difficoltà: il toule ondulé, la sabbia ed il vento che non ci hanno mai abbandonati nel deserto, così come le pietre, lo sconnesso e la neve, i molti fiumi da guadare che ci hanno fatto compagnia sui monti, sono riusciti ad imbrogliare ulteriormente le carte di una partita già sufficientemente complessa. Non dimentichiamo poi che dormire in tenda – sebbene ciascuno avesse la propria – non rendeva scontato il buon riposo necessario per il giusto recupero. Tornando all’asprezza, il disagio e la non-fluidità del terreno su cui pedalavamo, basta sottolineare che spesso, per percorrere la medesima distanza, i furgoni impiegavano più tempo che i ciclisti perché erano talmente tante le rotture di semiassi e le forature che subivano o talmente lunghi ed epici i recuperi dal centro del letto di un fiume che i loro tempi diventavano davvero biblici. Riguardo il vento del Gobi, un aneddoto che mi appartiene è particolarmente significativo.
24
Prima tappa: superato il ristoro al 50° km dove mi dicono che son la prima donna a passare, riparto con energia rinnovata, ma al 51esimo km comincia a sollevarsi questo vento tanto insidioso di cui ci parlavano. Mi fermo dopo pochi km e indosso gli occhialoni da sci che mi ero preventivamente portata nello zainetto e che si riveleranno fantastici per evitare congiuntiviti e fastidi varii. Pedalo, arranco nel vento, pedalo e per una ventina di km non vedo nessuno né davanti, né dietro di me: comincio a pensare d’aver sbagliato qualcosa e questo ventaccio con muri di sabbia connessi inizia a spaventarmi un po’, quando finalmente vedo in lontananza una sagomina con gambette sforbicianti che non è né uno yak né un cammello, ma un ciclista: evviva ! Aumento i giri per raggiungerlo e fortunatamente il ciclista un po’ affaticato
sta via via rallentando, sicché dopo 25 km da sola mi appresto finalmente a raggiungere un mio simile che, dal dietro, riconosco essere uno degli stranieri, australiano mi pare, perciò mi preparo mentalmente la frasetta di saluto in inglese. Son alle sue spalle, sto per dire gioiosa “hello!” ma ... SBADABAMM! un’ondata del famoso vento del Gobi, secca come uno sberlone, mi sbatte dritta addosso all’australiano: lo piombo alle spalle come un’aquila che in picchiata serra la sua preda negli artigli, capitomboliamo a terra fra la sabbia e un mix di imprecazioni e di “sorry! oh sorry...” ci ritroviamo supini con le gambe annodate alle bici ! Ma si può? Attorno a noi il nulla a 360° e io son riuscita a centrare, con colpo sicuro, l’unico essere vivente nell’arco di mille miglia: ma quanto sono performante in questo lembo d’Asia ??!! Vi ricordo che proprio a causa del vento che soffiava a 90 km/h e delle tempeste di sabbia annesse, una della 5 tappe previste nel deserto del Gobi (la terza) verrà saggiamente annullata dall’organizzazione per la sicurezza e l’incolumità dei corridori. Giusto per far capire in che diamine mi stavo cimentando, alla sera della la prima tappa, passo davanti al tendone medico e vedo 2 giovanotti, pure assai carini, sdraiati sui lettini: braccio destro teso, una cannuccia che vi entra e all’altro capo della cannuccia una bella sacca di soluzione salina ... Spero di non finirci io su quel lettino ! Altra scena da MongoliaBikeChallenge il giorno seguente: fine seconda tappa, una tappa lunghissima di 126 km su sabbia, terra infima, toule onduleé che pare di pedalare su un martello pneumatico e vento contrario a 90 km/h, il tutto così tosto che si raddoppiano le distanze e si moltiplicano le fatiche, per non dire della temperatura a 38 gradi. Il giovanotto che supera lo striscione dell’arrivo davanti a me, dopo un po’ si ferma intontito e si lascia andare: oggi lettino aggiudicato a lui ! Chi gli sta intorno si affretta a togliergli abiti e altri elementi costrittivi e lo “innaffia”. Parte una reazione shock e il corpo del ragazzo prende a sbattere: come colto da epilessia sobbalza, come avesse le dita nell’alta tensione è tutto scosso, sbatte, trema e finalmente si calma e si riprende come se nulla fosse... Uhelà giovanotto: gran bella tappa oggi néh ?!! Non bastasse il deserto, nei giorni successivi anche una delle tappe di montagna sarà annullata, in questo caso per via della neve scesa morbida, fredda e copiosa durante la notte.
