«Palazzo Caetani» 2 (2014)

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FONDAZIONE CAMILLO CAETANI ROMA

Presidente Bruno Toscano Vicepresidente Piero d’Amelio Presidente onorario Giacomo Antonelli Consiglio Tommaso Agnoni, Luciano Arcangeli, Lucio Caracciolo, Rita Cassano, Lelio Fornabaio, Andrea Gentiloni, Duccio Marignoli, Maria Cristina Misiti, Cesare Pasini, Lucia Pirzio Biroli, Jacqueline Risset (†), Pier Giacomo Sottoriva Giunta Bruno Toscano, Piero d’Amelio, Rita Cassano, Andrea Gentiloni

Via delle Botteghe Oscure, 32 – 00186 Roma Tel. 06 68 30 73 70 info@fondazionecamillocaetani.it www. fondazionecamillocaetani.it


palazzo caetani Bollettino della Fondazione Camillo Caetani

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edizioni di storia e letteratura


palazzo caetani Notiziario periodico

Direttore: Bruno Toscano Redazione: Rita Cassano, Caterina Fiorani, Giovanna Sapori, Massimiliano Tortora

Referenze fotografiche: Mario Brunetti, Maurizio Necci, Pasqualino Rizzi

Edizioni di Storia e Letteratura via delle Fornaci 24, 00165 Roma Tel. 06.39.67.03.07 – Fax 06.39.67.12.50 e-mail: clienti@storiaeletteratura.it

www.storiaeletteratura.it


Sommario Ricordo di Jacqueline Risset (Giacomo Antonelli, Michel Jarrety, Valeria Pompejano, Bruno Toscano), 7; Dalla signoria al principato: Onorato I Caetani (Maria Teresa Caciorgna), 11; Onorato VI Caetani e le arti (Francesco Leonelli), 13; Le lettere degli scrittori statunitensi nell’Archivio Caetani (1948-1960) (Maria Cristina Giorcelli), 16; Ultime notizie su Bruno Lattes (Alessio Staccioli), 19; Una lettera di Giuseppe Ungaretti a Roffredo Caetani (Massimiliano Tortora), 22

 acquisizioni e restauri

Un paesaggio della cerchia di Pier Francesco Mola (Duccio K. Marignoli), 24; Una aggiunta al catalogo del Crespi: San Giuseppe col Bambino sulle nubi (Donatella Biagi Maino), 26; Una Donna velata di scuola francese (Duccio K. Marignoli), 28; Un disegno del 1929 di Gisberto Ceracchini, (Claudia Terenzi), 31; Il restauro di sei xilografie di Gordon Craig, 33; Restauri di antichità, dipinti, arredi, 36

 Le collane, 37; Schede di libri, 39; Convegni e mostre, 40; Attività in collaborazione, 45

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Ricordo di Jacqueline Risset La Fondazione Camillo Caetani si è sempre preoccupata non solo di ben conservare e rendere accessibile al pubblico il suo complesso archivistico ma anche di assicurarne la diffusione. Fino al 1990 quest’ultimo obiettivo era stato perseguito per l’archivio storico ma non anche per l’archivio letterario relativo alla rivista «Botteghe Oscure» che Marguerite Caetani aveva creato nel 1948 e diretto sino al 1960 ed aveva acquistato rinomanza in Italia e all’estero. Nel 1990 il Consiglio della Fondazione volle porre fine a questa disparità di trattamento ma il problema non era semplice perché quell’archivio letterario, pur avendo oggetto unitario (la rivista) era composto dalle lettere dei collaboratori italiani e stranieri (francesi, inglesi, tedeschi ecc.) il che imponeva che di altrettante lingue fossero gli studiosi. Si pensò quindi di chiedere consiglio a persona assai esperta anche in letteratura internazionale e ci si rivolse così a Jacqueline Risset ben nota nel campo letterario e che si aveva avuto modo di conoscere ed apprezzare quale presentatrice, nella stessa sede della Fondazione del libro di Sophie Levie dedicato alla riPalazzo Caetani  2 (2014) 

vista «Commerce» edita da Marguerite a Parigi negli anni 1920-30. Il Presidente si incontrò con Jacqueline e con lei studiò un programma poi sottoposto al Consiglio della Fondazione e da questa approvato. Jacqueline sarebbe stata cooptata nel Consiglio (lo fu nel 1993) e avrebbe provveduto a studiare il problema nel suo complesso e poi ad affidarne la realizzazione a studiosi esperti delle varie letterature da lei stessa prescelti. Come casa editrice fu scelta «L’Erma» di Bretschneider di cui già si serviva la Fondazione e che dava buone garanzie di diffusione anche all’estero. Fu così pubblicato il primo volume dedicato ai collaboratori italiani a cura di Stefania Valli (325 pagine con prefazione di Jacqueline Risset e corredo fotografico). Fece seguito poi il volume dedicato ai collaboratori francesi a cura di Laura Santone e Paolo Tamassia (363 pagine con prefazione sempre di Jacqueline Risset e corredo fotografico). I due volumi ebbero buona diffusione e quello francese fu anche oggetto di una riuscita presentazione presso il Centro Culturale Francese di Piazza Campitelli.


Jacqueline impostò e dette inizio a due altri volumi stranieri rispettivamente inglesi e tedeschi ma le due opere erano in gestazione quando Jacqueline è purtroppo venuta a mancare. Fuor di luogo parlare del dolore che questa perdita ha provocato nel mondo letterario italiano e internazionale. Per la Fondazione oltre alla perdita di chi stava curando un così complesso lavoro vi è stata la perdita di una preziosa presenza nel Consiglio che era stata anche rallegrato dalla sua elegante presenza. Giacomo Antonelli «L’éclair a surgi comme un trou»* En si peu de mots, je ne chercherai pas, bien sûr, à exprimer ce que nous devons tous à Jacqueline Risset, ni la reconnaissance qu’appellent son œuvre d’écrivain comme le rôle qu’elle a 8

su jouer au sein de l’Université, mais je voudrais dire simplement qu’au moment où m’est parvenue la nouvelle de sa disparition, ce sont les traits lumineux de son visage qui me sont subitement revenus tels que je les avais vus, tout juste un an plus tôt, à la Fondation Caetani de Rome: j’avais été heureux de retrouver en elle la même chaleur attentive que je lui connaissais, et cette élégance supérieure qui la distinguait entre tous ; sa présence avait été pour moi un des charmes de ces journées, comme chaque fois que je la retrouvais, de loin en loin et trop rarement depuis que nous avions fait connaissance, à Rome déjà, une trentaine d’années plus tôt. Je ne manquais pas de lire ses livres et, lorsque j’ai dirigé, en 2001, un Dictionnaire de poésie de Baudelaire à nos *

Jacqueline Risset, «Éclair», in Les Instants, Éd. Farrago, Tours, 2000, p. 9.


jours, elle a naturellement figuré parmi les écrivains vivants pour lesquels une notice s’imposait: fût-ce modestement, j’ai été heureux de contribuer à mieux faire connaître son œuvre. Mais s’il est vrai que ce sont surtout des événements universitaires qui me permettaient de la revoir, je voudrais néanmoins rappeler une soirée exceptionnelle qui se déroula à Paris, le 14 décembre 2006, à la Maison des écrivains. Avec elle, de très grands poètes — Yves Bonnefoy, Michel Deguy, Jacques Dupin, d’autres encore — étaient réunis ce soir-là pour rendre hommage à Claude Esteban disparu quelques mois plus tôt. Jacqueline Risset l’avait connu à l’École normale supérieure, et avec une émotion aussitôt partagée par tout l’auditoire, elle avait évoqué leurs années de jeunesse et, au-delà d’elles, la figure si attachante de son ami dont elle rappela avec une sensibilité que je n’ai pas oubliée la profondeur mélancolique en même temps qu’une drôlerie qui savait par instants la faire oublier. Lorsque après la mort de sa femme Claude Esteban avait écrit en espagnol, sa langue maternelle, un Journal immobile qu’il ne pouvait se résoudre à traduire en français, il lui avait demandé d’en donner une version italienne: ce qu’elle avait fait, bien sûr, attestant par là un sens de l’amitié qui, déjà, passait par la mort et visait à la dépasser. La fidélité que ce soir d’hiver elle témoignait à son ami, que ce soit celle-là même que nous sachions aussi lui conserver. Michel Jarrety Palazzo Caetani  2 (2014) 

La presenza stimolante di Jacqueline Risset mi ha accompagnato lungo quarant’anni di vita universitaria fin dal mio ingresso come studentessa di Lingue e Letterature straniere e poi per tutto il corso della mia carriera fino a stringersi nella ultradecennale conduzione comune, lei come Presidente io come Direttore, del Centro di Studi italo-francesi di Roma Tre. Il suo insegnamento in quei primi anni Settanta in ‘movimento’ così promettenti per la mia generazione, arrivava come un vento fresco da nord-ovest, da quella Francia del maggio ’68, come un vento di Mistral (Maestrale/Magistrale) che rinfresca e schiarisce l’aria spessa e ferma infondendo all’anima un vigore nuovo e inatteso. Era proprio quello che noi allievi cercavamo senza sapere di cercarlo, un alimento a quella spinta imprecisa cui Jacqueline sape9


va dare la forma esatta del desiderio e del senso. Alle cartesiane idee chiare e distinte della letteratura francese che avevo scelto per propensione e gusto, le magnifiche lezioni di quella giovane elegante docente dalla voce cantante aggiungevano in presa diretta il metodo e la spinta sovversiva di quella straordinaria officina di idee che in quegli anni era Parigi e di cui Jacqueline era a un tempo testimone e parte (penso alla sua esperienza nella redazione di «Tel Quel»). Il suo modo di utilizzare i complessi strumenti ermeneutici di una neo-modernità in perpetua elaborazione le consentiva di accostare testi anche lontanissimi nel tempo con lo slancio vigoroso della contemporaneità. Ricordo un magnifico corso su Chrétien de Troyes scoperto attraverso una sua affascinante e rivoluzionaria lettura del Chevalier au lyon. Il rapporto diretto con il testo ha fondato la relazione di Jacqueline Risset con la scrittura letteraria: un rapporto quanto mai libero e lontano da qualsiasi forma di soggezione all’autorità. Con quello spirito indipendente e lieve si è misurata in una relazione paritaria con Dante e Machiavelli, con Mallarmé e Proust, con Bataille e Ponge, sempre attingendo all’incontaminata fonte della sua anima poetica. La poesia come lettura, azione e creazione in una lingua, la sua, sorvegliata e plasticamente manipolata in un ininterrotto percorso di andate e ritorni dal francese all’italiano al francese, sperimentato anche nel rischioso esercizio dell’autotraduzione poetica: affondo 10

definitivo nella materia linguistica come via privilegiata alla conoscenza. Su quel fragile crinale della lingua e del pensiero tra Francia e Italia, Jacqueline Risset ha stabilito la sua personalissima patria intellettuale. Da quel confine abolito ha tessuto una trama fitta di passaggi da una lingua all’altra da una cultura all’altra, traghettando il pensiero poetico e le più alte espressioni del genio italico nella Francia del terzo millennio, filtrandoli a un’intelligenza poetica quasi medianica, per rivitalizzarli e riattualizzarli nel genio della lingua francese. In questi 40 anni non c’è stato con Jacqueline un solo incontro, quasi sempre apparentemente casuale, che non sia stato per me un vitale «rappel à l’ordre», un richiamo all’urgenza dell’attualità politica, al senso della responsabilità civile di cui ciascuno è portatore e parte attiva: vuoi attraverso l’iniziativa o anche semplicemente attraverso l’espressione dello sdegno o del sostegno. Perché Jacqueline non ha mai smesso di far vivere nel fondo poetico del suo cuore l’imperativo alla partecipazione civile. La nostra sinergia nella vita del Centro di piazza Campitelli si è fondata su princìpi, o direi piuttosto su ipotesi di lavoro indiscutibili, che costituivano la base del pensiero morale di entrambe, come la laicità dell’approccio alla comune passione per la letteratura, le arti, la filosofia, la storia o come l’idea forte che la divulgazione culturale al più alto livello dovesse raggiungere il più largo uditorio possibile uscendo


dai limiti dell’orto accademico. Questo obiettivo ci ha unito nell’invenzione di formule accattivanti per i più giovani e per i non addetti ai lavori e grazie alla felice collocazione del Centro nel territorio romano, abbiamo ad esempio immaginato i fortunati martedì degli «Apéritifs à la Bibliothèque» in cui giovani studenti Erasmus/attori leggevano, in un allestimento teatrale con musica spesso dal vivo, le più belle pagine della letteratura francese, richiamando un pubblico vastissimo, entusiasta, eterogeneo. A questo punto della mia vita riconosco pienamente quanto Jacqueline Risset abbia significato nella mia formazione e come sia stata per me un riferimento saldo e costante. Soprattutto le sono grata per la leggerezza con cui mi ha offerto questo dono di

sé: come fa la brezza lieve in una bella calda estate. Valeria Pompejano Far vivere oggi grandi testi del passato; essere partecipi e autori della ricerca moderna; tener d’occhio, giorno per giorno, il presente nei cambiamenti della società, della politica, del costume; vivere la cultura come attività, promozione, organizzazione: una qualità di cui anche la nostra Fondazione è diretta testimone; comunicare della propria persona la totale dedizione alla conoscenza, manifestandola in un’immagine di perenne freschezza. Per questi e tanti altri doni Jacqueline Risset, lasciandoci, ha lasciato tanto desiderio di sé. Bruno Toscano

