FONDAZIONE CAMILLO CAETANI
CENTRO DI STUDI INTERNAZIONALI GIUSEPPE ERMINI FERENTINO
ROMA
Digitalizzazione delle opere di Gelasio Caetani
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GELASIO CAETANI
Domus Caietana Storia documentata della famiglia Caetani Volume I, parte prima
MEDIO EVO
San Casciano Val di Pesa 1927
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GELASIO CAETANI
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QUESTE PAGINE
EDIZIONE DI 425 COPIE DI CUI 25 NUMERATE E FIRMATE
CON 253 ILLUSTRAZONI DELLIAUTORE
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UNA DI ALDO MA77A E 13 TAVOLE FI'JORI TESTO
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STORIA DOCUM ENTATA DELLA FAMIGLIA
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22.
Monumento sepolcrale dell'irnperatore Enrico
VII (Tíno ila
Camaíno).
PREFAZIONE
UEsTI voluryi'contengono le vicende storiche di Casa Caetana dalle ,/origini:alla formazione del Regno d'ltalia. Oramai le antiche potenti fgmiglie del Lazio si sono per la maggior parte estinte. I Tusculani, i 'Crescenzi, i Frangipani, i Pierleoni, gli Anibaldi, i Da Ceccano, i Conti e i Savelli sono andati
a
moderno Tavola
di
marmo
scolpita da Michelangelo Caetani
(t 1882)
mano
a
mano scomparendo
"ol
lopruwenire dell'evo
e di loro non rimangono che incerte tracce. Tre
delle grandi famiglie baronali hanno soprawissuto: Orsini ed
i
i
sole
Colonna, gli
Caetani.
Queste, sia nel bene sia nel male, sono state attrici principali negli awenimenti che, dall'oscura età di mezzo, hanno condotto I'ltalia a traverso i seeoli gloriosi del suo rinascimento intellettuale ed artistico, alla costituzione della sua unità politica.
Non vi è opera storica che non sia piena dei loro nomi, eppure, strano a dirsi, non vi è un libro che ne dia la cronologia particolare ed esatta. Quelli del Coppi, del Sansovino, del Carinci e di altri, in massima parte sono scritti apologetici, unilaterali od incompleti, non scevri di gravi inesattezze ed intesi piir a soddisfare la vanità dei Signori che a ragguagliare lo studioso sulla cruda verità dei fatti. Purtroppo si può ben definire la storia come un succedersi di awenimenti voluti dai piùr forti e subìti dai più deboli; perciò Ia narrazione di quella dell'ltalia dai bassi secoli al Rina-
di tradimenti, di guerre" e di calpmità di ogni genere, sempre illuminata, è vero, dalla fiamma del genio italico, ma nella quale solo ogni tanto si trova ristoro nell'opera grande e benefica di qualche mente superiore. scimento consiste
Domus,
l,
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di una catena
guasi i"interrotta
di
prepotenze,
DOMUS CAIETA NA
I
in tali tormentosi awenimenti del passato e, seppure di alto lignaggio, non furono differenti dai loro contemporanei, sia sovrani sia uomini della plebe. Le loro gesta formano parte integrante della nostra storia e meritano dlessere narrate, non personaggi delle grandi famiglie furono protagonisti
con seicentesca eleganza, ma col franco ed onesto realismo caratteristico della scuola storica moderna.
È du ,p.rure che qualche studioso assuma tale compito per quanto riguarda le grandi famiglie baronali di Roma; per conto mio mi sono cimentato a compilare gli annali de' miei antenati. A ciò non mi ha spinto la vanità di un'illustre prosapia, bensì il desiderio di compiere opera utile agli amatori delle scienze storiche e, piir ancora, di conservare, almeno per mezzo della stampa, ciò che altri, giorno per giorno, materialmente disfanno. Quando perconendo Ie contrade d'ltalia, ho osservato che ogni generazione, sempre piùr immemore del passato, ha contribuito a distruggere qualche cosa legatale dai suoi maggiori; quando ho visto palazzi e rocchel'gioielli d'architettura ed espressioni di civiltà passate, cadenti o lasciati in abbandono ed abitati da ignoranti che adoperano le sale per porcile e col piccone accelerano I'opera disfacitrice del tempo; quando ho visto monumenti sepolcrali violati e distrutti e le ossa gettate nella fossa comune; affreschi imbiancati, pergamene preziose decomporsi nella muffa, campane del secolo XI rifuse, ghiqe medioevali rimodernate ed " abbellite " ; e quando frnalmente ho dovuto costatare che le tradizioni familiari si indeboliscono ogni giorno e che perfino Ia terra, già sostegno fondamentale della grandezza
di
case patrizie, viene venduta come una merce qualunque per
ho visto tutto questo, è sorto in me il desiderio irresistibile di salvare il ricordo, almeno, delle cose e delle tradizioni che si vanno dissipanào. Ho voluto quindi raccogliere in questi volumi quanto gli archivi e le cronache contengono sul conto della nostra Casa, perchè riman$ accesa per qualche tempo ancora la memoda di evitare
la cura di
amministrarla; quando
un passato che sta dileguandosi nell'oblio. Percorrendo queste pagine il lettore tenga presente che non furono scritte in silenzioso raccoglimento da un dotto cultore della scienza storica, né da un latinista o da un paziente paleografo, ma frammentariamente e per sua ricreazione da un ingegnere, che le necessità della vita hanno costretto a lottare nel campo industriale, in quello politico, in quello diplomatico ed anche sulle vette insanguinate delle Alpi. Brevi e discontinue sono state le pause e le ore di tregua, durante le quali mi fu concesso di dimenticare Ia vita attuale per perdermi nel ricordo del passato. Proporzionando il campo del mio lavoro al tempo ed ai mezzi concessimi, ho evitato di addentrarmi nella narrazione storica degli eventi che agit4rono I'ltalia centrale ed il regno delle