D A I
N O S T R I
T E S T I M O N I A L S
Quella mattina dell’ottava tappa, il risveglio ale 5 tra i brividi con uno straterello di verglas sull’esterno del sacco a pelo e sulle pareti interne della tenda e 5 cm di neve a coprire tutto il campo ha fatto levare un augurio di “Buon Natale” in tutte le lingue del globo terracqueo: davvero spettacolare anche questo ragazzi miei ! Molti mi chiedono come ci lavavamo: ho già detto che nel campo c’erano le tendine per le docce, montate in men che non si dica dall’operosa equipe mongola e alle quali si pompava acqua con un generatore. Quindi c’era sempre la possibilità di una doccia, ma nel deserto, con quelle raffiche agguerrite di vento, appena riaprivi la tenda per uscire ancora bagnata ovviamente: “SLHAAFFF!” secchiate di sabbia incollate addosso e cotolette impanate giganti dalla forma umana si aggiravano nel campo. Oppure in montagna: io c’ho tentato di fare la doccia, ma avete presente quei geloni che vi pigliano la fronte quando mangiate veloci il gelato ? Ecco, messa la testa sotto la doccia, succedeva che tutta la faccia, il collo, il cranio, le orecchie, gli occhi venivano bloccati in una morsa di ghiaccio: paralizzata e senza fiato, lanciavo lontano lo spruzzino della doccia come fossi Tarzan contro un pitone belligerante e uscivo veloce ad asciugarmi sperando che i capelli non mi diventassero stalattiti trasparenti. Benedette salviettine umidificate in quei giorni! Per quanto riguarda il cibo, era ottimo ed abbondante, cosa per altro stupefacente in quelle lande desolatissime senza vita per centinaia e centinaia di km: complimenti all’organizzazione e ai cuochi mongoli. Non mancavano mai pasta, riso, carne, verdure quindi sempre si reitegravano quelle 5000 kcalorie buttate fuori ogni tappa, ma un po’ per le condizioni meteo di sbalzi caldofreddo, un po’ perché il fisico è già affaticato e non ha grandi forze per la digestione, un po’ perché i condimenti non sono i nostri tradizionali, bisogna stare attenti a quanto e come si mangia altrimenti dissenteria e vomito colpiscono duro. In gare come queste la reintegrazione è fondamentale altrimenti si finisce come i giovanotti sui lettini del medico: insomma, questo Mongolia Bike Challenge non è uno scherzo, nulla va preso sotto gamba. Io dal canto mio, ho faticato come un asino, come dentro una centrifuga senza ammorbidente per 10 giorni, ma non ho mai smesso di credere che poteva essere il mio momento, che se avessi ponderato bene tutto e la fortuna mi aiutava un po’ (non ho mai avuto il minimo problema né fisico, né alla bici) potevo essere la prima donna della prima edizione di questa gara: così è stato, evviva ! Son riuscita a tener duro mentalmente perché son sempre sta-
ta al comando della classifica e quando regge la testa, anche il fisico non molla: mi son ritrovata addosso una forza ed una energia che non sapevo di avere. Non sentivo dolori, non sentivo né caldo nei 38 gradi del deserto, né freddo nell’attraversare i tenti fiumi in montagna; son caduta 3 volte e mi son rialzata come un missile tornando in sella senza accorgermi delle ferite e delle botte che poi emergevano in lividi blu. Eppure non sentivo nulla di negativo talmente era l’entusiasmo, l’adrenalina e l’energia: mai successo prima. Quello che mi porto a casa dal Mongolia Bike Challenge, al di là della fatica e oltre agli spazi e ai cieli incommensurabili è che se anche vi sentite come dei lillipuziani di fronte a Gulliver, se pensate di non esserne in grado o all’altezza, di non essere è più in tempo per certe cose (io ho 43 anni e non ho mai gareggiato), non fermatevi, non ascoltate le voci dei vostri detrattori: balzate in sella e pedalate dritti al cuore del vostro desiderio con ottimismo e certezza del successo. E quando vivrete ciò che avete tanto desiderato, un senso di profonda gratitudine e gioia permeerà ogni cosa.
