Sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: «più in là»
EUGENIO MONTALE
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CALENDARIO
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FILARMONICA
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CONTRAPPUNTI
89
La sinfonia dei principi universali in cui il soggetto non è l’io ma l’uomo di Enrico Girardi
90
Il gioco del passato e del presente: un meraviglioso teatro sonoro di Raffaele Mellace
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Due partiture di Stravinskij e Šostakóvič nel nuovo cammino della musica occidentale di Roberto Favaro
100
Sinfonie come teatro musicale di Giorgio Pestelli
102
Dalla civiltà concertante al solismo romantico di Giorgio Pestelli
104
In cielo, in terra, in triste divenire di Quirino Principe
106
Grandi musicisti nel ‘900 storico italiano di Alessandro Solbiati
112
Sinfonia, concerto, ouverture e variazioni nell’Ottocento di Cesare Fertonani
116
121
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FENOMENI
Conversazione di Giuseppe Martini con Alberto Triola
La perfezione e la sua ri-creazione, tra museo, musica e lotte con gli angeli di Francesco Cilluffo
138
Suoni visibili, forme invisibili di Quirino Principe
144
Passio di Federico Maria Sardelli
154
FILARMONICA ARTURO TOSCANINI
162
164
Una questione di identità di Gian Paolo Minardi
Alpesh Chauhan, Direttore Principale
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Dalla pochette rossa al frac di Savile Row di Mauro Balestrazzi
167
177
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Le partiture di Fabio Capogrosso dalla capacità comunicativa diretta e istantanea di Carlo Boccadoro
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Pablo Ferrández, Artista in residenza
180
Un amico di 340 anni per un giovane talento di Mauro Balestrazzi
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182
RESIDENZE
Fabio Massimo Capogrosso, Compositore in residenza
ENGLISH ESSAYS
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«Il nonno amava acquistare i quadri direttamente. Era tutto un andare e venire tra aste e studi di pittori. Quando il nonno s’invaghì della celeberrima «Toilette del mattino», visitando l’atelier di Telemaco Signorini (e la comperò) la spesa fu tale che la nonna Carla, per cercare di compensare l’esborso, gli fece firmare una carta dove si impegnava a incidere due dischi. Pare che il Nonno avesse confidato all’amico Ojetti: “Quella luce dalle persiane verdi socchiuse, la donna che si pettina davanti allo specchio, l’amico che sbadiglia sul divano… Potevo privarmi di un quadro così?”».
In ricordo della contessa Emanuela di Castelbarco, scomparsa il 6 dicembre 2018 nella sua dimora di Poderi di Montemerano a Manciano. Da sempre vicina alla Toscanini, ha tramandato in prima persona il ricordo più intimo e familiare, quello dell’uomo e del nonno Arturo.
Arturo Toscanini con la nipote Emanuela contessa di Castelbarco. Riverdale, New York, 1954 (?). 18
xliv Stagione di Concerti 2019 /2020
FILARMONICA
Due Cartelloni per una Stagione. Due occhi per lo stesso sguardo. Filarmonica e Fenomeni mettono a fuoco modalità diverse ma non divergenti di ascolto; forme e generi che allargano l’orizzonte in modalità «aperta», toscaniniana. Perchè approfondire non necessariamente comporta il limitare.
xliv Stagione di Concerti
FILARMONICA
2019 /2020
XLIV Stagione di Concerti Parma | Auditorium Paganini Venerdì 8 novembre 2019, ore 20.30 Sabato 9 novembre 2019, ore 20.30
ALPESH
CHAUHAN LEAH PARTRIDGE Soprano
DANIELA PINI Mezzosoprano
PATRIK REITER Tenore
THOMAS TATZL Basso
FILARMONICA ARTURO TOSCANINI CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA CORRADO CASATI Maestro del coro
Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93 Sinfonia n. 9 in re minore per soli, coro e orchestra op. 125
Glissando
t r a l e no t e
Piuttosto breve, composta in poco tempo nel 1812, la Sinfonia n. 8 rivela ancora una volta la comunione spirituale fra Beethoven e Haydn. Sorprende la sua lievità che si esprime insieme ad una inaspettata carica ironica nell’Allegretto scherzando, basato sul canone “Ta ta ta…… caro Mälzel, salute a lei, tanta salute! Misura del tempo, grande metronomo……”. L’Ottava non dà assolutamente la sensazione di essere preparatoria alla n. 9, la più lunga che sia mai stata composta fino ad allora. La libertà politica e di pensiero, essenza della “Gioia” illuminista e concetto fondamentale dell’ode schilleriana An die Freude del 1793, che è collocata nel suo IV movimento, fanno di questa Sinfonia un unicum. Composta tra il 1822 e il 1824 è frutto di una commissione da parte della Società Filarmonica di Londra nel 1817. La carica ideale di laica religiosità e di slancio universalistico racchiusa da quelle parole, finisce per avvolgerla completamente e a noi la Sinfonia arriva in tutta la sua travolgente grandezza. Sensazione acuita dal senso di fatalità che la accompagna determinata dal numero nove, oltre il quale i compositori successivi non sono andati “Sembra che il limite sia la Nona. Chi vuole andare oltre deve essere pronto a morire. Chi ha scritto una Nona Sinfonia si è troppo avvicinato all’aldilà” (Arnold Schönberg).