 Dalla signoria al principato: Onorato I Caetani Riprendendo un tema che mi aveva appassionato in gioventù, da qualche anno ho ripreso a studiare la parabola politica di Onorato I Caetani: noto per essere stato riconosciuto dai suoi contemporanei e dagli stessi testimoni dello Scisma il principale fautore dell’elezione di Roberto di Ginevra – Clemente VII – avvenuta a Fondi il 20 settembre 1378. Intento del mio lavoro non è tanto la storia degli Palazzo Caetani  2 (2014) 

avvenimenti che hanno visto protagonista Onorato I Caetani quanto la sua ascesa a grande signore, organizzatore del suo principato territoriale. Prendendo in esame i diversi aspetti della costruzione del potere politico, dell’ampliamento della sua base di potere molto prima del fatidico 1378, va reso merito alla sua capacità di attivare clientele, di giocare un ruolo importante sia in Campagna e Ma11


rittima, cioè nello Stato della Chiesa, sia nel Regno. La riuscita del progetto espansionistico poggiava sull’attenta amministrazione della contea e delle terre di Campagna e Marittima, che coltivate e sfruttate attentamente attivavano gli scambi sia a breve che a lungo raggio. Un documento unico nel suo genere, il registro della coquina di Clemente VII, permette di avere un quadro della gestione economica della contea con informazioni preziose sui prodotti dell’agricoltura del territorio, che testimonia la qualità e la quantità degli approvvigionamenti per la mensa del papa, dei cardinali e del largo seguito ospitati a Fondi dal 21 settembre 1378 e al 27 aprile 1379. Dal sistema di annotazione delle spese, distinte per acquisti di beni di prima necessità effettuati in ambito locale e spese straordinarie per generi importati, tra cui spezie di vario tipo, si può ipotizzare che per la maggior parte il rifornimento alimentare avvenisse nella contea e quindi il documento diventa una testimonianza preziosa sulla produzione locale. La quantità e varietà dei consumi quotidiani presuppone una notevole vitalità dei settori legati all’allevamento del bestiame, sia bestie di grossa taglia, bovini, ovini, maiali, sia animali da cortile e uova, e alla pesca in mare e all’allevamento del pesce nelle piscarie. Il fabbisogno quotidiano richiedeva altresì una notevole disponibilità di farine macinate, perlopiù di frumento, anche se non mancano orzo e grani inferiori. Le campagne 12

della contea fornivano inoltre uve, olive, ortaggi e frutta, in particolare le arance, ben presenti sulla tavola. Il soddisfacimento delle esigenze alimentari di una popolazione, costitui­ ta dal personale di curia, dai numerosi ospiti e dalle truppe mercenarie che stanziavano nella contea di Fondi, notevolmente accresciuta rispetto al numero di uomini abituale è un indice rilevante della produttività del territorio che beneficiava di un solido governo. L’edizione del lungo documento, con le note di spiegazione e uno studio dell’alimentazione completa lo studio su Onorato. Ad Onorato va, inoltre, riconosciuta una intensa attività di edificazione di ospedali, castelli, attuata ben prima di quella possiamo dire militaredifensiva essenziale dopo l’inizio dello Scisma. Ancora al periodo di maggior impegno nella difesa di Clemente VII o Benedetto XIII, la forte personalità di Onorato si distingue per la riforma della sua cancelleria, il potere di datare gli atti amministrativi usando la datazione del suo periodo «di regno» contravvenendo alla prassi che voleva l’espressione con il nome e gli anni del re di Napoli in carica. Questo, insieme ad altri aspetti della sua azione, permette di accostare Onorato ai titolari delle grandi signorie cittadine che da secoli governavano nell’Italia centro-settentrionale. La costruzione del principato di Onorato Caetani era stata attuata introducendo significative innovazio-


ni all’interno dei suoi domini. Dal punto di vista amministrativo con la concessione di regolamenti ai castelli e con il reclutamento di ufficiali, notai, giudici, scelti per lo più nei comuni di Campagna e Marittima, nei quali per lunga tradizione esisteva un personale colto formato dal servizio negli uffici della curia romana. Per converso, i vassalli più colti e più fidati di Fondi, di Itri, di Traetto, ma anche di Castellonorato, ricoprirono incarichi di ufficiali nei comuni della Campagna e Marittima e come vicari nei castelli. Riusciva così a realizzare un interscambio di personale tra Regno e Stato della Chiesa, che senza sminuire la rete di clientele stabilite fuori dei confini delle aree che meglio controllava, deve essere considerato nella prospettiva di costruzione di un principato, in posizione nodale tra due stati sovrani.

Le tappe del lavoro sono scandite da saggi pubblicati o in corso di pubblicazione, mentre per il volume completo, il cui titolo è ancora da definire e che proporrà l’edizione dell’importante registro, bisogna attendere la fine di questo anno. M.T. Caciorgna, La contea di Fondi nel XIV secolo, in Gli ebrei a Fondi e nel suo territorio. Atti del convegno – Fondi 10 maggio 2012 a cura di G. Lacerenza, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, Centro di studi ebraici, Napoli 2014, pp. 49-88. M.T. Caciorgna, Onorato I Caetani e lo Scisma d’Occidente: dalla contea di Fondi al principato territoriale in A. Jamme (a cura di), Avignon-Rome. Pouvoirs, Sociétés et Papauté au cours du Grand Schisme d’Occident, Brepols, Turnhout (in corso di stampa). Maria Teresa Caciorgna

 Onorato VI Caetani e le arti Entrando nella sale dell’archivio della Fondazione Caetani, tra i dipinti e le sculture di varie epoche che raffigurano le fisionomie dei componenti della dinastia Caetani, è impossibile non notare tre quadri, di dimensioni pressoché identiche, dello stesso soggetto ma eseguiti da tre pennelli diversi. Chi vi è ritratto è un letteraPalazzo Caetani  2 (2014) 

to, collezionista ed erudito del Settecento romano, Onorato VI Caetani (1742-1797). L’ unico studio organico compiuto su questo affascinante personaggio è quello di Luigi Fiorani, Onorato Caetani. Un erudito romano del Settecento, Roma, 1969, che ne ha ricostruito minuziosamente la vita e i legami con le personalità scientifiche 13


Angelica Kauffman, Ritratto di Onorato Caetani, 1784 ca.

e letterarie del tempo. Tuttavia, gli interessi dello studioso si sono concentrati perlopiù su aspetti legati al pensiero religioso e agli studi eruditi del Caetani. Quanto ai documenti di interesse storico-artistico è stata pubblicata solo una piccola parte. Figlio cadetto d’una delle più illustri famiglie romane, Onorato fu ben presto avviato alla carriera ecclesiastica. Vorace di letture, accrebbe la sua già finissima formazione culturale tramite lo studio approfondito degli scritti dei più grandi pensatori, scienziati e filosofi del tempo, assorbendone le idee di rinnovamento ideologico e sociale. Di conseguenza, non poté non scontrarsi con la mentalità conservatrice dei tanti pedanti eruditi che affollavano la curia romana e non 14

provare insofferenza per il velenoso clima di invidie e gelosie che di fatto esclusero il suo accesso alle alte cariche ecclesiastiche. Si veda la sfortunata vicenda della Nunziatura di Francia descritta nel volume di L. Fiorani (pp. 39-44). È probabile che proprio l’insofferenza per le meschinità che ammorbavano lo scenario della politica romana fece sì che Onorato cercasse rifugio nel mondo delle Lettere e delle Arti; ed è proprio questa sua attività che suscita oggi il nostro interesse. Un buon punto di partenza per comprendere quale importanza rivesta Onorato Caetani nella committenza artistica del tempo è la sua scelta di farsi ritrarre per ben tre volte dai più grandi artisti dell’epoca: Anton Raphael Mengs (1779), Pompeo Batoni (1782) e Angelica Kauffman (1783). (Per la datazione del dipinto della Kauffman faccio riferimento alla data precisata dalla stessa pittrice, cfr. A. Kauffman, La memoria delle pitture, edizione italiana a cura di C. Knight, Roma 1998, pp. 18-19). Ai primi due ritratti si riferisce un’osservazione, contenuta in un diario di Onorato Cae­tani, che svela come la scelta di sottoporre la propria immagine all’occhio di due diversi ritrattisti assuma, oltre alla più immediata intenzione del committente di farsi effigiare dai più celebri pittori del secolo, un altissimo valore di introspezione psicologica; quasi una seduta psicanalitica ante litteram. Vale la pena di trascrivere per intero l’annotazione:


Anton Raphael Mengs, Ritratto di Onorato Caetani, 1779.

Pompeo Batoni, Ritratto di Onorato Caetani, 1782.

Mengs mi ha dipinto e letto nella mia fisionomia il carattere che vedete nelle lettere, Battoni [sic] mi ha dipinto con quella fisionomia con la quale io mi nascondo. Insomma Mengs mi ha dipinto come mi conosce Mr De Felice [grande intellettuale del tempo e intimo amico di Onorato Caetani], Battoni come mi conosce Roma (Archivio Caetani, Miscellanea, n. 1113/1210).

non risparmia, soprattutto ad apertura dello scritto, lodi al «sassone Apelle», come veniva definito Mengs: ma non mancano critiche, e si tratta della parte più interessante, ad alcune delle idee sull’arte espresse nelle Opere di Antonio Raffaello Mengs, edizione italiana degli scritti del pittore curata da José Nicolás de Azara e uscita in prima edizione nel 1780. Benché il dipinto della Kauffman non venga menzionato, le parole del Caetani aprono una pista d’indagine di grande importanza per ricostruire l’identità psicologica e culturale di Onorato Caetani in relazione al collezionismo e alle idee estetiche del XVIII secolo. Si presenta la preziosa opportunità di vedere quell’epoca così complessa e sfaccettata attraver-

Proprio al Mengs, Onorato dedicò un lungo saggio pubblicato a puntate nel periodico romano «Efemeridi Letterarie», (sulla storia del periodico si veda il saggio di M. Caffiero, Le Efemeridi Letterarie» di Roma (17721798). Reti intellettuali, evoluzione professionale e apprendistato politico, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», I, 1997) sorprendentemente ignorato dagli studi specialistici sul pittore. Nel saggio Onorato Palazzo Caetani  2 (2014) 

