GIORGIO BASSANI CRITICO, REDATTORE, EDITORE

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Atti e rendiconti Collana a cura di Caterina Fiorani 2
Fondazione Camillo Caetani Roma

Volume realizzato con la collaborazione scientifica della Fondazione Giorgio Bassani

GIORGIO BASSANI

CRITICO, REDATTORE, EDITORE

Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani

28-29 ottobre 2010

a cura di MASSIMILIANO TORTORA

Premesse di PAOLA BASSANI e BRUNO TOSCANO

DI STORIA E LETTERATURA
ROMA 2012 EDIZIONI

Prima edizione: aprile 2012

ISBN 978-88-6372-385-4

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Premessa di bruno toscano ix Premessa di paola bassani xi Introduzione di massimiliano tortora xv bassani e il suo tempo giulio ferroni, Il tempo di Bassani e il nostro tempo 3 il critico letterario antonello perli, Bassani critico e la poetica della realtà 13 francesco bausi, Contributi alla critica di se stesso. Giorgio Bassani e la letteratura italiana 35 alessio milani, Giorgio Bassani critico di autori stranieri: «nessuna risposta all’attuale crisi del romanzo europeo» 63 il redattore di riviste cristiano spila, Bassani e il «Corriere padano»: giornalismo e letteratura prima della guerra 81 domenico scarpa, Lo scrittore scrive sempre due volte 101 domenico scarpa, Per una bibliografia napoletana di Giorgio Bassani 117 massimiliano tortora, Bassani e «Botteghe Oscure» 127 paola italia, All’insegna di un «vero maestro». Bassani e «Paragone» 143
INDICE DEL VOLUME
Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012
ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it
viii INDICE DEL VOLUME l’editore gian carlo ferretti, Un editore di gusto 165 stefano guerriero, L’attività editoriale di Bassani sulle letterature straniere: la sezione ‘Classici moderni’ della ‘Biblioteca di letteratura’ (1959-1963) tra memoria e realismo 177 giulia iannuzzi, Le Biblioteche di letteratura: alcuni esempi di fortuna critica 197 Indice dei nomi 225

poiché la Fondazione ha ospitato con piena convinzione il convegno in palazzo Caetani e ora ne ospita gli Atti, è giusto che chi la presiede si rallegri per il buon esito di queste iniziative dedicate a Giorgio Bassani e per il valore dei contributi che illuminano una figura centrale della cultura italiana nei decenni del secondo dopoguerra. Tuttavia, sento di avere più di una ragione per non dare a queste righe di presentazione semplicemente il carattere di voce ufficiale della istituzione che ho l’onore di rappresentare.

Vedevo abbastanza spesso Bassani negli anni Ottanta, quando presiedeva con ammirevole equilibrio “Italia Nostra”, del cui comitato facevo parte. Non dimentico il modo misurato e insieme deciso con cui sapeva ricondurre a sintesi la discussione su problemi ancora molto aperti, e questa è una prima giustificazione per qualche sfumatura personale. Ma nella materia che il convegno ha affrontato c’è molto di più: presenze, opere, avvenimenti qui trattati hanno costituito la linea principale di riferimento di più generazioni, ma, da appassionato spettatore, vorrei sottolinearne un valore che non sempre è dato di registrare; e cioè che l’identità specificamente letteraria dei protagonisti e di ciò che essi hanno realizzato comportava un collegamento essenziale con altre discipline ed esperienze culturali. I saggi qui raccolti approfondiscono la personalità di Bassani come scrittore, critico e editore, ma chi legge avverte subito – o ricorda, se ha vissuto quegli anni – come quella irripetibile atmosfera avesse fatto cadere vecchi recinti che separavano la letteratura dalle arti. I corsi universitari di roberto Longhi, dall’a.a. 1934-1935 ordinario a Bologna, frequentati dal giovane Bassani, andavano in questa direzione. L’aula era di casa anche per Francesco arcangeli, caro maestro e amico. Quei giovani scoprirono in Longhi un modello assai raro di studioso, in cui l’esperienza del conoscitore e l’acume del critico convivevano in un intreccio funzionale con un impressionante dominio del campo letterario e un uso mirabile della scrittura. Fondando nel 1950 «paragone», il suo primo obiettivo era «porre davvero sullo stesso piano le arti figurative e la letteratura». Destavano entusiasmo quei primi numeri della rivista, nei quali si trovavano, uno accanto all’altro, Baudelaire e Manet, Féneon

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pr EMEssa
Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012
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e seurat, proust e picasso. Le pagine di Bassani su Longhi, del ’53, lo stesso anno in cui entrava nella redazione di «paragone-Letteratura» e commentava su «paragone-arte» un quadro di Cavaglieri della collezione del maestro, spiegano meravigliosamente quella specie alta di magnetismo che la sua cultura, vissuta fino in fondo su più piani, esercitava sugli allievi, sia diretti che elettivi. Questo libro mostra quanto sia importante, oggi, riferirsi a quella atmosfera. ampio spazio è riservato negli atti a «Botteghe Oscure» e naturalmente al ruolo fondamentale che vi ebbe Bassani, che contemporaneamente era accanto a anna Banti nella conduzione di «paragone-Letteratura». È in questo contesto che entra da protagonista Marguerite Caetani. Credo di poter dire che le vicende che nel libro la coinvolgono – in un contesto multipolare, ma ad assetto variabile – costituiscono uno dei motivi destinati a più attrarre il lettore. Mi permetto di affermarlo perché sono fra quelli che vedono in lei una figura di assoluto rilievo nel paesaggio culturale europeo del Novecento, di cui è stata testimone dotata di eccezionale intuito e, nello stesso tempo, presenza operante beneficamente in prima fila e in tante direzioni. Vorrei anzi approfittare ancora un po’ di questa pagina per informare che la Fondazione sta facendo la sua parte per un più comune riconoscimento della personalità di Marguerite, innanzitutto provvedendo alla conservazione delle testimonianze della sua intensa vita intellettuale possedute dalla Fondazione: la biblioteca personale, che conta migliaia di volumi, e di cui è in corso la catalogazione; la sua straordinaria collezione di arte contemporanea, che è oggetto di una ricerca sistematica a partire dalle opere rimaste in palazzo Caetani. L’una sarà accanto all’altra in un allestimento comune in ambienti del palazzo recentemente recuperati. Nel frattempo, continua la pubblicazione della sua corrispondenza. È fresco di stampa il carteggio con Giorgio Bassani, a cura di Massimiliano Tortora; sophie Levie sta curando l’edizione delle lettere indirizzate a scrittori tedeschi, conservate in biblioteche della Germania. In generale, un risveglio degli studi incentrati su di lei è bene percepibile non solo in Italia, ma anche negli stati Uniti, dove era nata.

Nei nostri programmi non poteva poi mancare l’organizzazione di una iniziativa internazionale di studio, dedicata a Marguerite, da realizzare nel 2013, a cinquant’anni dalla scomparsa. L’argomento è ricco di aspetti ed esige un’apertura a ventaglio su una geografia culturale illimitata come fu la rete di rapporti, cui la grande tessitrice dette vita. per questo progetto la Fondazione ricercherà la partecipazione di studiosi stranieri e italiani, a cominciare da paola Bassani e dai collaboratori di questo volume.

x pr EMEssa
bruno toscano presidente della Fondazione Camillo Caetani

Un sodalizio eccezionale.

Qualche anno fa, riordinando le carte di mio padre, mi sono imbattuta in una serie di missive – lettere e biglietti per lo più stilati a mano, e telegrammi –tutte a firma di Marguerite Caetani. Le lettere e i biglietti erano scritti su carta azzurrina, con quella calligrafia espansa, impaziente e al tempo decisa, così caratteristica di lei. L’espressione era ugualmente quella, incofondibile, della principessa: spontanea, impetuosa ed efficace, poco attenta alla grammatica, e propensa a mescolare, in curiosi impasti, l’italiano al francese. Bisognava assolutamente far conoscere e valorizzare questi preziosi documenti nati negli anni di «Botteghe Oscure», che ci immettono nel vivo del lavoro redazionale della rivista, all’interno di quel dialogo fitto, vivace, e così libero intercorso tra la principessa, direttrice e proprietaria della pubblicazione e il suo giovane redattore, Giorgio Bassani, impegnato a curarne la sezione italiana. «Botteghe Oscure» era una rivista ambiziosa, di taglio internazionale, particolarmente aperta agli scrittori e poeti americani, inglesi e francesi. stessa ampiezza di vedute, stesso orientamento all’insegna della sprovincializzazione e della novità caratterizzava la parte che essa dedicava alla letteratura italiana. E i documenti da me ritrovati testimoniano una volta di più, e in modo quanto mai significativo, di questa visione, di questo particolare orientamento critico.

È così che una mattina mi sono presentata a palazzo Caetani con il mio piccolo tesoro. Ne è subito seguita, a cura di Caterina Fiorani, un’accurata operazione di digitalizzazione e di catalogazione dei documenti. Ne è nata anche un’amicizia, una collaborazione di più ampio respiro, tra la Fondazione Camillo Caetani e la Fondazione Giorgio Bassani, che ha già dato importanti frutti: lo studio critico del materiale da me rinvenuto, a cura di Massimiliano Tortora e, in ottobre 2010, l’organizzazione del convegno su Giorgio Bassani redattore e editore e a cui Massimiliano Tortora, con l’aiuto prezioso di Caterina Fiorani, ha apportato tutta la sua energia e competenza scientifica. I presenti atti, curati sempre da Tortora, racchiudono appunto gli

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Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012 ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

interventi di tale convegno, uno dei più interessanti che si siano realizzati su Giorgio Bassani, per la novità e ricchezza dei temi proposti e la qualità degli autori.

Cosa dire dell’esperienza di mio padre legata a «Botteghe Oscure» e del suo rapporto con la principessa Caetani? Ne ha ampiamente parlato lui stesso in Commiato, testo scritto nell’ultimo numero della rivista, e così pure nei saggi In fondo al corridoio e In risposta II. Finissima intellettuale appassionata di letteratura e mecenate coraggiosa, la principessa Caetani ha saputo offrire a mio padre, appena trentenne, una delle grandi opportunità della sua vita: quella cioè di assumere delle responsabilità e scelte (pur sempre condivise con lei) di primissimo piano, di fare del suo lavoro redazionale una specie di missione: contribuire cioè a promuovere in Italia, in questo paese appena uscito dalla guerra e in cerca di identità, una cultura originale, sfrondata dalle secche del passato, più aperta al mondo e più aderente alla sua nuova realtà.

Ma Marguerite Caetani ha fatto ancora di più per mio padre: gli è stata maestra di vita (sono anni per lui particolarmente cruciali da un punto di vista esistenziale, e assai duri e complicati sul piano pratico), insegnandogli a guardare in se stesso con più chiarezza e distanza e, soprattutto, a non perdere di vista la propria vocazione. La principessa Caetani ha insomma subito creduto nel giovane Bassani in quanto scrittore, incoraggiandolo a impegnarsi fino in fondo nell’elaborazione di quei racconti a cui tanto faticosamente stava lavorando e che daranno corpo, poco per volta, al suo primo grande libro, le Cinque storie ferraresi.

Non è un caso allora se Marguerite Caetani sia anche diventata, ad un certo punto, la sua musa. Mi riferisco a Gli ultimi anni di Clelia Trotti

Questo racconto è appunto in larga misura – quante volte nostro padre ce lo ha ricordato – la trasposizione fantastica del rapporto da lui vissuto con la principessa e persino l’aspetto fisico di Clelia Trotti, la vecchia maestra socialista protagonista di tale racconto, ricorda quello di lei (i capelli candidi, fini, quasi di seta della maestra erano proprio quelli di Marguerite, lui diceva…). Ironia della sorte: Gli ultimi anni di Clelia Trotti sarà l’unico racconto di mio padre a non essere piaciuto alla Caetani, a non ricevere il suo beneplacito per la pubblicazione su «Botteghe Oscure».

sempre sul piano dei motivi ispiratori riconducibili alla Caetani – ma ciò è più che risaputo, ormai – il giardino di Ninfa, appartenente appunto alla principessa e a suo marito, il principe roffredo, offre in larga misura il modello e lo spunto per il giardino inventato da Giorgio Bassani nel suo romanzo Il giardino dei Finzi-Contini.

Il giardino di Ninfa: quando eravamo invitati dai principi Caetani a trascorrere le domeniche lì, insieme con i nostri gentori, entravamo in un

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mondo diverso e quasi primigenio, fatto di incanto, di dolcezza e di ebbrezza, dove l’odore avvolgente, conturbante, dei pompelmi conservati nell’ampia e semibuia dispensa al piano terra della torre, contribuiva non poco a questo stato ‘altro’ e quasi surreale. Ma ecco che poi noi bambini trasformavamo l’incanto in gioco, correvamo felici tra boschetti, canne e ruderi, ci graffiavamo tra i roseti, ci bagnavamo nell’acqua dei ruscelli, spronati, rassicurati in questo dal vocio e dalle risa dei grandi. Mi ricordo lo sguardo bonario e divertito con il quale i principi ci osservavano da lontano.

Mi ricordo anche dei doni generosi offerti da Marguerite ai miei genitori: un simpatico e moderno divanetto, che tuttora gelosamente conserviamo, un magnifico taglio di stoffa verdina – un tweed da tailleur – per la mamma, un orologio da polso, sempre per lei…

Non posso infine dimenticare le tante telefonate della principessa a casa nostra, l’affetto e la complicità che la legava a mio padre e che appunto trasuda dall’epistolario. «Non capisco silenzio. prego mandare notizie. Caetani»

«Bravo, bellissimo, mi piace moltissimo. Marguerite Caetani [si tratta de La passeggiata prima di cena]». «Molto preoccupata e infelice che sta ancora male. prego notizie con grande affetto. Marguerite Caetani»: sono alcuni dei messaggi inviati telegraficamente da lei a mio padre e l’accento è davvero sincero, trepidante, quasi da romanza, quasi da duetto d’opera.

Mi è grato adesso presentare una breve lettera manoscritta, totalmente inedita, indirizzata da Giorgio Bassani alla principessa, e datata del gennaio 1952*, che ho appena ritrovato. a nch’essa la dice lunga sulla natura e qualità dei rapporti intercorsi tra i due:

Cara principessa,

Ben tornata a roma! r icevetti il suo messaggio, da Bracco, ma Elsa mi aveva precedentemente avvisato del suo arrivo qui per il 3; così anche per colpa dell’influenza mi è rimasta nella memoria quest’ultima data.

Ho una discreta notizia da darle. Ho parlato al Ministero della pubblica Istruzione, col comm. a rcamone (?), il quale ha accettato di acquistare per conto delle Biblioteche nazionali 25 collezioni complete di Botteghe Oscure. sono, a 6000 lire la collezione, 150.000 lire. Che cosa ne dice? Certo, in confronto alle spese che lei deve sostenere, sono ben poca cosa. Ma tutto serve.

sarei venuto oggi a trovarla. Ma la tosse è forte, e perciò sarà meglio che rimandi a domani. Le telefonerò certamente domattina.

In questi ultimi tempi ho lavorato molto al mio racconto. Ne ho scritto una buona metà. spero di finire entro febbraio. Mi pare bello, forse meglio della Passeggiata. Vorrei pubblicare il libro nel 1952. Intanto aspetto Un’altra libertà da un giorno all’altro.

prEMEssa xiii

Come sta? Ho una gran voglia di vederla. Mi ricordi a Lelia e al principe. suo aff.mo

Giorgio

a nome mio e dell’insieme dei membri della Fondazione Giorgio Bassani non mi resta a questo punto che ringraziare di cuore la Fondazione Camillo Caetani, il suo presidente, Bruno Toscano, nonché Caterina Fiorani e Massimiliano Tortora. sono certa che la nostra collaborazione continuerà a svilupparsi e a produrre altre importanti iniziative, in nome dell’eccezionale sodalizio sorto tra Giorgio Bassani e Marguerite Caetani, in nome dell’impatto così capitale che essi hanno avuto – ed in perfetta sincronia e comunione d’intenti – nell’arte e nella cultura dell’Italia e del mondo e perché la loro memoria continui a illuminare il nostro presente.

paola bassani presidente della Fondazione

Giorgio Bassani

* si trova sul verso di una lettera inviatagli dal fratello paolo e datata 1/1/52; sulla busta della stessa lettera abbozzo manoscritto di Giorgio Bassani per Una lapide in via Mazzini.

pr EMEssa xiv

INT rODUZIONE

Dal 1948 al 1960 Giorgio Bassani fu redattore, e di fatto direttore, di «Botteghe Oscure», la rivista ideata, progettata e finanziata da Marguerite Caetani. Era inevitabile, pertanto, che a dieci anni dalla scomparsa la Fondazione Camillo Caetani decidesse di commemorare chi alla famiglia Caetani era stato legato da vincoli professionali e soprattutto affettivi. E proprio in memoria della funzione culturale svolta attraverso «Botteghe Oscure» si è scelto di indagare, con un convegno scientifico, piuttosto che la figura dello scrittore, quella dell’operatore culturale, funzione che Bassani svolse in diverse forme e in diverse sedi lungo tutto l’arco della sua vita. Così, dopo la relazione d’apertura di Giulio Ferroni, che fa il punto sull’intellettuale Giorgio Bassani e sull’eredità che questi ha lasciato, si susseguono tre diverse sezioni. La prima è dedicata all’attività critico-letteraria: se a ntonello perli si preoccupa di offrire uno sguardo d’insieme, facendo emergere i presupposti teorici del pensiero bassaniano, Francesco Bausi riferisce dell’attenzione di Bassani prestata alla letteratura italiana, mentre a lessio Milani si concentra sulle recensioni e i saggi inerenti i romanzieri stranieri. La seconda sezione rende conto invece delle collaborazioni di Bassani alle riviste, e del suo ruolo di redattore: procedendo in ordine rigidamente cronologico, e poggiando spesso su documenti inediti o rari, Cristiano spila ha ricostruito il rapporto tra Bassani e il «Corriere padano», Domenico scarpa quello con le riviste napoletane negli anni Quaranta, Massimiliano Tortora si è occupato di «Botteghe Oscure», e paola Italia invece di « paragone». L’ultima sezione infine ricostruisce l’altra importante fisionomia di Bassani, quella editoriale presso Feltrinelli: alla relazione di Gian Carlo Ferretti, capace di restituire l’immagine di editore-letterato, seguono gli interventi di stefano Guerriero, volto ad analizzare la collana ‘Biblioteca di letteratura’ creata da Bassani, e di Giulia Iannuzzi, che della collana studia la ricezione.

Il quadro complessivo che emerge è quello di un intellettuale estremamente costruttivo, sempre incline a conciliare tradizione e innovazione,

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012 ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

istanze del nuovo ed eredità dei modelli precedenti. Ed è proprio questa capacità di far convergere le due opposte pulsioni a rendere il lavoro culturale di Giorgio Bassani un esempio per il presente; esempio che questo convegno ha cercato di far emergere.

xvi INT rODUZIONE

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Bassa NI E IL sUO TEM pO

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Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

L’opera di Bassani si svolge come un ininterrotto confronto con il divaricarsi del tempo: in un’interrogazione del rapporto tra la realtà presente (in cui la scrittura si definisce e si proferisce) e il passato che si è allontanato, ma fa vibrare ancora la sua densità e le sue lacerazioni, mentre nelle esperienze degli individui si proiettano tutto il peso e il senso dell’universo collettivo, tutti i rumori e i silenzi della storia. Guardare al tempo di Bassani significa per noi riflettere sul suo rapporto narrativo e critico con il tempo da lui vissuto e sul rapporto del suo tempo con il nostro. Ciò chiama in causa tutta una serie di proiezioni, che investono sia i modi in cui la scrittura narrativa si fa carico della temporalità, sia il collocarsi dello scrittore dentro il proprio orizzonte storico, con le memorie del passato e le attese verso il futuro, sia il nostro sguardo storiografico verso le esperienze del passato (e l’esperienza dello scrittore in quanto appartenente ad un passato che ancora ci interessa, che conta ancora per noi).

C’è una determinante riflessione di Bassani sul disporsi del rapporto con il passato, su come la scrittura lo interroga per ritrovarlo; è una riflessione a proposito della struttura de La passeggiata prima di cena, ma può essere estesa a tutto l’atteggiamento dello scrittore verso la memoria; e anche per nostro conto possiamo estenderla a tutti i modi in cui il passato viene a proiettarsi nel racconto storiografico:

Il passato non è morto – asseriva a suo modo la struttura medesima del racconto –, non muore mai. si allontana, bensì: ad ogni istante. recuperare il passato dunque è possibile. Bisogna, tuttavia, se proprio si ha voglia di recuperarlo, percorrere una specie di corridoio ogni istante più lungo. Laggiù, in fondo al remoto, soleggiato punto di convergenza delle nere pareti del corridoio, sta la vita, vivida e palpitante come una volta, quando primamente si produsse. Eterna, allora? Eterna. E nondimeno sempre più lontana, sempre più sfuggente, sempre più restia a lasciarsi di nuovo possedere1

1 g. bassani, Laggiù, in fondo al corridoio [1971, col titolo Prefazione a me stesso: cinque storie ferraresi], in L’odore del fieno [1972, col titolo Gli anni delle storie, poi nel 1974 col tito-

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giulio ferroni
IL TEM pO DI Bassa NI E IL NOsT rO TEM pO Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

Questa misurazione del tempo attraverso un’immagine spaziale non è priva di analogie con il modo in cui proust, alla fine di Le Temps retrouvé, definisce l’allungarsi del suo sguardo verso i personaggi del passato, giganti tuffati negli anni delle diverse epoche in cui sono vissuti:

aussi, si elle m’était laissée assez longtemps pour accomplir mon œuvre, ne manquerais-je pas d’abord d’y décrire les hommes, cela dût-il les faire ressembler à des êtres monstrueux, comme occupant une place si considérable, à côté de celle si restreinte qui leur est réservée dans l’espace, une place au contraire prolongée sans mesure puisqu’ils touchent simultanément, comme des géants plongés dans les années à des époques, vécues par eux si distantes, entre lesquelles tant de jours sont venus se placer – dans le Temps2.

può essere interessante notare come a questo intreccio tra temporalità e spazialità Bassani si sia riferito anche in una semplice voce per il Dizionario dei personaggi di Bompiani, dedicata a Mrs. r amsay, la protagonista di un altro grande romanzo ‘modernist’ come To the Lighthouse di Virginia Woolf; attribuendole «il valore d’una misura dolorosamente sensibile del tempo e dello spazio»:

il tempo, qui, di una villeggiatura ripetuta a distanza d’anni in una delle piccole isole oceaniche opposte alla costa settentrionale dell’Inghilterra; e lo spazio d’un orizzonte raccolto intorno a un simbolico faro, al mare, al sole estivo che brilla su quelle spiagge remote e luminose3.

se questa situazione può essere riferita ad ogni tipo di rapporto memoriale, è vero d’altra parte che nella memoria narrativa di Bassani la distanza «lungo il corridoio» è tanto più essenziale e radicale, quanto su molte situazioni del passato agisce lo scarto di ciò che è stato nel frattempo (di tutto quello che si è svolto tra il momento evocato e quello del presente in cui lo si evoca): in un tempo intermedio in cui si è data una lacerazione assoluta ed intollerabile (la shoah), che lo scrittore non ha vissuto e non narra, ma il cui irrevocabile peso costringe ad avvertire nel modo più netto, fino in fondo, il carattere illusorio della vita prima vissuta. Così ne Il giardino dei

lo definitivo], ora in id., Opere, a cura e con un saggio di r. cotroneo, Milano, Mondadori, 1998: tutte le mie citazioni degli scritti di Bassani con l’indicazione Opere e il numero della pagina sono tratti da questa edizione.

2 m proust, À la recherche du temps perdu, édition publiée sous la direction de jean-yves tadie, vol. IV, Gallimard, paris 1989 (Bibliothèque de la pléiade), p. 625.

3 Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature, vol. 11, Personaggi a-Z, Edizione speciale per il Corriere della sera, rCs Quotidiani, Milano 2006, p. 726.

GIULIO F E rrONI 4

Finzi-Contini si narra di un prima visto da dopo la shoah; e ogni atto di quel prima si proietta nel segno dell’attesa, della contraddizione, della rovina: la memoria è costretta a riflettere il passato recuperato in uno specchio che ne mostra le ombre incoscienti di sé, le pieghe e gli squarci che solcavano la sua apparente normalità.

In questo inseguire la distanza del passato (che l’immagine del corridoio in tutta evidenza traspone sul piano dello spazio), in questo insistente confronto con il tempo e con la memoria, tutta la narrativa di Bassani propone uno sguardo critico al rilievo del ‘non sapere’: scava nella curvatura che ogni volta gli eventi e il sapere ‘di dopo’ si trovano a dare a quei momenti della vita di prima che la memoria viene a recuperare. Il recupero della vita di prima della shoah e la ripresa della vita dopo la shoah recano comunque (anche quando si crede di non vederlo) il segno lacerante della stessa shoah, dell’abisso in cui lo stesso autore non è precipitato, da cui è riuscito a sottrarsi, salvando la propria vita e la propria scrittura.

proprio questo senso della memoria e del tempo, della contraddizione su cui memoria e tempo si costituiscono, sostiene la partecipazione critica di Bassani al proprio presente e all’orizzonte della cultura contemporanea, il suo impegno nei progetti intellettuali, che, nei fervidi anni del dopoguerra, si appoggiano su una nozione di cultura come determinante strumento di democrazia e di sviluppo sociale. Nella sua attività di intellettuale e di operatore culturale (in cui rilievo davvero centrale ha la collaborazione a «Botteghe Oscure») egli tende sempre a cercare esiti di chiarezza e di essenzialità, segnati da un’urgenza civile, da un intervento di necessità nel quadro vivo del mondo. Tra i vari esempi di questo senso della necessità si può ricordare la sua risposta ad un’inchiesta sul romanzo svolta da «Nuovi argomenti» del maggio - agosto 1959; egli vi insiste sulla necessità di «ripartire ogni volta», come il grande stevenson, «gettando tutta la posta sul tavolo, avendo di mira il capolavoro! In caso contrario, che senso avrebbe avere la penna in mano?» 4. E vi si dichiara convinto che «l’unica cosa necessaria ad un romanzo perché funzioni, l’unica che l’acqua del suo linguaggio deve lasciar trasparire, è la ragione per la quale fu scritto, la sua necessità»5.

più tardi, rispondendo alla prima domanda di un’intervista de «L’Europa letteraria» (febbraio 1964), che puntava sui due «clamorosi successi» recenti, quello dell’opera da lui scoperta, Il Gattopardo, e quello personale de Il giar-

4 g. bassani, In risposta (I), in id., Di là dal cuore, Milano, Mondadori, 1984, ora in id., Opere, p. 1169.

5 Ibidem, p. 1171.

IL TEMpO DI BassaNI E IL NOsTrO TEMpO 5

dino dei Finzi-Contini, Bassani privilegiava, al di là di ogni ricerca di successo, una letteratura capace di cercare la propria verità, indipendentemente da una considerazione delle eventuali risposte del pubblico:

E visto che mi è stata rivolta una domanda del genere, vorrei che si tenesse sempre presente questo: chi corre dietro al pubblico, vuol dire che dentro di sé non ha niente 6 .

sia la scrittura letteraria che l’intero orizzonte culturale trovano la loro giustificazione e il loro senso nella necessità: da questa scaturisce l’impegno pubblico di Bassani nel presente, nei vari territori dell’editoria, della critica, dell’ecologia, dei beni culturali, del cinema. Intellettuale e scrittore, ma soprattutto intellettuale in quanto scrittore, nel suo essere schierato a sinistra, egli non ha mai condiviso faziosità, spirito di partito, partiti presi ideologici: questa sua integrale partecipazione al presente è stata sempre fuori dalla nozioni stereotipiche, dai modelli ‘egemonici’, fuori insomma da quelle che egli stesso ha designato come «parole preparate».

Le parole preparate è titolo assai significativo, attribuito ad un penetrante saggio su Venezia pubblicato nel 1965 (e apparso anche in francese come Les mots apprêtés) e passato nel 1966 a dare il titolo all’intera raccolta di saggi pubblicata da Einaudi, Le parole preparate e altri scritti di letteratura (poi confluita nel 1984 nel successivo Di là dal cuore): la formula è ricavata da una poesia di Giacomo Noventa, che Bassani considera «il primo vero poeta democratico che Venezia abbia espresso dal suo seno», poeta che nel suo dialetto veneziano di così pungente equilibrio, di così avvertita e disillusa socievolezza, continuamente commisura ogni presupposto mentale e ideale, ogni immagine convenzionale del mondo (e di Venezia), ai limiti e alle condizioni della realtà. Quel saggio Le parole preparate si chiude proprio commentando la formula e i versi di Noventa, prospettando un necessario impegno per la ‘salvezza’ di una Venezia vitale, non più fissata nel grumo decadente che su di essa è stato addensato da tanti celebri modelli culturali:

«Quante àneme danàe / Che ne parla umanamente! / ’ste parole preparàe / No’ me inalzi fra la zente.» Girerei questi versi sublimi, a titolo di suggello e di viatico, ai tanti che ancora, non senza una certa dose di ingenuità, insistono a fare il loro bravo viaggio a Venezia per scopi letterarii, ricalcando le orme di Gustav von aschenbach (e di Thomas Mann). È chiaro ad ogni modo che la città da cui, e di cui, Noventa ci parla, non è già un immobile, sclerotico castello della Bellezza e della Morte. Bensì

6 id., In risposta (II), in id., Di là dal cuore, ora in id., Opere, p. 1207. Questa intervista presenta tra l’altro acuti rilievi critici sul Gattopardo e un breve ma intenso ricordo di Marguerite Caetani.

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qualcosa che vive, che palpita: come tutto ciò che appartiene alla storia dolorosa e gioiosa degli uomini7

Tornando indietro nel tempo, ancora a Venezia ci riconduce la prefazione che Bassani aveva fatto nel 1945 all’edizione Colombo del Maestro di setticlavio di Camillo Boito, in cui è compreso quel racconto Senso, da cui più tardi Visconti trasse il celebre film. Un corto circuito con Visconti, pur nella distanza dal suo decadentismo, è dato peraltro dall’articolo del 1947 (apparso su «Il popolo» di Milano del 29 maggio) su Verga e il cinema, in cui si guarda all’interesse del cinema neorealista per lo scrittore siciliano nella prospettiva di una nuova epica che si allontani da certo tradizionale sentimentalismo folcloristico (tipo Cavalleria rusticana di Mascagni) e che faccia sorgere qualcosa di simile ad un grande film sul mondo dei pescatori del decennio precedente, L’uomo di Aran di robert J. Flaherty (1934). E non è solo un caso se nell’anno successivo sarebbe uscito il film verghiano di Visconti, La terra trema.

Nella sempre viva e critica partecipazione di Bassani all’orizzonte culturale di quei primi anni del dopoguerra, colpisce in ogni modo la lucidità con cui si trovò a guardare alcuni dati negativi della vita intellettuale e dei comportamenti politici italiani. E appare di grande interesse, in molti spunti adattabile ancora alla situazione del nostro presente, a certe deformazioni e storture di lunga durata, a certa distorta antropologia politico-intellettuale, il saggio scritto nel 1944 e apparso su « r iscossa» del 26 marzo 1945, Interpretazione psicologica del fascismo, poi approdato alle raccolte Le parole preparate e Di là dal cuore col titolo La rivoluzione come gioco. Il saggio propone una netta distinzione tra i caratteri del nazismo e quelli del fascismo, mostrando come la stessa figura di Mussolini presenti «un complesso di sfumature psicologiche molto più ricche» di quella di Hitler. Di Mussolini viene messo in evidenza l’autocompiacimento da «vero letterato», la «personale vocazione di primo attore», sostenuta da una disposizione al calcolo e al «compromesso ideologico», dal «bagaglio del machiavellismo letterario caro all’epoca», corretto da certa «rudezza paesana» e da una «immaginazione in fondo romantica»8. Entro questo complesso intreccio psicologico si dispone un gusto dell’ambiguità e una incontenibile passione per lo spettacolo:

Trovarsi al servizio della reazione vestendo i panni giacobini: l’ambiguità della situazione stimola la sua fantasia. I primi sono i suoi anni d’oro. sembra quasi che il rischio, come a un acrobata, gli rinnovi continuamente ardire e ispirazione. Mussolini intende la vita pubblica come un perenne spettacolo da offrire alle masse assetate di meravi-

7 id., Opere, p. 1201.

8 Ibidem, p. 989.

IL TEMpO DI BassaNI E IL NOsTrO TEMpO 7

glioso. L’alacrità con la quale si prodiga alla ribalta rivela una passione dell’arte per l’arte, una sorta di generosità professionale; e il pubblico, dal canto suo, gli si affeziona come si affeziona agli atleti inesauribili, ai grandi baritoni. Lo ama, la gente, nei suoi discorsi, nei gesti plateali, nella capacità che tutti più o meno gli riconoscono di saper rendere «simpatica» la rivoluzione senza trascurare le esigenze della tradizione9. sono rilievi di formidabile acume, che nel dittatore riconoscono un persistente e disastroso modello di imbonitore italiano, che purtroppo non è venuto meno con la caduta del fascismo, ma che ha trovato nuove incarnazioni, con un nuovo volto nel contesto della società dei media, nell’orizzonte televisivo – sportivo – pubblicitario dei nostri anni. a ll’ambiguità e alla disposizione a fare leva su atteggiamenti contrastanti, a giocare su livelli e modelli anche opposti, consustanziali alla natura spettacolare, consegue quest’altra essenziale contraddizione: La veste dottrinaria che il compiacente attualismo gentiliano presta, tardi, al movimento, si accorda a fatica con la realtà effettiva di un grande compromesso generale. La realtà è proprio questa: all’ombra di una truculenta terminologia da comizio è dato assistere allo spettacolo consolatorio di un laicato anticlericale ed ex massonico pronto a stringere la mano ai preti10.

L’analisi così calzante (che per sottili richiami può far pensare a quella pur tanto diversa, ma convergente sulla prospettiva psicologica e sul rilievo dello spettacolo, di Eros e Priapo di Gadda) riconduce il crollo del fascismo al suo «estraniarsi dal clima originario borghese», al suo volersi proiettare su scala internazionale, nell’abbraccio col nazismo: e sembra avanzare qualche dubbio critico sul «mito opposto dell’antifascismo», troppo rapidamente diventato «popolare, perfino in seno a quegli stessi ceti borghesi che già avevano finanziato e armato il fascismo ad esclusiva difesa dei propri interessi»11.

Questa attenzione ai caratteri contraddittori del fascismo e alla disinvoltura con cui la borghesia che l’ha accettato e sottoscritto appare pronta ad appropriarsi di prospettive opposte, facendo un uso equivoco dell’antifascismo come «mito», si lega alla acutissima percezione che Bassani ha della disponibilità italiana al compromesso, di una costitutiva ambiguità dei «costumi» e dei comportamenti nazionali. proprio in rapporto al peso determinante di questa ambiguità piero Gobetti aveva riconosciuto nel fascismo l’«autobiografia della nazione» italiana: un’autobiografia che ha avuto nuove incarnazioni nel tempo successivo e che nei nostri giorni si sta

9 Ibidem, p. 990.

10 Ibidem, p. 993.

11 Ibidem, p. 995.

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mostrando in nuove forme sempre più deprimenti, che tra l’altro espongono il nostro paese al ludibrio sulla scena mondiale. Con rigore e lucidità critica lo scrittore ferrarese vede agire questa ambiguità psicologica e comportamentale in certi modi intellettuali che hanno avuto campo notevole negli anni del fascismo: e lo mostra esemplarmente in una recensione di due libri di Leo Longanesi, Parliamo dell’elefante e In piedi e seduti (apparsa su «Lo spettatore italiano» del luglio 1948 e raccolta, col titolo stesso del secondo dei due libri recensiti in Le parole preparate e poi in Di là dal cuore). Nel gioco epigrammatico di Longanesi e nella paradossale posizione che egli stesso si attribuisce con il titolo In piedi e seduti Bassani riconosce un dato rivelatore del modo di rapportarsi alla realtà di tanti intellettuali del tempo:

«Vissero infelici perché costava meno»; «sono un carciofino sott’odio»: frasi buttate là per scherzo, contente in gran parte della loro felicità epigrammatica. Eppure, anche in questo, scoprono bene quello che è il tratto caratteristico della psicologia di Longanesi e di molti intellettuali del suo tempo: vale a dire il complesso crepuscolare, charlottiano, dell’inferiorità fisica, dell’inettitudine all’azione, che chiede compenso, senza appagarsene completamente (ma di ciò traendo poi un compiaciuto partito d’amarezza), alle risorse di una intelligenza brillante, insolente, disposta a lasciarsi intimidire soltanto dalla forza12.

Nella contraddittoria psicologia di Longanesi si rivela così quello che è «il problema insoluto» dei tanti intellettuali «crepuscolari», cioè «quello di dire di sì, insomma di esistere»13. Guardando al proprio tempo con libera indipendenza critica, senza cedere alle mitologie e alle parole d’ordine correnti, Bassani si disponeva così a mettere in luce deformazioni e torsioni dei comportamenti intellettuali che variamente continuavano a pesare in quei primi anni del dopoguerra e che continuano a pesare fino ad oggi, anche in scelte culturali e politiche molto lontane da quelle di Longanesi (autore non a caso ‘sdoganato’ ai nostri giorni): è il male di un mondo intellettuale che, nella ostinata ossessione di «esistere», ha tante volte compensato la propria debolezza e «inettitudine» con una presunzione narcisistica pronta a mettersi al servizio di modelli politici ‘superiori’, di ideologie o visioni del mondo totalizzanti; ma sempre con la disponibilità a riciclarsi, a riadattarsi ai poteri nuovi e diversi e ai modelli ‘egemonici’ rivolti a seguire l’ipotetico corso della storia. La narrativa di Bassani agisce anche come implicita critica a questi modelli intellettuali: così, ben lungi dal darsi come crepuscolare evasione nella memoria, essa partecipa integralmente al suo e al nostro tempo.

12 Ibidem, pp. 1050-1051.

13 Ibidem, p. 1051.

IL TEMpO DI BassaNI E IL NOsTrO TEMpO 9

I L Cr ITICO LETTErar IO

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

La produzione saggistica raccolta in Di là dal cuore si contraddistingue come una continuata dichiarazione di poetica, intimamente autoreferenziale tanto nel modo diretto dell’epitesto (le interviste In risposta, gli scritti autobiografici) quanto nel modo indiretto degli interventi critici su scrittori e pittori: recensioni e prefazioni nelle quali i lineamenti della poetica bassaniana emergono trasparentemente ora dai giudizi negativi e dalle polemiche prese di posizione, ora dalle valutazioni positive e dalle attestazioni di consentaneità e affinità. La critica di Bassani è dunque in prima istanza una poetica, e la poetica del Bassani critico (lo scrittore si considerava «un saggista pervenuto alla narrativa»1) è sostanzialmente omologa a quella del Bassani narratore e poeta 2. Bassani milita per una critica «solidale» e «congeniale». scriveva nel 1964:

Oggi in Italia è soprattutto la critica che non va bene. scarseggiano le menti lucide, scarseggiano ancora di più le persone veramente devote della cultura e non, ahimé, di quel surrogato sociale e mondano del commercio spirituale che è la cosiddetta società letteraria […] i critici che lavorino con amore e partecipazione allo sforzo di chi crea, ormai si contano sulla punta delle dita 3 .

E nel 1971, in un articolo apparso sul «Corriere della sera», lamentava che alla letteratura italiana del dopoguerra «venne meno il conforto, l’aiuto, il consiglio di una critica non soltanto solidale sul piano pratico, ma davvero

1 d. de camilli, Intervista a Giorgio Bassani, «Italianistica», IX, 3, settembre-dicembre 1980, p. 506.

2 Ha osservato giuseppe leonelli nel suo libro La critica letteraria in Italia (Milano, Garzanti, 1994) che «di fronte ai libri degli altri affiora con piena evidenza quella funzione critica che, implicita, scorre sul fondo della scrittura creativa bassaniana» (la citazione è a pagina 157).

3 g. bassani, Di là dal cuore, in id., Opere, a cura e con un saggio di r. cotroneo, Milano, Mondadori, 1998, pp. 1220-1221. si adotterà d’ora in poi, per le citazioni dei testi di Di là dal cuore tratte sempre da questo volume, la sigla opere seguita dal numero di pagina.

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

antonello perli
Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

congeniale, fraterna» 4. La critica letteraria di Bassani è una critica originalmente militante e in quanto tale possiamo riconoscere in essa un versante polemico e un versante apologetico. Lo spartiacque tra i due versanti è senza alcun dubbio costituito dal concetto o dalla concezione del realismo, un realismo che si tratta di definire nel significato che esso assume in Bassani, e più specificamente nel suo fondamento teorico-filosofico, e quindi, proprio in questo senso, nel suo fondamento estetico, mettendo cioè in luce la filosofia dell’arte che sta alla base e nel cuore stesso della poetica bassaniana. La letteratura propugnata da Bassani, come critico e come scrittore, la letteratura da lui strenuamente praticata e promossa, è la letteratura realista, e conseguentemente la polemica di Bassani si rivolge al tempo stesso contro una letteratura antirealista e contro una letteratura pseudorealista, contro cioè forme o tendenze letterarie apparentemente distanti tra loro come, da un lato (l’antirealismo) l’ermetismo, lo sperimentalismo, la neoavanguardia e il formalismo, l’astrattismo intellettualistico o ancora l’oggettivismo del «Nouveau roman», e dall’altro (lo pseudorealismo) il neorealismo. Forme distanti tra loro ma accomunate nel pensiero di Bassani, nella sua concezione della letteratura e dell’arte come realismo, da un fondo comune, dal fatto cioè di essere espressioni «decadenti» ed «estetistiche» dell’arte e quindi di essere in grado minore o maggiore forme di arte inautentica. Decadentismo ed estetismo sono da intendere in senso lato, e non ristretto a una corrente o a un’epoca quali sono definite dagli storici della letteratura, giacché per Bassani i termini di decadentismo ed estetismo stanno a determinare, oltre i confini storiografici e fino all’epoca della sua piena attività letteraria, fino a tutti gli anni settanta cioè, l’arte non-realista, anti- o pseudo-realista, nel significato che qui si cercherà di illustrare.

Formalismo e manierismo, decadentismo ed estetismo sono espressioni ricorrenti con le quali Bassani designa la letteratura a cui si oppone, letteratura di «letterati», in senso dispregiativo, e di artisti anche grandi ai quali egli oppone la propria concezione dell’arte autentica, e cioè del «realismo». Decadentismo, estetismo, manierismo, formalismo, astrattismo designano in Bassani un atteggiamento dello scrittore, dell’artista, nei riguardi della realtà, un atteggiamento che si traduce in una forma artistica «decadente-estetistica» in quanto antirealista, e viceversa. Due cose possono apparire a prima vista sorprendenti a questo riguardo (estendendo la ricerca, oltre i saggi di Di là dal cuore, anche alle varie interviste di Bassani non raccolte in quel volume). La prima, e facciamo qui opportunamente dei nomi, è vedere

aNTONELLO pE r LI 14
4 opere, p. 1275.

schierati e accomunati nel generale ambito del decadentismo e dell’estetismo che Bassani contesta o da cui prende le distanze in quanto critico e in quanto scrittore, nomi come quelli non solo di D’a nnunzio (la qual cosa non ha di che sorprendere), ma di pirandello5, di proust6, di Thomas Mann, di Hemingway, oltre che, in Italia, di Vittorini7, di pavese8, di Moravia9 (solo per fare alcuni nomi tra i più noti). La seconda è constatare come questa apologia del realismo come arte autentica, e la conseguente polemica contro il decadentismo come arte inautentica, avvicinino Bassani e la sua critica alla critica letteraria di stampo marxistico (e pensiamo ovviamente soprattutto a Lukács, e a lukacsiani come Cesare Cases), pur situandosi notoriamente Bassani – il Bassani «liberale e crociano» quale egli stesso si professava – del tutto fuori dell’area marxista, e rimanendo egli, proprio per questo, estraneo certo non alle polemiche di cui fu fatto personalmente bersaglio (quelle del «Gruppo 63» e di quei critici di sinistra che lo accusavano di «evasione», di «crepuscolarismo», di «elegia») ma estraneo alle divergenze e alle polemiche critiche interne all’area marxista: si ricordino ad esempio, nel caso della celebre «querelle» sul realismo, il dibattito su Metello e la relativa diatriba che, intorno ai concetti di neorealismo, realismo, naturalismo e populismo, oppose tra i critici comunisti un salinari favorevole al romanzo di pratolini a un Muscetta, a un Cases e a un asor rosa contrari, e poi i giudizi negativi di Vittorini su Ragazzi di vita e di Cases sul Pasticciaccio, e ancora la polemica del pasolini di «In morte del realismo» contro Lampedusa e Cassola. La critica mossa da Bassani al neorealismo si esercita al di fuori dell’area dei critici di sinistra (marxisti ortodossi o eterodossi o «eretici»), e tuttavia e non a caso l’impostazione critica di Bassani collima, a ben guardare, con talune posizioni o prese di posizione o temi espressi dalla critica letteraria marxista: pensiamo all’uso del concetto gramsciano di «letteratura nazional-popolare» (uso che Bassani fa a proposito del Gattopardo) e quindi

5 « pirandello […] era solo un artista, un decadente» (Perché ho scritto L’airone. Conversazione di Manlio Cancogni con Giorgio Bassani [«La Fiera letteraria», 14 novembre 1968], in g. bassani, L’airone, Milano, Mondadori, 1978, p. xxxix).

6 « proust è un grande esteta, io non sono un esteta» (f. camon, Giorgio Bassani, in Il mestiere di scrittore, Milano, Garzanti, 1973, p. 67).

7 «Vittorini […] è un tardomanierista verghiano» (de camilli, Intervista a Giorgio Bassani, p. 507).

8 « pavese sarà tutto, ma non un poeta. La realtà, quella vera, gli è muta» (opere, p. 1058).

9 «La sua ispirazione tendente all’astratto e al monumentale fin dai tempi in cui i suoi libri, nel pallore e nell’evanescenza generali, apparivano più realistici di quanto a mio avviso non fossero veramente» (opere, p. 1224).

BassaNI CrITICO E La pOETICa DELLa rEaLTÀ 15

allo storicismo gramsciano su cui si assesta negli anni Cinquanta in campo estetico la sinistra crociana (il volume di scritti gramsciani Letteratura e vita nazionale è pubblicato nel 1950, e in Italia nello stesso anno appaiono di Lukács i Saggi sul realismo e tre anni dopo gli studi tradotti e riuniti da Cases sotto il titolo Il marxismo e la critica letteraria)10. In quel decennio, com’è noto, il «realismo» divenne la parola d’ordine della cultura di sinistra e a sua difesa si mobilitarono, soprattutto dopo la sconfitta del Fronte popolare nelle elezioni del 1948, intellettuali organici o fiancheggiatori. a nni dopo Nello ajello ebbe a dire del «realismo» che si trattò di «uno dei più squallidi feticci, intellettualmente parlando, di cui sia stata imposta l’adorazione agli utenti di cultura in Italia»11. È tuttavia necessario sottolineare che il realismo dispregiato da ajello è quello del dibattito interno all’area marxista, il realismo normativo del materialismo storico e del «realismo socialista», sul quale ultimo, nell’inchiesta sul romanzo pubblicata dalla rivista «Nuovi argomenti» nel 1959, Bassani rispondeva:

Che cosa penso del realismo socialista nella narrativa? penso che si tratti di una ipotesi, di un un sogno, di una chimera. Ciò non toglie che molti nostri critici di sinistra ne parlino come di qualcosa di sul serio esistente o realizzabile, e che continuino a confrontare ogni romanzo che viene fuori con questo ideale, platonico (anche se marxistico) nulla12

Ma se ci si situa fuori da questo orizzonte ideologico, fuori dall’orizzonte ideologico e politico del marxismo e non già invece fuori dalla prospettiva estetica della critica letteraria marxistica teorizzata da Lukács, appare evidente che Bassani, scrittore e critico realista, poeta della realtà, non avrebbe mai sostenuto (come infatti non sostenne mai) che il realismo artistico è un «feticcio», se è positivo che il realismo costituisce l’anima stessa della sua poetica di scrittore e di critico, la forma suprema dell’arte quale egli la concepisce, la pratica e la propugna, e alla quale oppone come sua antitesi l’arte «decadente». E quando il marxista e lukacsiano Cesare Cases scrive nel 1955 che «il compito» della letteratura è «il superamento della decadenza»13, bisogna rilevare che questa è esattamente una posizione costantemente espressa da Bassani, non marxista, nella sua saggistica letteraria. per Bassani (come per Lukács) al di fuori del «realismo», della tensione dialettica alla

10 g lukács, Il marxismo e la critica letteraria, a cura di c cases, Torino, Einaudi, 19643

11 n. ajello, Lo scrittore e il potere, Bari, Laterza, 1974, p. 71.

12 opere, p. 1224.

13 c. cases, Opinioni su Metello e il neorealismo [1955], in id., Patrie lettere, Torino, Einaudi, 19872, p. 74.

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«realtà», l’arte è decadentismo ed estetismo, è cioè arte inautentica, ed è inautentica, dalla prospettiva storicistica filosofico-spirituale di Bassani, perché è arte che (contrariamente all’obbiettivo che, nel suo pensiero, l’arte deve prefiggersi) «non restituisce la realtà e la vita», ed è persino arte ‘inutile’, dalla prospettiva storicistica etico-politica o meglio ancora etico-sociale ed etico-nazionale di Bassani, perché sprovvista di una vocazione critica inerente alla problematica dei valori civili, sociali e morali, politici e culturali della nazione, dell’Italia, della sua storia (del suo passato prossimo e del suo presente, e cioè dell’Italia sorta dal r isorgimento e risorta dal Fascismo).

Il riscontro di queste corrispondenze e analogie non può sorprendere quando si indaghino i principi estetici della ‘poetica della realtà’ di Bassani, ossia i principi della sua filosofia dell’arte, percepiti quali elementi strutturali e strutturanti della sua vocazione saggistica e, diremmo, della sua ‘indole’ critica: principi di una poetica della «realtà» più esattamente, se si vuole, che del «realismo» – Bassani usa con grande parsimonia il termine «realismo», mentre invoca costantemente la «realtà» (e come suoi sinonimi la «vita» e la «verità») – perché si tratta del concetto cardine della sua estetica di critico e di scrittore; «realtà» più e meglio che «realismo» perché si tratta di un concetto che affonda essenzialmente e potentemente le sue radici in un terreno filosofico, dal quale e sul quale soltanto si sviluppa la concezione bassaniana della letteratura e più in generale dell’arte. Un terreno che è quello dell’idealismo storicistico crociano.

La critica di Bassani ha dunque un fondamento teorico ben preciso, implicito nella misura in cui Bassani non fu un teorico della letteratura, e tuttavia chiaramente individuabile attraverso le rivendicazioni espresse dallo scrittore in merito alla sua formazione idealistica e alla sua vocazione storicistica14, e attraverso i riferimenti alla lotta da lui intrapresa per liberarsi dall’ermetismo, per sottrarsi alla sua scuola letteraria d’origine, alla scuola del suo apprendistato «per non essere artista “puro”»15, alla sua lotta contro «l’assenza dell’arte, la sua purezza» alle quali Bassani poteva riconoscere una

14 Cfr. camon, Il mestiere di scrittore, pp. 57-60: «io credo di essere l’unico scrittore del Novecento per il quale l’esperienza idealistica è il fatto assolutamente centrale della propria formazione. a nche in questo mi si vede un po’ eccentrico nei confronti dell’ermetismo, che non era crociano, ma misticheggiante e cattolico [...] Il mio unico vero grande maestro è stato Benedetto Croce [...] Io sono storicista e lo dimostro con le analisi di tipo storiografico in cui immergo la realtà umana dei miei personaggi».

15 Cfr. de camilli, Intervista a Giorgio Bassani, p. 506: «Mi pare di aver sopportato una grande fatica per uscire dalla mia “scuola” iniziale. sono uno che ha tentato di contraddirsi per venir fuori dal manierismo […] per non essere artista “puro”».

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giustificazione storica contingente16, ma non un valore artistico, un valore poetico17. Lotta contro l’estetismo che egli individuava in altri scrittori a lui congeniali, quali per esempio silvio D’arzo, il quale era sì «decadente e manierista come tanti altri artisti della sua generazione», ma «rivoltato anche lui contro l’arte, sentì fortissimo il richiamo e il rimorso della Vita toujours recommencée, e di questa separazione, di questo strazio, fu anche lui, a suo modo, il poeta»18. Bassani scriveva nel 1981 che «i poeti autentici si distinguono per il loro rimorso della vita, per la loro disperata richiesta, mercé l’esercizio dell’arte, di tornare al mondo, di rimanere fra noi»19, e affermava in un’intervista degli anni Ottanta che «i poeti tornano sempre dal regno dei morti, sono stati di là per diventare poeti, per astrarsi dal mondo, e non sarebbero poeti se non cercassero di tornare di qua, fra noi»20 Ora, è nel terreno dello storicismo idealistico che si radica questa dialettica di superamento dell’ermetismo verso il realismo (dove l’«astrazione» della poesia, cioè la spiritualità artistica in senso crociano, è finalizzata a quello che Lukács chiamava «il rispecchiamento della realtà oggettiva […] il rispecchiamento fedele della realtà, il realismo autentico»)21, questa dialettica che ha condizionato l’arte di Bassani, la dialettica tra arte e vita che struttura l’arte realista propugnata dalla critica bassaniana. Una critica ispirata da un idealismo «radicale», preso cioè alle radici, che sono appunto quelle della

16 Cfr. opere, p. 1170: « a quel tempo in Italia c’era il fascismo, la dittatura; la retorica più smaccata impregnava ogni manifestazione pubblica e privata, pratica o intellettuale. In quelle circostanze l’assenza dell’arte, la sua purezza, ebbero una precisa giustificazione, e rappresentarono effettivamente una protesta dell’intelligenza e del gusto contro la noiosa e offensiva volgarità delle sfere ufficiali».

17 Dichiarava infatti in un’intervista del 1988: «Dentro di me c’era il desiderio che i miei racconti avessero un significato nuovo, più ricco e più profondo di ciò che produceva la letteratura italiana d’allora. a differenza di tutti gli altri io pretendevo di essere, oltre che un cosiddetto narratore, anche uno storico di me stesso e della società che rappresentavo. Mi opponevo […] Volevo tuttavia oppormi a quella letteratura, da cui d’altra parte provenivo, che non dava un contenuto storicistico alla realtà di cui si occupava. Io sono stato molto vicino a Carlo Cassola e alla letteratura degli Ermetici, che fiorì all’epoca mia. Volevo però essere diverso, scrivere in un modo che fosse simile al loro, certo, ma al tempo stesso diverso. Intendevo essere uno storico, uno storicista, non già un raccontatore di balle» (opere, p. 1342).

18 Ibidem, p. 1281.

19 Ibidem, p. 1335.

20 Ibidem, p. 1323.

21 Nella Premessa all’edizione italiana, in lukács, Il marxismo e la critica letteraria, p. 18.

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dialettica idealistica di stampo hegeliano, tradotta in campo estetico come dialettica arte/vita:

L’arte è il contrario della vita, esattamente il contrario, ma in qualche modo ha nostalgia della vita, e bisogna che abbia nostalgia della vita per essere arte vera […] Certo, l’opera d’arte è “finzione”, ma è al tempo stesso verità: è una finzione accettata per esorcizzarla, per lottarvi contro, necessariamente. È un rapporto dialettico disperato, come quello tra la morte e la vita. Nei miei racconti, nei Finzi-Contini soprattutto, nell’Airone, negli Occhiali d’oro, esiste questo senso dell’opposizione tra la vita e la morte, tra il vero e il falso, ma al tempo stesso la necessità delle due cose insieme. Non è possibile immaginare la vita senza la morte, e non è possibile immaginare l’arte, che è il contrario della verità, senza la verità: le due cose sono necessarie per produrre quella cosa che non usa più da tanto tempo, ma a cui io tengo molto, che è la poesia 22 .

D’istinto cercavo conforto nella poesia, in quella vera, la quale, pur essendo diversa dalla vita, anzi, in fondo, il suo contrario, non può non tendere che a restituirtela la vita, a farti sentire di nuovo al centro di essa 23

Un poeta [a nna Merlotti] che […] riesce a restituire stupendamente la vita, la vita vera 24

Dialettica arte/vita che struttura in profondità la poetica del Bassani saggista e scrittore, e che costituisce il nucleo teorico-filosofico, estetico, del «realismo» bassaniano. Quella stessa dialettica arte/vita, d’origine e essenza idealistica, che non a caso è centrale nella Teoria del romanzo, l’opera scritta da Lukács negli anni 1914-1915, prima della sua ‘conversione’ al marxismo (un’opera prettamente «idealistica», come sottolineava Lucien Goldmann nella sua introduzione alla traduzione italiana del libro, primamente apparsa nel 1962)25.

Il realismo bassaniano presuppone un’idea di realtà – la quale è poi quella che in un’intervista del 1988 Bassani chiama la «realtà spirituale»26, nell’orma appunto dell’idealismo crociano – un’idea di realtà che deve certo essere relativizzata a fronte di altre diverse idee e visioni della «realtà» (che possiamo definire, se vogliamo, postrealistiche, o postmoderne). Il realismo

22 Cfr. a dolfi, «Meritare» il tempo (intervista a Giorgio Bassani), in Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia, roma, Bulzoni, 1981, pp. 174-175.

23 opere, p. 1287.

24 Ibidem, p. 1303.

25 g. lukács, Teoria del romanzo, Introduzione di l. goldmann, Milano, Garzanti, 1974 (ma in prima edizione: Milano, sugarCo, 1962).

26 opere, p. 1348.

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bassaniano deve indubbiamente essere ricondotto a un’epoca, a un clima, a una situazione storica, la situazione storica e il clima del dopoguerra (e questo benché la formazione filosofica decisiva di Bassani avvenga prima, e si sia già consolidata prima della guerra, radicata in quell’idealismo storicistico a cui lo scrittore resterà fedele tutta la vita, e che determinerà al tempo stesso la sua ‘diversità’ così dall’ermetismo come dal marxismo), la situazione storica dell’Italia degli anni Cinquanta, quella della «questione del realismo», della «battaglia per il realismo» come nuova letteratura sorta dopo e contro il fascismo e la letteratura del ventennio. scriveva per esempio in un saggio sui racconti di Bruno Fonzi:

Nell’atteggiamento di Fonzi di fronte all’oggetto non è rintracciabile nessun residuo di orfismo letterario, insomma di ermetismo […] Vorace di dati reali, concreti […] riesce alla fine universale proprio in ragione della sua completa fiducia nella cronaca, del suo tenace, durissimo rifiuto di tutto ciò che sia tipico, cioè generico27.

Quel medesimo rifiuto Bassani individuava nella pittura di sergio Bonfantini e di Francesco Tabusso:

In lui [Bonfantini] non si ritrova nulla dell’intellettualismo, dell’estetismo, del gelo astrattizzante e metafisico della scuola d’appartenenza […] Ma come sono oggettivamente veri, nient’affatto simbolici, letterarii, i due pavesiani contadini piemontesi sdraiati nel fieno accanto alle loro bestie! […] ci troviamo dinanzi a un uomo, a un uomo in carne ed ossa, e non a un pupazzo sia pure sublime […] Questi avventori, questa osteria, lui li ha veduti veramente. Esistono. L’osteria Bonfantini potrebbe indicarcela: gli uomini siamo certi che hanno tanto di nome e cognome […] Nessuna letterarietà di lontana derivazione crepuscolare e strapaesana in questi volti, come, d’altra parte, nessuno schematismo “socialista” e progressivo. sono tutte persone: umili […] ma persone. E il pittore, fedele amanuense del Vero, umile e povero quanto loro, deciso a restarsene insieme con loro fino in fondo […] e a non tradirli mai 28 .

Nella cronaca minore e “comica” dei suoi giorni senza storia, il pittore [Tabusso] guarda le umili cose che lo circondano come se intendesse estrarre da esse la loro realtà più nascosta, più vera […] Ma quanta verità autenticamente “fiamminga”, in compenso. Quanta sincerità […] E quanto poco estetismo29

Il realismo di Bassani deve essere storicizzato: è un realismo che, per così dire, ha il cuore nell’Ottocento e il cervello nel Novecento. si veda quel che Bassani scriveva in un saggio sul romanzo di soldati Le due città:

27 Ibidem, pp. 1238-1240.

28 Ibidem, pp. 1249-1251.

29 Ibidem, p. 1273.

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Chi ormai vorrà ammettere che un romanzo riuscito (riuscito come lo furono ai loro tempi Le Rouge et le Noir, ed Eugénie Grandet, e L’Éducation sentimentale) appartenga con pieno diritto al nostro secolo e non, viceversa, proprio perché riuscito, all’esecrabile Ottocento?30

L’idea critica è che l’arte «riuscita» è l’arte realista situantesi nel solco dei maestri dell’Ottocento: «come romanziere ho sempre guardato più all’Ottocento che al Novecento, e fra i grandi romanzieri di questo secolo, a quelli che come proust, James, Conrad, svevo, Joyce (il Joyce di Dubliners) e Thomas Mann derivano direttamente dal secolo scorso»31, dichiarava Bassani nella citata inchiesta sul romanzo del 1959. a ncora una volta dobbiamo chiamare in causa Lukács e la sua estetica. per Lukács infatti la vera e grande arte è sempre realismo:

La meta di pressoché tutti i grandi scrittori fu la riproduzione artistica della realtà; la fedeltà alla realtà, l’appassionato sforzo di restituirla nella sua totalità e integrità, furono per ogni grande scrittore (shakespeare, Goethe, Balzac, Tolstoj) il vero criterio della grandezza letteraria 32

«La fedeltà alla realtà, l’appassionato sforzo di restituirla nella sua totalità e integrità». sono affermazioni che troviamo letteralmente presenti nei saggi di Bassani, eppure il brano appena citato è tratto da Gli scritti di estetica di Marx ed Engels, un saggio scritto da Lukács negli anni Trenta, durante il suo periodo sovietico. La polemica svolta da Bassani, in difesa del realismo e della sua autentica essenza artistica, contro il naturalismo e l’oggettivismo e contro il formalismo e l’astrattismo, trova un preciso riscontro nella teorizzazione lukacsiana dell’estetica marxista (la quale «pone il realismo al centro della teoria dell’arte», e per la quale «il compito dell’arte è la rappresentazione veritiera e fedele della realtà»)33. E come per Lukács il realismo, l’arte

30 Ibidem, p. 1221.

31 Ibidem, p. 1173.

32 lukács, Il marxismo e la critica letteraria, p. 42.

33 Cfr. ibidem, pp. 43-44: «Che cosa è quella realtà di cui la creazione letteraria deve essere la fedele immagine speculare? Qui importa soprattutto l’aspetto negativo della risposta: questa realtà non è soltanto la superficie del mondo esterno quale viene immediatamente percepita; non sono i fenomeni casuali, momentanei, puntuali. Mentre l’estetica marxista pone il realismo al centro della teoria dell’arte, essa combatte aspramente ogni e qualsiasi naturalismo, ogni tendenza che si appaghi della riproduzione fotografica della superficie immediatamente percepibile del mondo esterno. a nche in questa questione il marxismo non afferma nulla di radicalmente nuovo, e non fa altro che sollevare al livello della massima consapevolezza e chiarezza ciò che fu da sempre al centro della teoria e della prassi dei grandi scrittori del passato. Ma l’estetica del marxismo combatte al tempo stesso, con altrettanta asprezza, un altro falso estremo, e cioè quella concezione la quale, muovendo

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autentica, è lotta in favore della ripresa dell’eredità del realismo ottocentesco, così in Bassani l’autentico realismo del Novecento deve situarsi nel solco del realismo ottocentesco contro il decadentismo e l’estetismo dell’entre-deuxsiècles e contro l’ermetismo e la letteratura del ventennio fascista e oltre. È evidente che il richiamo all’estetica di Lukács, e il ricondurre l’estetica bassaniana a quella lukacsiana, presupponga la percezione della totale assenza in Bassani (nel Bassani «liberale e crociano» quale egli stesso si professava) di qualsivoglia motivazione e orientamento propri al Lukács marxista e intellettuale di partito, e quindi la percezione di una radicale estraneità agli ideologemi del marxismo, ai dogmi e agli idoli teorico-politici del «realismo socialista», della lotta di classe, dell’arte partitica e così via (si ricordi per esempio come, esaltando il realismo di Bonfantini, Bassani precisasse che non v’è in esso «nessuno schematismo “socialista” e progressivo»). E tuttavia il terreno estetico (nell’accezione teorico-filosofica del concetto di estetica) di Bassani è quello della dialettica idealistica su cui lo stesso Lukács si era formato (ne testimoniano appunto gli scritti lukacsiani anteriori all’adesione al marxismo da parte del filosofo ungherese), quella stessa dialettica idealistica che costituisce poi il terreno teorico-filosofico del romanzo dell’Ottocento, come ha rilevato acutamente Guido Guglielmi 34. Non a caso Bassani

dal concetto che ci si deve astenere dal copiare pedissequamente la realtà […] arriva al punto di attribuire, nella teoria e nella prassi, un’indipendenza assoluta all’arte e alle forme artistiche, di considerare come fine a se stessa la perfezione delle forme, e quindi la ricerca di tale perfezione, prescindendo così dalla realtà, fingendo di essere indipendente da essa e arrogandosi il diritto di trasformarla e stilizzarla a piacere. In questa lotta il marxismo continua e sviluppa le opinioni che i veri grandi della letteratura universale hanno sempre nutrito a proposito dell’essenza dell’arte vera: opinioni per cui il compito dell’arte è la rappresentazione veritiera e fedele della realtà nella sua totalità e l’arte è altrettanto distante dalla copia fotografica quanto dal puro gioco, così vacuo in ultima istanza, con le forme astratte » (i corsivi sono nostri).

34 Cfr. g guglielmi, Tradizione del romanzo e romanzo sperimentale, in Manuale di letteratura italiana. Storia per generi e problemi, a cura di f brioschi e c di girolamo, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, vol. IV, pp. 558-560: «In questo tipo di romanzo [il grande romanzo ottocentesco] è dunque implicita o la cultura romantica, una cultura cioè tendente a un’idea platonizzante di verità, di assoluto, di infinito […] oppure la cultura positivistica, anch’essa tendente a una parola finale, a una conoscenza che rischiari e compia in unità, risolva in un ordine, l’infinita varietà del fenomenico […] Il romanzo novecentesco che diciamo sperimentale segna la crisi di questa idea di verità […] La dialettica che chiamiamo classica – e in fondo tutto il romanzo ottocentesco è un romanzo dialettico – la dialettica cioè che trova la propria più alta formulazione nel pensiero classico, in quello di Hegel in particolare, è, come si sa, fondata sulla contraddizione. Ogni elemento del reale è visto non isolatamente, ma nella sua unità con l’altro e opposto elemento. solo nella contraddizione esso può estrinsecarsi, ma per giungere a una unità di grado superiore. È un tipo di dialet-

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si riallaccia agli artisti dell’Ottocento nei suoi saggi (con Manzoni e Verga quali fondamentali punti di riferimento letterari), e iscrive la validità dell’arte del Novecento nel solco ottocentesco. Di Fonzi egli osserva che fa «pensare a qualche piccolo classico dell’Ottocento (a un pratesi, a un Faldella, a un Camillo Boito)»35. Nel saggio su Bonfantini egli scrive: «Il Novecento è monumentale […] scavalcando disinvoltamente lo “stupido Ottocento”, cade spesso nella retorica. Ebbene Bonfantini, pur condividendo, del migliore Novecento, la fede […] nella pittura con la pi maiuscola, non ha mai voluto raccoglierne l’invito ad allontanarsi dalla realtà, a dissociarsi da una rappresentazione concreta e veritiera della realtà naturale»36. E nel saggio su pier Niccolò Berardi osserva:

Nella guerra fra le civiltà figurative del secondo Ottocento e del primo Novecento forse era arrivata l’ora di proporre una tregua. Il fascismo, crollando, aveva messo a nudo molte verità: fra le tante, quella che come un Michelucci e un rosai non eran stati né un Leon Battista a lberti né un Masaccio redivivi, così nemmeno Fattori e signorini potevano continuare a essere ritenuti quei disarmati illustratori piccolo-borghesi di cui certa critica aveva protervamente favoleggiato attorno alla metà degli anni Trenta. Ormai si poteva benissimo non aver più paura di passare per crociani. Che diamine: in fondo in fondo l’italietta macchiaiola non valeva mica tanto più la pena di prenderla sottogamba!37

«Una critica non soltanto solidale, ma congeniale, fraterna», auspicava Bassani. I principi della solidarietà e congenialità della critica bassaniana hanno radici profonde, che affondano nel terreno di una filosofia dell’arte, di un’estetica, quella dell’idealismo crociano che più volte Bassani rivendica come sua unica autentica matrice intellettuale e spirituale. Il fulcro, la chiave di volta, il cuore stesso della poetica di Bassani è esattamente la dialettica, la dialettica dei contrari, ossia il rapporto dialettico tra arte e vita, la teoria dialettica di marca hegeliana che si esprime nell’idealismo crociano e nell’estetica di Croce come anche nell’estetica di Lukács, tanto in quella del primo Lukács, il ‘giovane Lukács’, premarxista, de L’anima e le forme e di

tica che ha bisogno della contraddizione per movimentare il mondo storico, ma ha bisogno sempre anche di un momento di sintesi, o di mediazione, o di conciliazione […] Ora se si pensa al grande romanzo ottocentesco, romantico o naturalista, è a questo tipo di pensiero che conviene rivolgersi […] Ora il romanzo sperimentale contemporaneo si stacca da questa impostazione […] abbiamo fin qui schematizzato la fenomenologia del romanzo moderno, seguendo peraltro la falsariga della Teoria del romanzo di Lukács».

35 opere, p. 1239.

36 Ibidem, p. 1250.

37 Ibidem, p. 1291.

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Teoria del romanzo, quanto, a ben guardare, in quella dello stesso ‘secondo Lukács’ dell’estetica marxista, il Lukács del «realismo» (quantomeno del «realismo critico», non già del «realismo socialista»). Il realismo bassaniano della «realtà spirituale», e quindi idealistico-crociano, collima infatti con il realismo lukacsiano autentico, non inquinato dall’ideologia marxistica (come già aveva avvertito Fortini in un saggio del 1959)38 pur non avendo probabilmente letto Lukács, e pur non citandolo mai, Bassani condivide indirettamente (in virtù di una ‘sintonia’ di matrice idealistica), le tesi di Lukács secondo le quali il grande romanzo è il romanzo realista, la grande arte è il realismo, «la lotta per un’arte vera deve coincidere con la lotta per il realismo. perciò, nel capitalismo in declino, l’antirealismo decadente e il realismo critico furono le forze antagonistiche decisive»39. È questa la teoria estetica bassaniana, si tratta qui di un caposaldo della poetica e dell’estetica di Bassani, e la comunanza Croce-Lukács, come quella CroceGramsci (quest’ultimo sì citato da Bassani, come vedremo) si spiega appunto con la comune matrice del pensiero dialettico, dell’idealismo dialettico (non del «materialismo dialettico»), e dello storicismo idealistico. Quando dunque si parla del Bassani critico e saggista (come anche del Bassani narratore e poeta, trattandosi di una poetica assolutamente omologa), dobbiamo dunque parlare di realismo leggendo e interpretando questo realismo come una filosofia dell’arte, come dialettica arte/vita, come dialettica della tensione dei contrari, della diversità radicale tra arte e vita, dell’esser l’arte il contrario della vita, e della realtà e della verità, ma nel suo tendere verso la vita, verso la realtà, come «realtà spirituale», ossia come verità del reale, nella tensione verso la quale l’arte è arte autentica, e il poeta è poeta autentico. L’arte è astrarsi dal mondo, ma questa astrazione è finalizzata al compito di ‘tornare al mondo’ per restituire la realtà, è finalizzata all’operazione del rispecchiamento della realtà oggettiva nell’atto spirituale dell’arte. L’astrattismo artistico è dunque arte ‘inautenticamente’ astratta (ed in questo e per questo esso è arte inautentica), giacché «l’arte, quella autenticamente astratta in prima linea, non sa che cosa farsene dell’astrattezza, e brama al contrario toccare con mano la verità […] entrare in diretto contatto con una realtà

38 Cfr. f fortini, Lukács in Italia [1959], in id., Verifica dei poteri, Torino, Einaudi, 19893, p. 185: «Il pensiero di Lukács […] è antitetico alle interpretazioni del marxismo contenute nelle tesi estetiche di Zdanov, sulle quali fu fondata in Italia una particolare interpretazione del ‘nazional-popolare’ gramsciano», cioè un’interpretazione ideologica e partitica, e in Europa «un fronte internazionale del “realismo socialista”» di cui «la “questione del realismo” nostrana non fu che un’appendice».

39 lukács, Il marxismo e la critica letteraria, p. 20.

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[…] che è la vita, semplicemente, ancora una volta e come sempre la Vita» 40 . È quel che Lukács chiama «l’intima poesia della vita, senza la quale non può esserci vera epica, né può essere elaborata nessuna composizione epica atta a riscuotere l’interesse degli uomini, a rafforzarlo e tenerlo vivo» 41 . Questa è la tesi fondamentale costantemente propugnata da Bassani nei suoi saggi di letteratura. Ed è qui che affondano anche le radici della concezione bassaniana dell’arte, e della critica letteraria, come impegno e missione etica e civile, e che possono essere individuate le implicazioni anche politiche della militanza bassaniana per il realismo, e per una letteratura dell’Italia, per una letteratura che accompagni la crescita culturale e civile della nazione italiana. Questo aspetto culturale-nazionale fortemente identitario (e si ricordino per fare solo un esempio le reazioni polemiche a quei racconti di Thomas Mann – Mario il mago, La morte a Venezia – nei quali lo scrittore tedesco dà dell’Italia una rappresentazione che Bassani giudica caricaturale e falsa, e per questo da respingersi)42, questo aspetto non è affatto secondario, ma assume anzi nella poetica di Bassani un’estrema rilevanza, ed è anch’esso un motivo, fondamentale, collegato a un’impostazione dialettica della filosofia dell’arte, e che non a caso collima con le tesi espresse da Lukács 43 . Le implicazioni etico-politiche dell’estetica bassaniana sono strettamente legate alla prospettiva storicistica della medesima: so bene che la storia del r isorgimento italiano è in genere ritenuta troppo poco “importante” da alcuni scrittori italiani smaniosi di apparire moderni, internazionali, e tradotti in inglese e in francese. so bene che perfino il ventennio fascista comincia agli stessi a puzzare di bega locale. Ma d’altra parte, per poco che si creda

40 opere, p. 1285.

41 lukács, Il marxismo e la critica letteraria, p. 288.

42 Cfr. Mann e il mago (in opere, pp. 1022-1025) e Le parole preparate (in opere, in particolare alle pp. 1194-1195).

43 si raffronti per esempio l’affermazione di Lukács secondo la quale «il fenomeno decisivo dell’antirealismo moderno […] deriva spontaneamente dalle condizioni di vita del capitalismo […] la causa [dell’antirealismo] è il distacco dell’artista da ogni comunità che possa fornire un punto di vista da cui si contempli la totalità della vita; è la scomparsa di quell’amalgama sociale che rende spiritualmente e artisticamente possibile un profondo e vasto rispecchiamento della realtà» (lukács, Il marxismo e la critica letteraria, pp. 19-20), con quanto osservava Bassani a proposito del «Nouveau roman»: «Lungi da me l’idea di proporre l’equazione fascismo-gollismo, sia ben chiaro! ad ogni modo, non mi pare azzardato prevedere che la fortuna in Italia di manierismi narrativi del genere di quelli di Butor, robbe-Grillet, Nathalie sarraute, dipenderà in gran parte dalla sorte che sarà riservata alla nostra democrazia. L’impassibilità mortuaria del Voyeur e della Jalousie evoca direttamente la dittatura del grande capitale industriale, il “moderno” qualunquismo neocapitalista e neopositivista» (opere, pp. 1170-1171).

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alla lingua letteraria italiana come ad un organismo vivente, in faticoso processo di sviluppo, come prescindere dall’età del r isorgimento e da quella del ventennio fascista, dal terreno misto e contraddittorio, insomma, in cui affondano le nostre giovani radici? E poi, non sarà magari attraverso un ripensamento storico della nostra realtà nazionale che sarà possibile uscire dalle secche crepuscolari e sentimentali del neorealismo postbellico?44

Il ventennio della dittatura fascista in fondo non ha ancora trovato i suoi poeti. Moravia ne ha dato delle rappresentazioni indirette e parziali: sia nei remoti Indifferenti, sia nella assai più tarda Romana […] La sua ispirazione tendente all’astratto e al monumentale fin dai tempi in cui i suoi libri, nel pallore e nell’evanescenza generali, apparivano più realistici di quanto a mio avviso non fossero veramente, gli ha sempre impedito di restituire con esauriente oggettività la complicata materia di quegli anni mediocri e terribili. Ma nemmeno gli scrittori coinvolti nel neorealismo postbellico, lirici e mitici anche quando più parevano impegnati a stendere le cronache della disfatta, nemmeno loro sono stati capaci di prendere di petto il gran tema nazional-popolare dell’insufficienza morale e politica delle nostre classi dirigenti poste di fronte alla crisi decisiva nella quale fu coinvolto il paese all’indomani della prima guerra mondiale. […] I pochi scrittori che ancora tentano una narrativa di ispirazione antifascista in senso proprio – e penso al pratolini delle Cronache di poveri amanti e dello Scialo, al Cassola della Casa di via Valadier e di Baba, al Lampedusa del Gattopardo e dei Racconti, al Tobino del Clandestino, al D’a mico delle Finestre di piazza Navona, nonché, se mi è lecito, a me stesso –rischiano di passare per inattuali fabbricatori di “racconti in costume”. Ma d’altra parte come si può, razionalmente, proclamarsi devoti agli ideali della resistenza, e al tempo stesso obliterare con fastidio tutto ciò che è venuto prima? […] Ora, si dica pure che Le due città di soldati è un romanzo “in costume”, troppo documentario e “italiano” per riuscire, come dovrebbe, poetico e universale […] a mio parere pochi altri libri di questi anni hanno saputo assumere con altrettanto vigore il tema gramsciano dell’incapacità della nostra borghesia a farsi popolo insieme col popolo […] le infinite risonanze religiose che queste pagine non possono non suscitare in lettori partecipi, oltre che di una lingua e di una cultura, di una sorte comune 45

La letteratura fiorita in Italia nel secondo dopoguerra, a partire dalla Liberazione fino agli inizi degli anni sessanta, diciamo, non fu mai sperimentale […] si trattava in ogni caso di una letteratura che sull’onda del disastro nazionale, e sul niente succeduto a tale disastro, tentava di stabilire con la realtà italiana un rapporto profondo, insieme religioso e popolare46

44 Ibidem, p. 1172.

45 Ibidem, pp. 1224-1227.

46 Ibidem, p. 1275 (il corsivo è nostro).

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r adicato in un’estetica di matrice idealistica e storicistica, maturatosi in un preciso periodo storico – gli anni Cinquanta, ossia gli anni delle Storie ferraresi – il realismo bassaniano, come poetica e come tendenza critica, possiede nell’ispirazione antifascista e resistenziale, nel ‘sentimento’ (termine caro a Bassani) etico-politico un elemento costitutivo e imprescindibile. La concezione della letteratura come etica della comunicazione civile e della comunità nazionale («la letteratura deve essere per la nazione e per il popolo», dichiarava lo scrittore in un’intervista del 1980)47 costituisce un caposaldo della critica bassaniana. Nel saggio del 1964 sul romanzo di soldati Le due città, Bassani elogia «l’ispirazione dello scrittore, una volta tanto eminentemente sociale, e addirittura patriottica» 48, esalta «l’ispirazione fondamentale dello scrittore, qui, insisto, etico-politica piuttosto che prevalentemente psicologica e intellettualistica come in passato» 49, di contro alla troppo spesso riscontrata, in vari scrittori del dopoguerra, «inettitudine morale e intellettuale a concepire se stessi e la società in cui si è vissuti in termini storici, anziché, eternamente, lirici e sentimentali»50. Il realismo autentico procede (dichiara Bassani nel 1958) dalla «necessità del rapporto dello scrittore con la società in cui vive»51, dal «riconoscimento di una precisa realtà nazionale»52 (come scrive in un saggio su Cassola del 1955), rapporto e riconoscimento di cui Bassani lamenta l’assenza nei neorealisti italiani. Nel testo intitolato Neorealisti italiani – recensione del 1948 ai romanzi L’onda dell’incrociatore di Quarantotti Gambini, Il compagno di pavese e È stato così di Natalia Ginzburg – Bassani sostiene che i personaggi di Quarantotti Gambini «appaiono assai più dei paradigmi psicanalitici ricostruiti a posteriori, che non delle persone vive»; e afferma poi riguardo al protagonista del Compagno: «Irreali senza dubbio i ragazzi di Quarantotti Gambini […] ma altrettanto irreale, se non di più, questo pablo di pavese […] Noi questi taciturni, naturalmente raffinati, sentimentali cazzottatori comunisti, noi, in Italia, diciamolo chiaro e tondo, non li abbiamo incontrati mai»53. In quanto a Moravia, Bassani afferma in un’intervista dei primi anni sessanta che «come romanziere, non c’è nessuna pretesa da parte sua di rivolgersi a una società ben definita. I suoi personaggi restano degli schemi monumentali,

47 de camilli, Intervista a Giorgio Bassani, p. 505.

48 opere, p. 1222.