Due Sicilie per un periodo di oltre dieci secoli, e deliberatamente mi sono curato di narrare soltanto Ia parte che vi presero i Caetani. E, come uomo che ha vissuto piìr sul campo aperto che nella quiete dello studio, mi sono adoperato, in special modo, a far risaltare il lato umano degli awenimenti, in tutta la sua crudezza e realtà ed a ricostruire la 6gura di molti personaggi, dei quali la storia appena fa menzione e di cui la memoria è pressochè svanita. Fedele al tirocinio tecnico, a cui fui sottoposto nei primi e piir belli anni della giovinezza, ho voluto rigorosamente applicare a questo lavoro lo spirito ed i metodi delle scienze esatte, e
dei documenti, evitando Per quanto possibile la forma di un restauro, nel quale i preziosi
perciò mi sono tenuto con scrupolosa fedeltà al testo
che la ricostruzione storica venisse ad assumere
PREFAZIONE
a confondersi col
in un
tutto completo, ma privo di quella onesta genuinità da cui specialmente dipende il fascino che le reliquie del passato esercitano sul nostro animo. Ho abbondato in date e citazioni, perchè lluso deliberatamente unilaterale dell'ingente materiale storico, contenuto nel nostro archivio, non può soddisfare che in parte il desiderio degli studiosi a cui queste pagine, se non altro, potranno servire di indice e guida a differenti e piùr vasti lavori. ln considerazione di ciò mi sono accinto, contemporaneamente alla compilazione della Domus Caíetana,a pubblicare i piìr importanti documenti del nostro archivio, tesoro d'infinite informazioni, rimasto sino ad ora quasi del tutto ignoto ed inesplorato. Di esso e della pubbli-
frammenti dell'antico vengono
cazione parlo estesamente nella introduzione
ai
moderno
Regesta Chartarum,
*
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Ecco quanto avevo prima
di
a dire circa il
chiudere, è mio dovere
di
la natura e lo scopo di questo lavoro. Ma, ricordare chi mi ha assistito in esso con opera indefessa movente,
ed intelligente allievandomege'l'ingente peso. In primo luogo voglio ricordare il dott. Cesare Ramadori, archivista esimio paleografo,
archivi, ed
il
il
quale ha trascritto innumerevoli pergamene
comm. Pompeo Barbato, dell'Archivio
è stato intento a
trascrivere
i
e
di casa Caetani ed
documenti del nostro e di altri
di Stato di
Roma,
il
quale per molti anni
nostri cartacei ed a raccogliere preziose informazioni da altre parti.
Il
dott. Egidio Gentili ha esplorato per me Ie pergamene ed i registri di Napoli. Molto rmi io debbo a S. E. Pietro Fedele il quale confortò e mi incoraggiò nell'esecuzione dell'ingente lavoro; ed al signor Pietro Van Aarssen debbo Ia laboriosa compilazione degli indici e la revisione delle bozze compiuta
in
cooperazione
al dott.
Ramadori.
E
sarei un ingrato se non volessi ricordare anche Ia buona anima del nostro vecchio maestro di ginnastica, Fermo Michelotto, il quale per 25 anni fu fedele custode dell'archivio. Questo gli era caro come cosa propria e quando, bollando ed incamiciando i documenti, trovava qualche cosa di curioso o che gli sembrava di speciale interesse, me I'apportava giolivo, risalendo le non poche scale del palazzo, malgrado gli acciacchi dell'età gravosa.
Apctolo; ornato in S. Chiara di
Napoli.
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GENESI DELLA FAMIGLIA
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(Autografo
rF ego docibilís dux et gpatus
suóscrípsí
di
Doc.
Docibile
II dell'anno 936 (Cod. Caiet.,
XXXIX,
tavolc).
Captrolo I.
LE ORIGINI.
ocHl sono
i
documenti che hanno soprawissuto alle tumultuose vicende del basso medioevo; durante IX e secolo la coltura degli italiani, non esclusa la curia di Roma,
il
X
giunse al suo piìr basso livello; vennero persino a mancare la cartapecora ed il papiro, ragione per cui si fece man bassa
degli antichi codici che, raschiati e puliti, servirono come nuovo materiale scrittorio. Quel poco che fu scritto è stato in massima parte distrutto nelle guerre, ne'saccheggi o per incuria delle genti. Infatti nella storia di quegli oscuri secoli vi sono lacune che si estendono sopra periodi di vari anni, nei quali ci troviamo nell'assoluta ignoranza di quanto sia accaduto nella stessa Roma, cuore della cristianità.
Non deve quindi recar meraviglia se il rintracciare le Moneta di Marino II, duca di Gaeta; origini delle grandi famiglie dell'ltalia centrale presenta diffrsec, X, fine. r) coltà quasi insormontabili. Si aggiunga a ciò che i nomi di famiglia per la massima parte non acquistarono forma conpartire a dal principio dell'Xl secolo, traendo origine sia da alcune creta e permanente che Iocalità, come awenne per i de Columna e per i de Ceccano, sia da titoli come i Comites, sia dalla designazione di paternità d'un capostipite come fu il caso pet i PebíIeonís, per i de fiIt* Ursi e per gli Anibaldí, o da qualche soprannome come pel i Frangepanem e per altre famiglie.
I
per la prima volta nella persona di Petrus de Columna verso Ia fine del secolo XI; dei Conti troviamo il piir antico accenno in una pergamena del ll24 nelte parole íllius domíní Amatí quí dícítur Komíte e I'origine del cognome Pierleoni rimonta alla metà dell'Xl secolo. Quello dei Dell'Aquila viene ricordato nel l09l con le parole : Ideoque ego Ricardus gratía Deí comes de castello Pica qui oocor de Aquila. Lo stesso si può dire dei Da Ceccano, de' Savelli e della maggior parte delle altre famiglie
t)
Colonnesi vengono ricordati
Cî. Fen.
