Domus Caietana, Il Cinquecento - Parte I

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DOMVS CAIETANA VO LUME SECONDO

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EDIZIONE DI 425 COPIE DI CUI 25 NUMERATE.E,.F'IRMATE

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146 INCISIONI COEVE E DISEGNI DELL'AUTORE

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RJ*SERVATA

IN TUTTI I PAESI @MPRESI I.A SVF4A E COPYRIGT{T BY GILASTO CAETANI.

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DOCUMENTI DELL'ARCHIVIO CAETANI

GELASIO CAETANI

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CAIETA'NI A STORIA DOCUMENTATA DELLA FAMIGLIA CAETANI

VOLUME SECONDO

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IL CINQUECENTO

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Impresa

di Camillo

Captrolo

Caetani.

I.

LA RESTAURAZIONE. (1503-l5le)

delle vicende di casa medio evo; nel secondo, che si apre con questa pagina,

L primo volume della Domus contiene la narrazione

Caetani durante il verranno ricordate quelle del Cinquecento. Nello sfogliare le vecchie carte, ingiallite e lacere, in preparazione a questo studio, ho avuto la sensazione che, in un breve periodo d'anni, passavo repentinamente da un mondo ad un altro del tutto differente: svaniscono le maschie e dure frgure dei condottieri e quelle delle loro donne, capaci di reggere virilmente lo stato e di difendere con le armi la frgliolanza; all'austera vita nelle merlate rocche di piccoli paesi, sparsi nei monti, si sostituisce gradualmente quella fastosa presso le corti; ai preziosi ma sobri indumenti, prettamente italiani, subentra la piìr pomPosa foggia spagnola. Nel rnedio evo, i signori di castelli e di terre, specialmente nel Patrimonio di S. Pietro, non curandosi di rivendicare I'avito titolo o di conte o di marchese, si accontentavano, anzi andavano fieri dell'appel-

lativo di u Mogníficus Domínus u e di " Signore lllustrissimo ,, Iasciando che i parenti del sovrano ed i nobili del Regno o di altri stati italiani si fregiassero di quelli di duca o di principe. Coll'accentuarsi dell'influenza spagnola, comincia I'ambizione per altisonanti e molteplici titoli, per vane onorifrcenze; e vedremo aspri litigi dei baroni per la prerogativa di u Eccellenza ,' e persino dei giovani per la precedenza nell'aule della scuola. Tutto ciò si rispecchia nelle antiche carte: il duro, anche spropositato stile delle lettere, nel breve corso di cinquanta anni, acquista una forma larga, forbita € cortigiana, in cui lunghi periodi, quando non la maggior parte dell'epistola, sono dedicati ad esprimere Domut,

ll, l.


Lib. I, Cap. I.

LA RESTAURAZIONE

umilmente la propria incondizionata seruífù verso il destinatario. E giacché la mano, tanto nel gesto, guanto nella grafra e nell'arte, manifesta inconsciamente lo stato d'animo e il carattere dell'autore, anche la scrittura, coi primi anni del Cinquecento, perde quella forma severa, staccata, quasi ispida (genericamente chiamata gotica), che in vari secoii ben poco aveva cambiato, per acquistarne una del tutto diversa, tondeggiante, inclinata in avanti, vergata piìr coll'avarnblaccio

che con la mano e meno leggibile. Indizio del mutato spirito della gente è il fatto che all'uso delle concise abbreviazioni, economiche di spazio e di tempo, si sostituisce I'altro degli inutili svolazzi.

A

vieppir marcare la difierenza tra le epoche viene I'invenzione dell'inchiostro fatto con impiego di acido solforico, che carbonizza la carta e, dopo quattro secoli, ancora continua la sua azione corroditrice. Si è convenuto che la scoperta dell'America marchi, come un punto preciso, la divisione tra I'età di mezzo e I'evo moderno. Nella natura e nella storia non vi sono punti, ma bensì periodi di transizione; con tutto ciò i primi venti anni del Cinquecento segnano un distacco nettissimo tra le due epoche storiche. Politicamente vediamo il tramonto delle istituzioni feudali ed il sorgere delle monarchie assolute; la formazione delle grandi unità nazionali. La scoperta della stampa, il perfezionamento delle armi da fuoco, la degenerazione nella Chiesa che condusse alla Riforma, il subitaneo ed enorme aumento dell'oro in circolazione, dovuto ai tesori scoperti nell'America, assieme ad altri molteplici fattori, produssero un profondo e rapidissimo mutamento nello stato economico, morale, religioso e politico dell'Europa. Ma forse sarebbe piùr giusto dire che non furono Ie scoperte e gli eventi che trasformarono la psiche degli uomini, ma che un cambiamento di essa li condusse ad invenzioni, a idee e'ad

attività nuove che mutarono la faccia del mondo ed il corso degli della storia. Non è questo il luogo d'indagare le cause di tanta e sì ripentina rivoluzione : ho voluto fare queste osservazioni solo per indicare che col secondo volume della Domus si alza il sipario su un atto della cronistoria familiare interamente diverso dal primo ; la stessa narrazione acquisterà un carattere nuovo perché coll'awicinarsi ad epoche più recenti, aumentando il volume dei documenti privati e delle lettere personali, possiamo uscire dalle piìr o meno vaghe congetture per entrare nel minuto ed accurato esame dell'animo dei protagonisti. ")

*** Ritorno

di

Guglielmo.

All'annunzio della morte di papa Alessandro VI (18 ag. 1503) I'ltalia intera, ad eccezione di pochi individui, diede un sospiro di sollievo: finalmente il Signore aveva spazzato quell'odiosa per quanto magnifica bruttura che fu il regime dei Borgia. Più di tutti esultarono di gioia i principi e baroni spossessati dal duca Valentino, d'ogni parte accorrendo per riprendere il dominio delle propria castella. Come già fu ricordato, Gugliemo Caetani, che stava a Mantova, partì a spron battuto per tornare in patria; ed è probabile che peristrada si fermasse all'lsola Farnese, presso Roma, per fare riverenza e ricevere

le

congratulazioni

del suo amico e protettore,

o) Ricorderò nuovameDte che lo scopo prefisomi nel compilare la Domus è di dare una immagine, IEr quanto posibile viva, della vita intima di una famiglia principesca romara non-

ché dei costumi e della psiche dei secoli passati' Non mi sono quindi sofiermato su rnolte quistioni di alto interesse storico, che

il

marchese Francesco Conzaga

trovao ampia documentaione nel nostro archivio ; ma,

la

Domus

è

inte

perché

di

compendio ge-

esso conservato,

faccio numerosi

anche come una specie

gerale e

di

accenni

ai documenti di maggiore rilievo, nella speranza di faci'

indice del materiale in

litare le ricerche ad altri cultori delle scienze storiche.


Sedi vacanti e conclavi

[ag.-nov. 1503]

Mantova, il quale ivi aveva sostato con I'esercito lrancese che'conduceva alla riconquista di Napoli. Agli ultimi di agosto del 1503 Guglielmo faceva trionfale e giulivo ritorno in mezzo ai suoi vassalli che, pochi giomi dopo Ia morte del papa, con naturale impulso avevano aperto le porte di Sermoneta alla propria signora Francesca Conti. Con mille ducati alla rnano, il castellano di Alessandro VI fu indotto a consegnare la bella rocca, nella quale Guglielmo si trincerò e si armò per esser preparato a qualsiasi evento : difatti Ia situazione non era ancora chiara perché il duca Valentino, belva mortalmente ferita, era tuttavia temibile. tanto per i l2 000 soldati e per i numerosi seguaci, di cui disponeva, quanto per il proprio prestigio, non del tutto infranto, e per I'appoggio de' cardinali spagnoli che lottavano affinché venisse eletto un nuovo pontefice non nemico del passato regime. Con tutto ciò il pericolo di qualche mossa contro Sermoneta non era grave perché I'esercito francese, fermatosi alle porte di Roma per sor' vegliare il conclave e dare appoggio alla parte di Francia (non essendo esclusa la possibilità d'uno scisrna), era comandato dal Gonzaga, il quale profondamente aveva in odio i Borgia e tutta la loro turpe compagnia; ma il momento, più di quanto era solito nelle sedi vacanti, era pericoloso: tutta Roma era ispida di armati, in tumulto e in confusione, ed un sanguinoso conflitto poteva scoppiare da un momento all'altro. L'elezione delvecchio e malato cardinale Piccolomini, uonno pieno d'amore e di bontà, fu un compromesso per uscire dall'impasse politica; Pio III, rispondendo in pieno all'augurio rimasto in pectore al sacro collegio quando lo elesse, dopo soli 26 giorni di regno, spirava dolcemente rassegnandosi

di

a Do. Si

riaperse

il

conclave, ma questa volta, la

situazione essendosi maturata, durò rneno

.norne

di 24 ore: Giuliano della Rovere saliva sul

trono

di Giulio II. La sua elezione assicurava i Caetani contro qualsiasi ultepontifrcio col riore pericolo. Nel corso di questi due agitatissimi ed angosciosi mesi Guglielmo rimase quasi permanentemente Gratitudioe a Sermoneta, riaggiustando le cose dello stato, disorganizzato da tre anni di dominazione straniera, versoiGonzaga' ed assestando le proprie finanze ridottesi a zero durante l'esilio; i vassalli gli vennero incontro prestandogli.denari; alcune delle entrate passate furono spremute dagli amministratori borgiani. Ma primo di tutti i doveri gli parve quello di esprimere con insistenza e con sincero fervore la propria riconoscenza al marchese ed a tutta la famiglia Gonzaga, che gli avevano offerto coll'asilo il conforto dell'amicizia negli anni di miseria e di disperazione; ad essi, piìr che a qualunque altro, reputava di dover la ricuperata fortuna. Molte sono le lettere di Guglielmo, che si conservano nell'Archivio di Stato di Mantova, l) ed in ognuna di esse ricorrono le espressioni della sua infrnita gratitudine. Rimpiange persino che r)

Busta

E. XXV.


LA RESTAURAZIONE la buona fortuna lo abbia allontanato dai propri benefattori.

Lib. I, Cap. I.

Ma

certo, patîona mía, egli scrive alla marchesa, nessuno è contento della sorte sua. Ecco io son dal longo exilìo ríoocato et quel che tanto ho desiderato me tror)o, et puî non scío quel che me cruccia, anzi eI scío troppo bene; come Mantua è stata quella che 'I duro exilío mío ha mítigato, cussi aI presente Mantua è quella che questa mía felícttà fa imperfetta ". Appena eletto Pio III, il Gonzaga mosse con I'esercito francese, da lui comandato, contro il Guerra hanco-spagnola' u Grande Capitano ,t Gonsalvo: dopo varie manovre i due eserciti si accamparono di contro sull'una e sull'altra sponda del Garigliano. I francesi s'insediarono in Fondi, Itri, Traetto e nelle altre terre dei Gaetani d'Aragona i quali, dopo aver perduto, riconquistato e poi perduto ancora lo stato, erano rimasti in Gaeta, in attesa del ritorno dell'esercito del re di Francia, sempre sperando di poter un giorno o I'altro scacciare defrnitivamente i Colonnesi, incrostatisi di prepotenza negli aviti palazzi. l) Ma, purtroppo, anche questa volta Ia gioia dei Gaetani fu efimera: I'ospitalità che estesero ai francesi e I'incondizionata cooperazione delle proprie armi non portarono il frutto desiderato. I-'esercito del Gonzaga era poco omogeneo e lo spirito delle truppe si era snervato nella lunga attesa vicino a Roma. A causa dell'incessante maltempo, le soldatesche erano acquartierate nei vari' paesi, spesso a grande distanza dal fronte del Garigliano. Inoltre i francesi, sprezzanti degli italiani e chauoinisfí come al solito, "^y, avevano visto con dispetto il Gonzaga, principe italiano, sostituito, I nel comando dell'esercito, a Louis de Ia Tremouille, ammae'4 latosi in Parma. \ Giunti al Garigliano, il malcontento era cresciuto e si mat"ji:"f:,]:1fi::..Î::;*' nifestava con aperte offese contro il capo; di conseguenza lo spirito dell'esercito era minato dalla indisciplina e dalla disorDimissioni ganizzazione, mentre, dall'altra parte del frume, il Grande Capitano teneva salde ed animose le soldadel Gonzaga. tesche, nonostante che fossero minori in numero e vivessero disagiate in mezzo alla pianura impantanata dalle piogge. Le malattie, la stessa peste serpeggiavano per Ie file; i dispiaceri e Ie preoccupazioni influirono sulla salute del Gonzaga che, verso il principio di novembre, si ammalò gravemente; ") upp"n" ricevuto il consenso del sovrano, rinunziò al comando ed il 16 del mese u

fu portato in lettiga da Traetto a Fondi. Durante tutto questo tempo Guglielmo s'era adoperato a servire il duca in ogni modo possibile, dispiacente solo di non poterlo fare di persona, perché ritenuto dalla necessità di custodire lo stato. L" corrirpondenza del Ghivizano, oratore del marchese in Roma, passava tutta per staffette organizzate da Guglielmo. Quando questi seppe della pericolosa malattia del proprio protettore, gli scrisse subito supplicandolo che volesse venire a ristabilirsi o, almeno, a riposarsi a Sermoneta, in quel rustico nido che gli offriva come cosa s u a perché da luí donataglí. Il marchese accettò. Passando per Terracina, giunse nella rocca dei Caetani il 19 del mese, molto cumquassato

dal viaggio in lettiga, a causa del pessimo stato delle strade, e fu accolto con onore ed amorevolezza da Guglielmo, pieno di gioia di poter restituire, almeno in piccola parte, Ia generosa

scusa

.) La sua malattia non Íu une petile fèore che servì di per ritirarsi dal comando, come asserisce il Sismondi L) Domus,.l.2,

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LXI.

2)

C'2696.

(VIlt, p. 321). n marchere dí Mantoa sla gríeoe et è (23 a Sermona (Sanudo, Y, p, 422).

aov.)


Guerra nel Napoletano

[ott.-dec. 1503]

ospitalità ricevuta negli anni di esilio. u) Dopo essersi trattenuto otto giorni, e oramai fuori di pericolo, il marchese si mosse per tornarsene a Mantova. I.Jn mese piìr tardi (27 dec.) Bartolomeo d'Alviano, con un gruppo di 300 fanti spagnoli, di notte, traversava con due barchette il Garigliano presso Suio e sfondava il fianco della difesa nemica; i francesi, per Ia confusione, I' indisciplina e Ia lontananza dei rincalzi, non riuscirono a p", il pericolo di rimanere aggirati, si ritirarono su Gaeta con Prospero Colonna chiudere la falla ", che risolutamente li inseguiva; giunti oltre Formia, al bivio tra ltri e Gaeta, la ritirata si trasformò in una disastrosa rotta, che segnò il crollo delle aspirazioni francesi sul Napoletano. Prospero, alle calcagna dei fuggiaschi, rientrava trionfante in Fondi, mentre Onorato Gaetani d'Aragona fuggiva per venire a chiedere protezione e rifugio a Guglielmo in Sermoneta. Anche Galeazzo Pal' Iavicini ed altri amici e seguaci del marchese di Mantova furono accolti amorevolmente da Guglielmo, il quale teneva informato il marchese dei disastrosi successi dell'esercito francese dopo che quello

ne aveva dovuto abbandonare

il

Rona

dei rrancesi'

comando. l)

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Intanto, morto Pio III, il sacro collegio si era apprestato ad eleggere questa volta un Elezione di Gulio Il' o e r o pontefice, che prendesse in mano lu p"-ri"olunt" Chier". La situazione politica si era schiarita ed appariva evidente che I'unico uomo, che riunisse in sè le qualità richieste, era Giuliano della Rovere, cardinale di S. Pietro in Vincoli. Nemico acerrimo dei Borgia, aveva vissuto per dieci anni in esilio, alla corte di Francia; ora per ottenere I'indispensabile voto dei cardinali spagnoli dovette piegarsi a trattative col duca Valentino. Si venne ad un compromesso: ai cardinali concesse larghi favori e diede denari contanti; a Cesare fu promessa la carica di gonfaloniere della Chiesa ed il mantenimento del suo stato in Romagna. Guglielmo si recò a Roma per cooperare in ogni modo possibile alla elezione di Della Rovere, dalla quale vedeva dipendere tra propria fortuna. Era amico del cardinaie a cui, negli anni di comune esilio, aveva più volte narrato le persecuzioni subìte da parte dei Borgia e dal quale era stato confortato, come lo stesso Giulio II poi ricordò nella bolla Romaní Pontificis. Ata,

alla vigilia del conclave, Guglielmo fece quanto gli era possibile per Promuoverne la candidatura, perorando presso il cardinale Farnese, suo nipote, e presso gli Orsini, i Conti, i Margani e gli

altri parenti che aveva in Roma. E così awenne che per il consenso di Cesare e I'appoggio di tutti, il 3l ottobre fu eletto papa quello di tutti i cardinali che piùr aveva odiato i Borgia e più era stato da essi perseguitato. Il conclave, dal quale uscì Giulio II, fu il piìr breve che ricordi la lunga storia del papato. Non fu neanche necessario di chiudere le porte. Le promesse fatte al duca Valentino non potevano Preoccupare Guglielmo: tutti sapevano che, anche senza violare la fede data dal Della Rovere, la forza stessa degli eventi avrebbe condotto all'annientarnento del duca Valentino. Del resto al Caetani ed agli altri signori era evidente che il possesso dei propri feudi non era piìr in forse: già erano rientrati nelle loro terre e I'usurpatore non poteva piùr nulla contro di essi. La disgrazia totale b) Tra le varie cortesie che si scambiavano i signori di quei tempi, una delle più consuete era quella di regalare o pre' stare levrieri e falconi per la caccia. Anche nei momenti più gravi non si deimnticava interamente qusto tpott. Uecellatori speciatizzati di Guglielmo stavano nelle paludi e sulla riva del

t) Arc. Mont., g'. XXV, 1504.

t'

3 e 6.

mare siao ad Ostia, tendendo i loro inganni ai difidenti falconi e sparvieri durante i piovosi e freddi mesi d'inveruo, quando più facilmente potevano esser presi gli uccelli di preda che iareguivano

le

anatre

e gli storni (4rc. Mant., E. X)fl/-3).


LA RESTAURAZIONE

Lib. I, Cap. I.

del Valentino tardò meno di un mese: rifiutatosi di mettere in mano di Giulio II Ie città della Romagna, da lui tenute e contro le quali movevano i veneziani, il duca fu arrestato il giorno Bolla di reintegrazione.

Critica dell'operato di

Aless.VI.

stesso della coronazione papale, ma dopo qualche mese lasciato liberamente partire in esilio. Intanto Guglielmo, appellandosi all'amicizia ed al senso di giustizia del nuovo papa, aveva

ottenuto la solenne reintegrazione nel proprio stato. Il 24 gennaio 1504 veniva emanata la bolla ,o Romani Pontíficis prooiilentia r', r) alluminata in margine da un fregio (riprodotto al principio del presente capitolo) entro il quale spicca I'irnrnagine di Gulio II ; il ritratto è singolarmente interessante perché è I'unico forse che si conservi di lui prima che si ,facesse crescere la barba. Caso rarissimo, e anzi credo unico nella diplomatica vaticana, il nuovo papa nella bolla apertamente critica e condanna I'operato del suo predecessore. Nel preambolo è enunciato il principio morale ed equitativo che ispira I'atto: il romano pontefice per I'alto ufficio impostogli deve riparare alle manifeste oppressioni o agli oltraggi inflitti a taluni per Ia maIízía de' tempí o per Ia nequìzia dei precursorí, affinché sia

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fatta giustizta ed afrnché quelli che bramarono indebítamente ì beni altruí apprendano che quanto hanno malamente agognato non può, per I'essenza della giustizia, percístere

la

con stabíIità perpetua.

La bolla espone poi in dettaglio quanto awenne

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nella

2) e precisa che il protonoguerra dei Caetani contro Sezze tario Giacorno fu persuaso, anzi quasi indotto, ad espugnare Torre Petrata dalLa conniúenza o tacíta esortazíone,'quanEfigie di Giulio II lunque subdola, dí Alessandro VI che più oolte dísse ad nella bolla Romaní Pontíficís' esso che si difendesse dalle íngíurie fatte dai rustíci sezzesí; questo fu il giuoco di papa Borgia che, cspircndo aIIe terre dí Sermoneta per arrícchite i suoí, cercaùa ì motíoi dí una príoazíone a danno deí condomínì Caetaní. Viene ricordata la malafede del papa quando, intimato per lettera, in forma di salvacondotto, che il protonotario si presentasse a lui per giustifrcarsi, lo faceva arrestare alle porte di Roma ed incarcerare a Castel

$. Angelo, dove l'ínfelíce fini misereoolmente i suoí gíorní. Mette poi in evidenza Ia illegalità della procedura seguìta, in quanto Alessandro VI dichiarò i Caetani privati di ogni bene e scornunicati prima che fosse iniziato il processo che doveva provarne la reità. Poi, per dare forma legale al suo operato, ad istanza del procuratore fiscale, fece stendere il processo da parte del governatore e del senatore di Roma, con un giudice

e tradirnento, benché nella guerra non avessero mai operato per ribellione contro la Chiesa, ma solo per rappresaglia

aggiunto, affinché

contro Sezze

i Caetani

fossero condannati per lesa maestà

i

loro secolari nernici. E finalment e, mentre ALessandro VI non poteoa ancoîa aoere Sermoneta e le altte terre ileí Caetaní líberamente, finché qualsíasí successíone di essí a talì terre non fosse estìrpata nè maí più oi fosse alcuno che si lamentasse dí cose decretate con tanta íníquítà e inumanità, per poter dísporre senza sospetto alcuno ed a suo libtto dt talí terre, fu disposto che alcuní satelliti del díletto figlto, iI nobíle Cesare duca Vatrentìno, senza alcuna umanità e crudelmente uccidessero Bernardíno Caetaní, allora quasí pupillo, condomíno di Sermoneta, Ahì ! sentendo del sangue di un ínnocente, inorrídiamo a ríferíre. Considerato che la confisca di queste terre, contro

r)

Resesla,

VI, p. 231.

2) CÍ. Do^u", l-2, Cap.

LVIII'


[15041

tsolla

di

reintegrazione

non concesse immediatarnente dalla Camera Apostolica, ma acquistate dai Caetani a gran prezzo da privati e proprietari, fu fatta per dísordinata e smoderata cupidígía dí arrícchíre í suoí,

Giulio II annulla tutti gli atti del suo predecessore, tanto a danno dei Caetani quanto a vantaggio de' propri congiunti, e reintegra Guglielmo, ora s o I o signore dí Sermonefa, nel pieno possesso del suo stato. Questa solenne bolla, oltre a proteggere Guglielmo da qualsiasi possibile pretesa dei Borgia, del piccolo Rodrigo d'Aragona e dei loro aventi causa, rappresenta quasi una invesiitura ex nooo a favore di Guglielmo stesso e di lui unicamente. Debbo ricordare qui che Bernardino, condomino con Guglielmo e Giacomo, perì a tradimento senza lasciare alcun disposizione testamentaria; quindi de íure rirnasero'suoi eredi la madre EIeonora Orsini e la sorella Rogasia. u) Temendo gli intralci di tale condominio, pochi giorni dopo aver ricuperato lo stato, Guglielmo indusse la cognata e Ia nipote a rinunziare a qualsiasi diritto sullo stato, tanto piùr che Rogasia, allora diciottenne, intendeva farsi monaca nel convento dei SS. Cosma e Damiano, dell'ordine delle Minori di S. Chiara, ael quale si era rifugiata con la madre negli anni precedenti per sottrarsi alla persecuzione borgiana. La rinunzia era giustificata dal fatto che, per bolla di Bonifacio VIII, le donne non erano ammesse alla successione

Rinunzia di RogasiaCaetani.

dello stato.

Ma professatasi Rogasia, assumendo il nome di Antonia, il convento si fece parte diligente per far valere i diritti ereditari della novizia. Guglielmo si oppose producendo il testamento del proprio padre, Onorato III, il quale aveva lasciato il suo patrimonio in comune ai figlioli, stabilendo che la successione dovesse awenire dal maggiore al minore, ma sempre fra maschi; in altre parole, era stato suo intendimento di creare un maggiorasco. Le due donne e la stessa badessa del convento non insistettero a lungo: si venne ad una convenzione che, per volontà di Giulio II, fu sottoposta il 30 decernbre 1504 ali'esame di Andrea de Valle, vescovo di Cotrone, il quale, il 22 settembre dell'anno seguente, pubblicò e

confermò il concordato tra le due parti, l) per cui le due donne rinunziavano definitivamente a qualsiasi pretesa sulle castella, anche su quelle di Macchia e Monteroduni nel Napoletano; b) Guglielmo cedeva loro il bestiame, i gioielli, i tappeti ed altri beni mobili che esse avevano portato a salvamento nel monastero al tempo della catastrofe borgiana ; s'irnpegnava di pagare 2 000 ducati al monastero ed una pensione di 200 ducati annui ad Eleonora Orsini. ') Rogasia dichiarava che, alla sua morte, Guglielmo sarebbe stato considerato suo erede in tutti i feudi. Reintegrato nella piena signoria dello stato avito, Guglielmo considerò giunto il momento di regolare i conti con quelli che I'avevano tradito. Debbo ricordare che, liquidato Cesare Borgia,

il papa aveva fatto eseguire un'inchiesta, per guanto sommaria, dei delitti commessi per ordine o per incitamento dei Borgia. Naturalmente non fu possibile al pontefice di processare tutti i colpevoli ed i sospetti, rna almeno contro alcuni dei principali, come Micheletto Corella, il a) Chiamata anche Rour". b) Al tempo della guerra tra spagnoli e francesi nel Napo' tetano, Macchia e Monteroduni furono confrscate (1503.1V c.) da Ferdinando II d'Aragona e corcesse(|503.XI.20) aLu' dovico d'Affiitto, cittadino napoletano, che fedelmente l'aveva servito (C-2588'll). Guglielno si adoperò prso il Gonsalvo per essere reintegrato nel possesso (non avendo mai dato argo' mento per meritarsi I'inimicizia degii spagnoli), ma allo stesso tempo aveva interessato il marchese Francesco Conzaga perché, 1) C-2500, 2525,2691 etc.

vincendo i francesi, potese riavere le due castella (Arc. Mant., 1503. X.9 e 1504.1.3t C-2500). Anche Giulio II s'interesò pr6so re F.rdinando in favore di Cuglielmo (1506. III. 28, Arc. Vat., Brev. XXiV, f. 74 b). Nel 1509. IX. 20 Rogasia venne in aiuto dello zio, ccstituendo:i parte civile conrro il d'Aflitto (C-2589 e seg.). sono le ricevute ed altri documenti re") Numerosissimi lativi a questa transazione dal 1504 al 1514.

E. XXV-3,

Processo contro Micheletto Corella.


LA RESTAURAZIONE

Proesso contro Giovanni Cifra.

Lib. I, Cap. l.

truce e famigerato sicario del duca Valentino, fu proceduto mentre era ancora vivo lo sdegno contro il passato regime; Micheletto fu arrestato e condotto a Roma, ove fu rinchiuso in Tor di Nona ed interrogato dell'assassinio di molte persone, delle quali, scriveva I'ambasciatore Giustiniani, quelle dt ptù conto sono eI duca de Gandia, eI sígnor de Camerino e dei suoí rtSholi che furono appíccati fra Arímino e la Cattolíca, eI sígnor da Faenza e suo fratello bastardo, eI duca dí Bísceglíe, eI sígnor Bernardín de Sermoneta, eI úescooo de Caglt e moltí altri. Il Corella fu prosciolto perché i veri colpevoli di tanti delitti erano emigrati ad altri lidi o all'altro mondo. ') Più severa fu la giustizia amministrata per vendetta dai privati e dai baroni, rientrati nel possesso delle proprie terre. ') Guglielmo volle procedere anzi tutto contro Giovanni Gfra. Era questi di una nobile famiglia di notai di Bassiano, da generazioni vassalla ed al servizio della Casa, dalla quale aveva ricevuto benefrzi di ogni genere; sin dal 1483 Giovanni era stato cancelliere dei fratelli Caetani. Gò non ostante, quando i Borgia cominciarono le loro persecuzioni, egli cooperò attivamente alla rovina de' propri hu signori e fu uno dei principali testimoni d'accusa nel processo inscenato da Alessandro VI. Ci volle piir d'un anno per mettere le mani addosso a Giovanni Gfra, ma alla fine, carcerato nella rocca di Sermoneta, fr-l aperto contro di lui regolare e solenne processo. Giulio II Prima di tutto fu stimato doveroso interpellare (Dal disegno di Rafaele SanzÍo)' due giureconsulti eminenti dell'epoca, Angelo de Giovanni poteva cesis e Giustino de carosi, awocati del sacro concistoro, Per sapere se testimonianza nonostante il fatto essere processato per i delitti di tradimento, lesa maestà e falsa erano privati della signoria che, al rnomunto che aveva agito contro Guglielmo e Giacomo, costoro spossessati violendel proprio stato. Gli awocati espressero il parere che i Caetani erano stati erano rimasti signori dello temente e contro ogni diritto e perciò virtualrnente, se non di fatto, principi, non era stata stato e de' propri vassalli; inoltre, al momento che il Gfra tradì i suoi tuttavia ancora pronunziata la sentenza defrnitiva contro di essi, quindi de iue dovevano di imposizione per consideriui signori di Sermoneta e Bassiano; e seppure la testimonianza fu fatta tradimento perché Alessandro VI, sornmo pontefrce, ciò non esonerava il Gfra dalla colpa di ticonobbero non osla che íI preiletto reo ed altrí prima della spoliazione deí bení e del bando iI per loro superiofe e loro sígnare /o sfesso pontefice, poiché, secondo Ia gíutisprudenza' .)

Viene a proposito ricordare che, durante I'apogeo dei circo' Borgia, Prospero Colonna volle purgarsi di certe accuse che che Angelo ottenne l""uoo.u di lui: nel luglio 1499 'Romuleo ,, podestà e giudice di Terracina, interrogasse un certo Pompeo di Gabriele da Fabriano, matricolato imbroglione, che sparlava dicendo di sapere molte cose sul conto di Prospero' tnt"rrogato, tstimoniò di essersi offerto sotto falsi pretesti ad Onorato III Gaetani d'Aragona per awelenare il suo nemico' Prospero Colonna, e d'averne ricevuto espresso mandato' Ma' visto che il Colonna non moriva del prcunto lento veleno som' ministratogli, Pompeo fu carcerato in Piedimonte d'Alife e, sotto i

'j cl.

Do^u",

l'2, p. 242.

tormenti, confessò di non aver adempiuto al mandato' ma anzi di €sser stato incaricato da Prospero di awelenare Onorato; confessò inoltre di sapere che il duca di Gandia fu assassinato da Prospero, da un certo Sforzino e da tre altri e di aver veduto

primo tornare a palazzo la notte del delitto (1497.VI. l4)' montato sopra un cavallo bianco, simile a quello sul dorso del quale fu portato il edavere del duca PeÍ essere buttato nel TeÈ b"o dificile dire quanto vi sia di vero in questa testimo-

il

""r",

nianza contradittoria e della quale c'è poco da frdarsi (Regesfa,

p.207-E).

VI,


Rocesso contro Giovanni Cifra

[4e4-r5051

suddíto non può in pregiudízío dello sfesso uero (immediato) signore ríconoscere per superíore albi che íI proprío signore. In quanto alla pena i giuristi riconobbero che la colpa richiedeva la decapitazione e confisca dei beni, perché resa più odiosa dal fatto che il Gfra aveva ricevuto innumerevoli beneficî dai propri signori e che li tradì nel momento della sventura, quando patíoano una íníquissìma persecuzíone essendo I'uno detenuto e I'altro fuggitioo,t, il processo fu iniziato nel gennaio del I 505 davanti al magnifico ed eccellent e Felíce Angelo de nobíIibus de Campello de Spoleto, capitano di Sermoneta, e durò vari mesi. Il Cifra fu trovato colpevole non tanto d'aver tradito i propri signori, quanto d'aver reso false testimonianze che condussero alla tortura e poi alla morte per strangolazione del protonotario Giacomo; gli fu rinfacciato d'aver mendacemente deposto che il veneficio di Nicola nel 1494 fu fatto per ordine di Guglielmo e di Giacomo i quali, al momento che quello moriva, impedirono al medico, maestro Vitale, di somministrare quei rimedi che avrebbero potuto salvare I'ammalato e ciò perché pdiavano il fratello maggiore, a cui erano soggetti in ogni cosa che riguardava lo stato. Fu ricordato d'aver egli testimoniato sulla immediata morte della cagnetta di Nicola, chiamata Bianchina, alla quale fu dato a leccare l'orgumentum o impiastro awelenato che Matteo da Pesaro, camerario del protonotario Giacomo, aveva applicato ad una parte malata del corpo di Nicola; fu ricordato guanto aveva detto di una certa misteriosa scarpa del signore che fu fatta sparire, perché forse era quella che aveva calzato il piede malato e quanto riferì sull'immediato annerirsi del cadavere di Nicola e sulla sepoltura nella chiesa di S. Pietro in Corte ove, nel murare la Stemma di Giulio II. tomba, il Cifra aveva fatto lasciare un forame a traverso cui poter osservare la decomposizione del corpo; come difatti egli fece, notando che dopo soli nove giorni il cadavere si era completamente consumato per effetto del veleno ín modo' che soltanto apparíoano le ossa rtcoperte daí panní del oestìto.^) Queste testimonianze, seppure veritiere in molti dettagli relativi alla morte di Nicola, furono intessute ,di asserzioni false, tendenti a far ricadere la responsabilità dell'awelenamento sui fratelli Giacomo e Guglielmo, onde condannarli anche se fosse stata contestata I'accusa di ribellione contro la Chiesa; con esse si diede motivo alla disgrazia dei Caetani ed al processo che condusse il protonotario ad esser miseramente strangolato in Castel S. Angelo. Il Ciha quindi, come uomo di mala úíta, conúercazíone, condízione e fama, si dimostrò proditore, nbelle macchìnatore e îeo di lesa maestà.' per i quali crimini, il giorno (lacuna) 1505, veniva condannato alla pena eapitale. Appena pronunziata Ia sentenza, il traditore fu condotto nella piazza puhblica di Sermoneta, probabilmente sul loggiato che tuttora si vede, ed ivi gli fu posato il capo sul ceppo e spiccato con un gran colpo di scure. b) a) Il documento, dal quale sono desunte queste notizie, è un fascicolo cartaceo di sei carte, mutile nella parte superiore (C.2521 bis), che fu rinvenuto nel riordinamento cronologico dell'archivio Caetani, eseguito nel 1929. Queste notizic vengono

a completare ed in parte ad emendare quanto fu già scritto, nel

c-2498 . l. Domus,

ll.

2.

vol.l-2, Cap. LVll e LIX sulla morte di Nicola e sul processo del protonotario. b) Fu fatta giustizia anche pcr coloro che, al.tempo di Alessandro VI, erano stati spogliati de' propri beni, come ad esempio per Belforte ed Angelo di Stefano mogrìtfi Ciccí,

Awelenamcnto di Nicolà C.

(t494r,


l0

LA RESTAURAZIONE

Lib. I, Cap. I.

Da questo processo risulta evidente che i Borgia fecero accusare i Caetani di fratricidio per poter meglio giustificate con pretesti giuridici la spoliazione del loro stato e per poter venire allo sterminio della famiglia. Dfatti quanto awenne nella guerra con Sezzel) poteva chiamarsi disobbedienza, ma non mai ribellione al pontefice, perché i Caetani non osarono nè ebbero motivo di muovere Ie armi contro il pontefice e, comunque, tale colpa non poteva condurre a condanna capitale. Siffatta quistione di diritto deve esser sorta durante il processo contro il protonotario Giacomo e perciò, nel gennaio del 1500, ossia vari mesi dopo iniziata Ia procedura, si trovò necessario ed espediente fabbricare I'accusa di venefrcio, che forse aveva già circolato come sospetto, per bocca di malevoli, al momento della repentina morte di Nicola, ma della quale non si fa neanche cenno nè nelle bolle di scomunica e di confrsca, emanate da Alessandro VI, nè nel mandato di procedere contro i Caetani.

*** Non vi è nessun fatto di speciale rilievo che illumini Ia cronistoria dei Caetani durante il pontifrcato di Giulio II, ma abbiamo soltanto notizie relative all'amministrazione delle cose familiari e dello stato. Invero in guesto periodo le provincie romane godettero di assoluta pace, perché le attività del pontefice, per rinsaldare ed estendere il dominio temporale deila Òhiesa (poco preoccupandosi egli della riforma spirituale), si svolsero quasi esclusivamente nella parte settentrionale

della penisola. Meraviglioso invece fu il fiorire delle arti e dell'edilizia in Roma, dove Gulio II aveva chiamato il Bramante, Raffaello e Michelangelo a dare esecuzione a grandiosi progetti e dove s'aggirava quella schiera di mecenati ed artisti che fece allora, come adesso, meravilliare

il mondo.

di

Purtroppo, nello studiare Ie carte del nostro archivio, ") non ho trovato che Guglielmo Guglielmo' avesse contatti con quel movimento; invano ho cercato i nomi di Agostino Chigi, del Saigallo, del Peruzzi, del Sansovino, di Benvenuto Cellini e di altri di cui son pieni la storia e le

Carauere

Roma. Guglielmo, mi rincresce a dirlo, è una figura poco simpatica: di natura piuttosto bassa, era egoista e volgare nel pensiero e negli atti. Vi sono di lui lettere scherzose ad amici, che sono vere brutture di linguaggio. L'unica sua preoccupazione deve esser stata quella di tutelare ed amministrare Ie proprie sostanze ed in ciò egli dimostrò di aver senno e

vie

di

previdenza.

b)

che solfrirono per aver fedelmente servito lo sfortunato protonotario Giacomo. Erano ctati perseguitati da Ieronimo Volterrano, vescovo di Assisi, governatore dello stato di Sermoncta in nome del papa (Pant., I, p.549). .) È d" notare che, per il primo quarto del sec. XVI, nell'archivio Caetani una Iacuna quasi assoluta di pergamene romaae, Dentre Dumerose sono quelle napoletane, interessanti i Gaetani d'Aragona e la casa Acquaviva. b) Nell'iuterccsc degli studiosi di scienze economiche voglio

vi è

ricordare qui come era coctituita I'amministrazione della famiglia di Guglielmo Caetani, quale appare da un elenco dell'ott. 1512, e mettere in confronto, anche se !!oD con P€rfetta esatt'?a, Ie paghe anaue di questo cor quelle di altro elenco simile dell'anno r

60t.

l512

t60t tcudi

ducati

Mes. Mes.