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so il prisma dei pensieri di Onorato Caetani, in gran parte consegnati a fitti carteggi intrapresi con le vette dell’Illuminismo europeo. Difatti, oltre ai rapporti del dotto abate con eruditi, scienziati e letterati, di cui la parte più cospicua è stata pubblicata nel summenzionato saggio di Fiorani, va ora delineandosi, tramite indagini svolte da chi scrive un’interessante rete di scambi tra il Caetani e artisti, archeologi e intendenti d’arte italiani e stranieri. Ne risulta una singolare circolazione d’idee con personalità del calibro di Luigi Lanzi, Ennio Quirino Visconti, Giuseppe Cades, Louis-Jean-François Lagrenée, Raffaello Morghen, Jakob Philipp Hackert, per citarne solamente alcuni. In conclusione, c’è materiale più che sufficiente per illuminare un pe-

riodo di storia culturale, in particolare artistica, che meriterebbe sempre nuovi approfondimenti. Gli interessi estetici e storico-artistici di Onorato Caetani si inscrivono in un più vasto ordine di conoscenza tipicamente settecentesco, per cui Arti e Scienze sono affratellate da un destino comune, quello di nobilitare l’uomo attraverso il sapere. Come scriveva Cesare Beccaria nelle Ricerche intorno alla Natura dello Stile (1770), «La morale, la politica, le belle arti, che sono scienze del buono, dell’utile e del bello, […] derivano tutte da una scienza sola e primitiva, cioè dalla scienza dell’uomo» (Cfr. C. Beccaria, Ricerche intorno alla natura dello stile, Milano 1770, p. 9). Francesco Leonelli

 Le lettere degli scrittori statunitensi nell’Archivio Caetani (1948-1960) Preparare un carteggio per la pubblicazione è un’esperienza scientificamente stimolante e umanamente singolare. Sebbene, come critico, io tenda a privilegiare l’esplorazione del testo attraverso la metodologia del «close reading», ho spesso consultato (nella forma stampata o nei fondi librari) la corrispondenza privata degli autori che studio e su 16

cui scrivo, per i preziosi riferimenti contestuali che vi si possono reperire al fine di giungere ad una migliore comprensione delle loro opere. Sono, quindi, più che convinta dell’utilità di approntare carteggi letteralmente precisi e filologicamente accurati. Umanamente, tuttavia, l’esperienza suscita emozioni plurime – anche contraddittorie.


Da un anno – con una certa trepidazione e, all’inizio, con un certo disagio – invado lo spazio interiore degli autori statunitensi che scrivevano a Marguerite Caetani negli anni della pubblicazione di «Botteghe Oscure»: tra un’umile richiesta di perdono per un ritardo imprevisto e una trepida preghiera di attenzione per un manoscritto accluso, pervengo, quindi, alla conoscenza – a volte fin troppo dettagliata – dei loro dolori, delle loro necessità, delle loro ansie. Mi sembra di essere la testimone, non richiesta, di confessioni destinate SOLO a Marguerite, di cui prendo surrettiziamente il posto. Ma scopro anche dati interessanti, quali: a che punto del loro percorso artistico, in un dato momento storico, essi si trovavano o come vivevano la gestazione di questo o di quello dei loro scritti. Niente di ciò che apprendo sulle loro vite mi è veramente ignoto (i poeti e prosatori significativi hanno sul mercato, ormai, anche più di una biografia che squarcia il velo sulle loro vicende personali e, in molti casi, anche impietosamente, li mette a nudo). Leggere queste loro lettere, che sovente chiedono aiuto (economico, soprattutto, ma non solo), su fragili aerogrammi, con scritture spesso impervie (quando le scrivevano: erano sobri? erano malati? erano davvero in gravi necessità?), tuttavia, mi fa sentire un’ intrusa. A volte, mi chiedo come reagisse Marguerite ad alcune di queste misPalazzo Caetani  2 (2014) 

sive: si sentiva come la turista bianca che, elegantemente vestita, esce dall’albergo di lusso di Mumbai e si ritrova circondata da una folla di bambini laceri e imploranti che le chiedono una rupia? Eppure le lettere degli autori di cui mi occupo provengono da suoi concittadini, che, in vari casi, grazie alle informazioni che le avevano fornito gli amici scrittori (frequentemente ospitati a Palazzo Caetani o a Ninfa) e/o a quelle che le aveva dato la sorella Katherine, non sarebbero dovuti essere per lei del tutto ignoti – anche nelle loro miserie. E, quindi, forse, Marguerite può essere stata meno sorpresa di me per quella che, in non pochi casi, suona come inopportuna insistenza, o insolente sfacciataggine, o, perfino, narcisistica durezza (di cui nella lettera successiva, dopo aver ottenuto ciò che chiedevano, ampiamente si scusavano). Vero è che, con il tempo, forse perversamente, la curiosità ha preso in me il sopravvento. Al di là delle difficoltà contingenti degli autori – cui non può non andare, comunque, la simpatia di chi, anacronisticamente, si trova confrontato con i loro mali, che, fortunatamente, in molti casi, furono superati nel prosieguo della loro vita – mi sento come l’analista di laboratorio che, data per scontata la malattia, si proietta verso la scoperta. Non del rimedio, nel mio caso, ma dell’opera. E, nel caso di alcuni grandi autori, si tratta di grandi (anche se piccole di dimensioni) opere, che ve17


dono la loro prima luce su «Botteghe Oscure» e per avere le quali Marguerite deve aver giustamente pensato che valesse la pena di soffrire qualche pena e dare prova di non poca pazienza. Non c’è solo questo, però: ci sono le possibilità perdute, quando autori suggeriti da artisti, amici di Marguerite, non sono stati mai da lei contattati o le loro opere (come anche quelle di scrittori che autonomamente le si proponevano) non sono state accettate. E alcuni degli uni e delle altre sono diventati protagonisti della scena letteraria negli ultimi cinquant’anni. Cerco di capirne le ragioni: dimenticanza? disordine della sua segreteria? il bon-ton bostoniano-puritano della mecenate/direttrice, che, a tratti, là dove si credeva più sicura – la lingua e il mondo statunitense – prendeva il sopravvento sulla qualità non scontata di certi manoscritti? Intravedere i germi del capolavoro non è dote di tutti. Comunque, peccato! Penso a quanto sarebbero stati felici alcuni di questi artisti se, nella loro povera (di mezzi), ma ricca (di cultura) gioventù, avessero potuto godere di questa opportunità. Perché essi (in alcuni casi l’ho verificato) sapevano di «Botteghe Oscure» e la leggevano, o, perlomeno, occasionalmente la consultavano. In quanto rivista cosmopolita e, complessivamente, ‘high brow’, avrebbero certamente ambito esservi pubblicati. Tra le carte, si possono trovare anche inaspettati tesoretti. Come il delizioso libretto che un collabora18

tore e poeta dedica a Marguerite – nell’Introduzione confessa di averlo composto per farsi perdonare di una qualche disattenzione –, scrivendo a mano, con inchiostro di china e caratteri impostati, e istoriando, con disegni colorati, una serie di ricette, a base di fiori e di frutta, che facevano/ fanno parte del patrimonio gastronomico della regione del Sud degli Stati Uniti da cui proveniva. È un piccolo capolavoro (di gusto, per così dire, rinascimentale), pervaso di inventività, humour e grazia: posso solo augurare che, per la gioia dello studioso che viene a far ricerca a Palazzo o del turista che visita Ninfa, la Fondazione decida di pubblicarlo. E poi ci sono i figli – che, a volte, conosco – di alcuni di questi autori. Leggere le lettere di questi ultimi equivale ad imparare «più cose» su di loro, con il vantaggio (o svantaggio – a seconda di ciò che è, poi, loro accaduto) di sapere cosa essi hanno successivamente scritto, come hanno superato l’impasse cui fanno cenno, per quali ragioni (o misteri) la vita ha finito per premiarli (oppure no). È questo il caso, per esempio, di una mia cara amica, figlia di un grande scrittore, finissima e coltissima scrittrice lei stessa, cui ho telefonato, via Skype, per dirle di avere letto le belle lettere che il padre scriveva a Marguerite (che più volte accolse i suoi lavori nella rivista) o dagli Stati Uniti o dall’Italia quando, da innamorato del nostro paese, veniva con la famiglia a trascorrervi le estati. Comunicandole le date, la figlia


mi ha fornito altri dettagli su ciò che, in quello o quell’altro specifico anno, avevano fatto: dove erano stati, gli amici che avevano incontrato, i paesini che avevano visitato. Per non parlare del figlio di un importante autore, pubblicato due volte su «Botteghe Oscure», su suggerimento di un altro collega (nel suo caso Marguerite aveva, per fortuna, raccolto la raccomandazione). Il figlio mandò a Marguerite un disegnetto (aveva allora sette anni), che il padre incluse nella lettera con cui la ringraziava per la pubblicazione (ed il cospicuo assegno). Oggi valente artista, non poteva certo ricordare questo minuto particolare, ma io l’ho avuto davanti a me e, essendo consapevole dell’estremo riserbo che ha caratterizzato e caratterizza i membri della famiglia, non

solo mi sono molto stupita di questo affettuoso ‘omaggio’ a Marguerite, ma ho potuto felicemente constatare che anche l’estremo riserbo può concedere qualche eccezione! Sono momenti di grande tenerezza tanto per i discendenti degli scrittori, quanto per me, perché, riportando in vita il passato, me lo fanno rivivere come se fossi stata con loro, una di loro: arricchiscono lo studio ‘scientifico’ delle opere non solo di notizie cruciali per quanto riguarda gli avvenimenti attinenti alla sfera personale e/o all’atmosfera sociale-politica del momento storico, ma anche dello spessore (sovente dolente) e della vivacità (sovente sconcertante) della vita di ogni giorno. Maria Cristina Giorcelli

 Ultime notizie su Bruno Lattes Gli ultimi anni di Clelia Trotti di Giorgio Bassani fu l’unica novella delle Cinque storie ferraresi a non essere pubblicata in «Botteghe Oscure». Comparve invece per la prima volta nel 1954 in «Paragone-Letteratura», e venne poi edita nel 1955 in volume unico presso Nistri-Lischi prima di essere inclusa nel 1956, con varianti, nella raccolta einaudiana delle Cinque storie ferraresi. Nel 1973 Palazzo Caetani  2 (2014) 

una nuova redazione della storia fu inserita in Dentro le mura, e l’anno successivo finì nel Romanzo di Ferrara, al quale Bassani diede la definitiva sistemazione nel 1980, tornando un’ultima volta pure sul testo de Gli ultimi anni. L’autore, nel 1972, nella sezione di L’ odore del fieno dedicata a Gli anni delle storie, nascose le ragioni politiche dell’esclusione di Clelia dal19


la rivista romana, scrivendo che «il racconto, a Marguerite Caetani, non era piaciuto. L’aveva trovato “un po’ noioso”, inferiore ai precedenti». Dal carteggio Bassani-Caetani, testimonianza di una fortunata collaborazione editoriale e di una sincera e profonda amicizia, emerge però la verità: Marguerite Caetani, appena ricevuto il manoscritto de Gli ultimi anni, comunica allo scrittore che per lei sarebbe impossibile, «anche se levasse quelle dure pagine», pubblicare un racconto «con questo soggetto» (G. Bassani, M. Caetani, «Sarà un bellissimo numero». Carteggio 1948-1959, a cura di M. Tortora, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 2011, pp. 139140). La Principessa di Bassiano colse perfettamente il contenuto ideologico della narrazione, comprese bene le reali cause e l’entità dello smarrimento politico di Bruno Lattes, il ragazzo ebreo discriminato in indecisa fuga verso il reinserimento civile e, insieme, al riparo da ogni omologazione totalitaria. E una microscopica divergenza di lezione che Bassani ha voluto trasmettere con la stesura del 1973 conferma lo slancio politico del racconto, che, come giustamente notò Massimo Grillandi, segna il culmine dell’impegno ideologico dello scrittore. Ecco la descrizione della variante. Nell’edizione Einaudi del 1956, Bassani scrive: «Quanto tempo era passato – si diceva poi, con dolore – da quando lui, Bruno, dopo il 25 luglio del ’43, nell’agosto, aveva la20