M.' p, 42
LE ORIGINI
Ub. I, Cap. I.
nobili. Una leggenda vuole che i Frangipani traessero il soprannome dal fatto che, durante la grande inondazione del Tevere del 717, un Flavio Anicio distribuisse personalmente il pane ai l) la smentisce e dimostra come un tal bisognosi; ma il Fedele in una sua monografia Pietro della antica famiglia de Imperato, fiorente in Roma durante il secolo X, prese il soprannome di Fragapane che, nel 1014, appare per la prima volta nella storia. Ma I'origine delle famiglie, già illustri e potenti nell'Xl e XII secolo, si deve rintracciare in un'epoca di molto anteriore alla formazione dei loro cognomi. Nell'età di mezzo la divisione di classe era nettamente marcata e rimase quasi immutata per secoli. La potenza di una famiglia poteva crescere o dirningire ed il suo dominio poteva anche cessare del tutto, ma i pan)enus de' nostri giorni erano pressochè sconosciuti allora; troviamo una rara eccezione ne' Pierleoni, ricchissimi convertitisi al cristianesimo, videro uno di loro, Pietro, salire sul trono pontificio col
"br"i "h",Anacleto II.2) nome di La origine delle principali famiglie si può però rintracciare spesso, se non con
certezza,
almeno con molta probabilità, nei due secoli precedenti all'anno mille: i Colonnesi probabilmente gZS c.) i cui nipoti furono conti tusculani; i contisono discesi da quel marchese Alberico (f di Ceccano, di Segni e di Valmontone, di cui troviamo frequenti notizie prima del mille, furono
senza dubbio progenitori delle famiglie Conti e Da Ceccano, ma è difficile dire se queste derivassero da un medesimo ceppo, come pare probabile, o da due stirpi comitali distinte. Alcuni vogliono che entrambi discendessero dai conti tusculani, come la somiglianza degli stemmi ,"*br"rebLe indicare. Nè la comune origine di molte famiglie nobili ci deve recar meraviglia, stabilendo il confronto con le famiglie regnanti d'Europa le quali quasi tutte fanno capo a ceppi. pochi -
gli appellativi per titolo, per località o per paternità, di cui troviamo memoria prima del mille, con I'andare del tempo diventarono per antonomasia veri cognomi e' come tali, cominciano ad essere ricordati negli atti pubblici, dapprima in via eccezionale, poi con frequenza sempre maggiore, spesso accompagnati dalle frasi guÍ dicìtur e cognomenlo, di cui ubbiu*o esempi, anche per le principali famiglie, sino al principio del secolo XIV. Il passaggio da appellativo a cognome fu graduale, si può dire involontario, e perciò non si può J"frnir" I'epoca esatta in cui il primo si mutò nel secondo. Bisogna ricordare altresì che in qu"' secoli la famiglia portava I'impronta della costituzione impressa dai romani alla gens dui burburi alla sippe e quindi era formata da una consorteria famigliare, ossia da un rag"gruppamento di quanti erano dello stesso sangue o erano legati da vincoli di affinità anche *oiro r"*oti. Dice iltalisse z3) Però non eta soltanto I'ínsìeme dei suoí membri cheformaoa Ia famíglía, ma ancora e meglio I'insíeme dt più ínteressi, ríguardanti, oltre coloto che erano attualmente ín famíglía, anche quelli che oi eran gíà statí, e quelli che un gíorno oí sarebbero oenuti. Tale famiglia o consorteria veniva distinta con un appellativo che in un primo tempo fu vago e generico e poi si cristallizzò nel cognome' si applica perfettamente Quanto si è detto sopra delle famiglie nobili dell'ltalia centrale ai Caeiani. L'interesse alla origine delle famiglie fu viva in tutti i secoli e non bisogna credere che si manifestasse solo nel secolo XVII quando fiorirono gli studi in questa materia. Sappiamo che già al tempo di Bonifacio VIII i Caetani si vantavano della propria nobile prosapia, e nel 1396 il cardinale Antonio Caetani, nel concedere I'uso del proprio stemma al vicario suo Comunque,
r) Arc. S. P., Vol. XXXlll.
2) CI. FeiIeIe A.
8)
Stofia tIeI
DÍitto It., III, p. 52.