Mordente Toscanini, ascoltando il playback del primo movimento dell’Ottava. “Questo non è il mio tempo! È troppo lento” – esclamò. Il produttore discografico gli chiese. “Maestro l’intonazione è corretta?” “Sì è corretta”. Se l’intonazione è corretta, questo è il suo tempo”. “Non è il mio tempo!”.
Variazioni
sul teMa
Si veda La Sinfonia dei principi universali in cui il soggetto non è l’io ma l’uomo di Enrico Girardi (pag. 90) e Sinfonie come teatro musicale di Giorgio Pestelli (pag. 102) in questo volume; Harvey Sachs, La Nona di Beethoven, Garzanti, 2011.
ALPESH CHAUHAN Direttore Principale
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LEAH PARTRIDGE Sono interessata ad aiutare i giovani cantanti e capire cosa vogliono fare della loro vita. Una vita per l’arte del canto non è facile ma mi piace offrire un punto di vista alternativo a tutte le cose negative che di solito ascoltano, come “Non avrai mai una paga stabile” o “È molto competitivo”. Ci sono molti modi per avere una carriera. Leah Partridge è apprezzata per le sue interpretazioni intelligenti e convincenti delle eroine più amate dall’opera. Da quando ha fatto il suo debutto nel 2003 come Lucia in Lucia di Lammermoor, ha interpretato oltre 40 ruoli principali nella sua intensa carriera. È membro della National Association of Teachers of Singing e insegna voce e yoga presso The Voice Studio Atlanta.
DANIELA PINI L’anno scorso ho cantato a Pechino per il concerto di apertura del “Meet in Beijing Arts Festival”, con l’orchestra nazionale cinese. Era la prima volta che cantavo un’aria in cinese. È andata benissimo… Tra gli autori, ho un buon rapporto con tutte le opere buffe di Rossini perché sono molto divertenti. Ma la duttilità vocale di Daniela Pini le permette di spaziare tra diversi stili che vanno dalla musica barocca alla musica contemporanea ed ha in repertorio oltre 50 titoli, compresi i più grandi capolavori del genere sacro. Si è esibita anche al Musikverein di Vienna e al Bunka Kaikan di Tokyo diretta da Riccardo Muti.
PATRIK REITER La mia passione per l’opera nasce negli anni in cui frequentavo il coro maschile Wiltener Sängerknaben con il quale, in qualità di voce bianca, ho cantato per la prima volta in Carmen al Tiroler Landestheater di Innsbruck. Molto giovane, Patrik Reiter ha già cantato sotto la direzione di Gianandrea Noseda al Teatro Regio di Torino e con Hansjörg Albrecht a Monaco di Baviera. Ha partecipato ai corsi di perfezionamento di Brigitte Fassbaender.
THOMAS TATZL Cantare i Lieder è fondamentale per me e si addice alla mia voce. Rispetto ai ruoli operistici, le parti “da concerto” sono spesso troppo profonde per un baritono puro, ma per me come baritono/basso sono perfette. Ritengo importante avere diverse possibilità per esprimermi vocalmente, sia con l’opera sia nel repertorio concertistico, perchè non voglio specializzarmi. La cosa principale è ... cantare! Cavallo di battaglia di Thomas Tatzl è Papageno (Die Zauberflöte) e un grande successo personale l’ha ottenuto al Festival di Salisburgo nella produzione Labyrinth di Peter Winter (seguito dell’opera mozartiana) sotto la direzione di Ivor Bolton. Si è perfezionato con Thomas Quasthoff.
