le attivitĂ umane gesti, ambienti e prodotti interpretati da bambine e bambini del mondo
Quaderno-catalogo n° 16 Collana PInAC Gli Occhi le Mani Assessorato Cultura e Pubblica Istruzione Comune di Rezzato A cura di Elena Pasetti Testi di Mariella Foresti Marco Pertile Elena Pasetti Filastrocche Ganni Rodari, I colori dei mestieri, Il Vigile urbano ll Barbiere, Il Pompiere (citazioni) Poesie (versi citati) Giovanni Pascoli, Arano (Myricae) Pablo Neruda, Ode al muratore Canzoni (versi citati) Fabrizio de André, Maria nella bottega del falegname Enzo Jannacci, Vincenzina e la fabbrica New Trolls, Miniera Maria Bethania, Il Brasileirinho Quartetto Cetra, Nella vecchia fattoria Luigi Tenco, Ciao Amore Pierangelo Bertoli, Pescatore Francesco de Gregori, La leva calcistica della classe ‘68 Segreteria Maria Grazia Morandi Digitalizzazione delle opere Carla Cinelli Grafica Luisa Goglio
le attivitĂ umane
gesti, ambienti e prodotti interpretati da bambine e bambini del mondo
Pinacoteca Internazionale dell’Età Evolutiva Aldo Cibaldi Comune di Rezzato Assessorato alla Cultura Rezzato (Bs) Italia
Il lavoro di crescere Sarebbe bello se, nel quadro della esagerata operosità lombarda che chissà se basta a spiegare il forsennato agitarsi delle nostre strade, il lavoro al quale un paese – Rezzato, per dire un nome – dedica parte sostanziosa delle sue energie fosse far crescere i suoi bambini e le sue bambine. Certo bisognerebbe che gli adulti di quel paese si costituissero in comunità educante, convenendo a grandi linee su cosa vuol dire crescere, cosa dire mio di un bambino. Non aiuta quello che ci viene ripetuto quasi ovunque: che mio significhi solo un impulso di appropriazione immediata, scartare (togliere dalla carta), usare una o poche volte e alla prima necessità di un gesto, un’azione, un lavoro – lettura delle istruzioni, riparazione, sostituzione di una parte – scartare (eliminare). Non è così, lo sappiamo bene. Proviamo: mio padre, mia figlia. La mia scuola, il mio quartiere. Il mio comune. Dire mio ha a che fare con la cura e la responsabilità nel tempo. Ciò che è mio nasce solo dalla relazione e dalla reciprocità. Da un lavoro. Attraverso l’assunzione di un compito.
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Ah, i famigerati compiti della scuola, fonte di tante discussioni tra adulti! Una domanda: quando e perché si è persa l’alleanza educativa tra genitori e insegnanti? Solo ai maestri del consumo affidiamo senza remore i nostri figli? Dove li mandiamo quando un pensiero li tocca, un problema li affligge, e mettendoli alle corde offre l’opportunità di crescere? A fare shopping? Forse noi adulti dobbiamo ripensare il lavoro, dei grandi come dei bambini. A chi, a cosa serve? Chi deve lavorare? Tutti nel senso della responsabilità e dell’assunzione del ruolo. Nessuno al di fuori dei diritti universali degli esseri umani proclamati dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1948, di cui quest’anno ricordiamo i 60 anni insieme a quelli della Costituzione Italiana. I giuristi ci ricordano che i diritti umani coincidono con i bisogni fondamentali, sono indivisibili e devono essere garantiti a tutti ovunque nel mondo. Diversamente non sono diritti ma privilegi. Qui siamo in PInAC: ci affacciamo al mondo dei lavori muovendo dai disegni dei bambini e con l’occhio ai diritti e doveri
che servono a crescere cittadini consapevoli e attivi di tutte le taglie, a partire dalle più piccole. Dalle finestre di via Disciplina, mentre segnaliamo alla riflessione degli adulti le importanti pagine in catalogo di Marco Pertile dell’Università di Trento sul lavoro infantile nel diritto internazionale, ci viene da dire che civile è il paese che non dimentica mai che tutti i bambini sono suoi, arrivino da San Carlo, Bogorodizk o Korogocho. Che i piccoli sono di tutti e di tutti la responsabilità di crescerli. Che dare senso a sé e al mondo è un lavoro, il lavoro di crescere. Fortunato il paese che sa dedicare a questa attività il meglio delle sue energie. È l’augurio della PInAC per il nostro comune, Rezzato, che il 12 marzo 2008 ha compiuto 709 anni.