Chi è Stefania Valsecchi:
Lecchese DOC, laureata in filosofia, esperta di Marketing, divoratrice di libri e grande appassionata di Sci alpinismo, Mountain Bike e sci, Stefania si distinse nel 2007 per due straordinarie avventure. 1000 km in Tibet e il giro del massiccio del Monte Bianco, entrambi i tour in Mountain Bike. L’avrete probabilmente già vista su Rai Tre e in qualche sua effervescente serata, o magari sulle strade del lecchese mentre si allena assiduamente.
25
D A I
N O S T R I
T E S T I M O N I A L S
MTB traversata delle Dolomiti di Stefania Valsecchi
26
Azzurro il cielo sopra Arco di Trento: esordio vincente per questa traversata delle Alpi in bike fino in Germania! 5 Agosto 2009: davanti a noi più di 400 km e più di 11.000 mt di dislivello di vallate verdeggianti e alture rocciose, perciò bando alle ciance e pigiamo sui pedali. Con Valentino e Stefano attacchiamo subito la “via crucis” quotidiana verso il nord procedendo in direzione San Giovanni in Monte nella Val di Lomasone. Rapportino iper agile per questa bella sterrata-acciottolata immersa nei
accompagnati da tanto divertente agitarsi giungiamo all’Albergo Brenta, ultima possibilità di ristoro prima di accedere al passo Bregn de L’ors. Arrivati ai 1800 mt del valico, la sosta per godere del panorama è d’obbligo: a ovest il massiccio dell’Adamello e i suoi ghiacci; a est le vette del Brenta e i suoi pinnacoli. Penetra nell’animo questo “contrastante-equilibrio” tra il verde luminoso dei prati, i bizzarri giochi d’ombra delle rocce, il ghiacciato smeraldo dei laghi...
vigneti e in breve davanti a noi l’enormità del Garda che, senza confini com’è, pare più il Mediterraneo che un “semplice” lago. Punteggiato dai mille coriandoli delle barche a vela ci distoglie dalla fatica fino ai 1.000 mt. del bel paesino di San Giovanni da dove pascoli morbidi ci conducono a Vigo di Lomaso, finestra con vista sulle Dolomiti di Brenta: ragazzi che palcoscenico e che maestoso anfiteatro! Da qui ci attende la discesa bellissima su Ponte delle Arche: mi piace tremendamente la mountainbike perché in sella e lei le montagne non son più barriere, ma rampe di lancio per entusiasmanti voli! Da Ponte delle Arche avanziamo su strada fino a Stenico per andare ad imboccare la Val d’Algone. La risaliamo dolcemente per una dozzina di km nel bosco: è popolata da brulicanti ragazzini e donzelle in braghette blu e foulard rigati al collo indaffarati a segare rami che intrecciano e legano; innalzano palafitte sul torrente, costruiscono velieri e galeoni pirati, alberi maestri con tanto di bandiere teschiate... Ma quante ne inventano ‘sti scout per stare in vacanza ? Pare di essere in un set hollywoodiano e
E così trasognanti le ruote di nuovo diventano ali per planare sul laghetto di Valagola e poi giù ancora veloci fino a Sant’Antonio di Mavignola dove in un confortevole e lindo B&B ha termine la prima tappa dopo 65 km e 2700 mt di dislivello. Anche il secondo giorno il sole la fa da padrone e attraverso una ciclabilissima mulattiera fra conifere giungiamo nella caratteristica piazzetta di Madonna di Campiglio per una dolce seconda colazione. Saliamo ai 1700 mt. di Campo Carlo Magno e tra i prati color menta dei campi da golf si apre una sterrata di servizio che in una dozzina di km di entusiasmante discesa giunge fino a Dimaro. Tenendo il fiume Noce alla nostra sinistra e procedendo fra i boschi, giungiamo a Malé (quota 700 mt circa) da cui parte il gran premio della montagna odierno: risalita di tutta la Val di Rabbi fino al Rifugio Lago di Corvo che sta a pochi metri dal Passo di Rabbi che ci collegherà alla Val d’Ultimo. Qui ci sorge un piccolo problema accompagnato da un certo sconforto perché nonostante le 5 cartine che mi porto appresso, mi mancano proprio i km finali della tappa odierna perciò non sappiamo bene a che quota