[sec. X.XII]
Formazione
in Aquileia,
dei
cognomi
l) si vantava
che la propria famiglia Í.osse orìunda del grun Pompejo. Ma la massima fioritura degli studi genealogici si manifestò a partire dalla fine del secolo XVI, quando i cortigiani credettero loro dovere di adulare i propri signori inventando di sana pianta fantastiche agnazioni per cui si faceva risalire Ia loro progenie agli Anici e ad altre celebri famiglie romane. Tanto onore fu concesso persino agli ebraici Pierleoni ! Quando necessario, si faceva anche uso di documenti falsi o abilmente alterati. ") I Caetani molto probabilmente originarono dal conte Anatolio, di stirpe ignota, che verso il principio del IX secolo fu signore di Gaeta ; b) i suoi figli e nipoti ricevettero dalla corte di Costantinopoli Ia carica di ipata > che, trasmessa da padre in figlio, diventò prerogativa del " capo della famiglia. Col principio del secolo seguente i pronipoti di Anatolio assunsero il titolo di duca di Gaeta e, per marcare un distacco dalla corte di Oriente, a partire dal 946, sostituirono la designazione latina di ssnsele >) a quella di u ipata " ". Una fortuna veramente eccezionale ci ha conservato un grande numero di pergamene gaetane di quest'epoca, per cui la storia della città e la genealogia de' duchi gaetani si può ricostruire Giacomo de Giscardis,
a) Nel nostro archivio si conserva un inleressante apografo (Ptg. 352) del sec. XVll, apparentemcnte del sec. Xllt, scritto una pergmena mutila, con tracce di scrittura di lorma longobarda, che per curiosità qui trascrivo l ... ac... nomíne -.orum mortalí... naîe ,cÍ hoc,,, nde apposuit ob... gnífcantes.., ande a Napolítanís ac... íís succunum Romaní peleret cum,.. aìloentu laìlooícî (t 875) Lotthafií fiIíl ln ltaliam.., ínfra octo díerum tetmínum ín ímperÍum... rcdíít Guí [fredusJ ... Caíetam abílt tbíque... papales guíacít nonnulla eilíficia construxít malorem IIIíus cloítatís portam cul íllíus insicu
di
gníbus ondarum duobus quailís apposìtís edificaoít ac castrum oetustís meniís desupet ageribus propugnaculís alíísque necessartís munícndo utí alíguíbus adhuc rcIíguíís illorum sîgna oíden-
tur magnl comítís Horelí fiIíam uxotí durit ex qua lres fiIíos matsculos suscepí! pimus
Tomasínus
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Angelus Caitanus
2us
oocatus. Angelus Caítanus
Stefanus et 3us
posl pattís
obítum
cuntorum sl.atuum anlíguorum ab eíus patrc legatoitm a suís anlenalls ac aùo hqes *títít ac ínsupet níI memorcbik díclu egít solummodo beneoloenìlí quíeli oocatí ac íil ab eíus patre fuèrat síbl telíclum cusloilíenìIum curaoít Angelus Caílanus Holennpíam Cesarínam Romanam nobílísímam, ex Auguslí Cesatís progeníe natam oelulî ín Bocmunilî hísloríís oìdere est uì.xorem habuit ex qua filium nomíne Filíppí suscepí! utí peî non nullam ac ínslrumenta. patet Stefanus Gíuîredí Caílaní, 2ut genílus christíanorum elassís naoalís ilux ín Afrícam prctent íbíque mullas íllíus rcggíones subíugaoí! ac deníque na-
in Afrlcam
ac mulos íIlíus rcgni cÍoì. tatibus.., subaclls ptíncípís tílulum fuít adeptas algue ín ìIícto domínío per nonnullos annos a Vcnelorum Republíca fuít aduclus oalís dux
peroenísset
donec anno domíní oelocenlesímo octogesímo setlímo esetcíIu AtíaIí medíanam regíonem pe!ít eaque Stcfanum Caíetanum Zgt quî supra ob proxímam eíus patwíís... prelío príoaoÍt,..
&
Pehus íudex
$.
snza dubbio alcuno, fa parte di quella falsifiezionc eseguita nel 1628 e 1629 da qualcuno che, evidentemente a scopo di lucro, fornì ad Alfonso Gaetani, duca di Laurenzana, ed ai Caetani di Sermoneta di Questa pergamena,
sfacciatissima opera
di
1) Arc. dci conti di Strassoldo ia Attimis.
quell'epoca un buon numero di supposte copie autentiche, redatte da pubblici notai mai esistiti, e che egli diede ad intendere fossero state estratte da un gruppo di meravigliose pergamene originali, dal tX al Xlll secplo, le quali si conservavano in Cipriano, nell'archivio della chiesa di Sprirr'fus Sonlel/r' presso S, Germano cassinese.
A dire il vero, non so se questo paese di Ciprignano sia mai esistito, ma le copie autentiche, di cui sopra, c'informano che
il
notaio
Orzio
Sicula
di
Ciprignano,
ad
istanza
e
con
I'sistenza del reverendo padre Giovanni Francesco Daniele, rovistò i moltí protocolll e scritture díscíolte scritte in /rhgua longobarda, che i due ínlrodussero ín língua oolgare e latína e che contelgono óolle di Cregorio VII, date sub annulo píscato:y'rs e munite di sigilli de cera flaoa, oppve rubea, cum effgie ilíoí Pelrí e redatte prima che lo stesso Gregorio VII fosse elevato al trono pontificio. Vi è anche un privilegio dell'imperatore Ottone (forse Ottone I coronato r,el eez) a favore di Annechino Gaetani, detto < il Goto ", dell'anno e97 (sic). Ed anche I'antiquario Giovanni Battista Morandi di Napoli, degno predecessore di tanti imbroglioni de' giorni nostri, fece copiare davanti a pubblico notaio una certa lapide marmorea in Gaeta ove, a piè dello stemma dalle onde gemelle, era incisa
la
seguente iscrizione:
CIUFFREDUS CAETANUS FILIUS ILLUSTRISSIMI DOMINI ANNECHINI GOTTUS
DUX ET HEROS: MAGNUS DUX CIVITATIS GAETAE. ANNO DOMINI NOSTzu JESU CHRISTI DCCLXVIII Come si vede, il famoso Anichino Goto, degno emulo di Matusalem, vise per oltre due secoli. (lrc. Cael. Ar, codice N. 3 (4s0), ora in poso della C.ssa Magda Gaetani ; N. 148902 ; Ct. Caíet. Gen., eàiz. del trzo). b) ll prino ricordo di Aatolio si trova in una pergamera
dell'gfg ov'è detto: Ideoque ego Costanlínus
gpatus fiIius
Anatolíl comítís haaítalor aulem huíus casli Kaíetanì. (Cod, Cajet,,
l, p, 9,)
Origine
dei Caetani.
Falsificazioni
di documenti genealogici.
LE ORIGINI
Suddivisione
della famiglia.