A. J.

Biondo, auditore Balduino, aecretario

40 90

I Vedi Doaur, l-2, ep. LVllI.

vicario

E5.6

vicario

85.6

l5t2

t60t

ducati

scudi

Montopoli 40 Marco, maiordomo 40 Mes. Eusebio cancelliero 24 V. Capobianeo 30 24 J. Antonio Blasio, maestro di camera 15 15 J. Malosso (staff,ere ?) Belforte (staf6ere?) l5 V. Magaacarae (sta6ere?) 15 l5 J, Caaactero (sta6ere) Vìto, credenziere 12 Mastro J. de Lella, cuoco l5 Altonello, mulattiere I5 .l 5 C,eatio, mulattiere Mastro Antonio, foraaro 28 R. Canavaro l2 Mastro

A.

de

mag.

domo

63.2

cancelliere 37.2

agente

37.2 guardarobba 26.0

dispensiere 18.6

sta6ere staffiere sta6ere stalfiere

I

S.6

lS.6 18.6 18.6

credenziere lE.6

cuoco cocchiere stallino

lS.6 16.6 19.2


lt

Amminisuazione dello stato

[r504-1506]

Molte erano le questioni pendenti da regolare tanto in seno alla sua famiglia a) quanto relative agli affari dei vassalli e delle comunità vicine. Nel novembre del 1504 Guglielmo addivenne con la comunità di Sezze ad una convenzione ed a capitoli di concordia, che avrebbero dovuto essere, ma naturalmente non furono definitivi; l) fu transatta la questione della tenuta Mesagne con concessioni dall'una e dall'altra parte, ed i sezzesi, in riconoscimento del dominio dei Caetani, si obbligarono a chiedere ufficialmente il permesso di spurgare il fiume Acquapuzza ogni volta che desideravano farlo, e di corrispondere ogni anno la famosa mezza libbra di pepe, tante volte ricordata dagli istoriografi di questa regione. Assidue furono pure le sue cure per migliorare I'agricoltura e bonificare b) le terre delle Paludi Pontine, che in gran parte si trovavano in istato di completo abbandono. Ottenne da Giulio II che finalmente fosse concesso ai Caetani di riedifrcare la terra e Ia rocca di San Felice al Circeo che, distrutta da Alfonso d'Aragona nel 1441, non era più stata ripopolata per volontà degli stessi pontefici: 2) era diventata un covo di banditi, ove di notte sbarcavano i pirati per piombare all'alba sugli abitanti della contrada. 3) Ottenuta la sanzione pontificia, il 9 febbraio 1506, Guglielmo, accompagnato dal cognato Federico Conti, si recava alla Fontana della Surresca ') presso il lago di Paola con I'intento di dare massima solennità alla cerimonia che doveva segnare la rinascita di questa comunità ed essere un'affermazione del dominio dei Caetani. Nella plaga deserta ed inselvatichita era stato eretto un padiglione e, quando Guglielmo si fu seduto, si presentò a lui una delegazione dei discendenti degli antichi cittadini di San Felice che, tre quarti di secolo prima, erano stati costretti ad emigrare a Terracina. Ad essi egli dichiarò con tutte le debite formalità aver avuto licenza dal papa e voler fermamente lui stesso restaurare et rehabítare questo castello. Quindi per mano del notaio furono letti e pubblicati i seguenti capitoli: l) Guglielmo a sue spese farà risarcire e completare Ie mura circondanti il castello in modo che non rimanga rottura e dc possere resísterc ínsemí con Ií habítanti ín esso da ogni ínpeto che se IIi facesse, marítímo e tenestro.

l5t2

b) Anche cou la comunità di Cori si venne ad una cotrvenzione che pose 6ne alle passate contese (C-2529,1). Per

160l

scudi ducati ll.2 ass. cred. Bart., oervitore di credenza 9 sguattero ll.2 6 Guitano, della cucina agente 37.2 3C Sorci, fattore 12 Mariano de Camardo Paolecso

devozione

(?), capoguardiano 36

Sirmignano,

guardiano

15

Sebastiano, guardiano Monaco, guardiano al mese

C.

I, bol.

30

"

3

13

comput.

Jacono Bordone a) In queto tempo spariva, in età di circa

37.2

83 anni, quella

bella e simpatica 6gura del medio evo, Cateúna Orsini, madre di Guglielmo, che così nobilmente aveva illustrato il nome suo e quello dei Caetaoi a traverso le tem'pete della vita. Nel I 504. I.9 dettava il suo tetamento, disponendo di esser sepolta preso

I'altar maggiore di S. Francesco fuori

le

mura

di

Sernoneta,

Guglielmo

costoro diedero argomento aì monastero di Casamari (1510-l5l pretendere che gli forse stata negata giustizia (C-2611),

gani ed ai nipoti, il card, Alessaadro, Ieronima e la . Giulia Bella n Farnese. Nel testamento è ricordato anche Onorato, certamente figlio di Guglielno, che deve esser morto in giovanile età perché di lui non si ha altra notizia (C.2499'Xl).

p. ll7-8 eal.

alla cittadinanza,

di

erede universale, lasciando piccoli legati alla figlia Iacobella Mar-

2) Cl. Do^u",1-2,

unitamente

idraulica. Volle anche trasformare in albergo il diruto palazzo comunale, adiacente alla rocca, attualmente dimora dell'autore, Simile albergo ed altri lavori si fecero a Sermoneta; at Monticchio furono piantati frutteti ed innestati gli olivi, e ta bonifica agraria fu etesa ad altre parti delle tenute (C-2475). A Cisterna furono introdotti coloui lombardi per dar vita a questo diruto castello, che si trovava agli albori di una vita nuova;

forse nella cappella da lei fatta costruire. Nominava Guglielmo suo

t) C-2510

a Dio e

fece costruire la cappella di S, Sebastiano fuori le mura di Semoueta, ora detta la Madonna del Rifugio, prowedeudola di anedi sací (C-2624i Cf. Pant.). A Ninfa progetrò di perfezionare le rnole, le ferriere, Ia f,latura della lana e la manifattura delle corde, con congegni rnosi dalla forza

3) Regeslo,

l)

.) ll gltuario di S. Maria della Surresca, edificato nella località ove furono martirizzati alcuni santi (de' quali nel sec.

XVII

ancora si mostrava

il

sangue), era

casa Caetani, acerbamente disputato

(Regesta, pusim).

Yl, p. 245.

di giuspatronato di

dai terracinesi nel sec.

XV

Rioascita

di San

Felice.


LA RESTAURAZIONE

12

Lib. I, Cap. I.

2)

a

Donerà ad ogni famiglia degli antichi abitanti, ovungue emigrata, che verrà San Felice, un rubbio di terreno in piena e libera proprietà. 3) Darà agli abitanti una tenuta per il pascolo del loro bestiame.

4) Farà ricostruire le mole, alle quali i cittadini dovranno portare

a

a

stabilirsi

macinare il

proprio grano.

5) Da parte loro gli antichi sanfeliciani si impegnano di cominciare ognuno a risarcire o riedificare la propria casa non appena saranno pronte le calcare. 6 e 7) Essi si impegnano di non lavorare altri terreni che quelli del signore e della tenuta Palazzo, conducendo le sementi a colonìa, secondo Ie consuetudini della regione. S) Gli abitanti difenderanno eI monte dai nemici e da ogni angaria. r) Queste ultime parole erano intese come un awertimento contro i terracinesi ed un ammoLa vicina e fiorente città vedeva con dispiacere sottratta una parte dei suoi abitanti per colonizzare la terra attigua, fuori della propria giurisdizione; da piùr di sessant'anni quei gampi, abbandonati e deserti, erano rimasti aperti all'abusivo godimento dei terracinesi quasi fbssero terrq nullius; persino le chiese di San Felice erano state spogliate. L'antica campana, detta ...1a Squilla di San Felice ", ora chiamava i fedeli dall'alto del campanile di S. Cesario in Terracina ed un'altra era stata collocata in S. Maria Nuova; così pure un crocifisso d'argento ed un tabernacolo erano stati asportati. Guglielmo, mentte ferveva il lavoro di ricostruzione, fece valere i propri diritti, e questi sacri oggetti,' dopo lungo negare e litigare, finalmente furono processionalmente ricondotti nella nuova cittadella del monte Grceo. Vedremo i signori di Sermoneta a mano a mano sistemare il proprio dominio su questo loro antico feudo, costruendovi torri di difesa contro i turchi ed acquistando alcuni terreni di Terracina in modo da completare il possesso della marina dal Circeo sino a Foceverde. I terracinesi avrebbero preferito che nulla fosse stato innovato nelle proprie vicinanze, ma alla fine diventarono buoni vicini e considerarono i Caetani come i propri naturali difensori. E qui sarebbe acconcio parlare della bonifica delle Paludi Pontine, alla quale si interessò lo stesso Guglielmo; ma preferisco trattarne in un capitolo separato, per mettere sotto piìr giusta luce Ia parte che i Caetani ebbero in questa grande impresa, considerata ne' tempi passati un volere I'impossibile, mentre, fra poco, sarà un fatto compiuto. nimento ad essi.

r)

Regcsfa,

Vl, p. 245 t

C - 2539' lV

.


Caprrolo II.

GLI STATUTI DEI CAETANI. (127t.t787)

ERMoNETA

") ci ha

conservato uno dei più antichi

statuti dell'ltalia centrale. Essi furono compilati per ordine di Riccardo Anibaldi della Molara, cardinale di S. Angelo in Pescheia (1237), signore di questa terra, e firmati il 27 dicembre 1271. È probabile che prima di tale data non esistessero veri e propri statuti scritti, ma che i precedenti signori, che non sappiamo chi fossero, governassero secondo le consuetudini locali, sanzionate da convenzioni, ed amministrassero giustizia a proprio arbitrio. Sermoneta nel XIil secolo non era un comune come la vicina Ninfa, rna bensì una comunità agricola, con territorio alquanto limitato, retta feudalmente dal signore ed in cui avevano autorità alcuni degli agricoltori o massafi di maggiore ripuiazione e sostanza. Per questo motivo Ie costituzioni, alle quali fu data forma definitiva per ordine del cardinale Anibaldi, furono concepite principalmente in difesa dell'agricoltura e, frammiste ad esse, senza ordine qualsiasi, vi sono capitoli di carattere giurisdizionale, civile e criminale, de' quali molti non ci sono pervenuti, perché, nel piccolo codice pergamenaceo, che si conserva nel nostro archivio, mancano la prima parte e forse anche alcune delle ultime pagine. b) Da esso risulta come, prima che gli Anibaldi vendesseso le loro terre ai Caetani (1297), Sermoneta era retta da un oícecomes, in rappresentanza del signore, cioè del cardinale abitualmente assente per afiari della curia romana: aveva una eorte (curz'd formata da un giudice per Ie cause civili, da uno scriniario, da notai, tutti salariati, ed assistita da un consiglio di massari. u) Iniziale tratta dal codice borgiano degli statuti

di Scr-

moneta. b) Questo codice e gli altri statuti di casa Caetani, di cui presente capitolo, per iniziativa di mio fratello Leone,

si tratta nel

furono interamente trascritti e minutamente studiati dal prof. Vincenzo Federici per una eventuale loro pubblicazione, a cui poi

non si è dato corro. ll maaoccritto del Federici ha servito di studio; a lui, peraltro, è dovuto pieno credito per la aualisi giuridica c paleogra6ca degli importanti codici statutarii. L'esposizione storica, nella quate mi sono esteso, non fu posibile al Federici perché, venticinque anni or sono, la cronisloria di casa Caetani non era conosciuta che per sommi capi,

brc al prcente

Antichi statuti

di

Sermoneta.


GLI STATUTI DEI CAETANI

l4

Lib. I, Cap. ll.

La corte aveva sede negli edifici che facevano corona ad una piccola piazza adiacente alla rocca, e vicina ad essi era I'antica chiesa baronale di S. Pietro in Corte, fondata prima del mille. La rocca, governata dal castellano, costituiva il presidio militare che vigilava e proteggeva la cittadinanza. La curia si faceva assistere da gruppi di massari, in numero di tre, di sei, di dodici o di venti, che avevano funzione di giudici o di consiglieri, secondo I'occorrenza. In caso di tradimento contro il signore, in questioni di guerra ed altre di maggiore momento, I'autorità era tutta concentrata nel signore. (Jn esame anche superficíale dí queste costituzioní, osserva il Federici, ci mostra che ín esse non è nessuna distínzíone, nè formale nè sostanzíale, del diritto pubblíco e

prioato, del dirttto cíoíIe e penale. Il governo era liberale ed essenzialmente feudale e patriarcale: ai cittadini era concessa piena libertà di entrare ed uscire dallo stato e di vendere le proprie sostanze non tenute sotto vincolo feudale; e nessuno poteva essere carcerato anche per delitti gravi finché non condannato, se era in grado di dare cauzione, con i suoi beni mobili e immobili, superiore alla pena statuita per I'imputato delitto, sempre che non si trattasse di offesa diretta contro il signore. Le donne erano tenute in buona considerazione; la loro dote non poteva essere manomessa per colpe del marito e, per rispetto alla dovuta modestia, non potevano essere chiamate in pubblico davanti al tribunale, ma venivano inquisite a domicilio dal notaio della curia. Per favorire il ripopolamento della terra, decimata dalla malaria e dalle guere, fu ridotto ad un anno il lungo termine, prima esistente, durante il quale era vietato, sotto speciale Pena, ad una vedova

di

rimaritarsi.

quel tempo soprawiveva ancora in parte lo spirito dei bassi secoli, quando la tutela della sicurezza personale era affidata in buona parte alla difesa, che poteva oPPorre I'individuo, ed alla vendetta. Era lecito allora come all'epoca dei longobardi (e vorrei che lo fosse ancora oggi) uccidere liberamente un porco trovato a far danno nelle messi spigate. Il cittadino ofieso da un forestiero (forcnses ossia de conbata), che si mantenesse fuori del territorio giurisdizionale del

In

terra), poteva ricercarlo e vendicarsi di lui senza essere passibile di. pena. E vedremo appresso come, un secolo piùr tardi, veniva statuito in un apposito capitolo (emendamento forse ad uno di Quelli contenuti nelle prime pagine perdute) che chi fosse oltraggiato in una rissa poteva vendicarsi anche per mano di un consanguineo. In caso di guena il vassallo doveva prestare servizio al signore ed era spesato da questo; la preda doveva esser divisa a metà con la curia e in quanto alle armi prese, quelle minori, que appellamus ceroellertam, gorgíarinam, cultellum, cgtothecas, calígas, cappellum et scutum, ensem, lanceam, claoam et dgplogdem, caputíum feneum et bracciarolam, spettavano al combattente, mentre alla curia dovevano consegnarsi i prigionieri e le armi maggiori, cioè lorícam, panzeriam, Iamerias cum caplÌoo et equo, ptetet sellam et frenum. Precise erano le disposizioni relative alle derrate affinché non mancassero alla comunità, ed un'apposita commissione vigilava sul calmiere dei prezzi di mercato. La corte prelevava gabbella sui prodotú esportati, ma da essa erano esenti i ninfani, gli acquaputridani, i bassianesi, nonché i romani (che da tempo immemorabile godevano privilegi in varie località della Marittima) purché entro tre giorni dessero awiso in merito all'autorità.

signore

(dum non reíntret

in

**t Aggiunte

del

1304.

Tali in sostanza erano le costituzioni che reggevano la comunità, quando per volontà ed opera di Bonifacio VIII, il nipote Pietro Caetani, conte di Caserta, acquistò a caro prezzo dai vari membri della famiglia Anibaldi, volenti o nolenti, le terre di Sermoneta, Bassiano,


Analisi delle costituzioni

F27r-13o41

t5

Nnfa e San Donatq. Il comune di Ninfa, rinunziando alla propria entità, cessò di De'suoi statuti non è rimasta traccia.

esistere.

Finché visse il grande papa nulla fu innovato, ma quando, dopo Ia sua morte, tutto il paese divampò nella guerra dei Caetani contro i Colonnesi, Pietro, per assicurarsi la fedeltà dei vassalli e per ragioni equitative, accordò ai sermonetani varie concessioni ed integrò i loro statuti con capitoli aggiuntivi. Anzitutto concesse che i sermonetani, i quali sino allora erano stati sotto I'obbligo di macinare il grano nelle mole ai piedi del proprio monte, potessero, mancando queste di capacità, macinare anche nelle mole di Ninfa, che per il passato avevano appartenuto ad altri membri della famiglia Anibaldi. Costituì poi un regolare consiglio di dodici massari, eletto dal popolo,' che doveva dettare quelle norme, mancanti negli statuti, le quali apparissero necessarie; ma le disposizioni dettate da esso avevano vigore soltanto durante il tempo che era in carica, ossia sei mesi; dopo di che il popolo doveva eleggere un nuovo gruppo di dodici massari. Non è detto che questi dodici consiglieri dovevano essere approvati dal signore, ma è probabile che tale questione di principio fosse già espressa nella parte a noi mancante degli statuti; infatti ciò è chiaramente sancito in uno dei capitoli del secolo XV. Contro gli uomini di Sezze, secolari nemici di Sermoneta, ordinò perpetuo interdetto: non permettessero mai i vassalli che i sezzesi invadessero o godessero la terra di Sermoneta: nessun commercio doveva farsi con loro ed a nessuno di questi awersari fosse persino concesso di pernottare nel paesa Ricorderò che nel 1304 Pietro Caetani era in lotta con Sezze; I'anno seguente, trovandosi in condizioni precarie a causa della guerra e desiderando quietare pro tempore questi incomodi vicini, si piegò a revocare le capitolazioni del 1299, ma in breve si riaccese la contesa. l) Ordinò che chiunque fosse accusato di maleficio potesse avere conoscenza delle accuse mossegli e delle testimonianze a suo carico, in modo da poter preparare la propria difesa; vietò che un cittadino, carcerato sotto qualche accusa e non in grado di dare Ia debita cauzione sui propri beni, fosse sottoposto alla questione ed alla tortura, ma fosse semplicemente tenuto in carcere finché avesse scontato la pena e pagato i danni, eccettuato sempre il caso di tradimento contro il signore e gli altri casi contemplati dagli statuti. Questi capitoli, aggiuntivi dal conte Pietro, furono promulgati il giorno 26 maruo 1304 e, unitamente a quelli antichi, furono trascritti ex nooo nel piccolo codice pergamenaceo, di cui si è detto prima, per cura di Pietro del Gudice, notaio di Sermoneta, a) il quale volle lasciare ricordo del suo operato con le seguenti strofe:

CÀí scrísse questí statutí - accompagníno tutti glí eoentí sicurí Finché oige nel mondo - sí alltetí con cuoî gíocondo E contínuí a úù)ere ín pace - esulti con Cdsto t)erace Ed tI debíto della oíta - assoloa felícemente nella gloúa. Píetro del Gíudice ha nome - ed è abitante mîo Cui la oíta è buona - e Ia salute ín ogní ora. b) La famiglia Dcl Giudice era forre origiaaria di Segni actum Segnlac ln domo domìal Pct.i- àe ludÍce), ma poi si stabilì in Seruoneta ove sussistette sino alla fne del sec. XV. ll più noto membro di essa fu quato Petms ludícÍs a)

(anno

l2l3

(1304-1337), de Setmoaelo, ptaefeclí Ubls aucloilatc íudex otilinarlus atque notafius publícus(Yedi Pant.,l, p.256'367 et al,)'

t)

Domus,

l-2, op. Ll.

b)

Qui rcripcit hec statuta

-

secteatur singula tuta

Dun vig* in mundo - letetur corde iucundo Degat et in pace - exultet cum Christo verace Et debitum vite - solvat in gloria rite. Petrus est nomeu ei - Iudicis et incola mei Cui vita et bona - ct salus qualibet hora.

Pietro

del Giudice compilatore.


Aggiunte

del sec. )<V.

GLT STATUTI DET CAETANI " Dopo

Lib. I, Cap. Il.

da Pietro Caetani, per più di un secolo, e precisamente sino al 1412, nessuna aggiunta o modifica fu apportata agli statuti di Sermoneta, salvo, naturalmente, quelle stabilite pîo tempore dal consiglio dei dodici massari. Il fatto è storicamente spiegabilissimo: ultimata la prima fase della guerra contro i Colonnesi (1324), i frgli e pronipoti di Pietro elessero Fondi a centro del loro vasto stato, che si stendeva dai Colli Albani al Garigliano, e Sermoneta fu molto trascurata. Durante il Grande Scisma Ia vita civile nella Campagna e Marittima, che si trovavano sotto il dispotico governo del potente Onorato I Caetani (1378-1400), rimase pressoché paralizzata; poi nello stato pontificio ebbero luogo le invasioni di re Ladislao, nelle quali questi confiscò Sermoneta. Giacomo Caetani riprese possesso della terra nel 1409 e

la

redazione ordinata

finalmente, dopo la battaglia del Melfa (giu. l4l2), la pace sembrò definitivamente ristabilita.r) ln tutte queste vicende vassalli di Sermoneta e di Bassiano con íncrollabíIe fortezza sostennero Ia casa Caetaní, in riconoscenza di che Giacomo accordò vari favori alle popolazioni. Dopo

i

il

Giuramento

degli ebrei.

i

feudi del Napoletano al secondogenito Cristoforo, fissò la propria dimora a Sermoneta, che divenne Ia capitale di quelli posseduti dal ramo primogenito nello stato ecclesiastico. Ciò spiega perché, dopo aver aggiunto agli statuti di Sermoneta un capitolo nel 1412, ne aggiunge un secondo nel 1427 ') e probabilmente anche gli altri 19 che si trovano registrati da altra mano in calce al codice. Essi sono aggiunte o modifiche agli statuti del l27l: ci dicono che I'omicidio commesso da un cittadino era punito con una multa di 100 ducati ; minore pena, ossia di 100 libbre, colpiva chi violasse una donna. Differenti pene erano infitte a chi offendeva altri con la spada, con schiaffi, con pugni, col bastone o con un sasso; e tutte queste pene erano raddoppiate se I'offesa non era stata preceduta da diverbio, salvo per quanto riguardava I'omicidio e la violenza contro le donne. b) Quando poi alcuno in una medesima rissa era percdsso e si vendicava o, prima di essere percosso, si era messo in guardia contro chi lo minacciava, non doveva essere punito; e, se nell'impossibilità di difendersi, fosse lecito ad un suo consanguineo di vendicarlo senza ricevere pena. E qualora I'oÉensore fosse fuggito dalla terra, I'offeso' o un suo consanguineo, non poteva trarre vendetta su un parente del fuoruscito finché non fossero trascorsi tre giorni dal delitto. La mutilazione d'una mano, d'un piede, del naso o dell'occhio era punita con ó0 libbre, e quella di organi minori, come un dito o un dente, con metà pena. E finalmente questo interessante piccolo codice termina con Ia formula imposta agli ebrei per il giuramento in caso che dovessero testimoniare in giudizio; ") essa è scritta nel rozzo dialetto della regione ed ispirata dal profondo disprezzo verso l'abominata setta e goffamente espressa in termini che, a parere dei cristiani, doveva sembrare più solenne e terribile agli ebrei. 1420, avendo donato

Il

giuramento così comincia:

Iuri tu per Deo patre omnípotente Sabbaot et per Deo lu quale apparse ad Mogse ín Rubro et per Deo Adonag patre et per deo Elog dícere úeîo sopre chello dello quale senag adímandato. Respundi ,, Iuro !, 5e fu t)eto non dicí, secte periurí, singhí disperso inler le genti et sínghi morto ín mani ilíIli inímíci log et che la terra te glocta como Dathan et Abiron et Ia lepra te apprehenda como Namag Sírum. Et sfo facta I'abítalíonte thoa deserta et t)enga soora te et Iu capo thgo et tucte Ie peceala [thgo etJ de a) Su domanda del consiglio dei 12 massad' Pto bono el pacífico statu homìnum el petsonarum cddrt &nníncll, statuisce che ogni parentela coDtratta sia perpetuamente rilP€ttata, e chi la riunegassc sia punito con I'enorme pcna di 100 6orini.

prowedimento mirò ad evitare gli inconvenienti che nascevano in seguito ai matrimoai celebrati durante lo scisma Forse

il

t)

Domus,l-2, op.

XXXIX.

davanti

a

sacerdoti seguaci degli antipapi.

b) Tale eccezione forse è spiegabile per il fatto che questi due delitti già comportavano il massimo della pena peculiaria. Per cause di ebrei, cf. parere legale di leronimo Buti' gella

")

del l5l4.XII.l8 (C-2171).


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l7

Evoluzioni del sec. XV

[1412-r5O3]

patfiIo et m,atrela et tucte Ie [imprecatJ iunj Ii qualj in nella lege de Mog[seJ ... [prJofeta sono. Et síano facti lj rtSIj [o{alnj et la mogliere thia oeduoa de te... Respunde: u Amen,,. Post quam iuraoerít. [Se tu haíJ iurato lo falso úenga sopra te Ia ira de Dio palre [et siJa facto ad te commo fo facto per tudtt ad Heloferne [et perdiJ lo lume dellt occhi como perdío Thobia.

*** Mi

pare del tutto improbabile che questi statuti, ancora tanto rudimentali, nmanessero m vigore fino ai primissimi anni del Cjnquecento quando furono redatti quelli borgiani. È probabile che Onorato lll Caetani (1442-1478), uomo meticoloso e sistematico nonché buon amministratore, facesse compilare nuovi statuti, assai piùr completi e consoni alle esigenze dell'epoca. La dura esperienza, subìta negli anni giovanili, e le numerose cause, che sostenne abilmente e con buon criterio giuridico durante quaranta anni di governo, gli devono aver insegnato la convenienza di dare al popolo di Sermoneta un equo e dettagliato codice civile e penale. Certo è che, quando Alessandro VI confiscò Sermoneta ai Caetani e vendette il feudo a Lucrezia con titolo ducale, egli, che già aveva concesso grazie speciali alla popolazione, volle che anche gli statuti che la dovevano governare, fossero diretta emanazione della nuova signora e non già quelli dettati dai Caetani, di cui ogni memoria come ogni persona doveva esser fatta sparire dalla faccia di questo mondo. Per tale motivo il volume pergamenaceo, che io suppongo esser stato scritto per ordine di Onorato III, fu mandato alla cancelleria del Vaticano Per esser emendato e riscritto in nuova e piìr bella forma. Gò è anche attendibile per il fatto che durante gli anni 1500-1503 I'antica sede della curia di Sermoneta fu rasa al suolo per dar posto alle nuove fortificazioni della rocca; ma I'argomento che toglie ogni dubbio sul luogo ove fu redattò e scritto il nuovo statuto si desume dal carattere, cioè il bellissimo minuscolo gotico librario della cancelleria pontificia, identico a quello delle bolle di Alessandro VI, nonché dalle artistiche iniziali miniate che abbelliscono il codice. Compiuta la nuova trascrizione, quella precedente degli statuti, come è naturale, andò perduta nei meandri dell'archivio vaticano o fu distrutta scientemente. Il Federici arguì giustamente che i cosiddetti statuti di Guglielmo Caetani fossero di origine borgiana, ma fu riservata a me Ia soddisfazione di scoprire che furono firmati da Lucrezia. Esaminando il nitido testo, deturpato poi da numerose rasure, correzioni, soppressioni ed aggiunte fattevi da Guglielmo, osseryai due cose: anzitutto che lo stemma miniato sul frontespizio era stato rabbiosamente cancellato e che quindi doveva essere quello di una famiglia nemica dei Caetani, cioè dei Borgia; in secondo luogo che nelle prime parole del testo, ossia : Sfaf utorum populí Sermonetaní per íIlustríssímum domínum dominum Guglíelmum Gaitanum efc. i due u, segnati in neretto, erano scritti su rasura e quindi palesemente sostituiti ad un a. Chi sanzionò gli statuti doveva quindi essere una donna, e nessun'altra se non Lucrezia Borgia, duchessa di Sermoneta. Portato il codice alla Biblioteca Vaticana e, per la cortesia mons. Mercati, sottoposto ai raggi violetti, di cui dispone I'annesso laboratorio, apparve evidente la frrma della bella, famosa

e tanto calunniata

donna, e precisamente:

î/./,i

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n

f,

u

i<ntza

/' fcn l-,"cy.efray àe bU," lna^ff^ I Domus,

ll,

3.

Statuti

di Onorato III.

Statuti borgiani"


l8

Revisione degli

statuti borgiani.

GLI STATUTI DEI CAETANI

Lib. I, Cap. II.

:

Questo codice, elegantemente rilegato in vacchetta marrone, stampato a secco e munito di < angoli o e fibbie di ottone, fu trovato a Sermoneta da Guglielmo Caetani quando ricuperò la terra. Egli si affrettò a scancellare dai fogli pergamenacei il nome dell'innocente usurpatrice e I'odiato stemma, come già aveva fatto di tutti quelli che aveva rinvenuto nella rocca o nella città. Il testo, benché foggiato sostanzialmente su quello di Onorato III, era stato redatto in nuova forma ed emendato probabilmente da qualche giurista della curia ponti6cia, con I'assistenza di una commissione di probiviri e notai di Sermoneta, che diedero lume sulle consuetudini ed anche sulla topografia locale. Guglielmo trovò molte cose da criticare nel nuovo testo e perciò affidò al proprio luogotenente in Sermoneta e Bassiano, Maurizio Boccarini di Amelia, ") assistito da una commissione eletta dal consiglio di Sermoneta, Ia revisione degli statuti borgiani. ll notaio principale di Sermoneta, Antonio Quadrassi, faceva parte di questa commissione come già aveva fatto di quella chiamata da Alessandro VI. La revisione del Boccarini fu radicale e si estese all'intero testo borgiano: dei 159 capitoli, 42 furono lasciati intatti, 12 furono soppressi ; i rimanenti 105 furono corretti con proforide rasure, cancellazioni ed aggiunte. Tra .le note scritte'in margine: oacat, non approbatum, cassum' consulendum, etc.; accanto'al capitolo XL, De pena facientís conoentículam, vi è I'interessante nota: Sergetur prout ín statuto antiquo. Dato che questo capitolo non si trova in quello del 127l-1427 (nè è probabile, dato il suo tenore, che fosse compreso nei primi fogli mancanti), è quasi certo, come anche ha supposto il Federici, che per statuto antíquo, si volesse indicare r) quello di Onorato III. In capo ed in calce al codice ed anche in uno dei capitoli il nome di Lucrezia Borgia fu raso con somma cura per sovrapporvi in grandi lettere quetlo di

Statuti

di

Guglielmo.

Guglielmo Caetani. Il codice borgiano così emendato non fu posto sul tavolo della curia per esser consultato (e ciò.risulta dal fatto che non è consumato ed unto dall'uso nel cantone inferiore dei fogli); ne fu bensì eseguita una trascrizione che contiene molte costituzioni, preparate su fogli separati, e così si ebbe l'esemplare di Guglielmo Caetani. Sebbene non indicata, la data della revisione non presenta incertezze; essa è del 1504-1505, che corrisponde al periodo nel quale Gugliehno fu intento a riordinare Io stato dopo tre anni di amaro esilio, a punire i traditori ed a scancellare ogni memoria dei Borgia. La stessa bolla di Giulio II del 24 gennaio 1504 lo autorizzava a considerare nullo ogni atto compiuto dai Borgia, persino le vendite fatte a contanti. Ed ora veniamo all'esame dei nuovi statuti. Un Schupfer e un Calisse potrebbero scrivere un interessante studio sulla portata e sul valore giuridico di questo codice; per necessità debbo limitarmi ad un esame generale, notando soltanto alcuni argomenti che, per il loro interesse umano, meglio si intonano alla Domus. Il primo libro si riferisce all'ordinamento della corte: a capo di essa era il capitano, nominato dal signore, investito di mero et míxto ímperío et gladíi potestate sulla comunità immedíatamente soggetta a luì come rappresentante del signore. A fianco suo due socií míIítes, eletti dal signore: oltre al compito di dare corso agli arresti, alle pene e ad altri atti ordinati dal capitano, adempivano le funzioni di custodi della pubblica sicurezza. Ad essi veniva commessa la cura delle esecuzioni, anche capitali, ma non credo che ad essi spettasse il sanguinoso ufficio del boia, a)

M.

Boccarini, durante

9 c. 10.'

i duri anni di esfio, rimase fiduciario di

Guglielmo in Roma.


Nuovi statuti di Sermoneta

llso3-15041

che avrebbe scemato il loro prestigio. V'erano inoltre nella curia I'erario che curava il lato finanziario, un notaio per il criminale ed uno per il civile. Secondo l'antica consuetudíne, i consiglieri, otto giorni prima di lasciare la carica, dovevano eleggere quattro mediales, i quali (dato che il popolo, anche inlquei tempi, non sine magna dificultate congregafi pofesf per andare a votare) eleggessero 24 probiviri, due per ogni decarcía, dei quali il signore sceglieva dodici per I'ufficio di consiglieri, chelldurava sei mesi. Essi, a loro volta, nominavano due sindici, i quali avevano incarico di difendere i diritti dei cittadini, specialmente delle vedove, degli orfani e di altri miserabili, ed eleggevano anche i oístallerios, gli acquarolí, i lectaroli, i custodi della campagna, i carceiones (o sbirri) ed i pacieri. Non era lecito ad aléuno di rifiutarsi all'ufficio pubblico, cui veniva chiamato. I curatori delle acque, detti acquarolí, erano quattro ed avevano il largo compito di prowedere al corso delle acque, alla manutenzione delle strade, alla sorveglianza degli stillicidi, delle cloache, dei confini di proprietà, etc. Il secondo libro degli statuti è interamente dedicato al diritto ed alla procedura civile, e la sua elaborata struttura probabilmente si basa su quanto Onorato III aveva già disposto qualche decennio prima; certo è che molte delle disposizioni, relative alle eredità ab intestato, ai tutori ed alla protezione dei minorenni, alle donazioni e ai contratti fittizi, alla ímuppurse come indispensabili becillità delle donne e così via, devono "rr", ad Onorato che, negli anni giovanili, subì i soprusi ed il malgoverno dello zio Francesco, il quale voleva privarlo dell'eredità paterna. Nel terzo libro De maleficiís, attributi squisitamente umani, vi sono molte disposizioni che interessano anche chi non sia uno studioso delle scienze giuridiche, perché gettano una viva luce sui costumi e sull'indole delle popolazioni romane agli albori dell'evo moderno. Anzitutto devesi osservare che la tortura, esclusa negli antichi statuti per i cittadini di Sermoneta, è ora ammessa per chi, entro cinque giorni, non riesca a purgarsi degli indizi di un delitto comportante una pena maggiore di 25libbre. La pena per omicidio volontario, relativamente mite negli statuti antichi, fu elevata a 600 libbre e all'esilio di un anno Fodero della spada u) del duca Valentino severità, impose usando maggiore Guglielmo, la in quelli borgiani, ma (Victoria Albert Museum). pena della decapitazione ; così pure sancì pene pecuniarie per I'uccisione compiuta dal padre o dal marito che sorprendevano in flagrante delitto Ia figlia o la moglie e l'uccidevano sul posto, mentre che negli statuti borgiani tali delitti passionali erano lasciati impuni. La revisione fatta da Guglielmo modifrcò varie disposizioni del barbaro medio evo, come la demolizione delle dimore degli omicidi e Ia pena del taglione, ossia la mutilazione imposta a chi, entro quindici glorni, non avesse pagato la pena pecuniaria perfeguale danno fisico recato

ad altri. considerate negli antichi statuti, aggiunse un gran numero di altre svariatissime, quali metter Ie mani addosso, buttare a terra, afferrare per i capelli, mordere, strappare i peli della barba, sputare in faccia, tirare per il naso, etc. ; ad ognuno dei quali atti, poco cortesi verso il prossimo, è applicata una speciale multa a seconda che

Alle minori offese punibili da multe,

a) Per

il

parricida o l'uxoricida tuttavia era riservata la pena all'arbitrio del signore'


GLI STATUTI DEI CAETANI

20

Lib. I, Cap. Il.

furono compiuti con maggiore o minore danno del paziente. Così anche era punito I'uso di parole poco lusinghiere come: ladro, assassino, cornuto, reoaglíoso ()), gaglioffo; era vietato di appendere un paio di corna sulla porta di un concittadino. Tra le bestemmie sono annoverate alcune vigorosissime, non piir in uso ai giorni d'oggi. I rei di grassazione sulla pubblica via erano giudicati ad arbitrio del signore; le crudeli disposizioni borgiane (e probabilmente di Onorato III) del taglio della mano, dell'accecamento di entrambi gli occhi e della forca, a seconda Ia entità della grassazione, furono abolite da Guglielmo. E giacché maggiore è Ia colpa di cht estíngue altri col oeleno che con Ia spada (scrissero i compilatori degli statuti borgiani), e che detestabile è con arti odiose e sussurri magíci debilitare o condurre a morte il prossimo o forzare i pudtct animali per libidine, tali colpe dovevano punirsi ad arbitrio del signore. Molte sono le disposizioni borgiane, non alterate da Guglielmo, riguardanti la violenza contro le donne, I'adulterio, I'incesto etc. Alla vergine deflorata il seduttore doveva costituire una dote, la cui entità veniva fissata dal capitano. Grave era la pena per chi avesse contatto con una ebrea, nel qual caso anche la donna era punita, e similmente I'ebreo che si fosse permesso troppa libertà con una cristiana; ma se i colpevoli di razza giudaica acconsentivano a farsi battezzare ed a sposare il correo, rimanevano impuni. E parlando degli ebrei ricorderò il capitolo che dice: CÀe nessuna erístiana osí o presuma dí allattare o dare íI latte ín .qualsírsoglia modo ad un bambíno deí giudeí sotto pena di cinque libbre, e viceversa. Guglielmo mitigò la pena contro chi commetteva íIIud oítíum per quod fua Dei oenít ín fiIíos dffidentíe et quínque cíoitates ígne combuste sunt; per la qual colpa gli statuti borgiani portavano; uh'enorme multa, il marchio rovente in fronte e, in caso di recidiva, la forca ed il brucianlento del cadavere. Il padre poteva castigare il frglio, il signore il servo, il maestro il discepolo, ed

il

marito la moglie con líeoe ed onata oerberatione. Ottime sono nello statuto borgiano le disposizioni date per l'incremento dell'agricoltura e,, in special modo, della frutticultura nonché quelle relative all'igiene. Le prime debbono farsi risalire

à consuetudini preesistenti, le ultime

sono da attribuirsi direttamente a Lucrezia Borgia.

Il capitolo

il primo soggetto comincia con un solenne proemio : Níente aooantaggía I'uomo pitt dí una lodeoole attiuítà e perciò, memori della consuetudine dei nostri maggiori í qualí a tuíte le arti p,referirono I'agrícoltura peî essere utíIí a loro sfessi ed aí posteri etc. Veniva imposto che i proprietari di vigne e di orti piantassero o innestassero ogni anno quattro alberi delle infrascritte specie I ptuna damascena, ptuna de frabí, pba ruspida, pira glacíola, píra muscarolla, precogua de Damasco, pîecoqua de Margre (sic), azarcIla, albergica alba, albergiea rubea, mala punìca duleia, mala punìca austera, piante tutte da importarsi dall'antica Calines (oggi Calvi Risorta), da Napoli, Gaeta, Fondi e da altri luoghi ove eccellono. Badassero i cittadini a tener pulite le case e le strade perché non vi fossero pestilenziali esalazioni e pericolo di malattie: inoltre fosse dovere di ogni famiglia di costruire subito delle fogne, che dalla propria casa s'imboccassero in quelle maestre, che dovevano eseguirsi a sPese della comunità ; ognuno pavimentass e entro un anno la strada davanti alla propria casa. ") Vietato riguardante

era I'antico, patriarcale, nonché pericoloso uso di vuotare i pitali dalla finestra, nè era lecito di condurre i ragazzini nella strada ad appollaiarsi contro il muro come tuttora si vede; e mi duole di dover constatare che il mio antenato Guglielmo fece togliere dagli statuti quest'ultima sì bella e saggia disposizione, promulgata da Lucrezia dalle trecce d'oro. a) Questa disposizione, benché transitoria per gli attuali di norma iper le costruzioni future. Il

abitanti, doveva servire

fu trucritta tale e quale negli statuti di Guglielmo indica che ad essa non era stata data esecuzione nel I 503.

fatto che


2l

Disposizioni varie

[1504-1554]

Dovrei dire ancora dello spurgo obbligatorio del Teppia e degli altri corsi d'acqua, dell'ascoltare la messa, del gettare erbe odorose e fiori sulla strada quando passava il Corpo

di

Nostro Signore e di simili disposizioni benefiche all'anima ed al corpo, che certamente debbono ascriversi alle benemerenze della prima duchessa di Sermoneta, la quale voleva vivere in una bella, pulita e distinta terra, dove però non credo che mai mettesse piede; ma già troppo mi di questi statuti pur avendo dovuto omettere, per mancanza sono dilungato nelle .. curiosità

di

"

spazio, molte osservazioni giuridiche

e

giurisdizionali

di

maggior momento.

rt** Per chiudere questo capitolo ricorderò che Camillo e Bonifaciq figlio e nipote di Guglielmo, fecero alcune aggiunte agli statuti I ma oramai era invalso I'uso dei bandi a stampa che venivano affissi ai muri; disposizioni più o meno transitorie non furono inserite negli statuti e formarono un corpus separato. Nella seconda metà del secolo XVI fu fatta una traduzione in volgare degli statuti di Sermoneta e questa rimase in vigore sino alla fine del secolo XVIII. ") Gli statuti di Bassianofurono redatti tra il I54l e il l554,in gran parte desumendo i capitoli da quelli di Sermoneta e foggiandoli ai bisogni locali. Nel proemio è affermato esplicitamente che esisteva già uno statuto, pubblicato dai progenífores di Camillo, ma per esser assai vecchio era talmente lacero e consunto che fu necessario rinnovarlo. Il Federici suppone con buone ragioni che con Ia parola progenitorcs si sia inteso ricordare Onorato III. Non mi trattengo a dire altro degli statuti di Bassiano perché questa terra, pur vantandosi di esser stata fondata dal famoso imperatore Caracalla e di portare altresì il nome di S. Bassiano, vescovo di Lodi, ha sempre vissuto all'ombra di Sermoneta e, in sei secoli di storia, non si è mai illustrata salvo per il fatto di aver dato ai Caetani mille grattacapi e al mondo il piùr famoso stampatore d'ltalia,

Aldo u)

Manuzio. L'ultima copia autentica degli statuti di Bassiano fu eeguita nel 1787.20.111.