49 Ibidem, p. 1229.

50 Ibidem, p. 1226.

51 Ibidem, p. 1151.

52 Ibidem, p. 1123.

53 Ibidem, pp. 1057-1058.

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astratti: a nessuno verrebbe mai il sospetto che siano vissuti sul serio, né in Italia né altrove»54. E in merito all’indebito accostamento tra la sua narrativa e quella di Cassola suggerito con insistenza e vena polemica da certa critica ‘di sinistra’, Bassani puntualizzava nel 1965:

C’è forse un solo fatto che ci accomuna, e che io ammetto volentieri: che tutti e due abbiamo sentito fortemente la resistenza: la resistenza entra in qualche modo come motivo centrale della nostra letteratura; e questo significa anche l’esistenza di un chiaro rapporto col pubblico, con l’assemblea degli utenti. C’è, in sostanza, una tensione di tipo religioso, sia in me che in Cassola, tipica anche di altri scrittori maturati attorno al Cinquanta e usciti dal travaglio resistenziale […] Io non credo e lui non crede al dialetto, appunto per quel bisogno di un rapporto che ho poco fa chiamato religioso con l’udienza nazionale55.

Il già menzionato «rapporto profondo, insieme religioso e popolare» che lo scrittore italiano deve stabilire con la realtà nazionale è l’espressione di una «concezione umilmente fabrile e religiosa della vita e dell’arte»56

Giacomo Noventa è a Bassani molto caro e ‘congeniale’ perché «è un poeta religioso non già un esteta»57. Dichiarava Bassani in un colloquio con Manlio Cancogni:

La gente normale ha un bisogno terribile di verità, di poesia, di religione [...] Intendo la coscienza religiosa nel senso più vero e profondo: come fondamento di valori autentici [...] Guai se un poeta si rassegna ad essere soltanto un poeta […] se non rifiuta d’essere un poeta, e non tende verso il contrario, per reintegrare nella poesia la propria verità umana, se non è attratto dal contrario, è solo un letterato, un decadente. In questa tensione c’è il poeta vero58.

Nel saggio intitolato Narrare o descrivere?, Lukács sostiene che «ogni struttura poetica è profondamente determinata, proprio nei criteri compositivi che la ispirano, dalla concezione del mondo»59. Come sostrato ‘ideologico’ – di inequivocabile e squisita matrice idealistica crociana – la «concezione religiosa della vita e dell’arte» costituisce la visione del mondo, la Weltanschauung a cui è improntata la poetica di Bassani. E di questa poetica, innervata dal connubio indissolubile tra etica storicistica e estetica realistica, Bassani ha manifestato le imperiose ragioni e motivazioni antie-

54 Ibidem, p. 1218.

55 camon, Il mestiere di scrittore, p. 61.

56 opere, p. 1111.

57 Ibidem, p. 1200.

58 Perché ho scritto L’airone. Conversazione di Manlio Cancogni con Giorgio Bassani, pp. xxxviii-xxxix.

59 lukács, Il marxismo e la critica letteraria, p. 305.

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stetistiche e antiformalistiche in occasione di nodi storico-critici contingenti quali il ‘riflusso’ decadentistico della cosiddetta neoavanguardia («gli attuali decadenti dell’avanguardia»)60, nei cui confronti – in reazione alle polemiche scatenategli contro dai seguaci del famigerato Gruppo 63 – Bassani ebbe a esprimere il più assoluto rifiuto:

I più presi di mira siamo noi, gli scrittori della generazione di mezzo, noi che siamo usciti dalla resistenza conservandone la tensione morale e l’impegno politico. Quelli che ci attaccano sono le anime belle della letteratura. Credono nell’arte, anzi nell’a rte […] Hanno il loro bravo momento rosa, poi il momento blu, poi quello giallo, poi quello viola, eccetera […] l’estetismo eretto a ideale civile e sistema di vita [...] Non essendo cittadini di questo nostro paese, la loro lingua, per conseguenza, non è quella della tribù. Non può esserlo [...] parlare di “mediazione” non ha molto senso. L’esempio di Moravia può servire. pieno come al solito di buona volontà, ha preso a discutere [...] Vero è tuttavia che Moravia non è abbastanza armato, secondo me, intellettualmente e moralmente, per rifiutare con decisione dialoghi del genere […] è per l’appunto questa componente di astrattezza, e quindi di formalismo, che a mio parere impedisce a Moravia di rifiutare in modo reciso la discussione con la neoavanguardia nostrana61.

Un manierismo di tipo voyeuristico, importato in Italia, ci riporterebbe indietro a situazioni di sperimentalismo letterario del tipo di quelle già scontate nel Ventennio: e una delle prove fondamentali di quello che dico io è che l’accordo tra avanguardia e letteratura del Ventennio è in atto, basta vedere i rapporti tra sanguineti e palazzeschi, tra Giuliani e Moravia. Che cosa rappresentano gli avanguardisti se non un ritorno alla letteratura del Ventennio, cioè puramente disimpegnata e formalistica? per questo essi non sopportano scrittori del mio tipo, e li accusano di tardo romanticismo quando non addirittura di tardo naturalismo 62 .

60 Perché ho scritto L’airone. Conversazione di Manlio Cancogni con Giorgio Bassani, p. xxxix.

61 opere, pp. 1215-1219. L’allusione ai periodi della pittura di picasso (simboleggiati dal prevalere di tal o tal colore) è da collegare a un brano di polemica antiestetistica che si legge in opere, p. 1211: «Ho l’impressione che i narratori-antinarratori riflettano una sostanziale opposizione di se stessi al mondo, opposizione che si duplica anche nel senso di un’opposizione di se stessi come poeti, di se stessi in quanto artisti (picasso, per esempio, mi viene in mente). Questa specie di artisti completamente artisti, di monadi eroiche isolate in mezzo al caos insensato del mondo, è sempre esistita, esisterà sempre. Io sono di un’altra specie».

62 camon, Il mestiere di scrittore, p. 69. E si veda ancora Perché ho scritto L’airone. Conversazione di Manlio Cancogni con Giorgio Bassani, xxxvii: «L’avanguardia mima il mondo industriale di cui è un prodotto. Finge di contestarlo [...] Tutti costoro producono esattamente ciò che il mondo industriale vuole che si produca. sono degli zelanti e soddisfatti servi. Le loro proteste, le loro contestazioni, le loro piroette, i loro «happening», non danno noia. a ll’industria non fanno né caldo né freddo».

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La pubblicazione e la conseguente apologia del Gattopardo da parte di Bassani vanno così situate in un pertinente contesto storico-critico, e vanno valutate nella loro inerenza alla concezione etico-estetica del realismo storicistico propria all’editor di quel libro. Bassani vede nel romanzo di Lampedusa un esemplare del romanzo realista da lui vagheggiato e propugnato. si tratta, per Bassani, di un’opera rappresentativa non solo, in negativo, del fallimento neorealistico, dell’incapacità dei neorealisti a produrre una narrativa autenticamente realista, ma al di là di questo, di un’opera rappresentativa, in positivo, della capacità e della possibilità novecentesca di dar vita a un romanzo situantesi nel solco del realismo ottocentesco. si tratta dunque di un romanzo che costituisce, da un lato, l’espressione di un’implicita critica del decadentismo estetistico e intellettualistico, e dall’altro, l’espressione del grande realismo letterario, per la vocazione storico-nazionale, per l’ispirazione etico-politica, per il rispecchiamento di una realtà oggettiva che è quella della storia italiana moderna e contemporanea:

Non è bastato il Gattopardo a dimostrare che un romanzo nazionale storico è anche oggi in Italia pienamente possibile?63 […] Il messaggio del Gattopardo è per buona parte morale e politico 64 […] Non è un romanzo storico, come per esempio è apparso a Vittorini e ad altri […] a mio parere il Gattopardo va visto piuttosto sotto l’aspetto di un felicissimo caso di poema nazionale. Ci troviamo di fronte a un romanzo che sarebbe piaciuto ad a ntonio Gramsci: ad un esempio, direi indiscutibile, di letteratura nazional-popolare 65 […] Dopo Tomasi di Lampedusa, qui in Italia scrivere un romanzo è diventato molto più difficile. In un paese come il nostro, nelle cui scuole pubbliche non si insegna niente di ciò che rende cittadino chiunque sia nato, poniamo, in Inghilterra o in Francia, il Gattopardo ha assunto la funzione di un grande poema nazional-popolare. È un libro come l’avrebbero sognato Croce o Gramsci […] soltanto dei critici superficiali o evasivi potevano credere che il motivo ispiratore del Gattopardo fosse il senso della morte, che fossimo insomma davanti a una specie di variante siciliana della Morte a Venezia. In realtà, il vero contenuto del Gattopardo è l’Italia e la sua storia, e Dio solo sa quanto siano rari, nella nostra letteratura di tutti i tempi, i libri su tale argomento 66 […] Con il Gattopardo […] Lampedusa sviluppa Verga, non gli si oppone, come generalmente si crede. Coi suoi romanzi Verga disse di no all’intera penisola, un no che investiva tutti i valori, politici, storici, economici, linguistici, della Nazione […] Verga provocò dunque una frattura, si oppose; e di questa frattura, e di questa opposizione fu il tragico e alto poeta che è. Nel momento di crisi del secondo r isorgimento italiano,

63 opere, p. 1172.

64 Ibidem, p. 1205.

65 Ibidem, p. 1209.

66 Ibidem, p. 1217.

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in piena crisi dei valori della resistenza, Lampedusa riprende i motivi verghiani, e ripete il no di Verga, includendo in quel no l’intera vita nazionale […] Mentre Verga parla al suo popolo, Lampedusa si rivolge invece alla Nazione nella lingua della Nazione. Il no di Lampedusa si estende perciò di là dalle frontiere verghiane […] nel più vasto ambito di tutta la cultura nazionale 67 .

Questa è un’ulteriore dimostrazione del fatto che il momento etico-politico è intrinseco al «realismo» bassaniano, all’arte intesa da Bassani come arte autentica in quanto realista e in quanto operazione dialettica (la dialettica arte/vita). a lla dialettica dell’arte autentica si oppongono da un lato l’antidialettica dell’estetismo, del formalismo, dell’ermetismo, e cioè l’assenza di un rapporto arte/vita per rifiuto della vita e della realtà e della storia in nome dell’arte, dell’arte «pura», e dall’altro la falsa dialettica del neorealismo, falsa in quanto la realtà vi è puramente strumentale alla «poesia», all’espressione artistica, non costituisce il fine dell’arte ma una mera materia, un mero «pretesto», ed è in questo senso che il neorealismo può essere oggettivamente ricondotto a quell’ideale di «poesia pura» la quale, scrive Bassani proprio nella recensione Neorealisti italiani, «è una chimera da letterati, da critici, non già da poeti». Nel «realismo» dei neorealisti Bassani individua un ‘estetismo della realtà’. Quarantotti Gambini la sua opera «l’ha costruita dal di fuori con la freddezza, la premeditazione e lo scetticismo di un letterato particolarmente abile […] Quarantotti Gambini non soffre di preoccupazioni di tipo storico, geografico, insomma oggettivo. per lui la realtà si configura sempre come un pretesto. Ne consegue che i contenuti della sua arte […] non assumono mai concretezza, peso morale […] In conclusione: piuttosto che gli uomini e le cose della vita reale, a premergli è la loro poesia»68, e cioè il loro uso strumentale, estetico. La dialettica artistica risulta qui rovesciata, è una pseudodialettica che viene logicamente a sottendere un falso realismo, perché la letteratura mira qui a se stessa, all’arte, e non già alla realtà, alla realtà della vita. a llo stesso modo in pavese si leva lo spesso diaframma delle sue suggestioni letterarie [...] La verità è che non diversamente da Quarantotti Gambini, idoleggiatore estetistico dei contenuti di alcuni grandi libri […] pavese sarà tutto, ma non un poeta. La realtà, quella vera,

67 Ibidem, p. 1208. E cfr. de camilli, Intervista a Giorgio Bassani, p. 507: «Certo si viene tutti da Flaubert, ma I Malavoglia sono la cosa più alta di Verga, più delle novelle. però rappresentano una frattura: misurano il separatismo siciliano. Con I Malavoglia si apre una separazione che dura fino a pasolini. Lampedusa dice invece: siamo tutti siciliani. Lampedusa dice il contrario e continua Verga, ma da par suo. Io ho fatto nei confronti della letteratura che inizia con Verga un’operazione simile a quella di Lampedusa».

68 opere, pp. 1056-1057.

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gli è muta. Il mondo del suo Compagno non è già quello di una società italiana colta lungo il sottile margine di sutura che corre tra la piccola borghesia e il proletariato, bensì, quasi sempre, l’evidente prodotto di una sorta di chimera: la chimera del critico sagace, del coltissimo conoscitore di letterature straniere, del bravissimo traduttore dall’inglese 69 .

Nel neorealismo Bassani scorge il realismo contraddittorio di una tendenza letteraria che fa della realtà lo strumento del proprio estetismo, l’artificio di una poesia astratta (‘inautenticamente’ astratta, come si è sottolineato in precedenza), di un poetico costruito a tavolino. La realtà è per i neorealisti soltanto la realtà letteraria, prodotta dalla e per la letteratura, e non già la realtà autentica della vita e della società nazionale: una «chimera», dunque (al pari del ‘realismo socialista’). Il «realismo» neorealistico è dunque stato sostanzialmente un grande equivoco. Nella recensione, apparsa nel gennaio 1949, a Ladri di biciclette di Bartolini, Bassani afferma che l’autore non ha l’intento «di procurare ai suoi lettori i documenti di una realtà obbiettiva che, come tale, non lo interessa per nulla. In Bartolini, non diversamente da tanti altri artisti della nostra epoca, non c’è alcuna curiosità per ciò che sta fuori di lui»: da cui «un violento, esclusivo egotismo lirico, un mai saziato bisogno di ridisegnare ogni volta il proprio autoritratto»70. a nalogamente, nel saggio del 1950 su Carlo Levi, Bassani afferma:

L’immenso successo di Cristo si è fermato a Eboli fu dovuto in gran parte a un equivoco generale. La verità è che nel Cristo critici e pubblico videro fin da principio la Lucania e basta […] contenti di leggere nel libro una specie di documentario […] nel libro di Levi la Lucania non entra in gran parte che come pretesto, come coro generico e pittoresco […] Levi, più che a darci una rappresentazione oggettivamente attendibile delle cose e delle persone, ha la mente a verificare in quelle persone e in quelle cose una sua ideologia, una sua intima vicenda intellettuale71

Nell’ultimo degli scritti dedicati a soldati (la recensione, del 1979, a 44 novelle per l’estate) è ravvisabile una illustrazione della concezione bassaniana della dialettica che innerva la narrativa «realista» di marca novecentesca. Essa si compone di due momenti costitutivi del rapporto dell’artista verso la realtà. Il primo momento è quello della negazione, ossia dell’antitesi:

a nche soldati ripete il “no” di tutta la letteratura più seria del terzo e quarto decennio del Novecento, anche soldati ricanta a suo modo l’aridità e l’impotenza di una civiltà che è tutta in crisi […] la sua negazione è davvero radicale, estrema. Non

69 Ibidem, p. 1058.

70 Ibidem, pp. 1065-1066.

71 Ibidem, pp. 1090-1093.

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essere, e nel non essere riposare72 […] a lla base della sua poetica c’era la convinzione dell’autore di essere in fondo estraneo a tutto ciò che veniva rappresentando, e dunque di trovarsi sempre e irrimediabilmente “altrove”. In tale suo “non esserci”, amaro eppure gioioso, il torinese soldati si rivelava in pieno figlio del proprio tempo. Il “no” da lui rivolto alla realtà, al mondo, alla vita, continuava un discorso che era stato cominciato appunto a Torino, qualche decennio prima, da Guido Gozzano, e continuato nella vicina Liguria da uno sbarbaro, da un Montale73

Il secondo momento rappresenta di contro la negazione, ossia il superamento, dell’antitesi preliminare, e quindi il momento della ‘sintesi’, della ‘conciliazione’ degli opposti in quella unità di grado superiore che è la verità del reale. È il movimento di «identificazione» con la realtà e con la vita:

Gli è bastato identificarsi in modo totale, senza più alcuna riserva intellettualistica di sorta, con l’io-scrivente, e subito ha ricevuto in cambio, a compenso, la realtà, la vita, tutta la realtà e tutta la vita. Queste sue narrazioni sanno ormai parlare di qualsiasi cosa: di ogni più piccola e di ogni più grande. scritte in una lingua […] capace di restituire qualsiasi aspetto dell’esistente, risultano tutte straordinariamente credibili, vere. Insomma poetiche74

scrive Bassani nel saggio intitolato Lettere d’amore smarrite, del 1971, che «per uno scrittore italiano d’oggi non resta dunque altro da fare che provarsi a scavare fino in fondo il proprio pozzo. per attingere all’indispensabile universale, altra strada da prendere non c’è»75. L’arte deve «entrare in diretto contatto con una realtà che è la vita, semplicemente, ancora una volta e come sempre la Vita»76. Nella recensione del 1945 ai racconti di arrigo Benedetti, Bassani nota a proposito del racconto Il prato che «la vera realtà, quella poetica, che lui [Benedetti] aspira a farci conoscere nella sua interezza, e nel cuore della quale vuole immergreci direttamente, senza ricorrere a mediazioni razionali, si condensa alla fine nel simbolo concretissimo del ciclista»77. Questa espressione, «simbolo concretissimo», ritorna ben venticinque anni dopo proprio nel lungo saggio Lettere d’amore smarrite, in cui Bassani recupera «alcuni libri, apparsi appunto dopo il ’48, e riconducibili tutti al clima della letteratura uscita dal travaglio della resistenza, ai quali toccò in sorte l’oblio più completo»78 : si tratta dei romanzi Casa d’altri di

72 Ibidem, p. 1111.

73 Ibidem, p. 1310.

74 Ibidem, p. 1311.

75 Ibidem, p. 1285.

76 Ibidem.

77 Ibidem, p. 1027.

78 Ibidem, p. 1275.

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silvio D’arzo, Il campo degli ufficiali di Giampiero Carocci, Zebio Còtal di Guido Cavani e Le finestre di piazza Navona di silvio D’a mico. È nella parte dedicata a quest’ultimo romanzo (pubblicato postumo nel 1961, ma scritto a roma nel 1944 durante l’occupazione tedesca) che riappare l’espressione a cui si è appena fatto riferimento, e qui la riportiamo integrata nel suo contesto a voler in certo modo fornire, con tale trascrizione, un emblematico documento della ‘poetica della realtà’ del Bassani saggista: a nche dire roma è difficile. Quale roma? Ne esistono tante! È certo ad ogni modo che quella speciale roma borghese e cattolica che a silvio D’a mico premeva di rappresentare […] quella roma ha avuto in silvio D’a mico il suo cantore più autentico […] Mi limiterò a citare per esteso un pezzetto di pagina […] “piazza Navona” – vi si legge – “è lontana dal Cimitero del Verano. Quando il landò nero riportò a casa i quattro orfani con zio Eugenio […] s’era fatto tardi; la sensazione più viva nei ragazzi era l’appetito. Teresa, la vecchia cuoca taciturna, aveva dovuto mettersi in letto, con la febbre alta per le emozioni; Felicita l’aveva sostituita, improvvisando alla meglio un pasto frugale: minestra e uova al tegame cucinate con l’olio, che Francesco non sopportava”. Oh, quelle uova al tegame cucinate con l’olio! Nei lunghi mesi di forzata clausura durante l’occupazione tedesca, D’a mico dovette a un certo punto credere, ne sono sicuro, di stare dicendo tutto, davvero tutto, della realtà che gli stava a cuore. Quelle uova al tegame cucinate con l’olio, nella loro dimessa, triste, e al tempo stesso sorridente domesticità (così tipica, così romana, e cattolica, e borghese: così, se vogliamo, pur se remotamente, controriformistica), costituiscono secondo me, di un cosiffatto sentimento, la prova più lampante, il corrispettivo oggettivo più perentoriamente rivelatore. segni dunque, e simboli concretissimi, del raro fiore della poesia, non dispiaccia che per questa volta le assuma anche io come mie proprie, le umili uova al tegame di silvio D’a mico: a conclusione e a suggello, se non altro, di queste note79

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79 Ibidem, p. 1286.

CONT r IBUTI a LLa Cr ITICa DI sE sTEssO.

GIOrGIO Bassa NI E La LETTEraTU ra ITa LI a Na

Due dati saltano immediatamente agli occhi di chi esamini la produzione critica ‘ufficiale’ di Giorgio Bassani1: la sua esiguità e la sua occasionalità. Nella silloge Di là dal cuore, edita nel 1984, che raccoglie anche gli scritti già pubblicati nel volume Le parole preparate, del 1966, si contano soltanto sessantadue pezzi, spesso brevi e talora brevissimi, trattandosi in prevalenza di recensioni (apparse su quotidiani, settimanali o riviste culturali non ‘accademiche’), prefazioni, interventi a convegni o a trasmissioni radiofoniche e televisive, interviste: testi, com’è intuibile, quasi sempre legati a circostanze esterne e occasionali. Una produzione esigua, dunque, almeno in rapporto a quella di altri illustri scrittori-critici coevi (basti fare, al riguardo, i nomi di pasolini, di Montale e di Moravia); e una produzione essenzialmente d’occasione, poco propensa tanto alla vera e propria saggistica ‘autonoma’ (pochissime le eccezioni, fra cui spicca l’ampio studio Le parole preparate: considerazioni sul tema di Venezia nella letteratura, edito prima su « paragone» nel 1964, poi in forma di opuscolo nel 1965)2, quanto alla critica in senso stretto

1 Definisco per comodità ‘ufficiale’ la produzione critica che l’autore, salvandola così dalla dispersione e attribuendole autonoma dignità ‘letteraria’, incluse nel volume Di là dal cuore (1984), e che in parte già aveva compreso nelle Parole preparate (1966). su tali scritti verte il presente contributo, che pertanto non tiene conto, se non eccezionalmente, dei saggi rimasti fuori dai due volumi ora citati. Fra i non molti studi sul Bassani critico, ricordo f. giovannelli, Il rinnovamento della tradizione narrativa italiana in Bassani, in Bassani e Ferrara. Le intermittenze del cuore, a cura di a chiappini e g venturi, Ferrara, Corbo, 1995, pp. 83-88; a dolfi, Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia, roma, Bulzoni, 2003, pp. 149-64. per un aspetto specifico ma importante (la lunga collaborazione a «paragone») vd. e biagini, Scheda su Bassani a «Paragone-Letteratura», in Ritorno al Giardino. Una giornata di studi per Giorgio Bassani, Firenze, 26 marzo 2003, a cura di a. dolfi e g. venturi, roma, Bulzoni, 2006, pp. 181-198.

2 « paragone-Letteratura», CLXXX, dicembre 1964, pp. 3-22; poi Verona, La consulta di Verona, 1965 (opuscolo di 27 pp. tirato in 350 esemplari fuori commercio). avverto che,

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

‘militante’, quella, cioè, soprattutto interessata a intervenire nei dibattiti di attualità o a pronunciarsi sui ‘casi letterari’ o sui libri di successo. a nche se, sotto quest’ultimo aspetto, è necessario ricordare l’impegno profuso da Bassani in qualità di editore, ossia come direttore della collana «Biblioteca di letteratura» della Feltrinelli (dal 1958 al 1963)3 e come curatore della sezione italiana della rivista «Botteghe Oscure» (1948-1960). Né la collana né la rivista ospitavano saggi di critica letteraria, ma i rigorosi e coerenti criteri di scelta obbedivano nondimeno a una precisa idea di letteratura e si traducevano in implicite eppur chiare prese di posizione sulla narrativa e sulla poesia contemporanea; tanto che Bassani, nel Congedo che chiuse l’ultima dispensa di «Botteghe Oscure», pubblicata nell’autunno del 1960, poteva legittimamente affermare: «tirando le somme, non direi che la rivista si sia mai limitata ad essere una semplice antologia periodica di buoni racconti e di buone poesie. C’è un modo indiretto di fare della critica, spesso più efficace di quello regolare, il quale consiste nell’operare in determinate direzioni piuttosto che in altre» 4 . parlando, come ho appena fatto, di esiguità e di occasionalità, non intendo svalutare l’importanza del Bassani critico, e critico letterario in particolare. Tutt’altro. E non solo perché a Bassani non mancavano certo le competenze e le credenziali per esercitare questo mestiere, ma soprattutto perché esiguità e occasionalità sono due caratteri peculiari dell’intera opera bassaniana, compresa quella narrativa, come lo scrittore stesso ebbe a sottolineare nel 1971: «ogni mia poesia, ogni mio racconto, lungo o breve, ogni mio romanzo, perfino ogni mio saggio letterario, e, addirittura, ogni mio articolo d’occasione, nacquero sempre, quando più, quando meno, [...] con stento, e in gran parte per caso»5. Bassani si riferiva a Lida Mantovani,

quando possibile, indicherò le date e le sedi in cui i saggi bassaniani uscirono prima di essere raccolti in volume, fondandomi in prevalenza sulle Notizie sui testi (a cura di p. Italia) incluse in g bassani, Opere, a cura e con un saggio di r cotroneo, Milano, Mondadori, 1998 [d’ora in poi, semplicemente: Opere], pp. 1765-1795, e su d scarpa, Per una bibliografia napoletana di Giorgio Bassani, in questi stessi atti, pp. 117-125.

3 a tale proposito vd., in questi stessi atti (pp. 165-176), la relazione di Gian Carlo Ferretti.

4 g bassani, Congedo, «Botteghe Oscure», XXV (1960), pp. 434-439: 436. per la collaborazione di Bassani a questa rivista, vd. La rivista «Botteghe Oscure» e Marguerite Caetani. La corrispondenza con gli autori italiani, 1948-1960, a cura di s valli, roma, L’Erma di Bretschneider, 1999, ad ind. (e soprattutto l’Introduzione della stessa Valli, pp. 24-29, 31-34, 36-41, 43-39, 54-56); e qui il contributo di Massimiliano Tortora alle pp. 127-141.

5 g. bassani, Laggiù, in fondo al corridoio (ultima prosa dell’Odore del fieno), in Opere, p. 936.

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racconto lungamente e faticosamente rielaborato, e composto non certo «per obbedire al richiamo di una vocazione espressiva ineluttabile», ma piuttosto «per corrispondere all’attesa, affettuosa e imperiosa insieme, di una persona amica»6 (cioè Marguerite Caetani). Queste parole si possono tuttavia legittimamente applicare all’intero corpus dei suoi racconti e dei suoi romanzi, e illuminano le ragioni profonde dei due dati dai quali abbiamo preso le mosse: l’ossessione della riscrittura e la ricerca della perfezione stilistica spiegano infatti – in un narratore attivo per mezzo secolo, ma dal 1968 impegnato quasi esclusivamente nella rielaborazione del già scritto, che non di rado, nel passaggio dalla stesura originaria a quella inclusa in volume, interessa anche i saggi critici7 – la relativa limitatezza quantitativa della produzione, mentre negare il richiamo della «vocazione espressiva» (cosa che, nel ‘crociano’ Bassani, potrebbe a prima vista sorprendere) vale a ribadire un’idea della letteratura intesa non come mero esercizio estetizzante o solipsistico, ma anzi come attività responsabilmente calata nella realtà e nella storia, e dalla realtà e dalla storia non mai separabile8.

Non sembri impropria la sovrapposizione dei due àmbiti, quello creativo e quello saggistico. Bassani stesso la autorizza, anzi la esige, quando nel 1964 afferma di non poter soffrire «le distinzioni tecnicistiche, di tipo quasi sindacale, tra poeti, narratori, saggisti, eccetera», perché «l’attività creativa mal sopporta etichette e distinzioni del genere, che riflettono idee critiche accademiche e invecchiate»9; e quando allo stesso modo, nel 1991, dichiara: «direi che è ora di finirla con la distinzione – che può anche essere utile, a patto, però, di non crederci troppo – tra narratori, poeti, teatranti, saggisti ecc.»10. per sé, l’unica definizione che approva è quella, onnicomprensiva,

6 Ibidem.

7 Vd. d. scarpa, Lo scrittore scrive sempre due volte, in questi stessi atti, pp. 101-116.

8 In realtà, per quanto ciò possa sembrare in contraddizione con la sua ‘idea’ di poesia, anche Croce riteneva che «non certamente i veri poeti hanno il parto facile, e non è buon segno la facilità onde ogni cosa si tramuta subito in verso» (b croce, La poesia, Bari, Laterza, 1966 [19361], p. 16).

9 g. bassani, In risposta (II), in Opere, p. 1210 (è il testo di un’intervista rilasciata nel 1964).

10 id., Un’intervista inedita (1991), in Opere, p. 1347. a nalogamente in un’intervista del 1977: «i miei racconti, le mie poesie stesse sono in fondo la stessa cosa dei miei saggi critici […]. Cioè in fondo io non cambio mai penna. Non ho una penna per la prosa, una penna per la poesia, una penna per i saggi critici, una penna per le lettere. sono sempre io. Questa unità sostanziale nella diversità del mio spirito mi viene in sostanza dalla formazione iniziale è vero, storicistica, idealistica, a cui sono sempre rimasto fedele» (s. cro, Intervista con Giorgio Bassani, «Canadian Journal of Italian studies», I, 1977, pp. 37-45: 38). a nche dell’amato maestro roberto Longhi, egli affermò che «pur essendo un critico, uno storico, era un poeta» (Un’intervista inedita, in Opere, p. 1350).

CONTrIBUTI aLLa CrITICa DI sE sTEssO 37

di «poeta» («quanto a me, io non sono un romanziere, o un rimatore, o un saggista. sono un poeta, con il tuo permesso, sostanzialmente un poeta»), perché «i poeti si esprimono sempre attraverso le cose che fanno»11 D’altronde, come vedremo, i temi cari al Bassani critico sono i medesimi del Bassani scrittore, e la produzione saggistica raccolta in Di là del cuore, disposta in un lasso di tempo che va dal 1943 al 1991, coincide in sostanza con l’arco cronologico della sua produzione narrativa, con questa continuamente e proficuamente intrecciandosi, soprattutto fra gli anni ’50 e gli anni ’70; tanto che quel volume di saggi, edito non per caso solo quattro anni dopo la pubblicazione della stesura definitiva del Romanzo di Ferrara, vuole senza dubbio configurarsi anche come una sorta di ‘guida’ alla lettura e alla comprensione di esso, dichiarandone i fondamenti culturali, estetici e teorici, e di fatto ricollegandosi direttamente al testo conclusivo del Romanzo, la prosa critico-autobiografica Laggiù, in fondo al corridoio12, vero e proprio trait-d’union fra l’opera narrativa e l’opera saggistica di Bassani.

Come spesso avviene nei grandi scrittori, però, in Bassani il rapporto fra critica e arte è biunivoco, perché egli non si limita ad essere integralmente ‘letterato’ anche quando esercita la professione di ‘critico’ (esibendo in questa veste, fra l’altro, una cura dello stile non meno attenta di quella che caratterizza la sua prosa narrativa), ma al tempo stesso non tralascia di fare critica neppure quando compone romanzi e racconti, dimostrando in tal modo la sua costante vocazione ad accompagnare la ‘creazione’ artistica con la ‘riflessione’ teorica. Le discussioni di argomento letterario, infatti, abbondano nel Romanzo di Ferrara, come dimostrano i casi degli Ultimi anni di Clelia Trotti, degli Occhiali d’oro e, soprattutto, del Giardino dei FinziContini: discussioni che, lungi dall’essere oziose e meramente digressive, servono all’autore per caratterizzare con precisione i suoi personaggi e, al tempo stesso, per rievocare dall’interno le tensioni culturali di un’epoca e di un ambiente (alla maniera della Montagna incantata e del Doktor Faustus di Thomas Mann)13. Nel Giardino, in particolare, appare evidente che il

11 Ibidem, p. 1347.

12 Il breve testo, in cui l’autore illustra i fondamenti estetici della sua narrativa e, insieme, la propria idea di letteratura, conclude la raccolta L’odore del fieno (che del Romanzo di Ferrara costituisce il libro sesto e ultimo); in precedenza era apparso con i titoli Prefazione a me stesso (sul «Corriere della sera», 4 febbraio 1971) e Gli anni delle storie (nella prima edizione dell’Odore del fieno, Milano, Mondadori, 1972).

13 Vd., sotto questo aspetto, l’attenta analisi degli Ultimi anni condotta da p. pieri, Memoria e giustizia. Le «Cinque storie ferraresi» di Giorgio Bassani, pisa, Edizioni ETs, 2008, pp. 150-157 e 165-220.

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protagonista, con il suo amore per gli scrittori italiani e stranieri del primo Novecento, incarna l’idea bassaniana della poesia come specchio fedele delle inquietudini senza risposta della mente e del cuore, mentre il professor Ermanno Finzi-Contini e il chimico milanese Giampiero Malnate si fanno portavoce di due ben diverse concezioni della letteratura, entrambe molto lontane da quella dell’autore: rispettivamente, la concezione retorico-erudita e decadente di una letteratura totalmente estranea al mondo e alla vita, e quella marxista dell’impegno politico-sociale come elemento fondamentale dell’attività letteraria14. Due idee, queste, che nel romanzo non solo esplicitamente emergono dalle conversazioni del protagonista con questi personaggi, ma che, come spesso in Bassani, trovano inoltre precisa espressione poetica e simbolica negli ambienti in cui essi vivono: da una parte la vastissima biblioteca e il soffocante, caotico studio del professor Ermanno, dall’altra la brutta camera a pigione di Malnate, arredata senza gusto con mobili dozzinali e «quadrucci a olio»15. Due ambienti nei quali il protagonista si trova, non a caso, ugualmente a disagio, benché per ragioni diverse e anzi opposte. scrivere poco e scrivere soltanto quando si presenta l’occasione per farlo sono quindi, per il Bassani scrittore ma anche per il Bassani critico, conseguenze del suo sentirsi e del suo essere, nell’intimo, un «poeta». Nel 1949, mentre, a Napoli, porta avanti con lentezza e fatica La passeggiata prima di cena, egli si rende conto che non sarebbe mai diventato un romanziere come soldati, Moravia o pratolini, «tutti capaci, beati loro, di accumulare centinaia e centinaia di pagine»16; ma questa – continua – è appunto la prova della sua «diversità», vale a dire della sua natura profonda di poeta lirico. Quanto poi all’occasionalità, essa deve interpretarsi, in un «poeta» come Bassani, nel senso montaliano del termine: l’occasione, infatti, si configura sempre come uno spiraglio verso l’essenza profonda delle cose, un suo «fulmineo messaggero»17, il

14 Malnate, infatti, non apprezza i poeti e i pittori contemporanei (Eliot, Montale, García Lorca, Esenin, Morandi) amati invece dal protagonista, e predilige Hugo, Carducci e soprattutto Carlo porta. I suoi gusti sono molto simili a quelli dell’anarchico ciabattino Cesare rovigatti negli Ultimi anni di Clelia Trotti; ma su Carducci, non a caso, Malnate si trova d’accordo anche col professor Ermanno, pur ovviamente approvandone solo le «poesie repubblicane» (Opere, pp. 542-543).

15 Ibidem, pp. 533-534.

16 Laggiù, in fondo al corridoio (ibidem, pp. 937-938).

17 Espressione bassaniana, dal Poscritto (Opere, p. 1165: «Fulminei messaggeri di essa [scil. della realtà] mi aggredivano ad ogni momento, quando meno li aspettavo»), che fu redatto nel 1952, pubblicato nel 1956 su « paragone-Letteratura» e poi, con qualche modifica, riutilizzato come postfazione della raccolta poetica L’alba ai vetri (Torino, Einaudi, 1963, pp. 85-90).

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varco che si apre improvviso nella trama del tempo e del mondo, consentendo così al poeta di attingere quella che per lui è l’unica realtà, quella dello spirito. E, come nei poeti, questa occasione può manifestarsi in qualunque momento e in qualunque circostanza, durante una gita domenicale a Cerveteri o ammirando la vetrina di un impagliatore (le due ‘occasioni’ che fecero nascere, rispettivamente, il Giardino dei Finzi-Contini e l’Airone), ma anche guardando un quadro o recensendo un libro. D’altronde, l’amato Croce ricordava come per Goethe la poesia fosse sempre poesia ‘di occasione’, potendo la realtà offrire al poeta solo «l’incentivo e la materia»18

In particolare, esercitare il mestiere di critico fornisce a Bassani frequenti ‘occasioni’ per chiarire a se stesso e per esporre, in forme più o meno mediate, la propria idea di letteratura e la propria poetica; e in ciò risiede l’interesse più autentico di questo settore della sua attività. Quasi sempre, come è ben noto, lo scrittore che si fa critico, mentre parla degli altri scrittori, finisce col parlare prevalentemente di sé e delle sue opere. Bassani non fa eccezione, anzi si direbbe che questo fenomeno appaia in lui singolarmente accentuato, tanto che egli stesso definì Le parole preparate come «una continua, indiretta dichiarazione di poetica»19; in effetti, le pagine raccolte in Di là dal cuore ci offrono oggi il più ricco, prezioso e sicuro strumento di cui disponiamo per interpretare i suoi racconti, i suoi romanzi e le sue liriche. più volte Bassani ha ribadito come la letteratura non possa nel profondo avere altro oggetto che l’ io dello scrittore; e si direbbe che questo valga anche, allo stesso modo, per la sua produzione critica, nella quale – come in quella poetica – egli vedeva una sorta di ‘complemento’ della propria opera narrativa: io, oltre che un cosiddetto narratore (parola che aborro), sono un poeta (altra parola che mi piace purché non si riferisca soltanto a quell’andare a capo che si verifica al termine di ogni verso), nonché un saggista. Nel volume che raccoglie tutte o quasi le mie poesie, In rima e senza, e nell’altro che raccoglie tutti o quasi i miei saggi, Di là dal cuore, ho cercato di dire ciò che non ero riuscito a dire (di me, in particolare) nel Romanzo di Ferrara 20 .

Come, in varia misura e con differenti schermi e modalità, tutti i personaggi di Bassani sono il suo io, sono «forme del suo sentimento»21, così un riflesso del suo io diventano anche gran parte degli autori (poeti, romanzieri,

18 croce, La poesia, p. 11.

19 Vd. qui più avanti, nota 71.

20 bassani, Un’intervista inedita, in Opere, pp. 1343-1344.

21 Vd. il passo, di forte impronta crociana, qui sotto citato alla nota 74. In due interviste, Bassani affermò che il deuteragonista senza nome degli Occhiali d’oro «è dunque, in sostanza, soltanto una forma del mio sentimento, una parte di me»; e che «i poeti si confessano

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pittori, registi) di cui egli si occupa in qualità di critico; arbitrario, pertanto, risulta distinguere i contributi sulla letteratura da quelli sulle arti figurative o sul cinema, e, ancor più, i saggi sugli scrittori italiani da quelli dedicati agli autori stranieri, anche perché Bassani ha della cultura e dell’arte una visione sotto tutti gli aspetti globale, refrattaria a qualunque parcellizzazione nei compartimenti ‘accademici’ delle forme, dei generi, delle lingue, delle tradizioni nazionali. se in questa sede, pertanto, circoscriveremo l’esemplificazione quasi esclusivamente alla letteratura italiana, è solo per rispettare gli obblighi imposti dalla necessaria e inevitabile divisione convegnistica del lavoro. a ll’interno dell’opera bassaniana ogni dettaglio è curato con la massima attenzione, non solo nel testo, ma anche nel paratesto, dai titoli alle epigrafi apposte in esergo, fino alle immagini riprodotte sulle copertine dei suoi libri 22. Ebbene, proprio i titoli delle due raccolte saggistiche (Le parole preparate e Di là dal cuore) risultano eloquenti, giacché possono considerarsi la ‘cifra’ della poetica di Bassani e sintetizzano con estrema precisione i capisaldi della sua idea di arte e di letteratura. La silloge del 1966 Le parole preparate ricava il suo titolo da quello del primo scritto accolto nel volume, il già menzionato saggio dedicato al tema di Venezia nella letteratura italiana e straniera. L’espressione «parole preparate» è desunta da un verso di Giacomo Noventa, che è l’ultimo scrittore preso in esame nel saggio, e che secondo Bassani è uno dei pochi letterati sfuggiti all’idealizzazione mitica o estetizzante della città lagunare; Noventa infatti, scrive Bassani, è «un poeta religioso, non già un esteta, o, se si preferisce, un ‘lirico puro’, inchiodato alla croce della propria aridità. Invece che descriverla, che carezzarla con ‘parole preparate’, come direbbe lui, la sua Venezia Noventa preferisce evocarla attraverso la musica pastosa e dolente della sua voce dialettale». per questa ragione, «è chiaro che la città da cui, e di cui, Noventa ci parla, non è già un immobile, sclerotico castello della Bellezza e della Morte. Bensì qualcosa che vive, che palpita: come tutto ciò che appartiene alla storia dolorosa e gioiosa degli uomini»23.

Le «parole preparate», quindi, sono l’emblema di quella che per Bassani è la malattia più diffusa fra gli scrittori moderni, «l’estetismo, il culto narcisistico del proprio io spirituale», dal quale non può che scaturire un’arte fredda e compiaciuta, costruita a tavolino con materiali tutti e solo letterari; la

sempre attraverso uno dei loro personaggi. a nzi: tutti i loro personaggi, se sono tanti, sono forme del loro sentimento» (Opere, rispettivamente p. 1323 e p. 1346).

22 per quest’ultimo aspetto vd. dolfi, Giorgio Bassani, pp. 89-106, e g. dell’aquila, Le parole di cristallo. Sei studi su Bassani, pisa, Edizioni ETs, 2007, p. 61.

23 g bassani, Le parole preparate, in Opere, pp. 1200-1201.

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letteratura «intesa come evento puro, assoluto»24, cui Bassani (dopo le prime prove giovanili, ancora in parte legate al crepuscolarismo e all’ermetismo) ha sempre anteposto una letteratura scrupolosamente attenta alle ragioni della storia, della realtà, dell’oggettivazione più rigorosa, e animata da una forte tensione morale. Donde, ad esempio, la presa di distanze così da proust (« proust è passivo, accoglie tutto della vita: io sono invece un moralista, scelgo e scarto. proust è un grande esteta, io non sono un esteta»)25 come dai letterati e dai poeti che frequentavano le «Giubbe rosse» nella Firenze degli anni Trenta, dove Bassani nega risolutamente – e giustamente – che «si facesse dell’antifascismo attivo e clandestino» («dopo il ’37» scrive «gli amici Calogero, Codignola, Luporini, Capitini, eccetera, coinvolti in ciò che tra qualche anno sarebbe diventato il partito d’a zione, non andavo mica a cercarli là»)26.

Non si tratta naturalmente, per lui, di propugnare un improbabile ‘spontaneismo’ o tantomeno un ‘dilettantismo’ letterario («si sa – affermò – che una delle illusioni più amaramente scontate dal neorealismo italiano postbellico fu quella di riuscire a far scrivere gli incolti»; e di fronte al romanzo La traduzione dell’ex carcerato silvano Ceccherini la sua prima reazione fu di diffidenza, non avendo egli «mai avuto molta fiducia nella letteratura dei non-letterati»)27. per Bassani, infatti, l’arte è sempre il risultato «di una contaminazione fra l’esperienza e l’estro individuale, da una parte, e, dall’altra, la cultura»28; e la poesia, oltre e prima che di «sincerità», ha bisogno – sono ancora parole relative a Noventa, che egli mette in guardia dalla tentazione di considerare un autore ‘ingenuo’ e ‘facile’ – «del travestimento, del trucco, della retorica»29. si tratta, piuttosto, di distinguere fra il vero «poeta» e il

24 Le due citazioni da g. bassani, In risposta (IV) e In risposta (V), in Opere, rispettivamente p. 1300 e p. 1321 (si tratta di due interviste, la prima del 1971, la seconda del 1979).

25 Così nell’intervista del 1972 a Ferdinando Camon (in camon, Il mestiere di scrittore, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 54-71: 67). Ciò non significa, ovviamente, che proust non debba annoverarsi fra i grandi modelli di Bassani, come egli stesso ha più volte riconosciuto (vd. ad es. una sua intervista del 1979, pubblicata, col titolo Meritare il tempo, in dolfi, Giorgio Bassani, p. 171, dove egli definisce proust e Joyce i suoi «immediati predecessori»). Cfr. al riguardo g. varanini, L’arte di Giorgio Bassani (osservazioni e appunti), in Il romanzo di Ferrara, contributi su Giorgio Bassani riuniti a cura di a. sempoux, Louvain-La-Neuve, Université de Louvain, 1983, pp. 65-79: 71-73.

26 bassani, In risposta (V), in Opere, pp. 1320-1321.

27 La prima citazione dal saggio Lettere d’amore smarrite, del 1973; la seconda dal risvolto di copertina scritto nel 1963 per il romanzo di silvano Ceccherini La traduzione (in Opere, rispettivamente p. 1281e p. 1213).

28 g. bassani, Cinema e letteratura: intervento sul tema (1964), ibidem, p. 1245.

29 id., Un poeta mal conosciuto (1956), ibidem, p. 1119.

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«letterato» pago della presunta autonomia e autosufficienza della sua arte («Io non mi rassegno ad essere un poeta. Un poeta che si rassegna ad essere un poeta è già un letterato», disse a Ferdinando Camon nel 1972)30; si tratta di combattere «l’insufficienza e vacuità dell’ideale di ‘purezza’ che condiziona, ossessivo e quasi sempre irrecusabile, il nostro Novecento letterario»31, uscendo da quelle che Giampiero Malnate, nel Giardino dei Finzi-Contini, definisce – esponendo in questo caso un’opinione condivisa anche dall’autore – le «tristi secche del calligrafismo e dell’ermetismo»32, per prendere atto dell’inevitabile ‘impurità’ della letteratura, della sua natura sempre dialettica e composita, e dunque della necessità, per lo scrittore, di sporcarsi le mani con gli uomini e le cose, con la vita, cioè, e con la storia, pur senza mai passivamente capitolare di fronte ad esse.

Le «parole preparate», infatti, non sono soltanto quelle degli esteti e dei poeti ‘puri’; sono, in generale, quelle di tutti coloro che non si curano o non sono capaci di rappresentare in modo credibile nelle loro opere la realtà profonda dell’esistenza, oltrepassando e superando le passioni individuali e gli interessi pratici nell’«universalmente umano» e nella «totalità» dell’opera d’arte (sto di proposito adottando espressioni crociane)33. «parole preparate» sono dunque ai suoi occhi anche quelle di chi fa della letteratura o un semplice luogo di alchimie formalistiche e sperimentalistiche (le avanguar-

30 camon, Il mestiere di scrittore, p. 68.

31 g. bassani, In risposta (III), in Opere, p. 1218.

32 Ibidem, pp. 544-545. E cfr. Un’intervista inedita, ibidem, p. 1342: «volevo tuttavia oppormi a quella letteratura, da cui d’altra parte provenivo, che non dava un contenuto storicistico alla realtà di cui si occupava. Io sono stato molto vicino a Carlo Cassola e alla letteratura degli Ermetici, che fiorì all’epoca mia. Volevo però essere diverso, scrivere in un modo che fosse simile al loro, certo, ma al tempo stesso diverso. Intendevo essere uno storico, uno storicista, non già un raccontatore di balle».

33 b croce, Poesia popolare e poesia d’arte. Studi sulla poesia italiana dal Tre al Cinquecento, Bari, Laterza, 1933, pp. 2-3: «ogni poesia […] è personale e impersonale insieme: personale, perché il suo contenuto è la passione di un individuo cuore umano, e impersonale, perché questa passione, facendosi poesia, si è oltrepassata e superata nell’universalmente umano»; id., Breviario di estetica, Bari, Laterza, 1974 (19131), p. 129, dove si afferma che nell’arte vera, grazie alla «liberazione dall’interesse pratico», «la rappresentazione individuale, uscendo dalla particolarità e acquistando valore di totalità, diventa concretamente individuale» (e anche pp. 126-128). Fra i numerosi testi di Croce posseduti da Bassani, presentano sottolineature e postille di suo pugno La poesia (ed. 1937, con nota di possesso del dicembre 1940), La poesia di Dante (ed. 1921, con nota di possesso del maggio 1941) e Ariosto, Shakespeare e Corneille (ed. 1950). Cfr. m. rinaldi, Le biblioteche di Bassani, prefazione di l. scala, presentazione di p. bassani, Milano, Guerini e a ssociati, 2004, pp. 118-120, dove sono annoverate quindici opere di Croce (nr. 678-692).

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die), o un mero ‘documento’ storico e uno strumento di denuncia sociale (i neorealisti), o infine un mezzo per illustrare tesi e princìpi astratti di natura filosofica, ideologica o religiosa; e, di nuovo, non è chi non veda il saldo fondamento crociano di una simile posizione. Delle avanguardie contemporanee – l’avverso e avversato «Gruppo 63» – Bassani neppure parla nei suoi scritti critici («Dei letterati della neoavanguardia», affermò sprezzante, «si potrà cominciare a occuparsi soltanto quando avranno prodotto qualcosa di oggettivamente accettabile»34), limitandosi, in un’intervista degli anni ’60, ad attaccare violentemente – sotto l’aspetto non solo letterario, ma anche politico e soprattutto etico – gli scrittori e i critici allora riuniti attorno al «Verri»:

attaccano, criticano, fomentano disordini, giocano alla guerriglia letteraria, ma nessuno può dire chi siano. Quand’anche fossi riuscito a imparare qualcuno dei loro nomi, l’avrei subito dimenticato. Come si può ricordare il nulla? Ho tentato di leggere, di tenermi al corrente, ma mi sono fermato prestissimo. Ho preso in mano l’ultimo numero della rivista “Il Verri”, diretta da un professore universitario ex ermetico, l’a nceschi, e vi ho trovato delle composizioni in corsivo presentate come “liriche”. si tratta in realtà di una serie di idiozie, di frasi prive di senso, di una specie di monumento all’inconsistenza. Gli esponenti della neoavanguardia italiana sono davvero capaci di qualsiasi cosa. Infinitamente indulgenti verso se stessi e i propri “testi” (così li chiamano), non sanno mai rinunciare a nulla. sono aperti, apertissimi. possono fare per esempio i professori universitari, giacché la carriera universitaria è pur sempre la carriera universitaria, ma anche fare nel contempo gli artisti di soffitta, affrontando tranquilli tutte le conseguenze che da ciò sempre derivano, ovviamente, “sul piano esistenziale”, anche questo possono permetterselo. perché no? Credo che qualche ragionamento l’abbiano compiuto dal quale si può dedurre che si ritengono marxisti. Marx? Certo, anche Marx. Era per la rivoluzione, Marx, ed essi, che diamine, per che cosa sono? Il guaio è che per farla sul serio, una rivoluzione, e non importa se soltanto letteraria, occorre innanzi tutto esistere. Che si possa incontrarli qui a roma nei caffè di piazza del popolo, o in qualche ristorantuccio di via della Croce o di piazza sforza Cesarini, tutti aggiornati anche fisicamente, nel taglio dei capelli e delle barbe, nelle giacche e nelle brache di velluto, nei camiciotti a quadrettoni, tutti così “artisti”, così “irresponsabili”, così innocuamente “arrabbiati” o gelidi, comunque sempre chic, non aiuta davvero a chiarire l’enigma sulla loro reale identità. Hanno casa? Di dove vengono? potrebbero vivere dovunque: a roma come a Milano, come a Napoli, come a palermo. Dietro la gloriosa avanguardia inglese impersonata dal T.s. Eliot della Waste Land, c’era invece la Londra dei sobborghi industriali, e, più in là, una nazione e una società ben definite. Quante lacrime, quanto sudore e sangue dietro quello squallore! a lla neoavanguardia italiana no, lo squallore non costa niente. si

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34 bassani, In risposta (III), in Opere, p. 1218.

limitano a utilizzare con ilare baldanza i cascami delle altre avanguardie, dovunque ne trovino. Non essendo cittadini di questo nostro paese, la loro lingua, per conseguenza, non è quella della tribù. Non può esserlo35.

poco spazio, nel complesso, egli concede anche al neorealismo, alacremente sostenuto nel secondo dopoguerra da quella critica marxista che parimenti additò a lungo Bassani quale modello negativo; anche se sull’argomento devono comunque registrarsi un importante saggio del 1948 (severamente critico nei confronti di tre romanzi neorealisti apparsi l’anno precedente)36, il riduttivo giudizio su primo Levi (definito, con formula vittoriniana, non un vero ‘poeta’, ma piuttosto un «intellettuale che scrive»)37 e un’eloquente dichiarazione del 1977:

io nei confronti del neorealismo italiano, mi riferisco al ’45, al ’50, ho sempre mantenuto un atteggiamento di grande perplessità, non mi convinceva. Non mi ha mai convinto il suo sentimentalismo populistico, la sfiducia di poter fare una letteratura vera in qualche modo, la facilità con cui il neorealismo si metteva al servizio della pratica, cioè della politica. Ora tuttavia ciò non significa che i miei libri non siano intrisi di cronaca. [...] Tuttavia io ritengo che non vi sia poesia – ché io voglio fare della poesia, non perché io sia un “bellettrista”, ma perché intendo restituire la vita –, non si dà poesia ove non si riesce a uscire dal limite della cronaca. La cronaca m’interessa moltissimo e al tempo stesso non m’interessa affatto. [...] il neorealismo è interessante dal punto di vista documentario, ma il documento non è mai poetico. Ci se ne potrà sempre servire per avere informazioni sullo stato dell’Italia intorno al ’50, dal ’45 al ’55 eccetera, ma dopo bisognerà fare come sempre un’operazione successiva. Cioè, un buono storico legge tutti i giornali, tutte le cronache e poi bisogna che tiri le somme. In ogni caso, io ho cercato di differenziarmi dai neorealisti in questo senso38.

35 Ibidem, pp. 1215-1217 (corsivi dell’autore).

36 si tratta del saggio Neorealisti italiani, pubblicato nel 1948 in tre sedi diverse (sullo «spettatore italiano», sull’«Italia socialista» e infine sul «Giornale» di Napoli; ora è in Opere, pp. 1054-1059); i romanzi che Bassani vi prende in esame sono L’onda dell’incrociatore di pier a ntonio Quarantotti Gambini (per il quale vd. qui più avanti, p. 53), Il compagno di Cesare pavese e È stato così di Natalia Ginzburg.

37 Il giudizio su Levi (affine a quello su a lberto a rbasino, definito da Bassani «soltanto un uomo di mondo che sa scrivere»: Opere, p. 1219) si legge nel saggio Lettere d’amore smarrite (1973), dove anche si afferma che in Se questo è un uomo «tutto […] è documento, nobile presa di coscienza morale, ed efficace “oratoria del gusto”» (ibidem, p. 1280; «oratoria del gusto» è fortunata formula di Luigi russo).

38 cro, Intervista con Giorgio Bassani, p. 40 (ma vd. qui anche più avanti, nota 57, a proposito del Gattopardo). a nche nella polemica contro il ‘documento’ risuonano suggestioni crociane; cfr. croce, Breviario di estetica, p. 127: «gli artisti inferiori si dimostrano assai più documentarî rispetto alla propria vita e alla società del loro tempo che non gli artisti superiori, i quali trascendono il tempo, la società e sé medesimi in quanto uomini pratici».

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più numerose, invece, le pagine sulla terza categoria di scrittori, in cui Bassani include, fra gli altri, a lessandro Manzoni, r iccardo Bacchelli e a lberto Moravia, tutti fatti da lui oggetto di analoghe riserve. I Promessi sposi – peraltro molto apprezzati sotto altri aspetti, quale esempio sovrano di una letteratura rigorosamente ‘morale’ e ‘popolare’39 – gli sembrano l’opera di un «gran burattinaio» che, «a differenza di quello che per solito fanno i cosiddetti romanzieri di razza», non riesce a oggettivarsi «mai totalmente nelle sue creature» e manovra i suoi personaggi come «pupazzi», facendone quindi non figure vive, ma soltanto protagonisti esemplari di una «parabola religiosa» 40 (per questo, in uno scritto del 1945, a Manzoni è decisamente anteposto da Bassani il più ‘vero’ Carlo porta)41; Bacchelli viene definito un «grande letterato» e un «grande critico» che però si serve «delle varie forme letterarie, romanzo, poesia, saggi storici, eccetera, per dar conto via via delle proprie idee, delle proprie specifiche posizioni al riguardo» 42; non diversamente, Moravia viene accusato di non saper «rivolgersi a una società ben definita», giacché «i suoi personaggi restano degli

39 Che Manzoni sia stato uno dei suoi maestri, Bassani lo ha ribadito più volte: cfr. ad es. le interviste rilasciate a stelio Cro (cro, Intervista con Giorgio Bassani, p. 39) e a Davide De Camilli (d de camilli, Intervista a Giorgio Bassani, «Italianistica», IX, 1980, pp. 505508: 505). E vd. ora s s nigro, I mancati sposi, prefazione a g bassani, I Promessi Sposi. Un esperimento, palermo, sellerio, 2007, pp. 9-25 (dove, pp. 35-116, è pubblicato il testo della riduzione dei Promessi sposi eseguita da Bassani nel 1955 su richiesta di Guido Gatti, amministratore delegato della Lux Film, che stava progettando una nuova versione cinematografica del romanzo).

40 g bassani, Per un nuovo film sui «Promessi sposi» (1956, ma pubblicato solo nel 1960 su « paragone-Letteratura»), in Opere, pp. 1138-1139. Una valutazione per certi versi analoga sul romanzo manzoniano avrebbe di lì a poco espresso anche Moravia, da parte sua riprendendo ed esasperando alcune riserve di De sanctis e di Croce (a. moravia, Alessandro Manzoni o l’ipotesi di un realismo cattolico, introduzione a a. manzoni, I promessi sposi, Torino, Einaudi, 1960, pp. ix-xlv; poi compreso in id., L’uomo come fine e altri saggi, Milano, Bompiani, 1964, pp. 303-344).

41 Opere, pp. 999-1003 (Manzoni e Porta, uscito con titolo diverso sul «Mondo» il 6 ottobre 1945 e poi sul «Giornale» di Napoli il 26 settembre 1946). pochi mesi prima, il 9 gennaio 1945, Mario a licata aveva proposto a Bassani di curare per Einaudi un volumetto di ‘novelle milanesi’ del porta, corredato di breve prefazione e note linguistiche; ma il progetto non andò in porto (vd. p italia, Bassani in redazione: storia delle «Cinque storie ferraresi», in «Cinque storie ferraresi». Omaggio a Bassani, a cura di p pieri e v mascaretti, pisa, Edizioni ETs, 2008, 77-95: 80). Nel Giardino, l’amore per il porta viene attribuito a Giampiero Malnate (vd. qui sopra, nota 14), che anche a questo proposito rivela dunque – pur nella già ricordata diversità sostanziale di gusti e di orientamenti – una significativa consonanza con le idee dell’autore.

42 g bassani, Qualche appunto per una tavola rotonda, in Opere, p. 1306.

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schemi monumentali, astratti», e «a nessuno verrebbe mai il sospetto che siano vissuti sul serio» 43 .

se torniamo ora per un momento alla sezione italiana di «Botteghe Oscure», possiamo constatare facilmente come Bassani ne abbia escluso sempre con cura – e lo sottolinea egli stesso nel già ricordato Congedo –autori e testi riconducibili a queste tipologie letterarie, a favore di scritti che si distinguessero per la loro «efficienza», «maturità» e «compiutezza espressiva», e di autori che fossero mossi da «un bisogno non già di “riedificare”

– demiurgico, retorico – ma, semplicemente, di esprimere qualcosa di chiaro, di necessario, di vero, e di comunicarlo a qualcuno» 44 . parole cui segue un elenco di nomi quanto mai significativo, che comprende fra i prosatori Cassola e Cancogni, soldati e Calvino, petroni e Dessì, Elsa Morante, silvio D’arzo e Tomasi di Lampedusa, e fra i poeti Bertolucci e Noventa, Caproni e Cacciatore, pasolini e Volponi; un elenco in cui invano cercheremmo, ad esempio, Vittorini, pavese45, primo Levi o Quasimodo, per non parlare di Leonetti, di sanguineti o di pagliarani.

La ricerca del massimo ‘realismo’ e della più scrupolosa ‘oggettivazione’ (intesa non come esteriore riproduzione ‘naturalistica’ o ‘documentaria’, ma – secondo le parole di a nna Dolfi – come «strumento di approssimazione a una realtà riconosciuta sempre complessa e difficile» 46) è un punto fermo della poetica bassaniana. E ‘oggettivazione’ significa per Bassani non solo rifiuto delle «parole preparate», bensì anche capacità di andare, nella

43 id , In risposta (III), in Opere, pp. 1218-1219 (dove pure, p. 1219, si trova la definizione di Moravia come di «una specie di a lessandro Manzoni immerso nello scirocco romano»). Viceversa, Il maestro di setticlavio di Camillo Boito gli appariva una «amara commedia delle illusioni fallite», «rappresentata non già da piacevoli marionette di cartapesta, ma da persone vive di tutta un’umana complessità di sentimenti» (ibidem, p. 1018).

44 bassani, Congedo, pp. 436-437.

45 Cfr. la testimonianza di pietro Citati pubblicata in appendice a La rivista «Botteghe Oscure» e Marguerite Caetani. La corrispondenza con gli autori italiani, p. 274: «Certamente Bassani non amava affatto Vittorini; Bassani aveva un suo gusto, che era il contrario di quello di Vittorini. E non amava neanche pavese. Direi che Bassani rappresenta un momento della letteratura italiana che reagiva a Vittorini e a pavese» (poco sopra, si ricorda anche il rifiuto da parte di Bassani di pubblicare su «Botteghe Oscure» l’allora inedita lirica pavesiana Verrà la morte e avrà i tuoi occhi ).

46 dolfi, Giorgio Bassani, p. 12; e anche pp. 151-52: «a intrigarlo, nei fatti e nella lettura, nella piccola e nella grande storia, nei libri degli sconosciuti o degli autori famosi, è, più che il documento o la presa di coscienza, […] lo strazio e lo slancio insiti nel faut tenter de vivre valeriano», cioè, potremmo dire in breve, la realtà spirituale, che per lui è l’unica realtà veramente esistente. Lo ‘storicismo’ di Bassani si fonda d’altronde sulla definizione crociana dello storia come «coscienza del realmente accaduto» (croce, Breviario di estetica, p. 65).

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creazione artistica (e qui veniamo al secondo titolo), «di là dal cuore». Nel brevissimo testo eponimo di questa sua ultima raccolta di saggi, egli scrive: Dopo Freud, l’origine di tutto quanto accade nel nostro cuore (e nel nostro ventre) non ha più nulla di misterioso. Il meccanismo è quello che è, certo. Eppure lo spirito, l’a more, anche se sono il prodotto di quel meccanismo stesso, esistono di per sé, ben di là dal nostro cuore e dal nostro ventre. Come una volta, prima della rivoluzione freudiana, continuano imperterriti a rappresentare un valore autonomo, assoluto: l’unico in fondo davvero esistente. Il ludibrio di cui vorrebbe farne oggetto il nuovo positivismo resta al di qua: non può toccarli47

L’arte e la letteratura, dunque, per essere tali, per diventare «poesia», devono saper andare di là dal cuore (e dal ventre), ossia fuggire con tutte le loro forze l’autobiografismo e il sentimentalismo; poeta è infatti solo colui che, a carissimo prezzo, sa staccarsi da sé e morire al proprio io, per scomparire nelle cose che raffigura e annullarsi in esse, conscio di «tutto il falso che c’è nell’esser buoni con se stessi e con le proprie emozioni, affetti, eccetera, nell’essere indulgenti colla propria vita e con la propria letteratura»; è colui che riesce a

vedere le cose non più secondo una, ma secondo quattro dimensioni, e distaccarsene, e vagheggiarle, ricreate al di fuori dell’atmosfera privata della propria autobiografia in quello che si può chiamare un mondo morale, dove la cieca realtà acquista un significato ideale, il particolare assume un valore simbolico, d’eterno, e tutto risulta preordinato e sufficiente: un mondo distrutto e poi rifatto 48 .

sono parole, queste e quelle immediatamente precedenti, desunte da una delle lettere inviate ai familiari dal carcere nel 1943, dove già troviamo enunciate con straordinaria e profetica chiarezza le linee fondamentali della poetica di Bassani; una poetica, si direbbe, compiuta e definita ab origine (come dimostrano anche certi lucidissimi scritti critici dei primi anni Quaranta che tra breve avremo occasione di citare), a testimonianza del fatto che nello scrittore ferrarese – fedele al detto longhiano secondo cui «critici si nasce, poeti si diventa» 49 – l’elaborazione teorica precedette l’inizio della stagione creativa più matura. Non è dunque per caso, credo, né soltanto in

47 Opere, p. 1274 (corsivo dell’autore).

48 g bassani, Da una prigione, in Opere, p. 957 (le lettere, col titolo Bassani: da una prigione, furono edite primamente sul «Corriere della sera» il 21 giugno 1981, accompagnate da una nota in cui si informava che l’autore, per la sua attività antifascista clandestina, era stato rinchiuso nel carcere ferrarese di Via piangipane dalla metà di maggio al 26 luglio del 1943: ibidem, p. 1773). «Il poeta scompare nelle cose che raffigura, si annulla in esse», scrive Bassani nel già menzionato saggio del 1945 Manzoni e Porta ( bassani, Opere, p. 1002).

49 Il detto di Longhi è ricordato da Bassani in apertura del suo Poscritto, in Opere, p. 1162.

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ossequio alla cronologia, che Bassani volle collocare quelle remote lettere dal carcere all’inizio della silloge Di là dal cuore, ma perché esse gli consentivano di mettere in chiaro preliminarmente i fondamenti estetici della sua attività critica e quindi dei saggi inclusi nel volume, evidenziandone al tempo stesso anche le ascendenze culturali e filosofiche50. Quelle parole, infatti, si collocano senza equivoci, nuovamente, nel segno di Benedetto Croce: artista, aveva ad esempio scritto il filosofo nel suo Breviario di estetica, è chi «ha compiuto il processo di liberazione dal tumulto sentimentale e questo ha oggettivato in un’immagine lirica», passando così «dallo stato passionale allo stato contemplativo, dal pratico desiderare, bramare e volere all’estetico conoscere»51. E, accanto al Croce, anche Thomas Mann, che nel Tonio Kröger espone un’analoga teoria del difficile rapporto tra materia e forma, sentimento e arte:

è un superficiale chi crede che il creatore debba sentire. Ogni artista autentico e leale sorride, malinconicamente forse, ma sorride per l’ingenuità di questo errore da pasticcioni. In quanto quel che si esprime non può mai essere l’essenza, bensì soltanto la materia, di per sé indifferente, da cui ha da formarsi, con superiorità facile e pacata, l’immagine estetica. se ci si tiene troppo a quel che s’ha da esprimere, se il cuore pulsa con troppo impeto, allora si può esser certi del fiasco completo. se si diventa patetici, se si diventa sentimentali, sorge sotto le mani un che di pesante, tragicomico, indomito, serio, insipido, noioso, trito, e la fine non è altro che indifferenza nella gente, nient’altro che delusione e affanno in se stessi... [...] Il sentimento, il sentimento caldo, sincero è sempre trito e ritrito e inutile. [...]

50 È inoltre probabile, al tempo stesso, che collocando quelle lettere in apertura del suo volume Bassani intendesse ribadire – di fronte alla perdurante diffidenza nei suoi confronti di quegli intellettuali marxisti con cui egli ebbe più volte occasione di polemizzare – le proprie credenziali di vecchio antifascista militante e forse anche presentarsi, mutatis mutandis, come una sorta di ‘Gramsci liberale’. Non per nulla, i due testi che in Di là dal cuore seguono immediatamente queste lettere sono Pagine di un diario ritrovato (si tratta del diario scritto da Bassani nel gennaio-febbraio 1944 durante l’occupazione tedesca di roma, e già pubblicato nel 1964 sulla « r ivista trimestrale» con una premessa in cui egli si premurava di sottolineare come, allora, i suoi «ideali» fossero quelli del partito d’a zione) e La rivoluzione come gioco (del 1945: è un acuto saggio di «interpretazione psicologica del fascismo», come recitava il suo titolo originario): si leggono ora in Opere, pp. 965-983 e 984-995 (la premessa al primo è ibidem, pp. 1773-1774).

51 croce, Breviario di estetica, pp. 62 e 126 (e vd. anche qui sopra la nota 33). Un’analoga descrizione del «poeta universale, perfettamente oggettivo, sommamente impersonale, straordinariamente imparziale», ispirata a princìpi estetici che Bassani condivide appieno e più volte espone a chiare lettere, si legge inoltre in un altro libro di Croce (Ariosto, Shakespeare e Corneille, Bari, Laterza, 1968 [19201], pp. 83-96, corrispondenti al capitolo intitolato Il sentimento shakespeariano; il passo citato è a p. 83) posseduto e non a caso postillato dal nostro autore (vd. qui sopra, nota 33).

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Bisognerebbe essere non so che di sovrumano e di mostruoso, avere con l’umanità rapporti stranamente distaccati e neutrali per essere in grado, e soprattutto essere tentati, di spacciarlo, di fingerlo, di esporlo con efficacia e con gusto. L’attitudine per stile, forma ed espressione implica già questo rapporto freddo e sofistico verso l’umanità, persino un certo depauperamento e un certo squallore naturali. perché il sentimento sano e forte, c’è poco da dire, gusto non ne ha. L’artista sparisce non appena diventi uomo e cominci ad aver sensibilità 52

proprio recensendo nel 1945 l’edizione italiana di un racconto di Mann, non a caso, Bassani ebbe modo di dare un’altra precoce formulazione delle proprie idee sulla letteratura: «l’autoritratto che si compiace unicamente di se stesso, di una cronaca e di un modello felicemente riprodotti, non può appartenere alla poesia più di quanto non le appartengano una immagine fotografica o uno studio di psicologia», scrisse infatti in quella occasione, aggiungendo subito dopo che «la poesia di Mann nasce proprio quando l’iniziale moto di compiacimento dello scrittore, che gode a rimirarsi come in uno specchio, cede ad un sorriso di ironia», e in virtù di questo i suoi personaggi «non tengono di Mann, uomo privato, più di quanto non tengano di noi stessi, della nostra personale esperienza», perché «c’è in essi un fondo di sofferenza, la dolorosa consapevolezza del limite, che li rende vivi e universali»53.

Concetti di tal genere tornano in modo quasi ossessivo nella saggistica bassaniana, dove poeti e narratori, ma anche pittori e registi, vengono sempre giudicati in base alla loro capacità di superare il puro soggettivismo lirico costruendo – con i faticati strumenti della cultura, del linguaggio e del rigore strutturale – solidi e ‘autosufficienti’ organismi formali, nei quali sentimenti e pensieri, anziché esplicitarsi con incondita immediatezza, sap-

52 Traduzione di salvatore Tito Villari (t mann, Tonio Kröger. La morte a Venezia. Cane e padrone, Milano, Garzanti, 1965, pp. 39-40). per i cospicui debiti di Bassani nei confronti della poetica e dell’arte di Mann mi permetto di rinviare al mio Il giardino incantato. Giorgio Bassani lettore di Thomas Mann, «Lettere italiane», LV (2003), pp. 219-248.

53 g. bassani, Mann e il mago, in Opere, pp. 1022-1023. si tratta della recensione all’edizione italiana di Mario e il mago (Milano, Barbera, 1945, traduzione di Giorgio Zampa), apparsa primamente su « a retusa» il 10 giugno 1945. In un’intervista del 1964, Bassani volle ribadire – proprio contro l’opinione di Zampa – che Mann, pur scrivendo in prosa, deve considerarsi a pieno titolo, come tutti i grandi romanzieri, un ‘poeta’: «Che cos’è la Recherche? E Ulysses, che cos’è? E Das Schloss? E Der Zauberberg? Non sono forse, insieme, romanzi e poemi, opera lirica e narrativa? recentemente Giorgio Zampa ebbe a sollevare dei dubbi circa la legittimità, da parte di Thomas Mann, di ritenersi “Dichter”, poeta. Io me ne guarderei bene» (In risposta (II), in Opere, p. 1210).

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piano pudicamente trasfigurarsi in limpidi correlativi oggettivi 54; sappiano, in breve, farsi ‘letteratura’. Così, ad esempio, Camillo Boito, in Senso, appare a Bassani riuscito nell’arduo compito di disciplinare con la sua «intelligenza lucida e precisa» il «turgore retorico del caso morboso», narrando quella torbida vicenda «senza ostentare brividi di ambigua partecipazione, ma anzi con l’impassibilità dello storico e dello psicologo, e con la discreta finezza del poeta», dando vita a un «racconto costruito con grande solidità, con un senso sempre molto esatto ed elegante delle proporzioni», sì da farne «un microcosmo perfettamente organizzato e sufficiente a se stesso» (diversamente, aggiunge Bassani, da quanto avviene nel film, a suo avviso troppo compiaciuto e decadente, che Luchino Visconti ne ricavò nel 1954)55. Nel 1951, recensendo A cena col commendatore di Mario soldati, osserva come l’autore, nei tre racconti che costituiscono quel volume, «senta il bisogno di porre a intermediario fra sé e il mondo della sua fantasia il patetico, ironico, ottocentesco simulacro “marmoreo” del suo commendatore», e come «proprio per via di tali procedimenti gli è permesso di identificarsi soltanto in parte coi suoi personaggi»56. a nalogamente, la forza «lirica» del Gattopardo gli pare consistere nella capacità di Giuseppe Tomasi di Lampedusa di starsene «chiuso chiuso» dentro i suoi personaggi, come facevano nel passato i poeti e i romanzieri 57; ed è significativo che in questo caso – come in quello

54 Come, a suo parere, avviene ad esempio nel racconto Il prato (1945) di arrigo Benedetti, la cui arte «è intensamente, scopertamente lirica»; o nel romanzo Le finestre di Piazza Navona (1961) di silvio D’a mico, in cui le uova al tegame cucinate con l’olio da Felicita ai quattro orfani dopo il funerale dei loro genitori diventano il «corrispettivo oggettivo» di un sentimento di intima e sorridente felicità domestica (g bassani, Racconti di Benedetti [1945] e Lettere d’amore smarrite [1973], in Opere, rispettivamente pp. 1027 e 1286). La recensione ai racconti di Benedetti uscì dapprima su « aretusa» il 15 novembre 1945.

55 Il saggio in questione (la Prefazione al «Maestro di setticlavio», scritta con lo pseudonimo di Bruno ruffo per un’edizione di questa novella boitiana pubblicata nel 1945 a roma per i tipi di Colombo: rinaldi, Le biblioteche di Bassani, pp. 23-24 e 84) si legge ora in Opere, pp. 1004-1018, ed è una delle più chiare e compiute esposizioni della poetica bassaniana.

56 g bassani, Mario Soldati, o dell’essere altrove (Opere, p. 1115; l’articolo, prima di essere accolto nelle Parole preparate, era stato ripetutamente pubblicato – ma in forme diverse e con altri titoli – fra il 1948 e il 1954, su giornali e riviste quali «L’Italia socialista», «La rassegna d’Italia», « paragone» e «La Fiera Letteraria»). più tardi, recensendo nel 1964 il romanzo di soldati Le due città, egli dirà – sempre sottolineando la capacità dello scrittore torinese di ‘oggettivarsi’ nei personaggi e nella narrazione – che si tratta di «un’opera chiusa […], un organismo funzionante che trova le ragioni del proprio funzionamento soprattutto in se stesso», e che «in ciò risiede la sua validità e la sua forza» (Opere, p. 1221).

57 id., Prefazione al «Gattopardo» (1958), ibidem, p. 1161. Nell’intervista del 1977 (cro, Intervista con Giorgio Bassani, pp. 41-42), Bassani si dice certo che col Gattopardo Tomasi «sia entrato come me in un rapporto dialettico di opposizione con la letteratura neorealistica»

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di soldati e di Cassola, ma anche nel proprio, se nella bandella della prima edizione del Romanzo di Ferrara (1974) egli volle definirlo «un unico grande romanzo del tipo di quelli che si facevano una volta, da leggersi, come quelli, preferibilmente, tutto» – Bassani evochi il grande modello della narrativa ottocentesca europea, polemicamente e provocatoriamente rifiutando di ascriverlo alla ‘modernità’58

Casi opposti, invece, sono per lui quelli di Mario Tobino, che nel romanzo del 1942 Il figlio del farmacista gli si rivela «lontanissimo da qualsiasi pretesa di obbiettivare» le vicende narrate, giacché egli viceversa, abolendo «ogni distacco critico», saccheggia la propria esistenza «con una sorta di furia insieme sensuale e moralistica», dimostrandosi così «non già romanziere, ma creatura ancora ben viva, tuttora gemente e dolorante»59, incapace insomma di passare – sempre in termini crociani – dall’«espressione sentimentale o immediata» all’«espressione poetica»60; di pier a ntonio QuarantottiGambini, il cui racconto L’onda dell’incrociatore (1947) viene definito da Bassani come una «favola [...] costruita dal di fuori con la freddezza, la premeditazione e lo scetticismo di un letterato particolarmente abile», cosicché i suoi personaggi «appaiono assai più dei paradigmi psicanalitici ricostruiti

(«non è un caso che Il Gattopardo non sia piaciuto ai neorealisti, anzi, hanno fatto di tutto perché non uscisse», con chiara allusione alla ‘bocciatura’ di Vittorini) e definisce il romanzo «un grande pamphlet etico-lirico, etico-politico-lirico», collocandosi sulla stessa linea dello scrittore siciliano e ipotizzando che egli avesse letto «qualcuna delle mie storie ferraresi».

58 a ncora a proposito delle Due città di soldati, Bassani scrisse a questo riguardo: «chi ormai vorrà ammettere che un romanzo riuscito […] appartenga con pieno diritto al nostro secolo, e non, viceversa, proprio perché riuscito, all’esecrabile Ottocento? Chi sarà tanto coraggioso e spregiudicato da ricercare la modernità di uno scrittore come soldati, il quale è sempre stato fin dalle origini così poco sensibile ai problemi della tecnica espressiva, così poco artista puro, nelle cose che ha da dire ed in quelle soltanto?» (Opere, p. 1221). r iguardo a Cassola, Bassani affermò (recensendo Il taglio del bosco) che «nei confronti dei sentimenti semplici, elementari, ha l’identica nostalgia intrisa di sfiducia che lo fa tornare con sempre rinnovato slancio ai grandi classici dell’Ottocento, francesi e russi» (ibidem, p. 1121; la prima pubblicazione di questo scritto bassaniano su Cassola avvenne il 7 luglio 1954 sullo «spettatore italiano»). a nche qui – detto per inciso – agiscono suggestioni crociane: «perché quel tono [scil. quello della poesia popolare] risuoni, occorre soltanto che che alcuni uomini, ancorché colti, siano rimasti, verso la vita e certi aspetti della vita, in quella semplicità e ingenuità di sentimento o vi ritornino in certi momenti» (croce, Poesia popolare e poesia d’arte, p. 12; parole applicate da Bassani a Manzoni in un’intervista del 1977, dove dell’autore dei Promessi sposi si elogia «la popolarità, non il populismo, lo sforzo di farsi umile fra gli umili, lui aristocratico di farsi borghese e razionale»: cro, Intervista con Giorgio Bassani, p. 39).

59 g. bassani, Prose e poesie di Mario Tobino (1942), in Opere, p. 1029.

60 croce, Breviario di estetica, p. 127; id., La poesia, pp. 10-14.

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a posteriori, logicamente, che non delle persone vive» (e di conseguenza «i contenuti della sua arte, gli animati al pari degli inanimati, non assumono mai concretezza, peso morale»)61; e del romanzo biografico Artemisia di a nna Banti (1947), a suo parere in origine «insidiato ab imis fundamentis dalla crepa di un divorante soggettivismo lirico» da cui l’autrice – dopo che il manoscritto era andato distrutto nel corso della seconda guerra – ha potuto in parte liberarsi soltanto riscrivendo interamente il libro, senza peraltro arrivare a «produrre un romanzo tutto oggettivo, distaccato dall’io-scrivente come una cosa, o come un organismo assolutamente autonomo»62 proprio qui, e cioè nell’aver voluto arbitrariamente calcare il pedale del facile autobiografismo e, al tempo stesso, quello dello schematismo storico e psicologico, risiede la ragione principale dell’aspra e ben nota polemica di Bassani contro il film che Vittorio De sica trasse nel 1970 dal Giardino dei Finzi-Contini, fondandosi su una sceneggiatura che lo scrittore giudicava «inzeppata di tirate didascaliche estraneissime allo spirito del libro», e nella quale la storia del protagonista «così come era stata arrangiata, risultava banale, sentimentale, qualsiasi», con i dialoghi alterati da indebite inserzioni «o sentimentali, o melodrammatiche, o spiegative», con episodi arbitrariamente aggiunti (a mo’ di pezze d’appoggio dotate di «una palese funzione insegnativa», che «equivalevano ad altrettanti ammicchi, a strizzatine d’occhio messe lì per erudire il pupo, cioè il pubblico»), con errori e falsi storici, e quel che è peggio – di conseguenza – con i personaggi ridotti a «pupazzi di fantasia, teste di legno pure e semplici»63.

61 bassani, Neorealisti italiani, in Opere, pp. 1056-1057 (il racconto, uscito nei «Coralli» Einaudi, riscosse grande successo di publico e di critica, e si aggiudicò nel 1948 il premio Bagutta).

62 Ibidem, pp. 1062-63 (recensione al romanzo, apparsa nel 1948 prima sullo «spettatore italiano» e poi sul «Giornale» di Napoli).

63 g bassani, Il giardino tradito (1970), in Opere, pp. 1255-1265; e a dolfi, Un film quasi impossibile. Qualche appunto in margine all’uso del codice di realtà, in Ritorno al Giardino, pp. 117-125. Dopo vari tentativi falliti (al progetto cinematografico, fin dal 1963, avevano lavorato fra gli altri Valerio Zurlini e Franco Brusati), la società di produzione si rivolse a Bassani e a Vittorio Bonicelli, ma la loro sceneggiatura fu poi radicalmente modificata da Ugo pirro; Bassani ne venne a conoscenza solo nell’estate del 1970, quando la lavorazione del film era già avanzata, e decise quindi di adire le vie legali per ottenere che il suo nome venisse escluso dalla lista degli sceneggiatori. a nche sul film che Giuliano Montaldo ricavò dagli Occhiali d’oro nel 1987, Bassani – pur apprezzandolo sotto l’aspetto formale – espresse alcune riserve, affermando che esso evitava fondamentalmente «la sostanza del libro», ossia l’affinità e l’intesa fra i «due emarginati», il giovane letterato e il dottor Fadigati (Opere, pp. 1345-1346).