Lib. I, Cap. I.
con assoluta ceÍtezza dal principio del secolo IX sino al 1032, che segna la caduta e fine della famiglia ducale, .la quale per quasi due secoli resse Gaeta trasformandola da una piccola borgata in un porto fiorente. I duchi vennero detti i u Gaetani ,' per eccellenza e questa designazione di Iocalità coll'andare del tempo fu, per antonomasia, I'appellativo della consorteria e poi divenne il vero cognome della famiglia, e di ciò troviamo numerose prove negli atti pubblici a partire dai primi anni del secolo X sino al 1025. Dopo l'anno mille il cognome è già nettamente formato') ed appare anche negli atti di Napoli e di Pisa, ove si erano trapiantati due rami della famiglia, ma le specificazioni di quí dícitur, guí nomínatur e cognomento non appaiono che nei primissimi anni del XII secolo e perdurano sino alla metà del XlV. Una dettagliata documentazione di tutto ciò è contenuta nel capitolo di introduzione della Caietanorum Geneatogía e quindi mi dispenso dal. ripeterla. Ricorderò soltanto che nelle carte di Gaeta il gaetanus o gagetanus è usato quasi esclusivamente per la famiglia ducale e che, dopo la caduta di questa, nessuno degli altri duchi ad essa succeduti viene designato con tale appellativo. Sin dal principio del secolo X i Caetani appaiono strettamente imparentati con i duchi di Napoli, e Ia costante tradizionale annicizia tra le due dinastie fa sospettare una comune origine. Ne' due secoli che resse Gaeta, la famiglia si moltiplicò e si diramò in modo sorprendente formando un'estesa consorteria famigliare in cui, per i molteplici matrimoni entro la consorteria stessa, si formò un complicatissimo nesso di parentele di cui non siamo in grado di seguire
la
trama.
Col disfarsi del loro dominio la farniglia dei duchi si disperse; rami secondari e collatera\i continuarono a mantenersi nel territorio quali duchi di Fondi, conti di Traetto, conti di Castro Argento e conti di Sujo, e probabilmente quali signori di castella minori. Di loro ci rimangono pochissime memorie e può essere che alcuni anche mutassero cognome, a seconda della dimora e delle variate condizioni di vita. Da essi trasse probabilmente origine la famiglia u di Gaeta " che nel secolo XIII si trasferì da Gaeta a Napoli e fiorì per molto tempo, come vedremo aPPresso. Altri Caetani emigrarono: in Napoli si era già stabilito un ramo sin dagli ultimi anni del secolo X, ed è probabile che i superstiti della famiglia regnante di Gaeta vi si rifugiassero dopo il 1032, protezione pressc i duchi di quella città, loro parenti. La tradizione vuole che i Gaetani di ""r"unào Pisa originassero da Ugone, emigrato nel 962 al seguito dell'imperatore Ottone I, ma sembra piìr probabile che anche guesto importante ramo della famiglia vi si trasferisse dopo la caduta del
Forme del cognome.
a)
Nei documenti il
nome
di famiglia è diversamente scritto:
Caelaní, Gaielaní, Caîelanl, Caglaní, Cagetaní, de Gaetanfs' e de Gagetanís, secondo la forma latina; e Gaetanl, Gaíelaní, Gagtaní, Gagetanî, GaíIaní, Gagetaní, secondo la formt vol' ;gare; nelle forme dialettali ed in quella toscana si ha Guatanl
(G. Mllani), Guaítanî (Cron.d'Orvieto), Guagethaní e Guagetaní
VIII);
in francese speso ricorre: Caelan e Gaelan' le Îorme Galanì, GaíIani e de Gae' La famiglia di lanís, la quale ultima fu usala anche frequentemente dai Caetani Palatini. Ricorrono anche le forme errate di: Gadítaní, Carthaní'
(Proc. c. Bon.
Pisa usò molto
Gaíloní, Caraní, Gagthaní, Galetaní' Gaggtaní, Gaglan, Ie Gegtel, de Gaítan, Se questo studio non fosse limitato all'mtie storia di famiglia, potrei aggiungere molte strane mutilazioni di cui fu vittima il
Di
il
sesoo
mio cognome negli avventurosi anni vissuti
rcl Fat
ll*t'
sotito il nome viene declinato in I od in o, secondo della persona. tl ramo di Aragona e gli altri rami mi-
nori mantennero rcmpre la G iniziale, mentre qucllo di Sermoneta, dalla metà del secolo XVI, per distinguersi dagli altri, ha sempre usato Ia forma latina con la C iniziale. Goffredo Gaetani nel ruo Rrcorso alla Consulta Aralilíca (Gaet. Gof.' p. 19) ha fatto una lunga disquisizione sulla G e autla C pcr provarc che anche il rano di Napoli ha il diritto di fiamarsi però che la storia ha oramai consa' " Caetani ". Sta di fatto crato queta opporhna distinzionc dei cognomi e che tutti quelli di Sermoneta, a partirc dal sec. XVt, si sono sempre sottoscritti
il popolo ancora oggigiomo ci chiami rper' nessuno dcl rano di Napoli ha mai scritto la sua firma col C. Caetanf (quantunque
sisino Gaetanf), meùtre che
Is conformità a quaqto soPra c Per maggiore chiarezza, nel pre€nte lavoro, ho voluto usare ta C inizialc per i rami della Campagna e Marittima e la G invece per le famiglie del na' politano
e della
Toscana.