xliv Stagione di Concerti
CONTRAPPUNTI CO N T R I BUT I C R I T I C I
2019 /2020
I N CI E LO, I N T E R R A , IN TRISTE DIVENIRE
di Quirino Principe
…ce bruit mystérieux sonne comme un départ (Charles Baudelaire, Chant d’automne, 16)
J
osef Anton Bruckner (Ansfelden, Oberösterreich, sabato 4 settembre 1824 - Vienna, domenica 11 ottobre 1896) unì una fervida fede cattolica ad altissimi esiti d’arte. Del candore con cui visse la propria cattolicità un curioso esempio, leggendario ma reale, è il famoso e umile quadernone (ex registro di scuola elementare) nelle cui pagine egli, anche in tarda età, annotava i “Pater, Ave, Gloria” quotidianamente recitati. È tanto leggendario quanto reale. La religiosità è riconoscibile nelle sue sinfonie: là il candore persiste ma è sublimato, tanto da apparire quasi minaccioso. La sequenza delle 9 sinfonie richiama il fatale numero beethoveniano, e l’incompiutezza della Nona di Bruckner sembra sottolinearne il monito implicito: “non oltre il 9!”. La narrazione superstiziosa, adduce ad esempio la sorte di Schubert, con 8 partiture sinfoniche compiute e una “sinfonia fantasma” che ancora oggi si tenta di individuare e “ricostruire”; di Dvořák, con 9 sinfonie compiute ma reduci da pasticci di numerazione; Mahler, con 9 meraviglie compiute e una decima incompiuta. La leggenda è poi smentita dai compositori la cui produzione di sinfonie superò il numero 9: caso tipico, Šostakovič. In realtà le sinfonie di Bruckner sono 11: delle due precedenti la Prima, fu esplicitamente disconosciuta dall’autore la Zero (“Nullte”), e l’anteriore e affascinante Doppio Zero (“Doppelnullte”) fu semplicemente dimenticata e riscoperta dopo la sua morte. È nota la cerimoniosità bruckneriana delle dediche in scala “socialmente” (“ontologicamente”?) ascendente: la Prima, all’Università di Vienna e su su fino alla Settima (“a Ludwig II di Baviera”), all’Ottava (“all’imperatore Franz Josef”), alla Nona (“al buon Dio”, dem lieben Gott). Della Sinfonia n. 2 in do minore (lungo arco di realizzazione: 1871-1892) Bruckner diede tre versioni: la prima del 1871-1872, la seconda del 1875-1876, la terza (dedicata a Franz Liszt) del 1877. L’autore la sottopose a un’ultima revisione nel 1891-1892, ed è quella che viene abitualmente eseguita. Tutte e tre le suddette versioni furono pubblicate soltanto nel 1938. La partitura “revisionata” nel ‘91-‘92 fu edita per prima (a Vienna, da Doblinger, nel 1892). Il musicologo Leopold Nowak (1904-1991), che legò la propria vita all’opera di Anton Bruckner, scelse come riferimento la versione del 1877, comunemente eseguita. Rammento, però, che la prima esecuzione della Seconda, domenica 26 ottobre 1873, con i Wiener Philharmoniker diretti dall’autore, presentò, con vivissimo successo, la versione del 1872. Bruckner, commosso, dedicò allora quella prima versione all’illustre orchestra. Il I tempo (Moderato) si apre con un tremolo degli archi, in sestine: stile tipicamente bruckneriano. Quasi tutte le sinfonie di questo autore si aprono con un tremolo, come un brusìo primigenio della Creazione: violini primi e secondi, viole. A partire dalle battute 3 e 4, la tonalità di do minore accoglie i violoncelli enuncianti il tema principale, energico e misterioso. I corni in mi bemolle (il 3° e il 4°) scandiscono un cupo richiamo discendente. L’energia dilagante di questo incipit connota il I tempo sino alla conclusione tragicoeroica. Il dualismo tematico della forma-sonata configura come antitesi un secondo tema di avvolgente cantabilità, in mi bemolle maggiore. Scrive François-René Tranchefort che il II tempo (Adagio: feierlich,
Otto Böhler, Silhouette di Anton Bruckner, 1914, Dr. Otto Böhler’s Schattenbilder, Vienna.
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xliv Stagione di Concerti
2019 /2020
“Haydn, Capogrosso, Berg, Schubert, Bach, Adams, Pärt. Il cartellone di Fenomeni con cui La Toscanini caratterizza il cartellone di quest’anno colpisce per una scelta musicale che osservata con minima attenzione mostra fitte relazioni fra i brani, coerenza strutturale, un pensiero che la ispira”. (G. M.)