D A I
N O S T R I
T E S T I M O N I A L S
MTB traversata delle Dolomiti dobbiamo arrivare, che fatica dobbiamo fare. Chiediamo ad un signore gentile che con un largo sorriso ci risponde: “oooh lassù sarà a più di 3000 metri! Forse 3300...Ci son andato da bambino, ma è lontano èh; mica ci arrivate oggi... con le bici poi non ci arrivate proprio! Dovete lasciarle qui!” e ridicchia.... A Stefano e Valentino sale anche un po’ di nervosismo nei miei confronti quale organizzatrice dell’itinerario... ma a me mica mi convince il tipo ! Sono certa che quando ho studiato il percorso, non c’erano affatto quote così elevate e difficoltà alpinistiche, quindi richiedo ad un altro buon uomo che più concretamente ci dice che il rifugio è attorno ai 2400 mt: sia lodato il cielo! Rianimati dalla buona
novella riprendiamo vigore e da Cavallar, ultimo paesino della Val di Rabbi, attacchiamo la bella salita al rifugio pedalabilissima fino a quota 2300 mt. sebbene le pendenze ci fan pensare di avere i freni tirati. Gli ultimi 100 mt di dislivello bisogna invece scendere e spingere, ma il rifugio appena là sopra e le bellezze tutt’attorno rendono piacevole anche questa mezz’oretta. Attendiamo il tramonto ai 2500 mt. dei Laghi di Corvo, luogo già di suo davvero delizioso che diventa un sogno quando “l’enrosadira” ridipinge lo scenario coi suoi pastelli: tutto diventa d’oro, poi si fa color pesca, ma un attimo dopo il carminio prende il sopravvento fin quasi al violetto e si resta li, occhi sganai come in estasi, finché il sole cala dietro le alture. Bellissime le serate nei rifugi d’alta quota e scopriamo che questo ai Laghi di Corvo originariamente venne costruito come piccolo riparo ai confini del cielo da un gruppetto di ragazzotti per nascondersi e sfuggire al primo conflitto mondiale.... incredibile ! Passarono quassù a 2400 mt alcuni anni nascosti al mondo, quindi anche alcuni lunghi e rigidissimi inverni: e noi che ci lamentiamo per qualche ora in più al lavoro che ci toglie tempo alle pedalate ! Il mattino seguente partiamo presto per godere dell’alba al passo di Rabbi ed in effetti valeva proprio la pena: e chi vorrebbe mai lasciare bellezze simili. La discesa fino a Merano è lunga ben 45 km: vi lascio immaginare lo spasso! Tornati nella civiltà ne approfittiamo per cambiare le pastiglie del freni, lavare bene gli ingranaggi, oliare le catene, comprare un paio di camere d’aria e
28
poi via verso il Passo del Giovo che è la nostra sommità odierna e stavolta per raggiungerlo ci tocca fare alcuni km su asfalto. La cosa si rivela comunque simpatica perché ingaggiamo competitive sfide con i “cugini scarsi” stradisti che si concludono in cima con un tripudio di shakertorte, strudel, krapfen, birra e speck ! Voliamo su Vipiteno a conclusione tappa dove ci raggiungono Armando e Simone per gli ultimi 3 giorni. Resto sbalordita dagli zaini che si son portati appreso i due: mica possono pedalare con in spalla ‘ste zavorre! Perciò li svuoto sul letto e comincio la cernita: “questo si, questo no...” fino a dimezzare il peso. Ma Armando si intestardisce, non vuole lasciare alcune cose e soprattutto non vuole mollare l’imponente porta pacchi che ha montato sul retro andando a pesare esageratamente anche sul forcellino.... Non c’è verso di far cambiare idea ad Armando quindi lascio perdere concludendo semplicemente con un perentorio: “Miseria! Domani saremo fermi...”