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Non è difficile cogliere la piena sintonia fra queste valutazioni del Bassani critico e le esplicite dichiarazioni di poetica da lui disseminate in interviste o in scritti autobiografici. Così ad esempio scrisse nel 1956, a proposito della svolta che egli sentì il bisogno di imprimere alla sua poesia dopo la fine della guerra: se nei versi che stavo scrivendo volevo accogliere la nuova realtà che si imponeva al mio spirito, tutta la nuova realtà di me stesso e del mondo, allora dovevo lottare senza pietà, senza la minima condiscendenza nei confronti della mia natura, contro il ritagliato paradiso del gusto e della cultura, contro il facile paradiso degli affetti primordiali da campirsi, inevitabilmente!, su uno sfondo d’idillio. Lacerare una trama delicata, odiare ciò che più amavo: si trattava di un rischio necessario. [...] soltanto se avvertivo la vita abbandonarmi, soltanto in questo caso potevo consentire a me stesso di volgere attorno, sulla scena del mondo, lo sguardo sereno, da artista, d’una volta. […] a ltrimenti, la realtà non avrebbe tollerato indugi a essere rappresentata64

Odiare ciò che più amava (come già avevano raccomandato Mann e proust)65 significava staccarsi in primo luogo da se stesso, dal proprio passato, dalla propria città: «Mi sono allontanato proprio in quegli anni da quello che la gente volgare pensa che sia la vita, e in un certo senso sono morto alla mià città. per uno che voglia scrivere, bisogna morire alle cose di cui si vuole scrivere: altrimenti no, non si è veri scrittori» 66. Morire e poi tornare fra i vivi, dunque, come sempre hanno fatto i grandi poeti, Dante in primis67 Che è metafora del passaggio doloroso e sofferto dalla psicologia alla forma, dall’esperienza vissuta (Erlebnis) all’oggettivazione artistica (Dichtung), per conferire valore emblematico e universale al crudo, effimero e insensato dato di realtà; un passaggio compiuto da Bassani grazie tanto a nette scelte di vita (la militanza antifascista prima, l’abbandono di Ferrara poi)68, quan-

64 g bassani, Poscritto, in Opere, p. 1165 (corsivi dell’autore).

65 «si può rifare quel che si ama solo ripudiandolo», leggiamo nel finale della Recherche (m proust, Il tempo ritrovato, traduzione di g caproni, Torino, Einaudi, 1978, p. 387).

66 Testimonianza di Bassani riportata in La cultura ferrarese fra le due guerre mondiali. Dalla Scuola Metafisica a «Ossessione», a cura di w. moretti, Bologna, Cappelli, 1980, p. 215.

67 «se i poeti non parlano sempre, o quasi sempre, di vicende che è quasi impossibile raccontare, non sono dei poeti. […] Ma anche i poeti, se sono veramente tali, tornano sempre dal regno dei morti. sono stati di là per diventare poeti, per astrarsi dal mondo, e non sarebbero poeti se non cercassero di tornare di qua, fra noi»: g bassani, In risposta (VI), in Opere, p. 1323.

68 «Gli anni dal ’37 al ’43, che dedicai quasi del tutto all’attività antifascista clandestina [...] mi salvarono dalla disperazione a cui andarono incontro tanti ebrei italiani, mio padre compreso, col conforto che mi dettero d’essere totalmente dalla parte della giustizia e della verità,

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to alla ferma volontà di assoggettarsi alla dura disciplina della letteratura, riscrivendo e rielaborando senza sosta le sue opere e costringendole – come si legge nell’ultimo testo dell’Odore del fieno – entro ferree strutture geometriche 69. Dall’autobiografia alla poesia, insomma: questo è il tragitto inevitabilmente richiesto ad ogni artista che voglia dirsi davvero tale. E che, ancora una volta, dietro una simile ‘poetica’ si stagli precisa l’ombra di Benedetto Croce (parole quasi identiche a quelle appena riportate si leggono nelle pagine iniziali della Poesia, del 1936)70 non può meravigliare, in un autore, come Bassani, che dichiarò di aver avuto nel Croce – alla cui «memoria venerata», e «in tutta umiltà», è dedicato il volume Parole preparate 71 – il suo «unico vero grande maestro», e di considerarsi «l’unico scrittore del Novecento per il quale l’esperienza idealistica è il fatto assolutamente centrale della propria formazione»72; non per nulla Bassani, da un capo all’altro della sua attività critica, si mostra soprattutto interessato a distinguere strenuamente in ogni testo letterario (in base ai parametri che stiamo delineando) la «poesia» dalla «non-poesia»73, giudicando anche i narratori a seconda della loro maggiore o

e persuadendomi soprattutto a non emigrare. senza quegli anni per me fondamentali, credo che non sarei mai diventato uno scrittore» (Bassani, In risposta (V), in Opere, p. 1320).

69 Laggiù, in fondo al corridoio, ibidem, pp. 938-942. Importante sotto questo aspetto, come Bassani stesso riconobbe, fu anche l’attività di sceneggiatore cinematografico (cui egli si applicò assiduamente negli anni Cinquanta, collaborando con registi quali soldati, a ntonioni, Zampa, Blasetti e Visconti), che lo agevolò nel superamento della «presunzione giovanile, di origine forse ermetica, dell’ineffabilità»: «fu proprio il lavoro cinematografico [...] a indurmi a uscire da me, a esprimermi completamente sulla pagina» (Cinema e letteratura [1964], in Opere, pp. 1245-1246). per questo, e in generale per gli stretti e duraturi rapporti di Bassani con il mondo del cinema, vd. f villa, Uscire da sé. Giorgio Bassani si racconta come uomo di cinema, in «Cinque storie ferraresi». Omaggio a Bassani, pp. 157-165.

70 croce, La poesia, pp. 5-11.

71 Così si conclude l’Avvertenza (datata « roma, maggio 1966») premessa alle Parole preparate, Torino, Einaudi, 1966, pp. 9-10: «sul punto di licenziare questo volume che anche, e forse soprattutto, è una continua, indiretta dichiarazione di poetica, non posso non ricordare la simpatia e l’indulgenza che il Croce, maestro di critica, di vita (e, a me, anche di rettorica), ebbe sempre nei confronti della critica non professionale, in specie quella degli ‘artisti’. E così a Benedetto Croce, alla sua memoria venerata, lo dedico in tutta umiltà».

72 camon, Il mestiere di scrittore, p. 57. E anche cro, Intervista con Giorgio Bassani, pp. 37-38: «voglio riaffermare qui che l’esperienza dello storicismo, l’esperienza crociana insomma, è stata fondamentale per me, nei lontani anni della mia giovinezza. […] Benedetto Croce che è l’ultimo, la cuspide italiana di un grande pensiero europeo. È inutile che stiamo a fare qui così le genealogie. Io vengo di là».

73 «La “non poesia” è semplicemente questo: quando, dietro, non c’è nessun sentimento, nessuna forma di esso» (bassani, Un’intervista inedita, in Opere, p. 1349). recensendo nel

1970 la traduzione del Faust di Goethe eseguita da Franco Fortini, Bassani prendeva le

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minore capacità di farsi lirici dei propri sentimenti, senza mai immedesimarsi totalmente nei propri personaggi e nelle vicende di cui narrano74. a ndare di là, dunque, oltre se stesso e oltre il mondo delle apparenze, per descrivere la realtà standone insieme dentro e fuori; il vero poeta, infatti, sa «trascendere il puro dettato, spingersi oltre, significare oltre, di là dalla parola», e per questo «sta lì, nel dettato che ci offre, e insieme sta altrove, di là», aspirando a «trascendere l’oggetto, per cogliere di là da esso il suo significato più vero» e dunque collocandosi «contemporaneamente nelle cose che ci offre da vedere, e altrove»75. Queste frasi appartengono al breve saggio dedicato da Bassani nel 1977 alla poetessa e pittrice novarese a nna Merlotti; e colpisce che a simili impegnative affermazioni abbiano dato luogo le opere di un’autrice decisamente ‘minore’ e oggi pressoché dimenticata. In realtà, questo è un altro tratto distintivo della produzione critica bassaniana, la sproporzione apparente – cioè – fra gli oggetti spesso modesti e a volta minimi della riflessione (nonché le sedi ‘periferiche’ cui essa era di preferenza affidata) e la portata non di rado vasta e profonda della riflessione stessa: come se in casi del genere Bassani si sentisse più libero di manifestare apertamente il proprio pensiero e di esporre senza remore la propria poetica. può essere utile, a questo proposito, addurre qualche altro esempio. Il già menzionato risvolto di copertina del romanzo carcerario La traduzione di distanze dall’anticrocianesimo di quest’ultimo, che aveva definito un «noioso problema» quello della «unità artistica» o «poetica», problema «che viceversa premeva tanto al Croce, testardo sempre a distinguere in un’opera ciò che è poesia da ciò che non lo è» (ibidem, p. 1268). Interessante, sotto questo aspetto, anche la testimonianza di Giuliana ruggerini Berlinguer e di adolfo pitti, che frequentarono i corsi di storia del teatro tenuti da Bassani (fra il 1957 e il 1967) presso l’accademia nazionale di a rte drammatica di roma «silvio D’a mico»: «Le interrogazioni risentono del suo crocianesimo di fondo, sono schematiche e dirette, senza tanti giri di parole; spesso si riducono a un’unica domanda: “la poesia in quali scene è?”» (citato da r. cotroneo nella Cronologia premessa a Opere, p. LXXX).

74 «Il poeta si identifica via via nelle cose e nelle persone di cui parla. Non completamente, però, mai. L’identificazione completa è impossibile. se accadesse, lui, il poeta, non farebbe più il poeta, si identificherebbe, anche esistenzialmente, con l’oggetto o la persona di cui parla. Ciò nonostante, attraverso la forma del sentimento il poeta si confessa, dice la verità soprattutto di sé, di una parte di sé. Di tutto se stesso non può parlare, ma di una parte di sé può parlare, eccome! a nche Croce era di questo parere» (bassani, Un’intervista inedita, in Opere, p. 1349). Di Croce vd. ad es. il passo di Poesia popolare e poesia d’arte qui sopra riferito alla nota 33; e Breviario di estetica, p. 126: «è intrinsecamente inconcepibile che nella rappresentazione artistica possa mai affermarsi il mero particolare, l’astratto individuale, il finito nella sua finitezza».

75 g. bassani, Anna Merlotti (1977), in Opere, pp. 1302-1303. si tratta di un breve scritto pubblicato nel Catalogo della mostra di a nna Merlotti tenutasi fra il 10 e il 30 aprile 1978 presso la «Libreria-Galleria d’a rte» di roma.

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silvano Ceccherini (1963) accoglie una delle più chiare definizioni – riassunta nel lapidario aforisma finale – di ciò che per Bassani significasse scrivere un vero ‘romanzo’, sfuggendo alle trappole dell’autobiografismo sentimentale e approdando agli ardui lidi dell’oggettivazione artistica:

ciò che più stupisce nel libro di silvano Ceccherini è il suo essere così decisamente romanzo, oggetto letterario autonomo, microcosmo di parole, di pensieri e di immagini regolato da leggi che appartengono soltanto a lui, ad esse sole obbediente. sì, certo: ci sono pavese, Vittorini, e forse Cassola, dietro il lavoro di Ceccherini: a testimoniare tra l’altro che nei nostri stabilimenti di pena uno può farsi anche una buona cultura... Ma la più grossa meraviglia, ripetiamo, viene dal fatto che l’autore, il quale pur aveva ogni diritto di sfogarsi, di autocommiserarsi (vent’anni di carcere! una vita intera!), abbia invece avuto la forza ed il coraggio di preservare la propria limpida intelligenza dal fallimento e dal marasma. Uno scrittore nasce sempre così: a duro prezzo, sempre76.

Non diversamente, i racconti e i romanzi di arrigo Benedetti (la cui «appassionata presa di posizione antinaturalistica» induce addirittura Bassani a scomodare i nomi di proust, di James, della Woolf, della Mansfield e di Hemingway) gli consentono di precisare nuovamente i contorni della sua recisa opposizione a qualunque forma di letteratura che non preveda il fermo ‘distacco’ ideologico e psicologico dell’autore dalla sua materia: « a l mito carico d’orgoglio di una totale presenza, di una invadenza continua, di una oppressiva imparzialità “scientifica” (una sorta di goffo pessimismo ottimista, nei peggiori), o a quello altrettanto orgoglioso di una non meno oppressiva parzialità sentimentale e psicologica, ecco dunque con Benedetti sostituirsi il mito della totale assenza, ovvero, come ha detto bene Eugenio Montale, del “non intervento”»77. Dove è palese che i due «miti» ai quali polemicamente si allude siano quelli a suo avviso propri da un lato del

76 Ibidem, p. 1214 (e vd. la prefazione di L. Baldacci a s. Ceccherini, Il prezzo della saggezza, Milano, Bietti, 1974, pp. 5-14, dove fra l’altro si osserva che «Ceccherini è esattamente il contrario di un realista e tantomeno di un neorealista: anche se una certa abitudine di lettura poteva far scorgere allora dei coloriti neorealistici nella Traduzione »). Il livornese silvano Ceccherini (1915-1974), singolare figura di ‘anarchico tolstojano’ (come egli stesso si definiva), di giramondo (fra il 1934 e il 1939 fu anche arruolato nella Legione straniera) e di letterato autodidatta, esordì con il romanzo La traduzione (cui fecero seguito numerosi altri romanzi e racconti), composto nelle prigioni di reggio Emilia e di san Gimignano fra il 1960 e il 1961, mentre egli scontava una condanna a diciotto anni inflittagli nel 1944. Il dattiloscritto della Traduzione fu sottoposto da Cassola a Bassani, e quest’ultimo pubblicò il romanzo nella collana «Biblioteca di letteratura» della Feltrinelli, da lui – come detto in precedenza – allora diretta.

77 bassani, Racconti di Benedetti, in Opere, p. 1028

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neorealismo (la cui sostanza ideologica è qui definita come meglio non si potrebbe dall’ossimoro «pessimismo ottimista», certo ispirato alla celebre formula gramsciana del «pessimismo dell’intelligenza» versus l’«ottimismo della volontà»), dall’altro della letteratura di impianto autobiografico e di taglio ‘crepuscolare’ o psicanalitico-introspettivo (ingenuamente persuasa di poter dare espressione a quell’«io profondo» che per Bassani rimane invece sempre inattingibile)78.

Infine, nelle prime righe della recensione al romanzo La pietra di Malantino del siciliano Giuseppe Mazzaglia (1976), colpisce come la presentazione di quest’ultimo insista su alcuni elementi che ne fanno, in maniera trasparente, una sorta di alter ego di Bassani stesso: dapprima, infatti, si sottolinea che Mazzaglia «non è uno scrittore particolarmente fecondo» (un dato che nell’ottica bassaniana, come abbiamo visto, già di per sé vale a connotare il ‘poeta’); poi, del rapporto dell’autore con la sua terra natale e delle peculiari modalità con cui egli la racconta, trasfigurandola, nella sua opera, si parla in termini che ricordano prepotentemente l’esperienza letteraria di Bassani (che sottopone Ferrara ad una analoga oggettivazione e metaforizzazione artistica, possibile solo, per lui, a chi abbia saputo troncare i legami con le proprie radici e prendere così le distanze dalla propria materia), recuperando nuovamente l’idea del vero poeta come colui che torna tra i vivi dopo un periglioso viaggio in terre incognite:

Ed eccolo infine al suo terzo libro, questa Pietra di Malantino, che viene ancora una volta a raccontarci di una sicilia affatto particolare, anzi straordinaria, una sicilia della quale soltanto lui, Mazzaglia, sembra autorizzato a riferire (ma non succede sempre così, coi poeti veri? Non hanno forse sempre l’aria di tornare incolumi ma stravolti da terre sconosciute e inesplorate?)79

78 Cfr. quanto Bassani dichiarò a Camon: «Il fatto che io abbia sentito così a fondo l’idealismo comporta la certezza, per me, che l’ io profondo è ineffabile. È effabile soltanto ciò che si dice, che si fa» (camon, Il mestiere di scrittore, p. 58); e ad a nna Dolfi: «io non ho la fede dei miei immediati predecessori (proust, Joyce) che l’io profondo sia effabile, conoscibile; io non ci credo, non ci credo più» (Bassani, Meritare il tempo, in dolfi, Giorgio Bassani, p. 171).

79 Opere, p. 1304. Giuseppe Mazzaglia fu un’altra delle ‘scoperte’ di Bassani, che –come egli stesso ricorda all’inizio della sua recensione – ne pubblicò i primi lavori letterari: i racconti La gebbia e Un fuoco di notte (su «Botteghe Oscure», XXV, 1960, pp. 397-414 e 414-427) e – nella collana «Biblioteca di letteratura» – il volume La dama selvatica (Milano, Feltrinelli, 1961), che, ai due apparsi l’anno precedente, aggiungeva altri tre racconti inediti. Dell’appartato Mazzaglia (nato nel 1926 a Catania ma trasferitosi in gioventù a roma, e autore di una esigua produzione narrativa) si tornò a parlare nel 1993 per il suo ultimo

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romanzo Principi generali

a nche in tutto questo, nondimeno, è dato cogliere un elemento caratteristico della personalità e della poetica di Giorgio Bassani: elemento comune al critico, al narratore e al poeta, nonché all’editore, giacché in tale veste egli si impegnò sempre alacremente nella scoperta e nella valorizzazione di scrittori e di poeti giovani o sconosciuti80. Le pagine di Di là dal cuore sono infatti gremite di autori comunemente ritenuti ‘minori’, e talora poco o pochissimo noti già quando Bassani ne scriveva. Non a caso, uno dei testi più rappresentativi del Bassani critico è senza alcun dubbio il già ricordato saggio Lettere d’amore smarrite, pubblicato nel 1973 e costruito assemblando due scritti del 197181. Qui l’intento è quello di recuperare e rivalutare alcuni romanzi e racconti apparsi fra la Liberazione e gli inizi degli anni ’60, Casa d’altri di silvio D’arzo (1952), Il campo degli ufficiali di Giampiero Carocci (1954), Zebio Còtal di Guido Cavani (1958) e Le finestre di Piazza Navona di silvio D’a mico (1961): libri, al solito, che egli apprezza perché immuni da furori sperimentalistici e astrazioni ideologiche, e perché non si configurano come meri documenti, cronache o pamphlets, distinguendosi, al contrario, per lo sforzo di andare sempre oltre la superficie delle cose e dei sentimenti, al fine di stabilire con la realtà «un rapporto profondo» e, così, di «attingere all’indispensabile universale»; libri «ai quali toccò in sorte l’oblio più completo», «strani personaggi in cerca non già d’autore bensì di un minimo di comprensione»: e dunque, continua, «perché mai non tentare – mi sono detto tirandoli giù dallo scaffale dove tengo raccolti i volumi che prediligo –, perché mai non tentare di rimetterli al mondo, di farli rivivere?»82. parla di libri, ma sembra che stia parlando di uomini. In effetti, qui come in tante altre pagine del Bassani critico, si sorprende il medesimo atteggiamento che nella sua opera narrativa lo induce a portare in primo piano storie e vite umili e dimenticate; e ciò non solo per umana pietas (anche se, a proposito di quella negletta letteratura italiana post-bellica, egli afferma che

80 Nel Congedo di «Botteghe Oscure», pp. 435-436, Bassani sottolineò che la rivista «accoglieva di preferenza, per non dire in modo esclusivo, contributi di persone niente affatto famose: persone oscure, appunto, cioè scarsamente conosciute nei loro stessi paesi, e perfino nel ristretto ambito dei cenacoli letterari. Giovani, per lo più». Come ricorda a questo proposito pietro Citati, Bassani «aveva un fiuto letterario straordinario nell’intuire la grande poesia e scovare poeti esordienti. su «Botteghe Oscure» in quasi dieci anni diffuse, insieme con Marguerite Caetani, il meglio della letteratura italiana e straniera» (citato da cotroneo, Cronologia, in Opere, p. lxxiv; e vd. anche p. lxxiii). a nche la ‘scoperta’ e la pubblicazione della Traduzione di Ceccherini, come abbiamo appena ricordato, si devono a Bassani.

81 per la storia redazionale del saggio vd. le Notizie sui testi in Opere, p. 1784.

82 Ibidem, pp. 1275-1276. Le implicazioni polemiche di queste parole e dell’intero saggio appariranno evidenti a chi consideri gli anni in cui Bassani scriveva.

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CrITICa DI sE sTEssO

mancò ad essa «il conforto, l’aiuto, il consiglio, di una critica non soltanto solidale sul piano pratico, ma davvero congeniale, fraterna»)83 e per sfiducia nella razionalità e nella giustizia della storia84, bensì soprattutto perché, nella poetica bassaniana, sono le cose semplici e povere della vita quotidiana che possono d’improvviso farsi «parvenze, tramiti, simboli» di verità universali e della realtà spirituale più profonda, sono i sentimenti semplici ed elementari ad aprire squarci insospettati verso il senso autentico dell’esistenza85. È quella «riduzione ad minimum» che lo stesso Bassani evoca a proposito del primo Cassola e della pittura dell’amatissimo Giorgio Morandi, campione ai suoi occhi di un’arte antiretorica capace di sacrificare tutto, anche la vita, sull’altare della più «schiva sincerità»86, scavando implacabilmente sotto la dura scorza del reale.

In questa stridente convivenza dell’infimo e del sublime, in questa inesausta ricerca del significato più vero nell’apparentemente insignificante, Bassani addita anche il carattere peculiare della sua arte, quando parla del «contrasto tra l’enormità delle vicende di cui scrivo e la piccolezza della mia Ferrara», affermando che «proprio il consistere del minimo, del pressoché inesistente, accanto al sublime, mi fa sperare d’avere scritto dei libri che, in qualche modo, abbiano a che fare con la vita, con la vita nella sua realtà, e

83 Opere, p. 1275. La dolfi, Giorgio Bassani, p. 151, parla a questo proposito di una «ansia riparatrice di “rimettere al mondo”, di “fare rivivere” il dimenticato e/o il perduto», osservando che «questo, indifferentemente, avverrà per i personaggi, corrispondenti a persone vere, come per i libri».

84 «se io fossi un vero storicista, non me ne dorrei [scil. della ‘sfortuna’ critica di questi romanzi]. Mi basterebbe ricordare che la storia è usa procedere fra massacri e ingiustizie, e che i recuperi presto o tardi avvengono sempre» (Opere, p. 1275). per il ‘pessimismo storico’ bassaniano vd. s. guerriero, Crocianesimo e antifascismo nella poetica di Bassani, «Otto/ Novecento», XXVIII (2004), pp. 149-160: 153-154, dove si osserva che questa «messa in questione dell’esistenza stessa della storia come insieme ordinato di azioni motivate e concatenate in modo razionale, insieme che forma l’unità dello spirito nel suo manifestarsi», allontana Bassani dall’ortodossia crociana e dall’ ‘ottimismo’ idealistico.

85 Così ancora nello scritto su a nna Merlotti (Opere, p. 1303): «noi sentiamo che le povere, vecchie cose della modesta vita d’ogni giorno e d’ogni anno, non sono dopo tutto che parvenze, tramiti, simboli».

86 Ibidem, p. 1121. su Morandi, Bassani si era già espresso in modo analogo in una delle sue lettere dal carcere del 1943: «Morandi, che è il più grande pittore del nostro tempo, pur essendo uno degli spiriti intellettualmente più chiari, lucidi e consapevoli fino alla spietatezza che io conosca (naturalmente si vede, questo, dai suoi quadri), nella vita è un vecchio scapolo tisico e mite, senza sesso quasi, che vive con le sorelle, dipinge nella stanza dove dorme, con un piccolo Leopardi sul comodino accanto al lettuccio di ferro; e credo che sia molto religioso» (ibidem, p. 959).

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quindi con la poesia»87. Così dicendo, e così facendo, egli sapeva bene di collocarsi in uno dei filoni più illustri della grande tradizione culturale europea otto-novecentesca, cui Bassani (certo pensando anche a se stesso e alla sua opera narrativa) faceva riferimento a proposito di un altro libro ‘minore’ poc’anzi ricordato, il romanzo di Mazzaglia La pietra di Malantino, che, lungi dall’essere «un tardo prodotto naturalistico» scaturito da un interesse meramente storico o da una semplice volontà di impegno politico-sociale, egli ritiene invece strettamente legato «a quella letteratura europea, soprattutto francese, di ispirazione esistenzialistica e metastorica, che nell’indagine dell’infinitamente piccolo, della realtà al limite dell’inesistente, ha fatto il suo motivo centrale»88. Quella medesima letteratura, possiamo ora dire a dieci anni dalla morte, di cui Bassani è stato uno degli ultimi grandi rappresentanti; certamente, l’ultimo grande rappresentante italiano.

87 bassani, In risposta (VI), ibidem, p. 1326.

88 Ibidem, pp. 1304-1305, dove si afferma che «l’impegno politico-sociale di Mazzaglia è sempre stato minimo» e si nega che egli possa essere considerato «un tardo seguace del Verga». Quanto alla letteratura francese di cui parla qui Bassani, è da credere che il suo pensiero andasse soprattutto a proust e, ancor più, all’amatissimo Flaubert: vd. da ultimo v.l. puccetti, Processi di desemantizzazione narrativa in «Lida Mantovani», in «Cinque storie ferraresi». Omaggio a Bassani, pp. 97-108: 102-103 e 106-108, che si sofferma in particolare sul racconto Un coeur simple – esempio principe di questa ‘letteratura dell’infinitamente piccolo’ –, opportunamente mettendolo in relazione con la prima delle Storie ferraresi

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alessio milani

GIOrGIO Bassa NI Cr ITICO DI aUTOr I sT ra NIEr I: «NEssUNa r IspOsTa a LL’aTTUa LE Cr IsI DEL rOM a NZO EU rOpEO»

Il maggior pericolo è appunto quello di smarrire il rapporto con la propria cultura, di non riuscire più a elaborare i dati della cultura internazionale per qualcosa di originale, qualcosa che si sposi gloriosamente col suo passato. E penso che il compito […] sia quello non già di aprire […] alle cosiddette avanguardie, ma di preservare se mai dall’invasione di quella specie di internazionale del vetro dell’acciaio e del cemento armato che sta coprendo di noia e di conformismo tutte le terre, tutti i paesi.

Le parole sono di Giorgio Bassani, ma per quanto edito in rivista – anzi in quotidiano – questo passaggio non è estratto dalle colonne di una terza pagina. ‘Vetro’, ‘acciaio’ e ‘cemento armato’ non sono i termini di una deriva metaforica d’autore, sono, molto più prosaicamente, i punti di un elenco sommario di materiali da costruzione, di laterizi. La citazione deriva dal discorso seguito all’elezione di Bassani a consigliere comunale per la città di Ferrara, pubblicato nel dicembre del 1962 sull’«avanti!», e tratta di un oggetto che altro non è che l’aspetto urbanistico della città, lo skyline di Ferrara. se è lecito volgere a proprio comodo, senza troppo forzarla, la professione bassaniana secondo cui sarebbe inutile e capziosa ogni distinzione tecnicistica per gli «uomini di penna»1, e se è possibile dar fondo alle potenzialità di quella funzione che nella poetica dell’autore rilancia gli effetti della sovrapponibilità tra arte e vita, tra azione dell’individuo e attività dello scrittore, lo scandaglio tecnico di questo Bassani ‘politico’ (un Bassani per declinare il concetto in termini più familiari ‘ambientalista del paesaggio urbano’) può forse venir astratto dal referente immediato, e si può arrivare a scommettere sulla sua applicabilità anche in un settore di tipo diverso, quello appunto teorico-critico: parole come ‘avanguardia’, pericolo di ‘noia’ e di ‘conformismo’ potevano d’altra parte far pensare già da subito a una riflessione fiorita

1 g. bassani, In risposta (IV) in id., Opere, a cura di r. cotroneo, Milano, Mondadori, 1998, pp. 1296-1301: 1297.

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

attorno al tema della cultura letteraria, e tale ambiguità semantica, se anche non fosse voluta, appare tuttavia senz’altro degna d’interesse. parlando della sua città da un punto di vista prettamente urbanistico Bassani disegna il ritratto di un’Italia che in questi primi anni sessanta riconosce come necessario il confronto con le suggestioni provenienti dalla realtà estera, e che ammette come questo carattere, nello specifico, tenda di fatto ad imporsi fino a sfidare le identità locali minacciando di livellarne le specificità. La postura di partenza però (questa forse più auspicata che constatata) non deve essere quella di un’inerte passiva sudditanza che assorba e replichi, ma quella di un’osservazione selettiva, di un’osservazione di tipo critico, appunto, la quale poi, attraverso un’opera di rielaborazione, tenti di produrre qualcosa di nuovo e di diversamente efficace. I termini della posizione critica di Bassani sul tema del rapporto con la letteratura d’oltreconfine sono già tutti espressi in questa formulazione di provenienza tanto eterodossa.

La linea generale dell’atteggiamento critico nei confronti della letteratura straniera può essere dedotta a partire dal caso specifico degli interventi su autori non italiani pubblicati dal Bassani saggista e raccolti da ultimo nel volume Di là dal cuore 2, quindi dai pronunciamenti espliciti offerti dall’autore in risposta alle interviste concesse nella seconda parte della sua carriera, e che egli stesso aggiunse a completamento di quella seriazione di fragmenta costituente i volumi saggistici. r intracciare il primo ingresso della letteratura straniera nella vita del poeta (o nella poetica dell’uomo: ma il punto d’arrivo sarà proprio la constatazione che neanche qui, tra le due formulazioni, c’è reale differenza) significa intromettersi nelle maglie della biografia dell’autore: iniziativa senz’altro imprudente e scivolosa, ma per la quale sono le stesse pagine, diaristiche e non, fornite da Giorgio Bassani a fornire direttive e sostegno. L’elenco dei primi nomi che si propongono al giovane Bassani lettore e studente è un doveroso tributo ai grandi classici della tradizione letteraria moderna; opere in cui si riconoscono i termini di un’ispirazione umana prima che artistica, sciolta dal problema della scrittura e dell’ambizione letteraria, e concernente un più generale problema di educazione dell’individuo al bello e al moralmente coerente, alla contemplazione della propria verità3. È noto

2 id., Di là dal cuore, Milano, Mondadori, 1984, ora in id , Opere, pp. 945-1350. È sempre a quest’ultima riedizione delle opere bassaniane che si fa riferimento qui nell’indicare gli estremi delle citazioni via via utilizzate. per quanto concerne la sede d’apparizione originale degli articoli, delle recensioni e delle interviste si veda la sezione apposita dell’utile Notizia sui testi proposta in calce al volume citato alle pp. 1773-1786.

3 Bassani nomina la formula «contemplazione della mia verità» rispondendo a un’intervista del 1964 (id , In risposta (II), in id , Opere, pp. 1207-1212: 1207), ma fa sue in realtà

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come nella prospettiva dell’autore l’arte e la vita si dispieghino lungo una dialettica nella quale da ultimo risultano sì distinte, ma anche accomunate da tratti di forte consustanzialità, derivando la prima dalla seconda. Nella funzione del modello il vettore agisce all’inverso: l’arte dei grandi autori diventa insegnamento utile per ‘l’allievo della vita’. In una pagina delle lettere dal carcere Bassani raccomanda ai genitori delle letture da ‘somministrare’ alla sorella Jenny:

farà bene a leggere innanzi tutto i grandi classici dell’Ottocento, italiani e stranieri: Manzoni e Verga, come dicevo, e Nievo, e stendhal, Hugo, Balzac, poe, Melville, Hawthorne, Defoe, Gogol, puskin, Goncarov, Tolstoj, Dostoevskij, Flaubert, eccetera eccetera: si faccia un piccolo elenco bibliografico e cominci4.

e più avanti sarà il momento della figlia paola, per cui la lettura di Tolstoj verrà indicata come passaggio obbligato, quasi come rito di iniziazione, (e romanzi come Guerra e pace ne escono definiti come romanzi ‘di formazione’, o per formazione: per la formazione di chi li legge). La lettura dei classici – e a dispetto di ogni campanilismo è per lo più di autori stranieri che si sta parlando – ha quindi dapprima un valore che esula dal momento dell’apprendistato letterario. resta tuttavia come dato ineliminabile anche la consapevolezza di come l’avvio del lavoro artistico non sarebbe potuto esistere a meno del confronto col pantheon dei modelli preesitenti: «Il primo impulso a scrivere versi mi venne, più che dalla vita e dalla realtà, dalla cultura»5; un pantheon entro il quale gli italiani (qui come al tempo dello scaffale bibliografico da schiudere alla sorella minore) figurano come una drastica minoranza rispetto al totale:

Come scrittore ho sempre guardato più all’800 che al ’900 e fra i grandi romanzieri di questo secolo, a quelli che come proust, James, Conrad, svevo, Joyce (il Joyce di Dubliners [è una specificazione importante, altrove sarà espressa con estrema chiarezza una presa di distanza di Bassani rispetto all’Ulysses inteso come opera completa: lo definirà un ‘inoltrarsi tra le cose più opinabili di questa terra’, nonostante la presenza di pagine senz’altro ammirevoli per la ‘rabelaisiana bizzarria’ sembra di vedere in controluce il medesimo scheletro del giudizio critico di Croce sulla poesia, o sull’eventuale poesia della Commedia di Dante]), Mann derivano direttamente dal secolo scorso […] vorrei poter scrivere qualcosa che si avvicinasse al lirismo e alla tensione narrativa dei Malavoglia, di Senilità e soprattutto

delle parole che furono di Montale e che erano state spese per recensire la neoedita raccolta poetica Storie di poveri amanti (cfr. id., Poscritto, in id., Opere, pp. 1162-1168: 1164).

4 id., Da una prigione, in id., Opere, pp. 949-962: 958.

5 id , Poscritto, p. 1162.

di The Scarlet Letter, libro che non posso rileggere ogni volta senza provare la più violenta commozione 6

Bassani riconosce spontaneamente l’esistenza di un canone (si ricordi l’indicazione per la sorella: «si faccia un piccolo elenco bibliografico e cominci»): un canone indispensabile all’orientamento del lettore, fondamentale per entrare in contatto col mondo dello scrittore e per riconoscere e comprendere i suoi strumenti d’indagine, ma anche imprescindibile per la funzione del critico e del saggista. Nelle pagine di critica che introducono, commentano o recensiscono un’opera nuova, il giudizio prende sempre le mosse orientandosi lungo una topografia in cui spiccano come punti di riferimento nomi, cognomi e titoli: cardini incarnanti volta per volta specifiche visioni del mondo e specifici modi di renderle a parole, tutti termini utili a fulminare con un’indicazione istantanea i tratti del profilo della poetica dell’autore nuovo che è ora descrivere. sentiamo Bassani dire che Cassola limita la prospettiva storica dell’azione alla sola cronaca, alla maniera di Tolstoj7, o che articola una prosa intessuta con la stessa ingenua naturalistica semplicità che fu già di un Maupassant o di un Čechov8; che a nna Banti in Artemisia si salverebbe da un certo soggettivismo gnomicamente definito ‘alla Marcel proust’ o ‘alla Virginia Woolf’9; di silvio d’arzo − una delle scoperte più brillanti di quell’operazione culturale condotta di Bassani − si parla attraverso le stesse coordinate in cui si può collocare la poetica di Hemingway10; Hemingway stesso è a sua volta ridefinito entro l’equilibrio di sentimento, malinconia e amarezza che già fu di Flaubert11. proust, James, Tolstoj, Flaubert, Thomas Mann: tutti nomi che passeranno ad indicare per antonomasia degli estremi unendo i quali si potrà via via delineare il perimetro di quella figura a geometria variabile atta a rappresentare la specificità del nuovo autore da commentare. Il meccanismo è diffuso e comune tanto all’arte della critica quanto alla prassi della recensione: il nuovo è illustrato a partire dal confronto con quanto è già noto. Quello su cui è interessante riflettere è che il nuovo qui non pare solo espresso, ma anche originariamente inteso dalla mente di chi lo legge entro questa geografia, e sembra anzi inconcepibile al di là di questi assi cartesiani, poiché solo grazie a questi

6 id , In risposta (I), in id , Opere, pp. 1169-1173: 1173.

7 Il mestiere di scrittore: conversazioni critiche, a cura di f camon, Milano, Garzanti, 1973, p. 58.

8 g. bassani, Carlo Cassola, la verità sul caso, in id., Opere, pp. 1120-1123: 1122.

9 id., «Artemisia», in id., Opere, pp. 1060-1063: 1062.

10 id., Lettere d’amore smarrite, in id., Opere, pp. 1275-1286: 1279.

11 id , I bastioni di Milano, in id , Opere, pp. 1019-1021: 1019.

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nomi è eventualmente possibile dedurre qualche termine di quel criterio di ricerca dell’«efficienza dei testi» che animò l’atteggiamento del Bassani critico anche prima e dopo la sua formulazione a chiare lettere nel Congedo di «Botteghe Oscure»12. se anche è lecito riferirsi genericamente a un’opera di deduzione, sarebbe più esatto usare piuttosto il termine induzione: il paradigma su cui l’autore si basa non è teorico, è anzi empiricamente, storicisticamente definito a partire dagli effettivi risultati, dal contingente. D’altro canto l’attività critica tout court è legata a quella che molto giustamente è stata qui definita come un’operazione culturale: deve essere in primo luogo ‘socializzata’, immediatamente spendibile (si traduce in promozioni in rivista, in credito editoriale concesso o rifiutato) e deve avere una funzionalità pratica reale, non cristallizzata nella pura teoria. per la critica di Bassani il concetto di modello, che è appunto portante e fondativo, si informa però di caratteri assai peculiari, evidentemente connessi con la fenomenologia specifica di un’attività che è sì quella di un lettore e di un saggista, ma che anche corre parallela a quella dell’artista. r iflettendo sul concetto di modello l’autore perviene a una conclusione non scontata, percorrendo due strade parallele: da un lato la paternità ideale deve essere superata, edipicamente rifiutata, esorcizzata; dall’altro il modello va comunque sempre criticamente inteso, oggettivato e soprattutto contestualizzato, poiché quell ’arte è legata a quella società e non a un’altra. Entrambi i vettori puntano verso il fine della salvaguardia e della tutela della propria specificità, affrancando l’attualizzazione artistica dal rischio di perdere in originalità e in rispondenza alla realtà. si ricordi allora la ratio del piano urbanistico per Ferrara espresso nella citazione da cui siamo partiti: «Il maggior pericolo è […] quello di smarrire il rapporto con la propria cultura, di non riuscire più a elaborare i dati della cultura internazionale per qualcosa di originale, qualcosa che si sposi gloriosamente col proprio passato»13, nell’ordine di non cedere al passivo assorbimento di quel ‘trust internazionale’ che guida verso l’ombra di conformismo e noia. Gli esordi saranno sempre necessariamente scolastici, ma poi «lo sforzo sarà nella direzione del rifiuto dei propri

12 «si puntava chiaramente sulla efficienza dei testi, insomma, sulla loro maturità e compiutezza espressiva, piuttosto che su personalità più o meno “interessanti” e promettenti. C’era, espresso nei fatti, un indiretto ma evidente fastidio del culto della personalità in letteratura, un bisogno non già di “riedificare” – demiurgico, retorico – ma semplicemente di esprimere qualcosa di chiaro, di necessario, di vero e di comunicarlo a qualcuno» (id., Congedo, «Botteghe Oscure», XXV, primavera 1960, pp. 434-436: 435).

13 Cfr. r cotroneo, Cronologia, in bassani, Opere, pp. li- cxii: lxxxii

maestri»14, per farlo occorrerà conoscerli, leggerli e intenderli criticamente, e anche con la stessa attenzione analitica che presiede nel poeta l’osservazione della realtà e la contemplazione del vero contestualizzarli per poi, contrastivamente, ricontestualizzare se stessi. Il canone di riferimento è per conseguenza in continuo aggiornamento; in un’altra stagione della propria formazione letteraria – negli anni universitari – Bassani stringerà in effetti l’angolo d’osservazione solo sulla lettura di autori italiani contemporanei, di autori che di fatto costituiscono il suo contesto: «La prima operazione per essere poeti è di carattere critico: critico nei confronti innanzitutto della letteratura contemporanea»15. Intesi in senso tradizionale i modelli poetici sono quindi avvicinati e poi superati, e questo vale più che mai per i modelli stranieri così statutivamente legati ad una realtà socioculturale altra e non pacificamente trasferibili sulla cartina muta dell’ hic et nunc. È d’altra parte un modello ideologico superiore, un maestro più autorevole, che insegna questa regola a Bassani: « a proposito della mia formazione come romanziere non si può partire parlando di proust, di James, di Mann: il mio unico grande maestro è stato Benedetto Croce»16. In accordo con la pregnanza della concezione idealistica e storicistica dell’autore, l’esperienza poetica del singolo artista viene riconosciuta come necessariamente e statutivamente connessa con la specificità del contesto socio-culturale che la ospita e la genera, e che gli è associata secondo ragioni ben penetrabili ad un occhio analitico attento. Ogni autore, ogni testo anzi, si spiega proprio attraverso il contesto sociale che ne è il presupposto, e rispetto alle cui sollecitazioni funziona da specola. Ecco allora che, a proposito del rapporto con la letteratura straniera, l’occasione, la predisposizione dei testi ad un’analisi contrastiva diventa strumento di eccezionale potenzialità; e l’efficacia del testo va a farsi misurare proprio a mezzo della corrispondenza con altre prove artistiche, per inquadrare le quali è sempre possibile – e più spesso indispensabile – misurare i termini di una somiglianza e le ragioni di uno scarto. La comparatistica si rivela un raffinato strumento di indagine critica, non una sua applicazione accessoria.

La postura talvolta è quella di un grande ‘what if ’, di un ‘cosa sarebbe successo se…’: di un grosso periodo ipotetico in cui protasi e apodosi schiacciano l’uno sull’altro i termini di una comparazione tra diverse prove letterarie. Cosa sarebbe successo alla memoria storica del paese se il Ventennio avesse avuto un Gogol come cantore della sua realtà? sarebbe accaduto che Mussolini avrebbe ottenuto il giusto posto che gli spetta nell’inferno

14 Il mestiere di scrittore: conversazioni critiche, p. 57.

15 Ibidem.

16 Ibidem

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dei personaggi letterari17. I borghesi di Flaubert ricordano certe figure che popolano le prose di Leo Longanesi, ma la differenza tra i due autori si apprezza misurando la distanza che intercorre tra i mondi che hanno ospitato la loro esperienza e generato la loro resa letteraria:

a i tempi di Napoleone III c’era ancora tanta riserva di intelligenza su cui contare, ai suoi tempi. a lla mediocrità della vita politica faceva contrasto il rigoglio delle arti, delle scienze, del libero pensiero. Il grande romanticismo francese era lungi dall’aver esaurito il suo messaggio di civiltà. Ma poi quanta maggior serietà in quella satira feroce! a nche gli oggetti su cui si esercitava ne risultavano nobilitati. a noi, invece, non fu concesso che lo scherzo , dall’«Italiano» e da «Omnibus» non imparammo, ragazzi, che a mostrare la lingua Carducci, all’Italietta dei panciafichisti, e a nostro padre che ci aveva creduto18.

Considerare lo sperimentalismo manieristico di Butor, di robbe-Grillet, di Natalie sarraute aiuta a inquadrare meglio quello di sanguineti o di Giuliani apparentandoglisi oppositivamente: quell’avanguardia in Francia aveva seguito una lunga esperienza di letteratura realistica che aveva quasi «dato fondo»19 alle risorse del paese. Quanto era stato autentico e legittimo in Francia allora non necessariamente lo sarebbe ora in Italia, e certo sperimentalismo entro i nostri confini riporterebbe solo a situazioni già pienamente scontate con la letteratura del Ventennio fascista. a ncora sulla Neoavanguardia: in risposta a chi per Bassani calca il pedale sul tema del passatismo vale la pena citare il passo in cui è riconosciuta la possibilità di una avanguardia «gloriosa». I Neoavanguardisti italiani non possono davvero tentare una rivoluzione, una rivoluzione almeno letteraria, perché non esistono: «Da dove vengono? potrebbero venire da ovunque!»20. Bassani si riferisce qui alla loro indolenza nei confronti della realtà presente, non rappresentata nella loro opera, intesa da ultimo come una sorta di scenario casuale e intercambiabile: «Dietro la gloriosa avanguardia inglese impersonata dal T. s. Elliot della Waste Land c’era la Londra dei sobborghi industriali e, più in là, una nazione e una società ben definite. Quante lacrime, quanto sudore dietro a quello squallore!»21. Non c’è un’allergia, un’idiosincrasia verso lo sperimentalismo: è questo sperimentalismo a non convincere. si è parlato più volte ed a ragione di interferenze tra critica e poetica: ecco che le parole del Bassani critico di testi stranieri fornisce anche una dimen-

17 g bassani, La rivoluzione come gioco, in id , Opere, pp. 984-995: 988.

18 id., I borghesi di Flaubert, in id., Opere, pp. 996-998: 998.

19 id., In risposta (I), p. 1170.

20 id., In risposta (III), in id., Opere, pp. 1215-1219: 1217.

21 Ibidem

sione ulteriore e più approfondita al ritratto del Bassani deuteragonista del Gruppo ’63.

La considerazione del contesto, Bassani ne è certo, è qualcosa di indispensabile per l’esercizio di un occhio critico: Quando sento un mio amico critico dire che Gadda è il massimo dell’inespresso, dell’ineffabile, quando lo sento parlare di lui come d’uno sperimentalista, vengo preso dallo sconforto. Non tanto perché vedo distorto il messaggio di quello scrittore, ma più in generale perché mi accorgo che quel mio amico critico dà le dimissioni dalla storia, cioè dall’unica cosa che possa aiutare a capire il mondo22.

Le condizioni sociali di contesto spiegano e determinano il rapporto tra lo scrittore e il mondo: è questo il percorso che deve rintracciare l’occhio del critico per rendere il giusto servizio al testo, e ciò vale perché questa è la strada cui deve avere accesso al lettore per intenderne il significato; è forse il primum stesso della scrittura.

La posizione di Bassani è chiara: la conquista dell’efficacia, la conquista della poesia, in termini crociani, si realizza se alle spalle del testo c’è la debita rappresentazione della realtà. La mimesis intesa come la intendeva Erich auerbach, che si realizza quando nella pagina sono resi i caratteri effettivi dell’ambiente che ospita la trama, in un contesto descritto o quantomeno lumeggiato quanto basta perché possa sapientemente emergere dalla prosa. Questa non deve diventare saggio sociologico, ma deve solo rispettare la dignità ‘alta e tragica’, ‘seria e tragica’ (sono queste le dittologie che costellano la scrittura e il pensiero di auerbach 23) di un quotidiano che tanto e necessariamente è intriso di storia. Storia con l’iniziale maiuscola, un universale: ma una grandezza che si costruisce esclusivamente di particolari, e che si riconosce principalmente grazie a questi, grazie alla sua fenomenologia contingente. Di questa felice possibilità di resa artistica quei modelli stranieri dispiegati sul tavolo del lettore sono effettivamente dei maestri: A farwell to arms di Hemingway è «una delle migliori testimonianze poetiche della prima guerra mondiale»24 a quello stesso tavolo lavora anche il Bassani scrittore: di nuovo in parole di risposta a un’intervista l’autore mette in chiaro come la propria opera si riferisca sempre e necessariamente a un nodo storico puntuale, ben circoscrivibile e unico nel suo porsi: «eventuali

22 È quest’ultima una testimonianza originale di Bassani registrata in n ajello, Lo scrittore e il potere, roma-Bari, Laterza, 1974, pp. 252-253.

23 Cfr. e. auerbach, Mimesis, trad. it. di a. romagnoli e h. hinterhäuser, Torino, Einaudi, 1956.

24 bassani, I bastioni di Milano, p. 1019.

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legami tra quella borghesia ferrarese e una più ampia borghesia europea non mi interessano né nella loro liceità né nelle loro conclusioni. Mi riferisco a un fascismo ben preciso che fu utile nello specifico per una spiegazione sui fatti della mia giovinezza e della mia esperienza morale»25. secondo la riflessione di Ferdinando Camon a commento di queste battute: emerge […] la fedeltà di Bassani al “rigore storico”, la sua attenzione a consegnare al lettore ciò che ha vissuto non come “quadro d’insieme”, non come “oggetto interpretato”, ma così come si è verificato […]. Bassani procede per particolari: non sommandoli […] per avere le componenti della storia, ma nemmeno sottraendoli dall’universale flusso livellante con un processo di “astrazione”, che denuncerebbe in lui un grave difetto di storicismo: i particolari Bassani li trova immediatamente nella sua esperienza […] il suo [prescindere dalle categorie degli ideologi] non è difetto di storicismo, ma vuol essere storicismo totale, cioè totale rispetto della storia nel suo ininterrotto verificarsi. […] al di fuori della zona prevista dalle categorie della storia, l’evento si sfrangia in mille particolari nuovi e reali 26

È veramente vertiginosa la vicinanza tra queste formulazioni e quelle che furono di auerbach nell’ultimo capitolo della sua opera maggiore, quello novecentesco dedicato a To the Lighthouse, di Virginia Woolf:

Ciò che avviene nel romanzo […] mette l’accento su un’azione qualunque, senza valorizzarla al servizio di un insieme predisposto di azioni, ma in se stessa, manifestando così qualcosa di completamente nuovo ed elementare, la pienezza e profondità di ogni attimo a cui ci si abbandona senza intenzione. […] proprio l’attimo qualunque è relativamente indipendente dagli ordinamenti discussi e precari, per i quali gli uomini combattono e dei quali disperano; esso passa al di sotto di questi ed è la via quotidiana 27

Con queste parole auerbach sembra quasi caldeggiare questo tipo di rappresentazione additandola come l’unica via di fuga possibile in un’epoca, quella che si inaugura col periodo tra le due guerre, in cui la letteratura è più spesso «sintomo della confusione e dello sbandamento, lo specchio del tramonto del nostro mondo», e in cui spesso rileva «qualche cosa di sconcertante, di velato, di ostile; non di rado mancanza di volontà pratica di vivere, oppure gioia nel ritrarre le forme più crude della vita; un senso di avversione contro la civiltà, espresso con i mezzi stilistici più raffinati che essa aveva creato; qualche volta in un ostinato impeto di distruzione»28. Chissà, sembra

25 Il mestiere di scrittore: conversazioni critiche, p. 57.

26 Ibidem.

27 auerbach, Mimesis, pp. 336-337.

28 Ibidem

chiedersi auerbach, se questa fiducia nell’esaustività di un’analisi attenta solo al particolare non volontario, non sia l’unica chiave che possa da ultimo affrancare la letteratura dal rischio di perdere la capacità di rappresentare efficacemente il mondo. Dire che l’arte di Bassani risponde a questi auspici di auerbach è forse esagerare, dar seguito a una fantasia critica magari troppo ingenua: è più interessante e realistico constatare la contiguità tra queste posizioni di auerbach e quella professata dal Bassani critico, considerando anche che Mimesis è stato tradotto in italiano nel 1956, nel bel mezzo del periodo più vivace e fecondo per l’attività del Bassani critico e ‘operature culturale’, cioè negli anni del lavoro per «Botteghe Oscure».

Quello che Bassani scrive deriva da quanto era stato letto nei suoi modelli (ed effettivamente, si è visto, quelli più aggiornati sono per lo più esempi stranieri): quelle stesse grandezze sono anche ciò che Bassani cerca in quel che legge ora, e costituiscono inoltre la stessa istanza che anima le sue argomentazioni critiche. per tutti questi motivi la sua critica si compone più di nomi, cognomi e titoli che non di categorie, e per questo il correlativo oggettivo più immediato per rappresentare la dinamica intellettuale di questa attività è quell’immagine geografica cui si è già fatto riferimento: organizzare un giudizio critico per Bassani non significa lavorare posizionando un’opera in una tavola che accosti e distingua sottoinsiemi, individuando categorie concorrenti; significa piuttosto orientarsi su una grande cartina, in prossimità di grandi modelli letterari, di grandi opere, che rappresentano nuclei aventi tra loro un sistema interno di dislocazione reciproca, e che possono diventare i capoluoghi di regioni aventi loro centri, loro periferie e loro aree di intersezione. per illustrare i racconti di Benedetti più che rifarsi all’uso sterile della categoria di naturalismo, intesa come contenitore rispetto al quale individuare un ‘dentro’ e un ‘fuori’, barrare binariamente la casella di appartenenza/non appartenenza, Bassani ricorre al tratteggio di un percorso dinamico fatto di esempi: «una parabola […] tanto ampia, nel suo arco, da poter includere la prima, appassionata presa di posizione antinaturalistica di un proust, di un James, di una Woolf, di un Joyce, nonché, più tardi, il nuovo realismo, temperato di sentimento e di ironia, di un a nderson, di una Mansfield, e del giovane Hemingway»29. È insomma un modo realistico (nel senso auerbachiano: rispettoso della reale verità storica colta più nelle sue manifestazioni particolari che non come entità universale sovrainterpretata) di fare critica; un metodo che è storicistico e crociano anche nell’intendere il paradigma teorico di riferimento. Il dato della contiguità tra il pensare del

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29 g bassani, Racconti di Benedetti, in bassani, Opere, pp. 1026-1028: 1028.

critico e l’agire dello scrittore pare fornire di questa suggestione la prova più efficace ed effettiva.

a partire dall’istanza di verifica sulla sovrapponibilità tra la pagina dell’autore e la riflessione del critico sembra necessario volgersi verso il punto delle considerazioni relative allo stile degli autori analizzati (perché «è sempre la forma a distinguere il primo attore dalla comparsa, l’asso dal brocco volenteroso»30). Una vera e propria riflessione sulla questione formale manca in effetti nei saggi critici su autori stranieri prodotti da Bassani: la mancanza trova forse un pendant nella sovrabbondanza, uguale e contraria, di riferimenti alla pratica della traduzione. In ogni recensione e articolo viene rispettosamente menzionato il traduttore e ne vengono molto nettamente riconosciuti meriti e demeriti: Giorgio Zampa è elogiato per la versione italiana di Mario e il mago di Thomas Mann 31, Enrico Galluppi è il traduttore del Dizionario delle idee correnti di Flaubert32, Landolfi quello dei Racconti di Pietroburgo33; frequente per Gogol è anche il riferimento ad una ‘troppo poco nota’ traduzione di rebora del Cappotto34. Un saggio intero è dedicato alla traduzione del Faust di Franco Fortini 35 e un intero paragrafo dell’articolo I bastioni di Milano polemizza con la scelta (che Bassani giudica come un vero e proprio errore) che campeggia in testa all’edizione italiana di Hemingway36 e che proponendo come titolo italiano Addio alle armi non rende giustizia all’entità effettiva di quell’addio, un congedo esistenziale e umano, da segnare con l’indeterminativo Un addio alle armi, per farlo rispondere in maniera più effettiva al senso reale del romanzo. D’altra parte, per quel che riguarda l’arte della traduzione, una quindicina d’anni prima a Firenze fu Bassani stesso autore di una tuttora inedita versione di Hemingway, era il 1943; del ’45 è la sua traduzione del Postman always rings twice, di John Cain, edita per Bompiani; un’intera sezione della raccolta poetica ultima si costituisce su versioni di ipotesti stranieri (Char, Toulet, stevenson). Ma il pegno offerto all’altare della decima musa ha anche una formulazione esplicita. Nel 1961 Bassani partecipa ad una tavola rotonda del pen Club Internazionale intitolata proprio ai Problemi della traduzione

30 id., Introduzione a d. terra, Una storia meravigliosa, Milano, Ceschina, 1964, p. 19.

31 id , Mann e il mago, in id , Opere, pp. 1022-1025.

32 id , I borghesi di Flaubert, pp. 996-998.

33 id , Tre scrittori sovietici, in id , Opere, pp. 1033-1035.

34 id., A proposito di Tolstoj, in id., Opere, p. 1287.

35 id., Una traduzione del Faust, in id., Opere, pp. 1266-1271.

36 e. hemingway, Addio alle armi, trad. it. a cura di d. isella, p. russo, g. ferrata, Milano, Mondadori, 1946.

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letteraria e dei traduttori caldeggiando col suo intervento la garanzia di una vigilanza costante e la necessità inaggirabile di un consenso ultimo da parte degli autori su qualsivoglia opera di versione37 si ricordi che uno dei meriti di «Botteghe Oscure» fu la diffusione di autori stranieri promossi nella loro lingua originale, con poche significative eccezioni (quali ad esempio le traduzioni da Konstantinos Kavafis prodotte da Margherita Dalmati e Nelo r isi 38: il titolo della collezione pare quasi spostare il fuoco non sulla produzione del poeta neogreco, ma sull’apporto fornito dalla prova di traduzione offerta, afferente a un codice letterario a sé). a nche quella linguistica è una delle specificità da salvaguardare, uno dei termini che fa dell’opera d’arte una manifestazione connaturata con un tempo, uno spazio e una società ben circoscritti e che è necessario rispettare e riconoscere per intendere a dovere il significato artistico.

Da questo parametro costante che è il rispetto delle specificità, ecco il senso e la motivazione della dichiarazione scelta qui come titolo: il contesto è ancora quello di un’intervista, la domanda posta a Bassani si riferiva all’ultimo suo romanzo, che stava per vedere le luce: «Il suo nuovo romanzo, Dietro la porta, che tra qualche ora andrà in mezzo al pubblico, quale risposta intende dare e dà all’attuale stato di crisi del romanzo italiano ed europeo?».

«No», risponde asciutto Bassani: «Il mio romanzo, Dietro la porta, che verrà pubblicato fra qualche giorno, non intende dare nessuna risposta all’“attuale stato di crisi del romanzo italiano ed europeo”, come dice lei. Nessuna»39. Nient’altro viene aggiunto, e l’asciutta determinazione della frase rivela forse la solidità della netta e lapidaria opposizione rispetto ai termini stessi dell’interrogazione, che era stata posta lungo grandezze del tutto sfasate rispetto allo schema di pensiero di Bassani, e non commensurabili con le sue linee d’analisi. Dietro la porta non può misurarsi con la linea di tendenza generale tracciata dal romanzo europeo perché Bassani non riconosce l’esistenza di un’entità collettiva che assorba le singole manifestazioni letterarie: queste ultime sono piuttosto degli individui, delle unità autodeterminate, determinate soltanto dal loro contesto contingente. Meno che mai sarà poi individuabile un percorso unidirezionale che di tale presunto corpus collet-

37 Cfr. cotroneo, Cronologia, in bassani, Opere, p. LXXXI.

38 Cfr. m dalmàti, n risi, Traduzioni da Cavafis, «Botteghe Oscure», XXV, primavera 1960, pp. 428-433; si tratta nell’ordine delle seguenti liriche: I troiani; Le mura; La città; Ritorna spesso; Tomba di Lisia, il grammatico; Mare al mattino; Tomba di Iasis; Emiliano Monae Alessandrino (628-655 d.C.); A bordo; Favore di Alessandro Balas; Teatro di Sidone (400 d.C.); Nel 31 a.C. ad Alessandria.

39 g bassani, In risposta (II), in id , Opere, pp. 1207-1212: 1212.

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tivo sappia ordinare gli andamenti. Esistono le letterature nazionali, esistono le realtà nazionali entro cui si collocano le opere d’arte, esistono fenomeni specifici, ma non grandezze cumulative né andamenti sintetici collettivi. Le opere sono realtà puntiformi, certo osservabili entro una prospettiva plurale, a scopo statistico o espositivo, ma non sono termini riconoscibili come facenti parte di una coralità che vive, agisce, subisce determinati effetti, sulla base di motivazioni comuni e lungo un percorso diretto ad esiti in qualche misura prevedibili. Una crisi del romanzo può essere in qualche misura constatata, ma ha senso rilevarne i tratti solo entro confini circoscritti di spazio e di tempo, dal momento che tale contesto specifico non ne è solo lo scenario: ne determina anzi direttamente le motivazioni, funzionando proprio in virtù delle proprie non intercambiabili specificità. Bassani nomina più volte una crisi della letteratura, del romanzo, per quel che riguarda l’Italia del Ventennio: riferisce come non si sia avuto in effetti nessun cantore che abbia saputo rendere conto del meccanismo peculiare che ha portato la classe borghese italiana di quell’epoca a quell’eccesso di viltà e vanità che fu l’atteggiamento di soggezione/sostegno alla dittatura40; ma è evidentemente un’osservazione che ha significato solo per una specifica classe di autori attivi in un tempo e in uno spazio determinati: lo scenario non è intercambiabile. La società dell’Italia fascista non è quella della Germania nazionalsocialista o quella della Francia del gollismo: gli esiti letterari di quelle epoche non hanno avuto caratteri comuni e non necessariamente dovevano averne solo perché di regime si stava parlando.

La vera letteratura è per Bassani contemplazione della propria verità: un atteggiamento che non si arroga privilegi interpretativi particolari, ma che semplicemente tenta una mimesi (stavolta la parola non è di auerbach!41) della vita. L’«obbligo» è quello «di stare ai fatti […] ogni ulteriore decifrazione non è decifrazione, ma ipotizzazione con ampi rischi di infedeltà» 42; Bassani sta evidentemente parlando dell’ottica del romanziere, ma anche questa affermazione pare felicemente fraintendibile e riferibile alla ratio secondo cui opera il critico: sembrano prescrizioni che l’autore poteva voler raccomandare alla classe degli studiosi, frasi desunte da un suo ipotetico ‘Breviario di critica’. Quanto messo in atto nella propria arte è detto anche in relazione alla propria teorica. Il Bassani poeta, si sa, scrive di una società ben precisa, ma la sua parola non è solo un racconto: «Il Giardino è da un punto di vista storicistico un saggio, che mi permetto di giudicare come

40 id., La rivoluzione come gioco, in id., Opere, pp. 984-995.

41 Il mestiere di scrittore: conversazioni critiche, p. 58.

42 Ibidem

obiettivamente valido, sull’Italia tra Ottocento e Novecento. Ci sono dentro tutte le pezze d’appoggio, non date per il gusto di darle, ma perché credo che la cronaca di per sé non conti niente, e perciò cerco di trasformarla in storia, da buon idealista» 43. Il Giardino dei Finzi-Contini è quindi un saggio su una certa realtà storica sociale italiana: il romanziere si confonde col saggista, l’indagine poetica diventa il grimaldello per capire quella società in quell’ambiente e in quel periodo. L’intuizione poetica (armata anche del suo portato di ineffabilità che sconvolge e penetra l’ordine logico) è la figlia di un contesto preciso, e l’espressione artistica è lo sforzo di capire il mondo di relazioni storiche effettive in cui l’individuo si trova immerso ed impegnato. Il problema dell’espressione letteraria, il problema critico, è una delle maglie di questa rete di relazioni. I modelli, si è visto, potevano se non proprio insegnare a capire il mondo almeno educare, tramite prove empiriche, a quell’indispensabile atteggiamento di analisi della realtà; ed ogni espressione letteraria, indagando la realtà, è di fatto essa stessa un pronunciamento critico proposto entro un dialogo interpretativo. La scrittura poetica è una presa di posizione nei confronti dei tentativi di comprensione del mondo già offerti da quei modelli, risponde a un’istanza ermeneutica personale, parte dall’interiorità del poeta per poi riapprodarvi dopo aver tentato una spiegazione. E per quel che riguarda la considerazione dell’altra metà del percorso comunicativo, quella relativa al destinatario, al narratario, alla base dell’istanza scrittoria c’è forse la volontà di prender parte a un dialogo con un tentativo di espressione propria. Non c’è solo la scelta di aderire o meno alle conquiste espressive raggiunte dai modelli, ma c’è un tentativo di rispondere a uno stimolo critico – critico nei confronti della realtà – attraverso un’analisi a sua volta critica di quanto i modelli propongono. È l’opera d’arte stessa insomma che funziona, nasce e agisce come testo critico, e forse è solo per rispondere a un’esigenza di tipo critico e dialogico rispetto a precedenti tentativi proposti dal canone che la letteratura viene licenziata, che esce dalle pagine del diario personale o dell’appunto di privata autoanalisi: «Il Giardino» dice Bassani «ha anche valore di saggio critico su proust e su Mann», estremi di una linea decadentista assunta e superata: « proust è passivo, accoglie tutto della vita: io invece sono un moralista, scelgo e scarto. proust è un grande esteta, io non sono un esteta!» 44. La tesi ermeneutica su proust e il giudizio sulla sua arte non sono formulati nelle righe di un saggio critico, sono professati nelle pagine del romanzo e ne informano la sostanza.

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43 Ibidem. 44 Ibidem

Ecco il momento di più piena espressione del critico: la sovrapposizione piena e quasi senza scarti col momento d’azione dello scrittore. Che sia forse nella volontà critica che va riconosciuto il primum dell’opera d’arte? È un fatto che la ratio della propria attività critica rispetto ai modelli, sia Bassani stesso a chiederci di leggerla più che altro nella propria opera artistica. La saggistica guida la lettura esplicitando indicazioni da un diverso pulpito, ma il Bassani critico va studiato a partire dal Romanzo di Ferrara: se Bassani fosse stato autore di una sua ‘Critica della capacità di giudizio’, di un suo compiuto saggio critico metodologico alla Kant (alla Croce!), avremmo forse davanti qualcosa che più che somigliare a un trattato di estetica avrebbe assunto i caratteri di una più chiara – e magari, per una volta, metaletteraria – dichiarazione di poetica.

I L r EDaTTOr E DI r IVIsTE

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

cristiano spila

Bassa NI E IL «COrr IEr E pa Da NO»:

GIOr Na LIsMO E LETTEraTU ra pr IM a DELLa GUErra

Il periodo compreso tra la seconda metà degli anni Trenta e l’inizio della guerra mondiale, fase di tragica trasformazione dei valori umani e sociali, segna un periodo altrettanto travagliato (né potrebbe essere altrimenti) per le istituzioni letterarie e per il ruolo di intellettuale che il letterato era venuto ritagliandosi – non senza fatica e molti canonici ritardi – nell’Italia fascista1. si può a ragion veduta parlare di anni cruciali per quel che riguarda il versante della vita politica e sociale italiana, dapprima, sul fronte interno, con l’apogeo del regime e la ‘fascistizzazione’ della società e, sul fronte internazionale, con le ambizioni imperialistiche di Mussolini; poi, infine, le leggi razziali e il conseguente declino dell’attività culturale a discapito di quella politica e l’instaurazione definitiva della guerra e della violenza quale orizzonte unico di riferimento.

a nni cruciali, si diceva, che interessano non solo la storia politica della nazione, ma che scandiscono la partecipazione dei letterati alla politica (e alla guerra) e che incidono, ovviamente, sulle condizioni materiali cui viene ad esercitarsi il mestiere di scrittore, e quindi nei rapporti di questo con le istituzioni culturali 2 .

1 Nella sfera letteraria, gli anni del regime hanno marcato una istituzionalizzazione del ruolo del letterato-intellettuale all’interno di un sistema di valori fortemente ideologizzato e hanno prodotto un assestamento di questi in una nuova professionalizzazione all’interno di una industria culturale di tipo massivo. sul ruolo degli intellettuali nel regime fascista, cfr. m. isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, 1979. sul rapporto tra intellettuali e istituzioni culturali cfr. g turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna, Il Mulino, 1980.

2 se il dibattito culturale negli anni Trenta è inizialmente dominato dal tema dei giovani, nel periodo più immediatamente a ridosso del conflitto mondiale si carica di «fremiti intellettuali, di esigenze di novità e di innovazioni, di preoccupazioni per il futuro, anche prossimo, di sommovimenti culturali determinati da un senso, più o meno cosciente, di mutamenti in prospettiva, se non di trasformazioni radicali». Così, l mangoni,

(stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012 ISBN

È in questo quadro, molto più complesso – ovviamente – di quanto delineato, che il giovane Giorgio Bassani, mentre viene ultimando un percorso formativo (che comprende l’università e certe letture fondamentali), principia a costruirsi un suo ruolo pubblico, come scrittore e come intellettuale. sono, dunque, anni cruciali anche per lui, imprescindibili per capire certe opzioni culturali e creative della maturità: in questo lungo quinquennio, 1935-40, egli comincia a pubblicare i suoi primi scritti (racconti, recensioni, liriche, traduzioni) sul «Corriere padano» e su altre riviste dell’epoca e, insieme, non si sottrae all’impegno di una riflessione politica.

Nelle riviste e nei periodici in cui si trova ad operare, Bassani non può fare a meno di registrare la voce della propria memoria individuale e storica. Di qui, il recupero e l’interesse per questi contributi ‘giovanili’ (usiamo questa categoria), centrato sul fatto che, come ogni grande scrittore, Bassani va letto per intero3.

In questo caso specifico, ci si trova di fronte a una testualità abbastanza ampia e diversificata che serve a ricostruire certe fasi di sviluppo della poetica bassaniana, con tracce e indizi che svelano atteggiamenti e anticipazioni dello scrittore compiuto. Inoltre, non è difficile intuire quanto sia importante per un autore così attento alle scelte tematiche e stilistiche restituire e sondare tutto un contesto di progettualità e di formazione. Il recupero dunque è ampiamente giustificato nella costruzione di un itinerario culturale che mostri il temperamento critico e le modalità di funzionamento del suo ‘laboratorio’ di scrittura.

La lettura dei contributi bassaniani sulle riviste del tempo offre così non solo la possibilità di recuperare le reali dimensioni quantitative dell’impegno letterario, ma anche ne evidenzia la disposizione al racconto. a ll’interno del sistema poetico bassaniano, il racconto svolge infatti una funzione ideologica che, sia pure implicitamente, lo scrittore finisce per attribuirsi nel momento in cui sceglie la via della testimonianza.

L’arco temporale di gran parte di questa produzione che si è definita come ‘giovanile’ occupa gli anni dal 1935-1938 (con propaggini almeno fino al 1943-44), periodo in cui Bassani pubblica in rapida successione una serie di contributi, così distribuiti:

L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, roma-Bari, Laterza, 1974, in part. pp. 197-303 (la citazione è a p. 257).

3 Lo stesso autore riconosce, retrospettivamente, questo assunto per la sua opera: «tutto quanto ho pubblicato e scritto fa parte di ciò che ho ‘scritto’ (anche In morte di un caduto della guerra d’Etiopia). a lla base del mio fatto poetico sta in sostanza il cercar di capire anche me stesso, il cercar di non rifiutare nulla» (d. de camilli, Intervista a Giorgio Bassani, «Italianistica», a. IX, 1980, 3, pp. 505-508).

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12 ‘pezzi’ narrativi

3 contributi poetici (che raccolgono complessivamente 7 liriche)

3 recensioni (Bertolucci, Betti, Giovannelli)

2 traduzioni (Valéry, Eliot)

1 intervento di cinematografia

3 articoli di cronaca

Da questa apparente eterogeneità dei contributi si tratta soprattutto di estrarre e valorizzare il potenziale stilistico, oltre che tematico, dello scrittore futuro 4. Nel cammino tutt’altro che facile in questi anni di formazione e di consolidamento intellettuale, la produzione di Bassani si presenta con tutte le ambivalenze di una ricerca autentica della propria voce d’autore: in questa produzione composita si potrebbe, al limite, anche evidenziare una forma dissimulata di renitenza a un pieno coinvolgimento ideologico. In lui, l’impegno del giornalista è anche quello di porsi al riparo dalla zona opaca rappresentata dal fascismo imperante. In verità, egli deve fare pure i conti con l’esigenza di rappresentare i coevi segni dell’uomo e della storia, insieme con l’aspirazione a rendere evidenti le proprie scelte culturali e individuali.

Lo scenario della sua formazione intellettuale è, dunque, quello rappresentato dalle riviste dell’epoca, in particolare dal «Corriere padano», che rappresenta la punta di diamante dell’istituzione culturale della Ferrara fascista.

Il «Corriere padano», fondato il 5 aprile 1925 e dichiaratamente nato come «giornale della rivoluzione fascista», esce con regolarità fino al 20 aprile 1945. Fin dalla fondazione, il quotidiano appare ben dichiarato sia nelle appartenenze politico-economiche sia nel gruppo omogeneo delle presenze culturali. Il giornale è l’espressione ufficiale del fascismo ferrarese, e in particolare del fascismo di Italo Balbo, che lo utilizza come strumento di propaganda politica e culturale5. Dopo la nomina di Balbo a sottosegretario dell’Economia Nazionale nel 1926, assume la direzione del giornale Nello

4 I diversi contributi che egli affida al «Corriere padano» hanno tutti i caratteri di una prospettiva ancora in fieri, che prepara, ovviamente, il Bassani deciso e compiuto del dopoguerra. Il tragitto di Bassani verso la guerra, fino al 1940 (quando esce Una città di pianura), non lascia dubbi sul fatto che, oltre allo pseudonimo di Giacomo Marchi, con cui egli si trova ad operare, vi è anche un’altra maschera, quella del giornalista, che convive con quella dello scrittore. su questa produzione, vedi Vent’anni di cultura ferrarese: antologia del «Corriere Padano», a cura di a folli, Bologna, patron, 1978, vol. II, pp. 26-65.

5 Cfr. p murialdi, La stampa del regime fascista, roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 27-28. per altre notizie e bibliografia cfr. a. molinari, Bassani, Quilici e il «Corriere Padano», in Giorgio Bassani: dalle riviste alle prime pubblicazioni. Articoli, poesie e prose (1938-1945), Laboratorio di ricerca didattica e culturale a cura di r. castaldi e a. molinari, Ferrara, Liceo Classico ‘L. a riosto’, 2006, pp. 23-29

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Quilici, membro del Direttorio della Federazione dei Fasci di Ferrara, già direttore del « resto del Carlino» e poi fondatore della « r ivista di Ferrara» (1933-35). Quilici funge – si può dire così – da tramite tra l’esperienza dei prelittoriali ferraresi e il «Corriere padano». Ciò è abbastanza evidente da un dato cronologico: nel maggio del 1935, esordiscono sulla rivista Bassani, Michelangelo a ntonioni e Lanfranco Caretti, tutti e tre vincitori dei prelittoriali della Cultura, svoltisi in aprile 6 .

La collaborazione bassaniana al «Corriere padano» si apre, dunque, all’insegna del rapporto con gli strumenti istituzionali di propaganda del regime. Certo, se pure nei Littoriali si respira una certa aria di «relativa liberalità» e «necessaria tolleranza»7, non spariscono le tracce di un orientamento ‘ideologizzato’ della letteratura e di un confronto diretto del letterato con i temi del regime.

Bassani, al di fuori di ogni retorica, e teso nella necessità di svolgere con intensa dedizione la propria vocazione alla scrittura, trova sicuramente gratificante il coinvolgimento nel «Corriere padano» che Quilici gli offre; e vi si trova a collaborare con la consueta serietà e impegno. si inserisce quindi nel lavoro del «Corriere», senza smettere di seguire un suo tracciato di elaborazione intellettuale e di scrittura che corre parallelo alle indicazioni della rivista. E così è capace anche di produrre tre articoli sui «Littoriali della neve», ossia degli sport invernali, del 1937 (9 gennaio, 11 gennaio e 15 gennaio), che sarebbe semplicistico etichettare come articoli di propaganda; se non che la prudenza consiglia di inquadrarlo nel percorso bassaniano piuttosto in riferimento allo sport, da sempre uno dei temi centrali della sua produzione.

6 Il legame affettivo che legava Bassani ai Quilici è testimoniato dalla lettera di condoglianze indirizzata a Vanni, il figlio maggiore di Nello, per la morte del padre, avvenuta a Tobruck il 28 giugno 1940 per un incidente aereo, in cui perse la vita anche Balbo: cfr. f quilici, Ferrara, «Il Corriere Padano» e Nello Quilici (1938-1939), «Nuova storia contemporanea», VIII (settembre-ottobre 2004), 5, p. 149-162. Ma vedi anche l’intervista con il titolo In risposta (VI), in g bassani, Opere, a cura e con un saggio di r cotroneo, Milano, Mondadori, 1998, pp. 1327-1328.

7 Così r. zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo. Contributo alla storia di una generazione, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 120-140 (la citaz. è a p. 125). per Zangrandi, che si riferisce soprattutto ai Littoriali del 1937, «l’impronta tipica dei Littoriali fu quella dell’anticonformismo e, spesso, in determinati convegni vennero addirittura a formarsi schieramenti di opposizione quasi palese». sui Littoriali, vedi anche l la rovere, Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943, prefazione di b. bongiovanni, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. 265-289. In riferimento all’esperienza di Bassani, cfr. c. conti- c. roversi, La vita nei GUF e la partecipazione ai Littoriali, in Giorgio Bassani: gli anni della formazione e l’esordio poetico (1934-1945), pp. 53-63.

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Naturalmente, questi pezzi giornalistici, cronologicamente vicini, riflettono clichés diffusi nella pubblicistica di regime, a cui però il giovane Bassani sembra attingere con misura e quasi per dovere, preferendo dar spazio all’esposizione e all’illustrazione delle gare o dei dettagli sportivi. Bassani dà un preciso scopo alla scrittura di cronaca: una scrittura rivolta a un pubblico che si suppone curioso, un pubblico che egli vuole informare con gusto e con ironia e non a frastornare con un linguaggio fatto di retorica vuota. Illuminante questa sintetica digressione sugli allenamenti degli sciatori, nel primo articolo, I Littoriali della Neve e del Ghiaccio: per i fondisti […] oggi è cominciato il riposo. Dovranno arrivare alla gara perfettamente riposati, con il maggior numero di cavalli vapore nei muscoli. […] Nel lungo periodo dell’allenamento oscuro e durissimo, questi ragazzi andavano a letto alle dieci di sera e si alzavano alle sette di mattina. Non hanno mai conosciuto un paio di pantaloni stirati, una maglia elegante. per loro, la neve era campo di lavoro, non di svago. […] Le belle ragazze che anche quassù non mancano, amano gli irreprensibili e sobriamente eleganti discesisti che lasciano nella loro scia odore di sapone e d’acqua di colonia; ed hanno il viso fermo come delle statue, senza un filo di sudore sulla fronte.

Di fronte al pensiero astratto e lo spirito fascista della competizione, Bassani sceglie un proprio modo di ragionare e di narrare contro le formule allora in voga. Certo, i margini per un discorso svincolato dalla pura formalità ufficiale, il fascismo è probabilmente pronto a concederli per questo tipo di pubblicistica sportiva, che non intacca più di tanto i ferrei meccanismi del controllo del pensiero; e infatti Bassani ne approfitta per muoversi in una dimensione di chiarezza espositiva e di concisione narrativa, coprendo così eventuali toni da parata e dichiarazioni altisonanti.

Nel secondo articolo, Il Segretario del Partito sui campi di S. Martino di Castrozza, significativamente il protagonista del titolo, laconicamente declinato come «s.E. starace», non cattura nemmeno per un istante l’attenzione di Bassani, tutta concentrata sulla cronaca degli eventi sportivi: l’hockey, il salto dal trampolino, lo sci di fondo, la «guido-slitta», e sulle figure di alcuni atleti. Carico di una tensione passionale – soggettivamente mantenuta fino alla fine del pezzo – l’articolo concede pochi tratti ai toni trionfalistici della propaganda: dietro la rivendicazione di eccellenza dei fascisti universitari sancita dal «segretario del partito», non sta tanto l’agonismo quanto «una atmosfera di cordialità e di accademia», ma anche di «valore», «perizia» e «virtù sportive e fisiche». Nel carattere non strettamente politico dello sport, attraverso il linguaggio specialistico e tecnico, Bassani tenta di far passare un suo anticonformismo di fondo.

E, infine, mentre il secondo articolo è sostanzialmente una cronaca ‘in presa diretta’ dei giochi sportivi; nell’ultimo, I Littoriali della neve sono

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finiti, che testimonia la chiusura delle gare sportive, Bassani non si distrae a lungo dalla descrizione dei risultati sportivi, e svolge distesamente il tema ‘malinconico’, la fine di qualcosa, e il motivo del ‘ritorno’ che ne rappresenta un’epifania.

siamo ritornati oggi dopo un mese di neve e di sole. Ci par di essere un po’ come angeli decaduti (e ci sia perdonata l’iperbole per la nostra tristezza) da un paradiso folgorante di luce e di splendore, in un limbo nebbioso, pieno di umidi rimpianti. E con questo limbo, che nella sua melanconia è pur dolce, perché ci riporta a ciò che a noi è più vicino e più caro, entra nei nostri corpi ancora la pace e la stasi e il riposo. Così, dopo la dura fatica, e la sete della corsa, e l’esultante gioia del traguardo superato, e la velocità del giovane sangue, piena, assoluta, la sparizione improvvisa di tutto. Tanto che il periodo di tempo trascorso ci par quasi non vissuto ma a pena sognato: e che questo nostro corpo nel quale abiamo [sic] lottato duramente e pienamente gioito, non possa essere il medesimo. Ma un altro, diminuito e uguagliato a una realtà più misera o più quotidiana, sempre presente ad ogni istante. Nell’anima, resta solo una vaga gioia mescolata a un poco di amarezza: come al risveglio, dopo una già dimenticata fantasia, di cui rimane in noi solo la freschezza del profumo e la nota della sparizione.

Così, Bassani sottrae il disegno della gara sportiva alla sfera ideologica contingente, e addirittura al presente, per sistemarlo nella sfera di una ‘situazione’ umana universale. Egli esplora la disillusione dei giovani attraverso uno scavo nell’emotività mentale, facendone una riflessione metafisica sull’esistenza come istante e sulla compresenza (ossimorica) di gioia e amarezza. si noti come Bassani mobiliti, per l’occasione, il tema della quotidianità triste, non eroica, e in cui il motivo limbico (nebbia, limbo, umido) sostiene un’idea di realtà misera in cui si consuma il tempo dell’individuo. E poi miseria, malinconia, amarezza sono vocaboli che danno senso e indirizzo a un’urgenza umana, tipica dei tempi: sembra affacciarsi, così, ambiguamente, il pensiero di uno squallore esistenziale, di una ‘non-vita’, analoga in qualche modo al «male di vivere» montaliano.