Conversazione di Giuseppe Martini con A lberto Triola
Sovrintendente, appena aperto il programma di Fenomeni a un primo sguardo mi ha colpito la presenza nel terzo concerto di The Planets di Holst, che è onnipresente nei cataloghi discografici, che tutti conoscono e chissà se l’hanno mai ascoltato, ma che si sente pochissimo nelle sale da concerto. Lì ho capito che Fenomeni è qualcosa di diverso dal solito.
A proposito di limite, qual è il limite che avete dovuto sfidare nel comporre questi programmi, cioè fra le necessità degli interpreti e lo spirito del cartellone? Sarò sincero, fra idea di fondo di Fenomeni e risultato di questa prima edizione, vedo che i margini di crescita sono ancora ampi. Lo scontro con i vincoli della programmazione è frustrante quando lo si rapporta a un’idea di Cartellone così astratta e profonda. Ogni volta che ricevevamo proposte di programmi, con i miei collaboratori della direzione artistica spesso ci dicevamo: «ancora non ci siamo, non è abbastanza “fenomenico”…». Certo, questo è l’avvio di un percorso nuovo, e noi stessi ci stiamo chiarendo le possibilità di formulazione. Nel mio ideale Fenomeni dovrà ospitare concerti che in una serata avvicinino al barocco e al rock d’autore, o a Monteverdi e al jazz, cioè che accolgano “fenomeni” nel senso più ampio del termine.
E ha capito perfettamente. The Planets di Holst è un “fenomeno” di per sé. È un pezzo che a suo tempo ha acceso interessi trasversali rispetto alla musica d’arte, e che perciò s’inserisce nel tema di Fenomeni in modo specifico. Se pensiamo che questo cartellone debutta con un concerto basato sul ritmo, sulla pulsazione primordiale delle percussioni di Simone Rubino che fa suonare frammenti di materia inerti, e passa attraverso il quartetto che è il motore musicale perfetto, ecco che The Planets diventa organico al disegno tematico della Stagione, in quanto ulteriore passaggio in questa direzione, cioè il motore cosmico.
Infatti a un primo sguardo si potrebbe pensare che Fenomeni si riferisca al talento che stupisce.
Oltretutto Holst non intendeva certo far musica per sottofondi di fantascienza: dietro The Planets ci sono tematiche teosofiche, un complesso pensiero astrologico.
Certo, c’è anche questo, ma dev’esserci anche tutto ciò che è epifania di un pensiero, di una necessità, di uno stimolo a voltar pagina, o a voltarla al contrario. Lo so, è quasi filosofia, ma per ora è importante attirare attenzione sul tema, stimolare il pubblico verso un ascolto che parta da un assunto fondamentale: abbattere i pregiudizi.
Vogliamo suscitare modi di ascolto che superino il semplice fenomeno acustico e lo si capisce meglio se inseriamo The Planets nel programma della serata: Arvo Pärt che parte con una percussione che entra in risonanza con gli archi, e il concerto per violino di Alban Berg. Allora si capisce lo stimolo a un ascolto più intimo, a spingersi al confine fra materia è spirito. Fenomeni intende proprio esplorare questo concetto di “confine”, non come zona di scontro o diffidenza, ma come spazio privilegiato d’incontro con ciò che è diverso, come opportunità. “Trasforma limiti in opportunità” è il motto che ha animato la nostra collaborazione con Dallara ed è stato sottolineato dalle parole di Alex Zanardi durante la presentazione della Stagione.