Statuti

di

Basiano.


Caprrolo III. L^A PRIMA CONGIURA DEI CAETANI

DI MAENZA.

6515-t521)

oTro il

governo

di Giulio II e di

Leone

le provincie romane

godettero

l'ltalia

settentrionale era sconvolta dalle gli imperiali: guerre a cui spagnoli

pace e generale benessere, mentre che

e francesi, gli parteciparono attivamente anche i veneziani e I'esercito pontifrcio. --/ A Sermoneta Guglielmo si adoperò a sistemare lo stato e ad amministrarlo. Benché appena cinquantenne, era preoccupato del futuro perché la costituzione poco sana dell'uni"o figliolo Camillo, deforme per nascita, I'apparente sterilità della nuora' .Beatrice Gaetani d'Aragona, e la propria salute, minata dalla malaria, lo impensierivano per incessanti guerre

Testamento

di

X

Guglielmo.

tra

i

I'awenire della casata. Perciò il 2l gennnaio 1516 dettò il proprio testamento col quale creo il maggiorasco di casa Caetani, che ha durato sino ai tempi nostri, e dispose ogni cosa per la ,u""orion" nel caso che egli e il suo unico figlio morissero senza discendenza maschile. I parenti piìr prossimi, e quindi naturali eredi in tale eventualità, sarebbero stati i Caetani di Mu"nru, suoi cugini in secondo grado; ma il ricordo delle malefatte del vecchio Francesco, fanciullo, r) cpre governò lo stato di Sermoneta quando Onorato, padre di Guglielmo, era ancora le insidie da lui tramate sino al giomo della propria morte e la interminabile lite per ragioni d'interesse, che seguì tra i due rami della famiglia, facevano sì che avrebbe preferito che succee desse nell'avito stato di Sermoneta il diavolo piuttosto che questi prossimi ma poco stimati stimabili Parenti. u) Dirior" quindi per testamento che, nel caso disgraziato che la propria linea si estinil padre guesse, ion"rr" ,u"""J"r" il capo del ramo dei Gaetani di Fondi, e precisamente o o il fratello della nuora Beatrice; ma se anche in questa numerosa e prolifrca famiglia non vi da fosse stato un maschio legittimo che potesse diventare erede nel vasto dominio creato ulloro soltanto, doveva il patrimonio passare nelle mani dei signori Bonifacio VIII, allora,

di

"d

Maenza.

controversia sorta per I'eredità del caetani Costoro, detti i .<b)Sette Fratelli ,', nella interminabile erano una disprezzabile congerie in cui rifiorivano tutte le cattive di il;". padre loro Raimondo,

I

a)

Il

preessi 1520 e1555.Ord.cron. aàat.;Mísc-,C-21

racconto

del 1516, 1518,

è

tratto interamente dagli atti dei

(616). b) Raimondo testò

t)

Domus,

il

lE, lV. 1504, disponendo di

t-2, cap. XLVII.

esser

sepolto nella cappelta di S. Antonio di Padova nella chiesa collegiata di Maenza; lasciò eredi i settefigli,prowedendoalla dote delle numeros€ 6gliole. Esecutori testamentari furono Gu' glielno Caetaui e I'arcivescovo Conti (C'2507 et al')'


23

Cause delle inimicizie

[1504-1516]'

cattive qualità dell'avo Francesco: li vedremo fabbricare e spacciare monete false e prestarsi ai più volgari delitti, non rifuggendo neppure dal fratricidio ed ineessantemente ordendo congiure e tradimenti; essi seguivano con occhio vigile quanto succedeva entro le rnura della rocca di Sermoneta e speculavano sulle rosee possibilità del futuro. Dopo la morte del padre, erano stati educati sotto Ia tutela di Guglielmo, il quale si occupò di loro per dovere se non per amore; il 23 maggio 1505 interessò vivamente il marchese Francesco Gonzaga perché prendesse a suo servizio il giovane Francesco, desideroso di esercitarsi nel mestiere delle armi di cui non era del tutto inesperto. l) Ma, trascorsi pochi anni, i Caetani di Maenza si scordarono dei benefizi, e tornarono loro in mente le cupidigie e nel cuore I'odio del perfido avo. Pietro, uno dei Sette Fratelli, fu sentito esclamare : ,, Volesse Dio che fosse morto Io sígnor Guglielmo domanì; et tuctí quantí sanno che ad altri non poteria recadere (Sermoneta) se non a nui/ Era convinto che il gracile ', "non Camillo avrebbe vissuto a lungo. Pare che i Caetani di Maenza subodorassero quali fossero le intenzioni testamentarie di Guglielmo;'. anzi temevano che il giorno che morisse, o i Margani o i Conti o gli Orsini avrebbero messo subito piede nella rocca per parare qualsiasi loro mossa: il che reputavano sarebbe stata ingiustizia gravissima perché, avendo certi diritti di condominio sull'avito patrimonio e non ritenendosi soddisfatti nel godimento delle rendite, traevano da ciò argomento per pretendere più del dovuto, pronti a valersene come pretesto per metter le mani sull'intero stato. Per tutte queste circostanze I'idea d'impossessarsi in un modo o nell'altro di Sermoneta andò prendendo forma sempre più concreta: i fratelli si concertavano tra loro; le ipotesi diventavano progetti concreti. Le offerte ed i suggerimenti, che pervenivano loro dai nemici di Guglielmo e da gente avida di rapina, ben presto condussero all'ordimento di una vera congiura. Capo di questa fu Pietro Caetani il quale, in attesa che si compiesse la divisione ereditaria, aveva il godimento della tenuta di Norma. Inoltre, non saprei dire sotto quale titolo, era padrone della piccola badia dei SS. Pietro e Stefano di Valvisciolo, situata a metà strada tra Norma e Sermoneta, in una fresca insenatura al piede di monti, ombreggiata da grandi alberi e ricca di vigne, di orti e di agrumeti. Pietro vi abitava ed intendeva restaurarla ed ampliarla appena ultimati i lavori che stava facendo a Norma, ove aveva messo mano alla costruzione, e forse meglio, alla ricostruzione della tocca. u) Le prime mosse della congiura risalgono al principio del 1515. Un tal Cola di ser Nicodemi e lo zio suo materno, Francesco Colamatti, andarono un giorno a visitare Pietro nell'abazia e, mentre passeggiavano su e giir per le arcate del piccolo chiostro gotico, il Colamatti cominciò ad esplorare il terreno parlando a voce bassa. ,, Volesse Dio, sospirò, che fosse cosi píaceoole lo sígnore Guglielmo com'è Ia Signoría Vostra; fsaial bene per tuctí Iì oaxallí. Ma non se potería far cosa ehe Ia S. V. ce mettesse capo ín Sermonetal Pietro rispose che meglio " non poteva desiderare che il cugino e suo figlio emigrassero all'altro mondo, perché in tal caso a) Questo cmtello Gorì e edde unitamente a Ninfa. NelI'ott. 1202 furouo definiti i confini tra il territorio suo e quello di Collemedio (Vafia, l, p. 5). Prosperò sino ai tempi del grande scisma; poi fu abbaadonato e cadde in rovina (Reges!4, V, p. 285) e rimase completamente disbitato per circa trenta anni. Dopo che Pietro ebbe ultimata la rocca, suo fra-

tello Francesco diede mano alla ricostruzione ed mento del paese.

/l

al ripopolaín Norma

sígnot Frcncesco, essendo capíIalí

ceill Píemontesi ch'ercno

smontalí

r) Atc, Mant., E. XXI. 3.

a

Tenacína, Ií fece comen-

cíat a edìfisare delto luogo et Ií fece comencíar a fat le murcglia el Ie case che a quel tempo (1529 c.) non c'eta ín detto Iuogo se non una tonetla corne una palombara et

íI

sígnotefece

fare Ia Chîua dí S. Mafia el molte case preslando denafi a quelli ch'edrficaùano le case agiutandolí accíò píît facíImente polesseto cdíficare, na Ia chlesa Ia lece farc lulla a sue spese. Francesco vi abitòsin verso ill545t nel 1553 lo donò al6glio Antoaio,

il

quale continuò

p. l74i C-72E0'l).

il lavoro di ricoslruzione (Mísc., C.2l

Prima congiura.


LE PRIME

CONGIURE DEI CAETANI

DI MAENZA

Lib. I, Cap. III

.

lo stato ricadrebbe di diritto nelle sue mani. Allora il Colamatti: " E che senza che se moîessero non ce potîestí entîaîe? > - u In che modo? > - Il cospiratore si spiegò meglio. Pietro aveva tanti vassalli e tante comodità che avrebbero reso possibile I'impresa: anzitutto, questa badia ai piedi di Sermoneta, che si prestava tanto bene per concentrarvi segretamente un forte corpo di gente armata; entro Sermoneta stessa, una casa della badia dove si sarebbe potuto nascondere lo stuolo che avrebbe compiuto il colpo di mano; tra i dipendenti di Pietro, i parenti e gli amici del Colamatti (che erano numerosi), nonché tra molti de' vassalli dello stesso Guglielmo, ./

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)

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F\tàí

chiostro

Varviscioro

del suo governo, non sarebbe stato difficile riunire quelle due o trecento persone occorrenti ; inoltre, messa la terra a rumore, certo nessuno si sarebbe mosso contro di loro perché il signore en tanto mal ooluto. " Et de po' che fossí dentro [la rocca], esclamò, scatsamente ne usceressi maí píùl Che te ne oole piìt cacciare? " Pietro Caetani ascoltò con soddisfazione; I'idea gli piaceva, e piùr ci ripensava e più s'infervorava all'impresa. Allo stesso tempo gli cresceva la stizza contro il cugino z ,, Guarda.ad che díaoolo ha messo ín canna questo boccone di Sermoneta, andava esclamando, ad homo che nollo merita et che non sello sape goderel " Ed ai seguaci egli aggiungeva: u Et non credete oui, con tucto che io mostro essere intrinseco (amico) col signor Guglielmo, che non tengo Io oeneno nello stomaco ! Ma nante che fosse un anno oedrete che sapeùa fare Petro Gaíetano ! " Il Colamatti fu I'organizzatore dell'impresa e si mised'impegno perché ce I'aveva personalmente con Guglielmo: egli era, in quel tempo, concessionario della pesca dei laghi di Fogliano e di Caprolace, ma, nelle subconcessioni che faceva, fu impedito da Guglielmo di disporre della Fossella, ossia del lago de' Monaci, che era proprietà dell'abazia, e quindi di Pietro Caetani; in tale occasione non aveva esitato a rivelare I'animo suo esclamando: .. Non passerà troppo tempo che eI signore Pietro ce farà bastonare a capoculo cht glt la oorrà tran)ersarel " Pro-

scontenti

Preparativi.

r"l**,î;


Organizzazione della congiura

[1515-rett. 1516]

25

di farli ricchi, andava ingrossando la

schiera de' congiurati e per penetrare nella tortezza fece trattato con Ercole Negri, che n'era sergente ed aveva la chiave di una porta d'accesso alla cittadella, avancorpo fortificato prospiciente verso mare; anche Giacomo di Maenza, mettendo a tutti

portioe della rocca, fu indotto a cooperare. ll modus operandi doveva essere il seguente:l) da 30 a 40 congiurati si sarebbero riuniti in una casa di Sermoneta o vi sarebbero penetrati di notte per Ia Porta delle Noci, che è vicino al castello. All'ora convenuta, Ercole avrebbe aperto I'accesso alla cittadella, e penetrati da lì nel grande fossato detto il " Giardino ", sarebbero potuti giungere al primo ponte levatoio. Se per caso non fosse stato possibile, di notte, forzare I'ingresso, dovevasi aspettare sino all'alba, quando veniva spalancato il portone per lasciar uscire i muli che andavano ogni mattina a prendere la legna. Penetrati di sorpresa e sopraffatta la debole guardia, avrebbero alzato il segnale convenuto e Pietro Caetani sarebbe accorso dall'abazia, in cui doveva tenersi pronto du" o trecento uomini armati. "tn Il progetto aveva buona possibilità di riuscita, senonché un volgare omicidio, eseguito dagli stessi protagonisti, fu causa che si scoprisse I'intera congiura. Tra i Nicodemi ed un certo Benedetto di Govanni Francesco di Sermoneta vigeva un'antica inimicizia che, per il ripetuto intervento di Guglielmo Caetani, fu accomodata alla meglio ma non mai definitivamente sedata. I Nicodemi, smaniosi di vendetta per un insulto patito, si rivolsero a Francesco Caetani di Maenza perché desse loro tre o quattro uomini con i quali uccidere Benedetto, alla qual cosa Francesco acconsentì senza difficoltà; poi il Colamatti ofierse 100 ducati a Pietro perché facesse ammazzare il nemico dei Nicodemi, ed il nobile signore rispose ai suoi confederati: .. Non Ma gli altri insistettero perché accettasse il donativo per comprarsi ' bísogna guesto tra noí/

"

un corzeil.

Il

delitto ebbe esecuzione nell'ottobre del 1515. Nicolò di ser Nicodemi con alcuni sicari armati assalì Benedetto sulla via pubblica, nella località detta I'Arco di S. Silvestro, mentre tornava dal santuario di Loreto e, feritolo nel collo, lo lasciò sulla strada in un lago di sangue, in tali condizioni che incontínente fu portato ad ecclesíastica sepoltura. Fu istruito un processo: il Colamatti ed il Negri riuscirono a fuggire, ma tre dei colpevoli, Leonardo Pistiglione, Masio di Piperno e Cola Nicodemi furono portati davanti a Pietro Paolo Anibaldi di Zancati, velletrano, capitano di Sermoneta, per essere giudicati. Nel settembre del 1516 i colpevoli furono intenogati nelle oscure carceri dette le Camere Pinte, che sono al pianterreno del maschio; erano state un tempo stanze di signorile abitazione, bene affrescate, ma, con la ricostruzione della rocca da parte dei Borgia, le belle finestre bifore erano state ridotte ad angusti spiragli, protetti da pesanti sbarre di ferro. Lì quei sciagurati furono sottoposti alle solite torture e, per lo strazio delle carni, confessarono non solo I'omicidio commesso' ma anche quanto sapevano sulla congiura ordita contro il signore Guglielmo ed il suo stato. In breve successione furono pronunziate le sentenze di morte; Francesco Lercio di Velletri, socio miiite, ricewto I'ordine di eseguirle, in meno di mezza ora (le cose si facevano alla spiccia) tornava a riferire al giudice che i colpevoli erano stati appiccati ai merli del torrione della Calatora, dal lato verso il mare, ossia sopra la stessa località in cui doveva compiersi il tradimento. Ciò aweniva in presenza della popolazione accalcatasi sul piazzale degli Olmi, affinché il supplizio servisse

di

a)... ul r) Vedi Domus,

ammonimento eíus pena

pianta

ll,

4.

À

a tutti i

sít metus multorum

vol. l-2,

p. 252.

vassalli. ")

et

transeat alìís

ín exenplun (C'2714).

Delitto

del Nicodemi.


LE PRIME CONGIURE DEI CAETANI DI MAENZA

Lib. I, Cap. Ill.

veri colpevoli, ossia i Caetani di Maenza, non c'era modo di procedere perché anzitutto i signori di Sermoneta non avevano veste per erigersi a loro giudici; negli atti compiuti non c'erano poi elementi tali da giustificare le autorità ad agire a carico di essi per crimine contro lo stato ecclesiastico. Tutto quello che Guglielmo poté fare fu di processare i propri vassalli per omicidio ed alto tradimento e di raggiungere I'intento che, mediante gli interrogatorii, Contro

i

risultassero chiaramente

di

Divisione dei Sette Frqlelli.

Seconda

macchinazioni

dei

signori

Maenza.

Rimaneva sempre la facoltà di regolare i conti per via di giustizia privata, e per questo motivo Pietro considerò prudente di fare una cavalcata sino a Firenze, donde si recò a Genova, accompagnato da Ercole Negri che, anch'egli, aveva reputato meglio di cambiare aria. Giunti a destinazione, ebbero notizia del supplizio dei tre congiurati loro compagni. Per qualche mese vi fu una sosta nelle mene'. dei cospiratori perché fu necessario defrnire la divisione ereditaria dell'asse patrimoniale, lasciato dal padre loro Raimondo, divisione che si trascinava da tredici anni ed aveva dato origine ad aspre ed odiose liti fra i tredici frgli. (Le ortiche si moltiplicano con facilità !) E così si venne alla famosa u divisione dei Sette Fratelli ,,, ricordata sovente in tutte le questioni ereditarie dei Caetani di Maenza per due secoli a venire. In sostanza si convenne che, soddisfatto alle doti delle varie sorelle, Nicola, Onorato, Giacomo e Cristoforo prendessero Maenza e I'lsola, mentre a Pietro, Francesco e Giovanni-Vincenzo dovevano spettare Norma e Roccagorga. I fratelli poi costituirono una specie di fedecommesso, per cui nessuno di essi o i loro discendenti potessero mai, in qualunque modo e per qualsiasi ragione, alienare una parte delle terre de domo de Gaitanis. Torrione della Calatora. La convenzione fu firmata il 15 aprile l5l7 ín l) Mflmis in camera turrìs Domus seu palatií del rev.-" arcivescovo Conti, ossia in quel monurnentale edifizio, opera dell'imperatore Traiano, tomato ora alla luce per cura del regime fascista

un tempo fu la rocca dei Caetani. Ultimate queste faccende e rasserenatosi un poco il cielo, i fratelli di Maenza decisero di rinnovare il tentativo; a ciò furono incoraggiati ed istigati dai Colonnesi e dal partito spagnolo. Nella nuova cospirazione essi cambiarono ben poco nelle disposizioni prese la volta precedente: fu convenuto che un tale Sermignano avrebbe portato seco dei terebellÍ, ossia una ,p""i" di grossi chiodi che, conficcati nelle connessure delle pietre, avrebbero permesso ad uno dei congiurati di scalare il grande muraglione del Giardino e di attaccare le scale a corda' con le quali sarebbero saliti gli altri. Impossessatisi della rocca, si sarebbe dato il segnale a Pietro che aspettava nell'abazia e, al grido u Colonna, Colonna ! Spagnà, Spagnal ,,, sarebbero

e

congiura.

le

che

1\ C-2731.


[ott. 1516-ott.

Nuovi tentativi

1519]

27

usciti dalle case i parenti e gli amici dei congiurati per prestare loro man forte. Ma I'impresa, messa in atto, abortì per ragioni non precisabili e I'insuccesso fu comunicato a Pietro da un suo porcaro mediante un biglietto nascosto nell'interno di un bastone. Il fatto deve essere accaduto verso il mese di maggio I 51 7. Il lato piìr grave di tutta questa faccenda era che dagli interrogatorii risultò la connivenza, anzi il diretto incitamento de' Colonnesi; ritroveremo la loro mano anche nelle altre congiure che seguirono. Il movente era probabilmente duplice: privato e politico. Le inimicizie tra le due casate, nonostante i secoli trascorsi, erano ancora vive: ricorderò la lite per la spiaggia di Fogliano r) ed il fatto che Prospero Colonna aveva spossessato i Gaetani d'Aragona, cognati di Camillo, del loro ricco stato di Fondi; peraltro, i signori di Sermoneta tuttora pretendevano che i feudi del Napoletano spettassero loro per diritto ereditario. Dal lato politico, i Colonnesi del Regno erano per il partito spagnolo, mentre i Caetani di Sermoneta erano in favore della Francia.

i preparativi, per quanto vani, costavano denari. Francesco, fratello di Pietro, ideò di procurarsi i mezzi necessari battendo monete

L'organizzazione

di

queste cospirazioni ed

Perciò false. Nel mese di settembre del 1517, mentre si trovava a Roccagorga, gli capitò davanti, in cerca di un sicuro ricovero per la notte, un tale" mastro meccanico, Antonio di Giovanni Antonio da Castro. Francesco co' suoi consueti modi villani lo investì dicendo z ,, Tu si eI maloenuto ! te ho mandato petendo tre oolte et maí si oenutol " Poi soggiunse: ,, Voglio che me facci uno horologio r. Ma I'indomani, parlando in modo piìr confrdenziale, gli comunicò che voleva che I'assistesse a battere monete false. Antonio da Castro si scusò dicendo che non conosceva il mestiere e che non aveva i conii e gli altri ferri necessari ; allora Francesco concluse sorridendo :' u O tu Ie bactí, o io te appiceo! Le stampe Ie ho io e ciò ehe fa mestíerì >,. Così il bravo maestro fu costretto, non saprei dire quanto contro volontà, a mettersi all'opera. Per I'officina si scelse una stanza segreta dove c'era anche un alambicco. Il lavoro fervé per due mesi e mezzo: si battevano quatrene e filene, e lo stesso Francesco aiutava spianando Ie monete ed arrotondandole con le forbici. Govanni-Vincenzo, fratello di Francesco, veniva ad assistere alla lavorazione che si faceva alla chetichella quando tutti gli altri dipendenti avevano staccato dal lavoro. Le monete si spedivano poi in segreto in Roma a Pietro Caetani che trovava modo di smaltirle. I denari dovevano servire per pagare quello stesso Sermignano ed altri fedeli di Francesco per tentare un nuovo colpo di mano, ma questa volta contro Bassiano. Avevano maneggi con alcuni dentro il paese, in particolare con Nardo Cifra, probabilmente parente di quel Giovanni Cifra che fu impiccato da Guglielmo per alto tradimento al tempo dei Borgia; volevano impossessarsi della terra o almeno saccheggiarla e bruciarla per dispetto agli odiati cugini. Tutta la faccenda fu scoperta e, nel gennaio 1518, fu istruito un processo' ma questa volta ancora i piccoli furono torturati e puniti a Sermoneta, mentre i patroní venivano lasciati in pace. Anzi troviamo che, non molto tempo dopo, Guglielmo cortesemente prestava 60 ducati

Fabbricazione

di

monete false.

al cugino Pietro. Non rimaneva quindi altro da fare che di riprovare il colpo, e ciò awenne negli ultimi giorni di ottobre del l5l9; anche questa volta I'istigazione e l'appoggio provenivano da parte dei Colonnesi ed in particolar modo da Prospero, che tenevasi pronto a Genzano per venire in aiuto qualora fossero entrati in Sermoneta; 2) ma il caso era piùr grave ancora perché risultò 1) Domus,

l-2, p.98,

,) c-2809. XIX.

Terza congiura.


LE PRIME CONCIURE DEI CAETANI DI MAENZA

28

palese che essi avevano.offerto favori

ai

Caetani

di Maenza al fine di far

Lib. I, Cap. Ill.

ammazzaÍe Guglielmo

e suo figlio Camillo.') S'era anche ventilata I'idea di legittimare poi il possesso di Sermoneta dando Ia vedova Beatrice in moglie al cospiratore Pietro Caetani. In quanto alle altre donne si aveva mente di espellerle nude dalla rocca. r) Il tentativo così avvenne: il giorno 28 furono mandati da Roma 150 fanti; giunti questi all'abazia, furono di notte nascosti venti uomini armati, vestiti da bufalari, in una casa vicino alla Porta delle Noci; avevano costoro intelligenza con uno della rocca, il quale doveva calare una corda dal cammino di ronda, che sovrasta il u Giardino >, e tirar su Ie scale di funi con cui sarebbero penetrati nella fortezza. Aveva questo stesso individuo preso I'impronta delle chiavi, dimenticate un giorno dal castellano sul proprio letto, onde aprire tutte le porte entro la rocca. Pietro, come al solito, si teneva pronto all'abazia per accorrere al momento opportuno. Il tentativo fallì per qualche ragione non spiegata e dovevasi ritentare prima di Natale. Ma un certo Francesco Toscanella, detto Francesco Romano, avuto awiso per mezzo di un bigliettino dall'Ariccia, svelava la congiura ad Eusebio, b) il fidato cancelliere di Guglielmo, ed in massima fretta mandava a questi Ia seguente lettera con la soprascritta 2 ., Mandatela subito oolando ,r. 2)

IIl.^o 5.," mio. Lo grandissímo amore et fdel et antiqua seroilù ho con V. S. Ill.^' me danno in haoere cura delle cose de V. S. che de ciò r:e scrioo magior tímore ho che deme sfesso. Con grande industria a questi giorno da un ò ìnteso Io horrendo trodimenlo era stato ordinato contra V. S.'ío; la donde fngendo lo secreto con luj, me manifestò come luj, insemi con oìnti persone, dece gíorni stettereno noscosti ín Sermonela in casa de uno della terra, canto alla stalla della porta, traor'slití da bufalaro; et più dentro la rocca era uno qual menarsa iI tradímento in questo modo: che che (!) questi de fura hat)eane cinque scale et queslo che era dentro haoea da porgerc una nocte Ie corde; et più era alla badia uno aguado grande de docenli persone et la nocte oeniane in sino al monte. Et tanto più timea de V. $.tía slls loro haoeano pígliati la inprompta con ceîa delle chíaoedella S. V. donne apfirane le Iar chíaoe Ie porte, sicchè haoelriane possuti íntrore, anzi mee dice che assai de quelli della tena ce causa

leneano mane. Donne, Sìgnoremio, anchora slo con gran paguîa inperò ho ooluto adoisare V. $.ria o ciò possrale guardafle. Diceme anchora che non è Natale che' Ioro íntraranno dentro ben. Prego V. S. non faccia come fe il protonotaro c) che non oolse credere alla lettera míe. (Jmìllimo seroilore de V. S. Francesco Toscanella alías Francesco Romano.

Ed

allegato era

il

biglietto rivelatore:

Voi como oilontione che sete non me aoisaressit)o maj de cosa nooa. Le nooe che sonno qui sonno queste : che questi s.,i de Maenza fanno I' impresa de Sermoneta et hogi passano de quí con forza 150 fanti et con ordíne de scale de furare una forlezza. Se haoete modo de sen)ire et gratuìroe a qualche nostro o^íào rc ne ho ooluto adoisare; non altro; me te racomando. Aritíe, díe 28 octobrc 1519.3) Connivenza

dei Colonna.

Appena ricevuta questa lettera, Guglielno, benché già malato, si adoperò a prendere i provvedimenti del caso: fece subito awertire lo zio della propria moglie, Stefano Conti, ed il cognato Federico, abate di S. Gregorio al'Celio. Il primo rispose a volta di corriere assicuFrcncíscus Caelanus rcspondít ad domìnum: ... noí semo slati ínímícl et scopeilí et semo statl messi aI ponto da cosa Colonna et ofertocí faoorí che ilooessímo atntnazzare íl o)

D.

et sígnore Camillo el mai oolsí consentíre(Tedel 1555, Mísc., C'21 (61ó)' P. 209)- II R-''

sígnor Guglielmo

stimonianza

(card.) de Ii Contí ... ìlíce haoet confeilo con loro (i C. di Maenza) albe oolte soprc ques!í loro molí. Et che lí ha chíaití che quanno

lorc píglíassero Ia rccha et tena de olbí et oolendo ín seníre del sígnot r)

c-2812.1.

e)

Sermoneta fatígafiano pet

Prosperc quale ha hatuta

c'2E09.xvl.

I

c-2809'1.

míra aìl oolet un dl farse patrcn de Setmoneta ad che sîgnott parcnll(di Maenza), díce, nonlíhanno rcsposlo altrc se non che tucto guesto eîa ùeîo et che loto Io cognosceoano sempre

Il

(C-2809'VI b)

Il

bis).

è probabilmente Io stesso Euseóio de Panaiís, chíeríco dí Brescía, che nel 1520 appare come cancelliere Eurebio

di Camillo Caetani (Regesla, Yl, p. 314). c) Accenno alla miserabile fine del protonotario Giacomo Caetani nel 1499.

procuratore


[ott.-dec.

Reazione dei Caetani

1519]

29

rando ogni possibile assistenza; dichiarò non ooleî esser paîente de parola ma de facti e che ooleoa mecter peî Guglietrmo per ínfina alla oíta bìsognando, ed intanto inviava a Roma il nipote Federico per mettere la Corte a rumore, per richiedere provvedimenti ed invocare aiuto. L'abate era in causa perché i congiurati, oltre ad ammazzare Guglielmo ed il figlio, avevano avuto in mente di spacciare anche lui come fido amico della Casa. Egli si rivolse subito al cardinale Medici (4 nov.) il quale, preoccupato della gravità della cosa, chiese di vedere i capitoli (della congiura ?) e I'elenco dei nomi delle persone coinvolte in modo da poter provvedere. l) La notizia della congiura si sparse per Roma come un baleno, e nella Curia e per le strade non si parlava d'altro; gli agenti de' Caetani dovevano schermirsi dalla gente che li assillava di domande. Speciale sapore allo scandalo era dato dal fatto che già si sapeva che Prospero Colonna aveva profuso larghe promesse ai signori di Maenza. Lo stesso pontefice, sdegnato di quanto era accaduto, volle esser informato di tutto e promise di dare a Guglielmo ogni possibile appoggio. Questi però, stanco, malato e disgustato, era piuttosto inclinato ad essere ciemente malgrado Ie vivaci rimo-

di Allo

stranze

Eusebio.

2)

stato dei fatti, il cardinale Medici lasciò cadere la cosa forse anche per riguardo agli alti personaggi coinvolti. Tuttavia i signori di Sermoneta attendevano alacremente a fortificarsi e ad armarsi; già troppe volte si erano rinnovati questi tentativi e, ora che si dubitava che Guglielmo potesse vivere molto piìr a lungo, la situazione era piìr pericolosa che mai. Il frdo Eusebio faceva larghe prowiste di armi e munizioni, che venivano raccolte nel palazzo Leone X. (Dal quadro di Rafaello, Firenze). all'lsola di S. Bartolomeo per esser poi spedite a dorso di mulo, segretamente e di notte, imballate entro ceste di pollaroli, essendo severamente proibito di trasportare armi senza licenza delle autorità; la difficoltà maggiore era per le alabarde che mal si potevano camuffare. Ai primi di decembre Guglielmo decise di recarsi a Roma, non solo per conferire col papa e con i cardinali suoi amici, ma anche per avere un abboccamento con Prospero Colonna; il cardinale Medici sperava che da questo colloquio sarebbe potuta scaturire Ia pace tra le due famiglie. Comunque, fu stimato prudente di dare a Guglielmo una buona scorta di balestrieri e soldati del papa, dovendo egli traversare le terre dei Colonnesi presso Marino. Tante preoccupazioni debbono aver contribuito ad aggravare il male di cui sofhiva Guglielmo

che, verso la metà di dicembre, spirava. Nella grande rocca rimase solo in comando Camillo, giovane poco piìr che ventenne, gobbo e di costituzione gracile, inesperto nelle armi, sul quale ricadeva ora I'intera responsabilità di guardare il vasto stato e di proteggere sua madre, Francesca Conti, la giovane sposa Beatrice e I'infante Bonifacio; la sorella Ersilia era già sposata a Govanni-Francesco Orsini. Camillo era I'unico uomo di casa Caetani, ma poteva confidare sui Conti, suoi parenti, che abitavano a breve distanza. I) C- 85

0.

)

c-2809.XV

di

Morte Guglielmo.


LE PRIME CONGIURE DEI CAETANI DI MAENZA

Terzo processo.

Saccheggio

di

Bassiano.

Tuttavia, malgrado il suo fisico poco awenentg il nuovo signore di Sermoneta era uomo di mente elevata, colto ed energico, capace piùr de' suoi predecessori di amministrare lo stato e difenderlo dai nemici. Fece dare alacremente corso al processo contro i congiurati, e negli interrogatorii fu rivangato tutto il passato della congiura dal I 51 5 in poi. Il traditore Ercole Negri cadde nelle mani della giustizia; non sappiamo quali furono le sentenze del tribunale, rna non debbono essere state meno severe di quelle precedenti. Per dimostrare che non era intimorito dagli infidi parenti, Camillo, poco dopo, fece chiedere in modo perentorio a Francesco Caetani che pagasse certi denari che gli doveva il fratello Pietro. Questi si trovava allora in Inghilterra, ove era andato a raggiungere il legato cardinale Carafa (poi Paolo IV), contento di valersi di quest'occasione per allontanarsi da Sermoneta. Francesco rispose che suo fratello era gentiluomo e che avrebbe pagato quando tornava; ma Camillo, senza curarsi d'altro, catturò un branco di porci di Francesco e, condottili a Bassiano, li fece macellare e vendere in piazza. Avido di vendetta, Francesco decise di sferrare un colpo di mano contro Bassiano, ed a tal fine chiese a Prospero Colonna di prestargli della truppa; questi rispose immediatamente inviando da Vico, Ceccano, Supino e da altre sue castella circa 150 uomini armati che, nella notte dal sette all'otto novembre 1520, si riunirono entro Roccagorga. Furono chiuse le porte della terra perché noú trapelasse la notizia. Le truppe furono rifocillate nella rocca e, fattosi giomo, la comitiva si awiò per Ie valli scoscese del Semprevisa verso Bassiano. Precedeva Onorato Caetani con alcuni cavalieri e dodici fanti e, a mezzo miglio di diGiovanni Medici dalle Baade Nere. stanza, seguivano i fratelli suoi Francesco e Giovanni con il rimanente della gente; e così, protetti dalla copertura dei folti castagneti, si awicinarono sin sotto al paese che s'innalza sopra un cocuzzolo roccioso. Era già l'ora del vespro ed i contadini stanchi tornavano alle case loro quando, ad un tratto, scoppiò grande tumulto all'ingresso della terra: al grido ,, Colonna, Colonna ,, e u Gaitana, Goiionol ,, Onorato e Govanni si erano impossessati di sorpresa della porta e con la spada in pugno e la rotella al braccio tenevano a rispetto le guardie e la spaventata popolazione, mentre che dal bosco accorreva il grosso della truppa. In pochi minuti si scatenò la confusione nelle anguste e scoscese viuzze del paese e, in mezzo al fuggi fuggi generale ed alle stridule grida delle donne, la soldatesca si precipitò nelle case per darsi al saccheggio malgrado gli espressi ordini ricevuti ; chi mandava a bordello ogni cosa nelle stanze, chi st ubriacava nelle cantine ; e così, per un poco, durarono le cose finché, fattasi notte, sopraggiunsero le truppe di soccorso inviate in fretta e furia da Sermoneta ; furono tirate archibugiate e ci fu grande baruffa senza uccisione di gente; gli aggressori si sbandarono e fuggirono, salvo alcuni che, attardatisi a saccheggiare

Punizione

dei Caetani

di

Maenza.

Lib. I, Cap. lll.

o a bere, rimasero

prigionieri.

Tanto afironto non poteva rimanere invendicato; le mene dei Caetani di Maenza contro una fortezza dello stato pontifrcio e la connivenza dei Colonna e della Spagna uscivano dall'orbita dei dissidi famigliari. Perciò, su istanza del cardinale Farnesg cugino di Camillo, I-eone X mandò Giovanni Medici dalle Bande Nere, lo strenuo condottiero, con un esercito contro i


Conflitti e concordato

[gen. 1520-mat.15221

3t

di sangue; furono pure occupate Maenza e Norma (princ. gen. l52l) e queste terre furono guardate dal papa per circa tre mesi. Onorato di Maenza fu imprigionato a Castel S. Angelo e tenuto come ostaggio. Ordinò contemporaneamente il papa che le vertenze d'interesse su Sermoneta e le altre terre fossero sottoposte all'arbitrio del cardinale Alessandro Farnese e di Pompeo Colonna e che, se i Caetani di Maenza si fossero rifiutati a stipulare un compromesso, avrebbe raso al suolo le loro castella. Contro tali ordini costoro fecero solenne protesta dichiarando che, sottomettendosi, lo facevano solo perché costretti dalla forza e dalle minacce. l) Il processo ordinato dal papa fu tirato a lungo per due anni. Nel marzo del 1522 Vespasiano Colonna si fece intermediario tra le parti per una tregua u) e finalmente, il 13 mano dell'anno seguente, si venne ad un solenne compromesso per cui i Caetani di Maenza rinunziavano a qualsiasi pretesa sulle terre di Camillo; questi cedeva a loro tutti i suoi diritti ed il terzo che spettava a lui su Norma e sborsava 14000 ducati d'oro larghi. Camillo, inoltre, avrebbe pagato a Pietro 400 ducati I'anno finché fosse riuscito ad ottenergli una o piìr cariche nella curia romana, Ie quali ammontassero a piir di detta somma; ciò che egli si sarebbe sforzato di ottenere entro lo spazio di cinque anni. Firmato il compromesso, il papa Adriano VI, seduto in cattedra, nella sua stanza, consacrò e sanzionò I'accordo, benedicendo tutti i ribelli. Roccagorga fu presa e

presenti.

Il

saccheggiata con spargimento

2)

di Valvisciolo nelle mani degli insidiosi parenti presentava un grave pericolo alla sicurezza dello stato di Sermoneta e perciò Camillo si era adoprato presso il papa perché fosse tolta dalle loro mani; in primo tempo (1521) questi la conferì in commenda al possesso dell'abazia

cardinale Farnese, 3) ma due anni più tardi Clemente VII acconsentì che si abolisse la dignità abaziale del monastero e che questo fosse eretto invece a priorato per un chierico secolare, sotto il giuspatronato dei signori di Sermoneta. Il 3l marzo 1524 Camillo venne messo in possesso del patronato, che non uscì piùr dalla Casa sino alla metà del secolo scorso. 4) I Caetani di Maenza e quelli di Sermoneta vennero ad altri secondari accordi e a liquidazioni. 5) Con ciò sembrava dovesse essere chiuso per sempre questo dissidio, quando nel 1555 si riaccese di nuovo la discordia, e una nuova congiura, quasi identica alle prime, si risolse nniseramente, soffocata nelle torture e sul patibolo. '!

') (C -8589). Tuttavia non cessarono i sospetti: il 14 giugao 1522 Giulio Colonna scriveva a Camillo che non si allar. nase

sapendolo accampato

(in Campagna?)con una

r) Regeslo, Yl, p. 323. Ptc.2O97; 1515.lV .20, Pre.2094.

2)

Pu.

3A68.

(C-2893

gente d'arme

'l);

egli I'aveva soltanto col signor Ste-

fano (Conti?).

truppa di

3) Pant.,

l, p.226.

t) Pts.3A23,2227.

5) l530.VI

.ll

c

X.9,

Concordato.


Captrouo IV.

C^A,MILLO *

i rami di una pianta sono piegati a terra, essa non appare a noi men bella quando porta nobilissimi fiori. Tale fu I'impresa di Camillo-Onorato Caetani, a cui madre natura fu awersa facendolo nascere gracile e deforme; ma lddio non gli negò le migliori qualità dell'animo e della mente. Ricorda il de Lellis r) che per questo motivo egli porfò

EPPURE

Impresa

di

IL GOBBO ,.

Camillo.

Iniziale degli statuti di Bassiano promulgati da Camillo Caetani (1541).

un'ímpîesa bellíssíma, d' una canna dírítta, con Ie foglíe sue oerdi Ie quali ntorceoano ín gíù, oolendo dínotare che, sebene íl suo corpo, figurato per le foglie, cadeoa in gtù, ímperochè era gobbo, l'anímo, figurato per la cctnna, eta didtto e le parole che I'esprímeoano erano tali: FoLIA PROCUBUNT.

Nei primi anni di questo secolo, mentre ero intento a restaurare il castello di Sermoneta e, in cerca di afireschi e graff,ti, facevo grattare prudentemente la crosta d'imbiancature, che imbrattavano ovunque i muri, ebbi la gioia di scoprire in una sala d'angolo della casa, ora detta < del Cardinale u, dipinto a tempera, I'emblema riprodotto nella prima pagina del presente volume. In quest o palazzo, costruito dai Borgia e poi compiuto ed abbellito dai Caetani, Camillo aveva fissato il proprio appartamento. Della sua dimora quivi sono rimaste le tracce incise sulle pareti. La stanza sovrastante alla u porta segreta >> era quella da letto ove dormì Carlo V; grande onore che il signore volle registrare incidendo nell'intonaco I'iscrizione :

,51 6

g

, l/v\D.EAAl"oRt/v\ CnRoLVS, / 5E RAA 0N FTAAA brF a 2 ,.4PRrLr S rr r wirt A

Ej-

u)" bttcE5tir

(r

Nella sala attigua, che guarda sulla piazta d'armi, era lo studio, come sembra indicare la suddetta impresa con la parola sILENTruM. La seguente, che seniva da salotto di ricevimento, 2) e molti anni porta inciso sul muro, probabilmente per mano di Camillo, un canto a tre voci; piùr tardi, quando figlioli e nipoti piangevano inginocchiati intorno al letto del signore poc'anzi r) p. 201.