sciato Ferrara per Roma, e quindi, nemmeno due anni più tardi, per gli Stati Uniti d’America!» (G. Bassani, Opere, a cura e con un saggio di R. Cotroneo, Milano, I Meridiani, Mondadori, 1998, p. 1690; il luogo imputato, che qui indico in corsivo, è identico sia in «Paragone», sia nel volumetto di Nistri-Lischi). Nella stesura del 1973 e nelle seguenti invece si legge: «Quanto poco tempo era passato – si disse quindi con dolore –, da quando lui, dopo il 25 luglio del ’43, nell’agosto, aveva lasciato Ferrara per Roma, e poi, nemmeno un anno più tardi, per gli Stati Uniti d’America!» (ivi, p. 133; il corsivo è ancora mio). Insomma, nelle prime tre redazioni della novella Bruno emigra negli Usa nel ’45, a Liberazione avvenuta, sottraendosi alla fase di ricostruzione democratica del Paese; ma non alla Resistenza. La sua partenza nel ’45, infatti, lascia spazio per un’interpretazione che possa immaginare il protagonista, nel biennio ’43-’45, al fianco di altri partigiani. Non è così se la scelta di trasferirsi negli Usa dev’essere retrodatata di un anno. In questo caso Bruno si arrende alla lotta un anno prima della Liberazione, nel ’44. Il racconto inizia con il funerale della maestra socialista nel ’46, e da lì una lunga analessi incompiuta ripercorre il rapporto fra i due protagonisti dal tardo autunno del ’39 al settembre del ’40. La storia di Clelia Trotti è


quella di una morte annunciata: le speranze si annullano sin dal principio della novella, che si carica di una fatalità inesorabile. Nell’Italia testimone della «degenerazione progressiva di ogni valore», c’era una sola strada da seguire, «quella che portava tutti, nessuno escluso, incontro a un futuro inevitabile». Il negativismo si stende come la lunga ombra degli steli e dei cippi funerari sull’erba della Certosa, dall’inizio alla fine della narrazione, e con quel suo intervento sul testo, l’autore non fa altro che marcarlo. È un pessimismo totalmente intrinseco al protagonista, che non gli lascia possibilità di scampo dalla condizione di eterno emarginato, se non la fuga. In Clelia Trotti ciascuno dei personaggi è prima di tutto un escluso, e Bruno sembra l’unico consapevole della propria radicale condizione di solitudine. Così, inevitabilmente, ancora più solo, si ribella agli altri, e da loro sceglie di allontanarsi: dal padre, da Clelia, da Ferrara, da tutti quelli che, per sempre «identici tutti quanti a se stessi», s’illudono che un rinnovamento politico in Italia sia possibile. Bruno Lattes, nel presente della storia, nel ’46, è più che solo: è un orfano, come uomo e come individuo politico. I suoi genitori sono stati inghiottiti da un lager tedesco nel ’43, e nel ’46 sta assistendo all’inumazio-

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ne della sua guida antifascista (quasi una ‘madre politica’). Il 1946 è anche l’anno della rapida agonia del Partito d’Azione (a vantaggio del Partito Comunista, a Ferrara, la città che ebbe il maggior numero di aderenti a Salò), che arriverà alla dissoluzione definitiva nell’ottobre del 1947, lasciando Bruno, che lo s’immagina azionista, orfano politico. È inoltre orfano ribelle del suo narratore. L’impressione è che Bruno non riesca a credere alle parole di Clelia Trotti sulla potenza purificatrice della sofferenza e della lotta politica, tramite le quali, e solamente con esse, l’escluso può sviluppare un profondo senso di appartenenza alla propria terra; di certo non come vi aveva creduto il giovane Giorgio Bassani. È nella reazione al discorso di Clelia che la gioventù del personaggio non è più assimilabile a quella del suo creatore. Bassani (a trent’anni dal deludente scioglimento del PdA, dalla conseguente migrazione nel PSI, e dopo la rancorosa rottura con questo, vent’anni più tardi) lascia che Bruno Lattes fugga in America nel ’44, lo abbandona al suo destino anticipando di un anno, nell’età in cui forse la scelta della diserzione del protagonista era diventata in una certa misura comprensibile, seppur mai condivisa. Alessio Staccioli

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Una lettera di Giuseppe Ungaretti a Roffredo Caetani Giuseppe Ungaretti non fu solo il consulente letterario di «Commerce» negli anni tra il ’26 e il ’34, ma anche un affezionato amico di casa Caetani, e specificamente di Roffredo e Marguerite, oltre che del loro fratello e

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cognato Gelasio. Fu proprio Ungaretti, ad esempio, a indicare ai coniugi Caetani la persona di Andrea Caffi quale precettore dei loro figli Camillo e Lelia; e fu sempre lui a leggere con passione e competenza il testo


di Hypatia, ammirandone il «suono persuasivo» della poesia. Elementi questi che il carteggio recentemente pubblicato dalla Fondazione Camillo Caetani aveva già fatto emergere (G. Ungaretti, Lettere a Marguerite Caetani, Andrea Caffi, Roffredo Caetani, a c. di S. Levie e M. Tortora, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2012). Nelle lettere che in quella sede si pubblicavano non compariva però questa missiva inviata al duca Roffredo, poche settimane dopo la morte di Gelasio: documento questo che è stato rinvenuto tra alcune carte dell’Archivio Caetani in corso di riordino. Nell’aggiungere un ulteriore tassello al mosaico che vede uniti Marguerite Chapin, Roffredo Caetani e Giuseppe Ungaretti, questa lettera, ancor più di quanto potevano lasciar supporre gli scambi epistolari ruotan-

ti attorno alle questioni letterarie di «Commerce», testimonia un’amicizia sincera e un tentativo di quotidianità, che evidenti impegni, come sempre accade, impedivano. Al contempo la stessa lettera mostra la costante curiosità della famiglia Caetani nei confronti degli uomini di cultura, che trova origine in età moderna e prosegue ininterrotta per tutto il Novecento: con Ungaretti, ad esempio, e poi con gli scrittori di «Botteghe Oscure» negli anni Cinquanta, per limitarci al solo piano letterario. E proprio con l’intenzione di testimoniare gli interessi culturali di Roffredo e di Marguerite, oltre che di completare la precedente edizione del carteggio ungarettiano, riproduciamo qui il testo della missiva del 7 dicembre 1934. Massimiliano Tortora

Caro Amico, ancora La ringrazio della Sua gentilezza nel decidere che rimanesse a me quel prezioso ricordo. Parto in giornata per un giro di conferenze, e sarò di ritorno verso Natale. Avrei voluto prima di partire venirLa a salutare di persona, e un po’ per timidezza: ho sempre paura di recare disturbo; e un po’ perché ho avuto da scrivere in pochissimi giorni quasi interamente le conferenze che dovrò leggere – non ho saputo venirLa a trovare. Mi vorrà perdonare? Spero di vederLa e di vedere la Principessa al mio ritorno. Mi creda il Suo devoto e affezionato Giuseppe Ungaretti Roma, il 7 Dicembre XIII. Palazzo Caetani  2 (2014) 

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Un paesaggio della cerchia di Pier Francesco Mola* La campagna di restauri intrapresa a favoPier Francesco Mola (cerchia di), Paere delle opere della Fondazione Camillo saggio, olio su tela, cm 72×100. Cae­tani consente nuove attribuzioni. Un Paesaggio con figure che, opera completamente inedita che dopo la recente pulitura ha rivelato caratteristiche che lo orientano verso la cerchia di Pier Francesco Mola, ne è un esempio. Nato a Coldrerio, nel Ticino, ma cresciuto e attivo a Roma, Mola fu pittore ‘eccentrico’ nel ricco e variegato panorama artistico romano e tra i paesaggisti che ebbero maggior seguito nel Seicento. L’opera in questione, seppure non autografa, è eloquente testimonianza della diffusione nelle antiche collezioni di paesaggi influenzati dalla maniera dell’artista e della popolarità del movimento ‘neoveneziano’ di cui Pier Francesco fu esponente insigne. Com’è noto, a partire dall’esordio con le lunette Aldobrandini la pittura seicentesca romana di paesaggio armonizzò i temi nobili dell’Arcadia come valore classico, erudito, con la lezione dei grandi pittori veneti, le cui ambientazioni spesso crepuscolari enfatizzavano un’atmosfera, un’emozione. Sebbene la sintesi di queste due suggestioni abbia raggiunto dei risultati molto diversi, nel caso di Pier Francesco, è la stessa biografia dell’artista a impersonare la convergenza delle due grandi lezioni. Il giovane artista studiò infatti con Francesco Albani, ovvero con uno dei principali esponenti dell’idea pittorica classicista, movimento che nacque a Bologna con i Carracci ed esplose a Roma dopo la realizzazione della Galleria Farnese, impresa che condusse a Roma numerosi pittori emiliani tra cui lo stesso Albani. La lezione del maestro emiliano non fu mai dimenticata e temi ricorrenti della sua produzione furono sovente riutilizzati da Mola. Al contempo, un viaggio fondamentale, forse preceduto da un altro, che lo condusse a soggiornare lungamente al settentrione e Venezia alla fine degli anni Trenta per studiare con Guercino, lo inspirò allo studio della pittura veneta. Questo periodo gli permise di assorbire la lezione di artisti come Tiziano, Giorgione e Veronese, la cui interpretazione del paesaggio avrebbe influenzato in maniera decisiva lo stile del giovane artista. Soprattutto nell’ambito della produzione paesaggistica, un’altra probabile suggestione fu, a mio parere, quella derivata dal ferrarese Scarsellino, i cui piccoli paesaggi da quadreria racchiudono scene sia sacre che antiche immerse in vedute con crepuscoli che appaiono concettualmente prossime ai paesaggi moleschi. Sebbene l’opera manifesti rigidezze che non permettono includerla nel corpus dell’artista, deriva sicuramente da Mola. L’elemento che più evidentemente l’accosta alla sua produzione è il cielo, i cui accesi colori delle nuvole tinte di rosa e di giallo sono un dettaglio assai tipico della produzione di Pier Francesco. A conferma dell’origine stilistica molesca è poi la figura della donna con il cestino sulla testa, tipo che ricorre in varie pitture autografe – tra cui quelle apparse sul mercato dell’arte romano e londinese –, ma la cui durezza di resa contribuisce a non riconoscervi la mano del Maestro.  Ringrazio Francesco Petrucci per l’aiuto nella compilazione della scheda.