. Ma mica pensavo ad un tale disastro ! Nel primo accenno di discesa ormai in territorio Austriaco tengo Armando davanti a me curato a vista perché lo zaino sul portapacchi lo sbalestra a manca e a destra: guardingo cerca di saltare un sasso in mezzo al sentiero, ma come la ruota posteriore ritocca il terreno... CRAAAAACKKK ! Rumore infernale, deragliatore e pacco pignoni vengono fagocitati dalla ruota posteriore, il telaio cede, Armando ruzzola a terra: ma che è sto tsunami ?! Il forcellino fatto a pezzi: tutto ha ceduto.... Ci sta un “l’avevo detto” con forte incazzatura ? Certo che si, ma siamo in vacanza... Tiriamo fuori tutta l’attrezzistica disponibile e qualche ricordo dal “Manuale delle Giovani Marmotte” per giuntare la catena, assemblare e bloccare il forcellino, smontare quel catafalco del portapacchi... Intanto ovviamente ci raggiunge il temporale, ma per fortuna è tutta discesa e precariamente approdiamo a Mayerhoffen (non prevista nel tour) dove Armando abbandona e saluta la propria inutilizzabile bici e ne noleggia una per concludere la traversata. Il giorno successivo partiamo col cielo terso e la Zillertal ci accoglie splendida nel suo abito da festa, ma al Geiselmjock ci sorprende qualche fulmine e accanto al recinto delle mucche sento scossette di elettricità pure... nella mia bici ! Sarà che è tutta in carbonio, sarà che siam vicini ai fili elettrici, ma scendo al volo e la mollo lì dov’è per lo spavento ! Passato l’allarme e tornato il sole, scendiamo la lunghissima Zillertal e risaliamo ad Achensee già assai vicini al confine teutonico. Le vette dolomitiche ed alpine sono ormai alle spalle: domani entreremo in foresta nera, i paesaggi cambieranno, ma soprattuto diverse saranno le pendenze. Così pensiamo di fare una sola tappa fino a Monaco perchè anche se lunga, ha un bel fondo ciclabile, non ha grossi dislivelli e noi ci sentiamo dei leoni. Tuttavia l’indomani ci rincorrono nuvoloni neri: riusciamo a raggiungere il Tagernsee ma ad un certo punto la pioggia si fa torrenziale perciò ad una cinquantina di km da Monaco, carichiamo le MTB sul treno e comodamente ronfando arriviamo nella grande città ugualmente felici. Domani penseremo al treno per il rientro in Italia e ... alla prossima avventura ciclistica !
D A I
N O S T R I
TAPPE:
T E S T I M O N I A L S
DATA Partenza Arrivo 5 agosto Arco di Trento Sant’Antonio Mavignola 6 agosto Sant’Antonio Rif. Laghi di Corvo 7 agosto Rif. Laghi Corvo Vipiteno 8 agosto Vipiteno Vorderlanersbach 9 agosto Vorderlanersbach Achensee 10 agosto Achensee Tagernsee 11 agosto rientro in treno in italia
Km 65 55 115 85 64 67
Dislivello 2700 mt 2380 mt 1900 mt 2050 mt 1620 mt 550 mt
totali: km 451
11.200 mt
12 agosto: poiché ad Arco di Trento non c’è stazione ferroviaria, siamo arrivati a Rovereto e per rientrare ad Arco sono 35 km e 300 mt di dislivello. Queste tappe si possono ovviamente spezzare e rendere più abbordabili. Noi le abbiam fatte così perché avevamo solo quei giorni a disposizione.
CARTOGRAFIA:
KOMPASS 1:50.000 – tavola n°. 73 GRUPPO DI BRENTA KOMPASS 1:50.000 – tavola n°. 095 VAL DI SOLE – PEJO E RABBI (quella che a me mancava) KOMPASS 1:50.000 – tavola n°. 53 MERANO KOMPASS 1:50.000 – tavola n°. 44 STERZING / VIPITENO KOMPASS 1:50.000 – tavola n°. 27 ACHENSEE KOMPASS 1:50.000 – tavola n°. 37 ZILLERTALER ALPEN – TUXER ALPEN Io ho usato queste della KOMPASS perché son le più facili da trovare da noi, ma non sono le migliori. Se si trovano, son assai preferibili quelle della TABACCO di Tavagnacco (Udine). Rifugi, ristori, B&B: ce ne sono quanti ne volete su tutto il percorso: noi non li abbiamo prenotati perchè di giorno in giorno si vedeva dove avevamo voglia e forze per arrivare.
NELLO ZAINO:
una divisa da bici di cambio oltre quella indossata. Pantaloni lunghi in caso di freddo e per la sera; giacchina antivento; un pile leggero; guanti; pila frontale; mantella antipioggia; berretta o fascia per la testa. Attrezzo multiuso comprensivo di smagliacatena; schiuma anti foratura; una camera d’aria. Burrocacao e crema sole. Io non ho portato integratori di nessun tipo per stare il più leggera possibile. Acqua ce n’è a volontà su tutto il percorso e mangiando adeguatamente si reintegra quanto si perde durante lo sforzo.