Una concezione della letteratura come ricerca di un senso etico e come esigenza di organizzare i temi prediletti in una comunicazione matura, si ritrovano anche nel racconto L’ultimo viaggio di Giovanni Miani, pubblicato in due puntate su «La r assegna Italiana», tra il gennaio e il febbraio del 19388.

8 Fondata e diretta da Tomaso sillani (1888-1967) a roma, la « r assegna» conosce tre serie dal 1918 al 1943. per lo più aderente a una concezione nazionalistica ‘mediterranea’, la rivista interviene con numerosi articoli sulla politica coloniale italiana in a frica orientale. Il racconto di Bassani, intitolato L’ultimo viaggio di Giovanni Miani, appare in due puntate: a. XXI, serie III, gennaio 1938, vol. XLVII, fasc. CCXXXVI, pp. 71-76; e a. XXI, serie III, feb-

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a nche qui si tratta di un contributo da interpretare in rapporto con la sede che accoglie il testo: in questo caso, una rivista che aderisce chiaramente all’idea colonialistica di espansione e conquista africana. s e però poi si guarda da vicino il racconto, ci si accorge che la prospettiva, che pure esalta il primato degli esploratori italiani in a frica, amplia lo spettro della riflessione stabilendo una connessione tra viaggio e morte, esplorazione e coscienza, facendo del viaggio un ideale etico la cui missione è spirituale e non può che coincidere – simbolicamente – con la morte. a nche il titolo, L’ultimo viaggio, contiene un riferimento allusivo al grande tema ottocentesco della morte fisiologica, in un’ottica tolstoiana (La morte di Ivan Ilic) o, al limite, zoliana (Il romanzo della morte). Insomma, una meditazione metafisico-antropologica sulla morte e sul significato dell’esistenza.

Come nei pezzi di cronaca, il racconto richiama mète che il disegno propagandistico-politico del fascismo non basta a comprendere. a lla traccia cronachistica e descrittiva Bassani inclina anche quando si occupa di un mondo lontano, l’a frica e le sorgenti del Nilo, che non ha mai visitato, e con scrupolosità traccia un itinerario geografico dettagliato, dalla nomenclatura precisa; ma, pur nella esattezza geografica, egli informa i suoi pensieri all’elegia, introducendo una coloritura umana forte e straniante. Così, egli immagina il viaggio di Miani come una scoperta-analisi: un’avventura umana fatta di pazienza e di incredibili sacrifici, di dolori e di privazioni.

Il paese è strano e difficile: vi son grandi macigni salati, stagni dal fondo mobile, campi coltivati a patate dolci e boscaglie spinose d’una potenza vegetativa impressionante che fanno a brani i vestiti dei viaggiatori. La mula di Miani affoga al passaggio di uno stagno. Egli soffre crudelmente di dolori al petto, di stanchezza invincibile. […] Un giorno, anzi, egli si trova più indietro di tutti. L’han lasciato solo. La solitudine immensa che ad un tratto lo circonda lo atterrisce, abbatte il suo animo indebolito. […] se ora non sopraggiungerà qualche aiuto, la morte è certa, morte di solitudine e di abbandono. […] Ora verrà la pace finalmente con la morte. E l’agonia lunghissima estenuante come un lungo viaggio sarà almeno circondata da quiete […] Le poche cose che lo legavano alla vita, all’eternità, non sono più; egli è un atomo che non ha più ragione di esistere, disperso e che attende d’essere unito al gran tutto.

braio 1938, fasc. CCXXXVII, pp. 155-160, nella sezione « r assegna del Mediterraneo e della espansione italiana». parte del racconto viene successivamente pubblicata sul «Corriere padano», 11 marzo 1938.

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Il giovane Bassani, insomma, si sbarazza del tono burocratico, e se qua e là cede a una esposizione di tipo informativo in realtà rivisita con passione e lirismo i dettagli dell’avventura di Miani. Emblematici sono gli affioramenti dolenti, di aspra e disperata malinconia che si incuneano nel filone illustrativo del dettato proponendone la studiata rielaborazione in termini riflessivi e commossi, ma anche vitali, generosi, umani. Questo modo narrativo cerca di conferire valore e respiro a quelle opere non scritte, quelle affermazioni di umanità e di pietas il cui significato etico (di stampo quasi leopardiano) esorbita dalla scenografia ‘africana’ tipica del regime. Che è poi un modo di riformulare in termini interiorizzati la questione delle questioni, la fine come ricapitolazione: la vita che trae significato solo dalla morte, cioè a partire dalla fine. Un po’ come accade ai personaggi dei Finzi-Contini, o a Clelia Trotti. Il tema, lo ripetiamo, è tolstoiano (si pensi alla morte del principe a ndrej in Guerra e Pace), ma anche flaubertiano (Un cuore semplice), e come tale si riaffaccerà in quel grande affresco di morte che è L’airone. È lo stesso spostamento di prospettiva verso una interiorità sofferta, allorché irrompe il tema della morte che lacera l’austera figura dell’esploratore eroico, quasi ad alludere a una specie di lento suicidio:

E vuole morire. Ma come potrà morire si domanda? È difficile sradicare dal corpo un’anima vitale come la sua. Il male, la fatica, non potranno tanto. sente che non lo potranno. Occorre che sia la sua anima a volerlo, occorre che sia il dolore dell’anima sua, a vincerlo. si lamenta ora. pensa con voluttà suicida al disinganno di un viaggio mancato […] pensa a una vita che vuol considerare mancata, che vuol convincersi inutilmente vissuta, sebbene senta nel profondo di se stesso che fu meravigliosa, sublime, eroicamente conclusa.

È notevole, dunque, che il giovane Bassani, oltre a concedersi in questi spazi l’evocazione di un esotico, diciamolo, alquanto estraneo alla sua poetica, non esiti a dar voce a registri e tonalità considerati caratterizzanti della sua scrittura maggiore (il cimiteriale, l’elegiaco, ecc.) e che lo faccia in circostanze e luoghi non propriamente disponibili a tali esperimenti.

Il tema funebre ritorna anche in uno dei racconti compresi di «Corriere padano», Morte del giardiniere, (21 novembre 1937), in cui Bassani, immaginando gli ultimi momenti di vita di un vecchio moribondo, sperimenta un gioco di prospettive e di punti di vista, che non tarderà a giungere a maturazione nelle Storie. a ncorché chiuso in una natura ‘monadica’, sganciato da qualsivoglia riferimento all’attualità o alla storia, il racconto ha una rilevanza costitutiva all’interno di questo percorso ‘giovanile’, perché testimonia della comparsa e organizzazione di quei temi intorno a cui lo scrittore si eserciterà inesauribilmente lungo tutto l’arco della sua produzione: il mistero etico dell’esistenza, la meditazione sul tempo, la continuità del desiderio

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(inappagato), il dispositivo del giardino come operatore simbolico, la forte componente visiva, la scelta di un mondo umile e oggettuale9.

Insomma, come si vede da questi esempi, Bassani svolge in questi anni una dinamica attività che potremmo – genericamente – convogliare in riferimento al ‘giornalismo letterario’. I materiali prodotti sono diversi per genere (recensioni, articoli di cronaca, traduzioni, riflessioni e annotazioni di lettura, descrizioni e narrazioni, poesie), ma mantengono un tono fortemente coeso: il laboratorio bassaniano mostra un fermento attivo di ricerca, l’ansia del capolavoro che legge il proprio tempo, o al limite la disposizione di tessere da sistemare per un mosaico di là da venire.

Tra questi articoli, vorrei porre l’attenzione su uno intitolato Incontro con Bertolucci (15 aprile 1936). Che si impone, non solo perché denota una tendenza a rendere una certa atmosfera, un’aura, caratteristica di Bassani che vuole e sa scrivere in una certa maniera; ma anche per l’enucleazione del macro-tema della « pianura».

Vediamone l’ incipit: per trovare Bertolucci a Bologna, bisogna bussare a tappe obbligatorie. O ascoltare una lezione di storia dell’a rte di roberto Longhi, di mattina presto, sulle otto (lunedì, mercoledì, venerdì) o passeggiare tra le 11 e le 12 lungo via r izzoli, o finire sul tocco in una delle caravaggesche stamberghe di s. Vitale. È probabile certo, allora, vederselo comparire davanti come evocato da qualche magia, il poeta Bertolucci, infagottato pensierosamente in un inverosimile cappotto grigio, mentre cammina senza far rumore, con circospezione, quasi per non turbare con lo strascichio delle suole sul selciato una forma fuggente che egli conserva amorosamente serrata sotto le palpebre semichiuse. E d’altra parte questa forma viva e bella è alquanto gelosa di lui e non gli dà tregua. per questo Bertolucci non mi saluta. più tardi, quando gli avrà dato pace, i suoi occhi mi osserveranno con uno stupore fenomenale ricostruendomi a fatica nella semioscurità della trattoria: egli verrà al mio tavolo e si siederà vicino agli amici parlando lentamente con la voce sua leggera, un po’ afona.

siamo dunque nel 1936 e, con grande sapienza narrativa, Bassani ci restituisce l’immagine di una Bologna domestica e misteriosa insieme, in cui si muove la figura del poeta Bertolucci, alonata di mutevolezza e di ombra; che poi, a tavola, si ricompone in una affettuosa umanità.

Bertolucci non discute: la poesia qui a tavola, tra le lasagne e l’arrosto, proprio non lo tenta, forse. […] parla piuttosto della sua vita quotidiana così semplice e serena,

9 Vedi la lettura fornita da m.a. bazzocchi, Longhi, Bassani e le modalità del vedere, « paragone», terza serie, a. LVII (2006), 63-65, pp. 57-71.

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con pacatezza; un po’ ironicamente della casa sua, vecchia casa nella pianura parmense, dove vive e da cui viene tutte le mattine col treno. […] più tardi, quando gli ultimi clienti se ne vanno e la trattoria riman vuota tutta per noi e la mezzaluce pomeridiana annega le nostre mani nella tovaglia, allora ascoltiamo la traduzione e la trasfigurazione di questa vita minore e pur piena come una canzone.

L’angolazione da cui Bassani guarda a questo mondo universitario e artistico può dirsi in certa misura ‘intima’, poiché non muove dal conformismo del tempo. Il suo amore per i luoghi ha radici salde e antiche, che affondano le profondità in un paesaggio familiare e soggettivo costantemente percorso da un flusso denso di ricordi, di stati d’animo, recuperati come valenze simboliche. Le seduzioni astratte dei miti predaci di conquista e le ipocrite velleità della mitologia decadente letta in chiave fascista non interessano a questa generazione, né i dettami della vitalità stimolata e spronata dal superomismo dannunziano:

Il primo poeta di Sirio rinuncia fin d’allora all’eroismo superumano e alle sublimi astrazioni cosmogoniche per poter cantare con la sua voce sola, sottile sì, ma pura, un mondo breve è vero, ma che pone la personalità umana del poeta nel centro, come quella del nume campestre domina incontrastata nel breve orizzonte della melanconica pianura.

Eccolo, alfine, il tema della «melanconica pianura». La pianura di Bertolucci non è un esotico territorio di conquista, né una provincia dimenticata, ma è piuttosto un luogo mentale sul quale sforzarsi per riconoscerne i confini della propria capacità di ‘canto’. a nche la riscoperta di Bassani della ‘sua’ Ferrara prende corpo da una dimensione di archeologia mentale, dal ritrovamento di un luogo invisibile, a cui però si accede soltanto con un paziente lavoro di scavo nella memoria e di inesausto lavoro variantistico. Il tentativo di Bassani era quello (come dice lui stesso in un’intervista del 1979, che ora si legge) «di mettere in piedi una Ferrara non dannunziana, non mitologica. È vero non la chiamavo ancora Ferrara, ma F.»10. Ma il valore di questo recupero (o piuttosto ritrovamento) affettivo e simbolico, come non può dimenticare del tutto il proprio rapporto genetico con la coscienza storica, così, proprio per la sua consapevolezza di fare appello alla sensibilità e all’emotività, è obbligato a fare i conti con l’attualità stringente.

Emersa alla luce è la certezza acquisita da Bassani che è ormai impossibile coltivare un ideale letterario senza porlo sotto il segno di una ideologia di rifiuto della realtà presente. Quando Bassani incomincia la collaborazio-

10 L’intervista del 1979, concessa ad a nna Folli, si legge in Vent’anni di cultura ferrarese, pp. 345-348, ora in bassani, Opere (In risposta, V ), pp. 1317-1321.

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ne alla terza pagina del «Corriere padano» è un giovane universitario di Bologna che segue le lezioni di Longhi e vive nel nuovo mondo culturale bolognese dei fratelli Francesco e Gaetano arcangeli, di a ntonio r inaldi, di augusto Frassineti, di Gnudi, ma anche di Claudio Varese e Giuseppe Dessì, due sardi usciti dalla scuola Normale di pisa e, appunto, attilio Bertolucci. È preistoria, questa, rigorosamente autenticata dallo stesso autore: La Bologna che ho frequentato io, dall’autunno del ’34 fino, diciamo, al ’43, non era soltanto la sede dell’Università, della Facoltà di Lettere alla quale mi ero iscritto, ma anche la sede di una letteratura, di una scuola letteraria. Bologna voleva dire r iccardo Bacchelli, voleva dire Leo Longanesi […] voleva dire Giuseppe r aimondi, voleva dire Giorgio Morandi. Ebbene non c’è dubbio: la scuola letteraria bolognese, soprattutto tramite il rapporto che propugnava coi classici francesi del secondo ’800, Flaubert, rénard, Maupassant, Zola, ecc., ha sicuramente influito sulla mia formazione. […] Dietro i racconti e le prose che scrissi dal ’35 fino a tutto il ’37, buona parte dei quali avrei poi messo insieme nel volume Una città di pianura, stampato a mie spese nel ’40, c’è dunque Bologna11.

poi, nello stesso contributo, rievoca una seconda parte della vita universitaria e l’incontro con r agghianti, che per lui significò l’attività politica clandestina:

L’incontro a Bologna con Carlo Ludovico r agghianti avvenne nel ’37, se non ricordo male, e per me significò moltissimo. Dal giovane letterato che ero, mi trasformò in breve tempo in attivista politico clandestino, sottraendomi sia alle amicizie letterarie ferraresi sia a quelle bolognesi […]. per ciò che riguarda esclusivamente me, gli anni dal ’37 al ’43, che dedicai quasi del tutto all’attività antifascista clandestina […] furono tra i più belli e più intensi dell’intera mia esistenza. […] senza quegli anni per me fondamentali, credo che non sarei mai diventato uno scrittore.

Così l’autotestimonianza bassaniana. C’è da aggiungere che questo singolare rapporto di continuità tra politica e letteratura non deve risultare dissonante, i due momenti sembrano apparentemente separati ma avvinti invece in un consapevole gioco di rimandi e richiami. In questa dialettica Bassani trova la sua autentica possibilità di ‘conoscere se stesso’, generando un suo unitario e unico antifascismo. La letteratura, come spiega ancora Bassani, non guarisce la negatività del presente, e nemmeno assolve o risolve i problemi politici, ma mantiene un significato «se non proprio eversivo per lo meno di opposizione, di resistenza».

11 Ibidem, pp. 1318-1319. Ma vedi anche l’intervista alla Dolfi, “Meritare il tempo” (intervista a Giorgio Bassani), in a. dolfi, Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia, roma, Bulzoni, 2003, pp. 167-179.

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Così, è comprensibile come gli anni a cavallo fra il 1938 e il ’42 segnino una sorta di discontinuità del lavoro bassaniano, una specie di zona d’ombra che sottintende piuttosto l’elaborazione ideologica o l’attesa realizzativa di un progetto. La successione dei titoli dopo il 1942 disegna, allora, una sorta di grafico di questa (presunta) discontinuità. La mappatura della presenza di Bassani nelle riviste degli anni ’40 segnala la sua partecipazione, con la consueta eterogeneità di interventi: «Corrente di vita giovanile» (1940)12, «La ruota»13 (maggio 1941), « prospettive»14 (dic. 1941), « aretusa»15 (19441945), «Mercurio»16 (1944), «La Nuova Europa» (aprile 1945), « r iscossa»17 (marzo-agosto 1945), «Il Mondo» di Bonsanti-Montale-Loria (1945), «Il popolo – quotidiano dell’a lta Italia» (stampato a Milano), 29 maggio 1947; «Il costume politico e letterario» (Mia cugina, 29 settembre 1945), per finire

12 L’esperienza di «Corrente» nel panorama politico e culturale italiano fascista fu originale. Fondata con il titolo di «Vita giovanile» (1° gennaio 1938) da Ernesto Treccani, con una redazione che vide alternarsi anche Vittorio sereni e Giansiro Ferrata e i cosiddetti ‘ermetici’ fiorentini (Bo, Quasimodo, Luzi). Cfr. Corrente di Vita Giovanile (1938-1940), a cura di a. luzi, presentazione di v. sereni, roma, Edizioni dell’ateneo, 1975.

13 La rivista viene fondata da Mario a lberto Meschini Ubaldini nel gennaio 1937 a roma, con i finanziamenti del Ministero della Cultura popolare. Nel periodo maggio-agosto 1938 cessa le pubblicazioni, che riprendono nel 1940. Nel comitato di redazione appaiono Mario a licata, Giuliano Briganti, Carlo Muscetta, Guglielmo petroni, antonello Trombadori e fra i collaboratori vi sono Giuseppe Dessì, Carlo Cassola, Manlio Cancogni (nella terza serie del 1941 compaiono anche Mario soldati, a lfonso Gatto, Mario praz, Cesare pavese, Giovanni Macchia, Walter Binni); firmano anche interventi Montale e Luzi. La rivista termina nel 1943.

14 Direttore Curzio Malaparte, redazione con sede a roma, la rivista viene pubblicata in due serie: la prima dal 1937 al 1939, consta di sette numeri monografici di argomento tipico della cultura fascista; la seconda serie, dal 15 ottobre 1939 al 1940. Cfr. g viazzi, Antologia della Rivista «Prospettive», Napoli, Guida, 1974.

15 Con il sottotitolo « r ivista di varia letteratura», esce a Napoli presso l’editore Casella nel marzo-aprile 1944, direttore è Francesco Flora, affiancato da Gabriele Baldini in qualità di segretario di redazione. Nel marzo 1945, la rivista si trasferisce a roma con un nuovo direttore, Carlo Muscetta, e dura fino al gennaio 1946. Cfr. Aretusa - prima rivista dell’Italia liberata, testi a cura di r cavalluzzi, Bari, palomar, 1995.

16 La rivista esce a roma per quattro anni consecutivi a partire dal 1944, appena tre mesi dopo la Liberazione della città da parte delle truppe alleate. Direttrice della rivista è a lba de Céspedes. Bassani vi pubblica la lirica Cena di Pasqua.

17 settimanale di politica, letteratura e informazione stampato a sassari, fondato da Francesco spanu satta nel luglio 1944. Nata come organo di informazione del Comitato di Concentrazione antifascista, ospita articoli di intellettuali della sardegna e di antifascisti del continente. Ha una breve durata (dal 1944 al 1946); e Bassani vi è ospitato più volte: quivi pubblica l’importante contributo Interpretazione psicologica del fascismo (a. II, n. 13, 26 marzo 1945); poi, ampiamente integrato in Di là dal cuore, con il titolo La rivoluzione come gioco, ora in bassani, Opere, pp. 984-995.

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al contributo tardo su «Vie nuove» (Fuga a Bari, novembre 1949). Ma anche il Frammento 1942, pubblicato su « palatina» (n. 20, 1961) risale – secondo la nota bassaniana premessavi – a quegli anni.

In questa produzione, che a questo punto non è più possibile definire ‘giovanile’, i tre articoli ‘napoletani’ su «L’Italia libera»: Dov’è passata la guerra (n. 41, 28 giugno 1944), I partiti progressisti nel napoletano (n. 50, 8 luglio 1944) e Ricognizione a Salerno (n. 54, 13 luglio 1944), si pongono un po’ come la fase più avanzata dell’attività di Bassani come pubblicista politico e, insieme, lo spartiacque che segna il ritorno a una produzione più strettamente letteraria, con le Storie di poveri amanti (1945). In mezzo, come punta terminale si situa il cosiddetto Diario romano, del 1944 ma apparso, in forma diversa, su «L’Italia libera» (23 gennaio 1945), con il titolo Roma, un anno fa – pagine di diario18 .

L’elenco invita a ripercorrere l’esperienza intellettuale dello scrittore proprio attraverso questa frantumazione di sedi e di contributi (poesie, traduzioni, recensioni, saggi) che sono momenti di accumulo di attività creativa ma anche sintomi, frammenti di quella grande autobiografia intellettuale e politica che – come un ponte – unisce le due rive opposte della vita e dell’arte. sotto questo aspetto, l’elenco di questi scritti e contributi di tipo politico assume il significato di verbali di verifica della formazione antifascista e democratica dello scrittore.

se ora si guarda a queste tensioni progettuali del fare bassaniano con un occhio ai testi giovanili in «Corriere padano», non si può fare a meno di osservare che nel 1935, quando Bassani avvia o imposta un percorso individuale di ricerca e comincia la sua collaborazione al giornale fascista, il regime era ben saldo al potere. Ma in fondo, sebbene lui cominciasse a scrivere in quegli anni, la sua esigenza fondamentale non era tanto quella di avere un riscontro ufficiale o un inserimento organico nella società delle lettere, quanto quella di trovare un contenitore per la sua ricerca espressiva, una palestra per il suo impegno di stile.

18 La vicenda testuale del Diario è complessa: Pagine da un diario ritrovato fu scritto da Bassani nel gennaio-febbraio 1944, durante l’occupazione tedesca di roma, in cui annota fatti e impressioni relativi a questo periodo. Lo scrittore pubblica questo diario con l’intenzione di dare un contributo alla conoscenza della formazione intellettuale di un giovane appartenente alla cosiddetta ‘generazione di mezzo’. Il testo venne pubblicato in «La r ivista Trimestrale», a. III (marzo 1964), 9, pp. 102-106, con il titolo Roma inverno ’44 (pagine da un diario ritrovato), preceduto da una premessa siglata G.B, soppressa nelle successive edizioni. r ipubblicato poi in «L’Espresso», 22 novembre 1964, pp. 23-25, con il titolo L’inverno del coprifuoco; successivamente in Le parole preparate, pp. 209-225, con il titolo della prima pubblicazione in rivista.

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sono scritti disparati di cui non si può fare a meno di notare la congruità e pertinenza strettissima con altre pagine bassaniane: una congruità che affiora a livello di temi e di atmosfere e condivisioni concettuali. Nel caso dei racconti, sono ben riconoscibili i termini, i toni, gli sguardi che, senza assumere la dilatazione memoriale dei racconti, strutturano fermamente il paesaggio, da Bassani sempre inteso come una natura ‘dimensionata’, chiusa ma intimamente connessa alla storia e alla vita. Ma al di là dell’identificazione di un’elegia con l’ordine naturale e paesaggistico, importa segnalare che parte della sostanza caratterizzante di quel paesaggio verrà poi declinata nelle diverse accezioni nelle Storie e poi nel Giardino. si veda, ad esempio, il motivo dell’«al di là del muro» nel racconto I mendicanti (22 marzo 1936):

Le alte mura del giardino erano qualche cosa di più di mura comuni. r appresentavano barriere definite, brutali nel riso beffardo dei cocci lucidi agli orli, ma pure profondamente ideali. a l di qua era il mondo comune e sensibile; al di là il mistero, la sopravvivenza, la fiaba. […] Era piuttosto in quelle occhiate lanciate dalle finestre più alte della casa, dagli abbaini più arditi giù a cogliere un segreto, che noi vivevamo con tutta l’anima […]. Di là dal muro c’era una strada che scorgevamo a metà, poi una catasta di catapecchie dai tetti rosso-scuri; poi, dietro, qualche povero orto verde e giallo, e infine, appena frenata da magre reti di filo spinato, la risacca placida dei campi coltivati a canapa e grano fino a perdita d’occhio.

si dirà che il tema viene da lontano ed è destinato a fare molta strada, collegato al motivo altrettanto importante dello sguardo; anche se lo scrittore lo recupererà in circostanze narrative di ben altra importanza.

Di analoga forza generativa è dotato il lento incipit paesaggistico, rinvenibile in I pazzi (16 giugno 1936).

I pazzi abitavano in una grande casa nuda e fredda, separata dalla nostra da pochi orti rettangolari coltivati a squallide minutaglie dove il sole non arrivava mai a scaldare la lunga ombra delle mura rosse. Laggiù, schiacciati in quel fondo umido, gli orti ci facevano quasi pena, nessuno camminava mai sui vialetti sottili esangui; noi, arrampicati alla sommità dell’abbaino, eravamo inondati da un sole libero: avevano essi una muta melanconia di tepore e di luce. Il sole si arrestava ai muri di cinta senza speranza; di là, correva un bastione colmo di terra nera e pietre, abbacinate nella luce scoperta: una sbarra rovente attraverso l’orizzonte abituale. Tutta la luce pareva convergesse là sopra: e, dietro, la campagna appariva a lembi ariosi e cupi di frescura, gli alberi si disegnavano in un cielo quasi nero, le cose tutte, lontane, come senza più vincoli di contingenza e di realtà, erano vergini e serene: le case minuscole nascevano dalla terra verniciate di un bianco intenso allora, con dei tetti rossi dolcemente cavi specchiantisi sopra strade terse, candide, e lenti canali. Gli uomini non eran più che macchie di colore.

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Le silhouettes degli alberi e le marcature di colore delle case e delle mura e i giochi di luci e ombre. Il paesaggio delle origini, richiamato a vera vita dalla scrittura, è un’immagine pittorica che variamente risuona con le intersecazioni emotive. Nell’ampia casistica sul tema, gli «orti» risultano connessi al paesaggio urbano della Ferrara pre-bellica, elementi contigui agli edifici e alle vie e anzi fortemente caratterizzanti. Immagine che lo scrittore conserverà, arricchendola negli anni mediante nuovi innesti, senza mai tradirne la sostanza: agli orti saranno sempre associati l’idea di una Ferrara antica, chiusa nelle sue mura, di un’aura familiare e della laboriosità degli uomini. Un frastagliato arcipelago le cui occorrenze sono bene unite nel profondo di un’unica sostanza.

proprio in questi testi primitivi comincia a consolidarsi l’estetizzazione dei luoghi del paesaggio ferrarese: s’è visto per gli orti e per le mura; e poi il mare e le spiagge (in Nuvole e mare, 21 gennaio 1936, e in Estate, 13 maggio 1936); il fiume, gli argini (Il corvo, 11 agosto 1936); poi c’è il motivo della passeggiata lungo le mura (in Varietà, 27 gennaio 1937); la vegetalizzazione delle cose e degli uomini (Il corvo), che si distende in schemi anche spaziali e acquista concretezza in immagini-simbolo; e poi il tema del giardino come ossimoro della vita-morte (Morte del giardiniere, 21 novembre 1937).

L’orto bassaniano anima l’esperienza di uno spazio concreto e simbolico insieme. si pensi al racconto, Frammenti di una vita, uscito nel 1938 in «Termini», una rivista fascista pubblicata a Fiume19:

Udivo infatti, giunto all’estremo limite dell’orto, con le spalle volte al muro umidiccio, e gli occhi al sentiero dritto percorso, un rombo continuo e soffocato, come d’un carro pesante pieno di pietre che passasse traballando di là, nella strada sottostante. Quella era la guerra, mi aveva detto la mamma, e m’era parso vederla piangere.

E più avanti, nello stesso racconto:

Durante i primi quattro anni della mia vita, gli anni della guerra, io vissi confinato nell’orto vasto e soleggiato di quella casa. Lo conoscevo a menadito. sapevo il nido delle lucertole in fondo a un viottolo scuro, sotto un pietrone, e stupore felice mi assaliva guardando le mute bestiole saettare dal muro rosso giù nella tana cava 20 .

19 «Termini» era una rivista mensile di letteratura e d’arte dell’Istituto fascista di cultura del Carnaro, e uscì a Fiume tra il 1936 e il 1943. sulla rivista, cfr. p c hansen, Cultura e letteratura a Fiume italiana, «La r assegna della letteratura italiana», LXXXIX (1985), pp. 467-485; e id., «Termini», le ‘aperture’ di una rivista ortodossa, «resine», XXVI (giugno 2004), pp. 77-83.

20 Cfr. Frammenti di una vita, 1938. La prosa si legge in « poetiche», vol. 9 (2007), 2, pp. 315-320, preceduta da un saggio introduttivo di a. perli, Testo e avantesto. Sulla poetica del romanzo di Ferrara, pp. 269-313.

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Elemento peculiare dell’atteggiamento bassaniano è che l’accesso a una dimensione fuori del tempo (il sogno, o al limite il locus conclusus ecc.) diviene possibile proprio in quanto ricostituzione del nesso inscindibile con un tempo passato, il tempo dell’infanzia. Il punto di partenza della ricostituzione ideale deve essere la percezione del soggetto nella concretezza vitale dell’ambiente in cui agisce (o ha agito). Ossessionato dallo scorrere del tempo, l’io bassaniano si sforza non tanto di vanificarlo ma di estraniarsi da esso. La lontananza è mantenuta come tale, ma proprio così essa appare come lo sfondo in cui si muovono le pulsioni, le percezioni, le attese dei personaggi (e dell’autore stesso). Il rifiuto del presente storicamente determinato (del fascismo), viene fuso con la nozione, in fondo acuta, che la verità intima dell’essere umano è fatta di cose antiche e dimenticate, ancestrali. si sviluppa così non una dimensione di agonismo con il passato, ma di anacronismo. a sua volta, l’anacronismo permanente di un ambiente fuoristoria presuppone un’incrinatura con il linguaggio dell’epoca (ideologizzato e retorico) ma anche con tradizioni o scuole (ermetismo e «rondismo»). Certo, le suggestioni della prosa d’arte si sentono nell’anelito alla levigatezza del dettato, alla descrizione lavorata, ma quella di Bassani è scrittura che anela a una misura maggiore e più distesa. Questa disposizione-attesa del romanzo che connota la produzione giovanile di Bassani gli fa respingere da subito le tentazioni dell’elzeviro e delle «tristi secche del calligrafismo» (com’ebbe a dire). Quanto fosse distante da quella prosa tirata a lucido, legata comunque a convenzioni e conformismi provinciali, è quasi ovvio affermarlo e comunque più di ogni ragionamento critico vale la lettura di Nascita dei personaggi, edita sempre in «Termini»21.

Non si tratta propriamente di un testo di poetica (in senso stretto, non ne viene fornita una di tipo metodologico); si potrebbe dire però, come scrive perli, che essa, assieme all’altra prima citata, costituisca una sorta di «avantesto»22 del ciclo romanzesco della maturità, contribuendo ad indicare elementi generali del grande mosaico ferrarese 23. In questi frammenti, sembra acuirsi un’esigenza nuova di proiezione autobiografica nella narrativa, e di qui la riflessione intorno a problemi e a significati ma in forma di racconto.

21 Nascita dei personaggi, « poetiche», vol. 9 (2007), 2, pp. 321-332.

22 perli parla di «portata avantestuale» delle due prose (cfr. perli, Testo e avantesto, p. 277).

23 Così autorizza a leggere retrospettivamente lo stesso autore: «avevo già incominciato a scrivere soprattutto in prosa, […] avevo già prodotto dei racconti nei quali c’è in nuce, sia pure inconsapevolmente, il futuro Romanzo di Ferrara » (dolfi, “Meritare in tempo” (intervista a Giorgio Bassani), p. 170.

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Il testo appare dominato da una funzione chiave, da una diffusa fantasia che ha il suo nucleo nella visione di due personaggi (Vico e Dora) che se pure ricalca l’archetipo letterario della coppia manzoniana, in realtà è incentrata su una situazione topica (il tema dolente della gravidanza e l’ossessione della diversità ebraica: «sono di religione diversa, di ‘stalle estranee’») che non esaurisce qui la loro funzione, ma possiede un notevole spessore semantico che rimanda, ancora una volta, all’area della narrativa maggiore: a un destino inesorabile di emarginazione, di evanescenza, di deiezione (i personaggi scompaiono nel nulla del sogno24).

E questi [le due coppie di personaggi], a mia insaputa e contro la mia stessa volontà, secondo una segreta e inesorabile legge naturale, creavano magicamente una vita autonoma e libera nel personaggio che per un attimo m’ero illuso fosse nato da me, dalla mia pura fantasia. Ed era nato, sì, da me, tuttavia, ma da una regione che stava di là dai confini della fantasia, più intima e deserta, dove il reame dei sensi e della ragione cedeva, ed erravano, simili a bianchi fantasmi in una vasta e piatta pianura, le ombre dei ricordi e delle lontane esperienze.

si direbbe che proprio con questo racconto prendano un senso più acuto anche tutti i dilemmi e le tensioni che Bassani incontra tra le pieghe della sua idea di racconto. Il programma stesso di una narrativa deve fare i conti con il problema della «nascita», del sentimento di un’origine e di una continuità non interamente rappresentabili (o recuperabili). Il motivo del ‘cedere’ della memoria o dell’ombra non può che essere una tensione al sogno, linguaggio simbolico ma eloquente che si presenta all’uomo moderno come un discorso che perdura di là dal vasto orizzonte che nasconde il passato. L’altro motivo del sopraggiungere del freddo o del ‘cadere’ del sonno o delle ombre o del silenzio («a un tratto tutto mi si annebbiò»), metonimicamente, allude alla percezione della morte, all’oblio e designa non un fatto, ma un valore. Il tema del destino di morte comincia come una rivelazione inattesa, un ‘discorso ininterrotto’ e la stessa profusione di ellissi e nascondimenti per animare e drammatizzare l’esperienza della morte, della scomparsa, dell’assenza non fa che rinfocolare il dubbio che esso urga alle porte della sensibilità dello scrittore.

In un misto di ansiosa curiosità e di resoconto imparziale, legate insieme in un fluttuare di sonno e di sogno, le cose e le vicende di questi personaggi appaiono inscritte in un cerchio magico che le delimita rispetto allo spazio comune e in cui può avere corso una pulsione alla biografia minuta. a questo punto, il racconto di Bassani avverte come cruciale il problema di cosa raccontare:

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24 Il tema del sogno compare anche nel racconto «padano» Caduta dell’amicizia, 3 luglio 1937.

mi addormentai quasi all’improvviso, senza accorgermene, e cominciai subito un sogno. In esso mi si veniva raccontando con una ricchezza di particolari e di gesti straordinaria, il finale di una intricata storia d’amore, di cui io sapevo già, non so come, tutto il principio e il successivo svolgimento. Vedevo un giovane camminare a gran passi per una strada, di nottetempo. Forse andava a un convegno, forse cercava una donna. Ma tutto era ancora oscuro, io non potevo vedere neppure il viso del giovane, ed anche in me c’era molta incertezza. Nella mia memoria s’era fatto a poco a poco un gran vuoto, una sorda solitudine. a un tratto tutto mi si annebbiò: il giovane sparì, mi parve d’essere ritornato veramente, dopo molti anni, invisibile come un inquieto fantasma, nel dolce paese di romagna; e forse ero uno spirito davvero, che aveva lasciato il corpo morto in qualche selvaggio luogo della terra. [..] l’anima era oppressa da un vago dolore, quasi senza perché, forse per la scomparsa di una cara persona, o forse per la mia recente ormai irreparabile morte; o piuttosto, semplicemente, per una storia che avevo cominciato a raccontare e che qualche caso inaspettato, interrompendone il corso, m’aveva fatto dimenticare.

Il sogno appare come verità della storia, la sua parte più pura, più viva e profonda, in cui si disvela l’essenza stessa degli avvenimenti: la giovinezza, le aspettative e gli ideali divengono una presente immagine di vita fallimentare e svanente (evanescente); ma la dimensione del sogno è l’altra faccia dell’avversione per il fascismo inerte ai valori universali dell’uomo e tutto proiettato in un provincialismo italiota e in un’idea aggressiva della giovinezza. Di qui, forse, acquista un senso politico anche la dimensione della ‘caduta’ (fisica e morale) cui allude il richiamo dantesco al «corpo morto».

Nel loro isolamento autosufficiente ed enigmatico, i personaggi bassaniani sono di fatto dei frammenti di una totalità (di una comunità storica e romanzesca) da recuperare, e recano inscritta nella loro stessa configurazione la fissazione del divenire del loro destino romanzesco. In questo modo, il decadentismo bassaniano (il sogno, il mistero, la morte, l’ignoto) si muove nella consapevolezza di un realismo costituzionalmente in fieri, il cui principio vitale va cercato nella dissolvenza della memoria e in una difficile ricostruzione (storica e ideale).

Dunque, negli anni del «Corriere padano», Bassani prepara e rende tangibile l’attesa dei grandi libri, costruendo appunti, schemi, abbozzi, o – se si vuole – tessere di un mosaico che in alcuni punti pare già mostrare una singolare perfezione di prodotto finito. appunto, l’ incipit del suo futuro lavoro di scrittore è da ricercarsi in questo lavoro giornalistico e di scrittura.

Queste prove non sono casuali, ma obbediscono a un’istanza di comprendere tutto un mondo, fin nei suoi più piccoli e apparentemente insignificanti dettagli, dare vita cioè a una rete fittissima di riferimenti prossimi tra loro, o anche lontani. Questi pezzi mostrano appunto già quell’esigenza

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tutta bassaniana di rappresentare una realtà familiare per ri-conoscerla, per ordinarla. a llo stesso tempo, questi pezzi costituiscono anche una risposta a suo modo coerente alla crisi di coscienza dinanzi all’ideologia del fascismo dominante. In questi anni, la estraniazione che Bassani propone nei racconti è la stessa di fronte ad una situazione storicamente determinata. Ora, l’estraneità dei personaggi, còlti da un angolo ristretto di mondo, da una porzione isolata, aspira a rendere l’incanto di un momento del passato in una sensibilità prensile e ricettiva: è il ritorno inatteso del dimenticato, miracolosamente vitale in quanto lettera morta nell’orizzonte grigio della presente esistenza, metafora in cui proiettare un impulso libero di costruirsi una propria tradizione: un concentrarsi sul prima che è anche un capolavoro di evasione (e di disillusione) dal presente.

Non si commette alcun arbitrio analogico se si afferma che nei racconti di questi anni trovano un tono autentico quelle figure tipiche della narrativa bassaniana: i diversi e i marginali (qui sono giardinieri, adolescenti pensosi, mendicanti, pazzi ecc. 25); e può essere poi che l’estetica dello spazio chiuso come sfondo conflittuale, ripristinato nell’ hortus conclusus, rappresenti una risposta dell’estetica all’etica. Nel chiuso del giardino o delle mura si può afferrare in un punto l’interminabile lotta interiore tra spirito e materia, e il risentimento e l’umiliazione del vivere: l’orto e la città, il giardino parla del nostro risentimento e della nostra alterità.

Bassani si sforza di porre in comunicazione l’interiorità più profonda con un dominio pubblico più vasto; ma la sua anima ‘post-decadente’ tende a un’idea onnicomprensiva, ha bisogno del simbolo, almeno come punto di riferimento ottativo o teleologico, proprio in quanto ‘tensione’ e ‘sistemazione’, emozione estetica e anacronismo, che sfida il tempo, sospende la storia e combatte il cattivo ordine del presente.

25 Cfr. l. catania, Sull’esordio narrativo di Giorgio Bassani: 1935-1940, «Otto/Novecento», X (1986), 5-6, p. 55

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…anche per notare come la letteratura contemporanea, nata in un tempo che registra tutto, fotografa tutto, sembra tener nota di tutto con la memoria più meticolosa, aneddotica e pettegola, darà invece parecchio filo da torcere ai suoi storici futuri: li costringerà ad una filologia forse più impervia di quella che si richiede per un Boccaccio, poniamo, o per un a riosto.

«Il Giornale», quotidiano di area liberale pubblicato a Napoli fra il 1944 e il 1957, si presenta come un oggetto contraddittorio a chi ne faccia lo spoglio: le sue grandi pagine sono stampate in caratteri Bodoni, ma questa eleganza grafica si trova compromessa dall’allineamento fortunoso delle righe, dalla qualità mediocre della carta, dalla rozzezza degli inchiostri, dal numero sbalorditivo dei refusi. La carta povera si deve alla miseria dei tempi (ma non migliorerà nemmeno quando la città e il paese si saranno ormai rimessi in sesto); eppure, nel suo complesso «Il Giornale» finisce per apparire, a chi s’impegni a sfogliarne da cima a fondo le quattordici annate, come un’allegoria della città che lo espresse: come una emanazione della sua nobiltà intrepida e decaduta.

«Il Giornale» ebbe sede a Napoli in piazza VII settembre, poco più di uno slargo alla confluenza tra via Monteoliveto e via Toledo: in quel punto sorge il palazzo Doria d’a ngri, fatto costruire nel 1755 da Marcantonio Doria principe d’a ngri su progetto di Luigi Vanvitelli. Breve e austera, la facciata punta all’insù verso piazza Dante: in quelle sale fu fondato il quotidiano, il 14 settembre 1944, quale proseguimento della precedente testata «La Libertà»; da meno di un anno Napoli era riuscita a liberarsi dai nazisti, prima metropoli europea a compiere l’impresa. attestato su quello spigolo

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

domenico scarpa LO sCr ITTOr E sCr IVE sEM pr E DUE VOLTE Giacomo Debenedetti, Il romanzo del Novecento Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

del centro antico, «Il Giornale» provò a dominare – fino al 27 luglio 1957, data in cui uscì l’ultimo numero – una geografia storica sempre più complicata e chiassosa affidandosi all’insegnamento del suo ispiratore Benedetto Croce, che fino a tutto il 1951 vi pubblicò articoli letterari, filosofici, storici e soprattutto politici: prese di posizione sui fatti del momento, lettere aperte, noterelle polemiche, precisazioni dirette ad amici e avversari, il tutto culminante nella sua pagina testamentaria più alta, il Soliloquio apparso nel numero del 25 febbraio 1951, giorno del suo ottantacinquesimo compleanno: «La morte sopravverrà a metterci in riposo, a toglierci dalle mani il còmpito a cui attendevamo; ma essa non può fare altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare»1

Di lì a qualche settimana, il 31 marzo, Giorgio Bassani avrebbe pubblicato su quella stessa terza pagina alcuni brani del suo diario Roma 1944: una registrazione dei suoi movimenti di cospiratore politico, nel gennaiofebbraio 1944, nella capitale occupata dall’esercito di Hitler2. Il trentacinquenne Bassani ebbe così l’onore di trovarsi, nel mezzo del cammino, accanto al grande filosofo che considerava il suo maestro e il suo – in tutti i sensi – autore.

Bassani era diventato collaboratore del «Giornale» per iniziativa del terzo direttore della testata: dopo Manlio Lupinacci, e dopo Guglielmo Emanuel (che lasciò l’8 agosto 1946 per trasferirsi a Milano a dirigere il «Corriere della sera»), la responsabilità del foglio venne affidata a Carlo Zaghi (1910-2004), che si scelse per condirettore un raffinato uomo di lettere triestino, a lberto spaini (1892-1975). Zaghi, storico di professione, era nato ad argenta, nella Bassa ferrarese. Negli anni trenta aveva vissuto a Ferrara, dove con Nello Quilici (che all’epoca dirigeva il quotidiano locale «Corriere padano»), con il liberale Giulio Colamarino e con il professore di liceo Francesco Viviani aveva fondato nel 1930 una rivista intitolata «Nuovi problemi di politica, storia ed Economia». Tre fra queste persone sono figure importanti nella vita intellettuale di Bassani.

1 Soliloquio si può leggere oggi in b croce, Dal libro dei pensieri, a cura di g galasso, Milano, adelphi, 2002, pp. 203-206.

2 g bassani, Pagine di diario | Roma 1944, «Il Giornale», 31 marzo 1951, p. 3. per le successive pubblicazioni e varianti del testo, si veda l’allegato Per una bibliografia napoletana di Giorgio Bassani. Qui basti precisare che la stesura definitiva, col titolo Pagine di un diario ritrovato, si legge ora in g. bassani, Opere, a cura e con un saggio di r. cotroneo, apparati di p italia, Milano, Mondadori, 1998, pp. 965-983.

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Fra il 1932 e il 1934 Bassani ebbe il veronese Viviani come insegnante di latino e greco durante il triennio del Liceo « ariosto» di Ferrara. Nato nel 1891, Viviani era iscritto all’«Italia Libera», frazione antifascista dell’associazione Nazionale Combattenti fondata poco dopo il delitto Matteotti da personaggi come Carlo rosselli ed Ernesto rossi; nel 1926 aveva collaborato con Tito Zaniboni al fallito attentato contro Mussolini; avendo rifiutato di prendere la tessera del pnf, nel 1936 fu privato della cattedra; più tardi, durante la guerra civile, Viviani presiedette il CLN di Verona e organizzò le prime bande partigiane del veronese; arrestato nel luglio 1944, fu deportato a Buchenwald dove morì il 9 aprile 1945.

Il «Corriere padano» di Nello Quilici (1890-1940) è invece il giornale dove Bassani esordisce nel 1935 come narratore, all’età di diciannove anni: il suo racconto III classe apparve sulla terza pagina del primo maggio 1935. Oltre a parecchi racconti brevi, Bassani pubblicherà sul « padano» anche articoli di critica letteraria e traduzioni da paul Valéry e T.s. Eliot.

Tra i legami ferraresi di Bassani, solo l’amicizia con Carlo Zaghi sarebbe sopravvissuta ai disastri della guerra, e fu decisiva anche per il suo rapporto con Napoli, dove Zaghi era giunto nel 1940 in qualità di consulente storico per la Mostra d’Oltremare essendosi già fatto un nome come studioso dell’età coloniale. Nei mesi della resistenza, Zaghi dirigerà a sua volta il «Corriere padano», mentre dopo la guerra fonderà il nuovo quotidiano «Democrazia Ferrarese». E quando, nell’agosto 1946, Zaghi torna nel capoluogo campano per assumere la guida del «Giornale», Bassani è tra le prime persone chiamate a scrivere per la terza pagina3: il primo pezzo con la sua firma – un breve racconto intitolato La felicità, mai raccolto in volume – esce il 15 settembre 1946. In quel periodo tra gli altri collaboratori culturali del «Giornale» troviamo Brancati, Cardarelli, Cecchi, Francesco Flora, Carlo Linati, Leo Longanesi, a nna Maria Ortese, Michele prisco, Giuseppe r avegnani e Domenico rea.

La collaborazione di Bassani alla terza pagina del «Giornale» durerà cinque anni, fino all’autunno 1951. La interrompe una ragione pratica: nel 1952 Bassani comincia a lavorare nel cinema come soggettista e sceneggiatore; i primi film sono Le avventure di Mandrin di Mario soldati, che scrive con augusto Frassineti e Vittorio Nino Novarese, e I vinti di antonioni, per il quale collabora alla sceneggiatura, mentre nel ’53 lavorerà a La provinciale di soldati, tratto dall’omonimo racconto di Moravia e scritto con lo stesso soldati, con Jean

3 c. zaghi ricorda a più riprese Bassani nel suo volume di memorie «Terrore» a Ferrara durante i 18 mesi della repubblica di Salò, Bologna, Istituto regionale «Ferruccio parri» per la storia del movimento di liberazione e dell’età contemporanea in Emilia-romagna, 1992.

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Ferry e con sandro De Feo. «Con questo benedetto cinema – così comodo, del resto – le occasioni per scrivere si vanno facendo sempre più rare». La frase si legge, incorniciata in parentesi, in una lettera a roberto Longhi, che gli aveva richiesto un articolo su Mario Cavaglieri4. Bassani continuerà a intrattenere rapporti di amicizia con Carlo Zaghi anche dopo aver interrotto la collaborazione al «Giornale»: lo testimonia una lettera di quest’ultimo a Giuseppe Dessì (22 settembre 1952) dove si riferisce di un incontro a Ferrara con Bassani e con Claudio Varese5. anche Dessì era, in quegli anni, un collaboratore assiduo del «Giornale», dove apparvero molti suoi racconti.

La collaborazione di Bassani al «Giornale» è intrecciata e sovrapposta a quella col mensile «Lo spettatore Italiano», fondato a roma nel gennaio 1948 da Elena Croce, r aimondo Craveri e piero a ntonelli6. La rivista, anch’essa di area liberale, aveva un aspetto severo, sedici pagine in ottavo senza illustrazioni né fotografie; la tiratura non superava le 550-650 copie. La bibliografia napoletana di Bassani ci mostra che in svariate occasioni i testi già apparsi sullo «spettatore» vengono riproposti sul «Giornale»: è il caso più elementare cui allude il titolo di questo intervento, Lo scrittore scrive sempre due volte. E qui, avendo descritto le principali testate ‘napoletane’ che accolsero Bassani, bisognerà dare uno sguardo d’assieme al repertorio bibliografico delle sue collaborazioni 1944-1955; più precisamente, sarà utile osservarlo dall’alto secondo una prospettiva cavaliera.

La maggioranza degli scritti che sono arrivato a censire – 26 su 43 – è di genere saggistico, cronistico o di memoria: il loro elenco diventerà significativo non appena lo avremo messo in rapporto con Le parole preparate, prima raccolta saggistico-memorialistica di Bassani apparsa da Einaudi nel 1966. Il senso delle collaborazioni di Bassani con giornali e riviste degli anni quaranta-cinquanta si può cogliere proprio esaminando la struttura che Bassani diede ai suoi saggi in quella prima occasione. Le parole preparate, infatti, è un libro sensibilmente diverso dal repertorio finale delle sue prose non narrative

4 L’articolo Un inedito di Mario Cavaglieri esce in « paragone-a rte», IV (marzo 1953), 39, la lettera è in g. bassani, Lettere a Roberto Longhi, « paragone-Letteratura», Terza serie, LVII, 672-674-676, febbraio-giugno 2006, pp. 73-74.

5 Cfr. A Giuseppe Dessì. Lettere di amici e lettori. Con un’appendice di lettere inedite, a cura di f nencioni, Firenze, Firenze University press, 2009, p. 369.

6 per il primo anno a ntonelli assunse anche la direzione, che dal gennaio 1949 al febbraio 1952 passò a Craveri, mentre dal marzo 1952 alla cessazione (1956) fu di Carlo Ungaro. Fino alla metà dell’annata 1950 fu preponderante la parte critico-letteraria, mentre da allora all’aprile 1954 la proporzione s’invertì: da quel momento in poi dominò la politica. sulle posizioni politiche della rivista si veda g. la bella, «Lo Spettatore Italiano» 1948-1954, Brescia, Morcelliana, 1986.

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(Di là dal cuore, Mondadori 1984), e non solo perché circoscrive un periodo di lavoro più breve – ma comunque assai esteso: oltre vent’anni. Tra i due libri c’è una differenza vistosa: nelle Parole preparate la ripartizione della materia è tematica, nell’altro volume è cronologica. Di là dal cuore è un’opera, per così dire, ‘di trama’, dove Bassani affida a una sorta di sbrigativa planimetria documentaria la propria identità di saggista, ordinandola lungo i metri lineari di uno scaffale della mente ripartito per decenni: 1940-1950, 1950-1960 e così via. Esattamente come accade con le poesie dell’ultimo Bassani, Di là dal cuore si presenta come un diario: un libro rettilineo, la cui forma è dettata da quella risentita sprezzatura che Bassani, negli anni settanta-ottanta, prende a esercitare verso il mondo e verso se stesso.

Le parole preparate è, al contrario, un’opera d’intreccio come i racconti ai quali Bassani aveva lavorato fino a quel momento: è un libro dove la distribuzione strutturale della materia ha la stessa importanza del contenuto, ed è un libro che mostra fin dalla prima pagina il proprio legame con Napoli: esce infatti nel 1966, centenario della nascita di Croce, e Bassani non si lascia sfuggire una sincronia tanto felice; al termine della sua Avvertenza, datata « roma, maggio 1966», dopo aver evocato l’indulgenza che Croce riservò sempre alla critica praticata dagli «artisti», Bassani conclude: «E così a Benedetto Croce, alla sua memoria veneranda, lo dedico in tutta umiltà». L’Avvertenza appena citata occupa meno di una facciata: in che modo Bassani ci illustra il suo libro?

r iguardo alla disposizione della materia, confesso di essere stato a lungo incerto. a lla fine, scartata l’idea, abbastanza lugubre, di atteggiarmi a postero di me stesso, ho preferito tenermi a un ordine non cronologico, raggruppando i vari testi in tre parti distinte, secondo affinità di contenuto, e ritoccandoli liberamente dovunque mi sembrasse più opportuno. La prima parte raccoglie, dunque, saggi e articoli letterarii di carattere generale; la seconda è riservata quasi completamente alla letteratura contemporanea; la terza ospita pagine di interesse per lo più documentario e occasionale.

Chi legga da cima a fondo Le parole preparate non tarderà ad accorgersi che su questo punto Bassani è reticente: sostiene che la prima parte del libro affronta alcuni capisaldi della letteratura italiana e straniera, ma in realtà vi si parla soprattutto del nostro atteggiamento verso il romanticismo, e in particolare di come si possa accogliere e modellare una energia creativa allo stato nascente; questo specifico tema accomuna i suoi saggi su Thomas Mann, su Yeats («Le parole sui vetri della finestra») e sugli scrittori sovietici. La seconda parte del libro affronta, è vero, la letteratura contemporanea: ma si tratta sempre di letteratura italiana, e con lo sguardo puntato al suo retroterra antropologico, politico, morale. Libri e autori sono altrettante tappe – o pretesti – di un case

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study consistente nel nostro carattere nazionale in trasformazione; la sequenza dei saggi di questa seconda parte risponde a una progressione dalla politica (compresa l’antropologia nazionale) alla letteratura. Nei primi quattro testi della sezione il principio è evidentissimo, e risulta anzi madornale nell’unico che prenda spunto da un’opera non italiana: una traduzione del Dizionario dei luoghi comuni di Flaubert. L’articolo, risalente ai primi mesi del 1945, quindi a guerra civile ancora in corso, mette sotto accusa il ventennio fascista coinvolgendo nella condanna buona parte dell’antifascismo letterario, che ha praticato un’opposizione troppo fiacca o troppo fatua. In tre pagine appena, Bassani espone alla gogna la letteratura e il giornalismo fioriti nell’Italia di Mussolini. r ispetto a questa linea del discorso che procede dall’antropologia politica alla letteratura, gli articoli ‘napoletani’ ritrovati fanno emergere dall’ombra la preistoria di questa linea e le momentanee deviazioni dalla linea stessa. Basteranno due esempi, da articoli finora ignoti agli studiosi di Bassani. In Purgatorio dei travet, apparso su «Il Giornale» del 18 maggio 1947, viene descritto il quartiere romano di Montesacro, dove nel 1867 Giuseppe Garibaldi aveva sfidato i francesi a indirizzargli con mira più precisa le fucilate dei loro Chassepots. Montesacro è un lindo e noioso e triste quartiere impiegatizio, villette «signorili» da cui si solleva il tanfo dell’architettura di stato: «il simbolo – scrive Bassani – d’una ipocrisia organizzata, d’una forza coercitiva tanto più assoluta quanto più nascosta, tanto più intransigente e feroce quanto più si studia d’apparire intesa a svolgere il tuo animo a pensieri di speranza e di felicità».

Il secondo esempio è l’incipit di Anni di Bologna, un articolo su Giuseppe r aimondi pubblicato nel «Giornale» del 27 aprile 1947: «Il mio amico a ntonio Delfini, che come tanti altri scrittori della generazione alla quale appartengono – generazione di memorialisti, di narratori lirici, tutta gente pigra, sentimentale e incredula»… La frase prosegue, ma ci si può fermare qui perché questo è il punto: Bassani lotta per non lasciarsi assorbire da quella generazione incredula, composta di individui che hanno a malapena dieci anni più di lui, e a volte (come Delfini, nato nel 1908) anche meno. Gli anni del dopoguerra sono per Bassani gli anni in cui un potenziale narratore di costume, destinato probabilmente a distinguersi in questo genere minore, si trasforma invece in un narratore tragico e storicista, le cui proverbiali trasandatezze di stile (ne parlò a suo tempo Calvino7) sono anche un segno del suo non riuscire a credere completamente al proprio destino.

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7 Lettera a François Wahl del 22 luglio 1958, in i. calvino, Lettere 1940-1985, a cura di l baranelli, Milano, Mondadori, 2000, pp. 552-553.

Durante questi anni decisivi, Bassani sfugge alla possibile deviazione verso la sorte del brillante giornalista radicale che si lascia macerare dallo scirocco di roma: si sottrae al tempo della cronaca, che a chi vi s’immerge troppo a lungo fa subire una specie di tassidermia in vita. Ha questo significato, anzi, è quasi un monito lanciato a sé medesimo, la parte finale de I borghesi di Flaubert, là dove Bassani lamenta come la sua generazione avesse imparato unicamente a deridere il prossimo, senza però imparare a comportarsi con dignità: così, quando venne l’ora della guerra civile, si trovò per gran parte spiazzata e non fu all’altezza della tragedia. a noi, dice Bassani, «non fu concesso che lo scherzo. Dall’“Italiano” e da “Omnibus” non imparammo, ragazzi, che a mostrare la lingua a Carducci, all’Italietta dei panciafichisti, e a nostro padre che ci aveva creduto»8 paolo Fossati ha parlato della «debolezza storica dell’ironia»9: non si potrebbe dire meglio. È contro questa debolezza che lo storicista Giorgio Bassani picchia in ogni suo articolo politico-letterario fra il 1944 e la fine di quel decennio.

Va detto, però, che alcuni fra i testi ritrovati rappresentano un passo indietro rispetto alla precoce consapevolezza di quel ’44: è il caso dell’articolo satirico Un amico a Montecitorio («Il Giornale», 29 gennaio 1947). a Montecitorio, scrive Bassani, «la cosiddetta invasione degli Hyksos non ha quasi lasciato traccia: e quanto di esatto ci sia in questa definizione della tirannia nera lo si sente bene qui (e magari qui soltanto) dove il volto dell’Italia liberale non è sostanzialmente mutato. (…) a Montecitorio i fascisti si sentivano come in soggezione. si annoiavano». r itornano la noia del quartiere Montesacro e della generazione di a ntonio Delfini: ma in questo caso Bassani si limita a irriderla. (E qui è doveroso fare il nome dell’unico scrittore, Ennio Flaiano, che in quegli anni seppe trasformare quella stessa noia in purissima disperazione). Nell’immediato dopoguerra, il saggismo migliore di Bassani si esprimerà invece in un atteggiamento scettico verso lo scetticismo. Oggi sappiamo bene – e Bassani ebbe il merito di accorgersene presto – che a praticare il giornalismo radicale sono persone della media borghesia che, abbagliate dal potere e contagiate dalla sua libidine, s’industriano per promuoversi ad aristocrazia o almeno ad alta borghesia, fino a

8 g bassani, I borghesi di Flaubert, « a retusa», roma, II (aprile 1945), 8, pp. 55-56. Con minime varianti ortografiche, e con la data «1945», in id., Le parole preparate, Torino, Einaudi, 1966, pp. 93-95.

9 p. fossati, Ristampato «Il Selvaggio», specchio della vita italiana durante il fascismo. La mano beffarda del regime, in «Tuttolibri»-«La stampa», III, 19, 21 maggio 1977, ora in La passione del critico. Scritti scelti sulle arti e la cultura del Novecento, a cura di g. contessi e m. panzeri, Milano, Bruno Mondadori, 2009, pp. 73-75: 74.

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conquistarsi una tribuna da cui fare la lezione – con tono intimidatorio –tanto alla piccola borghesia da cui provengono (che è il loro pubblico naturale e che spesso infatti li applaude, magari in buona fede) quanto al popolo basso (che li ignora e spesso li disprezza, ma in qualche caso li teme).

È il momento di parlare del magistero di Benedetto Croce: perché fu soprattutto il suo esempio civico-intellettuale a stornare Bassani da una possibile deriva verso la cronaca brillante. Claudio Varese, un amico di Bassani poco più anziano di lui (nacque nel 1909), ha definito nel modo migliore quel magistero in due testi che vanno citati l’uno di seguito all’altro: Eravamo crociani in un modo particolare: a noi non interessavano le forbici della “poesia e non poesia”, quanto lo storicismo che sosteneva l’applicazione, pur talvolta rigida ed esclusiva, di questo principio estetico: non lo storicismo dell’accettazione, del quale Croce in un certo periodo si era reso responsabile, ma quello della non accettazione, che investe della sua carica contestativa il fatto proclamato come una necessità, trattenendoci dall’immergerci in esso senza discuterlo. Questo storicismo teneva conto della realtà, anche di quello che non si è attuato: il presente, quello che sembra il senso della storia può non esser vero. L’ideologia fascista, anche se predominava, anche se era o sembrava il presente, poteva essere ed era sbagliata10.

In quegli anni tra gli intellettuali anche non fascisti predominava nelle versioni crociane e gentiliane più o meno consapevolmente una forma di storicismo, un’ammirazione e un’accettazione, talvolta una rassegnazione, al presente storico e politico come a un incontro necessario di realtà e di valore. Il fascismo si nascondeva dietro questo atteggiamento che poteva coprirlo11

Croce educò un’intera generazione, quella nata nei primi vent’anni del Novecento, a non riconoscersi nel fatto compiuto del fascismo: la educò a praticare uno storicismo del possibile, uno storicismo dell’autocostruzione: a coltivare quella «religione della libertà» che è la quintessenza del suo pensiero. Il sigillo crociano s’imprime profondamente sul Bassani dell’immediato dopoguerra e segna la sua piena maturazione politica. Ma che dire del Bassani scrittore? quali sono le tappe del suo percorso? Occorre tornare ai testi, quelli già noti e quelli appena ritrovati.

Quando la filologia bassaniana potrà conoscere un rilancio – quando cioè sarà fondata non solo sull’esame delle varianti fra le molte versioni dei

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10 Claudio Varese, intervento, in La cultura ferrarese fra le due guerre mondiali. Dalla Scuola Metafisica a «Ossessione», a cura di w. moretti, Bologna, Cappelli, 1980, pp. 211-213: 212. 11 c. varese, Giuseppe Dessì da Michele Boschino a Come un tiepido vento [1973-1989], in Sfide del Novecento. Letteratura come scelta, Firenze, Le Lettere, 1992, pp. 173-174.

testi narrativi pubblicati, ma s’impegnerà anche in approfondite ricerche di biblioteca e di archivio –, essa si troverà a registrare continue retrodatazioni dei testi. Ecco il perché del titolo Lo scrittore scrive sempre due volte, ricalcato su quello del romanzo di James Cain che Bassani tradusse nel ’45 per Bompiani. Uno scrittore scrive come minimo due volte, bisognerebbe aggiungere: perché si può dire che per ciascuno dei racconti che appartengono al canone definitivo di Bassani esista una primissima versione, pubblicata in giornale o in rivista, più remota di quella che si conosceva fino a oggi. Il fenomeno riguarda quasi tutti i testi inclusi nel Romanzo di Ferrara, e le ricerche dovranno proseguire. parlo, come si vede, di testi editi e non di manoscritti. Il punto è che non bisognerebbe mai fidarsi di ciò che un autore racconta di sé stesso: fortunatamente esistono le carte pubblicate, con la loro data certa (benché stampata con pessimi inchiostri), che vengono a correggerlo e in qualche caso a smentirlo.

a nche per Bassani, come già per proust, si direbbe che l’intera compagine di quello che diventerà Il romanzo di Ferrara sia stata concepita tutta insieme, in una fase precoce della sua vita immaginativa. Ogni nuovo ritrovamento bibliografico sospinge indietro nel tempo la prima stesura, il primo nucleo, la prima idea dei racconti maturi; però, a differenza che in proust, il lavoro di Bassani non si lascia definire con la metafora della «cattedrale» narrativa. L’immagine più calzante del Romanzo di Ferrara, l’autocommento più icastico, lo troveremo nel titolo del primo libro di Bassani: Una città di pianura, pubblicato come si sa nella primavera del 1940 sotto lo pseudonimo Giacomo Marchi imposto dalle leggi razziali. pianura, non cattedrale: il titolo Il romanzo di Ferrara allude a una superficie, alla mappa di un territorio: a una costruzione estensiva invece che intensiva. proviamo ora a leggere il più breve di questi racconti di pianura, già noto agli studiosi col titolo Mia cugina, col quale fu pubblicato per la prima volta il 29 settembre 1945 sulla rivista romana «Il Costume politico e letterario»12. La versione qui trascritta apparve invece sul «Giornale» del 16 novembre 1948 col titolo Piccolo salotto soffocante. Vi si coglie uno spunto – una scena – che sarà tra quelle culminanti nel Giardino dei Finzi-Contini.

Fuori porta san Giorgio l’asfalto della provinciale procede serpeggiando in larghi giri tra i campi di canapa. La strada è alta, sembra che scorra su un argine tortuoso. La campagna intorno, bassa e piatta, è sparsa di ville circondate da par-

12 sul testo di Mia cugina si veda l. catania, Noterella per un racconto dimenticato di Giorgio Bassani: Mia cugina, «Otto/Novecento», n.s., XXVI (settembre-dicembre 2002), 3, pp. 145-150.

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chi, di chiese con la facciata rosa volta a occidente. Nel 1927 – avevo allora undici anni – questa strada non era ancora asfaltata: qualche centinaio di metri oltre la barriera del dazio si incontrava un passaggio a livello quasi sempre chiuso. Il treno per Codigoro passava ogni ora.

La grossa spa aperta che mio padre aveva acquistato quella stessa primavera dovette fermarsi a lungo contro la sbarra abbassata. Ciò dette modo a mia cugina di raggiungerci. scese da una bicicletta impolverata, ci sorpassò senza guardarci, si abbassò, superò le rotaie, risalì in macchina e si allontanò ondeggiando sulla sella, incurante che il vento, gonfiandole le sottane, le scoprisse le lunghe gambe magre, abbronzate dal sole. «sarebbe arrivata prima di noi?» io mi chiedevo. Dentro me stesso parteggiavo per lei. Non ricordo per che ragione mio padre non avesse voluto condurla con l’automobile.

Da quando era morto lo zio a ngelo, i modi di mio padre nei riguardi della famiglia di zia Emma si erano venuti facendo bruschi, autoritari. Credo che Elisa fosse stata scoperta da mio padre a tingersi di nascosto le labbra. “Di ragazze dipinte sulla mia automobile non ne voglio”, aveva detto mio padre. Ed eravamo partiti senza di lei. Il trenino di Codigoro passò con più di un quarto d’ora di ritardo. La mano di mio padre batteva con impazienza sul volante. per tutto il tempo che aspettammo non volse mai il viso (io gli osservavo di tanto in tanto le orecchie rosse di collera). Egli teneva gli occhi fissi nel vetro del parabrezza, con ostinazione. Nel silenzio della campagna le voci di mia madre e di zia Emma parevano più alte e più acute. Irritanti. Il sole basso radeva l’erba del prato e arrossava i tronchi dei grandi alberi quando la nostra macchina varcò il cancello della villa degli s. Mia cugina era già arrivata: vidi la bicicletta appoggiata in un canto. sulla terrazza della villa molte signore sedevano agitando ventagli; si sentiva il grammofono suonare dei ballabili. Ci venne incontro la padrona di casa, che abbracciò con tenerezza zia Emma e salutò affabilmente la mamma. “Emma cara – fece poi, volgendosi alla zia – Elisa è arrivata un momento fa, tutta trafelata. L’hai vista, vero? L’ho mandata di sopra a rinfrescarsi. Ma a proposito, che bella ragazza si è fatta. Che ragazzona!”. E l’abbracciò di nuovo. Mio padre, alzato il cofano della spa, stava con la testa nascosta nel motore.

Elisa non compariva. Doveva aver fatto un bagno completo. Finalmente discese, salutò in giro, quindi mi prese per mano e mi condusse senza parlare in fondo al parco. “perché quelle arie materne?” mi chiedevo irritato. In fondo non aveva che due anni più di me. In un posto tranquillo, quasi buio, era ferma un’automobile grigia, scintillante di cristalli e di acciai nichelati. pareva uscita allora allora dalla fabbrica. sTEY r , c’era scritto sul radiatore a lettere nere. Mia cugina aprì lo sportello e sedé sul divano di lana grigia. “sali anche tu”, mi disse, e batteva la mano sul panno del divano.

Nuvole di zanzare circondavano la vettura, una delle prime guide interne. Fu necessario chiudere lo sportello. subito le voci delle rane parvero venire come da una grande distanza. sembrava di essere in un salotto: un piccolo salotto soffocante. Mia cugina mi prese per le spalle e mi fissò. sotto le ascelle aveva due larghe macchie di sudore; la fronte, dopo il bagno, tornava a diventare rossa.

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“Hai gli occhi celesti anche tu; tutti in famiglia abbiamo gli occhi celesti”, disse. poi si volse: e gli occhi, che figgeva oltre il vetro del parabrezza, le brillavano di cattiveria.

a differenza che in Mia cugina 1945, in questo Piccolo salotto soffocante 1948 i toponimi porta san Giorgio e Codigoro sono scritti per esteso invece che ridotti alle iniziali; qui anche la ragazza ha un nome, Elisa. In Piccolo salotto si accumulano più dettagli sul padre e sulla sua ostilità verso quella nipote che sta crescendo e che diventa consapevole del proprio corpo, del proprio carattere. Ma, soprattutto, ci sono il bagno rinfrescante in casa della zia e la reticenza del narratore che dice (e lascia immaginare) di più rispetto a tre anni prima. L’aggiunta più vistosa si trova nell’ultimo capoverso del racconto, nella scena che si svolge sul sedile posteriore dell’automobile – e che anticipa quella analoga con Micòl nel Giardino, all’interno della carrozza abbandonata nella rimessa di casa Finzi-Contini. In Mia cugina Bassani si era limitato a questo particolare: «sotto le ascelle aveva due larghe macchie di sudore; la fronte, per via della corsa in bicicletta, le ardeva nell’ombra». In Piccolo salotto soffocante il quadro è più minuzioso, folto di correlativi erotici nel paesaggio naturale circostante: la nuvola di zanzare, il grido delle rane. E, infine, quella fronte arrossata di Elisa, che in Mia cugina non appariva. È quest’ultima immagine ad aumentare notevolmente il non-detto sessuale della narrazione: perché suggerisce che il ragazzo, balenandogli per un attimo quel bagno di Elisa, s’immagini nuda la giovanissima donna seduta accanto a lui. Ora sua cugina è vestita e ha il corpo pulito, ma il sudore ricomincia a inumidirla.

Torniamo alla questione dei toponimi, cruciale nello sviluppo del Bassani narratore. stiamo leggendo un testo del 1948 dove si trovano scritti per esteso alcuni nomi di luoghi che erano indicati, tre anni prima, con le iniziali. Come si sa, il Bassani prosatore avrebbe optato in via definitiva per i nomi completi nel 1956, con la pubblicazione delle Cinque storie ferraresi. per contro, il Bassani poeta in versi scrive a tutte lettere il nome Ferrara fin dal titolo della poesia Verso Ferrara, a pagina 17 dell’edizione 1945 di Storie dei poveri amanti13. Verremmo indotti a dedurne che il primo Bassani riversi più ‘realtà’ nel suo lavoro di poeta che nel suo lavoro di narratore: ma sarebbe una conclusione sbagliata.

Bassani usa in poesia il nome Ferrara per esteso, in anni durante i quali si guarda bene dal farlo in prosa, perché conosce la differenza essenziale che corre tra la poesia e la prosa. In poesia i nomi sono segnali lirici, indicatori 13

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Cfr. g bassani, Storie dei poveri amanti e altri versi, roma, a strolabio, 1945.

di essenze: quando arrivano a toccare la pagina sono già smaterializzati: la Luna – o la Laura – che stanno nel verso rappresentano entità intangibili e prive di dimensioni. Non sono nemmeno punti, bensì aloni o risonanze di un’idea. La prosa funziona diversamente, non solo perché va sempre diritta – prorsus – come dice il suo nome, ma perché ingenera in chi la legge l’attesa della realtà, l’aspettativa del concreto. Il giovane Bassani, che vorrebbe avvicinarsi all’assoluta verità narrativa, non sa bene come riuscirci. per un tempo lunghissimo (all’incirca vent’anni, dal ’35 al ’56) tenterà di realizzare un compromesso tra le sue doti liriche e le sue doti narrative: racconta sì in prosa, però riducendo i nomi dei luoghi alle sole iniziali, come se quei nomi fossero dei concentrati lirici entro il tessuto prosastico (in prosa, l’iniziale evocativa equivale al nome-segnale scritto per esteso nel verso); il nome impronunciato si comporta come un mulinello lirico intorno al quale si organizza la pagina. Ma Bassani sa, sente, di essere destinato a scrivere in prosa-prosa: non dimenticherà mai l’apprendistato tonale ed eufonico della poesia, ma lo dovrà adibire a uno scopo diverso.

La situazione appena descritta ha un antecedente illustre, prossimo a Bassani per geografia e per clima psicologico. Quando, nel 1937, il filologo torinese santorre Debenedetti pubblicò nel «Giornale storico della letteratura italiana» I frammenti autografi dell’Orlando Furioso, Gianfranco Contini li recensì sul settimanale «Meridiano di roma» con un articolo rimasto fondamentale per la moderna critica delle varianti, Come lavorava l’Ariosto14 . a metà di quelle colonne, Contini sintetizzò in una breve frase il senso del processo correttorio che aveva portato ariosto all’ultima redazione del poema, stampata nel 1533: «In fondo, si tratta per lui di vincere questa scommessa: mantenere la conquista lirica di poliziano e non rinunciare al carattere narrativo». È un processo che Debenedetti prima e Contini poi ci mostrano commentando le varianti delle ottave ariostesche, dalle prime alle ultime correzioni manoscritte: solo da quelle, infatti, si possono inferire le idee che hanno presieduto a un lavoro di lima durato lunghi anni, dato che manca qualsiasi autocommento teorico dell’autore: «si obietterà forse che quello dell’ariosto è un caso-limite, e che in lui infatti esiste solo poesia e non poetica?» si chiede retoricamente Contini.

Come sappiamo, il lettore di Bassani dispone anche di testi teorici; ma nel 1953 occorreva molta intelligenza per capire che cosa egli stesse manipolan-

14 Cfr. g. contini, Come lavorava l’Ariosto, «Meridiano di roma», II (18 luglio 1937), 29, p. IV; oggi in id., Esercizî di lettura sopra autori contemporanei con un’appendice su testi non contemporanei. Edizione aumentata di «Un anno di letteratura», Torino, Einaudi, 19822 [I ediz. ibidem, 1974], pp. 232-241; le citazioni sono tratte dalle pp. 237 e 241.

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do nel suo laboratorio di scrittura. se ne accorse un poeta, Giorgio Caproni, che nel recensire – e proprio sul «Giornale»! – i tre racconti della Passeggiata prima di cena, chiudeva il suo articolo riconoscendo a Bassani un merito: egli, poeta, è riuscito a dimostrare, con questa prova, di saper discendere dalla cavalcatura del verso per procedere, in prosa, con un’andatura che non conserva nulla dell’ondulamento di chi è abituato ad andare a cavallo. Non è un fatto troppo comune, se vogliamo rimanere nella verità, e certamente lo si deve in gran parte alle molteplici esperienze del nostro autore, il quale – fra le sue virtù – ha anche quella, non ultima, di riuscire ad essere un più che scaltrito saggista. E tutto questo senza rinunziare minimamente a quelle che sono le ragioni stesse della sua poesia, giacché è la stessa materia lirica dei suoi versi (la stessa terra, lo stesso animo, la medesima aria e cultura) ad essersi distesa e nominata, in questi racconti, in ottima prosa15.

Nominata, dice Caproni in questo articolo perfetto che fotograficamente arriva a bloccare Giorgio Bassani – si ricordi la cartolina d’epoca sulla quale si apre la narrazione della Passeggiata prima di cena – nell’istante di un trapasso; si direbbe che Caproni presagisca, con tre anni di anticipo, l’estensione del nome Ferrara da lettera iniziale a parola completa; e il referto è documentato, visto che allude a tutti e tre i talenti di Bassani, lodandolo anche come saggista. Ma se il transito da poesia a prosa appare limpido (e lo è ancora di più quando ce lo descrive un poeta come Caproni), la parte relativa al saggismo richiede una precisazione.

accennavo a un Bassani scettico rispetto allo scetticismo, un Bassani che proprio grazie a questo atteggiamento si salva dal diventare uno dei tanti spiritosissimi scrittori-giornalisti del Novecento italiano. a un certo punto, Bassani capì che doveva rivendicare apertamente (al cospetto di se stesso, più che dei lettori) la propria ambizione di verità: capì che doveva capovolgere la sua attitudine negativa in un’attitudine affermativa. Confidarci che la scelta di scrivere finalmente in extenso, nelle Cinque storie ferraresi, i nomi dei luoghi, fu una scelta che gli costò lacrime e sangue, è il segno che ebbe piena coscienza di quella necessità: si trattava per lui d’imboccare una strada senza ritorno, si trattava di prendere i voti religiosi della realtà di finzione. La scelta era dolorosa, e fu due volte definitiva: nel senso del definire la persona che scelse di compierla, e nel senso che sarebbe stato impossibile tornare indietro16.

15 g caproni, Tre racconti di Giorgio Bassani, «Il Giornale», Napoli, 4 giugno 1953, p. 3.

16 sulla scelta dei nomi per esteso si veda p. p. pasolini, Giorgio Bassani, «Il romanzo di Ferrara». I: «Dentro le mura» [«Tempo», 8 febbraio 1974], in id., Descrizioni di descrizioni [1972-1975], in id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di w. siti e s. de laude, Milano, Mondadori, 1999, t. II, pp. 1990-1994.

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Coincidenza vuole che il momento di questo trapasso si trovi dipinto proprio sulla soglia del libro recensito da Caproni nel 1953: sulla sopracoperta de La passeggiata prima di cena, firmata da Mino Maccari. sopra uno sfondo rosso-arancio solcato in orizzontale da decine di righe parallele di spessore irregolare, nere, tracciate manualmente a traversare l’intera larghezza della pagina, la zona centrale della figura campisce quattro nudi femminili, pure quelli in nero totale, che avanzano frontalmente verso il lettore tenendosi per mano e raddoppiandosi in ombre che si proiettano a dilagare, più rade e diffratte, nella parte inferiore del foglio dove il nome dell’autore, il titolo dell’opera e il marchio editoriale sono impressi in bianco. sullo sfondo, in lontananza dietro le spalle delle donne avanzanti, si raccolgono profili di case, tetti, edifici che formano un’indefinita area d’ombra, una ellisse silenziosa e pacifica che protegge quelle poche architetture sgrossate nella parte superiore del quadro. Morale: nel 1953 la città di F. resta ancora sullo sfondo, innominata, suggerita appena; il primo piano resta occupato dagli spiriti italici di quelle donne senza costume, diverse l’una dall’altra, che avranno quindi certamente un nome proprio. Nei tre anni che lo separano dal 1956 e dalla pubblicazione delle Cinque storie ferraresi, Bassani troverà il modo di capovolgere la prospettiva dell’illustrazione dipinta per lui da Maccari, portando in primo piano la città, e con lei la sua vocazione di narratore tragico-simbolico: La passeggiata prima di cena fu il primo dei suoi libri con una copertina illustrata, ma era già una figura di destino da rovesciare17.

Dal 1956 in avanti, quella di Giorgio Bassani è storia nota. a partire da quell’anno la sua bibliografia conterà pochissimi testi «dispersi»; e sono palesemente testi d’occasione (eccetto quelli legati al suo impegno in «Italia Nostra») scritti su commissioni della natura più varia. Dopo le Cinque storie ferraresi non troveremo altre prove di voce o trucioli di bottega: sono ormai inutili, superati. Come il magistrato ideale, Bassani parla esclusivamente tramite gli atti processuali depositati in cancelleria: parla con i processi verbali dei suoi racconti e romanzi. Non solo ha sconfitto lo scetticismo, ma è arrivato a conoscersi e a dirsi completamente grazie a quel semplice ribaltamento di prospettiva: completando dei nomi fino a quel momento contratti in una iniziale puntata o asteriscata.

provo a sintetizzare: dapprincipio, e per vent’anni, racconti in prima persona ma con i luoghi abbreviati all’iniziale, per cui l’io narrante tende a diventare un io lirico; poi, dal 1956 in avanti, racconti in terza persona coi

17 La passeggiata prima di cena reca il finito di stampare dell’aprile 1953; apparve presso sansoni, Firenze, come V volume della «Biblioteca di paragone», legata all’omonima rivista diretta da roberto Longhi (serie a rte) e da sua moglie a nna Banti (serie Letteratura).

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nomi per esteso: è lo sforzo maggiore (il più doloroso: lacrime e sangue) che Bassani abbia compiuto per praticare integralmente la prosa; l’io viene riassorbito (e restituito) dal coro di voci di un discorso libero indiretto collettivo: l’io diventa la voce, polifonica e multiregistro, della città di Ferrara. Terza fase: emerge la prima persona – ma ancora con i nomi scritti per esteso, che così resteranno fino all’ultimo –, recuperata a partire da Gli occhiali d’oro

La conclusione di questo discorso si può affidare a un ultimo racconto la cui prima versione finora conosciuta era apparsa sul «Corriere della sera» del 16 novembre 1969 col titolo La ragazza dei fucili. Il testo diventerà il secondo elemento di Altre notizie su Bruno Lattes, ed è come tale che lo ritroviamo nel ’72 in L’odore del fieno. Ora, questo è uno dei racconti che le ricerche sul periodo napoletano di Bassani consentono di retrodatare di ben ventitré anni: la prima versione, appena ritrovata, apparve infatti col titolo Gina sul «Giornale» del 17 ottobre 1946. In Gina, dove lo sviluppo narrativo è assai più stringato rispetto alle stesure di due o tre decenni dopo, il personaggio si chiama Mario, e manca ogni accenno al 1938 e alle leggi razziali; troviamo invece una frase parentetica dove si allude, con ironia, al clima dell’anno precedente: «(Nel ’37 era buona regola diffidare di tutti, anche dei giovanotti in pelliccia, con aria amara e sentimentale)». Il nome della donna da cui Mario si vede rifiutato è Gina T. invece che adriana Trentini. Del misero parco dei divertimenti dove lavora la ragazza dei fucili viene detto: «– sarebbe piaciuto ad apollinaire – pensava Mario, esagerando per difesa una incredulità che non c’era in lui». Ed è di apollinaire, anche se citato a memoria e in modo impreciso, il verso che Mario/Bruno Lattes declama tra sé e sé quando la donna viene richiamata nel carrozzone dallo zingaro che è il suo amante: «Mon beau tzigane mon amant», cita Mario con invidia dalla poesia Les cloches (1905-1906) negli Alcools (1913).