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Il dipinto va presumibilmente datato tra il 1663 e il 1666, anno della morte di Mola, poiché in quel periodo, come ricorda Passeri nella sua biografia, il pittore, deluso dall’esito di un’impossibile rivalsa giudiziaria nei confronti del principe Camillo Pamphilj e al contempo inondato da richieste di pitture da quadreria, faceva eseguire numerose commissioni dalla sua bottega. Alcuni allievi ebbero poi importanti carriere e svilupparono uno stile proprio, come è il caso di Francesco Giovanni, Giovan Battista Boncori, Giovanni Bonati e Antonio Gherardi, ai cui nomi è tuttavia impossibile ricondurre l’opera in questione. Le vicende della collezione Caetani dal Seicento in poi non sono state ancora affrontate da uno studio complessivo che ne chiarisca in maniera definitiva le occasioni di committenza, aspetto reso ancora più complicato dal fatto che nella raccolta sono confluite opere di altre famiglie imparentate. Eppure il caso Caetani meriterebbe una rinnovata e particolare attenzione come esempio collezionistico di una famiglia inserita nella vita aristocratica romana ai più alti livelli, ma priva della disponibilità di cui allora godevano le più recenti famiglie papali seicentesche, cioè una tipologia di raccolta ai tempi diffusa e forse più vicina a un gusto di prevalente nella società romana di quanto lo siano le più note raccolte romane sopravvissute, come quelle dei Borghese, dei Colonna o dei Doria Pamphilj. Questa considerazione ci permette di avvicinarci alla comprensione del collezionismo barocco come fenomeno diverso alla propensione curatoriale contemporanea, soprattutto preoccupata dell’autografia delle opere e dunque poco incline a considerare produzioni del tipo esemplificato dal nostro paesaggio. Duccio K. Marignoli

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Una aggiunta al catalogo del Crespi: San Giuseppe col Bambino sulle nubi Singolare per soggetto e chiarità di toni Giuseppe Maria Crespi, San Giusep– ad evidenza è di scuola bolognese, e di pe col Bambino sulle nubi, olio su tela, epoca non consueta a simile cromatismo – cm 110×70. il dipinto non è corredato di alcuna informazione relativa alla committenza, alla provenienza, al suo ingresso in Palazzo Caetani, dai cui depositi è stato recuperato per essere dapprima sottoposto a restauro e quindi, in ragione dell’ottima qualità, esposto con le altre opere di questa scelta collezione. Il restauro si era reso necessario per la presenza su tutta la superficie di una vernice ossidata che ne impediva la corretta lettura, avendo causato una sorta di appiattimento delle forme e ottundendo i colori, sino a non lasciar scorgere la massa delle nubi, che compariva come uno sfondo monocromo; l’intervento, effettuato da Gioia Alessandri del laboratorio Alessandri Restauri s.r.l., ha comportato la rimozione di quanto nel tempo sovrapposto al colore rivelando la realtà delle forme e le peculiarità della stesura, morbida, veloce, alla prima; sono altresì emerse le leggere abrasioni del capo del Bambino e la mano destra di Giuseppe, frutto, plausibilmente, di un antico intervento, forse derivato da danni riportati all’epoca in cui la tela fu tagliata. Appare infatti ridotta sulla sinistra, in basso e a destra; è dunque probabile che

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questo dipinto, così inusuale per iconografia, facesse parte in origine di un’opera di maggiore dimensione, forse una pala d’altare. La stessa peculiarità del tema, che vuole il piccolo Gesù tra le braccia di Giuseppe, del quale accarezza in un gesto di gentile affetto il volto, e intorno una coltre di nubi luminose, è quanto di più lontano dalla tradizione dell’arte, dalla consueta definizione del rapporto secondo canoni che non erano solo cultuali ma anche sociali, rispondenti alla realtà del quotidiano che vedeva scompartiti i ruoli di madre e padre, e concede di individuarne l’autore in Giuseppe Maria Crespi, l’artista bolognese la cui scoperta libertà mentale è tra le più alte e riconosciute caratteristiche della personalità e conseguentemente del percorso pittorico. Per altro, connotazioni specifiche di stile conducono a tale attribuzione, avanzata in prima istanza da Bruno Toscano in via ancora ipotetica e in questa sede sostenuta in ragione di confronti con opere certe del catalogo di questo grande pittore, ma forse ancor di più per quanto sopra esposto, della cui arte, ricordo, Francesco Arcangeli sottolineava il ruolo di avanguardia in Europa nei primi decenni del secolo dei Lumi, il ‘movimento’ – la definizione sinteticissima è di Robert Darnton (R. Darnton, La dentiera di Washington, ed. it. Roma 1997, p. 5: l’Illuminismo è stato «un movimento, una causa, una campagna per cambiare le menti e riformare le istituzioni») – con il quale il Crespi si confrontò nella Bologna caratterizzata dalla presenza forte del cardinal Lambertini. Il dipinto, anche se parte di un tutto ancora non identificabile, percorre in chiave di assoluta modernità la riflessione sul tema raro e difficile, da cui discendono le quattro tele della chiesa di San Paolo Maggiore dei barnabiti che raffigurano la Paternità Creativa, Dio crea Adamo, la Redentrice, nella figura del Cristo, quella Naturale, con Gioacchino e Maria Bambina e la Putativa, Giuseppe padre di Gesù, dipinti per i quali il restauro concede di sostenere l’attribuzione di contro all’ipotesi della Merriman, che non poté vederli che in condizioni non ottimali (M. P. Merriman, Giuseppe Maria Crespi, Milano 1980, p. 258). Allorché pubblicò la monografia la studiosa trovò i Giuseppe Maria Crespi, San Giuseppe, Bologna, Opera pia dei poveri vergognosi. Palazzo Caetani  2 (2014) 

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dipinti di difficile lettura anche perché sottoposti a pesanti interventi di ‘restauro’ nel corso dell’Ottocento, non ancora risolti. A quel testo si rimanda anche per le immagini dei dipinti citati più oltre); ad evidenza il pittore fu sensibile all’argomento, che gli concesse soluzioni di certa efficacia per la raffigurazione dei soggetti relativi alla creazione e, nella tela Caetani, all’intima, affettuosa realtà del sentimento paterno. Questa, alla prova del restauro, ha rivelato dunque le qualità della pittura del grande Crespi, sostanziata di materia stesa con scrittura sciolta e sicura alla resa della forma, a restituire concretezza di vita al volto del santo dalla capigliatura mossa, la barba morbida alla carezza dei Bambino, solida nella definizione della bella mano, il panneggiato vero; si presta al confronto con dipinti certi al catalogo dell’artista quali ad esempio, per restare nel tema, il San Giuseppe col bastone fiorito dell’Opera Pia dei Poveri Vergognosi di Bologna – si osservi la similarità nella stesura a tocchi di colore a corpo, nel crescere dell’immagine: quanto di più lontano, va detto, dalla pittura all’epoca in vogue a Bologna, dei Franceschini Creti o Cignani, il primo Principe dell’Accademia Clementina dell’Istituto delle Scienze –, o la tela del medesimo soggetto di Dresda. Ancora procedendo per confronti, si veda l’immagine di Dio Padre nella Caduta degli angeli ribelli di Budapest, Szépmuveszeti Mùzeum, ed il Sant’Antonio Abate di Francoforte, Städelsches Kunstinstitut, di analoga franchezza esecutiva o, infine, la bella pala di Sarzana del 1722, con L’ Annunciazione e i santi Giovanni il Battista, Giuseppe e Stefano; sorprendente, la chiarità dei toni, che conduce a supporre che il pittore abbia adottato una preparazione di colore alleggerito rispetto ai toni bruni che gli erano consueti, quasi in linea con la sperimentazione dell’ottica newtoniana tanto discussa in quell’Istituto delle Scienze di Bologna che fu roccaforte del pensiero nuovo. I paragoni proposti conducono ad una ipotesi di cronologia ben entro il Settecento, allorché il Crespi, come ha sostenuto il Volpe, con dipinti quali la magnifica pala dell’Adorazione dei Magi di Finale Emilia ha ottenuto «il luogo altissimo che gli spetta nella risalita della pittura, durante il diciottesimo secolo, verso la coscienza moderna» (C. Volpe, scheda firmata, in Dipinti di Maestri dei secoli XVI-XVIII, catalogo della mostra, Finale Emilia 1982, p.36). Donatella Biagi Maino

Una Donna velata di scuola francese Oltre all’opportunità di studiare opere Jean Raoux (da), Donna velata, olio su d’arte inedite, l’attività di catalogazione tela, cm 85×68. ora avviata dalla Fondazione Camillo Caetani contribuisce a ridefinire il ‘gusto’ della famiglia e le vicende della committenza, o anche, in assenza di documenti, a formulare alcune ipotesi. Una Donna velata, già attribuita a «scuola romana del Settecento» e forse da avvicinare al pittore prediletto dalla famiglia Antonio Cavallucci, suggerisce un interesse per la pittura francese e per soggetti differenti da quelli presenti in collezione. 28


Restaurata, l’ho riconosciuta di scuola francese, e in particolare collegabile al pittore di Montpellier Jean Raoux (1677-1734) o perlomeno al suo ambiente. Noto per alcune belle –ritratti di donne immaginarie spesso raffigurate con gli occhi coperti o in ombra –, dopo un periodo tra il 1704 e il 1714 trascorso prima a Roma e poi a Venezia, l’artista armonizzò la lezione fiamminga delle figure femminili di tre quarti con l’intensità narrativa propria della pittura italiana, in particolare di Francesco Trevisani, e l’interesse per la sensualità che si stava sviluppando in Francia, derivandone una sua personale sintesi. Tra i vari esemplari di tele con le belle, al pittore di Montpellier ne è stato attribui­ to uno del museo di Marsiglia (inv. 730), che è certamente il prototipo del quadro

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Caetani. La tela francese ha un pendant, sempre a Marsiglia, raffigurante una Dama con collana di perle, ed entrambi sono databili alla prima metà del Settecento. L’ambito è certamente quello giusto, sebbene recenti studi abbiano messo in dubbio la paternità dei quadri marsigliesi, nei quali si è ravvisata una maggiore pittoricità rispetto a quella dell’opera di Raoux. Il dibattito non può dirsi concluso, ma è opportuno ricordare che tra le tele superstiti della permanenza italiana del pittore figurano quelle, assai importanti, dipinte per il palazzo Giustiniani-Lolin di Venezia, tuttora in situ e di proprietà della Fondazione Ugo e Olga Levi, dove si può osservare, appunto, un vigore pittorico nello stile dell’artista, qui sicuramente non insensibile alla lezione veneziana, aspetto che potrebbe riproporre l’autografia tradizionale delle tele marsigliesi. Oltre all’evidente relazione con il quadro sopracitato, di cui l’opera Caetani è una bella copia coeva, il soggetto è da porsi in relazione con la cosiddetta Pèlerine o Dama velata oggi all’Hermitage, una delle opere più note del pittore Jean-Baptiste Santerre (1651-1717). Santerre come Raoux studiò con Bon Boulogne e dunque i due allievi conoscevano sicuramente la reciproca produzione, cosicché è possibile riconfermare con qualche sicurezza l’ambiente dal quale la tela Caetani proviene. Il titolo Pèlerine del quadro di San Pietroburgo è oggi in disuso e proprio la coppia di tele di Marsiglia ne chiarisce il motivo. La Dama con collana di perle, pendant della Donna velata da cui è tratta la tela Caetani, rivela infatti il ruolo di queste belle velate. Il soggetto è rappresentato nell’atto di abbassare il velo azzurro che le copre la testa, offrendo allo spettatore la sua bellezza. Dietro la ragazza, e quasi mai menzionata nelle descrizioni del quadro, è una vecchia che con le mani la spinge in avanti. Questa figura, sicuramente da identificare con una procacciatrice, chiarisce che queste fanciulle con la testa coperta non solo non mostrano alcun spirito di contrizione, bensì, al contrario, seducono nel nascondere quello che poi potrebbe esser svelato. Non sono tuttora emersi documenti relativi al quadro in discussione e dunque è possibile formulare soltanto delle ipotesi. Se tuttavia si potesse risalire al momento in cui la tela francese entrò nella collezione Caetani, e se questo avvenisse nel Settecento, si potrebbe adombrare un’apertura alla pittura francese altrimenti inedita, benché possibilmente ad opera di un artista che ebbe di certo relazioni con l’Italia e in parte con Roma. Inoltre, il soggetto ‘galante’ (per taluni aspetti licenzioso) denoterebbe una sensibilità nei confronti di quei temi ispirati al piacere sensuale che si diffusero nel Settecento e in particolare in Francia. Una futura scoperta nell’archivio Caetani potrebbe chiarire questo aspetto. In ogni caso, l’opera ripropone la propensione cosmopolita della famiglia Caetani. Duccio K. Marignoli

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Un disegno del 1929 di Gisberto Ceracchini Gisberto Ceracchini (Foiano della Chiana, Gisberto Ceracchini, Personaggi vici1899-Petrignano del Lago, 1982) arriva a no a una fontana (r.), mm 580×1220, Roma prima degli anni Venti ed entra prefirmato e datato in basso a destra «G. sto in contatto con l’ambiente artistico ed Ceracchini 1929». intellettuale della città. Frequentatore della Gisberto Ceracchini, Abbeveratoio terza saletta del caffè Aragno, dove si riu(v.), mm 580×1220. nivano poeti, artisti, critici, musicisti, come appare nel dipinto di Amerigo Bartoli Gli amici al caffè, 1930, così lo ricorda Vincenzo Cardarelli: «Se la memoria non m’inganna, credo di aver conosciuto il pittore Gisberto Ceracchini, una sera del 1920, nella terza saletta di Aragno. Era massiccio come un tronco e sembrava intuire con regolarità umana quella fiducia che la buona terra infonde alla pianta. E da campagnolo cocciuto e sapiente si batteva contro gli estrosi e sfaccendati innamorati dell’arte italiana di quel tempo». Fu Armando Spadini, nume tutelare della nuova generazione artistica in quei primi anni Venti, a presentarglielo e a introdurlo in quell’ambiente intellettuale. Si avvicina al gruppo dei Valori Plastici (Donghi, Trombadori, Francalancia) con cui condivide una idea di purezza della pittura, di riscoperta della tradizione, di solidità e di equilibrio delle figurazioni. Pur evidenziando un preciso sentimento della natura, i suoi quadri sono popolati di personaggi, e la presenza umana è sempre rappresentata in riferimento agli oggetti d’uso, agli strumenti del lavoro, al vivere quotidiano, in una sorta di pacata e arcaicizzante composizione.