Mariella Foresti Assessore alla Cultura e pubblica Istruzione
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Il lavoro infantile nel diritto internazionale 1. Il lavoro infantile e il ruolo della Organizzazione internazionale del lavoro Pur essendo da sempre profondamente radicato nella storia dell’umanità, il lavoro infantile è diventato nuovamente un tema di dibattito a livello internazionale solo negli anni Ottanta del secolo scorso. Allora grazie all’ampia copertura dei media e all’aumento della circolazione delle informazioni, la società civile del cosiddetto mondo sviluppato divenne consapevole che le fotografie in bianco e nero dei bambini lavoratori dei tempi della rivoluzione industriale potevano essere scattate a colori in altre regioni del modo contemporaneo. Da quel momento, poche questioni attinenti alla tutela dei diritti dell’uomo hanno costantemente interessato l’opinione pubblica come quella di cui ci occupiamo e il movimento internazionale contro il lavoro infantile ha continuato ad espandersi e ad acquisire consenso. Come spesso accade con i problemi che toccano improvvisamente la coscienza delle persone, le prime reazioni furono istintive e scarsamente coordinate. L’azione contro il lavoro infantile coinvolse allora (come oggi) una serie di soggetti come le organizzazioni non governative (ONG), i sindacati, le imprese multinazionali, le organizzazioni internazionali, i governi e gli individui. Generalmente furono le iniziative provenienti dalla società civile a precedere e a stimolare l’intervento dei governi e delle
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organizzazioni internazionali. Iniziative private, come i sistemi di etichettatura e i codici di condotta delle imprese, si svilupparono anche in assenza di forme di intervento pubblico. Fu solo dopo un iniziale momento di esitazione, dunque, che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) cominciò a sfruttare la propria esperienza più che decennale in materia, assumendo un ruolo trainante nella lotta al lavoro infantile. Il coinvolgimento dell’OIL in questo settore risaliva in realtà già ai primi anni di vita dell’organizzazione. Il preambolo allo statuto chiarisce infatti che il miglioramento delle condizioni di lavoro dei bambini (e delle donne) è una delle principali ragioni alla base della creazione dell’organizzazione. In una prima fase l’attività dell’OIL si era però concentrata quasi esclusivamente nella creazione di norme volte ad introdurre un’età minima per l’accesso al lavoro. Le prime convenzioni riguardavano settori specifici come l’industria, l’agricoltura, la pesca e il lavoro sotterraneo e furono perfezionate da una convenzione generale sull’età minima solo nel 1973. La Convenzione 138 del 1973 vieta lo svolgimento di attività economiche ai bambini al di sotto dei 13 anni (12 anni per i paesi in via di sviluppo) e stabilisce che l’età minima per l’accesso al lavoro corrisponda a 15 anni (14 anni per i paesi in via di sviluppo) o comunque all’età corrispondente alla fine dell’istruzione obbligatoria. In termini generali la Convenzione non si limita ad introdurre un limite di età per l’accesso al lavoro ma prevede anche
una serie di clausole di flessibilità volte a favorire la ratifica da parte dei paesi in via di sviluppo. Ciononostante una parte sostanziale dei membri dell’organizzazione riteneva che queste misure non fossero equilibrate e riflettessero in modo troppo preciso la tradizione culturale del mondo occidentale. Il processo di ratifica rimase bloccato a lungo e le attività dell’OIL sul lavoro infantile sembravano essere giunte ad un’impasse. La situazione cominciò a cambiare negli anni Novanta anche in considerazione della rinnovata sensibilità dell’opinione pubblica. Durante il Summit mondiale delle Nazioni Unite del 1995, a Copenhagen, i Governi si impegnarono a ‘salvaguardare i diritti fondamentali e gli interessi dei lavoratori e a tal fine a promuovere liberamente il rispetto delle convenzioni rilevanti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro’. Il testo della Dichiarazione di Copenhagen sullo sviluppo sociale citava esplicitamente le convenzioni sul lavoro infantile assieme a quelle sulla libertà di associazione, sul diritto di organizzazione e contrattazione collettiva e sul principio di non discriminazione. Quando la Conferenza internazionale del Lavoro adottò nel 1998 la Dichiarazione sui diritti e principi fondamentali del lavoro, l’abolizione effettiva del lavoro infantile venne inclusa tra i quattro principi fondamentali dell’Organizzazione assieme alla libertà di associazione e al diritto di contrattazione collettiva, all’eliminazione del lavoro forzato e obbligatorio e all’eliminazione della discriminazione nell’impiego e