[see. XI]
Rami della famiglia Caetani
ducato, perchè ne troviamo notizie sicure soltanto a partire dalla metà del secolo XI. Dai pisani, verso la fine del secolo, si vuole derivassero i Gaetani di Spagna. Un altro ramo si trasferì in Roma e nel ll39 abbiamo notizia di un Giovanni Caetani, che sembra prendesse dimora nell'isola Tiberina, detta Licaonia, la quale restò la principale residenza della famiglia sino al secolo XVI. I Caetani d'Anagni derivarono forse da quelli di Rorna, ma è piìr probabile che discendesseto direttamente dal ceppo di Gaeta, o da un ramo collaterale dimorante in Terra di Lavoro. Trasferitisi in Veroli, ") o in qualche altro paese della Campagna, s'imparentarono con i Conti e i Da Ceccano; verso la fine del secolo XI, li troviamo permanentemente stabiliti in Anagni, ove nel I I 59 si ha memoria di un Pietro Caetani e nel I 163 viene ricordato il magnífco sígnore Arso Gaíetano dí Anagní, Ricapitolando quanto sopra, dirò che, subito dopo Ia caduta del ducato di Gaeta, quasi contemporaneamente, sorgono in Napoli, Pisa, Roma, Anagni e in Ispagna tante famiglie portanti quello stesso cognome < Gaetani ', che, durante I'ultimo secolo del loro dorninio, era diventato I'appellativo antonomastico dei duchi di Gaeta. Quella di Pisa da tempi antichissimi portò per impresa lo scudo quadripartito di rosso e d'argento che, ancora ai giorni nostri, è Io stemma di Gaeta; Ia famiglia Di Gaeta prese lo stesso stemrna alla banda azzufia con tre speroni (o stelle d'oro) a cinque raggi, rnentre quella di Anagni e forse quella di Roma presero le onde gemelle di azzurro in campo d'oro a ricordo, così vuole la tradizione, de' due golfr che racchiudono la loro città d'origine. Di tutto ciò si discorrerà dettagliatamente nel capitolo LVI. Ecco quanto sappiamo sul nesso genealogico de' vari rami dei Caetani; le indicazioni non sono nè certe nè positive, ma le supposizioni da me fatte non mancano di qualche fondamento. Vi sono poi le tradizioni di famiglia, già vive sin dal secolo XVI, quando I'archivio della Casa era ancora ricco delle preziose pergamene dei duchi di Gaeta, che ora si trovano nell'abazia
di
Montecassino.
Ognuno è libero di non prestar fede a simili tradizioni; così non mancano critici moderni i quali ritengono una leggenda la tradizione antica in casa Caetani di ripetere I'origine sua dai duchi di Gaeta. Non intendo entrare in discussione; osserverò soltanto che in questioni, che risalgono ad un periodo storico singolarmente povero di monumenti scritti, le circostanze evidenti, sopratutto se sorrette da una vetusta tradizione, assumono valore probativo; né è lecito discreditare tale evidenza a meno che possa addursene altra al contrario e meglio fondata. {€
*tj
Darò un breve cenno dei vari rami della famiglia per passare poi alla storia dei Caetani d'Anagni, che forma oggetto di questi volumi. Il lettore perdonerà se i primi capitoli risulteranno alquanto disadorni ed aridi e consisteranno piir che altro in una raccolta di brevi notizie, cronologicamente ordinate; di piir non mi è sembrato lecito fare. Rari e laconicí sono i documenti su cui basare il racconto de' prirni secoli delle vicende storiche dei Caetani ; e per dare ad esso una forma interessante e piacevole sarebbe necessario supplile con la immaginazione là ove
le
sare
pergamene tacciono.
a)ll Carinci (Caúncî L, O., p. 155) ha creduto rawiin Rofiredo, Consul el Dux fiIíus quondam lohanní bone
memoríc Comcs Campaníe, abitante in Veroli,
ul
figlio del duca
Giovanni
ll di Docibile II di Gaeta. Dalle
carte di Gaeta non risulta
un f,glio di nome Rofredo e quindi noD pare abbia fondamento alcuno Ia rupposizione del Carinci.
che Giovanni abbia avuto
fuo/oll
qnn E go
tpu,o{rcrufcvT
lohanne Patricíu scríPsi. di Giovanni l, dell'anno
Sottoscrizion: autografa
f,ft
923.1)
Caprrolo II.
I DUCHI DI GAET^A.. (839-1032)
in queste pagine la storia dei duchi di Gaeta dopo quanto hanno già scritto il Federici ed ultimamente il prof. Fedele, il prof. Schupfer, mons. Ferraro, la dr. Merores ed altri; mi limiterò perciò a poche parole che diano, a chi fosse ignaro di tale materia, una idea di come sorse, fiorì e cadde il dominio della stirpe che, a mio parere, fu il ceppo originario della Gens Caietana. Sull'ameno promontorio che si rispecchia nelle azzutîe acque del golfo sorse, in tempi antichissimi, una piccola città chiamata Pottus Caíe|us che, secondo Virgilio, prese il nome da Caieta, nutrice di Enea. ") Ne' bassi secoli ebbe ben poca importanza a paragone della vicina e fiorente Formia, ma con l'an' dare de' tempi i ripetuti attacchi, prima de' LongoLeone, prob. dell'epoca ducale, in una bardi, poi de' Saraceni, indussero gli abitanti a rifuvia pubblica idi Gaeta' Iniziale delgiarsi sul promontorio che, da tre lati circondato dal I'anno I l7o c,2) mare, era piìr facile a difendere. Ivi si sviluppò la nuova città che diventò uno dei porti pitr frorenti ed una delle migliori fortezze della costa PPARE superfluo ripetere
del Tirreno. Ne' primi tempi Gaeta si trovò alla dipendenza di Napoli, base del dominio bizantino nell'ltalia meridionale, ma I'estendersi del regno longobardo sino al mare, tra il Garigliano ed il Volturno, separò le due città. Al nord di Terracina si andava formando e consolidando lo stato pontificio ed al sud, nella pjanura pantanosa di Fondi e lungo la stretta zona compresa fra il mare ed i monti, la Chiesa possedeva vaste tenute che facevano parte del Patrimonio di
S.