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Nel 1928 espone a Palazzo Doria insieme a Scipione, a Mafai e a Di Cocco (si fanno più intensi i suoi rapporti con la cosiddetta «Scuola di Via Cavour») e insieme si presentano alla prima Quadriennale (1931), mentre nella seconda Quadriennale (1935) avrà una propria, importante sala. In questa occasione dichiara: «Se dovessi dir tutto, mi piacerebbe dire che la pittura risolve in contemplazione l’architettura, la forma e la materia», ricorda inoltre le sue origini contadine, ed il suo essere un autodidatta. In effetti, le sue composizioni hanno una stilizzazione ed un equilibrio attentamente studiato, dove la spazialità, i gesti, la natura stessa sono rappresentati in una ieratica fissità, quasi un primitivismo pre-giottesco. Apprezzato dalla critica, in particolare da Libero De Libero e da Roberto Longhi, che lo definirà «il più fervido ideatore» tra i pittori «irrealisti», Ceracchini espone in molte mostre personali e collettive. Pur all’interno dell’intenso clima culturale che si viveva a Roma in quegli anni, ha una propria netta individualità nella sua pittura antinaturalistica, che si poneva il problema della visione come contemplazione e che presto sarà indirizzata, dagli anni Quaranta, verso l’arte sacra. Più naturali i disegni, come questi di proprietà della Fondazione Camillo Caetani, dove la nitida stesura del tratto, le ombreggiature, la composizione stessa, anche per la assenza dei colori compatti, solidi dei dipinti, sembrano voler esprimere una suggestione più diretta, più semplice e più umana. Nel disegno principale, datato 1929, le figure sono disposte in atteggiamenti tipici dei suoi dipinti più noti, in cui ricorrono i temi della ‘conversazione’ e dell’‘incontro’. Si tratta di un disegno ben definito, forse autonomo, in cui compaiono elementi frequenti nei suoi quadri: la donna con la brocca o il paniere sulla testa, la bambina, l’idillio, il colloquio. Il disegno che appare sul retro, non firmato e non datato, è invece certamente uno studio per il dipinto Abbeveratoio,

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del 1928, con le due figure di spalle rivolte verso la campagna, l’angolo del paese a sinistra, la donna alla fontana, il contadino con le mucche. Una parte del disegno è coperta, ma è chiaramente un primo abbozzo del dipinto. Credo non sia difficile intuire come il disegno sia entrato a far parte della collezione di Marguerite Caetani, anche se non abbiamo testimonianze dirette. La collaborazione di Cardarelli, amico dell’artista, alla rivista «Commerce», la notorietà raggiunta da Ceracchini soprattutto con la sala dedicatagli nella seconda Quadriennale, il suo rapporto con Scipione e Mafai, la presenza significativa dell’artista nell’ambiente romano sono tutti elementi che lo ricollegano all’interesse della principessa per l’arte e soprattutto per i giovani artisti emergenti. Claudia Terenzi

Il restauro di sei xilografie di Gordon Craig Nell’ambito del vasto progetto di recupero e valorizzazione del proprio patrimonio artistico, la Fondazione Camillo Caetani ha proceduto al recupero e al restauro di un gruppo del tutto inedito di sei xilografie di Gordon Craig, stampate in circa trenta copie e inviate in omaggio alla principessa di Bassiano, nel marzo 1919. Come i precedenti, anche questo blocco di restauro è stato affidato alle sapienti cure della dott.ssa Karmen Corak, responsabile della conservazione e del restauro della Collezione grafica e di fotografie della Galleria nazionale di Arte Moderna di Roma. «Il soggiorno a Roma – come ha scritto Pedullà – favorisce i contatti fra Craig e l’aristocrazia romana. Molte nobildonne ne subiscono il fascino sostenendolo anche con abbonamenti alle sue riviste “The Marrionnet” e poi alla seconda serie di “The Mask”: pensiamo alla contessa Adelaide Lovatelli che offre un abbonamento a Lyda Borelli, la grande attrice del cinema muto, ma anche alla principessa Margherita Bassiano che regala un abbonamento al pittore futurista Giacomo Balla. Il legame fra Craig e la Caetani è stato molto intenso (come dimostra l’ampio carteggio fra i due che va dal 1917 al 1925) con molti momenti di reciproco sostegno e di esaltazione. In realtà Craig non riuscirà a concretizzare molto a Roma (la sua prima mostra nella Capitale sarà nel 1925). In realtà il periodo “romano” di Craig – che va, in maniera non continuativa, dal 1917 al 1919 – sarà un periodo di grande precariato economico e psicologico, caratterizzato da momenti di esaltazione e da grandi cadute depressive per le mancate realizzazioni dei progetti. Dopo la fine dell’intenso periodo fiorentino – la sua ‘grande stagione’ – la sua vita diventa un girovagare tra una città e l’altra dell’Europa cercando sostegni pratici e riconoscimenti artistici. Assistiamo allora a un suo lento ma progressivo ripiegarsi in se stesso: “L’artista deve conquistare il mondo oggi – scrive all’amica Principessa nel gennaio 1920 – […] sebbene il mondo, il nostro mondo, sia oggi perduto. Egli deve trovare il suo giusto posto. Il palazzo dei suoi sogni è il suo solo giusto posto per lui ora”» (G. Pedullà, Edward Gordon Craig a Roma, in Marguerite Caetani e gli artisti per il teatro. Edward Gordon Craig, Fortunato Depero, Alberto Savinio, catalogo della mostra svoltasi a Roma, Palazzo Caetani, 24 ottobre - 24 novembre 2013). Palazzo Caetani  2 (2014) 

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Restauri di antichità, dipinti, arredi Oltre le opere di cui si pubblica la scheda in questa sezione, nell’anno 2013-2014 sono stati sottoposti a restauro: Gaspare Landi (1756-1830), firmato in basso al centro, Ritratto di Erminia Caetani, moglie di Francesco Amati, olio su tela, cm 100×73; Pittore del XVII secolo, Ritratto del maresciallo Acquaviva, olio su tela, cm 50×80. Per quanto riguarda l’arredo sono stati sottoposti a interventi di integrazione e consolidamento: due tavoli da parete, due sgabelloni e un grande candeliere del XVIII secolo.

Della collezione di antichità sono stati recuperati e restaurati: un ritratto maschile, due ritratti femminili e una statuetta i cui frammenti sono stati ricomposti nel corso dell’intervento. I supporti per l’esposizione sono stati commissionati agli architetti Gent Islami e Federico Porcari dello Studio Artes s.r.l. Sui nuovi risultati dei restauri delle opere qui elencate e di quelle in corso di restauro si darà più ampia notizia nel prossimo numero del «Bollettino» della Fondazione Camillo Caetani.

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Le collane Archivio Caetani

a cura di Caterina Fiorani

Collana concepita per accogliere in una serie organica le pubblicazioni sui diversi fondi dell’intero corpus documentario della famiglia.

Volumi pubblicati 1. C. Fiorani, Il fondo economico dei Caetani duchi di Sermoneta, 2010 2. G. Bassani, M. Caetani, «Sarà un numero bellissimo». Carteggio 1948-1959, a cura di M. Tortora, 2011 3. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di Sophie Levie, I. Briefwechsel mit deutschsprachigen Autoren, hrsg. von K. Bohnenkamp und S. Levie, 2012 4. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di Sophie Levie, II. G. Ungaretti, Lettere a M. Caetani, a cura di S. Levie e M. Tortora, 2012 Sono in preparazione: La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di S. Levie, III. Letters from D.S. Mirsky and Helen Iswolsky to M. Caetani, a cura di S. Levie e G. Smith La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di S. Levie, IV. La corrispondenza dei redattori francesi di «Commerce», a cura di di S. Levie e È. Rabaté La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di Sophie Levie, V. La corrispondenza degli autori francesi di «Commerce», a cura di di S. Levie e L. Brisset

Arte, archeologia e storia urbana a cura di Giovanna Sapori

Ideata per accogliere studi su temi in diverse forme e misure connessi alla famiglia Caetani.

Volumi pubblicati La pittura del Quattrocento nei feudi Caetani, a cura di A. Cavallaro – S. Petrocchi, 2013 È in preparazione: G. Ioele, Giovan Battista Della Porta scultore Palazzo Caetani  2 (2014) 

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Atti e rendiconti

a cura di Caterina Fiorani

Raccoglie gli atti dei convegni che si sono svolti presso il palazzo Caetani.

Volumi pubblicati 1. 2.

Luigi Fiorani, storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta. A un anno dalla morte, a cura di C. Fiorani e D. Rocciolo, 2013 Giorgio Bassani, critico, redattore, editore, a cura di M. Tortora, 2012

Ăˆ in preparazione: Il ’900 di Marguerite Caetani, a cura di C. Fiorani e M. Tortora

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Schede di libri Il Palazzo Caetani di Fondi. Cantiere di studi, a cura di G. Pesiri e P.F. Pistilli, Coordinamento CREIA Regione Lazio, Fondi 2013 Il volume di recente pubblicazione (ottobre 2013) focalizza l’attenzione sul Palazzo Caetani di Fondi che, grazie all’acquisizione da parte della Regione Lazio e agli interventi di recupero promossi dall’ente regionale Parco dei Monti Aurunci – ancora in corso – è stato recentemente restituito, almeno parzialmente, alla pubblica fruizione. Il volume opportunamente intitolato Il Palazzo Caetani di Fondi. Cantiere di studi, è il risultato di un complesso lavoro conoscitivo nato dall’esigenza di affrontare in modo corretto i problemi legati al restauro dell’antica dimora dei conti di Fondi; dunque, presupposto necessario alle scelte di restauro e alle politiche di valorizzazione del patrimonio culturale oggetto dell’intervento di recupero. I saggi affrontano un percorso diacronico dall’età romana fino al primo quarantennio dell’Ottocento. Quelli di argomento storico e architettonico (Di Fazio, Pesiri, Pistilli, Rossetti, Cuccaro) esemplificano le fasi nodali dello sviluppo del complesso architettonico formato dalla rocca, dal mastio e dal palazzo da quando i primi conti normanni di Fondi eressero il mastio (XII secolo) fino al massiccio intervento di ristrutturazione compiuto alla fine del Quattrocento dal conte Onorato II Gaetani d’Aragona. Si aggiungono le trattazioni (Betti e Savelli) dedicate agli elementi decorativi della residenza dei Caetani: gli ornamenti lapidei rinascimentali di porte e finestre; i pochi, ma significativi, lacerti pittorici, tra cui gli splendidi dipinti murali della riscoperta camera picta risalenti al principio del Trecento; le mensole lignee scolpite dei soffitti riemerse dai depositi del Museo di Roma e della Fondazione Roffredo Caetani, nonché da collezioni private. Nel volume è dato spazio anche agli aspetti del recupero grazie a contributi (Venditti, Gaggi, Bernardini) relativi all’analisi delle murature emerse nella loggia trecentesca su piazza Duomo e agli interventi di restauro mirati a fermare il degrado di alcuni elementi lapidei. (Federica Savelli)