nell’occupazione. Secondo la Dichiarazione, per il semplice fatto di essere parte dell’Organizzazione, gli stati membri dovevano ritenersi obbligati a rispettare tali principi, a prescindere dalla ratifica delle convenzioni rilevanti. La Dichiarazione segnava l’emergere di una nuova tendenza, volta a creare delle priorità nell’azione dell’OIL, che, nel 1999, si espresse nell’ambito del lavoro infantile con la successiva adozione della Convenzione 182 sulle peggiori forme di lavoro infantile. La Convenzione 182 mira a svolgere una funzione complementare rispetto alla Convenzione 138 sull’età minima, identificando quattro peggiori forme di lavoro infantile da eliminarsi immediatamente. Esse sono definite come segue: a. tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, quali la vendita o la tratta di minori, la servitù per debiti e l’asservimento, il lavoro forzato o obbligatorio, compreso il reclutamento forzato o obbligatorio di minori ai fini di un loro impiego nei conflitti armati; b. l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore a fini di prostituzione, di produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici; c. l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore a fini di attività illecite, quali, in particolare, quelle per la produzione e per il traffico di stupefacenti, così come sono definite dai trattati internazionali pertinenti;
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d. qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore. È chiaro che un approccio di questo tipo può prestarsi a delle critiche: creare delle priorità implica necessariamente anche identificare quanto resta come non prioritario. In questo senso è stato sottolineato che la logica della Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali sul lavoro corre il rischio di ridimensionare il valore giuridico degli obblighi derivanti dalle convenzioni che non rientrano nei quattro principi ritenuti fondamentali. Resta il fatto però che, per quanto in particolare riguarda il lavoro infantile, l’adozione della Convenzione 182 ha portato al raggiungimento di alcuni risultati senza precedenti. Tra questi devono essere sottolineati la formazione di un consenso a livello globale su quello che può essere ritenuto il nucleo centrale del lavoro infantile e, in termini generali, la rivitalizzazione delle attività dell’OIL in materia. La Convenzione 182 fu adottata unanimemente e in tempi molto rapidi ed è stata ratificata da quasi tutti i membri dell’OIL. Il processo di ratifica ha inoltre provocato un rinnovato interesse per la Convenzione 138 che a sua volta ha raggiunto un numero sostanziale di ratifiche. Ad oggi 165 Stati sono obbligati al rispetto della Convenzione 182 e 150 Stati della 138. L’intero processo ha stimolato l’interesse dei paesi donatori ed ha portato allo stanziamento di un ammontare considerevole di fondi volti a finanziare la lotta contro il lavoro infantile. Le attività dell’OIL non si esauriscono però nella creazione di testi normativi. Dal punto di vista operativo l’anno 1992 vide la creazione di IPEC, il programma internazionale per l’eliminazione del lavoro infantile. Con più di 450 operatori ed un budget annuale
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di 60 milioni di dollari, IPEC è non solo il programma più ampio nell’ambito dell’OIL ma è anche il soggetto più importante nel campo della cooperazione tecnica contro il lavoro infantile. Il programma assiste gli stati membri nell’adempimento degli obblighi derivanti dalle convenzioni al fine di ottenere l’eliminazione progressiva del lavoro infantile e il prioritario sradicamento delle peggiori forme. Le attività spaziano dalla sensibilizzazione dell’opinione pubblica alla cooperazione con i governi e alla assistenza ai bambini nell’ambito di progetti regionali, subregionali e nazionali. L’aspetto più rilevante è l’azione volta a favorire l’adozione di politiche nazionali che non solo sottraggano i bambini al lavoro rischioso, ma forniscano loro delle valide alternative. In questo momento IPEC opera in 88 Paesi e gestisce oltre 250 progetti.
2. L’estensione del fenomeno Le stime dell’OIL rivelano una considerevole diminuzione del lavoro infantile a livello globale nel periodo 2002-2004. Nel 2004 si contavano 190,7 milioni di bambini economicamente attivi nel gruppo di età 5-14; tra questi 165,8 milioni erano classificati come bambini lavoratori e 74,4 milioni di questi ultimi erano impiegati in forme di lavoro ‘rischioso’. Rispetto a 4 anni prima la diminuzione di questi tre gruppi ammonta rispettivamente al 9,6%, all’11%, al 33,2%. Dal punto di vista settoriale, la percentuale più alta di lavoro infantile si riscontra nell’agricoltura (69%), mentre l’industria e i servizi raggiungono rispettivamente il 9% ed il 22%. L’analisi delle tendenze a livello regionale rivela forti disuguaglianze: la diminuzione totale dell’11% dei bambini lavoratori si spiega principalmente con
riferimento ai progressi ottenuti in Sud America mentre la situazione nell’Asia e nel Pacifico e soprattutto nell’Africa sub-sahariana è meno positiva. Se le cifre dimostrano che c’è stata una forte diminuzione del lavoro infantile nel periodo esaminato, deve comunque essere precisato che le indagini statistiche non coprono le forme peggiori di lavoro infantile diverse dal lavoro rischioso. Ci si può inoltre chiedere quale sia l’effettivo impatto delle strategie contro il lavoro infantile nell’ottenere questi risultati o se gli stessi non siano piuttosto da ascrivere al miglioramento della situazione economica. Nel complesso i dati non sembrano permettere di valutare quanto realistico sia l’obiettivo posto dall’OIL di eliminare totalmente il lavoro infantile entro il 2016, ma è chiaro che un risultato come questo potrà essere raggiunto solo a patto di affrontare efficacemente i problemi dell’Africa sub-sahariana, che è attualmente la regione che ha al contempo la più alta incidenza del lavoro infantile e un altissimo tasso di crescita della popolazione.