Pietro. a) Tu
moficnrs
t)
quogue líIotíbus nostús,
famam, Caíeta, Cod. Caiet.
l, p,
Aeneíd nulrtx
deì!ístí - el
52.
r)
-
4s!s1n41n seìlem
nuncsetoathonos
Pre. 2807.
tuus ossaque nomen sígnat. (EneÎìle,
Hespefia
VII' v. l-4).
ín magna, síqua
est
ea glofta,
.
Ipati di Gaeta e
[83e-87e]
$aracenr
Gaeta, quindi, isolata e priva di territorio proprio, venne a trovarsi in condizioni ristrette; gradualmente si ruppero i legami che I'avevano tenuta unita a Napoli, e la città passò alla di' pendenza diretta di Costantinopoli; ma non abbiamo notizia di chi fosse delegato a reggerla. Al principio del secolo IX una famiglia, di origine ignota, ') imparentata ai duchi di Napoli e forse del medesimo sangue, andò acquistando posizione predominante in Gaeta. Capostipite ne fu un conte Anatolio, i cui figli Costantino e Giovanni ricevettero dall'irnperatore d'Oriente il titolo onorifico di * glorioso ipata ,r, ossia console, che fu portato altresì da Marino, figlio del detto Costantino. D questo ultimo troviamo il primo ricordo nell'anno 839 e I'ultimo nell'86ó. r) Dell'anno seguente abbiamo un atto, redatto temporibus domini Doctbtli magnífico et prefecturío; questo Docibile, se non figlio, deve certamente essere stato stretto parente di Marino non solo per essergli succeduto nel governo, ma anche per il fatto che ne' figli e nipoti suoi vediamo ricorrere di continuo i nomi di Anatolio, di Giovanni, di Costantino e di Marino. Abbiamo certezza assoluta che egli fu il primo signore di Gaeta e da lui sino a Giovanni V, col quale tramonta la farniglia ducale nel 1032, la genealogia si estende continua e ampiamente documentata. Docibile I appare col titolo di ipata in un documento del maggio, Vtrll indizione, che il Federici attribuisce all'875 ed i compilatori del Codex Cajetanus al['890; così si chiamarono il figlio Giovanni ed il nipote Docibile II sino al 930, quando quest'ultimo assunse
il titolo di duca.2) Il primo periodo del dominio degli ipati gaetani fu travagliato dalle scorrerie e dagli at-
Ipati e consoli
di
Gaeta.
anche
tacchi dei saraceni che infestavano tutta I'ltalia meridionale. Nell'846 questi audaci predoni non esitarono ad avventurarsi sin dentro Roma, cuore della cristianità; risalito il Tevere con Ie loro piccole navi, misero a sacco le venerande basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, ricchè degli immensi tesori ammassativi da Costantino in poi. Strapparono Ie lastre d'argento dalle porte e quelle d'oro dal pavimento della Confessione e, nella loro furia ladresca, violarono persino le tornbe degli Apostoli. Tre anni dopo il papa Leone IV chiamava in aiuto Amalfi, Napoli e Gaeta, e le fotte riunite inflissero a quella saracena una grave sconflitta davanti ad Ostia. Con tutto ciò gli ipati, a somiglianza. di quanto avevano già fatto i duchi di Napoli, trovarono che il modo piìr espediente per difendersi dai terribili predoni era di allearsi con loro. Così fecero, arricchendosi ed ingrandendosi a spese delle terre circostanti, e gradualmente s'impossessarono delle tenute presso Gaeta appartenenti al Patrimonio di S. Pietro. Giovanni Vlll cercò invano di distogliere Docibile I dall'empia alleanza; vana fu I'opera de' suoi ambasciatori e poco gli valse I'arma della scomunica. Al principio dell'877 si adoperò a riunire le principali città marittime in lega contro gli infedeli e, nel mese di maggio, I'instancabile e coraggioso pontefice si recò personalmente a Traetto per avanzare i negoziati' Per amicarsi gli ipati, Docibile I ed il di lui figlio Giovanni, concesse loro il dominio di Traetto, da cui il papa non era piùr in grado di trarre utile alcuno e su cui sperava di mantenere un diritto sovrano per mezzo degli ipati stessi. Questi, però, in breve tempo si resero conto delI'impossibilità di sostenersi nella posizione difficile in cui si trovava Gaeta senza I'appoggio de' saraceni e perciò di nuovo si allearono ad essi. Allora Giovanni VIII sperò di riuscire con la forza là ove le promesse e la persuasione erano fallite; indusse Pandolfo di Capua a muovere contro Gaeta e costui, avanzatosi sino alle mole di Formia, tagliò le comunicazioni tra il promontorio ed il continente e strinse Ia città d'assedio. a) Alcuni, tra cui il Mezerai citato da mons. Onorato Caetani (C-141.-lV), vogliono che 1) Coil. Co;et.,l, p. Domut,
l,
2.
9 e 20.
z) Qoì|.
CaJct., Tav.
XXXIV c rce'
fcsse
di origine catalana.
Invaione dei saraceni.
I DUCHI DI GAETA
Lib.
l,
Cap. II.