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Convegni e mostre La mostra «Marguerite Caetani e gli artisti per il teatro» (Palazzo Caetani, Roma, 24 ottobre-24 dicembre 2013) Il 24 e 25 ottobre 2013, in occasione del Convegno internazionale dedicato a Marguerite Caetani, è stata inaugurata, accanto alla nuova biblioteca, una piccola sala progettata per esposizioni temporanee di opere d’arte, oggetti, libri e documenti d’archivio che fanno parte del prezioso patrimonio artistico e culturale della Fondazione Camillo Caetani. Nella prima mostra organizzata, «Marguerite Caetani e gli artisti per il teatro», si è voluto raccontare il particolare interesse della principessa di Bassiano per il teatro e il rapporto di amicizia che la legò ad alcuni artisti della prima metà del Novecento, protagonisti di importanti eventi teatrali che videro in modo nuovo le forme d’arte legate allo spettacolo. È stato pubblicato un catalogo che illustra e commenta la mostra, con scritti di Paola Bonani, Gianfranco Pedullà e Claudia Terenzi. Di Edward Gordon Craig, Fortunato Depero e Alberto Savinio, sono state esposte opere pittoriche, disegni, stampe, lettere e libri: Libri Edward Gordon Craig, Catalogue of an exhibition and models for Hamlet, Manchester, Art Gallery, 1912 Edward Gordon Craig, Towards a new theatre, London, J. G. Dent and sons limited, 1913 Edward Gordon Craig, Woodcuts and some words, London, J. G. Dent and sons limited, 1924 Alberto Savinio, Capitano Ulisse, dramma moderno in tre atti, Roma, Novissima, 1934 40

Tommaso Campanella, La città del sole, con un’introduzione di Alberto Savinio, Roma, Colombo editore, 1944 Alberto Savinio, Introduction a une vie de Mercure, Paris, Fontaine, 1945 Lettere autografe Edward Gordon Craig a Marguerite Caetani Rapallo, 25 aprile 1918, «Out off all my few friends, Princess, you are one of those…» Rapallo, 8 febbraio 1919, «My Princess I ought to have had more confidence…» Rapallo, 14 febbraio 1919, «My dear Princess, I forgot to tell you that I send you a black print…» Rapallo, 22 marzo 1919, «My Princess, I sent you today the 5 black figures…» Maggio 1919(?), «Oh, my Princess, what an angelic letter…» Giugno 1919(?), «Dear princess, but you are unreasonable…» Alberto Savinio a Marguerite Caetani Parigi, 20 maggio 1927, «Très chère Princesse, je vous envoie par ce même courrier…» Parigi, 28 novembre 1928(?), «Très chère Princesse, je vous remercie beaucoup…» Giuseppe Ungaretti a Marguerite Caetani Roma, 5 maggio 1926 «La sua lettera, cara Principessa, mi ha profondamente commosso…» Opere Edward Gordon Craig 6 xilografie su carta giapponese Ragazza danzante, 1914, 20×25 cm (inv. 249) Fantasma in fiamme, (1908), 37×25 cm (inv. 250) Ifigenia, (1908), 40×26,5 cm (inv. 252) Figura femminile, 1909, 40×26,5 cm (inv. 253)


Senza titolo, (1914), 20×25 cm (inv. 1795) Senza titolo, (1917?), 37×25 cm (inv. 251) Alberto Savinio 5 disegni, penna e acquarello su a matita nera, 32,5×50 cm (inv. 142, 144, 143, 141, 140) Fortunato Depero Prospettiva dinamica figurata, 1917, acquarello su carta, 47×31 cm (inv. 1682) Ballerini, 1917, collage su carta, 41×45 cm (inv. 1683) N. 7 – Dama di corte, 1917, collage su carta, 60,3×44 cm (inv. 1681) R ita Cassano Il ’900 di Marguerite Caetani (Roma, 24 e 25 ottobre 2013) È un dato acquisito, almeno in campo letterario, che il Novecento sia il secolo del modernismo, secondo un’accezione che deriva sì dalla critica anglosassone, ma che ben si applica almeno a tutta l’Europa Occidentale Palazzo Caetani  2 (2014) 

e al Nord America. Esiste senz’altro un high modernism (o modernismo storico) risalente agli anni Venti-Trenta e un Modernismo meno strutturato che permea tutto il secolo. Ebbene, limitandoci ancora al campo letterario, Marguerite Caetani con «Commerce» e con «Botteghe Oscure» costituisce lo specimen più raffinato ma al contempo più esemplare del Novecento modernista: dove l’aggettivo vuole significare quel problematico rapporto con la modernità, che rifiuta ogni forma di arretratezza e di scelta di retroguardia, e che però non si risolve in un azzeramento totale della tradizione, come invece sostenuto da tante avanguardie. Insomma, come hanno ben dimostrato le intelligenti relazioni di Jacqueline Risset, Paolo Tamassia, Laura Santone, Ève Rabaté, Sophie Levie e Laurence Brisset (tutte dedicate all’aspetto letterario) tutto il miglior Novecento passa attraverso le mani e le pagine di Marguerite Caetani (e anche la biblioteca della Principessa, oggetto dell’intervento di Maria Cristina Misiti, dimostra il dominio assoluto della letteratura del Novecento europeo e non solo). 41


Ma un discorso simile si è sviluppato anche per quanto concerne il rapporto che legava la Caetani all’arte: le relazioni di Bonani, di Van den Braber, di Pleynet (e in maniera obliqua quella di Lauro Marchetti dedicata al giardinaggio) hanno evidenziato un atteggiamento sempre sperimentale e al passo con i tempi da parte di Marguerite. E del resto anche la sua vita sociale, sempre collocata nei centri promotori di pensiero – come hanno evidenziato Desideria Pasolini (in un appassionato ricordo), Marella Caracciolo Chia e Lorenzo Salvagni – offre ulteriore conferma della modernità di Marguerite Caetani. Una modernità che la Fondazione ha sentito l’esigenza di recuperare, al fine di ritrovarne un modello non solo valido per il passato ma un esempio da rilanciare nel presente e nel futuro. E anche per questa ragione, sempre la Fondazione ha deciso di pubblicare gli atti, la cui stampa è prevista nel corso del 2015. Il palazzo a Roma nel Cinquecento: architettura e decorazione, Roma, 14 gennaio 2014 Da alcuni anni è in corso una ricerca su Il palazzo a Roma nel Cinquecento. Architettura e decorazione coordinata da Claudia Conforti (Università di Roma Tor Vergata) e da Giovanna Sapori (Università degli Studi Roma Tre) alla quale partecipano professori e giovani ricercatori anche di altre università. Dopo il convegno tenutosi nel 2010 (Roma, Università Roma Tre – Museo Archeologico Romano di Palazzo Massimo), la giornata di studi a Palazzo Caetani ha fatto il punto sullo stato dei lavori, compreso un primo resoconto sul rilievo in corso di Palazzo Caetani, oggetto di uno specifico settore dedicato a nuovi studi sull’edificio. Oltre i componenti del gruppo di ricerca sono intervenuti Luitpold Frommel (Direttore Emerito della Biblioteca Hertziana, Roma), Sabine Frommel (Paris, Ecoles des Hautes Etudes) e Manolo Guerci (Kent School of 42

Architecture). La pubblicazione in un numero speciale del «Bollettino d’arte» dei risultati della ricerca, arricchita dei loro contributi, è prevista per il 2015. «Botteghe Oscure» oltre Manica (Manchester, 21 febbraio 2014) Si è tenuta a Manchester, dal 16 al 27 giugno, la mostra Scripting the Globe. Italian Literary Journals in the world: 1945-1962. Numeri delle riviste dell’epoca, manoscritti, lettere e altri cimeli sono stati esposti all’interno di un più vasto progetto, promosso dalle Università di Reading e appunto di Manchester, e realizzato da un gruppo di ricerca coordinato da Francesca Billiani e Daniela La Penna. Tra le riviste prese in esame, un posto principe è stato occupato da «Botteghe Oscure», rivista eletta a più alta espressione di quella corrente che vedeva nell’impegno letterario, piuttosto che in quello politico-sociale, il campo di prova dell’intellettuale umanista. Utilizzando le categorie sociologiche di Bourdieu, il gruppo di studio di Billiani e La Penna si propone di ridisegnare la mappa concettuale delle riviste del secondo dopoguerra, e di rivedere anche alcune categorie, ormai date talmente per scontate da essere luoghi comuni. Per questa ragione, oltre la mostra, sono stati organizzati anche due workshop: in quello di Reading, del 27 febbraio, si è discusso più specificamente di «Botteghe Oscure» (relatore Massimiliano Tortora), finendo per accordare alla rivista quella posizione che appunto le spetta perché a suo tempo conquistata; posizione che anche la recente mostra di Manchester ha ribadito. Caietana. Nuove ricerche sulla famiglia Caetani e le arti (Roma, 29 maggio 2014) È dal 2003 che la Fondazione Camillo Caetani provvede all’erogazione di una borsa di


studio triennale, a favore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Roma Tre, nell’ambito del Dottorato di ricerca in «Storia e Conservazione dell’Oggetto d’arte e di architettura». A poco più di dieci anni dall’introduzione di questa fondamentale collaborazione, i beneficiari della borsa di studio si sono incontrati per un’occasione di comunicazione e confronto sulle proprie ricerche, che sono tutte gravitanti attorno a temi storici, archeologici e artistici pertinenti la famiglia Caetani. A sostenere e ampliare ulteriormente il punto di vista della giornata di studi sono stati invitati alcuni specialisti delle varie materie trattate, idealmente coordinati dalla prof. Sapori, che, con la loro esperienza e conoscenza, hanno consentito di approfondire e aprire a nuovi stimoli e suggerimenti gli studi in corso. Le ricerche presentate sono state complessivamente sette, dal respiro ampio e dal taglio multidisciplinare, tipico del dottorato di appartenenza. Palazzo Caetani  2 (2014) 

La giornata si è aperta con un intervento di Giulio Del Buono, inteso a meglio definire le origini della casata Caetani, il cui rapporto con papa Gelasio II è il frutto di una consapevole invenzione posteriore in chiave auto-celebrativa. Si sono poi susseguite tre studiose attente a definire gli spazi urbani e extraurbani entro cui ha gravitato la famiglia nel corso della sua esistenza. Giulia Facchin ha introdotto questo nucleo di interventi, narrando le vicende materiali e socio-economiche della via delle Botteghe Oscure tra Rinascimento e Controriforma, e degli isolati residenziali, al tempo di proprietà della famiglia Mattei, dove nel Settecento si sarebbero trasferiti i Caetani. Laura Gori ha quindi idealmente proseguito la storia, spostando il punto di vista dall’area dell’isola Mattei ai luoghi dell’effettivo insediamento Mattei nel Cinquecento, facendo emergere quanto rapida l’ascesa politica e sociale di questa famiglia sia stata. Federica Savelli ha, infine, portato l’attenzione fuori Roma 43


ai possedimenti di Fondi, al palazzo e alla sua decorazione pittorica di inizi Trecento. Il pomeriggio ha visto una maggiore attenzione a temi storico-artistici. Giovanna Ioele, con un’attenta osservazione e disamina del busto di Onorato IV scolpito da Giovanni Battista della Porta, si è focalizzata sulla scultura della seconda metà del Cinquecento e sull’articolato rapporto tra la tarda Maniera e la Maniera internazionale a Roma. L’attenzione si è quindi rivolta al Settecento: raccontando il rapporto tra Onorato VI Caetani e Anton Raphael Mengs, Francesco Leonelli ha affrontato il tema della concezione sull’Arte e, nello specifico,

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sull’Antico. La giornata si è conclusa con Alessandro Agresti che ha ripercorso e rivissuto l’attività di Antonio Cavallucci al quale fu commissionata, nel momento dell’arrivo dei Caetani nel palazzo di via delle Botteghe Oscure, la sua ridecorazione, in stretta assonanza con gli interessi intellettuali del committente. Su gentile invito dell’ambasciatore del Brasile, inoltre, si è potuta ammirare dal vivo la decorazione pittorica eseguita da Antonio Cavallucci per Francesco V grazie a una visita del piano nobile del palazzo Caetani. Giulia Facchin