3. Il lavoro infantile: un problema multidimensionale Gli studi scientifici sul lavoro infantile descrivono invariabilmente il problema come complesso e difficile da risolvere. In particolare, sembra condivisibile considerare il lavoro infantile come un problema ‘multidimensionale’ e ciò da almeno tre punti di vista, parzialmente sovrapponibili: 1. la multidimensionalità dei soggetti; 2. la multidimensionalità delle cause; 3. la multidimensionalità delle soluzioni
I soggetti. La multidimensionalità dei soggetti emerge se si considera che gli attori che contribuiscono a generare il problema o a ricercare una soluzione ad esso sono di natura diversa e spesso perseguono obiettivi diversi. Di solito si pensa ai paesi sviluppati, ai paesi in via di sviluppo, ai sindacati, alle imprese, alle organizzazioni non governative, alle organizzazioni internazionali e così via. In modo un po’ paradossale i riferimenti ai bambini sono molto rari. I principali interessati sono di solito considerati come l’oggetto del problema piuttosto che come un soggetto in grado di cooperare nella ricerca di una soluzione. Questa tendenza trova espressione giuridica negli ordinamenti statali che, fino ad una certa età, considerano i bambini incapaci di decidere per se stessi. Dal canto suo il diritto internazionale non cambia di molto la situazione: gli obblighi internazionali, siano essi di natura consuetudinaria o convenzionale, sono generalmente concepiti come obblighi in capo agli stati. Questi ultimi sono giuridicamente obbligati ad adottare misure legislative od operative per sradicare il lavoro infantile, ma il contenuto di questi obblighi raramente implica il bisogno di conoscere le preoccupazioni dei bambini dalla loro stessa voce, per tacere dell’attribuzione ai bambini del potere di decidere per loro stessi. Un’importante eccezione potrebbe essere proprio la Convenzione 182 unitamente alla Raccomandazione 190. L’articolo 6 della Convenzione obbliga gli stati parte a ‘predisporre ed attuare programmi di azione per eliminare prioritariamente le peggiori forme di lavoro infantile’ e a fare ciò ‘consultando le istituzioni di Governo rilevanti e le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, tenendo in considerazione le opinioni di altri gruppi interessati’. L’articolo 2 della Raccomandazione specifica ulteriormente il significato di ‘altri gruppi interessati’ affermando che ‘i
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programmi di azione di cui all’art. 6 della Convenzione dovrebbero essere predisposti e attuati … tenendo in considerazione l’opinione dei bambini direttamente interessati dalle peggiori forme di lavoro infantile…’. Ciò è del resto pienamente compatibile con il principio generale di cui all’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo secondo cui ‘gli Stati-parte assicureranno al bambino che è capace di formare la propria opinione, il diritto di formare le proprie opinioni, il diritto di esprimere tali opinioni liberamente in tutte le questioni che lo interessino’. Purtroppo questi principi non sembrano essere stati, fino ad ora, attuati in modo adeguato.
La cause. Il lavoro infantile è un problema multidimensionale anche sotto il profilo delle cause che lo generano e dei fattori che impediscono il raggiungimento di una soluzione. Tra questi, la povertà è universalmente riconosciuta come la causa principale. Il riconoscimento del suo ruolo nel determinare il problema è così ampio che affermare oggi che il lavoro infantile è inestricabilmente connesso alla situazione economica di una determinata regione è diventato un luogo comune. Invero la povertà è spesso utilizzata come un concetto omnicomprensivo che racchiude in sé il riferimento ad altri fattori specifici come ad esempio l’analfabetismo dei genitori, l’insufficienza dei salari degli stessi, l’assenza di istruzione, i disastri naturali, i conflitti armati endemici. Inevitabilmente il riferimento alla povertà pare implicare l’ulteriore assunto che il lavoro infantile non sia una scelta dei bambini e delle famiglie ma il risultato di una situazione di bisogno. Studi empirici dimostrano però che il lavoro infantile non è esclusivamente determinato dalle forze del mercato e da fattori economici: il quadro complessivo è ben più complicato
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e implica il riferimento anche a fattori culturali. In ogni società l’autostima ed il riconoscimento sociale sono strettamente connessi alla posizione dell’individuo in termini di occupazione e di funzione sociale. Nelle società tradizionali alcune forme di lavoro infantile non sono necessariamente considerate un flagello ma sembrano svolgere un ruolo fondamentale dal punto di vista educativo nella socializzazione e nei riti di passaggio. Sembra quindi chiaro come, da questo punto di vista, il ruolo dei bambini nella società non può essere considerato un fattore indipendente poiché riflette la struttura di una organizzazione sociale che si è sviluppata nei secoli. È quindi fondamentale che le implicazioni culturali e morali della lotta contro il lavoro infantile siano attentamente valutate e discusse. Senza un dibattito attento, tale lotta corre il rischio di assumere un’imposizione acritica dei valori dominanti a livello globale, proprio nelle società che hanno scarsamente contribuito a generarli. Tra le cause del lavoro infantile, e di ogni problema connesso alla condizione dei lavoratori e dei diritti sociali in generale, la parola ‘globalizzazione’ ricorre fino alla nausea; essa è stata pronunciata così spesso da studiosi, politici, giornalisti che il suo significato, sembra essersi dissolto. Si è giustamente osservato che il termine è ora comunemente utilizzato per descrivere la nostra epoca a prescindere dalla sua stessa definizione. È importante riconoscere che alcuni aspetti di questo fenomeno sono direttamente rilevanti per il lavoro infantile. Forse un punto di partenza può essere l’osservazione che, buona o cattiva, la globalizzazione è ampiamente percepita come inevitabile ed ha drasticamente aumentato le possibilità che il capitale e gli strumenti finanziari hanno per varcare i confini. Al contrario ciò non è affatto possibile per la grande maggioranza dei lavoratori. Se il mondo è un
villaggio per il capitale e per una élite poliglotta e globalizzata, esiste una moltitudine “localizzata” per cui attraversare i confini al fine di migliorare le proprie condizioni di lavoro o di vita è semplicemente impossibile. Sembra quindi chiaro che in un mondo così ci sono vincitori e sconfitti e che i bambini lavoratori, probabilmente la parte più fragile delle società, tendono ad iscriversi nella seconda categoria. Tra gli effetti della globalizzazione e dell’ampio uso di nuove tecnologie è comune da annoverare anche il cambiamento della nostra percezione dello spazio e del tempo. In un mondo in cui le distanze si erodono, si possono forse generare effetti paradossali. Se da un lato la globalizzazione e l’aumentata facilità di movimento del capitale paiono aggravare il problema, dall’altro lato la stessa esistenza di un movimento globale contro il lavoro infantile è di per sé un prodotto della globalizzazione.