Ora, questo racconto si lascia leggere anche come una sintesi anticipata de Gli occhiali d’oro sussiste una strana connivenza tra Mario/Bruno Lattes e quella donna dei fucili richiamata improvvisamente dal suo uomo: una connivenza nell’abiezione, nell’esclusione, che resta del tutto incomunicata. Gina ci parla di un amore che – proprio come gli amori omosessuali del dottor athos Fadigati – sarebbe opportuno tenere nascosto: a questo rimanda la citazione da apollinaire. Emerge anche qui, come negli Occhiali, l’importanza dell’anno 1938: «il ricordo della smorfia della ragazza dei fucili (una smorfia che la sera prima lo aveva riempito improvvisamente di felicità, di gelosia, e di un oscuro senso di abbiezione) gli sarebbe rimasto impresso per molti anni a venire, chissà mai quanti. Come un piccolo marchio: minimo ma indelebile».

Il marchio di cui si parla non è soltanto il marchio dell’esperienza e del dolore; è anche il marchio dell’anno 1938: è il segno delle leggi razziali fasciste. si potrebbe dire che in questi racconti del «Giornale» (e, in

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fondo, in tutti i testi narrativi pubblicati fino a quel momento) Bassani stia completando un apprendistato che ancora non lo ha condotto a scoprire pienamente che cosa vuole raccontare. Lo spostamento dal 1937 al 1938 non è fortuito: e anzi, quello scatto in avanti di un anno si trova a essere anche letterariamente significativo, perché passiamo dalla Noia del ’937 di cui aveva parlato Vitaliano Brancati18 (la noia mortale dei regimi dispotici che godono del consenso generale, che sono soddisfatti di sé, che sembrano destinati a durare in eterno) all’umiliazione atroce del 1938, alla vergogna di leggi che decretano la tua morte civile.

se tutto questo è vero, assumerà un significato peculiare anche il titolo Prefazione a me stesso che Bassani aveva assegnato, in un primo momento, al suo testo teorico più celebre19: Prefazione a me stesso non vorrà dire ‘prefazione all’opera omnia di Giorgio Bassani’, bensì preludio (o introibo) al momento in cui Giorgio Bassani fa ufficialmente ingresso nella sua stessa opera d’invenzione – e quell’ingresso si verificherà solo nel 1958 con Gli occhiali d’oro, cioè quando l’opera avrà ormai assunto la sua fisionomia definitiva. Ora, grazie a queste ricerche napoletane e alle ricerche che verranno, si può cominciare a scrivere la preistoria di quella Prefazione.

Una battuta conclusiva: nella sua cronaca romana Storia del Ritrovo («Il Giornale», 10 aprile 1947) Bassani cita – anche qui, a memoria – il paul Valéry di Tel quel: «L’homme est adossé à sa mort comme le causeur à la cheminée»20. L’uomo si appoggia di schiena contro la propria morte, dice Valéry, come un conversatore al caminetto. Ma nel 1947, e a un ebreo, la parola cheminée doveva suscitare associazioni atroci: di lì a qualche anno Bassani avrebbe deciso di voltarsi per sempre verso quei fuochi, verso quelle ceneri.

18 scritto nel 1944, La noia del ’937 fu pubblicato per la prima volta in «Mercurio», II, 11, luglio 1945; confluì nella raccolta Il vecchio con gli stivali, Milano-Firenze-roma, Bompiani, 1946. Lo si può leggere ora in v. brancati, Racconti, teatro, scritti giornalistici, a cura di m. dondero, con un saggio introduttivo di g. ferroni, Milano, Mondadori, 2003, pp. 275-284.

19 Col titolo Prefazione a me stesso: cinque storie ferraresi, il testo era apparso per la prima volta nel «Corriere della sera» del 4 febbraio 1971. Bassani lo raccolse in L’odore del fieno, Milano, Mondadori, 1972, col titolo Gli anni delle storie. Oggi, in una nuova stesura e col titolo definitivo Laggiù, in fondo al corridoio, si legge in bassani, Opere, pp. 935-943.

20 I due tomi di Tel quel escono nel 1941-1943. La frase citata fa parte della sezione Choses tues, risalente al 1930: cfr. p. valéry, Œuvres II, a cura di j. hytier, paris, Gallimard, 1960, p. 502.

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Questo repertorio, certamente incompleto, copre gli anni dal 1944 al 1955: dal tempo della Napoli già liberata – mentre al Centro-Nord si combatte la guerra civile e roma resta per qualche mese ancora in mano agli occupanti nazisti – fino alla vigilia delle Cinque storie ferraresi, opera che segna la consacrazione letteraria di Giorgio Bassani.

Nell’elenco sono registrate le collaborazioni di Bassani con giornali, riviste e imprese editoriali riconducibili alle sue frequentazioni napoletane, anche quando la loro sede sia diversa da Napoli. Il discorso è valido per due riviste in particolare: « aretusa», fondata a Napoli nel marzo 1944 (e diretta da Francesco Flora per i primi tre numeri, da Fausto Nicolini per i tre successivi), ma la cui redazione si trasferisce a roma (dove il direttore sarà Carlo Muscetta) a partire dal marzo 1945; «Lo spettatore Italiano», mensile tra i cui fondatori troviamo Elena Croce, ma con sede a roma fin dal suo primo fascicolo, datato gennaio 1948. Lo stesso discorso vale per l’edizione romana de «L’Italia Libera», quotidiano del partito d’a zione. Di «Botteghe Oscure», rivista ideata a roma e ivi operante, si considera solo il primo Quaderno, l’unico stampato a Napoli.

La storia dei testi qui di séguito censiti viene tracciata con particolare scrupolo fino alla loro prima sistemazione definitiva da parte dell’autore, benché «prima sistemazione definitiva» possa apparire una contraddizione in termini: per i racconti si tiene dunque conto di Cinque storie ferraresi, Einaudi, Torino [30 aprile] 1956 e di L’odore del fieno, Mondadori, Milano [marzo] 1972. per i saggi, di Le parole preparate e altri scritti di letteratura, Einaudi, Torino [10 giugno] 1966. Delle poesie censite si delinea invece sinteticamente, senza entrare nel merito delle varianti a stampa, l’intera storia testuale, dalle prime apparizioni in rivista fino al volume riepilogativo In rima e senza, Mondadori, Milano [novembre] 1982.

In questa sede saranno sufficienti poche informazioni ulteriori: i testi delle Cinque storie ferraresi confluiscono nell’ottobre 1973, presso Mondadori, in

domenico scarpa pEr UNa BIBLIOGra FI a NapOLETa Na DI GIOrGIO Bassa NI Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012 ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Dentro le mura, prima parte de Il romanzo di Ferrara. L’intero ciclo narrativo recante quest’ultimo titolo appare presso il medesimo editore nel 1974 (di nuovo ottobre) e nel 1980 (settembre), in due versioni che presentano tra loro nuove varianti. La produzione saggistica sarà raccolta, con ritocchi testuali e in ordine cronologico, nel volume Di là dal cuore, Mondadori, Milano [aprile] 1984. L’intera opera di Bassani in volume confluisce infine, a cura di roberto Cotroneo e con apparati di paola Italia, nei ‘Meridiani’ Mondadori: Opere, Milano [maggio] 1998.

Non piangere, compagno, «aretusa», Napoli, I, 2, maggio-giugno 1944, p. 100. poesia, accompagnata da una nota esplicativa dell’autore. Con una variante testuale e un paio di varianti d’interpunzione è raccolta – insieme con la nota in prosa – nell’ultima sezione, intitolata Altri versi, della prima raccolta poetica di Bassani: Storie dei poveri amanti e altri versi, roma, astrolabio, 1945; la ritroviamo anche nella seconda edizione accresciuta, stampata nel maggio 1946 presso il medesimo editore. Infine, col titolo Non piangere e priva della nota d’autore, confluisce nella sistemazione complessiva dell’opera in versi di Bassani: In rima e senza, p. 57, dove interviene solo una variante interpuntiva rispetto alle due apparizioni in volume degli anni quaranta.

Dove è passata la guerra, «L’Italia Libera», roma, serie II, 41 (26 giugno 1944).

Cronaca, datata «Napoli, giugno».

I partiti progressisti nel napoletano, «L’Italia Libera», roma, serie II, 50 (8 luglio 1944).

Cronaca, datata «Napoli, 6».

Ricognizione a Salerno, «L’Italia Libera», roma, serie II, 54 (13 luglio 1944).

Cronaca, datata «salerno, 11».

I borghesi di Flaubert, « aretusa», roma, II, 8 (aprile 1945), pp. 55-56.

Con minime varianti ortografiche, e con la data «1945», in Le parole preparate, pp. 93-95.

«L’epidemia» di Alberto Moravia, « aretusa», roma, II, 8 (aprile 1945), pp. 88-89.

r ecensione del volume omonimo di Moravia, apparso nel 1944 presso Documento Libraio Editore, roma. poi in Aretusa prima rivista dell’Italia liberata. Seconda serie: 1945-1946, a cura di r affaele Cavalluzzi, palomar, Bari 2001, pp. 267-268.

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Mann e il mago, « aretusa», roma, II, 10 (giugno 1945), pp. 80-82. r accolto, con lo stesso titolo e con la data «1945», in Le parole preparate, pp. 67-69.

Mascherata, « aretusa», roma, II, 14 (ottobre 1945), p. 54. poesia, datata «1943». È fra le liriche aggiunte alla seconda edizione (maggio 1946) di Storie dei poveri amanti e altri versi, con varianti d’interpunzione; anche nell’indice di questa raccolta troviamo la data «1943». Con una lieve variante testuale è ripresa in L’alba ai vetri. Poesie 1942-’50, Einaudi, Torino [27 settembre] 1963, p. 30. Con una ulteriore lieve variante testuale confluisce in In rima e senza, p. 30.

Racconti di Benedetti, « aretusa», roma, II, 15 (novembre 1945), pp. 83-84. recensisce due opere di arrigo benedetti: Una donna all’inferno, Bompiani, Milano 1945, e Paura all’alba, Casa editrice «Documento», roma 1945.

Poesie [Piazza d’armi; Serenata; Porta Pinciana; Punta Marina; Anniversario], « aretusa», III, 17-18 (gennaio-febbraio 1946), pp. 94-95.

Porta Pinciana verrà ripresa, senza titolo, nella terza e ultima parte della sezione Dal profondo, in Un’altra libertà, Mondadori, Milano [dicembre] 1951, p. 65. Le altre quattro poesie confluiscono nella seconda edizione accresciuta di Storie dei poveri amanti e altri versi: Piazza d’armi, datata 1945 nell’indice, p. 18; Serenata, datata 1945, p. 19; Punta Marina, datata 1945, p. 29; Anniversario, datata 1944, p. 20. r itroviamo Piazza d’Armi (con questa variante nel titolo e con la dedica «ad a.» in epigrafe) in L’alba ai vetri, p. 15 e infine, nuovamente intitolata Piazza d’armi e priva di dedica, in In rima e senza, p. 22; Serenata, cui si aggiunge la dedica «alla stessa» è in L’alba, p. 16 e (senza dedica) In rima, p. 23; Porta Pinciana assume il titolo Qualche volta… in L’alba (p. 79) e Qualche volta in In rima (p. 104); Punta marina si legge, con la caduta della maiuscola nel titolo, in L’alba, p. 21 e In rima, p. 33; Anniversario è, con la dedica «a Valeria», in L’alba, p. 17, mentre viene esclusa da In rima

La felicità, «Il Giornale», Napoli, 15 settembre 1946, p. 3. reca l’indicazione « r acconto». poi, con l’indicazione «racconto di Giorgio Bassani», «L’Italia socialista», roma, 21 settembre 1947, p. 3.

La lezione di Carlo Porta, «Il Giornale», Napoli, 26 settembre 1946, p. 3. Già, col titolo Poeti dell’umile Italia, «Il Mondo», Firenze, I (6 ottobre 1945), 13, pp. 6-7; successivamente sarà ripreso con varianti, insieme con il saggio I bastioni di Milano (già apparso, col titolo Ernesto Hemingway milanese, «Il Mondo», Firenze,

pEr UNa BIBLIOGraFIa NapOLETaNa DI GIOrGIO BassaNI 119

II, 3 agosto 1946, 33, pp. 4-5, e col titolo I bastioni di Milano, «La Tribuna del popolo», LXIV, 180, 4 agosto 1946), sotto il titolo complessivo Manzoni e Porta, «paragone», VII (giugno 1956), 78, pp. 36-39. I due saggi vengono infine raccolti, col titolo Manzoni e Porta e con la data «1945», in Le parole preparate, pp. 47-50.

Gina, «Il Giornale», Napoli, 17 ottobre 1946, p. 3. Con l’indicazione « r acconto». poi, col titolo L’amore del letterato e con l’indicazione «racconto di Giorgio Bassani», «L’Italia socialista», roma, 28 dicembre 1947, p. 3. Gina è una prima stesura di La ragazza dei fucili, racconto che, apparso nel «Corriere della sera» del 16 novembre 1969, diventerà con lo stesso titolo il secondo elemento della suite narrativa Altre notizie su Bruno Lattes, in L’odore del fieno. Nelle nuove versioni del testo pubblicate ne Il romanzo di Ferrara (1974 e 1980), il titolo La ragazza dei fucili scompare, mentre le varie parti di Altre notizie saranno distinte per mezzo di un ordinale: il testo risulta qui contrassegnato unicamente con un «2».

Un amico a Montecitorio, «Il Giornale», Napoli, 29 gennaio 1947, p. 3. Cronaca.

Storia del Ritrovo, «Il Giornale», Napoli, 10 aprile 1947, p. 3. Cronaca. In occhiello: «Lettere romane». reca l’indicazione « roma, aprile».

Anni di Bologna, «Il Giornale», Napoli, 27 aprile 1947, p. 3. recensione di Giuseppe r aimondi, Anni di Bologna 1924-1943, Edizioni del Milione, Milano 1946. Già in «Lettere d’Oggi», VI (novembre 1946), 2, p. 3.

Purgatorio dei travet, «Il Giornale», Napoli, 18 maggio 1947, p. 3. Cronaca.

Verga e il cinema, «Il Giornale», Napoli, 19 giugno 1947, p. 3.

Già, col titolo Giovanni Verga e il cinematografo, «Il popolo – Quotidiano dell’a lta Italia», Milano, 29 maggio 1947. successivamente, col titolo Verga e il cinematografo, «Il Mondo europeo», III (1 luglio 1947), 9, pp. 9-10, e col titolo Giovanni Verga cinematografico in «L’Italia socialista», roma, 1 aprile 1948, p. 3. r accolto con ritocchi, col titolo Verga e il cinema e la data «1947», in Le parole preparate, pp. 63-65.

Fuga a Bari, «Il Giornale», Napoli, 28 dicembre 1947, p. 3. r acconto. Già, col titolo Un momento un punto e l’indicazione « r acconto di Giorgio Bassani», «L’Italia socialista», roma, 21 dicembre 1947, p. 3.

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Soldati scrittore, «Il Giornale», Napoli, 15 maggio 1948, p. 3. Già, con lo stesso titolo, in «L’Italia socialista», roma, 20 marzo 1948, p. 3. poi in «La r assegna d’Italia», III, 6, giugno 1948, pp. 697-699. Il testo sarà rifuso con quello di un saggio successivo, Nota su Soldati, « paragone», II, 20, agosto 1951, pp. 33-39, e in questa nuova versione sarà riproposto – col titolo Mario Soldati, con la data «1951» e con una Nota di aggiornamento – nel fascicolo de «La Fiera Letteraria» dedicato allo scrittore: IX, 48, 28 novembre 1954, pp. 3 e 7. senza la Nota del ’54, questa versione profondamente rielaborata del testo si trova raccolta (con il titolo Soldati, o dell’essere altrove ma ancora con la data «1951») in Le parole preparate, pp. 127-133.

Neorealisti italiani, «Lo spettatore Italiano», roma, I, 4, aprile 1948, pp. 52-54.

poi in «L’Italia socialista», roma, 1 giugno 1948, p. 3, e in «Il Giornale», Napoli, 18 giugno, p. 3. r accolto, con lo stesso titolo e con la data «1948» in Le parole preparate, pp. 135-139.

Artemisia, «Lo spettatore Italiano», roma, I, 5, maggio 1948, pp. 78-79. poi in «L’Italia socialista», roma, 29 agosto 1948, p. 3, e in «Il Giornale», Napoli, 7 settembre 1948, p. 3. sarà raccolto, con lo stesso titolo e la data «1948», in Le parole preparate, pp. 149-151. recensione dell’omonimo romanzo di a nna Banti, apparso presso sansoni, Firenze 1947.

Neorealisti italiani, «Il Giornale», Napoli, 18 giugno 1948, p. 3.

Già in «Lo spettatore Italiano», roma, I, 4, aprile 1948, pp. 52-54: v. supra

Musica luterana nella Chiesa di S. Ignazio, «Il Giornale», Napoli, 27 giugno 1948, p. 3.

Datato « roma, giugno». Cronaca su un ciclo di Bach eseguito nella chiesa gesuitica dall’organista Fernando Germani.

In piedi e seduti, «Lo spettatore Italiano», roma, I, 7 (luglio 1948), pp. 107-109. poi in «Il Giornale», Napoli, 10 novembre 1948, p. 3. r accolto, con lo stesso titolo e la data «1948», in Le parole preparate, pp. 97-102.

Storia d’amore, «Botteghe Oscure», Quaderno I, r iccardo r icciardi Editore, Napoli [7 luglio] 1948, pp. 89-123.

r acconto. si deve a Bassani, benché non sia indicata, la cura editoriale dell’intero quaderno, l’unico stampato a Napoli sui venticinque apparsi fino al 1960. subito dopo la sua pubblicazione, la promotrice della rivista, principessa

pEr UNa BIBLIOGraFIa NapOLETaNa DI GIOrGIO BassaNI 121

Marguerite Caetani, elesse a roma – dove già aveva sede la redazione – anche la sede tipografica dell’iniziativa. Le vicende editoriali di Storia d’amore attraversano ben quattro decenni, dal 1940 al 1980. La sua prima versione è intitolata Storia di Debora, e si trova raccolta alle pp. 59-131 dell’opera prima di Bassani, Una città di pianura, volume di prose e versi pubblicato con lo pseudonimo Giacomo Marchi – adottato a causa delle leggi razziali – presso Officina d’a rte Grafica a. Lucini e C., Milano [28 maggio] 1940. r iscritto, e con il titolo Storia d’amore, il testo ricompare qui in «Botteghe Oscure». r iproposto dapprima, nell’autunno 1950, come feuilleton nell’edizione pomeridiana del quotidiano «Il Giornale» (v. infra), il racconto verrà raccolto in volume per la prima volta, conservando lo stesso titolo e con la datazione «1938-’48», nel trittico narrativo La passeggiata prima di cena, sansoni, Firenze [aprile] 1953, collana «Biblioteca di “paragone”», V, pp. [7]-67. Dopo nuova riscrittura, e con un titolo destinato a rimanere definitivo – Lida Mantovani – apre le Cinque storie ferraresi apparse da Einaudi nel 1956: di qui, ogni volta con varianti testuali, migrerà in Dentro le mura (1973) e nelle due edizioni de Il romanzo di Ferrara (1974 e 1980).

Artemisia, «Il Giornale», Napoli, 7 settembre 1948, p. 3.

Già in «Lo spettatore Italiano», roma, I, 5, maggio 1948, pp. 78-79: v. supra.

In piedi e seduti, «Il Giornale», Napoli, 10 novembre 1948, p. 3.

Già in «Lo spettatore Italiano», roma, I, 7, luglio 1948, pp. 107-109: v. supra.

Piccolo salotto soffocante, «Il Giornale», Napoli, 16 novembre 1948, p. 3.

Già, con lo stesso titolo, in «L’Italia socialista», roma, 30 settembre 1948, p. 3. Piccolo salotto soffocante è una nuova versione del racconto Mia cugina, apparso in «Il Costume politico e letterario», roma, 29 settembre 1945, p. 14.

Lauro De Bosis, «Lo spettatore Italiano», roma, I, 12 (dicembre 1948), pp. 185-187.

poi in «Il Giornale», Napoli, 17 marzo 1949, p. 3. r accolto, con lo stesso titolo e la data «1948», in Le parole preparate, pp. 103-108.

Lauro De Bosis, «Il Giornale», Napoli, 17 marzo 1949, p. 3.

Già in «Lo spettatore Italiano», roma, I, 12 (dicembre 1948), pp. 185-187: v. supra.

Trieste e le memorie di G.G. Sartorio, «Lo spettatore Italiano», roma, III, 4 (aprile 1950), pp. 86-91.

poi, in due puntate e col titolo Trieste e le memorie di G.G. Sartorio, in «Mondo operaio», III, (10 giugno 1950), 80, p. 11, e III, 82 (24 giugno 1950), p. 11.

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successivamente, in due puntate, coi titoli Vita sempre difficile della cultura triestina e La Trieste di Sartorio credeva nella prosperità eterna, «Il Giornale», Napoli, rispettivamente 26 e 27 ottobre 1950, sempre a p. 3. r accolto infine con varianti, con la data «1950» e col titolo Trieste e le «Memorie» di Giovanni Guglielmo Sartorio, in Le parole preparate, pp. 37-45.

Annibale Zucchini scultore ferrarese, «Il Giornale», Napoli, 18 aprile 1950, p. 3.

saggio. Già, con lo stesso titolo, in «La Fiera Letteraria», V (2 aprile 1950), 14, p. 7.

Vita sempre difficile della cultura triestina e La Trieste di Sartorio credeva nella prosperità eterna, «Il Giornale», Napoli, 26 e 27 ottobre 1950, p. 3. La prima parte del saggio reca in testa l’ordinale «I» ed è accompagnata dal seguente sommario: «Le “Memorie” di G.G. sartorio ci portano in un mondo ben diverso da quello dell’irredentismo romantico dei nostri giorni e delle sue generose contraddizioni». La seconda parte reca l’ordinale «II» ed è preceduta dall’occhiello «Un libro di “Memorie”». prima pubblicazione, col titolo Trieste e le memorie di G.G. Sartorio, in «Lo spettatore Italiano», roma, III (aprile 1950), 4, pp. 86-91: v. supra.

Ofelia e il signorino, «Il Giornale», Napoli, 9 novembre 1950, p. 3. r acconto.

Ludovico innamorato, «Il Giornale», Napoli, 28 novembre 1950, p. 3. Già, col titolo Ludovico Ariosto e Alessandra Benucci, in Storie d’amore, a cura di F.a. [Franco antonicelli], Edizioni radio Italiana, Torino [ottobre] 1950, pp. 21-28.

Storia d’amore, IX, «Il Giornale del pomeriggio», Napoli, 2-3 dicembre 1950, p. 3.

Il brano reca l’indicazione « romanzo breve di Giorgio Bassani». Non è disponibile in biblioteca una collezione completa dell’edizione pomeridiana del «Giornale», per cui questa è la sola puntata finora emersa del racconto di Bassani, qui pubblicato come feuilleton. Con lo stesso titolo, il testo era apparso nel 1948 nel Quaderno I di «Botteghe Oscure» (pp. 89-123: v. supra); si tratta della redazione ripresa dal «Giornale», dove questa IX puntata del feuilleton corrisponde a una larga porzione della parte VIII del racconto: alle pp. 119-121 della rivista, da «“abbiamo tante altre cose da dirci”» fino a «oltre il quale era inutile, forse empio, spingere gli sguardi». Manca la frase che chiude quest’ultimo capoverso: «Dopo, essi avrebbero camminato insieme, protetti dalla divina provvidenza».

pEr UNa BIBLIOGraFIa NapOLETaNa DI GIOrGIO BassaNI 123

Levi e la crisi, «Il Giornale», Napoli, 1 gennaio 1951, p. 3; 2 gennaio 1951, p. 3. La prima parte del saggio reca l’indicazione «Continua» a fine articolo. Il testo era già apparso in « paragone», I, 8, agosto 1950, pp. 32-40. sarà raccolto con ritocchi, con lo stesso titolo e la data «1950», in Le parole preparate, pp. 109-117.

La ragazza cisalpina, «Il Giornale», Napoli, 20 gennaio 1951, p. 3. r acconto.

Pagine di diario / Roma 1944, «Il Giornale», Napoli, 31 marzo 1951, p. 3. Contiene note relative a: Lunedì, 31 gennaio ; Martedì, 1 febbraio ; Mercoledì 2; sabato 12 ; Giovedì, 17 ; sabato, 19. In una versione più ampia ma con modifiche ai nomi propri, con la data «1944», il titolo Roma, inverno ’44 e il sottotitolo (Pagine di un diario ritrovato), è raccolto in Le parole preparate, pp. 209-225. prima di confluire in questo volume il testo era apparso, con l’aggiunta di una Premessa siglata G.B. e col titolo Roma inverno ’44 (pagine di un diario inedito), in «La r ivista Trimestrale», Torino, III (marzo 1964), 9, pp. 102-116 e ancora – senza la premessa e col titolo Roma 1944: pagine di un diario ritrovato – in Racconti italiani 1966, selezione dal reader’s Digest, Milano 1965, pp. 17-36.

Il signor Rovigatti, «Il Giornale», Napoli, 2 novembre 1951, p. 3. r acconto. È la prima stesura di un episodio de Gli ultimi anni di Clelia Trotti, episodio che ritroveremo, con notevoli varianti, nella prima e ampia anticipazione che sia apparsa – già con quello che sarà il titolo definitivo – di questo racconto: « paragone», V, 52, aprile 1954, pp. 43-79, dove reca la data «1953». Il racconto viene poi pubblicato in volume a sé: Gli ultimi anni di Clelia Trotti, Nistri-Lischi, pisa [31 gennaio] 1955, collezione «il Castelletto – collana di romanzi italiani diretta da Niccolò Gallo», n. 2. Con ulteriori varianti il racconto ricompare l’anno successivo come penultima delle Cinque storie ferraresi, pp. 149-210, prima di confluire – sottoposto a ulteriori revisioni – in Dentro le mura (1973) e nelle due edizioni de Il romanzo di Ferrara (1974 e 1980).

Carlo Cassola, «Il taglio del bosco», «Lo spettatore Italiano», roma, VII (luglio 1954), 7, pp. 352-354.

Col titolo La verità sul caso Cassola, in Le parole preparate, pp. 157-161, datato «1956».

I romanzi di Petroni, «Lo spettatore Italiano», roma, VIII (aprile 1955), 4, pp. 143-145.

Col titolo I libri di Guglielmo Petroni, in Le parole preparate, pp. 165-170, datato «1955».

DOMENICO sC arpa 124

si offre, a consuntivo, qualche dato statistico. Il repertorio censisce 43 lemmi bibliografici, dei quali due (i saggi su G. G. sartorio e su Carlo Levi) sono divisi in due parti, e un altro (Storia d’amore in feuilleton per «Il Giornale») è in un numero imprecisato di puntate – ma dieci, probabilmente. Una ripartizione per generi letterari ci dà i seguenti risultati: 7 poesie (delle quali 5 pubblicate in una sola volta: i lemmi bibliografici sono dunque 3), 1 testo diaristico, 7 cronache, 1 saggio sulle arti figurative, 8 racconti (più uno, di nuovo Storia d’amore, che è apparso in due sedi partenopee), 17 saggi o recensioni di letteratura (di cui 5 proposti in due sedi partenopee, vale a dire «Lo spettatore Italiano» e «Il Giornale»).

se si tiene conto dell’intera bibliografia bassaniana finora conosciuta, i testi dispersi e finora mai censiti sono tredici: tutte e sette le cronache, due recensioni letterarie («L’epidemia» di Alberto Moravia e Racconti di Benedetti) e quattro racconti (La felicità; Fuga a Bari; Ofelia e il signorino; La ragazza cisalpina). Ma altri tre racconti ancora (Gina; Piccolo salotto soffocante; Il signor Rovigatti) presentano anticipazioni o varianti così notevoli da poterli considerare a loro volta come testi originali meritevoli di studio a sé.

r ingrazio paola Bassani per avermi mandato in visione i tre articoli di suo padre apparsi nell’edizione romana de «L’Italia Libera».

pEr UNa BIBLIOGraFIa NapOLETaNa DI
125
GIOrGIO BassaNI

massimiliano tortora

Bassa NI E «BOTTEGHE OsCU r E»

1. Bassani redattore di «Botteghe Oscure».

«Botteghe Oscure» uscì dal 1948 al 1960, con scadenza semestrale, per complessivi 25 quaderni. Fu una rivista esclusivamente antologica, che pubblicò testi di autori italiani, francesi, inglesi, statunitensi e tedeschi, oltre a quelli di scrittori di altre nazionalità, sebbene in maniera saltuaria1. Ogni sezione aveva un responsabile: Char per la parte francese 2 ,

1 sulla composizione e il funzionamento di «Botteghe Oscure» si rimanda alle informazioni fornite dall’accuratissima Introduzione di stefania Valli a La rivista «Botteghe Oscure». La corrispondenza con gli autori italiani. 1948-1960, a cura di s valli, roma, L’Erma di Bretschneider, 1999, pp. 1-71.

2 Curiosamente nel ricco epistolario di Marguerite Caetani non sono rimaste lettere di Char, ad eccezione di un breve biglietto, peraltro del ’61. Tuttavia la corrispondenza con altri autori francofoni permette di affermare con sicurezza che, per quanto concerne la sezione francese, Char fu il consulente maggiore. Dello stesso avviso è Jacqueline r isset, che sostiene: «Tra i consiglieri internazionali, quello cui era unita da affetto profondo e da grande stima intellettuale era rené Char, che portò alla rivista molti scrittori notevoli, parecchi dei quali soltanto in seguito sarebbero diventati famosi: Bataille, Blanchot, Leiris, Caillois, e altri ancora. Ma Char, inoltre, conosce e sostiene un gran numero di giovani poeti ignoti molti dei quali, in seguito, si affermeranno in Francia, come Du Bouchet, Dupin, pleynet, Jaccottet» (j. risset, Un’Internazionale di spiriti liberi, in La rivista «Botteghe Oscure» e Marguerite Caetani. La corrispondenza con gli autori stranieri, 1948-1960, a cura di l santone e p tamassia, roma, L’Erma di Bretschneider, 2007, p. xix). si ricordi per inciso, che l’autorità riconosciuta a Char provocò il malumore di paulhan, che ai tempi di «Commerce» ebbe un ruolo di primo piano nella rivista, e dunque al fianco di Marguerite Caetani. In una lettera andata dispersa, ma il cui contenuto è ricavabile dalla risposta, paulhan rimproverava alla Caetani di pubblicare su «Botteghe Oscure», nella sezione francese, soltanto Char e i suoi imitatori. accesa fu la replica della Caetani: «Cher Jean, | je suis très étonnée et peinée du ton et du contenu de votre dernière lettre. Vous constatez mon admiration pour rené Char et vous me donnez raison, ce qui me fait plaisir parce que je le considère le plus grand poète vivant pour dire le moins que je pense. Mais pour ce qui suit nous ne sommes plus d’accord hélas ! Quand vous dites que B.O. publie presque exclusivement les disciples de Char : je ne savais pas que vous, artaud, ponge, Bataille, Blanchot, Camus, Michaux, Limbour, Dhôtel, Garampon, Thomas, Tardieu, Devaulx,

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

Citati 3, Celan, la Bachmann4 ed Enzensberger 5 per quella tedesca, Moss, Ben Johnson ed Eugene Walter si occuparono dell’area anglofona 6; mentre al giovane Bassani, coadiuvato in questo da petroni7 e silone 8 , spettò la

Guilloux etc. vous vous considérez les disciples de Char. Vous dites aussi que les œuvres de ses disciples (les jeunes) sont trop naïves et monotones. Je ne pense pas que vous avec votre acuité critique pouvez en réalité préférer les œuvres que vous publiez si souvent dan vos «Cahiers» de Lambrichs, Mandiargues, de solier, Nimier, de Boissonnas, de renéville» (La rivista «Botteghe Oscure» e Marguerite Caetani. La corrispondenza con gli autori stranieri, 1948-1960, p. 33)

3 È Citati stesso a ricordare il suo ruolo in «Botteghe Oscure»: «Ho conosciuto Marguerite, credo, nel 1953, attraverso Elena Croce, della quale ero molto amico. Io ero giovanissimo allora, avevo ventitre anni, facevo il lettore a Monaco di Baviera e lei mi pregò di metterla in contatto con qualche scrittore tedesco disposto a collaborare con la rivista. Io le procurai tre autori: Celan, che allora aveva pubblicato soltanto il suo primo libro di poesie e che solo più tardi raggiunse la fama; Heinz piontek, che è un buon poeta ma del quale oggi si sono un po’ perse le tracce; e Karl Krolow» (p citati, «La più bella rivista letteraria italiana» del dopoguerra, in La rivista «Botteghe Oscure». La corrispondenza con gli autori italiani, p. 271).

4 paul Celan e Ingeborg Bachmann si occuparono certamente della sezione tedesca del XXI quaderno di «Botteghe Oscure», uscito nella primavera del 1958, come rivela il loro carteggio, specificamente quello del periodo compreso tra il novembre del 1957 e il gennaio 1958 (cfr. i bachmann-p celan, Troviamo le parole. Lettere 1948-1973, roma, Nottetempo, 2010, in particolare pp. 82-102).

5 Enzensberger fu introdotto nell’ambiente di «Botteghe Oscure» da Celan e dalla Bachmann. La sua collaborazione alla rivista è ricavata da una lettera che l’intellettuale tedesco scrisse a Florence Hammond, giovane collaboratrice di «Botteghe Oscure», il 31 luglio 1961: «Frankfurt Main, july 31, 1961 / Dear Miss Hammond, / half year ago, the issue of «Botteghe Oscure» has come out. a s you will remember, I have had a chance to help you with the german contributions to this issue, inviting several authors to submit unplished manuscripts for it. Unfortunately, none of them has been paid to this day. You will perhaps realise that this puts me in a rather painful situation. some of the authors are rather hard up and have asked me repeatedly for their fees. In case you have mislaid their adress, here they are: / 1. Nelly sachs, […] 2. ruth Landshoff-York, […] 3. r ainer Brambach, […] 4. Max Bense, […] 5. rudolph peyer, […] 6. Hilde Domin, […] 7. Manfred Günzel, […] 8. Kuno r aeber, […] 9. Helmut Heißenbüttel, […] 10. Werner reinert […] 11. Uwe Johnson, […] 12. a s well as my self. / I would appreciate it very much if you could remedy this situation, which is embarassing for me as well as for yourself, as soon as possible. / Your very truly, / Hans Magnus Enzensberger». È da dire che i dodici autori citati da Enzensberger comparvero tutti nel XXIV quaderno.

6 Cfr. valli, Introduzione, p. 40.

7 per il ruolo di Guglielmo petroni mi permetto di rimandare a quanto già detto in m tortora, Nell’officina di «Botteghe Oscure»: il breve carteggio Marguerite Caetani-Aldo Palazzeschi, «L’Ellisse», IV (2009), pp. 171-180.

8 Cfr. le lettere di silone alla Caetani, in La rivista «Botteghe Oscure». La corrispondenza con gli autori italiani, pp. 250-255, da cui si apprende che lo scrittore fu consulente anche per l’area germanica.

MassIMILI a NO TOrTOra 128

sezione italiana. r icettore del lavoro e della selezione operata dai diversi responsabili, era Marguerite Caetani, ideatrice e mecenate dell’impresa, che già nel 1924, a parigi, aveva dato vita a «Commerce». r ispetto agli altri collaboratori Bassani ebbe però un ruolo privilegiato, tanto che il suo nome è l’unico ad essere indicato nel frontespizio con la qualifica di redattore9. Giunto alla corte di Marguerite Caetani nel ’48, su suggerimento di Elena Croce10, Bassani, sin dalla sua fondazione, partecipò alla vita della rivista a tutti i livelli, da quelli più pratici a quelli più intellettuali. Non stupisce pertanto scoprire che curò tutti gli aspetti redazionali, quali la scelta della copertina o dei caratteri tipografici, fino alla correzione delle bozze; intrattenne i rapporti con la tipografia, l’editore (r icciardi per il primo numero, poi De Luca) o la casa di distribuzione (prima Mondadori, poi Garzanti e infine, non casualmente, Feltrinelli). a l contempo diede il suo contributo vitale alla rivista, pubblicando su «Botteghe Oscure» molti degli scritti creativi composti dal ’48 al ’60: poesie, e quattro delle Cinque storie ferraresi, raccolta che si aggiudicò il premio strega nel ’56, e diede la piena e definitiva affermazione nel panorama letterario contemporaneo allo scrittore. Ma le Storie ferraresi sono indissolubilmente legate a «Botteghe Oscure» non solo per questioni quantitative, che peraltro avrebbero potuto essere ancora più ampie se Marguerite Caetani, come si dirà anche dopo, non avesse rifiutato Gli ultimi anni di Clelia Trotti. Il fatto è che le Storie ferraresi vengono scritte proprio su sollecitazione della Caetani, e pensate, tutte, per essere pubblicate sulla sua rivista. r icorda a tal riguardo Bassani: a rielaborare per la terza volta, durante l’inverno ’47-’48, Storia di Debora (il racconto [Lida Mantovani] all’origine si chiamava così: il titolo attuale l’avrebbe assunto non prima che fossero trascorsi altri sette anni, e cioè, come ho già detto, nel ’55),

9 Ufficialmente, ma anche nella realtà di fatto, la redazione di «Botteghe Oscure» non fu mai stabile, e vide l’avvicendarsi di più figure, eccetto naturalmente Bassani e la Caetani che rimasero il punto di riferimento per tutti i dodici anni di vita della rivista. La vicenda è attentamente ricostruita da stefania Valli, che scrive: «In realtà, sfogliando i primi tre numeri del periodico, non si trova alcun cenno ai suoi responsabili e curatori, mentre nel quaderno IV appare per la prima volta l’indicazione di Bassani come redattore e, a partire dal numero V, si legge finalmente anche il nome di Marguerite Caetani. Nel quaderno XIV, Bassani viene presentato come “redattore capo” e accanto a lui figura Ben Johnson come “redattore”. Già nel quaderno XV, però, il nome di Johnson scompare e Bassani viene nuovamente retrocesso al ruolo di semplice “redattore”, che poi conserverà fino all’ultimo numero della rivista. Nei quaderni compresi tra il XVIII e il XXII, infine, i nomi di Marguerite Caetani e di Giorgio Bassani sono affiancati da quello di Eugene Walter, presentato come “segretario di redazione”» (valli, Introduzione, p. 39).

10 Cfr. ibidem, p. 19.

BassaNI E «BOTTEGHE OsCUrE» 129

ero stato indotto soprattutto da Marguerite Caetani di Bassiano, la signora mezzo americana, mezzo francese, e mezzo italiana, già animatrice a parigi entre les deux guerres del celebre «Commerce», ed ora, fissatasi anche lei a roma, intenzionata a fondare un nuova rivista internazionale. strano, non è vero? Eppure andò proprio così. se nel primo numero di «Botteghe Oscure», che è della primavera del ’48, mi ripresentai narratore (fra il ’42 e il ’47, gli anni in cui da Ferrara mi ero trapiantato a roma, avevo composto quasi esclusivamente poesie), non fu tanto per obbedire al richiamo di una vocazione espressiva ineluttabile, quanto per corrispondere all’attesa, affettuosa e imperiosa insieme, di una persona amica. È la pura verità.11 si può dunque dire che la carriera di narratore, a danno di quella di poeta, Bassani la scelga proprio per un impulso mosso da «Botteghe Oscure»; ed è naturale pertanto che in questa sede scelga di pubblicare le sue Storie ferraresi. E tuttavia non è questo il contributo maggiore che Bassani diede alla rivista. È infatti nel ruolo di responsabile della sezione italiana che l’intellettuale, critico e scrittore Giorgio Bassani esercitò la sua azione più incisiva: le sue scelte, niente affatto neutre e imparziali, furono determinanti a rendere i venticinque quaderni usciti dal ’48 al ’60, pur nella loro struttura rigidamente antologica, espressione di una determinata idea di letteratura, o se vogliamo una vera e propria proposta di canone; insomma a dettare la linea editoriale e culturale di «Botteghe Oscure».

Ora, su questo ruolo di Bassani all’interno della rivista occorre effettuare delle precisazioni. La lettura dei materiali epistolari rivela come Bassani abbia progressivamente acquistato autonomia, trasformandosi, intorno alla metà degli anni Cinquanta, da redattore e consulente a vero e proprio condirettore, crescendo in forza e sicurezza. Il carteggio con la Caetani è molto fitto negli anni 1948-1950, per poi gradualmente scemare, fino a divenire esiguo nel triennio 1957-1960. Ebbene la consultazione di questo materiale mostra come fino al ’54-’55 Bassani si riferisse alla Caetani come ad un suo superiore: di qui il rispetto assoluto dello spazio concesso alla letteratura italiana, il rinvio costante alla Caetani della parola ultima, e l’accettazione indiscussa dei suoi rifiuti (molto debole, ad esempio, è la difesa de Il taglio del bosco di Cassola, che non aveva trovato l’apprezzamento della principessa12).

11 g. bassani, Laggiù in fondo al corridoio, in id., L’odore del fieno, Milano, Mondadori, 1972, ora in id., Opere, a cura e con un saggio di r cotroneo, Milano, Mondadori, 20012, pp. 935-936.

12 In una lettera non datata, ma collocabile tra settembre e ottobre 1950, Marguerite Caetani, a Bassani che aveva proposto Il taglio del bosco di Cassola, rispondeva: «veramente non posso Cassola. Lei si ricorda che l’ultima cosa sua Lei m’ha chiesto proprio perché stava così male e triste e Lei ha detto di non chiedere mai più per lui. Non mi piace proprio niente di lui. È un genere che non mi piace» (lettera di Giorgio Bassani a Marguerite Caetani del

MassIMILI a NO TOrTOra 130

più tardi invece, in concomitanza anche con un riconoscimento più marcato nel mondo letterario, amplificato e accelerato dallo strega prima, e dall’assunzione da Feltrinelli poi, Bassani si muove in piena autonomia: inserisce così nel XX quaderno le poesie di Bertolucci, Costabile e altri nonostante il divieto della Caetani, preoccupata di uno spazio eccessivo accordato alla poesia italiana13, la interpella meno per sincerarsi che gli autori invitati a collaborare siano da lei apprezzati (a dimostrazione di una sintonia ‘poetica’ ormai consolidata, e non di una prepotenza usurpatrice), e le manda i testi solo nella loro versione definitiva, evitando di sottoporle quelli da lui già scartati14. Insomma si comporta da direttore a tutti gli effetti: «Botteghe

settembre-ottobre 1950, in Sarà un bellissimo numero. Carteggio Giorgio Bassani-Marguerite Caetani, a cura di m. tortora, roma, Edizioni di storia e letteratura, 2011, in corso di stampa). a questo rifiuto, che non precluse comunque a Cassola la pubblicazione di altri scritti su «Botteghe Oscure», Bassani non oppose resistenza; si preoccupò piuttosto di indirizzare il testo su « paragone-Letteratura», ove uscì nel dicembre del ’50.

13 Il 7 agosto 1957 Bassani scriveva alla Caetani: «Una sua frase mi ha agghiacciato: “spero che non ha messo poesie per una volta!!!” Ma cara principessa, come è possibile non mettere poesie? a parte il fatto che il numero del decennale non può essere esente da collaborazione poetica, provi a immaginarsi il racconto di Calvino, seguito immediatamente dal dramma di Dessì. sarebbero ben 130 pagine di prosa, che allontanerebbero, di colpo, qualunque lettore. E poi: come non mettere la poesia di Bertolucci, che per giunta le è dedicata, essendo stata scritta a Ninfa? E poi: come non mettere le poesie di Vollaro, di Tobia, di Costabile, che aspettano da oltre un anno? E poi: come non mettere le poesie di Calef, il quale aspetta, anche lui, da qualcosa come quattro anni? se non uscissero nemmeno questa volta, lo sa cosa dovrei fare? Cambiare indirizzo e girare coi baffi finti. D’altra parte io ho la memoria buona, molto buona. Nella primavera scorsa, prima di partire, lei mi dette l’autorizzazione, una volta tanto, di mettere fino a 160 pagine di italiani. Non vorrà mica, adesso che le sono lontano dagli occhi, e perciò dal cuore, tradirmi così?» (La rivista «Botteghe Oscure». La corrispondenza con gli autori italiani. 1948-1960, p. 104); e dieci giorni dopo, il 18 agosto, Bassani, evidentemente incalzato dalla Caetani, tornava sull’argomento: «per ciò che si riferisce a «Botteghe Oscure»

XX mi permetto di farle osservare che: le 80 (ottanta) pagine del racconto di Italo Calvino, più le 68 (sessantotto) del dramma di Dessì, fanno, messe insieme da sole, 148 pagine di prosa.

Mi deve dare atto di una cosa: che non sono stato io a voler mettere nel prossimo numero né il Dessì né il Calvino. Ci sono piovuti: il primo perché aspettava da un anno, e il secondo perché l’abbiamo supplicato quasi a ginocchi che ci mandasse un racconto. Inoltre: che cosa sono, in confronto a 148 pagine di prosa, 20 (dico venti), di poesia? a parte il fatto che mi sembrano il minimo contrappeso in carattere corsivo a tanto carattere tondo, anche dal punto di vista della spesa non rappresentano, non possono rappresentare un aggravio vero e proprio. Comunque, faccia pure quello che crede. Ho qui le bozze con me. se proprio lo vuole, non mi ci vorrà nulla a ridurre di dieci pagine (ma ne varrebbe la pena?), la poesia italiana» (ibidem, p. 105). E dopo queste due lettere, sul XX quaderno di «Botteghe Oscure», nonostante il parere negativo della Caetani, comparvero tutti i poeti selezionati da Bassani.

14 Inoltre anche nei rapporti con gli scrittori, Bassani si mostra progressivamente più deciso, non esitando a compiere lavoro di editing, o a suggerire revisioni, anche rilevanti, agli

BassaNI E «BOTTEGHE OsCUrE» 131

Oscure» diviene la sua rivista, trasformandosi da luogo di apprendistato, qual era stata fino agli inizi degli anni Cinquanta, a strumento effettivo per proporre una nuova idea di letteratura.

2. Il canone letterario proposto da Bassani. scrive Bassani nel Congedo, lo scritto con cui si annunciava ai lettori la chiusura di «Botteghe Oscure», e si stilava un bilancio dei dodici anni di attività:

[«Botteghe Oscure»] accoglieva tuttavia di preferenza, per non dire in modo esclusivo, contributi di persone niente affatto famose: persone oscure, appunto, cioè scarsamente conosciute nei loro stessi paesi, e perfino nel ristretto ambito dei cenacoli. Giovani per lo più. * * *

«Botteghe Oscure» non ha mai stampato saggi critici […]. Eppure tirando le somme, non direi che la rivista si sia mai limitata ad essere una semplice antologia periodica di buoni racconti e di buone poesie. C’è un modo indiretto di fare della critica, spesso più efficace di quello regolare, il quale consiste nell’operare in determinate direzioni piuttosto che in altre. […]

Ebbene per ciò che riguarda la sezione italiana della rivista (mi riferisco a questa, in particolare, per averne condiviso assiduamente le responsabilità come redattore: ma lo stesso discorso potrebbe estendersi anche alle altre sezioni, francese, angloamericana, tedesca, spagnola), ritengo che i criteri di scelta del materiale siano stati bastevoli a esercitare un’influenza critica notevolmente incisiva sul corso della letteratura italiana […]. Ciò che risalta è l’assenza di qualsiasi prodotto sperimentale, il ripudio ben precoce, a tener conto delle date, di ogni indulgenza nei confronti della cosiddetta letteratura d’avanguardia. si puntava chiaramente sulla efficienza dei testi, insomma, sulla loro maturità e compiutezza espressiva, piuttosto che su personalità più o meno “interessanti” e promettenti. […] per una volta tanto si dovrà pur riconoscere che lo scetticismo non era dalla nostra parte, semmai sulle rive opposte, dove continuava frattanto la noiosa commemorazione delle poetiche d’anteguerra (1936-’41), dopo la splendida fioritura delle quali – si diceva – non c’era stato che il deserto, o il caos.15

Con queste parole Bassani indicava i confini entro i quali si costituì la poetica di «Botteghe Oscure»: da un lato il superamento del lirismo rarefatto degli anni Trenta (soprattutto per quanto concerne la poesia), e dall’altro

scritti inviati. Così ad esempio si comporta con Calvino, al quale chiede di effettuare «qualche taglio» a La speculazione edilizia; purtroppo nell’archivio della Fondazione Caetani non è rimasto il dattiloscritto inviato alla redazione di «Botteghe Oscure» (ma è possibile che si trovi tra le carte di Bassani), e dunque non sappiamo se Calvino seguì l’indicazione dell’amico, o se invece il testo apparso su rivista sia identico a quello spedito dall’autore.

15 g bassani, Congedo, «Botteghe Oscure», XXV (primavera 1960), p. 436.

MassIMILI a NO TOrTOra 132

il rifiuto dei testi eccessivamente sperimentali, ovvero avanguardistici o, più precisamente ancora, della Neoavanguardia, che dalla seconda metà degli anni Cinquanta cominciano ad imporsi nel panorama italiano. La lettura degli indici di «Botteghe Oscure» non smentisce affatto le parole di Bassani: semmai le specifica, mostrando quali furono le linee seguite all’interno di quei confini.

2.1. La poesia.

per quanto riguarda la poesia, il primo dato che emerge è un certo ostracismo nei confronti della componente ermetica; e del resto non è un mistero che Bassani «non amava affatto gli ermetici, li avversava idealmente»16: avversità che trova manifestazione esplicita nella scelta di pubblicare, già nel secondo numero, Fusse un poeta … di Giacomo Noventa, in cui l’«Ermetico» è messo pesantemente alla berlina17 si potrebbe obiettare che però, nonostante tutto, nei fascicoli di «Botteghe Oscure» si incontrano comunque testi di parronchi, di Bigongiari, di sinisgalli, di De Libero, di Gatto e di Luzi. Ma è un’obiezione che tiene solo fino ad un certo punto. Di questi autori infatti vennero pubblicati solo testi che in qualche modo rinnegavano la precedente produzione poetica degli anni Trenta (e tale inversione di rotta all’epoca veniva percepita in maniera più netta di oggi): e infatti trovano spazio il parronchi successivo alla «conversione»18, con testi decisamente più mossi, talora aperti a situazioni narrative, e comunque costruiti su situazioni concrete19; Romanzo 1917 di a lfonso Gatto, che è un realistico ricordo del nonno20; il Monologo di Luzi, un poemetto che rappresenta, insieme ai testi

16 citati, «La più bella rivista letteraria italiana» del dopoguerra, p. 272.

17 «Fusse un poeta … / Ermetico, / parlaria de l’Eterno! / De la coscienza in mi, / E del mar che voleva e no’ voleva / (a h, canagia d’un mar!) / Darme le só parole / / Ma son … / (parché no’ dirlo?) / son un poeta. / E ti ghe gèri ne la mia barca. / E le stele su nú ghe sarà stàe, / E la coscienza in nú / E le onde se sarà messe a parlar, / Ma ti ghe gèri ti ne la mia barca / (E gèra ferma i remi) / In mezo al mar», g noventa, Fusse un poeta, «Botteghe Oscure», II (1948), p. 12.

18 p. p. pasolini, Parronchi e la «via dell’umano» [1957], in id., Passione e ideologia, Milano, Garzanti, 1994 [1960], p. 501.

19 Cfr. a parronchi, Poesie [Sera, Veglia di fine anno, Viaggio a Pietramala], «Botteghe Oscure», X (autunno 1952), pp. 401-405.

20 Cfr. a gatto, Romanzo 1917, «Botteghe Oscure», III (primavera 1949), pp. 194-196. È da ricordare che Gatto fu invitato da Bassani a collaborare anche una seconda volta, ma l’invito cadde nel vuoto. scriveva infatti Bassani a Gatto, in una lettera non datata ma del 30 gennaio 1951: «Caro Gatto, | hai niente di pronto da darmi per B.O.? sarei molto lieto di pubblicare ancora qualcosa di tuo. | Il 14 febbraio p. v. la principessa Caetani riceverà a

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di Quaderno gotico, il primo tentativo di uscire da una stagione ormai conclusa 21; certi componimenti brevi di sinisgalli in cui l’ hic et nunc si fa riconoscibile («Corre oggi la brezza degli Elisi / da Largo Chigi a r ipetta»22); le poesie di De Libero23, in cui si registra un’«ostinata permanenza del soggetto (nelle sue poesie c’è sempre un io che parla […]) e […] la consistenza di un’interpretazione naturalistica dell’universo»24); l’unica eccezione è rappresentata da Bigongiari, i cui testi non fanno registrare uno scarto significativo rispetto alla produzione d’anteguerra 25. Inoltre questi autori vengono accolti solo in un’occasione e con un numero estremamente limitato di componimenti; dato meramente quantitativo che però diventa di forte significato se si pensa che Bertolucci e pasolini compaiono in ben cinque quaderni, Fortini in quattro, Caproni in tre, e gli ‘anziani’ saba e Montale in due. a ciò si aggiunga che dopo il decimo quaderno, in cui vengono pubblicate tre brevi liriche di parronchi, la parola degli ermetici scompare da «Botteghe Oscure». E questo atteggiamento spiega forse più di ogni altra supposizione perché Giuseppe Ungaretti, all’epoca letto soprattutto attraverso la lente del Sentimento del tempo, non abbia mai collaborato con la rivista (e l’esclusione ha un peso particolare se si pensa che Ungaretti era stato il consulente principale di «Commerce», e negli anni Cinquanta era ancora intimo amico di Marguerite Caetani 26).

casa sua, alle 17.30, i collaboratori di B.O. Naturalmente sei invitato anche tu. | Molto cordialmente il tuo | Bassani» (Centro Manoscritti Università di pavia, Fondo Gatto, ep., c. 10; nello stesso fondo è conservata anche un’altra lettera di Bassani, sempre relativa a «Botteghe Oscure», del 14 maggio 1950: «Caro Gatto, | ti sarei grato se mi mandassi a stretto giro di posta una nota bio-bibliografica (luogo e data di nascita, libri pubblicati, ‹…›) da mettere in un’a ntologia di «Botteghe Oscure» di prossima edizione in a merica. | Grazie e scusa la fretta | Giorgio Bassani»).

21 Luzi pubblicò il Monologo sul III numero di «Botteghe Oscure» (1949); il poemetto poi non è stato più pubblicato in forma integrale. Nel Giusto della vita, Garzanti, Milano 1960, Luzi ripropone le parti IV e V, mentre nella sezione Perse e brade all’interno de L’opera poetica (m luzi, L’opera poetica, a cura di s verdino, Milano, Mondadori, 1998) sono riprese le parti III, VII e IX (quest’ultima «in diversa e più ampia stesura», s verdino, Apparato critico di Poesie Sparse, in luzi, L’opera poetica, p. 1427).

22 l. sinisgalli, Corre oggi la brezza, «Botteghe Oscure», IX (1952), p. 405.

23 Cfr. de libero, Versi per uno spettro, «Botteghe Oscure», II (autunno 1948), pp. 103106.

24 r luperini, Il Novecento, Torino, Loescher, p. 600.

25 Cfr. p bigongiari, Poesie [Inverno arido, Un giorno per caso la verità, Ritorno di fuoco, Perplessità], «Botteghe Oscure», IX (primavera 1952), pp. 390-393.

26 Di avviso diverso è Citati: «Non credo affatto che si tratti di una esclusione voluta [quella di Ungaretti]. Non mi risulta che Bassani avesse cattivi rapporti con Ungaretti: probabilmente è stato un caso»; e a stefania Valli e a Luigi Fiorani pronti a ricordare l’av-

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L’ermetismo in sostanza per Bassani, per petroni e per la Caetani voleva dire il passato, una pagina chiusa della storia letteraria, un fardello culturale di cui liberarsi. perciò attraverso le pagine di «Botteghe Oscure» si tentò un’opera di rinnovamento del panorama poetico italiano, puntando in particolare su autori molto giovani o comunque non ancora pienamente riconosciuti, e in ogni caso non compromessi con i modelli poetici degli anni Trenta. In particolare la proposta di rinnovamento si affidò a tre aree.

Venne fortemente privilegiata la cosiddetta linea sabiana, ossia quella poesia con una spiccata prevalenza narrativa (ad esempio La capanna indiana di Bertolucci e La Funivia – poi inserita nelle Stanze della funicolare – di Caproni, componimenti apparsi rispettivamente sul IV e sul III numero di «Botteghe Oscure»), con un lessico che seppur ancorato al grande stile, si rivela più basso di quello della tradizione (si veda il primo quaderno della rivista con le poesie di Bertolucci, di penna e di a ntonio r inaldi), e con un io lirico che coincidendo con l’io autobiografico, fa sì che la poesia si apra a tematiche del quotidiano e del privato e si spinga verso una dimensione diaristica (ancora il quaderno di apertura della rivista può fungere da esempio, e in modo particolare Qui sorrise … di r inaldi, testo dedicato alla madre scomparsa). È da sottolineare poi che all’interno della linea sabiana, oltre a

versione di Bassani «nei confronti della poesia ermetica», Citati risponde: «sì, ma Ungaretti era un’altra cosa e Bassani lo ammirava. […] Era troppo intelligente Bassani per rifiutare poeti buoni, anche se erano ermetici» (citati, «La più bella rivista letteraria italiana» del dopoguerra, p. 274). a ltra è invece la spiegazione di a ntonio russi: «il suo [di Ungaretti] legame con il regime fascista e il fatto stesso di essere stato accademico d’Italia rappresentarono nel dopoguerra un forte limite e questo forse può spiegare perché i suoi testi non vennero mai pubblicati su «Botteghe Oscure»» (a russi, Per una letteratura senza confini, in La rivista «Botteghe Oscure». La corrispondenza con gli autori italiani, p. 293). Da non sottovalutare però sono le parole di disistima che lo stesso Ungaretti scrisse a paulhan in riferimento a «Botteghe Oscure», e la sua dichiarazione, sempre a paulhan, di essere stato lui ad aver rifiutato l’invito a collaborare alla nuova rivista: «La revue de la princesse a paru. Elle m’avait téléphoné pour que j’y collabore. Je ne lui donnerai jamais rien. Elle a ramassé autour d’elle les derniers descendants de Coppée, sauf un ou deux qui sont tombés là par méprise» (lettera di Giuseppe Ungaretti a paulhan del 16 agosto 1948, in Correspondance Jean Paulhan-Giuseppe Ungaretti, 1921-1968, édition établie et annotée par j. paulhan, l. rebay, j.ch. vegliante, paris, Gallimard, 1989, p. 394); e qualche anno dopo, il 29 gennaio 1956, Ungaretti scriveva a paulhan: «Je crois avoir oublié de t’écrire au sujet de ma collaboration à «Botteghe Oscure». J’aime toujours beaucoup la princesse. Je ne pourrai jamais oublier qu’elle a été très bonne pour moi quand ma vie était difficile jusq’au désespor. Mais «Botteghe Oscure» ne m’attire pas. C’est mal né, c’est mal inspiré, c’est mal dirigé. On y trouve de très bons textes, par hasard» (ibidem, p. 492) . Nonostante le fiere e severe parole di Ungaretti, rimane comunque il sospetto che l’invito di Marguerite Caetani e di Giorgio Bassani non sia stato eccessivamente caloroso.

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saba 27, e a Caproni, Bertolucci, penna e l’eccentrico Noventa, autori che vengono pubblicati anche ripetutamente, larghissimo spazio viene riservato a quella che pasolini ha definito la «linea parmigiana»28, cui afferiscono i fratelli Francesco e Gaetano arcangeli (di quest’ultimo si ricordi almeno Ora il mondo è la stanza, scritta tra il ’51 e il ’53 ed edita sul XIV quaderno), Gian Carlo artoni, a lberto Bevilacqua, Franco Giovanelli (che fa registrare uno dei pochi testi apertamente politici presentati da «Botteghe Oscure»: «E allora, a lcide [De Gasperi], va via / tu, preti, nuovi soldati / e questa folla confusa»29), Mario Lavagetto, a ntonio r inaldi, e il giovanissimo Bernardo Bertolucci che pubblica i suoi primi componimenti sul XVII quaderno, all’età di quindici anni. sotto il forte influsso di attilio Bertolucci, maestro e capostipite di questo gruppo di poeti, quasi certamente in gran parte giunto a «Botteghe Oscure» tramite Bassani, la «officina parmigiana» rivela «una tendenza […] a una forma di realismo […], corretta da una tendenza opposta all’otium, un po’ accademico e comunque elegante»30: si registra insomma un’attenzione agli oggetti e alla vita concreta che fa segnare uno stacco dalla precedente stagione ermetica, o meglio un suo superamento. E furono questi elementi che favorirono l’apprezzamento di Marguerite Caetani e di Giorgio Bassani, che in quanto poeta a questa corrente apparteneva.

L’altro filone seguito da «Botteghe Oscure» sulla strada del rinnovamento poetico è quello sperimentale. si allude a quel gruppo di poeti che confluiranno nel ’55 in «Officina» e che puntano sul poemetto narrativo, sul plurilinguismo e sulla tensione sociale. Vengono così pubblicati i poemetti di Volponi, di roversi, di pasolini e di Massimo Ferretti, la cui Croce copiativa, autobiografia in versi, testimonia l’attività dello scrittore prima della sua svolta neoavanguardista, oltre che poesie ancora di pasolini e di romanò (queste ultime invero con una carica sperimentale più debole di quella riscontrabile nei testi dei suoi sodales). La fiducia accordata al futuro

27 Umberto saba pubblicò sul III quaderno undici liriche di Uccelli, e sull’XI Gli ebrei, un gruppo di Ricordi – Racconti introdotti da Carlo Levi. È da ricordare che nel luglio del ’51 saba offrì alla rivista, tramite Bassani, anche trentacinque liriche di Amicizia, richiedendo però un compenso oggettivamente molto alto («L. 100.000; e queste subito, all’accettazione, cioè del dattiloscritto», lettera di Linuccia saba a Giorgio Bassani del 12 giugno 1951, in La rivista «Botteghe Oscure». La corrispondenza con gli autori italiani, p. 243), e l’autorizzazione ad anticipare «prima tre delle poesie di Amicizia in altre r iviste» (ibidem); pretese queste che indussero Bassani e la Caetani a declinare la proposta.

28 p. p. pasolini, Officina parmigiana, in id., Passione e ideologia, p. 457.

29 f. giovanelli, Satira sul ponte (Per l’inaugurazione del Ponte di Bassano), «Botteghe Oscure», XXV (primavera 1960), p. 284.

30 pasolini, Officina parmigiana, p. 458.

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gruppo di «Officina» non deve stupire oltremodo: la poesia officinesca fu sì sperimentale, ma mai antiletteraria, e il suo plurilinguismo (realizzato anche attraverso l’inserimento di livelli lessicali prima esclusi dalla produzione poetica) non significò mai abbassamento e degradamento stilistico e linguistico: si tratta insomma di poesia con un alto tasso di letterarietà e che dunque rientrava all’interno dei criteri selettivi stabiliti dalla redazione di «Botteghe Oscure» (e questo può spiegare l’assenza di Leonetti, il meno letterario, nonché il più politico, degli autori di «Officina»).

Infine, negli indici di «Botteghe Oscure» si riscontra anche la presenza della cosiddetta linea del «classicismo moderno», o, per usare la definizione a cui ricorre sereni nella Postfazione a Levania di solmi, «paradossale classicismo»31: si tratta di una poesia fortemente ancorata ad un ideale alto della letteratura (e in questo «organica con le forme della tradizione»32), ma al tempo stesso aperta al contingente e all’ hic et nunc (con ovvie incursioni verso il basso); una poesia capace di «rappresentare gli oggetti, le situazioni e i conflitti del presente conservando una dignità espressiva, un’integrità etica, un equilibrio fra espressione di sé e stile»33; una poesia di crisi e di fiducia al contempo. Quanto questo modello poetico potesse essere apprezzato da Bassani, fautore sì di un rinnovamento delle forme letterarie, ma senza rinnegare la tradizione, è facile immaginare. E significativo in tal senso è il posto d’onore accordato a Montale, che con L’anguilla apre il primo quaderno di «Botteghe Oscure» (e di Montale – quaderno IV – viene pubblicato anche So che un raggio di sole, poi ne La bufera all’interno della sesta sezione, quella di Madrigali privati). E parimenti significativo è il fatto che Fortini, sul cui classicismo formale associato ad una tensione verso il presente non occorre insistere, compaia come già detto in ben quattro fascicoli della rivista (e non soltanto con opere poetiche). Manca il terzo grande nome del classicismo moderno: Vittorio sereni. La sua assenza tuttavia è imputabile, è possibile supporre, alla crisi d’ispirazione che colpì lo scrittore nella prima metà degli anni Cinquanta, ed è in parte bilanciata dalla presenza di

31 v sereni, Postfazione a s solmi, Levania, Milano, Mantovani, 1956, poi in id., Letture preliminari, Liviana, padova 1973, p. 54 (ed è da sottolineare che sereni riprende la formula dallo stesso solmi, che a sua volta l’aveva coniata per a lain e Valéry). si usa qui la categoria critica di ‘classicismo moderno’ nell’accezione proposta da g. mazzoni, nel volume Forma e solitudine, Milano, Marcos y Marcos, 2002.

32 Ibidem, p. 19.

33 Ibidem, p. 21.

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Erba (già nel VI quaderno) e di Orelli (XXII), che insieme a sereni vennero inseriti da a nceschi nell’antologia Linea lombarda34 .

Tirando le somme delle scelte effettuate in poesia, pare legittimo sostenere che Bassani abbia perseguito uno svecchiamento della lirica italiana, cercando soprattutto di dar voce a tutte le forze post ermetiche (ossia privilegiando composizioni poetiche aperte ad un confronto diretto con la realtà), e non puntando su una linea specifica in particolare: se ne ricava che gli indici di «Botteghe Oscure» finiscono per essere rappresentativi della nuova poesia italiana del secondo Novecento

2.2. La narrativa.

Non esattamente lo stesso si può dire per la narrativa. In quest’area, nella quale Bassani stava ricercando la giusta misura per un proprio registro, le scelte redazionali, sia pure a maglie molto larghe, appaiono sostanzialmente unidirezionali.

a ncora l’elemento quantitativo può aiutare. Gli autori che comparvero maggiormente su «Botteghe Oscure», oltre Bassani, sono Carlo Cassola, Guglielmo petroni, Giuseppe Dessì (quattro volte), Manlio Cancogni, Mario soldati (tre), e Italo Calvino, che seppur con solo due testi, La formica argentina e La speculazione edilizia, occupa un numero non irrilevante di pagine della rivista. si aggiunga a queste considerazioni un dato interpretativo: nel triennio ’58-’60, quando nel campo della letteratura italiana la rivista risulta meno incisiva, incapace di intercettare testi di giovani e meno giovani poi stabilmente entrati nel canone, l’unica prosa oggettivamente di valore, proveniente specificamente da Bassani più che dall’ambiente di «Botteghe Oscure», è il capitolo de Il gattopardo, uscito in anteprima.

Gli autori qui citati e i loro testi possono essere ricondotti ad un minimo comune denominatore, ossia ad uno specifico modello di narrativa. a ben vedere, non si può negare che ad essere privilegiati da Bassani sono sostanzialmente i «narratori-narratori», i «romanzieri-romanzieri»35. Calvino,

34 Nel XXV quaderno compare anche Nelo r isi, ma in qualità di traduttore; r isi aveva infatti curato insieme a Margherita Dalmati la versione italiana di alcune poesie di Kavafis (cfr. m dalmàti, n risi, Traduzioni da Cavafis, «Botteghe Oscure», XXV, primavera 1960, pp. 428-433).

35 L’espressione è presa da un’intervista che Bassani rilasciò nel ’64 all’«Europa letteraria»: «Veramente io non respingo affatto le tendenze antinarrative di certa odierna narrativa. Ma mi accorgo che la domanda mi inoltra in un corso di pensieri di una certa complessità. Effettivamente credo che esistano all’interno del «narrare», diciamo così, narratori-narratori e narratori-antinarratori, romanzieri-romanzieri e romanzieri-antiromanzieri. In linea gene-

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soldati, Cancogni, petroni e gli altri infatti pubblicano romanzi e racconti di impianto tradizionale, con una struttura lineare e compatta, sostanzialmente allergica alla formula dell’«opera aperta», teorizzata nei secondi anni Cinquanta, ma già messa in pratica nel primo Novecento. Era l’inamovibilità dell’oggetto-mondo di fronte al soggetto a garantire la forma chiusa e compatta a queste narrazioni; inamovibilità che finiva per collocare i narratori di «Botteghe Oscure» nel grande filone realista del secondo Novecento. I dati ci appaiono incontrovertibili: sui venticinque quaderni usciti dal ’48 al ’60 vengono accolti, per limitarci solo a quegli autori che hanno conosciuto diverse e spesso contraddittorie fasi nella propria produzione, il petroni postsolariano (Il mondo è una prigione, La casa si muove, Noi dobbiamo parlare), il Dessì successivo alla svolta realista (Isola dell’Angelo e La frana), il Cancogni che negli anni Quaranta si apre alla vita minuta e quotidiana ( Azorin e Mirò viene pubblicato sul primo fascicolo) o il Calvino che, dopo il fallimento de I giovani del Po, si apre ad una forma di «realismo speculativo»36. Eppure, siamo ovviamente al di qua di quel «mare dell’oggettività», per affidarci proprio a Calvino, che nel giro di pochi anni avrebbe inondato il panorama letterario italiano ed europeo. La lezione primonovecentesca di proust, in particolare, e svevo non era passata invano. L’osservazione della realtà, anche quando attenta agli aspetti sociali è sempre filtrata da un soggettopersonaggio (di qui la scelta prevalente del narratore omodiegetico), che, per assumere forza e robustezza, ha tratti smaccatamente autobiografici: si pensi soltanto, per proporre solo due esempi, a La speculazione edilizia o a Il mondo è una prigione. Insomma la descrizione del mondo circostante non vieta l’indagine psicologica del soggetto, ma anzi ne costituisce uno dei momenti di verifica decisivi; senza che questo implichi ovviamente un’abdicazione a qualsiasi forma di mimesi o di referenzialità all’esterno37.

rale ho l’impressione che i narratori-antinarratori riflettano una sostanziale opposizione di se stessi al mondo, opposizione che si duplica anche nel senso di un’opposizione di se stessi come poeti, di se stessi in quanto artisti (picasso, per esempio, mi viene in mente). Questa specie di artisti completamente artisti, di monadi eroiche isolate in mezzo al caos insensato del mondo, è sempre esistita, esisterà sempre. Io sono di un’altra specie» (bassani, In risposta (II), in id., Di là dal cuore, Milano, Mondadori, 1984, ora in id., Opere, p. 1211).

36 Cfr. c milanini, L’utopia discontinua. Saggio su Italo Calvino, Milano, Garzanti, 1990, in particolare il terzo capitolo, Il realismo speculativo: La speculazione edilizia , La nuvola di smog , La giornata di uno scrutatore, pp. 67-98.

37 Un altro autore che potrebbe ricondursi a quest’area, ma che non ha mai pubblicato su «Botteghe Oscure», è Bilenchi. Tuttavia lo scrittore toscano fu invitato da Bassani a collaborare alla rivista, come testimonia una lettera, inedita, dell’11 dicembre 1951: «Caro Bilenchi, | l’estate scorsa, di passaggio per Firenze, ti telefonai. Ma tu eri in montagna, a

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È questo il modello di narrativa promosso sulle pagine di «Botteghe Oscure»; un modello che non ammette, oltretutto, eccessi strutturali, tematici, ideologici.

si registra pertanto «l’assenza di qualsiasi prodotto sperimentale»38: mancano all’appello, infatti, Volponi, la neoavanguardia, il surrealismo più oltranzista. E anche le eccezioni tutto sommato risultano poche e moderate: c’è sì Gadda, ma che per Bassani rappresenta lo scrittore che ha dato l’affresco sociale più veritiero della civiltà contemporanea 39; mentre il Landolfi di Cancroregina non è affatto quello della narrativa destrutturata di L A BIERE

DU PECHEUR, così come il Delfini di Racconto non finito è lontano dalla ‘scrittura automatica’ degli Automics.

a l contempo, si evitano i testi che ricercano il colpo ad effetto, o la tematica pruriginosa ed accattivante. su questo basti un esempio per tutti: nel ’51-’52 Bassani e la Caetani, incoraggiati anche da Elena Croce, rifiutano Luna di miele, sole di fiele di Moravia, autore lungamente invitato a collaborare con la rivista, proprio perché espressione di una narrativa elegante, lineare e realista; il motivo è il contenuto esplicitamente sessuale del racconto, nonché alcune implicazioni politiche.

E l’esplicito impegno politico, quando assume forme palesemente ideologiche, viene bandito da «Botteghe Oscure»: così per quanto concerne la memorialistica del dopoguerra si pubblica Il mondo è una prigione di Guglielmo petroni, ma non Bonfantini (scartato peraltro proprio da

quanto mi dissero al giornale. | perché non mi mandi qualcosa per «Botteghe Oscure»? Mi avevi promesso anni fa un lungo racconto, se ben ricordi. Credo Anna e Bruno. E allora? | Non dimenticare che la rivista paga bene, e che potrai avere, oltre al resto, dei magnifici estratti. | r ispondimi subito. E credimi, intanto, il tuo | Bassani | p. s. avrei, se credi, qualche buon articolo per il «Nuovo Corriere» da mandarti. Io non collaboro che al «Giornale» di Napoli, che, come saprai, è un foglio liberale. paga molto poco: e così mi tornerebbe veramente comodo poter piazzare gli stessi articoli da qualche altra parte. se tu poi tenessi assolutamente all’inedito, potrei benissimo accontentarti, giacché al «Giornale» non fanno, a questo proposito, nessuna obiezione. | scrivi a roma, Via Gran sasso 16» (Centro Manoscritti Università di pavia, Fondo Bilenchi, ep., c. 17).

38 bassani, Congedo, p. 436.

39 scrive Bassani, in una lettera del 29 agosto 1957 a Marguerite Caetani, in cui stila un bilancio dei romanzi usciti durante l’anno in corso: «su tutti gli altri si eleva, comunque, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda (Garzanti). si tratta di un romanzo ambientato a roma: l’argomento, che è un fattaccio di cronaca nera, non è che un pretesto. Gadda se ne serve per darci un’immagine di roma di una potenza straordinaria. Nessuno scrittore, dopo il Belli, era riuscito ad andare tanto oltre sul piano della trasfigurazione fantastica della realtà» (La rivista «Botteghe Oscure». La corrispondenza con gli autori italiani. 1948-1960, p. 107).

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Bassani). Ma a farne le spese di questa impostazione sarà lo stesso Bassani, che nel ’54 vedrà sorprendentemente rifiutato Gli ultimi anni di Clelia Trotti. Il motivo non è perché «a Marguerite Caetani non era piaciuto. L’aveva trovato inferiore ai precedenti, “un po’ noioso”» 40, come lo scrittore sostenne nel finale de Il romanzo di Ferrara, ma per il contenuto esplicitamente politico del testo:

Venendo qui un’ora fa ho preso una decisione. Di non mettere suo racconto anche se levasse quelle dure pagine. Lei si ricorda che dicevo sempre che era molto difficile che volessi prendere un racconto con questo soggetto. Non l’ho mai fatto. È un soggetto che non posso pensarci, e sono sempre stata così. a Villa romaine non ricevevo mai una persona conosciuta per questo, nemmeno Caetani. Trovo che questo racconto aprirebbe la porta ad altre proposte che non vorrei nemmeno. Bisogna seguire una linea nella vita trovo. so che Lei lo può mettere in altre riviste con grande facilità41

Bassani accetterà la suprema decisione, pubblicando il suo racconto su « paragone»; e continuerà, come già detto, il suo lavoro di rinnovamento della letteratura italiana attraverso «Botteghe Oscure». Un lavoro che però conoscerà il suo pieno compimento solo due anni dopo la chiusura della rivista: nel ’62 esce Il giardino dei Finzi Contini, romanzo che appartiene in tutto e per tutto al filone narrativo promosso da «Botteghe Oscure»: il vero punto di convergenza, potremmo dire tra il Bassani critico, lo scrittore e il redattore di riviste.

40 bassani, Laggiù, in fondo al corridoio, p. 941.

41 Lettera di Marguerite Caetani a Giorgio Bassani, non datata, ma del 1954 (Sarà un bellissimo numero. Carteggio Giorgio Bassani-Marguerite Caetani ).

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a

LL’INsEGNa

DI UN «VErO M a EsT rO». Bassa NI E « paraGONE»

1. Premessa.

La ricostruzione del rapporto tra Bassani e « paragone» è paragonabile a un processo indiziario. perdute (o per meglio dire distrutte) le carte di a nna Banti, che avrebbero testimoniato direttamente la voce di Bassani, inaccessibili quelle di Cesare Garboli, che avrebbero potuto forse illuminare gli ultimi anni della sua collaborazione alla rivista, è ora possibile seguire una fase di questa avventura letteraria attraverso un gruppo di lettere di a nna Banti a Bassani, conservate nel Fondo Bassani e solo recentemente emerse da un primo lavoro di catalogazione1.

Quello che è rimasto, e ancor più quello che si ricava da testimonianze indirette, ci permette tuttavia di ricostruire una collaborazione editoriale, un mondo culturale, una rete di rapporti personali e di lavoro in cui Bassani

1 Vorrei ringraziare le molte persone che hanno contribuito ad aggiungere un tassello a questo mosaico: Beatrice Guarnieri, che ha dedicato la sua tesi di dottorato alla ricostruzione della storia di « paragone» (poi parzialmente in «Paragone-Letteratura»: storia di una rivista, « paragone», s. III, a. LVII, febbraio-giugno 2006, nn. 63-64-65, pp. 142-169); Laura Desideri e Fausta Garavini che mi hanno permesso di incrociare con indicazioni e suggerimenti il loro lavoro di scavo su a nna Banti; Domenico scarpa e la sua sapienza interpretativa sui dati apparentemente meno significanti, i direttori e conservatori degli a rchivi in cui ho cercato documenti e testimonianze di questo lungo sodalizio letterario (l’a rchivio Contemporaneo del Gabinetto G.p. Vieusseux di Firenze, la Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia di siena, che conserva vari preziosi materiali, tra cui il Fondo Fortini e il Fondo parronchi). Ma soprattutto la mia riconoscenza va a paola Bassani, che con il fratello Enrico custodisce e valorizza le carte del padre, che mi ha permesso di consultare, con generosa disponibilità, il nucleo di lettere di a nna Banti a Giorgio Bassani emerso da un primo recupero archivistico. a Lei va un ringraziamento speciale e l’augurio che l’epistolario Banti-Bassani possa presto venire pubblicato integralmente e che un archivio così prezioso, non solo per la conoscenza di Bassani ma più in generale per la letteratura del Novecento, possa presto diventare uno strumento condiviso di ricerca e di studio. Gli stralci di lettere di a nna Banti a Bassani sono qui citati per gentile concessione di paola ed Enrico Bassani e della Fondazione Bassani.

italia
paola
Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012 ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

ha agito, per più di quarant’anni, da protagonista, sia nei momenti di maggiore collaborazione alla rivista, sia, e ancor più, in quelli dell’isolamento e dell’emarginazione. Un diagramma con alti e bassi che mantiene, come costante della funzione, la mirabile capacità di Bassani di svolgere il proprio lavoro come organizzatore culturale, come redattore e come consulente: lettore attento e discreto di opere anche molto lontane dal suo gusto personale. partiamo dai dati storici. « paragone», come è noto, ha avuto varie serie, relative anche ai vari rapporti editoriali e agli apporti redazionali. Utilizzo la classificazione di Beatrice Guarnieri, che distingue quattro serie legate ad altrettanti referenti editoriali:

– prima serie (1950-1961) dal n. 1 al n. 144 (sansoni, copertina verde)

– serie r izzoli (febbraio 1962-dicembre 1964) dal n. 145 al n. 180 (copertina azzurra)

– (nuova) serie Mondadori (aprile 1965-1968) dal n. 182 al n. 226 (copertina azzurro intenso e nuova numerazione della nuova serie)

La sede si tripartisce, e alla redazione fiorentina di via Benedetto Fortini, si aggiungono quella romana (via sicilia 136) e quella milanese (di via Bianca di savoia 20). Con il n. 208 del giugno 1967 la redazione torna ad essere solo fiorentina e con il dicembre 1968 si chiude anche la serie Mondadori.

