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Agroalimentare
from FOGLIE n.03 / 2021
by FOGLIE
PER I CASEIFICI UN MODELLO VIRTUOSO DI GESTIONE DELLE ACQUE DI LAVORAZIONE
L’ATENEO BARESE AL SERVIZIO DELL’INNOVAZIONE E DEL SISTEMA PRODUTTIVO
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Come trattare i reflui della trasformazione del latte in formaggio? Un problema spinoso e quanto mai attuale per i nostri caseifici, se si considera che in Puglia vengono prodotte circa 1500 tonnellate al giorno di effluenti di lavorazione tra siero, scotta e acqua di filatura. “Acque di processo” che vanno gestite secondo i limiti di legge, diversamente smaltite come “rifiuto speciale” a ditte specializzate con costi onerosi per le aziende (fino a 50 euro a metro cubo). Una interessante risposta al trattamento delle acque di caseificio, è stata avanzata nell’ambito del progetto DAIRY WASTE INNOGEST finanziato dalla Regione Puglia (POR Puglia 2014-2020). A svolgere l’attività di ricerca un team di tipo misto (pubblico –privato) composto da Università di
Bari (Dipartimento di Scienze del Suolo, della Piana e degli Alimenti), da EuroQuality Lab di Gioia del Colle, Itest Srl di Corato, Assoservice
Srl e Hi – Tech di Bari. Al prof. Michele Faccia (referente scientifico dell’idea progettuale, frutto di esperienze pregresse) chiediamo:
Un nuovo modello di gestione dei reflui caseari, di che si tratta?
Premesso che è assolutamente vietato spandere le acque di lavorazione dei caseifici nell’ambiente, in quanto in grado di contaminare la falda e di eutrofizzare i corsi d’acqua; in passato la loro gestione era piuttosto “disinvolta” e non sono mancati episodi di illegalità. Con l’evoluzione della coscienza ambientale i controlli sono diventati rigorosi e oggi si è alla ricerca continua di soluzioni che consentano di sottrarre le acque di caseificio alla “logica del rifiuto”. Comunque a parte il conferimento del siero agli allevamenti suini o misti, praticabile solo da caseifici piccoli a causa dei limiti di somministrazione al bestiame (gli eccessi possono diventare letali per lo stesso) esistono già da anni, le tecnologie in grado di risolvere potenzialmente il problema; esse sono due: la concentrazione per evaporazione o mediante tecnologia di membrana e la digestione anaerobica. La prima consente di ridurre i volumi delle acque di processo e di ottenere dei concentrati vendibili ad aziende che provvedono ad essiccarle per poi commercializzare le polveri in ambito food, zootecnico e cosmetico; la seconda invece consente l’ottenimento di biocarburante, in particolare biogas. Soluzioni che anno ancora alcuni limiti da superare nella pratica.
Mentre il modello di gestione del progetto “Dairy Waste Innogest”cosa prevede?
La soluzione si basa sulla concentrazione delle acque di lavorazione attraverso l’applicazione delle tecnologie di membrana di ultima generazione e l’introduzione di modifiche al processo di produzione dei formaggi a pasta filata. Le tecnologie di membrana non sono altro che tecniche di filtrazione molecolare su membrane porose (una sorta di setaccio con pori microscopici) che consentono la suddivisione dell’acqua di lavorazione in due parti, un concentrato contenente una parte dell’acqua e le molecole più grandi che non passano dai pori e un filtrato contenente la maggior parte dell’acqua ed eventualmente alcune sostanze più piccole (in caso di osmosi inversa si può arrivare ad acqua quasi pura).
Quali caseifici possono essere compatibili con questo sistema?
Diciamo che si parte da aziende che lavorano un minimo di 350 q di latte al giorno, dunque di dimensione media (si consideri che i 4 caseifici più grandi di Puglia ne lavorano oltre 1000 q a testa). Tuttavia già per aziende di 50-60 q vi sarebbe convenienza se operassero in forma associata. Al di sotto di 50 q al giorno non c’è convenienza. L’impianto a membrana viene installato direttamente in caseificio per trattare in sequenza siero, scotta e acqua di filatura.
Un impianto innovativo in linea con i principi dell’economia circolare che valorizza in questo caso i reflui di caseificio…
Esattamente, le acque di lavorazione diventano concentrato di siero vendibile, di ottima qualità; concentrato di scotta e di acqua di filatura, anch’ essa di alta qualità per impianti di biogas; filtrato di siero e scotta scaricabile in rete fognaria (addirittura reimpiegabile in quanto quasi pura); filtrato salato da acqua di filatura da reimpiegare nella fase di filatura da formaggi e pasta filata (riciclo nel processo di lavorazione).La novità di questo modello sta soprattutto nell’aver sviluppato le condizioni ottimali per gestire scotta e acqua di filatura.
Dal punto di vista della sostenibilità c’è un buon margine di abbattimento dei costi gestionali?
Con i dovuti adeguamenti agli impianti si può arrivare addirittura ad azzerare i costi di gestione degli effluenti di caseificio. In realtà si è accertato che se nel conto economico vengono inseriti i mancati costi di smaltimento, il modello presenta margini di profitto per le aziende.
Ad oggi quanti caseifici hanno chiesto di adeguare i propri impianti al nuovo modello gestionale?
Al momento una decina di caseifici hanno chiesto informazioni e quattro hanno ospitato il prototipo per delle prove sul campo. L’adozione del modello richiede ancora un passaggio a livello regionale, abbiamo tutte le evidenze scientifiche a supporto. Attendiamo sviluppi.
Trattasi di un modello esportabile su scala nazionale e internazionale?
Assolutamente sì, soprattutto se producono pasta filata.