sostenere al riguardo che la regolazione giuridica del lavoro infantile è semplicemente un ostacolo all’efficiente funzionamento del mercato. Effettivamente è opportuno ricordare che l’eliminazione del lavoro infantile non implica necessariamente un miglioramento nel benessere degli stessi bambini. È chiaro che proibire il lavoro infantile non sarà mai di per sé sufficiente a eliminare un problema che è radicato in fattori economici e culturali. Lo scopo delle misure giuridiche non può essere la trasformazione di un bambino lavoratore in un bambino che muore d’inedia. Una semplice proibizione, se non si accompagna a strumenti volti ad affrontare le radici del problema e ad assistere i bambini che lasciano il lavoro infantile può essere spesso inefficace. In molte circostanze passi concreti come la fornitura di pasti gratuiti agli studenti o l’adozione di nuove tecnologie produttive e la riduzione dei tassi di natalità possono rivelarsi molto più significativi dell’adozione di un nuovo testo giuridico. Studi empirici dimostrano che l’innalzamento Le soluzioni. Anche sotto il profilo delle soluzioni, il problema è dell’obbligo scolastico in un sistema che offra istruzione gratuita di multidimensionale. L’adozione di misure concrete per lo sradicamento buona qualità è una delle strategie più efficaci per ridurre il lavoro del fenomeno ricade spesso nell’ambito della giurisdizione statale infantile. per cui si rivela essenziale la funzione di coordinamento degli attori Bisogna concludere che l’intervento giuridico con le sue rigidità internazionali. Pare quindi inevitabile concludere che, per quanto ed i suoi aspetti retorici è inutile e forse anche controproducente? Si riguarda le soluzioni, la lotta contro il lavoro infantile debba essere può sostenere che l’adozione di politiche economiche appropriate condotta anche a livello internazionale. sia sufficiente? Il lavoro infantile, come si è detto, è dovuto in larga parte a A nostro avviso la risposta ad entrambi i quesiti è negativa. fattori economici. Le soluzioni sono quindi strettamente connesse al Anche i provvedimenti giuridici quando appartengono a un piano miglioramento della situazione economica e all’eliminazione della più ampio, sono una componente essenziale di quelle misure che povertà. In questo senso ci si può anche chiedere quale sia il ruolo contribuiscono alla eliminazione del lavoro infantile. Gli strumenti degli strumenti giuridici se l’assoluta priorità è solamente l’inizio di giuridici possono svolgere diverse funzioni: alcuni enunciano un ciclo economico favorevole. Un economista neoclassico potrebbe solennemente le priorità e gli obbiettivi da perseguire, altri
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sanzionano comportamenti inaccettabili, altri ancora indirizzano risorse verso alcune tipologie di attività. Inoltre il diritto può svolgere un ruolo essenziale di supporto all’adozione di politiche economiche quando gli equilibri economici sono intrappolati in situazioni che si autoalimentano di uso estensivo del lavoro infantile. In questo quadro il diritto internazionale diventa uno strumento di coordinamento che assicura che gli obiettivi e le strategie della lotta contro il lavoro infantile siano condivisi a livello globale. È noto che in un mondo globalizzato le decisioni sono spesso assunte al livello globale e che lo spazio di autonomia delle autorità di governo nazionali si riduce sempre più. Questo pone chiaramente il problema della legittimazione degli attori internazionali e il funzionamento del diritto internazionale non sempre sembra essere adeguato. Come è stato più volte notato l’interesse per l’eliminazione del lavoro infantile può
essere interpretato anche alla luce del perseguimento di obiettivi protezionistici da parte dei paesi occidentali a scapito di quelli in via di sviluppo. La questione del lavoro infantile rischia costantemente di essere ostaggio degli interessi di lobbies molto potenti. È importante che in questioni come quelle che riguardano il lavoro infantile – che interessano il settore più vulnerabile della società, cruciale per il suo futuro sviluppo – non venga abbandonato l’impegno di governare la globalizzazione. Riteniamo necessario, anche se difficile, affrontare la sfida di definire nuovi sistemi e un ordine internazionale più democratico. Attraverso cambiamenti graduali sembra possibile identificare dei valori comuni anche a livello globale. L’ampio rifiuto delle forme peggiori di lavoro infantile da parte di tutte le componenti dell’OIL, e cioè i governi, i lavoratori e i datori di lavoro del mondo è prova di questo.