A proposito: per quale pubblico è pensato Fenomeni? Per un pubblico giovane. “Giovane” è parola sfibrata ormai di significato. Io la intendo non legata all’anagrafe, ma nel senso di uno spirito che non si ferma, che non si accontenta, che non si siede nella zona di comfort delle conoscenze consolidate. In questo senso, ho conosciuto giovani di novant’anni e vecchi di trent’anni. Ci rivolgiamo a giovani senza età, a persone che vogliono mettersi
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2 XLIV Stagione di Concerti Parma | Auditorium Paganini
Venerdì 7 febbraio 2020, ore 20.30
FRANCESCO CILLUFFO QUARTETTO HENAO
WILLIAM CHIQUITO e SOYEON KIM Violini STEFANO TREVISAN Viola GIACOMO MENNA Violoncello
FILARMONICA ARTURO TOSCANINI Johann Sebastian Bach Fantasia e fuga in do minore BWV 537 (trascrizione per orchestra di Edward Elgar op. 86) Fabio Massimo Capogrosso Beyond the Limit in prima esecuzione assoluta commissione della Filarmonica Arturo Toscanini John Adams Absolute Jest per quartetto d’archi e orchestra
Franz Schubert Quartetto n. 14 D 810 Der Tod und das Mädchen (trascrizione per orchestra di Gustav Mahler)
FENOMENI COMPIUTI / LA FORMA PERFETTA Il quartetto d’archi, la forma nobile per eccellenza, dopo Haydn e Mozart, si trasforma con Beethoven in una sorta di congegno tecnico perfetto, una macchina speciale preferita anche dai compositori successivi per misurarsi con le arditezze della scrittura musicale. Gli ultimi quartetti di Beethoven sono citati da Adams in Absolute Jest, suonato dai giovani dell’Henao perfezionatisi con Günter Pichler (Quartetto Alban Berg), mentre l’orchestra da camera, in ossequio alla forma perfetta, si cimenta nella trascrizione mahleriana de La Morte e la Fanciulla di Schubert ad alta temperatura drammatica. E sempre a proposito di perfezione: che cosa c’è di più compiuto di una fuga bachiana?
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FRANCESCO CILLUFFO
QUARTETTO HENAO
Il nostro è un mestiere “oscuro” che non si finisce mai di imparare... Oltre alla base tecnica, che reputo imprescindibile, ci vuole la capacità psicologica di conoscere e prevedere l’animo umano, nonché una grande cultura, non solo musicale. Francesco Cilluffo a Londra ha conseguito un master alla Guidlhall School of Music and Drama e un dottorato al King’s College. Interessato e appassionato al repertorio del ‘900 in tutte le sue espressioni, si è dedicato recentemente a lavori come: Das Lied von der Erde di Mahler (versione Schönberg), Der König Kandaules di Zemlinsky, il Requiem op. 9 di Duruflé e la Sinfonia n. 14 di Šostakovič
L’aspetto che più colpisce nel Quartetto Henao è la finezza psicologica con la quale i quattro archi si avvicinano al testo musicale, facendo risaltare immediatamente e senza leziosità gli stati d’animo che ogni brano trasmette all’ascoltatore. (F. Fubini – Corriere della Sera). Nasce a Roma nel 2014 in seno all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per perfezionarsi con Gunter Pichler (Alban Berg Quartet) all’Accademia Chigiana di Siena e alla Escuela Superior Reina Sofia di Madrid. Il repertorio del quartetto spazia dal classico e romantico al contemporaneo e la multiculturalità dei suoi membri permette una perfetta unione d’intenti, che permea ogni loro performance.
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Valentina Violante, Maurizio Daffunchio, Mihaela Costea, Daniele Ruzza Julia Geller, Mario Mauro, Mihaela Costea, Luca Talignani, Caterina Demetz
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Viktoria Borissova, Jasenka Tomic, Claudia Piccinini, Cellina Codaglio Camilla Mazzanti, Laurentiu Vatavu, Sabrina Fontana, Alice Costamagna
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xliv Stagione di Concerti
RESIDENZE
2019 /2020
FABIO MASSIMO CAPOGROSSO Compositore in residenza
the main theme. Rather than relying on the dialectical contrast between different “objects”, the sonata form of the initial Allegro ma non troppo section is a majestic narrative innervated by a flood of secondary themes, which keep the ball rolling until we realize that we have arrived at a second tonal region, that of B flat major, and one that is also enriched with appendages of all kinds. The traditional hierarchy of themes here is not denied, but acts as a secondary aspect with respect to their continuous evolution; nor is it so important to establish the traditional boundaries of exposition-development-recapitulation, the movement being precisely a sort of permanent flow, although evoking different contents. In this sense, the initial movement is by far the most modern, the one that will influence architecture of the romantic symphony to come, which is no longer “logical” but rather discursive.
ENGLISH ESSAYS
THE SYMPHONY OF THE UNIVERSAL PRINCIPLES IN WHICH THE SUBJECT IS NOT THE INNER SELF BUT THE MAN by Enrico Girardi
Meanwhile the Scherzo is much more “sculpted” and occupies the second position for the first and only time in the Beethoven symphony. Behind the contrast between the powerful Molto vivace section and the candid and popular Trio, and behind an architectural framework that still takes into account the sonata principle, you can also note here the imitative attitude of the third style, thus the themes are pulled to pieces and reconstructed during the work through a direct, progressive introduction of the various “voices” coming into play, as if it were a Fugue.