– serie sansoni (febbraio 1969-1986) dal n. 228 al n. 442 (redazione fiorentina e copertina azzurra)

– Nuova serie (febbraio 1987-1995) dal n. 444 al n. 546 (la copertina torna verde, a richiamare il colore originario, e una nuova numerazione rende le serie, artistica e letteraria, indipendenti l’una dall’altra)

– Terza serie (1995-oggi) dal n. 548 agli ultimi numeri (dal giugno-agosto 1997 ci sarà anche una sovraccoperta bianca)

La presenza di Bassani nel comitato di redazione riguarda un arco temporale piuttosto lungo, che possiamo suddividere in ‘tre tempi’, dalla prima serie alla serie sansoni, con una significativa interruzione centrale.

i tempo 1953 (n. 44) - 1960 (n. 122)

ii tempo interruzione dal 1960 (n. 124) al 1964 (n. 170)

iii tempo dal 1964 (n. 172) al 1971 (n. 258)

Bassani entra ufficialmente in redazione a metà del 1953, con il n. 44, in una compagine che vedeva già nomi significativi (Banti, Bertolucci, Bigongiari, Gadda, Noferi, Zampa), collabora fino al n. 122 del 1960, numero a partire dal quale il suo nome viene cancellato dal frontespizio della rivista. Lo sarà per altri cinquanta numeri, fino al n. 172 del 1964. È un’interruzione sulle cui cause non abbiamo una sola interpretazione, ma le voci si sovrappongono, accusano, difendono, contraddicono. Un’interruzione che coincide anche con un momento di fortissima crisi all’interno della redazione, sug-

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gellata dal passaggio dalla prima serie sansoni alla serie r izzoli, ed evidente anche solo dall’etichetta con cui è passato alla storia: il ‘25 aprile’. Dopo una diaspora durata quattro anni, nel 1964, Bassani torna in redazione, fino al n. 258 del 1971, anno in cui lascia il testimone a Fausta Garavini.

È un arco di tempo molto ampio, testimoniato da una doppia partecipazione. Da un lato infatti egli collabora come scrittore, con anticipazioni di racconti, poesie, traduzioni, e come recensore e autore di interventi critici, dall’altro compare sulla rivista come recensito, come uno degli autori della scuderia di «paragone» (e vedremo quanto questa rivendicazione di appartenenza o di esclusione culturale sia significativa per la rivista e per i suoi rapporti con essa).

a partire dagli Ultimi anni di Clelia Trotti dell’aprile del 1954 (a risarcimento di Una lapide in via Mazzini, promesso a « paragone» e poi uscito –con gran dispitto di a nna Banti – su «Botteghe Oscure»), Bassani pubblica infatti sulla rivista fiorentina alcuni dei testi centrali della sua produzione: dall’integrale degli Occhiali d’oro nel febbraio 1958, ai primi sei capitoli dell’Airone (con il titolo di Natura morta) nell’ottobre 1966, e nel febbraio 1967 i successivi sei, con titolo definitivo.

Credo sia utile seguire queste due storie in parallelo, quella di « paragone», attraverso le vicende dei suoi comitati redazionali, e quella di Bassani, redattore e scrittore, nel loro vario intreccio, non solo per fare luce su un aspetto finora poco indagato del ruolo culturale di Bassani negli anni Cinquanta e sessanta, ma anche perché, utilizzando « paragone» come indicatore di funzione, questo diagramma, con i suoi picchi e le sue depressioni, ci dice molto della temperie culturale di quegli anni, e degli indirizzi che avrebbe preso (o che avrebbe invece potuto prendere) la narrativa italiana in generale e quella di Bassani in particolare.

Non sarebbe possibile intendere il rapporto di Bassani con « paragone» senza partire dalle origini: la formazione bolognese e il rapporto intellettuale e personale con Longhi, su cui lo stesso Bassani ha lasciato una testimonianza diretta in Un vero maestro. Credo che, in generale, la diaspora della prima metà degli anni sessanta sia stata per Bassani tanto più dolorosa quanto meno Longhi era intervenuto – come vedremo – per impedirla.

a l rapporto con Longhi lo stesso « paragone», nel 2006, ha dedicato un numero speciale con alcuni imprescindibili interventi (per cui cfr. la nota bibliografica). Le cinque lettere inviate da Bassani a Longhi e commentate da Maria Cristina Bandera ci parlano di un allievo più scapestrato che devoto, di un rapporto maestro/discepolo svoltosi sui libri, sulle tele e sui campi (da tennis), dove la venerazione del giovane ferrarese non era inferiore

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2. I prodromi: 1930-1952.

all’ammirazione del maestro per il brillante professionista della racchetta. Un rapporto in cui l’allievo solo il 1 dicembre 1958, nel pieno del successo editoriale del Gattopardo, riesce con molte difficoltà a usare il «tu» epistolare «benché» – aggiunge – «per lettera sia quasi più difficile».

Mi atterrò invece ai percorsi editoriali. Che procedono in parallelo, a partire dal 1949, quando Bassani diventa redattore fisso di «Botteghe Oscure» e l’anno successivo roberto Longhi e a nna Banti fondano « paragone». scrive la Banti il 9 novembre 1949:

Caro Bassani, credo di averle più volte parlato di un progetto di rivista letteraria che si voleva far nascere, alternato a numeri di critica figurativa diretti da Longhi. pare che ora il progetto si realizzi, presso sansoni. I numeri letterari saranno di critica, ma corredati di una parte antologica critico-moderna, di inedito, o testi poco noti. Il carattere della rivista vuol essere apertissimo a ogni problema di cultura vivo e capace di interessare un pubblico non troppo specializzato. Con me se ne occupano diversi amici suoi come Bertolucci, a rcangeli etc. avremmo quasi pensato d’includere il suo nome tra quelli del comitato di redazione. Non avrebbe Lei nulla da proporci per il secondo o il terzo numero? La collaborazione potrà consistere anche in recensioni brevissime, noticine di prima mano, stelloncini, e simili. si conterebbe su di Lei anche per comunicare la cosa ad altri eventuali collaboratori nuovi.

L’atto di fondazione della rivista segna già le coordinate di quello che sarà il loro rapporto. per la Banti Bassani non sarà mai un collaboratore come gli altri, ma un consulente d’eccezione, un contatto per reclutare nuovi autori (Cassola e D’arzo, ma anche Frassineti e r ichelmy, che Banti non esiterà a definire «schifiltoso e barbarico» [lettera del 5 maggio 1952]), un redattore che aveva occhio ed esperienza per potere apprezzare le scelte formali, oltre che i contenuti della neonata rivista (presentando il 6 gennaio 1950 la ‘Biblioteca di paragone’ commenta: «Vedesse che belle copertine e sopraccopertine che ci sta combinando Mattioli»), e a cui passare gli autori che « paragone» non avrebbe potuto ospitare, soprattutto per ragioni di spazio. E ancora, un account per la raccolta pubblicitaria, un agente di marketing nella capitale e infine un autore cui chiedere, anche all’ultimo momento, di intervenire per colmare le inadempienze degli altri collaboratori.

Emblematica a questo proposito la lettera del 2 gennaio 1950, dove la Banti chiede a Bassani, nell’ordine, di «mandare il più sollecitamente possibile» un racconto di Cassola che avrebbe dovuto recapitare personalmente a Firenze e il suo «saggetto» (un commento a Rosa Gagliardi sulla prima maniera di scrittura di Cassola); di «non dimenticarsi di scrivere presto l’articolo sulla ronda» di cui aveva parlato con Bertolucci, di «chiedere se la benemerita Banca Commerciale volesse effettuare una inserzione pubbli-

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citaria su « paragone», inserzione che verrebbe impaginata da Mattioli con gusto conforme al carattere tipografico della rivista», di dare diffusione a «due avvisetti pubblicitari». E chiude con un perentorio: « personalmente: aspetto l’ultimo quaderno di B.O.».

a partire dall’11 settembre 1952 (sei anni prima con Longhi) Bassani passa al tu, ma non cambiano toni e modi. Banti è imperativa, efficiente, seduttiva. a nche molto autoironica. Capace di commentare, il 5 giugno 1953, provata dall’esaurimento nervoso e dall’impossibilità di leggere a causa dei frequenti giramenti di testa: «sono nera come una bottiglietta d’inchiostro». E ancora il 2 luglio, dopo un’influenza: «Ho assaggiato buona parte della farmacopea internazionale. L’unico vantaggio è che sono dimagrita!». E il 14 aprile 1954: «sono stanca come un vecchio cane». sarcastica, ma non avara di simpatiche note sulla piccola paola Bassani, alla quale manda saluti, ma anche divertiti «omaggi» (23 dicembre 1951) e di cui segue sollecita le vicende mediche e i successi scolastici.

Non risparmia invece i commenti, anche salaci, per la principessa. «Veda se donna Margherita sgancia un compenso un po’ decente per il mio racconto. sarebbe, oltre tutto, un riparazione doverosa» (l’8 dicembre 1950).

E accogliendo tiepidamente i racconti di Furst, il 20 ottobre 1951: «non dico che siano cattivi: ma mi paiono di quel genere che, proprio, è passato, “scontato”. Come vede, nessuna obiezione di quelle che usa fare la sua nobildonna, anzi. E di che si avrebbe paura, noi specializzati in Genet, pasolini etc? Dica la verità, neanche lei li pubblicherebbe [...]».

Dal punto di vista di Bassani (che ci è testimoniato solo indirettamente), il leit motif di questa prima fase è una sorta di ‘arte della fuga’, costellata da continue dichiarazioni di volersi sottrarre all’orbita centripeta della principessa, e dall’incapacità di farlo. Le corrispondenze di questo periodo – biennio 1950-1951 – ce lo presentano a Napoli, con un insegnamento di Letteratura italiana presso l’Istituto Nautico: 21 ore la settimana, alloggio dai preti, lavoro intenso in solitudine. La famiglia a roma, in una casa con vista sui monti di Tivoli e pochissimi «malandati mobili». scrive a Dessì il 9 novembre 1950: «B.O. È un temporale che brontola all’orizzonte», ma lo sollecita a scrivere poesie da pubblicare, previo, come sempre, consenso della principessa. Nella stessa lettera gli suggerisce di dare un’occhiata a « paragone», per potere leggere un articolo su Carlo Levi (il primo contributo lì pubblicato).

a ncora il 12 gennaio 1951, a Giuseppe Dessì, scrive a proposito della Passeggiata prima di cena: «Lo vedrai presto: o nel prossimo numero di «Botteghe Oscure», o nel numero di aprile di « paragone»». Dando a intendere di non avere ancora deciso il da farsi, proprio mentre rassicurava la

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Banti e Marguerite Caetani della sua collaborazione. Nella stessa lettera a Dessì leggiamo: « passo un periodo di una certa tensione con la principessa, e non è escluso che presto o tardi io dia le dimissioni dalla redazione della rivista: e mi dispiacerebbe, perché mi rende 40.000 lire al mese. Ma cosa vuoi farci? Non si può durare in eterno in un posto simile, insidiato dalle più varie pressioni psicologiche e mondane; né, d’altra parte, ci sono solo i quattrini al mondo. Insomma, la principessa è stanca di noi, della nostra firma – ho l’impressione. E dal suo punto di vista, chissà, forse ha ragione. Che noia, però: dico aver a che fare con gente legata a destini o vocazioni del genere!». L’arte della fuga è ancora da imparare. per tutto il 1952 Bassani legge « paragone» e ne parla insistentemente nelle lettere (il 16 agosto 1951 scrive a parronchi «Ho letto di recente in « paragone» delle cose tue molto buone») e scrive su e per «Botteghe Oscure», come se parlare dell’altra rivista potesse aiutarlo a sottrarre tempo ed energie alla propria. per la prima ‘investitura’ sulla rivista longhiana dobbiamo aspettare il giugno 1952. Ma la penna, a recensire Un’altra libertà, è quella di pasolini (Giorgio Bassani, a. III, n. 30, giugno 1952, pp. 76-78). se sono pochi, quindi, fino al 1952, i rapporti diretti con il lavoro redazionale, si costruiscono invece più saldi legami a distanza. Di nuovo, privi di documenti, dobbiamo far parlare i dati indiretti, ma è impossibile non riconoscere un filo rosso che lega alcuni interventi critici di a nna Banti a una precisa e dichiarata poetica narrativa bassaniana nel comune segno di Manzoni. penso al saggio del 1951 su Romanzo e romanzo storico (a. II, n. 20, pp. 3-7), al parallelo tra Ermengarda e Gertrude del 1954, e soprattutto a Manzoni e noi, una vera e propria dichiarazione di parte (del giugno 1956, ma datato «maggio 1955»). È un filo che si dispiega su un arco di tempo molto ampio, che ci porta già dentro il I tempo del rapporto Bassani/«paragone»: L’ingresso.

3. I tempo. L’ingresso: 1953-1960.

L’ingresso è dalla porta principale. Con tanto di solenne investitura da parte del dominus, del ‘vero maestro’. Longhi infatti sceglie Bassani per presentare su « paragone-arte» un quadro di Mario Cavaglieri appartenente alla sua collezione. Bassani di Cavaglieri non sa, non crede di sapere abbastanza – « peccato che mi manchi un’esperienza sufficiente della contemporanea cultura francese (Bonnard, per es.)» –, ma non perde l’occasione. È la sua prosa che il maestro ha scelto per la consacrazione del pittore, quella prosa lirica e geometrica, della perfetta geometria di piero, di cui Marco a ntonio Bazzocchi ha ricostruito la ragione interna, la diffrazione della realtà. Bassani non può non accettare: «Cercherò di destreggiarmi in qualche modo» (5 febbraio 1953).

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E la recensione, che doveva essere sfoderata in meno di una settimana, arriva dopo due mesi, il 27 marzo (Un inedito di Mario Cavaglieri, « paragonearte», a. IV, n. 39, marzo 1953, pp. 51-53). Ma l’allievo dei seminari bolognesi fa di più, scegliendo il quadro di Cavaglieri per la Passeggiata prima di cena (edito da sansoni, nel 1953, proprio nella Biblioteca di « paragone»), e ripreso poi anche nelle Cinque storie ferraresi (Torino, Einaudi, 1956). a lla fine di marzo il libro è pronto per essere licenziato alla stampa.

Il diagramma vede nell’estate del 1953 il suo picco ascendente. La passeggiata, consacrata dalle edizioni di « paragone», concorre e perde lo strega («una vera cafonata» lo consola la Banti il 2 luglio). sul numero 44 dell’agosto il nome di Bassani appare in controcopertina e quella che il mese precedente era ancora un’estraneità (il 10 luglio 1953 aveva scritto a Fortini, per una probabile pubblicazione di Poesia ed errore nelle edizioni di « paragone»: «Ho parlato anche ai paragonisti: e ti dirò subito che qui la situazione non è così chiara. Bertolucci non si dimostrò niente affatto contrario, ma dubbioso, comunque, sia pure coalizzandosi meco, di riuscire a varare il libro. presto vedrò la Banti e Longhi, e saprò, definitivamente, che vento tira da quella parte. poi ti riferirò») diventa una familiarità stretta. Con un ammiccante rimprovero, il 23 ottobre 1953, Banti lamenta la carenza di notizie: «il tuo silenzio è pieno di fascino ma, oggi come oggi, piuttosto incomodo. Dove sei, cosa fai? […] Vedi di telefonarmi, “creatura santa” (plagio degli epiteti a paolina). poi, sarò di nuovo qui, dove la tua “settimana fiorentina” è sempre in programma. Ma: fatte uscì er fiato (plagio da p. p. pasolini, edizione purgata)». Ed è ancora pasolini, sullo storico numero 44 (‘cast stellare’: Contini sul XXX dell’Inferno, Bo su svevo, Nencioni sulla linguistica di Manzoni, due poesie di sandro sinigaglia, e L’avventura di un impiegato di Italo Calvino) a dare consacrazione all’esordiente narratore (Bassani, « paragone-Letteratura», a. IV, n. 44, agosto 1953, pp. 83-87) parlando di «splendore interno alla lingua» e di «sensualità e chiarezza intellettiva», come dati comuni alla sua poesia e prosa poetiche. E percependo molto lucidamente (e continianamente) in un tic nominalistico la contraddizione tra i succhi di un neorealismo non di maniera (Ferrara) e la prosa anteguerra (F.), dove l’ambiente è un «valore poetico» e la psicologia un «ritmo narrativo».

La collaborazione a « paragone» non interrompe, anzi incrementa gli scambi tra le due riviste. per l’inedita Osteria di silvio D’arzo è la Banti stessa a proporre un passaggio a «Botteghe Oscure»: «L’ho letto, è una cosa interessante, un pochino surrealista, antecedente a Casa d’altri. penso che converrebbe a «Botteghe Oscure» più che a noi, dato che in un volume solo non reggerebbe e per la rivista è troppo lungo» (28 settembre 1953). I diritti

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per la traduzione di un racconto di D’arzo su «Encontero», «amabilmente concessi dalla serenissima Direttrice di «Botteghe Oscure» a scapito della madre indigente, sollecitano la consueta ironia, condita da una femminilissima perfidia: « a me, tu capisci, di questa faccenda non (etc.). Ma la serenissima […], la serenissima, dico, poteva pensare che, morto l’autore, potevano esistere eredi a nome dei quali nessuno l’aveva autorizzata a trattare così principescamente» (26 settembre 1954).

stretto tra la ‘principessa’ e la ‘Zarina’, Bassani mostra indugi e resipiscenze. Come si è detto, la quinta delle Storie ferraresi, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, racconto che Marguerite Caetani aveva trovato «inferiore ai precedenti», viene indirizzata a « paragone» (a. V, n. 52, aprile 1954), sollevando le comprensibili ire della Banti, se era vero (come era vero) che veniva presentato a risarcimento di Una lapide in via Mazzini, promesso inizialmente a « paragone» e poi pubblicato su «Botteghe Oscure».

L’incidente non impedisce a Bassani di continuare nella partita doppia (è significativo che in una lettera a pasolini del 1955 dichiari di non essere disponibile alla sceneggiatura «del film di Trenker» perché «Botteghe Oscure» deve uscire entro il mese ed «esige la mia presenza a roma. […] per trascurare Botteghe Oscure dovrei trovarmi veramente male a quattrini»). per non parlare della successione. per uscire da «Botteghe Oscure» e dedicarsi completamente a « paragone» Bassani dovrebbe trovare un successore. Oppure continuare nel doppio binario. Inutile dire che sceglierà quest’ultima soluzione, finendo per diventare, da braccio destro della principessa, braccio operativo della Zarina, che gli affida la redazione della rivista per intrinseca familiarità e completa fiducia (e con il sottile compiacimento di sottrarlo alla «sua nobildonna»). Con il risultato di rendere Bassani stretto tra due fuochi, e le due riviste due vasi ancora più comunicanti. significativo è il rapporto con pasolini. È Bassani, su indicazione della Banti, a convincerlo dei tagli da apportare al Ferrobedò [titolo inizialmente previsto per il romanzo che diventerà Ragazzi di vita] (lettera a pasolini del 5 maggio 1953: «anche purgato non possiamo accostarlo a un pubblico di abbonati ‘scolastici’ che forma un buon terzo dei nostri sostegni»), ed è ancora Bassani a trovare una collocazione su « paragone» alle poesie di Leonetti, rifiutate dalla principessa.

Tra l’aprile e il maggio 1954 Banti è con Longhi in spagna, e lascia la redazione della rivista a Bassani e a Mina Gregori. a l ritorno, non avendo ricevuto solleciti aggiornamenti, commenta, questa volta più sarcastica che ironica: «Non mi fermo nell’ipotesi che qualcosa non ti sia andato bene in paragone 52: me lo avresti detto. pigrizia, dunque? Comunque prendo la penna per ricordarti che la spagna non ci ha ingoiati». E, come non bastas-

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se, aggiunge: « r iceverai, a parte, quel che ho potuto tirar fuori dalle unghie della sansoni per la tua Clelia: venticinquemila» (14 maggio 1954). Uno sfogo comprensibile e una velata accusa. Non tale da incrinare i rapporti, ma sufficiente a gettare un’ombra lunga su una relazione che continua a mantenersi su un piano di serietà, disponibilità, fiducia, ma che comincia a perdere smalto, a registrare piccoli malintesi e incomprensioni. a partire dalla conferenza del marzo 1955 su Moravia: una lettura dell’appena uscito Disprezzo che non aveva entusiasmato il redattore di «Botteghe Oscure». Compiacente e rassicurante, già dal febbraio precedente, la Banti lo aveva lusingato: «Capisco il tuo imbarazzo, ma tu sei tanto bravo che te la caverai benissimo senza tradire la verità del tuo giudizio» [8 febbraio 1955]). Che Bassani non se la fosse cavata benissimo lo dichiara la lettera del 7 marzo 1955, in cui una Banti più rassegnata che irritata rifiuta all’amico la pubblicazione della recensione al Disprezzo per far posto a quella – sicuramente più ortodossa – di seroni. senza rimpianti, ma anche senza rancori: «Non credere a nessun mio risentimento», conclude. Di malinteso in malinteso.

Il 1957 si inaugura con un’incomprensione per un’«intervistuccia» in cui la Banti, a proposito di «Botteghe Oscure», ribadisce il carattere poco collegiale delle decisioni redazionali (ricordando come il rifiuto al Taglio del bosco, fosse dovuto solo al fatto che «al direttore di B.O. non piaceva» [lettera del 7 febbraio 1957]). Ma nell’ottobre del 1957 succede qualcosa che cambia radicalmente le forze in campo. Bassani viene assunto da una grande casa editrice nazionale, dal forte impegno ideologico come Feltrinelli. a nche per questo tassello – mancando ancora alla consultazione i materiali dell’archivio Feltrinelli – è impossibile ricostruire dettagliatamente il ruolo svolto da Bassani come consulente, organizzatore, redattore.

L’affaire Gattopardo ha oscurato il più quotidiano e minuto lavoro letterario, quel lavoro in cui l’esperienza maturata in «Botteghe Oscure» poteva trovare un’applicazione su larga scala, e poteva adoperarsi con maggiore autorità. In questo senso – lo si ricava dal tono delle lettere scritte in questi anni – cambia anche la dinamica delle forze in campo. Bassani non è più il redattore di una rivista prestigiosa finanziata da una munifica e capricciosa mecenatessa (come avrebbe detto Gadda), ma uno degli esponenti più in rilievo dell’estabilishment culturale romano-milanese, il regista occulto della principale collana di narrativa Feltrinelli (fino a suggerire, senza mezzi termini, al vecchio a lessandro Bonsanti, nell’ottobre 1958, l’integrale riscrittura della Buca di San Colombano, ristampato dopo la prima edizione del 1937, ma che l’autore non si era deciso a sottoporre alla necessaria, accurata revisione « per pagine e pagine, il tuo racconto è scritto sciattamente. perché? per quale ragione? Va bene che l’arte è abbondanza, ricchezza. Ma i puri

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errori, la trascuratezza, le imprecisioni non necessarie, che cosa c’entrano con l’arte?», lettera del 22 ottobre 1958, n. 623). È lo stratega di un marketing che, se non era ancora avviato sui tempi e i volumi che sarebbero poi stati imposti dallo star system mondadoriano, aveva già abbandonato le forme di un’editoria raffinatamente artigianale, come la ‘doppietta’ del Dottor Zivago e del Gattopardo stavano a dimostrare.

In tale contesto era difficile che il nuovo ruolo non si riflettesse sui rapporti interni alla redazione di « paragone». parallelamente al suo peso culturale, dentro e fuori la casa editrice, la stella di Bassani comincia a salire. E ascende – potremmo davvero dire – sotto il cielo di Lombardia «così bello quando è bello».

Ne sono prova i due Editoriali del giugno 1958 e dell’aprile 1959. Nel primo la Banti, che fino a poco tempo prima aveva assunto la condirezione della rivista con Bigongiari (dedicatosi principalmente alla sezione di poesia) si assume l’onere del bilancio in prima persona, rivendicando l’autonomia della rivista, e la sua lungimiranza nell’accogliere, prima che venissero stampati in volume, opere centrali della narrativa degli anni Cinquanta come Il taglio del bosco di Cassola e Un giorno di fuoco «prove di una misura e di una originalità non facilmente superabili».

Nel secondo – non firmato ma ugualmente di a nna Banti – il quadro critico si amplia, e come excusatio non petita di una omissione di intervento critico («Confessiamo che anche « paragone» ha, su questo terreno i suoi rimorsi») produce un’antologia di racconti di giovani scrittori che dovrebbero indicare, con la concretezza del fare piuttosto che con indicazioni di percorso, la linea che « paragone» intendeva promuovere. I testi pubblicati la dicono lunga sul raffinato gusto critico dei ‘paragonisti’, ma anche sullo splendido isolamento fiorentino. accanto a Testori, Orelli e Bevilacqua abbiamo Beatrice solinas Donghi (genovese, poi fortunata autrice per ragazzi), Lucia sollazzo (Migliarino pisano, 1922), simona Mastrocinque (1927, scrittrice e regista).

Il terzo editoriale affronta direttamente l’affaire Gattopardo. Ed è, come possiamo ben immaginare, un ‘parlare da nuora perché suocera intenda’. La Banti svincola subito il best seller dai successi del botteghino e lo inserisce in un quadro critico anche molto ambizioso, che ripercorre sociologicamente le cause del mancato romanzo nazionale, e pone Lampedusa direttamente sotto le insegne di Manzoni, a lui affine non già per avere arretrato all’Ottocento un romanzo contemporaneo e fuori tempo, quanto per essere riuscito a tradurre in uno sguardo disincantato e ironico quella distaccata presa di coscienza del reale che entrambi, per estrazione sociale e impulso morale, vorrebbero molto più vicino a quello che dovrebbe che a quello che potrebbe essere.

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Manzoni diventa di nuovo la piattaforma comune. a lle domande di «Nuovi argomenti» del maggio-agosto 1959 sulla crisi del romanzo e sulle possibilità di un ‘romanzo storico’, Bassani dà una risposta di tutta evidenza, che dichiara, dal punto di vista di narratore ed editore, da che parte voleva stare: «Come scrittore ho sempre guardato più all’Ottocento che al Novecento; e fra i grandi romanzieri di questo secolo, a quelli che come proust, James, Conrad, svevo, Joyce (il Joyce dei Dubliners) e Thomas Mann, derivano direttamente dal secolo scorso» (Opere, p. 173).

Ma che l’astro di Bassani splendesse ora anche sotto un cielo metropolitano, che avviava l’industria culturale nella macchina del boom economico, ce lo dicono altri piccoli indizi, che segnano tuttavia la svolta nelle quotazioni bassaniane. Come in questo breve appunto della Direzione editoriale Mondadori: «la Banti ha fatto intravedere il solito spauracchio: Bassani, per conto di Feltrinelli, le ha offerto un milione di anticipo sul romanzo che sta scrivendo» (14 novembre 1959). siamo ancora ai piani alti del diagramma.

4. II tempo. La diaspora: 1960-1964.

Ma dai piani alti è più facile cadere. Il 15 marzo 1959 Claudio Gorlier scrive a Bigongiari: «Bàrberi mi riferisce del 25 luglio di «paragone». abbastanza funny, specie se visto dalle rive del po, s’intende» (lettera riportata da Donata Taddei, Critica e letteratura nel primo decennio della rivista «Paragone», p. 427). Che non ci si potesse riferire a un evento cronologico (come ipotizza Beatrice Guarnieri: «non sappiamo cosa possa essere successo il 25 luglio, presumibilmente del 1958») è fuori discussione. Quello che si era consumato nei primi mesi del 1959 era un vero e proprio colpo di stato (e la memoria era ancora molto fresca per non potersene, come oggi invece accade, dimenticare). Che aveva visto contrapporsi la redazione fiorentina, capitanata da Bigongiari, a quella romana, che faceva capo a Bassani e a Bertolucci. Nel luglio avanzato, anche se Bàrberi squarotti si affretta a parlare di «pacificazione completa», i rapporti tra Bigongiari e la Banti erano ancora molto difficili. E non aveva certo contribuito ad appianare i contrasti l’Autoritratto poetico pubblicato da Bigongiari nel numero 114 del giugno 1959, in cui il poeta fiorentino rendeva omaggio agli amici della ‘terza generazione’ (Luzi, Gatto, Macrì), inaugurando una serie di interventi che avrebbero dovuto seguire di lì in poi, delineando un quadro di riferimento comune (credo piuttosto effetto che causa, nonostante l’interpretazione di adelia Noferi), che privilegiava decisamente la scelta poetica a quella narrativa da sempre preferita dalla rivista, e le cui linee ispiratrici non erano state tracciate né da Longhi né dalla Banti. Che alle prime critiche azzera il comitato redazionale e assume in prima persona tutta la responsabilità di «paragone».

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È Longhi stesso a intervenire, nell’aprile 1960, dichiarando (laconicamente) di avere dovuto sospendere «l’elenco dei redattori letterari e di affidare ad a nna Banti, in forma più esplicita, il compito redazionale» per non meglio precisati altri impegni di lavoro e «difficoltà d’ordine crescente» manifestate da parte dei «redattori fuori sede» (Editoriale, « paragone», a. XI, aprile 1960, 124, p. 3).

per ben due anni, fino alla nuova serie del 1962, al timone di « paragone» ci sarà la sola Banti, che reggerà le sorti della navigazione in ostinata e rigorosa solitudine. scrive il 7 aprile 1960 a sereni: «Non so se lei sappia – questo è un argomento del tutto privato – che per incompatibilità fra la redazione romana e la fiorentina (Bassani-Bigongiari) ho dovuto sciogliere, almeno per ora, il comitato redazionale e rimanere sola a redigere la rivista». E che non si trattasse, almeno a questa altezza, di un’incompatibilità Banti Bassani, lo dice il saggio pubblicato su « paragone» nel giugno 1961 dove interviene da par suo a consacrare la collana di Narrativa che Bassani aveva fondato e diretto in Feltrinelli: ‘Biblioteca di Letteratura. I Contemporanei’ (Censimenti, giugno 1961).

Nel 1962, per inaugurare la serie r izzoli dovuta al cambio di gestione editoriale, « paragone» esce con un editoriale che spiega, senza ovviamente entrare nella cronaca personale, molte delle scelte di due anni prima. a un decennio dalla sua fondazione, e di fronte ai primi fermenti della neo avanguardia (I Novissimi sono freschi di stampa, 1961), ad a nna Banti è chiaro che il prezzo che « paragone» aveva dovuto pagare per non rimanere ancorato ai fiorentinismi della terza generazione bigongiariana non poteva diventare la svendita della propria eredità letteraria ai nuovi avanguardismi e dichiara la propria indipendenza ed equidistanza da entrambi. r ileggiamo, in questo senso, l’editoriale della ‘serie r izzoli’: si è chiuso il tempo dell’avanguardia, con tutto ciò che le avanguardie poterono rappresentare durante il ventennio fascista, cioè un simulacro di resistenza passiva. Come è finito l’avanguardismo letterario anche in ogni suo tardo travestitismo ed in ciascun indugio dei suoi flosci tentativi di sopravvivere, così è inattuabile e irresponsabile pretesa quella di limitare un programma letterario qualsiasi entro i valori della pura letteratura.

Né con Firenze, né con palermo, si potrebbe dire. se è vero che il convegno del ‘Gruppo 63’ si sarebbe costituito a più di un anno dalla stesura di quel programma letterario, l’aria che si respirava a Firenze tirava già verso sud, tanto da spingere la Banti a dichiarare, senza mezzi termini, l’estraneità della nuova serie della rivista allo «sperimentalismo disorganico» e agli «effimeri certami di parole» che fanno perdere di vista l’obiettivo principale della letteratura ovvero il suo confronto con la realtà. se il nome di Bassani non

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fosse già sparito dal frontespizio della rivista si potrebbe dire che l’editoriale era stato ispirato dalla lettura dei saggi poi confluiti in Di là dal cuore.

Le conseguenza più immediata del passaggio editoriale a r izzoli è una decisiva iniezione di romanità (arbasino, arpino [a. Banti, Bassani e Arpino, « paragone-Letteratura», a. XIII, aprile 1962, 148, pp. 92-96]), in una redazione che mantiene, della primitiva compagine, solo lo zoccolo fiorentino: Innamorati, Luti, Vasoli e – a far parte per se stessi (e vedremo che parte) – Testori, Garboli, e dal numero 158 del febbraio 1963 a ldo rossi.

È proprio l’ingresso di rossi a rompere quell’equilibrio tra le opposte forze in campo che la gestione centralistica del triennio 1960-1963 era riuscita a mantenere. Nel corso del 1963, infatti, lasciano la nuova redazione Innamorati (20 giugno, comunicato da una nota di Longhi in agosto), Luti e Vasoli. Due volte. Una prima volta in una lettera del 16 ottobre 1963 – adducendo generiche motivazioni lavorative rispetto all’abbandono di Innamorati

, e una seconda con la lettera aperta del novembre successivo, che getta sul tavolo degli imputati l’articolo che rossi aveva pubblicato nell’ottobre 1963: Storicismo e strutturalismo, in cui aveva sottoposto a una serrata, ma impietosa analisi la poetica di Binni (anchilosata sulla replica seriale di un modello critico sperimentato in età giovanile sulla poesia di Leopardi, e poi ripetuto all’infinito). a lla serialità di Binni («poetica del vecchietto che con gli anni migliora») rossi contrappone la geniale originalità di Luigi Baldacci, che ribalta le posizioni critiche dell’avversario, individuando spesso il vertice critico di un autore nelle sue prove iniziali, piuttosto che in una aprioristica e binniana concezione del progresso poetico («poetica del giovinetto che con gli anni dissipa l’ingegno e le belle speranze che aveva destato»).

a nche se il saggio di rossi è dell’ottobre del 1963, le dimissioni di Innamorati erano arrivate già nel giugno, mentre quelle di Luti e Vasoli, dell’ottobre, non pubblicate perché giunte a bozze chiuse, finiscono sul numero di novembre insieme alla seconda lettera (che può fare direttamente segno al saggio di rossi come responsabile delle repentine dimissioni).

se tra il 1960 e il 1963 la vicenda di rossi azzera la componente fiorentina della nuova compagine redazionale, nel medesimo triennio e con la stessa dinamica, l’ingresso di un nuovo redattore fa piazza pulita della componente romana.

si potrebbe dire, alla Moravia: «Entrò a lberto». Ma si dovrebbe rispondere: «Uscì Giorgio». Il giovane arbasino, per certi versi, potrebbe essere – in sfrontatezza e intelligenza (ma anche in manierismi e precisioni estetizzante) – una replica, aggiornata agli anni sessanta, dell’allievo della città di pianura. salvo che i due non si sopportano. In tutto sono diversi. a mano Longhi, e se ne contendono la privilegiata attenzione. Ma sono diversi anche

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nel modo di lusingarlo. r ileggiamo la descrizione, toccante, che ne aveva fatto Bassani sulla «Fiera Letteraria» del 1955, Un vero maestro (l’ha ripubblicato paola Bassani proprio su « paragone» nel 2006):

a lto, simpatico, elegantissimo, con un viso dai tratti molto asimmetrici, di una espressività eccezionale: più che a un professore, a uno studioso, Longhi faceva pensare a un pittore, a un attore, a un virtuoso! d’alta razza e d’alta scuola, insomma, ad un artista. Non c’era nulla in lui dell’enfasi curialesca della tradizione carducciana imperante all’università di Bologna, di quell’unzione accademica che per tutto l’anno precedente mi aveva riempito di venerazione e di noia, nessuna posa erudita, in lui, nessun sussiego di casta, nessuna boria didattica e didascalica, nessuna pretesa che non riguardasse l’intelligenza, la pura volontà di capire e di far capire: e per questo, non per altro, ci si sentiva a un certo punto osservati dai suoi occhi nerissimi che lustravano, piccoli e malinconici come per febbre, dietro il taglio spiovente del pince-nez e delle grandi palpebre brune (occhi da spadaccino italiano del seicento, mi sorpresi un giorno a pensare bizzarramente).

E confrontiamola con quella di arbasino: per differenziare stilisticamente Longhi da Contini ebbi il torto di dire o scrivere che il primo dà l’impressione di essersi vestito casualmente pescando in armadi e cassetti dei cashmere al buio, con risultati di suprema sprezzatura, mentre può sembrare che l’altro abbia passato ore davanti allo specchio aggiustandosi righe e quadretti e paisley e pois o cerchiolini per apparire sempre acchittato a quattro spilli.

E poi c’era stata la faccenda di Fratelli d’Italia, che arbasino aveva consegnato a Feltrinelli e che Bassani aveva voluto riscrivesse. a nche in questo caso abbiamo di fronte un procedimento indiziario, dove i testimoni sono vari e non sempre concordi nella ricostruzione dei fatti. accanto ai protagonisti, uno dei testimoni oculari è Enzo siciliano, che all’inizio degli anni Novanta, in Romanzo e destini (Theoria, roma-Napoli, 1992), ha ricostruito quelle vicende e ci ha restituito – dal suo punto di vista – quella temperie culturale.

Il protagonista del casus belli, nella Cronologia del Meridiano a lui dedicato (Romanzi e racconti, a cura di r. manica, Milano, Mondadori, 2009, p. CXXXII), si difende così:

in un novel tipicamente contemporaneo, e basato (come i migliori modelli del Novecento, tipo Musil o Waugh) su una società e una cultura e una conversazione effettivamente esistenti […] ebbi l’innocenza di dare qualche esemplare del manoscritto a conoscenti creduti fidati, perché riscontrassero se involontariamente qualche dettaglio potesse riferirsi a persone riconoscibili».

Che tra le numerose doti di arbasino sia un po’ difficile rubricare l’innocenza è fuori dubbio, ma che non gli difetti l’autocoscienza è altrettanto sicuro. Il protagonista ammette e si autoaccusa: «Dal suo punto di

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vista, Bassani non aveva torto: Non è un romanzo, è un collage di pezzi di giornali». Lasciamo ancora la parola al protagonista. arbasino ipotizza che Bassani avesse la vista corta, che non riuscisse a cogliere l’operazione strutturale (che poi arbasino stesso avrebbe intentato nelle successive tre edizioni), e il fatto che la «destrutturazione finale» in frammenti rimetta in causa la trama e ricollega fatalmente il Finale con il principio. Ma ammette anche – e anche la lucidità di analisi non gli difetta – che non era tanto un problema stilistico o narratologico, ma di rapporti tra le forze in campo, tra redazione romana – che faceva capo a Bassani – e redazione milanese, che aveva in Balestrini, Valerio r iva e Filippini, triumviri attorno a Giangiacomo Feltrinelli, i suoi principali referenti. Due redazioni, due collane. Da un lato la ‘Biblioteca di Letteratura’ diretta da Bassani, dove significativamente accanto al Gattopardo si trovava Forster, dall’altra ‘I Narratori’ di Feltrinelli, con pasternak, Garcia Màrquez e Grass.

Nella redazione romana in cui lavora Bassani, assistito da Ludovica r ipa di Meana prima e da roberta Carlotto poi, si consuma, come lo definisce Enzo siciliano, «il giorno più brutto per la narrativa italiana nata dalle ceneri della guerra». E così come quattro anni prima era stato allontanato da « paragone» per un peccato di lesa avanguardia, così ora, per ragioni non molto diverse, viene allontanato – ma dopo causa giudiziaria – da Feltrinelli, accusato di avere immotivatamente respinto Fratelli d’Italia per alcuni giudizi poco riguardosi riferiti a letterari suoi amici (come Montale, Moravia, Morante), ma in realtà per incompatibilità con un’anti-narrativa che aveva nella vicenda arbasino un pretesto nemmeno troppo elegante per imprimere una nuova direzione alla casa editrice. Che per farlo, non esita a perquisire, come racconta la stampa dell’epoca, i cassetti della scrivania di Bassani e di accusarlo di spionaggio industriale, di avere voluto portare autori e manoscritti presso altro e concorrenziale editore. Bassani vince la causa, ma termina nel modo peggiore e alle soglie della polemica che infiammerà la letteratura italiana, la sua collaborazione editoriale con Feltrinelli.

Commenta siciliano: «Il neoermetismo si sposò alla spregiudicatezza neoindustriale. L’artigianato del romanziere venne considerato attività obsoleta, casomai femminile, o casomai da contestare con l’antiromanzo, il libro che, pensato contro il lettore, rivendicava la purezza di un’autonomia espressiva del tutto celibe, del tutto autistica» (Romanzo e destini, p. 12).

Il resto è storia nota. La Neoavanguardia raccolta nel «Gruppo 63» accusa Bassani di passatismo, giudicandolo, insieme a Cassola, la «Liala della letteratura italiana». E Bassani, come è noto, risponde da par suo. Cito da In risposta III: « attaccano, criticano, fomentano disordini, giocano alla guerriglia letteraria, ma nessuno può dire chi siano. Quand’anche fossi riu-

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scito a imparare qualcosa dai loro nomi, l’avrei subito dimenticato. Come si può ricordare il nulla?» […] «Il mio parere è che dei letterati della neoavanguardia si potrà cominciare a occuparsi soltanto quando avranno prodotto qualcosa di oggettivamente accettabile» (Opere, vol. 1216-1219).

E di fronte a un improbabile parallelismo tra Moravia e arbasino cala una definizione che non lascia molto margine di discussione: «Moravia […] è una specie di a lessandro Manzoni immerso nello scirocco romano, un Manzoni senza Dio. Quando ad a lberto arbasino, lui, propriamente, forse non è nemmeno uno scrittore. È soltanto un uomo di mondo che sa scrivere». Mentre a pochi giorni dalla pubblicazione di Dietro la porta, alla domanda se il nuovo romanzo intendesse dare una risposta alla attuale crisi del romanzo italiano ed europeo risponde seccamente che «No, il mio romanzo […] non intende dare nessuna risposta. […] Nessuna» (Opere, p. 1221).

In questo contesto la redazione di « paragone» continua a registrare come un sismografo le oscillazioni telluriche della società letteraria. se entra a lberto, esce Giorgio. E viceversa. Il 30 gennaio 1963 a nna Banti scrive a Niccolò Gallo che Bassani, irritato per l’atteggiamento di arbasino, condiziona la sua collaborazione alla rivista alla cacciata del giovinetto dal comitato redazionale. «Gli abbiamo detto che consideriamo arbasino del tutto ‘out’ ma non gli basta. Veda, con Garboli, di persuaderlo a non dare troppa importanza ai misfatti arbasiniani». E quando dalla redazione esce a lberto (con il numero 170 del febbraio 1964) rientra Giorgio, insieme a sermonti che, con Bertolucci, andrà a (ri)costituire la redazione romana (con il numero 172 del successivo aprile).

5. III tempo. Il ritorno: 1964-1971.

Il 1964 è l’anno del ritorno. se il 26 marzo, dalle agendine di Leonetta Cecchi pieraccini troviamo ancora qualche segno degli screzi passati (« a cena dai Cecchi: i Longhi con Masolino e Benedetta. [...] Bassani, tanto prediletto nel passato, è attualmente un po’ in ribasso nella considerazione degli amici Longhi»), già nel giugno e luglio successivi le lettere della Banti testimoniano la sua integrazione anche al lavoro redazionale più minuto e a quello più ingrato delle revisioni e dei rifiuti. In una lettera del 27 luglio 1964 della Banti a siciliano «se la recensione a Ceccherini le ripugna lasci stare, con Bassani prendemmo in esame una lista di opere dell’anno e le assegnazioni furono fatte un po’ fortunosamente» (e infatti la recensione a La traduzione, che Bassani pubblica nel 1963 da Feltrinelli, esce a suo nome, e con un mea culpa, per avere lasciato sul suo tavolo redazionale il manoscritto troppo a lungo, e con il riconoscimento per uno ‘scrittore vero’, Opere, pp. 1213-1214).

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Il triennio della serie Mondadori 1965-1968 inaugura una triplice redazione: Firenze (Banti, Garboli, rossi), roma (Bassani, Bertolucci, sermonti) e Milano (Corti, Ferrata, r aboni, segre, Testori). Incrementando, con la redazione milanese, il tasso di strutturalismo là dove la rivista aveva perso in avanguardia e sperimentalismo, era abbastanza naturale che, anche in questo contesto, la stella di Bassani dovesse prepararsi a una sia pure parziale nuova eclisse (di nuovo alti e bassi, registrati dagli scarsi documenti conservatisi, come le agendine della Cecchi pieraccini, la quale nel giugno 1965 scrive di un misterioso risentimento di Lucia Longhi contro Bassani).

Ma ai ‘paragonisti’ non si addiceva l’abito strutturalista, e nel 1967, solo due anni dopo il suo ingresso ufficiale, la redazione milanese si sfalda, lasciando il timone a quella fiorentina. Di nuovo si adducono ragioni organizzative e logistiche (ma nel 1965 nasceva «strumenti critici»), quando sono in gioco invece i rapporti di forza interni, una sorta di ‘geopolitica redazionale’ (come nella polemica tra segre e pasolini a proposito del saggio la Volontà di Dante di essere poeta).

Il definitivo ritorno, che dovette seguire a una riconciliazione di cui ci mancano tutti i dati storici, viene suggellato nel 1966 dall’uscita dell’Airone (i capp. I-VI, nel n. 20, n.s., a. XVII, ottobre 1966, pp. 78-116, con il titolo: Natura morta; i capp. VII-XII nel n.208/28, n.s., a. XVIII, giugno 1967, pp. 3-36, con il titolo: L’airone), che dichiara sin dal titolo una lunga fedeltà longhiana. Ma sarà un ritorno breve, a segno di una frattura che non poteva essere sanata, da entrambe le parti.

a lla fine del 1967 la redazione è costituita dai soli Banti, Bassani, Bertolucci, Garboli, Testori, rossi, e l’editore di « paragone», senza particolari spiegazioni, torna ad essere sansoni che rimarrà editore di riferimento fino ad oggi, dopo la scomparsa di Longhi nel 1970 e della Banti nel 1985. Ma è proprio la morte di Longhi a dissolvere l’ultimo, labile legame. Bassani torna in redazione, ma alla morte del maestro ne esce subito, ‘offeso’ come dalle parole di Guido Fink, dal rifiuto della Banti di pubblicare sulla rivista il suo ricordo funebre (lui che, nel frattempo, era divenuto vicedirettore della ra I).

Tra il 1972 e il 1974 la rivista continua a riservargli attenzione, ma in forme esclusivamente critiche, tiepide e diradate (G. Cattaneo, L’odore del fieno di G. Bassani, « paragone-Letteratura», 272, ottobre 1972, pp. 78-81 e F. Giovannelli, Epitaffio. Bassani, « paragone-Letteratura», a. XXV, 294, agosto 1974, pp. 134-137), mentre prosegue, da parte sua, la venerazione per il ‘vero maestro’, con allusioni, citazioni, segni espliciti di una ‘lunga fedeltà’ che la scomparsa fisica, per chi aveva fatto dell’assenza un tema centrale della propria poetica, non avrebbe potuto affievolire.

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Con un’immagine emblematica, del resto, nel numero di aprile del 1956, quando il suo nome ancora figurava tra i ‘paragonisti’, a destra di a nna Banti e a sinistra di attilio Bertolucci, Bassani aveva concluso il Poscritto aperto proprio con una citazione longhiana («critici si nasce poeti si diventa») in cui aveva offerto il disvelamento delle proprie ‘occasioni’ di poesia (poi ripresa come postfazione alla raccolta di poesie del 1963: L’alba ai vetri, Einaudi, Torino, pp. 83-90).

L’immagine del Mosè, potente, legiferante, che pendeva sul letto quando era bambino e che «io credevo, bambino, raffigurasse il signore Iddio, tornava ora nella memoria come il segno d’un giudizio al quale io non avevo partecipato, d’un destino che aveva disposto diversamente da me»: «[...] Tu solo nella casa | decrepita vegliavi | dal tuo trono... | Oh se agli avi | sommessi, cieco infante, | dedicato m’avessi | col tuo sguardo distante!» (p. 56).

6. Notizie bibliografiche.

Le citazioni dalle Opere di Bassani si riferiscono al ‘Meridiano’ pubblicato nel 1998, a cura e con Introduzione di roberto cotroneo, Notizie sui testi a cura di p. italia.

Queste le collaborazioni di Bassani a « paragone»:

Levi e la crisi, a. I (agosto 1950), 8, pp. 32-40 – sui voll. di carlo levi, Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi, 1945; L’orologio, Torino, Einaudi, 1950 e Paura della libertà, Torino, Einaudi, 1946.

Nota su Soldati, a. II (agosto 1951), 20, pp. 33-39 – Nota su Mario soldati per l’uscita del romanzo A cena col commendatore, Milano, Longanesi, 1951.

Gli ultimi anni di Clelia Trotti, a. V (aprile 1954), 52, p. 43-79 – rubrica Letture. Data in calce: «(1953)». prosa.

Cassola, a. VII (febbraio 1956), 74, p. [73]-75 – rubrica appunti. su alcuni racconti di Cassola ripubblicati in: carlo cassola, Il taglio del bosco: Venticinque racconti, pisa, Nistri-Lischi, 1955.

Poscritto, a. VII (aprile 1956), 76, p. 51-56 – rubrica Letture. Manzoni e Porta, a. VII (giugno 1956), 78, p. 36-39 – Data in calce: «1945». Hemingway e Manzoni, a. VII (giugno 1956), 78, p. 39-42 – Data in calce: «(1945)».

Trad. di: rené char, Poesie, a. VIII (ottobre 1957), 94, p. [56]-59 – rubrica

Letture. Titoli: Perché una foresta... (da Art Bref ); La verità vi renderà liberi; Frammento di poesia (dai Matinaux); Sul libro di un albergo (da Art Bref ); Jacques parla di sé (da Les Trasparents); Gli inventori (dai Matinaux).

Gli occhiali d’oro, a. IX (febbraio 1958), 98, p. [6]-75 – prosa.

A Ligurino: (Imitazione da Orazio), a. IX (marzo 1958), 100, p. 119 – rubrica Letture. poesia.

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Manzoni e il cinema, a. XI (dicembre 1960), 132, p. 58-63 – Data in calce: «(1955)». In nota: «Questo breve scritto è d’occasione. Mi fu commissionato nel 1955 da una casa cinematografica romana in quel tempo intenzionata a tentare una nuova edizione dei Promessi sposi, senza che poi tale progetto avesse ulteriore seguito».

Le parole preparate, a. XV (dicembre 1964), 180, p. [3]-22 – Data in calce: «(1964)». In nota: «Queste pagine sul tema di Venezia nella letteratura sono il testo di un vol. fotografico dedicato a Venezia che uscirà tra qualche mese in svizzera a cura della Guide du livre di Losanna».

Nazismo e fascismo: la rivoluzione come gioco, a. XVII (aprile 1966), 194/14, p. [3]-13 – Data in calce: «(1944)». In nota: «Queste pagine inedite, scritte nel 1944, usciranno tra breve in un vol. di saggi presso l’editore Einaudi».

Natura morta, a. XVII (ottobre 1966), 200/20, p. [78]-116 – Data in calce: «(1964-’66)». prosa.

L’airone (VII-XII), a. XVIII (giugno 1967), 208/28, p. [3]-36 – In nota: «I capitoli I-VI sono apparsi in “paragone” n. 200 (ottobre 1966) sotto il titolo Natura morta. prosa».

Epitaffio, a. XXI (febbraio 1970), 240, p. [3] – Dedica: «agli amici del ’39». Data in calce: «(1941-’69)». poesia.

La lettere di a nna Banti a Bassani attualmente emerse dai primi scavi effettuati presso il Fondo Bassani (e che per tale ragione non vengono qui schedate analiticamente), vanno dal 30 luglio 1948 al 16 febbraio 1959 e documentano quindi solo la prima fase del rapporto con « paragone».

Le lettere di Bassani a Dessì sono custodite nell’archivio Contemporaneo a. Bonsanti del Gabinetto G.p. Vieusseux di Firenze.

Ho potuto consultare le agendine di Leonetta Cecchi pieraccini, custodite presso l’archivio Contemporaneo a. Bonsanti del Gabinetto Vieusseux di Firenze, grazie alla cortesia del prof. Masolino D’a mico, che ringrazio.

Molto utile, per la ricostruzione del contesto culturale, la tesi di laurea di Donata Taddei, Critica e letteratura nel primo decennio della rivista «Paragone» (relatrice prof. E. Biagini, Firenze, a.a. 1997-1998), che a p. 427 riporta la lettera di Gorlier a Bigongiari (anche a p. 148, n. 3 del citato articolo di Beatrice Guarnieri).

Nel 2006 (23 maggio) si è tenuta una tavola rotonda sui rapporti tra Giorgio Bassani e roberto Longhi organizzata dalla Fondazione Longhi di Firenze. Vi hanno partecipato Giorgio patrizi, Marco Bazzocchi, paola Bassani e simona Costa. Tre dei quattro interventi (manca solo quello di patrizi) sono poi usciti in « paragone», e ad essi mi sono riferita costan-

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temente in tutto il saggio: paola bassani pacht, Giorgio Bassani allievo di Roberto Longhi; marco antonio bazzocchi, Longhi, Bassani e le modalità dello sguardo e simona costa, Un palco di proscenio: il personaggio spettatore di Giorgio Bassani. a l diagramma Bassani/« paragone» potremmo associare un diagramma Longhi/Cavaglieri, che significativamente apre la serie delle copertine in prosa di Bassani e chiude la parabola dell’autore con un Interno, scelto per la ripubblicazione nel 1973 delle Cinque storie ferraresi, assegnando a Cavaglieri – schermo, in senso dantesco, del ‘vero maestro’ – un ruolo esclusivo nelle predilezioni artistiche bassaniane, seguito subito dopo da Giorgio Morandi, che firma nei Finzi-Contini l’acquaforte Campo da tennis (a fronte di p. 88), e un Paesaggio (1941) sulla copertina della riedizione del 1960 delle Cinque storie (con il titolo Le storie ferraresi), così come un Paesaggio del 1930 illustra la copertina di L’alba ai vetri (Einaudi, 1963). La copertina degli Occhiali d’oro (Einaudi, 1958) riproduce invece un Acquerello di Filippo De pisis, mentre una Una notte del ’43 (Einaudi, 1960) è commentata da un particolare di La guerre di pablo picasso, Il giardino dei Finzi-Contini (Einaudi, 1962) in copertina ha Nu couché di Nicolas de staël e Dietro la porta (Einaudi, 1964) un Interno di Carlo Corsi.

sui seguenti quotidiani e riviste si leggono gli articoli di cronaca che testimoniarono l’affaire Bassani / arbasino: alberto moravia, Il macabro in salotto, «Corriere della sera», 25 novembre 1962; adolfo chiesa, Arbasino è polemico contro il finzi-continismo, « paese sera», 11 gennaio 1963 e lettera di arbasino due giorni dopo; andrea barbato, Ci siamo dentro tutti, «L’Espresso» 3 febbraio 1963; a. moravia, Inutile battaglia, «Corriere della sera», 8 marzo 1964; Arbasino risponde a Bassani, «L’Espresso», 19 aprile 1964.

Ho ricostruito un tratto di storia editoriale bassaniana in Bassani in redazione: storia delle «Cinque storie ferraresi», in Cinque storie ferraresi. Omaggio a Bassani, a cura di p. pieri, v. mascaretti, atti del convegno di studi organizzato dalla MOD, Bologna, 23-24 febbraio 2007, pisa, Edizioni ETs, 2008, pp. 77-96.

sull’attività culturale ed editoriale di Bassani è in corso di stampa uno studio di gian carlo ferretti e stefano guerriero, Giorgio Bassani editore letterato, Lecce, Manni, 2011.

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L’EDITOr E

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

UN EDITOr E DI GUsTO

Un vero e proprio settore di studi sull’editoria libraria in Italia, si è costituito soltanto negli ultimi venti-venticinque anni, lasciando ancora molti vuoti critico-bibliografici, parziali o totali. a nche limitando l’attenzione ai cosiddetti letterati-editori, nei loro vari ruoli di consulenti, direttori di collana, direttori letterari eccetera, la lista è lunga. Lo stesso Giorgio Bassani ha fatto parte per molto tempo di quella lista, nonostante alcuni miei contributi circoscritti, che rendono anche conto dei contributi di altri1. Ma con alcuni saggi recenti 2 e con il nostro convegno, questo vuoto si sta colmando. La mia relazione comunque, è dedicata soprattutto al lavoro di Bassani in area italiana, che rappresenta un campione più ampio e funzionale rispetto a quella straniera per un giudizio sull’editore Bassani in senso stretto, con i suoi meriti e con i suoi limiti; relazione che è soltanto una piccola parte di uno studio completo, nel quale parlo anche del Bassani grande scrittore e finissimo critico.

L’attività editoriale di Bassani si può far iniziare dal suo rapporto con «Botteghe Oscure», se è vero che negli anni Quaranta e Cinquanta le riviste letterarie svolgono in piena autonomia un rilevante lavoro di anticipazione, di cui si valgono le case editrici al di fuori tuttavia di un rapporto istituzio-

1 sulla vicenda editoriale del Gattopardo, vedi: g c ferretti, Il Gattopardo rifiutato, «L’Indice dei Libri del Mese», a. VI, n. 8, ottobre 1989, pp. 14-15; id., L’editore Vittorini, Torino, Einaudi, 1992, pp. 267-271; id., La vicenda editoriale del «Gattopardo», in Mito e letteratura. Studi offerti a Aulo Greco, Università degli studi La sapienza, Dipartimento di lingue e culture d’Italia dalla latinità all’età contemporanea, roma, Bonacci,1993, pp. 291303; id., La lunga corsa del Gattopardo. Storia di un grande romanzo dal rifiuto al successo, con una Rassegna della fortuna critica a cura di s guerriero, Torino, a ragno, 2008, pp. 7-40; e sulla Biblioteca di letteratura diretta da Bassani presso Feltrinelli, id , Storia dell’editoria letteraria. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, pp. 215-216.

2 r. cesana, «Libri necessari». Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), Milano, Unicopli, 2010, pp. 259-353; a. sebastiani, Il Fabbricone 1959-1961: una «bassanizzazione»?, «Ecdotica», 4 (2007), pp. 66-100.

Giorgio

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

gian carlo ferretti
Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

nale. sono moltissimi infatti gli scrittori italiani che anticipano su «Botteghe Oscure» (stampata o distribuita via via da r icciardi, De Luca, Mondadori, Garzanti e Feltrinelli) testi inediti destinati ai più diversi editori. In particolare vanno ricordati alcuni testi narrativi e poetici che, anticipati del tutto o in parte su «Botteghe Oscure», diventano tra il 1951 e il 1954 altrettanti titoli della Biblioteca di paragone della rivista omonima (edita da sansoni). Considerando perciò che Bassani, già redattore dell’una rivista dal 1948, è prima collaboratore e poi redattore anche dell’altra negli anni Cinquanta, si configura qui di fatto un suo ruolo di mediatore editoriale. sono titoli come La capanna indiana di attilio Bertolucci, Morte per acqua di r affaello Brignetti, La passeggiata prima di cena dello stesso Bassani, Casa d’altri di silvio D’arzo, o La meglio gioventù di pier paolo pasolini.

Ma c’è per Bassani, come per molti altri scrittori e critici, un più generale capitolo di consulenze editoriali per così dire disinteressate, attraverso relazioni personali e informali. La sua trattativa per la pubblicazione dell’Usignolo della Chiesa Cattolica di pasolini presso la casa editrice astrolabio nel 1947, che non ha tuttavia seguito3, è soltanto l’esempio di un sommerso certamente ampio, che meriterebbe una ricerca specifica, estesa a tutta la rete di relazioni delle riviste con le quali Bassani ha stretti rapporti, da « paragone» a « palatina» a «Officina».

Bassani è redattore stabile di «Botteghe Oscure» dal primo numero del 1948 all’ultimo del 1960, e anche se la rivista ha una direttrice vera (oltre che fondatrice e finanziatrice) come Marguerite Caetani, dotata di notevole personalità e cultura, non c’è dubbio che egli svolga un ruolo fondamentale nella politica d’autore della prestigiosa rivista, tra poesia e narrativa, soprattutto italiana4. Dal 1956 inoltre Bassani inizia da roma una collaborazione con Feltrinelli, che tra il 1958 e il 1963 lo porta a dirigerne (firmandola) la Biblioteca di letteratura. Il 1956 è anche l’anno di avvio della serie scrittori d’oggi all’interno della pluridisciplinare Universale economica feltrinelliana: serie dedicata programmaticamente (fin dalla quarta di copertina) ai nuovi narratori italiani contemporanei e curata da Luciano Bianciardi, al quale succede due anni dopo Marcello Venturi, non senza qualche contributo di consulenza da parte di Bassani 5. Collana di autori più o meno noti, e quasi tutti di valore medio, nella quale sono assai poche tra gli esordienti le vere promesse, come r affaele Crovi, e soprattutto lo stesso Luciano Bianciardi,

4 La rivista Botteghe Oscure e Marguerite Caetani. La corrispondenza con gli autori italiani, 1948-1960, a cura di s. valli, roma, L’Erma di Bretschneider, 1999, pp. 43-46 e passim.

5 cesana, «Libri necessari». Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), p. 154.

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3 p. p. pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di n. naldini, Einaudi, Torino 1986, p. 308.

con quel Lavoro culturale che si imporrà per la sua originale commistione di generi tra saggio, racconto, autobiografia e pamphlet.

Ma in realtà sono la rivista «Botteghe Oscure» e la feltrinelliana Biblioteca di letteratura, che si possono assumere come due fasi di una stessa esperienza editoriale di Bassani. per quanto riguarda gli italiani per esempio, non mancano passaggi o promozioni dalla rivista alla collana (un po’ com’era accaduto per la Biblioteca di paragone), i più significativi dei quali sono Cassola, Delfini e Dessì per la narrativa, e Fortini, Volponi e roversi per la poesia, oltre a Tomasi naturalmente. sempre a proposito degli italiani va comunque premesso, che nella relativa sezione di «Botteghe Oscure» e in quella della collana di Feltrinelli, pur con un livello di valori complessivamente alto, accanto a un cospicuo numero di scrittori ormai pienamente affermati o in via di prossima affermazione, risulta molto esiguo il numero degli scrittori nuovi o sconosciuti destinati a un vero futuro. se ne possono indicare alcune ragioni.

In continuità con «Botteghe Oscure» Bassani dirige la collana con atteggiamento molto interno alla istituzionale repubblica delle lettere. Verosimilmente Bassani sul versante degli esordienti paga anche lo scotto del suo antisperimentalismo, dichiarato fin dal Congedo con cui chiude «Botteghe Oscure»6, oltre a risentire in qualche modo della concorrenza coeva di altre collane, a cominciare dai Gettoni vittoriniani. In particolare poi, più che cercare il nuovo in un’ottica anche editoriale, Bassani pubblica quello che gli interessa e gli piace, è un editore di gusto. «Non scelgo i manoscritti in base a una poetica determinata», dichiara egli stesso7, e non li sceglie neppure in base a una tendenza, ma secondo i criteri personali di un intellettuale sensibile e colto. Tutta l’esperienza di Bassani in sostanza va sotto il segno dell’antologismo. Non è un caso che proprio l’antologismo sia il tratto fondamentale delle riviste da lui in vario modo frequentate, come « paragone» (dal 1950) e « palatina» (dal 1957), mentre anche il discorso di un’altra rivista a lui familiare come «Officina» (dal 1955), nonostante la tensione unitaria interna al suo gruppo, risente di un eclettismo che le permette di accostare contributi critici e testi creativi molto diversi.

Nel Bassani direttore di collana in sostanza, la convivenza tra l’editore e il letterato non è del tutto risolta. più precisamente nel suo caso la definizione di letterato-editore, valida per tanti letterati che operano come editori, tende a rovesciarsi in quella di editore-letterato, nel senso di un editore che come

6

7

IX (26 maggio 1963), 21, p. 13.

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g. bassani, Congedo, «Botteghe Oscure», XXV (primavera 1960), p. 436. I libri che non gli somigliano, intervista con g. bassani a cura di a. barbato, «L’Espresso», a.

letterato anzitutto opera, e sia pure inteso nel senso migliore. a nche i casi bassaniani di editing (diretti o indiretti) documentati, da quello piuttosto rilevante per Il fabbricone di Testori, a quelli per le poesie di Barolini e per Zebio Còtal di Cavani, oltre al Gattopardo 8 , non smentiscono questo quadro d’insieme. D’altra parte ha pure un senso che Bassani non prosegua la sua carriera di editore dopo questa collana.

Quella convivenza irrisolta tra l’editore e il letterato poi, è confermata da molti testi dei segnalibri o risvolti o quarte di copertina dei volumi (la cui grafica è firmata in gran parte da a lbe steiner). Testi non firmati che si possono attribuire a Bassani (salvo eccezioni difficili da verificare), per un costume tipico dei direttori di collana di allora, per la scrittura stessa, per le testimonianze di roberta Carlotto segretaria di redazione a roma, di renata Cambiaghi segretaria di redazione e poi direttore di produzione a Milano, e di Maria Luisa rotondi segretaria di redazione con altri incarichi a Milano, negli anni della Biblioteca di letteratura9

a ll’interno dei vari testi dedicati ai titoli italiani si delineano due impostazioni, che ora riescono ad armonizzarsi felicemente, ora danno luogo a qualche discontinuità, riflettendo in questo anche quel generale antologismo: da un lato il corredo degli indispensabili ingredienti di una presentazione editoriale, e sia pure con presenze alterne e combinazioni variabili naturalmente, come il racconto della trama, il ritratto intellettuale e umano dell’autore, la descrizione di personaggi e ambienti e contenuti, il riferimento a sentimenti quotidiani e a recenti vicende della storia italiana, la breve notizia su vita e opere, le fortune di critica e talora i premi letterari, il richiamo o l’invito al potenziale acquirente-lettore, eccetera, con un linguaggio accattivante, vivace e conversevole; e dall’altro la struttura del piccolo saggio, anche per la lunghezza del testo, con una scrittura raffinata e sapiente, excursus storici severi e giudizi critici acuti, ricchezza di riferimenti letterari a grandi classici e moderni, e anche perseguimento di alcuni personali bersagli, dallo sperimentalismo come metodo di ricerca al neorealismo come stagione narrativa (ricorrenti entrambi in altri suoi scritti). Cui si aggiungono negli stessi testi le citazioni di critici autorevoli come Emilio Cecchi o Gianfranco Contini, e la presenza di prefazioni per novità e riproposte: a nna Banti per L’estate della menzogna di Beatrice solinas Donghi, pier paolo pasolini per

8 Ibidem; m rinaldi, Le biblioteche di Giorgio Bassani, Milano, Guerini, 2004, p. 27; sebastiani, Il Fabbricone 1959-1961: una «bassanizzazione»?; cesana, «Libri necessari». Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), pp. 267-268, 277-278, 289-290, 337-338.

9 Testimonianze all’autore di r . Carlotto, roma, ottobre 2010, r . Cambiaghi, Milano, ottobre 2010, e M. L. rotondi, Milano, settembre-dicembre 2010.

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Zebio Còtal di Guido Cavani, Claudio Varese per San Silvano di Giuseppe Dessì, ancora Cecchi per Cortile a Cleopatra di Fausta Cialente, e altri. Oltre a quelle dello stesso Bassani per Tomasi.

Ma il tema dell’antologismo richiede qualche riflessione. In generale, se bisogna sempre distinguere riviste o collane antologiche da riviste o collane di tendenza, bisogna anche tenere presente che l’antologismo non è di per se stesso neutralità, come già proverebbe facilmente un’analisi comparativa tra le riviste da Bassani più frequentate, come « paragone», « palatina » e «Officina». Del resto basterebbe l’etimologia a stabilirlo. sono considerazioni quasi ovvie. Meno ovvia una valutazione dello specifico atteggiamento e comportamento di Bassani.

C’è una sostanziale continuità tra «Botteghe Oscure» e la Biblioteca di letteratura nel suo insieme, anche nel segno dell’antologismo. Continuità che Bassani sembra contraddire. Nel Congedo conclusivo di «Botteghe Oscure» afferma: «non direi che la rivista si sia mai limitata a essere una semplice antologia periodica di buoni racconti e di buone poesie. C’è un modo indiretto di fare della critica, spesso più efficace di quello regolare, il quale consiste nell’operare in determinate direzioni piuttosto che in altre». Facendo seguire la sua avversione più o meno esplicita per lo sperimentalismo, neorealismo, ermetismo, postermetismo, e il suo interesse per l’autenticità e compiutezza, eccetera10. per contro a proposito della Biblioteca di letteratura dichiara di non scegliere «in base a una poetica determinata» e aggiunge: «non mi piacciono le cose che mi somigliano. Cerco libri riusciti, punto più sui testi che sulle persone»11. Ma il contrasto tra le due posizioni è parziale e in definitiva apparente. Nel Congedo infatti, concludendo la serie di una rivista che ha accolto un vastissimo numero di autori dei più diversi orientamenti e che ha pubblicato solo testi creativi senza commenti o interventi di critica letteraria, Bassani si preoccupa di precisare che quella grande apertura non è stata acritica e casuale disponibilità, ma si è mossa all’interno di alcuni criteri molto generali e tuttavia consapevoli. Qui Bassani prende le distanze da un antologismo inteso nella sua accezione riduttiva, ma al tempo stesso delinea implicitamente un’area talmente ampia da non rispondere a una vera tendenza letteraria. Ci sono del resto giudizi autorevoli su quanto sia «difficile individuare una precisa linea editoriale della rivista», e sulla sua caratteristica di «rivista antologica»12. Mentre nel chiarire il suo

10 bassani, Congedo, pp. 436-437.

11 I libri che non gli somigliano.

12 g. macchia e a. russi, in La rivista Botteghe Oscure e Marguerite Caetani. La corrispondenza con gli autori italiani, 1948-1960, pp. 281, 294.

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atteggiamento di direttore di collana, Bassani vuole sottolinearne esplicitamente il distacco da una linea o tendenza o immagine editorial-letteraria, e sottintenderne ancora una volta un «modo indiretto di […] operare in determinate direzioni» attraverso i testi pubblicati. Il suo insomma, sia nell’uno che nell’altro caso, è un antologismo per così dire orientato, e finiscono per confermarlo gli autori e testi sia nella rivista sia nella collana.

In particolare il Bassani direttore di collana, muovendosi in questa prospettiva, mostra appunto di scegliere i testi italiani in base al suo gusto e alle sue predilezioni, con alcuni riferimenti essenziali che rimandano al Bassani critico: oltre all’area delineata nel Congedo, l’interesse per una ricerca condotta tra interiorità e realismo che risente intimamente dei suoi modelli ottonovecenteschi. Mentre è proprio una ricerca di modelli che prevale nella sezione dei classici stranieri, di cui si occupa la relazione di stefano Guerriero.

Ma al di là e all’interno dell’antologismo bassaniano, si può ben dare un giudizio specifico sulla sezione italiana della Biblioteca di letteratura, come campione editorial-letterario ben circoscritto, con una ufficiale direzione di collana e con una collocazione precisa dentro il catalogo feltrinelliano.

Tra i circa cinquanta titoli pubblicati, si possono distinguere tre categorie fondamentali: i ritorni di autori attivi dagli anni trenta che possiedono una fortuna critica o una bibliografia già consolidata, come Giuseppe Dessì, a ntonio Delfini e Fausta Terni Cialente, con opere di teatro, poesia e narrativa; le conferme o valorizzazioni di autori affermati o in via di affermazione, come Carlo Cassola, Manlio Cancogni, Giovanni Testori, a lberto arbasino, con opere narrative, teatrali e saggistiche, e come Ignazio Buttitta, Franco Fortini, paolo Volponi, roberto roversi, con opere poetiche; un numero non trascurabile di minori; e molti esordienti ma una sola vera rivelazione (se si esclude Il Gattopardo), Luigi Meneghello con Libera nos a malo, uno scrittore appartato e un’opera di notevole originalità nella sua struttura e nel suo linguaggio.

a l di là e all’interno del suo antologismo dunque la sezione italiana della Biblioteca di letteratura si qualifica come collana di qualità, condotta con grande sensibilità e apertura, e non priva di titoli buoni e ottimi. Ma per le forti differenze di generazione intellettuale, di poetica letteraria e di carriera editoriale tra i vari autori, per la carenza nelle scoperte, per la pluralità dei generi, che sono tutte caratteristiche condivise con «Botteghe Oscure», e inoltre per una serie di riproposte (oltre a Dessì e Cialente, anche Guido Cavani e Enrico a lfredo Masino), la collana non arriva a imporsi nel quadro dell’editoria libraria con una vera e complessiva identità editorial-letteraria e riconoscibilità nei confronti del lettore, anche al di là di un discorso sui dislivelli di valore.

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Vanno ricordati due severi giudizi sulla collana nei primi anni sessanta, che appaiono tanto più significativi quanto più differenti sono le figure e gli ambiti intellettuali da cui provengono: a nna Banti direttrice di fatto della serie letteraria di « paragone», e Italo Calvino superconsulente di Casa Einaudi, rivista e casa editrice rispettivamente e autorevolmente caratterizzate da una concezione separata e non separata della letteratura. In particolare l’ampia recensione di a nna Banti del 1961, pur non essendo priva di riconoscimenti verso i «non lievi meriti» della collana, per le presenze (oltre al Gattopardo) di Testori e arbasino, Beatrice solinas Donghi e Fausta Cialente, considera deludenti le prove di Tempesti e sermonti, Quintavalle e Celletti, tre dei quali sono esordienti. Dal canto suo Calvino conclude una sua lettera del 5 ottobre 1962 con una veloce e disinvolta battuta direttamente legata al suo lavoro in Casa Einaudi: «Cerchiamo di pubblicare il meno possibile, anche perché roba buona in giro non ce n’è: e a vedere quel che tirano fuori il mio amico Bassani o addirittura quelli di r izzoli o Lerici o Del Duca, c’è da mettersi le mani nei capelli»13. In parte smentito, bisogna dire, dal «Menabò » vittoriniano a lui contiguo.

Tutto questo aiuta anche a capire quale sia la collocazione della Biblioteca di letteratura nella produzione feltrinelliana. Va sottolineato che la collana di Bassani introduce per la prima volta un’area di letteratura italiana contemporanea, dentro un catalogo precedentemente impegnato soltanto nell’area straniera (a parte la serie scrittori d’oggi della Universale economica, non a caso caratterizzata da precisi limiti). La Biblioteca di letteratura viene perciò varata con un notevole investimento di responsabilità e di attesa. si può ragionevolmente pensare che l’editore all’inizio abbia scelto Bassani, non soltanto per le sue passate esperienze di «Botteghe Oscure» e di « paragone», come viene detto nel catalogo14, ma anche perché dal 1956 egli si viene decisamente affermando come intellettuale e come scrittore. Bassani perciò sembra muoversi con molta libertà e autonomia nelle sue scelte, come confermano indirettamente la sua impostazione personale di gusto, le testimonianze di roberta Carlotto, renata Cambiaghi e Maria Luisa rotondi15, e certe preoccupazioni manifestate dall’editore Giangiacomo Feltrinelli all’agente Erich Linder, per la suscettibilità del suo direttore di collana nella

13 a banti, Opinioni, Milano, il saggiatore, 1961, pp. 213-217, e i calvino, I libri degli altri, Torino, Einaudi, 1991, pp. 408-409.

14 I venti anni della Feltrinelli. Catalogo generale 1955-1975, Milano, Feltrinelli, 1975, p. 25.

15 Testimonianze citate.

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politica d’autore16 . Ma si può pensare altresì che l’andamento della Biblioteca di letteratura, abbia portato a una progressiva insoddisfazione dell’editore e a un progressivo isolamento della collana e di Bassani stesso nella Casa, rispetto alle attese: isolamento non smentito dal passaggio di un certo numero di autori ad altre collane, tra novità e riproposte, e dal particolare merito di avere acquisito per alcuni anni alla Feltrinelli autori come arbasino e Testori, insieme ad altri.

La collana di Bassani infatti appare lontana da quelle esigenze e caratteristiche di scoperta, novità, provocazione, di agguerrita presenza sul mercato librario e nel dibattito intellettuale, e perciò anche di successo, che percorrono le collane di letteratura straniera e la saggistica di intervento di Feltrinelli (accanto alle collane di alto livello scientifico e alla ricca Universale economica). a queste esigenze e caratteristiche di Casa Feltrinelli inoltre, non appaiono adeguati probabilmente, neppure i buoni risultati di critica o di vendita o di premiazioni della collana di Bassani, documentati per Il soldato di Cassola, Cos’è l’amicizia di Manlio Cancogni, le opere di Testori (L’Arialda anche grazie all’intervento della censura), Elegie di Croton di a ntonio Barolini (premio Bagutta 1960), L’Anonimo Lombardo di arbasino, La dura spina di rosso, Il disertore di Dessì, Le porte dell’Appennino di Volponi (premio Viareggio 1960), Ballata levantina di Fausta Cialente (premio selezione Marzotto 1961), Zebio Còtal di Cavani (premio Librai milanesi 1961), Libera nos a malo di Meneghello, e altri17. Ci sarà qualcuno della redazione, che riassumerà questi anni in una battuta non priva di qualche verità: «Feltrinelli si aspettava da Bassani un Gattopardo all’anno»18. si può forse aggiungere la fisionomia politica di Bassani, che pur con il suo passato resistenziale e antifascista, è un intellettuale laico passato dal partito d’a zione al partito socialista, e non abbastanza riconducibile all’orientamento di sinistra sempre più accentuato dell’editore e della sua Casa. sono perciò da cercare in quell’insoddisfazione e in quell’isolamento le ragioni di fondo della rottura tra Feltrinelli e Bassani. Così come sono da cercare in quelle istanze di novità e provocazione le ragioni della scelta feltrinelliana del Gruppo 63, per la sua strategia aggressiva, il suo comportamento spregiudicato, il suo radicale sperimentalismo letterario (e sinistrismo politico), la sua agguerrita elaborazione teorico-critica e strumentazione

16 a rchivio Fondazione a rnoldo e a lberto Mondadori, Fondo Erich Linder, serie annuale 1963, fascicolo Feltrinelli; cesana, «Libri necessari». Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), p. 277.

17 Ibidem, pp. 260 sgg.

18 v riva, ibidem, p. 351.

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interdisciplinare. a ben vedere anzi Bassani arrivando alla Feltrinelli, trova un clima letterario che sta già diventando favorevole al Gruppo 63. Valerio r iva dirige le collana di narrativa straniera a partire dalla fondazione della Casa nel 1955, con una programmatica attenzione agli autori contemporanei ancora sconosciuti al pubblico italiano, nel segno dell’attualità e nella prospettiva del dibattito, e in particolare dal 1959 punta anche alla creazione di casi letterari provocatori, con la collana accentuatamente sperimentale delle Comete. Questo contesto si viene consolidando tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni sessanta: entra in redazione come esperto di letteratura tedesca Enrico Filippini, futuro membro del Gruppo 63; le Comete pubblicano opere di autori del Gruppo 47 tedesco al quale il Gruppo italiano si ispira, e il romanzo Conoscenza per errore di un altro futuro esponente dello stesso Gruppo, Francesco Leonetti; e inoltre la Feltrinelli sigla «Il Verri», la rivista di Luciano a nceschi che già dal 1956 è venuta preparando la nuova avanguardia organizzata.

Un precedente episodio appare quasi come un’anticipazione non soltanto curiosa: una trattativa condotta da pasolini tra il 1952 e il ’54, per la pubblicazione di una raccolta di versi di Leonetti su «Botteghe Oscure», non va a buon fine nonostante il gradimento di Bassani, a causa della contrarietà di Marguerite Caetani, che per rappresaglia viene gratificata dai due amici di epiteti decisamente offensivi nel loro carteggio19. Di Leonetti anche in seguito non uscirà niente. Non soltanto curiosa invece la presenza di spunti polemici verso l’avanguardia nel romanzo di Cancogni Parlami, dimmi qualcosa, pubblicato da Bassani nel 196220. significativa per contro sempre negli anni Cinquanta-sessanta la presenza di Oreste Del Buono, autore gradito alla nuova avanguardia e traduttore di una scrittrice rappresentativa dell’école du regard come Nathalie sarraute (Ritratto d’ignoto. Tropismi. Conversazione e sottoconversazione), in collane feltrinelliane parallele alla Biblioteca di Bassani.

Nel 1963 perciò la rottura con Bassani, la fine della sua collana, e la stessa fine della serie scrittori d’oggi della Universale Economica, coincidono sostanzialmente con l’assunzione di Nanni Balestrini alla guida della sede romana, e con l’avvio di una progressiva espansione della nuova avanguardia nelle altre collana di narrativa, nella collana di poesia e nella nuova collana ad hoc di Materiali critici, fino a farne una presenza quasi ufficiale nel catalogo: da Edoardo sanguineti a Giorgio Manganelli, da a lfredo Giuliani

19 pasolini, Lettere 1940-1954, pp. 602, 652.

20 m. cancogni, Parlami, dimmi qualcosa, Milano, Feltrinelli, 1962; nuova edizione, roma 2010, Elliot, pp. 65, 175.

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a Elio pagliarani, da a ntonio porta a Francesco Leonetti, eccetera. Questo passaggio assume anzi un significato emblematico, perché proprio Bassani è tra i rappresentanti della tradizione fortemente contestata dalla nuova avanguardia, con attacchi spesso violenti e manichei.

La fine della Biblioteca di letteratura di Bassani nel 1963 riguarda anche la sezione straniera, che di quella italiana rappresenta una sorta di risvolto eguale e contrario. La sezione straniera infatti appare programmaticamente lontana da una funzione di proposta nuova già nel sottotitolo I classici moderni, che il cappello introduttivo del catalogo Feltrinelli esplicita così: «salvo rarissime eccezioni la collana accolse opere già definitivamente consegnate alla storia delle letterature straniere a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento»21. Tra gli autori pubblicati, Edward Morgan Forster, Jacques r ivière, Edith Wharton, Karen Blixen, Jorge Luis Borges, a leksandr Herzen, Jules-a médée Barbey d’aurevilly, Marguerite Yourcenar, rené Char, Ford Madox Ford, stephen Crane. Dove si conferma ancora una volta l’isolamento della collana di Bassani nel suo insieme, all’interno del progetto e del catalogo feltrinelliano, anche per i pochi passaggi dei suoi Classici moderni in altre collane.