2) Vcdi pag. 34.


L'u omo

[14es-rsl3]

spirato, mentre i familiari s'aggiravano nelle sale attigue essi con un chiodo incise a man dritta del caminetto:

tt

in punta di piedi bisbigliando, uno di

/

d,e

ffi D' (oni//u; Gu-o )tffiuua./n(nr*

ùl;r

Nel vano della finestra un altro grafrto Híc fecít Lucas Antoníus Marchisíno da Monlis Petrus de Aligts die 2l Maio 1527 segna

il perpetrato scempio del sacco di

Roma e I'occupazione della rocca da parte degli

imperiali.

Sono capitolo

le mura che parlano rievocando l'uomo e gli

awenimenti,

di cui tratto nel

presente

! {. *d1

Camillo nacque verso il 1495 e, durante la persecuzione borgiana, fu condotto dalla madre nei feudi degli Orsini ove poteva considerarsi piir o meno al sicuro sotto la protezione dei parenti. Ma quando awenne la tragedia di Sinigallia (31' dec. 1502) e il duca Valentino mosse contro Monterotondo e ovunque gli Orsini erano arrestati e disfatti, Francesca Conti dovette' fuggire con i due mammoli a Pitigliano o a Sorano. Gà da tempo Guglielmo avrebbe voluto che il piccolo Camillo gli fosse stato mandato nel mantovano ma, ciò essendo impossibile, fu nascosto presso un'umile famiglia di Pitigliano. Per un momento il padre dubitò della sua sorte ed al fido Maurizio Boccarini scriveva: r) Certo è che, .. Sí Dío I'a delliberato de prioarme de quel putto, non se poúa remediarcl " se il duca Valentino avesse conosciuto il nascondiglio, un altro grido di dolore si sarebbe aggiunto alla tragedia dei Caetani e la casata probabilmente si sarebbe estinta. Per fortuna la

Sua giovenlù-

tempesta passò.

Il

piccolo gobbo era I'unica speranza per la continuazione dell'antica stirpe; perciò, appena giunto all'età virile, il padre si affrettò a trovargli moglie, e la scelta cadde sulla giovanissima Beatrice, figlia di Onorato III Gaetani d'Aragona, lo spossessato duca di Traetto, e di Lucrezia d'Aragona, figlia di Ferdinando I. Parve opportuno creare questo nuovo legame di sangue tra i due rami che per tanto tempo erano stati nemici, ma che I'awersa sorte negli anni passati aveva di nuovo awicinato. Dopo tutto erano del medesimo ceppo, e se un ramo si fosse estinto (cosa sempre possibile), per guesto innesto il nome proprio avrebbe continuato a frorire nell'altro.

Inoltre avevano un grande comune nemico: Prospero Colonna. Giacomo Bordone, procuratore di Guglielmo, iu mandato a Piedimonte per concludere i capitoli matrimoniali, i quali furono firmati il 15 gennaio 1513.2) Sono brevi e privi di quelle complicate e odiose clausole che vedremo usate in altre occasioni e risolversi nell'affiizione dei novelli sposi. La dote fu stabilita in 9000 ducati d'oro; il matrimonio doveva contrarsi prima della fine dell'anno. Nel novembre del l5l4 la sposa dava alla luce un bel maschiotto, a cui fu imposto il nome di Bonifacio; Ia progenie di casa Caetani, Dio volendo, era assicurata ! r) Q.2499.11 Dom"s,

ll,

5.

bis.

2)

C.2649'Ill.

Matrimonio.


CAMILLO

Il

<

Ub. I, Cap. IV.

IL GOBBO,

deforme Camillo non aveva.perso tempo ed aveva nobilmente smentiio i dubbi che aveva nutrito la duchessa di Traetto hatser buttato soi denarj della dote. Federico Conti osservava: /o

è bona cosa ! ù Diventato padre di famiglia, Camillo cominciò ad occuparsi direttamente degli afiari dello stato, togliendo a Guglielmo, Ia cui salute forse già cominciava a declinare, parte del peso compsîaî

Creazione del fedecommesso.

:

gíooene

il 2l

gennaio 1516 redasse un testamentor) nel quale istituì il primo effettivo fedecommesso di casa Caetani, disponendo che solo i discendenti maschi legittimi potessero succedere nello stato perché íI nome dei Caetaní sí conseroí ín perpetuo,' se dovessero mancare questi, potevano succedere anche quelli naturali e, non essendovene, I'eredità doveva passare ai dell'amministrazione. Questi

Musica incisa sopra una parete della

"

Casa del Cardinale >

;

rocca

di

Sermoneta.

Gaetani d'Aragona. E se anche di questo ramo non vi fosse alcuno per ereditare lo stato di Sermoneta, allora soltanto potevano succedere, come già si è accennato, quelli di casa Caetana piìr vicini a lui per parentela, ossia I'odiata stirpe dei Maenza. Mai potessero i suoi eredi sino c/Ia guaîta generazíone e gIí altri all'ínfiníto alienare i beni immobili che dovevano ín essa fimanere in perpetuo per Ia conseroazíone della Domus e della famiglía. La sua maledizione paterna scendesse sul capo de' suoi figli se avessero permesso che le loro castella cadessero in mano di re o principi a . pregiudizio della Chiesa. Esecutori testamentari erano il cardinale di S. Giorgio,

de' Medici, e Alessandro Famese. Le angoscie causate dalla congiura dei Caetani di Maenza debbono aver dato I'ultimo crollo alla malferma salute di Guglielmo. Verso la fine del decembre l5l9 egli spirava in Roma e, avendo disposto per testamento di esser sepolto nella cappella da lui costruita in S. Maria di Sermoneta, dopo pochi giorni si fecero i preparativi per il solenne trasporto della salma. Questa, coperta di un grande drappo dt panno îomanesco, fu messa sopra un carro, al quale facevano seguito sei muli ed i due corsieri del signore, i primi drappeggiati della medesima stoffa e i secondi di panno perso (ossia di colore nero tendente al viola). In lettiga, in carrozza, a cavallo o a piedi seguivano i parenti: Camillo ed Ersilia vestiti di perso, la vecchia sorella Govannella Famese, i cognati Stefano e Federico Conti ; la vedova Francesca con un mantello di scic pannata; la Francesco

Esequie

di

Cuglielno.

giovane nuora Beatrice, graziosa nelle ampie vesti

di di

di

panno celeste,

e

così pure

lppolita Caetani

Maenza.

Facevano parte del corteo anche il bastardo Giacomo Saccomanno, I'uditore, il maestro cuochi, gli stallieri casa, il castellano di Sermoneta, Eusebio il cancelliere, il banchiere,

i

ù (C-2667).

Nel frattempo, per uamite del card. Farnese,

fu combinato it matrimonio tra Ersilia, figlia di Gugliemo, e Giovanni-Francesco di Ludovico Orsini, coute di Pitigliauo e di Nola. I capitoli furono firnati nel I 512 .ll . 9 (C-2629'lll) dal Farnese per i Caetani, e dal card. d'Aragona e dall'arciv. di Nicosia per I'altra parte; la dote fu di 10000 ducati e mat) Pry. 2745.

gnifrcoil corredo. Il matrimonio ebbe luogo verso Ia frne del 1513. L'anno seguente sorsero dificoltà perché gli Orsini vedevano di malavoglia che Ersilia facesse completa rinunzia ad ogni diritto

sullo stato paterno' ma Gnalmente, il 2E,lll.1514, fu redatto il relativo istrumento (Prg. 2886; vedi opuscolo pubbliato per le Cora degli Antinori; Roma, I 920). nozze Michelangelo Caetani

-


Patrimonio dei Caetani

F516.1521j

ed uno stuolo di ragazzini, vestiti di lilla e in

gramaglia, che furtlvamente scherzavano lungo

il

p.rcorso. l)

la via albana, nel freddo dell'inverno, giù verso la piana delle paludi, per la macchia di S. Biagio e poi per la faticosa salita che conduceva a Sermoneta, si avanzò questo corteo funebre. Lungo Ia strada il popolo assiepato chinava reverente il capo. La tumulazione della salma di Guglielmo fu eseguita con grande solennità, presente la famiglia, le autorità, il popolo e tutto il clero di Sermoneta e di Bassiano, nella piccola chiesa collegiata della terra, in un'atmosfera tutta illuminata dalle ondeggianti fiarnmelle di centinaia di ceri, ripiena di canti liturgici, del monotono recitare delle litanie, de' bisbigli e dello stropicciare delle larghe ciocie dei contadini. L'antico signore di Sermoneta era morto, ora comandava il nuovo; e così era decretato che fosse ín saecula saeculorum! Della tomba di Guglielmo non è rimasta traccia. Lentamente su per

* t* Camillo, il nuovo signore di un vasto ed ubertoso stato,. poteva ben reputarsi ricchissimo barone: la saggia e severa amministrazione di Guglielmo aveva completamente ristabilito Ie finanze della Casa; tutte le questioni legali erano state liquidate; debiti non ce n'erano; ristrettissimo il numero dei " signori ', ; e la permanenza costante della famiglia nella rocca di Sermoneta (il palazzo all'lsola di S. Bartolomeo non era che un conveniente píed à terre\, permetteva Iarghe economie; esse venivano rinvestite in prestiti a parenti e amici. Nel maggio del l52l i crediti di Camillo risultavano come segue: 2) Onorato Gaetani, duca

di Traetto (residuo

dote)

duc.

Card. Alessandro Cesarini Ieronimo Beltram

Per tramite della banca Chigi Venturi Mess. Antonio Cafiarelli ed altri Card. Alessandro Farnese Conte Annibale Rangoni Giovanni Medici (dalle Bande Nere) Pietro Antonio Mattei

In

>)

>

contanti

Totale

5000 5000 550 I 500

812 812 t000

)>

500

t>

300 300 4000

)t

duc. 19774

È

naturale che, con tanti denari') e con la non invidiabile reputazione di averne anche di piìr, non mancassero le persone che bussavano allo sportello della cassaforte. Già Guglielmo aveva prestato 4 000 ducati d'oro a Leone X, in securtà dei quali il papa gli aveva dato tre magnifici anelli con un grande diamante piatto, un balascio ed uno smeraldo valutati 6000 ducati; Ia partita fu regolata nel 1517.3) Un più ingente prestito di 10000 ducati fu fatto quattro anni dopo gratís et amoîe da Camillo allo stesso papa, quando questi si trovava in difficoltà .) L'opulenza permise a Canillo di comPrile a contanti gli interesi di Elisabetta Conti < de Gaytanis (di Filettino) sulla " tenuta di Tivera (C-2E95'lll) e di liquidaresenzadifÉcoltà i 14000 ducati dovuti ai Caetani di Maenza per il concordato r)

c-2829.

2)

C-2876.111.

3)

C-2734.t.

del 13.III.l523,sborsando subito 9085 ducati (C-2955). Il 20 .V. l5l9 Guglielno comprava per 5000 ducati dai Cesarini un censo di 355 ducati gravanti sul casale di Camposelva

(C.2793'l).

situazione economica'

Prestiti

a Leone X-


CAMILLO " lL

36

Lib. I, Cap. lV.

GOBBO "

finanziarie durante Ia guerra peî recuperatíone dí Parma et Piasenza. l) Erano momenti difficili per ]a Chiesa e, scrive il Sanuto, D iI papa fa agní cossa peî trooare danarí et si dice trataoa

oender Teracína per ducati l0A míIa al sígnor dí Sermonefc,' non credo alla verisimiglianza di tale voce, anzi tutto perché Camillo non poteva disporre di sì forte somma (circa 40 milioni di lire) e poi perché i terracinesi si sarebbero piuttosto dati all'imperatore e al diavolo che

ai

Caetani.

Etezione Cinque giorni dopo fatto il prestito, moriva il VI. 12 decembre 1521, si faceva rilasciare dal cardinale

di Adriano

papa. Camillo corse subito ai ripari e, il camerlengo Francesco Armellini-Medici un e formale riconoscimento del debito dare un'ipoteca sugli introiti della Camera Apostolica, con facoltà anche di riscuoterli senz'altra speciale licenza. 3) Eletto Adriano VI, Camillo ebbe nuovamente riconosciuto il debito dai tre cardinali (tra cui Farnese e Piccolomini), che reggevano lo stato pontificio, in attesa che il nuovo papa olandese giungesse in ltalia. a) Le sue preoccupazioni non erano vane perché difatti passarono molti anni prima che guesto grazioso prestito fosse rimborsato a pezzi e bocconi. Con la morte di Leone. X scemarono alquanto nel Lazio i movimenti di truppe che non avevano mancato d'im5) ma nulla pensierire Camillo; di ciò fa cenno il Sanuto, mi risulta di preciso sulle minacciate occupazioni di Sermoneta. Certo è che in quel tempo Camillo si mise in buon assetto di difesa e fece allestire da Bernardino armarolo dna corazza che costò 45 ducati d'oro, foggiata al suo corpo deforme; essa si conservò per tre secoli nell'armeria di Sermoneta finché sparì nel saccheggio compiuto dai francesi Adriano VI

(Dal quadro nella Galleria degli U6zi).

La

peste,

nel

1798.

Durante il pontificato di Adriano VI un altro male, non meno terribile che la guerra, la peste, afflisse Roma; il morbo scoppiò con tanta rapidità e virulenza che i cardinali e quanti altri potevano fuggirono; i tribunali si chiusero, il PaPa 6) [ Caesi rinserrò dentro il Vaticano, non permettendo a chicchessia d'entrarvi se non chiamato. tani si trincerarono entro Sermoneta; la loro casa a S. Bartolomeo all'lsola ') fu facta nettare et smorbata con acíto buttato et laoato per tucto et facto spoloeríare Ií fornímanlo (addobbi) de paunazo (gen. 1522) ... et fu facto foco in casa el sufomacatala con rosmaríno.7) Il disagio generale fu tale che il papa dispose che, dalla morte di Leone X in poi, la gente non fosse tenuta a pagare che metà della pigione di casa e due terzi della corrisposta per i pascoli e le fide. 8) ll che dimostra che i prowedimenti di questo genere non sono una invenzione del

XX

secolo!

grandi mali generano sempre i grandi rimedi; e così in occasione di questa epidemia frate Gregorio Mezzocapo (il Moroni lo chiama Caravita di Bologna) confezionò un olio che, a quanto pare, diede risultati mirabili nel curare gli appestati. A benefizio dei medici moderni, dirò che nel nostro archivio si conserva la sua ricetta: il farmaco si prepara con olio d'oliva

I

a) Nel nov.

l5l9

era

in

cattive condizioui

e due anoi dopo fu restaurata Per oPera di mastro lacobo Manetti da

Brescia

(c - 2863-V).

i) tl2l .X1.26, C-28ó4bk. p. 3ó8; XXX, p. 553. \ Mot.,

î vol, XXXtl, Lll p' 226'

p. ?)

ló. C'28Eó'

3,

C-2865.

3' C'290t'

1) 1522

.V .15'

C-2883.

5) vol.

XXVI'


[dec. lS2l'sett.1523l

Pontificato

di Adriano VI

37

cui si fanno bollire le foglie di ipericon raccolte durante il mese di maggio; si espone poi I'olio al sole finché fiorisce ; per ogni libbra di olio si aggiungono 120 scorpioni, e il tutto si scalda a bagnomaria etc. etc. ; si applica sul cuore ed ai polsi ed intorno alle ferite ed alle piaghe. l) È ottimo anche contro i veleni. La efficacia del rimedio meraviglioso fu esperimentata scientificamente al tempo di Clemente VII, quando a due prigionieri in Campidoglio, condannati a morte, fu amministrato del veleno in dosi uguali; uno di essi fu trattato coll'olio di frate Gregorio e campò, mentre I'altro miseramente morì. Reguíescat ín pace! In tempi così sciagurati molti si ammalarono ed ogni male da principio era creduto peste. Tra altri morì la bella e giovane Beatrice Gaetani, moglie di Camillo. Questi pensò subito di riammogliarsi, non per mancanza d'affetto verso la defunta, ma perché era assolutamente necessario che vi fossero altri figli per assicurare la sua discendenza. Durante tre generazioni vecchissimo, in

la casa Caetani s'era ridotta ad un solo rappresentante maschio: prima Guglielmo e poi Camillo e Bonifacio. Il pericolo che la casata si estinguesse per un accidente qualunque era troppo gtave. Inoltre questa povertà numerica, che quasi sembra esser stata una caratteristica della nostra famiglia attraverso i secoli, costituiva anche una inferiorità politica e sociale: al capo di essa non era consentito di dedicarsi alla vita pubblica ed alla condotta di eserciti (come facevano i Colonna e gli Orsini), quando su di esso gravava I'amministrazione dello stato e quando un infortunio di guerra avrebbe potuto estinguere la stirpe. Inoltre la mancanza di cadetti metteva la Casa nella impossibilità di avere in seno alla curia pontificia qualche suo membro che salvaguardasse gli interessi della famiglia e la facesse godere dei benefizi ecclesiastici, fonte precipua delle prebende che impinguavano la nobiltà italiana. Necessitavano altri figli: il prossimo nascituro sarebbe stato cardinale (forse un giorno papa !), il secondo o vescovo o condottiere e Ie figliole avrebbero servito a creare parentele con le famiglie piir potenti. Perciò, appena la povera Beatrice {u sepolta, Camillo, malgrado Ia sua gobba, pensò di riammogliarsi. Il cardinale Farnese, come padre, si occupò della cosa con fervore. Sperò in un primo tempo di concludere un matrimonio con i Colonna: trattò del u parentado )> con Prospero ed insistette che Camillo prendesse la proposta amorevolmente in esame perché per abolire tulte Ie male forme preteríte è necessarÌo íntrodurre questa nooa et bona fotma presente (del parentado) con tanta nettezza et eftcacissímí sÍgni de amorc et rtera uníone clze non se ce possa apponerc una mínima macula.2) Ma tale progetto non si poté condurre in porto, nè di ciò possiamo meravigliarci ricordando gli oscuri complotti orditi da Prospero negli anni precedenti. E così awenne, non so come nè esattemente quando, che Camillo sposò Flaminia Savelli (1523), la quale compì subito il proprio dovere dando alla luce un pupo. Questo morì giovane, ma il secondo tentativo riuscì ed il 14 febbraio 1526 nasceva Nicolò, il futuro cardinale di Sermoneta, di cui tanto avremo successive

da dire in a)

ln

seguito. ")

queata epoca

la

gnome da Gaetani a Caetani

nostra famiglia cambiò

(Vedi Domus, l

' l,

il

p.

proprio co-

ó): la prima

Camitlo con ta iniziale C è del l6'V.1524; in breve corso di tempo, i suoi dipendenti in gran parte gli indirizzano le lettere in questa nuova forma, e molti dei sigaori di Maenza scguono I'esempio anche per quanto riguarda loro stessi' Non posso firma

di

1) C - 29t9

.lV.

z) C-2965.11.

documentare con sicurezza guale mutamento, ma

è probabile che

sia stato fosse cosa

il

movente

di

tale

voluta ed ordinata

da Camillo, sia per dare forma clsie al proprio cognome, sia per rnarcare più nettamente il distacco dal ramo napoletano dei d'A.ragona.

Secondo

matrimonio

di

Camillo,


Caprrolo V.

IL

SACCO

DI ROMA.

(t525-1536)

in ispecial modo il sacro collegio, s'illuminò di un sorriso di contentezza quando, il 14 settembre 1523, Adriano V[ ebbe dato il suo ultimo respiro, non senza sospetto che ciò fosse awenuto per insidia di veleno. Comunque, il papa fiamrningo era morto ed egli doveva essere I'ultimo straniero a salire sul trono pontificio. u) Il 19 novembre veniva eletto il cardinale Gulio de' Medici col nome di Clemente VII. Nel primo anno del suo

LrTTA Roma, ed

pontificato volle usare sottile arte diplomatica, mantenendosi amico tanto dell'imperatore quanto di Francesco I, la rivalità dei quali da anni teneva I'ltalia in continui tumulti di guena; sperava con la propria neutralità di ricondurre la pace nella penisola. Tuttavia si presentiva che egli si sarebbe staccato dalla parte imperiale, favorita dai propri predecessori e da se stesso quando era ancora cardinale, per accostarsi a quella francese. In quel frattempo infieriva la guerra tra francesi e spagnoli nelle provincie del nord e, il 24 febbraio 1525, questi ultimi riportavano strepitosa vittoria davanti a Pavia, dove lo stesso re Francesco I cadeva prigioniero. La notizia giunse a Roma corne un fulmine : il papa rimase esterrefatto; i Colonnesi giubilarono, rumorosamente festeggiandola nei loro palazzi; gli Orsini, i quali s'erano uniti alle truppe francesi guidate dal duca di Albany, che marciava contro Napoli, corsero ai ripari. Oramai la sorte della grande contesa franco-spagnola era decisa e perciò i Colonnesi, rinforzati dalle soldatesche di Luigi di Cordova, duca di Sessa e vicereggente dell'imperatore, si scagliarono contro gli Orsini, ereditari nemici, e la guerra civile infuriò tra il Ghetto e Monte Giordano, al grido " Colonna, Colonna ! - Orsini, Orsini ! " I primi, dalle loro terre della campagna, si mossero con le truppe del Sessa anche contro Camillo Caetani, parente e amico degli Orsini, e gli presero (9 rnar.) un castello di cui non è dato il nome. l) Camillo si mise sulla difensiva Iniziale degli Statuti di Baseiano promulgati da Camillo Caetani.

Conflitto Onini-Colonna.

a) Riporto una delle tante invettive contro Adriano

si fecero circolare per Roma: Petfiilo come îl mate Adtíano, Ipqoctílo, crudel, ínoído' aoaro Oilíoso

r)

Sonulo,

ail

cÍcr,cun,

XXXVIII, p.

107.

a

nessun charo,

VI,

che

Incanlator, mago, ídolatrc, oano, Rustíco, ínetorcbile, ínhumano, Falsarto, hailitor, Iadrc, beccaro, Solitaio, bes!íal e îdtuchiaîo etc. (Arc. Mant., c.t. Pastor, lV-2, p. 153).


[uov.1523-lugl. f5261

Rodromi della guerra

39

nelle sue terre, mentre reparti di truppe e pattuglie veloci del duca scorrevano Ia piana delle paludi, catturando il bestiame e facendo preda da ogni parte. u) Era questa una bella occasione per i Colonnesi per dar sfogo al lungo rancore che avevano in corpo e, dice il Sanuto, eI male non è stato poco, consíderato iI mal anímo che sí harsea o.dosso. l) Inoltre la notoria opulenza di questo signore deve aver dato speciale attrattiva all'incursione degli spagnoli. Camillo, separato dagli alleati Orsini e sprowisto al momento di regolari truppe assoldate, si trovava nella impossibilità di reagire; Alessandro Cesarini, cardinale di S. N{aria in Via Lata, amico della famiglia, fu scelto quale intermediario nelle umilianti trattative che condussero al pagamento di una ingente taglia di 5 000 ducati d'oro, perché il duca facesse restituire a Camillo Ia preda tolta a lui ed ai vassalli e ordinasse alle proprie truppe di sgombrare il territorio di Sermoneta. Il 16 marzo fu firmato I'accordo " p". cui il cardinale prometteva di sborsare entro quattro giorni 3 000 ducati ed entro 20 giorni il rimanente. Forse questa somma era appunto quella della quale il cardinale era debitore verso il signore di Sermoneta sin dal l52l.b) Ma tutto questo non era che un prodromo alle sciagure che dovevano afliggere il pontificato di Clemente VII. Con Ia vittoria di Pavia I'imperatore diventò padrone dell'ltalia settentrionale; il regno napoletano era già suo ; lo stato ecclesiastico, stretto come in una morsa fra questi due dominii, fatalmente doveva cadere in soggezione all'imperatore. Perciò il papa si adoperò ad infrangerne I'egemonia in ltalia, e promosse contro Carlo V una grande alleanza, .. la santa lega di Cognac ,', alla quale presero parte la Chiesa, Venezia, gli Sforza e Firenze, appoggiati dalla Francia e dall'lnghilterra (22 mag. 1526). Quasi preannunzio delle prossime sciagure, riappariva la peste in Roma scoppiando simultaneamente in otto case; allarmato, il papa ordinò la chiusura di tutti i tribunali. 3) {.

#*

papa diede senz'altro mano ai preparatini p"t espellere gli spagnoli dall'ltalia come se Preparativi guerra' già fosse stata dichiarata la guerra. Anzitutto era necessario assicurare Roma contro ogni mossa di degli imperiali e dei Colonnesi. Paliano doveva essere occupata e tagliata fuori da qualsiasi a) In collegamento col Regno, valendosi delle truppe e delle castella dei Caetani e dei Conti. previsione della tempesta che s'addensava all'orizzonte, Camillo andò fortificandosi in Sermoneta, ed il Pantanelli 5) è del parere che fu messo mano alla costruzione del baluardo di S. Sebastiano presso la porta del Pozzo. Probabilmente fece rifondere alcune antiche artiglierie della rocca ed in ispecie un cannone rinforzato da lS libbre ed una mezza colobrina ottagonale da 12, opere di Gregorio Gioardi da Genova, che poi servirono alla difesa di Velletri. Per far fronte a tante spese fu imposta una colletta al popolo. I Colonna, come è naturale, non stettero con le braccia incrociate e a Marino, a Grottaferrata ed in altri loro luoghi ammassavano gente d'arme. Altrettanto facevano i baroni e le città fedeli al pontefice. Velletri, il 3 luglio 1526, mandava oratori a Roma per chiedere il necessario appoggio di gente d'arme, ed altri ne mandò a Camillo Caetani perché inviasse soldati ed artiglieria. ó) Gli oratori tornarono da Roma con brevi di Clemente VII per Camillo

Il

probabile che appunto in questa circostanza gli uornini ") È Sonnino, vassatli dei Colonna, dessero il sacco al moDastero Fossanova ed alle terre di Priverno. Il papa permise che i danneggiati si rivatessero per via di rappresaglia contro il teri-

di di

1)

XXXVIII, p.

109'

, C'2032'r.

3) C-3084'1.

torio di Sonnino, ma scoppiò la peste (15.V) che pose termine alle contese (C-4642). b) Cf. p. 35, Nel dec. 1525 il papa fece procedere contro i sigaori di Palestrina ed i loro vassalli (C-3055). a) Pastot., lY-2, p.

213.

5)

I, p.

557.

6) Boryíq,

p. 404- 5.


40

Roma invasa

dai Colonna.

Marcia

degli imperiali.

IL SACCO DI

I-ib. I, Cap. V.

ROMA

che I'invitavano a recarsi a Velletri col maggior numero di cavalli di cui poteva disporre, non tanto per guardare la terra, che era ben munita, quanto per la reputazíone e perché vi fosse un capo, con una autorità sua pari, per animare la popolazione in caso di aggressione nemica. Chiedeva inoltre che tenesse informatori sui confini del Regno e che lo ragguagliasse costantemente di tutto. r) Lo stesso giorno ordinava ai velletrani di far buona accoglienza e in ogni cosa fedelmente obbedire al signore di Sermoneta. 2) Pochi giorni dopo investiva Camillo del comando militare di Campagna e Marittima, ordinando a tutti i sudditi ed allo stesso governatore di queste province di obbedirgli incondizionatamente. ' ll 29 del mese arrivavano in Velletri Ottaviano Conti con una compagnia di cavalli e, alla fine di agosto, Ranuccio Farnese, figlio del cardinale. Purtroppo non ho elementi per dire quale sia stata l'attività di Camillo nell'assolvere la carica affidatagli: è certo però che si trattenne molto in Roma per essere in piìr immediato contatto col pontefice, e che mandò il fido Tiberio Oddo della Fara al marchese di Mantova per una importante missione in relazione agli awenimenti del giomo. a) - Intanto Ie operazioni di guerra, iniziate dalla lega contro I'imperatore nell' Italia settentrionale, non erano state coronate dalla fortuna, e in Roma la prematura baldanza per una certa vittoria si era trasformata in profondo scoramento; subentrarono il terrore ed il panico, quando, inaspettatamente, con mossa fulminea, Prospero Colonna, col figlio Vespasiano e col cardinal Pompeo, a capo di 5 000 uomini d'arme e vassalli, la mattina del 20 settembre, piombavano su Roma e v'entravano senza colpo ferire. Venivano per liberarc I'Urbe dal gooerno despotíco del papa, e le truppe, dopo essersi radunate e rifocillate presso il palazzo Colonna, si mossero per ponte Sisto, seguendo la Lungara, verso il Vaticano. Il papa si rifugiò di corsa in Castel S. Angelo, passàndo per il corridoio coperto di Alessandro VI. Come per dare un saggio dello scempio che il loro alleato doveva fare di Roma pochi mesi piìr tardi, le truppe colonnesi penetrarono negli appartamenti del papa, sfasciando porte e finestre, saccheggiando, rubando e profanando arredi sacri e reliquie, parodiando sacre cerimonie con Ie vesti bianche del pontefrce e portando via persino gli arazzi di Raffaello e la preziosa tiara di Clemente VII. Il danno arrecato in un breve pomeriggio d'autunno ammontò a 300000 ducati. 5) Si venne a trattative e, dopo due giorni, i vandali del Lazio si ritiravano a Grottaferrata, con profondo scontento del cardinale Pompeo che aveva sperato di farla finita una volta per sempre con I'attuale papa. Camillo deve aver avuto parte attiva nella guerra civile che seguì questi fatti, ma non ne abbiamo notizie documentarie. Intanto il Borbone ed il Frundsberg, con un corpo di feroci lanzichenecchi tedeschi e truppe mercenarie spagnole ed italiane, marciavano verso Roma con I'aperta rnissione, data loro dall'imperatore, di schiacciare Clemente VII. Cercò di fermare Ia marcia Giovanni Medici dalle Bande Nere ma, il 30 novembre, I'eroico 6glio di Caterina, principale speranza del papa, cadeva mortalmente ferito. Nulla oramai poteva piìr trattenere le soldatesche imperiali che, in pessimo arnese, imbestialite dalle privazioni e dalla mancanza di soldo, non avevano piìr che una mira sola: rifarsi di tutto, saccheggiando i tesori dell'Alma Città, culla e centro della cristianità, e gozzovigliare a loro piacimento. In tali frangenti I'Urbe era agitata dalla speranza e dalla paura, da preparativi di guerra e da trattative di pace. Ai Colonnesi era stato dato I'ultímatum, mentre il papa riceveva quello del Lannoy, generale dell'imperatore. L'otto gennaio giungeva in Roma Renzo da Ceri, inviatovi dal re di Francia in soccorso del papa ..., ffià giungeva solo, senza truppe e senza denaro. ,) c-3090.It.

3) Pre.344O.

4)

C-3090.l.

r)

Paslor,

lY - 2,

p. 227 -231.


[ugt. 1526-mag,

Preparativi

16271

di

4l

guerra

Comunque, davanti all'imminente pericolo, si cercò di rinforzare l'esercito pontifrcio, reclutando soldati persino tra gli studenti dell'Università, e di raccogliere denari dove meglio si poteva. Finalmente, il 4 febbraio, giunse I'inaspettata e lieta notizia che il Lannoy aveva subìto una grave sconfrtta presso Frosinone; con subitanea reazione fu immediatamente deciso di

clemente

VII

si atma'

approfittarne per muovere contro Napoli. Camillo Caetani non poteva soffrire di rimanere inoperoso in momenti così gravi e perciò, mediante il suo agente e segretario in Roma, Giovenale e Tiberio Oddo, fece conoscere ai

rappresentanti di Francesco I (non saprei dire se all'ambasciatore o ad Andrea Doria) il r) Con questo atto si delinea la politica proprio desiderio di servire la corona di Francia. pro-francese che i Caetani seguirono per mezzo secolo senza mai tergiversare e per Ia quale compirono molti sacrifrzi senza ritrarne soddisfazione alcuna. stesso tempo Camillo, per tramite del cardinale Farnese, fece chiedere a Renzo Ceri che gli fosse data una condotta nell'impresa che si stava preparando contro Napoli,

Allo

da

e ciò faceva non per desiderio di lucro, ma per entrare

nelle

faoore et adiuto; glí cose sfre (ossia ai servigi di Francia) con rincresceva che i mezzi e le circostanze non gli consentivano di reclutare un corpo di truppa per conto proprio. Ma il Ceri non fece buona accoglienza alla domanda, forse perché non reputava che il gracile e deforme Camillo avesse le qualità fisiche e morali per 2) Così il signore di sermoneta fu operazioni di guerra. "ondurr" menato ín longo e dovette contentarsi di cooperare all'impresa di Napíù

3) poli dando aiuto alle truppe pontificie che passavano per Sermoneta. Intanto la Nemesis si awicinava inesorabile: il Giovedì Santo, un pazzo visionario, Bartolomeo Carosi, detto il Bandano, salito nudo su una statua dell'apostolo Paolo, davanti alla basilica Stemma dei Massimo ^.iro (Palazzo Massimo). ,, sodomíta, Bastardo z al papa faccia in gridato aveva di S. Pietro, se e conoeîtití e per Ie tue colpe sarà distrutta Roma! Coffissati a) Il Borbone ogni giorno piìr si non oorraí credermi, da qui a quíndící giorni Io oedraì ". awicinava a Roma. Si cercò di fermarlo con trattative; chiese 300000 ducati, ma era umasceso in terra un messo namente impossibile raccogliere sì ingente somma a meno che non fosse non corrisposero: Domeceleste. Clemente tentò di fare un appello ai magnati di Roma, che un prestito nico Massimo, il piir ricco signore dello stato, fece sapere che offriva generosamente di 100 ducati. Poco sospettava che la morte e la vergogna già stavano alla porta del palazzo ! Non cercherò di narrare neanche succintamente quel che accadde pochi giomi dopo: volumi awenne a Sersono stati pubblicati sul sacco di Roma. Ma per inquadrare quello che

interi

moneta, debbo darne un breve cenno' La resistenza opposta da Renzo da Ceri fu vana. II 6 maggio 1527 I'orda nemica si fuoco dall'alto di Castel riversava entro il Bolg", poco curandosi dei cannoni che sputavano S. Angelo, ove il Puf" ,i era rinserrato con una turba di cardinali, di prelati, di soldati e di scassinando ogni casa, pov"ra-gente esterrefatta. Passando al frl di spada uomini, donne e bambini, ,u""h"g;iundo e bruciando, queste soldatesche cristiane, piìr selvagge, feroci e rapaci di qualsiasi

mai profanò il sacro suolo di Rom4 traversato àll'lsola di S. Bartolomeo, si riversarono nel cuore della città.

barbaro

o

saraceno che

1) C-3113. Domus,

II, 6,

, c.ttt,.l.

3)

Sanulo,

XLIV, p. 340.

a) VìlIo R,,

il

quartiere dei Caetani

Memorias para... del asalto de Roma,

p. l4l.

Assalto Roma.

di


IL SACCO DI

42

Il

saccheggio.

ROMA

Lib. l, Cap. V.

Ventimila mercenari, in gran parte stranieri e protestanti, completamente sfuggiti all'autorità dei loro capi' senza neppure aver riguardo o pietà verso i propri connazionali, imbestialiti (o forse sarebbe meglio dire impazziti), commisero orrori che nessuna penna può ritrarre. Impadronitisi degli oggetti più preziosi, sottoposero i cittadini, dal gran signore al piìr umile popolano, a maltrattamenti e a inaudite torture, delle quali ogni giorno venivano escogitate altre nuove, piir raffinate e strane, per spremere spropositate taglie alle vittime ; queste, liberatesi dalle mani di una banda, cadevano nuovamente preda di un'altra. Il bottino e le taglie ammontarono a oltre 4000000 di ducati. Non ci fu donna, maritata, vergine o religiosa, che sfuggisse all'oltraggio e tra esse sono da annoverarsi anche le figlie del ricchissimo Domenico Massimo (quello che aveva offerto 100 ducati al papa), a cui furono anche trucidati i figli. Le tombe furono violate; per le strade, coperte dai cadaveri in putrafazione (ben 12000 persone perirono in pochi giorni!), giravavo i lanzichenecchi ubriachi, travestiti da cardinali e beffeggiando lddio. un somaro, camuffato da vescovo, fu condotto in processione per Roma. Nella basilica di S. Pietro e nei sacri templi erano stabulati i cavalli. Il velo di S. Veronica faceva il giro delle osterie. Quanti tesori d'arte, quanti cimeli furono barbaramente distrutti ! Anche i cardinali di parte imperiale, gli stessi funzionari di Carlo V, furono vittime dell'orda e solo alcune delle dimore dei Colonnesi rimasero immuni, mentre due terzi delle case e dei palazzi, ad uno ad uno, andavano in fiamme ed in rovina. ") Il duro cardinale Pompeo Colonna, entrando in Roma il l0 maggio, rimase esterrefatto all'orrendo spettacolo che gli si apriva innanzi: egli, che aveva'desiderato mettere a morte Clemente VIl, si mise a piangere vedendo I'immane sciagura che aveva colpito la patria ; forse sentì Ia tremenda responsabilità che ricadeva sulla sua famiglia; se avessero voluto, i Colcinnesi avrebbero potuto impedire il disastro. Forse pianse anche un poco per il proprio palazzc, saccheggiato.

Lo stesso lontano imperatore cercò di sviare lo scredito che ricadeva sulla sua augusta e Io sdegno che, come un brivido d'orrore, pervase le membra della cristianità. L'ordine dato di desistere dal saccheggio non fu minimamente osservato dalle truppe. Dopo dieci giorni

persona

scoppiò la peste che falciò senza misericordia cittadini ed invasori. Poi le soldatesche cominciarono a trucidarsi tra loro e quando, dopo nove mesi I'esercito si ritirò, dei 20000 invasori meno di I 5 000 uscirono dalla città.

L'esercito napo-

letano muove verro Roma.

Ben fortunata fu la famiglia Caetani che, trincerata entro Sermoneta, non vide gli orrori del sacco, nè dovette subirne il danno e la vergogna ; la casa in S. Bartolomeo all'lsola, invero, fu una delle prime ad andare in fiamme, b) ma il danno fu assai relativo perché questa dimora serviva soltanto di píed à tene e di magazzino per le derrate agricole. Mentre I'esercito della lega, pur non osando cimentarsi ad aperta battaglia, si awicinava a Roma per liberare il papa, questi, rinchiuso entro Castel S. Angelo, trattava con Vespasiano Colonna e gli imperiali; ma, non essendosi potuto venire ad alcun accordo, il nemico pose regolare assedio alla Mole Adriana con i rinforzi fatti venire da Napoli. Queste truppe già stavano pronte a Gaeta sotto il comando del viceré, del marchese Alfonso a) Giulia Colonna,

il 25

maggio, scriveva da

Gvita Lavinia

quelli de Matíní.,. stando Ia (a Castelgandolfd arobano senza rcspello a peîzona... lo sígnore mío ... fa lo posíbile ma lí ooslrí parenfi (Crnti) toríano che onde perzana fossí rcoínalo come loto; nof (imperiali) semo atobatl, píu che se fosamo lnímící, da li nostrí; a me ando lollí Ii aasallí del sígn6r Spazíano e del sígnor .Ascanío dui

a Camillo Caetani:

...

míglìara de Fecorc; píu dando a Íeceputo Romd da Ií oasallí de Ia Casa (Colonna) che non da Ii ínnímící, che lí soldott non píglíaoano se no oto, argenlo e gíoíe, Io rcslo Ii oílaní; non cí ando lasate se non le nura (C-3121 'l).

ll palazzo fu certamente arso, perchè nel t 528 furono le ruíne e alla grande sala fu rifatta la copertura (c-3t5,f.il). b)

riparate


16-24 mes. 15271

Lo

scempio dell'Urbe

43

del Vasto e di Fernando d'Alarcon; con essi si trovava il duca Onorato Gaetani d'Aragona, suocero di Camillo. Benché spossessato di Fondi e Traetto dai Colonnesi, si era sottomesso all'imperatore r) il quale gli aveva confermato il principato di Altamura e concesso

varie grazie

in riconoscenza degli ottimi servizi prestati nella guerra per la riconquista nella battaglia di Pavia; 2) dopo questa, Onorato accompagnò Carlo V molto nella sua intimità. Anche il figlio secondogenito Luigi serviva mentre il primogenito Federico, uomo di straordinario fascino e di strenuo e fedele sostenitore della parte francese, per Ia quale militò finché, diseredato dal padre nel 1528, fu decapitato dagli imperiali dopo la sconfitta del Lautrec. a) Camillo, rimasto assolutamente appartato suo nel stato, si rendeva ben conto che, se il duca d'Urbino con I'esercito della lega era

di Milano e specialmente a Madrid ed era entrato nell'esercito imperiale, 3) mirabile coltura, rimase

a soccorrere il papa, certamente non si sarebbe curato di dare appoggio a lui, isolato ne' suoi castelli della Marittima e circonimpotente

da ogni parte dai nemici. Egli dovette quindi adoperarsi il meglio che poté per scampare dalla completa rovina che lo minacciava come aperto seguace del re di Francia. Si rivolse quindi per appoggio al suocero che si trovava a Gaeta. Questi dato

Sottomiasione

dei Caetani.

anzitutto mandò dispacci ai capitani imperiali perché le donne e i parenti !--_di Camillo fossero protetti; ma dubito '=: che tali premure siano state di qualche Carlo V nel l5l9 (Bibl. Nat. Parigi ; Estanpes). vantaggio amadama Felice eaGeronima Conti. 5) Allo stesso tempo fece presente al genero che altro partito non rimaneva se non quello di assoggettarsi all'imperatore : perciò Camillo, per quanto controvoglia ed umiliato, dichiarò al viceré Ugo Moncada, che stava in Gaeta, di esser disposto a sottomettersi. Alla sua sorte s'interessò vivamente la vice regina, 6) Francesca de Morbul. Senza chiedere ulteriori assicurazioni, fu dichiarato che Camillo passava alla fedeltà dell'imperatore, al quale fu scritto dal viceré raccomandando che al signor di Sermoneta fosse confermato lo stato. Intanto però fu imposta una guarnigione di 200 soldati, sotto il comando di Ficaroa, entro la terra e la rocca di Sermoneta, senza tuttavia denegare I'autorità baronale di Camillo. Detto comandatore era persona onorata di Spagna, molto amÍco et fratre di Onorato, per esser imparentato con i Gaetani di Toledo. ll 24 mag$o I'esercito del viceré giunse in Terracina, ove si fermò in attesa che il ponte di Priverno fosse riparato; intanto il d'Alarcon mandava un awiso a Camillo che per il 26 preparasse alloggi e pane per 6000 a 7000 persone e facesse accomodare lastradaconsolare peril passaggio dell'esercito. r) Domus,l-2, ?)

C-3121'll

e

lll.

cap.

LXt.

7)

2)

Plateo,

p.

?0.

3) Ioi, p.

Vl.

4)

C-9256.

ó)

C-3ll5.lv.

6) C-2730.


IL SACCO DI

lmposizione

di

taglia.

ROMA

Lib. I, Cap. V.

Le cose però non andarono così lisce come I'esordio prometteva: gli imperiali non si fidavano di Camillo, i cui sentimenti erano notori, e perciò gli imposero di dare il proprio figlio Bonifacio in ostaggio; il che dev'essere avvenuto nei primi giorni di giugno, quando anche il papa, costretto a costituirsi prigioniero dell'imperatore, dovette dare sette prelati e gentiluomini in ostaggio. Il tredicenne figliolo di Camillo fu fatto partire con un piccolo seguito di fidati familiari e si trasferì a Gaeta, ove forse poté godere delle amorevoli cure dell'avo Onorato. l) Tuttavia ciò non bastò: anche i cordoni della borsa dovettero essere allentati, ma Camillo poté rallegrarsi che la taglia gli venisse cortesemente imposta dalle autorità anziché esser estorta coi supplizi. Nei primi giorni del sacco qualche familiare deve aver portato a salvamento nel convento di Aracoeli il denaro e le gioie che si tenevano in Roma. Questo piccolo tesoro fu affidato ad un frate del convento, Ludovico Graziani di Sermoneta, che lo fece sparire in chi sa quale introvabile nascondiglio, mentre Tiberio Oddo fuggiva a salvamento presso il proprio signore. ll convento fu devastato, ma il piccolo tesoro per miracolo rimase salvo. dal frate, il quale Quando fu imposta la taglia dagli imperiali, Camillo mandò Tiberio senza dirgli piir del necessario (con arte sophistíca et artfficiosa), gli consegnò il pacco (ahi, con quanto dolore !), sperando che lddio un giorno avrebbe reso giustizia per le ricchezze estorte senza pietà alcuna (que de erafio tuo extorqueantur). Con questi denari ed altri che il bravo signore avrà dovuto togliere dalle casseforti della rocca, Tiberio fu mandato a Gaeta per farne consegna ad Ugo Moncada. Nonostante l'interesse che tale missione doveva destare nel luogotenente imperiale, il bravo segretario ebbe molta difficoltà per poter esser ammesso nella città ed in pre2)

,"nra d"l viceré. Dovette alloggiare in una stalla e non poté nePpure salutare I'amato signorino. Oltre a tutto ciò le autorità imperiali, senza chiedere licenza, fecero esportare le bufale ed'altro bestiame dallo stato e, guando il signor Camillo protestò presso Giulio Colonna, che doveva e:ter il responsabile della preda, questi suggerì ironicamente che la miglior via da seguire era quella di ricomprare quanto era stato tolto ! 3) Comunque, alla fine le cose si aggiustarono (e di ciò probabilmente trattò Tiberio col viceré in Gaeta) e, il 22 giugno, Filiberto, conte di Chalon e principe di Orange, che tanto si era distinto nel sacco di Roma, mandava la seguente lettera: Magnirtcí Sígnorí Soldatí quali alogíne in Sermonela. ioto ordine al signor Camilo Caelano, sígnor dí quessa terra de Sètmoneta, seria de guardare gue,rso passo, et Iuí ooluntíerl ho oc"rptoto questo carico, perciò il t)ostro stare Iì et partire dítta teta de debíate questa, oe de receúere al ,upínuo. Per iI ch,e oi dicemo che subito, più honoreoole in ooí de serr)ire ooglíamo perhò se che senza alcuna exceptíone né dificulta, úenendo qua, pet conditione alcuna, come de ooi speramo, a li quali ne ofefimo' imprese. Et ín cfò non ^on"or"te De Roma, a dì xw de gíugno MDXXVil. AI piacere oostro parali phíIibert de chalon. a)

Alli

Perche iobío^o

Poco mancò che Camillo non avesse altri grattacapi: il papa stava strettamente guardato dall'Alarcon in Castel S. Angelo, sua prigione, mentre sulla disgraziata città Pesava la canicola; Ia carestia, la miseria e la peste riempivano le strade di cadaveri; I'aria era irrespirabile ; le che volevano soldatesche spagnole e ted.sch" si disputavano le persone del papa e dei cardinali trascinare all'estero, ogni nazione al proprio paese' a Napoli e I'Alarcon ne Al principio di iuglio parve cosa decisa di condurre i prigionieri 5) i diede avviso a Camillo.- An"h" il papa fece preparare un breve, col quale I'avvertiva che t) c-3122.1, Pssaot lY-2. p,315,

2)

C.)122.1,

s)C-3121.IV.1)C-3122.6)Atc.Vot.,min.brev.1527'lV,voll7'N'224'cit'


[giu. 1527-feb.

15281

Occupazione

di

Sermoneta

45

comandanti cesarei intendevano condurlo con i cardinali nel Regno e che per alcuni giorni avrebbero soggiornato in Sermoneta; pregava quindi il signore di preparare tutto per ospitarli nella terra e nel palazzo della rocca, provvedendo questo di quelle comodità (necessariÍs ufensi/íóus) che sarebbe stato in grado di allestire; allo stesso tempo Io assicurava che gli imperiali darebbero formale garanzia, anche per iscritto, che, partita la sovrana comitiva, la terra e la rocca sarebbero state integralmente restituite. Non mi pare probabile che gli imperiali avessero in mente di consentire al papa una breve sosta in Sermoneta, ma bensì di tenerlo ivi in prigione, come in luogo fortissimo e remoto dal tumulto delle truppe ed isolato dal resto del mondo. Difatti che necessità c'era di prendere un riposo di vari giorni dopo così breve viaggio, in una località distante solo poche ore dai confini

del

Regno

?

Comungue, come Dio volle, Clemente non fu mandato in esilio e finalmente, dopo otto mesi, gli spagnoli, spremuto I'ultimo ducato dal papa e ottenuti quattro cardinali in ostaggio, sgombrarono Castel S. Angelo. Clemente, senza frapporre dimora (6 dec.), fuggiva di notte, vestito dei panni del suo maggiordomo, e si riparava ad Orvieto. Alla metà del febbraio 1528 i terribili invasori lasciavano il sacro ed oltraggiato suolo dell'antica Roma. A poco a poco le cose tornarono

nella normalità. Prolungandosi la lontananza di Bonifacio, tenuto ostaggio in Napoli, dietro vive preghiere di Camillo, il papa scrisse al viceré Ugo di Moncada esortandolo a rendere il figlio al padre;l) ciò che è presumibile awenne poco tempo dopo. L) Pte. 335.


Caprrolo VI.

IL

CARDINALE ADOLESCENTE. (1534-t550)

ER due volte, durante i conclavi di Adriano Vl e di Clemente VII, il cardinale Alessandro Farnese era stato designato candidato perché

Gioventù

di

Bonifacio

e Nicolò

Iniziale della bolla

di

Paolo

per la nomina a cardinale di Nicolò Caetani,

lll

il

membro del sacro collegio piùr degno e più adatto per assumere il sommo ufficio. Decano dei cardinali negli ultimi anni del pontificato di Clemente VII, questi apertamente aveva espresso la speranza che il Farnese sarebbg stato suo successore. Per parte della madre, Giovannella Caetani, era cugino in primo grado di Camillo, e le relazioni tra essi furono amorevoli ed intime: il Farnese era il protettore della Casa ed in ogni occasione importante le prestava consiglio ed opera. Per tali motivi Camillo, quando nel 1526 Ia seconda moglie Flaminia Savelli gli donò un bel maschiotto, decise che I'infante, al quale fu dato nome Nicolò, sarebbe diventato cardinale se Iddio dava sufficiente corso alla vita del Farnese ed a quella del

generalmente riconosciuto come

figliolo.

Ai

due ragazzi, Bonifacio e Nicolò, fu impartita I'educazione piùr perfetta possibile. Benché nati da madri diverse e con intervallo di dodici anni, i fratellastri furono compagni affezionati e in perfetto accordo cooperarono a tenere alto I'onore e la prosperità della famiglia. Bonifacio, quando fu restituito alla propria famiglia, dopo essere stato tenuto ostaggio per nove mesi, riprese gli studi in Sermoneta e nel 1530 fu mandato a Roma per perfezionarsi e per spoglíarsi deí prístíni costumi e acquístare un tenore di oita urbana. A testimonio della severa educazione che, conforme alla tradizione, gli fu impartita, abbiamo rm gran numero di esercitazioni epistolari, l) di cui un primo volumetto risale al 1530. Se il gioyincello avesse narato in esse piccoli avve-

i

nimenti della vita familiare, avremmo una viva immagine di quei tempi; purtroppo, le reminiscenze classiche e la nascente fraseologia spagnoleggiante tolgono a queste lettere, dirette all'amico Fabrizio Galeazzo, quasi ogni valore storico. La scrittura è chiara e singolarmente forbita per un giovane di 16 anni; nello stile vi è quell'allegria e quello spirito che furono nota caratteristica della nostra famiglia, associati alla fierezza e al disprezzo d'esser romani: ,. Conosco romani patroní o

i

r) c-?226.


Pqlazzo Caetani

NICOLO CAETANI CARDINALE DI SERMONETA (1526

-

1585)


Vita

[1526-aet. 1534]

familiare

píuttasto latroní ! , È prob"bile che nei ripetuti soggiorni in Roma, il giovane dimorasse nella casa del cardinale Farnese; aveva un numeroso seguito; i suoi docfores erano scelti con massima cura, e la spesa era tutt'altro che indifferente.

così Bonifacio giunse all'età di venti anni quando parve tempo che si ammogliasse. Bonifacio cat' Pio' Gli fu scelta una quuri ,uu coetanea, Caterina Pio di Savoia, figlia di Alberto Pio, conte di sposa Carpi, e di Cecilia Orsini. Il fidanzato mise un bell'anello al dito della futura sposa ai primi di marzo del 1534, ed in tale occasione il futuro cardinale Nicolò, in età di otto anni, scriveva una lettera (la prima di lui che ci sia stata conservata), che qui appresso riproduco in fac-simile per dimostrare come i nostri antenati, al principio del secolo XVI, avevano una istruzione ed una calligrafra che possono destare invidia ne' miei nipoti del secolo XX.

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Finalmente, come Dio volle, il 25 settembre 1534, Clemente VII pose fine al suo pontificato, ctemente VII infelicissimo per I'ltalia e per la Chiesa, meritandosi giudizi poco lusinghieri dagli storici antichi muore' e moderni. Assai conciso fu quello di Paolo III che disse avergli il predecessore fatto perdere dieci anni di pontificato: e dobbiamo dargli ragione perché, se Alessandro Farnese, il più grande pontefice del secolo XVI, fosse salito sul trono invece di Clemente VII, molte calamità sarebbero

state risparmiate alla cristianità e forse ben diversa sarebbe stata la sorte d'Europa. Appena si apù il conclave si awerù subito che la scelta sarebbe ricaduta sul Farnese: data la situazione politica, era esclusa ogni possibilità di nominare o uno di parte francese o uno di parte imperiale e, tra i neutrali, il Farnese, decano del sacro collegio, era il piùr autorevole e il piùr stimato.


IL CARDINALE ADOLESCENTE

48

La mattina del 12 ottobre 1534 i cardinali, entrati in conclave, si riunirono per partiti e,

Elezione

di

Paolo

lll.

Ub. I, Cap. Vl.

dopo breve discussione, le fazioni riconobbero di esser tutte d'accordo sulla scelta; nel pomeriggio vi fu una riunione plenaria la quale diede incarico al Piccolomini, il piìr anziano dopo il Farnese, di dare I'annunzio, dopo di che I'intero collegio si mosse per venerare il nuovo ponteÉce. L'indomani mattina fu fatto, pro forma, lo scrutinio. Ma molto prima di ciò erasi decretato a Sermoneta che " Monsignor Reverendissimo " (che non altrimenti era chiamato in casa) sarebbe stato il nuovo papa. Camillo si recò a Roma per assistere al grande evento; quivi, per ogni buon conto, si fece mandare dalla moglie le carte riguardanti il famoso prestito dei 10000 ducati a Leone X, la bolla di Giulio ltr, alcune di Bonifacio VIII ed alve scrítture necessarie per ottenere dal papa che fossero sistemate le varie questioni pendenti. La piir importante di tutte, però, era quella di far dare il cappello cardinalizio al piccolo Nicolò. Paolo III non fu immune da quel nipotismo che lasciò un brutto marchio su tutti i pontefici dell'epoca; ma il suo nipotismo, che lo spinse a donare al figlio Pier Luigi due importanti città dello stato ecclesiastico, Parma e Piacenza, per cui sangue e denaro senza limite erano stati spesi dai suoi predecessori, fu limitato ai figli e nipoti; verso i Caetani e gli altri consanguinei fu parco di grazie. Non poté però rifrutare alla nostra Casa di avere un membro nel sacro collegio, onore e vantaggio da tanto tempo negati alla famiglia non per altra ragione che per la ristrettezza numerica di essa. Certo però che necessitava aspettare un po' di tempo poiché non era possibile far entrare in concistoro un grazioso ragazzetto di otto anni ! Intanto fu dato corso al matrimonio di Bonifacio con Caterina Pio. Le nozze ebbero luogo verso la metà del febbraio 1535 e per la circostanza furono celebrate grandi feste e iràbanditi lauti banchetti. Bonifacio si diede un gran da fare per preparare una commedia scritta, a quanto

da un certo Brisonio e fu necessario arredare il palcoscenico e istruire i mascari, Vennero i pifieri di Castel S. Angelo e furono allestite luminarie con barche galleggianti sul Tevere l) davanti Ia vecchia casa di S. Bartolomeo all'lsola. Ma piùr solenni feste doveva vedere Sermoneta: Carlo V era tornato vittorioso dalla guerra in Tunisia contro Khair ad-din, detto Barbarossa, il famoso pirata, quello stesso che, due anni prima, era audacemente sbarcato presso Fondi per catturare la bella Giulia Gonzaga, la quale però, saltando nuda dal letto, gli era sfuggita come un uccellino, seduta in arcione tra le braccia di un giovane ed innamorato scudiere. L'imperatore fermatosi a Napoli, indugiando in sfarzose onoranze, aveva deciso di visitare Paolo III; benché I'idea non sorridesse al papa (anzi, memore del sacco di Roma, pensò per un momento di fuggire a Civita Castellana), questi predispose tutto per un trionfale ricevimento in Roma, e Camillo fu invitato ad ospitare I'imperatore quando sarebbe passato per Sermoneta. Carlo V, con un lungo seguito e con un corpo di 4000 fanti e 500 cavalli, giunse nella capitale dello stato dei Caetani il giorno due aprile. Vuole la tradizione che, arrivato in piazza, ,""nd"rr" da cavallo e si sedesse sopra una colonnetta, all'angolo di una bottega,u) incontro all'arco

pare,

Carlo

a

V

Sermoneta,

delle antiche mura. L'imperatore fu alloggiato nella casa, poi detta .. del Cardinal€, > € certamente dormì nella 2) Si raccontò, e la stanza da letto di Camillo, ove Ia sua visita è ricordata con un grafrto al muro. memoria fu tramandata sino a noi, che, tanto arrivando nella piazza d'armi quanto partendone, a) Pant,, I, p. 56E. Nel sec. XVIII r>

C-?479. \

YeAi

p. 32.

posseduta

dalla famiglia Piovezzica.


[1534-1536J

Visita di Carlo

V

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N PAOLO II

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(Guglíelno della Porta) (Sao Pietro in Vaticano)

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7,

49


IL CARDINALE ADOLESCENTE

Lib. I, Cap. Vl.

il

sovrano dell'impero, sul quale non tramontava mai il sole, salutasse con largo gesto del cappello la bella e fresca sposina, Caterina Pio, affacciatasi con le sue donne ad una finestra dell'antico palazzo; e che il giovine Bonifacio, commosso da tanta benevolenza verso la propria sposa ... o per gelosia, svenisse al ripetersi del saluto; ma fu rincorato da Cesare. Questi, prima di

allontanarsi da Sermoneta, visitò la chiesa collegiata di S. Maria, e i canonici vollero ricordare I'augusto gesto con un graffito, oramai scancellato, che fu inciso in un pilastro della chiesa. A Sermoneta erano venuti i legati del papa ad ossequiare I'imperatore il quale, seguendo la via dei Castelli, passò per Marino, onorevolmente accolto da Ascanio Colonna e, il 5 aprile, faceva trionfale ingresso in Roma, dal lato di S. Paolo. Duecento case erano state buttate in

Nicolò C. Promo$o cardinale.

terra per aprire la strada in onore di colui che aveva tenuto Clemente VII prigioniero per sette mesi ed aveva distrutto Roma; i più grandi artisti ed architetti dell'epoca erano stati mobilitati per decorare la città ed erigere gli archi di trionfo. A S. Paolo fu ricevuto dai rappresentanti r) del papa, capeggiati dal figlio Pier Luigi e da Camillo Caetani. Alla frne dell'anno (dec. 22) Paolo III, nella sua terza elezione di cardinali, riservò in pectorc due nomine, una delle quali fu quella del piccolo Nicolò. Per prepararlo all'alto ufficio, aveva fatto venire il giovincello da Sermoneta a Roma e, il 6 novembre 1537 , gli concesse I'ufficio di protonotario 2) a condizione di essere prima ordinato chierico. La carica conferitagli era vacante per la rinuncia di Benvenuto de Olioerír's. Pochi mesi dopo, e precisamente il 13 marzo 1538, 3) ricordando le singolari benemerenze lo insigniva della porpora con bolla firmata da 22 catdinali, di Bonifacio VIll, i servigi prestati dalla casa Caetani alla Chiesa e nonostante il difetto dell'età di Nicolò quem in quartodecímo oel círca tue etatis anno exístís constitutus. Invero Nicolò non aveva quattordici ma solo dodici anni, però il oel circa salvava i fàtti e le apparenze ! Il papa avrebbe probabilmente difierito di alcuni anni questa nomina se in quel momento Camillo non fosse stato gravemente malato, anzi in pericolo di vita: non voleva negare al cugino questa che egli credeva sarebbe stata la iua ultima consolazione La scelta dei cardinali fatta da Paolo III fu sempre meritevole di lode, perché diede la porpora unicamente a persone degne di essa. Tre sole nomine furono soggetto di critica: quella di Lodovico Borgia, del sospetto Del Monte e del giovanissimo Caetani. Contro quest'ultima, a causa dell'età, alzb la voce in concistoro il cardinale inglese Pole, a) ma fu I'unico a protestare e si dovette contentare di esser I'ultimo ad apporre la firma nella bolla; il diciannov€DDe caldinale Alessandro Farnere, invece, trascinato dall'entusiasmo, scrisse il proprio nome a lettere cubitali a traverso I'intera pergamena. I fatti dovevano dimostrare che anche questa scelta non fu sfortunata, perchè Nicolò governò le cose proprie e della Chiesa per quasi mezzo secolo con incomparabile senno e prudenza, e moù da tutti rispettato e ammirato. Il papa inviò a Sermoneta il camerario Flaminio Savelli, zio del nuovo cardinale, per portargli lo zucchetto. Nel breve, Paolo III ricorda Bonifacio Vlll, la mutua parentela e benignamente si compiace dell'indole e della uírlù del giovane che davano a bene sperare per I'avvenire. Accenna di non aver potuto seguire I'antico costume d'imporre lo zucchetto cardinalizio personalmente, per il fatto che si trovava alla vigilia d'intraprendere un lungo viaggio (partiva per Nzza il giorno seguente) per mettere d'accordo I'imperatore col re cristianissimo, 5) per celebrare l'indetto Concilio Generale e per la spedizione contro i turchi. La cerimonia si compì nella chiesa di S. Maria con grande solennità. Bernardino Visconti, vescovo di Alatri, celebrata la messa e ricevuto il lungo giuramento di rito, pose al neo-cardinale t) Arc, S. p., l, p.

s)

pE.

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2)

C-3705t Pry. 1694,

l$7.

3) Pts.

2484.

a) Arc. Mant.,

E. lJ(!, n. 2, busta 1907.


Promozione

1r537.r5401

al

5l

cqrdinalato

sul capo I'emblema della carica. Finita la cerimonia, il giovincello, vestito tutto di porpora, dalla collegiata di S. Maria risalì al castello fra una doppia frla di popolo, circondato dalla famiglia e dalle autorità, che facevano pressa per baciargli il grosso anello che gli brillava sul dito; la stessa madre ed il fratello maggiore gli prodigavano rispettose riverenze ... almeno in pubblico.ll l2 novembre, il papa gli conferiva il titolo di S. Nicolò in Carcere Tulliano, r) che'portava seco I'amministrazione ed il godimento dei frutti di questa chiesa. Quando, dopo quattro mesi di assenza, Paolo III trionfalmente ritornava in Roma (24 lug.), essendo riuscito con opera personale a far frrmare una tregua di dieci anni tra il re di Francia e I'imperatore, il nostro Nicolò gli spedì il giorno stesso il cancelliere della Casa (avrebbe detto meglio il proprio precettore), Tiberio Oddo della Fara, con una forbitissima lettera latina con la quale si congratulava per il felice e glorioso ritorno e gli chiedeva licenza di potersi 2) Voleva anche ringraziarlo personalmente per I'alta carica recare da lui per baciargli i piedi. concessagli. Suppongo che il pontefrce gli accordò la desiderata udienza, benché avesse promesso al sacro collegio, quando pubbltcò la nomina, che il cardinalino pei tre anní non comparirebbe aIIa coile.3) Dispose che Nicolò restasse in permanenza a Sermoneta per esser educato e istruito : voleva evitare per qualche tempo che un sorriso venisse alle labbra dei venerandi principi del sacro collegio vedendo entrare in concistoro il giovinetto collega, vestito di rosso e gioiosamente confuso di trovarsi in cosi imponente compagnia. L'educazione che Camillo fece impartire al figliolo, intelligente ed attivo, fu ottima: acquistò perfetta conoscenza del latino, del quale idioma si serviva incidentalmente nelle proprie lettere come una persona colta della società moderna si servirebbe del francese, naturalmente e senza ostentazione; ottima la coltura classica; la scrittura era grande, diritta, piuttosto angolosa, ma' perfettamente chiara. Il cardinale, che fu un tenace e forte lavoratore, ebbe sempre un'ampia corrispondenza con parenti, amici e autorità e, anche diventato vecchio, non rifuggiva dal prendere la penna in mano e scrivere lunghissime lettere, tutte di suo Pugno. Dopo due anni di cardinalato cominciò a dimorare per periodi sempre piìr lunghi in Roma, allo scopo di assuefarsi ai modi ed ai meandri della curia e, giunto così all'età di quattordici anni, prese gusto ai piaceri mondani, anche a quelli de' quali un uomo della Chiesa non dovrebbe curarsi. Invero Camillo sorvegliava attentamente la condotta dei figli; vietò ad essi di andare mascherati in casa de' cardinali e di fare ciò che non fosse utile et honore loro, ed anche al giovane principe imponeva la severa autorità paterna senza alcun riguardo al grado. Ma i fratelli, tra i quali oramai piir non contava la notevole differenza d'età, facevano comunella nelle scappate giovanili. ") Nel 1540 il quattordicenne Nicolò perdette ad un tempo la a) Della prima perdita fu opportunità di ottenere il vescovato di Spoleto e la propria verginità. ríspettosamenfe

addolorato, della seconda si compiacque assai. Il fratello maggiore lo derideva per essere ragazzino e, come chierico, escluso dagli arcani dell'amore. Nicolò a ciò si ribellava e faceva di tutto per dimostrare a Bonifacio che era uomo quanto lui, anzi più evoluto perché scapolo. E così nelle sue lettere si compiaceva ad informarlo delle proprie gesta entrando in particolari così dettagliati ed intimi che mi rincresce di non poter .) Erano ternpi in cui gli uomini vivevano gagliardamente. Ecco ad esempio il resconto di Tiberio Oddo sulle nozze di Geronimo Orsini (1537): ,., sono finÍte ín lragedìa, ímpetho che relrcttanilosí p/lmo.,. la sígnota spsa ìndísposla con I'afanno et peso delle t)este, el iI otglíare fino alle otto ore, et ll faslí' 1)

P/s.

1493.

2)

C-3767.

z) Atc. Mont., E.

LXI, n. 2.

dio píù che conùeneoole àatoli per iI suo consorle Ia nolte, che a diilo è pur lroppo, Ií sopragiunse fehrc, el la grcoò dí sorte che fu necessaio sagnaila da una oena del píede, et darll cassfa etc.

(C-3700),

4) C- 3851.

Educazione.

Avventure galanti.


IL CARDINALE

52

Lib. I, Cap. VI.

A,DOLESCENTE

qui riferire oerbatím tutte le sue confrdenze. Nel novembre del 1540 annunziava al fratello d'essersi facto homo da bene nec est uedo perché ho lassato ogní pratíca di puttane e di ciò desiderava che, cccascandoli, informasse il padre. Si era messo sulla buona strada praticando con una donna quasi perbene e óoníssima roba. Coll'awicinarsi dell'età maggiorè allargò Ia cerchia delle imprese galanti, .di cui volle assaggiare le piìr svariate emozioni (ometto i dettagli, ma chi volesse fare un più esauriente studio del soggetto veda i documenti l) dell'epoca); e in un posf scríptum rispondeva a qualche frecciata del fratello con laconica frase:

ftl*'awlú Non mancava tuttavia una certa preoccupazione che queste ampie confrdenze cadessero al padre : V. S. sera contenfc, scriveva al fratello, peî amor mío non mostrar questa Iettera a nessuno, Bonifacio però, anziché bruciarle, le conservò, come faceva di quasi tutte le carte, e così sono venute a noi notizie riguardanti Ortensia, Virginia, Pantasilea, Tosca, Geronima bella píù che'I so/e e tante altre signore generosissime. Certo che ai nostri contemporanei potrà sembrare cosa scandalosa che un principe della Chiesa abbia avuto così poco ritegno nella condotta e nello scrivere, ma bisogna considerare I'età del protagonista e quella in cui scriveva: ancora era vivo il ricordo degli osceni baccanali celebrati per ordine del papa Alessandro VI in Vaticano ed in presenza della bionda Lucrezia Borgia; lo stesso pontefice Paolo III aveva vari figli illegittimi, poi promossi ai piùr alti onori, ed essi, intimi di Ncolò, non erano piìr casti di lui. Camillo ogni tanto metteva il pedale sulle escandescenze amorose del figlio col semplice espediente di richiamarlo a Sermoneta ove, con tutta Ia collera che gliene veniva, eragli mestieri di astenersi dalle nozze. I periodi di castità non duravano a lungo e il loro termine veniva preannunziato con gioia. Ma, dopo tutto, erano falli giovanili di non sottocchio

grande importanza: col passare degli anni, maturatasi la mente e sentito il peso delle responsabilità che gli si accumulavano sulle spalle, non udiamo piùr parlare di avventure galanti; anzi nei seguenti capitoli vedremo quanto diventò severo il cardinale di Sermoneta verso propri nipoti; e, leggendo le spietate lavate di capo che dava ad essi, studenti all'università di Perugia, non

i

potremo far

sorridere pensando

al suo passato.

a)

nelle

Piir sani piaceri erano dati al giovane principe dalle belle cacce nei boschi e sulle praterie Pontine. delle Paludi Pontine. Quaglie, beccacce, fagiani, lepri ed ogni altra specie di animali popolavano la contrada e vi abbondavano anche i cinghiali, caprioli e cervi dalle maestose antenne, delle

caccia Paludi

a meno di

i

i

ho ritrovato alcuni bellissimi esemplari negli scavi. Verso la marina gli uccellatori stavano in agguato degli astori e dei falconi, che a Sermoneta erano scientifrcamente educati ed allenati da

quali

uno specialista. Queste cacce erano famose in tutto il Lazio e, come prerogativa dei signori, erano gelosamente riservate, mentre ogni abuso era severamente punito. b) a)

In

quell'epoca (1540)

geva uD epigramma

il

vate Pietro Corsi gli rivoldal

latito: Appena I'alala tanciulla

signore ollenne iI rtglío dcll'onde, scbbenc dt co4o e dí oiso ímplume, esclama: Vìoí in elemo, o figlío; rugglungì Ie slelle con le alí dell'ingegno; quetle sorùolano I cIeU c

non conoscono la morte (Blbl- Val., Cod. Vat. Lat. 71E2, c. 124 v.). r) c-3979.

b)

ll 5 nov. 156ó il

divieto di caccia

fu

solennemente

pubblicato con bando da Petri Antonii, luogolenente di Sermoneta

(Mùc., N. 16). Anche ai

viandanti era yietato

di

entrare

ai quali non fossro stati e il serraglio. Nel 1653 nacque una

nelle terre del signore con archibugi

tolti la picaa,

il

miccio

aspra contertazione caccia.

lra i

sermonetani

e

i

duchi sui bandi di


Nicolò Caetani

[r540.15431

53

Nicolò era appassionatissimo di tale divertimento e, messe da parte Ie sacre vesti, andava per i boschi di S. Biagio e dell'Eschido e per le riserve di Piscinara col falco sull'ínfa%ibile pugno (di cui si gloriava), seguendo i magnifrci bracchi e levrieri, fatti venire da tutte le parti d'ltaiia, che tumultuosamente abbaiando frugavano i macchioni e le stoppie. Facevano seguito, nelle pazze corse, i figli della piccola nobiltà locale e i familiari; numerosi erano gli invitati: non solo parenti ed affini, come gli Orsini, i Conti, i Farnese, ma anche signori d'altre parti d'ltalia e persino i cardinali non troppo malandati per I'età, come Alessandro Cesarini, erano felici di poter partecipare a questo divertimento. Le signore di casa seguivano la comitiva, portando allegria con Ie loro gaie vesti ondeggianti al vento sulle verdi praterie o aspramente castigate dalle fronde del biancospino, delle quercie e degli invadenti roghi. Per le volte ombrose delle macchie risuonavano le chiare note dei corni da caccia, fatti venire dall'lnghilterra. Non mancavano le burle: e Giovanni Battista Razza ricorda quella fatta a notar Pietro. (Jna sera che tutti erano andati a letto presto, per alzarsi I'indomani prima dell'alba, il cardinale ordinò ad uno de' familiari, che dormivano nella sua stanza (ancora perdurava I'uso medioevale di dormire in comune coi propri servitori !), di staccare col coltello la " brachetta ,, alle lunghe calze, ovverosia calzoni a maglia, di notar Pietro che dormiva nell'anticamera; il risultato fu che I'indomani il disgraziato dovette cavalcare tutto il giorno con la camicia che gli usciva davanti e di dietro tanto che símígliaoa un barbachiello. Scherzo stupido forse, ma che tenne la compagnia ín baja tutta la giornata e fu motivo di matte risate. l) Tra fratelli poi gli scherzi e le burle erano all'ordine del giorno: nel 1543, scrivendo da Bologna, il cardinale diceva al fratello: M'ímagino che... V. S. sia occupata nel imagínare Ie carote che me oorrà piantarcal mio oeníre .,, gli prometto che subbito che me accorgerò che V. S. mí comínzara a píantarne, ío ne trapíantarò tante che non baslarà Ia sua oignía con quella del sígnor padre et tutto íI campo cavalcando gioiosamente

Sermoneta.z)

Per la caccia si partiva sia da Sermoneta sia da Gstema, dove la piccola rocca era stata trasformata in una comoda dimora e dove oramai cominciava a risorgere il paese, conveniente centro amministrativo per I'azienda agricola e punto di tappa nel viaggio d'andata o ritorno

da Roma. ")

E

quando

il

giovane cardinale rincasava stanco dalle lunghe cavalcate, nelle miti serate in quelle calde e pesanti dell'estate, andava spesso a cenare alla

della primavera e dell'autunno, o

vigna, che possedeva Bonifacio ai piedi del monte di Sermoneta. Ivi, sotto i pergolati, veniva a tenergli compagnia il padre; nel fresco della sera, al lume de' torcieri, Camillo trascorreva lunghe ore, seduto in una comoda poltrona sulla quale abbandonava la deforme schiena; carezzandosi la barba, ascoltava il racconto delle awenture di caccia, le burle fatte ai compagni; e man mano la conversazione, facendosi più seria, deviava sugli affari, sulla politica e sulle arti. L'amministrazione dello stato dava molto da fare e Camillo volle che i figli, appena divenuti uomini, vi parteciparsero. b) Di animo caritatevole nelle piccole e nelle grandi occasioni, volle istituire a Sermoneta un Monte di Pietà per troncare I'abuso dell'usura che rovinava i vassalli I

grandi lavori di ricostruzione furono iniziati più tardi. rocca aveva ancora la forma medioevale, di cui rimane ora solo qualche tratto: v'erano I'appartamento del castellano e quello del cardinale, arredato di belle stoÍe, quadri e buoni mobili, e provvisto di sala da pranzo, di cucina e di u)

Nel 1544 la

r)

c.3901.

D c.4ó99.xI.

quaùto occorreva per un comodo ritrovo di caccia (C-4094). b) Dal 1544 al l54E si svolse a Napoli una lungacausa

tra i Caetani e i Gaetani d'Aragona per la dote,. non ancora liquidata, della defunta Beatrice Gaetani, prima moglie di Camillo.

Vita

intima.


IL CARDINALE

ADOLESCENTE

Lib. I, Cap. Vl.

meno abbienti: i prestiti erano semeshali e non dovevano superare due ducati; il tasso era del quattro per cento ed inteso a coprire le spese soltanto, che noí, diceva Camillo, non oolemo níente. t) Limitata benevoleoza

di

Paolo

lll.

Furono aggiustate le questioni finanziarie pendenti con la Chiesa e quelle riguardanti alcune 2) L'abazia di Valviincertezze che perduravano sul possesso dell'Acquaptzza e di San Felice. t\ fu riconfermata in giuspatronato sciolo, già tenuta in commenda dal papa quando era ín minoribus, a Camillo e suoi discendenti. a) Alla famiglia furono concessi vari privilegi spirituali (perché tutti di casa erano ferventi cristiani), riguardanti la confessione, la remissione delle Pene, I'altare 5) portatile, la dispensa dal magro, le visite ai conventi etc. Tutto ciò era una non dubbia espressione della benevolenza del pontefice ma, a dire il vero, si riduceva ad una spolveratina di grazie date ai prossimi congiunti; veri e grandi favori non furono mai concessi ai Caetani da Paolo III (salvo il cappello cardinalizio di Nicolò), e con I'andare degli anni il papa diventò sempre piùr parco nel concedere benefizi benché non meno amo' revole verso la famiglia. Volle però che il giovane cardinale lo seguisse in alcuni suoi importanti viaggi: già nel 1541, quando si discuteva della partenza del papa per Bologna per abboccarsi con I'imperatore, 6) fu fatta la proposta che Nicolò lo accomPagnasse. Nel febbraio del 1543 Paolo III per la seconda volta si allontanò da Roma per vari mesi e si recò a Bologna non solo per Ie trattative di pace u) ma anche per esset piìr vicino al concilio che si svolgeva a Trento; Nicolò lo accompagnò, se' guendolo anche a Piacenza e Ferrara, e in tale occasione gli T) venne affidata una legazione di non rilevante importanza a Siena. Nell'agosto del 1545 Paolo III, scortato dalla sua guardia di cavalli, si recò a Gstema ove fu ospitato dai Caetani. 8) Un Sigillo del card. Nicolò Caetani 9) anno dopo affidava a Nicolò I'amministrazione della mensa vesco(r54r). vile di Capua e, morto I'arcivescovo Tommaso Caracciolo, gli concedeva la diocesi con tutti i diritti e privilegi; '0) Pietro di Toledo, viceré di Napoli, rilasciava

le lettere esecutoriali relative.ll)

Rinunzia all'arcivesc.

di

Capua.

Turtavia il godimento di questa grazia fu di breve durata ; nell'agosto del 1548 il papa informava i Caetani che, per ragioni d'impellente necessità, era costretto a togliere a Nicolò I'arcivescovato di Capua: ciò fu un grave colpo per le frnanze della Casa, comportando una diminuzione di rendita di I 500 scudi. Invano Camillo implorò il papa, invano s'interessò della cosa il cardinale Alessandro Farnese. ll pontefice non volle cedere e Nicolò si trovò obbligato a scrivere agli eletti di Capua : Haoendo Ia Santità dí N. S. ilecretato che i cardínali che parendomi hanno chiese, oadano aIIa residenza, ho delíbercto di rínunziare la chíesa dí Capua [esser piìt oblígato a ríseder qui (in Roma) come cardínale che altratse come arcír)escooo.t2) Non posso accertare quale sia stata la vera ragione di tanta durezza da parte del sovrano ; sconvolto dall'assassinio di suo figlio Pier Luigi, in conflitto con I'imperatore connivente al delitto e che gli ostacolava il governo della Chiesa, angustiato per le questioni di Parma e di Piacenza, .) Vedi lungo mcmoriale (C'3907): Ins!rultìonì conc possa Pao|o III mosbare nèalralttà con Frcnccst ìnsospettítí 1) Pg.r., ?) C - 4091

.

Il, p.

30'

8) Panl.,l, p.

?) C - 3SS2'

57V

ltl'

E) Arc. S.

3) Cf' pac' 3l ' M' dt Setmoneta'

pct l'abboccamcnlo del Fapa con l'ímperalorc et separcrlí dal-

l'unìonc col Turco. {) 2l .Vll. 154O, Pte. 1967. r) Pry.240o. 9 ó.V. 1546, C-4305. n) 13.vnl, c-4305-

,

C-3879.

tzlc-4517.


PaolollleiCaetani

[541-r5481

55

era diventato intrattabile. I Caetani ne risentivano il contraccolpo: anche le cose di Meldola e la questione non ancora liquidata dei 10000 ducati, prestati a Leone X, prendevano una cattiva piega. r) Neppure la condotta di una compagnia di gente d'arme, chiesta da Bonifacio Caetani in questi rumori di guerra, ebbe buona accoglienza. ") Improwisamente si creò una situazione tesa in seno alla stessa famiglia, tra Camillo e il cardinale Nicolò. Questi, che oramai aveva 22 anni, cominciava ad agire più di testa propria e meno per volontà del padre; d'altra parte Camillo ooleoa sempre haoere ragione in ogní cosa. A tali contrasti, in parte anche politici, si debbono esser aggiunti motivi di ordine economico, perché Camillo voleva che Nicolò vivesse delle proprie rendite ecclesiastiche, senza esser di peso alla Casa, mentre il cardinale voleva avere la sua parte degli assegni. Tutto ciò produsse una spiacevole tensione e vi andarono di mezzo le donne che cercavano di ricondurre in famiglia I'armonia. Finalmente dovettero intervenire il cardinale Farnese e lo stesso Paolo III. Dsgustato di tutto ciò e disperando di ottenere qualche cosa da un papa che limitava Tendenza 2) pro'francesi' lo spietato nipotismo ai 6gli e nipoti, Nicolò rivolse la sua speranza verso la corte di Francia, prevedendo che piir utile poteva derivare da essa alla propria Casa che non dalla curia romana I di ciò si dirà più estesamente nel capitolo seguente. Si adoperò a sottoporre al papa, per tramite del cardinale Farnese, una sua idea la quale avrebbe risoluto le difficoltà che si frapponevano all'amicizia tra la Chiesa ed il re di Francia, alla costituzione della lega ed al recupero di Piacenza. Evidentemente il giovane cardinale cominciava a meditare sugli afiari politici, ma di questa prima sua geniale < pensata ', non volle 3) mettere una parola per iscritto. {r

** Camillo, durante il decennio seguente al 1540, oltre alle opere di fortificazione, diede corso a varie costruzioni, tra le quali il rifacimento di S. Angelo in Sermoneta; nel demolire I'altare fu rinvenuta una coppa di rame contenente reliquie, sulla quale era incisa la notizia che la chiesa fu consacrata nell'anno I 120 da Gregorio, vescovo di Terracina, in onore di S. Michele Arcangelo. a) [.a piùr importante di tutte le opere però fu il restauro generale fatto alla badia dei SS. Pietro e Stefano di Valvisciolo, detta la badia di Sermoneta, eseguito tra il 1544 e 1548 5) con non indifferente spesa. Ad ornarne I'altare maggiore, nel l54l fu commesso a Grolamo Siciolante, detto ., il Ser- Girotamo siciolante pittore' moneta ", di dipingere una grande tavola nella quale è raffrgurata la Madonna con i due santi patroni ed il fanciullo Govanni Battista ai suoi piedi. Il quadro fu rimosso dalla chiesa e portato al nostro palazzo in Roma quando Don Filippo, verso la metà del secolo scorso' cedette ogni diritto della Casa a Pio lX. Essa è la prima grande opera del maestro, dipinta in età di venti anni. Riferisce il Pantanelli che la famiglia portava un tempo il nome di Cristalli, mutatosi poi in Siciolante per avere Francesco di Paolo Cristalli rinvenuto un tesoro. Mi rimane oscura 6) I'etimologia d"l norn* Detto Francesco fu padre di Girolamo, Giovanni, Alessandro ed Onorato.

I Caetani si erano messr all'erta (lrc, Nap., Scritt. Farnes., fsc. 272). ll l.Vl .154E' compravano da Ottavio Orsini duè mezzi cannoni pet Serrno' .) (C-4465 etc., C-4454bi:).

ll,

)

c-4469.

p.6O2-3.

2) C-4461.

, C-4482,

reta del peso di 9080 libbre per il prezzo di scudi mozú 726, bot. 56. Quest'artiglieria fu condotta nella rocca nel mese di sett. (C - 447 2' lll ; C - 4473' l).

a) Pont., l, p.

217.

5)

lrc.

Coef.,

passim.

6)

Pa

eenealceia cÍ. Panl.,


IL CARDINALE

Lib. I, Cap. VI.

ADOLESCENTE

Girolamo ebbe cinque figli, tra cui Tullio, morto. il primo agosto 1572, nel quale anno, emulo del padre, dipinse una lunetta sopra lavagna, che si conserva nel mio appartamento. Girolamo fu allievo di Pierin del Vaga, e moltissime furono le sue opere delle quali il Vasari, che di Iui ebbe alta stima, dà un lungo elenco; alcune, da questi omesse, sono registrate dal Pantanelli. Più di ogni altro sono noti i lavori eseguiti a Castel S. Angelo per ordine di Paolo III.

Di lui si

Relazioni

con

i

Caetani.

conservano

in archivio varie lettere, trale quali una

del novembre 1545, scritta

da Piacenza, ove si era recato presso il duca Pier Luigi Farnese con credenziale di Bonifacio Caetani; il duca non gli affidò che una sola pittura, ricordata dal Vasari, per la quale ragione il giovane artista nella primavera seguente fece ritorno a Roma perché, egli disse: u Voglio oedere de non perdere íI tempo per che, se potrò, ooglío andare innasi no a drìeto ,r, t) Nel 1549 Bonifacio volle che il Siciolante venisse a Sermoneta per dipingere alcune stanze, come risulta dalla seguente lettera:

2)

, fuf,u srúr aQarn ft,lt''.ffihpr d/tz lSofrnt{t.l t . rl tà /4r44aL t t(/.h/{ryr/b f'/ .nn?* / Vufnn,' ' fd,ît;/^ d turna wrtnfurí- frrl ,n m,M "rf t/n^ .o4r/*atÀ z*rr7z' fr " .frlh r'érr'- | ,rhrt/'Vtaíh3r:# cdfl,' j $ ;/)'lt /núraàn, / "4*[ìr; ,hrù, n lro, L*a./r 2úÀ .2a6 x 1g."À, lt;; d/fnnTri y'úi

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lavoro probabilmente non ebbe corso. Siciolante dipinse molti quadri per ordine

0'*;#

di casa Caetani nelle varie chiese che da essa dipendevano; come era solito durante il Rinascimento, i maestri della pittura e della scultura erano anche architetti ed artefrci che si prestavano a servizi che un artista moderno crederebbe al disotto della propria dignità. Nel gennaio del 1557 rnaesbo Gírollamo píttore dipinse I'impresa che S. S. (Bonifacio) ouole nella ínsegna della sua compagnia di cavalli t,

c-422t.

2) c-1585.


TAVOLA DI G. SICIOLANTE DEf,-f O (.5+

r)

IL StrRMONtr"fA


Girolamo Siciolante

[r545.154e1

57

leggieri, seguendo il disegno fornitogli dal signore. ') Nel 1574 compì probabilmente un quadro per la nuova chiesa di S. Antonio in Cisterna. 2) La famiglia Siciolante frorì ancora per due secoli, ma poi se ne perde traccia in Sermoneta.

*** Intanto gravi dispiacerierano venuti ad amareggiarela vita di

Paololll: il l0

settembre

1547,

il figlio Pier Luigi cadeva assassinato nel castello di Piacenza, connivente I'imperatore, e il suo corpo veniva gettato dalla finestra; il giorno seguente gli spagnoli occupavano la città. Il papa, accostatosi ai francesi, volle alla Chiesa riunire Parma, che apparteneva a Ottavio Funese, figlio di Pier Luigr; diede quindi ordine a Camillo Orsini di prendere la città. Furente di tale atto, Ottavio, il 20 ottobrc 1549, partiva segretamente da Roma correndo su Parma; dall'Orsini non gli fu permesso d'entrarvi. Invano il papa cercò di richiamare a sè il nipote prediletto; questi corse da Ferrante Gonzaga, mortale nemico dei Famese, e si unì all'imperatore contro colui al quale doveva ogni cosa. Disfatto moralmente dal tradimento del proprio sangue, gravato e consumato da 82 anni di dura e laboriosa vita, il papa prese freddo recandosi ad una villa del cardinale Carafa sul Quirinale e fu attaccato da violenta febbre. Sentendo awicinarsi la frne, Paolo III chiamò intorno a sè i cardinali che stavano in Roma e diede Ie sue ultime disposizioni. \ C-j931.35-42,

,) Vcdi qp. Xlt.

ffi^ffi (Bibl. Nat., Parigi; Estanpes)

Dozsr, Il, 8.

e

parma Piacenza'


Ceprrolo Vll.

GIULIO

III E LA POLITICA FRANCOFILA DEI CAETANI. (r 550-r 555)

di

cardinale Nicolò Caetani seppe che Paolo III era in pericolo di morte, partì a cavallo per Roma, viaggiando a spron battuto, sotto una pioggia torrenziale e senza fermarsi un istante per istrada; la

ppENA

Morte Paolo III.

il

del 9 novembre 1549 giunse alla villa di Montecavallo e, grondante d'acqua e sporco di fango, si recò direttamente nelle stanze del cardinal Alessandro Farnese.

sera

Questi volle che andasse a vedere il papa subito, senza neanche cambiare gli imbrattati panni; lo trovarono rantolante, non piir in grado di riconoscere alcuno; con voce rauca pel catarro, cercava di recitare il Me expediam. Sulla sua sorte non c'era più da dubitare

Sede vacante.

e, infatti, alle prime ore della mattina sprrava. ") I cardinali presenti accompagnarono la salma al Vaticano; poi lniziale del sec. XV. l) Nicolò ed il Farnese si ridussero in una stanza ove i due giovani di scussero segretamente della situazione e dei prowedimenti da prendere. Il momento politico si presentava ispido e pericoloso, non solo per lo sforzo supremo che la Francia e I'imperatore avrebbero fatto per determinare la scelta del nuovo pontefice, ma anche per la spinosa questione di Parma e Piacenza e per Ia reazione dei Colonnesi, che erano stati duramente trattati da Paolo III. Per mantenere I'ordine e proteggere il conclave, Orazio Farnese, fratello del cardinale, fu posto alla guardia della città con 5 000 fanti; all'arcivescovo di Matera, Govanni Michele Saraceni, 2) fu affidato il govemo di Borgo e al vescovo di Ascoli quello di Roma. Bonifacio Caetani fu nominato colonnello del Sacro Collegio, con I'incarico di mantenere I'ordine nella Campagna e Marittima ed in special modo di presidiare personalmente Terracina sul confine del Regno; il suo comando fu poi esteso sino ad Anagni, dove era stato stabilito altro forte presidio della Chiesa. A Terracina la situazione era singolarmente delicata a causa del grande nervosismo che regnava nella popolazione, e non tardarono a nÍrscere conflitti tra questa e Ie soldatesche di Bonifacio. Probabilmente per tali motivi il govemo della città dopo qualche tempo fu affidato .) (C-4615). Quel giomo stesso il card. Nico!ò scriveva al síg. CamiIIo Oníno che habbt ìla dat Pama aI duca O!' al padre: È andato Íl il;eoe dÍ S. 5tà. con tuttíIíconbasegni tattío. Gò conferma quanto dichiara il Pastor (V, p.675). t) Mís., C-3 (20),

C-II0.

2) C'4616'


59

Sede vacante

[nov. 1549]

ad un principe della Chiesa, ed appunto al cardinale Nicolò Caetani in qualità di

et

commissaríus

t) custos arcis Tenacine.

Intanto i Colonnesi avevano gettato il Lazio in grande allarme perché, approfittando delle debolezze ed incertezze della sede vacante, avevano proceduto nel riconquistare a mano armata le castella che Paolo III aveva loro confiscato. Camillo Colonna dr Zagarolo si era messo in cam-

(Dal quadro

,", r,t';'Jl',ltta[. Naz., Napoti).

di 200 fanti e Marcantonio, ricuperando ad una ad una Ie terre di suo padre Ascanio, marciava sopra Nettuno; si scontrò con le truppe del principe di 'sulmona ed ebbe la peggio rimanendo egli stesso ferito e prigioniero. 2) Approfittando della confusione, i vassalli dei Caetani e dei Colonna erano venuti alle mani per la vetusta questione del diritto di pescare lungo la marina di Fogliano; ofiese e rappresaglie si alternarono tra Nettuno, Campomorto e 3) Terracina e passò un anno prima che le discordie fossero sedate. In previsione di tutto ciò Camillo Caetani si era recato subito a Roma con una scorta di 40 armigeri di Gstema (molto avendo a sospettare dei Colonnesi) per prowedere, d'accordo col cardinale Farnese e col figlio Nicolò, all'invio di armi e soldati a Sermoneta ed alle tene circonvicine. Otrrì il suo appoggro ed aiuto a Velletri, Cave, Priverno, Carpineto e ad altri

pagna con uno stuolo

1) Atc.

S. dí

Roma,

nudati, 1548' 52, Î. 165.

2)

C-46ZS.ll.

,

e-47A4 al 4792,

pasgim.

Inrurrezionc

dei Colonna.


GIULIO

III E LA

POLITICA FRANCOFILA DEI CAETANI

Lib. I,

Cap.

VII.

paesi della regione, r) e questi accettarono ben volentieri, stringendosi attorno ai signori di Sermoneta, loro antichi e naturali protettori. Cave chiese subito che le si mandasse polvere e un presidio, sentendosi minacciata dai Colonnesi. 2) I corrieri venivano perquisiti, le lettere dissigillate.

Elezione

di Giulio lll.

Approcci

dei

C.aet.

verso la Ffancia.

Grande era il nervosismo, ma dopo poche settimane la situazione generale si fece più tranquilla e molti soldati furono licenziati. Il conclave si aprì il 20 novembre e durò sino al 7 febbraio, perché i due partiti in cui era diviso, francese e spagnolo, quasi esattamente si bilanciavano e con ostinazione lottavano per i propri candidati. Il gruppo Farnese, dopo aver titubato un poco a causa di Parma e Piacenza, si mise dalla parte degli imperiali. Nicolò Caetani, quantunque parente dei Farnese, sin dal principio si dichiarò apertamente per la Francia; la sua giovane età (non aveva ancora 23 anni) non gli permise di aver molta influenza sui colleghi; ") tu$avia si adoperò attivamente e, quando il 7 febbraio i cardinali di parte francese, che avevano lavorato per concentrare i voti su Giovanni del Monte, vollero proporre ai colleghi dell'altra parte di eleggerlo per acclamazione, scelsero per loro rappresentanti Caetani e Capodiferro. La proposta fu accettata e quella sera stessa il Del Monte fu venerato sotto ii nome di Gulio III. 3) I Caetaní si rallegrarono della elezione perché il papa da lunghi anni era amico della Casa e anzi legato a Bonifacio da vincolo spirituale per aver tenuto a battesimo uno dei figlioli, ciò che egli stesso ricorda in un suo breve. a) Camillo, la sera stessa della elezione, andò a {argli úverenza quantunque il nuovo papa già stesse in letto stanco delle emozioni provate. 5) Gulio III ebbe speciale simpatia per I'intelligente ed allegro cardinale di Sermoneta, e ricorda il Moroni 6) che durante il suo pontificato, d'estate, sovente soleva recarsi in barca a visitarlo nel palazzo all'Orso ove si tratteneva a lungo nel giardino, genialmente conversando con lui nelle fresche ore della sera. Già da qualehe tempo, vivente ancora Paolo III, Nicolò, ambizioso di farsi strada e poco piùr avendo da sperare dal papa, aveva rivolto Ia mente verso la corte di Francia; questi, giunto ad 82 anni di età, non poteva durare oramai molto piìr a lungo; imminente era un conclave, grande cimento politico nel quale il Caetani avrebbe potuto fare mostra di sè, difendendo gli interessi del re di Francia; il che avrebbe assicurato onori e prestigio a lui stesso e poteva aprire nuwi orizzonti alla grandezza della Casa. Desiderava perciò recarsi alla corte di Parigi dove, nonostante Ia giovane età, sarebbe stato accolto con grande deferenza come principe della Chiesa ed avrebbe potuto ofirire personalmente i propú servigi al re. Di tale progetto aveva parlato al cardinale Farnese sin dal mese di marzo e ne aveva avuto un'approvazione generica; ma, quando chiese licenza a Paolo lll per il proposto viaggio, questa gli fu duramente negata,

7)

Con il nuovo pontefrce, anche troppo largo di grazie, previde che non ci sarebbero state iriir difficoltà; del' resto, mentre ancora durava il conclave, già aveva espresso ad Enrico II il proprio intendimento di recarsi in Francia; infatti, otto giorni appena dopo la elezione, il sovrano inviava al feal cousín Ie cardinal de Sermonetls b) (neppure i francesi del secolo XVI rispet-

O È du notare anche che, durarrte il conclave, Nieolò si amualò, il che ostacolò gnndemente I'opera sua (C.4795). b) È da notarc che Nicolò, durante it pontificato di Paolo III' si sottorcrisse costaDtemente

" Il

4ó20.

\

1) C-4618 al 7) C- 4548.

cardinal Caetano

r,

mentre dal

C-4625'1.

\

Cî. Pastot.,Yl,

conclave del 1549 in poi si firrnò u Il cardinale di Sermoneta o, appellativo datogli il giorno della sua elezione, ma del quale non si valse 6nché nón ebbe acquistato una certa autorità in seno

p.33.

al sacro

collegio.

a) Pte.

3812.

b)

C-4717.11.

6)

L)(XV, p.

140.


[aov. 1549-rct l550l

Nicolò Caetani in Francia

altrui) un ampio salvacondotto in cui erano ricordate I'affezione e la devozione della famiglia per Ja real Casa. r) Per una ragione o I'altra, il cardinale dovette dilazionare il viaggio; intanto il re gli concedeva il vescovato di Cornovaglia, il che prometteva bene per il futuro. 2) Finalmente, ai primi di settembre, ogni cosa per la partenza era pronta, come apprendiamo da una leftera del piccolo Onorato, il futuro eroe della battaglia di Lepanto, il quale allora aveva otto anni, che si raccomandava allo zio di non scerdarsi di portargli dalla Francia un bell'anello. 3) tavano I'ortografra

4lrtt, { ?ry ,frfon 9Y uia }-bgoo Ha*?núff. s, w/ura aryinr c; nú nl :r^":]: ,t" ír* Torcnú?saíati,7y,{o da k^n?úr,,Ò

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I-ettera

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Caetani.

Partito verso la metà del mese, per via di Firenze e Genova, il cardinale con la sua comitiva ebbe a soffrire della neve e del maltempo nel Monferrato, delle cattive strade della Savoia e del difficile valico della Gabelletta; Énalmente, deo faoente, giunse il 22 settembre a Lione, festosamente accolto dai familiari del cardinale di Ferrara, Ippolito d'Este; alla fine del mese era a Parigi. Recatosi presso la corte, il cardinale fu ricevuto con infinita cortesia da Enrico II, dalla regina Caterina de' Medici, dal duca Francesco di Guisa e dal di lui fratello, Carlo cardinale di Lorena. In viaggio ì trtsti oíni di Normandia dooe non nasce oíte gli avevano guastato un poco lo stomaco: disturbo che diede occasione ai sovrani ed a tutta la corte di mostrargli apertamente la loro amoreoolezza et passíone íncreilíbíIe. Appena guarito, il cardinale fu accolto festosamente ed ammesso nella cerchia più intima del re, che lo trattava come amico e consi' gliere, grato de' servigi che gli aveva prestato durante e dopo il conclave. r)

hs.

2092.

2)

Prc.957.

3)

C-4771'll.


GIULIO

vra

nclta

di

cortc

Francia.

Ritorno

a

III E LA POLITICA FRANCOFILA DEI CAETANI

Roma.

Lib. I, Cap. VII.

Quanto Nicolò aveva previsto in Roma, il corso degli eventi e le intenzioni del pontefice, sl era awerato parola per parola a tal punto che il re, parlando del cardinale in seno al consiglio segreto, a modo di conclusione aveva esclamato : " Fínalment ell'ha ti tríomphé " che, scrisse Nicolò, ool díre ín língua nostra: u Ha deUo tanto bene che non posseoa dír meglío r,. Con ciò si era guadagnata Ia piena fiducia del sovrano, il quale gli dava visione di tutti gli awisi che riceveva da Roma e da Napoli per averne il parere in merito. Altrettanto faceva il cardinale ma, essendo uomo di mondo e pratico della vita di corte, agiva con tatto e frnezza: aveva premura di non tenere il contestabile, il duca di Guisa ed il cardinale di Lorena all'oscuro dei discorsi che correvano tra lui ed il re in modo da non destare sospetti ed urtare suscettibilità. Tanto bene seppe navigare che il cardinale lppolito d'Este, informato di tutto, ebbe a dire di lui: u Sí gooerna meglío che non farriamo noi altrí oecchí! " Purtroppo, non abbiamo notizia alcuna delle cose che furono trattate fra il sovrano e Nicolò perché, mentre si conservano alcune delle lettere familiari scritte al fratello Bonifacio, quelle di carattere politico, dirette al padre, sono andate perdute. il re ed il cardinale < suo cugino ", giovani entrambi, s'intrattenevano anche a scherzare su cose mondane e, conoscendo i peccatucci del nostro Monsignor lllustrissimo, direi che, a volte, la conversazione dev'essere stata piuttosto frizzante. Non minore era la Autogafo di Caterina de' Medici. l) confidenza che si stabilì tra Caterina de' Medici ed il galante principe della Chiesa, il quale si recava alla corte tre e quattro volte al giornd, non mancando di valersi del suo charme verso le belle principesse e dame di palazzo. Tanto fu preso dalla spirituale eleganza e dalla piacevolezza, inalterabili caratteristiche secolari della vita nelle alte sfere di Francia, che s'innamorò del paese e, se non fosse stato per i legami di famiglia e per il desiderio espresso dal re che stesse ove meglio poteva servirlo, 2) ossia presso Ia Curia, si sarebbe ben volentieri stabilito per sempre in Francia. Dopo cinque mesi di permanenza presso la corte si accinse a fare ritorno in patria, ma prima di partire volle assicurare alla Casa ed a se stesso alcune grazie sovrane, soggetto del quale, con sottile senso diplomatico, aveva evitato di far cenno sino al momento del congedo. Tra altro ottenne che il fratello Bonifacio entrasse al servizio del re di Francia con una pensione di t il che gli diede vivissima soddisfazione, essendo ancora ignaro di quanto 4 000 franchi annui; sia lunga la strada tra il promettere e il dare. ll 24 mano l55l , il cardinale Nicolò rientrava in Roma, festosamente accolto da parenti e amici, e I'ingresso in città gli parve un trionfo perché sentiva Ia propria Persona di molto ingrandita per aver trattato di tante cose importanti con il sowano e Ie autorità di una delle maggiori corti d'Europa. Era diventato molto sicuro di se stesso e' benché cadetto, tornava con I'intendimento di prendere in mano la direzione della politica di casa Caetani e d'imporre ad essa la propria autorità; grà aveva cominciato dando da Parigi una buona lavata di capo alla cognata Caterina per aver interferito nella lite relativa all'amministrazione del patrimonio della di lei madre, Ia contessa di Carpi. a) La politica dei Caetani doveva essere volta tutta a favore della Francia; essi dovevano diventare gli esponenti massimi del re cristianissimo in Roma come i Colonna erano quelli del partito imperiale. Sermoneta doveva essere un baluardo contro la dilagarrte r) c- 8184 . I.

,

c-4791.

D C-6956.

*)

c- 1551.I.4,N. l72l0l.


Rodromi della guena

fi55r-15531

63

o I'altro in qualche futuro conclave, la Francia, grata dei servigi ricevuti, avrebbe dato il suo appoggio all'ambizioso, attivo ed intelligente cardinale di Sermoneta ! ") Tal'era il vasto piano escogitato dal più giovane dei membri della Casa. Per questa idea i Caetani andarono incontro a molte fatiche, angustie, pericoli e spese oltre a quella tutt'altro che indifierente del viaggio compiuto. b) Si attirarono I'odio della Spagna, che mosse contro di Ioro i Colonnesi ed i parenti invidiosi, e per poco non fece perder loro Sermoneta e la vita; ma quando si venne al dunque, i re di Francia sembravano essersi scordati di tutto, persino di pagare le pensioni; ingratitudine che, come vedremo, spinse poi la nostra famiglia ad abbracciare anch'essa la causa spagnola. egemonia spagnola. Forse, un giorno

*

*4c

Gulio III, adempiendo

al trono, si affrettò a concedere Parma al duca Ottavio Farnese, così I'ultima volontà del suo predecessore. Carlo V si oppose; offrì 40000 ducati

ad Ottavio

perché rinunziasse, considerando guesta somma minore della spesa che sarebbe costata

appena salito

la riconquista; il duca rifiutò e chiese appoggio ad Enrico II. Così si riaccese la guerra tra la Francia e I'imperatore, mentre il papa, ostentandosi neutrale, faceva vani sforzi per mantenere la pace in ltalia. Il momento era difficile e pericoloso tanto per i Caetani quanto per i Farnese, gli uni e 'altri gli fautori dichiarati della Francia ; lo divenne ancor più dopo che il cardinale Alessandro, sotto scusa di voler persuadere Ottavio a tornare all'obbedienza della Chiesa,l) ett partito da Roma con 40 cavalli armati senza far riverenza al papa (18 apr. l55l). Caduti i Farnese in aperta rottura con Giulio III, il cardinale di Sermoneta cercò di aiutarli e proteggerli in ogni modo possibile ed intercedette presso I'irato pontefrce, della qual cosa essi gli furono sinceramente grati. c) Intanto Enrico II, re cristianissimo, si era collegato con i turchi e, íl 27 luglio 1552, riusciva a far sollevare Siena, che cacciò il presidio spagnolo; con ciò la Toscana divenne un nuovo teatro di guerra. II viceré di Napoli, mentre allestiva un esercito per muover contro la città ribelle, chiese I'autorizzazione di poter traversare Io stato pontifrcio, alla qual cosa il papa cercò vanamente di opporsi, allarmato del grave pericolo: già negli occhi della Curia si risvegliava lo spettro del sacco del 1527. Camillo Orsini mise Roma in istato di difesa. Nei primi giorni del 1553 Garcia di Toledo, 6glio del viceré, si mosse col grosso dell'esercito e, attraversato il Lazio, si awiò verso Cortona. Nonostante il continuo complicarsi della situazione e I'atmosfera poco favorevole a Enrico II, i Caerani non titubarono mai nell'atteggiamento preso come dichiarati difensori degli interessi francesi. Il giovane cardinale, intelligente e pieno di tatto, seppe barcamenarsi senza guastarsi a) Qualche ".ne più tardi ( I 556 , IX . 30), Francesco Torello, scrivendo da Parigi al cardinale, gli ricordava che hotmaí doorebbe pensarc de haoet anco esso a pen)enhe aI supremo

gailo de sua

ptofesslone

(C-ó56ó).

b) Nell'equipaggiarsi e ael viaggio di andata il card. Nicolò aveva già speso 5 000 ducati d'oro e, appena giunto alla corte di Francia, inviava urgenti appelli a Roma paché gli maadaasero altri denari ed onorasscro le tratte che andava spiccaado a vuoto, con grave dispiacere del padre (C-4779'l\. c) Scriveva il Farnese al card. Nicolò: FIo cognoscíulo

t) c.4675.

talmente I'anìmo et artote ck mí ha pttato epoilalnquestl miei traoaglí ch'ío non so come mai potetlo pagarc et rcndergliene íl cambío se noa con amatlo e continuate ad esseryIi quel scrtítote e ttatello ch'ío gli lrlrno ... MI dole cÀe N. S. ínteryretî le mîe attíonl sínístramente... Io non posso forzare mío îratcllo aà, uscírc di Parma ollra che, esxndo stata Casa mía lnto xma di S. ^5.6, mÍ par sbano che non ci habbía .n 1,oco dí conpasíone haoentlo noJ patíto quanlo haoemo et

nel sangue e ne' slatí el nel honore etc, (C'4893).

Prodroni della guena,


u

Attività del card. Nicolò.

GIULIO III E

LA

Lib. I, Cap. VIL

POLITICA FRANCOFILA DEI CAETANI

col pontefrce; anzi seppe meritarsene la benevolenza, adoperandosi onestamente per mantenere la pace, nè perdeva occasione per dimostrare il proprio fervore. Nel febbraio del 1552, quando venne a Roma il cardinale di Tournon come mediatore, Ncolò gli andò incontro sino a Prima Porta e lo accompagnò dal papa, che ricevette il nuovo arrivato con le parole: u Te accípímus tanquam angelum pacÍs >. l) Gli sforzi di Giulio III

in

questo senso non cessarono un istante, ma gli ambasciatori e

i legati solcavano

incessantemente

I'Europa con le loro missioni senza riuscire a nulla. Nel maggio del 1553 il cardinale di Sermoneta fu inviato a Siena come legato, unitamente col Vimercato, per indurre i belligeranti

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PO.TA

BA5T1ONÉ 9T

S. SEE'esrteuo' Pianta delle fortificazioni

di

Torrenuova.

delle armi; vi giunse il 30 ed alloggiò in casa del cardinale 2) Due mesi piìr tardi lo troviamo membro di una speciale congreIppolito d'Este, suo amico. gazione che doveva esaminare I'opportunità o meno di richiamare i due ambasciatori, inviati quali mediatori presso il re e I'imperatore. 3) Purtroppo I'angelo della pace era ben lungi ancora e nel Lazio fervevano preparativi di guerra. Tra i vassalli dei Caetani di Sermoneta e quelli di Maenza, nemici da oltre un secolo, 4) vi erano stati conflitti con morti e feriti, e si preparava il campo per Ia grande congiura, di cui si dirà appresso. Per questo moúvo e per difesa dello stato contro la minacciata invasione delle truppe spagnole dal lato di Tenacina, Camillo e Bonifacio andavano armandosi e fortificandosi, fedeli alle promesse reiterate dal cardinale a Enrico II di custodire la loro inespugnabile rocca come cittadella francese; alla quale dichiarazione il re aveva fatto rispondere: * Acceilale iI cardínale di Sermoneta che ío son per dîfadere le cose sue e dí Casa come Ie mîe ptoprte ,.5>

a concludere una

t, c-4675.

t)

sospensione

Sezíní, in ,4rc.

,f. It.,

1542,

\

Paator,

Vl, p. ll3.

*) Donur, I, ap.

XLVll.

6) Pent.,

t, p.582.


Fortificazioni

11552-15r31

di Sermoneta

lavori eseguiti a Sermoneta miravano principaknente a ultimare la difesa della terra dal di lato della Porta del Pozzo, ossia da quella parte ove lo sperone scosceso, sul quale s'innalza il paese, si collega ai monti retrostanti mediante una sella: è questo il punto strategicamente piùr debole, anzi I'unico dal quale la terra poteva essere attaccata con qualche probabilità di successo. Già nel 1448 Onorato III Caetani aveva provveduto a recingere il nuovo quartiere urbano, detto di Torrenuova, che si estende da quel lato, ed a difendere la sella con mura e torricelli tondi et scarpati,r) davanti ai quali {u scavato un fossato. Queste opere sono indicate in nero nello schizzo qui riprodotto.

I

Alessandro

VI, finita la

Baetioni

ro*enuova'

ricostruzione della

rocca, forse iniziò anche quella delle mura castellane, ma comunque non ebbe,il tempo di portarla a compimento. Verso il 1546 2) Camillo Caetàni chiamò il ben noto architetto militare Giacomo Castriotto, il quale progettò la costruzione di una tenaglÍa o coda di ntbbto nonché il baluardo di S. Sebastiano che, addossandosi alle fortifrcazioni del secolo XV dovevano rinforzare la difesa del luogo, secondo i dettami della nuova architettura militare; di questo egli parla nella sua opera sulle Fortificazíoní delle Città,3) dando una pianta ed il prospetto riprodotto in questa pagina.

I

lavori furono condotti

a

spese dei

signori e della comunità per circa dieci anni, a varie riprese, intensificandosi ogni qual volta era imminente la guerra e maggiore il peri-

colo. ") Nel 1553 I'opera era pressoché ultimata, pur tuttavia restando imperfetta nel Forti6cazioni di Sermoneta veno il 1550 (Dall'opera àel Castríotto). e Tonenuova di bastioni tratto fra i due S. Sebastiano, ove sussistevano ancora le sottili mura e le torri medievali, insuficienti per resistere alla batteria dei cannoni di grosso calibro. Mentre Camillo prowedeva a questi lavori difensivi, Bonifacio non poteva rassegnarsi a rimanere inoperoso e, nonostante I'incipiente malattia del padre ed il sospetto che i Caetani di Maenza stessero complottando qualche tradimento d'accordo con gli spagnoli, credette suo dovere di militare per il re di Francia. Si è già ricordato che quando il cardinale Nicolò soggiornò nella corte di Enrico II, questi aveva accettato di accogliere Bonifacio tra i suoi capitani d'arme con una pensione di 4 000 franchi annui. Tali emolumenti non erano stati pagati, ma Bonifacio aveva avuto il tatto di non richiederli, ben sapendo quante erano Ie .lifficoltà del momento; dopo tutto, poco gli importava di riscuotere questa pensione perché il vero e solo desiderio suo era di trovare un'occasione per dar prova di sè nel mestiere delle armi e crearsi una repua) I lavori delle fortiicazioni di Sermoneta furono diretti dal cap, Gio. Mangnone, Antonio di Castello e dai mastri Mat-

t) Cl. Domut I-2, p. 88. Domus,

ll,

9.

, C-4269.

3)

o.73-74.

teo Lombardo, Antonio Brano, Stefano da Carpineto

(c-4269,

52Ol -t).

e Andrea

Coodotta

di

Bonifacio C-


66

GIULIO

III E LA

POLITICA FRANCOFILA DEI CAET'ANI

Lib. I, Cap. VIL

tazione degna dei propri antenati, a somiglianza di quanto facevano gli Orsini, i Colonna e tanti altri della nobiltà romana. Figlio unico destinato ad assicurare la discendenza della casara, non aveva mai avuto occasione, anzi non gli era mai stato permessq di brandire la spada; ora, giunto all'età di trentacingue anni e padre di numerosa prole, era più libero di disporre della propria persona e, presentandosi I'opportunità di cimentarsi nel mestiere delle armi, non voleva lasciarsela sfuggire.

Geqerale Pietro

In tale senso egli scrisse alla corte di Francia, ma non ebbe soddisfazione alcuna perché strozzi' gli fu risposto che la cosa piùr utile che poteva fare era di custodire la rocca e Io stato di Sermoneta nell'interesse della Corona. Intanto il cardinale Nicolò aveva fatto raccomandazioni e premure al sovrano affinché Pietro Strozzi, il valente condottiere, fosse fmandato a prendere il comando della guerra che si accaniva intorno a Siena; quando finalmente nell'ottobre del 155? il re si decise in questo senso e nominò lo Strozzi suo luogotenente in ltalia, Bonifacio inRocca di Sermoneta: Torre di Belvedere. caricò un suo dipendente in Francia, Francesco Torello, di parlare al generale; questi accolse la domanda con molta cortesia ed assicurò che, grato de' buoni uffici del cardinale, non avrebbe rnancato di prendere seco Bonifacio nella guerra di Siena, non appena se ne fosse presentata la possibilità.

r)

Lo Strozzi, preso il comando delle operazioni in Toscana, nel decembre si recò a Roma dove fu ufficiato personalmente da Bonifacio, ma nulla fu concluso perché la situazione era

Allestimento

di

una

compagnia.

mutata; Ie truppe spagnole dopo aver guerreggiato sotto Siena per qualche tempo, avevano dovuto ripiegare su Napoli, minacciata dalla flotta turca, e per un poco si ristabilì la calma. Ma tutto ad un tratto Ie cose presero di nuovo una brutta piega perché, al principio del 1554, Cosimo de' Medici, duca di Toscana, si mosse repentinamente contro la vicina repubblica e si accampò davanti le porte della città; Ia guerra si riaccese dura e spietata. Inutile dire che Bonifacio si valse di ciò pet rinnovare le premure, mobilitando tutte Ie influenze di cui poteva disporre. Ai prinni di maggio I'ambasciatore di Francia fece sapere al cardinale di Sermoneta che lo Strozzi accettava e tra giorni avrebbe mandato a Bonifacio il brevetto di capitano; poteva questi dunque cominciare a mettersi in ordine e formare la compagnia. 2) Il giovane vi pose mano, ma le difficoltà erano molte; bisognava reclutare soldati e comprare armi in un momento in cui ve n'erano domanda e scarsità grandissime. I prezzi di tutte le merci erano saliti alle stelle; i maestri che fabbricavano le armi erano sovraccarichi di urgenti ordinazioni, e quelle che uscivano ultimate dalle loro mani venivano subito involate, l'un cliente cercando di portarle via all'altro. Fu necessario rivolgersi a Brescia e a Bologna per ottenete corazze. elmi ed alabarde. Inoltre bisognava prowedere alle tende per i cavalli, al padiglione e a cento altre cose. 3) Non poco pensiero dava anche I'allestimento dell'equipaggio personale, e di questo si occupava .in modo particolare Giovanni Andrea Ceraseo, il solerte segretario personale di Bonifacio. ') Anzitutto si dovette provvedere al letto da campo, un affare imponente con colonna, u)

Il la

Ceraseo, con lettera del

di

6.V. l55l (C-4852),

ac-

segretario contro prowisione di 40 scudi. Nativo di Trevi nel Lazio, era dottore in legge, colto ed in3) C-5174, 1) C-5126. 2) C-5t70.

cettava

carica

telligente.

Mi son

valso largamente delle sue lettere, ricche

formazioni su tutti questi capitoli.

gli

avvenimenti

del giorno, net

d'in-

compilare


Guerra

1r553.r5541

di Siena

67

tafeUà rossa; il bravo Ceraseo, non senza una punta d'ironia, andò incognito, in compagnia di un falegname, a prenderne il modello in casa dell'ambasciatore di Spagna, il quale affabilmente gli consigliò di usare un tipo piccolo e molto pratico da lui escogitato. Per sotto il leito fu proweduto anche un infrangibile pitale d'ottone che, foggiato come un elmo, costò nove giuli. baldacchino, cortinaggi

e

smagliante coperta dr

Non minori difficoltà s'incontravano nel reclutare le milizie malgrado la fervida cooperazione di amici e di parenti; Giovanni Luigi Caetani (uno del ramo dei Palatini stabilitosi a Velletri), si dichiarava desideroso di seguire Bonifacio nell'impresa di Siena con 50 o 60 uomini, pronto a morire sotto i suoi comandi; ") 1"11o Turino frugava tutto il territorio in cerca di uomini. A maggiormente complicare le cose, il 24 maggio, usciva un bando a stampa che proibiva a qualunque suddito della Chiesa dí gual sí ooglia grado o prehemínentía che sia da seroire ín guerra appresso alcun'altro Capitano o Signorc sotto pena di ribellíone & confscatíone dí tutti ì loro bení et demolítíone di case &. fortezze loro. t) Il cardinale dichiarò che il bando non aveva importanza, ma comunque tutte le operazioni diventarono più difficili; gli uomini che si volevano arruolare temevano di cadere nelle mani del bargello. [n quanto alle armi, per una parte si ottenne Ia licenza dei superiori; per il rimanente, i fàmigliari si arrangiavano eseguendo il trasporto di notte e camuffando le casse. La condotta sembrava oramai assicurata: lo Strozzi aveva scritto all'ambasciatore che era soddisfatto che Bonifacio reclutasse &1t*hfrn 600 fanti a Roma, rnentre altri 300 veterani gli sarebbero stati Letto da campo per Bonifacio Caetani. dati a Siena per inquadrare quelli novelli. Come luogotenente della condotta doveva servire Luzio Savelli. Ma ancora I'ordine di partire non veniva e Bonifacio si impazientiva. Per affrettare le cose fu deciso dal cardinale Ncolò di mandare il Ceraseo a Siena per insistere sulla condotta ; si sperava di poter ottenere che fosse portata a I I @ uomini. Intanto non si mancava di sollecitare la patente anche per mezzo del cardinale Lorenzo, fratello dello Strozzi. 2) Tutto sembrava giunto a buon punto ed il brevetto di capitano non poteva mancare di essere spedito, quando, alla metà di giugno, il duce dei senesi uscì in campagna contro Cosirno Medici. Oramai era troppo tardi per far venire la nuova compagnia d.a Rorna. Gli awenimenti precipitavano: il 2 agosto lo Strozzi subiva la grave disfatta di Marciano e con essa rimase troncata a Bonifacio ogni possibilità di dar corso a quella spedizione militare, alla preparazione della quale si era dedicato con tanto ardore e tanta spesa. Awenne poi che il 7 ottobre moriva Camillo Caetani, b) Iasciando al figlio I'onere di amministrare lo stato e dirigere la Casa, mentre sempre più preoccupanti erano gli indizi di una cospirazione da parte dei Caetani di Maenza per un colpo di mano sopra Sermoneta.

8)

G. L. Caetani era figlio di Onorato, che nel 1548 era di Sgurgola da Prospero Colonna; uel 1556 fu

stato spogliato

uno dei tre nobili cittadini di Velletri, uomiaati commissari per guerra contro il duca d'Alba (Arc. Velletfi, banco I, l9E). b) Parere di Gio. Bat. Martelli a Emilio de Victorius, me-

la

1)

C-5t80.

2) C-5202.

dico curaate, sulla malattia di Caurillo (C-4670): dall'intricato referto medio è dif6cile definire quali fossero le cause ÍntinsicÀe del male, che sembra essere stato una combinazione di gastrite, calcolo renale e morbo gallico, aggravato ilalle contínue oeglie e daglí stuilí.

Disfatta

dello Strozzi,


CIULIO

III E LA

POLITICA FRANCOFILA DEI CAETANI

Lib. I, Cap. VIL

Prohibitio de non militando apud exrernos Duces )-ne$ arma r'munitiones, aut lnflrumenta bellica e xPofiando +

-

fttlitts"Mspa

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REIMEMORTAM ADFVTVRAM lffiil ED El.,JDo rur dtclayaluàd.eítcnyiclterorrono,rkcr,,a,úebnayit)cbcndi,noilsnblnnmoà

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ilì

Guerra

i.

di Siena

Al principio del 1555 si verificò un lungo periodo di incertezze, dovute alla inopinata comparsa del grande falciatore : íl 23 marzo moriva Gulio JII, esausto dalle preoccupazioni; dopo poco piir di un mese anche il suo successore, Marcello II, passava a più quieta vita, e sul trono pontificio arresa agli imperiali,

tuuo

il

forte e duro Paolo IV Carafa (23 nag.)- ll 2l aprile Siàa si era scandalo della congiura dei Caetani di Maenza scoppiava, mettendo

oaliva

e lo

il

Lazio in subbuglio.

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Caprrolo Vtrll.

ULTIMA CONGIURA DEI CAETA.NI DI MAENZA.

")

(1552-1557)

A storia c'insegna che ben durature sono Ie inimicizie tra famiglie della stessa classe, e piùr acerbe ancora diventrano quando nelle vene corre lo stesso sangue. Dopo le tregue, convenzioni e liquidazioni frnali, stipulate tra i Caetani di Sermoneta e quelli di Maenza, per porre un termine alle differenze d'interesse ed

Inimicizia

degli inperiali.

alle discordie, l) e dopo la solenne sanzione data dal Papa, c'era da sperare che i cugini avrebbero vissuto in pace gli uni accanto agli altri. In vero per trent'anni non ci furono piùr conflitti, ma non di meno í minorí parentí, ossia la trista genia dei signori di Maenza e di Norma, b) non riuscivano a smorzare nel loro animo I'antico odio che alimentava la concupiscenza di maggiori nechezze. Nel 1554 essi ordirono una seconda e piìr vasta congiura, che s'innesta agli awenimenti politici, di cui si è parlato nel capitolo precedente, e precisamente alla grande lotta tra il re di Francia e I'imperatore per il predominio in ltalia. Tre pontefrci, ossia Giulio III, Marcello II e Paolo trV, erano saliti alla cattedra di S. Pietro in rapida successione, ed ogni conclave era stato il campo di acerbe contese tra i cardinali di parte francese e quelli di parte imperiale; le inimicizie accese in seno al Sacro Collegio si rispecchiavano in tutta la società e piùr particolarmente in quella romana: i Colonnesi, fedeli alla loro antica tradizione, erano fervidi sostenitori dell'imperatore ; i Caetani erano anima e corpo per il re di Francia, a favore del quale il cardinale di Sermoneta si era strenuamente battuto in ogni conclave. Tale atteggiamento era dispiaciuto aspramente a Carlo V p"t il motivo particolare che i Caetani, come signori di Sermoneta, erano incomodi awersari: con la torre dell'Acquapuzza e specialmente con la inespugnabile rocca di Sermoneta, essi do-inavano la grande strada consolare che conduceva dal Napoletano nella Marittima e che in queste località si trova stretta fra i monti e le paludi. Le preparazioni, fatte da Bonifacio per andare con una compagnia al soccorso di Siena, erano note a tutti ed avevano indispettito I'imperatore; ma piir forte et Prodítio' dèi verbali coeva autentica (616). Copia nís; Mísc., C- 2l del processo; MS. di 577 carte. Vedi pure ord. cron. ad an' a) Fonte principale: Sermonetane Rebellíonís

b) Quando non

in

r) CaP' Ill.

i Caetani di il 1532 Nicola Caetani di

guerra contro

erano.in guerra tra di loro: verso

Sermoneta,

Maem

inv-ase

tello Onorato; spada.

di

notte tempo questo castello che era del franel viso questi, il quale lo trafise con la

fsì

Addì 6.V.1532 Clemente VII assolveva Onorato dal (Arc. Vat., Brev. later., 1il, f. 257).

fratricidio


[mag. 1552-giu. 1554]

7l

Preparazione della congiura

ancora contro di lui era I'inimicizia del cardinale Pedro Pacheco di Villena, viceré di Napoli, ") per ignoti motivi, ma che certamente debbono farsi risalire ad uno dei tanti contrasti che nascevano tra i cardinali specialmente durante gli intrighi del conclave. Incitato dai Colonnesi, b) 4nlonio Caetani di Maenza venne incontro ai desideri del viceré. prodromi Era egli 6glio di quel Francesco, signore di Nórma, che fu parte attiva nelle precedenti cospi- della congiura' razioni. Già nel maggio del 1552 tra gli abitanti di Norma e di Sermoneta c'erano stati conflitti, fomentati dai fuorusciti, nel corso de' quali non mancarono morti e feriti e per un poco si temette di dover venire ad aperta guerra; ma, grazie agli sforzi fatti dai rispettivi signori, r) Antonio era desideroso di servire la questa fu scongiurata e gli agitatori furono messi al bando. causa spagnola con i propri vassalli di Norma, castello che il padre gli aveva ceduto da pochissimo tempo. In vero questi aveva cercato di persuaderlo a rimanere ligio al re di Francia, ma il giovane, che aveva poco meno di trent'anni, volle agire di testa propria, disgustato anche dal fatto che tutte le istanze rivolte al cardinale di Sermoneta, per ottenere qualche carica lucrativa dal pontefice, erano state tirate tanto in lungo che alla fine si era convinto che non c'era più nulla da sperare da questa parte. Verso il mese di giugno del 1554 si recò a Napoli per ossequiare il viceré al quale manifestò il proprio animo; questi accolse subito la proposta del giovane e gli conferì il comando di 50 fanti con stipendio Accordi con di 400 ducati I'anno e di altri 200 mengli imperiali. Rocca di Sermoneta; sili per la paga dei soldati, a condizione Cammino di ronda sovrastante al u Giardino u. che egli tenesse questa truppa a Norma, apparentemente a servizio proprio, ma effettivamente come un presidio imperiale, pronto ad agire quando sarebbe giunto il momento propizio. Doveva Antonio trovare il modo d'impossessarsi di Sermoneta con un colpo di mano non appena Siena fosse caduta, ciò che non poteva molto tardare. Il viceré avrebbe mandato in suo aiuto da 300 a 400 soldati spagnoli che stavano di stanza a ltri, terra dei Colonnesi, e altre truppe che si trovavano a Pontecorvo e a San Germano, agli ordini del .. duca Giovanni > ; contemporaneamente I'esercito imperiale sarebbe entrato nel territorio pontifrcio e, a vittoria compiuta, lo stato di Sermoneta sarebbe stato concesso ad Antonio; se ciò non fosse stato possibile, I'imperatore I'avrebbe concesso a " Balcon titolo ducale. In quanto a Bonifacio era necessario assicurarsi della sua persona: doino

',

a)

.., íI

sígnor Bonífacîo ha doí

peratore

et íI

oíce

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el che Ií

re... eI pù

haoeoa detlo

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(a Ant.

gtanilí nemící '.. I'ímè iI oícerechel'ímpeCella) che un

et

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pet

oíce rc dî IÍapolí I'haoeoa mostrato cosa, che I'hatteoa oísto con lí ochíj suoj, che se 'l sígnot Bonifacío il sapesae, l'hacefia a

qual oía poteoa, glíe

ooleùa atacharc

1) C -6271, 6281, 6553, 4882. B e

see.

che

charc píù che

'I

slato suo

stue ìn C-21, c.9).

bísognaoa b)

Si!

cordo con gliano.

i

ceroello

et

che se I'ímperatote oînceoa

(Iestim. di

M.

Negri, in Mírc,,

dal dec. del 1550 Ascanio Colonnaera in disacCaetani per la questione della spiaggia di Fo-


ULTIMA CONGIUR,A DEI CAETANI DI MAENZA

Lib. I, Cap. VIII.

o che fosse preso in Roma e rinchiuso in Castel S. Angelo o che capitolasse in Sermoneta; in ogni modo era indispensabile farlo sparire dalla faccia della terra. Il giovane tornò giubilante a Roccagorga per confidare al padre il felice esito delle trat-

I

cospiratori.

tative, ma questi non condivise il suo entusiasmo: memore di quanto era accaduto trent'anni prima, temeva le conseguenze di tale colpo contro il potente cugino e, maggiormente ancora, quelle dell'alto tradimento verso il sommo pontefrce. Ma Antonio non diede retta ai saggi consigli paterni e con tutta lena si mise a tessere intrighi e a preparare la cospirazione ne' suoi piìr minuti dettagli. Come suo frduciario scelse un tale Antonio Cella, che diventò sua anima dannata. Una delle prime mosse fu di avvicinare Mariano Negri, capitano di Bassiano, castello di Bonifacio, situato a poca distanza da Sermoneta.

La

trama.

[Jna sera d'inverno Mariano era venuto a visitare il Caetani nella sua nuova rocca di Norma; fu preso in disparte da Antonio Cella, che gli disse: u OA Maríano ooí facete Ie guardíe a Bassiano; par che habbiate paura dt questi quattro soldati che stanno qua ! ,, Alla qual cosa Mariano rispose: o Si che Ia facemo, perché a chí serpe mozzÌca luce sta bene, perché semo stati morcícatí un altra oolta come Io scí >, ; e con ciò alludeva all'occupazione proditoria di Bassiano, fatta nel novembre del 1520. Ma pian piano il Caetani seppe tirare a sè il capitano con denari, con proniesse e con minacce: gli svelò il piano del viceré di Napoli e lo indusse a che, venendo il caso, gli avesse consegnato Bassiano, altrimenti tanto Sermoneta quanto Bassíano sariano andatí a bordello et ín mal hora de robba et de caîne et che se loro tsoleoano darse buona ùoglía ... non haoeriano perso und gallina. Mariano fece osservare che era inutiie occupare Bassiano se prima non fosse presa Sermoneta, perché questa rocca inespugnabile dominava tutto il territorio. Il consiglio parve buono e fu deciso di po' sporre qualsiasi azione sino alla presa di Sermoneta, quando si sarebbero sopra$atti di notte i quattro soldati che stavano di guardia a uno de' tonioni di Bassiano e, aperta la porta a 25 soldati di Norma, il paese sarebbe caduto nelle loro mani. Per impossessarsi della rocca di Sermoneta i cospiratori corruppero Giovan Grolamo Pierleoni, antico servitore di Camillo Caetani, presso il quale era stato molti anni come cameriere e scalco e poi per quattro anni anche come maestro di casa. Alla morte di Camillo, il figlio Bonifacio Io aveva licenziato dandogli un dono di 50 ducati; ma, nonostante I'amichevole liquidazione, non voleva perdonare di essere stato messo fuori di casa così subitaneamente e smaniava di vendicarsi. Come complice si trovò Giovanni Tatanello di Sermoneta, fior di galera, il quale odiava Bonifacio perché questi, per certe bestemmie, gli aveva fatto dare Ia corda in piazza, là dove si dava ai ladri. Per mezzo del Pierleoni furono presi accordi con alcuni soldati della rocca, ai quali furono promessi da 60 a 70 ducàti a testa. Vennero escogitati vari progetti per eseguire il colpo di mano: uno di questi era di sfondare una certa antica porta, murata ai piedi del maschio, e di penetrare sotto le " Camere Pinte >r i lrl€r quello sul quale tutti si accordarono fu d'introdurre alla chetichella, di giorno, alcuni de' congiurati nella rocca, i quali, per mezzo dei soldati loro complici, sarebbero. stati nascosti nel lungo corridoio coperto, che era molto oscuro e poco frequentato. Costoro, giunta la notte, avrebbero ucciso il castellano e poi, scendendo per le scale della torre del Belvedere, avrebbero aperto la .. Porta Falsa,,, o porticella d'uscita, che dà nel fossato del " Giardino u. Lì avrebbero trovato i soldati di Antonio Caetani che, venendo dall'abazia di Valvisciolo, sarebbero entrati in Sermoneta dalla porta di S. Nicola e, seguendo la strada dei Cani Coperti, si sarebbero trovati pronti nel fossato. Da lì, risalendo la torre del Belvedere ed il suddetto corridoio coperto,


[ug. 1554-giu.

I

15551

73

preparativi della congiura

sarebbero arrivati al secondo ponte levatoio ove avrebbero sopraffatto la guardia. Uccisi i servitori di casa che facessero resistenza, dovevano impossessarsi di Bonifacio e della famiglia. E il Tatanello, interrogato durante il processo che cosa avrebbero fatto della roba e della famiglia, confessò: ef poiché scressímo stati padroní della rocca I'haoercmo soallígiata et fattone de

noí, e del sígnore (Bonifacio) se /o poteoamo aoere úíoo lo haoeoamo a tener pregíonefinché uenísse iI sígnor Antonío... et della signora et delle rtgltole") et delle damigelle ce aùeoa detto iI signor Antonio che se ne facesse quel che psreoa a noí, che Ie spozellassímo et che ne facessímo de quanlo meglío ce tornaoa, et delli figltolt che neIIí tenessimo finché t)ennesse íI detto sígnor Antonío et se íI padre fusse morto, che ammazzassímo ancora essí. Per il caso poi che questo colpo non potesse riuscire, era stato disposto che il Pierleoni, Tatanello e gli altri complici avrebbero fatto un'imboscata nella " selvotta > presso Piedimonte, là dove ci sono certi piedi d'olivo in fondo alla ,r[rn , che scende da Sermoneta, e che lì avrebbero atteso ,^41l.1',ffi1 Bonifacio quando andaoafuorí a caccía o a spassonel df$rf;flì?

quello che ce pareoa

a

strada _-,--fj})'' "/'=--'-

rítornareaserael'avrebberoammazzatoconun'archibugiata come pure il cardinale Nicolò se cí fusse

stato.

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Intanto continuava Antonio a tenersi in contatto '--\- -con gli spagnoli in Napoli peî mezzo di lettere segrete, e a Roma era in relazione con il capitano Angelo di =il Pitigliano e con un certo abate Brisenga (Bresenio), un =i

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nobilediSpagnadecaduto,ilqualeeraagentedegli[:=..ffi& 5[lÉ--"tr imperiali in Roma. Ascanio Colonna sollecitava Fran- i$'"= 'oro,n",*o" =----'---;-* ;ft1cesco caetani perché si facesse il colpo " -z l3:-:=i. di venire in aiuto. -ij!àE-#-a

a questo punto quando soprawennero fatti nuovi che scompigliarono I'impres a. ll 23 mav *:* l"!1T;". zo 1555 Giulio lll era morto b) po"o piir di un mese ", dopo, moriva anche il successore, Marcello II. Nel frattempo capitolava Siena, ma con tutto ciò il colpo di mano contro Sermoneta fu tenuto in sospeso durante il conclave che condusse alla Le

cose erano

di

elezione

Paolo

lV, in attesa di

sapere guale sarebbe stato I'indirizzo politico del nuovo

pontefice.

il segreto era nella bocca di tutti e risapevasi anche la connivenza dei Colonnesi. La bomba stava per scoppiare e quando, durante la cerimonia per I'incoronazione di Paolo IV, Antonio incontrò Bonifacio in S. Pietro, questi non lo salutò, dalla qual cosa il primo trasse cattivo auspicio. Appena eletto, il severo pontefice La trama della congiura

oramai si era tanto dilatata che

a) CaterinaPio di Savoia (t 1557), figlia di Alberto Pio, conte di Carpi. I Egli erano: Onorato di 13 anni di età, Isabella di l0 anni, Enrico di 5 anni, Canillo di 3 aaui, Beatrice, Cecilia e Giovanna. b) LJn cctaaeo scrisse la seguente feroce iavettiva contro

Giulio III:

In Julij teilÍj Po: Max:

obíl.um.

Tumulus. senex tíbí nec facílis nec muneru tull Aferct et cinei sÍl onetosa tuo:

Tena

Donus,

I[,

10.

Non lachrímís Mons dígnus erat non laudibus ullts: Infeme tanlum dígnus honote ilomus. Dtaucus, dmans semper conoíoia Satdanapallus Fur, palhÍccs, Ieno dd*us otbís etat, Umbrc pelít mcrnes, coÌpus nunc ore bífaucí Ceúerut ínfelíx deooral íIIe ferox. Sontlbus hec pena est, moilís rcus ímpla Dílls Atúa possldeal, prcda sít lIIe canum

(c-465t).

La

coagiura

viene avelata'


Lib. I, Cap. VIII.

ULTIMA CONGIURA DEI CAETANI DI MAENZA

74

fu informato di tutto e, trattandosi di una cospirazione diretta contro una importante fortezza dello stato pontificio, dispose subito che si aprisse un'istruttoria e si procedesse duramente contro

i Persecuzione

dei

colpevoli.

Processo contro Francesco C,

colpevoli.

La prima mossa fu affidata a Bonifacio che fece acciuffare i propri vassalli incriminati: Mariano Negri fu arrestato a Bassiano verso la metà di agosto e tradotto nelle carceri di Sermoneta, dove poco dopo fu raggiunto da Giovanni Tatanello, Camillo Martinelli, Gian Girolamo Pierleoni e da alcuni altri. I crudeli interrogatorii si svolsero nel buio carcere che sta nel fondo della torre di Belvedere ; lì si vedono ancora oggi I'anello e la carrucola che servivano alla tortura. Legati con i gomiti dietro alla schiena, i cospiratori venivano sollevati con una corda e, mentre si contorcevano e urlavano, sospesi sotto I'oscura volta, il giudice li guardava al lume dei torcieri e li interrogava con inflessibile severità. Così forono estorti i nomi dei complici e fu rivelata Ia trama della congiura; poi i colpevoli vennero consegnati al procuratore fiscale della Camera Apostolica e rinchiusi nelle carceri di Tordinona e di Castel S. Angelo perché oramai il processo, trattandosi di fellonia contro la sicurezza dello stato ecclesiastico, era nelle mani del procuratore stesso. Verss la fine di settembre fu arrestato I'abate Brisenga, agente dell'imperatore, e messo alla tortura per ordine del papa; 4 il 30 del mese, fu preso Francesco Caetani e rinchiuso a Castel S. Angelo sotto accusa di aver tenuta gente imperiale nel castello di Norma. Antonio si dileguò alle prime avvisaglie e, ad ogni buon conto, prima di partire sparse la voce che Paolo lV avrebbe proceduto contro i cardinali di Sermoneta, di Ferrara e Farnese per aver awelenato Marcello ll con un .. servitiolo ,r. l) Man mano che con gli interrogatorii si svelavano i dettagli della cospirazione, cresceva lo sdegno nella Curia; il cardinale di Sermoneta ed il segretario Ceraseo si adoperarono affinché si procedesse alacremente e con severità. Il papa promise di autorizzare la distruzione totale della rocca e del paese di Norma, che era disposto a concedere a Bonifacio; intanto fu rasa al suolo la .. selvotta u dove si era progettato di fare I'agguato contro i signori. I colpevoli, appena emanata la sentenza, dovevano essere rimandati a Sermoneta per essere impiccati ai merli della rocca: quelli che avevano preso parte diretta alla cospirazione dovevano essere sguartati, mentre per gli altri bastava la pena capitale. Contro di essi si procedette sollecitamente e, ai primi di gennaio del 1556, il Pierleoni, il Tatanello ed alcuni loro compagni erano già stati giustiziati; nell'agosto Francesco Gotto e Marco da Carpineto furono pur essi appesi dall'alto della torre e i cadaveri trasportati a Piedimonte, ove si fermava la posta, acciocché potessero essere veduti dai viandanti. Contro Antonio si procedé in contumacia. ll 20 novembre fu chiamato a presentarsi davanti alla corte per aver cospirato contro lo stato con íru)ocazíone dell'aiuto dí alcuni magnatí e potenti non soggetti aIIa Sede Apostolica de quali per ora è megtrio tacere. Questa di6da fu affissa alle porte della Curia ed in Campo di Fiori ripetute volte; ma Antonio, non essendosi naturalmente presentato, fu condannato in conturnacia alla confisca dei beni, alla scomunica, all'eterno esilio e alla pena capitale. Francesco, interrogato da Sebastiano Antracino, frnse dapprima di saper poco, poi cercò di scusare il figlio: disse averlo consigliato di rimanere con la parte francese, ma che il giovane, oramai trentenne, aveva voluto fare a modo suo; il viceré di Napoli lo aveva trattato bene, gli a) L'abate Brisenga era ancora

in

prigione

il 6

maggro

1556 quando il cardinale di Trento, Cristoforo Madruzzi, 1) C-5361.

cercò invano (c - 55t3).

di

ottenere

la

liberazione dal cardinale Carafa


Il

[ag.1555-giu. 1556]

processo

75

aveva dato un soldo, che era cosa bella per un giovane della sua età,

e cosl I'aveva

indotto

a congiurare.

Il

processo contro Francesco

fu

trascinato a lungo

e, per oltre otto mesi, rimase

carcerato

in Castel S. Angelo ove gli fu data una buona camera. Aveva per servitore un giovane prigioniero, di nome Pomponio. Vedendo protrarsi la prigionia e declinare la propria salute per un suo vergognoso male che non poteva curare, tentò di commuovere Ie autorità: scrisse al papa ed al cardinale Carafa; cercò anche di corrompere il castellano, Diomede Carafa, a cui scrisse promettendo, garante il proprio fratello, 2 000 scudi per comprare un caoallo nonché uno de' suoi castelli se fosse riuscito a fargli riavere la libertà. Nel mese di giugno fu sottoposto alla .. guestione rr, nell'intento principale di ottenere sui complici il duca d'Alba stava per portare nelle provincie romane. Esterrefatto dalla prospettiva del dolore, pur non voleva accusare apertamente il proprio frglio e perciò andava contradicendosi; onde il giudice ordinò che fosse spogliato, legato e condotto al luogo della tortura. Allora cominciò a dire piangendo: ,,. Eccome qua, fatíme cià che oolete; non posso díre cosa alchuna; più presto tagliatíme Ia testa; car)atíme da fastidio ... Iddio mi aíutí, io ne son netto et innocente, fatime ciò che ttolete, ammazzatíme ... Io son guasto e rotto; aoertite quello che fate > ; et ostendtdit mtchi notario et exequtoribus genitalía et partes inferiores tumefaclas oalde; esortato a dire Ia verità, continuò: << ... ammazatime et fatime moríre presto, taglíatíme Io collo píù presto " ; e, gli occhi rivolti al cielo, cominciò a dire : .. Sígnor Dio, di come ne sono ínnocente, aíutame ! ,, Per riguardo alle sue condizioni di salute, non gli fu data la corda, ma fu sottoposto al tormento della sfanghetta col dado, Dopo che si cominciò a torturarlo, esclamò z ,, Io seppí Ia cosa dappoi che Ia fu aaíata, cíoè íI catioo animo et non mi daoa iI core de accusare mio ftgliolo per nocerli et me ne doleoa íI core di quelle core )>. Scriveva il segretario Ceraseo : Le strida sono state talí che se sentíoano dalle persone che passat)ano nanzi Ia porta del castello di maniera che tutta Roma sí è piena che è stato tormentato, Non ostante guesto dicono, massímamente íI sígnor Gooernatore (Silvestro Aldobrandini), cÀe Io ooglíono tormentare ancoîa. Ceraseo aveva detto la verità; cinque giorni pih tardi fu ricondotto al luogo di tortura perché svelasse i nomi dei complici nel .. trattato ,,. Francesco giurò di non sapere piìr di quanto aveva già confessato, ma ciò nonostante i giudici, con spietata crudeltà, Io sottoposero ripetutamente all'orribile strazio, mentre che il notaio, col naso sulla carta, registrava parola per parola quel che lo sciagurato esclamava tra gli urli di dolore : u Haoete a rendere conto a Dío; ooglío moríre per Ia rterità ... Me date a torto questo, signore lddio, o sìgnore lesu Chfisto ; finitela, ammazzatime, mettime ín croce, hoimé, hoímé, hoímé; che ne haoete a render conto a Dio; me fate torto, Signore, mi fate torto, mi fate torto ,., non è oero, non è oeîo, non Io so, hoímé, hoimé ... segatime per mezzo; torto et íníustitia mi fate, me appello a Chrísto r,. Lasciato respirare un momento, veniva di nuovo sottoposto alla tortura. Volete che ío díca " Ia bugia o Ia oefità? íI oero è quello che dico; rtscale, pígliate uno cappo da Cetta(!) et finitela, oolete che díca quello che non è n.r) Alla fine i giudici si convinsero che nulla di piùr si poteva far confessare a quel disgraziato vecchio per il semplice motivo che non sapeva più che dire. Il verbale del nostro archivio termina con questo interrogatorio; il povero Francesco fu ricondotto al carcere tutto disfatto. Dopo due da

lui

e

informazioni

r) Mí"c., C-21, c. 5ó9

e seg.

sui preparativi della guerra, che

Tortura.


Lib. I, Cap. VI[.

ULTIMA CONGIURA DEI CAETANI DI MAENZA

76

di prigionia

nella Corte Savella Ie autorità gli concessero libertà provvisoria, probabilmente in r) considerazione della sua malferma salute, ma, in seguito alle proteste del cardinale di Sermoneta, fu di nuovo messo in carcere ed ivi rimase sino alla morte del papa Carafa (ag. 1559) quando anni

fu liberato dietro ordine del Sacro

Collegio.

Suo figlio Antonio era fuggito a Napoli, ma I'accoglienza che gli fece il viceré fu tutt'altro che amichevole: gli rimproverò di aver hautí molti denarí per tener Ia guardia in Norma e che poi, con gran danno de I' Imperatore, I'hatsuse lascíata perdere ef esso se ne fosse fuggíto. Con tutto ciò Antonio riuscì a rientrare in grazia e ad ottenere il comando di alcune truppe, probabilmente facendo presente al viceré che, per le molte aderenze ed intelligenze che aveva dalle parti della Marittima, avrebbe potuto cooperare eficacemente con I'esercito imperiale. Il primo settembre 1556 il duca d'Alba invadeva con le truppe spagnole il territorio ecclesiastico Ordinata distruzione di Norma.

Il

di Norma, non molto forte per se stesso e guardato da Vincenzo Cancellieri con un pugno di soldati, che valevano poco piir di altrettanti pufli, non dava garanzia alcuna di poter resistere ad un attacco degli imperiali. Inoltre c'era poco da frdarsi degli stessi abitanti. castello

D'altra parte Antonio Caetani, che aveva in comando da 800 a 1000 spagnoli, facenti parte delle truppe di Marcantonio Colonna, già si apprestava a muoveÌe contro lo stato dell'odiato cugino. In conseguenza di tutto ciò il comandante dell'esercito pontiflcio, Giovanni Carafa, duca di Paliano, il 12 del mese scrisse a Bonifacio la seguente lettera con ordine perentorio di distruggere Norma:

uscir quella sígnora ") da Norma, et far subbito dentro tanto di oittuaglie quanto di monitíoni, che smantellar quella terra, et sfornirla dt ciò che o'è così è seroÍ!Ío et ordine di Nostro Sígnor et faccÍ quel tutto dt ptu che parcrà a V. S. che sìa setoítio della Santità Sua; et per gratía, con díIigentía ogni cosa, ehe quesla non è per altro. b\

AI

ficeoer

di

questa non manchí

V. S. di far

Malgrado tali precisi ordini i Caetani non demolirono il piccolo paese; il papa aveva promesso di concederlo in feudo ad essi e non era interesse loro di trovarsi in mano un cumulo di rnacerie; forse avranno valso anche le raccomandazioni di Cristoforo Caetani, zio di Antonio, che si protestava, non so con quanta sincerità, fautore del papa, ed al quale era stato permesso di rimanere a Norma. Nel febbraio seguente i sette pezzi d'artiglieria che erano nella rocca furono trasportati

a Sermoneta ed ivi

montati.

2)

I.Jn anno dopo, conclusa Ia pace col duca d'Alba, si ebbe premura di por 6ne al processo della congiura, così intimamente collegata alla guerra passata; per qualche tempo ancora il cardinale Carafa pensò di far concedere in feudo ai Caetani di Sermoneta la confiscata terra di Norma; Antonio doveva esser lasciato in pace come se nessuno si occupasse piìr di lui ; una 3) volta cssícu ratosí, alla prima buona occasione doveva essere acciuffato e punito. Ma il progetto di annientare la stirpe dei signori di Maenza non ebbe luogo; il tempo fa sfumare tutto, anche I'odio: contro Francesco fu pronunziata sentenza non molto grave; poi fu Caterina Savelli, moglie di Antonio Cae") Probabilmente tani.

întendcrc

a

Ia

che subílo a Ia iceouta ile la pte' dí S. 8.n"... seroa per patente pq oírtù de Ia quale fatà gl'huomení ili delta Norme, sotto pena di i-

S, V. il\.-"

sente debbí andare

a

essequire questa mente e oolontà

guesla lelterc

Ie

Mosso

comdndamento

a

e murcglla

bellíone, che debbíno.,. aíutatla palazzo, fortezza etc, (C - 5583'

fu spedito dal card. Caafa: da molte gíuste cause N. S.t€ s'è rr'solufo chc sía bene el utíIe et espci!íenle che si manilí a tena íI palazzo, fortezza b) (C-5575). Simile ordine

t)

Notme,

e S. S.là m'ha

BîbI. Vat., Barb. Lat. 5709,

c.

comrnesso che

l4O.

ío faccía

T Mísc., C-21, p. 87.

D C-6584. I.

a I)'

gítlar per tena íI suddelto


Epilogo

[rs56-rs7e]

77

probabilmente restituita; il che mi sembra possa dedursi dal fatto che nell'agosto 1560 Bonifacio chiese al governatore di Roma di essere sgravato dalla cura delle i) Minot" clemenza entrate e del governo della terra, che furono affidati a Federico Conti. vollesi usare verso Antonio; e quando questi, credendo oramai passata Ia tempesta, a poco a poco si riawicinò ai luoghi natii, presentatasi I'oecasione opportuna, le autorità decisero di procedere alla sua cattura e a tal fine chiesero la cooperazione dei Caetani. Il cardinale Nicolò tuttavia perdonato

e Norma gli fu

vi si opposel reputando che oramai era giunto il momento di passare la spugna sul passato. E così il cospiratore fu perdonato e reintegrato nel possesso della sua terra. Fin qui giunse

la magnanimità

dei Caetani; ma allorché Antonio avanzò la sfacciata proposta d'imparentarsi con loro, gli fu seccamente detto che per degni rispetti non si poteoa oenbe ín questì pensíeri.z' Nel 1573, quando con immutata faccia tosta, I'antico cospiratore chiese che gli fosse restituita I'artiglieria, venti anni prima toltagli da Norma, gli fu risposto egualmente no; sei anni piùr tardi Francesco, frglio di Antonio, tentò di ritornare sul soggetto ed il n o fu ripetuto con immutata enfasi; anzi gli fu suggerito diplomaticamente a non îenoùaîe più queste materíe che puzzaoano pur troppo. s) D C-6914.

r) Pet, p,350.

3)

C-1579.V.26, N. 84022.

Statua sul mausoleo del card. Nicolò Caetad

(G. B. àcIIa Porta).


Capnolo IX.

LA INVASIONE DEL DUCA D'ALBA. (1555-1557)

Prodromi

della

guerra.

ALIVA sul trono pontificio, il 23 maggio 1555, Govanni Pietro Carafa, prendendo il nome di Paolo IV in riconoscenza verso il papa Farnese, suo protettore. Il vecchio napoletano era uomo dottissimo, zelante, iracondo e duro. Sin dal principio fu manifesto che egli voleva liberare I'ltalia ed il papato dalla dilagante prepotenza imperiale, che era una minaccia ed un àunno ad entrambi. Olbi"tdvo principale doveva essere la cacciata degli spagnoli dal regno napoletano, feudo della Chiesa, e a tal fine era inevitabile che dovesse appoggiarsi al re di Francia. È t"ro che cinque mesi dopo la sua elezione, mentre procedevano con somma segretezza le trattative con la Francia, il cancelliere Ceraseo scriveva ai Caetani, suoi signori, che non si poteva t) tuttavia nessuno dubitava ancora sapere se Ia Sua Santità se risoloe a esseî lrancese o no; che tra poco sarebbe stata dichiarata la guerra e tutti vi si preparavano; non ultimo Bonifacio il quale con ogni sollecitudine allestiva la sua compagnia di 300 cavalli, che già era stata imbastita due anni prima quando doveva andare con Io Strozzi alla difesa di Siena. Tutti si davano un grande da fare, specialmente il prowido ed omnipresente Ceraseo: i soldati si reclutavano ovunque, anche in Lombardia. Ai primi di novembre l555la compagnia era pronta,

da un ordine del cardinale Carafa al comandante di Velletri, perché desse alloggiamenti e strame a questi cavalli; nel geruraio seguente era di stanza a Tivoli e nell'aprile ebbe 2) ordine dàl conte di Montorio di trasferirsi a Marino. I Caetani erano tutt'altro che awersi alla guerra contro Napoli, non solo perché fervidi fautori della Francia, ma anche perché dalla eventuale cacciata degli spagnoli e dalla disfatta come deduco

Mire deiCaetani su Fondi.

completa degli odiati Colonnesi (che il papa gà stava fieramente perseguitando) speravano che la famiglia potesse essere reintegrata nel possesso del vasto stato nel Napoletano, di cui era stata

da Prospero Colonna al tempo della calata di Carlo VIII. Anzi il cardinale Nicolò, ,"gu"ndo le orme dei suoi maggiori dal principio del secolo XV in poi, pretendeva che il vero titolo su Fondi, Traetto e le altre castella nel Regno spettasse piuttosto al ramo di Sermoneta che non a quello d'Aragona; ") comunque, almeno alcune terre piìr vicine possedute dai Colonna, spogliata

a) Così un tectimonio del 1505: Díclt

bat ai! r)

..,

c-5177.

t) c-5490'I.

ttaloqut

tempote quo

scnícía Nrtolaf (Caetani) audtebat ab eo seplus

de íure quod pretenìlebat (C ' 2500)'

haberc

ín

comítetu Funìlorum elc.


[mag. 1555-mag. 1556]

Principio del pontifrcato

di Paolo IV

il

dominio della Chiesa, come Ceccano, Vallecorsa, Sonnino, etc., Io stato di Sermoneta. l) Tale pensiero si rispecchia sovente nelle lettere del tempo: ad esempio quando si trattò di far allestire per la compagnia di cavalleggieri di Bonifacio le monture, le quali dovevano essere gialle e azzurre, il cardinale insistette che si mettessero dei filetti di panno bianco nelle cuciture delle maniche come simbolo per serbare iI domínío di Fondi donde sono oenute Ie aquÍIe bíanche, Anche su Piperno, forse, i Caetani avevano segrete mire e fu suggerito a Bonifacio 2) di cercare di ottenere questa terra almeno in vicariato. trl l0 aprile 1556 il Sacro Collegio rimase sorpreso dal subitaneo annunzio dato dal papa che intendeva inviare il cardinale Carlo Carafa presso Enrico II ed il cardinale Scipione Rebiba presso Filippo II, quali legati mediatori di pace. Due giorni dopo emanava una bolla con la quale dichiarava i Colonnesi privati de' Ioro feudi e scomunicati come nemici della Chiesa. Non era certamente né la prima né la seconda volta che un pontefice metteva al bando quella stirpe che, nonostante la sua grandezza e I'origine schiettamente italiana, era la costante alleata del piùr potente sovrano estero che s'ingerisse delle cose d'ltalia ed awersasse il ponte6ce romano. Le ossa di Bonifacio VIII devono aver sussultato di gioia nella sua marmorea tomba di S. Pietro. Ma il papa Carafa non ebbe la chiara visione giuridica e storica del suo grande predecessore: egli non si rese conto guanto era inconsulto ed effimero I'atto che compiva quando, il 9 maggio, conferiva tutti i feudi colonnesi al nipote Giovanni Paolo IV Carafa, col titolo di duca di Paliano. Non (Bibl. Nat. Parigi, Estampes). mancò un sorriso d'ironia a molti di coloro che assistettero alla cerimonia, allorché al novello duca u) venivano dati solennemente i tre colpi di spada sulla spalla dalla mano di colui che, da cardinale, aveva tanto severamente stigmatizzato il nipotismo. 3) Grandi furono i preparativi per la legazione in Francia, Ia quale doveva avere tutto lo splendore che reclamavano la dignità del nepote e I'augusta persona del sovrano prediletto. Circa 250 persone formavano il seguito, e tra esse si notavano Pietro Strozzi, Giordano Orsini, Ugo Boncompagni, molti prelati e dignitari della Chiesa. Anche Bonifacio Caetani, come persona specialmente ben vista dal re di Francia, fu chiamato a partecipare alla missione. Lo zio cardi' nale gli diede un messaggio speciale per il re nonché lettere di presentazione alla regina Caterina de' Medici, a Madame Valentinois, al duca di Guisa, al cardinal di Lorena e ad altri personaggi della corte. 4) specialmente quelle entro

sarebbero dovute venire ad accrescere

a) Avviso del 9.V. 1556l. Questa maltína sí è detto domaní S. S.fà rnoestria il conte dí Monlorío (Giov. CuaÍa) dello stats del síg.t Ascanío Collonna et già íI delto

che

1)

C-5377.

2)

C-4642.

3) Pailot,

VI, p.

404.

fà fare con gran furìa una bella líorea pet comqarere quel gíotno che sarà ínr:estíto (C - 551 3). ll Pastot, Vl,

conle

p. 405, alferma che I'investitura awenne 4t c-54?2.

il 9 maggio.

Legazione in Francia e penecuzione dei

Colonnei.


LA

EO

Legazione Carafa

in

Francia.

il

INVASIONE DEL DUCA D'ALBA

Lib. I, Cap. IX.

Bonifacio affidò alla moglie Caterina Pio di Savoia I'amministrazione degli affari di campagna, vettovagliarnento dello stato, i lavori di fortificazione a Sermoneta e Ia cura di guardare e

proteggere la nidiata di bambini che aveva tra le braccia. Non so al comando di chi lasciasse la compagnia di cavalli. il cardinale rimase a Roma con I'alta direzione di tutto lo stato. L'undici maggio il Carafa riceveva la croce di legato e il 13 la grande comitiva salpava da

i lidi di Francia. Sappiamo poco di quanto vide e fece Bonifacio durante la legazione per il motivo che, mentre ci è stato conservato quasi tutto I'archivio personale di Bonifacio, sono purtroppo andate disperse in quel tempo le carte del padre, Camillo, e del cardinale Nicolò tra cui dovevano esserci le lettere scritte dalla Francia. Risulta tuttavia che Bonifacio si adoperò a rafforzare i legami della casa Caetani con la corte di Enrico II e preparò il terreno per piazzare il figliolo Onorato, allora tredicenne, come paggio alla corte del Delfino; ma questa idea non ebbe poi corso perché il cardinale s'impaurì che tale assenza dalla famiglia potesse nuocere alla buona educazione del giovane e Civitavecchia per

avrebbe rappresentato un nuovo peso sulle non piìr floride finanze della Casa che aveva tante figliole da maritare. l) Si adoperò inoltre, con debita delicatezza, ma senza successo alcuno, a sollecitare il pagamento della pensione di 4 000 franchi annui concessagli sei anni fa, ma della quale la tesoreria si era completamente dimenticata. Durante Ia lontananza del marito, Caterina Pio, quantunque fosse incinta e di salute non

Preparativi

di

guerra.

piìr molto gagliarda per gli sforzi della ripetuta matemità e per un disgraziato aborto awenuto in questi tempi, governava lo stato con animo virile e seùza impedimento alcuno, come ebbero ad esperimentare i complici della congiura dei Caetani di Maenza di cui alcuni, I'otto di agosto, frnirono la loro vita a penzoloni dai merli della rocca di Sermoneta. La commissione, afidata al cardinale Carafa di indurre il re a muovere le armi contro Napoli insieme col papa, era tenuta segretissima; ciò nonostante era convincimento di tutti che la guerra era voluta ed imminente; le truppe napoletane erano scaglionate presso il confine dello stato ecclesiastico; non si poteva sapere però se avrebbero preso Ia via della Gociaria o se avrebbero anche attaccato dal lato di Terracina. Grandi erano i preparativi militari e grande Ia confusione: tutta Roma era così piena di soldatesche che non si poteoa piìt andar per Ie strade. Le compagnie venivano passate in rivista e quella di Bonifacio, il quale poco se n'era occupato negli ultimi mesi, fu ritrovata penosamente in disordine ed incompleta; mal comune' del resto, perché a causa della mancanza di organizzazione e di un tale stato di guerra senza guerra, i soldati erano indisciplinati e se n'andavano per gli afiari loro, cercando tuttavia di riscuotere Ia paga. Questo abuso era diventato uno scandalo a cui i francesi (dato che erano essi a pagare) dovettero rimediare, rifiutando il soldo arretrato a qualunque milite che non fosse presente al momento della " rassegna >. Mentre Caterina immagazzinava il grano ne' pozú ad hoc di Sermoneta, ") e le armi e munizioni si accumulavano; I'architetto Gulio e maestro Bemardino da Udine, dietro ordini del cardinale, stavano ultimando i bastioni di S. Sebastiano e Torrenuova e, sui disegni preparati dal capitano Palazzo da Fano,2) fortificavano la terra con trincee Ià ove le mura non sembravano sufrcientemente salde. I due anzidetti bastioni, che fiancheggiavano Ia Porta del Pozzo, furono messi in pieno assetto di difesa e si lavorò a rinforzare la cortina medioevale che li congiungeva Borgia, costruendo la " Cittadella o, scavarono ai piedi di essa, dal lato della Piazza degli Olmi, una profonda fossa nella roccia viva, Bonifacio C. la fece ricoprire con a)

1)

I

C-5540.

')

C-51

10.

volte ed intonacare per adibirla ad uso di pozzi per il grano (C-ló42.X1.15, N. 1694ll). Oggi vi cresconoicipressiche

io vi piantai nel

1908.


[mag..ag.

Preparativi della guena

15561

8t

\\. I

I

LlgúW:i;t

ca".",.,1T3n'ifJJllif

e

"u*ro"

Il

lavoro rimase tuttavia imperfetto e ne fu ripreso lo studio nel 1642-3, come si dirà nel seguente volume. La Porta del Pozzo fu chiusa, non Fortifieazione di potendo ricostruirla, e fu riaperta quella antica e piir sicura, prowista di ponte levatoio, imme- serooneta' diatamente al nord del bastione di S. Sebastiano; I'accesso ad essa, difficile per la natura scoscesa del terreno, era dato da una rampa di tavoloni volanti appoggiata sopra una serie di colonne in muratura. l) Sono del parere che in quest'occasione appunto si sia proceduto anche ad allargare le aperture dei merli della rocca nella cortina verso levante e nei tonioni d'angolo per potervi meglio piazzare i cannoni ; tra un merlo e I'altro furono impostati archi di muratura per proteggere gli artiglieri. ") Non meno urgente era la necessità di presidiare fortemente Sermoneta: ragione per cui, ai primi di agosto, veniva ivi inviato il capitano Turino con 2@ soldati. b) Lo scoppio della guena facendosi sempre più imminente, 'il giorno 26, lo stesso cardinale Nicolò, in attesa del prossimo ritorno del fratello, fu mandato dal papa a Sermoneta per maggíor sîcurezza del Iuogo, mentre un'altra compagnia di soldati doveva procedervi da Piperno. L'intera famiglia Caetani faceva premure insistenti perché altre compagnie venissero inviate a Sermoneta, che non poteva considerarsi sicura finché non fosse presidiata da almeno 600 uomini. Per timore di qualche colpo di mano, il cardinale ordinò che il bestiame dell'azienda fosse fatto emigrare verso Bracciano, mediante terrapieni

opere difensive avanzate.

a) I lavori continuarono 6n dopo 6rmata la pace: nell'ottobre del 1557 mastro Bernardino da Udine aveva aDcora

240

persone

alla

coctruzione

(1557.X.29, C-6601). b) Intanto era awenuto

il

1) Cf. pianta a.pag, 64.

Donus,

ll, ll.

la difesa di Velletri,

ll

aveva mente di dare ta città agli papa, subodorata la cosa, maadò Papirio Capizucchi

dei bastioui di Sermoneta con 500 faati per arrestarlo; ma il Corgna se la svignò, corse a Nettuno dove, con un tranello, riuscì ad impossessarsi della

famoso fattaccio

Corgna: questo nipote di Gulio

aGdata

spaguoli.

di

III, a cui dal

Ascaniodella stata

papa era

rocca.

Di

questi avveoimenti abbiamo un'interessante rolazione

del Ceraseo (C.5547>.


LA

Inizio delle operazioni bel-

licle.

INVASIONE DEL DUCA D,ALBA

Lib. l, Cap. lX.

nelle tenute di Paolo (Orsini?), e che Enrico e Beatrice, figlioli di Bonifacio, fossero mandati da Sermoneta a Roma pet non aver tutte le uova in un paniere. l) Il primo settembre il duca d'Alba, per valersi dei vantaggi che dà sempre la prima mossa, senza dichiarazione alcuna di guerra, avanzò nello stato pontificio e il l0 assaliva Anagni. Tale era lo stato delle cose mentre che il legato Carafa e tutto il suo seguito si affrettavano nel viaggio di ritorno. Essi, che avevano lasciato I'Alma Gttà in istato di pace, la ritrovavano in pieno assetto di guerra, e ognuno si affrettò a rientrare in casa propria per provvedere alle necessità del momento. Tutta la famiglia Caetani deve aver dato un grande respiro di sollievo quando finalmente Bonifacio riprese il governo e la difesa dello stato. ") rf

dr*

La prima cosa della quale si preoccupò Bonifacio fu d'insistere perché s'inviassero altri rinforzi a Sermoneta; ma in Roma era tanta la confusione e la penuria di tutto ed era tanto Io spavento che le sue parole cadevano nel vuoto. Il comando supremo era tuttavia ben informato

che Antonio Caetani di Maenza, il cospiratore, avrebbe fatto tutto il possibile per indurre gli 2) il 12 settembre il duca di spagnoli ad insediarlo in Norma e perciò, come già si è detto, Paliano dava a Bonifacio ordine categorico di spogliare questa terra di ogni cosa e di raderla incontinente al suolo affinché non vi si formasse un nido nemico. Tre giorni dopo cadeva Anagni, . presa d'assalto dal lato della porta di S. Francesco, e tutta intera andò in fiamme, mentre la popolazione este:refatta si riversava nelle campagne fuggendo per la porta di Tufoli. Valmontone 3) Il papa atterrito cercava di trattare con il duca d'Alba per rallentalne cadeva poco dopo. i progressi. A dirigere la guerra fu nominato un triumvirato formato dal Carafa, dallo Strozzi e dal duca di Somma; a Bonifacio fu data suprema autorità civile sulle comunità e sui reparti militari di Sezze, Carpineto, Cori, Piperno e Terracina. Il giomo 26 cadeva Tivoli e la cavalleria spagnola grà faceva mostra di sè nelle vigne di Roma; la compagnia di cavalleggieri di Bonifacio si azzufò con queste avanguardie. presidio La situazione in Sermoneta appariva paurosa per non dire critica. Dalle spie si era risaputo di sermoneta. che Antonio Caetani, appena possibile, avrebbe marciato con mille spagnoli su Norma, ciò che b) F.ntro questa terra signifrcava I'allargarsi del teatro della guerra nelio stato di Sermoneta. 4) ciò non bastava non vi erano che 350 soldati, sottoposti al diretto comando di Bonifacio; perché non solo la terra era grande, ma non c'era neanche da frdarsi troppo della stessa Popolazione sobillata da quelli che, in seguito al processo contro i Caetani di Maenza, avevano visto i propri parenti penzoloni dai merli della rocca o fuggire in esilio insieme con Ie mogli coi bambini in braccio. Perciò il 3 ottobre Bonifacio mandava il capitano Fonfa Barigiani di Perugia ed il Ceraseo all'ambasciatore di Francia facendo presente che Sua Maestà non doveva dimenticare che egli per sua ptomessione aveva messo a pericolo I'onore, la vita, i figlioli e lo stato e che il sovrano non doveva abbandonarlo in questo momento quando gli stavano per cadere addosso I'esercito nemico e la rovina. Simile supplica inviava al cardinale Carafa. Aveva bisogno d'un

.) Non mi ditungo in un resoconto dell'amministrazione det duóto durante il periodo di guerra. Numerosi ed interessanti sono i bandi pubblicati da Camillo e poi da Bonifacio elo

stato:

per quanto riguarda te disposizioni entro Sermoneta dal divieto di bíastímare Dío con Ia glofiosa Vetgíne Matìa al non girar la notte senza lume, non portare armi, non uscire dallo

)

C - 5630,

5681.

2) Pas.

76.

3) C 5591 c '

seg.

stato, non esportare generi alimentari etc. (C-5081 et al'). b> ll 29 ott. corse voce che Antonio Caetani fosse rimasto ucciso in un combattimento nelle strade d'Anagni, in cui furono feriti Vespasiano Gonzaga e Pompeo Colonna, ma la aotizia non era esatta (C.6606). L'ucciso era Antonio della Torre, probabilmente dei Caetani di Filettino. 1) C-5584.11.


[set.-ott.

Difesa di Sermoneta

15561

totale di 800 a 1000 per un anno. l)

soldati'); in quanto a vettovaglie era prowisto per due anni ed a

munizioni

In questi tempi di guerra la piccola terra di Sermoneta era in uno stato di congestione e agitazione continua, non dissimile da quello dei paesi vicini: per paura delle razzie del nemico, i campagnoli si erano rifugiati con le masserizie, i porci e le galline entro o presso la cinta fortificata della terra; già rigurgitante di soldati indisciplinati, che stavano acquartierati nelle case dei privati; tutto il giorno oziavano per le piazze e per le strade, quando non erano di fazione sulle mura castellane o di guardia alle poche porte che erano state lasciate aperte. Davanti ad ognuna di esse v'erano fossati, palizzate ed antimurali; chiunque arrivava, prima di poter essere introdotto nella terra, doveva essere riconosciuto dalle guardie o attentamente perquisito.

di

Ancora più

severamente

[a

guardata era la rocca, entro la . ___._:-^rà: quale non si ammetteva alcuno _.. { che non fosse della casa, se non munito di speciale biglietto Rocca di Sermoneta: di Bonifacio o del cardinale; Corpo di guardia della Torre di Belvedere. piùr di una volta accadde che qualche gentiluomo di passaggio, conscio della propria importanza, prendeva cappello per dover aspettare fuori dei rastrelli, magari sotto ad una pioggia dirotta, finché fosse sceso il castellano per fare tutti gli accertamenti del caso. Anche la rocca rigurgitava di gente perché, oltre i signori, i signorini e la numerosa famiglia, v'erano gli ospiti e la forte guarnigione. Anche le carceri erano piene di criminali, di contravventori dei bandi, di sospetti e di prigionieri di guerra. Mentre il castellano si occupava del lato militare Tiberio Oddo, il vecchio frdo cancelliere della b. m. del signor Camillo, faceva da maestro di casa e si occupava anche dei numerosi padroncini, specialmente dopo che la signora Caterina repentinamente moù proprio nel momento in cui Bonifacio, tutto assorbito dalle faccende militari, piìr che mai aveva bisogno di lei. La buona guardia di Sermoneta era il principale compito di Bonifacio, e ben a ragione, perché questo forte castello era un prezioso baluardo che proteggeva Ia Campagna Romana dal lato di mezzogiorno, mentre Velletri, che validamente si difese durante tutta la guerra, chiudeva il passo dalla parte di Segni. A tale fine egli aveva bisogno di un numeroso presidio e continuamente faceva domanda a Roma che gli mandassero altre compagnie ancora. L'ambasciatore e il Carafa furono larghi di promesse, ma erano del parere che dopo tutto non c'era tanta premura perché, accentuandosi il pericolo, si sarebbe fatto presto a mandare nuove'truppe u)

La

richiesta

fu

soddisfatta:

dati pagatiin Sermoneta era Cap. Nicolò Toringo Cap. Mass. da Bene 1) C-5652.

il

il t2

ott. I'elenco dei sol-

seguente:

. .

Cap. Lelio da Viterbo Cap. Rocco d'Ascoli

185

fanti 173

>

Totale

fanti 173

,

. .

(c-5686.rV).

100

rocca.


LA

E4

INVASIONE DEL DUCA D'ALBA

Lib. I, Cap. IX.

a Sermoneta. Bonifacio, d'altra parte, non si preoccupava solo del castello ma anche delle Anguetie

e

dissesti.

Operazioni belliche e tregua.

proprie campagne, che desiderava proteggere dalle razzie e dalle incursioni nemiche. Molte erano le angustie e continue e gravi le spese che lo stato di guerra portava con sè: i redditi si erano inariditi, i prodotti di campagna non si potevano piìr mandare a Roma. Il bestiame, per maggior sicurezza, fu fatto emigrare nelle tenute di Maccarese e di Bracciano, ed era necessario pagame Ie fide mentre Ie riserve di Piscinara e molte praterie dello stato si sprecavano perché non pasciute; non c'era chi volesse comprare le erbe oppure, se si trovava qualcuno disposto a corere il rischio di tenere il bestiame nella deserta pianura, questi non offriva che un vil prezzo per il pascolo. Era un dissesto, anzi un disastro generale t Oramai il cardinale Nicolò rimpiangeva amaramente d'aver desiderato una guerra, della quale non aveva realizzato gli infiniti malanni fino al giorno che se I'era trovata vicina a casa propria. l) Nell'Urbe le cose non andavano in miglior modo: Quí in Roma, scriveva il Ceraseo il23 di ottobre, 2) è un perícoloso oioeîe: si robba, si amazza e sí assassína come se sÍ sfesse in mezzo dí una seloa e dícono che sono guasconì. Questa notte è slato ammazzato e spogliato un cameúere del conte dt Pitigltano. Intanto Terracina era stata presa dagli spagnoli che si misero a battere la rocca, mentre Nettuno ribellatasi si dava a Marcantonio Colonna. Per quanto riguarda la prima città, non conveniva lottare più a lungo e perciò, il 4 ottobre, il duca di Somma ordinava a Bonifacio, da parte del duca di Paliano, che vi mandasse una compagnia agli ordini di Nicolò Toringo per rcmpere l'artiglieria della rocca e lasciarvi un presidio di 20 fanti. Da una lettera del Baglioni 3) sembra che il castelló cadesse in mano ddi imperiali alcuni giorni piùr tardi. Terracina ebbe moltissimo a soffrire dalla occupazione spagnola e con la mente si rivolgeva di continuo da quella galera ai signori di Sermoneta, dai quali soltanto poteva sperare soccorso; perciò gli spagnoli vietarono che chiunque in città pronunziasse il nome di Caetani. a) ' Dal lato di Nettuno la situazione era meno pericolosa perché, malgrado militassero in campi avversari, Marcantonio Colonna e Bonifacio si erano tacitamente messi d'accordo di non recare offesa alle rispettive tenute; di fatti quando 40 cavalli di Sermoneta fecero una razzia a danno del Colonna, questi protestò e Bonifacio gli fece le scuse e immediatamente ordinò che I'al6ere del capitano Moretto Calabrese, catturato in tale occasione, fosse rimesso in libertà. 5) Intantt> si svolgevano le operazioni intorno ad Ostia,. che il 19 ottobre 1556 si arrendeva dopo lungo

e

sanguinoso combattimento.

u)

papa, vedèndosi a mal partito con la via delle vettovaglie tagliata, concluse una tregua di dieci giorni col duca d'Alba, poi protratta sino al 9 gennaio 1557. Ciò diede un poco di respiro a tutti e Bonifacio poté ultimare i lavori difensivi di Sermoneta. Ma allo spirare della tregua toccò prepararsi a nuovi cimenti. Se non mi fossi pre6sso di limitare la Domus a guanto operarono i Caetani, sarei in grado, con la scorta di oltre mille documenti del nostro archivio, di scrivere un volume intero sugli awenimenti del Lazio durante guesta disgraziata guera. Lasciando questo compito ad altri, procedo con un resoconto assai succinto di quanto accadde nella Marittima.

II

comunicazione più diretta tra Napoli e Ostia, salvo mare, era a traverso le Paludi Pontine. Bonifacio vi teneva vigile guardia e molti latori della conispondenza furono a)

quella

La

di

è perciò che numerose lettere importanti della parte si trovano nel nostro archivio. Alcune sulla preea di Ostia furono pubblicate in Car., L. O. (p. 206-214). arrestati:

avversa


[ott. 1556-mar. 1557]

Operazioni belliche

85

*

*d(

Malgrado I'esplicito ordine ricevuto dal duca di Paliano i Caetani non si erano curati di spianare Norma, perché speravano che tra non molto la terra sarebbe stata concessa loro in feudo ; perciò I'avevano presidiata e non si erano curati d'altro; ma aggravatasi la situazione e date le voci che correvano sul conto di Antonio di Maenza, il duca, il 6 gennaio, comunicava a Bonifacio I'ordine, piir categorico del precedente e pronunziato dallo stesso papa, che senzc ínilugío oadí con quelle forze che può haoere a spíanarla tutta, nè oí lascí ín píedi mura, nè rocca, nè Pur una casd.

,rn,.,ll"l"F",,t,l l*.0*,. Non risulta che Bonifacio adempisse I'ordine; forse gli saranno mancati non solo la voglia ma anche il tempo ed i mezzi. I papalini stavano per riprendere Piperno, e Bonifacio, a cui r) era stato dato il governo della zona come luogotenente del duca di Paliano, fu inviato ivi per presidiare e difendere la terra. Contro di lui stava muovendosi il suo personale nemico, Antonio Caetani, con 800 cavalli e fanti della truppa di Marcantonio Colonna. Questi, alla metà di marzo, prese Patrica, difesa da Federico Conti, e vi entrò di persona; le sue truppe avanzarono poi per la via di Ceccano verso Prossedi, Roccagorga, Maenza') e le altre terre sottoposte al comando di Bonifacio. Per contrastare il passo ai nemici, il duca di Paliano di

a) Cristoforo Caetaai di Maenza, zio di Antonio, fu I'unico questo ramo ad essere, almeno aPlxrentemente, amico dei si'

r) c-5081.

gnori difesa

di Sermoneta e fautore del pontefice' A lui fu di Maenza (C-6158'lll et al').

afidata la

Distruzione

di

Norma.


LA

Lib. I, Cap. IX.

INVASIONE DEI. DUCA D,ALBA

mandò Francesco Colonna il quale prese stanza in Maenza. Da lì la via a Sezze e Sermoneta era breve. Prossedi ") era feudo di Virginia Colonna de' Massimi b) e Ia rocca era tenuta dal figlio Lelio, mentre la terra era presidiata dalle truppe di Bonifacio Caetani. Essendo però Lelio giovane ed inesperto nella guerra, la madre, all'opprossimarsi dei nemici, volle farlo tornare a Roma e domandò per lui a Bonifacio, suo parente e col quale era in continue relazioni di affari, un salvacondotto, che gli fu immediatamente concesso; ma quando le fu richiesto da costui di consegnargli la rocca, si risvegliò in lei I'atavica diffidenza del sangue colonnese verso i Caetani, e si ri6utò nel modo piìr energico dicendo volerla guardare per quanto sí estenderanno Ie t)

forze. Dinanzi all'avanzarsi del nemico, Bonifacio avrebbe voluto passare dalla difensiva all'offensiva e sollecitò che gli fosse dato il comando di I 500 soldati con i quali muovere verso la valle del Sacco. Ma in Roma erano troppo preoccupati dalla propria salute per privarsi di un migliaio di uomini e perciò, nonostante le promesse avute, egli dovette starsene a Piperno in aspettativa degli eventi. Non risulta dal nostro archivio che nei mesi di marzo e aprile succedessero nella zona incidenti guerreschi commensurati all'allarme dato. Bonifacio rimase al suo posto di comando sino al primo giugno, sebbene due gravi lutti di famiglia, awenuti in rapida successione, ne richiedessero la presenza in Sermoneta: prima quello della madrigna, Flaminia Savelli, e poi quello dell'amata consorte, Caterina Pio, che verso la metà di marzo moriva di parto, portando seco nella tomba il neonato. 2) Flaminio Americi ed il capitano Fonfa erano suoi frduciari in Piperno. Pattuglie giravano di giorno e di notte intente a predare, causando allarmi ed ogni tanto facendo qualche prigioniero che, in mancanza di altri cespiti, veniva spremuto come un limone per estrarne una taglia ; nessuno era pagato e quindi conveniva far denari come meglio si poteva ! Più cruenti furono gli awenimenti in altre pa*i della provincia e terribile la strage, aYV€nuta il ZZ apàle, di Montefortino (l'odierna Artena), terra già allora famosa per I'alta criminalità della popolazione. ') Datasi al nemico, il duro Paolo lV non volle che si mostrasse pietà ai traditori. All'avanzarsi dei pontifrcii, la guarnigione spagnola si ritirò sopra Anagni mentre, saccheggiato e dato alle framme il paese, gli uomini venivano passati a frl di spada e le donne e ragazze violate dalla soldatesca, diventata brutale per la licenza concessale. LJna delle chiese fu riempita di donne e bambini, poi serrata a chiave e trasformata in un infernale braciere, dal quale sorgevano strazianti grida. Il giomo 27 il papa comandò a Giulio Orsini che le fumanti rovine fossero spianate al suolo, e il Caetani dovette mandare cento uomini da Sezze per sfabricare. 3) Come già Bonifacio VIII fece per Ia superba Palestrina, fu sparso simbolia) Allo stesso tempo il papa dava ordine (per la licamente il sale sulle rovine di Montefortino. 5) terza volta) che si distruggesse Norma, che voleva donare ai Caetani unitamente a Sonnino. I sette cannoni che vi si trovavano, per volontà del duca di Paliano, furono trasportati a ó) dalla qual cosa si può dedurre che si sia messo mano a smantellare le fortificazioni Sermoneta, sue

Eccidio di Montefo*ino.

se non addirittura a) Nei

a demolire Ia terra.

documenti dell'epoca

il

uome

è di solito

Prescî o Prcs*í. b) Voglio ricordare che' dal principio del

s. XW

scritto

in poi,

invalse I'uso che le donaeaggiungesseto al proprionome e cognome il de seguito dal cognome del marito. c) Bando di Desiderio Guidone d'Ascoli' ssmmise'i6 p66tiÉcio: È nobfio et manífesto ail ognl persona ila mokí et 1) C-ó006,

6089.

1 C-5990'lI.

,

C-6t23 d 6162'

moltl annî ín qua la mala oíla unìoersale deIIí homínl dl Mon' tefortíno in pubblico el ín ptíoato et quanlo scmpre síano slatl rcbellì et ínlmici de' Summí Ponkrtcf etc. N. S. Paulo quailo oolenilo ptooeilac alla quíete de queslí paesí... accíoché que' sto castello de Montefortíno non habbía da essete píù nído úcetto de tultí latfi et zbellí, ha detetmínato che lolalmente se scatichí et tuínl etc. (C-6194). 1)

C-631l.n.

6)

c-ó140.

6) C-59ó4.


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Operazioni belliche

[apr.-giu. 1557]

87

Bonifacio, benché non avesse avuto I'opportunità di cimentarsi in grandi fatti d'arme, si distinse in questo suo primo incarico militare per I'efficiente organizzazione da lui creata e per I'attività svolta nel mqtter i paesi, sottoposti al proprio comando, in buono stato di difesa; ragione per cui forse gli spagnoli da principio non insistettero nel tentativo di sfondare il fronte nemico dal lato di Piperno e Sezze. Le mura di quest'ultima città e quelle di Carpineto furono riparate sotto Ia direzione di un architetto inviatovi da Bonifacio. In riconoscenza di tutto ciò, il 27 apile, il cardinale Carafa promuoveva il giovane al grado di generale, mettendo ai suoi ordini tutti i colonnelli, capitani, luogotenenti e le rispettive truppe di Sermoneta, Piperno, Prossedi, Roccagorga, Sezze, Maenza, Caqpineto e di altri luoghi vicini, e particolarmente Orso Orsini di Pitigliano

con la sua compagnia. l) Condizioni Per tutta la primavera continuarono le piccole operazioni guerresche nella Marittima ed è 6nanziarie. 2) che probabile che il nemico facesse un'incursione sin sotto a Sermoneta ; vuole il Pantanelli a tale fatto debba attribuirsi il nome della località detta il " Guado degli Spagnoli ". In una delle scaramucce presso l'abazia di Fossanova perì di un'archibugiata in petto il capitano Luzio, 3) che fedelmente aveva servito Bonifacio durante questi tempi di guerra. u) Da tempo si lesinava il soldo alle truppe Disastrose erano le finanze pubbliche e private. o non si pagava afiatto, e invano Bonifacio e gli altri baroni incessantemente facevano premure presso le supreme autorità pel tramite de' parenti che stavano a contatto con la Curia; davanti al dilemma o di dover soddisfare i mercenari del papa o di vedersi sguarnire le rocche e le castella, finivano i signori del Lazio per dar fondo alle riserve di denari e derrate, già stremate dal dover prowedere ai propri dipendenti, ai presidî privati ed alla larga .. famiglia ". Gli aiuti finanziari della Francia erano insufrcienti al bisogno; non sapendo come tirare avanti, ai primi di giugno, il papa ordinò che s'imponesse un contributo di uno e mezzo per cento sulle proprietà terriere. a) Come si vede, la storia c'insegna che la tassa sul capitale, I'inflazione e le monete di vile lega non sono espedienti bellici di recente invenzione. Il provvedimento produsse una reazione; scriveva il Ceraseo z E I' ultíma îoúína dello stato eccle' síasfico perché gIí esecutori se Io diooreranno tutto. Tutta Roma è soffosopra et hoggì ha fatto consiglio iI popolo. Un commissario ad hoc venne a Sermoneta per5)riscuotere ma, non In vero gli agenti potendo esibire il proprio mandato, fu messo in una prigione della rocca. del frsco sono sempre stati invisi e la loro professione a volte non è scevra di pericoli! Col giungere dell'estate riprese I'attività del nemico nella valle del Sacco donde Marcantonio Colonna, awersario intraprendente e temibile, si mosse per riconquistare con le armi gli aviti feudi, confrscatigli da papa Carafa per sfacciato nipotismo; di riflesso vi fu una ripresa guerresca nella zona della Marittima. estiva ll primo awiso di ciò fu dato da Orso Orsini che stava alla difesa di Prossedi: egli Ripresa della guerra' riferì a Bonifacio che un tamburino nemico, venuto a trattare per una certa preda, ayeva raccontato che un reparto delle truppe di Marcantonio stava facendo la sqíanala delle strade per muovere con dieci cannoni contro il paese; awertiva essere assolutamente necessario che gli mandassero dei rinforzi perché altrimenti la terra non awebbe potuto resistere al battere dell'artiglieria, essendo le muraglie tanto malandate che da sè cadono come fussero de ficotta. Inoltre non era afiatto sicuro della devozione delle genti che custodivano la rocca, Anche le finanze degli imperiali Don erano Íoride: Il duca d'Aloa fa una monela nel Regno che oal tre carlíni et Ia fa coneîe Pd mezzo scudo, haoendo ptomessa Ia feile

")

r)

C-5t56.

,) I, p.

591.

c)

C-6356.1.

finíta la gueta la faù cambíate per quesla oaluta a Ia consîgnerà; trc dl quelle monete fanno una Paga d'un fantacíno (avviso del 2,X.1556, C - 5644).

che

chiunque

{) Bando o rtanpa, C-6340.1.

5)

C-6280' 6313,6389.


LA INVASIONE DEL DUCA D'ALBA

E8

Ub. I, Cap. IX.

dipendenti della vedova Virginia Colonna, la quale, come fu ricordato sopra, si era strenuamente rifiutata di consegnarla a Bonifacio Caetani A questo awiso si sparse I'allarme nella regione; grunsero anche voci che altre truppe avrebbero attaccato dal lato di Terracina, e perciò Pipemo rifiutò di mandare anche un solo fante ad Orso Orsini, essendo occupata tutti i giomi a menar Ie maní. Bonifacio si rivolse subito a Roma dove si adoperarono, nei limiti del possibile, a mandargli rinforzi. Il 18 di giugno fu spedito il capitano Palazzo da Fano, amico della Casa, a capo di una compagnia di cavalli ed una di fanti, con istruzioni, scritte tutte di mano del cardinale Carafa, di unirsi con Bonifacio per travagliare e trattenere il nemico che avanzava su Segni; e fu aggiunto che, nello zelo di spiegare la sua ben nota attività, avesse cura di non urtare la suscettibilità del suo capo. A dire il vero, sappiamo quasi nulla di quanto in tali frangenti abbia predisposto ed operato 'il nostro Bonifacio; non si conservano le minute degli ordini da lui diramati ai capitani e luogotenenti, che da lui dipendevano, ma ci restano soltarrto gli awisi e Ie missive che essi inviavano al proprio comandante. Egli, a quanto pare, rimase a Sermoneta impartendo gli ordini necessari per i lavori difensivi e per gli spostamenti di quelle due o tre compagnie di cui disponeva per appoggiare I'una o I'altra terra a seconda le previsioni sulle mosse del nemico. Oltre i presidî che non ammontavano a piir di cento o duecento uomini per paese, Bonifacio non disponeva di alcun corpo di truppe col quale condurre una guerra di movimento che gli avrebbe permesso di tenere a bada il nemico e dare sollievo all'esercito papalino che, tutto concentrato davanti a Roma, si sgretolava sotto il rullo compressore di Mareantonio Colonna. D'altra parte bisogna dire che Bonifacio non ayeva molto da temere da parte di Marcantonio perché sapeva che questi, pur non potendo impedire le rapine che perpetravano i mercenari, avrebbe evitato, per quanto possibile, che delle terre di Bonifacio si facesse lo scempio di cui furono vittime tanti altri paesi. E la ragione di ciò è che da tempo era già stato concordato che la sorella del Colonna, Agnesina, avrebbe sposato Onorato, figlio di Bonifacio, e sin dal principio dell'anno, pur imperversando la guera, era stata chiesta al pontefice la necessaria dispensa che questi il primo febbraio aveva sanzionato, apponendo di proprio pugno alla supplica: Sgomento

nella Marittima.

Fiat. I(hoannes). t) Mentre Montelanico e Gavignano ardevano come torce al vento e ad una ad una cade' vano le terre dei Conti, ') il bravo Palazzo, che era non solo valoroso capitano ma capacissimo architetto, si diede con gran lena a fortificare Prossedi e Piperno. Qinngevano appelli per aiuto da tutte le parti; a Carpineto era stata intimata Ia resa in poche ore ed i cittadini esterrefatti

z u Naoigamo et stamo per afocare ! ,, Intanto maturavano le messi, e spighe d'oro piegavano il capo verso il suolo minacciando la miseria e la carestia se nessuno si fosse occupato di esse; perciò, mentre da una parte le pattuglie si rincorrevano con le armi, dall'altra gli uomini delle awerse fazioni mietevano in fretta e furia il grano. La necessità del momento condusse il Palazzo a concludere una breve tregua che fu approvata dai superiori; il cardinale Carafa, preoccupato delle incursioni nemiche, dava ordini che il grano di luoghi vicini fosse tutto condotto a Sermoneta, unica piazza che si esclamavano

sapeva avrebbe potuto resistere sicuramente agli assalti degli spagnoli.

. ilcl

a)ScrivevaGiov,Batt.ContiaBonifacioCaetani:...píù brucíamenlo fattomt

r) c-7050.

Valmoatone,

pesa

la nuooa

úenutamí

chc mc leoano lulte Ie campane delle

(C-5210).

chíesíe.


Avanzata degli imperiali

[giu.-ag. 1557]

89

L'awersario si era accampato nel cuore dello stato colonnese e batteva spietatamente Segni; pattuglie di cavalieri erano giunte fin quasi alle porte di Roma. Nonostante I'arrivo di ottime truppe svizzere, il 27 luglio, i papalini subivano una grave disfatta nel tentativo di soccorrere Paliano; due settimane piir tardi cadeva Segni. Oramai era evidente che si awicinava I'ora del rcdde rationem anche per i paesi della sbandamento generale' Marittima, ad eccezione di Sermoneta che si supponeva sarebbe stata schivata dagli imperiali, perché osso troppo duro a rodere. Ascanio Colonna era ben informato sui forti lavori difensivi eseguiti alla Porta del Pozzo, unico punto nel quale la terra avrebbe potuto essere attaccata; in quanto alla rocca si sapeva da tutti che era inespugnabile. Cominciò lo squagliamento generale, la defezione. Proprio come diceva un fante durante la grande guerra: .. Non è il coraggio che mi manca, ma è la paura che mi buggera ! " Il podestà di Piperno scrisse che impellenti necessità di famiglia lo costringevano a cambiare aria e, pochi giorni dopo, la comunità inviava a Bonifacio la seguente lettera: l)

(il.^'

Sígnore

et

Patrone nosfro osserdandíssímo.

Haoemo praentílo da hommíní dí Segne che Segne è stata ptesa dallí Imperiali et hanno ammazali aIIi puttí: cerlo è una mala noùa per tuttí et massíme per Pípemo quale è debile píù delle altre terre el h pegior concello. Pertanto ptegamo V. S. il|.^" cí ooglía dare ordine che pailito habbíamo da lenere et in che modo da gooernare acciò non síamo tutti all'ímprooisa tagltati a pezí. Né altro ; alla bona gratia.dí quella humilmente ci rccomandiamo eI oíoa felÍce. Da Píperno, Ií 14 dí agosto 1557. De V. S. ilL.^" Humílí seroítorì II Síndaco et offcialí de Píperno sìno

#ffih

ffi# Due giorni più tardi Cesare di Gorgio scriveva al suo osservandissimo padrone che lí inbassatori de Cori porlerno Ie chíaoi et presentantele aI sígnor Marcantonio che Ie basò et cíIIe restítui dícendolí che selle riportasserc, chè da loro ooleoano solo oittuaglía e che vi avrebbe mandato un commissario. E quando gli ambasciatori fecero osservare che forse Bonifacio Caetani non avrebbe consentito che il grano fosse macinato a Ninfa, pare che il grande condottiere rispondesse loro u che non pensarebe che S. S. íI facesse per esser galante car)aleto rr.2) Però quando i marrani nemici predarono alcune bestie dei coresi, costoro ritrovarono il necessario coraggio per rincorrerli a tagliarli a pezzi. Intanto a Cisterna la popolazione stava esulando verso Nettuno per godersi un poco la stagione balneare. Anche Velletri pericolava ed a Sezze le cose prendevano una cattiva piega; un agente di Bonifacio gli scriveva : Quelli de Seze fanno como Ii gíudeg quando oogliono partofir, che se arícomandano alla Madonna gloiosa et, pailorito, dícono: u Fuor Maria delli Chrístianní ! " Giacché Bonifacio li abbandonava per tutelare Sermoneta, sarebbero' caduti nel governo del lupo ! Ed il 18 agosto mandavano i loro ambasciatori per un importantissimo negozio che, seppure non specificato nella loro lettera, non è difficile d'indovinare. Simile ambasciata venne da Cori perché, malgrado quanto accadeva, Bonifacio conservasse alla vicina città tutta la sua buona grazia. t) c-6529'1. Domus,

ll,

12.

2)

c-65t4.1.


LA

90

Fire della guena.

INVASIONE DEL DUCA D'ALBA

Lib. I, Cap. IX.

Quel giorno il rullo compressore di Marcantonio, guidato probabilmente dal traditore Antonio Caetani di Maenza, sottometteva Prossedi e Piperno. n) Il valoroso capitano Palazzo rimaneva prigioniero di Pompeo Colonna. b) Mentre la valle del Sacco cadeva nelle mani dei nemici e la difesa della Marittima si disfaceva come neve al sole, lo scoraggiamento e Ia paura invadevano Ia Curia; la popolazione si sentiva già addosso il nemico, venuto a rinnovare lo scempio del 1527. Le soldatesche insoddisfatte diventavano disobbedienti. Anche in Francia le cose andavano di male in peggro; il re subiva la grave disfatta di S. Quintinio (10 ag.) e dava ordine al duca di Guisa di ritornare subito nel regno. Ciò voleva dire la totale rovina delle operazioni presso Roma. ll 26 agosto 3000 spagnoli si presentarono davanti Porta Maggiore e piantarono venti scale contro le muraglie, sulle quali non c'erano neppure le sentinelle. Dío ha oolsuto agiutarcí ,, dissero i " romani perché, se il nemico fosse andato all'assalto, sarebbe entrato in Roma senza colpo ferire. l) La vista dei marrani spagnoli, nel momento in cui I'appoggio del re di Franeia veniva a mancare, le casseforti erano vuote ed il popolo affamato, condusse finalmente alle trattative che posero fine a questa disgraziatissima guerra. Il duca d'Alba fu generoso e docile piùr di quanto si avrebbe avuto ragione di sperare. Il 19 di settembre, accompagnato dal cardinale Carafa, dal duca di Paliano e dal marchese di Montebello, paséava sotto Castel S. Angelo, salutato dal festoso rombo dei cannoni e, entrato in Vaticano, s'inginocchiava nella sala di Costantino davanti al pontefrce, circondato dal Sacro Collegio, e gli baciava il piede. ") La guerra, grazie a Dio, era finita!

veva

a) Compiuta Ia sottomissione, Marcantonio Colonna scriordinanze che seguono:

la lettera e le

AIIí

mag.cí sìgnarl sgndíco e!

oficialÍ dl Plperno

nodltí

MaSnirtcl Sígnotl sgndlco el ofrcíali. Haoíamo oíato la Ielleta oosba, eI înfieso dal lor mandato íI lor oolete quanlo all'opeta mîa, della quale non mancherò ad ognl occaslone. Ma petché S. &c.a (il duca d'Alba) presto satàquà, eI ìlanà

a

ordini,

píeno oIIe cose oostîe, oí manlenete ín lanlo con quelll che sele soli í nel goouno oosho. Et ptché non haoíale

a rlceùete danno alcuno, oí sí manda la pr*eale nloaguardla, ct Dío ol guadl, Dal canpo a Ponte iIí Sacco, lí 2O d'agosto 1557.

al suo comando M. Aal.o Colonna.

M. Ant.o Colonna, duea dl Taglíacozzo, gran @nt6lablle del rcgno ilt Napoll, el generale per S. Maestà ìn CamPagna: Essendo oenula Ia tena dÌ Pípemo all'obedlenza di S. M.tà ttoglíamo che sla slcuta da tutll Ií dannl; pet tanlo lc faetno saloaguatdla, commandanilo pet l'autoúlà rcgîa a no| conscssa ad ogní colonnello, capltano, oftclale o soldalo lanto da pIé, quanlo d.a caoallo, o aftta petsona s noi sottotrl,tla, che non atdísca ín modo alcuno molestare detla Tetta, o hebtel che

r) c-6546.1.

essa sì posino, nè dannegíare o ín bestiami o ín alcun'allra cosa, solto pcna della dîsgtatía di S- M.là et allra a noslro atbltrb rtsenata. Data nel campo a Ponte dl Socco, lÍ 2O d'ago-

sto 1557.

chatíssímî.

otdine

ìn

(c

M. Ant,o Colonna Gío: Btocedu (?), de mandato. - 65,10).

b) Non trovo nel nostro archivio ulteriori notizie su questo prode ed intelligente guerriero. Sono inclinato a credere che egli sia quello stesso che, col grado di colonnello, fu principale di-

di Nicosia, assediata dai turchinel 1570, ove eroicail giorno 9 *ttembre, quaado la citta fu espugnata dagli infedeli (Cf. Gugl., L.p., p. 53 e 79). c) Alla 6ne di ott. il card. Carafa -a.di a Terracina un fensore

mente mori combattendo

commissario con ordine di icevere tre compagnie di spagnoli che accompagnavano il bagaglio dcl duca d'Alba, ma Antoaio

Tonto ed altri giovani si oppoeero: fascisticamente andarono dal siadao, si fecero dare le chiavi della città e ne presidiarono le porte. Il papa pregò il duca di pa$are per altra strada perché la Marittina era in niscrevoli condizioni. La zona per molti anni rima:e loltoposta al governo di Bonifacio Caetani (C-6ó09,6613). lnfatti risulta che il 15 giugno 1573 i terracinesi supplicavano Bonifacio ed il card. Nicolò di sostituire il toro tuogotenente, del cui governo avevano amaramente a lagnarsi (C-9253,4).


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