Marco Pertile Ricercatore di Diritto Internazionale Universià di Trento
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Fila la lana, fila i tuoi giorni Mestieri. Le attività umane: gesti, ambienti e prodotti, interpretati da bambine e bambini del mondo. È la seconda mostra PInAC a tema per l’anno 2008. Le cinquantadue opere esposte in PInAC, provenienti da Italia, Giappone, Gran Bretagna, Polonia, Repubblica Ceka, Oklaoma, Maryland, Russia, Kenya, Perù, Svizzera, Germania, offrono aspetti del lavoro umano specchio del tempo – fine degli anni ‘60 fino agli anni ’80 – in cui è stata realizzata la maggior parte dei lavori presentati. Abbiamo deciso di privilegiare i mestieri e non le professioni, peraltro scarsamente rappresentate nella raccolta. Escluse anche le attività commerciali poiché oggetto della prossima mostra. A motivo di queste scelte, dai cassetti dell’archivio è uscita una folla variegatissima e affascinante fatta di contadini, di operai e operaie, di casalinghe e di meccanici, di pastori, di allevatori e lavandaie, di pescatori e artigiani. Incontri sorprendenti con uomini e donne di cui pare udire le voci e i richiami, con animali al pascolo in mansuete greggi, con macchine agricole dai motori sbuffanti. Tutti i sensi sono allertati: sciaborda l’acqua mentre le lavandaie sciacquano e stendono i panni; scavano i minatori dentro il nero, acre carbone della miniera, narrano storie antiche le contadine sull’aia mentre strappano le brattee del granturco, vocia il menalat per chiamare alla giornaliera consegna del latte.
Così il vasaio mostra il frutto delle sue mani esperte mentre il ciabattino accanto sta allestendo il deschetto che odora pungente di colla. Dentro il laboratorio un po’ prigione lavora l’impagliatore; il mugnaio tende il sacco rigonfio alla bocca della tramoggia, la tessitrice è curva sul telaio che la sovrasta, immenso come la sua fatica di ripassare per ore e ore pettine e aspa; algide le allevatrici di bachi da seta stanno in composta attesa del prodigio della seta promessa. Ritma il telaio il suo monotono andare, fa il verso alla pialla e al martello del falegname. E poi si incontra l’arrotino-ombrellaio-stagnino in un turbinio di folla, di voci allegre, di ombrelli e pentole da aggiustare; spunta anche qualche orologio in cerca del suo sicuro ticchettio. Rappresentazioni che per alcuni aspetti potrebbero appartenere anche ai primi decenni del Novecento, almeno per le opere di provenienza europea, perché mostrano mestieri attualmente molto meno visibili o che hanno subito una sostanziale trasformazione tecnologica. Ma forse già nel momento della realizzazione e soprattutto per alcune delle attività agricole e artigianali, si può ipotizzare uno sguardo rivolto al passato come recupero di identità sociale e di memoria collettiva delle attività sul territorio. Fa capolino qualche mestiere ‘esotico’: il cow boy in rodeo con
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un vitello, la giocattolaia russa regale nel suo tradizionale costume, la donna andina con l’antichissimo telaio a cintura. Altri lavoratori come vigile urbano, operaio, casalinga, vigile del fuoco, barbiere, fornaio, meccanico, calciatore e modella rimandano alla nostra vita di ogni giorno. Brillano vistose assenze, quali i lavori impiegatizi e quelli nei servizi, probabilmente quelli che non evocano nell’immaginario infantile azione concrete, cose, odori e rumori dell’esperienza vissuta. Fra i collages di diverso materiale, i pastelli a olio, i dipinti a tempera e acquerello, la china, il graffito, le matite e il carboncino. spiccano le incisioni su linoleum, monocromatiche e a più colori a stampe sovrapposte. Molte di queste, di sorprendente fattura, sono testimoni di una produzione realizzata all’inizio degli anni ’70 da alunni delle scuole medie di Montichiari e Carpendolo, paesi della campagna a sud di Brescia. Tecnica ormai in disuso nella scuola, come molti dei lavori raccontati da sgorbie e inchiostri.