C’è poi una storia esterna della crisi e rottura tra Giangiacomo Feltrinelli e Giorgio Bassani, e delle sue conseguenze, fatta di ragioni particolaristiche e di episodi contingenti, che è stata ricostruita più volte 22. Una storia che nelle sue linee essenziali, spogliate delle versioni più incerte e delle aneddotiche più colorite (per lo più sfavorevoli a Giangiacomo Feltrinelli, bisogna dire) parte da un progressivo deterioramento nei rapporti personali tra editore e consulente, per svilupparsi via via in una serie di passaggi cruciali e conflittuali nel corso del 1963: il rifiuto di Bassani di pubblicare nella sua collana Fratelli d’Italia di arbasino (dopo avergli pubblicato L’Anonimo Lombardo e Parigi o cara), per critiche e riserve sulla struttura e scrittura antitradizionale e contaminata del testo, per voci circolanti su sgradevoli riferimenti del romanzo ad alcuni letterati italiani (smentiti dall’autore), e fors’anche per il nuovo clima a lui ostile; la successiva decisione di Giangiacomo Feltrinelli di far uscire il romanzo in un’altra collana a sua insaputa; le accuse a Bassani di spionaggio editoriale a vantaggio di Einaudi, presso il quale continua a pubblicare le sue opere (con il sospetto tra l’altro, che voglia sottrarre Meneghello alla Feltrinelli), e l’irruzione dell’editore in

21 I venti anni della Feltrinelli, p. 28.

22 g. bassani, Opere, a cura e con un saggio di r. cotroneo, Milano, Mondadori, 1998, pp. lxxxiii-lxxxiv; ferretti, Storia dell’editoria letteraria. 1945-2003, pp. 215-216; cesana, «Libri necessari». Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), pp. 258-259, 277-278, 341-353.

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persona nella redazione romana di piazza Esedra in una domenica d’estate, con relativa forzatura dei cassetti del suo direttore di collana per asportare lettere e altri materiali come possibili prove; il licenziamento o le dimissioni di Bassani stesso; una causa in tribunale con sentenza a lui favorevole; e una lunga scia di veleni nella quale Bassani insieme a Cassola viene definito dalla nuova avanguardia una «Liala del ’63», con grande stupore dell’interessata 23 , e nella quale altresì i contendenti si scambiano durissimi colpi 24 .

Meno noto è il segnalibro dei Frutti d’oro di Nathalie sarraute nel 1964, con questo invito al lettore: «sostituire nomi italiani a quelli francesi e leggere questo libro come la storia dell’ascesa e della caduta di uno dei tanti best seller italiani dell’epoca del boom, per esempio (perché no?) dei Finzi-Contini. E che gusto, allora, che grazia, che umorismo! E che artista (e anche che vipera!) è questa sarraute»25. Dove il tortuoso gioco letterario del redattore, coincide con il sarcasmo polemico del Gruppo ormai egemone nella casa editrice.

Nell’esperienza editoriale di Bassani c’è comunque un evento che fa storia a sé, perché rappresenta la felice eccezione alla regola di una carenza di vere scoperte: Il Gattopardo.

La vicenda editoriale del Gattopardo è stata ormai minuziosamente ricostruita da me in una serie di scritti iniziata nel 1989 e conclusa nel 200826, smentendo a più riprese sulla base di una documentazione esaustiva, una vulgata tenace quanto scorretta secondo cui Vittorini tra il 1956 e il ’57 avrebbe rifiutato il dattiloscritto di Tomasi di Lampedusa per ben due volte, come consulente presso Mondadori e come direttore di collana presso Einaudi. a nche se devo dire che questa versione ha continuato e continua nonostante tutto a colpire implacabile, nelle più diverse sedi.

Nel primo caso in realtà Vittorini riconosce una certa qualità al romanzo e ne intuisce l’interesse commerciale, raccomandando anzi di non lasciarselo scappare, mentre sono i dirigenti mondadoriani a non tenere conto del suo giudizio, e nel secondo caso lo rifiuta perché non risponde alla sua idea di letteratura e all’impostazione sperimentale della collana dei Gettoni che dirige. In entrambi i casi insomma è, in modo diverso, editore autentico. E questo nonostante giudichi Il Gattopardo un vecchio romanzo prenovecentesco più o meno restaurato, senza capirne minimamente la complessità

23 Liala, in Almanacco letterario Bompiani 1968, a cura di g bonacina e f mauri, Milano, Bompiani, 1967, p. 41.

24 bassani, Opere, p. lxxxiv.

25 cesana, «Libri necessari». Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), p. 259.

26 si veda la nota 1.

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e il valore: un grande romanzo cioè di intreccio e di crisi, tradizionale e moderno, di contenuti storico-politici e di appassionante lettura, per dirla qui in breve.

La vicenda editoriale del Gattopardo ha perciò in sé un curioso paradosso. Bassani e Vittorini cioè, con scelte opposte, qui si dimostrano entrambi bravi editori: il primo perché capisce il valore letterario del romanzo e ha il grande merito di pubblicarlo, il secondo perché senza capirne il valore letterario, ne dà due giudizi opposti (di interesse e di rifiuto) coerentemente con le rispettive sedi editoriali. In sostanza mentre il giudizio di Bassani rientra perfettamente nei suoi criteri di gusto, i due giudizi di Vittorini rientrano altrettanto perfettamente nella sua logica squisitamente editoriale.

Certo, da questo confronto restano fuori molte cose: di Vittorini uno sperimentalismo capace di sorprendenti scoperte (insieme a qualche errore) all’interno di una collana come “I gettoni” caratterizzata da una forte identità, e di Bassani un antisperimentalismo e un antologismo in cui le scoperte e l’identità sono condizionate e indebolite, ma anche una complessiva autorevolezza letteraria delle due sezioni della sua collana. E tuttavia quel curioso paradosso rimane e conferma quanto siano imprevedibili le vie dell’editoria libraria, e interessanti i relativi studi e ricerche.

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stefano guerriero

L’aTTIVITÀ EDITOr I a LE DI Bassa NI sULLE LETTEraTU r E sT ra NIEr E: La sEZIONE ‘CLassICI MODEr NI’ DELLa ‘BIBLIOTECa DI LETTEraTU ra’ (1959-1963) T ra MEMOr I a E r Ea LIsMO

L’operazione che si vuole compiere qui è duplice: da un lato verificare sui Classici moderni – sezione straniera della collana diretta dallo scrittore per Giangiacomo Feltrinelli – la contiguità tra l’editore e il critico Bassani, analizzando le opere pubblicate sia dal punto di vista del confezionamento editoriale (risvolti, prefazioni eccetera), sia da quello più strettamente letterario. Dall’altro mostrare come per un ristretto (ma significativo) numero di queste opere, la contiguità non riguardi solo l’editore e il critico ma si estenda anche al narratore. proprio per le caratteristiche peculiari dei Classici moderni – che si concentrano sul periodo a cavallo tra Otto e Novecento –, per essi le scelte di gusto di Bassani in alcuni casi sono anche scelte di poetica, che racchiudono un’idea di letteratura e di tradizione letteraria originale, con alcuni autori (Forster in primis) che vengono proposti come veri e propri modelli. Ne deriva la possibilità di individuare un nucleo ristretto di opere idealmente vicino alla produzione del Bassani autore, e di riflettere sulla sua stessa produzione narrativa da prospettive almeno in parte inedite.

Complessivamente vengono pubblicati ventuno titoli in cinque anni (1959-63): dieci di lingua inglese (compresi tre volumi di Karen Blixen), sei di lingua francese, tre russa oltre a due opere di Borges. a parte la singolare eccezione borgesiana, la distribuzione geografica copre soprattutto le tre principali aree di formazione e interesse di Bassani, le tre letterature cui appartengono gli autori stranieri a lui più cari (come James, Flaubert, Tolstoj, per fare gli esempi maggiori). La miscela, con la prevalenza dell’area inglese e la marginalizzazione di quella russa, riflette ragioni editoriali, essendo i campi francese e russo già ampiamente percorsi dalle case editrici, ma pone anche l’accento sull’importanza dell’area inglese per Bassani, spesso sottovalutata a vantaggio di quella francese e, a volte, di accostamenti unilaterali con proust, dato il tema comune della memoria.

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

Il romanzo che inaugura la collana e che, come il primo verso di un sonetto, si trova in una posizione semanticamente forte, è il capolavoro di Forster Casa Howard, tradotto da Luisa Chiarelli con prefazione di a gostino Lombardo (n. 1, 1959, Howards End ). Bassani non sceglie Forster per il suo carattere di novità. Il romanziere del gruppo di Bloomsbury non è del tutto sconosciuto in Italia: sono già apparse la traduzione di Passaggio in India nel ’45 presso il piccolo editore romano perrella e Camera con vista presso l’Editrice saie di Torino e poi nella Bur l’anno precedente al volume feltrinelliano. Bassani sceglie Casa Howard perché lo considera esemplare di una linea narrativa novecentesca alla quale lui stesso in qualche modo appartiene.

Casa Howard è costruito su una trama formalmente perfetta, bilanciata in modo mirabile, con un evento decisivo esattamente al centro del romanzo –la richiesta di matrimonio da parte del signor Wilcox a Margaret schlegel –e una capacità incredibile di sostenere il racconto con snodi logici e inevitabili fino allo scioglimento. Un impianto perfettamente ottocentesco dunque, anche se non risiede qui la forza di Forster. Molto della sua forza consiste nel dare una catena perfettamente consequenziale di cause ed effetti e contemporaneamente mostrare l’insufficienza di quella catena a spiegare il segreto della vita rappresentata, la sua inadeguatezza ermeneutica.

Quasi a scioglimento del romanzo si legge:

La gente perdette la propria umanità, e assunse valori arbitrari, come quelli di un mazzo di carte da giuoco. Era naturale che Henry avesse fatto questo e fosse stato la causa che Helen facesse quello, e che poi pensasse che lei aveva fatto male a farlo; era naturale che lei pensasse che lui aveva torto; naturale che Leonard volesse sapere come stesse Helen, e che fosse venuto, e che Charles si arrabbiasse con lui perché era venuto: naturale, ma irreale. In questa ridda di cause ed effetti, che cosa era avvenuto del loro vero io? […] eppure […] la vita e la morte erano tutto e ogni cosa eccetto questa ordinata follia, in cui il re prende la regina, e l’asso il re1

Forster dà i valori delle carte, mostra chi vince e chi perde tra i suoi personaggi e contemporaneamente dice che non è lì il segreto della vita. Costruisce un impianto ottocentesco e contemporaneamente fa capire che è inadeguato, non arriva a toccare il segreto della vita, che resta altrove.

È quello che fa anche Bassani. si prenda ad esempio la parabola del dottor Fadigati negli Occhiali d’oro: il successo professionale e sociale, la curiosità morbosa sulla sua vita privata, la scoperta casuale del ‘vizio’ omo-

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1 e.m. forster, Casa Howard, prefazione di a. lombardo, traduzione di l. chiarelli, Milano, Feltrinelli, 1959, p. 425.

sessuale (‘vizio’ agli occhi della provinciale e chiusa borghesia ferrarese), la trasformazione autodistruttiva e rivelatrice in vittima consenziente del giovane carnefice Deliliers, lo scandalo e l’emarginazione sociale, la rovina economica, l’avvicinamento al narratore (portatore di un’altra diversità, quella di essere ebreo), e infine il suicidio. Una narrazione perfettamente consequenziale, eppure tutto resta in qualche modo rarefatto, inspiegabile: tutto sembra soltanto un rimando a qualcos’altro, a un mistero che sta a fondamento della vita individuale e che resta racchiuso nella morte di Fadigati che irrompe a chiusura dell’opera. Come in Forster, anche qui c’è un meccanismo implacabile in funzione (quello delle convenzioni sociali che si scontrano con la libertà e le inclinazioni dell’individuo), il quale sostiene l’intreccio, ma non esaurisce il senso della vita rappresentato nell’intreccio stesso.

Questo schema, che potremmo definire schema del meccanismo necessario ma insufficiente, è esplicitamente enunciato da Bassani (in riferimento alla teoria psicanalitica), nella breve ma importante pagina Di là dal cuore che dà il titolo alla sua raccolta di saggi:

Dopo Freud, l’origine di tutto quanto accade nel nostro cuore (e nel nostro ventre) non ha più nulla di misterioso. Il meccanismo è quello che è, certo. Eppure lo spirito, l’a more, anche se sono il prodotto di quel meccanismo stesso, esistono di per sé, ben al di là dal nostro cuore e dal nostro ventre 2

a nche dell’intreccio Bassani potrebbe dire sconsolato che «è quello che è, certo», ma sempre con la consapevolezza della sua necessità proprio per andare oltre l’intreccio stesso. Da qui il suo scetticismo nei confronti delle sperimentazioni fatte dai narratori-antinarratori nel celebre passo di un’intervista del 1964: «credo che esistano all’interno del “narrare”, diciamo così, narratori-narratori e narratori-antinarratori, romanzieri-romanzieri e romanzieri-antiromanzieri [...]. Questa specie di artisti completamente artisti [...] è sempre esistita, esisterà sempre. Io sono di un’altra specie»3.

a llo stesso modo Forster, nel suo saggio sugli Aspetti del romanzo, riconosce che «l’aspetto fondamentale del romanzo è il suo carattere narrativo», sottolinea la necessità di un ordine cronologico («in un romanzo un orologio c’è sempre»; se si distrugge la sequenza del tempo, il romanzo «diventa soltanto inintelligibile»). Tuttavia il meccanismo temporale dell’intreccio per quanto necessario, resta comunque un limite: l’affermazione «sì... oh

2 g. bassani, Opere, a cura e con un saggio di r. cotroneo, Milano, Mondadori, 1998, p. 1274.

3 Ibidem, p. 1211.

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Dio, sì... il romanzo racconta una storia», è da pronunciare «con un po’ di malinconia» 4 .

Ma dove si manifesta ciò che sta di là dal meccanismo? a quale oltre dà accesso l’intreccio? Di Forster Lombardo dice che «l’oggetto della narrazione è pur sempre l’esperienza interiore»5 e Virginia Woolf, con altra forza espressiva, ricorda che in lui «la vita privata porge lo specchio all’infinito»6 sempre in Aspetti del romanzo, Forster osserva: «La vita nascosta è, per definizione, nascosta. La vita nascosta che si rivela per segni esteriori non è più nascosta, è entrata nel regno dell’azione. La funzione del romanziere è rivelare la vita nascosta alle sue origini»7.

Credo che in Bassani ci sia qualcosa di simile: l’esperienza interiore, la vita privata, porge lo specchio a un infinito, che inevitabilmente in quello specchio non può essere racchiuso per intero. Ma non si tratta soltanto di una affinità di interessi tra i due autori, di una sintonia nel rivolgere il proprio sguardo verso una medesima zona di realtà, ossia verso l’interiorità: l’analogia è più stringente e investe le strutture sulle quali si costruisce il romanzo. Nei risvolti di copertina del Casa Howard feltrinelliano – costruiti, con ragionevole certezza dallo stesso direttore di collana, come un patchwork di citazioni della prefazione di Lombardo, legate attraverso alcuni piccoli ma fondamentali aggiustamenti –, si individua la presenza di tre livelli che interagiscono nella narrazione forsteriana, si sottolinea in essa «il passaggio dalla situazione storica [...] a quella sociale per giungere a quella individuale »8.

se Forster è in qualche modo l’autore programmatico della collana straniera di Bassani e la sua centralità viene confermata dalla pubblicazione di un secondo volume, Monteriano (n. 11, 1961, Where Angels Fear to Tread ), anche gli altri due autori inglesi proposti sono in qualche modo contigui all’area di Forster e di Bloomsbury: in misura minore Wyndham Lewis, di cui viene pubblicata l’opera narrativa più significativa, Tarr (n. 4, 1959); in misura maggiore Ford Madox Ford di cui vengono pubblicati in un singolo volume i primi due romanzi della Saga di Tietjens, Alcuni no e Non più para-

4 e m forster, Aspetti del romanzo [1927], prefazione di g pontiggia, traduzione di c pavolini, Milano, Garzanti, 1991, pp. 39, 43 e 54.

5 l ombardo, Prefazione a forster, Casa Howard, p. 7.

6 v. woolf, I romanzi di E. M. Forster [1942], in id., La signora dell’angolo di fronte, introduzione di g. bompiani, traduzione di m. d’amico, Milano, Il saggiatore, 1979, p. 270.

7 forster, Aspetti del romanzo, p. 57, mio corsivo.

8 Miei corsivi.

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te (n. 19, 1963, Some do not, No more Parades), con prefazione di Gabriele Baldini e traduzione di paola Ojetti.

La scelta di Wyndham Lewis appare legata a un’occasione contingente: la sua morte recente (1957) e la scarsissima fama in Italia (Tarr è la sola opera che sia già stata tradotta, ma da un piccolo editore romano nel 1948, durante i «fervori del dopoguerrra»9, con l’accattivante titolo Anarchia del sesso). Lewis è una figura di primo piano nel rinnovamento culturale inglese dei primi decenni del Novecento, legato al modernismo poetico inglese (pound, Eliot), fondatore del movimento vorticista, artista completo, che spazia dalla narrativa alla poesia, dalla pittura alla saggistica (e la completezza, l’abbattimento delle separazioni tra modalità espressive diverse è certo un elemento che affascina il crociano Bassani). a differenza di Forster tuttavia si sente in lui più forte l’influsso di una formazione estetizzante e nietzschiana. Da questo punto di vista, la sua pubblicazione mette in luce un elemento decisamente importante nella fisionomia dei Classici moderni: nella collana sono in qualche modo presenti anche autori e opere che rappresentano gli scogli che Bassani stesso ha trovato sul suo percorso narrativo e che ha evitato con grande impegno: estetismo e soggettivismo (Lewis), decadentismo (Barbey d’aurevilly), psicologismo (r ivière), autobiografismo (Herzen e altri). Forse anche per questo suo carattere di modello negativo, Tarr viene affidato in toto alla cura del giovane Enzo siciliano, che firma traduzione, prefazione e in modo inusuale anche i risvolti. Nella sua prefazione avvicina Tarr a Dedalus, Tonio Kröger, I quaderni di Malte Laurids Brigge per il momento storico in esso rappresentato, e legge il romanzo come parabola ironica dell’artista che costruisce la sua identità contro la società borghese, e che tuttavia a quella società resta disperatamente subalterno: «la libertà dello spirito e dell’arte, conquistate al di sopra della storia, si sfacevano così sotto le mani dei loro stessi eroi»10.

più congeniale di Lewis alle corde del direttore della collana è Ford Madox Ford, del quale tra l’altro Feltrinelli ha da poco edito nella Universale economica Il buon soldato (1960), curato e prefato da Guido Fink, persona vicina a Bassani fin dagli anni ferraresi. Insieme al Buon soldato, La saga di Tietjens è l’opera maggiore nella vastissima produzione dell’autore inglese (pubblicata peraltro in modo incompleto: la seconda parte, composta dai

9 g. c. ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, p. 61.

10 e. siciliano Prefazione a w. lewis, Tarr [1918], prefazione e traduzione di e. siciliano, Milano, Feltrinelli, 1959, p. 11.

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due romanzi A Man Could Stand Up e The Last Post, non farà in tempo a essere tradotta prima della chiusura della collana).

Nei suoi romanzi Ford si serve di un tipo di narratore simile, nonostante il tono più brusco e nevrotico, a quello utilizzato da Bassani a partire dagli Occhiali d’oro: un narratore che ricostruisce e insieme tenta di interpretare una storia avvenuta nel passato e consegnata al ricordo, ne indaga il senso e contemporaneamente cerca per approssimazione il modo migliore e più esatto per raccontarla. Come Forster inoltre, Ford si situa nel solco di James per la rappresentazione del contrasto dinamico tra convenzioni sociali borghesi e individuo, seppure con risultati naturalmente diversi.

Baldini nella sua prefazione sottolinea il carattere di narratore-narratore di Ford: « La saga di Tietjens si può ancora raccontare, riassumere, giustificare: mentre quella di Ulysses o di The Waves, occorre, per gran parte, che la rintracci il lettore»11. per la sua raccontabilità, lo colloca in una «posizione quasi di mediatore [...] tra la religione predicata a Bloomsbury, diciamo così, e il grande pubblico»12. La cifra e il valore dell’autore sarebbero dunque la lontananza dagli sperimentalismi e dagli eccessi dei narratori-antinarratori, la scelta di innovare sì, ma con moderazione: la scelta di procedere «adelante con juicio», come direbbe il cancelliere Ferrer.

r appresenta invece un’operazione particolare all’interno della collana Karen Blixen, scrittrice danese in lingua inglese di cui vengono pubblicati in successione tre titoli (il numero più alto per un singolo autore): La mia Africa (n. 3, 1959, Out of Africa), Racconti d’inverno (n. 8, 1960, Winter’s Tales), e Ultimi racconti (n. 18, 1962, Last Tales); il primo con prefazione e traduzione di Lucia Drudi Demby, gli altri due tradotti da paola Ojetti. È un’autrice internazionalmente affermata e in odore di Nobel, e come tale viene presentata: su di lei Bassani punta nella speranza di avere un best seller.

La mia Africa ha tre ristampe in un anno: è il risultato migliore dei Classici moderni (oltre alla Mia Africa, solo Racconti d’inverno sempre della Blixen, e Le diaboliche di Barbey d’aurevilly avranno una ristampa nello spazio di vita della collana)13, ma sempre nulla di comparabile alle ottantacinque ristampe in sei anni del Gattopardo. sebbene il libro diventi un long seller (rilanciato a lunga distanza anche da un film di sidney pollack nel

11 g baldini Prefazione a f m ford, La saga di Tietjens. Alcuni, no. Non più parate [192428], traduzione di p. ojetti, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 10.

12 Ibidem, p. 14.

13 I venti anni della Feltrinelli. Catalogo generale 1955-1975, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 28-29.

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1991), l’operazione di fatto non riesce e l’unico grande successo di mercato portato da Bassani a Casa Feltrinelli resterà quello di Tomasi. a nche questo elemento meramente commerciale spiega il progressivo raffreddamento dei rapporti con l’editore: secondo un’osservazione rivelatrice di Valerio r iva, «Feltrinelli avrebbe voluto che Bassani gli procurasse un Gattopardo all’anno»14. Non a caso comunque viene pubblicata per prima proprio La mia Africa, preferita nell’ordine ai racconti, letterariamente più rigorosi ma meno adatti a una strategia di mercato. L’autobiografia africana è potenzialmente un caso per ragioni extraletterarie, dall’ambientazione esotica al risalto che dà al personaggio dell’autrice. Il confezionamento del libro punta proprio su questi elementi.

Il primo volume di letteratura americana pubblicato nella collana ha invece un valore programmatico e una congenialità con la poetica di Bassani, che lo avvicinano a Casa Howard: si tratta dell’Età dell’innocenza di Edith Wharton (n. 7, 1960, The Age of Innocence), tradotto per la prima volta in italiano da a malia d’agostino schanzer e prefato da salvatore rosati. La Wharton è un’allieva di Henry James, ingiustamente considerata una semplice epigona. Il grande critico statunitense Edmund Wilson corregge questo giudizio riduttivo nel saggio Giustizia per Edith Wharton, anticipato in Italia su « paragone» nell’ottobre 1951 e poi pubblicato nella raccolta La ferita e l’arco da Garzanti nel ’56.

a differenza di James, i cui interessi sarebbero prevalentemente estetici, la Wharton è «un appassionato profeta sociale […], un esempio brillante di quel tipo di scrittore che allevia una tensione emotiva denunciando la propria generazione»15. L’età dell’innocenza propone una narrazione fatta di avvenimenti minimi, di passioni forti che si manifestano timidamente e che tuttavia propongono un vero e proprio scontro di mondi contrapposti e intimamente legati: la New York puritana e provinciale di Newland archer e lo spirito europeo di madame Olenska, jamesianamente più libero e spregiudicato. se la contrapposizione discende della lezione del maestro, nella Wharton tuttavia, da un lato «si avverte ancora un attivo risentimento contro la pusillanimità della società provinciale»16, dall’altro la componente tragica di tale contrapposizione è accentuata: «la catastrofe, nei romanzi della Wharton, è quasi invariabilmente il risultato di un conflitto tra l’individuo

14 v. riva, Libro con scasso, « panorama», a. XXX (9 febbraio 1992), 1347, p. 92.

15 e. wilson, Giustizia per Edith Wharton, in id., La ferita e l’arco. Sette studi di letteratura [1941], traduzione di n. d’agostino, Garzanti, Milano 1956, p. 213.

16 Ibidem, p. 222.

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e il gruppo sociale. […] i suoi eroi tragici sono vittime delle convenzioni oppressive di un gruppo sociale; sono esseri spirituali […] che si trovano rinserrati in un piccolo chiuso sistema, e finiscono o col distruggere se stessi […] o col rassegnarsi alla propria schiavitù»17.

È lecito supporre che l’interpretazione proposta da Wilson delle eroine della Wharton, apparsa tra l’altro su una rivista di cui Bassani diventerà di lì a breve redattore, lo abbia spinto ad approfondire la conoscenza dell’autrice americana. a nche la sua Micòl, che sta prendendo forma negli stessi anni (Il giardino dei Finzi-Contini esce dopo una lunghissima gestazione nel 1962), è sotto certi aspetti un essere spirituale che rifiuta di restare nel suo piccolo chiuso sistema (la casa familiare) e sceglie di distruggere se stessa piuttosto che rassegnarsi alla propria schiavitù. E Madame Olenska, pur nella profonda diversità del suo personaggio di donna adulta e vissuta ma ancora spontanea e vitale, sembra uno dei modelli ispiratori di Micòl Finzi-Contini. si veda ad esempio questo passo, in cui si incontra con Newland in una sala archeologica del nascente Metropolitan Museum dedicata a Troia:

Newland, rimanendo seduto, la osservava muoversi con la sua andatura leggera che era sempre quella di una fanciulla nonostante le pesanti pellicce, l’ala di airone fissata abilmente nel berretto di pelo, e la pettinatura elaborata […]. a un certo punto si alzò, avvicinandosi alla vetrina davanti alla quale Ellen si era fermata. Gli scaffali di vetro erano affollati di piccoli oggetti rotti, utensili domestici a stento riconoscibili, ornamenti e piccoli oggetti personali in vetro, in creta, in bronzo sbiancato e in altri materiali ancora, tutti alterati dal tempo. “Che cosa crudele”, disse Ellen, “dopo un certo tempo nulla conta più di queste piccole cose che una volta erano utili e importanti per tanta gente dimenticata, e che nessuno sa più a che cosa servano. Bisogna guardarli con una lente di ingrandimento… e sopra c’è scritto: “Uso sconosciuto”18

Di fronte ai piccoli reperti archeologici, la vitale e impulsiva Olenska si lascia andare a una nostalgia del passato, della vita che nel passato è trascorsa anche attraverso gli oggetti, senza però riuscire a lasciare in essi tracce sufficienti a conservare il senso di quella vita.

Una nostalgia simile è alla radice anche della passione che spinge Micòl a collezionare quei «làttimi» che sono il tratto distintivo della sua camera a lungo agognata dal narratore del Giardino. E anche qui il personaggio più vitale, quello che anzi personifica simbolicamente l’idea stessa di vita, si abbandona a una nostalgia del passato e di quelle porzioni di vita trascor-

17 Ibidem, p. 214.

18 e. wharton, L’età dell’innocenza [1920], prefazione di s. rosati, traduzione di a. d’agostino schanzer, Milano, Feltrinelli, 1960, pp. 353-54.

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sa contenute negli oggetti, in contraddizione con la sua stessa vitalità. La passione per i «làttimi», o «opalines» o «flûtes», «bicchieri, calici, ampolle, ampolline, scatolucce: cosette, in genere scarti d’antiquariato», contraddice la «sua dichiarata avversione a qualsiasi tentativo di sottrarre almeno per poco le cose, gli oggetti, alla morte inevitabile che attendeva anche loro», contraddice la visione proposta nel bel dialogo che si svolge nella rimessa delle carrozze, secondo la quale gli oggetti vanno incontro a una perdita assoluta di funzione: «anche le cose muoiono […] e dunque, se anche loro devono morire, tant’è, meglio lasciarle andare»19

La congenialità di Edith Wharton alla poetica bassaniana ha anche un involontario risvolto ironico e rivelatore: l’autrice non compare nella pur vasta antologia Americana di Vittorini. Non potrebbe essere diversamente forse, visto che l’a merica della Wharton è l’esatta antitesi di quella vitale, giovane e barbara di Vittorini: è puritana, ingabbiata nelle convezioni sociali («un matrimonio newyorchese del diciannovesimo secolo [è] un rito quasi preistorico»20), è tutta forma che schiaccia la vita, e in essa l’individuo paga un prezzo altissimo in termini di libertà alla società di cui fa parte.

Gli altri due autori statunitensi proposti nei Classici moderni sono invece già apparsi nell’antologia vittoriniana: si tratta di O. Henry (pseudonimo di William sydney porter), con la scelta antologica Memorie di un cane giallo e altri racconti, tradotta e prefata da Giorgio Manganelli (n. 17, 1962), e di stephen Crane con un volume di Romanzi brevi e racconti, tradotto da Bianca Maria pisapia e prefato da agostino Lombardo (n. 20, 1963). In Americana si trovano entrambi, più o meno a ragione, nella sezione intitolata Leggenda e verismo, mentre Bassani, pubblicandoli nella Biblioteca moderna, ne fa risaltare le rispettive diversità di poetica.

Nel caso di O. Henry, si può dire che Manganelli fa suo il libro fin dalla prefazione, negando all’autore qualsiasi spinta verista o referenziale, e reinventandolo secondo quella che sarà la sua propria poetica di prosatore. O. Henry sarebbe «un modesto, circoscritto vizio […], come quello che talora spinge uomini di palato discriminante a indulgere a modesti dolciumi da fiera, di ambizioni sobrie e riposanti»21. E tuttavia egli è «cattivante in modo irresistibile, per chi […] nelle imprese provocatorie del contafavole sappia gustare il gesto della metafora e dell’iperbole, la libertà della pura e semplice

19 bassani, Opere, pp. 423, 425 e 418.

20 wharton, L’età dell’innocenza, p. 213.

21 g. manganelli Prefazione a o. henry, Memorie di un cane giallo e altri racconti, prefazione e traduzione di g manganelli, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 8.

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menzogna»22. Da notare come già qui Manganelli usi quel termine «menzogna» che nella sua riflessione teorica diventerà sinonimo di «letteratura». a interpretare la sua prefazione, in effetti, quelli che vengono apparentemente presentati come i limiti dell’autore, vedi il suo essere «disonesto» e «frivolo» o «l’espunzione di larghe zone di realtà» o il suo tono comico e iperbolico, sono in verità considerati i suoi punti di forza. I risvolti non possono che prendere atto dell’interpretazione proposta dal prefatore e di fatto ne riprendono gli argomenti, seppure in uno stile non manganelliano, meno vivace e più ponderato.

sicuramente più vicina a Bassani è la reinterpretazione proposta da Lombardo (già prefatore di Casa Howard ) per la figura di Crane. Il suo saggio introduttivo è tutto finalizzato a liberare l’autore, attivo nell’ultimo scorcio del XIX secolo e morto prematuramente, dall’etichetta riduttiva di naturalista, proponendo per lui una definizione di realismo che appare condivisibile dallo stesso direttore di collana. Crane è già noto in Italia soprattutto per la traduzione di The Red Badge of Courage, romanzo ambientato nella guerra civile americana, che Lombardo affianca alle opere di Hawthorne, James, Faulkner, per la «disposizione simbolica che caratterizza [il suo] realismo»23. pur non mettendo in discussione l’adesione dello scrittore al naturalismo, il prefatore sottolinea, al di là delle dichiarazioni di poetica, che la sua «arte non va identificata […] con una rappresentazione naturalistica della realtà, bensì con una forma che unisce un vivo sentimento morale ad un’accesa, fin violenta percezione […] del dato sensuale»24. r icordando il giudizio di impressionismo dato sulla sua opera da Conrad, conclude che «la qualità simbolica che il linguaggio di Crane assume, [nel quale] i singoli oggetti, i colori, la natura, la guerra, pur rappresentati con vivido bruciante realismo sempre suggeriscono un più segreto e più universale significato, nasce appunto dal fatto che la realtà fisica costituisce, per lo scrittore, uno strumento per la raffigurazione e la penetrazione della realtà morale»25.

più esigua la componente russa della collana, che si riduce a due autori: Konstantin paustovskij con i primi due volumi della sua monumentale biografia Cronaca di una vita (Gli anni lontani, n. 6, 1960, e Gioventù irrequieta, n. 9, 1961, Povest’ o žizni) e a leksandr I. Herzen, anch’esso con una biogra-

22 Ibidem, p. 8-9.

23 a. lombardo Prefazione a s. crane, Romanzi brevi e racconti, traduzione di b. m. pisapia, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 8.

24 Ibidem, p. 9.

25 Ibidem, p. 19.

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fia, Il passato e i pensieri (n. 12, 1961, Byloje i dumy); il tutto tradotto, curato e prefato da Lia Wainstein.

È significativo che in entrambi i casi la scelta cada su delle autobiografie. Non si tratta solo di un ripiego, di una rinuncia a percorrere le strade del romanzo russo classico già ampiamente battute da editori generalisti e specializzati (vedi ad esempio il grande lavoro svolto da slavia di Torino, soprattutto a partire dagli anni Venti), o quelle del realismo socialista cui Bassani non attribuisce alcuna dignità letteraria.

C’è piuttosto un’attenzione specifica per il genere autobiografia, i cui confini con il genere romanzo sono del resto di difficile definizione. Memorie e autobiografie hanno uno spazio cospicuo nella collana, in sintonia con la poetica del ricordo e dell’evocazione che caratterizza lo stesso Bassani narratore: c’è un vero e proprio «gusto della narrativa di confessione e di memoria», secondo un’espressione usata nel segnalibro del volume di sermonti pubblicato nella sezione italiana, Giorni travestiti da giorni. Del resto il nodo che sta alla radice della stessa narrativa di Bassani è forse il legame tra esperienza individuale e obiettività storica, il legame tra l’assolutezza della vita dello spirito cui attinge il singolo individuo e la contingenza storica di cui quella vita dello spirito è inevitabilmente espressione 26 .

La sezione francese della collana, che insieme a quella inglese ne costituisce magna pars, è meno omogenea rispetto a quest’ultima: una maggiore eterogeneità che si spiega in parte con la difficoltà di trovare filoni non ancora pienamente valorizzati, vista anche qui l’assidua e costante frequentazione del mondo letterario d’oltralpe da parte degli editori italiani tra Otto e Novecento. si possono dunque distinguere nelle scelte di Bassani: un piccolo gruppo di autori (Jacques r ivière, Marcel Jouhandeau e Charles-Louis philippe) che, pur con poetiche profondamente diverse, sono stati vicini alla «Nouvelle revue Française» (nrf ), arbitro di gusto per la repubblica delle lettere italiana nella prima metà del Novecento (e quindi anche negli anni di formazione di Bassani); una vera e propria incursione nel decadentismo con Jules-a médée Barbey d’aurevilly; infine due grandi autori come rené Char e Marguerite Yourcenar, ancora editorialmente quasi sconosciuti al nostro pubblico.

26 Cfr. s guerriero, Crocianesimo e antifascismo nella poetica di Bassani, «Otto/ Novecento», a. XXVIII (settembre-dicembre 2004), 3, pp. 151-53; id., La fedeltà di Giorgio Bassani alla storia nella rappresentazione della comunità ebraica ferrarese sotto il fascismo, in Narrare la storia. Dal documento al racconto, Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, Milano, Mondadori, 2006, pp. 359-76.

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Di r ivière, direttore della nrf dal 1919 al ’25, viene pubblicato il romanzo psicologico e intimista Aimée (n. 2, 1959), tradotto e prefato da Niccolò Gallo. È la storia di un’introspezione costruita su una trama minima, attraverso la registrazione minuta delle emozioni del pudico protagonista alla ricerca della verità nella sua vicenda amorosa.

più controversa la figura di Jouhandeau, caratterizzata da lacerante tensione religiosa, antisemitismo e omosessualità problematica (un tema che è anche del Bassani narratore). Le Cronache maritali e Nuove cronache maritali (n. 10, 1961, Chroniques maritales e Nouvelles chroniques maritales), prefate e tradotte da Guido Neri, mettono in scena un mondo chiuso tipicamente provinciale, altro tema bassaniano, in una narrazione che da un lato si colloca nel naturalismo (il prefatore parla anzi di «frenesia naturalistica»), dall’altro ha un fondamento profondamente autobiografico, tanto che l’autore sembra «diviso tra diario e romanzo». La rappresentazione dell’ambiente è funzionale alla rappresentazione del personaggio autobiografico: «pare che a Jouhandeau interessi prima di tutto l’individuo, come teatro di mutevoli e contrastanti verità»27. Naturalismo e attenzione alla soggettività, anche qui, sono le due facce di una stessa e più complessa medaglia.

Croquignole (n. 13, 1962) di philippe, tradotto e prefato da piero Bianconi insieme a sei racconti che completano il volume, si trova in posizione simile a quella occupata nella sezione italiana da romanzi come Zebio Còtal di Guido Cavani e La traduzione di silvano Ceccherini. philippe, al quale la nrf dedica un numero speciale in occasione della sua precoce morte nel 1909, è un autodidatta di bassa estrazione sociale, il cui tema costante è il sentimento della povertà. a nche in contrapposizione polemica con le tendenze neorealistiche del dopoguerra, Bassani ha manifestato più volte la sua avversione alla categoria dell’autodidatta, in saggi, interventi e risvolti di copertina. si veda ad esempio l’intervista raccolta da Barbato (che come ajello gli offre dentro «L’Espresso» una sponda da cui difendersi in tempi di battaglie neoavanguardiste), dove osserva: «Non ho mai creduto agli autodidatti, credo invece alla letteratura, che è qualcosa che si sente alla prima cucchiaiata»28. La scelta di philippe, e quelle consimili nella sua attività di editore, non vogliono smentire tale convinzione quanto mostrarne l’assenza di caratteri pregiudiziali, attraverso il riconoscimento del sapore della vera letteratura anche le rare volte in cui, per dirla con Bassani, proviene da cucine che per

27 g. neri Prefazione a m. jouhandeau, Cronache maritali e Nuove cronache maritali [1938-43], prefazione e traduzione di g. neri, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 9, 11 e 12.

28 I libri che non gli somigliano, intervista con g. bassani a cura di a. barbato, «L’Espresso», a. IX (26 maggio 1963), 21, p. 13.

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loro natura sarebbero le meno adatte a produrla (nel caso di philippe poi, il riconoscimento del suo valore letterario ha già avuto l’autorevole imprimatur della nrf ).

Le diaboliche (n. 14, 1962, Les diaboliques) di Barbey d’aurevilly, con traduzione di Elena Giolitti e prefazione di Mario praz, è sicuramente il volume più eterogeneo rispetto alla fisionomia generale della collana e in mancanza di carte d’archivio resta difficile comprendere le ragioni della scelta. Non è una novità ma anzi ha una sua fortuna editoriale in Italia, essendo già comparso nel catalogo di varie case editrici (tra gli altri sonzogno, e Bompiani per la cura di Camillo sbarbaro). seppure Barbey D’aurevilly predilige lo scavo psicologico, la costruzione di personaggi femminili articolati, la rappresentazione di uno scontro con le convenzioni sociali, tuttavia il trattamento di tali temi è pienamente decadente e impedisce di trovare nei suoi racconti quell’aria di famiglia fatta di tradizione e modernità, che pur nella diversità è facile riscontrare tra altri titoli dei Classici moderni.

Gli ultimi due autori di area francese pubblicati nella collana sono invece due grandi voci del Novecento: rené Char con Poesia e prosa (n. 15, 1962, Poèmes et prose choisis), prefato da Caproni e tradotto dal medesimo e da Vittorio sereni, e Marguerite Yourcenar con un volume che raccoglie due opere narrative, Il colpo di grazia e Alexis o il trattato della lotta vana (n. 16, 1962, Le Coup de Grâce e Alexis ou le Traité du vain Combat), tradotti e prefati da Maria Luisa spaziani.

Char è forse l’autore più frequentato da «Botteghe Oscure» con traduzioni, testi originali e, cosa del tutto eccezionale per la rivista, persino traduzioni in lingue diverse dall’italiano29. Nella biblioteca personale di Bassani sono presenti molti volumi del poeta francese, datati a partire dal ’48, anno di fondazione della rivista30. Bassani stesso ne ha anche tradotto alcuni testi per « paragone» (ottobre 1957, a. VIII, n. 94). Marguerite Caetani, mecenate e anima di «Botteghe Oscure», è una grande estimatrice di Char (al quale è legata da un profondo rapporto di amicizia) e ne promuove attivamente l’affermazione al di fuori della Francia. Lo stesso traduttore Giorgio Caproni, che è all’epoca ancora lontano dalla piena affermazione come poeta, ha pubblicato sulla sua rivista. Nella corrispondenza della principessa con Giorgio Bassani vi sono varie tracce del suo tenace interessamento a tutte le fasi dell’operazione, dalla progettazione alla realizzazione; interessamento che

29 La rivista «Botteghe Oscure» e Marguerite Caetani. La corrispondenza con gli autori italiani, 1948-1960, a cura di s. valli, roma, L’Erma di Bretschneider, 1999, p. 66.

30 m rinaldi, Le biblioteche di Giorgio Bassani, Milano, Guerini, 2004, pp. 109-11.

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sembrerebbe comprendere anche un anticipo di sua mano a Caproni, che va ad aggiungersi a quanto sarà poi pattuito con Feltrinelli 31 .

La pubblicazione feltrinelliana delle Poesie e prose nasce dunque nell’ambiente della rivista romana. Il volume è la traduzione italiana dei Poèmes et prose choisis, antologia d’autore da poco edita in Francia (1957), ampliata con la traduzione integrale dei Feuillets d’Hypnos per mano di sereni. Tuttavia la scelta di Char non è subalterna a «Botteghe Oscure» o alla sua direttrice, ma ha anche una sua logica editoriale: proprio attraverso il lavoro di «Botteghe Oscure», Char è un poeta il cui valore è già abbastanza consolidato in Italia, ma manca ancora un volume che offra un’immagine complessiva della sua opera. Il fatto poi che sia l’unico poeta inserito nei Classici moderni, che per il resto ospitano soltanto prosatori, non costituisce una deroga particolare. Il crociano bassani ha più volte manifestato il suo fastidio per le suddivisioni di genere: «io, oltre che un cosiddetto narratore (parola che aborro), sono un poeta (altra parola che mi piace purché non si riferisca soltanto a quell’andare a capo che si verifica al termine di ogni verso), nonché saggista»32; un’affermazione che presuppone l’equivalenza tra poesia e letteratura. La pubblicazione di volumi di poesia – la cui diversità viene segnalata solo da piccole variazioni della grafica, come per Char l’assenza di immagini sulla sovraccoperta – è inoltre una prassi usuale nella sezione italiana della sua collana, dove compaiono opere poetiche di Fortini, Delfini, roversi e altri. a l di là del valore oggettivo della poesia di Char, prontamente riconosciuto da Bassani prima come redattore di rivista e poi come direttore di collana, c’è anche una vicinanza ideale e ideologica tra i due nel modo di intendere la funzione civile della poesia e della letteratura: nella «ritrovata missione del poeta come suscitatore di vita (quindi di rivolta ininterrotta: non tramite la concione in versi, secondo la più banale formula dell’engagement, ma tramite la vita stessa)»; missione che rende il poeta francese «la voce viva e quasi magica […] d’un fautore acerrimo di libertà, nel più vasto e limpido senso laico»33, secondo una riflessione di Caproni nella prefazione, ripresa e valorizzata anche nei risvolti di copertina.

31 Cfr. La rivista Botteghe Oscure e Marguerite Caetani, pp. 98-102, 110-11, 134-35, oltre alla lettera della Caetani a Bassani datata 1 marzo 1959, raccolta in “Sarà un bellissimo numero”. Carteggio Giorgio Bassani-Marguerite Caetani, a cura di m tortora, roma, Edizioni storia e Letteratura, 2011 (in corso di stampa). r ingrazio Massimiliano Tortora per la segnalazione.

32 bassani, Opere, p. 1344.

33 g. caproni Prefazione a r. char, Poesia e prosa [1957], prefazione di g. caproni, traduzione di g caproni e v sereni, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 8-9.

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a nche per la Yourcenar è possibile che una prima notizia arrivi a Bassani tramite Marguerite Caetani, che nel 1957 le aveva chiesto di collaborare alla sua rivista (salvo poi rifiutare i testi poetici da lei offerti)34. Tuttavia già la pubblicazione delle Memorie di Adriano in Francia nel 1951 ha segnato con forza l’affermazione dell’autrice nel suo paese. Il romanzo maggiore è stato anzi prontamente pubblicato in Italia da una piccola casa editrice napoletana, r ichter. Bassani, forse anche perché i diritti delle Memorie sono già presi, sceglie di far tradurre a Maria Luisa spaziani un’opera antecedente, Il colpo di grazia, presentandolo tatticamente come il vero capolavoro della scrittrice (sicuramente è un capolavoro ma non ha il respiro e la grandezza dell’opera maggiore), e accompagnandolo con il suo breve romanzo d’esordio Alexis, confessione autobiografica in prima persona di un omosessuale alla moglie. ad entrambi viene anteposta una prefazione d’autore scritta appositamente per l’edizione italiana.

La prefazione generale del volume firmata dalla spaziani è polemica e provocatoria, tesa a sbalzare la grandezza della Yourcenar sullo sfondo di due bersagli. Il primo è il «romanzo aperto» diffidente verso i personaggi e alieno dall’«esigenza di una premessa, di uno svolgimento e di una conclusione, [esigenza che] viene relegata nelle soffitte letterarie»35. L’allusione evidente è al nouveau roman che si sta diffondendo in questi anni in Francia e che a breve diventerà in Italia un modello per la neoavanguardia. ad esso viene contrapposto Il colpo di grazia, tutto «personaggio, destino. romanzo chiuso per eccellenza, si direbbe, sdegnosamente incurante di qualsiasi moda o aria del tempo»36. Ma il bersaglio grosso è ancora una volta il neorealismo italiano, quel mito sorto all’orizzonte, «a offuscare le raffinate sottigliezze del clima fra le due guerre»:

si annuncia, allora, il tempo del nuovo realismo, poi se ne fa evidente il trionfo. L’eleganza ostentatamente o segretamente spaventa; pur con gradazioni diverse di temperatura e di cronologia in Francia e in Italia ci si sottrae ad un lungo e quasi religioso rispetto per il poemetto in prosa e per il romanzo lirico, ovunque si fiuta bizantinismo e dannunzianesimo e finalmente ci si riduce a cercare l’epopea nei sobborghi proletari negli eroi dell’afasico e dell’asfittico37.

34 La rivista Botteghe Oscure e Marguerite Caetani. La corrispondenza con gli autori stranieri, 1948-1960 Sezione francese, direzione di j risset, a cura di l santone e p tamassia, roma, L’Erma di Bretschneider, 2007, p. 197.

35 m.l. spaziani Prefazione a m. yourcenar, Il colpo di grazia e Alexis o il trattato della lotta vana [1929 e 1939], prefazione e traduzione di m.l. spaziani, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 9.

36 Ibidem, p. 13.

37 Ibidem, pp. 8-9.

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La linea della spaziani è in buona parte quella propria di Bassani stesso da lungo tempo, tanto che viene ripresa nei risvolti, seppure in una prospettiva più temperata e laica, meno elitaria e priva di sacri furori per il romanzo lirico: Certi recenti successi narrativi sembrano indicare abbastanza chiaramente che sta per tramontare il tempo della sfiducia nella poesia, e che il realismo, nella sovente superficiale accezione dell’ultimo decennio, non è più il dogma imperante. Il decadentismo, l’accusa sbrigativa e inappellabile che tanto sovente abbiamo sentito risuonare negli ultimi quindici anni, e che è stato sinora “il rifugio dei migliori”, secondo l’espressione di T. W. adorno, di coloro che tentavano di reagire al conformismo dell’industrializzazione intellettuale, incomincia lentamente a uscire di cattività, a ricordare ai nuovi scrittori eleganze e raffinatezze che soltanto ieri essi avrebbero considerato superflue quando non vergognose. Naturale quindi che le traduzioni vadano oltre i binari obbligati di certi nomi e di certe scuole, e portino in luce autori inspiegabilmente tenuti in ombra dalla critica maggiore.

Con il riferimento ai «recenti successi narrativi», nel quale è facile vedere in filigrana i nomi di pasternak e Tomasi, Bassani ripropone una linea di fedeltà alla tradizione letteraria, alla quale apparterrebbe anche la Yourcenar.

per chiudere questo percorso attraverso i Classici moderni, resta Jorge Luis Borges, del quale vengono pubblicati L’Aleph (n. 5, 1959, El Aleph) e la raccolta di saggi letterari Altre inquisizioni (n. 21, 1963, Otras Inquisiciones), che concludono la collana; entrambi tradotti e prefati da Francesco Tentori Montalto. a prima vista non c’è nulla di più lontano da Bassani e dal suo discorso critico del metafisico e antistoricista Borges, ed è quanto mai problematico individuare le ragioni della scelta. C’è da dire però che in generale Borges inizia a diffondersi in Italia senza che se ne comprenda a pieno la grande carica innovativa e originale.

La sua prima opera tradotta è Finzioni, che appare nei Gettoni vittoriniani con il titolo La biblioteca di Babele nel 1955. Il volume era stato segnalato in modo entusiastico da sergio solmi e tradotto da Franco Lucentini, ma è interessante notare che lo stesso Calvino, che sarà l’autore italiano più profondamente influenzato dallo scrittore argentino, quando propone a Vittorini la collocazione nella sua collana, dà un giudizio dell’opera decisamente limitativo: «è un libro che nella traduzione francese […] ha avuto un grande successo, anche un po’ snobistico. a sergio solmi piace molto, e certamente è una vera “trouvaille”»38.

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38 i. calvino in l. mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 668.

Borges è in effetti un continente e può piacere tanto agli sperimentalisti, quanto ai fautori del fantastico, quanto a realisti problematici come Bassani stesso, certamente vicino a quell’ossessione del rapporto tra finito e infinito che caratterizza i contes philosophiques dello scrittore argentino. Questa vicinanza ideale traspare nella sovraccoperta, che tra l’altro è nella collana tra le meno dipendenti dalla prefazione del curatore, e che recita: r aro esempio di cultura assimilata al punto di farsi nuovamente memoria e poesia, temperamento di meditatore e scrittore di acute divagazioni metafisiche […]. Un pensiero insieme lucido e appassionato guida questi giuochi, nei quali un’invenzione ardente e temeraria […] tocca […] temi universali: il tempo, l’eternità, la morte, la personalità e il suo sdoppiamento, la pazzia, il dolore, il destino. Universali, ma costantemente uniti, in Borges, al sentimento dell’unicità irripetibile dell’esperienza individuale.

a uno sguardo complessivo dunque, la sezione straniera della Biblioteca di letteratura bassaniana, se non ha un’identità editoriale, ne ha sicuramente una letteraria abbastanza definita. È un’identità che ha il suo fondamento prima di tutto nel discorso critico sviluppato dal direttore, su posizioni sostanzialmente contrapposte rispetto alle tendenze dominanti che si avvicendano nel dopoguerra: come Bassani, i Classici moderni sono antineorealisti e antisperimentali.

se l’antisperimentalismo lo allontana tanto dalla linea vittoriniana dei Gettoni, quanto da quella della neoavanguardia che muove i primi passi, più vincolante e sostanziale è l’antineorealismo, sebbene esso possa a prima vista sembrare la protrazione estenuante di una polemica in ritardo, contro una tendenza che a cavallo tra anni Cinquanta e sessanta, dopo i dibattiti su Metello, Il Gattopardo, La ragazza di Bube, è sostanzialmente superata. Intorno ad esso in realtà si aggrega un insieme di capisaldi del discorso bassaniano: l’avversione all’engagement e a qualsiasi strumento ideologico nella lettura della realtà, il sospetto verso il populismo e, in ultimo, la programmatica ed esibita inattualità dell’opera letteraria.

a questa delimitazione di campo tutta in negativo corrisponde nei Classici moderni, a differenza di quanto succede nei Contemporanei italiani, un’idea di letteratura in positivo, che in ultima analisi ha significativi punti di contatto anche con la poetica del Bassani scrittore, a livello formale e contenutistico. a ntineorealismo e antisperimentalismo convergono nel proporre quel realismo filtrato attraverso l’esperienza individuale, problematico e dalla forte carica simbolica, che è una delle maggiori costanti della collana. Esso coniuga il realismo ottocentesco con l’acquisizione alla letteratura della vita interiore che ha il suo culmine nel modernismo a inizio Novecento, ed

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è forse la costante principale che guida Bassani nella sua personale ricognizione della tradizione alla ricerca dei ‘classici moderni’. a l realismo basato sull’esperienza morale della realtà corrisponde inoltre la singolare predilezione contenutistica per opere di ambientazione aristocratica o alto borghese, tratto comune a tutti i Classici moderni con poche eccezioni (paustovskij, philippe, O. Henry). se il popolo è l’oggetto privilegiato del neorealismo, i ceti più elevati sono privilegiati invece dal Bassani editore, in sintonia anche con la sua opera narrativa nella quale a ben vedere c’è una costante gran borghese (Montale la considera uno studio di «una particolare sezione della vita borghese dei nostri tempi»39). È negli ambienti alti della società che per Bassani si trova quella complessità della vita interiore dell’individuo, che presiede al suo particolare realismo: una premessa che Bassani nella sua «natura imperiosamente aristocratica» 40 assume come dato di fatto, senza metterla in discussione. a ltro elemento contenutistico comune all’autore e all’editore di letteratura straniera è il tema privilegiato della collisione tra anima e società, tra individuo e convenzioni, la messa in scena di mondi chiusi che si scontrano e non comunicano.

Una seconda costante nell’idea di letteratura sottesa tanto ai Classici moderni quanto al Romanzo di Ferrara è la concezione dell’arte come luogo del ripensamento e della memoria: memoria che è spesso una comunicazione con i morti, con mondi scomparsi che vengono salvati dall’oblio proprio grazie alla scrittura letteraria. Delle diverse funzioni della memoria troviamo un vero e proprio campionario nelle opere pubblicate: luogo del ripensamento e della riappropriazione, spazio autobiografico (Ford, Yourcenar, Blixen, paustovskij), rappresentazione di mondi scomparsi (Herzen, Wharton). Queste diverse funzioni della memoria, e del suo ruolo di riscatto dalla morte, sono per Bassani l’essenza stessa della letteratura, come è evidente in una delle ultime interviste (1991) in cui parla della propria opera: «E i poeti, loro, che cosa fanno se non morire, e tornare di qua per parlare? […] Di che cosa devono parlare i poeti se non di ciò che ricordano? […] per quale motivo scrivono, i poeti, se non per tornare al mondo?» 41. C’è un fatto aneddotico riportato da Micaela r inaldi42 che assume quasi il valore di una dichiarazione di poetica in tale direzione, ed è l’occultamento della biblio-

39 e montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di g zampa, Milano, Mondadori, 1996, p. 2444.

40 e. siciliano, Romanzo e destini, roma-Napoli, Theoria, 1992, p. 16.

41 bassani, Opere, pp. 1344-47.

42 rinaldi, Le biblioteche di Giorgio Bassani, p. 4.

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teca di famiglia nel cimitero ebraico di Ferrara per sottrarla al saccheggio durante la guerra: la letteratura ha a che fare con la morte e insieme salva dall’oblio.

pur con singole scelte eterogenee, c’è dunque nei Classici moderni un nucleo forte di autori nel quale è dato riscontrare almeno una o entrambe le costanti qui individuate. per esso le scelte di gusto di Bassani non discendono solo dal suo senso critico ma, nonostante le sue stesse affermazioni in senso contrario 43, di fatto si avvicinano anche alla sua poetica. Forster, Wharton, Yourcenar, in misura minore Ford, Herzen, Blixen: sono gli autori che costruiscono un’identità letteraria della collana congeniale al suo direttore.

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43 Cfr. I libri che non gli somigliano

LE

Dopo i contributi di Ferretti e Guerriero, che hanno ampiamente illustrato la genesi dell’attività editoriale di Bassani e le logiche alle quali tale attività era improntata, il presente intervento si propone una verifica dei risultati sortiti dalle scelte bassaniane alla direzione delle Biblioteche di letteratura in termini di fortuna critica, esponendo i risultati di un’indagine sull’interesse e sul dibattito suscitato da alcuni titoli rappresentativi pubblicati nelle dette collane. a tale scopo è stata considerata una rosa di 16 titoli, che coprisse tipologie diverse: per I Contemporanei, collana composta da 52 titoli in tutto, cinque opere in rappresentanza della narrativa maggiore – di autori già noti, noti in futuro, poi divenuti classici (Il soldato di Carlo Cassola del ’58, Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori del luglio ’58, L’anonimo lombardo di a lberto arbasino del ’59, Ballata levantina di Fausta Cialente dell’aprile ’61, Libera nos a malo di Luigi Meneghello del maggio ’63). È stato escluso il caso più clamoroso, nonché una delle scoperte più importanti fatte da Bassani assieme a quella di Meneghello, ossia Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (’58), dal momento che esiste già una ricostruzione puntuale ed esaustiva della sua fortuna fatta da stefano Guerriero in un saggio recente1. Due titoli sono stati scelti in rappresentanza di una narrativa minore (Giorni travestiti da giorni di Vittorio sermonti del ’60, Viale Bianca Maria di rodolfo Celletti del ’61); ancora tre titoli in rappresentanza della poesia (Poesia ed errore di Franco Fortini del ’59, Le porte dell’appennino di paolo Volponi del ’60, Dopo Campoformio di roberto roversi del ’62), ed infine almeno un titolo di poesia minore (Dal ponte dell’Ariccia di Enrico Tobia, ’62).

1 s. guerriero, Rassegna della fortuna critica, in g.c. ferretti, La lunga cosa del Gattopardo, Torino, a ragno, 2008. Ma si può vedere anche r. cesana, “Libri necessari”. Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), Milano, Unicopli, 2010, pp. 318-340.

giulia iannuzzi
BIBLIOTECHE DI LETTEraTU ra: a LCUNI EsEM pI DI FOrTUNa Cr ITICa
Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012 ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

per I Classici moderni, collana composta da 21 titoli usciti fra ’59 e ’63, il lavoro si è concentrato su cinque titoli di autori stranieri particolarmente significativi o la cui pubblicazione nella Biblioteca di letteratura abbia costituito la prima comparsa in Italia di una certa visibilità (Casa Howard di Edward Morgan Forster nel ’59, La mia Africa di Karen Blixen del maggio ’59, L’Aleph di Jorge Luis Borges nel ’59, Poesia e prosa di rené Char del ’62 e Il colpo di grazia e Alexis o il trattato della lotta vana di Marguerite Yourcenar del ’62).

Nella rosa di titoli trovano inoltre rappresentanza anche le tre tipologie di autori che Ferretti ha individuato come costituenti e caratterizzanti la collana: ritorni di autori appartenenti alla generazione degli anni Trenta (come la Cialente), già noti o in via di consolidamento con frequenti passaggi da altri editori (come Cassola o Fortini), esordienti (come Celletti)2

Di ogni titolo si è tentato di ricostruire le attenzioni suscitate presso la critica nei quattro-sei mesi immediatamente a ridosso dell’uscita, al più tardi nel corso dell’anno successivo, in modo da considerare esclusivamente la fortuna della pubblicazione nelle collane considerate, e non quella a medio e lungo termine dell’opera in sé o dell’autore.

Cominciamo dai narratori seguendo l’ordine di uscita. Il soldato di Cassola è in catalogo il primo titolo de I Contemporanei. Uscito nel marzo ’58 permette di lanciare la collana riscuotendo una certa attenzione, non solo grazie all’aggiudicarsi del premio salento e all’arrivo in finale in vari altri, ma anche in virtù di un autore con una bibliografia e una fortuna già consolidate (Cassola aveva già pubblicato Fausto e Anna, I vecchi compagni, La casa di via Valadier, per altro tutti con Einaudi). Non si tratta dunque di una scoperta ma di un autore conosciuto e che resterà in seguito sostanzialmente einaudiano3. Inoltre il volume feltrinelliano include un racconto scritto anni prima – Rosa Gagliardi del ’46 e già pubblicato su «Botteghe Oscure» nel ’56 – e uno recentissimo – Il soldato – che, come nota tra i primi Leone piccioni su «Il popolo» 4, racchiudono dieci anni di attività. Dunque molte recensioni al volume si trasformano volentieri in occasioni per riflettere sul percorso complessivo dello scrittore, individuandone le traiettorie tematiche e stilistiche in evoluzione e prendendo posizione in favore dell’uno o dell’altro momento, mentre in altri casi i recensori si limi-

215.

3 Con l’eccezione di Viaggio in Cina per Feltrinelli e I minatori della Maremma per Laterza, e con il passaggio a r izzoli negli anni settanta.

4 l piccioni, Il soldato di Cassola, «Il popolo», 18 maggio 1958, p. 4.

GIULI a Ia NNUZZI 198
2 g c ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, p.

tano al confronto tra i due racconti, rilevandone ora strutturali differenze ora altrettanto visibili affinità.

Il soldato viene recensito pressoché da tutti i principali titolari di rubriche letterarie dei maggiori quotidiani e riviste specializzate del periodo: Montale sul «Corriere», Bartolucci sull’« avanti», seroni su «l’Unità», Ferrata su «Il Giorno» e così via, mentre per settimanali e riviste si possono citare Bocelli sul «Mondo», salinari su «Vie Nuove», Bàrberi-squarotti su « palatina», tutti entro la fine del ’58, seguiti dal più complessivo saggio di Ferretti sul «Contemporaneo» di aprile ’59 e dalla stroncatura di Barilli sul primo numero de «Il Mulino» di gennaio-febbraio ’595.

recensioni per lo più positive (con la significativa eccezione di Barilli), in cui particolari apprezzamenti e riserve non seguono i confini delle appartenenze o simpatie politiche dei recensori, proprio in virtù di ciò che Il soldato rappresenta entro il percorso dello scrittore, in particolare visto l’abbandono della tematica resistenziale e antifascista e un tentativo, inedito per Cassola, di penetrazione nella psicologia, nell’interiorità dei personaggi. secondo Montale il racconto Il soldato rappresenta l’opera più matura dell’autore, grazie a un’atmosfera non più fine a se stessa ma riassorbita nei personaggi: «un racconto quasi popolare nell’andamento, con toni e dialoghi da bibliothèque rose (così suggerisce la nota editoriale con qualche esagerazione). Eppure proprio questo ci sembra il maggior merito di Cassola: di essersi liberato da quella lieve nube – quasi una cipria – di estetismo che talvolta scancellava dalla memoria le sue pagine migliori». L’autore si presenta ora come un «vero poeta».

5 Diamo, in questa e nelle seguenti note bibliografiche sulle opere di autori italiani, l’elenco delle recensioni rintracciate secondo l’ordine cronologico di uscita. abbiamo voluto, raggruppando così i riferimenti, non appesantire eccessivamente la pagina. g. sechi, Carlo Cassola, «Nuova Corrente», 9-10 (aprile 1958), pp. 39-54; r. giovannini, Cassola zappetta il podere del neorealismo, «Il Giorno», 12 aprile 1960, p. 6; l piccioni, Il soldato di Cassola, «Il popolo»; c salinari, Umanità di Cassola, «Vie Nuove», XIII (1958), 21, p. 32; g bartolucci, Libri del giorno. Il soldato di C. Cassola, «avanti», 31 maggio 1958, p. 3; a seroni, Il soldato, «l’Unità», 6 giugno 1958, p. 3; a. bocelli, Il soldato di Cassola, «Il Mondo», X (1958), 24, p. 8; g. ferrata, Il soldato di Cassola e un Treno di Alvaro, «Il Giorno», 20 giugno 1958, p. 9; a. paoluzzi, Carlo Cassola, «Leggere», IV (1958), 7, pp. 5-6; e. montale, Letture, «Corriere della sera», 2 luglio 1958, p. 3; g. bar. (Giuseppe Bartolucci), A Buzzati il premio Strega, «avanti», 10 luglio 1958, p. 3; g bàrberi-squarotti, Cassola o i fondamenti del romanzo futuro, «palatina», II, (1958), 7, pp. 74-81; r barilli, Regolari e irregolari nella narrativa italiana (’58), «Il Mulino», I (1959), 1, pp. 216-223 (ora in id., La barriera del naturalismo. Scritti sulla letteratura italiana contemporanea, Milano, Mursia, 1964, pp. 189-200); g. bartolucci, Stile e letteratura in Pasolini, Cassola, Bassani, «avanti», 4 febbraio 1959, p. 3; m. tondo, Carlo Cassola, «Letteratura», VII (1959), 37-38, pp. 133-143; g.c. ferretti, Bassani, Cassola e l’antifascismo della generazione di mezzo, «Il Contemporaneo», II (1959), n. 12, pp. 24-50.

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a nche secondo Ferrata Rosa Gagliardi è assai meno pregevole de Il soldato, mentre di questo secondo racconto vanno rilevati la musicalità interiore e lo sviluppo perfetti, ma anche una tendenza all’eccesso di controllo che ne determina una certa freddezza.

piccioni, che sottolinea come il volume inauguri una nuova collana feltrinelliana (ma senza nominare Bassani) descrive il percorso delimitato dai due racconti come diretto a «soluzioni via via, umanamente e stilisticamente, più corali (e tuttavia sempre nervose, scarne, essenziali)». La scelta di ritrarre lassi casuali delle situazioni, con una voce apparentemente distaccata, propria della prima stagione lascia il posto alla narrazione di vicende svolte con padronanza della dimensione anche sentimentale. Dunque se nel primo periodo l’autore ha dato prove che riassumono il meglio delle sue doti, ora pare aver riconquistato una posizione propriamente narrativa, intraprendendo per altro un percorso indispensabile a non ripetersi. Bocelli si sofferma invece sul motivo della solitudine e della pena di vivere in Cassola e su quello della solidarietà umana, che trova nella resistenza una particolare declinazione. Quanto ai due racconti cita Flaubert e Checov6 per Rosa Gagliardi e considera Il soldato prova assai matura, con il magistrale uso del dialogo in grado di rendere ‘in atto’ situazioni e personaggi.

Le parole ‘pudore’ e ‘grigiore’ ricorrono nelle recensioni di seroni su «l’Unità» e di paoluzzi su «Leggere». pudore di emozioni che secondo paoluzzi rappresenta in Cassola una vera lezione di dignità umana e letteraria e dà vita a quel neorealismo che merita cittadinanza nella letteratura italiana contemporanea; grigiore d’ambiente in cui Cassola si muove da maestro secondo seroni, laddove «le povere cose e le povere vicende, le monotonie di ogni giorno fanno vita, creano caratteri, costruiscono drammi».

positivo nonostante le riserve anche il giudizio di Bartolucci sull’« avanti», secondo cui Il soldato presenta una struttura narrativa più solida, ma manifesta una fragilità nello sviluppo dei sentimenti e dei personaggi, che Cassola ha condannato ad esser privi di contraddittorietà o problematicità.

Bartolucci torna in più occasioni sul volume, lamentando tra l’altro la mancata assegnazione del premio strega (andato invece ai Sessanta racconti di Buzzati) a un autore, Cassola, «tra i più dotati e duttili» della generazione di mezzo, ma cui pure il Bartolucci imputa una eccessiva univocità tonale e di una stanchezza dell’impegno divenuto ormai esteriore.

Chiudiamo la rassegna citando i due diversissimi interventi giunti qualche mese più tardi, e che maggiormente mirano, prendendo spunto dalla

6 a nche Montale faceva il nome di Checov, come riferimento approssimativo.

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nuova uscita editoriale e non solo, ad articolare una riflessione complessiva sull’autore, quelli di Barilli e Ferretti. Diversi per gli opposti giudizi sulla produzione di Cassola, ma anche per il livello di impegno e l’estensione dell’analisi, perché se pure nello scritto di Barilli Cassola è collocato in un discorso più ampio, l’intervento resta occasionale (concentrato su alcune uscite particolari), mentre lo scritto di Ferretti si presenta come un vero e proprio saggio, svolto attorno al tema dell’antifascismo in un’intera generazione di scrittori, in dialogo puntuale coi testi e attento ai percorsi degli autori nel tempo.

secondo Barilli, Bassani e Cassola esemplificano un «romanzo ben fatto» identificato con una narrativa ortodossa e conformista, tecnicamente e linguisticamente mediocre. In Cassola la scelta di inquadrare oggetti banali, brani di vita7, parrebbe andare nella direzione sperimentata da Flaubert o Joyce, ma l’autore non sa rinunciare fino in fondo all’ordine consueto del buon senso nella visione del reale, gli oggetti non diventano dunque, come nei modelli citati, esempi di irripetibilità esistenziale, grimaldelli per un nuovo ordine emozionale. Dunque il risultato finale è disastroso: la sperimentazione non viene svolta compiutamente, ma manca al contempo un’economia narrativa più tradizionale che sola potrebbe sostenere la storia. Quanto ai due racconti contenuti nel volume, sono accomunati da una maggiore autonomia delle ragioni letterarie (rispetto all’impegno politico), Il soldato si distingue per il tentativo di affrontare l’indagine delle motivazioni psicologiche, ma, senza l’indispensabile sensibilità o esperienza, interiorità ed esteriorità sono rimaste su piani giustapposti, senza la necessaria corrispondenza, prive di un rapporto organico.

Chiudiamo sul saggio di Ferretti, concentrandoci ovviamente sulle riflessioni dedicate a Cassola. Tesi centrale (che riassumiamo assai sinteticamente) è che Cassola abbia dato prove compiute nell’ambito dei ricordi partigiani e antifascisti, mentre giunto il momento di occuparsi del dopoguerra non abbia ancora saputo individuare temi e motivi da cui partire per un lavoro di prospettiva, maturando una contrapposizione tra età antifascista eroica e dopoguerra come momento di decadenza (La casa di via Valadier). Il solda-

7 a nche Bàrberi-squarotti (g bàrberi-squarotti, Cassola o i fondamenti del romanzo futuro) descriveva, della narrativa di Cassola, l’assenza di mediazioni interpretative, l’impressione di non necessità nella misura narrativa, ma anche la distanza della scrittura da ogni realismo ottocentesco, il tentativo anzi di sperimentare «una sorta di nuovo classicismo, teso a istruire un rinnovato punto di vista dall’alto, almeno nel senso di uno sforzo di illuminazione distaccata, non compromessa, esatta e sicura, degli eventi, delle situazioni, dei personaggi».

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to, che esce dunque in un momento cruciale per l’autore, sembra tornare a una poetica ancora ricca ma chiusa, da cui Un matrimonio del dopoguerra era invece uscito, verso un nuovo, proficuo approfondimento del momento storico post-resistenziale. Ferretti termina rilevando il successo del volume presso critica, stampa e pubblico, sottolineando con preoccupazione come nelle sedi più mondane dei premi letterari si sia aspettata proprio quest’opera meno rilevante sul piano dell’impegno per tributare all’autore riconoscimenti pure non immotivati.

Il ponte della Ghisolfa, volume con cui Testori inaugura il ciclo dei Segreti di Milano e terzo della collana bassaniana, è caratterizzato da una fortuna a breve termine decisamente più contenuta, ma che prepara una maggiore fortuna dei volumi successivi, tutti pubblicati nella collana e che consolideranno la fama dell’autore, nel ’58 giovane seppure non esordiente8.

Il volume comunque non sfugge a diversi critici di primo piano: Bartolucci sempre per l’« avanti», Gramigna sul «Corriere d’Informazione», Ferrata su «Il Giorno», Citati su «Il punto», squarcia per « paragone», pullini su «Comunità» e r ago sul «Menabò»9. Le recensioni mostrano giudizi più interessati che pienamente positivi, collocando l’opera tra le più significative della stagione ma spesso esprimendo varie riserve. r icorrente anche il confronto col racconto lungo d’esordio, solitamente risolto in favore dell’ultima raccolta.

L’architettura complessiva, la cornice che dovrebbe raccordare i racconti non soddisfa ad esempio squarcia e Ferrata, risultando per l’uno debole e per l’altro poco chiara. sempre secondo squarcia, Testori, con la sua posizione «tra il naturalistico e il crepuscolare» nella scelta di motivi – che vanno dalla rivalità agonistica al vizio alla guerra tra sessi e generazioni, rischia la «rigidità della prevenzione, dello schema» o il gioco polemico; se ne salva grazie a un’ispirazione narrativa maturata rispetto alla prima prova, per evidenza e facilità di resa. Ferrata, che pure ritiene il libro tra i migliori dell’annata letteraria, aggiunge una critica all’eccessiva presenza di riflessio-

8 L’esordio era infatti avvenuto con Il dio di Roserio nei Gettoni vittoriniani.

9 g gramigna, Milano come romanzo, «Corriere d’Informazione», 4-5 settembre 1958, p. 3; g bartolucci, Il ponte della Ghisolfa, « avanti», 6 settembre 1958, p. 3; ma anche id., Stile e letteratura in Pasolini, Cassola, Bassani; g. ferrata, Capitoli di un romanzo. I racconti della Ghisolfa, «Il Giorno», 23 settembre 1958, p. 11; f. squarcia, Testori, « paragone», IX (1958), 106, pp. 78-80; g. pullini, Il ponte della Ghisolfa, «Comunità», XII (1958), 63, pp. 98-99; m rago, La ragione dialettale, «Menabò», I (1959), pp. 104-123.

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ni, revisioni dei fatti, interpretazioni proposte dal narratore, che lascia così un troppo esiguo spazio al lettore.

L’intervento di pullini è meno critico e anzi nel giudizio sulla raccolta scioglie le forti riserve mantenute rispetto al racconto d’esordio (che si appuntavano sull’abuso di parolacce e dialetto, sull’oscurità nell’alternanza di monologo interiore e narrazione). Testori ricorda pasolini per il senso precario e violento della vita – una vita intesa come lotta quotidiana – e per la primitiva istintività dei protagonisti. Il nome di pasolini ricorre altre volte. La nota editoriale di a nna Banti a Il ponte della Ghisolfa metteva in guardia sul paragone tra i due scrittori, e i recensori sottolineano in effetti anche i motivi di distinzione, nondimeno citando pasolini come riferimento quasi obbligato data la scelta della materia. a ltro nome ricorrente quello di Gadda, fatto ad esempio da Gramigna, che nella sua recensione si sofferma sugli usi linguistici e stilistici dell’autore, sulla resa del colore milanese. Bartolucci definisce il linguaggio dell’autore arguto e non sedimentato. Delle scelte linguistiche si occupa poi r ago, che, in un ampio saggio sul «Menabò», individua nell’uso del dialetto fatto da Testori una ricerca di mimentismo, immediatezza, rispondenza alle cose, coralità, parlando però dell’autore in modo generico, senza citare Il ponte della Ghisolfa. a nche nel caso de Il ponte della Ghisolfa la sede editoriale non viene menzionata nelle recensioni e anzi stupisce che la collana bassaniana non venga nominata persino in un articolo dedicato ad anticipare l’architettura del ciclo, dove quindi vengono annunciati i seguenti quattro volumi, che troveranno tutti posto nei Contemporanei10.

L’Anonimo Lombardo11 viene pubblicato nel ’59 come undicesimo titolo dei Contemporanei, da un arbasino già noto per le collaborazioni giornalistiche e per le presenze mondane, ma con il solo precedente in volume de Le piccole vacanze, uscite nei Coralli einaudiani nel ’57. Data la personalità dell’autore, la sua presenza nei salotti e sulla carta stampata12, un piccolo caso era in qualche modo assicurato e per L’Anonimo Lombardo le recensioni fioccano: ne abbiamo contate tredici nei soli cinque mesi immediatamente

10 r de monticelli, Testori pianifica i segreti di Milano, «Il Giorno», 12 gennaio 1960, p. 6.

11 adottiamo, con le tutte le iniziali del titolo maiuscole, la grafia proposta dall’edizione feltrinelliana.

12 Esemplare di questa attenzione allo scrittore-personaggio il paginone dedicatovi da «Il Giorno» tra l’uscita dell’Anonimo e quella di Parigi o cara: r. de monticelli, Arbasino il dandy estroso e sgobbone, «Il Giorno», 15 marzo 1960, p. 6.

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seguenti l’uscita (agosto-dicembre), su quasi tutti i quotidiani principali e le riviste culturali e letterarie di primo piano, spesso ad opera delle firme di punta – da Citati su «L’approdo letterario» a Guglielmi su « palatina», a Bàrberi-squarotti su «Il Verri»13.

si vedrà come pressoché tutti i critici si soffermino sugli elementi più notevoli e peculiari dello stile – citazioni, note, ipercoltismi, stile che viene più volte fatto oggetto di forti critiche e accuse di superficialità o barocchismo. Tra i rimproveri più diffusi anche quello rivolto alla frivolezza, al rischio di una finale vacuità dell’operazione letteraria, o ancora all’eccessiva spregiudicatezza e disinvoltura nel trattare la materia prescelta – spia forse del fatto che quel tanto di scandaloso voluto dall’autore coglie nel segno e fa parlare di sé (anche se, va detto, sull’omosessualità dei protagonisti non si pronuncia nessuno). D’altronde l’apprezzamento dell’intelligenza del narratore e del suo gusto razionalistico di settecentesca memoria costituisce per molti motivo di ammirazione.

I giudizi degli intellettuali legati al futuro Gruppo 63 sono positivi senza sorprese. Giuliano Gramigna su «settimo Giorno», dopo cenni a struttura, temi e modi della scrittura, propone la formula di «nevrosi dello stile». Dopo Le piccole vacanze, L’Anonimo Lombardo rappresenta secondo Gramigna una conferma del talento di arbasino: ci si può chiedere fino a che punto potrà sfruttare la strada segnata da Il ragazzo perduto, ma pezzi come Luciano contro Giorgio o Appunti sull’amore del pomeriggio «mostrano la varietà delle risorse di uno scrittore su cui si deve ormai contare».

a ngelo Guglielmi su « palatina» insiste sulla svalutazione della realtà, delle cose raccontate operata tramite lo stile, il quale si dimostra un mezzo di rottura. Quanto al possibile modello di Fitzgerald, che anche altri chiameranno in causa, arbasino se ne allontana poiché non è un ritrattista. E se il rischio dell’autore è di risultare monocorde, pur nell’ironia e nel pregio stilistico, il giudizio finale può comunque essere positivo: arbasino espri-

13 p citati, I divertimenti di Arbasino, «L’approdo letterario», V (1959), 7, pp. 97-98; g. gramigna, L’anonimo di Arbasino, «settimo Giorno», XII (1959), 32, p. 48; p. milano, Il magnetofono ben temperato, «L’Espresso», V (1959), 38, p. 17; a. gugliemi, L’anonimo lombardo, « palatina», III (1959), 11, pp. 60-64; f. de sanctis, Lo scrittore e la borghesia, «Lavoro nuovo», 30 settembre 1959; g pullini, L’anonimo lombardo, «Comunità», XIII (1959), 77, pp. 110-112; g bartolucci, Le indigestioni di Arbasino, « avanti», 10 ottobre 1959, p. 3; p dallamano, Il “caso” Arbasino, « paese sera», 29 ottobre 1959; p bianchi, Arbasino o la facilità di imparare, «Il Giorno», 17 novembre 1959, p. 6; a. bocelli, Divertimenti di Arbasino, «Il Mondo», XI (1959), 46, p. 8; g. bàrberi-squarotti, L’Anonimo lombardo, «Il Verri», III (1959), VI, pp. 69-71 (poi in id., Poesia e narrativa del secondo Novecento, Milano, Mursia, 1978); r de monticelli, Arbasino il dandy estroso e sgobbone

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me nel complesso una posizione di intelligenza, in grado di porsi grandi domande seppure evitando di rispondere seriamente. Delle scelte editoriali Guglielmi contesta l’inserimento nel volume di quasi tutte Le piccole vacanze, ristampa di cui non capisce il motivo.

Contraria non solo su questo punto l’opinione di Citati su «L’approdo letterario», che non condivide la scelta di aggiungere, ne L’Anonimo Lombardo, a Le piccole vacanze altre cose «mediocri, cattive o anche pessime». a nche Citati chiama in causa Fitzgerald, come iniziatore o sdoganatore di una rappresentazione poetica della borghesia. Ma arbasino, con il suo spirito «enciclopedico e dilettantesco, onnivoro, insieme fatuo e didattico, mondano e pedante, intelligente, euforico e superficiale», ha tra i suoi modelli soprattutto certi «fluviali mondani scrittori del settecento». si trovano nella recensione di Citati due rilievi che ricorrono in molti altri interventi: l’apparentamento a un certo razionalismo settecentesco e le critiche appuntate sulla fatuità, la superficialità, la frivolezza.

Certo nessuno potrà fare a meno di notare, come già Guglielmi, le particolarità stilistiche, ora annoverate tra i pregi, ora invece tra i difetti e i peccati di presunzione. si schiera senza mezzi termini su questo secondo fronte ad esempio Bartolucci su «l’avanti», secondo cui tutto nell’opera diventa specchio dell’egocentrismo dell’autore e «trastullo dei suoi umori», «annegato di riferimenti intellettualistici», con un citazionismo che finisce per diventare inoffensivo e noioso.

Nel complesso negativo anche il giudizio pullini su «Comunità»: sull’interesse per la materia spregiudicata prevale l’irritazione per l’eccessivo cinismo del narratore, la tecnica è scaltrita ma troppo sfoggiata, gli eccessi di citazioni disturbano la lettura.

più cauto paolo Milano su «l’Espresso», che dello stile nota il gusto barocco e afferma come «il demone insidioso del dotatissimo arbasino, la sua spicciola dannazione è la frivolezza», con un giudizio che risulta però detrattivo nel complesso, soprattutto laddove la pubblicazione viene individuata subito come un ‘caso’ in virtù di circostanze esterne, non letterarie: l’eccentricità dell’autore e le polemiche suscitate nei salotti, che «contano più del valore intrinseco» dell’opera.

Duro anche il giudizio finale di Bocelli sul «Mondo», che nonostante rilevanti apprezzamenti conclude: «un’intelligenza e una cultura certo notevolissimi, ma che hanno il torto di girare un po’ a vuoto: sì che egli stesso parla di snobismo culturale». Manca all’opera un centro unitario e ne risulta «un pastiche più pedantesco che estroso, un divertimento in fondo sterile», arbasino è ancora alla ricerca di un ubi consistam come narratore (oltre che come giornalista).