Beethoven’s Eighth and Ninth Symphonies are light-years away from one another in regard to organic, sonority, form, structure, and artistic aims. However, they share a non-secondary aspect. Even though they do so in the opposite way, they both move away from the idea of the Symphony as a container of emotions and moods, which are subjective but bent to the objectivity of classical architecture: an idea instead embodied in the seven previous sister congeners. They are “meta-symphonic” operas, so to say; musical reflections on the music itself - or, if you prefer, on its highest expression, which for Beethoven was the Symphony -, conducted in accordance with the opposing stylistic registers.
If the Fugue underlies the Scherzo, the Variation underlies the Adagio molto e cantabile section, a movement born from the ashes of Cantique Eclesiastique that Beethoven had foreseen in the early stages of the project. An abstract, “hot” piece, but one that originates from those intangible realities of which the last Quartets bear traces, this sublime Adagio section lies in two very different themes, which therefore give life to the Baroque form par excellence of double variation.
The Eighth is an enchanting divertissement, a look at the past full of good humour and the joy of life. However, its aesthetic aspect, which anticipates the wisest formulations of Neoclassicism decades ahead of its time, is terribly ironic: while reintroducing elements of the Minuet and the formal principles of the Haydn and Mozart era, the work denies them the possibility of returning in full. Precisely because it is an amused, admired and retrospective look, it announces that the auroral age, charged of natural positivity, has now definitively passed. The Ninth, even though in some ways it reintroduces the remote and formal principles such as imitation and variation, it is a step beyond the present time; it is undoubtedly a look to the future, containing just enough of visionary and abstract elements that always mark the horizon of those who look ahead.
The entrance of the soloists’ voices of the choir in the last movement inevitably disarranges the cards laid on the table. On the one hand, it implies the creation of a special, formal container, unpublished in the symphonic field; on the other, the enigma is solved in such a way so as not to deny the symphonic nature of the work, which remains a movement of a Symphony and does not become a segment of a Cantata. Referred to as a “Fanfare of Terror” by Wagner, it introduces a wide section of connection with a volcanic tone where the famous Freuenmelodie, heart of the movement, is introduced by the string instruments (and only then by the soloists and the choir); no sooner than the orchestra has retraced the steps of the long journey that it has undergone up until now, with each step being preceded by a recitative performed by severe strings, the flow of speech is sustained.
This does not detract from the fact that at the same time the Ninth is the end point, the haven, one of the greatest successful, most universally known, performed and loved musical compositions in the world, and an unprecedented piece that clearly stands out from the other Beethovenian works, not only for linguistic and poetic reasons, but also for aesthetic reasons. And this ambivalence, this sense of being an object and its counterpart “at the same time”, as well as being the origin of the tonnes of critical literature that have been dedicated to it in every time and place, is at the base of the hermetic, complicated, and enigmatic condition of the piece: on the one hand, the condition of an iconic work; on the other, the condition of a work that perhaps is even more important than it is beautiful, if “beautiful” means an organism that in every fold has the sense of perfect completeness, within the framework of the aesthetic and formal values of the time.
The main themes of the three movements are in fact retraced one by one as if to give space to the new protagonist of speech: a simple, regular song where the singers don’t follow the rhythm, which has a lot to do with the traditional hymnology of French folk songs belonging to the revolutionary age (such as the ones of Gossec and Méhul), which Beethoven knew well, and with the flat and affirmative style of national anthems (think of the British God save the Queen or the Haydn’s imperial anthem, today the German national anthem).
As Paul Bekker wrote: “No more drama, no more narrative, the Ninth Symphony is therefore a sort of philosophical essay; it no longer draws on the “full humanity” of the “heroic” Beethoven, but on the universal principles underlying it. The subject is no longer the ego, but the man. The brother the Ode to joy speaks of is no longer the friend, the companion or, say, the enemy, but rather the whole of humanity.”
The grandiose Hymn is the fundamental element throughout the ten verses of the Schillerian Ode, the chorus of a colossal rondo form that embraces different contrasting episodes, from the luminous and sublime one intoned by the solos, to the surprising “Turkish” episode, which we can appreciate when Schiller speaks of a square invaded by crowds: a temporary return to earth that marks the immeasurable distance between the real world and the celestial spheres to which all humanity belongs.
Moreover, it is the divine beginning of the work, the fifth chord in A and E pianissimo, from which then comes the exposition of
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