MTB:
io ho usato la mia SCOTT SPARK 10 FULL SUSPENDED e tendenzialmente per divertirsi di più su questi percorsi è preferibile una full. Tuttavia 3 dei miei compagni di viaggio avevano delle front senza pretese, piuttosto pesanti e meccanicamente modeste, ma si son divertiti lo stesso.... inconveniente a parte di Armando per la sua testardaggine !
29 29
30
D A I
N O S T R I
T E S T I M O N I A L S
Il Tor des Géants, una gara unica da sinistra: Alessandro Crippa, Mario Sala, Corrado Alberti, Giovanni Pozzi
Il Tor des Géants è la prima ed unica gara che unisce la lunga distanza all’individualità del corridore, non sono imposte dall’organizzazione tappe forzate, vince chi impiega meno tempo gestendosi i riposi e le fermate ai ristori. Il Tor des Géants è la prima gara di questo genere che coinvolge una regione intera, lungo i suoi bellissimi sentieri ai piedi dei più importanti 4000 delle Alpi ed attraverso il Parco Nazionale del Gran Paradiso e quello Regionale del Mont Avic. Tutte queste peculiarità fanno di questa corsa una gara unica ed inimitabile.
intervista a Alessandro Crippa Svoltosi dal 12 al 19 settembre 2010 con partenza da Courmayeur alle ore 10:00 di domenica 12 settembre e tempo massimo fino alle ore 16:00 di sabato 18 settembre, la gara ha 330 km di sentieri alpini, 24.000 metri di dislivello positivo, 34 comuni coinvolti, 25 colli al di sopra dei 2.000 metri, 30 laghi alpini, 2 parchi naturali, da 300 a 3.300 metri di altitudine, 7 basi vita, 43 punti di ristoro.
Su un percorso così non è solo la prestanza fisica e l’allenamento che vengono fuori ma tanti altri aspetti legati alla condivisione di una passione, di uno sport, con momenti di solidarietà che sono parte integrante della gara. Così i concorrenti procedono in gruppetti per sostenersi e spronarsi reciprocamente quando la crisi potrebbe minare la motivazione a proseguire. Faticoso e fondamentale è anche il lavoro dei molti volontari, che di notte e giorno, si alternano per garantire senza soluzione di continuità cibo sempre disponibile e caldo e i servizi sempre pronti per offrire ai trailer ogni supporto. Il servizio medico, presente in ogni base vita con diversi addetti volontari, non rileva nulla di significativo, salvo molti massaggi per aiutare il recupero delle contratture muscolari. Il disturbo più frequente è rappresentato da vesciche e abrasioni ai piedi, mentre nessuno tra i concorrenti in gara mostra segni di disidratazione o problemi di alimentazione errata, segno di buona esperienza e abitudine a prestazioni sulle lunghe distanze. 179 i concorrenti regolarmente classificati (dei quali 14 donne) sui 310 partiti. Vincitore il meranese Ulrich Gross, è arrivato alle 18 e 27 di mercoledì 15 settembre, dopo 80 ore 27 minuti e 23 secondi (ovvero dopo 3 giorni e 8 ore). A fargli compagnia sul gradino più alto del podio femminile è Annemarie Gross, una sua “stretta” conoscenza visto che si tratta della sorella. Come dire che il
31
D A I
Il
N O S T R I
T E S T I M O N I A L S
Tor des Géants, una gara unica
DNA non è poca cosa. Anche perché c’è mancato davvero poco che la ragazza non salisse sul podio della classifica generale. Annemarie, infatti, oltre a vincere la gara femminile, si è assicurata con il tempo di 91:19:13 un 4° posto assoluto davvero eccezionale. Com’era nelle previsioni in questa assoluto tour de force molto ha contato la gestione dei “riposi”. Si sapeva fin dall’inizio che i migliori avrebbero giocato tutto sulla riduzione delle ore di sonno. Una cosa che Ulrich Gross ha sfruttato al massimo dormendo (se così si può dire) in questi 3 giorni e poco più di gara solo 1 ora e mezza in tutto! Un’esperienza difficilmente immaginabile per un “umano”.