Elena Pasetti Direttrice PInAC
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Io so i colori dei mestieri: sono bianchi i panettieri, s’alzano prima degli uccelli e han farina nei capelli;
sono neri gli spazzacamini, di sette colori son gli imbianchini;
gli operai dell’officina hanno una bella tuta azzurrina:
han le mani sporche di grasso; i fannulloni vanno a spasso, non si sporcan nemmeno un dito, ma il loro mestiere non è pulito. Gianni Rodari
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Il fornaio Sonia Graf, 10 anni Augsburg, Germania, 1987 Collage cm 33x48 FA 2053
Il mugnaio Donata Tebaldini, 12 anni Carpendolo (Bs), Italia, 1969 Linoleografia a pi첫 colori cm 30x40 FA 2023
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L’ombrellaio Mariella Mariani, 11 anni Casciano di Camporgiano (Lu), Italia, 1967 Tempera cm 50x70 FA 3705
Questo barbiere è un tipo ameno: ti fa la barba sol col sereno. Se invece il sole nel ciel non c’è, la barba devi tagliar da te! Gian n i Ro dar i
Il barbiere Yamamura Chiyo, 10 anni Osaka, Giappone 1967 China cm 41x27 FA 0770
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Nelle cantine Carla Mamberti, 11 anni Cagliari, Italia Tempera cm 24x34 FA 2064
Senza titolo Maria Rosa Molinari, 12 anni Montichiari (Bs), Italia 1969 Linoleografia cm 50x40 FA 3970
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Falegname Stefano Lunardis, 14 anni Trieste, Italia 1987 Graffito cm 20x31 FA 2045
Falegname col martello
perché fai den den? con la pialla su quel legno perché fai fren fren? L’artigiana del villaggio
F abr i z i o D e An dr é,
M ar ia n ella botteg a del f alegn am e
Tatjana Belova, 9 anni Tula, Russia 1995 Tempera cm 28x38 FA 3387
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La vecchia tipografia Fabrizio Pontelli, 9 anni Bussolengo (Vr), Italia Linoleografia cm 25x32 FA 2137
L’arrotino Lorenzo Zaniboni, 13 anni Carpendolo (Bs), Italia 1970 Linoleografia cm 31x48 FA 3476
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O dònn gh’è chí el molètta se gh’avii el cortell coi dent / se gh’avii la forbesetta che taja pü per nient cortell e forbesètta o dònn portèmej chí / no gh’è nissün molètta che mòla mej de mí... Ca nto popolar e 25
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Impagliatore di sedie Roberta Clerici, 13 anni Como, Italia 1987 Tempera cm 34x24 FA 2162
Io sono l’ometto che fa il calzolaio. Seduto al deschetto lavoro e son gaio. Se avete una scarpetta ch’è rotta o non va portatela subito portatela qua.
Vecchie botteghe artigiane Luigi Chiarini, 13 anni Carpendolo (Bs), Italia 1971 Linoleografia cm 50x70 FA 2679
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Meccanico d’auto Massimo Scabardi, 14 anni Trieste, Italia 1987 Pastelli cm 21x33 FA 2163
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Vincenzina davanti alla fabbrica, Vincenzina il foulard non si mette più. Una faccia davanti al cancello che si apre già. Vincenzina hai guardato la fabbrica, come se non c’è altro che fabbrica e hai sentito anche odor di pulito e la fatica è dentro là... En zo J an n acci,
V in cen z in a e la f abbr ica
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Operai al lavoro Maria Dal Giudice, 14 anni Potenza, Italia 1987 Graffito cm 32,5x49 FA 2155
L’Hanorah Raffaella Barbieri Pavia, Italia 1973 Pastelli cm 35x48 FA 2047
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Officina Tomas Archer, 14 anni Liverpool, UK 1963 Tempera 75x55,5 FA 2091
Il lavoro di papĂ Hiroichi Sumiyoshi, 8 anni Giappone Litografia cm 35x50,5 FA 3997
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Telaio Hineno Tanimachi, 11 anni Osaka, Giappone 1967 Acquarello e china cm 38x53,5 FA 0780
Como, città della seta Monica Pagani, 13 anni Como, Italia 1987 Tempera cm 29,5x42 FA 2005
A San Giorg se mett la semenza al cold. Se i cavalé in bê mett a Santa Cròs han da vess nassü. Ca nto popolar e c omas c o
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Il rappresentante di idropulitrici a vapore Daniele Oboli, 8 anni Pavia, Italia 1984 Pastelli cm 35,5x48,5 FA 2024
Operai al lavoro Yahmamoto Yoshikazu, 14 anni Osaka, Giappone 1967 Tempera cm 50x67 FA 2085
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Da un punto all’altro andava con mani tranquille il muratore rimuovendo materiali (‌) Pablo N er uda,
O de al m ur ator e
Lavori in corso Artur Szubert, 12 anni Posdrenik, Polonia Tempera cm 50x70 FA 2025
Cantiere Yoshioka Hideki, 7 anni Osaka, Giappone 1969 Tempera su cartoncino 38x54 FA 2082
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Cantiere Noboru Nakamura, 10 anni Kyoto, Giappone 1969 Tempera cm 38x54 FA 4075
Le case, le pietre ed il carbone dipingeva di nero il mondo. Il sole nasceva ma io non lo vedevo mai laggi첫 nel buio. Nessuno parlava solo il rumore di una pala che scava, che scava. N ew Tr olls ,
La mine Artur Szubert, 12 anni Varsavia, Polonia Tempera cm 43x65 FA 4114
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M i ni e r a
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Vai, mandriano, che scende la notte. Raccogli il tuo gregge e torna dal tuo amore. La mattina quando mi metto in strada conduco la mia mandria nella stagione delle piogge. Sono dieci capi, è molto poco, quasi niente. Ma non ve ne sono altri di piÚ belli nella regione. Vai, mandriano, che spunta il giorno. Porta il tuo gregge e continua a pensare nel tuo amore. M ar i a B e t hani a,