 Attività in collaborazione Il gruppo scultoreo del Nilo Caetani alla mostra Cleopatra. Roma e l’incantesimo dell’Egitto (Roma, Chiostro del Bramante, 12 ottobre 2013-2 febbraio 2014) Il gruppo scultoreo Caetani è una copia romana da un originale ellenistico (marmo bianco, cm 0,60-0,44) ed è tra le più interessanti derivazioni della colossale statua nilotica rinvenuta nel 1513 nell’Iseo del Campo Marzio e conservata nel Braccio Nuovo dei Musei Vaticani, a sua volta ispirata al perduto gruppo nilotico in lapis basanites che l’imperatore Vespasiano dedicò al dio nel Tempio della Pace a Roma. Anche per questa ragione è stato esposto nella mostra allestita con opere provenienti da grandi musei italiani e stranieri (Museo Egizio di Torino, Musei Vaticani, Musei Capitolini, Museo

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Nazionale Romano, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Museo Egizio di Firenze, British Museum, Musée du Louvre, Kunsthistorisches Museum di Vienna). L’opera entrò a far parte delle collezioni Caetani di Sermoneta alla fine del Settecento, quando l’abate Onorato Caetani (17421797) ebbe modo di acquistarla dallo scultore e restauratore Bartolomeo Cavaceppi (1716-1799). Successivamente l’opera viene descritta nell’inventario del 1807 dei beni di Filippo Caetani, conservati nel Palazzo alle Botteghe Oscure, come «un gruppo di marmo rappresentante il Nilo con varj Putti, ed animali con picciolo plinto di marmo sotto riportato e copertina di corame». Il gruppo Caetani presenta la divinità fluviale come un vigoroso uomo di età adulta, semidisteso sul fianco sinistro, con

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il volto incorniciato da una fluente barba e da una folta capigliatura raccolta sul capo da una ghirlanda. Tra i tradizionali attributi che identificano il fiume egiziano – le cui prime rappresentazioni risalgono all’Egitto ellenistico del III secolo a. C. – è possibile riconoscere i cubiti, i putti che simboleggiano le fertili piene del fiume, assieme alla Sfinge e alla cornucopia, entrambi elementi essenziali della rappresentazione allegorica del fiume. Sebbene l’opera abbia subito numerosi interventi di restauro in epoca moderna – in parte attribuibili probabilmente proprio alla mano del Cavaceppi – più di altre repliche mostra un’attenta adesione alla tradizionale codificazione iconografica del fiume, che si diffuse nel mondo romano a partire dall’età dei Flavi. Laura Gori Presentazione del volume degli atti del convegno Luigi Fiorani, storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta Il 3 dicembre 2013 presso l’Istituto Nazionale di Studi Romani si è svolta la presentazione del volume degli Atti del convegno Luigi Fiorani, storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta. I relatori, Marina Formica, Alberto Monticone, Paolo Prodi, Paolo Siniscalco, e il moderatore Domenico Rocciolo, hanno ripercorso i rilevanti aspetti innovativi dell’opera storiografica compiuta dallo studioso scomparso, già ampiamente messi in luce durante le giornate del convegno.

vato hanno schedato e inventariato il fondo dell’intellettuale americana Georgina Masson, lasciato per volontà testamentaria alla Fondazione Camillo Caetani nel 1984. Gli studenti, sotto la supervisione del Direttore dell’Archivio, hanno dapprima svolto un’operazione di schedatura e condizionatura delle carte sciolte, poi hanno redatto l’inventario ad oggi liberamente consultabile in rete nel sito della Fondazione. Per l’intero lavoro è stato utilizzato il software «Archimista», approvato dal Sistema Archivistico Nazionale; software che permette di creare informazioni facilmente consultabili e soprattutto interoperabili con altre banche dati. Il Direttore dell’Archivio, data l’importanza del detto fondo, ha anche avviato la pratica di dichiarazione di notevole interesse storico presso la Soprintendenza Archivistica per il Lazio. Il fondo documentario di Georgina Masson appena riordinato si ricongiunge idealmente con il fondo fotografico della stessa, conservato presso l’Accademia Americana. Si è anche conclusa la schedatura, la catalogazione e l’inventariazione della documentazione proveniente dal ramo polacco, acquisito dal matrimonio tra Michelangelo II e Calista Rzewuski nel 1840. Si tratta di corrispondenza, appunti e diari personali, fotografie di territori polacchi, per un arco cronologico dalla metà del Settecento alla metà del secolo seguente. Anche questo inventario sarà a disposizione degli studiosi tramite il sito della Fondazione Camillo Caetani. Caterina Fiorani

Attività in Archivio Nell’anno in corso hanno svolto la loro attività di tirocinio quattro studenti del corso di «Archivistica speciale» dell’Università di Roma “Sapienza”. Luca Alessi, Mariajesus Di Bartolo, Marco Lo Cascio, Agostina Tro46

Il palazzo Vecchio del Marchese Mattei, oggi Mattei-Caetani: osservazioni in margine a una ricerca in corso «È parimenti opera di Nanni la casa de’ Mattei, et altre molte fabriche che sono state fatte


e si fanno in Roma tuttavia» (Vasari, 1568). Il riferimento vasariano è decisamente generico: la casa dei Mattei nel Rione Sant’Angelo, intorno alla metà del XVI secolo, cioè quando Vasari scrive, in realtà non è una, ma consiste in un aggregato di palazzi, in parte all’epoca ancora in costruzione. Essi costituiscono un sistema edilizio in corso di perfezionamento, che formalizza, con morfologie spaziali e tipi abitativi diversi, un intero grande isolato, delimitato da via delle Botteghe Oscure a nord, da via dei Funari e piazza Mattei a sud, da piazza Paganica a ovest e a est dal complesso religioso di Santa Caterina dei Funari (oggi sostituito dal museo della Crypta Balbi). All’epoca in cui Vasari scrive sono ben due i palazzi Mattei in costruzione: quello di Ludovico Mattei, duca di Paganica, sullo slargo omonimo, e quello di Alessandro, marchese di Rocca Sinibalda, prospettante su via delle Botteghe Oscure, di fronte alla chiesa di Santa Lucia, poi detta ‘de’ Ginnasi’ dall’attiguo palazzo della famiglia omonima. Ritengo che l’annotazione vasariana possa con buona ragione riferirsi a quest’ultimo palazzo, che sarà acquistato dai Caetani di Sermoneta nel penultimo decennio del Settecento, anche se la bibliografia più recente tende ad attribuire l’asserzione vasariana al palazzo Mattei di Paganica. La mia convinzione si fonda, oltre che su caratteristiche costruttive, tipologiche e stilistiche riconducibili alla personalità artistica del controverso scultore e architetto fiorentino Giovanni di Bartolomeo Lippi, noto come Nanni di Baccio Bigio (di cui Vasari nel passo citato), esponente di spicco della ‘setta sangallesca’, ostile all’avvento di Michelangelo nel cantiere di San Pietro, anche su una trascurata annotazione di Gaspare Celio, pur evidenziata da Golzio nel 1971. Nella Memoria delli nomi delli artefici delle pitture che sono in alcune chiese, facciate e palazzi di Roma del 1620, pubblicata a Napoli nel 1638, il pittore romano alle pp.134-135 registra che l’architettura del «Palazzo Vecchio del Marchese Matthei» dicono essere «delli Sangalli». L’apparente Palazzo Caetani  2 (2014) 

genericità dell’attribuzione in realtà si accorda con l’autografia del più sangallesco degli artisti fiorentini a Roma: cioè proprio di quel Nanni di Baccio Bigio, al quale lo riferisce anche Vasari, che lo conosceva bene e che ha trascorso a Roma molti anni, alcuni dei quali in contemporanea con la permanenza romana di Nanni. Il palazzo Mattei-Caetani, nonostante le stratificazioni che il tempo vi ha sedimentato, conserva un riconoscibile impianto sangallesco, di radice squisitamente fiorentina, germinato direttamente dal prototipo di palazzo Medici (1444) di Michelozzo e dei suoi celebri epigoni: da palazzo Strozzi a palazzo Gondi, fino alle prove romane di Antonio Cordini da Sangallo, ovvero Antonio il Giovane, culminanti in palazzo Farnese, vertice e referente antonomastico di una fortunatissima tradizione secolare del palazzo nobiliare all’italiana. Tuttavia all’osservazione minuziosa e approfondita, potenziata dal paziente ragguaglio autoptico che accompagna il rilievo misurato manualmente, il nostro palazzo rivela ben più di una semplice filigrana toscana. Si guardi in primo luogo al singolarissimo porticato che perimetra l’atrio quadrangolare. La sua copertura non è costituita dalla consueta sequenza di volte a crociera, costruibili una alla volta, in sequenza cronologica, quindi con rischi di crollo circoscritti a un singolo modulo al momento del disarmo delle centine, ma da una volta a botte continua, acrobaticamente raccordata agli angoli. La sezione e la curvatura della volta a botte si ripetono identiche sui lati ovest, nord ed est, mentre mutano sensibilmente nel portico meridionale, in origine supporto di un semplice passaggio, aperto verso il futuro palazzo di Asdrubale Mattei, ideato da Maderno. La volta a botte continua, che imprime un’ inderogabile impronta all’antica al cortile, deve essere costruita simultaneamente per tutta la lunghezza di ogni singolo lato, con un cospicuo impegno di centine, un’impeccabile organizzazione di cantiere e il rischio, al disarmo, di un crollo che compromette 47


tutto il lato del cortile e non un solo modulo voltato! Si tratta dunque di una scelta ardita e sofisticata, impegnativa quanto singolare, che implica un’esplicita allusione all’arte edificatoria classica e che ha pochi precedenti nell’architettura palazziale. Tra essi spicca il palazzetto che Bartolomeo Scala, funzionario di casa Medici, auspice Lorenzo il Magnifico, si fece costruire da Giuliano da Sangallo (zio del Cordini) in borgo Pinti a Firenze, a pochi passi dalla dimora degli stessi Sangallo. Anche la maggiore ampiezza del portico del lato meridionale, quello che sorregge il passaggio pensile tra le ali est e ovest e prospetta su uno spazio sussidiario, corredato di verzura, ha il suo precedente proprio nel rammentato prototipo di palazzo Medici, oltre che nella maestosa variante di palazzo Farnese, a cui il palazzo Mattei-Caetani è per più aspetti debitore. Oltre infatti all’originaria trasparenza del lato meridionale, si rifà a palazzo Farnese anche l’ingegnoso dispositivo di illuminazione naturale della scala, incentrato su un cavedio-giardino pensile posto all’altezza del pianerottolo; dal palazzo di Paolo III è desunta presumibilmente anche la tessitura geometrica in bicromia dei laterizi delle specchiature sottostanti le

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finestre del piano nobile. La matrice sangallesca, ancora una volta di Antonio il Giovane, pervade anche le finiture lapidee del palazzo: basti riflettere ai delicatissimi (seppur di discontinua qualità) rilievi della cornice a cancorrente baccellato, il cui disegno viene riproposto, dilatato, nelle elegantissime doppie volute con baccelli a tre racemi, che rilegano le finestre del piano terra alle bocche di lupo delle cantine. Questo partito sintattico, che risolve in un unico modellato plastico le luci dei due piani bassi è, a sua volta, geniale invenzione sangallesca, ampiamente sperimentata a Roma da Antonio, a cominciare da palazzo Baldassini. Al medesimo palazzo rinvia anche l’originale vestibolo gradonato di palazzo Mattei-Caetani, sostituito fin dal Seicento dall’attuale rampa inclinata, che consente l’accesso carrabile. Le scorniciature plastiche tradiscono, oltre che la formazione di scultore di Nanni, anche la sua dipendenza artistica dalla potente e variegata produzione di edilizia civile di Antonio il Giovane. Queste brevi note solo per introdurre alcuni temi critici ancora in attesa di una piena e soddisfacente riflessione. Claudia Conforti


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