32
Abbiamo chiesto ad Alessandro Crippa, di Barzanò, di dirci come è andata. Il tempo massimo per concludere la prova era di 150 ore. Tor des Geants è il primo endurance trail in unica tappa della lg. Di 330 kms. con un dislivello positivo di mt. 24.000 attraverso le due Alte Vie della Val d’Aosta. Ho deciso di iscrivermi non appena ho visto il percorso un anno prima del via della gara per paura di non essere ammesso nell’elenco iscritti. La voglia di mettermi alla prova era così grande che mi sono praticamente allenato per 12 mesi pensando a quel traguardo.
Finalmente il giorno 12 settembre ero a Courmayeur con altri 330 temerari pronti a correre per 150 ore, limite massimo per concludere la gara. Pensando di essere partito con calma, sono invece arrivato alla prima base vita, dopo circa 47 Kms. molto affaticato, con nausea e tremolio da febbre. Quindi ho deciso di dormire un’oretta con un po’ di perplessità se fosse stato opportuno proseguire la gara. Nel frattempo 3 amici brianzoli mi raggiungono e al mio risveglio, con loro, decido di continuare perché la mia condizione fisica è nettamente migliorata. Ora, l’attitudine che ho rispetto alla corsa è di arrivare senza pensare a classifica e tempo di percorrenza. Il tempo peggiora in pochissimo; alla partenza da questa prima base vita grandina e nevischia ai passi alti, ma il correre con gli altri mi fa passare velocemente la notte. Il mio umore migliora così come il tempo si rasserena e mi permette di godere dei bellissimi panorami offerti da questi valli come si possono vedere sulle migliori riviste:ghiacciai vivi, laghi, baite alpine che mi fanno pensare a come sarebbe bello poter passare più tempo in questi posti incantevoli. I 5 giorni passano velocemente, anche se il ritmo tenuto è abbastanza incalzante: 15/16 ore di cammino giornaliero con tappe di 5/6 ore di cui solo un paio per dormire. Per tutta la durata della gara mi sono chiesto come gli organizzatori avessero fatto per offrire ai concorrenti un’assistenza ineccepibile come quella ricevuta. 7 basi vita che erano palestre attrezzate ad albergo con docce, letti e mensa; ristori che avrei voluto godere con molta più calma per le specialità che offrivano, gente calorosa che ci ha sostenuto durante tutto il percorso sia di notte che di giorno. E’ stata per me un’impresa resa possibile dalla preparazione fisica, ma soprattutto dalla testa. Mi sono reso conto che la condizione mentale è fondamentale per poter ottenere il risultato aspettato molto più della resistenza. Sono state infatti la convinzione e la determinazione che mi hanno fatto arrivare al traguardo in 124h e qualche minuto.
33 33
34
C ASSIN, A UN ANNO DALLA MORTE ci ha lasciato ormai da un anno ma tutti a Lecco continuano ad avere nel cuore il grande Riccardo Cassin
di Renato Frigerio
È scomparso esattamente in una calda giornata del 6 agosto del 2009, ai piedi delle montagne che lo avevano avvicinato alla sua immensa passione per l’alpinismo. Dai Piani Resinelli colpì con un dolore imprevedibile la notizia che il leggendario alpinista lecchese aveva abbandonato per sempre coloro che ancora avevano la fortuna di frequentarlo o che, in ogni modo, rimanevano sempre in attesa del racconto dei suoi commoventi ricordi.