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Il B r as ileir in h o
Le buone mucche Christoopher Irino, 15 anni Nairobi, Kenya 1983 Tempera cm 43x50,5 FA 0086
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Il gregge Mariolino Festinoni, 7 anni Italia, Domodossola 1966 Pastelli cm 48x66 FA 3708
La Menega Livio Saetti, 13 anni Carpendolo (Bs), Italia 1970 Linoleografia cm 45x29,5 FA 2680
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Nella vecchia fattoria, ia ia oh dove c’è lo zio Tobia, ia ia oh c’è un bel cortil, un orticel, un gran recinto col cancel c’è vicin la ferrovia, ia ia o. Quar tetto Cetra,
Nella vecchia fattoria
Il guardiano di tacchini Arthur Gomez, 7 anni USA Tempera, cm 37x50 FA 0048
Rodeo Christopher Hay, 9 anni Oklahoma, USA 1967 Tempera cm 43x58 FA 0082
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Il menalat Giuseppe Ravera, 13 anni Carpendolo (Bs), Italia 1970 Linoleografia a pi첫 colori cm 32x45 FA 2160
La mungitura Richard Azwey, 9 anni Baltimora (Maryland), USA 1967 Pastelli a cera cm 43x56 FA 4054
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Contadini Luca Cominelli, 13 anni Darfo (Bs), Italia 1969 Carboncino cm 24x36,5 FA 2145
L’uccisione del maiale Ornalla Chiari, 14 anni Montichiari (Bs), Italia 1971 Linoleografia a più colori cm 41,5x40,5 FA 2088
Per Santa Lucia e per Natale il contadino ammazza il maiale. Chi per Natale non ammazza il porco,tutto l’anno resta col muso storto. P r overbio c ont a dino
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Fienagione John Burgin, 13 anni Bellinzona, Svizzera Pastelli cm 25x37 FA 2052
La solita strada, bianca come il sale il grano da crescere, i campi da arare. Guardare ogni giorno se piove o c’è il sole... L u i g i Te nco ,
Ciao Am or e
Moglie andina Inga Garcia Karina, 10 anni Perù, 1986 Matita cm 21x30 FA 2366
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Il lavoro nei campi Franco Gianfranchi, 12 anni Montichiari (Bs), Italia 1987 Penna e acquarello cm 32x47 FA 2164
La mietitura Massimo Valenza, 9 anni Pavia, Italia 1984 Pastelli a cera cm 33x48 FA 0778
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Al campo, dove roggio nel filare qualche pampano brilla, e dalle fratte sembra la nebbia mattinal fumare, arano: a lente grida, uno le lente vacche spinge; altri semina... Giovanni Pascoli,
Arano (da Myricae)
Il contadino Domenico Giulianini, 14 anni Ravenna, Italia 1982 Tempera cm 48,5x33 FA 2166
La raccolta delle mele Andrea Giaquinta, 7 anni Merano (Bz), Italia 1987 Pennarelli cm 29x42 FA 2138
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I taglialegna Mauro Porta, 8 anni Castenedolo (Bs), Italia 1987 Linoleografia cm 30x30 FA 0778
Le spannocchiatrici Elisabetta Tosi, 13 anni Montichiari (Bs), Italia Linoleografia cm 30x40 FA 3719
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Una buona pesca Anich Nicassius, 15 anni Africa Kenya Nairobi, 1983 Tempera cm 34,5x43 FA 2055
Pesca, forza, tira pescatore, pesca e non ti fermare, poco pesce nella rete, lunghi giorni in mezzo al mare‌ Pierangelo Ber toli,
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Pescatore
La bella lavanderina che lava i fazzoletti per i poveretti della città. Fai un salto, fanne un altro, fa’ la giravolta, falla un’altra volta, guarda in su, guarda in giù; dai un bacio a chi vuoi tu!
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Le lavandaie Angela Galati, 10 anni Bussolengo (Vr), Italia 1987 Linoleografia cm 25x39,5 FA 2165
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La mia mamma prepara la tavola Marina Ossini, 11 anni Manerbio (Bs), Italia Collage FA 0163
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Senza titolo Berenice Brasile Matite colorate cm 21,5x26 FA 3338
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Le tessitrici Meva Hueita Marieni, 13 anni, Per첫 1986 Tecnica mista cm 25x32 FA 2356 65
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Le indossatrici Mirko Quaglia, 13 anni Torino, Italia 1987 Linoleografia e china FA 2143
Una mamma Roberto Cancellerini, 13 anni Darfo (Bs), Italia 1969 Pastelli cm 35x30 FA 2897
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Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore lo vedi dal coraggio dall’altruismo e dalla fantasia… Francesco De Gregori,
La leva calcistica della classe ‘68
Lo sport Krysztof Makos, 14 anni Varsavia, Polonia Tempera cm 50x70 FA 3542
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I vigili del fuoco Valentina Scotti, 9 anni Pavia, Italia 1973 Tempera cm 48x35 FA 2042
Il pompiere è sempre in battaglia, ma senza bombe, senza mitraglia, senza fucile fa la sua guerra al servizio di tutta la terra. Gianni Rodari
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Chi è piú forte del vigile urbano? Ferma i tram con una mano. Con un dito, calmo e sereno, tiene indietro un autotreno: cento motori scalpitanti li mette a cuccia alzando i guanti. Sempre in croce in mezzo al baccano: chi è piú paziente del vigile urbano? Gianni Rodari
Il vigile Pasquale Manni, 12 anni Arma di Taggia (Im), Italia Pastelli a cera cm 48x36 FA 2068
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Finito di stampare nel marzo 2007 da Color Art, Rodengo Saiano (Bs)