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a lle riserve di tipo ideologico presenti nella succitata stroncatura di Bartolucci si può far rispondere l’opinione espressa da pietro Bianchi su «Il Giorno», laddove Bianchi afferma che i giovani borghesi di arbasino sono interessanti sul piano narrativo «almeno come gli squallidi “ragazzi di vita” delle borgate romane».

più articolato il parere positivo di Bàrberi-squarotti sul «Verri»: arbasino opera una riduzione della realtà alla propria misura interiore di intelligenza e ironia, uniche sue fedi, secondo quel gusto razionalistico settecentesco già messo in evidenza da altri recensori. Gli si riconosce inoltre la capacità di parlare a lungo senza mai allentare la tensione del pettegolezzo. Non manca però anche qualche difetto, che Il ragazzo perduto mostra più delle altre prove: il gioco a vuoto dell’ostentazione di cultura, l’accumulazione ridicola di note e citazioni, le pagine di carattere letterario e critico brutte e insignificanti.

si disegna insomma un panorama critico non privo di articolazioni interne ma nel complesso non clemente, in particolare verso gli aspetti più originali della scrittura arbasiniana (sovrabbondanza di citazioni, note, riferimenti). Discordi poi i pareri rintracciati – quelli di Guglielmi e Citati – sulla scelta di ristampare i racconti delle Le piccole vacanze assieme a L’Anonimo Lombardo. per altro non abbiamo rinvenuto notazioni sulla collana o sul ruolo di Bassani nella pubblicazione.

Notiamo infine che l’autore resterà presso Feltrinelli con vari titoli negli anni seguenti, ma non in esclusiva, pubblicando in contemporanea altri titoli con Einaudi e in seguito con adelphi. Nella collana bassaniana uscirà ancora Parigi o cara nel ’60 (n. 20).

Consideriamo ora, seguendo l’ordine di pubblicazione, Giorni travestiti da giorni di Vittorio sermonti, uscito nell’aprile ’60 (n. 16 della collana). Un’opera che ebbe scarsa fortuna immediata e che, cercando nelle storie letterarie e nei dizionari bio-bibliografici di oggi, non pare esser mai stata rivalutata. L’opera rappresenta il primo romanzo di sermonti, un esordio preceduto soltanto dalla pubblicazione dei primi capitoli nella biblioteca di « paragone», col titolo La bambina Europa nel ’54, precedente solitamente ricordato dai recensori. recensori che, come si accennava, scarseggiano. abbiamo rintracciato infatti solo quattro interventi: quello di Banti (non a caso direttrice della collana di « paragone»), la recensione di Milano su «L’Espresso» e due occorrenze su «Il Giorno» – una recensione breve siglata a. d. e un articolo di roberto De Monticelli14

14 a. banti, Cassola e Sermonti, in id., Opinioni, Milano, Il saggiatore, 1961, pp. 206-212 (scritto del 1960); p milano, I giorni in maschera, «L’Espresso», VI (1960), 16, p. 25; a d.,

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In tutti gli interventi è presente una descrizione o un commento sulla principale particolarità del romanzo: la scrittura che muta seguendo la crescita del protagonista e tentando di renderne gli stadi di coscienza. Differenti le opinioni sul risultato finale: secondo Banti la mediazione espressiva risulta originale ed efficace nella resa del linguaggio e del pensiero del bambino nei primi capitoli, mentre non riesce altrettanto felice nelle pagine seguenti, in cui l’eloquio si fa troppo macchinoso, con l’eccezione delle pagine dedicate agli amori del protagonista, che fanno di sermonti più un «lirico della concretezza» che un narratore in piena regola. Così anche secondo Milano, che definisce l’autore un romanziere sperimentale e problematico: mentre gli esiti della parte iniziale sono belli, efficaci o nuovi, il resoconto della stagione del dopoguerra è troppo prolisso e non soddisfa la lingua «tra sboccata e raziocinante». I due articoli su «Il Giorno» si soffermano, oltre che sugli elementi di trama e stile già citati, sulla concezione del personaggio, sulla formazione culturale dell’autore e sui riferimenti letterari di area tedesca.

Viale Bianca Maria, esordio letterario di rodolfo Celletti (marzo ’61, n. 23 della collana), è tra gli esempi considerati in questa ricerca uno dei più interessanti. L’uscita del romanzo suscita un piccolo caso alimentato da vari fattori: un autore sconosciuto all’ambiente intellettuale e adatto a stimolare una certa curiosità, una materia romanzesca piuttosto scabrosa, una presentazione editoriale che si sofferma su come il manoscritto è pervenuto all’editore e sulla figura dell’autore, e che suggerisce un riferimento a Il gattopardo (spunti raccolti da molti recensori). Nel dibattito attorno al libro si nota la presenza di elementi che già preannunciano quelli che Ferretti15 ha indicato come caratterizzanti i casi letterari dopo lo spartiacque tra fine anni Cinquanta e primi anni sessanta (boom del romanzo italiano), come l’interesse per fattori extraletterari – la biografia o il pettegolezzo sull’autore – o comunque extratestuali, tra i quali, nel caso di Celletti, gli escamotages relativi al lancio, la presentazione editoriale, gli aneddoti sulla scoperta del manoscritto.

Un caso però, quello di Viale Bianca Maria, in definitiva sfortunato, con molte recensioni impietose e spesso irritate proprio dalla strategia editoriale, un fuoco effimero nel complesso, che non potrà contare su di una solida fortuna a medio termine. a nche le recensioni rintracciate a ridosso dell’uscita sono comunque meno numerose rispetto a quelle mietute da un arbasino

Un’educazione sentimentale romanzata, «Il Giorno», 17 maggio 1960, p. 6; r. de monticelli, È tornato ai Parioli con valige tedesche, «Il Giorno», 31 maggio 1960, p. 5. 15 g c ferretti, La fortuna letteraria, Massa, Transeuropa edizioni, 1988.

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o da un Meneghello, segno di una fortuna sin dall’inizio piuttosto limitata, nonostante i motivi di discussione e polemica16. Nel complesso la strategia di lancio adoperata da Bassani17 ha finito per infastidire i critici, che rifiutarono il parallelo con Tomasi e il tentativo di creare un ‘caso’, riservando giudizi severi al romanzo in sé, di cui spiacquero non solo la materia ritenuta troppo giornalistica e comunque banale, ma anche il tentativo di mimesi di un certo parlato colto e brillante.

In vari articoli dedicati al libro troviamo in primo piano la collocazione editoriale, il ruolo di Bassani e la sua presentazione, assieme alla figura dell’autore e alle vicende compositive. È il caso ad esempio dell’intervento di a ntonio Dini su «Il Giorno» – quotidiano, abbiamo già visto, particolarmente ghiotto di note di colore sugli autori e di elementi di contorno – che dedica all’uscita un lungo articolo di tre colonne con grande foto, significativamente titolato Bassani lancia un nuovo romanziere musicologo e dirigente industriale. Maggior attenzione al contenuto del romanzo verrà riservata, sempre su «Il Giorno», dalla più breve recensione siglata a. B., in cui un commento particolare è riservato allo stile, che trascrive il divertente linguaggio ‘di gruppo’ dei personaggi (la cui rappresentazione per altro non convince) col difetto di far sentire solamente l’insieme senza che siano distinguibili i timbri di ciascuno. a nche questa recensione rileva che il libro «non mancherà nella valigia delle vacanze di ogni signora-bene ’61», ma che non rappresenta un caso editoriale «come il patrocinio di Bassani, scopritore emerito del Gattopardo, poteva indurre a credere»: interessante e leggibile è infatti anche pieno di difetti e squilibri.

più radicali le critiche di Vigorelli sulle pagine del settimanale «Tempo», in un articolo titolato Una cronaca mondana, il cui esemplare sommario suona: «Lo scopritore del Gattopardo ha tentato, questa volta senza alcun successo, un nuovo “caso letterario”». segue pesante stroncatura del romanzo: esaurita la curiosità verso l’autore, afferma infatti Vigorelli, «l’interesse diretto verso questo fumettone non solo non potrà seriamente investire la

16 a. dini, Bassani lancia un nuovo romanziere musicologo e dirigente industriale, «Il Giorno», 14 febbraio 1961, p. 6; a. b., L’ambizioso ritratto di un gruppo molto blasé, «Il Giorno», 18 aprile 1961, p. 6; g vigorelli, Una cronaca mondana, «Tempo», XXIII (1961), 14, p. 84; u marvardi, Celletti cronista borghese, «La Fiera letteraria», XVI (1961), 37, p. 4; g gramigna, Un gruppo di amici in viale Bianca Maria, «settimo giorno», XIV (1961), 15, p. 52; t. buongiorno, A proposito di Celletti, «Fiera letteraria», XVI (1961), 25, p. 4.

17 r iferimenti al ‘notevole lancio’ del romanzo sono ad esempio in g. gramigna, Un gruppo di amici in viale Bianca Maria, e come vedremo tutte le recensioni citano la presentazione editoriale.

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critica, ma deluderà senz’altro il pubblico (…) alla fine ridotto all’indifferenza e alla noia tanto gli sembrerà di sfogliare un giornale». a Celletti, prosegue il recensore, non manca un certo mestiere, ma non è un vero romanziere, l’opera si presenta come mera «sottoscrittura da resoconto stenografico» quando non scivola nel «gergo rosa da romanzetto d’appendice». Qualunque parallelo col Tomasi è «mortificante» e «Bassani osa fare il nome del Belli!» – e qui il tono di Vigorelli tocca un’accesa indignazione. Vigorelli conclude: «Celletti non è un “caso letterario”: duole dirlo, non ha neppure l’attiva imperizia interiore di un “non addetto ai lavori”, ma ha piuttosto la passiva abilità esteriore di uno pseudoscrittore, che se la cava a dire tutto, ma che in verità non ha niente da dire».

Duro anche l’articolo di Marvardi su «La Fiera letteraria», che apre parlando degli effimeri casi creati dalla critica attorno a scrittori novelli e sopravvalutati. Quello del Celletti non è affatto un romanzo «ossia un’opera di poesia narrativa, ma piuttosto una cronaca mondana» di fatti irrilevanti, banali, privi di un rilievo letterario al di là di quello giornalistico. Nei personaggi il carattere è scaduto a temperamento, il temperamento a vizio, il vizio a indifferenza, agnosticismo, a rapporti puramente materiali. Giusto (tutto in negativo) il parallelo con Il gattopardo, con la differenza che in Tomasi la storia decadeva a cronaca, in Celletti decade a pettegolezzo.

Teresa Buongiorno, tornando sul romanzo nelle pagine de «La Fiera letteraria», riassume il sentimento generale: la pubblicità per l’uscita del romanzo che tende a farne un secondo Gattopardo ha creato più che altro diffidenza, anche per la stanchezza verso i casi letterari. Quanto all’opera rivela qualità ma anche notevoli limiti: l’autore dosa sapientemente gli effetti, il taglio narrativo è abile e sicuro, lo sfondo storico intelligente e godibile, ma al gruppo di personaggi manca un’idealità comune che faccia da collante e muova motivi più profondi, manca una dimensione di respiro più vasto.

In parte diverse le riserve di Gramigna sulla registrazione del parlato, che in sé potrebbe essere efficace per ritrarre una data società, se il narratore si fosse ritirato nel ruolo di magnetofono, mentre in Viale Bianca Maria l’autore si esprime chiaramente attraverso il personaggio di Giulio e nello stesso modo degli altri personaggi, cosicché il gergo, brillante e superficiale, diviene sostanza stessa del romanzo. Celletti ha preferito abilità e scorrevolezza a una maggior profondità di prospettiva sulle realtà psicologiche e sociali ritratte.

pubblicato poco dopo, nell’aprile ’61 (n. 25 della collana), Ballata levantina di Fausta Cialente rappresenta il ritorno dell’autrice al romanzo dopo molti anni. Le recensioni uscite (ne abbiamo contate una decina) sono con-

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cordi in alcuni rilievi fondamentali: l’efficacia con cui viene dipinto il personaggio della nonna della protagonista nella parte iniziale, la migliore riuscita di questa prima parte rispetto al seguito del romanzo. Un’opinione criticata invece da a nna Banti in uno degli interventi più interessanti sull’opera18.

Citati su «Il Giorno» ammira lo stupendo ritratto della nonna e della vecchia società levantina, di cui la Cialente «non perde un particolare, assistita da un’acutissima sensibilità temporale e oggettiva. E con quale grazia, con quale vivo, leggero ‘flou’ impressionistico recupera, in fondo al suo binocolo rovesciato, le incantevoli figurine irreparabilmente scomparse». Ma subito il giudizio positivo viene smorzato: l’autrice avrebbe dovuto mantenere fino in fondo l’intensità delle prime cento pagine, «appena affiora il mediocre mondo levantino di oggi il romanzo decade irrimediabilmente» e si muta in una registrazione sempre raffinata ma priva di passione.

a nche secondo paolo Milano, sulle pagine de «L’Espresso», vi è un sensibile scarto qualitativo tra la prima parte del romanzo e il resto, che pare costruito da un capace artigiano ma niente di più.

La medesima critica, mitigata da una maggior considerazione del senso complessivo dell’opera, è espressa anche da piero De Tommaso su «Il ponte»: «il significato ultimo del romanzo non può essere circoscritto alle prime cento pagine – quelle appunto in cui è di scena Francesca – pur riconoscendo a quelle pagine un esito artistico incomparabilmente superiore alle rimanenti». Nucleo unificante è quello etico-politico, la formazione del personaggio principale su questo piano. Non mancano poi altre critiche a una eccessiva scarsità di movimento narrativo, a un dissidio di coscienza della protagonista non sufficientemente interiorizzato e così via.

r isponde Banti, estimatrice dell’opera nella sua interezza, e scontenta di come Ballata levantina «esce già bloccata – come oggi spesso avviene – dal giudizio anteprima dei leaders della critica. stupende le prime cento pagine, essi dicono, quelle che per bocca della piccola Daniela raccontano le avventure e la vecchiaia di sua nonna, la fastosa mantenuta di un ricchissimo bey, deboli le altre trecento. (…) Questo giudizio, se vogliamo esser sinceri e con tutta l’affettuosa deferenza per la critica autorizzata, ci sembra peccare un tantino di superficialità. È verissimo, le prime cento pagine di Ballata levantina si leggono d’un fiato: ma non è troppo facile divertirsi alle storielle

18 p citati, Una Odette levantina tramonta ad Alessandria, «Il Giorno», 9 maggio 1961, p. 6; p. milano, Il delta di un’esistenza, «L’Espresso», VII (1961), 28, p. 3; p. de tommaso, recensione a Ballata levantina già ne «Il ponte», XVII (1961), 8-9, ora in id., Narratori italiani contemporanei, roma, Edizioni dell’ateneo, 1965, pp. 295-301; a. banti, Censimenti, in id., Opinioni, pp. 213-217 (già in « paragone»).

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belle époque sulla grande cocotte e le sue congeneri (…)?» si sa che «chi imposta un romanzo sui problemi di una ragazza incerta fra l’autosufficienza, la dignità morale e l’amore, legittimo o no, non riesce che a infastidire». E ancora, parlando delle parti successive alla prima e dei personaggi che le popolano: «sono storie troppo vicine a noi, troppo intrise dei nostri problemi presenti, troppo squallide. Non sono pittoreschi costoro, non portano brillanti e piume di struzzo: ma la penna che li descrive è la stessa – e ben riconoscibile – (…) Il libro della Cialente è dunque, secondo noi, un romanzo che va preso in blocco, senza le distinzioni che soltanto la nostra preferenza di contenuti può stimolare. Un lavoro ad alto livello». Interessante per altro il giudizio sulla scelta editoriale di pubblicazione: «aver recuperato questa ottima scrittrice non più giovane dimostra i vantaggi di un’apertura d’interessi che non tutti i direttori di collane e gli editori – in genere avidissimi di primizie – mostrano di possedere».

Libera nos a Malo, l’esordio di Luigi Meneghello, uscito nel maggio ’63 (n. 51, penultimo titolo della collana), è sicuramente uno dei casi più interessanti tra quelli considerati. Un ‘caso’ questa volta in cui prevalgono nettamente i giudizi positivi (a differenza di quanto accaduto per Viale Bianca Maria).

Forse la scoperta più importante fatta da Bassani dopo quella di Tomasi, nonché quella meglio accolta da una critica entusiasta con pochissime eccezioni, e che più ha potuto contare su una fortuna anche di medio-lungo periodo19. Nel caso di Libera nos a Malo, inoltre, l’apprezzamento per l’opera e in generale l’attenzione critica alle caratteristiche testuali fanno passare del tutto in secondo piano elementi di contorno extraletterari, come l’identità e la biografia dell’autore, citati solo nella misura in cui presenti o influenti sul testo (modelli letterari, presenza di elementi autobiografici, etc.)20. Del libro parlano tutti i principali quotidiani – da «Il Giorno» a «La Notte», da «La stampa» a l’« avanti» al «Corriere» – i settimanali come «Tempo», «Epoca», e le riviste specializzate – «La Tribuna Illustrata», « r inascita», «La Fiera letteraria», « paragone», etc. Non se lo fanno sfuggire

19 Come dimostrano per altro le riedizioni susseguitesi negli anni fino ad oggi per varie sigle editoriali.

20 sulla scoperta dell’autore e su come il manoscritto sia pervenuto a Bassani cfr, a barbato, I libri che non gli somigliano, «L’Espresso», IX (1963), 21, p. 13; una significativa anticipazione anche in berenice, Bassani talent-scout del romanzo italiano, « paese sera», 11-12 gennaio 1963, inserto «Libri», p. V (il sottotitolo recita: Ha scoperto di recente un nuovo importante scrittore – Il libro s’intitola Libera nos a Malo – Le streghe in Italia)

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i recensori di punta: Bo sul «Corriere», Ferrata su « r inascita», Benedetti su «La stampa», pedullà su « avanti», e via dicendo21.

Che il libro di Meneghello non tollerasse di passare inosservato è cosa ribadita da più di un recensore, soprattutto negli interventi giunti dopo alcuni mesi, in cui addirittura ricorre l’excusatio da parte dei critici per la scarsa tempestività dell’informazione letteraria, come nel caso di Baldacci su «Epoca» e di pedullà su l’« avanti» (recensioni entrambe uscite in novembre): quest’ultimo per giustificare il proprio ritardo comincia l’articolo deprecando la sovrapproduzione editoriale che rende impossibile tener dietro alle novità.

Quanto al libro l’attenzione si appunta attorno ad alcuni temi e caratteristiche che più di altri catalizzano l’interesse e che si possono schematicamente riassumere in alcuni punti: la problematicità del genere di appartenenza dell’opera (su cui la critica risponde al pungolo della quarta di copertina), dunque l’uso, nell’opera, di strumenti diversi, propri ad esempio dello scavo filologico o dell’inchiesta sociologica; il lavoro sul dialetto; il trattamento della memoria e del dato autobiografico; il significato più profondo e universale della realtà ritratta nel libro. Temi ovviamente tutti connessi fra loro.

Quanto al problema del genere, Bassani stesso stimola il dibattito affermando, in un’intervista rilasciata a Barbato su «L’Espresso», che Meneghello vuole rompere gli schemi e creare un «oggetto letterario originale», mentre dalla quarta editoriale lancia ai critici una piccola sfida prevedendone l’imbarazzo nell’assegnazione dell’opera a un genere.

Citano o riprendono la quarta a questo proposito Baldacci, Milano, che reputa l’opera la più originale della stagione, a ldo rossi, secondo il quale le alternative migliori per una definizione sono «inchiesta» e «poliroman-

21 berenice, Bassani talent-scout del romanzo italiani; a. barbato, I libri che non gli somigliano; p milano, Il borgo visto in ogni sua parte, «L’Espresso», IX (1963), 28, p. 17; g comisso, Lettere. I Veneti e Bassani, «L’Espresso», IX (1963), 28, p. 2; a gall., Uno scrittore più abile che utile, «La Notte», 25-26 luglio 1963, p. 10; o del buono, Storia crudele del paese natale, «settimana INCOM», XVI (1963), 31, p. 63; a. b., Memoria e gergo nella vecchia Malo, «Il Giorno», 14 agosto 1963, p. 5; a. benedetti, I dialetti padani nei racconti in lingua, «La stampa», 14 agosto 1963, p. 7; il tarlo (r . Ghiotto), Il libro della settimana. Libera nos a Malo, «La Tribuna Illustrata», LXXIII (1963), 34, p. 23; g ferrata, Tutte le novelle di Tozzi e la preistoria di Malo, « r inascita», XX (1963), 37, p. 27; c bo, Una grande storia, «Corriere della sera», 22 settembre 1963, p. 7; t buongiorno, Uno di Malo, «La Fiera letteraria», XVIII (1963), 38, p. 3; g. vigorelli, Trenta nuovi narratori italiani, «Tempo», XXV (1963), 44, pp. 82-84; w. pedullà, Libera nos a Malo di Luigi Meneghello, « avanti», 7 novembre 1963, p. 3; l. baldacci, Un uomo di oggi alla ricerca del ragazzo di ieri, «Epoca», XIV (1963), 686, pp. 146-147; a rossi, Appunti. Meneghello, « paragone», XV (1964), 170, pp. 115-116.

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zo», mentre Vigorelli parla di «opera poematica». Nella recensione su «Il Giorno» siglata a. B., si insiste sull’uso di strumenti diversi, sulla presenza nel testo di una moltitudine di stratificazioni, paragonando il risultato finale a «certe cronache antiche» per piglio e malizia. secondo pedullà infine non si può parlare di romanzo in piena regola data la presenza dell’autobiografia e si distinguono le più riuscite parti lirico-narrative dai materiali di raccordo e di stampo saggistico invece meno convincenti.

a ll’uso del dialetto e al rapporto con la lingua nazionale si interessano quasi tutti i recensori, con opinioni piuttosto diverse, ma che in linea di massima non negano l’efficacia della sperimentazione operata dall’autore. Baldacci in particolare si dissocia dalle riflessioni teoriche di Meneghello, ma sembra poi approvare i risultati conseguiti, lontani da esiti neorealistici o folkloristici, per cui il dialetto rappresenta una sorta di lessico familiare. Così anche su «La Tribuna Illustrata», nella recensione firmata Il Tarlo (pensiamo pseudonimo di r . Ghiotto), il dialetto è giudicato apportare un sapore autentico alla scrittura, e in quella su «Il Giorno», la lingua è considerata addirittura il centro motore della pagina, e il gergo l’equivalente di una madeleine proustiana; anche Bo valuta molto il ruolo del dialetto che da strumento di memoria diviene strumento di conoscenza, mentre più limitativo è il parere di Benedetti, secondo cui il dialetto è un mezzo duttile e vivace, ma forse più adatto a descrivere una realtà pittoresca o comica piuttosto che interiore.

L’opera ha, secondo molti, il merito da aver svecchiato la tematica memorialistica. Esemplari le parole di pedullà: l’impasto di lingua e dialetto rinnova «con risultati poetici di imprevedibile purezza una materia che l’abuso aveva giustamente relegato in soffitta».

a naloghe le osservazioni sul trattamento della psicologia e del punto di vista infantile, ed è nuovamente Giorgio Bassani a dare un primo suggerimento in questo senso, nella già citata intervista a Barbato, affermando che Meneghello, «pur essendo un veneto delle prealpi, non ha niente da spartire con la scuola letteraria che va da Fogazzaro a piovene, Barolini, Comisso e parise. È una scuola che, come si sa, ha mostrato fino alla nausea la putredine psicologica e morale prodotta dalla Controriforma in provincia, ma esibendo, nel mostrare questo delirio, una sorta di compiacimento estetistico, metastorico». L’intervista a Bassani, uscita a fine maggio, avrà una piccola coda dovuta a quest’ultima affermazione: in un seguente numero de «L’Espresso» a metà luglio, nella rubrica dedicata alle Lettere ne verrà pubblicata una di Comisso che risponde piuttosto duramente alle critiche mosse da Bassani agli autori veneti, difendendo in particolare il valore e l’alta moralità di Fogazzaro.

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Ma lasciamo questa rassegna di temi critici, ribadendo come il panorama di giudizi espressi dall’informazione letteraria sia largamente positivo e si possa riassumere con le parole di Oreste del Buono che, sulle pagine della «settimana INCOM», parla entusiasta di «sconcertante e promettente esordio». Citiamo in fine anche le poche eccezioni presenti. secondo pedullà nell’opera vi è un limite ideologico poiché sfuggono alla rappresentazione gli aspetti più dolorosi della realtà sociale. Ferrata, il cui giudizio finale è comunque nettamente positivo, sostiene che il libro si trasformi, da un certo punto in poi, in una successione di bozzetti, e che il lettore finisca per abituarsi alle risorse troppo uniformi del linguaggio dell’autore. Infine una piccola stroncatura è quella siglata a. Gall. su «La Notte» e titolata Uno scrittore più abile che utile. Nel breve articoletto il giudizio è netto: non si capisce per chi il libro sia stato scritto, dato che il lettore comune si stanca dopo poco del lessico ricercato e della tematica inconsueta.

Concludiamo con Meneghello il discorso sulle opere di narrativa, riassumendone i punti più significativi: considerevole la fortuna de Il soldato che, grazie alla presenza dei due racconti, catalizza le riflessioni della critica rispetto al percorso dell’autore, talvolta collegate a quelle sulla sua generazione di appartenenza. Un’accoglienza in cui pesa dunque la fortuna sostanzialmente già consolidata di Cassola. Non trascurabile seppure più limitata anche l’attenzione dedicata al Il ponte della Ghisolfa, che motiverebbe però una verifica sulla fortuna dei volumi seguenti del ciclo, probabilmente maggiore. Tra i veri e propri ‘casi’ si possono annoverare Celletti, arbasino e Meneghello, da un massimo a un minimo di attenzione dedicata a elementi frivoli ed extraletterari; cospicua l’attenzione dedicata a Ballata levantina ma con giudizi spesso assai limitativi; decisamente contenuto infine lo spazio dedicato dall’informazione letteraria all’esordio di sermonti 22 .

passiamo alle opere poetiche cominciando da Poesia ed errore di Franco Fortini, uscito nel ’59 come quinto titolo della collana, cui faremo seguire le opere di Volponi e roversi rispettivamente del ’60 e del ’62. pochi titoli, scelti in anni diversi, dal momento che nel complesso della collana la poesia è decisamente meno presente della narrativa.

22 Il cui percorso di romanziere sarà per altro assai circoscritto, con un solo altro romanzo pubblicato nel ’68 per Garzanti – Novella storica su come Pierrot Badini sparasse le sue ultime cartucce

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Quello di Fortini è sicuramente un caso interessante e con caratteristiche peculiari dal punto di vista dell’accoglienza critica. Non si tratta ovviamente di un esordiente: Fortini nel ’59 è intellettuale già impegnato e ben noto su più fronti, a partire dalle collaborazioni a riviste come il « politecnico» o «Officina» e dalla cospicua e importante attività saggista, senza contare che la sua prima raccolta poetica era stata Foglio di via nel ’46.

Le recensioni a Poesia ed errore sono piuttosto numerose, soprattutto considerando la natura poetica della raccolta, infatti di preferenza collocate su riviste culturali e letterarie – «La Fiera letteraria», « palatina», «Il Verri», « paragone» – e appartenenti all’area politica della sinistra – «Nuova Corrente» e via dicendo, assai meno invece sui quotidiani (laddove il pubblico ideale è più generalista e ampio)23

La raccolta, anche in virtù del fatto di riunire testi composti in un arco di tempo molto ampio, diviene per vari recensori specchio o espressione del percorso intellettuale, umano, letterario, politico dell’autore, tanto che alcuni dedicano maggiore spazio a ricostruire tale percorso o a individuarne le tracce nel volume, che ad analizzare e giudicare le poesie stesse – si vedano ad esempio le recensioni di Frigessi sul « ponte» o di pautasso su «Nuova Corrente». Indubbiamente anche il tema dell’impegno è di grande richiamo e suscita giudizi diversi e discussioni, dividendo i recensori tra i due poli ideali di chi ritiene quella politica una materia spuria, che pregiudica il risultato più propriamente poetico-estetico dell’opera, e chi vi vede al contrario uno specifico fattore di arricchimento.

L’articolo di accrocca, sulle pagine de «La Fiera letteraria» sembra giudicare positivamente la presenza di impegno politico, tanto che il sommario del pezzo recita: «è proprio ad opera di poeti come Fortini che la parola vuol far luce, riuscendo a caricarsi di riflessi esterni e di corresponsabilità come ormai è dato scorgere nella regione più avanzata della giovane poesia italiana». D’altronde si apprezzano anche i momenti in cui «l’autobiografia predomina e si disincaglia dagli elementi extrapoetici (…) in cui la dolcezza cede al rancore e l’idillio all’odio». Baldacci, su «Il popolo», esprime invece

23 d. frigessi, F. Fortini. poesia ed errore, «Il ponte», XV (1959), 4, pp. 544-545; s. pautasso, L’affanno del disertore, «Nuova Corrente», luglio-settembre 1959, 15, pp. 75-82; e f accrocca, poesia ed errore, «La Fiera letteraria», XIV (1959), 6, pp. 1, 5; l baldacci, Poesia come impegno, «Il popolo», 14 febbraio 1959, p. 5; g pampaloni, Franco Fortini “a metà della strada”, « palatina», III (1959), 9, pp. 70-74; g. scalia, La poesia di Fortini, « avanti», 7 maggio 1959, p. 3; id., Un poeta maieutico, « presenza», II (1959), 5, pp. 11-20; a. giuliani, Recensioni. Poesia. Franco Fortini. poesia ed errore, «Il Verri», III (1959), 4, pp. 70-72; f. leonetti, Fortini, « paragone», XI (1960), 122, pp. 79-82.

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più vive perplessità sulla ‘poetica dell’impegno’, sul valore di questi temi in rapporto al concetto di poesia, tanto che, pur riconoscendo al Fortini ricchezza lirica e sentimentale, immagina che la sua eloquenza potrebbe trovare veicolo migliore in forme più pratiche e funzionali di quella poetica. a nche secondo pampaloni è l’impegno e il trasferimento della natura lirica sul piano della storia a spiegare quel tanto di «incombusto e innaturale» che rimane nella poesia del Fortini, la cui vena più autentica sarebbe quella della religiosità profonda e lacerata, che si vede a tratti scorrere sulla pagina.

Contraltare a queste critiche la recensione di scalia sull’« avanti», tutta favorevole ad una poesia che si fa strumento di conoscenza e si mostra in grado di giudicare la realtà e se stessa.

Chiudiamo nuovamente citando una piccante stroncatura, quella di Giuliani su «Il Verri» (il cui idolo polemico è per altro proprio scalia)24, che paragonando Dico a te di Fortini con Ai posteri di Brecht illustra la differenza tra una poesia che si compiange ed una che agisce, condannando il disprezzo percepito in Fortini verso il proprio simile intellettuale. r iferendosi ai testi dedicati alla polemica con pasolini, Giuliani commenta: «anche i sentimenti sono fiacche fruizioni dell’intelletto, senza ritmo né calore (…) Questa poetica della diffidenza, in pratica, sa di provincia depressa e ostile». Ma d’altronde proprio questa trattazione liquidatoria e polemica della poesia di Fortini (come di quella di pasolini) può essere presa come esemplificazione efficace di quella «idea di poesia estranea e lontana da realtà e significati esterni» propria del recensore in questione, come notano Ferretti e Guerriero nella loro Storia dell’informazione letteraria25 .

proseguiamo con l’opera di Volponi, Le porte dell’Appennino, uscita nel ’60 come diciannovesimo titolo della collana. più contenuta la fortuna di questa raccolta rispetto a quella di Fortini, nonostante si aggiudichi il premio Viareggio, fatto a suo modo considerevole, essendo stata l’ultima opera poetica premiata Le ceneri di Gramsci nel ’57, in un giro d’anni in cui era la narrativa a prevalere decisamente tra i vincitori. Una fortuna limitata, dicevamo, ma che può contare su alcuni interventi autorevoli e da subito particolarmente impegnati in una lettura più ravvicinata dei testi – recensioni particolarmente lunghe o piccoli saggi, tutti su riviste specializzate: Lavagetto su « palatina», Leonetti su « paragone», pampaloni su «L’approdo letterario», Boselli su «Incidenza», Cerboni Baiardi su «Comunità», cui si aggiunge

24 E in particolare l’articolo uscito su « presenza».

25 g. c. ferretti – s. guerriero, Storia dell’informazione letteraria in Italia dalla terza pagina a Internet. 1925-2009, Milano, Feltrinelli, 2010, pp. 187-188.

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l’intervento di Fortini sul secondo «Menabò» dedicato alla poesia contemporanea, che precede l’uscita del volume (che dunque non viene citato), ma che altresì è seguito dalla pubblicazione di un poemetto di Volponi e da una nota sull’autore in cui è preannunciata la raccolta prossima ventura 26 .

Tutti i recensori danno contro in qualche modo della componente realistica, descrittivo-raffigurativa della poesia da una parte, e dall’altra di quella più profonda di interrogazione sull’uomo e sulla realtà, rilevando nella raccolta un impegno in termini di riflessione critica, lontano però dalla programmaticità politico-ideologica di altri. r icorre una critica, ma piuttosto velata, mai aspra, a quella che viene sentita come una tentazione di formalismo, un eccessivo gusto della bella parola. pampaloni, che apprezza nel complesso la raccolta, sottolinea il rischio che la poesia di Volponi corre di cadere in un certo «edonismo delle immagini», in una «opulenza di contenuti terrestri». rende però il merito, alla medesima scrittura, di sapersi interrogare anche su ciò che sta dietro alle ‘cose’, senza necessità di ideologia, poiché «basta l’ombra dell’ideologia a darle una prospettiva nuova, una dimensione attuale: al di sotto dell’immagine la realtà si scopre dolente, variegata, ròsa dalla storia, popolata di possibili scelte umane, di destini diversi» e vibra nella poesia una partecipazione ai destini collettivi, senza nulla di programmatico o esortativo.

Insiste maggiormente sulla presenza del tema memoriale Lavagetto, notando le numerose infiltrazioni, fessure da cui balugina una realtà diversa, il sottile turbamento o quel qualcosa di non risolto che si può a tratti percepire. Cerboni Baiardi sottolinea l’impressione di una poesia in fieri, come presa di coscienza e intervento, giudicando tra l’altro inattendibile la diagnosi di pasolini recensore della raccolta precedente dell’autore (L’antica moneta), laddove questi aveva escluso, nella poesia di Volponi, una necessità morale circostanziata, un ideale almeno indirettamente politico.

Boselli della raccolta apprezza il «carattere di immediata evidenza» conferito da un uso maturo di strutture, figure retoriche e tecniche letterarie, quindi illustra i temi e i motivi, e propone i modelli: pascoli e D’a nnunzio

26 f. fortini, Le poesie italiane di questi anni, «Il Menabò», 2 (1960), pp. 103-142. (ora in id., Saggi italiani, Bari, De Donato, 1974). a lle pp. 171-192 dello stesso numero della rivista il poemetto L’appennino contadino e una nota bio-bibliografica su Volponi; g pampaloni, La poesia di Volponi, «L’approdo letterario», VI (1960), 11, pp. 103-104; m lavagetto, I debiti di Volponi, « palatina», VI (1960), 15, pp. 77-81; g. cerboni baiardi, Le poesie di Volponi, «Comunità», XIV (1960), 84, pp. 106-107; m. boselli, Le porte dell’Appennino, «Incidenza», II (1960), 4-6, pp. 369-371; f. leonetti, Un’analisi semantica IV: antico e postmoderno, « paragone», XII (1960), 136, pp. 127-133.

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ma anche i Crepuscolari, cosicché il ‘verismo’ di Volponi risulta «contaminato tanto dal lirismo pascoliano quanto dal formalismo dannunziano». Così anche Leonetti colloca l’autore tra i post-pascoliani dopo Montale e ne rileva l’eloquio tendente forse in maniera eccessiva all’abbondanza e alla ripetizione.

La raccolta poetica di roberto roversi, Dopo Campoformio, pubblicata nel ’62 come trentanovesimo titolo della collana, riscuote un’attenzione un poco maggiore (nonostante non si aggiudichi, che ci risulti, alcun premio). Tale fortuna è sicuramente legata all’appartenenza dell’autore al gruppo di «Officina» e ad un sodalizio di poeti sperimentali che indubbiamente rappresentano in quegli anni tra le esperienze più notevoli e significative della poesia italiana contemporanea. Nell’inchiesta sulla poesia pubblicata da «Nuovi argomenti» all’inizio del ’62 si trova roversi citato da più d’uno degli interpellati – Marco Forti, Mario Luzi, Enzo siciliano in particolare –accanto a pasolini, Leonetti, talvolta Fortini, dunque tra i poeti con maggior carica polemica e innovatrice, il cui lavoro brilla per originalità e importanza nel panorama contemporaneo27

Di tale considerevole interesse per l’opera di roversi è segnale non solo il numero delle recensioni, ma anche la loro collocazione – su riviste specializzate e, seppure in misura inferiore, su quotidiani e settimanali più generalisti, e infine l’impegno che i recensori spesso dimostrano nel misurarsi con una lettura puntuale dei testi e una loro analisi anche linguistico-stilistica oltre che tematica.

Interessanti e in alcuni casi curiosamente opposte le posizioni critiche espresse in merito all’uso della lingua. pietro Bonfiglioli, nella sua lettura approfondita sulle pagine di « palatina», suggerisce che la lingua poetica alla quale roversi tenta di conferire una semanticità comune, aperta al discorso razionale, sia, al di là della prima apparenza, una lingua «viziosamente letteraria», dedita ad uno «sperimentalismo chiuso, cioè applicato a un materiale linguistico tradizionale», ossia il repertorio dell’analogismo e dell’imagismo novecenteschi, ridotto sincronicamente ad una langue di cui roversi si serve

27 aa vv , Sette domande sulla poesia, «Nuovi a rgomenti», 55-56 (1962); Forti interviene anche con una recensione assai positiva su « aut aut» (m forti, Dopo Campoformio, « aut aut», 72 (1962), pp. 511-516, poi in id., Le proposte della poesia, Milano, Mursia, 1963); p bonfiglioli, Errore e furore dopo Campoformio, « palatina», VI (1962), 23-24, pp. 45-60; a. rossi, Zanzotto e Roversi, «L’approdo letterario», VIII (1962), 17-18, pp. 190-192; b. pento, Roversi dopo Campoformio, «La Fiera letteraria», XVII (1962), 42, p. 2; f. fortini, Dopo Campoformio, in id., Le poesie italiane di questi anni, pp. 138-143.

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annullando per degradazione il tradizionale privilegio della poesia. Dunque, seppure secondo Bonfiglioli quello della poesia come mezzo di conoscenza specifica sia un equivoco, roversi, respingendo l’assolutizzazione neoavanguardistica delle tecniche sperimentali, e in virtù della «drammatica richiesta di responsabilità semantica per ogni operazione linguistica», resta un punto di riferimento tra i poeti contemporanei.

Il giudizio sulla lingua di a ldo rossi, che recensisce la raccolta su «L’approdo letterario» è contrario. rossi trova la lingua poetica dell’autore «semplice, povera, a volte buttata giù come viene viene, senza impennate liriche, senza impasto analogico e simbolico». Bortolo pento, sulla «Fiera letteraria», parla di un’«epica alla rovescia, priva di declamazione» e di un’«oggettività esasperata», sintagma, quest’ultimo, che torna identico anche nella recensione di Bonfiglioli. Fortini sul secondo «Menabò», aveva d’altronde già colto un’ambivalenza proprio sul piano linguistico-retorico, laddove aveva individuato nel lessico della raccolta modi individualizzanti e nobili accanto a bruschi inserti popolari e plebei.

prima di passare ai Classici moderni, tiriamo le fila a riguardo della fortuna dei volumi poetici pubblicati nei Contemporanei. Tenendo conto dei limiti rappresentativi di un campione piuttosto ridotto, possiamo senz’altro constatare una fortuna considerevole dei tre titoli appena esaminati, tanto più notevole trattandosi appunto di opere poetiche, verso le quali l’informazione letteraria – soprattutto presso le sedi meno specialistiche – tende ad essere quantitativamente meno rilevante che per le opere di narrativa, corrispondendo in questo modo ad un pubblico tradizionalmente più ristretto. a nche nei casi considerati, infatti, le comparizioni e le segnalazioni su quotidiani e settimanali si sono viste nettamente inferiori rispetto a quelle conquistate quasi sempre dai romanzi visti prima.

D’altronde dobbiamo constatare come nessuna delle tre raccolte rappresenti un esordio e come soprattutto quelle di Fortini e roversi si giovino evidentemente della firma di autori con una bibliografia già consolidata e particolarmente ben inseriti nel dibattito culturale e letterario contemporaneo. a riprova di quanto il percorso pregresso degli autori sia stato determinante nella fortuna dei volumi si può portare il fatto che per la raccolta di Tobia (Dal ponte dell’Ariccia, ’62) non abbiamo trovato, nel campione di testate spogliate, una sola citazione.

Con gli autori stranieri pubblicati ne I Classici moderni passiamo a tutt’altro discorso. si tratta infatti di autori già largamente affermati, ormai divenuti classici, ma non ancora giunti in Italia o non ancora valorizzati ed

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affermatisi adeguatamente 28. Considerando la fortuna critica di questa collezione bisognerà tener conto dunque di vari elementi condizionanti: le opere straniere partono in qualche modo svantaggiate quanto alla fortuna a breve termine, nella misura in cui tendenzialmente sempre meno recensite delle italiane, non potendosi giovare (o in misura assai minore) di legami storici, politici, letterari al contesto culturale italiano, né della partecipazione o collocazione degli autori rispetto ai dibattiti in corso o all’interno di iniziative editoriali, sodalizi, e così via.

Detto ciò, dobbiamo constatare esiti molto diversi per i cinque esempi scelti (Forster, Blixen, Borges, Char e Yourcenar), esiti tra i quali si nota soprattutto la scarsissima attenzione riscossa da El Aleph, oltre agli spazi modesti dedicati a Blixen e Yourcenar.

Un’ottima apertura quella di Casa Howard, prima uscita della collana attorno ad aprile-maggio del 1959. Ci limiteremo qui a riassumere alcuni aspetti principali della ricezione immediata del romanzo, rimandando all’esistente monografia sulla fortuna critica dell’autore in Italia per una trattazione più dettagliata e una bibliografia completa 29

Nonostante alcune critiche giunte da più parti sulla traduzione, l’edizione viene nel complesso bene accolta e le si può senz’altro riconoscere il merito di aver reso maggiormente noto lo scrittore in Italia, dopo che le prime traduzioni comparse non avevano suscitato altrettanta attenzione (Passaggio all’India per i tipi perella nel ’45, Finestra sul’Arno per saie nel ’54 e Camera con vista nella BU r nel ’58). Bellman Nerozzi giudica che nel complesso Casa Howard venga «accolta con numerose recensioni che pure in diversa misura, per risultati e per metodo, contribuiscono se non ad aprire un vero e proprio dibattito, a conferire all’immagine di Forster concretezza e riconoscibilità»30. Cesana, più attenta alla collocazione editoriale, fa notare

28 Un volantino pubblicitario spiegava il senso della proposta editoriale in termini di recupero del tempo perduto, in riferimento al provincialismo e all’isolamento italiano a cavallo tra Otto e Novecento prima e durante il ventennio fascista dopo. per un’analisi dettagliata della collana e della politica editoriale che la informò si veda cesana, “Libri necessari”. Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), pp. 296-317 e l’intervento di stefano Guerriero in questo volume.

29 p bellman nerozzi, La fortuna di E. M. Forster in Italia. Saggio e bibliografia (19251979), Bari, adriatica, 1980, in particolare pp. 41-52. a nche Cesana (“Libri necessari”. Le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), pp. 298-301) ricostruisce la prima fortuna del volume.

30 belman nerozzi, La fortuna di E. M. Forster in Italia, p. 44.

220
GIULI a Ia NNUZZI

gli apprezzamenti espressi da alcuni recensori 31 proprio per l’operazione editoriale, per la scelta di inaugurare la collana con questo titolo e con questo autore.

restano però anche le critiche cui si accennava: qualche riserva viene espressa da paolo Milano su «L’Espresso», in un articolo per il resto attento al percorso dello scrittore e all’allusività della scrittura come tratto saliente, e in dialogo con l’introduzione di agostino Lombardo. Mentre una vera e propria e dura stroncatura è quella di Giose r imanelli sulle pagine di « rotosei», che condanna la traduzione a suo parere «avventurosa», che svisa l’opera e le toglie incisività (con un picco polemico nel giudizio sulla resa del titolo di cui non si sarebbe conservata la polisemia originale; il titolo era invece piaciuto a paolo Milano).

a ltre recensioni degne di nota sono quelle di Maria Luisa a staldi (Parole e musica, su «Il Giornale d’Italia» del 10-11 giugno 1959) per il suggerimento di una lettura del romanzo sullo spartito della quinta sinfonia di Beethoven, e di Leonardo sciascia (Il dolce talento di M. Forster, «situazione», novembre 1959). sciascia collega la traduzione di Forster al successo de Il gattopardo in senso però negativo: «a noi pare che De roberto e Forster servano a motivare un giudizio negativo sul Gattopardo: un libro come I viceré per scoprire quel che Il gattopardo non è; e un libro come Casa Howard per esemplificare quello che Il gattopardo avrebbe potuto essere». Un accostamento dei due romanzieri – Forster e Tomasi – era già stato suggerito da Bassani proprio nell’introduzione a Il gattopardo e nella stessa direzione porterebbe l’entusiastica recensione che Forster fece del libro di Tomasi in Inghilterra (sullo «spectator» del 13 maggio 1960). Ma lasciamo la discussione di un tale rapporto tra autori e testi ad un discorso propriamente critico.

Decisamente limitata in confronto la fortuna critica de La mia Africa di Karen Blixen (terza uscita dei Classici moderni nel maggio ’59), nonostante un largo consenso del pubblico, testimoniato anche dalle tre edizioni nei soli primi due anni. L’opera era stata preceduta, in Italia, solo da alcuni racconti pubblicati nella Medusa mondadoriana nel lontano ’36 e senza grande successo. L’edizione feltrinelliana del ’59 sarà seguita da altre presso lo stesso editore.

31 Cita il commento fatto nella «Giostra delle Muse» – foglio letterario radiofonico allestito da Eros Bellinelli – del 24 novembre 1959, una recensione uscita sulla «La Voce repubblicana» del 28 maggio 1959, e una su «Cinema nuovo» di maggio-giugno 1959, ma anche la recensione di paolo Milano (La prosa e la passione, «L’Espresso», 31 maggio 1959).

LE BIBLIOTECHE DI LETTEraTUra 221

È vero, come nota Cesana, che le recensioni furono assai positive, ma altresì ne abbiamo rintracciate poche e tutte ‘di servizio’, su quotidiani anche importanti, ma senza interventi più approfonditi su alcuna rivista32

Quanto a El Aleph, prima opera di Borges pubblicata nella collana (n. 5, nel ’59), ci saremmo aspettati un’attenzione critica decisamente maggiore. se è vero, come già constatava Luzi nel ’60 e come afferma oggi Cesana, che nel ’55 la pubblicazione de La biblioteca di Babele tradotta da Lucentini per Einaudi «era passata di fatto sotto silenzio», non ci sembra che il tentativo bassaniano abbia smosso la situazione in maniera sostanziale. Certo il volume può contare almeno su tre recensori di primo e primissimo piano: Montale sul «Corriere», Luzi su «Il popolo» e paolo Bernobini su «Il Giorno»33, ma l’attenzione suscitata risulta nel complesso incredibilmente esigua. sarebbe forse interessante un confronto con Altre inquisizioni, ventunesimo e ultimo titolo de I Classici moderni pubblicato ’63, titolo probabilmente più fortunato, anche se si può affermare che la ricezione di Borges in Italia sia stata in generale piuttosto tardiva e lenta a decollare34.

Certo i tre recensori succitati non mancano di riconoscere la grandezza dell’autore e l’opportunità della traduzione italiana di El Aleph. Montale, come anche Luzi, loda il lavoro del traduttore Tentori Montalto, suggerisce accostamenti per la presenza di ironia e straordinario – il Cecchi della Lettera di presentazione, poe, Hawthorne, de l’Isle adam, Unamuno, Kafka, forse Nerval, von Kleist. si sofferma sulla figura di Borges anche al di là dell’opera specifica e chiude collocandolo tra gli scrittori contemporanei più degni di considerazione.

32 Oltre a quella di milano su «L’Espresso» del 6 novembre 1959 e a quella sul «Giorno» del 15 dicembre 1959 siglata p. be. (paolo Bernobini, titolare per la letteratura straniera), una di sala sul «Corriere» del 27 ottobre 1959 (ma solo sull’edizione del pomeriggio), una di bevilacqua su «Il Messaggero» del 16 novembre, una di cesare giardini su «Il resto del Carlino» del 23 novembre, una di angelo gaudenzi su «L’Ottagono» del maggio 1960.

33 e. montale, Variazione su opere di Borges ed Emanuelli, «Corriere della sera», 31 dicembre 1959, p. 3; p. be. (paolo Bernobini), Eliot interpreta gli elementi di Eraclio, «Il Giorno», 15 dicembre 1959, p. 6; m. luzi, Una fantasia pitagorica, «Il popolo», 2 luglio 1960, p. 5 (ora in id., Cronache dell’altro mondo, Genova, Marietti, 1989). salta all’occhio l’assenza di Citati, che aveva recensito invece La biblioteca di Babele e che tornerà sull’autore solo nel ’71– cfr. p citati, Tè del cappellaio matto, Milano, Mondadori, 1972 –.

34 si veda ad esempio il capitolo sulla fortuna critica nella monografia di roberto paoli dedicata al rapporto di Borges con gli scrittori italiani: interventi e dibattiti citati sono tutti più tardi, risalgono tutt’al più ai secondi anni settanta: r. paoli, Borges e gli scrittori italiani, Napoli, Liguori, 1997.

GIULI a Ia NNUZZI 222

Bernonbini fa i nomi di Kafka e De Quincey, definisce quella dei racconti borgesiani una «morale astratta, ambigua, tipicamente moderna» e considera la raccolta edita da Feltrinelli «uno dei libri più belli e sconcertanti che siano stati pubblicati quest’anno in Italia». Quanto a Mario Luzi non stupisce l’attenzione dedicata al volume da parte di un critico non solo attentissimo ai fermenti contemporanei della letteratura del sud a merica, ma che seguirà Borges con costanza negli anni seguenti.

Un’iniziativa editoriale lodata dalla critica, la prima traduzione di rené Char in Italia, uscita nel ’62 come quindicesimo titolo della collana. Poesia e prosa riscuote apprezzamenti numerosi e convinti, appuntati anche sul lavoro di traduzione di Caproni, che firma inoltre l’introduzione al volume. Dunque una buona risonanza anche se quantitativamente limitata. a lle recensioni già citate da Cesana – su «Libri e r iviste d’Italia», « avanti», « paese sera» e «La Nazione» – aggiungiamo solamente quella di r izzi sul primo numero del «Verri»35, attento alla posizione di Char nel panorama della coeva poesia in lingua francese e che giudica la traduzione ottima laddove le esperienze poetiche di traduttore e autore coincidono, meno buona ma sempre attenta in alcuni punti importanti dove nel testo prevale la componente surrealista.

r are e piuttosto limitative le recensioni ai due racconti di Marguerite Yourcenar, usciti nel ’62 come sedicesimo titolo: Colpo di grazia e Alexis o il trattato della lotta vana36 . particolarmente interessante l’intervento di Baldacci che recensisce l’opera assieme all’ultimo libro che la traduttrice Maria Luisa spaziani firma come autrice. Non piace a Baldacci il contrasto tra l’ordine cartesiano che informa sempre la scrittura e quel «troppo d’istinto» che caratterizza invece il personaggio di sofia. sul fronte opposto Olga Lombardi per «La Fiera letteraria» che giudica invece il linguaggio dell’autrice classico e modernissimo insieme.

per formulare delle brevi conclusioni generali, constatiamo che nel complesso i titoli delle Biblioteche di letteratura che abbiamo considerato si sono conquistati uno spazio nelle sedi dell’informazione letteraria piut-

35 e rizzi, René Char: Poesia e prosa, «Il Verri», I (1962), 4, pp. 88-89.

36 f. monteleone, Un’allieva di André Gide si fa conoscere in Italia, «La Giustizia», 19 ottobre 1962, p. 3; l. baldacci, Due donne alla ribalta: una poetessa e una scrittrice, «Epoca», 2 dicembre 1962, p. 113; o. lombardi, L’epica dell’ambiguità, «La Fiera letteraria», XVIII (1963), 11, p. 3.

LE BIBLIOTECHE DI LETTEraTUra 223

tosto cospicuo e ben distribuito in tutti gli anni di attività delle collane. La fortuna a breve termine delle collezioni ci mostra un andamento inevitabilmente sinusoidale (e maggiormente per gli stranieri), in dipendenza dal diverso interesse che ogni volume è stato in grado di suscitare, ma che non va nell’insieme scemando nel tempo. scelte dunque, quelle bassaniane, che si rivelano spesso in grado di catalizzare l’attenzione dell’informazione letteraria, ma con molti distinguo tra l’una e l’altra opera e soprattutto anche grazie alla scelta di autori con una fortuna già in costruzione o almeno parzialmente consolidata.

Infine i casi considerati, ed in particolare il fatto che le citazioni delle collane e del lavoro editoriale di Bassani siano assai rare, ci paiono nel complesso confermare la constatazione di una scarsa fortuna delle collane fatta da Ferretti, riconducibile anche ad una debole identità complessiva delle collane stesse, secondo Ferretti costruite (I Contemporanei soprattutto) seguendo un criterio di antologismo e di gusto piuttosto che una poetica organica e unitaria.

224
GIULI a Ia NNUZZI

INDICE DEI NOMI

accrocca Elio Filippo, 215 e n

adorno Theodor W., 192

ajello Nello, 16 e n, 70n, 188

a lain (pseudonimo di Emile-auguste Chartier), 137n

a lberti Leon Battista, 23

a licata Mario, 46n, 92n

a lighieri Dante, 43n, 54, 65

a nceschi Luciano, 44, 138, 173

a ntonelli piero, 104

a ntonicelli Franco, 123

a ntonioni Michelangelo, 55n, 84, 103

apollinaire Guillaume (pseudonimo di Wilhelm a lbert Włodzimierz apollinaris de Wąż-Kostrowicky), 115

a rbasino a lberto, 45n, 155-158, 162, 170-172, 174, 197, 203-206, 214

a rcamone Guido, xiii

a rcangeli Francesco, ix, 91, 136, 146

a rcangeli Gaetano, 91, 136

a riosto Ludovico, 43n, 49n, 101, 112 e n, 123

a rpino Giovanni, 155

a rtaud a ntonin, 127n

a rtoni Gian Carlo, 136

asor rosa a lberto, 15

astaldi Maria Luisa, 221

auerbach Erich, 70-72, 75

Bachmann Ingeborg, 128 e n

Bacchelli r iccardo, 46, 91

Bach Johann sebastian, 121

ISBN (stampa) 978-88-6372-385-4 – www.storiaeletteratura.it

Balbo Italo, 83

Baldacci Luigi, 57n, 155, 212-213, 215 e n, 223 e n

Baldini Gabriele, 92n, 181, 182 e n

Balestrini Nanni, 157, 173

Balzac Honoré de, 21, 65

Bandera Maria Cristina, 145

Banti a nna (pseudonimo di Lucia Lopresti), x, 53, 66, 114n, 121, 143-162, 168, 171 e n, 203, 206-207, 210 e n

Baranelli Luca, 106n

Barbato a ndrea, 162, 167n, 188 e n, 212-213

Bàrberi squarotti Giorgio, 153, 199 e n, 201n, 204 e n, 206

Barbey d’aurevilly Jules a médée, 174, 181, 182, 187, 189

Barilli renato, 199 e n, 201

Barolini a ntonio, 168, 172, 213

Bartolini Luigi, 32

Bartolucci Giuseppe, 199-200, 202-206

Bassani Enrico, 143n

Bassani paola, x, 43n, 125, 143n, 147, 156, 161-162

Bassani paolo, xiv

Bataille Georges, 127n

Baudelaire Charles, ix

Bausi Francesco, xv, 50n

Bazzocchi Marco a ntonio, 89n, 148, 161-162

Beethoven Ludwig van, 221

Belli Giuseppe Gioachino, 140n, 209

Giorgio Bassani, Critico, redattore, editore. Atti del convegno Roma, Fondazione Camillo Caetani 28-29 ottobre 2010, a cura di Massimiliano Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

Bellinelli Eros, 221n

Bellman Nerozzi patrizia, 220 e n

Benedetti a rrigo, 33, 51n, 57 e n, 72, 119, 125, 212-213

Bense Max, 128n

Benucci a lessandra, 123

Berardi pier Niccolò, 23

Bernobini paolo, 222 e n

Bertolucci attilio, 47, 83, 89, 91, 131 e n, 134-136, 144, 146, 149, 153, 158160, 166

Bertolucci Bernardo, 136

Betti Ugo, 83

Bevilacqua a lberto, 136, 152, 222n

Biagini Enza, 35n, 161

Bianciardi Luciano, 166

Bianchi pietro, 204n, 206

Bianconi piero, 188

Bigongiari piero, 133-134, 144, 152-154, 161

Bilenchi romano, 139-140

Binni Walter, 92n, 155

Blanchot Maurice, 127n

Blasetti a lessandro, 55n

Blixen Karen, 174, 177, 182, 194-195, 198, 220-222

Bo Carlo, 92, 149, 212-213

Boccaccio Giovanni, 101

Bocelli a rnaldo, 199-200, 204-205

Boissonnas Edith, 128n

Boito Camillo, 7, 23, 47n, 51

Bompiani Ginevra, 180

Bonacina Giancalrlo, 175

Bonfantini sergio, 20, 22-23, 140

Bonfiglioli pietro, 218n

Bongiovanni Bruno, 84n

Bonnard pierre, 148

Bonsanti a lessandro, 92, 151

Bonicelli Vittorio, 53n

Borges Jorge Luis, 174, 177, 192-193, 198, 220, 222-223

Boselli Mario, 216-217

Bracco Federico, xiii

Brambach r ainer, 128n

Brancati Vitaliano, 103, 116 e n

Brecht Bertolt, 216

Briganti Giuliano, 92n

Brignetti r affaello, 166

Brioschi Franco, 22n

Brusati Franco, 53n

Buongiorno Teresa, 208-209, 212n

Butor Michel, 25n, 69

Buttitta Ignazio, 170

Buzzati Dino, 199n

Cacciatore Edoardo, 47

Caetani Lelia, xiv

Caetani Marguerite, x-xv, 6n, 37, 59n, 122, 127-141, 147-148, 150, 166, 173, 189-191

Caetani roffredo, xii, xiv

Caillois roger, 127n

Cain John, 73, 109

Calef Vittorio, 131n

Calogero Guido, 42

Calvino Italo, 47, 106 e n, 131-132, 138139, 149, 171 e n, 192 e n

Cambiaghi renata, 168, 171

Camon Ferdinando, 15n, 17n, 28n, 42-43, 55n, 58n, 66n, 71

Camus a lbert, 127n

Cancogni Manlio, 28 e n, 47, 92n, 138139, 170, 172-173

Capitini a ldo, 42

Caproni Giorgio, 47, 54n, 113-114, 134136, 189-190, 223

Cardarelli Vincenzo (nato Nazareno Cardarelli), 103

Carducci Giosuè, 39n, 69, 107

Caretti Lanfranco, 84

Carlotto roberta, 157, 168, 171

Carocci Giampiero, 34, 59

Cases Cesare, 15-16

Cassola Carlo, 15, 18n, 26-28, 43n, 47, 52 e n, 57 e n, 60, 66 e n, 92n, 124, 130-131, 138, 146, 152, 157, 160, 167, 170, 172, 175, 197, 198-202, 214

Castaldi r ina, 83n

INDICE DEI NOMI 226

Catania Lorenzo, 99n, 109

Cattaneo Giulio, 159

Cavaglieri Mario, x, 104 e n, 148-149, 162

Cavalluzzi r affaele, 92n, 118

Cavani Guido, 34, 59n, 168-170, 172, 188

Ceccherini silvano, 42 e n, 57 e n, 59n, 158, 188

Cecchi Emilio, 103, 168-169, 222

Cecchi pieraccini Leonetta, 158-159, 161

Čechov a nton, 66

Celan paul, 128 e n

Celletti rodolfo, 171, 197-198, 207-209, 214

Cerboni Baiardi Giorgio, 216-217

Cesana roberta, 165n, 166n, 168n, 172n, 175n, 197 e n, 220 e n, 222-223

Char rené, 73, 127 e n, 160, 174, 187, 189-190, 198, 220, 223 e n

Checov a nton, 200 e n

Chiappini a lessandra, 35n

Chiarelli Luisa, 178 e n

Chiesa adolfo, 162

Cialente Fausta, 169-172, 197-198, 209211

Citati pietro, 47n, 59n, 128 e n, 133n, 134n, 135n, 202 e n, 204 e n, 205206, 210 e n, 222n

Codignola Ernesto, 42

Colamarino Giulio, 102

Comisso Giovanni, 213

Conrad Joseph, 21, 65, 153, 186

Contessi Gianni, 107

Conti Carolina, 84n

Contini Gianfranco, 112 e n, 149, 156, 168

Corneille pierre, 43n, 49n

Corsi Carlo, 162

Corti Maria, 159

Costa simona, 161-162

Costabile Franco, 131 e n

Cotroneo roberto, 4n, 13n, 36n, 56n, 59n, 63n, 67n, 74n, 84n, 102n, 117, 130n, 160, 174n, 179n

Crane stephen, 174, 185-186

Craveri r aimondo, 104 e n

Cro stelio, 37n, 45n, 46n, 51n, 52n, 55n

Croce Benedetto, 17n, 23-24, 30, 37n, 40n e n, 43n, 45n, 46n, 47n, 49 e n, 52n, 55 e n, 56n, 65, 68,77, 102 e n, 105, 108

Croce Elena, 104, 117, 128n, 129, 140

Crovi r affaele, 166

D’a gostino Nemi, 183

d’a gostino schanzer a malia, 183, 184n

Dallamano piero, 204n

Dallolio Elsa, xiii

Dalmati Margherita, 74 e n, 138n

D’a mico Masolino, 161, 180n

D’a mico silvio, 26, 34, 51n, 56n, 59

D’a nnunzio Gabriele, 15, 217

D’a rzo silvio, 18, 34, 47, 59, 66, 146, 149-150, 166

Debenedetti Giacomo, 101

Debenedetti santorre, 112

De Bosis Lauro, 122

De Camilli Davide, 13n, 15n, 17n, 27n, 46n, 82n

de Cespedes a lba, 92n

De Feo sandro, 104

Defoe Daniel, 65

De Gasperi a lcide, 136

De Laude silvia, 113n

Del Buono Oreste, 173, 212n, 214

Delfini a ntonio, 106-107, 140, 167, 170, 190

De Libero Libero, 133-134 de l’Isle adam auguste de Villiers, 222

Dell’aquila Giulia, 41n

De Luca Luigi, 129

De Monticelli roberto, 203n, 204n, 207n

De pisis Filippo (pseudonimo di Luigi

Tibertelli), 162

De Quincey Thomas, 223

De roberto Federico, 221

De sanctis Francesco, 46n

INDICE DEI NOMI 227

De sanctis F. (critico di «Lavoro Nuovo»), 204n

De sica Vittorio, 53

Desideri Laura, 143n

Dessì Giuseppe, 47, 91, 92n, 104 e n, 108n, 131n, 138, 147, 161, 167, 169170, 172

de staël Nicolas, 162

De Tommaso piero, 210 e n

Devaulx Nöel, 127n

Dhôtel a ndré, 127n

Di Girolamo Costanzo, 22

Dini a ntonio, 208 e n

Dolfi a nna, 35n, 41n, 42n, 47 e n, 53n, 58n, 60n, 91, 96n

Domin Hilde, 128n

Dondero Marco, 116n

Doria Marcantonio, 101

Dostoevskij Fëdor, 65

Drudi Demby Lucia, 182

Du Bouchet a ndré, 127n

Dupin Jacques, 127n

Eliot Thomas stearns, 39n, 44, 69, 81, 83, 103, 181, 222n

Emanuel Guglielmo, 102

Emanuelli Enrico, 222n

Engels Friedrich, 21

Enzerberger Hans Magnus, 128 e n

Eraclito, 222n

Erba Luciano, 138

Esenin sergej a leksandrovič, 39n

Faldella Giovanni, 23

Fattori Giovanni, 23

Faulkner William, 186

Feltrinelli Giangiacomo, 157, 171, 174, 177

Féneon Felix, ix

Ferrata Giansiro, 73, 159, 199 e n, 200, 202 e n, 212 e n, 214

Ferretti Gian Carlo, xv, 36n, 162, 165n, 181n, 197-199, 201-202, 207 e n, 216 e n, 224

Ferretti Massimo, 136

Ferroni Giulio, xv, 116n

Ferry Jean, 104

Filippini Enrico, 157, 173

Fink Guido, 159, 181-182

Fiorani Caterina, xi, xiv

Fiorani Luigi, 134n

Fitzgerald Francis scott, 204-205

Flaherty robert J., 7

Flaiano Ennio, 107

Flaubert Gustave, 31n, 61n, 65-66, 69 e n, 73 e n, 91, 106-107 e n, 118, 177, 200-201

Flora Francesco, 92n, 103, 117

Fogazzaro a ntonio, 213

Folli a nna, 83, 90

Fonzi Bruno, 20, 23

Ford Ford Madox, 174, 180 e n, 182, 194-195

Forster Edward Morgan, 157, 174, 177180, 195, 198, 220-221

Forti Marco, 218 e n

Fortini Franco (pseudonimo di Franco

Lattes), 24 e n, 55n, 73, 134, 137, 149, 167, 170, 190, 197-198, 214-219

Fossati paolo, 107 e n

Frassineti augusto, 91, 103, 146

Frigessi Castelnuovo Delia, 215 e n

Freud sigmund, 48, 179

Furst Henry, 147

Gadda Carlo Emilio, 8, 70, 140 e n, 144, 151, 203

Galasso Giuseppe, 102

Gallo Niccolò, 124, 158, 188

Galluppi Enrico, 73

Garampon Georges, 127n

Garavini Fausta, 143n, 145

Garboli Cesare, 143, 155, 158-159

García Lorca Federico, 39n

Garcia Màrquez Gabriel, 157

Garibaldi Giuseppe, 106

Gatti Guido, 46n

Gatto a lfonso, 92n, 133 e n, 134n, 153

INDICE DEI NOMI 228

Genet Jean, 147

Germani Fernando, 121

Ghiotto renata, 212-213

Giardini Cesare, 222n

Ginzburg Natalia, 27, 45n

Giolitti Elena, 189

Giovannelli Franco, 35n, 83, 136 e n, 159

Giovannini romeo, 199n

Giuliani a lfredo, 29, 69, 173, 215n, 216

Gobetti piero, 8

Goethe Johann Wolfgang, 21, 40, 55n

Gogol Nikolaj Vasil’evič, 65, 68, 73

Goldmann Lucien, 19 e n

Gončarov Ivan a leksandrovič, 65

Gorlier Claudio, 153, 161

Gozzano Guido, 33

Gnudi Cesare, 91

Gramigna Giuliano, 202-204, 208-209

Gramsci a ntonio, 24, 30

Grass Günter, 157

Greco aulo, 165n

Gregori Mina, 150

Guarnieri Beatrice, 143n, 144, 153, 161

Guerriero stefano, xv, 60n, 162, 165n, 170, 187n, 197 e n, 216 e n

Guglielmi a ngelo, 204-206

Guglielmi Guido, 22 e n

Guilloux Louis, 128n

Günzel Manfred, 128n

Hammond Florence, 128n

Hansen patrizia, 95n

Hawthorne Nathaniel, 65, 186, 222

Hegel Georg Wilhelm Friedrich, 22n

Heißenbüttel Helmuth, 128n

Hemingway Ernest, 15, 57, 66, 70, 72-73 e n, 119

Henry O. (pseudonimo di William sydney porter), 185 e n, 194

Herzen aleksandr, 174, 181, 186, 194-195

Hinterhäuser Hans, 70n

Hitler adolph, 7, 102

Hugo Victor, 39n, 65

Hythier Jean, 116n

Iannuzzi Giulia, xv

Innamorati Giuliano, 155

Isella Dante, 73

Isnenghi Mario, 81n

Italia paola, xv, 36n, 46n, 102n, 117

Jaccottet philippe, 127n

James Henry, 21, 57, 65-66, 68, 72, 153, 177, 182-183, 186

johnson Ben, 128, 129n

johnson Uwe, 128n

Jouhandeau Marcel, 187-188

Joyce James, 21, 42n, 58n, 65, 72, 153, 201

Kafka Franz, 222-223

Kant Immanuel, 77

Kavafis Konstantinos petrou, 74 e n, 138n

Kleist Heinrich von, 222

Krolow Karl, 128n

La Bella Gianni, 104n

Lambrichs Louise, 128n

Landolfi Tommaso, 73, 140

Landshoff-York ruth, 128n

La rovere Luca, 84n

Lavagetto Mario, 136, 216-217

Leiris Michel, 127n

Leonelli Giuseppe, 13n

Leonetti Francesco, 47, 137, 150, 173174, 215n, 217n, 218

Leopardi Giacomo, 155

Levi Carlo, 32, 124-125, 136n, 147, 160

Levi primo, 45 e n, 47

Lewis Wyndham, 180-181

Liala (pseudonimo di a malia Liana

Cambiasi Negretti Odescalchi), 157, 175 e n

Limbour Georges, 127n

Linati Carlo, 103

Linder Erich, 171

INDICE DEI NOMI 229

Lombardi Olga, 223 e n

Lombardo a gostino, 178 e n, 180 e n, 185-186, 221

Longanesi Leo, 9, 69, 91, 103

Longhi Lucia, 159

Longhi roberto, ix-x, 37n, 48n, 89 e n, 91, 104 e n, 114n, 143-162

Loria a rturo, 92

Lucentini Franco, 192, 222

Lukács György, 15-16, 18-19, 21-25, 28 e n

Lupinacci Manlio, 102

Luperini romano, 134n

Luporini Cesare, 42

Luti Giorgio, 155

Luzi Mario, 92n, 133, 134n, 153, 218, 222-223

Maccari Mino, 114

Macchia a lfonso, 92n

Macchia Giovanni, 169

Macrì Oreste, 153

Malaparte Curzio, 92n

Mandiargues a ndré paul Édouard pieyre de, 128n

Manet Édouard, ix

Manganelli Giorgio, 173, 185-186

Mangoni Luisa, 81n, 192n

Manica r affaele, 156

Mann Thomas, 6, 15, 21, 25 e n, 38, 49, 50n, 54, 65-66, 68, 73 e n, 76, 105, 119, 153

Mansfield Katherine, 57, 72

Manzoni a lessandro, 23, 46 e n, 47n, 48n, 52n, 65, 120, 148-149, 152-153, 158, 160-161

Marvardi Umberto, 208n, 209

Marx Karl, 21, 44

Masaccio (soprannome di Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassa), 23

Mascagni pietro, 7

Mascaretti Valentina, 46n, 162

Masino a lfredo, 170

Mastrocinque simona, 152

Matteotti Giacomo, 103

Mattioli r affaele, 146-147

Maupassant Guy de, 66, 91

Mauri Fabio, 175

Mazzaglia Giuseppe, 58 e n, 61 e n

Mazzoni Guido, 137n

Melville Herman, 65

Meneghello Luigi 170, 172, 174, 197, 208, 211-214

Merlotti a nna, 19, 56 e n, 60n

Meschini Ubaldini Mario a lberto, 92n

Michaux Henri, 127n

Michelucci Giovanni, 23

Milani a lessio, xv

Milano paolo, 204n, 205-206, 210 e n, 221-222

Milanini Claudio, 139

Molinari a ntonietta, 83n

Montaldo Giuliano, 53n

Montale Eugenio, 33, 35, 39n, 57, 65n, 92 e n, 134, 137, 157, 194 e n, 199 e n, 200n, 218, 222 e n

Monteleone Franco, 223n

Morandi Giorgio, 39n, 60 e n, 91, 162

Morante Elsa, 47, 157

Moravia a lberto (pseudonimo di a lberto pincherle), 15, 26-27, 29, 35, 39, 46 e n, 47n, 103, 118, 125, 140, 151, 155, 157-158, 162

Moretti Walter, 54n, 108n

Moss stanley, 128

Murialdi paolo, 83n

Muscetta Carlo, 15, 92n, 117

Musil rober, 156

Mussolini Benito, 7, 68, 81, 103, 106

Naldini Nico, 166n

Napoleone III (nato Carlo Luigi Napoleone Bonaparte), 69

Nencioni Francesca, 104

Nencioni Giovanni, 149

Neri Guido, 188 e n

Nerval Gérard de, 222

Nicolini Fausto, 117

INDICE DEI NOMI 230

Nievo Ippolito, 65

Nigro salvatore silvano, 46n

Nimier roger, 128n

Noferi adelia, 144, 153

Novarese Vittorio Nino, 103

Noventa Giacomo (pseudonimo di Giacomo Ca’ Zorzi), 6, 28, 41-42, 47, 133 e n, 136

Ojetti paola, 181-182

Orelli Giorgio, 138, 152

Ortese a nna Maria, 103

pagliarani Elio, 47, 173

palazzeschi a ldo (pseudonimo di a ldo Giurlani), 29, 128n

pampaloni Geno, 215n, 216-217

panzeri Miriam, 107

paoli roberto, 222n

paoluzzi a ngelo, 199n, 200

parise Goffredo, 213

parronchi a lessandro, 133 e n, 148

pascoli Giovanni, 217

pasolini pier paolo, 15, 31n, 35, 47, 113n, 133n, 134, 136 e n, 147-150, 159, 166 e n, 168, 173, 199n, 202n, 203, 216-218

pasternak Boris, 157, 192

patrizi Giorgio, 161

paulhan Jacqueline, 135n

paulhan Jean, 127n, 135n

paustovskij Konstantin, 186, 194

pautasso sergio, 215 e n

pavese Cesare, 15 e n, 27, 31, 45n, 47 e n, 57, 92n

pavolini Corrado, 180n

pedullà Walter, 212-214

penna sandro, 135-136

pento Bortolo, 218n, 219

perli a ntonello, xv, 95n, 96 e n

petroni Guglielmo, 47, 92n, 124, 128, 135, 138-140

peyer rudolph, 128n

philippe Charles-Louis, 187-189, 194

picasso pablo, x, 29n, 139n, 162

piccioni Leone, 198 e n, 199n, 200

pieri piero, 38n, 46n, 162

piontek Heinz, 128n

piovene Guido, 213

pirandello Luigi, 15 e n

pirro Ugo, 53n

pisapia Maria, 185, 186n

pitti adolfo, 56n

pleynet Marcelin, 127n

poe Edgar a llan, 65, 222

poliziano (pseudonimo di agnolo/a ngelo a mbrogini), 112

pollack sidney, 182

ponge Francis, 127n

pontiggia Giuseppe, 180n

porta a ntonio, 174

porta Carlo, 39n, 46 e n, 48n, 119-120, 160

pound Ezra, 181

pratesi Mario, 23

pratolini Vasco, 15, 26, 39

praz Mario, 92n, 189

prisco Michele, 103

proust Marcel, x, 4 e n, 15 e n, 21, 42 e n, 54 e n, 57, 58n, 61n, 65-66, 68, 72, 76, 109, 139, 153, 177

puccetti Valter Leonardo, 61n

pullini Giorgio, 202-203, 204n, 205

puskin a leksandr sergeevič, 65

Quarantotti Gambini pier a ntonio, 27, 31, 45n, 52

Quasimodo salvatore, 47, 92n

Quilici Folco, 84n

Quilici Nello, 83n, 84 e n, 102-103

Quilici Vanni, 84

Quintavalle Uberto paolo, 171

r aboni Giovanni, 159

r aeber Kuno, 128n

r agghianti Carlo Ludovico, 91

r ago Michele, 202-203

r aimondi Giuseppe, 91, 106, 120

r avegnani Giuseppe, 103

INDICE DEI NOMI 231

rea Domenico, 103

rebay Luciano, 135n

rebora Clemente, 73

reinert Werner, 128n

renard Jules, 91

r icciardi r iccardo, 129

r ichelmy a gostino, 146

r imanelli Giose, 221

r inaldi a ntonio, 91, 135-136, 194 e n

r inaldi Micaela, 43n, 51n, 168n, 189n

r ipa di Meana Ludovica, 157

r isi Nelo, 74 e n, 138n

r isset Jaqueline, 127n, 191n

r iva Valerio, 157, 172n, 173, 182 e n

r ivière Jacques, 174, 181, 187-188

r izzi Eugenio, 223 e n

robbe-Grillet a lain, 25n, 69

rolland de renéville a ndré, 128n

romagnoli a lberto, 70n

romanò a ngelo, 136

rosai Ottone, 23

rosati salvatore, 183, 184n

rosselli Carlo, 103

rossi a ldo, 155, 159, 212 e n, 218n, 219

rossi Ernesto, 103

rosso renzo, 172

rotondi Maria Luisa, 168, 171

roversi Cecilia, 84n

roversi roberto, 136, 167, 170, 190, 197, 214, 218-219

ruggerini Berlinguer Giuliana, 56n

russi a ntonio, 135n, 169

russo Luigi, 45n

russo puccio, 73

saba Linuccia, 136n

saba Umberto, 134, 136 e n

sachs Nelly, 128n

salinari Carlo, 15, 199 e n

sanguineti Edoardo, 29, 47, 69, 173

santone Laura, 127n, 191n

sarraute Nathalie, 25n, 69, 173, 175

sartorio Giovanni Guglielmo, 122-123, 125

sbarbaro Camillo, 33, 189

scala Luciano, 43n

scalia Gianni, 215n, 216

scarpa Domenico, xv, 36n, 37n, 143n

sciascia Leonardo, 221

sebastiani a lberto, 165n, 168n

sechi Giovanni, 199n

segre Cesare, 159

sempoux a ndrée, 42n

sereni Vittorio, 92n, 137-138, 154, 189, 190 e n

sermonti Vittorio, 158-159, 171, 187, 197, 206-207, 214

seroni adriano, 151, 199-200

seurat Georges, x

shakespeare William, 21, 43n, 49n

siciliano Enzo, 156-158, 181 e n, 194n, 218

signorini Telemaco, 23

sillani Tomaso, 86n

silone Ignazio (pseudonimo di secondo Tranquilli), 128 e n

sinigaglia sandro, 149

sinigallia Valeria, 119

sinisgalli Leonardo, 133-134

siti Walter,113n

soldati Mario, 20, 26-27, 32-33, 39, 47, 51-52, 55n, 92n, 103, 121, 138-139, 160

solier rené de, 128n

solinas Donghi Beatrice, 152, 168, 171

sollazzo Lucia, 152

solmi sergio, 137 e n, 192

spaini a lberto, 102

spanu satta Francesco, 92n

spaziani Maria Luisa, 189, 191-192

spila Cristiano, xv

squarcia Francesco, 202 e n

starace achille, 85

steiner a lbe, 168

stendhal (pseudonimo di Marie-Henri Beyle), 65

stevenson robert Louis, 5, 73

svevo Italo (pseudonimo di Ettore schmitz), 21, 65, 139, 149, 153

INDICE DEI NOMI 232

Tadié Jean-Yves, 4n

Tabusso Francesco, 20

Taddei Donata, 153, 161

Tamassia paolo, 127n, 191n

Tardieu Jean, 127n

Tempesti Fernando, 171

Tentori Montalto Francesco, 192, 222

Terra Dino (pseudonimo di a rmando simonetti), 73n

Testori Giovanni, 152, 155, 159, 168, 170-172, 197, 202-203

Thomas Henry, 127n

Tobia Enrico, 131n, 197, 219

Tobino Mario, 26, 52 e n

Tolstoj Lev, 21, 65-66, 177

Tomasi di Lampedusa Giuseppe, 15, 26, 30-31, 47, 51 e n, 152, 167, 169, 175, 182, 192, 197, 209, 211, 221

Tondo Michele, 199n

Tortora Massimiliano, x-xi, xiv-xv, 36n, 128n, 131n, 190n

Toscano Bruno, xiv

Toulet paul-Jean, 73

Treccani Ernesto, 92n

Trenker Luis, 150

Trombadori a ntonello, 92n

Turi Gabriele, 81n

Unamuno Miguel de, 222

Ungaretti Giuseppe, 134 e n, 135n

Ungaro Carlo, 104

Valéry paul, 83, 103, 116 e n, 137

Valli stefania, 36n, 127n, 128n, 129n, 134n, 166n, 189n

Vanvitelli Luigi, 101

Varanini Giorgio, 42n

Varese Claudio, 91, 104, 108 e n, 169

Vasoli Cesare, 155

Vegliante Jean-Charles, 135n

Venturi Gianni, 35n

Venturi Marcello, 166

Verdino stefano, 134n

Verga Giovanni, 7, 23, 30-31 e n, 61n, 65, 120

Viazzi Glauco, 92n

Vigorelli Giancarlo, 208 e n, 212n, 213

Viviani Francesco, 102-103

Villa Federica, 55n

Villari salvatore Tito, 50n

Visconti Luchino, 7, 51, 55n

Vittorini Elio, 15 e n, 30, 47 e n, 52n, 57, 165n, 175-176, 185, 192

Vollaro saverio, 131n

Volponi paolo, 47, 136, 140, 167, 170, 172, 197, 214, 216-218

Wahl François, 106n

Wainstein Lia, 187

Walter Eugene, 128, 129n

Wharton Edith, 174, 183-185, 194-195

Waugh Evelyn, 156

Wilson Edmund, 183 e n

Woolf Virginia, 4, 57, 66, 71-72, 180 e n

Yeats William Butler, 105

Yourcenar Marguerite, 174, 187, 189, 191-192, 194-195, 198, 220

Zaghi Carlo, 102-103

Zampa Giorgio, 50n, 73, 144, 194n

Zampa Luigi, 55n

Zangrandi ruggero, 84n

Zaniboni Tito, 103

Zanzotto a ndrea, 218n

Ždanov a ndrej a leksandrovič, 24n

Zola Émile, 91

Zucchini a nnibale, 123

Zurlini Valerio, 53n

INDICE DEI NOMI 233

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