samente, se di lui, in questa occasione, hanno manifestato i più forti sentimenti di stima personaggi come il Presidente Generale del C.A.I. Umberto Martini, il Sindaco di Lecco Virginio Brivio e il Presidente della Provincia Daniele Nava, editorialisti della stampa nazionale come Erri De Luca. Tutto questo viene a confermare che la stima e l’amore per Cassin non si sono fermati ai giorni seguiti immediatamente alla sua scomparsa, quale l’emblematica mostra allestita dalla fondazione
Ancora una volta Cassin ha voluto portare a termine un’impresa, quella più importante di ogni esistenza, il compimento della vita, nella maniera assoluta, che non lascia dubbi sulla sua completezza. Il traguardo dei suoi cento anni sembra proprio che l’abbia voluto marcare anche con alcuni mesi di sovrappiù: anche questo doveva far parte del suo carattere, allo stesso modo con cui tutto quello che portava a termine in montagna non veniva mai oscurato da nessuna esitazione, da nessun sotterfugio. In lui abbiamo sempre riscontrato l’onestà che appartiene alle persone della più genuina semplicità: pur nella grandezza che, come alpinista, gli è stata riconosciuta nell’ambiente internazionale, non abbiamo mai visto in Cassin la boria del superuomo, la smania dell’auto-esaltazione. Non è solo per le sue grandi conquiste sulle storiche pareti che ormai tutti conoscono, che la sua morte ha lasciato un rimpianto tanto forte, ma nello stesso tempo sereno. A rappresentare questo rimpianto, si è espressa a Lecco la collettività del mondo istituzionale, unitamente agli amici cui Riccardo rimarrà perennemente nella memoria come leggendario alpinista e come uomo di estrema modestia e di grande affabilità. Nelle cerimonie che hanno celebrato questo primo anniversario della sua morte, abbiamo assistito ad una partecipazione commossa e commovente dei suoi cari, dei suoi tanti amici ed ammiratori, delle autorità rappresentative delle istituzioni lecchesi e delle cariche importanti del Club Alpino Italiano. Non poteva essere diver-
Cassin “100x100 Cassin – Parole Semplici”. La società lecchese non può sentirsi soddisfatta di quello che è stato fatto nei momenti più sensibili della triste notizia: Lecco vuole attestare a Riccardo Cassin una celebrazione di cui non vediamo la fine e che si prolunga intanto nella intitolazione della sezione del C.A.I. di Lecco al suo nome glorioso, nella decisione annunciata da Daniele Nava di dedicare a lui il primo piano del palazzo di corso Matteotti, sede dell’Amministrazione Provinciale. Ma forse più importante di tutto è che il mondo alpinistico lecchese continui ad ispirarsi al mitico Riccardo e alle sue più amate montagne, come sembra abbiano voluto indicare, come omaggio a Cassin, i giovani alpinisti lecchesi – Marco Anghileri, Michele Mandelli, Stefano Valsecchi, che in due notti e un giorno hanno ripetuto, in concatenamento, le sue storiche vie dalla Medale, alla Grignetta e al Grignone. Un omaggio che è giusto ora ricordare, quasi per rivedere ancora una volta come in un filmato d’epoca, le prodezze di un giovane Riccardo Cassin: Corna di Medale, Torre Costanza, Torrione Palma, Sasso Carbonari, Sasso Cavallo, Pizzo d’Eghen.
35
Milano
Via Palmanova 65-ampio parcheggio-fermate MM Udine/Cimiano-0228970877
NUOVA APERTURA DAL 30 OTTOBRE Brugherio (MB)
Centro Commerciale Bennet, Viale Lombardia 264 - 0392878080
Lissone (MB)
Centro UCI Multisala, Via Nuova Valassina - 0392454390
Bellinzago Lombardo (MI)
Centro Commerciale La Corte Lombarda - 0295384192
Sirtori (LC)
Via delle Industrie, Provinciale Villasanta-Oggiono, Località Bevera - 0399217591
Orio al Serio (BG)
Via Portico 14 -16 ( vicino Orio Center) - 035530729
Cremona
Centro Commerciale Cremona Po, Via Castelleone 108 - 0372458252
Desenzano (BS)
Centro Commerciale Le Vele - 0309911845
S. Rocco al Porto (LO)
Complesso Polifunzionale, Piazza Ottobre 2000, 1 - 037756145
Como
Via Milano 62 - 031271380
Lugano
Parco Commerciale Grancia, Via Cantonale - +41-0919944030
Olgiate Olona (VA)
Via S. Anna (vicino Esselunga) - 0331679966
Meda (MB) - Outlet
Via Indipendenza 97 - 0362344954
DA DF SPORT SPECIALIST PIU’ SOMMI PIU’ SEI PREMIATO. SCONTI E PROMOZIONI NEI NOSTRI NEGOZI
Vieni nei nostri negozi a prendere i supertecnici cataloghi FITNESS e SNOW, o sfogliali on line sul nostro sito.
w w w.df-spor tspecialist.it info@df-sportspecialist.it | sede tel: 039.921551
info@cibocomunication.com
I NEGOZI DF SPORT SPECIALIST LI TROVI A: