Domus Caietana - Il Cinquecento - Parte II

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LIBRO SECONDO

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EGEh{ONIA SPAGNO.LA

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Caprrolo X.

IL DOPOGUERRA E LA COSTRUZIONE DELLE TORRI MARITTIME. (r 558, r 808)

uANDo

si ristabih la

pace,

il

primo pensiero di

Bonifacio Caetani fu di concludere il matrimonio tra Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio, e il proprio figlio Onorato. Questo .. parentado > presentava molti vantaggi: anzitutto si credette che con esso si sarebbe posto fra le due casate un termine all'antica inimicizia della quale le piìr recenti manifestazioni erano state le insidie dei Colonnesi contro Sermoneta ed i continui conflitti tra i nettunesi e i dipendenti di casa Caetani per la giurisdizione del " tomboleto " di Fogliano e Foceverde e per la libertà di pesca nel mare. In secondo luogo, v'era speranza che Ia nuova parentela avrebbe sewito a spianare alquanto in Roma i contrasti fra il partito imperiale e quello francofilo, Iniziale regli otatuti de' quali le due stirpi si erano fatte paladine. di Barciano. Purtroppo, la storia c'insegna che il legame di sangue tra i Colonnesi e i Caetani non ha mai.potuto estinguere completamente il ricordo delle passate inimicizie perché, ove veniva a mancare la rivalità politica, spuntava quella nobiliare., La straordinaria potenza dei Colonna generò in essi Ia presunzione di essere di casta superiore agli Orsini, ai Caetani, e a tutti gli alhi baroni; poi, nella seconda metà del sec. XVI, ammisero la parità degli Orsini, anch'essi principi assistenti al soglio, e unitamente si adoperarono a tenersi distaccati dalle altre famiglie medievali di Roma che, di rimando, si vantavano di esser non inferiori ad essi né per nobilta né per benemerenza verso Ia Chiesa e verso I'Alma

Città, loro comune patria.

Sponsuli Caetani Colonna.


IL

94

Matrimonio con Agnesina Colonna,

Pretensioni

dci Caetani vcno Enrico lI.

DOPOCUERRA

E LA COSTRUZIONE DELLE TORRI MARITTIME Lib. II,

CAP.

X.

Prima di venire a definitivi impegni, il cardinale di Sermoneta volle assicurarsi il beneplacito della corte di Francia; la cosa fu trattata a Parigi dal suo amico ed agente, il magnífico Fnncesco Torello, per tramite del duca di Guisa e di suo fratello, il cardinal di Lorena: il re diede I'approvazione incondizionata, sperando che la nuova parentela avrebbe permesso al cardinale Nicolò di guadagncre il sig. Marcantonio alla causa francese. Qualche giorno più tardi disse personalmente al Torello z u Scrioete aI cardínale di Sermoneta ch'io so molto conlento et non ho dubbío cÀe (egli) sía mai fer mutarsí d'opiníone et che mí leoi I'afetíone che, Iongo tempo è, che m'ha ,r. t) La dispensa matrimoniale era già stata concessa sin dall'anno precedente e i capitoli nuziali furono firmati in Napoli il 26 luglio 1558, 2> per I'una parte, da Marcantonio e da Giovanna d'Aragona, madre della sposa, e per I'altra, dal cardinale Nicolò e da Bonifacio Caetani. La dote fu fissata in 33 000 scudi ; il cardinale promise di donare al nipote Onorato metà della parte spettantegli sullo stato di Sermoneta, pur riservandosi i redditi, vita durante, e di fare ogni sforzo perché Enrico, Camillo e le sorelle di Onorato rinunziassero ad ogni loro diritto ereditario. Il matrimonio ebbe luogo verso il 1560 e fu favorito dalla grazia divina in quanto Agn"sina, con regolarità cronometrica, ogni anno diede alla luce un figliolo finché, fatto non mai visto prima in casa Caetani, il signore di Sermoneta si trovò padre di otto magnifici maschiotti; di figliole, neppure una, ciò che in quei tempi era considerata un'altra forma della benevolenza celeste. Gli sposi, durante i primi anni, vissero felici ed anche la concordia delle due famiglie fu perfetta; ma di tutto ciò si dirà nei capitoli seguenti. Mentre si svolgevano questi eventi familiari, Ie province romane e lo stesso papato'risentivano le penose conseguenze della disastrosa guerra: devastate erano Ie campagne, in miserrime condizioni le fine"ze pubbliche e private, ed il papato costretto a sottomettersi all'imperiale egemonia spagnola, che nulla piìr poteva scuotere. I Caetani, i quali avevano sofferto quanto se non piìr degli altri per aver sostenuto gli interessi della Francia, sperarono che Enrico II avrebbe dato loro prova tangibile della propria riconoscenza; invece il sowano, che era stato sempre così premuroso nell'accettare i loro servigi, diventava distrattissimo quando si trattava di concedere qualche favore. Il 28 marzo 1558 il cardinale Nicolò scriveva a Francesco Torello che mettesse un poco le carte in tavola: volle che esponesse al duca di Guisa come era rimasto profondamente addolorato di vedere che al maresciallo e al cardinale Strozzi e agli stessi Orsini erano stati conferite singolari grazie, mentre egli e quelli della sua famiglia ne rimanevano esclusi. L'ordine cavalleresco, chiesto per il padre e poi per il fratello Bonifacio, non era mai stato concesso; neanche fu ottenuto che quest'ultimo venisse nominato gentiluomo di camera. Nessun benefizio al cardinale; eppure egli aveva strenuamente sostenuto il candidato francese durante il conclave di Paolo IV e, mentre agli altri cardinali fu elargito un dono di 2 000 scudi d'oro, a lui non fu offerto nulla. Il re, debitamente sollecitato da monsignot di Lausac\ aveva dichiarato che ooleoa fare molto maggior ricognitione 3) Stanco di tutto ciò lasciò intravedere che, continuando e invece niente aveva fatto. così, avrebbe dovuto proooedere coffirme all'onor suo. Dal canto proprio Bonifacio significava che, entrato ai servigi del re sin dal febbraio l55l con pensione di 4000 franchi, durante sei anni non aveva ricevuto neanche un quattrino; poi gli erano state pagate due sole annualità; a) tuttavia, conoscendo il peso che Ia guerra rappresentava per S. M.u, si era guardato dall'insistere per la rimanenza; ma ora gli L' C-4926.

\

Arc. Col., ll-48.

3)

C-6676.

'

C-5985.


Il

[1558-rs5el

dopoguerra

di aver pazientato abbastanza e si permetteva di reclamare le somme dovutegli. Ad awalorare le proprie pretese, faceva altresì presente che intendeva adoperare questo denaro per sembrava

il

costruire alcune torri lungo litorale, presso il monte Circeo. l) Non si meravigli il lettore che nobili signori, quali Caetani, si piegassero a mendicare favori con tanta insistenza: altrettanto facevano Colonna, gli Orsini e Ie altre grandi famiglie e d'ltalia

i

e di Francia e di

Spagna. In

tutti i tempi, dai

i

piùr antichi regni

ai democratici regimi d'oggi, il

supremo potere dello stato fu sempre assillato dalla turba che chiede favori: la piaga delle suppliche

e delle raccomandazioni non è un male moderno. Ma in nessuna parte del mondo e in nessun momento della storia questa mendicità delle classi benestanti (ché ai poveri non era consentito alzare la palma della mano tanto in alto) fu così universale e vergognosa come alla corte di Spagna durante I'apogeo della sua potenza. D riflesso troviamo la stessa situazione in Francia e in Roma. L'oro affluito dalle Americhe aveva scatenato gli appetiti, come il miele, dato imprudentemente alle api, scatena il saccheggio delle arnie. Vedremo nei capitoli seguenti che cosa diventò la ressa a Madrid per i titoli, per le onorificenze, per i carichi e per le pensioni: già aveva cominciato il saccheggio dell'arnia reale di Spagna e, di riflesso, i seguaci della Francia chiedevano al suo re una larghezza non minore di quella che il figlio di Carlo V prodigava ai propri fedeli. In un primo tempo la Spagna schiacciò la Francia con le armi, pol con la distribuzione delle grazie, ma finalmente rimase essa stessa stremata e decadde mentre all'orizzonte sorgeva il Re Sole. Il 18 agosto 1559 moriva Paolo IV. il cardinale Nicolò, che stava a Sermoneta, fu chiadi mato d' urgenza per duplicate lettere dei cardinali Carafa. D Il momento era pieno di pericoli' il popolo di Roma, abbattendo Ia statua del pontefice e tumultuando per Ie strade, diede sfogo all'odio che avevano generato in esso Ie calamità della guerra e la turpitudine dei nepoti. Fu dato fuoco agli uffici della Inquisizione in Ripetta, furono liberati i prigionieri e sui muri della città fu affisso il seguente manifesto: 3)

8sndo contrsquellicbe

terronno lar me oi c ala Ear afE, TÈrer ordincoel Dopolo Solnano obedie n. fi rfirrro. q fedcffftmo oelkt fantq Sede Apa-

Itolica,rr:oelÍqcrof,;ollqSiooetliS!ln\lr.if.

fi'eucrendrffimi €ardinsli,Elifain' rCiidere a eualúclx pe rfom cbe babbi 4 inqn rialla faaéafq oo[aarfa,ooipinfa in muro, ó oi nlrcuo,larnte oella tanto a quefto @0.

frrni

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Dolo rnimica r-fi,vanntcacqfa f,araffa, Ja bebbia frs rurro rl or oi ba$Sii.r oomani bs ll e f la ltraccra fa, Íc antellgt g, n fp eiiat a ; lot

[o pcn.lotcîferefcnufo fradirole oi quefto tbbpoto îíufame r.oieft:erequella cafa oo tkfàrarruouars oacflefto tepo in ls lifcbes, 6lare, tbtnfciats,aicíofi pofft per tatrc le úie poflibile sn icbiJqre, 4 fpengere quefto ranio odiofo nottn,,@ar. in from.a tl oi ff . oi figofto i rÍr s,. 1) C-695ó,6956bis.

,)

c.69l3.lll.

'g)

c-ó915.

I

Morte Paolo lV


IL

Elezione

di Pio V.

DOPOGUERRA

E LA

COSTRUZIONE DELLE TORRI

MARITTIME

Lib. II, Cap. X.

Il conclave che seguì durò quattro mesi, piìr per contrasto tra le varie fazioni dei cardinali ehe per quello dei due sowani di Francia e di Spagna. Il cardinale di Sermoneta si adoperò a favore del candidato francese senza però prendersi la cosa troppo a cuore; finalmente, come Dio volle, fu scelto il cardinale Giovanni Angelo de' Medici, che prese il nome di Pio IV. Pochi giorni dopo esser salito al trono, confermava a Nicolò il governo di Cesi con mero e misto imperio e gladií potatate, in conformità a quanto era stato convenuto durante il conclave, e cioè che ogni cardinale assumesse il governo a vita di una città. l) L'attribuzione speciale di questa giurisdizione fu dovuta alla singolare amicizia che legava i Caetani alla nobile famiglia, signora di quella terra. Il cardinale Federico Cesi ed il nostro Nicolò furono molto intimi e durante il conclave agirono sempre d'accordo. A consacrare tale amicizia si convenne di dare la sedicenne figliola di Bonifacio, Beatrice, in moglie ad Angelo Cesi, nipote del cardinale Federico. Le relazioni tra i Caetani ed il nuovo pontefice furono tutt'altro che cordiali, ma non so dire quale ne fosse il motivo. Il papa pensò di donare al gran maestro di S. Lazzaro le mole di Ninfa, sulle quali Ia Chiesa da secoli non vantava piìr diritto alcuno; vi fu sospetto persino che volesse privare i Caetani dello stato per dividerlo tra i nipoti. Qualche anno più tardi Bonifacio ricordava tutto ciò 2) con le parole : Pio IV de mala memoría ... homo díabolico più presto che capriccíoso; Iddio sia benedefto per haoerlo tolto da questo mondo perché quel giorno pefitono anche le sue male e peîoeîse cogítazíoní. *

{<*

r

Sotto il pontificato di Pio IV, per iniziativa degli stessi Caetani, fu messo mano alla prima eostruzione delle torri lungo il litorale per difesa contro le incursioni dei pirati. Da quando I'uomo ha preso a navigare, il'grande deserto dell'alto mare, ove non esistono nè sovrani nè leggi, lo ha sedotto alla pirateria. Famosissimi nei bassi secoli furono i prodi e crudeli Vikings del settentrione; però furono i turchi del secolo XVI che portarono questa forma di alto brigantaggio al grado di arte e di nobile professione. Non solo era un lucroso mestiere, ma la continua devastazione delle coste europee formava parte importante della guerra continua che il sultano faceva alla cristianità, e i piir grandi e famosi pirati, molti de' quali erano rinnegati cristiani, furono chiamati ad essere beilerbei delle province ed ammiragli della flotta turca. I re cristianissimi di Francia si compiacquero di farseli alleati. All'epoca della quale parliamo era morto da pochi anni il famoso Khizr, re d'Algeria, che i cristiani chiamarono Barbarossa e a cui il sultano aveva conferito il titolo di Khair ad-din " benefatto della religione ". Ancora si parlava del suo tentativo di rapire la bella Gulia Gonzaga. A lui era succeduto il frglio Hasan; Dragut, ptincip. di Tunisi, dominava il mare e già Oulouch-Ali si preparava a

pirati.

gloriosissima carriera.

Sotto la guida e dietro I'esempio di costoro innumerevoli navi corsare, armate da infedeli e cristiani rinnegati, infestavano le coste d'ltalia: sbarcando improwisamente di notte, facevano rapide scorrerie e, depredati gli averi, violate le donne, sterminata la popolazione, strascinavano in ischiavitìr molti disgraziati giovani. Specialmente esposta era la costa che si stende dal Grceo a Nettuno, perché questa plaga, quasi completamente deserta, rendeva possibile ai pirati di sbarcare senza opposizione alcuna e, sotto la copertura dei boschi, di fare razzie nei centri abitati; inoltre certe piccole insenature tra la scogliera del Grceo, dette < cale ", permettevano ai pirati di nascondersi per I'agguato. r) Ptg.

7453.

2 C-7882.X1,


[eet. 1559.1562]

Costruzioni delle

toni

marittime

Per questo motivo Giulio II permise a Guglielmo di ricostruire e fortificare San Felice. r) Ciò nonostante i pirati si fecero sempre piùr tracotanti, specialmente dopo che alle Gerbe in Tunisia I'armata di Filippo II ebbe subìto una grave disfatta (1560); il pericolo parve allora così imminente che Marcantonio Colonna, il 20 maggio, scriveva ai suoi vassalli che dovesserc subito far sgombrare tutte Ie robbe, donne et putti da NeUuno.2) A rendere le condizioni di vita ancora piir difficili si aggiunse il banditismo 3) che, alla fine del secolo, degenerò in una vera piaga nazionale. Già da qualche anno i Caetani avevano avanzato il progetto di costruire alcune torri di difesa presso il monte Circeo, ma fu soltanto sotto Pio IV che ebbero la necessaria autorizzazione. L'utilità di questa di{esa appariva evidente, non solo contro le incursioni dei pirati, ma anche a protezione delle navi mercantili che si potevano rifugiare presso di esse sotto il tiro dei cannoni i quali, dall'alto della massiccia piattaforma delle torri, spazzavano il mare a grande distanza. Anche durante una guerra, come quella che recentemente aveva affitto lo stato ecclesiastico, gueste fortificazioni sarebbero riuscite utilissime. Per tali motivi, iniziatasi la costruzione delle torri da parte dei Caetani, I'esempio fu seguito dai Colonna (ag. 1565), poi dai Cafiarelli (gen. 1568) e da Terracina a Badino (1568) e presso I'abitato (15S4). E così, negli ultimi decenni del Cinquecento e i primi del secolo seguente, sorsero lungo Ia spiaggia romana numerose'torri che, assieme alle antiche rocche di Nettuno, Ostia, Civitavecchia etc., formarono a) una catena di 56 fortilizi i quali si stendevano dal confine napoletano al Monte Argentario. L'autorizzazione dicostruire fu data ai Caetani con breve dell'8 gennaio 1562.5) ll pontefice Le torri del Circeo. perdíte daí quanto danní quanto calamítà, e grandí e graoe ricorda non senza cordoglío frequentí pirati turchí e barbareschi, infestíssimí aIIe nostre spiagge, ptooengono a díscapíto dei marínaí, mercanti e conduttori del frumento e delle altre proooíste necessarte aII'AIma Città e a díscapito ' di ogní altro naoìgante del noslro marc, tanto che non è giorno che non sentiamo or dí questo or dí quello esseî pteso, messo a ruba, bucídato, seppellíto nel pelago o condotto oioo a miserabile schíaoitù nelle tene deì barbaú; quindi esorta il cardinale Nicolò e Bonifacio Caetani a costruire, a loro spese, una torre presso il lago di Paola, sopra uno sperone roccioso del Circeo, un'altra sulle rupe del Fico, una alla Cala Cervia e una quarta alla Cala Moresca, detta anche Cancolino o Falconara a causa di certe" rupi ove si annidano i falconi. Magnifrche erano Ie località scelte: la grande e selvaggia mole del Circeo s'innalza maestosa all'estremità meridionale della grande pianura delle Paludi Pontine come isola montuosa in mezzo al mare; anzi non v'è dubbio che, in tempi geologicamente non molto remoti, fosse un'isola come, seeondo Ia leggenda, fu vista da Ulisse. Dal lato del mare la montagna scende a picco nel ceruleo abisso e le onde, ora dolcemente ora infuriate dalla tempesta, s'ingolfano nella profondità delle grandi caverne rivestite di stalammiti e di alabastro, che si vuole fossero la dimora della maga Grce. Su quei dirupi, nei punti strategicamente piùr importanti e appunto Ià dove piccole insenature della roccia, o cale, permettono alle imbarcazioni di approdare quando il mare è in calma, furono erette le quattro torri in posizione dominante in modo da potere spazzare a distanza con i loro cannoni la superficie delle acque. L'unico punto debole di questi fortilizi era che essi a loro volta erano. dominati dai dirupi sovrastanti, sicché fu necessario costruire, dal lato del monte, certi scudi in muratura per proteggere gli artiglieri, che stavano sulla piattaforma, dalle archibugiate e sassate che i pirati, anampicatisi tra Ie rocce, potevano scaricare loro in testa. Pio IV impegnò la Camera Apostolica a fornire le armi e munizioni occorrenti nonché 1) Cf. pag. I 5)

l.

2) GusI., p.

5.

\ Pts' 3416t Arc. Vat., Arn.

Pte.2?05,2970, C-7lO9t pubbl. in Guel., p. 45V' Domus,

ll,

13.

XLII, To. 51'

f. )70.

t) Cf. Gqrl., p.

483.


IL

9B

Presidio

delle torri.

DOPOGUERRA

E LA

COSTRUZIONE DELLE TORRI

Lib. II' CAP' X.

circa dieci soldati e un caporale per ogni torre. Questa soldatesca doveva essere a completa dipendenza di casa Caetani, che sceglieva gli uomini e li licenziava a suo piacimento e assumeva la responsabilità della difesa contro i pirati. Il soldo della soldatesca, che ammontava a 40 scudi al mese per ogni torre, nonché Ie spese delle munizioni dovevano essere sostenute da 53 paesi della Campagna e Marittima, mediante una tassa speciale da pagarsi ogni mese; ad essa erano soggetti anche quelli distanti dal mare, come Anagni, Acuto, Fumone, Segni, Genzano, Nemi, Palestrina, Tivoli etc. Terracina era esente, perché doveva provvedere al presidio delle proprie fortiÉcazioni. r) I Caetani misero subito mano alle costruzioni delle torri di Paola e del Fico, se, come credo, queste non erano già state iniziate per consenso verbale del papa prima che fosse emanata la formale autorizzazione. I lavori furono affidati all'abile, per quanto poco letterato, capo mastro 2) dell'architetto Bartolomeo Bernardino da Udine, sotto la direzione, come afferma il Baglioni, Breccioli; ma di questo non ho trovato traccia nel nostro archivio. Le costruzioni furono condotte con incredibile furia e sotto gravi diffrcoltà, perché gli operai avevano grande paura dei pirati, e fu necessario di tenere accampata vicino ad essi una forte squadra di soldati per loro protezione; o) timori non infondati, perché in quell'anno stesso i turchi, saputo di queste imprese, b) L'attacco venne da fecero una incursione e rovinarono i lavori iniziatisi ad entrambe le torri. parte del monte e perciò, alla ripresa dei lavori, fu necessario proteggere gli operai da quel lato con uno schermo di tavole. ')

la

guarnigione

di

1563.1X. 18. Pio lV impone alle città di Campagoa e Marittima un contributo di 200 scudi mensili sino all'aprile 1564 per gli stipendi di 50 militi e loro u6ciati, destinati alla custodia delle toui costruite e da costruirsi dai Caetani (C'7230)' b) 1563. IV.l0 c. Conto di Bernardino da Udine della Tone di Paola, lanto quella \one oecchía che fu ruoínata da lurchi nell'anno I 562 guanto quella facta quest'anno I 563 .'. Conlo della Tone del Fico ilel 1562 e del 1563 ctînpulatocl quello che fu ruoínato ila twchí l'anno pasalo del 1562.

ù

(c-7r9r). c)

(C-7130). In

contratto con Contratto per le costruzioni.

MARITTIME

i

seguito

a

tale distruzione

fu

rinnovato

il

mastri muratori nei seguenti termini:

II chonlrato ilÍ lí lort di Sanlo Fílize. Adí 27 dezenbrío I 562 fu dí achotdo maslrc Andercía et maslro Paulo murulore ín solído at farc Ií doí tore di Santa Fillze una a Paula et l'alba ala Fîgho. Díti lore iI lustissímo sínore lí

promete

at dare gulíí cínchuanta el lre per chaní dol dl

Fígho per gulíi trcnla he et una chana at ila gulií oíntí dí Píù. Dí Píìt promele sì sínore íIustríssímo fatlí fate Ií lauli pet lulo Ií armazí che fa dí bísono alí dítí tore e! pÍù sÍ Ií sí Ía díIi taulí che fazese tlí bísono peî Ií chapanl Peî staîe ìlí Iì soprcdití mastrl et gharzoní. Et loro ptomelano tar il muro aizípíenle do* li sarA chomeso di chl lì a di ordlnare el Ia rena el chalza sí ala dí melere dI quela che sí booa che slato falo Ií dílí mu' talí Ií atorno ooero dooe sarà a Io piazímento dl mastto Ber

m.tto, una chana

Paula;

narilìno

Ia

ala

chana

Paula oi sí

fabro lenatío

dí Io

sínorc

et a Paula si píIaà ín lo

chontorno dì Io Pore oerso íI monle dí Ia MeIo che sía cho' moda che sÍa bona, H píu lí sopra ilítt masltl sí oblghano at ooslra sínofia dl poilarc tuta farína che oetà per chomodità dìI oìoerc dí Il dltí persont che a ilíta Santa Filíze slarcno da Leula at Santa

Fíltze,

I C-7187'

2

Pqnt.' 1,607

Et fat

píù oollno che ooslrc slnoila sîa chonlenla dí dooet

portare

íI rteno et orco che fa

bísono

a Ií

bestie che'sla-

ilt

díli masbí pet It dílí lorì che Iorc farcno. Et li dítl mastrí pílarcno íI pane dí ùostta sìnoria al baíochí sel Ia dízína el It porzí Ií píIarano ilí oostru sínorÍa al peso sÍ chome chore pet quelo tanto che sí oende al Sar.

nno aIí

seroízíí

moneta,

H

píù oolíno che oosba sínotía

ín

lazí

che mashí

el

ghar-

di

oosba sínofta non posíno laootare ní che laooru sín a lanto Ií ilítl lorl sí síano finilí et lotí pro' fat metano paghailí tutí guelí che oenghano a laoorcîe a la díla Santa FíIíze sarcno pagha!í quelo che sía íntlíchalo Peî ùoska sínoia o pet alti petsonl. Et píù Ií chontenla ooslra sínoría che noí abiamo at tenere It armi noslrl dí quela qualítà che píazía a Ií Ailí mastrí oseroanilo lí chrapi et ceroí el fasaní; che chaschase qual' chí ghauone fazesí chonlrc íl chomandamento dí sí masbí non oolíno che oosba sínoia sí posa dolete el agreoarc dÍ Ií sopta díti maslrî che esí non chometetano maí at gharzone nísuno che alí sopra dìtí animalí sí tili. E píu achaschando che oinínilo at Satmonela chon lí dití atmì non síano ínpídítÍ dì la zonl che

lhdlto/lo

chofle pet s!ruda. Et ptù sí aichoÀa che

lI

orzo

oosln slgnofi nl

Io

faza

aoete paghando quello che chomelerà oosha sínoría lustrissíma. Io mcalro Bemarìlino ilì Udíne fezlt díta poltza iil mía mano ptesenle Franzíscho Palatlíno et maslrc Zuanì di Cíoi e mastro Stefano scharpelíno et Raímondo orlqlano. Et ío mastro Paulo afermo quanlo ín queslo foglio sí

et lo maslto Paulo pregato da maslro Andrca ín questo foglío sí contiení oasalí del proprio Bonìfatío Caetano, ín la Cístema fu folto sígnorc Iustrísimo conlíenl

afermo quanto

dítto acordo (C- 716E)'


Le torri dei Caetani

1r562-r5681

99

r) Poi si mise Furono riparati i danni e, nel marzo dell'anno 1563, si seîîarcno le volte. subito mano alla costruzione delle altre due torri di Cala Moresca e Cala Cervia, ma dai documenti appare che i lavori, forse di rifinimento, non terminarono prima della fine del 1574.2) 3) Mentre attendevano a questo compito, i Caetani, seguendo un antico desiderio, reputarono necessario di ottenere I'effettivo possesso di quella parte della spiaggia, o tomboleto, che si stendeva dalGrceo alla Palizzata>, che segnava il confine frala tenuta di Fogliano, San Donato " ed il territorio di Terracina. u) Avendo ricevuto I'incarico di difendere questa zona, ne volevano avere anche I'effettivo dominio; inoltre desideravano accorpare il feudo di San Felice alle suddette tenute in modo da possedere tutta intera la spiaggia dal Circeo a Foceverde. Questo terreno, detto < Tra lago et mare >, aveva per confini il Circeo, la sponda del lago di Paola, la fossa Augusta, che congiunge il suddetto lago a quello di Caprolace, la Palizzata e quindi lungo Ia a) riva del mare sino al Circeo. Era stato tenuto in affitto dai Caetani già sin dal 1550. Terracina, dopo qualche esitazione, acconsentì alla vendita per 3000 scudi ed il papa diede Ia sovrana autorizzazione con motu proprio. Tutto ciò s'innestava ad un grandioso progetto di ' bonifica idraulica, di cui si dirà nell'ultimo capitolo. b) Per integrare la giurisdizione su quella zona i Caetani avevano bisogno del possesso effettivo del lago di Paola; questo apparteneva al monastero di S. Maria di Grottaferrata che già 5) sin dal 1560 I'aveva dato in affitto al cardinale Nicolò. Sorse una lite che poi, cinque anni ó) piìr tardi, fu finalmente regolata con la cessione in enfiteusi perpetua del lago a favore dei Caetani. L'adiacente tenuta di S. Maria della Surresca era già proprietà della Casa dall'epoca di Bonifacio

u) Tale possesso importava per la eusa con i Coloana e i nettunesi sulla giurisdizione del tomboleto e sul diritto di peca

a mare. A quest'epoca

pescavasi anche

il tonno

mediante regolari tonnare (Otíg., p. 3). .b) L'atto di alienazione fu eseguito

3) 1670.

di

Paola.

VII in poi.

Nel primo periodo del secolo XVII i duchi di Sermoneta costruirono due altre torri sulla spiaggia: una dal lato di San Felice, detta Torre Nuova o di S. Vittoria, in ricordo probabilmente della battaglia di Lepanto, I'altra alla foce del lago di Fogliano, che fu autorizzata con chirografo di Gregorio XV del 22 marzo 1622. I lavori della torre di Fogliano cominciarono però prima di questa data, perché già nel gennaio n'era stato stipulato I'appalto. In esso fu stabilito di consolidare il terreno sotto il pelo d'acqua del mare con grossi pali di quercia, lunghi da l2 a 15 palmi, riempiendo il vano fra le teste di essi con calcestruzzo sino a tre quarti di palmo sopra detto livello; Ia pietra doveva esser tratta dal Circeo or)eto se píù oìcino si frorcsse píetra di tufo bono dì muraglie antíche da dìsfarsí, ciò che vuol dire che nell'anno 1622 fu completamente disfatta Ia bella villa romana, ricca di mosaici e di colonne, le cui fondazioni si vedono ancora presso la foce di Fogliano, a pochi metri dalla torre. ") Il contratto è interessante in quanto specifica esattamente i modi di costruzione usati in quei tempi. [Jna terza torre fu eretta sul tomboleto del lago di Caprolace, dietro autorizzazione con7) ma, costruitasi, le autorità militari cessa da Clemente IX con chirografo del 16 giugno 1668 ; della Chiesa negarono al duca il diritto di nominare e licenziare le soldatesche di guardia. 8) Il Contro tale decisione si appellarono i Caetani, e Clemente X li reintegrava in tale diritto. fortilizio però deve avere avuto vita assai breve perché, mal costruito e minato dal mare, seguì la sorte di quello di Fogliano che, dopo pochi anni, era caduto in completa rovina.

r)

Acquisto del

lago

r)

c-9809'1.

c-7t86. Xll.ll (Mìtc., C-269).

presso

a Cisterna il

,

zo 1563 (C-718ó'9; Arc. Caet., passim. ad an. c) Mísc., C-269 (943). Nei primi anni di questo secolo furono fatti degli scavi da rnio padre, presente il caro e compianto amico Giacomo Boni ; fu trovata una bella colonna

il Grceo

2J

c-4749.

di

mar4)

rnarmo rosso, che

C-4749.

{u eretta nel giardino di Fogliano. 6) Frc. 2788. t) Pre. 2775,

,) C-7415.

Torri di Fogliano

e

Caprolace.


t00

IL

DOPOCUERRA

E LA

COSTRUZIONE DELLE TORRI

MARITTIME

Lib. II,

CAP.

X.

Gli eventi diedero prova di quanto erano utili questi fortilizi: numerosi, seppure di non grande importanza, furono i combattimenti che dovettero sostenere con i pirati, ed elficace la protezione data al commercio marittimo ; così ad esempio, nel 1604 due navi turche inseguirono una barca che si rifugiò sotto la torre di Paola; il brigantino nemico, di dodici banchi, si accostò arditamente ma, dopo un quarto d'ora, dovette ritirarsi assai malconcio. l) Falso

altarme. Un altro emozionante

ma non tragico episodio si svolse nel decembre del 1620. Una mattina all'alba, dopo una notte di furiosa tempesta, le guardie di una delle torri del Circeo furono Ju,

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{ - ,r'.? Torre di Paola.

awisate da alcuni peseatori che sulla spiaggia si aggiravano certi individui sospetti, non si poteva dire se turchi o pirati cristiani. La piccola guamigione usci al completo, armata fino ai denti, e trovò cinque greci con i vestiti inzuppati e tutti gelati dal vento: avevano naufragato durante la notte su quella costa malfida e si erano rifugiati nel vicino bosco, ove altri dieci stavano aspettando che venisse decisa la loro sorte. tmprigionati subito nella torre, furono poi spediti sotto buona scorta a Sermoneta e condotti nell'anticamera del duca Francesco, perché anche Ia sua giovane sposa potesse vedere questi pericolosissimi soggetti. Il duca chiese loro se sapevano parlare italiano, francese o spagnolo; gli risposero in pessimo italiano, ragione per cui fu chiamato I'arciprete di S. Maria, erudito in greco, ma la classica lingua di Omero risultò incomprensibile a quei vagabondi del mare. Non sapendo dre altro fare, il sacerdote si fece recitare il Pater Noster e I'Ave Maria, e dovette riconoscere che furono detti senza errori. A nulla servì I'interrogatorio in turco, tentato da OnoratoPantanelli: sebbene si dichiarassero sudditi del sultano, in terra cristiana era più prudente non capire la lingua degli infedeli ! Ad ogni buon conto questi sospetti furono rinchiusi per Ia notte, alcuni nella Segreta, altri nel Camerone e nelle Camere Pinte. L'indomani si procedette ad un sistematico intenogatorio da parte del luogotenente, in attesa che venisse un interprete da Roma. Ad uno ad uno furono esaminati in presenza di testimoni, anche frsicamente, per vedere se fossero circoncisi come doveva essere ogni buon seguace di r) N. 55140,


Fatti d'arme

F604.18081

t0t

Maometto. Il duca, rialzando i pesanti occhiali, osservò che non potevano neppur esser rinnegati, perché la prima cosa che facevano i turchi ai convertiti era di sottoporli a questa spiacevole operazione. Le deposizioni, a quanto si poté capire, erano assolutamente concordanti: erano greci di Santa Maura; andati a Tunisi per commercio e per riscattare il figlio del padrone della nave, tenuto schiavo dai turchi, ora si trovavano in viaggio per Livorno. Il dubbio che questi spauriti fossero corsari pericolosi ed infedeli andava svanendo, ed il luogotenente si rifrutò di metterli alla tortura, dichiarando di non avere il diritto di sottoporveli a meno che le deposizioni fossero discrepanti. l) Non sapendo che farne, furono rimessi in libertà. Un episodio meno comico ebbe luogo il 13 maggio 1688; riferiva Giuseppe Scatafassi in 2) che quel giorno quattro navi turchescÀe ne avevano inseguito una genovese, una lettera al duca che caricava legname davanti al lago di Caprolace; essa si rifugiò sotto la torre di Paola, nel piccolo porto formato dal monte e dagli antichi muraglioni, in parte di costruzione romana, che incanalano I'estuario, owerosia ., foce n, del lago. I turchi, sbarcati a ridosso d' uno sperone del monte e sgaiattolando tra le rupi ed i cespugli di mirto e di ginepro, si misero a bersagliare la torre. Intanto, rispondendo alla chiamata di soccorso, accorreva da San Felice lo Scatafassi, con quegli uomini armati che aveva potuto radunarvi. Trovò che i turchi avevano approdato con cinque imbarcazioni nell'angolo morto dei cannoni che cercavano di colpire i loro navigli e, mentre si svolgeva un vivo combattimento, tentavano di strascinare via la nave genovese. I marinai di questa avevano buttato le ancore e si erano rifugiati a terra; a bordo era rimasto soltanto un ardito giovane che, vedendo i turchi mettere mano alle gomene, diede fuoco a due cannoni e, tagliate le funi, si buttò a mare. Alla fine i turchi, che avevano perduto circa venti uomini, dovettero allontanarsi con poco honore. Le torri del Grceo furono vendute nel l7l3 insieme col feudo di San Felice alla famiglia Ruspoli, dopo di che il governo pontificio avocò a sè la proprietà ed il dominio di questi fortilizi, negando ai signori del luogo quei privilegi di cui avevano goduto prima. Intanto Ia torre di Fogliano, costruita con poca arte, era completamente rovinata e, divorata dal mare, di essa non rimanevano che alcuni frammenti appena visibili nella sabbia. Clemente Xll diede I'ordine di ricostruirla. ") Immediatamente il duca Michelangelo Caetani fece domanda al papa che gli fosse concesso il diritto di custodirla e difenderla nello stesso modo in cui i suoi antenati avevano retto quelle del monte Circeo. Nella supplica viene ricordato come nell'ottobre 1702 i vassalli della Casa catturarono 6l turchi naufragati sulla spiaggia di Fogliano, che furono condotti prigionieri a Castel S. Angelo. I fortilizi del litorale rimasero in efficienza fino al principio del secolo scorso quando servirono di continuo per tenere a rispetto le navi da guerra dei .. pirati ,, inglesi, che mantenevano il blocco contro I'impero di NapoIeone. La Gazzetta Romana annunziava quasi quotidianamente piccoli combattimenti sulla costa e, il 4 novembre 1808, registrava che un bastimento mercantile armato aveva sostenuto un vivo attacco da parte di un brick inglese: rifugiatosi sotto al tiro della torre di Fogliano, poté tenere testa al nemico, il quale alla frne dovette ritirarsi. In quell'epoca medesima due fregate inglesi, dopo violento bombardamento, assalirono le torri della Moresca e della Cervia e le fecero saltare

in

aria con mine.

come casalini di caccia, quando, b) maggio, giungono le quaglie nel lungo loro volo dalla costa di Barbaria.

Ai

di

giorni nostri

le toni servono ottimamente

Il

card. Corsini ne dava comunicazione al duca Michelangelo eon lettera del 10.Xil.1715 (Mísc-, C'269)' a)

1)

C- ló20.x.6, N.

9014,

'z)

N.

991 16.

b)

La torre di

Fogliano nel 1922

a mio hatello Michelangelo, il quale vi

fu

ai primi

venduta dal demanio un terzo piano.

aggiunse

Conbattimento

alla Torre

di

Paola.

Ultima sorte delle torri.


Caprrolo XI.

IL

PERANDA DEMOSTENE DELLE SEGRETERIE ITALIANE. (r 565-t600)

WIENE sovente che alla corte di un principe o in qualche privata famiglia capiti un individuo, sia uomo o donna, che per superiore intelligenza o per singolare fascino personale acquisti posizione

tale da dare a tutto I'ambiente un nuovo impulso o verso il meglio o verso il peggio. Così Giovanni Francesco Peranda, dal giomo in cui eptrò come segretario al servizio di casa Caetani, per oltre trenta anni'fu lo spirito coordinatore in ogni attività de' propri signori, guida cauta e lungimirante nelle difficili imprese ed Sigillo di G. Fr. Peranda l) elemento di armonia e di concordia fra essi. D'ingegno acuto e di spirito elevato, operoso e coltissimo, annoverato fra i classici della lingua italiana, egli consumò la vista, Ia salute e Ia vita sua pet I'incremento e la prosperità della Casa. I Caetani debbono a lui imperitura riconoscenza e perciò voglio rievocare nella Domus la frgura di quest'uomo che, a suo tempo famoso in tutte Ie corti d'Europa, è ora quasi totalmente dimenticato. origine. E non senza ragione dico . quasi totalmente dimenticato 'r, perché quando, in preparazione di questo capitolo, ho fatto frugare da Sebastiano Luciani gran numero di opere che potevano contenere qualche notizia biografica sul Peranda, nulla si è potuto trovare salvo che egli non fu trevigliano, ma rete-pontano, cioé di Ponte in Valtellina,') e che nel 1553, quando aveva 24 anni, sei suoi sonetti e una canzone furono pubblicati in un volume, insieme con poesie di Vittoria Colonna, Annibal Caro, Baldassar Castiglione ed altri poeti dell'epoca; b) alcune sue traduzioni di Orazio furono stampate nel 1605. ") Sin da studente fu un ardente lavoratore, ed egli stesso ci dice z D u Nella mia giottentù, per contentamento mio, oolsi gustare tuttí glt studtt d'Italia,,. Stette per qualche tempo all'università di Perugia. Ma poco importa se nulla sappiamo dell'origine della sua famiglia, delle parentele e dei primi anni della sua vita: nell'archivio Caetani esistono centinaia di lettere scritte di suo pugno, t F. S. Quadrio : Storia e ragione di ogni Poeeia; Milano, l7ll,vol. Il,p.359.Nel contratrod'a6tto C-l5E5.XI .8 il Peranda è detto chierico venero. tt C-7942,

z)

C:9O32.llll,

di díoersí Autotí nuot)amente an un dlscorso dí G. Ruscelli; Venezia, Bonelli, 1553. ù OiIí Díoene dí Orczío oolgarlzzale; Venezia, 1605. b) Sesfo Librc delle Ríme

racmlte


Prima carriera

[1553 mag.-1556]

dalle quali I'indole dell'uomo

e

I'opera sua beneflca risaltano con vivacità

e

con

assoluta

cettezza.

primo suo ufficio, del quale abbiamo notizia, fu presso il cardinale Francesco Gonzaga. Questi era figlio del celebre Ferrante, viceré di Sicilia e governatore di Milano, morto nel novembre 1557, grande condottiere, ma uomo rapace, rinnegatore della patria e da tutti esecrato ; sua madre fu Isabella di Capua. Francesco nel 1561, in età di poco più di 23 anni, fu nominato cardinale da Pio IV, ed il Peranda, che aveva soli 32 anni ma già si distingueva per la grande intelligenza e vasta coltura, gli fu dato come segretario. Il l0 decembre 1565 moriva il papa ed il Peranda partiva sei giorni dopo da Venezia per raggiungere il suo padrone al conclave. l) A differenza di quanto era accaduto alla morte di Paolo lV Carafa, non vi furono in Roma nè tumulti nè preoccupazioni. Non si fa sbepito nissuno el r)anno Ie cose tanto quíete che dal non esserci Ia persona di papa in poí, non par che íI papa sía morto.2) I cardinali entrarono in conclave il 20 decembre e le porte furono effettivamente murate; nessuna influenza dal di fuori doveva penetrare nell'interno del sacro recinto ; lo stesso Filippo II, il sovrano più influente nel mondo, non si pronunziò chiaramente sulla propria preferenza, augurandosi soltanto che venisse eletto pontefice un uomo degno, che avesse a cuore Ia religione cristiana. Con tutto ciò in seno al Sacro Collegio vi erano grandi incertezze ed intensa agitazione; per un poco la sorte sembrò voler favorire il Morone; i cardinali Sermoneta, Rovere ed alcuni altri si adoperarono strenuamente a farne naufragare la candidatura. Alessandro Farnese fece un vigoroso tentativo per promuovere quella propria e Nicolò Caetani probabilmente lo assecondò; il Farnese spedì persino un messo a Mantova per proporre una parentela tra la sua famiglia e quelle dei Gonzaga e d'Este, sperando con ciò di guadagnarsi i voti di cui disponeva Francesco Gonzaga; ma il tentativo fallì perché questi, già malato quando entrò in conclave, ogni giorno andava peggiorando. Il 3l dicembre gli furono amministrati i sacramenti e il 6 gennaio spirava in età di 28 anni e sette mesi. L'indomani la scelta dei cardinali si concentrò su Michele Ghislieri, uomo di profonda fede e sincera pietà, frugale, indefesso lavoratore, caritatevole e severo, veramente degno sotto ogni aspetto di diventare vicario di Cristo in terra. Egli prese il nome di Pio V. Quel giorno Giovanni Francesco Peranda si trovò senza un padrone da servire: in un primo tempo sperò che casa Gonzaga, consapevole de' suoi meriti e dei servigi resi, avrebbe continuato a tenerlo tra i propri dipendenti, ma rimase amaramente disilluso: Subito morto il padrone, mi sono mancatí gli amíci, scriveva ad Ottaviano Brigidi della segreteria di Pio V. Questa ricognitíone ho da loro per moltí seroitii fattí et per molta fede ... Ho creduto a chi non derseoo et più di quel che deoeoo. C,omunque aveva deciso di stabilirsi in Roma, ove abitava vicino all'Arco del Portogallo, e perciò scrisse ai suoi amici in Mantova di spedirgli ogni sua suppellettile, i vestiti e tutte le scritture ed in special modo quelle conservate nel forziere. Proeedette altresì a liquidare tutti gli affari che aveva da quelle parti e a vendere la proprietà e, tra I'altro, il benefrzio di San Martino di Monti, di cui aveva il godimento. 3) Per un poco sperò di poter entrare nella segreteria pontificia, a) ed a tal fine afrdò le proprie sorti al Brigidi, 5) ma non riuscì nell'intento. Penò quindi di ofrrirsi al cardinale di Sermoneta, il quale deve avere apprezzato le qualità di lui durante le agitate conventicole del conclave. Alla frne di maggio del 1566 era già suo segretario, come risulta da un ordine

Il

1)

C-t565.Xll.t5, N.

177t64.

\

Pastot,

VIll, p. 3.

, C-7579'

4>

C7532'

5) Pet., p.

I

Conclave

di Pio V.

Peranda in cerca d'impiego.


104

PERANDA

IL

DEMOSTENE DELLE SEGRETERIE ITALIANE

Lib. II, Cap. Xl.

mandatogli da Cisterna l) ed il maestro di casa, Francesco Capocci, scriveva al cardinale congratulandosi della scelta fatta di un setuitoîe che, a mio giuditío, è di molto oalore.2) Per questi meriti e per la qualità di esimio dottore in legge e di abate, il Peranda, sin dai primi giorni, fu trattato con molto rispetto ed amorevolezza da tutti i Caetani, che gli davano i titoli di " magnifico " e * reverendo rr. Il Peranda si stabilì in casa e per 30 anni resse la segreteria: quando morì, le carte sue personali rimasero nel nostro archivio e fra queste c'erano alcuni grossi pacchi di scritture appartenenti al suo antico padrone, non solo quelli relativi alla corrispondenza del cardinale, ma anche alcuni pacchi riguardanti il governo di Milano, retto dal padre Ferrante, e che interessano le operazioni belliche e gli affari diplomatici dal 1550 al 1557. Questo importante gruppo di docusarà pubblicato in uno speciale volume della presente menti, detto il .. Fondo Gonzaga

',,

collezione.

*** Le

Dal giorno in cui il Peranda entrò al servizio del cardinale Nicolò, un nuovo ordine di cose si stabilì nella cancelleria di casa Caetani. Per il passato i segretari dei signori di Sermoneta, anticamente detti cancellieri, avevano esercitato funzioni piuttosto generali, di segretario, di maestro di casa e di rappresentante o procuratore nelle relazioni con le corti, autorità e persone private. L'amministrazione era riservata al signore che custodiva Ie polizze, le ricevute ed il denaro contante, e quindi teneva personalmente la contabilità in modo patriarcale ed anche piuttosto rudimentale, aiutato dal proprio cancelliere. Gli alfari di campagna erano curati dai castellani e dai rnassari sotto la immediata direzione del signore; la giurisdizione dello stato era affidata al capitano o

segrererie

del sec.

XVI.

luogotenente

di

Sermoneta.

I'amministrazione assunse una forma piùr difierenziata. Nei 140 anni precedenti all'elevazione di Nicolò alla porpora, la famiglia non aveva più avuto un rappresentante nel Sacro Collggro e, ridotta quasi sempre alla sola persona del signore, risiedeva in permanenza a Sermoneta; invece dal 1538 in poi casa Caetani, per oltre un secolo, ebbe di continuo un cardinale che la rappresentava nella Curia, il quale curava gli interessi politici e finanziari della

Col

secolo

XVI

famiglia. Si crearono quindi due segreterie, quella del u Signols ,', fissatosi di residenza in G' sterna, e quella del cardinale, in Roma, ma guest'ultima fu sempre di maggiore importanza, ritenendosi il cardinale il personaggio piìr autorevole della famiglia; inoltre, alla morte del signore, il fratello cardinale, che di solito gli sopravvisse, assumeva anche il governo dello stato. Era il finanziere nonché il capo spirituale della consorteria familiare. Lo stesso volume di afari trattati dal cardinale portava la necessità di tenere uno speciale archivio che, dopo la sua morte veniva trasferito in quello generale, che gelosamente custodivasi nel maschio di Sermoneta. Troviamo molto maggior ordine ed integrità nelle carte dei cardinali che non in quelle dei duchi fino alla metà del secolo XVII quando, creatosi un vero ufficio di contabilità con i libri.mastri e le relative 6lze di giustificazione, e venuti a mancare i cardinali in famiglia, tutti gli afiari, le cause ed il disbrigo della corrispondenza si concentrarono nelle mani dei duchi. Il merito di aver organizzate Ie segreterie di casa Caetani spetta principalmente al Peranda. Sarebbe un errore credere che nel secolo XVI gli affari si trattassero in modo molto differente da quello che si fa oggi: è vero che le lettere di cortesia erano piene di riverenze L')

C-7554.

')

C-7566.


Le

[r566-r5e6l

segreterie

del sec. XVI

105

e di umili espressioni di eterna servitù e vuote di contenuto, ma quando si trattavano gli affari, diventavano estremamente óusínesslifte: dopo il riverente saluto d'uso, si passava direttamente a quello che si aveva da dire, senza preamboli e parole inutili, e I'esposizione dei fatti era concisa e laconica. Si evitava di trattare differenti soggetti in una stessa lettera e perciò quando, ad esempio, il cardinale Aldobrandini scriveva al nunzio di Spagna, gli indirizzava una lettera per ogni singolo argomento; sicché ad ogni partenza di corriere vi sono da 15 a 30 lettere del cardinale tutte della medesima data. Altrettanto faceva il nunzio. Il segretario del ricevente, aperte le lettere, scriveva a tergo il nome e la località del mittente, la data di arrivo nonché un breve sunto del contenuto; poi venivano piegate trasversalmente in quattro e ricevevano un numero progressivo. u) Le minute delle lettere in partenza erano scritte sia sotto dettatura del cardinale sia, e ciò aweniva piìr spesso, per mano del Peranda o per mano di altro scrivano a cui egli le dettava. Furono tenuti alcuni registri di queste minute, ma il piùr delle volte erano scritte sopra fogli volanti che poi, mese per mese, venivano riuniti in ordine cronologico entro fascicoli l) o legati in volumi. Di solito la data era scritta in testa alla prima minuta del giorno e non sopra ogni foglio; sicché, quando le lettere caddero in disordine (o come purtroppo avvenne nei riordinamenti dell'archivio allorché i fascicoli e i volumi legati furono spezzati), si perdette la possibilità di determinare I'esatta data delle lettere. Questo inconveniente si verificò già durante la stessa vita del Peranda perché, Quando nel 1600 Gian-Giacomo Tosi, in vista di una pubblicazione da tutti desiderata, frugò la segreteria del cardinale Enrico Caetani per copiare le lettere del Peranda, dovette compiere ingente fatica nel ooltar sottosopra una moltitudine dt scritture, Ie quali non hanno numeîo, pet caoaî da esse moltì notamentí et frammentí dí lettere che oanno sparsí et dísordínati in fogli oolanti per Ie stanze di questa segreteria. La ragione di ciò fu che n"gli ultimi anni del suo segretariato eta mancata Ia solita díIigenza del signor Peranda per la grave infermità degli occhi, di cui sofferse in fin di vita. Per questo motivo molte delle lettere pubblicate dal Tosi sono senza data e quindi disposte con ordine

Stile

e

ordina"

mento della corrispondenza.

cronologico assai imperfetto.

Ma I'inffuenza del Peranda nella famiglia Caetani si estese oltre i limiti della cancelleria cardinalizia: letterato ed umanista emerito, il suo stile forbito ed elegante fu ammirato da tutti tanto da meritargli I'appellativo di " Demostene delle segreterie italiane "; gli stessi giovani di

di dare alle proprie lettere quella tournure (Jomo di spirito, pieno di quel che gli inglesi chiamano sense of che ammiravano nel Peranda. humour, dava alle sue lettere brio ed eleganza speciali. Quando il cardinale ebbe accettato di esser compare al nascituro di messer Ettore Giorgione, a condizione che fosse maschio, il Peranda scriveva che di ciò intendeva assicurarsi, non credendovi se non dopo aoer díIígentemente Ìspezionata Ia cosa e posatooi iI dito. So che iI sígnore lfeltore dirà che I'ha posto maschioz ma guí sí ha da guardar a quel che sí carsa et non a quello che si melte ,.. Credo certo casa'Caetani, Enrico e Camillo specialmente, cercarono

.) Il Peranda, negli ultimi anni della sua carriera, dettò alcune norme sul modo di scrivere le lettere. Egli distingue vari tipi di lettere a seconda che rcno rcritle a superiori, pari o inferiori e se scritte d'uffcto, ilî negozío o per cortesia. Con i primi si usi brevità, ma non tanto che veli I'umiltà: con i secondi sia lecita maggiore dilaltíone haoendo a scoPrùe Í afetto ; verso gli inferiori si usi úreoÍIà mìsla con Ia dolcezza sì che non habblano ile! rcsponso d,'oracolo o àells letteta di commandamento, Le ue condílioní fondamentali devono essere: chiat) Vcdi ad eempio C- 1583.V.8, Domus,

ll,

14.

rezza, verisimilitudine e brevità. Che la pfima non sí può petfettamenle conseguùe sanza guardarsi da cerle oocí toscane sl,

ma troqqo, ume " altresl, noate, gua'li, menomate> e simíll, le guall torse sí dísilíntrbeto anco ad allrc componímento che noa è la leltcra xando t uso ilì oggl; dí píù ml pat nollo neczssaria una putílà di letleta, Iíberu da ínleryosíIîonî II píir che

può

e

specíalmente stímo da fugghe

quell'odinarío tnet-

tet ilí oerbî nell'ultímo delle clausole, c'ha trcppo del latíno (c-t599 c., N. 151283).

Spirito

del Peranda.


106

PERANDA

IL

DEMOSTENE DELLE SEGRETERIE ITALIANE

Ub. Il, Cap. XI.

.

che iI buon seme del nostîo sígnoî Giorgíone sia peî toglíer ogní dfficultà: nondímeno perché I'imperfettíone ha parte anch'essa alle oolte nelle opere della natura, accadendo che se sia seminato a man manca (oh, quanto sono antichi i moderni scherzi l); iI non ooler battezzar r) Ia femina et riseroarsí ad un'altra oolta dà augurio di ptù di un parto et dí masculínífà. Di questa e di simili occasioni si valeva per motti arguti ed alquanto mordaci, sempre rivestiti di quella forma squisitamente urbana ed elegante che fu caratteristica di lui. Rclazioni Uno stile difierente, più classico, assurnevano le sue lettere quando voleva apparire sotto la amorose. miglior luce agli occhi del bel sesso; il nostro reverendo Giovanni Francesco non era sordo alla voce del cuore ! Desideroso di guadagnare i favori di una signora, di cui non ci diede il nome, si rivolse ad un'amica perché esplorasse I'animo della bella non oolendo íngannare sé sfesso né ofender aftri perché, diceva, iI meltermí a ptocuîar in oano et forse con suo dísgusto sarebbe Ia mia misería. Poi aggiungeva: Sono molti It rìspettí, che accompagna.no Ia persona sua, et Ia mía, et tutti mi sono oenutí in mente. In pailícolar ho considerato íl meríto di quella Sìgnora bellíssìma et oalorosissíma, et Ia poca sua líbertà, oedendo Ia molta cura, che ha dt Ieì chi Ia guarda. Ho anco pensato aIIa qualità del mío essete, et esamìnata bene Ia maniera con Ia quale ío son solito dí amare; perché amo senza misura, et non senza speronza; et certo, chí ama mísuratamente, ama poco; et chi ama et non sperz, o non conosce iI suo fine o Io sprezza. Tutte queste cause mi hanno fatto andar lento, et límido, perché iI temerarío tenta i pericolí senza pensarc aIIa oía di uscìme, et però, merita dí staroí dentro, et Ia rcgíon ouole che I' huomo non ptocuri a sé slesso Ia fame príma che il pane; et di quà è oenuto che príma, che ío mí sía fatto ínnanzi, ho desíderato d'íntendere, sí poteoo promettermí buona fortuna.

La risposta non deve essere stata molto favorevole perché troviamo la minuta di una lettera, diretta a questa Vittoria, di cui il Peranda ambiva di essere il Michelangelo, nella quale si 2) compiange di non poterla amare non sentendosi da essa amato: L'amor è passíon dell'animo, Ia qual nasce et oíoe di cose clrc sono símìIi a lei, et da quella prende alímento, Però chí ama et è ríamato, ha moda facile da consen)arlo. Ma io, che dalla dissimilitudine del oostro non ho cibo conúeníente aI mío afetto, conosco esseî cosa impossibile iI sostentarlo, perché gli manca quello che Io pasce et del conharío non può nutrírse. ")

Queste relazioni amorose Io spinsero ad estri poetici, ed abbiamo due sonetti dedicati forse alla stessa Vittoria, uno dei quali comincia così:

Víttorta allor che ín mezzo a nobìI corc dì ilome usasfe ín bíanca oeste aaaolto, fu can raro miracolo rtbIfu da ooí qual rostro ogni bellezza a lora ...

Altri

versi scrisse quando già era

in età senile,

come egli stesso afferma:

Torno Amor al tuo regno pellegrín lasso e stanco e d'anni gîaoe e co'I ctín îaîo e bianco. a) Il Perauda ebbe un figlio illegittimo chiamato Enrico, natogli nel luglio 1584, norto repentinamente in età di soli quindici mesi e che amaramente rimpianse (Per,, p' l4l). Poi

l)

Fer., p.

109.

z) Pet., p. 123-125.

ne ebbe un altro, Ludovico, che rnori nel maggio del I 596

(c- r596.VI. ro, N.

17E902).


Carattere

[r56&r5e6l

t07

QuaI fona a te mi tira, se oalor né bellezza non mi desta nel cor nooa oaghezza? Tu stesso ao,endo ín ira

alma a fuggírsi aoùezza che le tue arti sqîezza schíoa di quel che píù diletta e piace, de Ie tue ínsegne esser mí fai seguace. t\ Peranda era un intellettuale ed un ipersensibile, non scevro da sensualità e, nonostante le facezie che scriveva, ogni tanto rimaneva dominato dall'humor melanconíco. u Glí animí ncstri, diceva, sí mutano dí momento Ín momento et iI mio più d'ogni altro, perché è combattuto.... da oentí dioersi che Io solleoano et Io conturbano boppo facíImente ".2) Gò Io rendeva suscettibilissimo per ogni cosa che poteva sembrare una mancanza di riguardo alla sua persona, come il non rispondere alle sue lettere, scritte con tanta passione letteraria. A volte diventava duro ed imperioso. Vedremo le autoritarie lavate di capo che dava agli illustrissimi signorini, studenti a Perugia, che piuttosto tendevano a trattarlo alla buona nonché a burlarsi rispettosamente di

lperscnsibilita.

lui e ben di rado rispondevano alle sue epistole. Di cuore era buono e generoso, ed abbiamo di lui una lettera in cui raccomanda con calore ed eloquenza la sorte di un disgraziato Livio Cellini, carcerato a Venezia in una stanza asprissima che sí ilà, non per chiudere ma per estinguere

iI

reo.?)

Nonostante la sua abituale modestia, era per altro ambizioso della buona fama, ma non cercava gli onori; aveva naturale awersione per gli offtií, ossia le cerimonie ed i complimenti, che considerava una delle forme dell'ipocrisi a. Amo Ia oerítà, scriveva, et Ia ingenuità et non mi pasco di fumo, e perciò non voleva coîîeîe con la moltitudine per non esser tenuto o vano

o

doppio.

In vero, sotto una apparenza gioviale e bonaria, si celava nell'animo del Peranda I'amore per la filosofia e per I'indagine delle grandi verità della scienza e della religione; quello spirito àel'analisi profonda, che fu il movente primo del .. secolo del genio ,' che produsse Galileo, Bacon, Kepler, Descartes, Spinoza e altri loro famosi contemporanei, nonché, in ultimo, Newton, deve averlo spinto a dire in uno de' suoi sonetti:

Voí, che lunge dal oolgo ite sooente Ai gran princìpi, ond'ogní cosa uscio; E con le lucí de la oostra mente Mirate in grembo a Ia Natura e a DÍo ...4) Tale miscuglio di qualità tanto disparate diede al Peranda uno charme speciale che gli cattivò gran numero di amici; specialmente devoti gli furono Giulio Cesare Riccardi e Carlo Bellomo. Pochi furono i suoi nemici. Si affezionò profondamente alla famiglia Caetani e da tutti era amato; ognuno gli chiedeva consiglio e gli sfogava le amarezze del cuore. Anche Agn"sina Colonna Io faceva partecipe delle proprie angusde, quando cominciò a sentirsi infelice 5) Perfino lo perché trattata dal marito non come sposa da undici anni, ma come /unsf íera. g,"hiuno Mustafà, al quale non mancavano le bastonate, si rivolgeva a lui come ad un amico. ") d si parla

(C - I 579

che ad alcuni

Degli schiavi tenuti in casa occmione delle loro fughe: ricorderò

.lX .7, N.27694)'

raramente satvo

in

t) Mírc., busta < Peie>, N'

1S0255

e 181416.

2) Pet.,

di

esgi veniva messo un collare di

e cogdome del proprietario

p.

46.

3)

pet,

p.97.

(C- 1603, N. a) Rimc,c.

ferro col nome

184321).

t55.b

6) C-S917.

Bontà

di animo,


t08

Ecccsaivo lavoro

e perdita della vista.

IL

PERANDA

DEMOSTENE DELLE SEGRETERIE ITALIANE

Lib. ll, Cap. XI.

Amorevole verso tutti, fu confidente e precettore spirituale dei due futuri prelati della Casa, Enrico e Camillo i Quando si ritrovavano insieme, (a volte anche in avventure galanti) non avevano mai fine gli scherzi e le burle, e famose erano le loro partite a scacchi, giuoco di cui il Peranda era appassionato cultore e maestro; ma quando si trattava di questioni di studio, di religione e di buoni costumi, era con essi severo e persino aspro. Allorché i giovani, usciti dall'università, diventarono dignitari della Chiesa, e finalmente Enrico fu nominato cardinale e Camillo nunzio apostolico, il Peranda si tenne sempre dietro alle loro spalle, guasi cercando di non farsi vedere, per proteggerli, consigliarli e guidarli nei meandri della vita pubblica. Li considerava un poco suoi figlioli e quando essi, grazie all'alta posizione sociale e nonostante I'età giovanile, ebbero gravi e difficili incarichi di legazioni e nunziature, egli vigilava di ora in ora che non sopravvenissero disavventure, che non commettessero errori; e talora gridava loro ad alta voce quel che dovevano fare e li rimproverava. La mole del suo lavoro andò aumentando col passar degli anni per Ia progressiva frequenza e importanza degli ini:arichi assunti dai propri signori. Dopo aver faticato tutto il giorno a sbrigare le corrispondenze ed a trattare gli affari, doveva correre a " Palazzo " nelle fredde notti d'inverno, in caccia di notizie ed ivi trattenersi per lunghe ore, in attesa di poter parlare ai cardinali o al papa quando uscivano dai loro conciliaboli o dai ritardati pranzi. Per anni di seguito non mise piede fuori di Roma ; tanto era occupato che non poteva concedersi licenze o riposo sicché I'incessante fatica finì per rovinargli gli occhi; difetto di vista al quale cercò di riparare sin dal l57l facendo venire da Padova degli occhiali di cristallo di montagna, che gli furono consegnati in belle scatole di ebano. r) Ma il male andò peggiorando: quattro anni più tardi confidava all'amico Carlo Bellomo: Scríuo con estrema fatíca et nericeoo gîan nocumento, né posso úalermí dell'opera d'altrí ad ognìhora....D La oita ch'ío fo aI praente non è altro che un camíno alla cecítà. A nulla gli valsero i rimedi prescritti dai barbari ed ignoranti medici del tempo: le ripetute purghe, I'aprire le arterie del capo, il dare il fuoco alla nuca, il rimettersi per 40 giorni alla díeta col legno 3) non giovarono a nulla: la cateratta, che tale suppongo sia stato il suo male, gli stese un opaco velo sugli occhi. Probabihnente si fece operare per questa infermità che, se non erro nell'interpretare il suo scritto, gli rese in paÉe il lume. ") Forse in quei terribili momenti gli saranno tomati in mente con un senso di angoscia e quasi di ironia i versi che scrisse quando aveva poco piùr di vent'anni:

Notte, che dentro íI tuo síIenzío accoglí Le fatiche del mondo E dí dolcezza e t un oblìo profondo L'aníme íngombfi e di pensìer le spoglí

Viení

E

a me Notte, mí

teco

rímena

oieni;

iI

dolce

sonno

e donno e quiete...a)

Cortese padre

D'ognÌ

pace

Io *nza alcun totmmto dclla petlplna eamínaoo alla ct erc ín slalo non doloton, na ín patte mì*to Ft íl mcrncamento ilí lume. Elessí íI dolote pet toglíenni alla míserta et procwaì a me slesso haoagli ínlf,lítí et condíIíoni dí oíla a)

cecílà

1)

C-8921.

') c-10017.

3)

c-

10041

.c-1576.V '19.

non soppottabíIí nè sícure. La determínatíone, che ío presi fu oolet ín gualunque modo o sanare o non air:ere e petciò con quel senn che sí perdeoa aooenlutaí tutto ínsíeme (col venire

al taglio) Ia sanilà et a) Rine,

I'essere

c. 156.b

(Pet,, p. 59).


Fatiche

Ir566-r5961

109

cardinale Nicolò, grato della sua opera, gli donò un benefizio semplice della chiesa dei SS. Agostino e Stefano, nell'arcivescovato di Capua, di 200 scudi di rendita, che [u la principale t) sostanza che haoesse'al mondo. Il Peranda, scrivendo personalmente o per inearico de' signori o a traverso le lettere da lui redatte e firmate dal cardinale, fu in corrispondenza con tutte le personalità d'Europa; lungo è I'elenco dei nomi: basta guardare I'indice delle sue .. Lettere". Scipione Ammirato lo consultava per le sue u Famiglie Nobili ,r, e altri letterati del tempo si mantenevano in continua relazione con lui. Un tale Alessandro gli mandava da Parigi notizie su certi codici di Tacito in scrittura longobarda. 2) Il suo saggio consiglio fu ricercato da tutti, ed egli fu prodigo nel metterlo per iscritto sotto forma di .. awertimenti ,, ed .. istruttioni ,r. ") Il numero delle lettere

II

scritte dal segretario del cardinale di Sermoneta è veramente enorme. È Come già fu accennato, Govanni Giacomo Tosi, che per cinque anni assistette il Peranda nella segreteria del cardinale Enrico, camerlengo della Santa Sede, fece una scelta piuttosto disordinata delle rninute che poté rintracciare e le diede alla stampa in Venezia I'anno 1601, dedicandole a Cornelia Orsini, duchessa di Ceri, figlia di.Virginio e di Govanna Caetani. La b) pubblicazione ebbe grande successo e numerose furono le edizioni. Molto ho ancora a dire di Govanni Francesco Peranda, ma non intendo dilungarmi nel presente capitolo perché, in quelli che seguono, I'opera e la benemerenza del nostro amico si rispecchieranno

in un quadro più ampio e piir

vivace.

.) Cf. Awertimenti a mona. Annibale di Capua, in ficsoro, III, p, 339i Instrul!Íonc compilata per Pietro Caetani che si reca in Fiandra (Bíò1. Vat., C-od'. Ouob. 26E5' c-59-El. b) < Le letlerc del Slgnot Gío. Frcncesco Percnda dÍolse ín due patll, la pnma delle gualí contiene letterc dí maleda dt Stato etc., la seconda contiene lcilete dt díoqse matetíe ló01, 1603, 1604, 1610, 1614, Venezia, tipi G. B. Ciotti p.87; C-l5E5.XI.E, N,34197.

614, con argomenti di C- F. Fiorenúni ; Roma, tipi

') C'1590 c.' N.4288.

A. Fei.

ló22, Milano, tipi Bidelli 1623, Brescia, tipi Tebaldini 1623, 1625, 1627,1630, con argomenti tini; Venezia, tipi Barezzo 1647.

îamíhart ac.. ". 1) Per.,

1609, Venezia, tipi B. Giunti I

di G. F' Fioren'

Scritti

del

Peranda.


Cnprroro XII.

VICENDE FAMIL IARI. (t5ffi-1574)

oNIFActo era il felice padre di sette figlioli, tra maschi e femmine, nati tutti nella rocca di Sermoneta intorno alla metà del secolo; ad essi fu data quella educazione severa ed accurata che fu sempre, attraverso i secoli, una tradizione in casa Caetani, distinguendo questa da molte altre del patriziato romano per Ia coltura e nell'indirizzo

Educazione dei giovani Caetani'

mentale.

i

ponderosi incartamenti dell'antica cancelleria, ho rinvenuto ogni tanto le lettere vergate a grandi caratteri barcollanti, le esercitazioni latine ed epistolaú Medaglia del card. Federico Cesi gli scarabocchi, i pupazzetti tracciati dalle mani giovanili (Med. Vaticano). dei futuri duchi, cardinali, generali e da quelle bambine che l) un giorno dovevano diventare gran dame nella società romana. Ecco Giovanna, tra breve duchessa di San Gemini, che annunzia di aver imparato il Donato nonché la prima e terza declinazione; Beatrice, ava del fondatore dei Lincei, che non ancora diciottenne, alla morte della 2) Enrico, il futuro cartermadre, si adopera a sostituirla nella direzione della vita domestica; lengo di Santa Romana Chiesa e legato in Francia, che in età di otto anni, con bellissima scrittura, informa lo zio come oramai il maestro ha cessato di dettargli le lettere, awertendo tuttavia con molta gravità che è tanto occupato dalle quattro lezioni giornaliere e dal latino da poter 3) il piccolo Onorato, che un giorno doveva anniendifficilmente scrivere più di due lettere al mese; a) tare il terribile pirata Caracossa, che chiede al cardinale di portargli dalla Francia un bell'anello. L'educazione delle fanciulle e, nei primi anni, quella dei ragazzi era impartita a Sermoneta; ivi nel 1557 il maestro Giovanni d'Agostino faceva scuola in una stanza del castello, incontrando quelle stesse difficoltà di cui si lagnano i maestri . del giorno d'oggi: il bravo Tiberio Oddo, che trent'anni fa aveva cominciato la sua carriera come cancelliere di Camillo ed ora, invecchiatosi, era tenuto a palazzo come precettore dei ragazzi e maestro di casa, dovette andarsene brontolando ad alloggiare in altra stanza della rocca perché il chiasso che facevano Sfogliando

i putti era tale da non potervi resistere. vita familiare. I conti del calzolaio e del calzettaio, quello per la cunnula, gli oroscopi dei neonati, I'inventario dei corredi delle giovani spose, I'ordinazione delle prime armi, i contratti degli 'legali, le artisti dell'epoca chiamati a decorare i palazzi, I'elenco dei salariati, i consigli dei diagnosi dei medici, r)

C-6719.

gli atroci interrogatorii dei criminali, gli atti giurisdizionali, le lettere

2) C-6721 ,7

c6254.

, 6724,41.

a) Vedi pag. 61.

dei


llt

Vita familiare

[I5ao c.-r56r]

sovrani, e così via, ci danno una viva immagine di quel che era la corte di un principe romano nel secolo XVI. ") Invero corte è la parola adatta: ll5 erano lebocche ordinarie del cardinale di Sermoneta ed alla mensa di lui facevano ressa gli invitati; r) quelle del signor Bonifacio erano 272, compresi la famiglia, le donne, il maestro deí putti, i segretari, i paggi, gli schiavi, i cavallari, i butteri etc. 2) Tutto questo comportava un'ingente spesa a cui si faceva fronte con due cespiti: Ie entrate dello stato ed i benefizi ecclesiastici. Le prime spettavano in comune a Bonifacio e al cardinale, i secondi a quest'ultimo. Dopo la morte di Camillo, durante il dissesto finanziario conseguente all'invasione del duca d'Alba, vi era stata una discussione alquanto vivace tra i due eredi sulla divisione delle rendite dello stato; b) nel luglio del 1557 Ia questione venne sistemata con accordo scritto per cui fu convenuto. a liquidazione del passato e a regolamento del futuro, che Bonifacio pagasse tutti i debiti contratti dal cardinale sino al primo maggio 1555, gli desse annualmente 300 rubbia di grano, 200 d'orzo e 300 d'avena, 80 barili di vino, una parte del pesce di Fogliano, 200 scudi d'oro mensili etc.; furono ripartiti i piccoli proventi e gli oneri familiari e fu convenuto tra altro che il cardinale avrebbe spesato di tutto il nipote Onorato ed i familiari di lui durante il tempo che questi si sarebbe trattenuio in Roma per I'educazione superiore. 3) I proventi dei benefizi ecclesiastici, di cui godeva il cardinale, erano più importanti che Ia sua quota nel patrimonio familiare e, coll'andar degli anni, aumentavano. Abbiamo visto che da Paolo III gli era stato concesso I'arcivescovato di Capua che fruttava I 500 scudi; ma dopo due anni, era stato tolto al cardinalíno con procedura assai sommaria. I benefizi negatigli da quel papa gli vennero dati invece dai successori: da Pio IV guadagnò (dec. 156l) la ricca abazia di S. Leonardo nelle Puglie, ") rimasta vacante per la morte del cardinale Taddeo Gaddi. d) Tre anni dopo, nel mese di febbraio, fu reintegrato nell'arcivescovato di Capua; ne .) A titolo di

curiosità ricorderò che I'inventario del

1557.Ill. 18 (N. 142676) è il primo del nostro archivio

Molfetta, Brindisi, Nardò, Gallipoli, Nostuni, Mel6 etc. (C - 8925).

nel

V'era un ospedale di 6 letti che costava 102 ducati I'anno,

quale sono annotate alcune forchette. Ù (C-59t2r. Vi andò di mezzo il Ceraseo, s€gretario di Bonifacio che, responsabile del ritardo avveuuto nei pagamenti delle rendite, fu lice","iato improwisamente dopo sette anni di fedele servizio (C-6547). Continuò tuttavia nelle sue funzioni, ma, dopo un poco, non troviamo più le sue lettere, ricche di in-

riservato agli infermi di transito o in 6-o di vita. Le íslruttíoní trattano anche delle liti dell'abazia, delle c"-pane di Brindisi, delle consuetudini agricole, degli arredi sacri delle chiese, dei

formazioni. c) Le proprietà dell'abazia

Leonardo della Matina, dell'ordine di S. Maria dei Teutoni, in Puglia, costituivano utra vasta azienda che, per circa 80 anni, rimase uno dei cespiti ecclesictici più importanti di casa Caetani. Un solo affitto pagava 6000 scudi di corrisposta, ma il reddito dell'intero patrimonio si aggirava sui 16000 scudi, di cui 12000 furono ipotecati nel 1605 per nove anni a garanzia del Monte Caetano. Il primo gennaio 1569 ser Lsrenzo Visani fu mandato come amministratore in sostituzione di Federico Monti, sulla integrità del quale erano nati de' dubbi. Le interessanti isttuttîoní date al primo (C-E230) ci forniscono complete notizie sulla gestione e sulle

e del convento. Ai frati si davano il vitto ed una provvisione di 6 ducati I'enn6. l-'4fr66 compren-

consuetudini dell'azienda

d'Otrmto, Manfredonia, Baletta, Troia, (?), le rnasserie di Candelaro dell'Arpe e della Torre della Manna (T. Lamanna) ; fuori dell'afÉtto erano le api, la razza delle giumente, la masseria delle pecore e la vigna di Torre della Manna. Vi erano anche dei beni poseduti in Monopoli, Lecce, deva le proprietà in Terra Massanolo

1)

C-

6885.

'

servizi divini etc. Nel nov. 1569 il card. Nicolò visitava I'abazia (C-6381 etc.; cf. Cap. )fl/ll). d) La faniglia Gaddi salì in eminenza col cardinale Nic-

colò (1552), consanguineo

di S.

C-4655.

3) C-6502.

Benefizi eeclesistici.

di Caterinade'Medici. A

continuare

le sorti della famiglia gli succedette il nipote cardinale Taddeo (1561), al quale lo zio aveva rinunziato I'abazia di S. Leonardo in Puglia (Cf. Mor., XXVIII, p. 9l).

di

I Gaddi erano parenti dei Caetani: probabilmente una mrella Camillo Caetani sposò il nipote del card. Nicolò Gaddi, e dal-

I'unione di

essi nacquero Cassandra

in Areosti, Camilla in

Fan-

tuzzi, Caterina in Alidosia e Paola in Bellomo (Bellomini), sorelle e nipoti del card. Taddeo. Queste minon parenlí per anni inondarono il fratello cugíno card. di Sermonera di suppliche, di raccomandazioni e di lettere di cortaia. Carlo Bellomo, 6glio di Paola, fu per molti aani I'uomo di Éducia del cardinale Cae-

tani ed "-ico iatino dsl Pemda; dopo la morte del cardinale, al servizio di Enrico Caetani e nel gen. I 595 asunse Ie fuuioni di maestro di w (o maggiordomo), già tenuta da Fraacesco Capocîi (Arc. Caet., 1570 al 1600 passim; passò

C-16@.VII.16,N. lE660E). Per

stemma la sua famiglia gigli Farnese e nel 2o alle onde Caetani in fascia (C- 1585.V. 15, N.7l5,ll).

prese

Io scudo troncato, nel

l" ai

Badia

di S. Leonardo.

I

Gaddi.


ll2

Lib.

VICENDE FAMILIARI

prese possesso con tutte

ll,

Cap.

le consuete formalità, ma pdma di rientrare nella sua diocesi si

XlI.

recò

r) Napoli, per rendere omaggio al viceré Perafan de Ribera, dal quale fu amorevolmente accolto. Questa chiesa rendeva lauti utili ma, piena di grattacapi, richiedeva assidue cure temporali e spirituali nonché visite ripetute del suo arcivescovo. Oltre questi, il cardinale godeva di molti altri. cespiti ecclesiastici, nè mai si perdeva I'occasione per pretendeme nuovi, fossero anche in regioni distanti ed in altri paesi. u) Fu politica dei principi romani di curare che i giuspatronati, le abazie, i vescovati e persino i titoli cardinalizi passassero di mano da zio a nipote in aetemum, come se fossero beni patrimoniali privati: perciò, giunto ad una certa età, il cardinale o prelato anziano della famiglia impetrava dal papa la facoltà di poter rinunziare al nipote alcuni dei titoli e benefrzi di cui disponeva e, per tali atti, corri' spondenti ad una donazione înter t)ít)os, si assicurava che queste fonti di ricchezza non uscissero pih dalla Casa. Tale appunto fu la procedura seguìta dai Caetani, persino formalmente sancita con atto pubblico dell'otto luglio 1573,2t sicché, per opera del cardinale Nicolò e degli altri quattro porporati che gli succedettero, i proventi ecclesiastici, di cui si è detto soPra, furono goduti di continuo, per quasi un secolo, dalla famiglia e ne diventarono il fulcro finanziario: su di esso I'assetto patrimoniale ofa si volse al meglio ora al peggio, a seconda che il Stemma Farnese per Pagare le passività ed (palazzo Farnese, Roma). cardinale si serviva delle proprie rendite aumentare il patrimonio opPure per lanciarsi in nuove impresee" per aprirsi la strada a nuove alte cariche che inevitabilmente conducevano a smisurate spese e finivano per schiacciare la famiglia sotto una mole di debiti'

a

Donazione

dei beneizi ecclesiastici.

e Giulio Fiodo del cardinalenel interessi degli (Phiodo f l58l) si occuPavaúo Napol"tano e singola,nnente in Capua; I'intera voluminoEa cor' o) Messer Giovanni Antouio Agrirano

questi ptrx:utalon si conserva nel nostro archivio' Giacomo Grimani era camerlengo del cardinale in Capua

rispondenza

.A,rcivescovato

di

Capua.

di

(c- r579.V). Il 14.tll.

1567' I'arcivescovo Caetani, in seguito alla re'

due deputati, decreta che

i

sepolcri sopra

tazione fattagti da terra siano distrutti e dà dispcizioni precise sui riti (C-7933)' Nel 157(5 ?) ordina una riforma ael monastero di S' Maria (Vedi Per., p. 267). Uno dei primi grattacapi provenne dai fratelli Angelo ed Alberto Rustici ai quali con atto del 19 'l ' 1565 '

i frutti e le entrate

ddl'arcivecovato P€r tre ducati 4 700 anni contro una corrisposta di 'nnui (C-7955)' Ga queto Agnrilo Ruslíci non era dellí angelí beati ma dí quelli ilell'Inferno (C-7647'l), ragioue per cuioacque una lite che si trmcinò per le lunghe, con fallimento dei Rustici, sequ€sÙo

il

cardinale a6ttò

delle

loro proprietà e con la

I'arcivecovato (C.E056

lrcr averc ingannato Qualche anno più tardi

scomunica

et al.).

(l 570 ?), dato I'obbligo ai cardinali di risiedete nelle loro chiese e data I'età del fratello Bonifacio, Nicolò rinunziava alfarcive' scovato di Capua pur conservando la tnínlsltatíone dei frutti e la disposizione dei beneizi. venne quindi a creare qu$ta curiosa situazione che, mentre nelle cose spirituali governava I'arcivescovo titolare, pa' drone di quelle temporali rimaneva il Caetani' Il suo agente ad

Si

r\ C-7277 ,7279'll elll.

2) Vcdi pas...

io Capua fu per molti anni Orazio Borgo il quale, il 7.V.l578,stipulava con Nicolò dei Franchi, genovese, un nuovo a6tto delle rendite dell'arcivescovato per ó000 ducati (ossia circa 3.000 scudi romani) I'anno, dai quali era tuttavia necessario prelevare la pensione di I 500 ducati del vescovo ed altre spese necesarie, sicché I'utile al card. Nicolò doveva aggirani sui I 500 Àoc

scudi romani (Contratto

na

díocesls

C- 1578.V. l7).

Aggregata

a

Capua,

nulllus, eta I'abazia di S' Vincenzo al Volturno.

Per la consistenza del vastirsimo patrinonio vedi Regeslc, Vl, p, 220.

di

questa badia,

Il card. Nicolò godeva an.-he della badia di S. Fermo nella provincia di Chien (?), concessagli da Eorico ll, che fu trasferita al maetro Giov. Gush, in considerazione diiuna pensione di 600 scudi d'oro annui (Pet, p.275). Nel feb. 1559 faceva prendere petesso della commenda e rettoria di S. Maria degli Angeli di Faenza (1559.1.29,N. 186599,190260- l). Era alche commendatario del priorato di S. Andrea di Torino (C-15S0, N.126447 e passim 1575'1585) che, per bolla pontificia del t 580.IX. l, cedette al nipote Camillo (Prg. 1999), ll 23.1V.1573, Nicolò rinunziava a favore del nipote Camillo I'abazia

di S' Vincenzo al Volturno (Prg. 2669)'

al

il card, Gra'nvella dà I'esecutoriale (X - I 57 4, C' 97 7 41. Gli rinunziò allo stesso tempo il priorato dei SS. Pietro e Stequale atto

fano

di

nastero

Valvisciolo, mentre il papa concedeva a Camillo il mo' degli Angeli di Faenza ed altri bene6zi

di S. Maria

(Prg.2669).


I benefizi ecclesiastici

[1560 c.-158o c.]

fi3

I

cardinali, mentre in vita, furono per eccellenza tes oncles à héritage di casa Caetani; ma alla loro morte lasciavano di solito un cumulo di passività, come si dirà nel seguito di questa cronistoria.

*** Ritornando ora alla nidiata di bambini che dava nuova vita all'austera rocca di Sermoneta, dirò che il cardinale Nicolò ed il signor Bonifacio si preoccuparono coscienziosamente del futuro di ognuno di essi. Al primogenito Onorato, continuatore della stirpe, fu data in moglie Agnesina Colonna; Enrico e Camillo furono awiati alla carriera ecclesiastica che conduceva al papato; le figliole furono educate in modo che ben rispondessero al mandato di grandi dame della società romana. Il primo parentado preso in considerazione per Isabella, Beatrice o Giovanna (quale delle

tre era un punto di secondaria importanza) fu Guliano Cesarini. La famiglia di lui, unitamente ai Cesi, Gaddi, Orsini e Conti formavano un cerchio di case amiche ed imparentate fra loro. Giuliano aveva entrate da otto a diecimila scudi ed era un buon partito ma, purtroppo, sin dal gennaio, stava carcerato in Castel S. Angelo perché caduto in conflitto col papa; per tale impedimento il progetto andò a monte.r) Si pensò quindi ad altri partiti e fu deciso di dare Beatrice, la maggiore d'età, in moglie Matimonio ad Angelo Cesi. Questa figliola 61a') piena di talenti: cantava e suonava Ia viola; nel 1558 caetani-cesi' chiedeva allo zio cardinale che le mandasse un gîaoîcemóolo perché voleva imparare a suonare del pianoforte. 2) Angelo Cesi era signore di Monticelli e nipote del cardinal Federico; suo padre fu Giangiacomo, uno dei decemviri di Todi, e sua madre Isabella Liviana, figlia del condottiero Bartolomeo d'Alviano e'di Bartolomea Orsini di Bracciano. b)ll matrimonio ebbe luogo nel 1561, verso il mese di maggio. In tale occasione la città di Todi, della quale Angelo era stato decemviro nel 1554, deliberò di fare un ricco regalo agli sposi. ") La famiglia Cesi fu antichissima e celebre: vantava la discendenza da Ceso, figlio di Temeno re dei greci, vissuto undici secoli prima di Cristo, e I'aver dato alla cristianità, alla vigilia del millennio, il dotto e misterioso papa Silvestro II, Gerberto d'Aurillac, su cui furono tessute tante leggende, compresa questa dei Cesi. Comunque era una nobilissima stirpe umbro-romana, signora di Cesi, Acquasparta, Monticelli e di molte altre terre, la quale, per opera dei cardinali PaoloEmilio, Federico e di altri tre che li seguirono, salì in altissima rinomanza. Il matrimonio fu favorito dalla divina prowidenza in quanto dopo poco piìr di un anno Beatrice diede luce ad un bel maschiotto, Federico. Era un magnifrco bambino: altende a cîescere di peîsonct, di gratia et di bellezztr, scrivevano di lui nel mese di settembre (1562), et promello alla S. V. I. che questo figltolo è tanto dolce che se la Io pofessi oedere, ne piglía-

anche questo istrumento, antenato

la data di nccita di Beatrice rna, dalla ") Non abbiamo maturità delta sua scriltura nel 1558, è probabile dedune che sia nata piuttosto prima che dopo Onorato (n. 1542). Si rerviva del sigillo di una leronima Caetana, di cui non abbiamo altra notizia, ma che certameate fu una sorella defunta

(C-6254 e

di

Bonfacio

6727).

b) Cf. E. Martinori, Genealogía e Cronístoia dí una lamíglía umbro-romana, i CsÍ, Roma, l93l (con appendice di G. Gabrieli). Da questa opera è stato tratto il segrande

r) c-ó1 Domus,

10,6140.

ll,

15.

,) c-6718.11.

guente albero genealogico parziale, completandolo con alcuni dati

tratti dall'lrc. Caet. Tta i Caetani ed i C6i doveva già esistere qualche legame di parentela perché trovo che nel 1557 Torguato Cesi (non ricordato dal Martinori) si rivolgeva a Boqifacio chiamandolo . come fratello ,. Angelo seniore fu amico di Guglielmo Caetani (C - 1505 .VIII .8). d (C-l I l'l). h Arc. Caet. (C-4333) c'è un appunto sul corredo di Beatrice in cui sono elencate biancherie finissime; non esistono altri documenti su questo matrimonio.


lt4

Ub. II, Cep. XlI.

VICENDE FAMILIARI

ALBERO GENEALOGICO PARZIALE DELLA FAMIGLIA, CESI. .ANGELO I di

Pietro Chitani, capottipite dei tse rami principali.

n.1450

t

1528.tI.6

.m.

Francerchina Cardoli

t Fcdcrico t 1565.1.28 Cardinale (1544) acquista il marchesato di n1500

l5lE.lv.

15

GIANGIA'COMO n..... î....

Paolo-Emilio t 1537 Cardinale (1517) ebbe molte cariche. n. l4El

decemviro

Altri die.i 69[ (onessi).

di Todi;

uomo d'arni

n. l53l . XI .28

S. Polo: cootruisce il

Ieabella Liviana

palazzo ad Acquasparta.

d'Alviano

t

1492 c. f 1582 6glia del condotdere Bartolomeo e di Bartolonca Orsini

di ANGELO

Napoleonc, aig.

di

Bracciaro.

U

tl542c. f 1570.VI.14

di Monticelli (1550) n. 156l .V.c. BEATRICE CAETANI

sig.

Emilia

-

1552

--

m.

Giordano Onini tig. di Monterotondo.

(Cf. Cafel. Gcllv p.73)

FEDERICO I Angcla BaÉolomco Ottavio Giacomo n l56E.lI.20c. u1562î1630.VI.24 Prob.aroraaTer Ducad'AcquasParta(1588) de' SPGcchi d[ Galida t 162l .X.20 Principe di S' Polo Cardhatc d1596)' e S' Angdo (1613); veccovo di Tivoll frd. 1577 c"' n 158..

cay.di S.

di

OlimPia Orrid di Porzia ... f r616.III . l2

Giovaani e

FEDERICO It Fcdcrico sccondogcnito n. l5E5 t 1630 .VIII . 2 fondatore dell'Accadenia t 1656 deiLincei (1603 .VIlt . I 7); E. muore Giolia Vcrcnic.a scnza disccoderza maschile; Maraoli Sfora

Qisernni

(Di*codw:oÉ).

5H*tgî#. di Pahctira b) L.fuúa llalviati.

Altri undici 6gli (onessi)'

Paolo abate.

r


I Cesi

[aec. XVI]

il5

rebbe consolatíone grandissima. t) Di altro parere furono, mezzo secolo piùr tardi, i fondatori dei Lincei. Beatrice ebbe altri quattro figli: Angela, Paolo ed Ottavio (dei quali sappiamo bén poco) e, il 20 febbraio circa del 1568, mise al mondo Bartolomeo, il futuro cardinale. Al battesimo gli fu compare il cardinale Alessandrino e comare I'ambasciatrice di Spagna, ed alla sontuosa colazione furono consumate 300 libbre di confetttoní, ciò che, con tutto il resto, costò I 500 scudi.

2)

rose, non c'é matrimonio senza spine: Angelo era un caratteraccio; cultore degli esercizi fisici, era anche un valente capitano d'armi e come tale molto apprezzato dai ministri di Filippo ma impulsivo, rude, a volte violento in famiglia, era sempre indisciplinato verso superiori Non per nulla era nipote del condottiero d'Alviano e di una Orsini Non stava

Ma, come le

II;

i

!

troppo nelle gratie del cardinale Nicolò e nel 1566 Íu da lui severamente ammonito, In casa non erano mancati violenti rumori e scenate; vi fu uno schiamazzo di due ore tra lui, Beatrice e la mite sorella Govanna. Scontento, volle allontanarsi da Roma e perciò prese impegni per andare a militare in Ungheria, promettendo che al ritorno si sarebbe moderato e ritirato a vita più tranquilla. Ma quando cercò di ottenere la necessaria licenza dal papa, faticò a lungo per esser ricevuto ; poi frnalmente ai primi d'agosto del 1566 Pio V gli diede ampía benedízione e gli disse che andasse con Do; ma non appena entrato in casa con I'annunzio della lieta novella, Io sopraggiunse un cameriere del papa, accorso per dirgli che questi revocava la licenza, inten' dendo di servirsi di lui negli armamenti che si facevano contro il turco. Infatti le galee nemiche, conquistate alcune isole dell'Egeo, minacciavano Ancona, e pareva probabile che avrebbero tentato di cacciare i cavalieri da Malta. Pochi giorni prima Pio V, con le lagrime agli occhi, era andato in processione per le strade di Roma, seguìto da 40 000 persone, invocando liaiuto divino.

Non mi meraviglierei che dietro a tali tribolazioni di messer Angelo non vi' fosse il severo arbitrio del cardinale di Sermoneta. Vane lurono le rimostranze di Angelo; ebbe ordine di recarsi a Fermo. I turchi erano sbarcati sopra al Pescara ed avevano bruciato una terra del duca d'Atri. Al prode capitano fu dato qualche incarico militare e Beatrice col figliolo fu mandata a soggiornare a Sermoneta. Bonifacio e Nicolò Caetani offersero i propri servigi al papa in questi frangenti pericolosi. ') L'anno seguente Angelo acquistava da Sigismondo de Rossi, conte di San Secondo, il palazzo in Roma in via della Maschera d'Oro, presso Piazza Fiammetta. Egli eresse in S. Maria Mag3) giore due magnifrci mausolei ai propri zii Paolo-Emilio e Federico cardinali. Nel 1569 si recava in Francia con una compagnia di cavalli, datagli dal papa, in soccorso di Carlo X nella guerra contro gli Ugonotti, ed .al momento della partenza riceveva lettere di a) L'anno seguente l57O ar 14 di giugno moriva, presentazione dal cardinale Ncolò alla regina. lasciando che i Caetani avessero cura della moglie e dei frglioli. Beatrice, molto abbattuta dall'awersa fortuna, 5) si ritirò a San Polo e ad Acquasparta, feudi della Casa, ove curò I'edu' cazione dei piccoli Cesi: ogni tanto, specialmente coll'avanzar degli anni, andava a soggiornare a Sermoneta, ove trovava conforto nella compagnia delle sorelle, ed ivi nel 1580 istituù Ia confraternita del Nome di Gesù. ó)

d (C-7606 al 7670 parsim). A sciatore veneto 1)

si recò quell'anno a militare in Ungheria; scarsissime sono le ootizie che ho potuto trovare sul conto suo.

quaato riferi I'amba-

Tiepolo (Mutíneltr', I, p. 64), Angelo dopo tutto

C-7149.111.

)

C-801,1

.Vl.

E)

Moilinod,

p. 63.

a) Pet., p.

274.

ó)

C-E7E9.

r)

Pent.,

I, p. 620.

Angelo Cài.


il6

VICENDE FAMILIART

Lib. II, Cap. XIl.

*** Malattia

di

Bonifacio.

Ricortruzione

di

Cisterna.

Sin dal 1560, compìti appena i 46 anni, Bonifacio cominciò ad essere afritto da una salute malferma e specialmente da podagra e gotta. La diagnosi che fece messer Marco Eradario è circonvoluta ed oscura, come era solito in quei tempi e necessario ad un medico che non capisce il male del paziente: bisognava che il signore badasse a tutto o facesse un po' di tutto; I'aria delle stanze doveva esser tiepida; poco doveva dormire di giorno; nessun esercizio violento, ma una passeggiatina prima di pranzo ; non si permettesse Venere e la palestra della r) coltre che a lunghi intervalli e, una volta al mese, dopo il pasto si procurasse il vomito. Nonostante queste cure o per effetto di esse, il male andò sempre peggiorando tanto che Bonifacio diventò un invalido permanente. Gli si gcnfiarono le gambe e i piedi, sicché a mala pena poteva muoversi; il che fu una delle ragioni per cui preferì risiedere a Gstema anziché a Sermoneta. Francesco Beltrame, vescovo di Terracina, gli concesse di poter udire la messa nella stanza da letto, quando non era in condizioni di alzarsi, e fra Bernardino ,. d. Galessio ,, 2) ogni qual volta la salute glielo permetteva, veniva al suo capezzale a sentire la confessione; si faceva trasportare in lettiga per sorvegliare le varie costruzioni alle quali aveva fatto metter mano in Cisterna. Oramai questo paese era sorto a nuova vita, anzi stava per diventare luogo elegantissimo. Sermoneta era la culla della famiglia e doveva sempre rimaneme I'usbergo; tutti i piccoli Caetani dovevano vedere la luce entro le sue cinte merlate. Ma a viverci era piuttosto incomodo: non c'era un giardino; appena messo piede fuori del primo ponte levatoio era un contirxro scendere e salire per ciottolose scalinate; il recarsi al piano o il tornare al castello era un'impresa degna di montanari. lnvece Cisterna era nella pianura, meno distante da Roma e meno infestata dalla malaria. Poi c'erano vicinissimi i boschi di S. Biagio, dell'Eschido e di S. Croce in cui si facevano le famose, anzi famosissime cacce, mentre che il " campo u ai piedi di Sermoneta era tutto coltivato, sicché bisognava far dieci chilometri di strada prima di giungere alla campagna incolta ove si potevano snidare cinghiali, far correre cervi e volare fagiani. Per tutte queste ragioni risorse Cisterna sui ruderi rimasti dal sacco che Ludovico il Bavaro le diede nel 1328; l'acguisto della terra si completò col secolo XV,4 la vita ricominciò nei primi decenni di quello seguente, ma i maggiori lavori edilizi non furono iniziati che a partire dal 1560 circa. Coll'andare degli anni si formò una borgata alla quale i signori concessero certi statuti e privilegi, rna essa non acquistò vita e governo proprio di comune che verso

il

secolo

XVIII.

Dell'antica rocca, la cui costruzione rimonta ai primi decenni del duecento' non rimane che il nucleo centrale intorno alla tone. Essa si riconosce dalla muratura eseguita accuratamente a piccoli conci, simili a quelli del maschio di Sermoneta e della base della Torre dei Conti in Roma. Sono fatti di selce e, visto che Ie cave di questa pietra sono assai più distanti che quelle del bellissimo travertino della Bufolareccia e di Îvera, è evidente che i conci furono foggiati spezzando i grossi lastroni della vicina SrlÍce ossia Via Appia. Al fortilizio Bonifacio sovrappose un grande palazzo che si estende molto al di Ià dell'antica cinta. I grossi blocchi di travertino per il porticato, che circonda il pozzo antichissimo e profondo, furono tratti dalla cava di S. Eufemia; la pozzolana fu ottenuta scavando, a piìr di venti metri

i conini Cisteroa-Torrechia etc., vedi C. 1580.lll .23, N. 1446A2. C-8429.V. 2)C-7321 .1.

") Per 1)


u7

Cisterna

[1s60.r57s1

sotto alle stesse fondazioni, vaste gallerie che formano un curioso meandro di grotte freschissime alle quali si accede per una bella rampa elicoidale. Al primo piano fu costruita una maestosa serie di vaste sale a volta, conforme alla moda del tempo, a decorare le quali furono chiamati gli Zuccari ed altri artisti: in mezzo ad ornati e stucchi ricchissimi vi sono molti medaglioni e quadri che appartengono alle migliori opere di questi famosi decoratori. Un esame di esperti conoscitori c'indicherebbe quale parte dell'ornamentazione delle volte è dovuta a Stefano Duperac, Pitture del palazzo' incisore, pittore ed architettoparigino (t 160l), che fuincorrispondenza col Peranda ") e col duca. r) Che egli lavorasse a Cisterna ci è provato dal seguente memoriale: Memoríalle della pitura che oa fatta nella salla del Palazzo della Cisterna per lulis.-'(!) Sig. Bonifatio Caetano. Príma Ia oolta ta dípinto a grotescha con le sue partimento et con gualro arme de pape et una del Cardinale. Poí solto íl dado oa un fregío dípinto a groteschi, paesi et altfi adomamenti. Più sotto detto fregio oa dipinto fino in terra di pailimenti d'architetura et míschi. Tuttí deli laoori dÌ pitura si faranno per scudi duecenti dí monetta senza la spesa ef dormire di laooranti, qualle spesi non sarano comprcse sopra Ii detti scudí 200. Et ío Stefano du Percc dí mano propría prometto fare detta operc per detto presio, bene, a giudicío di huominí de I'arte eletti de Vo' stra Síg.' III.^" V. S. farà dere a bon conto scudí cínquante de Ie quole io farò ricertuta.

Umil.-o ser.'" Stefono Du Perac.

Nel luglio 1572 la decorazione delle sale non era ancora completa e, preannunziandosi una visita del papa Gregorio XIII per il veniente inverno, Onorato scriveva al padre: Però V. S. sollecíti afar píngere Ia sala et a finír Ia loggetta.2) Nel 1574 sr costruivano le stanze 3) del piano superiore per opera di maestro Galeazzo; il grande caminetto col nome di Bonifacio, che sta nella sala maggiore, dev'essere di qualche anno prima. Comunque alla morte di lui, nel 1575, il palazzo era già del tutto ultimato. Un altro edifrzio importante eretto in quel tempo fu la chiesa di S. Antonio, alla quale .. ^chiesa di s' Antonio' fu messo mano nel 1567. Mentre il primo fu inteso per il comodo e decoro della Casa, il secondo lo era per l'onore di Do e la salvezza dell'anima di Bonifacio; perciò questi si dedicò a tale costruzione con speciale ardore; e, quando la malferma salute glielo permetteva, si faceva portare in Iettiga sul cantiere di lavoro e il vederlo progredire era il suo piir grande svago. N"l 1569 I'opera muraria era al termine come si rilevava da una lapide a lettere di bronzo infrssa sopra alla porta d'ingresso: BONIFATIUS CAETANUS A FUNDAMENTIS EREXIT a. o. upLxvtrtl. b) Grolamo Siciolante, detto il Sermoneta, fu chiamato a dipingere il quadro per I'altare 5) ebbe cura anche di trovare il tabernacolo e rnaggiore 4) e a decorare una delle cappelle; gli incensieri. Una reliquia del santo fu posta entro una graziosa statuetta in argento, che si

") (C-8445),

I I .VU. 1576 gE mandava uno

schizo

per un tabernacolo nel quale riporre una teta del Cristo ia ar' gento

.

(N. 24). Chi fossero i dirigenti

b)

di

tutte queste op€re aon è ia-

dicato chiaramente in alcun documento, ma qu*i certameDte possono attribuirsi, atmeno in Parte, a Francesco da Volterra e

t)

C-4653.

2) Cat.,

L. O., p. ll3'

3) C'9427

Giovanni Battista della Porta

i qu:li,

veno quell'epoca, diventa-

rolo rispettivmente architetto e scultore-narmista della Casa. Di entrambi si sa ben poco. Il Volterra fu autore della facciata di S. Giacomo in Augusta sul Corso in Roma (Cf. G. Giooannoní

{)

in " L'Arte ", XVI,

C-9450.1.

5)

fasc.

l).

Pant.,l, p. ó1, 414.


n8

Lib. Il, Cap. XII.

VICENDE FAMILIARI

conservava I'iscrizione :

in

casa nostra,

S

rn

e

furono fuse due campane,

NoMTNE pATRrs

B sr FrLrr I

BONIFACIUS CAETANUS

la

maggiore delle quali porta

ET splRtrus sANcrr AMEN

AD LAUDEM DIVI

ANTONII CAMPANAM

HANC FACIUNDAM CURAVIT ANNO D. MDLXXII MENSE MAII DENTE CREGORIO

Vita castellana.

Xil

M.

FRANCISCUS

DE

SE-

VITERBO FECIT.

Essa ora allieta Ninfa col suo profondo ed armonioso tocco, mentre la minorg qui illustrata, è stata posta all'ingresso della rocca di Sermoneta. Nel 1573Iu celebrata la prima messa; ma dopo tre secoli, caduta in grande abbandono, la chiesa fu trasformata in granaio ed ora, mutilata e trasformata, piìr non si riconosce I'edifizio sacro. Gsterna diventò luogo elegantissimo e tale si mantennne sino allo scadere del secolo XVIII ; già nel 1568 vi si potè dare una commedia che richiese elaborati preparativi per mandare gli attori e lo scenario da Roma; r) cinque anni piir tardi I'ambasciatore di Spagna, desiderando consumare il matrimonio con una bella vedova siciliana, prima di fare solenne ingresso in Roma, si trattenne a Cisterna con 200 cavalli per stringere I'indissolubile nodo. 2) Ogni estate la famiglia andava a villeggiare nella nuova dimora per booare íI fresco, ciò che, ricordando le tremende sudate fatte ivi d'agosto, mi dimoStra che ogni cosa è relativa in questo mondo. ") Anche al Peranda toccava di andare ogni tanto a Cisterna quando il cardinale vi si recava. Nei primi anni questo soggiorno gli fu odioso perché, lontano dalla cuísíne della corte Campana della chiesa di S' Antonio e dal fermento degli afiari politici, si sentiva infelice; in cam(Rocca di Sermoucta). pagna, compiuto il lavoro di segreteria, non gli rimaneva piùr nulla da fare se non di cercare qualche piccola awentura con le contadinotte, cosa non agevole in un minuscolo paese dove tutti si tengono gli occhi addosso gli uni agli altri. Perciò si lagnava della monotonia della vita, del solito caldo et solítí trattenimentí. Per la caccia, così abbondante in quelle parti, non aveva inclinazione naturale; nè è probabile che I'intellettuale segretario avesse speciale disposizione per qualsiasi genere di sporf; una volta tuttavia si cimentò in essa con qualche successo e, tutto esultante di aver ucciso alcuni volatili, fece dono della preda ad un amico, vantandosi che fosse proprio quella sua. Ma coll'andar degli anni, quando cominciò a sentirsi stanco di mente e di corpo, gli diventò ca:.a Ia sanítà di quel cielo

fra i t

píaceri della campagna. (C - 5 I 55).

Nel I 554 Bonifacio costruì il

palazzo a

Ba-

(l'attuale palazzo comunate), elevò di un piano la u Casa del Cardinate , sulla piazza d'armi della rocca di Sermoneta e si adoperò a ripopolare S. Felice (Orlg.). Anche nella chiera ed abazia di Valvisciolo furono eseguiti importanti lavori da Bonifacio e poi da Onorato. Nel l9l0 fu scoperta nell'abside siano

della chiesa una nicchia, owerosia antica 6nestra, sull'intonaco della quale il celebre pittore Nicolò Circignani di Pomarance 1) C -8074

.V.

2) Pet., p. 4l

.

(Volterra), prima di murarla, volle ricordare col pennello che ta cappella di S. Lorenzo fu fatta costruire dal duca Onorato nel l5E9 e che fu dipinto il coro per mano propria, dal 6glio A!tonio e da' suoi discepoli, Fraucesco Fazzuoli, Camillo Campani

e T... Malterra, tutli secchl ilallo stento. In quello stffi anno furono messi í oehl fatlt a ilísegno ai rooni dell'abazia e di S. Antonio sta

in

Cisterna, opera del maestro Martino oetrtaro che

a Pasquíno(C-l5E9.lV'24.26, N.

190637

'183359).


Cisterna

[r568-r574]

il9

Così passavano gli anni e Bonifacio, invecchiatosi anzi ternpo, diventò invalido a tal punto che il cardinale dovette assumere I'onere di amministrare lo stato. Parve quindi necessario ai t) due fratelli di prowedere al futuro e, I'otto luglio I 573, nel palazzo di Cisterna fecero redigere un solenne atto che confermava ed ancor maggiormente estendeva la primogenitura, istituita dall'avo Guglielmo nel 1516,2) che mirava ad impedire che per Ia díoisíone eredítaría delle terre e del loro gooeîno e della gíurisdizíone sì oerìficasse una dimìnuzíone nella dignítà e nella auírirttà deí discendenti e nella splendore della nobíItà. L'istituzione del fedecommesso veniva a costituire un patrimonio di cui gli eredi primogeniti erano usufruttuari ma non proprietari; essi potevano quindi disporre a loro piacimento dei frutti, .accumulati o le proprietà acquistate con essi, le doti delle mogli, ma non del capitale. I frutti le donazioni ricevute etc. costituivano il patrimonio privato e libero del primogenito e quelli di casa Caetani ingrandirono piìr volte il fedecommesso, incorporando in esso per testamento i propri beni privati. Così Bonifacio e Nicolò, eredi aó intestato del padre e proprietari di un terzo dell'asse patrimoniale dell'avo Guglielmo, versarono nel fedecommesso questa terza parte nonché i diritti sulle terre di Sermoneta, Ninfa etc., che aveva acquistati il padre loro Camillo,

Fedecommeslo.

per l8 000 scudi, dai Caetani di Maenza. Nel confermare le disposizioni date da Guglielmo, i fratelli aggiunsero una curiosa clausola che si riferisce a guanto è stato detto a pag. ll2:- esortaoano e con somme precí chíedeoano che tutti i discendenti da Bo-

nifacio, i quali. pro tempore acquistassero il godimento di benefizi ecclesiastici, cercassero al momento opPorL'ora estrema (Xlografia del sec. XVI). et canonice ite benefizi questi a rinunziare di tuno in favore dei cadetti, idonei a riceverli. Se non era I'inclusione dei benefizi ecclesiastici nel fedecommesso, poco ci mancava ! Dopo alcuni mesi la gravità del male di Bonifacio non lasciava sPerauza alcuna e Rutilio Lepido, suo nuovo segretario, informava il Peranda che il signore non poteva più piegare il capo in avanti, non parlava più, rimanendo in uno stato di continua dormía, senza alcun desiderio di mangiare o di bere, con la memoria e la vista offuscata. A volte dava grandi sospiri chiamando lddio in suo aiuto. Il primo marzo 1574 spirava in Cisterna senza lasciare testamento. Gregorio XIII Boncompagni, che doveva la propria elezione a casa Caetani ed era riconoscente ed affezionato alla famiglia, quasi con le lagrime agli occhi, espresse il cordoglio al frglio Onorato, capitano della sua guardia, invitandolo a perseverare nel fedele servizio della Santa Sede. Da tutta I'ltalia e dall'estero piowero lettere di'condoglianza e per un po' di tempo in casa non si faceva che rispondere ad esse. Il 9 del mese si celebrò la messa di requie nella chiesa di S. Lorenzo fuori le Mura, in presenza di tutta la famiglia, dei parenti e degli amici. Della sud sepoltura si è perduto traccia. t)

P8.,2738.

I

Vcdi pag. 34.

Mortc

di Bonfacio.


Ca,prror-o XIII.

I GOLIARDI. (1556-1573)

nessuno avrebbe osato ricordare che il dignitoso cardinale di Sermoneta, capo spirituale della famiglia e severa guida della nuova generazione per Ie vie della sapienza e di questo perverso mondo, poco piìr di dieci anni prima era uno scapestrato ed un mattacchione.

Questa nuova generazione dei Caetani era rigogliosa, esuberante di vita, difrcile a tenersi a freno; perciò il padre, Bonifacio, e il cardinale le diedero una rigorosissima educazione. ") Senza troppo precisare, dicevano ad essa: ,, Experto ctedite )>, Fr i giovani non perdevano occasione per fare scappate che causavano sorPresa e sdegno:

Es ist eine alte Geschíchte, Doch blabt sìe ímmeÍ neu.

lniziale del

Enrico Caetani.

*c. XV.

Quando nel 1556 si trattava di mandare il quattordicenne Onorato alla corte del Delfino, il cardinale osservava al fratello: ... cí conosco due difrcultadi: I'una che, Ieoandolo d'appresso ad

2)

uno ili noí doi, sotto iI rispetto dei qualí oíoe in timore, dubtto per Ia gaglíaúezza del suo ceroello et per Ia poca estima che fa taltri, facilmente dooen' taría troppo lícerúíoso; et íI trooare un huomo per mandarc con Iuí, che sía a proposíto per r) farlo oíoere come deoe, saÀ dífrcile ; I'altra dtffcultà s'è Ia spetd. Onorato, diventato uomo' aggiunse decoro al nome della Casa, come si vedrà nei capitoli seguenti. Enrico era di natura ben diversa dal fratello maggiore. Quando aveva aPPena sette anni, il nuovo maestro Govanni d'Agostini scdveva di lui; Volentíei semo V. S. I.; oedendo la benígnità e amoreúolezza de í signorí e sìgfiorc (cioè dei putti) e maxíme del sígnor Henrico più volte in questo volume all'educazione ") Si accenna che si dava ai giovani Caetani nel sec. XVI; direi che era molto piir severa e completa di quella che s'impartisce oggigiorno o.lL rcuole elementari e nel ginnasio; tra gli otto e i àie.i aooi era già ottima la conoscenza dei ctassici e della lingua latina; anche la scrittura era piir perfetta di guella dei nostri ragazzi di uguale età. Ma da ciò non si possono trarre deduzioni gerrerati p.rché il singolare indirizo inrellettuale di casa Caetani, r) c

-

5540.

2)

Mtn.,

C -

3 (20), c. 83.

lrer Gusa dei misteriosi fenomeni di eredità, fu, per secoli, più una caratteristica di essa che non di molte altre famiglie romane. Gli Orsini, i Colouna, i Massimo, i Farnese etc' ebbero anch'esi caratteristiche familiari che si mantennero costanti per vari secoli; come esempio mi limito a ricordare quella della criminalità dei Caetani di Maenru, ereditata forse dai De Cabannis. Il psicoanalista potrà trovare largo campo di studio quando sarà stata pubbli-

cata

la vita intima, a traverso

i

secoli,

di

alcune grandi famiglie.


Educazione dei Caetani

[1556.1566]

col

ioúial aspecto e benígna natuîa, Iutto mi rallegro.

l2t

Il

roseo e paffutello bambino non cambiò di natura anche quando salì alle piir alte cariche ecclesiastiche: rimase grassottello, gioviale e spensierato; mangiava bene e spendeva largamente senza minimamente preoccuparsi del futuro, Col cuore largo come un portone di palazzo, accoglieva tutti ed i denari gli colavano fra le dita come acqua attraverso un setaccio. Se la prendeva a male quando gli si parlava dell'esigenze del bilancio familiare, ed è rimasta famosa tra i nepoti I'arrabbiatura che si prese un giorno a Montecavallo quando gli si parlò dell'imminente disastro finanziario della Casa. Volle esser la gloria della sua generazione e ne fu la rovina. Camillo, di due anni più giovane (era nato nel 1552), si differenziava per indole tanto da Onorato quanto da Enrico: afiettuoso, modesto, riflessivo, seguiva quest'ultimo ovunque, divertendosi alle scappate escogitate da lui, sempre partecipe, mai complice. Ciò mentre eta ragazzo ed adolescente; diventato uomo si spaventò delle stravaganze, si può dire della incoscienza, del fratello cardinale, e come nunzio, si sacrificò nella speranza di salvare la famiglia dal disastro economico; ma, mentre egli metteva da parte migliaia di scudi con penosi risparmi, Enrico ne dissipava centinaia di migliaia in legazioni vanamente fastose. Se, sorpassate Ie prerogative dell'età e solo tenendo conto dei meriti, Camillo fosse stato fatto cardinale nel 1585 invece che il fratello, le sorti di casa Caetani sarebbero state migliori ! La diversità delle due nature si rispecchiava nelle scritture: Enrico yergava le lettere a grandi caratteri pastosi e scapigliati, facendo continue correzioni ai numerosi lapsus che gli scappavano dal calamo; Camillo iwece aveva una scrittura tondeggiante, ordinata, corretta. Sin dalla culla i due cadetti furono destinati alla carriera ecclesiastica. Quando, non ancora decenni, ricevettero la tonsura ed Enrico fu ammesso ai quattro ordini minori, il cardinale Nicolò cedette a questi la precettoria di S. Leonardo della Matina in Puglia, pur ritenendo per sè sui frutti 400 ducati annui. r) Nell'ottobre 1566 gli rinunziava anche I'abazia dei SS. Pietro e 2) Stefano di Valvisciolo presso Sermoneta. Gunti all'adolescenza, I'educazione dei giovani fu perfezionata in Roma sotto la vigilanza dello zio Nicolò ; ma anche il cardinale Alessandro Farnese s'interessava del loro bene spirituale e non mancava di dare severe lavate di capo quando veniva a sapere che Io loro condotta era poco lodeoole et poco conforme aIIa nobiltà della persona. ") Per questi motivi, appena gli suo

o) Il card. Alessandro Famese, coetaneo del card, Nicolò, gli fu intimo amico. La sua esa in Rona e la villa a Caprarola, ove spesso convitava i giovani Caetani, furono il domicilio della sapienza

(CÍ. Mou XXIII, p. 213). Molte

sono

le

sue

carte

Píccolo úeramente di sua natwa et mínore ancota ilspelto a' medí quella oe'so dl né: mà soita tutto debole quanlo al de-

'fltí

stdetío dell'antmo mío, ché non sÍ satíetehbe maj dl honotatla, et rcoeirla. Basla, ché ín tutte I'occaeîoni egII mostterà sempte quanlo e' I'è tenuto, et andtà con gtande arilore cercanilo dí

che si conservano nel nostro archivio e tra le altre, la seguente celebruila: aI ché fare egll haoà sempre largo et copioso interessaate lettera di Pietro Vettori, I'insigne 6lolo9o; camlo: cosl fussíno Ie forze sue maggiorí da poteroj denlto III.f,o et R.^o Mons.ot mío oss,mo lononhóoolulo mansconerc à suo dllelto: el cosl come eIIa accettetà líelamente, carc d.ínonsctíoerealla S.V. R.-o et lll.na sendomísi porte dí cíòduebuone occasíonJ: l'unall oenítecosla messetGíulío tal qual'eglí è, questo mío prcsenle, cosl sí degnerà pet mlo amoîe ancota dl accone benignamente questo mío amíco. Del del Cauía, gíooaae mollo ila bene el gentíIe, íI quale ío amo ché io n'haù obhkgo grande con lei, aIIa quale mí taccomando assaj sì per il suo buono ingegno, sl ancora perché egli è uno dí con tuilo íl cote, el Ia prego, ché mí itenga nel nunero de queglì, ché hanno ayeso sotto iil mé aIIa língua greca et Ia-

dooe leooIeoo manìlare un'EschíIo, ché hò fatto stampare, níglíotato assaj da mé pet tulto con I'aiuto di líbtí antíchí, el anlcchito di plù d'una tragedía quasì íntera, che haoeoo príma qui rttrooato ínuno libroin penna, et dellaqualeanata ttooaí poj ché Ia S. V. R.^" n'haoeoa copia in uno suo eslr,ntploe, come narro quíoj, moshando donde ìo hò cattalo questo benefú.io oerco í lítterali. La S. V. R.^o aìlunquericeoeràquestopicciolodono, 1) C-6938. ') C.7086. tína, nellequalíeglíferelnquetempÍragíoneooleptofitlo, poj sí dette tulto aIIo studío àelle leggí: l'altrcè, ché

Doaus,

ll,

16.

cai senítori, come lo ùetamenle le sono, et sarò gíusta mía Fosa ín ogní lempo, cÀé N. S. Dio Ia anseroí sana, et ín feltce stato. Da Fírenze allí XXIIT dí gtugno MDLVII. Di V. S. R.mo et |il.^" *mitore Pícro Veltotf (C-6400). ln altra lettera del 6.1lI.1560 faceva al cardinale un

suoi

(in Roma?), alfatte nel 1546 dal duca di Toscana al Torrenúno per una stamperia in Firenze (C -6985).

esatto preventivo perimpiantareuna stamperia legando copia

6"lL q6alizioni

camillo caetani'

A. Farnese e P. Vettori.


I GOLIARDI

122

G. F. Peranda tutore.

Lib. II, Cap. Xlll

la presenza in Roma, i

due fratelli erano rimandati in campagna, a Sermoneta o a Cisterna, dove era loro mestieri condurre vita piìr saggia perché le possibilità di divertirsi erano poche. Dopo ch'esco dalla scola, scriveva Enrico da Gsterna, non ho altro spasso che starmene alla finestra. Si annoiava e la mente volava verso Roma dove si potevano fare le scappate notturne, connivente I'elegante e gioviale Peranda. Il segretario del cardinale era diventato I'amico e il confrdente dei giovani, pur rimanendo il loro precettore de facto se non de íure; le paternali, che faceva il cardinale con lettere concise e dure, erano spesso redatte dal Peranda, il quale non mancava a volte di aggiungerne altre per conto proprio, verbali o pér iscritto. Allo stesso tempo usava I'arte di atteggiarsi a loro camerata, ciò che gli permetteva di aver maggior presa sull'animo de' suoi allievi. Egli ed Enrico si dedicavano a grandi partite a scacchi, esultando sulle proprie vittorie, deridendo la parte sconfitta. Continua era la taquinerie tra di loro e, quando al Peranda toccava di seguire il cardinale a Cisterna, ciò che faceva poco volentieri e ben di rado, Enrico da Roma si divertiva a scoccargli delle frecciatez Círea iI far ínnamorare Ie femine della Cisterna, gli scriveva, satrà facil cosa perché oltre l'essere V. S. tanto bello et aggarbato quanto db se po$sú!, secondo ho ínteso, I'hanno ancoîa per ben fomíto, quod feminis magis placet. Egli di rimando annunziava essersi perfezionato al giuoco a carte chiamato Calabrache, nel quale quello che resta indietro l) è ,"rpi" in posizione di vantaggio; giuoco eminentemente estivo perché si sta freschi etc. M" tutto questo si svolgeva a bassa voce e di nascosto, perché lo zio cardinale ed il genitore, studi non richiedevano piir

..

il

signore

>, erano

severissimi.

i'"llegri. si alternava con le cose serìe: Enrico chiedeva spiegazioni sulla Retorica di Aristotele o dava le notizie politiche del giorno, perché in quei tempi le lettere avevano valore di * awisi ,, ossia di gazzetta. Altrettanto faceva il Peranda e, naturalmente cambiando di

Aldo Manuzio.

tono, divagava nel campo della frlosofra, della morale e dei classici. Nel 1568 e 1569 gE studi dei due giovani furono intensiGcati in preparazione alla loro entrata all'università di Perugia ; numerosissime sono le esercitazioni latine che essi facevano scrivendo dissertazioni o componendo lettere dirette a grandi personaggi dell'epoca o immaginando risposte di questi ultimi a se stessi o epistole dirette al papa o di un principe all'altro. Ogni tanto in questi esercizi traspare una notizia interessante. Ad esempio, vediamo la premura di 2) che fu loro maestro in Roma Enrico e Camillo nell'inviare afiettuosi saluti a Paolo Manuzio, ed il cui padre, Aldo il vecchio, celebre stampatore, fu oriundo di Bassiano e vassallo di casa Caetani. L;invito di perfezionare I'educazione dei due giovani fu esteso al Manuzio dal cardinale di Sermoneta ed egli, con lettera del23 marzo 1569, ' accettava I'incarico. Il suo insegnamento fu tuttavia di breve durata perché i giovani dopo pochi mesi si trasferirono a Perugia e Paolo a Venezia, ove la malferma salute Io trattenne per due anni. Da h, il 23 novembre 1570, inviava una lettera ai due fratelli presso Ia corte del cardinale di Sermonela, nella quale diceva che' tornato in patria, non credeva di poter nuovamente andare a Roma, nePpure se gli venisse offerto uno stipendio maggiore dei 500 scudi, già percepiti durante i dieci anni trascorsivi. La quiete, la salute e l'età I'inducevano ormai ad ammainare le vele dopo il naufragio : unico diletto gli procurarono I'amore ed il ricordo dei due discepoli che, sotto la sua guida, fecero profitto i"gú ,tudi dell'eloquenza; ad essi augurava gloria futura z Voi correte spontaneamenteoerso Ià dolu ta ilignítà e la oírtù dello zío cardinale, I'integrità e Ia sapíenza del genítore, gIí aoíti e I'immortale nome degli antenati oi chiamano. a) Dopo di ciò vi fu una interruzione di fasti

t) c -9621'l.

2) C-8260.

I

Moautìi, p. 466.

1) C-8534, pubbl. in Mcnslii, p. 522.


Studi preparatorrr

1r567-157o1

123

due anni nella corrispondenza tra maestro e discepoli, ma non cessò il vicendevole afretto e, quando il Manuzio venne a Roma, nell'agosto 1572, úmase amaramente deluso di non trovarvi Enrico e Camillo. r) Durante I'intenso periodo di preparazione per I'università nessuno svago fu concesso ai giovani; neppure di esser presenti al grande ricevimento che fu dato in occasione del battesimo delnipotino Bartolomeo Cesi. Finalmente, al principio dell'inverno del 1569, partivanoper Perugia, accompagnati da Quintino Acanzio, ottimo grecista che fu già maestro di Onorato, da vari servitori e prowisti di quel corredo necessario al decoro di giovani magnati, ma di pochi denari, affinché non potessero permettersi stravaganze nocive. Il cardinale ricapitolava la loro situazione dicendo z Vostro Padre et io ùí habbíamo mandati a Perugía perché, essendo intention nostra che attendíate assíduamente aglí studí, fu eletto da noí quella stanza come pÍù quieta dell'altre et píìt. Iontana da ogni sorte di soíamento.z) Il risultato non fu quello sperato. I neo-goliardi, frnalmente liberati dalla opprimente sorveglianza. dello zio che incuteva terrore negli animi, ricevuti dai colleghi e dai professori con quella ossequiosa riverenza dovuta a principi romani e nipoti di cardinali, si lanciarono nella gaia vita universitaria, spendendo largamente il . piccolo peculio di scorta e poco curandosi del precettore e dei familiari che solo, fino ad un certo punto, osavano porre un freno e rimproverarli. Le ore della mattina erano spese in fare .. visite ,,, ossia nel divertirsi con gli altri; nel dopopranzo e Ia sera andavano a sentire le .. Comedie ,, che non sempre erano delle più Àonesfe. Naturalmente questi peccatucci furono subito riferiti al cardinale, il quale disgustatissimo scriveva lorc: Pare che oi curiate poco della satisfattíone di noi alhi et molto meno della reputatíon oostra .,. che oí piaccía píù /'esser líberí che oirtuosí. Però sarà bene che i trattenímentì ínutílí uí díIettino un poco manco .,. Et accioché i líbn síano iI úostro trattenimento della mattina, bísogna che non o'íncresca di finuntíare a qualche commodità, anchora che non potrà incomodanti il leoaroi a buon'hora se Ia sera antíciparete I'horc della cena et dell'andaroene a letto. E concludeva: Vi certìfico che, soíandooi dietro aIIe oanità et commodi ooslri, non oi sara comportato et finalmente con Poco honore Portico e scala del palazzo Cesi ad Acquasparta. oostro sarcte ricchiamatí a casa.3) A quanto pare i signorini si moderarono alquanto e durante I'estate fecero ritorno a Roma; ma il 20 novembre 1570 partirono di nuovo per I'università, rimpianti piir di tutti dall'affezionato Peranda, a cui erano uno svago in quell'atmosfera di eccessiva austerità che regnava nella corfe del cardinale. Si congedò da loro rimpiangendo di non sentire píù iI romote solíto sopra Ia fesfa. In viaggio si fermarono ad Acquasparta per far riverenza alla sorella Beatrice Cesi, che abitava ivi nel magnfico pal^zrs costruito dal cardinale Federico, e che essa vide completare durante i primi anni della sua vita coniugale. Ivi furono ricevuti con afettuosa grazia ed assieme alla sorella girarono per le grandi sale, di recente afirescate suntuosamente da quelli stessi Zuccari

(1

lui, p.

55O

c 548.

2

loi.

Ingresso

all'università di Perugia.

Scappate

giovanili.


I GOLIARDI

124

La

questione delle

precedenze.

Lib.

ll,

Cap. XIll.

che stavano omamentando il palazzo di Cisterna, e si affacciarono al bel loggiato di pietra di taglio, donde la vista si estende lontana per la vallata umbra. Appena ripresi gli studi, nacque un acerbo conflitto tra i due Caetani ed il compagno di scuola Pietro Orsini, del ramo napoletano, sulla questione di chi avesse diritto di precedenza nell'entrare nelle aule; le proteste furono presentate al governatore della città e ognuno dei giovani addusse le proprie ragioni. In gran fretta furono awisati in Roma i rispettivi parenti. l) Intanto I'Orsini, indispettito della ostinazione dei Caetani, cercava d'impedire che gli studenti si recassero, come solevano, a casa loro per accompagnarli poi alle aule universitarie e diceva pubblicamente che, dopo che si fossero eletto í/ dottore per Ia serc,Iui subíto ooleoa comencíare a farlí pratiche contra acciò habbí a restar senza scolafi.z) Le impertínentíe continuarono mentre nella stessa Urbe la controversia di questi ragazú suscitava una viva discussione e non poche animosità tra i principi e dignitari; la questione esulava dal campo universitario, investendo Ie prerogative delle famiglie baronali alla curia pontificia. I cardinali Caetani e Orsini si fecero awocati della lite che fu sottoposta al giudizio del Santacroce, del Farnese e di altri cardinali nonché del mastro delle cerimonie e finalmente alla decisione del papa. Gli Orsini pretesero che Pietro aveva diritto alla precedenza perché maggiore d'età, piùr avanzato negli studi e perché figlio di duca. I Caetani basarono le loro ragioni sul fatto che Enrico era abate e, come dignitario della Chiesa, aveva precedenza sui baroni; prova irrefutabile di ciò era che ìn cappella del papa .,. quando s'íncensa, príma sono íncensatí í oescooí, doppo Ii protonotafij et appîeEso glt abbati et Ii genercIi de gli Ordini et doppo dí loro i barcní; di maniera che si oede che glt abbatt precedano.3) ln secondo luogo Enrico era barone romano mentre Pietro era napoletano: quando Carlo V fu a Bologna per Ia incoronazione (1530), il quesito si era già presentato nel grande concorso che vi fu di principi e gran signori d'ltalia, e fu risoluto d'accordo tra il papa e I'imperatore che, a parità di condizioni, dovessero precedere i baroni romani perché vassalli di uno stato (quello ecclesiastico) che non riconosceva superiori, non essendo nessun sovrano superiore al papa, mentre il regno napoletano, per essere feudo della Chiesa, era soggetto al pontefice. Inoltre il fatto che Pietro fosse figlio di duca non contava nulla perché, anch'egli secondogenito, non portava titolo, mentre che Enrico e gli altri cadetti di casa Caetani, come baroni dello stato di Roma, avevano diritto di succedere ugualmente nell'eredità paterna e quindi avevano stato e vassalli. Intanto che il cardinale Orsini cercava di arrivare ad un compromesso, e cioè che la precedenza îosse alternalrm, quello di Sermoneta teneva duro. ") Il buon Peranda, tutto infer' vorato per i suoi signorini, metteva sottosopra I' ufficio del cerimoniale e le filze del Vaticano: Io per scríoer in questa ca.tsa, diceva, mi son fafto mezzo legísta et non fo maí altro che studiarc in iure tanto che monsígnor Randonio è enlrato ín gelosía che ío habbía da leoargli I'Audítorato ; ancoîa che se fida dí questo mio studio et della mia applícation ad contraria per Ia incompatîbilità che hanno insíeme Ia rtIosorta d, Ie leggí. Ma già abbastanza si è detto di questa curiosa controversia. f,a sentenza fu la seguente: Enrico precedesse I'Orsini quattro volte su cinque; ma il Peranda gli raccomandava di non o$erùaîe la regola tanto ad unguem come se eIIa haoesse da du o pigliaî tantí ducatí d'oro dÍ Camera. u)

.,.

1) C-

ma

îI

sígnor Catdínale, che ouol ceàere, se

8539.

2) C-8539 e

*e.

3)

ha da cedete, ouol ancora

Pet, p. 8.

preced.ere, se

dí rcgíone ha da

precedete.


La

[57r]

t25

guestione delle precedenze

così la questione fu definita. Ma intanto gli illustrissimi signorini erano anche causa di ' molte altre noie ed incomodi al bravo Peranda ; peggio ! Si azzardarono a dargli " cicchetti " r) Allora al dotto e suscettibile segretario scappò immeritati scrivendogli frasi alquanto impertinenti. la pazienza e, il 20 decembre, vergava la seguente lettera che riproduco integralmente, perché rispecchia I'animo del Peranda ed illustra come col suo forbito stile riusciva a trattare argomenti seri e fare magari il burbero, pur lasciando trasparire la sua natura giocosa e buona. u)

E

Le SS. VV. Illustrissíme sono male informate della mìa natura, s'elle credeno, che per darni dell'asino, et del poltrone giù per Ia testa, io sía per seroirle píù assíduamente, ò con maggior oolontà, che non hò fatto fin quì: perché I'humor mio sí fa píù trattabile con Ie catezze, che co'l bastone; et non hò pauru dí maschere nè de brutti oisi. Ho scrítto con ogni ordinarío ò poco, ò molto, et non hìt mai scrílto così poco, che non habbía scrítto pìù d'ogní altro seîoítoî lorc, Che accade dunque oenirmí contra co'I grugno alzato, et gonfiar $enza ptopo.sÍfo I Non mi sí scríoa più dí questa maníera che per oila mia, et di quanto amo, non oedrete mai più mie lettere, et giuro un'altra oolta per oita mia, che non scríoerò,, maí più. Ma perché mi dolerà sempre in estremo, quando elle mí metteranno ín questa necessÍlà, come quello, che sono più ambítíoso di seroíre a i Padroni, che di riceoet gratie, hò deliberuto di capítular con Ie SS. VV. Illustrissíme, et farmí intender acciò che elle sappiano, come hanno a lrattar con me, se ooglíono, che io contínui a seroirle, et scrit)ere, come gíà hò dato príncípio, Peù díco prímamente:

Ch'

ío non ooglío, che me sí

che le míe

scuse

mí si facciano

braoi, se qualche oolta lassarò

scrioere,

ò se non sarò lungo;

et

buone.

CÀe si accusí Ia ríceouta delle míe leltere con Ia data, et co'l giorno, acciò che non mi habbia a b) dísperare, et sentir continuo battícuore peî pawa che siano perse. perché non debbo metter I' unguento, plichÍ, li Che íI portí si paghi, altramente non saîanno rr'scossí et Ie pezze; et gíà me trooo haúer speso fin quí undicÍ baiocchi. Però oi si prooeda, acciò che le lettere non rcstíno alla posto, o non torníno a Perugia. Che io sía ín mia lîbertà di scrioer d'ogní cosa, Ia qual peù sía honesta, et degna di esser intesa

senza slomaco.

Che io possa usat, et non usar cerimoníe, ortografia, buon carattere, parole d'ogní sorte, sava che nessuno mí habbía a ilprendere, nè meno a iderse del caso mío. Che non mi sí mandino lettere da rícapitar, se non quì ín casa, ooeîo a percone dì Casa. Che ò.sempre, ò non mai oenghíno in mano mia Ie lettere per íl signor Bonifatio illustríssimo, signor Honorato, sígnore sorelle, cognati, cognate et altrí sígnorí ò della Caso, ò parentì: a fn che si sappÍc sempte, ín che piego oadano, et perdendosí non s'habbía da íncolpar, chí non ne ha colpa. Che non mi sía dato ordíne alcuno, che per essequírsí habbia bisogno de'miei danari. Che non mí si commandí, che ío habbía da proponere a Morcígnor lllustrissímo, che faccia spue, nè mandì danari a' sígnorí nípotÍ, oltre all'ordínarío Che qualche oolta il seroítot sia rìc,onoscíuto delle sue fatìche con lì fruttí del paese.

Con queste conditíoni, et altre se farà bisogno dí aggíungeme, ío suíoerò alle SS. VV. Illustrissime; altramqte aeternum silentium. I* Iettere, che io hò ínoíato a Perugía, non sono state dírette da me a líbrarí, nè ad altfi: et però erc bene di saper prima Ia oerítà, et poi tiprendermí. M. Pietro Riccardi è uiúo, et sano, fuor che d'una rogna, ch'egli portò di Francia, clte co'l bí*otto, et con Ie sardelle insalate, et altrí cíbi marítimí usatí in galea, si è quasí conoeftíta in leprc.z)

.) In altra lettera

diretta

AIIì

Pahoní

wtza fa*idío, à

firmava la b) Credo opportuno ricordare qui che il numero delle lettere che andavano disperse o erano mal recapitatè, lascíale in Colerc (Pen, P. 36).

r)

C-8552'I.

2) Pet.,

p.

12.

saceouìa o intercettate ael secolo XVI, era grandissimo; i òafficuort, èi cui parla il Peraada, si riscontrano in tutta la corrisponde."o dell'epoca. Cf. capitolo XIX.

Ammonimenti del Peranda.


I COLIARDI

126

.Lib. ll,

Cap.

XIll.

Del resto i suoi ammonimenti severi rispecchiavano la severissima disciplina che il cardinale imponeva ai giovani. In casa Caetani i padroni procedevano per oerbum oolo et iubeo: II sígnor Henígo eI iI sígnor CamíIIo Caetani hanno da far tutto quello, che è mente del sígnor cardínal di Sermoneta, senz'andar nè pìù qua, nè più Ià, nè píù alto, nè più basso, nè píù ínnanzì, nè più índietro di quello che ouole, et commanda. t) Le parole erano chiare ! Torna in mente I'antica canzone romanesca: " Ci vuol altro, monsignore ! etc. > ; i goliardi non si incanalano così facilmente per la via della virtù al cento per cento ! Orribile a dirsi : nella gargonníère di Perugia si giocava al trucco ove avrebbero dovuto bastare gli scacchi, Ia palla ed il pallamaglio; il santuario dello studio era diventato una corte con cortigiani e corteggiati. Peggio, vi serpeggiava anche la maldicenza ! Se uoí non mutarete proposíIo, scriveva il cardinale, cí prooederemo d Ia prooísíone sarà gaglíarda et non termínerà in parcIe, ma in eÍfe\i ! 2) In quanto ai quattrini, non uno scudo piìr del dovuto !

3)

La severità di

Libri proibiti.

trattamento si manifestava anche nella disasperante parsimonia con la quale le notizie erano mandate da Roma a Perugia. Eppure il fratello maggiore Onorato, nel novembre 1571, tornava vittorioso dalla battaglia di Lepanto ed a Roma si preparava a Marcantonio Colonna un ingresso trionfale, di cui anche la casa Caetani era partecipe. Il sanguinoso combattimento contro Caracossa e Dalì, famosi corsari, le belle prigioniere, Ie lodi prodigate ad Onorato, la gloria della famiglia: erano tutte notizie delle quali i due giovani erano assetati; ma il severo cardinale aveva ordinato che di nulla si scrivesse a Perugia; fu inviata soltanto una a) I fratelli furono invitati a mandare una bella lettera relazione ufficiale della grande battaglia. gratulatoria a Marcantonio. 5) Alla frne del febbraio 1573 Enrico prese I'ordine di subdiacono. 6) In considerazione della santa vita a cui erano destinati i giovanetti, il cardinale consentì loro a oisítare Ia solitudíne dell'Aoemía mettendosí prima nell'anima quella deoozíone che rícerca Ia qualítà del loco pei santa (S. Chiara) che I'ha fatto celebre et degna dí ríoerenza. Purtroppo, la deootione andava mancando quanto piìr cresceva la loro intelligenza (segue la parabola del Fariseo e I'esempio del re di Spagna). Oh, la terribile curiosità! Enrico e Camillo avevano messo assieme le teste per leggere il Theatrum Vitae Humanae, libro suspetto et píeno dt malí

Ia

memoria

della

.) risaputa la cosa, fu dato I'ordine

imperativo che si mandasse il corpo del delitto a T' Roma perché la censura del Santo Ufficio lo purgasse o con Ia litura o col fuoco. Ma queste ragazzate, ehe ho narrato per tratteggiare la vita studentesca nel Gnquecento all'università di Perugia, avevano poco peso: i nostri allegri goliardi erano dotati di un largo fondo di pietà, di bontà e d'intelligenza, e ne fanno testimonio i pacchi di- esercitazioni che si conservano in archivio. Perfetta fu la loro conoscenza del latino, buono lo stile italiano e grande la cultura, il che li rese ben preparati ad assutttere le alte cariche ecclesiastiche di cui, tra pochi anni, dovevano essere investiti. Prima di chiudere, voglio ricordare ancora una nota

sensí;

allegra.

Peranda giungeva un bellissimo poema latino composto da Camillo. A dire il vero, mandando il componimento, il giovane I'accompagnava con una lettera nella quale diceva: Non

Al

.) Nell'/n/er Líb.

Ptohíbít. etc.

a

St:3ro

V

actus etc.

Romae, 1599: Theatrum tílae humanae, ptímum a Cortailo

r\ pen, 7)

p.17.

C-8423, 9085

etc.

2)

c-157I.II.28, C-8750.l.

Ll-

costhene Rubeaquensís inchoaclum, deînde

absolutum eac. 3) C - 8880.

a Theodoro Zaîngero


Congedo da Perugra

[1571-1573J

127

si mercoigli se oí tîooeîà qualche furto troppo scopeúo dalle oile dí Horatío. Era e fu sempre onesto ! Il dotto segretario Ia lesse e sorrise; poi prese la penna e scrisse al novello vate : L'honor che V: S. ///ustrr'ssíma si è degnata farmí con Ia sua lettera, et con I'ode mandatamí Ín essa, non si può meritar da me, non che pagare con ringratíamentí: onde la supplico à contentarsí di quelle gratíe, che io Ie ne dò con I'afetto dell'animo, non oolendo però che mi disobltghi di quello, che le debbo, et deoerò sempre. Laudo che V. S. Illustrissíma sí compiaccía alcuna oolta di poetar per suo gusto, et l'esercitio è nobíle, massime pîeso a tempo, et senza quell'ambítion, ò píù tosto oanítà, che fa impazzire alcuní, che sanno ogni cosa ín oerso, et che ín prosa riescono ígnorantíssÍmi. Il suo Poema mi è piacíuto grandemente, et oorrò mostrarlo al síg. Cardinal, nè mi dà fastídìo qualche imitationcella, un poco scoperta, perché noi parliamo in língua che non è nostra; et diftcile est proprie communia dicere, et non è cosa neenco da maestro prooetto il pígliarsí a díre le cose dette da oalent'huomíni ín modo, che non $e ne conosca il lor prímo auttore, oolendole dir così bene, che non cadano dalla perfettion dÍ chi Ie ha dette prima. È, b"n" íl oero, che bísogna rubbare alla spartana, ma quis est hic? cÀe si bene ci oerrà fatto ín qualche caso, non ci oerrà però fatto in tutti, et forse è míglior iI portu una oeste rubbata, che portarne una straccíala, mal cussifa, dí robba oíIe, et non bene addossata à chi Ia porta. Vostra Signoria lllustrissima continui ìn dar a se sfessa queste satisfattionì, perché sono degne dí lei, et se ne lror)erà bene, perché il far tersi è esercitío utíle; et a Vostra Signoría lllustríssíma

Piccoli plagi.

bacio le maní. t)

{s

così trascorsero tre anni e si avvicinava I'ora della grande prova: la laurea. Si fecero i preparativi per il finale addio: al dott. Severo Severi era dovuta una bella ricompensa per I'amorevole insegnamento dato a casa, ma a ciò si opponeva il collegio dei dottori universitari, gelosi di tutelare i propri privilegi. u) Lunga era Ia lista delle spese da farsi per quella solenne cerimonia, essendo questo íI stíle antico del collegio et facendolo tuttaoia ogni perugíno che sí addottorc.2) Il cardinale trovò la nota un poco salata, ma fu necessario chinare Ia testa e si mandò alla 6era di Foligno per comprare parte del necessario. Intanto i priori di Perugia, che già subodoravano nel laureando il futuro cardinale, conferivano ad Enrico la cittadinanza onoraria. 3) Il 14 febbraio 1573, il papa acconsentiva che Enrico e Camillo si laureassero per la Pasqua. a) Non so valutare la portata del consenso pontificio ma, comunque, il Peranda ne traeva la conclusione che ciò aweniva non senza qualche ottíma íntentíone di Sua Beatitudine oerso questa Casa. Il 3 marzo i du" fratelli avevano già conseguito la laurea; 5) solenne funzione nella quale il rettore dell'università pronunziò parole di lode per ogni neo-dottore, lode che, ove si trattasse di un nobilissimo barone, diventava un panegirico sulla famiglia che durava un'ora. I giovani, per raccogliersi durante la settimana santa e riposarsi sugli allori, si ritirarono in un romitorio di monaci dell'ordine di Camaldoli ove furono circondati dalle cure dei buoni frati ed assillati dalle domande di raccomandazione per il cardinale di Sermoneta. 6) Nel giugno finalmente

E

.) Dalla dell'universita concedesse

corrispondenza opponessero

si

un

il

govematorc

ottenuto mediante grandi pressioni che fosse dato un aumento di 50 scudi a ltes*r Bernandino Alfaro, forse insegnante dei giovaoi Orcini, e i Caetani si battevano perché altrettanto fossc fatto a favove del Severi (C-9066).

professori

di

Peruglr

di salario ai dottori che avevano dato ai nobili studenti. Il card. di S. Sisto aveva

aumento

privato insegnamento L) Pet., p.

*mbra rinrltare che i a che

?5.

\ C-9122.

3)

C-9125.

a) Per,

p.4?.

b>

C-9173.

6) C-9218.

Laurca.


$

li &i,

'i

i

Lib. l,

T GOLIARDI

l2E

Cap.

XIil.

Perugia per il bellissimo modo col quale si erano laureati e per essersi fatti anche amare da tutta la cittadinanza. r) Non credo che queste fossero vane patole, perché effettivamente i due fiatelli, ognuno a modo suo, si fecero amare durante la loro vita e, sotto il peso dei gravi uffici, loro a6dati, diedero prova di quella pieta, di quell'elevato senso d'onore e di guell'amor per il lavoro che furono ad essi inculcati e che, non ostante le scappate giovanili, già trasparivano nei loro scritti durante il breve periodo nel quale godettero della vita goliardica, sotto la severa guida dello facevano ritorno

zio

in

patria,

")

accompagnati dagli elogi del cardinale

di

aardinale.

J Ncl 1588 Enrico, diventato cardinale, fu cLiamato da Sirto V a fer parte della congregazione chc curava gli ioteressi della univenità di Roma (Pato4 p. 418). Ricorderò incidentalmente che i due hatelli, conseguita la laurea, ai occuparoao degli a(ari di ordinaria anmiaLtrezioac

ncl l57E-15E0, uoho :i diedero da fare pcr la Cachni d i Pio di Savoia per l'eredità dclla loro madre Cateriaa. Per le vicerde e la disttuzione del cartello di Mendola. feudo dei Pio, vcdi C-1579.Y.5 c 11. dello stato e,

carrta

Fa

i

r) c-9122.

{


Palaszo Caetartt

ONORATO IV CAETANI (t542

-

t59z)


Cnprror-o XlV.

SPEDIZTONE

DI CIPRO.

(r 5ó0-t 570)

EPANTo, nome preclaro nella storia della cristianità

e

delle gserre

navali !

'Quando nel mese di ottobre l57l giunse dalle coste delI'Epiro I'annunzio della strepitosa vittoria riportata sull'armata ., turca, reputata invincibile, la notizia si sparse in un baleno per ) tutti i paesi d'Europa suscitando indicibile giubilo; sulle terre dell'lslam piombò la costemazione. Tutti i capitani della flotta cristiana mandarono relazioni e lettere ai rispettivi sowani, parenti e amici; questi a loro volta riferirono le notizie ad altri; furono scritti volumi allora ed in epoca recente. Non è quindi certamente mio intento di narrare Bronzo della tomba di Onorato Caetani. in questi capitoli la lunga e, dirò, penosa storia della lega contro il turco, il merito della quale spetta esclusivamente alla fervente volontà di Pio V; la lega, per le stesse diffidenze e gelosie che ne ostacolarono la fornnazioae, non portò a quelle ultime conseguenze che si sperarono. Fedele agli scopi di questa cronistoria, mi limiterò a narrare quel che videro e operarono i membri della nostra famiglia.

*** L'anno 1542 nacque nella rocca di Sermoneta un bel maschietto al quale fu dato il nome Matrimonio Onorato, in ricordo dei due illustri condottieri del medioevo. La sua infanzia non fu dilferente caet.'colonna. da quella degli altri putti: noiosa e rumorosa. Severa fu I'educazione impartitagli a Sermoneta e poi a Roma sotto la guida di messer Sante e di Quintino Acanzio, emerito grecista; il cardinale Nicolò si prese I'incarico di tener soggetto I'animo indipendente ma generoso del ragazzo : ed a corto di quattrini Ie tasche, perché questi non si abituasse alle stravaganze. Giunto all'età di 15 anni gli fu scelta una moglie nella persona di Agnesina Colonna, di quattro anni piìr anziana di lui, ed il matrimonio, come già fu riferito, l) ebbe luogo nel 1560. Questo portò seco gioie, amarezze, onori e grattacapi Agnesina era una buona donzella, non troppo intelligente, la quale aveva ricevuto una educazione che, a giudicare dallo stile e 1) Pag, 93-4. Domus,

ll,

17.


SPEDIZIONE DI CIPRO

t30

La lite

di

Fogliano.

Agnesina

Colonna.

Lib. II, Cap. XIV.

dall'ortografia, lasciava molto a desiderare; portò seco una cospicua dote di 33000 scudi, da pagarsi in nove rate annuali, ma ci volle un torchio di montano per spremere questi denari dalle tasche di Marcantonio in quelle di Bonifacio. Alla scadenza delle rate dovute, il grande condottiere diventava terribilmente distratto e, passando per Ie terre dei Caetani, era preso da tanta furia di viaggio da non aver il tempo di andare a salutare la sorella ed i parenti. l) Tuttavia tale morosità fu sopportata con qualche pazienza durante i primi anni; ma quando a questa causa d'insolvenza se ne aggiunse una seconda per la contestazione sui diritti giurisdizionali sulla spiaggia di Fogliano, i rapporti tra i capi delle due famiglie si fecero molto tesi; giunti a questo punto, il padre di Onorato puntò i piedi e cominciò a diventare duro e scortese e nel decembre 1572, appena Marcantonio fu tornato dalla sua terza spedizione contro il turco, gli chiedeva di soddisfare finalmente i pagamenti della dote e degli interessi accumulatisi, ed aggiungeva : ... Simil petìtíone seroírà per I'ultíma mia scusa con Ieì, et .,. se V. E. non darà buon ordine che ío sí.a adesso ínteramente satisfatto, mí traoerà poì risoluto del tutto senz'altro dí procurar aI meglío che pobò dí esserlo.z) Le divergenze tra i Caetani ed i Colonna per la questione della spiaggia di Fogliano si trascinavano da ben oltre un secolo, assumendo nuove forme a seconda i tempi e le circostanze. Questa volta si trattava dell'acqua della Giordanella (l'attuale fiume Astura ?), posseduta in comune dalle due famiglie e che segnava il confine tra le loro terre; di essa i Caetani si servivano per alimentare, per mezzo del fosso di Mastro Pietro, il lago di Fogliano, affinché, durante i mesi estivi, potesse viverci il pesce e non mancasse in autunno la piena necessaria per ., sfociare ,, a mare. Ma condominio e discordia sono sinonimi. I mínístri di Marcantonio, per [impedire ai Caetani di ricevere I'acqua, costruirono una << parata u ; i nostri la demolirono; allora quelli ricorsero al radicale espediente di affondare un naviglio nella bocca della Gordanella; i Caetani si appellarono al papa (i disgraziati pontefici erano fatti arbitri di di ogni difficoltà, anche privata e personale!). Nel giugno 1569 la risolutíone fu rimessa all'ar' bitrio dei cardinali Colonna ed Alciati. 3) I termini non erano differenti da quelli dell'acerba causa dibattuta fra mio padre ed Attilio Mazzoleni non molti anni or sono ! Tutte queste circostanze facevano sì che, mentre da un lato Agnesina ed Onorato si volevano bene ed erano rallegrati dal non mai interrotto arrivo di frglioli, tutti senza eccezione maschi (l'annunzio ne era dato ai vassalli della palude con due colpi di cannone sparati dall'alto della u) rocca e dalle nuvolette di fumo bianco che si dileguavano al vento), httavia il secolare contrasto tra i Caetani ed i Colonna veniva a turbare la parentela. Agnesina ne soflriva e per dare sollievo all'animo si sfogava col frdo Peranda, che era il centro verso il quale convergevano tutti i cuori e dal quale inadiavano il buon consiglio e I'armonia. L'illustre letterato deve essersi grattato un poco la testa per capire ciò che Ia bella Colonnese voleva dire quando col suo stile, che non fa testo nella letteratura italiana, gli scriveva:

Mt

iloglio de non poter rcsponnere happíeno,

aIIa líterc ultíma che ho ficeùota da ooi

stanno

un poco jn ilessponsta, ma mí quíeto sapanno che conoscete l'anímo mio et possette pensare quel' che oí deoo jl che mi pare che deoe lígítimamente scusarc cirìmoníe de parole síché mí baslara dítai cnn

quata mia che conosco certì del' mundo tatto chíaramette come se ssí porfcsse iI core hapefto; perro non mí se dice cosa nessuna che mi para nooa et non acade dirme cÀe ssi esce fura sooerchio ; il tempo

Tanto era il senso dinastico, per così dire, di Onorato che egli volle che ogni suo Gglio nascese nella rocca di Sera)

moneta, sicché quaado

si

awicinava

il

momento

del parto, 3)

Agnesina

ché

si trovava in Rona, era trsPortata a Sernoneta per'

ivi awenise il husto evento (Orig', p.

se

C.826ó' l; Pct, p. 265 -269.

29).


t3t

Relazioni Caetani-Colonna

Ir560.157O]

farra fede de belle cose et poi che ha me tonca senpre jl guardare hapríro benne l'ochí non esenno justo che hobta jl danno e ll'íganno. Con quella fede che deoo oí prego hà farme piaeere de haoisarmc se mío fratello passara cosa nesuna e quel' che si fa elc. l) E fumava:

Ma

tralasciamo queste meschine faccende domestiche per parlare

che agitavano

il

V,

dei grandi

awenimenti

mondo.

***

vero pastore della cristianità, non si curava del dominio temporale, ma solo del bene spirituale della Chiesa. Mentre da un lato combatteva I'eresia che dilagava ovunque, fece il piir grande, piìr sincero e piìr efficace sforzo che sia mai stato fatto per unire Ie potenze cristiane contro il turco il quale, sempre piìr insolentito, predava i mari e sbarcava ovunque gli piaceva in terra cristiana. Sforzo immane perché i principi e Ie repubbliche erano talmente inacerbiti e sospettosi gli uni degli altri, che avrebbero quasi preferito la comune rovina all'avvantaggiarsi di un rivale. Sul trono di Costantinopoli sedeva il brutto, pingue ed alcolizzato Selim II. Quando seppe che I'arsenale di Venezia era stato distrutto da un immane incendio e che i raccolti europei erano stati cattivi, gli parve giunto il momento di awentarsi contro la grande repubblica marinara e toglierle il regno di Gpro, ultimo baluardo della cristianità nel Levante, dopo che i Cavalieri erano stati cacciati da Rodi. Nel marzo 1570 I'ambasciatore turco porse l' ultimatum alla Serenissima; quando si presentò nella gran sala del Consiglio ed ebbe parlato, gli fu risposto brevemente ed in un quarto d'ora la seduta era ultimata. La guerra era dichiarata ! Pur davanti al pericolo così imminente, mai Venezia e Spagna, le nazioni piìr interessate, si sarebbero messe d'accordo; questo non fu raggiunto che per il santo intervento di Pio V. Torres, l'ambasciatore pontiÉcio, dovette usare tutte le sue arti per estorcere dal tacitumo e diffidente Filippo II il consenso di cooperare con Venezia. Mentre legati e nunzi cercavano di chiamare a raccolta Ie altre potenze d'Europa e si allestiva una flotta pontifrcia, il papa prudentemente propose che a capo dell'armata alleata fosse chiamato Marcantonio Colonna, ben visto e stimato da tutti ed estraneo alle grandi contese politiche tra Ia Spagna e Venezia. Passarono mesi in discussioni sulle modalità e sugli scopi della guerra e, più durava Ia discussione, più la lega, anziché I'armata, navigava in alto mare. Frattanto il turco era già a Cipro ed aveva posto I'assedio a Nicosia. Finalmente (27 lug. 1570) il re acconsenÈ a che Giovanni Andrea Doria con 49 galee, che stavano in Sicilia, si unisse alle 12 del papa affinché, qotto il comando di Marcantonio, andassero in soccorso di Cipro con la flotta della Serenissima, che era già in mare. Mentre ferveva la preparazione delle galee pontificie in Ancona e in Venezia e Marcantonio arruolava i piùr bei nomi di Roma nelle schiere dei combattend, Onorato Caetani smaniava di

Pio

1)

C-7882.VI.

Lega contro

il

rurco.


SPEDIZIONE DI CIPRC

l32

Alruolamento clandegtino

di

Onorato.

Lib.

ll,

Cap. XIV.

partire anch'egli. Contro il suo intento c'erano due ostacoli: anzi tutto il padre e lo zio erano contrari e per la spesa e perché non approvavano che il futuro capo della famiglia, con frglioli ancora tanto giovani, partecipasse a così pericolosa impresa; in secondo luogo I'animosità contro Marcantonio per il fatto dell'insoluta dote faceva sì che essi non avrebbero veduto con piacere il primogenito andare in guerra sotto il comando di questo. Invece Agnesina, Onorato ed anche il Peranda se la intendevano in segreto con Marcantonio e la madre di lui, Giovanna d'Aragona, e fu escogitato il piano di chiedere I'interessamento del papa affinché questi, invitando Onorato ad arruolarsi, mettesse il padre e Io zio in eondizione di non potersi rifiutare. r) Forse Pio V non acconsentì a tale manovra; certo è che Onorato preferì seguire un'altra via piìr diretta: andò dal cardinale Alessandro Farnese, amico d'infanzia dello zio Nicolò, e gli disse che era risoluto di andare alla guerra con Marcantonio perché così comportava il proprio onore: non poteva rimanere a casa mentre che tanti dell'aristocrazia romana e di altre parti d'ltalia partivano come capitani o come semplici oenturieri sulle galee pontificie. ") Il cardinale era tutto in simpatia col giovane e, I'undici giugno, scriveva al cardinale Nicolò, del quale fingeva di presupporre il consentimento, raccomandando di favorirne I'iniziativa, di fornirgli i denari occorrenti e trovargli almeno quattro uomini di guerra, frdati ed esperimentati, che lo accompagnassero. 2) Invece Bonifacio e Nicolò si opposero. Allora il cardinale scrisse loro di nuovo facendo presente che oramai Onorato aveva preso Ia decisione e che quindi era necessario che si contentassero tanto piùr volentieri in quanto che il giovane si sarebbe acquístato onore nel

del mondo.3) Ma i vecchi non vollero accondiscendere ed allora Onorato agì per conto proprio: dietro garanzia del Farnese, si fece prestare i denari occorrenti, trovò qualcuno che I'accompagnasse, si armò e, senza piìr farsi vivo in casa, verso il 20 giugno partiva alla volta di Ancona per raggiungere Marcantonio ed i 300 nobili venturieri, che si erano raccolti intorno a lui. I Caetani se la presero col Farnese il quale, punto turbato, si scuù della propria complicità, facendo cospetto

il proprio nipote a Venezia, e filosoficamente concludeva : Cht ha Ii nipoti che passano oentí anní gIí ínteroìene dt simili case e bisogna braoarc et tenerli ín freno quanto si po et, come non sÍ po più, Iassarlí andare. Noi I'haoemo fatta alli nostri oecchi et Ií nostri giooaní ce Ia fanno a noi et cosi è andato et andarà iI mondo sempre. 4) Ai primi di agosto le dodici galee pontificie partivano da Ancona per Otranto, ove doveva raggiungerle Ia flotta spagnola. Il Doria aveva segrete istruzioni dal suo re di unirsi all'armata e di mettersi sotto il comando di Marcantonio, ma di fare sì che le operazioni si trascinassero in lungo e I' impresa rìuscisse vana: dilazioni, lentezze, scortesie e consigli di eccessiva prudenza furono i mezzi dei quali si servì il Doria per assolvere il regio mandato. Ciò nonostante il osservare che aveva dovuto fare altrettanto per

L'armata.

da 198 navi con 1300 cannoni e ló000 soldati, salpava frnahnente dal porto di Suda in Candia per le coste dell'Anatolia, in soccorso della travagliata isola di Cipro; purtroppo già era caduta I'eroica Nicosia (9 set.) col massacro, si disse, di 20000 cristiani b) e le forze turche si erano concentrate intorno alla capitale, Famagosta. 17 settembre I'armata, costituita

a) Tra costoro il Guglielnotti aanovera: Orazio Orsini, Pompeo, Lucio e Prospero Colonoa, Muzjo e Giacomo Frangipani, Domenico de'Massimi, Alessandro Ferretli, Cencio Capizucchi, Fabio Piccolomini, il marchese Malaspina, Giulio Gabrielli, Canillo Accoramboni, Curzio Caracciolo e molti altri. b) Così riferiscooo alcuni storici, ma Onorato scriveva al Pe-

\)

t

hominí, ma con I' haoet getlatí a

Per.,

p.

18-21.

)

C- 84ó7'

I

mancamenlo

di

.,.

gente

sí è peduta pcr soldalí et non FeÌ altra causa, perché íI luogo

che facesse suffcíente tesístenza

Ia fortezza

eta inespugnabítíssrmo. I* moilí delle petsone sono seguíle assaí men latgamente che non sí credeoa, perché í soldati solí sono anAafi ín pezzí .-. Il sscco è

per se rlesso

lena duí baluadí a

slato gra*síssfttm dí sette míIlíona d'oto et ha durato clnque gìomí antínuí (C - 1570 . XII . l3 ,8540 ' V).

bii

1) c-8471.1.

raada : Mcosra . ., sl pcdctte senza batteúa, et senza míne, el senza rebellíoní

foea dí guaslalori, et dí spezzapíehe, non haoenilo trooata

\

C-8474.


[giu.-set. 1570]

llt

Vane operazioni belliche

infauste notizie portarono molto scoramento nell'armata cristiana; la stagione si era già fatta tarda e le tempeste autunnali tormentavano e dislocavano Ie galee; undici delle veneziane e tre del papa naufragarono. Una ínfermità, accompagnata da altissima febbre, faceva strage

Tali

tra le soldatesche e le ciurme, sicchè oltre 30 al giorno morivano, senza contare i galeotti. l) Gannandrea, valendosi di tutto ciò, insisteva perché I'impresa si abbandonasse e ognuno tornasse a casa. Dopo tempestosi convegni, ne' quali Marcantonio ed il Doria entrarono in aperto conflitto (26 set.), prevalse il consiglio di quest'ultimo.

La flotta si sbandò. I veneziani, giunti in Candia, disposero per i soccorsi da mandarsi a Famagosta che eroicamente

si difendeva. Lo spazio non mi consente di estendermi nella descrizione di questo famoso assedio, ma tuttavia voglio qui riprodurre integralmente la iettera

di

un tale Ranuccio Roscetti, uno dei tanti

Andrea Doria

(Bibl. Nat,, Parigi;

Estampes).

oramai dimenticati difensori della città, eloquente nella sua semplicità e viva per I'ardore che in essa spira. Mandata a suo fratello, il cav. Lodovico Roscio, in Roma, fu evidentemente prestata al Peranda e non mai restituita. Che la Domus serva, dopo quattro secoli, a riaccendere il ricordo di uno sconosciuto che degnamente compì il proprio dovere.

Molto magnifico et honorundo fratello Possete pensarc quanto m'è stata grata et di recreatione una lettera di V. 5., non tanto pet esset io stato 19 mesi senza haoer haouto oooiso da padre, nè da matre, nè da fratellí, nè da nesuno, quanto che la ooslra ha passato dínanzi a 500 oele turchesche sul leoar del sole poco píù di mezzo miglío, dooe fioccaoano Ie artiglíarie dq mare et da terrc, et la fregatína se ne oenne in porto oIIa barba dí tutta I'armata turchesca. DíI che Ií Bascia sí piglioro gran fastidío, et massìme quel dí mare per quanto haoemo potuto íntenderc da prígione. II giomo sequente si caccrò foco ín un galíoncino turchesa che era pieno dí schiaoí, gentillnmíni tutti et gentildonne bellíssime, di quelli che so' statí fatti prigioni a Nicosia; et detto galioncino míse a fondo un caramuscialí el dui galere: donde che fra schíaoí et giannizzari che erano dentro in questi quattro noioili, passano duímílía et cínquecento persone che andoro tutte a fondo. II terzo dì se ne leoò íI campo da torno a Famagosta. Io oi ritornerò a díre quello che dooea dír primo. Dopo la perdíta di Nícosia, dooe dal sacco di Roma in fora non st potuto Jar iI magior bottíno, a capo di otto ù oenne il campo a trooarci, cíò è tutto il campo, perché primo, subílo prcr,a Nícosia, arríob Ia caoallería con Ia quale príma che giongesse detto campo noí scaramuccíammo ogni gíomo.. essi sono molto braoí, et tanto stimano l'arcobusciate quanto stimo ío le fiche che mí metto in bocca. Ci accamporo, et cí hanno battuto da 16 gíornÍ nè cí hanno potuto fu cosa che habbtno oolesto. Donde si ficcoro sotto con Ie trincere íncíno a un tratto di mano, ma nai glie ne demmo guante ne hanno ooleste, et Ií ne haoemo amazzatì di molti hominí, tanto che cn, li leoammo d'inlorno et se ne sono tomati da tre miglia lontano da noi, et se ne slanno alli soi padiglioni, quali durcno dí longhezza da otto miglia, et da un miglto di laryhezza, stretti che è una bellezza a oelerlí. Ma non resta che per questo ogni ù non scaîamucciamo con loro; petché andamo ogní dì a guastarli le sue hincere et fortí et cannoníqe che hanno fatte. Et dico cÀe oengono sotto lamuraglía, dooe con larcobuscí et artÍgliarie Ii tardassamo, et pute combattono oalorosamqtte. Horc oí dirrò d'una fattione che t) Per., p.

5.

Assedio

di

Famagoata'


134

SPEDIZIONE DI CIPRO

Lib. II, Cap.

XV.

facemmo pet quel tempo che 'l campo erc a Nicosío, ín un toco che sí chiama Sà Sefur,, Iontano cinque míglia da Famagosta. Li andamrno ad assaltare una notte dentro alli padiglìoni dot)e era una guardía di 300 caoalli, et alcuní dícono 500, et dooe ne ctmmozzemmo noi

fanti:

assaí

etfu

bottínato chi

Sl che Ia presa di Nicosia fu sabato a mattína allí 9 di settembre, et alli 17 se ne oennero sotto a Famagosta, et alli setle ooer otto ci si leooro d'attorno ancota non cÍ síano andatí "h" calaoa íl tîoppo lontani. Et simíImente I'armata di mare fece oela dí qua; et Ia sera quando sole ci faceoa una saloa di arcobuscíate che passalano diecí milia et símìlmente lo Io scrioereí piit oltra ^oiino. come ci trooamo di' qua; ma io non posso perché mí bisogna mostrare la lettera. In somma íl oino oale 50 scudi Ia soma. Qui ío ho haouto boníssima not)a de lí miei puilí: ancora che io habbia altrr fastidii a state ogni dí alle arcobuscíate, ín ognì modo semprc Ii ho nella fantasia. Aooísarete mío padre et mia madre che per ínsino quí, che semo alli 14 dt ottobre, ío sono aioo. Dimani poi haoemo da fare una bella scaramuccía. Raccomandatemi a tutti, et diteli che io ho bisogno delle loro oratíoni, sì cÀe, signor Caoalieri, io úi raccomando li miei putti. A un hora a I'altra pu, me, da pensare se "'ènoi siamoHaoete quanto è gtande questo mondo, se quante miglíara de miglía è largo; ristretti in un míglio el mezzo solo, et a V. S. mi raccomando et aI mío caro padre et matre et fratelli turil. Di Famagosta, 14 dt ottobre 1570. Dí V. S. serur'lore et fratello Ranuccío Rosceflí. t:olse guadagnare.

Avventuroso ritorno.

Marcantonio Colonna si accinse coi fidi compagni al viaggio di ritorno. Esso fu lungo e pericoloso. Quel che rimaneva della squadra pontificia, sbattuta e smembrata dalle tempeste, decimata dalle malattie, dovette rifugiarsi nelle bocche di Cattaro ove, per rendere più disastrosa la ritirata, Ia nave capitana di Marcantonio, colpita da un fulmine, prese fuoco e poi saltò in aria per lo scoppio della S. Barbara.

Ma la mala sorte non aveva

ancora cessato di perseguitare il prode capitano. Partitò da Cattaro con una galea veneziana, naufragò presso Ragusa. Finalmente con sole quattro navi faceva ritorno ad Ancona. Purtroppo, non si è conservato alcun documento che ci dica che cosa Onorato vedesse ed operasse in questa infelicissima spedizione; egli scrisse pochissimo e soltanto a sua moglie Agnesina 2) ; stette sempre vicino al Colonna, assistendolo nelle di6cili e penose trattative con Giannandrea Doria, e gli fu compagno di nave nella awenturosa odissea del ritorno. 'Gunto ad Ancona, precedette il suo capo, forse in compagnia di Pompeo Colonna; verso i primi di dicembre giungeva

in

Roma.

Bonifacio ed il cardinale Nicolò ebbero quasí a mofire d'allegrezza e non meno di loro il bravo Peranda che, il 13 del mese, annunziava la lieta novella ai due goliardi di Perugia. Per molte ore di seguito Onorato fu assillato dalle domande dell'intelligente segretario e della famiglia: dovette raccontare tutto, per filo e per segno. I suoi racconti furono una rivelazione: dunque non erano vere tutte le lodi che si erano tessute a Roma sul conto del profeta Habuc (così il Peranda designava nella sua criptografia I'ammiraglio Doria); il papa, informato della verità, lo chiamava il figlíuolo dell'íniquítà et dell'íra e degne della forca erano quelle quarantanot)e (galee) che avevano servito con così poca utilità della santa causa. ") Il Peranda prendetsa un gusto mirabîle a far parlare Onorato e lo scongiurò a scrivere tutto quello che aveva visto ed inteso perché ne formassero un corpo d'Hístorio ch" píacerà o) Le prime notizie giunte in Roma erano state più a sfavore del Colonna che del Doria, forse per esservi prima giunta Ia relazione di quest'ultimo. Il card. Nicolò, il 3l ott., scrivendo al fratello Bonifacio, gli mandava copia di qu6ta e, poco in

rimgatia r)

col

Colonna, commentava:

c' 6518.

2)

Pq., p.

3.

Non sò

anco díte a

V. S. chí di loto habbía totto, nè per dífetto dì chî sia seguílo queslo dísordlne: ma dubbíto che la colpa saà del síg. Mar canlonío come dl slgnore manco praltíco delle naoígatíoní et

delle guette dl marc (C- 1570.X.31,

N.

140920).


Avventuroso ritorno

[ag.-dic. 1570]

135

a

noí albi píù che non piacquero quelle scîitture apologiche che si mostraúano come Ie relíquie. ") Con tutto ciò il vecchio Bonifacio Caetani era ancora talmente offeso dal poco conto nel quale era tenuto da Marcantonio, probabilmente a causa della insoluta dote di Agnesina, che non gli scrisse neppure un biglietto di congratulazione per esser tornato a salvamento dall'avventurosa spedizione. l) di cui ora si dirà. Nel nostro archivio si conservano vari documenti importanti che riguardano questa spedizione e tra essi ricorderò an-

") Purtroppo guesto diario non fu scritto o si è peiduto. Il predetlo sÍgnore (Onorato) ha portato un líbro dí asmografia, íI píù bello che'.sía ín lutto ll mondo, et dí oaluta

spedizione,

dí 500 t"uili, È failo à mano, mìniato, ín

cora: Copia fatta per Agnesina Colonna di una relzione attribuita a Marcantonio (C - 8926). Parere di Marcantonio Colonna, del IX . I 570, in Candia, sopra I'andata a Cipro (C - E509). Re-

pergameno, e

senì tulto al naoigare, gíustlssímo et prelíosissùno (C - E540 ' V). Il papa fu soddisfattissimo della condotta di Onorato; e non meno soddisfatto dovette essere Marcautonio

di

il

quale ebbe agio

apprezzarne le qualità, ciò che l'indusee, I'anno seguente, a

sceglierlo come secondo

in

comando

della nuova

e

vittoriosa

plica del sig. Giov. Andrea Doria, del 5.X. t570, in Candia (C-8510). Di questi documenti, o di altre copie, ha fatto largo uso

il

Guglielmotti nella sua opera.

1) C - 8739.

Bronzo della tomba di

Onorato Caetai

(G. B. della Porta).


Capnolo XV.

LEPANTO. (1571)

flotte cristiane incrociavano davanti all'isola di Gpro senza nulla concludere, a causa della reciproca diffidenza dei capi e della malafede spagnola, anche le trattative promosse da Pio V per la formazione di una grande lega difensiva ed offensiva contro il turco erano in alto mare. Quando I'ambasciatore pontifrcio era riuscito ad ottenere il consenso della Spagna su una questione, Venezia veniva fuori con nuove difficoltà; appianate queste, la Spagna avanzava altre pretese o condizioni non accettabili alla Serenissima e così via. Filippo II, taciturno e difÉdente, meditava nella solitudine del suo studio sul disegno della monarchia universale, ambita dal padre, e, con una bigotteria che ascendeva al fanatismo, progettava la feroce estirpazione di qualsiasi eresia in Europa, senza rendersi conto che Bronzo commemorativo I'uno e I'altro suo sogno erano messi in forse dal predominio marit' della battaglia di Lepanto. timo degli infedeli. La sua costante politica fu di tener debole la repubblica veneziana, unico stato d'ltalia che non si fosse ancora piegato alla egemonia della Si"gn". Dall'altra parte Venezia, insofierente della dominazione degli Asburgo nel mondo e ,ingJl"rmerrt" in ltalia, non voleva prestarsi a diventare strumento utile a Filippo II e, come accordi che ,"p"uUUti* di mercanti, non rifuggiva dall'idea di venire col turco ad amichevoli Ie fosse riuscito di ottenere di le avrebbero permesso di liberamente commerciare, quando non u) piìr, schiacci"ndo lu potenza degli osmani nei mari di Levante. Non ripeterò qui la interminabile storia di queste laboriose trattative che fecero incanutire pio V p", i" disperaziong consumarono sino all'ultima goccia della sua pazienza e furono ENTRE le

Pio IV e

la

lega cristiana.

e purissima fede. Il 25 maggro 1571 frnalmente condotte in porto solo per merito della sua incrollabile capitoli della lega furono letti, approvati dalle pa*i e due giorni dopo pubblicati in S. Pietro:

i l" l.g" contro il turco era difensiva ed ofiensiva e di durata indeterminata; fottu di a)

Il

I'arma sua era una 200 galee, 100 navi ausiliarie, 50000 soldati, 4500 cavalli; al principio di ogni estate

seguente raccoato

è

basato principalmeatc sulle

opere

sulle del .Sereno, Jel Guglielnoffí, ài luríen de la Gtaoftte, ..r.o"n"- pobbli*tl nel Cosmos e sui docurnenti dell'lrc.

Co"t.l gr^o numero dei quali furono pubblicati a cura del Coometto rincl neile u l*ucre ilf On. Caetanì etc, '. Per brevità di citare queste fonti, nonché di dare le indicazioni archivisti-

che relative all'ultima

di ese' è da

Inaumerevoli, come

supporsi, furono

le relazioni, le

e le rime scritte per celebrare la battaglia di Lepanto: f.eo S. olscÀdi nel suo catalogo LII del l9o3 (Hístoírc

storie

de l'Empbe Ottoman) dà complete indicazioni

di 9l

opere stamPate'

bibliografiche


o

F

z 0.r r-t Ò

où HÈ

':

fr

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È-L


[gen.-mag.

l57l]

Preparativi per

la

137

spedizione

doveva prendere il mare e recar straie nelle terre degli infedeli, disperderne le navi, Iiberare le città cristiane. Don Giovanni d'Austria, I'illegittimo figlio di Carlo V, bello di aspetto e d'animo, u ltultimo dei paladini ,r, doveva esserne il capo supremo, mentre secondo in comando fu nominato Marcantonio Colonna. Questi si accinse subito ad armare ed a riunire intorno a sè una schiera di nobili combattenti romani, ancora piùr bella e forte di quanto era stata I'anno precedente.

È

inutile dire che Onorato Caetani era deciso, sin dal giorno che fece ritorno in Roma, di partecipare alla seconda e più grande impresa. L'esperienza avuta I'anno precedente, servendo sotto il comando di Marcantonio, gli aveva fatto apprezzarc le altissime qualità di questo generale ed allo stesso tempo gli aveva permesso di guadagnarne la piena frducia; i pericoli corsi impunemente gli erano incitamento a più vaste e più ardite azioni, alle quali aveva oramai speranza di partecipare con qualche onorevole incarico. Tuttavia i " vecchi )> non avevano cambiato di mente: la bella riputazione acquistatasi da Onorato nella infelice spedizione aggiungeva alla Casa quel decoro militare, del quale era stata priva dal principio del secolo in poi; ma, al loro punto di vista, ciò poteva bastare; alla nuova spedizione il primogenito non doveva partecipare. In tale r) D'altra parte, senso influiva anche il fatto che Bonifacio era in pessimi rapporti con Marcantonio. in segreto, il maestro di casa del cardinale Nicolò, Francesco Capocci, ") ed il Peranda lavoravano per il secondo padrone (così era chiamato il nipote), e Marcantonio Colonna ed il cardinale Cesi 2) cooperavano mettendo buone parole presso il papa. AIle dificoltà causate dall'opposizione del padre e dello zio se ne aggiungevano .altre dovute alla ressa degli aspiranti ed ai sotterranei intrighi per ottenere i piir elevati incaricH. Con tutto ciò Onorato, il quale era cocciuto come un mulo e sempre faceoa a testa sua, alla fine la vinse; i competitori furono scartati ed i vecchi dovettero cedere e, una volta deciso in guesto senso, fecero tutto il possibile per aiutare il giovane: si preoccuparono di trovare gli uomini fidati che avrebbero dovuto accompagnarlo; gli diedero i denari ed il conedo occorrenti; dall'armeria di Sermoneta furono tratte le migliori armi e Io stesso cardinale gli donò un ottimo giaco a maglie d'acciaio che lo proteggesse dalle frecce degli infedeli. A Sermoneta Agnesina e le donne di casa avevano scelte le piùr belle sete, azzurre, gialle e rosse' che si potessero trovare e stavano cucendo il grande stendardo, al centro del quale erano le onde di casa Caetani ed ai quattro angoli le bianche colonne coronate su campo rosso; esso doveva sventolare sulla nave di Onorato il giorno della battaglia. Nel contempo il papa, benché non fosse ancora sicuro di poter concludere la lega, stipulava col granduca Cosimo de Medici un contratto per il noleggio di dodici galee, che questi teneva in Livorno, 3) non volendo piir dipendere da Venezia, città troppo distante e che gli aveva dato poca soddisfazione I'anno passato. Ad Onorato era stato ,àssicurato I'incarico di capitano generale della fanteria pontificia già prima che fosse stata'pubblicata la lega, e I'indomani (31 mag.) dovevasi firmare il relativo breve. Invece i malevoli e gli invidiosi, che non mancano mai a chi cerca di far nobilmente il proprio dovere, appoggiati da alcuni cardinali, fecero in modo che la nomina ufficiale non fosse emanata per timore che Onorato potesse rivestire il grado per tutta la durata della lega, la quale si supponeva awebbe sussistito per vari anni. Ed, in vero, le aspirazioni del quale si cons€rYano nu' ") Franc. Capocci di Terni,

merosissime lettere nel nostro archivio, mod il l8.X.l58l' in età di 58 anni, I Caetani in suo ricordo Posero una lapide nella t>

c-8739

Domss,

ll,

-8744.

18,

2) C-8737.

\ Arc.

chiesa

di S. Maria in

na|r- (Forcella,

St. Fitenze, Med,icea 2171.

Posterula, adiacente

X, p. ll9).

al palazzo del cardi-

Arruolamento

di

Onorato.

Nomina a capitano generale.


Lib. II, Cap. XV.

LEPAN'TO

t38

del Caetani miravano a questo ed all'incarico ancora maggiore di " generale della fanteria nella Lega ,, ma ciò era piìr di quanto il papa poteva concedergli, e quindi dovette contentarsi di quello di .. capitano generale di fanteria della flotta pontificia " ; grado che esercitò durante l'intera campagna del 1571, pur senza averne avuto I'investitura formale; Io troviamo però ufficialmente ricordato con tale titolo nella bolla del 23 ottobre 1586 con la quale Sisto V erige Reclutamento

della truppa,

Sermoneta in ducato. l) Comunque il cardinale Alessandrino diede subito ad Onorato la patente per fare nello stato della ChtesaíI suo colonnello de 2000 fantí di ogní qualítà d'huominí ... fuorché per Ia Marca et per Ia Romagna. 2) L'opera di preparare le soldatesche si era andata svolgendo già da parecchio tempo, ossia da quando, ai primi di maggio, prevedevasi con certezza che la lega si sarebbe conclusa; 3) perciò I'ordine di mobilitazione si potè condurre a buon fine nello spazio di

pochi giorni.

I'ltalia, durante le guerre degli di varie centinaia di migliaia di uomini validi, e quelli che

Il reclutamento si svolse in mezzo a non lievi difficoltà:

ultimi decenni, era stata depauperata si potevano ancora trovare nello stato ecclesiastico, erano alquanto impauriti dalla grande mortalità awenuta durante la spedizione di Gpro; inoltre gli stessi malevoli, accennati sopra, valendosi anche di Michele Bonelli, nipote del papa, lavoravano strenuamente sotto mano per ostacolare o) *u, lavorando giorno I'arruolamento dei soldati; Onorato amaramente si lagnò di tanta perfrdia e notte, valendosi dell'opera dei parenti, degli amici e anche dei fratelli che studiavano a Perugia, e con Ia buona volontà di quelli ferventi per la santa causa, riuscì tuttavia nell'intento. Molto merito spettò a Bartolomeo Sereno, autore dei ben noti .. Commentari u, al quale era stata affidata la direzione generale delle operazioni. Onorato diede ordine che le otto compagnie di 200 fanti ognuna, che si erano formate in Perugia, Foligno, Spoleto e in altre città dello stato, si muovessero subito in completo arnese di 5) guerra e si radunassero in Corneto prima del 5 giugno. Il nove grugno Onorato andò a baciare i piedi del papa per congedarsi; nell'impartire la benedizione, Pio V gli ricordò d'aver dato ordine a Marcantonio che a bordo delle galee fossero proibite due cose: che si bestemmiasse e che si conducessero giovani imberbi. Ciò, suppongo, fu voluto per i gravi pericoli che i giovincelli potevano correre' non tanto in battaglia quanto durante la traversata. Per tale ordine Onorato, all'ultimo momento, dovette lasciare indietro tutti i suoi bei paggi e prowedere in fretta e furia ad altri servitori. Precedendo il capo di qualche giorno, si recò a Corneto ed ivi mise in ordine le compagnie per Ia rassegna, mentre Ie bianche vele delle galee del granduca Cosimo apparivano davanti a Gvitavecchia. La

rassegna.

' Il giorno 19 le truppe, ivi trasferitesi, furono passate in rivista da Marcantonio e dagli

altri comandanti con largo còncorso di cavalieri e di belle dame. Alla cerimonia erano presenti i rappresentanti di tutti i più grandi nomi di Roma: vi erano cinque rampolli di casa Colonna, quattro di casa Orsini, due Capizucchi, Alessandro Farnese, Giacomo Frangipani, Lelio e Domenico Massimi, mons. Paolo Odescalchi, Fabrizio Ruspoli, Fabio Santacroce, Troilo Savelli, ó) Onorato apparye armato di tutto punto, con abito di raso Sforza di Santafiora e molti altri. bianco e la picca sulla spalla, ed era cosi bello che il segretario, Muzio Manfredi, fiero del proprio signore, scriveva al Peranda: Chí non Io oíde, ha perduto di oedere una cosa rara-

t)

Ptg.

Tomassetli

in

t)

2130.

Cormos,

p. 28.

Solincì, P.78.

,

C-

8778.

\ Car., L. O., p. 25.

5)

C - 8783

'll.

6) Vcdi Salinei

e


[giu-lug. l57l]

Partenza della squadra pontificia

lt9

il comandante in capo, motteggiando allegramente e gentíIissimamente, mentre questi passava in rivista i soldati, cassando senza pietà tutti quelli che non avevano buona apparenza e licenziando quelli senza barba e quindi tutti i paggi e molti giovani di distinte famiglie. L'insegna della compagnia di Onorato, azzr$ta, gialla e bianca, colori di casa Caetani, dai quali non eransi volute omettere le bianche aquile di Fondi, l) sventolava allegramente al vento di mare. 2) Il numero di soldati approvati nella rassegna fu di 1400, ma dovette ridursi a 1200 perché le galee erano già in parte prowiste, per cura del granduca, di ottimi cavalieri e nobili fiorentini.

La gaia brigata

accompagnava

Le truppe furono imbarcateil 2l giugno: Ia galea capitana fu data in comando a PompeoColonna, luogotenente di Marcantonio, la Padrona ad Alfonso d'Appiano, la Reina all'Olgiati, la Grifona, che era Ia nave di Onorato, ad Alessandro Negroni, e le altre a vari capitani. Quello stesso giorno la squadra pontifrcia prendeva vela con un fresco vento di tramontana e, fermatasi un poco a Gaeta, giungeva il 24 a Napoli, accolta con grandissimi onori al rombo dell'artiglieria che sparava dall'alto delle antiche fortezze.3) Tuttavia le manifestazioni di gioia ed

Viaggio Napoli-Messina.

i

pomposi ricevimenti erano un velo alle diff,denze, ai rancori ed agli intrighi che fermentavano tra gli alleati e tra gli stessi amici e parenti; pochi erano i capi che, senza riguardo a personali interessi e vanità, desiderassero con tutto il cuore

che I'armata si radunasse al più presto e senza indugio si lanciasse nella grande, awenturosa impresa, che doveva decidere delle sorti della cristianità. Tra questi pochi erano da annoverarsi don Giovanni d'Austria, Marcantonio ed Qnorato. Quest'ultimo era tutto rattristato per il giornaliero procrastinare della partenza, ma cercava di non farlo vedere agli altri. Muzio Manfredi, suo segretario, confidava al Peranda: EgIi ha, come sí oede, rtsso gíà íI pensíero a fine glorioso, inchínatooì dalla nobtltà sua úeramente illustre e tiratooí dalla oírtù proprtq,' così abbia iI cíelo confume aI bello desídefio suo ed esaltatíone sua perpetua. Finalmente il 15 luglio la squadra pontifrcia partiva per Messina, ove dovevano raggiungerla tanto le navi che venivano dalla Spagna con don Giovanni, quanto le varie squadre della flotta veneziana, dislocate nell'Adtiatico e nell'Egeo, in modo da procedere poi tutte assieme a sfidare il turco. Il 20 le navi del papa entravano in porto. Qui si fecero le solite dimostrazioni di giubilo. Tre giorni dopo arrivava il primo scaglione della flotta veneziana, guidata dal vecchio ed eroico Sebastiano Veniero, alla quale andò incontro Marcantonio con le sue navi, e dall'una e dall'altra parte si spararono colpi di cannone e salve di archibugi senza interruzione alcuna, a chi più poteva, a tal punto che I'aria si annebbiò tutta dell'acre fumo bianco, e pareva invero che si svolgesse piuttosto un grande combattimento navale che un affettuoso scambio di saluti tra alleati. Onorato osservò filosofrcamente: Poìché a questí signort non sí puà per ora dare altra satisfotíone dí sostanza, è bene darglíela almeno in apparcnza.

questa tremenda sparatoria seguirono 55 giorni di vita imbelle. Don Govanni, benché personalmente desideroso di esporsi al grande cimento, non riusciva a liberarsi di tutti gli impacci che il diffidente Filippo II gli tesseva intorno per frenarne lo slancio; non minipe tra essi il Consiglio di uomini frdati che attaccò alla sua persona. Questi intralci, accoppiati alle perdite

A

tempo, inevitabili nel raccogliere le soldatesche ed allestire le navi, facevano sì che la sua partenza dalla Spagna si procrastinava di giorno in giomo. Intanto Famagosta pericolava e le galee turche, visti liberi i mari in seguito al concentramento della flotta veneziana in Messina, scorÍrzzavano per lo lonio e I'Adriatico, occupavano

di

a) Cf. pae. 79.

î c-878r.11.

3) c-8795.

Tardana.


LEPANTO

t40

Lib.

ll,

Cap. XV.

isole, espugnavano e saccheggiavano le città dell'Albania e della Dalmazia; nè era escluso il pericolo che un giorno o I'altro le loro vele apparissero in vista del campanile di S. Marco. In tutta I'ltalia si era creato uno stato di indicibile angoscia; si dubitava, non a torto, della buona fede spagnola; i veneziani erano sul punto di salpare di nuovo verso i loro mari e di fare per conto proprio quel meglio che si potesse. l) Sosta in Sicilia. Ma finalmente, sia lodato lddio, giunse la notizia che il capo supremo, don Giovanni, partito dalla Spagna, che era giunto a Genova, che aveva in Toscana disperso i sospetti era suscitati dai francesi nell'animo del granduca e che stava per arrivare in Sicilia. Tuttavia non mancarono le occasioni per perdere ancora altro tempo: solenni cerimonie, mare cattivo, partenze ritardate non si sa perché; ma, ciò nonostante, Ia convinzione che I'impresa dopo tutto si farebbe, andava crescendo nell'animo dei novelli crociati. Non ripeterò in dettaglio quel che Onorato fece in Sicilia durante questi due mesi di esasperante attesa; continuamente a fianco di Marcantonio, fu fedele esecutore de' suoi ordini, accompagnandolo nei consigli e convegni che si succedevano senza fine e nelle grandi e vane cerimonie. A tempo perso, godette l'ospitalità dei Gaetani di Sicilia, venuti da Siracusa ad ossequiare il distantissimo parente. Nei primi giomi di a$osto, al comando di undici galee, fu mandato a prender prowiste in l\{ilazzo e a dar la caccia ad alcune navi nemiehe, venute dalla Barberia a far preda. Appena tornato a Messina ebbe un gran da fare per riinettere I'ordine fra le soldatesche spagnole ed italiane che erano venute in conflitto.

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la disciplina, irritava gli animi; I'agglomeramento di soldati favoriva lo sviluppo delle malattie e vi €ta uD con' tinuo lavoro per reclutare nuova gente in sostituzione a quella che si ammorbava o disertava. Lo stesso accadeva delle navi ; a lorza di star tutte agglomerate insieme si ammorbava, per così dire, il legno: alcune si .. sferravaDo >), altre naufragavano e di continuo occorîeva procurarne Don Giovanni d'Austria (Bibl, Nat., Parigi; Estampes).

ed allestirne delle nuove.

Questa lunga, odiosa attesa snervava

Arrivo di Finalmente il 2? agosto appariva improwisamente don Govanni davanti a Messina; in D. Giovanni' fretta e furia tutte le galee uscirono dal porto per fargli omaggio e Marcantonio col vecchio piir Veniero',' con Michele Bonelli ed Onorato gli andarono incontro sulla capitana pontificia il presendistante possibile. Saliti sulla reale, furono ricevuti con grande amorevolezza ed Onorato fu tato a Sua Altezza. Si persero altre tre settimane in cerimonie, processioni e conciliaboli. Onorato si meraviglia"u n.l suo puro ardore che ancora si díspufasse se sÍ deoe andare a combattere o no. abbastanza le tortuose vie della mentalità spagnola e non poteva assuefarsi Ancora non "onor".va al continuo tergiversare del .. genovese >> e de'suoi ministri. Le segrete direttive date da Filippo II, {) c.8E33.


[as.-rct. 157l]

L'armata

l4l

erano che si fraccasse la potenza del turco purché ciò avvenisse senza vantaggio o gloria ad altri che alla Spagna. Non dovevasi accrescere Ia potenza de' veneziani in Levante, nè spianarsi gloriosa via al ventiquattrenne don Giovanni: era del parere che il titolo di .. Eccellenza ,, doveva piùr che bastargli. Strano è il contrasto che presentano i due fratelli, sui quali Ia storia e gli uomini hanno oramai pronunziato un retto giudizio: il re aI tremor del quale lremaoa iI mondo, il signore dell' impero nel quale non tramontarsa maí íI so(e, lavorò mezzo secolo, con I'illimitata potenza di cui disponeva, per costruire qualche cosa che, come lo stesso Escuriale, ci dà ad un tempo un senso di grandezza e di orrore, mentre che il giovane fratello bastardo, " I'ultimo dei paladini ", impedito in ogni sua mossa, non poté mai giungere ad un trono, ma in pochi anni, con la sincerità della fede e con I'amore del bene, si guadagnò un nome che ancora dà luce e calore. Alla fine I'ardore di don Giovanni la vinse: fu decisa la partenza. II 16 settembre l57l gli umili cappuccini davano i sacramenti ai militi della sacra armata; la grande flotta faceva vela per I'isola di Corfìr. Erano oltre 230 navi e piùr di 85 000 uomini che navigavano per il mare Ionio passando lungo gli aridi monti della Calabria, davanti al largo, azzurro golfo di Taranto. Era la cristianità intera che si muoveva alla difesa di se stessa contro quelle razze che, scese con Gingis Kahn dagli altipiani della Tartaria, avevano piir volte portato il terrore e lo sterminio dalle steppe della Russia al Golfo Persico e sino alle cerulee acque del Mediterraneo; ora, unitesi ai mori, ne avevano preso possesso e, fidenti nella fama della propria invincibilità, ancora speravano di assoggettare la razza bianca a quella di colore. Ma probabilmente nessuno nella grande armata si rendeva conto della vera' importanza delle sorti che stavano per decidersi: don Giovanni e i suoi seguaci si muovevano a difendere le proprie terre e la fede di Cristo, e forse solo indistintamente intuivano che si trattava di decidere il corso storico ed etnico del mondo per i secoli à venire. Onorato, a bordo della sua Grifona, seduto sotto Ia smagliante tenda che copriva il padiglione di comando, mirava intorno a sè Ie centinaia di vele latine, inclinate sul mare, tutte dirette con la prua a levante. Navigavano le galee in bellissima formazione di battaglia, allineate per quanto lo permettevano il mare e le diflerenti velocità dei navigli: a qualche distanza precedevano gli esploratori; appresso,le tre grandi squadre, al centro delle quali erano i comandanti; a qualche distanza indietro, Ia retroguardia. Tutto era predisposto per una immediata azione qualora il nemico dovesse comparire all'improwiso. La pesante chiglia della Grifona fendeva il mare azzurroi quando mancava il vento, 72 rcmi con regolare cadenza incidevano lo specchio dell'acqua e la

Partenza dell'armata.

sospingevano avanti.

Strano e pur perfetto ordegno la galea di Lepanto, frutto di secolare, dura esperienza. Era lunga incirca 40 metri e larga nove. Dai fianchi della na'ùe sporgevano per circa un metro e mezzo, a guisa di balcone, due massicci ballatoi detti il " posticcio >,, sotto cui appoggiavano i lunghi remi; il piano superiore del posticcio, prowisto di un parapetto fatto di solidi tavoloni e munito di feritoie, costituiva la u balestriera " che era il posto di combattimento dei soldati. A prua ed a poppa sorgevano due castelli : quello davanti era detto la " rembata 'r, che sbarrava I'ingresso a prua quando la galea afondava lo sperone nel fianco della nave nemica; dall'alto della rembata si dominava il ponte dell'awersario e sotto alla sua coperta erano appostati i tozzi cannoni di maggior calibro. A poppa si elevava un altro castello detto < gavone ", che serviva di alloggio agli ufficiali e sopra di esso era la .. Camera >> o << Tabernacolo 'r, una specie di grande gabbia formata di legni ricurvi, sulla quale era tesa una tenda, spesso di

La

galea,


Lib. II, Cap. XV.

LEPANTO

142

seta, dai colori smaglianti, che proteggeva

dal sole e dalle intemperie

il

capitano ed

i

notabili

della nave. Questi due castelli, la Rembata e la Camera, erano congiunti tra di loro dalla " corsia ,r, corridoio elevato di un metro circa sopra alla coperta e largo due, che correva lungo l:asse longitudinale della galea. Serviva di via di comunicazione tra poppa e prua e di posto di sorveglianza per gli aguzzini che comandavano i rematori, i cui banchi erano disposti, I'uno appresso all'altro, nei due lunghi fondi di scatola compresi tra Ie balestriere e la corsia. I rematori,

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di

guerra e condannati alla galera, erano seduti generalmente in numero di due o tre per banco, e manovravano gli enormi remi. lunghi quasi dodici metri. Cól piede sinistro incatenato al ponte, appoggiavano il destro sopra ad uno scalino di legno e con tutto il peso del corpo tiravano a sè il remo, ricadendo lentamente seduti sul banco. Erano quasi nudi, con la testa rasata: un piccolo ciuffo sul vertice del cranio distingueva gli schiavi dai prigionieri. Intimato il silenzio, si cacciavano in bocca un tappo di sughero, che portavano appeso al collo, e dovevano remare con tutta la forza che avevano, in perfetto unisono al tempo che veniva dato dai mozzi e dai capi-remi; e se qualcuno non faceva tutto il suo dovere, le nude carni erano solcate da sanguinose nerbate e i riottosi erano trafitti dalla corta spada che gli auguzzini portavano infilata nuda alla cintola. Esposti ai colpi dei nemici, gettati in confusione dai remi che si schiacciavano nell'arrembaggio contro i fianchi della nave nemica, erano trascinati irrimediabilmente alla morte quando la galea, alla quale stavano incatenati, era invasa dalle

in

massima parte prigionieri

acque ed affondava. Accanto ai galeotti sedevano spesso i rematori ,, dí buonaooglía >, volontari armati che, al momento dell'arrembaggio, lasciavano il remo e salivano sulle piattaforme di combattimento.') L'altro importante tipo di nave, di cui debbo dare una sommaria descrizione prima di narrare la battaglia di Lepanto, era Ia galeazza. Questa era la corazzata dei veneziani: una galea ingigantita, lunga 70 metri, con i 32 banchi di rematori, cinque per remo, interamente ù G. MoIlí, . Le navi di Lepanto u, Cosmos, p. 175. L'inventario completo di due galee di Marcantonio Colonna nel marzo 1565 è dato aell'opuscolo < Documentì ìlell'Archi'

oío Colorma, , pubbl. per le nozze Colonna-Chigi, Roma, 1900

(Arc. CoI., XXVilI-82).


[3O set.-6 ott.l

La galea

143

sotto coperta. I poderosi castelli a prua e a poppa albergavano 36 cannoni e 64 petrieri. Tra ciurme e combattenti conteneva 1200 uomini, mentre le galee non ne avevano che circa 500. Le galeazze torreggiavano sopra le altre navi: erano pesanti, Iente a muoversi, poco resistenti ai tormenti della tempesta e dovevano essere assistite da rimorchio, per esser messe in posizione al momento della battaglia. Ma erano terribili ordegni di guerra navale, ed una bordata delle sue grosse artiglierie bastava per calare a fondo qualsiasi nave. Delle galeotte, << navi " e di altri bastimenti minori ometto di parlare. Questi navigli formavano I'armata cristiana, che navigava alla volta della Grecia in terca di quella turca. Secondo il Guglielmotti, il giorno della battaglia la forza della lega era costituita da 207 galee, 30 navi e 6 galeazze, provviste di l8l5 cannoni,28000 soldati, 12920 marinai e 43 500 remieri.

Percorso dell'armata cristiana.

così alla fine di settembre la flotta cristiana giungeva a Corfù ed il giomo 30 ancorava nella baia di Gomenizza, in tenitorio turco. Ivi ebbe luogo Ia prima scaramuccia con una pattuglia nemica; purtroppo, nacque un altro incidente tra soldati veneziani e spagnoli e fu gravissimo perché per poco non portò rovina all'intera spedizione: il capitano spagnolo Muzio sparò un'archibugiata contro il generale veneziano Sebastiano Veniero, e questi immediatamente lo fece appiccare alla sua antenna insiqme con un sergente e due soldati di Sua Maestà; ci vollero tutto il tatto e la diplomazia di Marcantonio perché non ne seguisse un conflitto tra i capi. Allo stesso tempo grungeva la triste notizia che il primo agosto era caduta Famagosta dopo un anno di eroica resistenza. Il comandante Bragadino era stato scorticato vivo dai turchi e la pelle, imbottita e legata sulla schiena di una vacca, era stata portata in giro per la città a scherno

E

della

Serenissima.

Anivo

in Albania.


t44

LEPANTO

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Intanto gli esploratori cristiani cercavano d'individuare la posizione ed appurare la forza dell'armata turca; dall'altra parte il famoso pirata Kara Khodja, detto dagli italiani .. Caracossa '', era venuto arditamente di notte con due galee in mezzo all'armata cristiana ed aveva .. prelevato " due spagnoli per ottenere lingua, come si Foleva dire. E così I'una e l'altra parte ebbero notizie approssimative sulla posizione e torrza dell'awersario: don Govanni seppe che I'armata turca stava nel porto di Lepanto, al punto più stretto del golfo di Corinto. Non si poteva sapere però se sarebbe uscita per affrontare la battaglia o se sarebbe rimasta rinchiusa sotto Ia protezione dei àue poderosi forti che guardavano l'ingresso del porto. All'ora suprema vi fu ancora chi volle gettare il seme del dubbio, chi propose che si andasse all'impresa di Castelnuovo; ma il parere del vecchio Veniero e di Marcantonio Colonna e la nobile fede di don Giovanni nella vittoria la vinsero ancora una volta sulle cnguílle. Fu deciso che I'armata si presentasse davanti al golfo e offrisse battaglia: se il nemico non accettava, si andasse ad altra impresa a danno degli infedeli. Il 6 di ottobre le navi cristiane partivano dall'isola di Cefalonia costeggiando I'antica dimora di Ulisse e, per mettersi al riparo dal mare agitato, s'internarono di notte fra le ispide isole Curzolari, le Echinadi di Omero, che si vuole fossero le tombe di ninfe marine le quali soggiacquero al corruccio di Achelao. Prima dell'alba la fotta cominciò a sfrlare per il canale principale, tra Schieramento

dell'armata cristiana.

I'isola Oxia e la terraferma. Dopo una notte tempestosa erasi fatto il cielo sereno e I'aria era perfettamente calma, cosa rara in quella stagione e oeramente miracolo dí Nostro Sígnorc per dare una oíttoîia. Nel crepuscolo dell'alba i pesanti remi delle galee battevano ritmicamente la lucida superficie delle acque e davanti alla chiglia si arricciava la spuma del mare, mentre le navi, a due, a tre, sfilavano per lo stretto canale verso la distesa del golfo. Fu una lunga oper"zione che prese tre ore. Intanto sopra le vette del distante monte Parnasso e dell'Elicona spuntava il sole colpendo coi suoi raggi radenti lo specchio delle acque e dissipando la leggera foschia che riposava su di esse. E col sorgere del sole si levò un fresco vento di levante che gon6ò le vele dell'armata turca, già uscita dallo stretto di Lepanto; le navi cristiane invece dovettero lavorare di remo, specialriente quelle che rimorchiavano le sei pesana galeazze veneziane che, secondo il piano concertato, dovevano stazionare davanti alle squadre di battaglia. Era alto il sole quando le due fotte, già scorte dagli esploratori, si awistarono a vicenda sull'orizzonte. Ognuna cominciò a disporsi in ordine di battaglia su quella grande distesa azzurra che, piir che mare sembra un immenso lago, perché da tutti i lati è circondata da terra: a settentrione la montuosa costa dell'Epiro, a oriente e mezzogiorno il Peloponneso, a ponente le isole di Zante e di Cefalonia. I gabbiani volteggiavano intorno alle navi crisdane, fendendo I'aria col curvo volo delle bianche ali, mentre quelle lentamente si allineavano, divise in tre squadre. Alla sinistra, in contatto con la costa, era quella che portava banderuole gialle a << orta >>, formata di 56 galee e comandata da Agostino Barbarigo. A destra la squadra verde, con pennoncini di questo colore in cima all'albero maestro, comandata da Andrea Doria e composta di 53 galee. In mezzo erano 6l navi, distinte da gagliardetti azzurri, che sventolavano àall'estremità della penna. Al cuore della formazione era il comandante in capo don Giovanni d'Austria, alla cui sinistra era la capitana veneziana di Sebastiano Veniero e alla destra Marcantonio Colonna; ") vicino a questo era la capitana di Savoia e poi veniva Onorato sulla sua Grifona. b) Seguivano, ai due lati, altre galee veneziane, spagnole e papali. A tergo della reale a) Tale disposizione relativa è correttamente raPPresentata nel quadro del Viceatimo (Palazzo dei Dogi), qui riprodotto, ed in cssa si distinguono bene i tre capi, Veniero, don Giovanni

c

Marcantonio Colonna. b) Alla Grifona fu data precedenza sulle tre navi di Malta, che furono piazzate all'estrema destra del centro.


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19.

Piano dclla battaglia

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t46

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di don Giovanni, due grosse galee ed alcune sottili di rinforzo. A un miglio dietro, in retroguardia, don Alvaro di Bazan, marchese di Santacroce, con 30 galee di riserva, dall'insegne bianche.

Le sei galeazze

L'armata turca.

furono rimorchiate con grande sforzo a mezzo miglio oltre la linea e Iasciate Iì, una coppia davanti ad ogni squadra, sotto il comando di Francesco Duodo perché, bastioni galleggianti e poderosamente armati, sconquassassero le galee turche e ne rompessero I'ordinamento al momento dell'attacco. Così schierata, la flotta occupava circa sei chilometri di fronte, essendosi lasciato soltanto lo spazio necessario tra le singole navi perché potessero liberamente vogare, ma insuficiente perché quelle nemiche riuscissero a traversare la linea. Contro quest'armata veniva quella turca, forte di 222 galee e 60 galeotte, con 34000 soldati, 13000 marinai e 41000 rematori, in gran parte schiavi cristiani. u) DeÉciente era il numero dei cannoni; meno che la metà di quelli degli awersari. Molti dei soldati, imbarcati di fresco, erano inesperti alla guerra navale; ottime Ie ciurme e le soldatesche dei corsari. L'armata turca veniva col vento in poppa, i remi spianati e fermi; ma quando, poco prima di mezzogiorno, si fu awicinata alla linea nemica, il vento tacque e dopo poco si alzò una brezza di ponente che permise ai noshi di far riposare le ciurme lasciando al timoniere il governo della nave. Mentre le due flotte si awicinavano, si osservò che Giannandrea Doria si allargava, creando con ciò un distacco tra la sua e le altre squadre; nell'animo di tutti sorse il sospetto che il genovese stesse compiendo un tradimento; AIy pascià, comandante in capo, credette di scorgere in quella mossa un inizio di fuga, e perciò tirò da grande distanza un colpo di cannone in segno di sfida; si vide la nuvoletta di fumo bianco alzarsi e dissiparsi al ventó ; poi si udì il colpo. Il Doria tacque, ma in sua vece don Giovanni rispose subito con altro colpo di cannone, alzando ad un tempo lo stendardo della lega, benedetto dal papa, e Marcantonio similmente inalberò il suo. Onorato, seguendo I'esempio degli altri generali e capitani, ammainò quello proprio, la grande bandiera di sottile seta azzurra, gialla e rossa, che gli avevano preparata Agnesina e le donne di casa. Era giunto il momento della assoluzione generale davanti all'imminente pericolo di morte: il padre cappuccino, fra Marco da Viterbo, avanzò sul tabernacolo della Grifona ed alzò le braccia; Onorato ed i suoi cavalieri pesantemente armati gli si inginocchiarono intorno e sul ponte, sulle balestriere, sulla torre di rembata i soldati e gli ufficiali, con le armi in pugno, fecero Io stesso per ricevere la benedizione; chi ad alta voce recitava Ie sue colpe, chi pregava, chi si raccomandava a Dio, tutti a capo chino da un estremo dell'armata all'altro. Poi si rialzarono; squillarono le trombe, rullarono i tamburi e da quarantamila petti proruppe il grido : Vittoría e oioa /esù Gísto / I galeotti cristiani furono sciolti dalla catena: se la battaglia avesse avuto esito favorevole, sarebbero diventati uomini liberi; quindi facessero il dovere loro. Onorato era tutto esilarante e fiducioso: i suoi soldati, come quelli del papa in generale, erano tenuti per le píù belle gentí ítaliane che oí fossero, e presso di sè aveva molti fidati e valorosi vassalli di Sermoneta. Il giovane duce e Marcantonio scesero in due navigli leggieri e veloci e percorsero Ia linea di battaglia col crocifisso in mano per dare I'ultima parola di fede e d' incoraggiamento. Si racconta che don Giovanni, tornato sulla reale, in segno di esultanza ballasse con due cavalieri la concitata danza spagnola chiamata la gagliarda

"

a) Tutte

le

cihe riportate in questo capitolo sono neces-

sariamente approssimative perché non concordi sono le relazioni

".

dell'epoca ed incerti quindi anche degli altri autori.

i

computi del Guglietmotri e


La mischia

[7 ott. l57ll

147

Intanto i turchi con ferma vogata si erano awicinati alle galeazze; per evitarne il micidiale fuoco, si strinsero nel passare fra I'una e I'altra, ma quelle più vicine non poterono tenersi fuori tiro dalle terribili mahoni, come solevano chiamarle i turchi; tre galee affondarono e, cattivo augurio per gli infedeli, alla capitana di Aly pascià fu abbattuto un fanale i na, quello che più importava, rimase rotta I'ordinanza di battaglia e si creò non poca confusione. Comunqug i turchi a voga arrancata andarono ad investire i cristiani; quelli che avevano un'artiglieria meno numerosa commisero i'errore di sparare i cannoni a distanza, sicché quasi tutti i proiettili andarono a vuoto, mentre che i cristiani diedero la loro bordata a breve distanza e, quasi a bruciapelo, scaricarono anche gli archibugi facendo danno grandissimo. Le capitane di Aly pascià, capo supremo, di Pertev pascià, comandante di terra, e quelle di altri principali generali si gettarono

1Do uo

*od"r*it*ji3:':"' sec. XVr).

nel centro della squadra azzurra dove stavano don Giovanni, Colonna, Veniero, Caetani ed altri capi. Aly e don Giovanni s'incontrarono di prua e Pertev a sua volta investiva Marcantonio allo schifo. Ma il primo a ricevere I'urto di una nave nemica fu Onorato Caetani: contro di lui si erano slanciate, precedendo Ie altre, le rapide galee di due corsari che, eccezione fatta di Lucciali (Oulouch Aly), erano i pitr famosi del loro tempo: cioè Caracossa, governatore di Vallona, e Dalì (Kara Djuly). Il primo abbordò la Grifona al focone, I'altro alla prua; una terza galea gli si attaccò al fianco. Terribili awersari, perché gli equipaggi di questi corsari erano riputati i migliori della fotta turca. In mezzo ad una nube di fumo bianco gli speroni entrano con uno schianto fin dentro ai banchi dei vogatori; i remi, presi come in una morsa, si schiantano e saltano spazzando via gli schiavi incatenati dai loro banchi; gli archibugi vengono sparati a bruciapelo; le frecce scoccano fulminee e con ua colpo secco si ficcano nelle armature o vibrano infitte nel legno; i parapetti delle navi si schiacciano gli uni contro gli altri e geme il legno. Mentre già cadono i colpi di spada e di mazza e si sferrano Ie puntate di lancia, vengono gettati rampini di ferro per aggrappare una nave all'altra in una indissolubile stretta mortale; le catene si tendono ma non si rompono. Già i soldati vanno all'attacco saltando da un ponte all'altro; I'awersario si difende dietro alle barricate che suddividono il ponte; poi si slancia al contrattacco e riguadagna il terreno perduto. Altre navi si accostano e si agganciano: quelle amiche trasbordano soldati per


t48

Ub. II, Cap. XV.

LEPANTO

i morti e i feriti, per dncalzare quelli già stanchi dalla feroce lotta; quelle nemiche manovrano per prendere i combattenti alle spalle. Si combatte dall'alto delle rembate e dei padiglioni, lungo le balestriere e le corsie volano le bombe incendiarie; tutta I'aria è piena di fumo, di proiettili e di grida. Non è più combattimento navale, ma terrestre: di qua, di là sul mare si formano tanti agglomeramenti di navi, tanti isolotti sui quali si svolgono altrettante singole battaglie intorno ad uno o più de' generali e capitani principali. Tanto don Giovanni, Marcantonio e Veniero nel proprio campo di battaglia, quanto il poco distante Onorato in quello suo erano nella fisica impossibilità di scorgere quello che accarimpiazzare

Dalì

e

Caracossa.

deva nelle altre parti della linea di battaglia e troppo impegnati per occuparsene; ognuno faceva il proprio dovere e sperava in Dio. Onorato, dopo una lunga disperata lotta, conquistò la capitana di Dalì e, con I'aiuto delia galea veneziana Loredana, sopraffece anche quella di Caracossa. Questi era stato abbattuto da una archibugiata di Giambattista Contusio. Onorato, sempre in mezzo ai suoi, con la spada in mano, era stato colpito da una palla nella celata e da un'altra in pieno petto che I'aveva fatto stramazzare; tre frecce si erano conficcate nel giaco di maglia che proteggeva le braccia. Pietro Riccardi era così pieno di frecce che gIí paroe di essere díúentato un Scn Seócsfíano. ^) Illeso sotto la grandine dei colpi, Onorato si portava con i suoi cavalieri e bravi nel piìr folto della mischia e, saltato sul ponte delle navi nemiche, fece tale una strage che dei tre o quattrocento turchi che v'erano non ne rimasero vivi che soli sei. b) In quell'ora suprema di pericolo il pensiero di Sebastiano Veuero Onorato si volse ad un'immagine della Madolìra, cr(Dal quadro del Vìcentíno, Palazzo dei Dogi). stodita in un piccolo tabernacolo di rustica muratura, al principio della mulattiera selciata che conduceva a Sermoneta, ai piedi del monte. Era lì che aveva incontrato per la prima volta la sua futura sposa, Agnesina Colonna. Invocò quell'immagine in suo aiuto e fece il voto di erigerle una chiesa se fosse uscito vittorioso dalla mischia. .) Erano sulla C'rifona Tullio da Velletri (morto), il segreta' rio Muzio Manfredi,* Vitale Casolo,* Franceschino, Bartolomeo Sereno, luogotenente, caP. Scipione Corbinelli, Gio. Batt. Cortesi'+ Gio. Batt. Contusio,* Adriano (de Virgili ?), Faolo Durante,* Ce' sare Pagano, ha Marco da Viterbo cappuccino nonchè il cav. Aldobrandini e motti cavalieri fioreutini e di S. Stefano. Quelli seglati * furono feriti. Vi erano in tutto 14 uficiali, 9 nobill, 33 uomíní dí paúe,6 compagni, 9 pioneri e lEO fanti. Totale 251 persone oltre i rematori (Salímeí, pag. 105). b) Non può recar meraviglia che dopo la vittoria vi siano stati nolti a vantarsi delle prodezze altrui. Così ad esempio vi

fu più di uno che volle attribuirsi il merito d'aver ucciso il famoso Caracoss; ma su questo Punto la testimonianza di Onorato, scritta di suo pugno, disperde ogni dubbio. Altrettanto hanno errato coloro che vollero ascrivere ad altri la conquista della galea del grande pirata.' Onorato riferisce come detto sopra, ed il Sereno (autore dei famosi < Commentari >, da lutti

reputato veritiero e che si trovaya a bordo della Grifona, al co. mando della fanteria di Onorato), conferma la cosa scrivendo (p. 198): II famoso Catacoggìa, essendosí con Ia galea del Papa azzufato, dooe Onorclo Gaetano (e per lut io scrittote)

aIIe gentt del Papa comandaoa, quanl.unque megllo deglí

gente

da comballere, d'ailiglîeríe

e

alti

oascello aolantaggloso

sí tÌooasse, e fosse anche gaglíardamenle dalla galea capítano soccotso, íI guale nel píù bello della zufa aI luogo del focone, mcnlt'egll combalteoa per prua, con Io sperone ne oenne ad ínoestlre; fu però I'uno e I'altro ben Fresto ammazzalo, rcstando tulte due le galee ín poter della nostrc Gfifona. E Pietro Riccardi, familiare di Onorato: .., guesla nosba galea ha combaltulo per íspaiÍo dí guattro hore con 4 galee lurchesche delle pfincípalí el ... íl síg. PilncÍpe, mìo signore, ha fatto míracolì, essendo montalo ín persona ín una galea nemíca e! conquístatala con esttemo oalore(C - I 57 I . X . I, armato

d'All

N.

r834r0).


[7 ott.

La vittoria

1571]

149

Altrettanto vittorioso, e non meno sanguinoso, era stato il campo di battaglia intorno a don Govanni. Egli e Marcantonio si erano battuti con incomparabile valore, senza riguardo alcuno alla propria persona, a franco dei semplici soldati, nel più folto della tremenda mischia. Stupendo a vedere fu il vecchio Veniero, scoperto il bel capo bianco, una balestra in mano ed i piedi in un paio di comode pianelle: benché ferito, stava ritto in mezzo alla corsia incoraggiando i giovani compagni. Quando frnalmente fu soprafiatto I'awersario e dissipato alquanto il fumo, don Giovanni potè guardare attorno e vide che la squadra di sinistra, sotto il comando di Agostino Barbarigo, con le sue 56 galee veneziane aveva già completamente distrutto la squadra nemica, conquistando 54 su 56 galee; il prode capo, trafitto da una freccia nell'occhio, aveva continuato a combattere finché, avuto certezza della vittoria, si accasciò per morire. Da quella parte, i turchi essendo vicini alla costa, non avevano esitato a lungo nel cercare la via di scampo arenandosi colle navi o gettandosi a mare per nuotare a salvamento in terra amica. Anche Ie altre galee cristiane della squadra centrale avevano riportato maggiore o minore successo sopra quelle nemiche e, ovunque la lotta ancora durava, fu portato aiuto dalle navi già vittoriose e dalla squadra di riserva del marchese di Santacroce. Dove le cose avevano preso una cattiva piega era all'ala destra, comandata dal Doria. Prima che s'iniziasse I'azione, si era visto I'animiraglio genovese volgere la sua squadra a destra e, egli in capo, procedere in lunga 6la verso mezzogiorno. A lui dirimpetto era Lucciali, pascià d'Algeria; egli era un rinnegato calabrese che un tempo portò il nome di Dionisio Galeni ed il piìr esperto e scaltro corsaro che avesse il sultano al suo servizio. ") Al comando dell'ala sinistra turca, egli eseguì manovra identica a quella del Doria e così le due squadre lentamente navi-' garono parallele senza awicinarsi e senza combattere. La manovra del Doria, che espose la flotta della lega a gravissimi pericoli, fu severamente giudicata dai contemporanei; e, considerata la condotta da lui tenuta tanto nella camPagna di Cipro quanto nell'anno corrente sino alla vigilia della battaglia di Lepanto (ossia la costante opposizione sua a qualsiasi decisiva azione bellica), egli cadde in sospetto di aver operato, come fece, per render meno completa Ia vittoria e scemare I'utile che ne sarebbe venuto ai veneziani ed alla fama di don Govanni. Il Doria si difese asserendo che egli tirò al largo per impedire un movimento aggirante inteso da Lucciali. Manovra o diserzione? That's the questíon of the dag. Non tocca a me di pronunziare sentenza su tale e tanto discusso quesito. Certo è che dobbiamo supporre che il Doria con la sua squadra precedesse di parecchio quella di Lucciali, perché infatti quando verso un'ora dopo mezzogiorno Lucciali, il quale gradualmente era passato dalla testa alla coda della propria squadra, tutto ad un tratto diede I'ordine di virare di bordo e si precipitò contro la capitana di Malta e le altre navi che formavano I'estremo lembo destro della squadra azzuÍra, il Doria era andato tanto avanti che non potè opporsi alla manovra dell'awersario.

Lucciali dunque, avanzando a voga arrancata nello spazio vuoto lasciato tra la squadra centrale e quella del Doria, investì alcune galee di quest'ultimo rimaste addietro, e prese, di franco ed a tergo, la capitana di Malta, sulla quale era fra Pietro Gustiniani, ancora impegnato con I'awersario e già fiaccato dal combattimento. Il grande corsaro investì i cavalieri di Malta col furore ispiratogli dall'odio di antica data; la capitana, attaccata da sette galee turche soccombette in brevissimo tempo e a bordo furono tutti massacrati ad eccezione di tre; uguale sorte toccò alla Fiorenza del papa, alla Margherita di Savoia e ad altre navi cristiane. .)Vedi

nota biografica a pag.

ló0,

notab).

Manovra Doria-Lucciali.


LEPA NTO

t50

Lib. Il, Cap. XV.

Quando don Giovanni e Marcantonio che, finito il combattimento, rimorchiavano le galee conquistate, videro all'estrema destra riaccendersi la battaglia per I'attacco di Lucciali, tagliarono le gomene di rimorchio per precipitarsi in soccorso. Altrettanto fece Onorato: abbandonò alla deriva Ie due navi corsare e, incitando i remieri decimati e stanchi a fare un ultimo sforzo, si diresse unitamente alla capitana di Savoia verso la Fiorenza, che era malíssímo lrattata da una galea e sei galeotte turche, e su cui già erano morti il capitano Giovanni Maria Puccini e tutti i suoi soldati. E finalmente anche il Doria, vergognosamente battuto dall'awersario nella strategia navale di cui tanto era frero, si awicinava in tutta fretta con le sue galee in così bell'ordine che sembravano più preparate per una rivista che uscenti da un combattimento. il corsaro, vedendo giungersi addosso il nemico da tutte le parti, soddisfatto dell'orribile scempio fatto di quelle dozzine di galee che aveva maciullato, si allontanò veloce riuscendo a sfuggire con una dozzina di navi. Portava seco lo stendardo dell'odiato Ordine di Malta per orname la volta di S. Sofia. (Jn'altra trentina di navi turche battevano in ritirata verso Lepanto. Erano le quattro Don Giovanni d'Austria .della sera; la battaglia era finita! (Medagliere vaticano). Quando Onorato si volse trovò che le due ricche galee dei corsari, da lui conquistate, erano state montate da alcune navi veneziane che vi avevano fatto grandissimo bottino. Ne rimase indispettito, ma allo zio scriveva z Io non me ne sono curato, chè non sono úenuto gua peî rubare, ma peî combattere e sernbe Nosfro Sîgnore. ^) 'Egli

'ú-l^

Il

bottino.

ed i suoi si erano comportati eroicamente, al pari di quasi tutti gli altri che presero parte alla battaglia. Persino Manfredi, il suo segretario personale (ché in quei tempi questi indispensabili servitori seguivano ovunque il signore), si era comportato da valoroso e si era preso una frecciata nel dito. Si racconta d'un tale che si fece un'imbottita di materazzi entro il tabernacolo della galea per starg al riparo dai proiettili; si ricordano certuni che finsero di esser feriti per rifugiarsi gemendo nella stanza di medicazione; ma gli imboscati furono ben pochi ! Vitale Casolo, uno dei bravi di Onorato, nel suo crudo stile scriveva al cardinale Nicolò:

Hora con I'agíulo de Dío semo arioatí a quata santa gíomala a gastigare questí cani che falto un Jragello tale che non at)etanno mai più animo e così granne ardire come aoeano ... se sonno fatti granisímí buttíní, ma nuí che aoemo ateso a comatare non aoemo buscato nulla, ma n'aoemo

at)emo asai aúer

la

sanità.

combattenti e 2500 galeotti. Morti il generale Barbarigo con sedici comandanti veneziani; sessanta cavalieri di Malta; Orazio e Virginio Orsini, il marchese di Santacroce, il bravo capitano Tullio da Velletri, intimo di casa Caetani, e molti altri capitani e gentiluomini. La maggior parte dei compagni di Onorato erano morti o feriti.

Le perdite erano state gravi: circa 5000

La perdita dei turchi fu assai superiore, da 2A a 40000 morti; nessuno seppe precisare meglio. Tutti gli ammiragli, generali e corsari turchi, ad eecezione di Lucciali, perirono. Tremila furono u) Piùr tardi vennero eseguite alcune inchieste su coloro che avevano atteso più a far bottino che a combattere e, tra altri, furono processati alcuni sermortetani imbarcati a bordo della Toscana (Arc. Caet., Misc. Razza, T. VIII, p, 275)' ln ar-

chivio vi è pure uno scambio di lettere tra Onorato e Marcantonio sul groso bottino fatto dai soldati del cav. Giglio di Fo. ligno (C-E924,8945).


Epilogo

[7-8 ott. 157r]

I5t

i prigionieri, tra i quali anche i due figli di AIy pascià ed altri giovani di nobile famiglia. Ma il piìr bel regalo che don Giovanni faceva al papa erano oltre 12000 cristiani liberati dal remo; e raccontò Onorato che dalla stiva delle galee nemiche furono tratte anche alcune gentildonne dí Nícosia che, dopo la caduta di quella eroica città, erano state tenute lì a piacimento dei corsari in orribile schiavitù. Al tramorrtar del sole la vittoriosa armata, lacera, sanguinolente e stanca, si ritirava al riparo dell'isola di Petala, rimorchiando penosamente le navi conguistate. La Grifona di Onorato aveva tutta Ia prua squarciata dal terribile colpo di sperone datole da Caracossa e faceva rapidamente acqua, sicché il navigarvi non era neppure più sicuro; con tutto ciò Onorato, invece delle galee conquistate da lui e predate da altri, generosamente rimorchiava la Fiorenza dei cavalieri di S. Stefano, da lui soccorsa e che era tutta fracassata e quasi completamente spogliata di uomini. Durante Ia notte si scatenò una subitanea tempesta: Gunse quel mal ooler, che pur mal chíede, con I'íntelletto, e mosse iI fummo e iI oento per Ia oírtù che sua natura diede, spazzò lo specchio d'acqua che era stata scena dell'immane strage e si, vuole che sino sulla spiaggia di Candia siano stati sospinti i cadaveri dei turchi e dei cristiani.

L'indomani, calmatosi il vento, don Giovanni, di conserva con i suoi generali, andò a rivedere il campo di battaglia; come sovrano coinvitava a colazione Marcantonio ed altri fedeli ' compagni a bordo della capitana di Giannandrea Doria e calorosamente si congratulava col grande genovese del magnifico ordine e della perfetta pulizia che regnava sulla nave ammiraglia !

Firma

,

di don Giovanni

d'Austria

(c.r575.X[.r0).


Caprrolo XVI.

DOPO LA .VITTORIA. (t57 t-1576)

uolr, la

leggenda, o sarà magari la verità, che al momento che don Giovanni s'inginocchiava sul ponte della nave, nell'ultima pre' ghiera prima della battaglia, il Santo Padre passeggiasse-nella sua stanza trattando gravi affari con mons. Bartolomeo Busatti di Bibbiena. Tutto ad un tratto si ferma e va ad aprire la 6nestra; guarda il

gli dice: u Non è il momento di trattare affari. Ringraziate Iddio perché Ia nostra flotta sta per combattere i turchi e Dio ci darà la vittoria u. Poi si getta in ginocchio davanti ad un piccolo altare e si mette a pregare. La notte del 22 ottobre un corriere del Facchinetti, nunzio veneziano, consegnava al segretario di stato Rusticucci la novella della vittoria. Il cardinale si recò subito dal papa e, destatolo, gli cielo e poi, rivolgendosi al tesoriere,

di Onorato Caetani in S. M. della Vittoria di Sermoneta.

Stcmma

comunicò la fausta notizia che Pio

Il

ritorno

in

patria.

V

ricevette con le lagrime agli occhi; l'indomani nel ?"e Deum bibliche parole: .. Vì fu un uomo mandato da Dio ed iI

cantato in S. Pietro pronunziava Ie suo nome era Giooanni ,. Il bigotto re Filippo recitava il vespero nella sua cappella quando r) ebbe I'annunzio della vittoria; egli mormorò: " Don Gíooanni ha molto ríschíato ! u Parole che rispecchiano I'animo dei due sovrani : l'uno tutto rivolto al trionfo della fede; I'altro che, nella sua bigotteria, conteggia a Dio il pro ed il confra della politica europea. Intanto a Santa Maura ed a Corfir i vincitori erano altrettanto divisi nei pareri dopo, quanto lo erano stati prima della vittoria. Alla fine l'esigenze del momento imposero la linea di condotta: le perdite cristiane, tra morti e feriti, erano piìr grandi di quel che erasi supposto da principio; i viveri mancavano; le galee avevano molto sofferto nell'urto ed ora erano anche impedite dalla necessità di rimorchiare le navi conquistate: Ia stagione si era fatta tanto avanti da riuscire pericolosa alla navigazione dei poco agili e non troppo solidi navigli di guerra di quel tempo. Sotto le divergenze politiche e I'esigenze pratiche che agitavano i consigli dei capitani vi era poi un sentimento comune a tutti e perfettamente umano: non correre il rischio di appannare la gloriosa vittoria con qualche inopinato accidente, contentarsi del molto senza cercare il meglio e tomarsene ognuno a casa propria. Alla fine di ottobre I'armata fece vela, divisa in varie squadre anche per non congestionare i porti della costa italiana ove, occorrendo, bisognava trovar \ Cj. Pactot,Yll. o,592t I.

Cauou, Philippc Il.


Ritorno in patria

[8 ott.-20 nov.157l]

153

rifugio dalle tempeste autunnali e che male avrebbero potuto accogliere I'intera flotta, quasi raddoppiata dalle navi conquistate. Onorato fece la traversata con Marcantonio sulla capitana del papa, perché la Grifona era in pessime condizioni e travagliata dal rimorchio delle due galee di Dah e Caracossa; poco era mancato che Onorato non naufragasse con essa nel breve tragitto tra Capo Ducato e Corfìr. Intanto molte missive a parenti, amici e sovrani precedevano la flotta; calde lettere familiari scritte col cuore ancora palpitante per il grande evento, formali epistole di congratulazione. Don Giovanni e Marcantonio scrivevano al cardinale Nicolò; questi rispondeva con animo esultante. Onorato, dopo aver descritto allo zio la battaglia ne' suoi dettagli, mandava un'affettuosa parola alla moglie, annunziandole che portava le píù belle schíaoe turche cfre sí possono oederc. Al Peranda poi, che con tanto fervore si era occupato della sua corrispondenza, chiedeva giocosamente due ore d'udienza ogni sera, tante erano le cose che aveva da narrargli. Latori di queste numerose lettere furono Pietro Riccardi e il cavalier Romagasso, che accompagnavano il conte di Pliego, maggiordomo di don Giovanni d'Austria, mandato da questo per dar conto della battaglia al Santo Padre; passando per Sermoneta e Cisterna, furono accolti amorevolmente da tutta la famiglia Caetani, che non si stancava di far domande, e con rincrescimento li vide proseguire per Roma. Con questi corrieri della vittoria giungeva in Roma e nelle altre corti la prima ondata delle domande per grazie e ricompense: Ognuno che ha seroìto ín questa giornata, scriveva Onorato, pretende rímuneratione: e chí fa disegno sopra galere, chí sopra schiaoí, chí nelle ailigliefie e chi sopra altro. Egli e Marcantonio in un primo tempo non avevano ooluto pur toccare un quattrino nè uno schíaoo,') ma d'altra parte non intendevano neppure esser volutamente ' lasciati fuori nella divisione delle spoglie. Perciò Onorato chiedeva al Peranda d'interessarsi afrnché il papa gli concedesse due galee, con í loro armigi ed artiglieríe con qualche schíaoo, perché aveva desiderio di armarle e partecipare alla futura impresa della lega come venturiere con navi proprie. La squadra pontificia giunse in Messina il primo novembre ed il giorno 13 in Napoli, ove le truppe furono licenziate su due piedi, senza donativo alcuno e con tanta ingratitudine che si videro i vittoriosi soldati andar mendicando Ia lor via verso casa. Di ciò il Guglielmotti ') ha creduto dover fare una colpa ad Onorato, ignorando egli che, lo stesso giomo dell'arrivo in Messina, questi aveva scritto al cardinale Nicolò : I-c V. S. ru. si rícordí aíutarlí (i soldati) con ricordare a N. S. di farlt qualche donatíoo, o di paga, o delle rationi del oítto che hanno con Ia cameîa; e guesta medesíma dimostra!íone fece N. S. con Ií soldatí che furono ín Francía ed è sotíto farsi ogní qual oolta che si fanno gíornate reali, come è slata questa. z> Mentre si sbandavano le milizie, Marcantonio ed Onorato, in compagnia di Michele Bonelli, partivano da Napoli e, passando per Fondi e Terracina, verso il l8 del mese, giungevano a Gstema ove si trattennero la notte, ospitati nel nuovo palazzo dei Caetani. Proseguirono poi per Marino con intenzione di rimanervi finché fosse tutto preparato per I'ingresso dei vincitori nell'Urbe. Il popolo romano, fiero di quanto i suoi figli avevano compiuto, volle onorare il piir illustre di essi, Marcantonio, con un ingresso trionfale che ricordasse tutto il fasto degli antichi imperatori; a) Onorato ebbe poi, come sua parte, alcuni schiavi tutchi, di cui uno fuggì nel maggio 1574 (C'9610), forc qucllo rtcrco Mustafà che, a quanto pare, lavorava soltanto in propor. 1) p. 302, Domus,

ll,

uota.

20.

2) Car, L. O., p, 92.

zione allc bastonate che gli davalo ed al quale non era nai di uscirc dalla rocca di Sermoneta (C-9728).

pernecso

Ingre*o trionfale.


DOPO LA VITTORIA

154

Il

corteo.

Lib.

ll,

Cap. XVI.

doveva il Colonna passare sotto gli archi romani, montato sopra un carro dorato, con Ia corona di alloro in testa. Il papa si credette in dovere di calmare un poco I'eccessivo ardore dei romani anche per non offendere don Giovanni a cui, se mai, spettava tale massimo onore per esser stato il capo supremo della spedizione. Comunque le feste preparate furono le piùr splendide che si ricordassero da mezzo secolo, cioè dall'ingresso di Carlo V in poi. Il 4 decembre fu una di quelle belle e miti giornate che distinguono I'inverno romano ed il sole splendeva nel cielo sereno, mentre che il grande corteo, formatosi fuori delle mura, procedeva ordinato per Ia porta di'S. Sebastiano e le terme di Caracalla, a traverso gli archi di Costantino e di Tito, verso la piazzetta di S. Marco e, per la via papale, al Vaticano. Precedeva un drappello di trombe a cavallo, seguìto da una rappresentanza delle maestranze di Roma I venivano poi le milizie di Roma in numero di 4 000 con i loro capi magnificamente armati e vestiti di srnaglianti colori. Grande interesse suscitavano nel popolo, accalcato lungo la via, anampicato sui muri ed affacciato alle finestre e ai balconi, i prigionieri turchi vestiti di giallo e di rosso, con le mani legate dietro alla schiena ed incatenati gli uni agli altri in lunga frla. Li precedeva un cavaliere romano, vestito alla turchesca, che strascinava dietro a sè nella polvere la bandiera degli Osmani; accanto ai prigionieri andava agitandosi e gridando- di continuo Fate bene per ooì ! ,, un esaltato eremita, ben noto a tutti i romani, il quale aveva anch'egli

"

partecipato alla battaglia. Seguivano poi i notabili della città, i rappresentanti dei tredici rioni con i loro gonfaloni, il cavaliere Romagasso con lo stendardo della Chiesa. Onorato Caetani e Pompeo Colonna cavalcavano di conserva, tenendo fra di loro Michele e Girolamo Bonelli, nipoti del papa. Onorato era vestito magnificamente di panno turchino, con calze, casacca e cappa bandate di velluto giallo e ricche di trine; sul berretto di velluto azzuîro sventolavano grandi penne di struzzo, turchine, gialle e rosse, i colori di casa Caetani e Colonna. Immediatamente appresso veniva Marcantonio sul quale si fissavano tutti gli occhi,.al quale andavano tutti gli applausi. Veniva egli, montato sul bianco cavallo donatogli dal papa, senz'armi, elegantemente vestito alla spagnola, con brache rigonfie fatte a fasce nere e d'argento, con calze lunghe di colore, la giubba e la cappa di seta nera, omate da trine d'oro e listate di zibellino; teneva in mano il cappello di velluto con una gran penna bianca, fissata mediante un ricco gioiello, e con esso salutava il popolo senza ostentazione, anzi quasi con umiltà. AI petto aveva il tosone d'oro. Seguivano il senatore di Roma, i conservatori, molti gentiluomini e un drappello

di cavalli leggieri.

Passando sotto archi di trionfo, ai quali erano state affisse altisonanti leggende, per le strade ornate a festa da bandiere e da ricchi drappi e tappeti appesi ad ogni finestra e balcone, salutato dal sonoro campanone del Campidoglio e dalle artiglierie di Castel S. Angelo, il corteo avanzò sino alla basilica di S. Pietro, ove i cavalieri smontarono per andare ad inginocchiarsi

davanti alla tomba dell'Apostolo. Poi saliti alla sala regia, Marcantonio e coloro che fedelmente avevano combattuto sotto il suo comando s'inginocchiarono dinanzi al papa, circondato da

25 cardinali. Ma non è mio intendimento dilungarmi ancora nella descrizione di queste feste, fatta origir) e in tante altre opere. nariamente da Francesco Albertonio e riscritta poi dal Cancellieri

1) Sforia /cf solcnnÍ poscsri, p. I 12 c

segg.


Trionfi e riconoscenze

[4 dic. 1571-mar. 1572]

155

c.*{.

Onorato, ultimate le feste, faceva ritorno nello stato, gioiosamente accolto dai vassalli in Sermoneta. Portò con sè il grande stendardo di seta che aveva sventolato sulla Grifona e I'appese in una delle sale della rocca. Lì questo trofeo rimase presumibilmente siiro al secolo XVIII, quando fu portato a Roma e messo in archivio donde mia.madre, poco dopo il suo matrimonio, lo tolse per custodirlo con cura, frammisto alle proprie seterie, sino al giorno che lo consegnò a me affinché lo conservassi per quelli che verranno. Portò seco anche un certo numero di armi turchesche che furono riposte nella famosa armeria, e vi rima.sero sino alla fine del Settecento quando andarono disperse nel saccheggio che i francesi fecero del castello. Pitture dei turchi incatenati ed altri ricordi di Lepanto si vedono ancora dipinti sui fregi di alcune stanze della Casa dei Signori " ". È probabile che Onorato senz'altro desse mano alla costruzione della chiesa di Santa Maria della Vittoria in adempimento del voto íatto durante la battaglia. Alla spesa contribuirono anche il magistrato ed il popolo di Sermoneta. La chiesa che ancora si vede, benché in rovina con I'adiacente convento dei cappuccini, costruito nel 1585, l) è abbastanza grande, a volta, con due cappelle vicino all'ingresso. In quella a destra, dedicata a S. Francesco, era un bel qúadro di Girolamo Muziano; I'altra era dedicata a S. Felice da Cantalice. Sull'altare maggiore era una gran tela della Concezione. Racconta il Martorelli 2) che Onorato vi ponesse, in memoria della battaglia, I'immagine di una galea intagliata in una gran piastra d'argento. Nel centro del pavimento fece preparare le fondazioni della tomba entro la quale voleva a suo tempo esser sepolto' per riposare in eterna pace. Passato il primo momento d'entusiasmo, le costruzioni e le rifiniture si trascinarono a lungo tanto che la chiesa non fu consacrata, per mano del patriarca Camillo, che il 29 ottobre dell'anno 1600. 3) Dopo di ciò, ogni anno, il 7 di ottobre, si celebrò in Sermoneta I'anniversario della vittoria di Lepanto ed ancora ai giorni nostri si solennizza questa festa, benché il popolo non si ricordi piìr del memorando evento. La malferma salute del padre e gli infiniti doveri che si accumulavano sulle spalle dello zio cardinale, richiedevano che Onorato si occupasse attivamente dell'amministrazione dello stato; invece appena tornato già non pensava ad altro che a prepararsi per Ia futura campagna, tutto invaso da quell'inestinguibile ardore che animava il Santo Padre. E come negli anni passati, così ora, prima che cominciasse I'impresa, già serpeggiavano le gelosie e Ie malevolenze umane: mentre Marcantonio si occupava dei preparativi, alla corte di Spagna I'invidia tesseva la rete che avrebbe dovuto impacciare le mosse del giovane generale, di cui la fama ed autorità erano cresciute oltre i limiti consentiti; e in quella di Roma si macchinava contro Onorato. Gà nel giugno dell'anno precedente, quando si reclutavano le soldatesche pontificie, egli in una letteró al cardinale Nicolò, a) si lagnava amaramente delle insidie a lui tese dai malevoli, a capo dei quali era Michele Bonelli, nipote del papa: ... è stata usata ogni sorta di malignítà, egli scriveva, per farmÍ restar smaccalo che ía non pofessí far quati soldatí ... sapemo che íI sig. Michele ... scioea a tutlí Ii capítaní delle battaglie che esortassero ognuno a non oenìrci ... ed íl síg. Marcantonío ne ha ìn mano di queste lettere ... Dt tutte queste cose ne sono causa quellí capítaní falliti dí Palazzo, i qualí mettono su questo gíooane ... II sig. Mart)

Pont.,

l, p. 613-615.

t\

Tcabo Slotlco ilclla Saala

Cas Nqarcaa, I,

p. 45ó,

E)

Ct. Pant.,ll,

p.27.

.) Cqt.,L.O.,o.25.

S. Maria della Vttoria.

Gelosie

ed intrighi,


Lib. II, Cap. K{.

DOPO LA VITTORIA

156

cantonío mí díce che se íI papa sdpesse queste cose che ha fatte iI sîg. Michele ... Ií faría peggio che non fece aI sígnor Paolo, e sta dísperato aoerlo apptesso, perché- dubìta, et mí pare ímpossibile non ínteroenga qualche male; ed íl papa ed Alessandríno I'hanno ín tutto e per tutto dato Ín cuîa sua...; iI síg. Michele, ancorché íI sìg. Marcantonío ogni di Io riprenda,

potrà tenere di non fare a suo modo. Poi aggiungevaz La tardanza della spedízíone del mío breoe (a nomina di generale della fanteria) finalmente i/ síg. Marcantonio mi ha confessato che oenioa da loro, It qualt non ooleoano che in nessun modo Nostra Sígnore mi desse queslo titolo. Non deve quindi destare meraviglia che, nel preparare la terza spedizione, Michele Bonelli e i suoi fautori macchinassero e si sforzassero per togliere ad Onorato I'alto incarico che egli così nobilmente aveva sostenuto I'anno precedente e, per riuscire nell'intento, I'accusarono di essersi dimostrato insufficiente nel reclutare le soldatesche e poco diplomatico nel licenziamento di esse. In tali frangenti Marcantonio mancò al proprio cognato del cui operato era rimasto tanto soddisfatto, acconsentendo che Ia carica di generale della fanteria fosse conferita allo stesso Michele del quale aveva avuto tanto a lagnarsi. Non è difficile spiegare tale attitudine: Marcantonio non voleva dispiacere a quella santa e nobilissima anima di Pio V, rivelando a lui le male azioni del nipote, nè gli conveniva di mettersi' in urto con quella larga parte della Corte che faceva servilmente seguito al nipote del papa; forse avrà anche intuito i vantaggi dell'" awicendamento >>, tanto in voga ai giorni nostri. Inoltre non mi meraviglierei che fosse alquanto indispettito dall'energica insistenza di Bonifacio, padre di Onorato, perché venisse liquidata la maledetta dote di Agnesina; ") questione di qualche migliaio di scudi, si sarà detto, che potevasi sorvolare in momenti di così grande importanza ed anche in considerazione di quanto aveva fatto per il cognato. Inutile dire che questo mancamento da parte di Marcantonio aprì la via alla discordia tra i Caetani ed i Colonna, sempre latente, anzi tradizionale e pronta a scoppiare alla minima provocazione. Allora Onorato, che era il piir sincero e fervente .. interventista " che ci fosse nelle 6le pontificie, cercò altra via per partecipare alla guerra: si rivolse al re di Spagna, chiedendogli di poter entrare a suo servizio, e Filippo II prontamente accettò, accordandogli una pensione r) nell'aprile 1572 Ononto scriveva a don Giovanni d'Austria dichiaranannua di 1500 scudi; dosi felice di esser stato assunto al servizio del re e di poter militare agli ordini del giovane 2) allo stesso tempo chiedeva al conte di'Pliego che intercedesse duce nella nuova spediziorre ; 3) La domanda fu accolta ed il presso Sua Altezza perché gli desse il connando di una galea. a) marchese di Santacroce mise una nave a sua disposizione in Sicilia. Tale modo di comportarsi era caratteristico di Onorato. Già aveva detto Pietro Riccardi al Peranda, dando notizie della precedente spedizione, che Onorato, se ben è díoentato generale s) L'ambizione e la vanità non offuscarono mai in lui il senso non ha percíò ingrossato la oista. del dovere e, quando gli fu negato il generalato nella fotta pontificia, non si curò della díminutío capítís, ma cercò di servire come venturiero al comando di una galea spagnola. La decisione presa da Onorato di passare al servizio di Filippo II segna il Wendepunkt della politica della Casa cioè il distacco dalla Francia a favore della Spagna. Negli anni non

Onorato rervizio

al

della Spagna.

si

sollecitazioni tróviamo una categorica di6da ") Dopo varie di Bonifacio a Marcantonio in data Xll .1572.7 (C-9065).

Ancora

il 4.1V.1573 Bonifacio chiedeva ad Onorato chb inil papa perché Marcantonio si decidesse a pagare i

teressasse

1) C.8?79.

ltt.

\

Per,,

p'

415.

3)

Iaí' p. 417.

rirnanenti 5 000 scudi e gli interessi decorsi; gli avrebbe concesso, dietro sicurtà dei Bandini, suoi banchieri, un'ulteriore dilazione di un anno senza interesse; altrimenti avrebbe dato corso alla causa 4)

(C.9222.11),

c-8983.XXV.

ó) C-8844.1.


Fine del pontificato

[apr.-ma3. 1572t

di Pio V

157

dei Caetani verso Enrico II e i suoi successori si era molto raffreddata per la poca riconoscenza dimostrata dalla corte di Parigi; già al fervore francofilo ed alla ispanofobia, che vigevano al tempo della invasione del duca d'Alba, era succeduto un atteggiamento neutrale. Le spedizioni contro il turco, alle quali la Francia fu estranea, ed il contatto con don Giovanni orientarono i Caetani maggiormente verso la Spagna il cui sovrano, furbo e previdente, vide tutto I'interesse di cattivarsi I'animo di questi grandi signori romani e dei loro cardinali, distaccandoli dalla fedeltà alla Francia. Ora, dalla morte di Francesco Pisani in poi (1570), Alessandro Farnese era il decano del Sacro Collegio e secondo di due anni in anzianità di cardinalato era Nicolò Caetani. L'autorità quindi dei due cugini era grandissirna alla Corte, nonostante la maggiore età di altri cardinali o il favore speciale di cui alcuni godevano per ragioni di parentela o altro. Filippo II riuscì nel suo intento e trasse grande vantaggio passati

la "

servitù

"

dall'incrollabile fedeltà che i Caetani dimostrarono alla Spagna per otrtre un secolo, come si verrà narrando nei capitoli seguenti. tÉ*

Intanto la salute di Pio V andava 'declinando: già al principio dell'anno si erano manifestati malori preoccupanti; le sue condizioni rapidamente si aggravarono e verso Ia fine di aprile si dubitava della prossima morte. Sentendola awicinarg quel piissimo uomo si rasserenò in volto ; rimettendosi nelle mani del Signore, raccomandò fino all'ultimo che la grande missione, che si era assunta per il bene della cristianità contro gli infedeli, fosse portata a fondo. Come dice il Pastor, il primo di maggio 1572, mormorando " Signorc aumenta í míei dolorí ma àumenta anche la mía pazíenza ", egli con eroica dedizione rendè la sua santa anima a Do. La scelta del nuovo pontefice era un problema che preoccupava tutti molto prima che Pio V fosse spirato. Il cardinale Nicolò incaricò il Peranda, come profondo conoscitore di tutte le correnti palesi e sotterranee delia Curia, di redigergli un ampio pronostico; ') difficile compito perché nessuno dei cardinali era dÍ tanta eccellenza o dí tanto nome che gIí altrí per ríúerenza dooesseîo cedergli Ín failo papa mentre tantí erano quellí che pensat)ano per se sfessí. In sostanza il Sacro Collegio era diviso in tre sefle o partiti e cioè: 7 francesi, 29 spagnoli e 22 neutrali. L'influenza di Filippo II nel conclave era assolutamente preponderante, estendendosi anche al di là dei cardinali apertamente spagnoli. Alessandro Farnese era senza dubbio il piìr .. brillante degli autocandidati, ma il re di Spagna, a lui contrario, aveva ordinato che nep" pure fosse preso in considerazione: e ciò il cardinale Granvella, entrato in conclave all'ultima ora, gli fece subito palese in nome del sovrano con dure ed esplicite parole. Nello spazio di poche ore cadde ogni vana speranza e i papabili si ridussero a tre: Burali, Sirleto e Boncompagni. A quest'ultimo, proposto dagli spagnoli, si opponevano Borromeo e Bonelli, ma le loro resistenze furono superate principalmente per opera del cardinale Nicolò che si fece paladino del Boncompagni, intimo di casa Caetani e c[re già prima di entrare in conclave aveva fatto grande affidamento su

di

il

r) c-9083.

Pio V e il

conclave.

essa.

cardinale Nicolò il primo a fargii sapere, suppongo per tramite del Peranda, che I'elezione sua era assicurata; e quando si presentò assieme al decano Famese per venerarlo e congratularsi, il nuovo pontefice, Gregorio XIII, gli disse sorridendo: .. Opus manuum tuarum ! , Lo stesso giorno, l3 maggio, dava prova della propria gratitudine nominando di sua iniziativa Onorato

Fu

Morte di

Gregorio XIII.


DOPO LA VITTORI,A,

t58

Lib. II, Cap. )O11.

Caetani capitano generale della propria guardia e governatore di Borgo: carica alta e singolarmente ambita perché permetteva a chi la ricopriva di essere sempre a fianco del pontefice ed attirarne le grazie sugli amici, sui parenti e sopra se stesso. L'elezione di Gregorio'XIII fu un grande successo per i Caetani, ai quali veniva ridonato il prestigio dopo lo smacco subito due mesi prima. Il cardinale Granvella ed il principe d'Urbino, il i6 del mese, erano ricevuti con grandi onori da Bonifacio in Gsterna e si congratulavano con lui; l) e Io stesso Filippo II, appena ricevuta la notizia, scriveva al cardinale Nicolò ringraziandolo di aver operato così efficacemente nel senso desiderato. 2) Intanto Onorato si trovava in una posizione imbarazzante perché av.eva preso definitivi impegni con don Giovanni: una galea I'aspettava in Sicilia e grà aveva mandato a Napoli" alcuni servitori per preparare \$j tutto per la propria partenza; ma ogni difficoltà iu su!r.ì,Ul bito eliminata dall'ambasciatore di Spagna e dal cardinale Granvella, ben felici che, vicino al pontefice, rimanesse un uomo devoto alla Corona e, benché esonerato dal servizio militare, il 24 maggro Filippo II conferiva

Rancori frsncesi.

rre granqr

quera der di ffi;:;*" morto il che, in caso

/ / ,a-y' -/ -,',1:W4-fî 1".'ll,

cardinare

\

fosse Farnese, decano del Sacro Collegio. il Perciò,. subito dopo la elezione di Gregorio XIII, cominciarono grandissíme persecuzioni, delle

moneta sarebbe stato

\ ',, Y Uf

legazione Lite CaetaniColonna.

tutto ciò

il

cardinale non mancò di lagnarsi amaramente. 3) Nei capitoli seguenti vedremo il riebbe sul comportamento del cardinale Enrico Caetani durante la sua

tr. ,-tj,ll",J X,lti*,,,. flesso che

ser-

quali

in Francia.

L'attitudine poco simpatiàa tenuta da Marcantonio Colonna nei precedenti mesi non giovò punto ai buoni rapporti tra le due famiglie: Bonifacio rinnovò energicamente le sue istanze perché fosse sborsato il residuo della dote di Agnesina e usò dure parole, come fa chi intende di passare a vie legali. Marcantonio finalmente pagò, scordandàsi per altro degli interessi. b) Agnesina, per quanto moglie di Onorato, era tuttavia ed anzitutto una colonnese, e Prese le parti del fratello e così finì per mettersi male col marito. Vi sarà stato largo margine di torti dai due lati:

(Ptg. 2EEl). il l0.Vlll.1573, aA istanza del card' il re gli condoaa la mancalza del non essersi prescatatoin Ispagna per riccverc il privilegio dci 1500 ducati perché a)

Granvella,

1) C. 8983 ,

XX.

2l peu o.

281.

, c -9277 .1.

inpedito dalla nuova carica (C-9317). b) Tre anni più tardi, per decisione del papa, fu però

cootretto

a pagarc l20O scudi d'interese (C-1576.IV.21).


\

Dissi

[mag.-dic. 1572]

di e rancori

t59

Onorato, sempre autodtario, diventò duro con lei e Ia trattava non come donna conoscíuta da undicí anní ma furutíerc; la trascurò, lasciandola priva persino di scarpe buone, di una scufEa e delle altre cose necessarie per comparire decorosamente in Roma; e la povera donna sfogava la sua disperazione in seno al bravo Peranda, scrivendogli lunghe epistole con un'ortografia ed una sintassi che devono aver fatto venire i brividi all'elegante letterato. r) Marcantonio minacciava di non piìr voler rivolgere la parola ad Onorato. Inutile dire che queste differenze diedero esca alla lite per la spiaggia di Fogliano; già nel marzo del lSll la causa era di nuovo in pieno corso 2) e durò oltre tre anni. Non cercherò in alcun modo di seguirne Ie varie fasi perché simile materia ha un interesse assai relativo ; ricorderò soltanto che le discussioni si aggirarono sulla .. Palizzata ,, che segnava il confine del u tomboleto >' dei Caetani con quello già appartenuto al comune di Terracina (i primi pretendendo il diritto di pesca nel mare tra la Palizzatta e Foceverde), ") vi furono il solito taglio delle reti dei nettunesi, fatto dai ministri di casa Caetani, e le solite"hrprepotenze da una parte e dall'altra; alla fine i sospetti tra Ie due famiglie si estesero anche 'al di là delle questioni litoranee e risorse il dubbio che i Colonnesi complottassero di nuovo con i Caetani di Maenza. Si eseguirono sopraluoghi e perizie e si raccolsero deposizioni testimoniali. Gli awocati si batterono con accanimento e con I'acerbità consueta tra i colleghi del foro: quelli di Marcantonio cercarono di confondere l'avversario portando in tribunale documenti che provavano la discendenza illegittima di Cristoforo, ma rimasero molto male quando fu loro dimostrato che avevano preso una papera genealogica confondendo il ramo di Fondi con quello di Sermoneta. 3) Intervenne il papa perché si /enÍsse questa causa e in ultimo la decisione fu rimessa all'arbitrio del cardinale Sforza ed all'autorità del ponteÉce. b) E così le cose ritornarono esattamente al punto ove erano state da secoli, senza incremento per I'una o I'altra parte salvo nel rancore

di

entrambe.

a)

Onorato, nella sua nuova carica che resse per sei anni, ") si stabilì nel palazzo destinato al governatore in Borgo I aveva una corte composta di giudici, scrivani, sbirri etc., essendo investito dell'amministrazione della giustizia in tutta la Città Leonina. d) Come capitano della guardia viveva in continuo contatto col papa, accompagnandolo ovunque e perciò trasferendosi con lui ad Aracoeli o a Montecavallo per sentíre íI fresco durante la canicola estiva. ") Per tale intimità trovavasi al corrente di tutti gli affari più segreti che trattava il pontefice, ma di essi non troviamo che vaghissimi cenni perché era severamente proibito a chiunque di riferirne ad altri. Gregorio era molto affezionato al giovane come a tutta la famiglia, e già sin dai primi mesi del suo pontiÉcato espresse I'intenzione di fare una visita a Gsterna, ragione per cui furono affrettati i lavori del nuovo palazzo.l Caetani si adoperavano in ogni modo per dimostrare

a)

Cf. Al[uo della

pesca a mare

a certi

pescatori

di Gaeta

2l.XI .tíl0 (C-2693). b) Il papa decise che I'acqua di Foceverde spettasse in comune alle due Case ed i Colonna fossero liberi di pescare in del

mare

(C- 1576.|V.21, N. 27454). c)

E

XIII

precisaroente 6no allo spirare del 1578, quaado Gre-

di capitano della guardia e di go' illegittino Giacomo Boncompagui (Pcr., p.353). Del resto, anche prima di ciò, non tralasciarono gli "*biziosi di tentare di sbalzare Onorato dal suo u6cio (C-9507 bis). gorio

conferì la carica

vernatore al proprio 6glio

Ò Nel 1579 fu proposto di pavimentare Borgo con r)

C-8917.

2>

C'9212.

I C-9919.

grosse

+\

lastre

N.

di pietra;

per schema

di

contratto vedi C - 1579.1X. 10,

173724.

.) Per la storia de'pal"'"i in

Roma ricorderò che il XIII se ae andò a Montecavallo in modo tanto improwiso che il ard. di Como non ebbe il tempo di farsi preparare la mula per accompagnarlo e Onorato a mala pena poté saltare a cavallo e galoppargli appreiso, Giunto sul colle, iI papa palesò il suo desídefio dí píglíate qucl luogo e! faroi tma bella fabíca (C -9353 . I), I lavori per la coetruzione del Quiriaale furono iniziati pochi mesi

4.X.1573,

appena detta

più tardi.

Atc. Caet., ptstim 1573-1576.

la

messa, Gregorio

Intimita con

Gregorio

Xlll.


DOPO LA VITTORIA

t60

Feeta

in

Borgo.

la loro riconoscenza e continui erano gli invii dei meloni di Sermoneta, famosi in tutta la curia, de' quali il papa era ghiottissimo. ") Sollecitato dal cardinale Boncompagni e da altri dignitari, nel gennaio del 1573, Onorato diede una gran festa nella sua abitazione in Borgo. Fu invitata tutta la società romana e davanti al palazzo fu corsa una giostra, nella quale il giovane apparve magnifrcamente vestito di panno amazone con un'impresa dedicata ad una delle giovani dame affacciate ai balconi, ma di cui il Peranda, per riguardo ad Agnesina, diplomaticamente ci ha taciuto il nome. Fu rappresentata una commedia, che durò quattro ore e mezzo, e poi seguì un banchetto sontuosissimo al quale presero parte il duca di Ferrara, ottanta signore, tulte Ie príncípali et píù belle, e gran numero di gentiluomisri e dignitari; furono serviti i eervi e i cignali mandati da Gsterna. Il cardinale Nicolò pranzò ad un tavolo separato con Alessandro Farnese, Ippolito d'Este ed altri principi della Chiesa. Dopo di che si ballò frno allo spuntar del giorno. r) Tanti onori e piaceri non avevano però tolto ad Onorato I'ardore suo per la guerra. Dopo I'inconcludente campagna del l|7L,Gregoio XIII fece un nuovo sforzo per riunire una flotta più grande di tutte Ie precedenti ed alla fine di febbraio sembrava che si fosse giunti ad un'intesa definitiva con Venezia e Spagna. In Roma si erano cominciati i preparativi di guerra ed alcuni armatori di Napoli trattavano con Bonifacio Caetani per tagliare nelle selve . di Caprolace il legname occorrente per le galee del PaPa ; 2) Onorato, a quanto 3) e forse aveva già pare, aveva intenzione di partecipare alla spedizione ottenuto dal papa di esser temporaneamente esonerato dal suo ufficio, quando il 6 aprile I'ambasciatore veneto Paolo Tiepolo annunziafa al Sigillo di pontefice, che stava a villeggiare in Frascati, che la Serenissima si era Giorgio Pannilini.4) accordata col sultano. Il pontefrce iratissimo gli ordinò di allontanarsi dalla sua presenza. La santa lega contro il turco era infranta, perduta I'opera di Pio V e distrutto

tutto

il

valore della vittoria

di

Lepanto.

b)

ò Sí nani!íno quanlo píù posnno delll melloni bian' chl perché ÍI Papa non mangía altrc (C - 1577 .Vll -23). Questa storia dei metoni di Sermoneta diventò una mania che durò per circa un secolo, e fiumi d'inchiostro furouo comumati in loro onorc. Ogni estate si creava un traffico giornaliero tra Sermoneta e Rorra per soddisfare all'insaziabile sete della curia romana, a tal punto che nel 1598 i vassalli Prot$tarono per l'incessante e gravoco onerc che ricadeva su di essi per la requisizione delle vetlure (Cf. C - I 59E .VIII . 9).

Giorgio Pannilini e Lucciali.

Ub. II, Cap. )fl/l.

momento in cui fervevano i preparativi per la quarta spedizione, un tale Giorgio del Giglio Pannilini, da Siena, non meno rinnegato cristiano che turco e reritore (o schiavo) di Virginio Orsini, scriveva due lettere nolto interessanti che si

b) Nel

Ill. 1573 (C'9197 e e I'altra al proprio 6glio

conservatto nel nostro archivio, datate 15.

9198), I'una diretta a

Lucciati

Caito Mustafà, alto funzionario alla co*e del re conaro, intese

a staccare entrambi dalla fede giurata al sultaao Selim Il' Tale azione collima col tentativo fatto nel *tt, 1572 da Matantonio Colonna per cattivare Lucciali, ofrendogli il principato di Rossano

(Manft. Mat, P.519' n. 3).

Queto Pannilini

compose un diario storico,

il

cui auto'

conserva nella 8Í61. Vat. (Barb' Lat', n' 4791): interessantisino docunento che, a quanto mi risulta, non è noto

grafo

si

agli studiosi di corc orientali ed è intitolato u Vlaggío comín' cialo ilamme Gíorgío GíIíi PanníIiní '.. per Asla, Afitcha,

i) c-9121, 9t54t Pet,

p. 1l

.

s) c-9171, 9180.

Europa ... comincíanìlo all'anno 1542 rtno all'anno 1564 ', ma che effettivameute si etendc sino al 1575. Da eso risulta che l'avo dell'autore fu Francsco da Minadois di Portogallo, i cui 6gli naturali si contesero I'eredità patema in Roma al tempo di Pio II. Uno di questi, Giovanni, vinse la causa e, amico di Antonio Piccolomini, duca di Amal6, sposò Lucrezia Pannilini, 6glia naturale di Enea, discendente dei Todeschini e * di nazione tartaro >. Giovanni si stabilì alle

Fratte di Torrita ' e assunse il cogrome di Pannilini. Giorgio nacque il 23.1V.1507 e fu al servizio dei Piccolomini e di altri signori ma, dopo pochi anni, preferi menare n

vita randagia ed avventurosa nei paesi di Levante' Giunto all'ctà di 35 aui era già caduto (non so quanto a controvoglia) quattro volte prigioniero degli infedeli' ll sangue tartaro che scorreva nelle loro veoe, spinse i fratelli Pannilini a fraternizzare più con i turchi e corsari ehe non con i cristiani: Giorgio in terze nozze sposò la 6glia del vicerè di Majorca, schiava convertitasi alla fede maomettana, ed egli stesso si fece lurco e fu circonciso;

poi abiurò in S. Pietro ma, ritornato in Turchia, si

professò

nuovanente musulmano. Per molti anni continuò tale comme' dia, giuaando il falso turco con i cristiari ed il falso cristiano coi turchi. Furbo e intelligente, levantino opportunista e uomo di elastica coscienn, salì in molta autorità presso la corte del sultano ed ebbe

pa*e preminente in varie spedizioni navali. ll

di Giorgio, detto Caito Mustafà, divenne {) Sieillo della lcttaa a p. 16l. 3) C-9162. 6glio

sangiaco di


Disf acimento della leg

[1573-r575]

t6r

a

[Jn anno dopo aweniva un curioso incidente che illustra quel che era I'anticamera del pontefice ove, giorno e notte, si aggiravano prelati e baroni o i loro segretari aspettando che si presentasse I'occasione di potersi inginocchiare davanti al pontefrce per esporgli i propri guai

Aneddoto

dcl fabo

chiedergli una grazia. Anche persone di poca autorità potevano senza grande impedimento awicinarsi al santuario in cui dimorava il capo supremo della cristianità: lì, nelle anticamere, attendevano per ore ed ore di seguito, ogni tanto raccomandandosi ai dignitari ed ai familiari che, con la sicurezza di chi è di casa, traversavano a passo affrettato le sale e sparivano dietro alle proibite porte. Or avvenne che I'undici marzo 1574 un turco (in vero figlio di un greco di Schio), traversava Roma a cavallo, vestito di magnifici panni ricamati d'oro, preceduto da un interprete e seguìto da un altro, vestito alla turchesca con schiavina, la scimitarra alla cintola, I'arco in mano ed il carcasso pieno di frecce. Passando solennemente per Banchi e dicendo, a chi lo voleva sapere, che era latore di importantissimi awisi al papa, questo grande personaggio salì superbamente per gli scaloni del palazzo vaticano sino alla stanza del cardinale di Como. Sorpreso, ma fiero di poter dimostrare al mondo che aveva relazioni persino in Costantinopoli, il cardinale scortò I'alto dignitario a traverso la sala di Costantino sino alla stanza del papa. Era I'ora del desinare e le sale erano deserte.

o

Santa Maura, governatore di Lepanto e bellerbey di Morea. Il fratello, anch'ecso di nome Caito Mustafà, chiamato dai turchi Appia[ fu bascia generale in Barberia c la loro sorella f,nl nel serraglio del Corno d'Oro e fu chiamata . la sultana t. Racconta I'autore che nel 1550 (ma credo che il fatto sia accaduto varii anni prima) fece parte di una spedizionc di 22 galee inviate dal sultano ad Algeri; in viaggio queste si fermarono a prcdare la costa della Calabria. Sbarcati al Capo delle Colonne presso Cotrone, furono catturatc un centinaio di peÉonc € fra esse un guardiano di porcelli (Dionisio Galeni), di 14 (l) anni d'età, at quale fu poi dato il nome di Oulouch-Ali (Lucciali), che vuol dire o Ali il ladrone ', ma comc soPrannome fu detto al-Farta, cioè " il tignoso r, perchè reso calvo da questo male, e cosl Io domandaoano quando fu pteso scÀÍaoo, Proaeguendo il viaggio, s'incontrarono col famoso corsaro Dragut (Torghud), che fu governatore di Tripoli, e assieme veleggiarono verso Algeri. Or avvenne che fu rubata una cascca ad

ardimentoso viaggio

un turco e Lucciali, incolpato del furto dal . gomito ,, fu condannato a 50 bastonate, Il porcaro calabree inferaito gli gridò fra i denti: < Sì ueilessí dí fatmí tutco, hío te Ie oogllo

onnî dooe paiandone con Ií ptincípí críslíanl, Iultl sl ofeúsca4o Al farc naggìot dano di quel che ooî aoeli lassanilo mcmofia eltema dclld casa oosba; et cosl oí consorteríti coll oostrÍ amícl et così fatítÍ che oengha ín afetlo sícuatnento e ll'operc oosba

rcndcte

!,

Dragut apprezzò ben presto le qualità del giovane schiavo e sc lo fece donare; Lucciali si convertì ed ottenne il posto di scalco, ossia di dispensiere della galea. Gli si presentò allora I'occasione di vendicarsi: nell'attacco di un galeone u di Ciechala o il comito commise un errore di manovra ; ragione per cui Dragut, legatolo al banco, ordinò agli schiavi d'infliggergli una bastooata ciascuno; nessuno osò alzare la mano, salvo Lucciali il quale menò tanto forte che il comito ne morì. Dopo di ciò Lucciali fu fatto guardiano degli schiavi e si dimostrò talmente crudele verso i cristiani che Dngut, apprezzandolo per ciò, gli donò una goletta per avviarlo alla carrlera di corsro ; il giovae, per il suo valore fu nominato epitano di Tripoli ed ebbe il o-".do prima di quattro e poi di dodici galee. Straordinaia fu la preda che fcce sulle coste della Sicilia, in localiÉ . Le Saline r, catturando nove galee che andavano in Spagna col vescovo

di

Catania.

La púma grande azione nella quale si distinse Lucciali fu nel l5ó0 quando unitamente a Giorgio Pannilini intraprese un Domus,

ll, 2l,

a Cortantinopoli per chiedere roccono alla Porta contro la grande armata che Filippo II Eruoveva alla con. quista delle Gcrbe e di Tunisi. Giunto in tempo con la f,otta, comandata da Piali parcià, Lucciali cbbc grande merito nella disfatta dei cristiani.

Cosa operasse Giorgio Pannilini tra il 1560 c la battaglia Lepanto non risulta chiaro; è posibile che in quet'ultima cadease in mano dei cristiani come rinnegato e fosse asegnato cchiavo a Virginio Orsini, Subito ofrì i suoi servigi alla lega e, per provare il proprio fervore per la cauia cristiana e I'autorita di cui disponeva tra i turchi, scrisse le due sopracitate lettere. Quella diretta al Luccialiè del seguentetenore: Fuotit Ad Luccìalí bascía mío come ftatello cansímo, gíenuale dell'armala lurchesca. Entro: (S.). Gran bono amÍco píà che ftatello. Dcsíi!rc scn!írc dí ooi maggior grcdo adprcsso aìI DÍo et aI nonilo

di

setúíre

dl

ooi chc ooi oeníte

aIIi eîctlì

c,llí aostui raglonamenlí;

pet che iI mefito è gta rcdcloppìalo a fimuneratíone d.e ctíslíant oggt porlano íI oanto dí tulll í pilncípí ofientali, Hio sto in Roma

tantí anni et mí so adcertalo del oíoere de síslíaní: lrooo chc

il te ilî

Spagna

ín

congnosciere

gIî

homìní pagallí

ìn

doppío

el quando è certo, AItrc non dìco sí non che oí icodatí dí bene

el

mandate

esseÍe cotona

casa oostra

esserc

homo

mentí

eI

da

ín

;

efetto

non aúrc,

oosltí ragiona-

Roma

alli

15 dí marzo 1573,

II

ooslro Cìauscío che

ol ama di cote

Giorglo Pannílínt

tene3,

Hìo none scríoo lwchesco pet non esxt lenu|o sospello, L'autore aÍerma speeifcamente che Lucciali nac4ue alle Castelle di Cotrone nel 1534, ciìt che contradice qnant6 è asserito in'altre fonti che farebbero cadere ta sua nascita verrc il I 508. D'altra parte egli afierma di esser stato pre. rente alla ettura del giovane Lucciali, la quale probabilmente awenne dopo il 1542, quando il Lucciali aveva certo più di

N. B.

16 anni.

'

turco.


Lib. II, Cap. XVI.

DOPO LA VITTORIA

t62

Gregorio XIII rimase sbalordito e turbato da questa inaspettata visita: mentre il cardinale insisteva che gli illustri sconosciuti fossero lasciati soli col pontefice, tornavano dal desinare il maestro di camera ed Onorato Caetani ; il primo, andato in bestia, gridava ad alta voce z ,, Andate a díre aI catdinal di Como che oada e torni colla penna all'orecchia a far I'offtio suo che è dt copista/ > Onorato, nonostante il divieto, s'infilò dietro una tenda per sorvegliare da vicino gli strani visitatori e vide che dopo pochi minuti il papa licenziava i turchi ed usciva tutto stranito, ordinando che gli intrusi fossero arrestati come spie. Tutta Roma era in ciarle e rideva. l) Continua era I'intimità di Onorato col ponte6ce: spesso essi andavano insieme la sera a passeggiare nella vigna del cardinale di Sermoneta, che era vicino a S. Susanna, nell'attuale via XX Settembre, ed a volte il papa vi dimorava per vari giorni di seguito. ") L'intimità era allietata da facezie: un giorno il papa afidò al comandante della propria guardia I'alto incarico di procurargli della caccia; e quando lo vide tornare con quattro quaglie e due tartarughe si mise a ridere a squarciagola dicendo che vedeva assicurato il mangiare per I'oggi e per il domani. Ogni tanto Onorato ricordava al papa la promessa visita a Cisterna, ove la stanza per riceverlo era' pronta già da molto tempo; intanto essa servì per ospitare don Giovanni d'Austria quando, verso la fine di marzo 1574, passò per Cisterna nel suo viaggio da Napoli ad ossequiare il papa, ed in quella occasione furono mandati mobili da Roma e I'anticamera fu parata con belle .. verdure ', di arazzi.z) Ingresso della vigna Ma trascorsero altri due anni prima che awedel card. Sermoneta a S. Susanna.3)

Vsita di Gregorio

I

Xlll

Sermoneta.

nisse questa così arnbita visita e grà Ia morte aveva privato Bonifacio di tanta cansolatíone. Grandissimi furono i preparativi, e gli arredi occorrenti, quando mancavano in casa, furono presi in prestito dagli amici; fu fatta incetta di tutti i cibi piùr rari e delicati. a) Gregorio XIII partì da Frascati il 13 di settembre del 1576 e, consumata la colazione a Cistema, proseguì per Sermoneta, accompagnato da Onorato e dal cardinale: s'inerpicò in cavozza per la scoscesa e rocciosa strada, ai lati della quale era assiepata I'intera popolazione di quella terra e delle altre vicine. Dall'alto della rocca rimbombava il cannone e sventolavano gli stendardi; tutto il paese era in festa. Giunto al Pian del Lago (ora detto il Giardino), piccola zona pianeggiante sottostante alla porta del Pozzo, fu incontrato dagli ufficiali che presentarono a Sua Santità, entro un bacile d'argento, le chiavi della terra; .) (C- 157ó.tX e X).

Questa vigna cominciava alle ra-

dici del monte e si estendeva peî inslno antíchamcnte

la címa nella Vía Pia

ilella Altae Semttae. Verso

il

1575

il

cardinale

firmava un contratto con mastro Nicolò per una mva da farsi in detta vigna, a condizione che Ie leste, stalue eI figute ct

r)

C-953,1'll.

1C'9560.

3) C-1585

c'' N'

198430'

partí el fragmentí dî esse, dí maîmo o dí brcnzo od altro ,,.

î oasí, epílaphÍi, iscfitíonl, colonne, capítellí, medaglíe dí oto et argenlo etc. fossero riservati al proprietario (C-3662). Otto anoi più tardi il cardinaletrattaval'acquisto della villadi Belvedere (C - I 5E3 4)

C.1576.IX.

.Vl .29, N. 80077).


FU"*-*-

'XFT

f1

l6t

Gregorio XIII

[t574-15761

questi fece cenno che si dessero al cardinale di Sermoneta che gli stava accanto e poi entrò, al rullo dei tamburi, passando sotto archi di trionfo per la via principale della terra tutta parata da tappeti e drappi, appesi alle finestre ed ai balconi, e da freschi rami di olivo, di lauro e di quercia. Ed intanto dall'alto della rocca tonavano senza interruzione i cannoni fincÀé si l) tacquero per completo esaurimento della polvere da sparo. Il papa volle smontare davanti alla collegiata di S. Maria e poi, a piedi, proseguì sino alla rocca ove il castellano inginocchiato gli presentò le chiavi. ') Fattosi notte, I'intera vetta del monte luccicava per le infinite luminarie accese nelle piazze, alle frnestre e sulle teîrazze, quasi awiso all'intera palude che la capitale dello statq era onorata della presenza del capo supremo della cristianita, onore non più avuto da tre quarti di secolo, ossia da quando Alessandro Vl era venuto per compiacersi della preda fatta a benefizio dei suoi aquilotti. .l(Mlsc., C-447, p. l3l). In talc

occarione Grego' XIll con€cslc varie indulgenze, come da ricordo epigra6co chc ri conrcrvava nclla collegiata di S. M. (C ' 794 ' l), c al-

rio

r)

1576 .

Xil.

S,

N.54169.

trcttanto fece per S. Aatonio di Cisterna (Pry.352,C'1576. p. 616 che la 1X,20). Erronea l'aficrmazioae del Ponl., virita averce luogo il giorno 16.

I'


Clptrolo XVII.

IL

CARDTNALE

DI

SERMONETA.

(r 560-r 585)

oN la morte di Bonifacio Caetani, il cardinale Nicolò, suo fratello, diventò il capo non solo spirituale ma anche ammi-

L'uomo.

nistrativo della Cas.. Quando Onorato, tornato da Sermoneta dove erano state compiute I'esequie con grande pompa e sincero cordoglio, si presentò al pontefice, questi gli venne incontro quasi con Ie lagrime agli occhi rivolgendogli parole di vivissimo affetto. Il nuovo signore di Sermoneta gli s'inginocchiò davanti e disse : ,, Padre Santo, Ia cura et I'amministrazíone dello stato sarà del cardinale ") dí mado che non haoendo ío a sentírne traoaglío alcuno non haoetò che fare altro che serttire alla Santítà Vostra,r. E con queste parole, pronunziate in pubblico, volle sventare le voci che già circolavano in Vaticano che egli intendesse dare le dimissioni da capitano generale della guardia. r) Card, Nicolò Caetani. In quell'epoca il cardinale Nicolò, non ancora cinquantenne, era nel pieno vigore della vita malgrado qualche sofferenza fisica, dovuta probabilmente ai ripetuti attacchi della malaria che affiggeva la Campagna Romana. Di natura robusto, piuttosto tarchiato ma non affatto pingue, portava una corta e folta barba che accentuava il suo aspetto determinato

e

autoritario.

b)

Autoritario era, fuor di ogni dubbio, e la sua parola faceva legge in casa Caetani: attivo, energico e intelligente, si occupava di tutto personal-ente, sicché la sua segreteria era un piccolo ministero; da essa irradiavano gli ordini per la giurisdizione dello stato e per I'amministrazione della campagna, per gli afiari nel Napoletano e nelle abazie, di cui Ia Casa era beneficiaria, di Loreto (da cui sono tratti i disegni in queste due pagine), ed al o) Pochi giorni dopo la morte di Bonifacio, essendo divenritratto del card. Nicolò in età giovanile, riprodotto nella tavola tati eredi della quota sua i 6gli Onorato, Enrico e Camillo, costoro, unitamente al crdinale, governatore ed amrninistratorc a pag. 46, avevasi un quadro dipinto da Scipione Pulzone, detto .il Gaetano", delqualefu fatta unacopianel 1605per mano dello stato, dànuola procura a Bartolomeo de Ottavianis, loro del Ghirardi per mandarla a Capua (C - I 605, N. 55392). Cf. ministro, per prendere formale possesso delle tenute (C . 955E ' II). b) Oltre alla statua in bronzo della tomba nella Santa

t)

c-g4g'5.

Casa

pag. 177.


L'uomo

lr560-1s85I

165

nonché per il governo di Cesi e dell'arcivescovato di Capua. Continua era la sua corrispondenza con quasi tutti i principi d'ltalia e con molti dei sovrani esteri. A iui, sin dal 1566, i pontefici avevano conferito il protettorato della Scozia e, dopo la tragedia di Maria Stuart, ") si prodigò proteggendo e sowenzionando i vescovi cattolici, costretti a fuggire le fiere persecuzioni della regina Elisabetta; inoltre soccorse i fuggitivi dando anche modo ai giovani di proseguire i loro studi in Roma. Questo titolo onorifico fu tenuto dal cardinale sino al termine della sua vita. l) Per un certo tempo fu anche camerlengo del Sacro Collegio, ufficio al quale rinunziò nel marzo del 1578. 2) Metodico ed ordinato, voleva che 'ogni suo prowedimento fosse eseguito be4e, e Ie disposizioni da lui date erano chiare e precise. Di mente larga nel promuovere nuove iniziative, era tuttavia saggiamente economo nella esecuzione di esse. Profondamente religioso, era austero di costumi e nessuno avrebbe sospettato che nella sua prima gioventù era stato uno spensierato, fervente ammiratore delle donne dai facili costumi e un mattacchione di primo primo ordine. b) Verso i propri dipendenti era giusto e generoso. ") i In Vaticano godeva di molta autorità anche per le parentele ed intime relazioni che aveva con vari dei piir eminenti cardinali, ma questo suo prestigio non fu mai di tal sorta da piazzarlo tra i " papabili ,. Forse gli mancò un sottile intuito politico e, troppo preoccupato delle cose amministrative, non fu di quelli che stanno sempre vicino alla forgia, pronti a battere il ferro quando è caldo. Ed è anche probabile che gli mancassero lo charme,l'ascendente personale e quella dose di demagogia che sono doti indispensabili a chi vuol pervenire alla sommità della carriera politica. trmportanti lavori furono eseguiti dal cardinale Nicolò nelle chiese poste sotto la sua giurisdizione e specialmente in quelle di Capua; ma di queste ultime opere non rimangono che poche tracce perché nel 1720I'arcivescovo, il cardinale Nicolò Caracciolo, assoggettò la cattedrale ad un vandalico restauro, distruggendo non solo quanto avevano fatto gli arcivescovi Nicolò e Antonio Caetani (f 1624) ma anche le preziose opere d'arte del medio evo. Il magnifico arnbone a musaici fu disfatto per pavimentare la Cappella del Tesoro; il cero pasquale del secolo XII fu messo in piazza ad ornare una fontana, mentre il capitello e la base di esso furono trasformati in fonte battesimale per un'altra chiesa; le due piccole statue di S. Stefano e S. Agata, che ornavano il mausoleo dell'arcivescovo Giordano Gaetani (f 1496), d) furono adibite come

.) ll 9.lII . 1566, Enrico, nell'appartamento della regina

A tale tragedia

Rizzo.

Lorena del 6

.lV,

e

marito

il

entrà

di lei favorito

si riferisce una lettera del ardinale di

diretta al cardinale

(C-7543. III),

di Maria Stuart,

fece pugnalare

di

Sermoneta Protectore

ilí

alle mani del vescovo Domblanc, con la quale lo pregava di voler usare tutta la sua influenza perScolía

afÉdata

ché il papa desse aiuto alla sventurata Maria contro gli eretici che la volevmo disfare. La regina Maria scrisse alcune lettere al cardinale, ma queste, purfroppo, nou si trovano più nel nostro archi-

vio (C-7867). verso I'anno 1580, ebbe

le seduzioni del bel sesso e, un 6glio illegittimo, a cui fu dato il

nome di Francesco-Maria.

È probabile che tale inegolarità fu da

b) Con tutto ciò non aborriva

lui tenuta celata a tutti e, di fatti, del piccolo batado non si ha notizia in alcun documento 6no al 16@ quando Clemente MII lo abilitò agli ordini ed ai benefizi ecclesictici pwché non sía ímìtalote della íncontínenza patena (PtS. 1667). Il 17 apr. 1)

C- 1580.1. 19 e Vl.

ó.

î) C-3649.

dello stesso anno si laureò a Perugia (Prg,2776), probabilmente in età di circa 20 anni, e fu assunto tra i familiari del cugino, il patriarca Camillo Caetani, e poi diventò intimo e vicario del card. Bonifacio nell'arcivescovato di Taranto, come si dirà nel

III

volume della Domus. c) Il patrcne nostro non pasce î senllori dí aspettalioe, ma senza altro, quando t)engono Ie occasíoní, glí aíuta et faúorisce et benefica (Pen, p. 65). d) Nell'antica cappella gentilizia dei Gaetani di Fondi, de. dicata a S. Lucia, ammirmi questo bel mauoleo dell'acivescovo Giordano, sul quale giace la sua immagine marnorea, e sotto

di

essa

vi è la

seguente

i*rizione:

D. OP. M.

S.

roR[DANVsl . cAY[TAr.rVs] . ARAcoNrvs . poNTt[FEXI cApv[Atwsl . PATRIARICHA] . ANTToCHENVS PIETATIS: AC IVSTICIAE CVLTOR HV MANAM IMBECILLITATEM : EXIGWM

Arcivescovato

di

Capua.


IL

166

Lib. Il, Cap. Klll.

CARDINALE DI SERMONETA

ftvi,'ìl'l[ll;:t

'\

''h'-Aìxi,iì2,"

\'ììK((Its

/c \--'*/E'1,/,, ,,1 /'rvt'nu

{$W ), r'['r,gi

Nicolò Caetani

.

cardinale

di

Sermoneta

t

(G. B. della Pona?)

pinnacoli laterali sulla facciata rimodernata del duomo. Dell'arcivescovo Nicolò si conserva uno stemma con iscrizione sul 6anco della cattedrale e, secondo Rafiaele Orsini, ") aPpassionato cultore della storia e dell'arte capuana, una porta di essa, sulla quale è inciso Nlc. CAET. CARD. b) DE sERM., fu utilizzata nel secolo scorso per restaurare la chiesa di S. Maria in Abate. s. Leonardo Nessun ricordo dei Caetani. ho trovato negli edifizi di S. Leonardo della Matina Presso in Puglia' Manfredonia, badia che per circa 80 anni fu il piìr cospicuo benefizio ecclesiastico della famiglia. VITAE CVRRTCVLVM: CERTI OBITVS |NCERTAM DIEM coNslDERANs. H[oc] . srBr

vllvo] . EREXT:

SIEPVLCRUM]

PRAEPARAVITQVE

AN[Nol . sALlvTIsl . NoST[RAEI . M.cccctxxxxvt. Soll'altare

è

$posta uua ptecioca tavola di Aatoniazo

Romano, dipinta nel 1489 per commissione dell'arcivescovo Gior' dano, il quale fece eseguire vari altri lavori ndla canedrale (ai

quali avrei dovuto accennare nel Io volume), come, ad esempio, la cappella di S. Paolino, edificata per custodirvi il tesoro; sopra di essa si eleva una torre che in una lunga fascia di marmo porta la s€gucnte iscrizione:

HIC PIA IORDANVS SACRA CONDENS MARMORE CINXIT FREGTO QVI PATRIARCHALI DIGNVS HONORE FVIT MOCCCCT)(XXX.

Nel pavimeuto della

sagrestia

di detta

cappella si conserva

un pregevole lutricato di mattouelle con lo stemma dei Gaetani d'Aragona sormoDtato dalla corona baronale, oPera certamente ordiaata da Onorato ll, conte di Fondi, verso I'anno 1480; di esso sto facende hre rrna qopia in maiolica per Ia rocca di Sermoneta. Al mureo si couserva un bello stemma dello stesro arcivescovo.

ù Bollaftno PeríodÍco Ttîmesttale, Capua, pubbl. dalla Brieatadegli Anici dei Monumenti; Capua1927-1930. Ct. Glooaní Caaso, . Il Duomo di Capua n; S. Maria C. V., 1916. b) QueEta, anticamente detta S. Maria Piccola, prese il rruovo nome perché dipendente da quella vicina di S. Vincenzo al Volturno, che apparteneva alla omonima badia, sita alle foati del f,ume prereo Isernia e il cui abate risiedeva a Capua, ceatro amministrativo dell'abbazia. Della chiesa di S. V. si fa frequentemente cenno nella corrispondenza capuana dell'arc. Caet.


Capua e S. Leonardo

[rcc. XV-XVll]

167

Sorge questa sopra un ultimo deserto contrafforte del Gargano, proprio sul limite della immensa stesa del Tavoliere delle Puglie. Era formata di alcuni edifizi ad uso dei frati e dell'industria agricola, nonché del piccolo ospedale, raggruppati intorno all'antica chiesa di S. Leonardo e abbracciati in un grande recinto quadrilatero di muratura, che dava alla badia I'aspetto di un'azienda piir che di un istituto

.\

sacro.

La

chiesa

a due navate è del principio

del secolo XIII e I'antico portale, che

si

apriva sulla strada Foggia-Manfredoriia,

è

,!t

i-'

\ì,1.I

['rniì

magnificamente conservato.

Al

tempo del cardinale Nicolò era tenuta in perfetta efficienza ed i due suoi altari, sopra uno dei quali si eleva ancora un interessante crocifrsso in legno del secolo XlV, erano ornati di belle tovaglie, di paliotti e di molti antichi arredi sacri, che oggi avrebbero inestimabile valore. ") Ogni giorno i suoi cappellani dovevano celebrare tutte I'hore canoníche secondo è solito et consueto et ad hore et tempo ... secondo Ia santa mente Portale della chiesa di S. Leonardo dclla Matina. dell'ilt^" et R.^o signor cardinale de ,Sermoneta perpetuo comendatore ... et ogní matína celebrare tre messe, una cantata et due lette .,, Et siano dette appontatamente adagio et con quella deooctíone che si ríchiede et non aIIa ímpressa come soglíono fare Ii puochí deooti dell'honore di Sua Díoína Magestà. L'archivio, con i privilegi antichi della badia, era conservato in un cassone di legno. Tale era il nocciolo religioso dell'istituto; il resto era tutta una vasta azienda agricola, le cui masserie delle pecore, dei porci, delle vacche e delle giumente sorgevano a gran distanza I'una dall'altra nella vasta, incolta e quasi deserta distesa del Tavoliere, ma che comprendeva altresì grandissimo numero dei beni immobili in tutta la Puglia, da Manfredonia ad Otranto. b) Il centro amministrativo era a Torre Lamanna presso Ariano. l) Il cardinale Nicolò, appassionatissimo della caccia, vi si dedicò dalla prima gioventù sino agli ultimi anni della vita: era frerissimo de' suoi sparvieri e cani e cercava di trovame di

q;

-r

sempre più perfetti presso

gli

amici

e

i

principi d'ltalia. Amante dei cavalli, aveva creato una

a) Uno agnus da d'argcnto dotatc. Una corona d'atgenlo dotata, con quattro gìoíe. rclíguarío d'atgento dorato, configuríne dí oaie sottÍ tíIíeoo el un Scn l*onardo ín címa. Una pace d'atgento dorcta dí smalto. Una pace d'aoolío con lo Spíi(o Santo et an lí Apostolí. Un paro dí fenuccí da carcerc d'aryento.

lJn

Quìnilicí

fletft' (d'argento) da poilare al collo.

r) CL oae. l l l, mta c).

Un filerto d'atchímìa.

Un paío d'occhí d'aryailo. Una saccoccía píena dí prtoíIcgí etc. (C-E230). A titolo di cronaca ricorderò che verso la metà del sec" XVI la orfc di Napoli, per prowedersi d'artiglieria, requisì una campara per ogni chiesa di Brindisi (e forse di altre città) e perciò si appropriò la più grossa della chiesa ', di quella città, che era rodfaafa (C-8320), b)


tó8

IL

importante tazza, della quale

Lib. Il, Cap. XVll.

CARDINALE DI SERMONETA

ho trovato frequenti indicazioni nel nostro archivio e, fra altro,

un

di 65 stacche.') Gli piaceva Ia vita di campagna, e perciò si tratteneva spesso ed a lungo a Cisterna ove regolarmente trascorreva la stagione estiva ' b) per tali motivi, non contento della piccola villa

elenco

ll

giardino

di Ninfa.

con peschiere, che i Caetani avevano al Monticchio, sotto Sermoneta, volle crearsi un bellissimo giardino a Ninfa ,, iI quale ", diceva, ha da esser le míe dilízie,'. Già da tempi antichissimi esisteva un orto, ed i cedri, che ivi crescevano, erano di così meravigliosa bellezza che il fratello Bonifacio soleva farne dono a Paolo IV. r) Nicolò lo ridusse a nuova forma {JA 2) dirl I valendosi dell'opera dell'architetto Francesco Volterra: 't I fece recingere di muro quest'orto, che è adiacente alla rocca (in quell'epoca ancora abitata e retta da un castellano), e all'ingresso eresse il bellissimo portale di travertino, che tuttora si vede, sul quale sono scolpite le onde di casa - Caetani, frammiste a tralci di vite e grappoli d'uva. Sulla chiave dell'arco, sotto all'aguila di Fondi, si leggono le seguenti parole: HORTI NYMPHARVM DOMVS

cAErA[Nlon[vrral

il

giardino era traversato da due viali ad angolo retto, sull'incrocio dei quali fu poi (1588) posta una grande (157E circa). vasca di pietra e alle estremità di essi, a ridosso del lago, v'erano due nicchie di muratura, con stalammiti e fontane, da cui I'acqua gorgogliava in larghi flutti per poi riversarsi in canali di muratura che conducevano ai vivai per conservare le famosissime trote del fiume Ninfa. ") Queste sono due grandi vasche, le quali tuttora servono per I'identico scopo; esse furono scavate con ingente sPesa e non lieve difficoltà causate dalle numerose sorgive che scaturiscono ovunque dal suolo; il materiale di scavo fu scaricato a Poca d) distanza dal portale d'ingresso e così si formò quella collinetta che ivi si vede. Portalc del giardino

a)

di

Ninfa

Ecco alcuni nomi dati alle cavalle: Spagnuola, Fugí-

lloa, Melancula, Slelluzza, La Namonta, Domícella, Aríenta, Sfaccíatella, Tutcha, Tailarucha, Chaponera, Belladonna etc'

(c - eó8ó). b) Durante queste ass€nze dalla corte, Nicolò Masuai c Geronimo Riva gli mandavano le notizie politiche e generali sotto forma di interessanti lettere-avvisi (Vedi auno 157ó e scg')' c) I Caetani ebbero sempre speciale cura di queste trote (Macrostígma, specie affricana che non si trova altrove in Europa se non in un 6ume della Sardegna e nel Ninfa, ove probabilmente fu immessa dai romani) e, da quando acquistarono lo stato, per sei secoli di seguito, ne hanno fatto donativi ai papi e gran signori di Roma. Ricorda I'autore delle u Orrgínf che

" XVII le trote, Pescate con le reti da apposito pescatore, erano melse in un vaso di rame pieno d'acqua e, scelte le più

nel sec.

t)

c-5932.

r) c- 1580.1.19, N. 152803'

belle, l'altre erano restituite al 6ume (ùíg., p. l5). L'4. di queste pagine per piir anni ha curalo I'allevamento artiGciale

degli ovanotti. d) (C - 9963 .1,1575.V111.20). Nell'elenco dei beni afrt.

tati si legge: In Nínfa altaccato aIIa mwaglía della tone

et

habítatíone, úeno Core, cl è un gíadÍno amplíato a nooa foîma el archílettura dalt IU. síg. catdínale dí Sermoneta ... In Nínfa, canto Ia mutaglía anlîca, canlo S, Maia Maggíore, ci hanno' un gîardìno dí cetrl, persíche et oilaglíe fatto

dal

suiltletlo I/1.-o (Bonifacio?).

In

quest'epoca, essendo state lasciate

le chiese di Ninfa, ottenne Nicolò dal card. 6zi di Casa

porte

esse fossero trasferiti

in

abbandono anche

Farnese che

i

bene-

ad altre chiese di giuspatronato della

(Cf. C- 1582.1.3, N. 135914). Furonoalloramuratele di esse (C-1584.1.31, N. 177023).


Ninfa

[rs6e-158s]

169

Per aver piante d'agrumi di ogni oarietà et eccellentic, il cardinale si rivolse a Marcantonio Colonna, da poco giunto in Sicilia come viceré (1577-1584), r) il quale subito corrispose al desiderio del parente. 2) Queste piante di arancio prosperarono e si svilupparono in modo meraviglioso frnché, col passar de' secoli, si fecero vecchie e per trascuranza perirono. Quattro di esse tuttavia sussistono dopo 350 anni, perché dall'enorme sistema radicale spuntarono delle rinascenze che, sviluppatesi in grandi alberi, a loro volta morirono per cedere il posto ad altre rinascenze ancora, obbedendo a quella forza della natura che mira all'eternarsi della vita. E così, tuttora oggi, I'autore di gueste pagine ogni anno coglie i melangoli nati da quelle pianticelle che Marcantonio Colonna mandò dalla Sicilia, tre secoli e mezzo fa, mentre la sua buona cugina, Nena Lovatelli, li trasforma in deliziosa marmellata. u) Nicolò era vago non solo di piante fruttifere ma anche di fiori tanto per Ninfa che per la sua villa in Roma: da Rovigo si faceva mandare bulbi di fiorí orìentali, venuti da Costantinopoli, e semi di piante rare e medicinali. 3) L'attività del cardinale si estendeva anche agli affari privati dei parenti e degli affini, ed a tal proposito ricorderò il tragico caso della giovanissima lppolita Gaetani. Questa dama, che certamente apparteneva al ramo d'Aragona, era stata data in moglie al figlio di Giovanni Felice Scalaleon, regio consigliere. Nel l57l fu accusata da una sua schiava di aver awelenata la propria suocera Lucrezia Caracciolo. Carcerata in Castelnuovo, non fu torturata perché si dichiarò incinta. La suocera, che del veleno amministratole non aveva risentito altro che un grande male di stomaco, lece totale remíssíone,' con tutto ciò lppolita fu tenuta in prigione nella paurosa rocca per oltre quattro anni malgrado il vivo interessamento che prendevano per lei i cugini ed altri suoi nobilissimi parenti. Nel giugno 1575 il suocero Govanni Felice sollecitava il cardinale . di Sermoneta d'intercedere presso Filippo II. a) Quell'anno stesso un grave scandalo di eresia e di stregoneria commosse Cisterna e molto preoccupò il cardinale che fece arrestare tutti i sospetti e mandarli a Sermoneta per esser processati. Si era venuto a sapere che sei donne, alcune vecchie e bruttissime, altre giovani e graziose, di concerto con un tale mastro Giovanni ed altri complici, praticavano in segreto con il diavolo. La maestra di tutti era Tiburzia e la sua piìr perversa allieva era Veneranda. La tregenda, I'infernale consesso, si teneva a mezzanotte quando davanti al diavolo, in forma di uomo, queste donne facevano grandi riverenze a rovescio, presentandogli, anziché la fronte, Ia parte piìr opulenta del corpo, dicendo con gli occhi rivolti in alto: Tu seì soorastanle dell'aníma mia I Ed egli si sposaod a loro. Poi ballavano intorno ad un becco, owerosia caprone nero, e lo baciavano sotto la coda e, sacrificatolo, ne prendevano il grasso per fattucchiare i loro nemici; si assicurava che avevano causato molti danni e, tra altri, avevano fatto morire sette crealure. Il cardinale di Pisa mandò a Sermoneta monsignor Giovanni Francesco Bonamici, commisa) Il cardinalc Nicolò, probabilmente per condurre I acqua giardino, fece alcune costruzioni intorno alla sorgiva che sgorga sutla strada, la guale ha semPre segnato il confine tra il territorio di Ninfa e guello di Norma. Sorse una lite con i Caetani di Maenza, i quali pretendevano che guesta sorgiva

al

apparten*se a loro. Dall'iateressante incartamento

(Mkc,, C-391(940), p. 27-50; C- 1577)

del

Processo

apprendiamo che

al tempo di Bonifacio le perdite d'acqua, a travers Ie fondazioni del muraglione di ritenuta presso la chiesa di S. Pietro, erano tali che il lago si era abbassato di molto. Si ricorda anche una grande e pericolosa rottura dell'argine che distrusse vari edi'

t) Pq., p. ?JBt Domus,

ll,

22.

C-1578.l.26.

î

C-I578.

lV.I.

fici delle cartiere, del ferro filato e di altre industrie che ivi i Caetani. FinaLaente Bonifacio, per opera di

avevano eretto

Bernardino

di Udine,

rifece

terrapienò, rielevando poi

le

fondazioni

del

muraglione

e

le

la superficie del lago all'antico livello;

ciò riportò la strada di confine, che sempre era passata radente il lago, alla sua pristiaa pcizione dando motivo alla querela dei sigaori di Norma. Verso I'anno 1640 dell'antiche industrie di Niafa sussirfievmo ancora i molini di farina e di mortella, nonché il < purgatoro o o o valca o dei panni di lana (C - 5446), fonti di buoni redditi; le ferriere del sec. XV non esistevano più

(Org., p. l5). t) C-1579.lll.l7 c 2?.

1) C-995?.

Dramma napoletano.

Procesgo

Pef stregoneria.


t70

IL

CARDINALE DI SERMONETA

Lib. Il, Cap. XVII.

sario del Santo Ufficio, per processare i malfattori per quanto riguardava il delitto di eresia ed apostasia; sulle accuse d'infanticidio ed il rimanente avrebbero giudicato le autorità secolari. Si venne alle solite torture: quelle disgraziate donne, scapigliate e mezze nude, si accusavano I'una l:altra in mezzo a grida di dolore. Piìr ostinata di tutte era la Veneranda; non si riusciva a farle dire la verità ! Allora I'ingegnoso commissario Bonamici, sospettando qualche artifrcio, Ia fece radere da capo a piedi e rivestirla di altri panni; poi, rimessala alla tortura, la verità le zampillò dalla bocca come una fontanella di acqua purissima. E così alla fine si poté concludere con assoluta certezza che tutte le accuse erano vere. r) Alle donne fu proposto il dilemma o di abiurare o di esser legate sul rogo per mano del boia e con le catene che dovevano arrivare da Roma. Non esitarono sulla scelta. Il 22 gennaio 1576 le sei streghe furono condotte in S. Maria di Sermoneta; la chiesa era tutta piena di gente e fuori, nella piazza, ve n'era altrettanta a guardare e ad aspettare. Tiburzia di Spaziano, inginocchiata davanti all'altare maggiore, così disse z ,, Gíuro credere che non solo í semplící hereticí o scísmatici anderanno allo Inferno et dal foco elerno satanno tormentatí; D.O'M ma sopîa tuttí quelli che sono macchíatí dalla Né COLVMNÉ CA€f .trN 6vLARt g ?Rv DENÎIAE RÉ hercsía delle streghe o stregoní et che hanno in mano del diaoolo rínegata la Santa Fede di Crísto et adorato iI díaoolo et che per adempíere

i

Iorc sporchí desídefi, sedoctí dal diarsolo, hanno fatto nocumenti a huominí, o bestíe, o fructí della terra et ammazzate creature píccole, sí conte ío confesso haoer fatto etc. >. Ugualmente giurarono le altre e poi furono fatte sparire tutte in eterno carcere. 2) Intanto passavano gli anni: il pontificato di Gregorio XIll, agitato dalla rivoluzione religiosa e dalla riforma cattolica nei vari paesi d'Europa, ANN.VNO ANIMO VIX segna un periodo di inattività politica in ltalia e, Pos. vrxrî ANNOS XL. di conseguenza, nessun awenimento di singolare OBIIT VI KALEN MAII MDLXXVII interesse v'è da ricordare nella Domus Caíetana. Nel 1578 un grave lutto venne a còlpire Ia famiglia: Agnesina Colonna chiuse il breve corso della sua vita. I ripetuti parti ed ultimamente anche un disgraziato aborto avevano completamente fiaccato la sua forte frbra, ma non per l) Pietra sepolcrale di Agnesina Colonna. tanto la sua subitanea morte, awenuta dopo sei giorni di acuta febbre, fu una sorpresa. Ammalatasi in Roma, il suo stato si aggravò rapidamente ed il 27 aprile Onorato scriveva: Non sí ha da fare altro che pregar íI Sígnor Dío et, se a S. M. piace dí dísporre altrímentí dí quella sígnoÍa, bisogna sopportarlo con pacíenza, Fu sepolta nella parte, che in quell'epoca ancora esisteva della antica basilica di S. Pietro, a poca distanza dalla porta << Iudicii " (che era I'estrema a sinistra entrando), davanti all'altare di S. Gregorio; ai tempi di Paolo V la tomba fu trasferita nelle grotte, ove tuttora si vede la sua lapide. cvM qvA ltx^

Morte di Agnesina Colonna,

1) lncigione in rame

Fíwq 1920'

wa: C- 10018'll.

4) C-1578.1V.26.

\ Arc.

Coet.,

C-1575.X1-1576'1, po$im,' Rícc. Manelli, "Nozze di

Semooeta-Aatinori o,


La

l7l

Varia

[572-1580]

salma

fu portata

all'eterno riposo con grande pompa, accompagnata da tutta la famiglia, ma dalle lettere di partecipazione e di condoglianza, che si conservano nel nostro archivio, traspare

che il rimpianto per Ia sua morte non fu profondo nè molto duraturo. ") Epput" tutto indica che fu moglie dí buona et esemplar uífc nonché prolifica ed amorosa madre: il solo rimprovero che Ia famiglia potè farle fu di essere stata più colonnese d'animo che caetana. Le sue funzioni di madre e di educatrice dei bambini furono prese dalla buona Isabella, sorella di Onorato, giovane di natura delicata, della quale sappiamo ben poco, ma che sempre ed ovunque troviamo come un angelo custode che si aggira ov'è bisogno di aiuto e conforto finché, in età di meno di 50 anni, spirò in Cisterna. Il cardinale Nicolò fu amante delle belle arti al pari dei suoi amici intimi, Ippolito d'Este, Alessandro Farnese e di quasi tutti i principi di quell'epoca. Già accennai agli scavi per antichità da lui fatti eseguire nella sua villa presso S. Susanna. Alcuni marmi gli furono mandati da Capua; vari devono essere stati i suoi acquisti. In un. inventario del I 580 circa troviamo I'elenco di 53 busti e ll statue, e tra essi sono indicate alcune sculture che tuttora si conservano nel nostro palazzo, quale il putto che ride, Venere uscente dal mare, ed Ercole che strozza il leone. b) Anche il Peranda si dilettava nel collezionare marmi antichi e pitture. Questo amore per l'arte, la devozione verso la Madonna e la serena contemplazione della propria inevitabile morte Io indussero a costruirsi un mausoleo, ben prima che fosse giunta I'ultima ora. Formulò I'idea sin. dal 1572, quando si recò in pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto. l) Questo santuario gli pareva in certo modo legato alla storia della famiglia: vuole Marno già appartenuto Ia pia tradizione che nel l29l la casa, ove visse la Vergine alla collezione del erd. N. Caetani. ed ove fu concepito Cristo, per divina volontà si staccasse sana sana dalle sue fondazioni nella città di Nazareth e, senza sconnettere neppure una pietra, andasse a posarsi in cima ad una collina di Tersatto presso Fiume; e riposatasi tre anni, la notte del l0 decembre 1294 riprendeva il volo e si posava sulla vetta del monticello di Loreto, sovrastante il verde-azzurro Adriatico, in vicinanza di Ancona. Era questa la notte aPpunto in cui Celestino V si risolveva per ispirazione divina (altri vogliono per le parole che I'ambizioso cardinal Benedetto mormorava al santo visionario a traverso un forame del muro) a rinunziare la tiara perché il forte Bonifacio VIII prendesse le redini della pericolante Chiesa. In quella notte del miracolo si decisero i fortunati destini della Domu s Caíetana, ed il cardinale Nicolò credeva di vedere un certo legame tra le due manifestazioni della volontà divina. a) Il Peranda preparò le minulg di 16 lettere di partecipazione, una dillerente dall'altra, ma tutte ugu*lmg11s vuote di sentimento. Da esse risulta chiaramente che Agnesina morì il

Iunedì 28 aprile.e non il 26 (VI Kal. Maij), cone è inciso sulla tomba (C - 1578 .IV.28). b) L'inventario (C- 1600 c., N. 160E57 e 202580) è di speciale interesse perchè'dà il prezzo di stima nonché Ia gran1) C-8963 ,75.

di ogti scultura sccondo la perizia fatta da Pirro Ligorio e da esperti del tempo. Tra le statue è ricordato come di massimo dezza

il

gruppo delle Tte Grczìe abbrcccíale ínsieme sopta una del natutale (600 scudi). Non ho potuto riconoscere nell'inventario la testa della famosa Venere Caetani, il cui acquisto forse gi deve attribuire a Mons, Onorato del sec. XVIII. valore

nrcdesíma base poco mínorc

Belle arti.

Mausoleo

in

L,oreto.


fL CARDINALE DI

172

SERMONETA

Lib. Il, Cap. XVII.

Perciò dispose di esser sepolto nell'abside della Chiesa, ") a destra del Santissimo Sacramento, e volle che nel monumento figurasse una sua statua in bronzo, inginocchiata verso la Santa Casa; requisiti che resero perplesso lo scultore Govanni Battista Boccalini di Carpi, detto < il Ribaldi a cui in un primo tempo fu affidato il progetto, perché disponendo la statua nella voluta posizione veniva a voltare le spalle al Santissimo Sacramento, ciò che non era ammissibile. L'artista si

',

cavò d'impaccio facendo torcere a sinistra il busto ed il capo del cardinale. Lo squízzo chiesto al Boccalini r) non fu trovato soddisfacente; perciò fu domandato un altro disegno, ma, come scrisse il Peranda, esso non era migliore del primo e da esso nel oerso sí conosce Ia pooertà dell'auttore et Ia sterilítà del suo ingegno. Il progetto fu quindi affidato nel giugno 1578 all'ottimo architetto Francesco Volterra, chiedendogli di accordarsi col << c&vrliere " Giovanni Battista della Porta, lo scultore che aveva fatto le dieci ninfe di peperino ed altre statue per il cardinale lppolito d'Este nella sua villa di Tivoli. b) Appena presi gli accordi col Volterra, ") il cardinale Nicolò si rivolse al cardinale di Urbino per ottenere la necessaria licenza, essendosi già messo d'intesa con i canonici per Ia scelta del sito. 2) Il Della Porta eseguì in Roma le due belle statue rappresentanti Ia Fede e Ia Carità 3) e forse modellò anche la figura in bronzo del cardinale, che altri a) vogliono attribuire a Bernardino Calcagni di Recanati, artista addetto alla Santa Casa; il bronzo fu fuso da Antonio Calcagni e da Tiburzio Vergelli, discepoli nella scuola dei Solari, detti " i Lombardi u, famosa famiglia di scultori e fonditori di metallo. Nel 1580 il monumento, preparato in Roma, spedito per mare ed eretto a Loreto sotto Ia 4) era completo e su di esso il cardinale fece incidere, ad eccezione direzione del Della Porta, delle ultime date, la seguente iscrizione da lui personalmente composta con la cooperazioìe del f amoso umanista I'abate Marcantonio Mureto: ")

D. O.

M.

NICOLAVS CAETANVS CARD. SERMONETA GENTIUS BONIFACII P. P. VIII cvM ET SVB tD TEMPVS QVO ILLE PONTTFICAWM INIIT SANCTAM HANC DOMVM HIC TANDEM DIVINITVS CONSEDISSE ET BEATAE VIRGINIS DEIPARAE PRECIBVS OBTINVISSE MEMINISSET SPERANS EIVSDEM OPEM MORIENTI SIBI

NON DEFVTVRAM MONVMENTVM HOC MARMOREVM VIVENS ET INCOLVMIS SIBI FACIENDVM CVRAVIT ATQVE IN EO VBI MORTALITATEM EXVISSET

SWM RECONDT VOLVIT ANNVM AGENS QUINQVAGESIMVM QVARrvM A. D. 1580 oBnr ANNos NATVs LIX MEN. rr DrEs vn 1585 KLEN. MArr.

CORPVS

Un grave dispiacere venne a turbare gli ultimi anni del nostro cardinale. Già il banditismo infestava I'ltalia: i delitti commessi dai briganti andavano crescendo ogni giorno ed anche molti .) La devozione dei membri di casa Caetani pcr la Saata Cappella fu tradizionale; ad es., Bonifacio avcva doaato al santuario alcune statue d'argento(Pant.,l, p.5ó6),ed il 15.XI.1579 Beatrice Caetani presentava una collana d'oro falta a pctet noshl dí peso ilî 47 scudí d'oto (Arch. della Santa Casa; Ubro dei doni, 1576-99). b) (Pcr., p. 105; C-|578 princ., C-1578.VI .2, N.89377). I contratti per qu6te statue si trovano registrati nell'interessanle

:lle tomba c al giandino di Ninfa, ebbe, a quanto pare, anche Ia direzione di tutte le altrc opere murarie. Ma dopo un certo tempo il cardinale si disgurtò di lui perché, lroppo intento ad altri lavori, tralcurava quelli della casa Caetani (C - I 582 ,V. t). Fu ripreso in servizio dopo la morte del cardinale. ó\ Vinc. Spezíolí: Guida di Recanati; Recanati, 1698, p. 96; Pant., I, p. 922. ò (C-1579.1.22). Continue furono le relazioni tra il

il Mureto, il quale nel 1568 era stato incaricato il sinodo capuano, come risulta da una lcttera sua (C - 8092 'l.i Misc., C . I I 89, p. 6E). .) Il Volterra diventò architetto di Casa Caetani e, oltre t')c-3624. rC-1578.VI.11,N.173806. 3)C-1579.Vi.25. 1)C-1579.X.8.

volume

d'Este.

di

contabilità (Mísc.,

C-28 (52), c. 52) delcardinale

cardinale ed

di

riformare


Rocesso

[1572.1583]

di

baroni si macchiavano

connivenza,

di

a volte anche di emulazione, con i

alla Uno dei primi clamorosi casi, che fecero traboccare

eventualmente condusse

di

Cesare Caetani

di

173

Cesare Caetani

feroce repressione istaurata

il

malfattori,

ciò

che

V e di cui si dirà appresso. vaso della pazienza pontificia, fu quello

da Sisto

Filettino.

Era questi un distintissimo signore, figlio di Antonio e di Marzia Colonna dei signori di Zagarolo, imparentato con le principali famiglie patrizie di Roma e cugino in ennesimo grado dei signori di Sermoneta. i) Nel 1565 era stato condannato per aver fatto emigrare a miglior vita un certo Marcello Atracino e nel 1570 graziato, dopo di che sposò Vittoria della Valle. Trovando utile e dileuo nel mestiere del bandito, svaligiò .l'r, tra altri il corriere della Serenissima, per la qual cosa gli fu 'I intimato da Gacomo Boncompagni, duca di Sora, di presentarsi a lui in Castel S. Angelo.ll 23 maggio 158j, il duca gli comunicò cortesemente che con gran dispiacere doveva dichiararlo prigioniero di Sua Santità e, mentre veniva carcerato, il governatore andò a casa di Cesare per sequestrare tutte le

carte.

A

tale notizia il cardinale Nicolò, che intravedeva I'epilogo, si precipitò dal papa e lo supplicò di tre grazie: primo di poter parlare a questo suo parente; secondo che non gli si rivedessero le bucce dei misfatti passati e già scontati; terzo che non gli confrscassero le castella. Quest'ultima grazia non fu concessa dal pontefice, perché Torre Caietana e le altre dimore di questo barone ercno ficettÍ dt tuttt i tristí del Regno. Fu istruito il processo: da principio le cose sembrarono prendere una buona piega, nonostante le istanze del viceré di Napoli che si adoperava a far punire Monumento sepolcralc Cesare e anzi a farselo consegnare nelle mani per regolare i det card. Nicolò Caetaai conti pendenti alla corte di Napoli. 2) (F. ila Voltena e G- B. della Poda). Dopo sei mesi di carcere Cesare si seccò e, la notte di sabato 2ó novembre, tentò di fuggire, aiutato da un paggro e da alcuni soldati; senonché scendendo le scale a corda, che erano state appese dalle vertiginose pareti della vecchia Mole Adriana, il paggio precipitò nel fossato rompendosi una coscia e sfasciandosi Ia testa, e questo fece con tanto strepito che Ie sentinelle accorsero ed arrestarono i fuggitivi. Il papa, che sempre aveva pe€cato di eccessiva clemenza, tutto ad un tratto, com'è costume dei deboli, prese I'inesorabile decisione di dimostrarsi forte ed ordinò che si procedesse per via sommaria: Cesare fu sottoposto alla tortura, confessò molti delitti e il 29 novembre i soldati, complici nella tentata fuga, furono impiccati unitamente al diciassettenne paggio (il quale per di piùr fu appeso per un piede dai merli del castello) e a Cesare fu pulitamente troncata

la

testa.

Vane erano state le supplicazioni dei cardinali Sermoneta, Farnese e Colonna e di altri baroni, i quali vedevano nella esecuzione di un loro pari un grave smacco alle proprie casate ed all'intera casta; ma il papa, che aveva deciso di essere inesorabile e pure aveva paura di 3) cedere, precipitò I'epilogo per sottrarsi al martellare delle raccomandazioni e delle preghiere. r)

Caìet. Gen., Tav.

XLIV.

') C-1583.VI.18.

3)

C- 1583.V.28 cXl.29t Roilocanachi:

Chateau

S' Aase, p.

179.

Processo di cesare caetani'


tv4

Sdcgao del

card. Nicolò.

IL CARDINALE DI

SERMONETA

Lib. II, Cap. XVII.

Tutta Roma era in subbuglio. Offesissimo rimase il cardinale Nicolò, il quale partì immediatamente da Roma per Gsterna ") e, ai primi di decembre, scriveva la seguente polízza a Gregorio XIII, apertamente rinfacciandogli una mancanza di riguardo verso Ia sua persona e nera ingratitudine verso colui a cui doveva la tiara. Ecco il testo:

il

Essendo stato eseguito quel che sí è ur'sfo contro signor Caare Caelano nel modo che Ia Santità Vostra haorà saputo innanzí íI fatto, io ne senlo quel dolore che me conoíene soccedendo tanta gran fisolutíone contra Ia Casa mia, la fede et ossetùanza della quale oerso la Santa Sede Apostolica è non solo nota, ma exemplare. Et se ben íl s. Cesare haoerà commesso gual sí ooglia graoíssimo delítto, credereí che sí fosse doouto procdere di altra manìera di quella che si è fatta, haoendo massíme haouto tanta parte (quanta la Sanlítà Vostra et iI mondo sa) un della Casa istessa Caíetana nella esaltatíone Sua; onde se forse luí meritaoa per delítto gastígo nella persona, non merítaúa nè ro nè la Casa mia nel modo. Et poiché o gli meí peccati o qualche adoersítA, alla quale non so dar nome, ooglíono che io habbia pena donde con raggíon dooreÍ sperar contento et grandezza, supplíco humílmente la Santítà Vostra che sí degní di farmi gratÍa c.he io me ne oada a i míei lochì a rtconoscer le míe ímperfetioni et non oedermi oílipendere

da ogni sorte dì

genle. t)

Invano si agitarono il Farnese ed altri cardinali e autorevoli prelati per persuadere Nicolò a scendere dall'Aventino, dato che la sua dispettosa assenza dalla Corte sembrava una sfida al papa. Ad essi il cardinale rispondeva con Ie forbite parole vergate dal Peranda z Io non oedo come sí possa dir che ío ùenga ín competenza co'I papa, perché absentandomí ío cedo et chi cede dà loco et non sí può díre che contrastí.2) Non so dire quanto tempo durasse questo volontario esilio; lo smacco ricevuto deve aver contribuito a scuotere la già malferma salute del cardinale. Da qualche tempo la vista aleva cominciato a mancargli e nel 1583 ebbe a soffrire tenibilmente di sciatica, alla quale il suo medico curante (che ovunque lo seguiva e faceva parte della tamiglia) b) non riusciva a portare rimedio. Mi è gran pena íI oioere ! scriveva al suo buon amico il cardinale d'Aragona. È probabile anche che soffrisse da antica data di un'ernia ") e del mal della pietra. 3) Nel 1585 il suo stato si fece grave: per tre mesi si trovò oppresso dall'asma con aggíunta dí tantí altrí mali che a pena un corpo humano può ríceoerne di ptù. Malgrado la ancora giovane età si era già cominciato a dubitare della sua vicina fine, quando la morte di Gregorio XIII e le preoccupazioni per il conclave, dal quale si vedeva a) L'informatore del card. 'Nicolò, Geromino Riva (forse datando per errore 2E invece che 29 nov.) scriveva al Peraada:

petti non solo Ia nalurc suddelta, ma molt'altr| con!íngenlí, che míIítano ín queslo caso, teslano copaci e! molto sodtsfattí ilella solutíone (C - 1583. XI .28). b) Il carattere del cardinale bene si rispecchia nella lettera

senlesse í oatíj díscorsí, che sl sono fattíe sîfanno la dolotosa morte del slg. Cesarc Gaetano, el appîetso lnlomo Ia patlíta dalla coile del síg. cardÍnale noslro, haoc-

Se V. S. sopta

rcbbe aI sícuto ìnlcso ile belll capríccl... (e tra altri) cÀe un galanthomo dìsse sc 'l papa haoesse posto bando, che chí ooleoa ocdet pregíone et squaflalo íI sìg. Alfonso Píccolomení pet It lantí enorml delíttí sol, et oilupefio fallo aIIa sedía apostolíca, pagasse qualche cosa, che aI sícuto haoerebbe caoatí 50 000 scudì ; et peî rcoeucio, che chl ooleoa *ìla îl sig. Cesare Gaetano fuggro da sè ìla Caslel S.to Angelo ooero lîbe-

rcto

per

alba ota (ma plù fuggíto dìco), pagasse meduímamente,

dí questo secondo píìt dí |OOO00 scudi. mío patrone sà quello ch'ha da pensate senza che'I dica. Et quanlo alla pailíta del catilínale, a chí non sà Ia natura Iíbera dí guel signore el iI schtetto procedere, è facíI cosa darc ìn scoglío, ma gueIII, al quali úengano scohaoetebbe caccíato

Del

rcslo

ìI

r) Minuta riconetta, C-9089.

2) Pet,,

p.37).

3)

del Peranda, scritta per scegliere ua Duovo medico del cardinale: S.S. ltl. (Nicolò) ama íI benefitîo dc' selloltotl .., Sopra tutto sí desítlerc (nel medico) tI buon gíuilÍcío, non cutanilo queí bellí íngegnl, che sí aoanzano npta gIí alht, et pet saper troppo fiesono sbaoagantl, et peicolosl. A queslo Sígnore, che è sl. gnorc dl buon sentímento, ptaccîono gIí huomínî spírltosí, ma ouol slano fetnì ili tala, eI conslderatì, eI fa grun conlo del media rîsoluto, et che nelle cute proceda con malufiIà et saldezza. Abboisce gIì empirící, et non accella Ie ínoentíoní f,ogn'uno ma con tulto cíò ammetle ogní nuooo moìlo, put che ddoí da buon pîncípÍo et camíní per oía canonica etc.

(Pe6 p.

63). c) Vedi lunghisimo parerc medico

C- 1584.1.14.

del l57l (C-8771).


Ultimi anni

F583-rs85l

t75

escluso, gli diedero I'ultimo colpo. Il 2l aprile Nicolò dettava il proprio testamento disponendo che, appena morto, la sua salma fosse tumulata a Loreto e, con un legato di 500 scudi, volle assicurarsi che sempre, all'anniversario della morte, fosse celebrata una messa per il riposo dell'anima sua ; fece un legato di 3 000 scudi a varie opere pie ed un altro di 5 000 a favore dei familiari che l'avevano fàelmente servito. Confermava I'atto di primogenitura istituita d'accordo col fratello e, nella parte libera del proprio patrimonio, nominava suoi eredi universali i nipoti Enrico e Camillo, ai quali, per altro, aveva già trasferito, col consenso del papa, tutti i titoli e benefizi ecclesiastici di cui godeva. l) Il suo stato si era tanto aggravato che non poté firmare i capitoli del 24 aprile con i quali il Sacro Collegio s'impegnava per la futura elezione ; 2) il primo rnaggio, alle ore nove di notte spirava, serenamente rassegnandosi a Dio. Compiute le solenni esequie, il giorno 13, con un sole cocente, partiva il convoglio funebre per condurre la salma al luogo dell'ultimo riposo; Roberto d'Altemps, generale della guardia e governatore di Borgo, aveva proweduto al foglio di via. 3) Carlo Bellomo, Gulio Cesare Riccardi e altri familiari accompagnavano la salma, i parenti pitr stretti essendo trattenuti a Roma dalle impellenti necessità del momento. Pochi giorni dopo il cardinale era messo a giacere nel marmoreo avello nel quale, vivendo, aveva fatto incidere HIC HABITABO QVONIAM ELEGI EAM

e fu detta I'ultima messa; dico I' ultima perché i buoni canonici, dopo avere rilasciata debita ricevuta del legato di 500 scudi, per 153 anni di seguito si scordarono di celebrare Ia doverosa messa per I'anniversario della morte, finché nel 1738 furono richiamati ai propri obblighi da

XII

con imposizione di 300 messe dette di seguito a liquidazione del passato. a) In ricorrenza del 345" anniversario mi recai con mia nipote Livia Grenier a visitare la tomba del cardinale Nicolò Caetani e, nel contemplare la maschia figura di questo nostro antenato, mi parve quasi di scorgere in quegli occhi di bronzo immobili uno sguardo di riconoscenza per chi ha cercato con pietà frliale di far rivivere nella storia la sua immagine da tanto tempo Clemente

dimenticata. r) c-t585.rv.21, N. t930t9. r) c-t585.tv.24. N.22 108. N.9ó482 e96; Arc. S. C. di Lotelo,vol. V, f.3ló.

3)

tíl? *i ]' ;(: \\=ào=## ^F+;i -=?"-4!

Sigillo della Santa

di Lrreto (r 5E5).

Casa

c-

1585.V. t3, N. t88t47.

1)

C-r58t.V.20,

Sua morte.


CRprrolo XVIII.

AD AUGUSTA. (r 576-r 588)

ERTAMENTE Gregorio

Nepotismo

di Crregorio

XIll.

Indirizzo ispano6lo

dei Caetani.

XIII fu un ottimo pontefice il

quale ne' suoi tredici anni di regno lavorò indefessamente a combattere la Riforma e a riformare la Chiesa; ebbe anche il merito di non lasciarsi trascinare da quel cieco nepotismo che si può rinfacciare a quasi tutti i papi del secolo XVI, ma, agli occhi della nobiltà romana, ebbe il gran difetto di esser assai parco nel distribuire onori e bene6zi; anzi fu severo verso di essa ben troppo accondiscendente ai banditi, terribile piaga d'ltalia che egli cercò di contrastare ma Stmma non ebbe la forza di reprimere. sulla cislerna di Bologua Casa Caetani, che tanto aveva contribuito alla elevazione del (Fr. TertbíIta). Boncompagni e tanto se n'era rallegrata da principio, timase amaramente disillusa: dopo le prime espressioni della pontificia riconoscenza che si manifestò nel conferire ad Onorato la carica di capitano della guardia, la intimità e I'amicizia di Gregorio XIII diventarono sempre più sterili. Dopo sei anni tolse I'ufficio ad Onorato per concederlo al nipote; invano i Caetani supplicarono il papa per altri favori e in ispecial modo che erigesse Sermoneta in ducato, ciò che, per quanto riguardava il rango nobiliare, Ii avrebbe messi alla pari dei Colonna e degli Orsini. Le cose anzi andarono peggiorando a tal punto che nel 1583 r) il cardinale Nicolò, offeso per la esecuzione capitale di Cesare Caetani, cadde in aperta rottura col pontefice e si partì da Roma in segno di sdegno e di protesta. Per questi motivi la nostra famiglia, già distaccatasi dalla Francia, rivolse ogni speranza verso la Spagna, dalla quale soltanto potevano scaturire quelle cariche onorifiche e lucrose di cui era rimasta quasi completamente priva. In vero sino ad ora ben poco Ie era stato concesso da Filippo II: magra era la pensione di Onorato, ed il favore ottenuto dal giovane Pietro Caetani, rischiando la propria pelle in Fiandra, era dowto esclusivamente alla benevolenza del cugino Alessandro Famese ; del resto piìr fu I'onere che I'onore perché in sette anni la carica costò incirca 60000 scudi. Ma v'era speranza che nel prossimo futuro il sovrano provocasse I'ingrandimento della Casa. Avendo deciso il cardinale di Sermoneta che i Caetani passassero apertamente ai servigi della Spagna, diventò indispensabile che uno di essi, e precisamente Onorato, si recasse in pert; Y"3;

pag. 174.


Gallena Colonna

MARCANTONIO COLONNA (Scipione Pulzone, detto

<

il

Gaetano,)


Progettato viaggio

[1583-1584]

in

177

Ispagna

sona a Madrid per prendere contatti diretti col sovrano e con la corte; del resto era norma assoluta che i nuovi capitani, appena nominati, si presentassero al re. In tale occasione Onorato doveva offrire a questo la devota .. servitù ,, del cardinale che, per I'autorità di cui godeva in seno al Sacro Collegio, poteva essergli di grande vantaggio nel prossimo conclave: gli 84 anni del pontefice e i precedenti suoi malori non rendevano improbabile che si dovesse

venire quanto prima ad una nuova elezione. L'occasione si presentò propizia quando Marcantonio Colonna, viceré di Sicilia, fu richiamato a Madrid con una lettera piuttosto fredda e concisa di Filippo II. Obbediente all'ordine, si avviò verso la Spagna e ai primi di giugno 1584, traversando lo stato pontificio, si fermò a Gsterna, dove furono presi i definitivi accordi tra i due cognati. Il giorno prima il cardinale aveva vergato le istruzioni per il nipote su quanto aveva da dire a Sua Maestà: doveva anzitutto seusarsi per il ritardo incorso non per colpa propria nel presentarsi a lui, come sarebbe stato suo obbligo da dodici anni a questa parte; poi doveva il sovrano della incondizionata devozione di tutta la Casa e del vivo desiderio di "rri"ur"r" servirlo. In un secondo tempo doveva esporre il parere del cardinale sulla situazione che si sarebbe creata in seno al Sacro Collegio durante il prossimo conclave: ciò non era cosa agevole. Da poi che mí ricorda d'esset cardínale, egli diceva, non sono mai stato píù írresoluto che hora di quello che ha da essere, nè in maggìor dubbío e perylessità oedenilo che í soggettí papabilí sono moltí ... ed è cosa facílíssíma ch'ognuno riesca papa. Sei erano i gruppi in cui si divideva il Collegio, e i fautori della Spagna erano sparpagliati tra essi, sicché non Po' tevano unirsi e agire di concerto senza recare ofiesa ai capi della propria fazione; I'unico modo di operare ,ur"bb" stato di trovare un esponente molto autorevole, come I'arciduca Alberto

o Grann.lia, intorno al quale polarizzare tutti quelli favorevoli alla Spagna. E poi il cardinale Nicolò si permetteva di dare rispettosamente un consiglio al re:

opportuno. a) Durante questo soggiorno in pione Pulzone, detto . il Gaelano

in quell'anno medesimo dipinse anche il ritratto del card. di Sermoneta, copia del quale, fatta dal Ghirardi, è probabilmente quella che si conserva nel Museo Med. e Mod. di Capua

Braciao il pittore Sci-

Forsc

il noto

ritratto ", di Marcantonio, che si conserva nella galleria Colonna (Tomasseltl Fr. in rivista Roma, an. VI, fasc. XII' l92E)'

r) c - I 584 .vl .3, N. Donus,

ll, 2)'

146477 .

dipinse

z) Vedi relazionc gulla morte

(Vedi pag. 164, nota b)).

ir

Cat.,

L. O., p. I 18; N.

179655'

Filippo II.

che

pronu"d.rr" bene per quel che sarebbe successo in caso (quod Deus aoeilaf) di morte di S. M.", qu"ndo vi sarebbe stato forse un tentativo di disgiungere i molti dominii che stavano sotto il suo scettro ; alleanze o amicizie con Venezia, Toscana e Savoia; un paPa amorevole e di autorità ; grande accumulazione di denaro e assoldamento dei migliori capitani d'Europa, in modo che il suo successore, appena salito sul trono, avrebbe potuto agire con prontenza ed efficacia.l) Onorato accompagnò Marcantonio nel suo trionfale procedere a traverso lo stato pontificio e soggiornò con lui a Bracciano, nel castello del famigerato Paolo Gordano Orsini, in attesa .h" iorr"ro pronte a Civitavecchia le galee per proseguire verso la Spagna. ") Disgraziatamente Onorato vi si ammalò in guisa che non poté seguire il cognato in questo viaggio che fu I'ultimo del prode generale, che il Muratori ha voluto definire íI píù oaloroso e gentil caoalíerc che a}esse I'ltolio. Appena sbarcato a Barcellona ed awiatosi alla volta di Madrid, Marcantonio si ammalò e, giunto a Medina Coeli, dopo sei giorni di grandi sofferenze, spirò non senza grave forr" stato avvelenato. 2) Questo doloroso accidente, le conseguenze che ne derisospetto "h" varono, alcune cause giudiziarie nonché la malattia, che dopo pochi mesi condusse il cardinale Nicolò alla tomba, fecero sì che il progettato viaggio si dovette rimettere a momento piit

'

Memoriale

a

Morte di Marcantonio Colonna.


AD AUGUSTA

t78

ll,

Lib.

Cap.

XVll.

*** primi di aprile del 1585 Gregorio Xlll fu richiamato dal Signore ed il Sacro Collegio, dopo un vivace ma rapido dibattito, conferiva la tiara a fra Felice Peretti, cardinale di Montalto, che prese il nome di Sisto V. Questa elezione segna l'inizio di un celerissimo ingrandimento della casa Caetani i post angusta ad augusta. Il nuovo papa, durante i quattro anni del suo breve pontificato, riversò su di essa, in rapida successione, gtazia su grazia, e tale fu Ia sua generosità da doversi credere che egli abbia voluto soddisfare a qualche debito di riconoscenza. Tuttavia non ho potuto trovare nel nostro archivio alcun documento che ci illumini su questo punto, e quindi debbo limitarmi alla supposizione che tra il cardinale Nicolò e fra Felice esistessero vecchia amicizia e grande intimità: forse queste nacquero per il legame di parentela che univa quello al cardinale Carpi, primo e grande protettore del povero francescano; aggiungansi una certa somiglianza di carattere fra il Caetani ed il Peretti, la comune passione per il giardinaggio, Ia contiguità delle loro ville, nonché il fatto che durante gli ultimi anni del suo regno Gregorio XIII si dimostrò ostile

Ai

Amicizia Sisto V.

di

all'uno e all'altro.

Enrico noninato cardinale.

Certo è che Sisto V, appena salito al trono pontificio, sei giorni dopo la morte dell'amico cardinale Nicolò, già procedeva a quanto era Recessario per promuovere il nipote di quesio alla dignità cardinalizia i il 7 maggio concedeva al chierico Enrico Caetani la facoltà di ricevere gli ordini minori e di esser consacrato subdiacono, diacono e prete dal cardinal vicario, in tre domeniche successive; l) due mesi e mezzo dopo, la notte del 24 luglio, un palafreniere di Olivares, ambasciatore di Spagna, venne a svegliarlo per annunziargli da parte del maestro di camera del papa che questi gli aveva concesso il patriarcato di Alessandria rifiutato al nipote del cardinale Medici; ciò era awenuto per interessamento del cardinale di Montalto e di Federico Cesi. 2) Il 29 del mese veniva redatta la bolla relativa 3) che gli concedeva altresì la commenda di S. Leonardo in Puglie e, I'undici agosto, il cardinale Giulio Antonio Santori lo consacrava nel a) patriarcato dopo aoer lodato molto Ia sua persona et elettíone a Sua Beatitudine. Sei mesi piùr tardi (ll dec.) il papa concedeva il cappello cardinalizio al giovane ed intelligente prelato, conservandogli la chiesa di Alessandria e la ricca precettoria di S. Leonardo. ") Il primo dei 26 cardinali che apposero Ia firma alla bolla, fu il decano Alessandro Farnese; 5) ciò facendo adempiva un'antica promessa data al caro amico e compianto cugino Nicolò. Il 15 gennaio conferivasi a Enrico il titolo di S. Pudenziana, e questa chiesa, per oltre mezzo secolo, passò successivamente da un cardinale Caetani all'altro quasi fosse diventata un bene ereditario

6).

La designazione fatta da Sisto V fu veramente dr motu propio, benché avesse avuto anche le sollecitazioni ed il consenso di tuui, comingiands dal re di Spagna che aveva mani7) [l bravo Peranda esuìtava di gioia festato il suo animo per tramite dell'ambasciatore Olivares. vedendo il glorioso avanzamento dell'amato .. signorino ,r, che aveva educato e preparato alla

t) ll

I 586 '

III .4, Sisto V autorizzava il card' Enrico a ce-

dere la prccettoúa di S. Leonardo della Matina al nipote Bonifa'

r) pre. 7) Prg.

lEl.

t6l.

,) C-1585.V11.25, N.

1335ó5.

z)

cio (Prg. 2037),

cessione

che fu pubblicata

il

1586.VI.26

(Prg. 2982).

prg.2492.

{) Soaforl, p.

168.

t)

Pry.3064'

6)

P4'2009'


Sisto

[apr. 1585-mar. 1586]

V

179

di Osserol) raccontava che la esa/tatione di Enrico avvenne pîesto, non íntercedendo per S. S. /. nè danari, nè parentado, nè serritù fatta a N. S. o aIIa Sede Apostolica, nè faoore di supremo Príncípe (Filippo II) ... Però non è stato ordínario íI modo che ha tenuto S. S.'u ín render a questa Casa iI suo cardinalato, rendendolo et prestamente et gratís et con tante laudi date di bocca sua aI sog' getto che Io splendor della dignítà è doppio. Tutta Roma voltò ammirata gli occhi verso casa Caetani, avendo sentore che la sua prosperità era su 'I fiore, Purtroppo, non sono in grado di dare dettagli precisi sugli awenimenti di questa epoca perché, per uno di quegli infortuni di cui sono vittime gli incartamenti e per la confusione che regolarmente s'ingenerò ad ogni morte di cardinale, il nostro archivio è poverissimo di documenti per gli anni 1585-1587. Sappiamo però che, come 48 anni prima per Nicolò, il nuovo cardinale fu ricevuto in Sermoneta con archi tríonfoli, con armi e figure dí oirtudí nella porta del Pozzo, nel mezzo della piazza, nell'arco oicino aIIa chíesa dt S. Lorenzo et altrooe.z) Ma con questo non terminarono i favori: brevissimo tempo dopo Sisto V afrdava ad Enrico, in sostituzione ad Antonio Maria Salviati, la legazioni di Éologna, onorifico e non lieve incarico perché la città e provincia erano straziate da discordie intestine e, al pari di 3) tutte le altre parti dello stato ecclesiastico, afflitte dal banditismo. Il Salviati aveva fatto quanto era possibile per sanare questa piaga che paralizzava I'intera vita del contado, e di continuo vedevansi le teste di briganti esposte nelle piazze pubbliche. Una volta tuttavia eccedette nello zelo facendo mettere aflrettatamente a morte il vecchio conte Giovanni Pepoli, il signore più amato e rispettato di Bologna, per il semplice fatto che questi, in occasione dell'arresto di certi banditi in una sua terra, si era eccessivamente risentito della menomazione dei propri diritti giurisdizionali. Lo sdegno della cittadinanza per tale eccesso ed il poco appoggio che trovava in Roma indussero il Salviati a chiedere il proprio richiamo e, contemporaneamente, ad allontanarsi dal suo posto. 4) Sisto V prowide alla situazione ordinando al cardinale Enrico di partire subito per Bologna, ciò che awenne in così breve tempo che questi non ebbe neppure la possibilità di congedarsi dagli altri cardinali, in conformità a quanto richiedeva il protocollo. Il Peranda fu incaricato di fare per lui le visite di cortesia. ") Il nuovo legato prese la via di Toscana per conferire col granduca: atto di saggia politica verso il principe di uno stato confrnante \. e perché, come disse il Peranda, iI ducato è peryetuo et la legatíone è somma carriera

del sacerdozio; e nella

sua lettera al vescovo

Enrico legato

in

Bologna'

I

Riccardi.

lí-N_.

(/

a

tempo.

Sigillo

di G. C. Ricwdi.5)

Oltre al personale della famiglia, il Caetani conduceva con sè come vice legato Domenico Petrucci, vescovo di Bisignano' e come segretario Gulio Riccardi, di cui molto dovremo dire in appresso. b) .) Tali furono Ia furia ed il disordine del momento che nomina (Prg. 973, 2499, 2490) fu emanata mltanto il 26.VIll .1586, osia vari mei dopo I'arrivo del lcgato a Bologna.

la bolla di

b) Già da molti anni la famiglia dei Riccardi, che credo fosse

2) Pant., ll, p. 7, o. l3l. 1593.IX. 3, N. 45685.

1) Pet,, 6) C -

3)

originaria di Fondi o

di ltri, era fedele serua

della

Cesare

casa Caetani.

Nel l57l un Pietro Riccardi accompaguò Onorato Caetani nella sp€dizione che culninò con la battaglia di Lepanto; Giulio Ceate, educato et prcmow in casa, fu un tempo segretario del cardinale

di

C.l584.lll .14, N. 26709 etc.

Pisa

(f +')

1577 c.) e, per interessamento di quello di Muzzí S.r Annali di Bologna, ad an.


AD AUGUSTA

t80

Lib. II, Cap. XVIII.

bravo Peranda, ricordandosi delle avventure galanti alle quali, per il passato, si era lasciato andare insieme con gli amati discepoli, si raccomandava che procedesse molto piano nell'ammettere donne alla propria presenza, e solo quelle di distinzione, e sempre al cospetto di altre persone; che desse le udienze a portiere alzate, ottimo mezzo per abbreviarle. l) Del resto il eardinale Enrico aveva in Bologna non pochi amici, devoti alla Casa, e molte erano le conoscenze fatte quando nel 1574, ancota abate, aveva accompagnato a Venezia e poi a Ferrara e Bologna il cardinale Filippo Boncompagni, inviato da Gregorio Xlll come legato per onorare Enrico lll, eletto re di Francia. 2) Una questione vetusta e intrigata era quella tra il reggimento di Bologna e casa d'Este per la diversione delle acque della pianura padana; i predecessori del cardinale Enrico, che avevano messo Ie mani in tale negozio, si erano tirati addosso maggiore piena dí dispíaceri che non era quella delle acque le quali si volevano divertire. Sisto V perciò aveva distaccato tale u) questione dai compiti del legato, affidandola interamente al cardinale Lancellotti in Roma. Non intendo enumerare i molti affari di stato che il cardinale Enrico trattò in Bologna b) tornando perché ciò mi farebbe uscire dall'ambito che mi sono prefrsso in questo lavoro; quindi alla vita familiare, ricorderò che Antonio e Bonifacio, allora circa ventenni, ottenuta la tonsura, 3) nel mese di settembre 1586 raggiunsero il loro zio a Bologna Per entrare in quella 4) avevano ricevuto quella medesima severa grande università. Questi discepoli del famoso Mureto e meticolosa educazione classica, che da un secolo era il vanto, anche per pubblica fama, della Casa; ne abbiamo una prova nel gran numero delle loro esercitazioni letterarie che si conservano

E il

Bonifacio e Antonio C.

nel nostro archivio. I due fratelli e futuri cardinali, che molto si rassomigliavano fisicamente, erano dotati di singolare intelligenza e si fecero ben presto notare per il loro spirito vivo e mordace e per i loro scritti. Narra I'Ameyden 5) che Antonio, piìr dotto di Bonifacio, fu altrettanto mordace con la penna quanto questi con la lingua; e ricorda che allorché I'augustissimo cardinale Scipione Gonzaga venne a Roma portando, more lombardo, cerú curiosi gambali, Antonio si burlò a tal punto di lui in versi italici che il cardinale gli rispose in modo non meno pungente con il medesimo metro a danno non solo della persona sua ma anche della Casa. A quanto pare il cardinale Enrico non gradì punto queste frecciate. Su tale caratteristica, che colorò I'intera vita dei due fratelli, si ritornerà nel seguente volume; per ora basta dire che essa fu propria di tutta la famiglia in generale tanto che I'Ameyden ebbe a scrivere . sane in dícteríis (ut reliquí Caíetani omnes) u) . si vuole che tale caratteristica si sia conservata sino al secolo XX. A Bologna mordacíssímí; i giovani si diedero allo studio della filosofia e del diritto sotto la guida di Ieronimo Boccaferro. ") poi segretario di Annibale di Capua, arcrvedi Napoli;dovette altresìa luid'esser cavato d'impaccio

Sermoneta, diventò

scovo

davanti a Gregorio XIII per una certa maqetrza contmessa. Giulio Cesare rimase segretario di Enrico sino al 13 ottobre I 592, quando fu promosso all'arcivescovato di Bari; Poi 01.1595' fu inviato nunzio a Torino (C - I 595 . II. I 4). Morì il I 3. II. I 602.

fratello Alessandro, fu vescovo di Sessa (f !604.VII); e un terzo fratello, Fabio (f l6l6.VI.2), dimorava in Napoli ove per quasi 20 anni fu al servizio della Spagna con incatichi

Il

diversi ed anche come membro del Regio Consiglio (1594). Fu e Sdo consigliere di don Filippo in Napoli, e di lui abbiamo un grandissimo numero di lettere sino al secondo decennio del sec. XVII, ricche d'informazioni sulla corte e agente dei Caetani

nobiltà del Regao. (Per biograia vedi C - I 594 . X. 2' N' 83 I l'2 ; per stemma vedi anche C-1595.1V.26, N. 55659). a) Nel umbo archivio si couservano molti documenti a riguardo (an. 158ó e 7); di quelli relativi alla bonifica idraulica (1606-1612) del Ferrarese si dirà nel III volume della Domus. b) Ricorderò tuttavia che nel I 587 il Caetani fece il censimento della provincia e fu trovato che gli abitanti ascendevano a 242847. c) Di Bonifacio possediamo un bel volume in 4o dove, sotto rubricella alfabetica, segnò le cose più degne di nota, raccolte ne'suoi studi, sfogandosi altresì, nelle pagine di sguardia, in disegni a penna ed in lodi al proprio maestro (lrc' Caet', Mìsc,,

c - 58).

r)pet.,p. 136-t4g. 2)C-9635,1, 1574.V11.24;C-9643-1, l574.Vlll .ll; c-9655, 1574.1)<.2. 5)Am"EIoe"c'211'

e1567.

\Misc',C-55bis'p. 1069; Bibl.VaI', Barb'Lat'

6030'c'12'

3)

I

58ó

.VI .27 , Ptg.

6) Ioí, c.

l3l-2,

372


Legazione in Bologna

[apr. 1586Jr.r9. f587]

t8t

In quel tempo I'infelice Torquuto Tasso, dopo aver errato per tutta I'lialia in una serie Rehzioni con d'irragionevoli fughe, aveva trovato un poco di requie in Mantova presso il duca Vincenzo Gonzaga, TorquatoTuso' r) Bonifacio e Antonio, dedicandosi a finire e perfezionare la sua tragedia " Il re Torrismondo ,r. bramosi di conoscere il grande poeta e di fare qualche cosa fuori dell'ordinario, un bel giorno nel giugno del 1587 si partirono quietamente per Mantova e lì, senza farsi altrimenti conoscere, entrarono nello studio di lui e con modi signorili e rispettosi gli parlarono; egli ben presto fu cattivato dallo charme di questi gentiluomini e si lasciò trascinare da loro in una dotta e vivace discussione, dopo di che i giovani si partirono senza avergli detto chi fossero. pi ritorno a Bologna, Antonio gli scrisse un'affettuosa lettera nella quale manifestava il piacere che egli e suo fratello avevano provato nel vederlo e nell'udirlo, e gli mandava uno scritto sulle conclusioni di varie scienze da essi sostenute all'università, L\ 2) assicurandolo della loro affezione e della benevolenza dello zio. Tutto questo piacque grandemente al Tasso, il quale entrò

'^\, rry-\ \

a loro

-/ I

\) L

, )' \/'

richiesta per tramite in corrispondenza con i giovani') ", di Giulio Segni, scrisse un madrigale sopra una bella cisterna, fatta costruire dal cardinale nel giardino botanico di Bologna; ") esso comincia:

Qui

dooe

fan Ie

piante

Verdi ftondose e fosche cardinale Ia fece subito mettere in musica da un c€Torquato Tasso lebre maestro, probabilmente Giovanni De Macque, composi(Dal quadro di A. Allorí). pae al tore belga, che fu intimo e protetto di. casa Caetani b) triarca Camillo dedicò una delle sue opere. In relazione a questa poesia il Tasso scriveva ad Antonio z II mío madtígale è così píccola composizíone che dí leggíerì si sarebbe smarrita Ee non fosse stata posta ín musíca; ma non meritat)a tanto faoore,. e, soggiungeva il povero perseguitato, io non posso rallegrarmí che sía píù fortunato di me. Nel luglio 1587 il poeta scrisse anche un sonetto per il cardinale d) volle ricordarla nella sua infelice Gerusalemme Enrico. ") E tutto infervorato di casa Caetani, 4) con i versi: Conquístata

Il

Veggío Onorato Pur co| oello toro, E gli altri suoi, che I'aquíIa d'argento Díspìegheranno ; aI tríonfol alloro a) Giardino anche detto dei Semplici , che sorgeva dove " ora è il terzo cortile det palazzo comunale ad uso di Borsa coperta. La bellissima cisterna,i o Pozzo, fu opera di France-

Terribilia; era formata da una tribuna, sostenuta da archi' travi e colonnati doppi, e costò un milione di lire odierne' Per motto tempo giacque in pezzi net cortile dell'Accademia di Belle Arti ed ora è stata ivi ricostruita. sco

b)

Secondo Líbro dí

Madfigaleltì eI Napolítane a Seí Vocí,

Venezia, Gardano, 1582. Altre opere musicali furono dediate a Camillo: quella di Attilio Gualtieriz Secondo Librc delle Canzonette alla noqole'

tre ttocí dî Luca Marenzío, Venezia' 1565; e quella di Filippo del Monte: Quínfo Líbto ìlt Madtígali a Cínque, Ve' lana

a

1) +) Canto

Solerli, XX, str. l3l,

nezia 1592 (Bibl. Accademia di S. Cecilia in Roma e Bibl. Liceo Musicale di Bologna). Nell'lrc. Cael. vi sono molte lettere del De Macque, sub

an. l5E6-1589. c) < Quel c'apte

tl

ctel mírabíImentee serîaef.c. >, stam'

pato col titolo " Gratie et Honori di Bologna all'lll. et Rev. Sig. Mons. Henrico Caetano etc' >, Bologna, 1587 (CÎ, Gua' s&', III, p. l5O, 224; Soleilí, l, P. 535)ò Tuttavia il 12.D(.15E7 silagnava che n'lsígnor An' tonio Caetano sí rímtila dí quel che mÍ promíse nel partÙe;

si trattava di lll, p. 254).

probabilmente

(Guastí,

una delle solite raccomandazioni

2) Visc., ll, p. 48; Reluioue di P. A. sqassi a mom. oo. caetad, c-1782.1.13, N. 11456.

3) GucrrÍ,

lll, p.220.


AD AUGUSTA

lE2

Lib.

ll,

Cap.

XVI[.

Gíà oeggío Pietro, 'I oalorcso, intento; E, Iungo iI Reno, o sot)ta íI mar sonoîo CoI duca suo fîa cento squadte.e cento Veggío

In ricordo di tanta intimità, gli editori pensarono di dedicare ai fratelli Bonifacio ed Antonio il volume che fu pubblicato sotto il titolo di: Rime del sígnor Torquato Tasso ultimamente composte Roma etc. r) I contatti con il poeta spinsero Bonifacio a cimentarsi anch'esso nel campo delle muse, ed abbiamo di lui una breve ode che comincia:

nell'alma cíttà

di

Come tra Cíeli tíene iI prímo loco L'Empbio cíelo, et tra metallí I'oro etc.z)

-=:

Sermoneta

eretta in ducato.

Intanto Sisto V, proseguendo nella sua benevolenza verso casa Caetani, aveva acconsentito ad eri- ;, gere Sermoneta in ducato e Cisterna in marchesato a favore del primogenito Pietro. È probabile che Cisterna Caetani in Bologna egli fosse a ciò spinto anche dal fatto che voleva (ft. Teníhllía). assicurarsi la fervida cooperazione di Onorato nei grandi lavori di bonifica idraulica, ai quali stava per metter mano nelle Paludi Pontine. 3) Il Pe' randa e Pietro Paolo Benedetti, procuratore della Casa, si occuparono (set. 1586) di dare gli elementi occorrenti per la bolla, che fu redatta in corrispondenza di quella di Alessandro VI con la quale Sermoneta, confiscata ai Caetani, a) veniva eretta in ducato a favore del piccolo Rodrigo d'Aragona; e, come quella, la nuova bolla principiava con le parole Coelestis Altttudints. Il prezioso documento, redatto a forma di fascicolo pergamenaceo, fu bollato il 23 ottobre 1586. 5) Ricordato che il sangue di Gregorio lX e di Alessandro IV scorreva nelle vene di coloro dai quali originò Bonifacio VIII; enumerati i grandi servigi resi dalla Casa alla Chiesa e partendo dal fatto che Sermoneta fu eretta in ducato da Alessandro VI, Sisto V conferisce lo stesso titolo ai Caetani. Da tale premessa costoro trassero motivo per affermare che, virtualmente, se non di fatto, i loro antenati da Guglielmo in poi furono duchi perché esercitarono piena potestà sopra un ducato; in base a tale considerazione, e forse col consenso del pontefice, Pietro Caetani, succedendo a suo padre Onorato, s'intitolò VI duca di Sermoneta, come può leggersi sui suoi sigilli. ó) Non mi risulta tuttavia che quest'ultimo abbia avanzato simile pretesa, ma da Pietro in poi tutti i capi di famiglia numerarono il proprio ducato, assumendo che

I'infante Rodrigo sia stato Viaggio di Onorato in Ispagna.

il

prirno duca

di

Sermoneta. ")

Sistemata anche questa importante faccenda, Onorato credette

di non dover procrastinare

oltre Ia sua andata a Madrid per far atto di riverenza a Filippo II. al I 586 si trova a volte usato il titolo di duca ed in uno del 1523 (Pry.3068) anchc quello di . principe di Sermoneta u. Comunque, mi par certo che Pietro abbia insistito a chiamarsi VI duca quando si 1) Ediz. Bev*chia, 1589, in 12". ) C- 1590 c., N. 203268. 5) hg. ?130. I C- 1595. XIl. 24, 78840. a)

In

documenti anteriori

per cortesia

A tal fine approfrttò del-

trovò in contesa con gli Orsini e i Colonna per I'appellativo di o Eccellem ' (v. Cap. XXIV), allo scopo di dimostrare che i Caetani avcvmo titolo ducale più antico di quelli delle faniglie rivali. 3) Vedi

ep.

XXIX.

1)

Domus,

l-2,

pac.240.


Legazione in Bologna

[lug*ag. 158?l

I'occasione che Pedro Tellez, duca

di

r83

in Ispagna con alcune ottime galee. Alla duchessa Felice Orsini, vedova di Marcantonio Colonna, offrì di accompagnare in Ispagna Ia figliola Vittoria, sua propria nipote, che era stata prornessa in isposa a Ludovico Henriquez de Cabrera y Mendoza, duca di Medina. r) La partenza da Genova avvenne il 15 gennaio 1587 e, il giorno 8 del mese seguente, il duca ebbe Ia sua prima udienza col sovrano. Purtroppo sappiamo quasi nulla di quanto Onorato fece durante i dieci mesi della sua permanenza nella corte di Madrid, perché nel nostro archivio esistono pochissimi documenti di questo periodo; sappiamo soltanto che aveva seco il diciottenne figliolo Gregorio e che viveva con gran lusso ; le spese erano enormi, ma bisognava strengere i dentí et haoer patíentía. Infatti il lungo soggiorno gli costò 40 000 scudi, ma fu considerato utilissimo, anzi índíspensabile per potersi guadagnare il favore del sovrano e creare legami d'amicizia con i grandi dignitari della Spagna. Col ricordo di quanto aveva operato alla battaglia di Lepanto e non nascondendo quanto casa Caetani aveva fatto ed avrebbbe ancora potuto fare a servizio di Filippo II, brigò per la concessione del Tosone d'Oro. Finalmente, sicuro di essere ascritto a questo eccelso ordine cavalleresco ai primi di ottobre Onorato s'imbarcava sulle galee del re di Spagna " p"t tornarsene a Roma ove era atteso con impazienza; poco dopo il suo arrivo, giungeva una lettera di Enrico Guzman, conte di Olivares, che annunciava la concessione di questa che in quel tempo, quando agli italiani non era ancora lecito aspirare al .. grandato ,, era considerata la più alta delle onorifrcenze. ') Nel frattempo, dopo appena due anni di governo, il cardinale Enrico era già stanco della missione affidatagli Moneta coniata in Bologna e volentieri se ne sarebbe tornato a Roma o avrebbe durante la legazione Caetani. b) accettato Ia legazione in Polonia (che invece fu data a Antonio de Puteo, arcivescovb di Bari) o qualche altro eminente incarico. In quanto al segretario Riccardi egli era ancora più stufo di Bologna che non fosse il proprio signore; era esaurito di nervi ed in malferma salute. Il duca, scrivendo dalla Spagna, dichiarò che era assolutamente contrario a che il fratello rinunziasse alla propria missione dopo così breve tempo; il Riccardi ed il Peranda riconoscevano comunque essere necessario che il cardinale avesse qualche importante occupazione che lo tenesse fuoi, degli otti dí Roma.' Chi forse piìr di tutti desiderava il ritorno di Onorato o del cardinale era Camillo il quale, con titolo di vice-duca, si trovava solo a leggere le redini dello stato e a mandare avanti i negozi di Palazzo, essendo il Peranda tanto malato degli occhi da non potersi più occupare che di questioni di concetto. a) Per la mancanza di documenti non posso dire quali fossero le ragioni per le quali il legato desiderasse di essere richiamato; ma suppongo che egli si era reso ormai conto come Bologna non era altro che un nido di diftcoltà ed un vespaio di noie e che la sua assenza prolungata dalla Corte, proprio al principio del cardinalato, era cosa a lui nociva, non permettendogli di crearsi subito in seno al Sacro Collegio quelle relazioni Ossuna, doveva recarsi

Il rosin d'oro.

mr"ry

a) Trenta anni

più tardi il card. Bonifacio ricordava: Il

a

nostto padre (Onorato) prché I'hebbe ìn tempo che ìI Re non I'haoea Aato se non a prtncípí líbel ín ltalía et ín Roma a Marc'Antonío Colonna et aI conte ìIí S,to Flore et ín Napolí aIIi príncípí dí Bísígnano Tusone

r)

fu gtan

C

- 156ó,

mercede

N.173852.

4) C - I 587.Vll . 27, N. 142373, sieillo.

3) Cedola

et dí Solmona el al I'hanno haoutí mohÍ

del Vasto. Ma hora (1613) ín quel tempo erano caùallefi

marchesc

ck í

píù

píoatí (C-1613.V[.25, N. 15526). b) . Doppia > d'argento; raccolta numismatica di Sua Maestà

il

d'inbaro, C- I 587' X .3 , N. 14459.

Re. 3)

C- I5E7.II.6, N. I73530.

Finel della legzione.


Card.. Enrico camerlengo.

Lib. II, Cap. XVIII.

AD AUGUSTA

t84

ed amicizie che gli avrebbero assicurato autorità e prestigio. Aggiungasi che il cardinale Ferdinando Medici gli stava facendo una spietata e brutta guerra nella Curia, spandendo voci calunniose e dando sfogo ad una inimicizia verso la Casa che datava fin da quando era ancora in vita il cardinale di Sermoneta. Inoltre era stato indispettito dalla preferenza data ad Enrico sul proprio nipote Riario nel conferimento del patriarcato, ed ora vedeva di malocchio il rapido avanzamento del neo-cardinale. La cosa giunse a tal punto che il legato dovette mandare il Riccardi dal granduca Francesco per protestare contro le male azioni del fratello; il principe r) ne risentì grande sdegno e promise di fare le debite rimostranze. Evidentemente Enrico non poteva lasciare Bologna se non gli si dava un buon motivo per il quale lo potesse fare con decoro; I'occasione si presentò quando il cardinale Filippo Guastavillani fece sapere che era disposto a rinunziare al camerlengato. Trattative tra costui e il Peranda già erano cominciate nel mese di maggio e continuarono sempre piùr attive sino ad agosto allorché furono repentinamente troncate dalla morte dello stesso cardinale. per ottenere questo altissimo ufrcio; Subito vi fu una ressa intorno a Sisto

V

i

cardinali

Altemps e Medici cercavano di ottenerlo per Montalto o Mattei; mons. Pepoli oÍfriva 2) Ai 120000 scudi e Fuccari sino a 200000, ma a condizione di esser anche fatto cardinale. Banchi le scommesse andavano alte. Ma chi la vinse fu Enrico con lo sborso di soli 50000 scudi e ne provò tanto maggior gioia in quanto ciò risultava a confusíone del Medici. ") Fu necessario di cavare i denari subito ed a contanti perché in questioni finanziarie Sisto V era molto sfreffo. b) Malgrado i debiti gravanti sulla Casa, si trovò modo di ottenere 40000 scudi dalle

10000 furono prestati dal cardinale Farnese.3) Il l0 settembre 1587, il papa emanava 5) la bolla che conferiva il camerlengato ; 4) il 14 si procedeva alla presa di possesso per nìano di un procuratore. Il giorno 30 il denaro veniva versato a Castel S. Angelo sotto forma di 50 bianchi sacchetti di tela di canapa, contenente ognuno I 000 scudi che, debitamente riscontrati, 6) furono deposti nel nuovo grande cassone ferrato, recentemente acquistato. E così il Riccardi poteva scrivere al Peranda z Torneremo a Roma ttíonfontí et V. Sharà haouto gran parte ín liherarci daIIí pericolí di questo gooemo et rcstíIuircí a Roma.') II cardinale Montalto, nipote del papa, fu designato come successore nella legazione al d) Caetani e questi, ai primi di novembre, prendeva la via del ritorno passando per Loreto, onde render gruri" a quella Madonna protettrice della Casa per averlo ad un tempo liberato da up"itogli la strada ad maíora. Cateratte di lettere gratulatorie si riversarono da un in"ubo banche

e

"d

tutte Ie pa*i. Un poeta improwisava:

.)

Questi nella corrispoadenza col Peranda è sempre designato col numero 74. b) Aggiungasi che Sisto V con molu ptopfio (C'1187' tX.29, N. 14E483) stornava dagli introiti del camerlengo la somma di 6 000 scudi da versarsi dall'esattore a vantaggio della cassa ponti6cia (onde creare il Monte Camerlengato), anche se I'ammontare totale det reddito fosse stato minore

di

questa

30mma.

.) Salvo per pochi accenni, ometto di parlare dell'opera del card. Caetani come camerlengo di S. Chiesa, benchè assai voluminosa sia la corrispondenza che si conserva nell'Arc' Cae!' Essa riguarda una infinità 1) C-1587. a)

PE.

3066.

di

questioni

di tutte le

provincie

IX,pasio. VediC-1587.X.3' N. 15418' 5) Pry.

979.

a) Pts- 31.

città delo stato ecdesiastico ed è formata da circa E000 docu' menti originali di cui probabilneotc non esistono copie nep-

pure

N.

io

Vaticano. Per

proveati' vedi

C' 1587.1X.15 c"

Bologna e si trasferirono nel III. I 588 a Perugia per proseguire gli studi sotto la guida del Rinaldo Ridolfini (C - I 588 - Ill ' pas' sim). Epigramma del Ridol6ni per I'erezione dell'obelisco di S. Pietro (C - l5ES.Ul . 18, N. 13707). Antonio si laureò

il 2.1II .1590 (Prg.3l68) e fatto referendario (Prg. 3439).

e

z)

i

14334E etc. d) Finiti i loro coni, anche Bonifacio e Antonio lasciarono

c.l587.Vlll .19, N.9635.

Bonifacio

il l5.tll.l59l

tu


Fine della legazione

[ag.1587-r588]

L'AquíIa bíanca Et fatto preda del

Èi

liberato Banchi

à

contentato

t85

íI

giglío

Camerlengato;

bísbíglio.

Ed

un altro poeta bolognese, Giulio Cesare Croce, scioglieva un Dialogo lamenteoole tra Reno e Felsina pet Ia partíta dell'il\.^' Caettano Cardínale etc., ricordandolo come

QueI che puníoa con seoerítade I oicì, e ch'era oerso í oirluosí Un nuooo Augusto, un Títo, un Mecenate, QueI che í pooeri affiui e oergognosí Socconeúa d'ogn'hor con larga mano, etc. l)

Il cardinale Enrico prese in mano I'ufficio del camerlengato, che era quello di amministrare il denaro e le rendite pubbliche della Chiesa e si stendeva anche a titoli di nobiltà, censi, gabelle, pascoli, cacce, zecca, poste, strade, acque, mercati, università, milizie, fortifica-

zioni etc. 2)

A completare le grazie verso casa Caetani, il 22 agosto 1588, Sisto V concedeva a Camillo il patriarcato di Alessandria, ") ed il pallio gli fu conferito per mano del cardinale Montalto il 2l di settembre. 3) Nel partecipare la notizia ai duchi di Mantova e d'Urbino e al granduca di Toscana, Camillo ricordava che detto patriarcato era semplice titolo, senza giurisdizione o emolumenti, ma di grande preminenza. a) La prima funzione pubblica, a cui prese parte (ott. 1588) nella veste di patriarca, fu la dedicazione della colonna di Marco Aurelio in piazza Colonna, Ia quale era stata restaurata e su cui era stata sostituita la statua di S. Paolo a quella dell' imperatore.

5)

Nei capitoli seguenti si dirà di un altro ed ancora piir onorifico incarico che per un momento sembrò dovesse sublimare la Casa, ma che poi si trasformò in un mare di amarezze e fu il principio della rovina finanziaria della famiglia. in aedíLus lll.mí Henficí Caíctanî ctc., (BibI. fat., R. l. lV, c. 123).

ù (PE. 2024). In tale occasione Gabriel dc Calvis fecc stanpare un suo ampolloso e vuoto paoegirico: Hotatío habita 1) C- 1587.1X. c., N.

17832E. \

Ct. Mot,,

Vll' p.

3)

57'90.

P8.964.

Moneta coniata dal legto Caetàni

Domus,

ll,

24.

ia

Bologna.

a)

Per.,o. 409-ll.

Romae, Zannetti, l5EB

6) Pstot,

X, p.

449,


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