Ciò indusse Docibile a buttarsi completamente dal lato dei saraceni; chiamò una schera di loro accarnpata ad Agropoli, presso Salerno; la turba di ladroni sbarcò sulla spiaggia di Fondi ed in breve occupò e mise a sacco tutto il territorio, ricacciò Pandolfo al di là del Garigliano e si accampò permanentemente sulle colline di Formia, nella località ancora detta u Campo Saraceno u. Il papa, vistosi ridotto a mal partito, cercò di trattare nuovamente con i signori di Gaeta, *" qu"uiu-volta dovette essere più largo nelle sue concessioni. È du credere che appunto in quell'epoca (879-SSl) cedesse loro il ducato di Fondi, di cui si erano impadroniti i saraceni. Docibile cercò di allontanare quei pericolosi confederati ma, avendo voluto usare la forza, essi gli si awentarono addosso e lo sconfissero. Allora Docibile tornò a pacificarsi con loro e li indusse a trasferirsi iu di una collina presso le foci del Garigliano, ove i saraceni presero dimora e si fortifrcarono ne'nuovi accampamenti, che per gli ipati diventarono un formidabile baluardo contro le continue oflese dei capuani. Tale base permise ai saraceni di continuare il loro mestiere con maggiore comodo e sicurezza. * +----è : I paesi circonvicini venivano depredati, i campi de€,Cl€,Gg_ +ho cleu l F' l c lvr'lvs1ll]v vastati; prigionieri e bestie venivano condotti agli z ,., accampamenÉ, ove si faceva mercato della preda ot ovlll.J' non senza vantaggio della vicina Gaeta. Tanto fu RA[€er]ÉA*AI€PD lo strazio, che secondo Erchernperto, testimonio FATIoNqf'#'4gry oculare, la bella campagna era díIaníata così ctu' bArucYe l'rie be ntntcA\4 delmente che la tena, príla di agricoltorí, fu ín l) Quei pre|:l D I I'4v€TlA il xeUrn D o breoe tempo rípíena dí oepri e spini. Hl ì'I' tl ,: r- nctl I ( doni, facendosi vieppiir audaci, si spinsero sin dentro Ti'RRAbtLgUortLt il cuore del paese, assalendo munitissime città e {o BoctvlLYP/'DoNA monasteri e recando danno infinito. Invano si cercò imperiale, patrizio Ciovanni, di Lapide di ricacciarli nel mare; appoggiati dai gaetani, loro sull'antica torre del Garigliano. confederati, seppero resistere ad ogni assalto. Batraglia del Finalmente, per opera principale di Atenolfo Garieliano. ua's'atro' di Capua e del frgliuolo Landolfo, si formò una grande lega, di cui fu capo lo stratega Picingli, mandato dall'imperatore con truppe bizantine. A quella aderirono Guairnaro di Salerno, Gregorio duca di Napoli e finalmente anche Giovanni I ipata di ,Gaeta. Molto c'era voluto per staccare costui dalla nefasta alleanza. Giovanni X si prestò a dargli solenne conferma del possesso\del patrirnonio di Traetto e del ducato di Fondi, del quale atto si resero garanti undici maggiorenti della nobiltà romana, tra cui il senatore Teofilatto; e lo stratega Picingli, a nomeìell'imperatore, investì I'ipata della somma dignità di patrizio imperiale, che sanzionava la indipendenza di Gaeta dal ducato di Napoli. L'esercito, a cui si unirono le truppe pontifrcie capitanate da Alberico duca di Spoleto, si mosse contro i saraceni asserragliati su un colle che sorge sulla riva del mare presso il Garigliano, al quale oggi viene dato il nome di Monte Argento. Secondo Leone Ostiense, per tre mesi I'esercito cristiano stette a campo contro gli infedeli, mentre la flotta greca rimaneva di guardia davanti alla foce del fiume. Lunga e sanguinosa fu la battaglia (915) a cui prese parte lo stesso papa. I saraceni respinti a mano a mano entro i
F-€-n
tólr .
'
bomo(î,-'
r.
r)
Fedele
8., p. lB?.
i
,
r
Guerra contro
[87e-er5]
i
saraceni
Ioro ultimi trinceramenti sull'alto del colle, disperando della sorte, diedero fuoco ai loro alloggiamenti e cercarono scampo in una sortita, consigliati e secondati, come si vuole, dai loro antichi confederati, il duca di Napoli e I'ipata di Gaeta. Inseguiti per i monti e per Ie selve, ben pochi di loro trovarono scampo. Prirna che I'esercito cristiano si sciogliesse, il papa volle nuovamente conferrnare a Giovanni I le donazioni territoriali in presenza dello stratega, dei principi Landolfo ed Atenolfo di Capua, del duca di Napoli e del principe di Salerno. Il fratello dell'ipata, Anatolio, fu creato duca di Terracina.
;'ti-T Iscrizione
di
Pandolfo
di Capua sulla Torre del
Garigliano.
*** il patrizio Giovanni I eresse Torri del che forse era stata rovi- Garigliano' torre un fortilizio presso il traghetto del Garigliano, ricostruendovi una nata dai saraceni e vi affisse una lapide che una rara sorte ci ha conservato, perchè i costruttori del campanile di Gaeta, nel secolo Xil, se ne servirono come concio dello spigolo destro
A
della
memoria della grande battaglia
e a difesa contro i
saraceni,
base.
fecí ío Giooanni, patriz,ío ímperíale, figlio del sígnor Dacibíle ípata, che ho ríedíficato forc?l su/ fiume Traetto per Ia dispersíone dei saracení. Ho poí donato questa inclíta casa, per lungo tempo già torîe, aI mío díIetto figlio Docibile ípata. ") Guastata dai greci, venne poi ricostruita una seconda volta da Docibile ll, a fundamentis, ma, purtroppo di essa non rimane X"unu traccia, perchè gli ultimi avanzi furono probabilmente b) distruiti nel 1829 per coótruire il brutto ponte di ferro su cui passa la via provinciale. Possiamo però formarci un concetto dell'aspetto e della imponente sua mole guardando I'altra torre, situata poco distante, presso la foce e sulla sponda sinistra del Garigliano, edi-
In
essa, secondo
la
versione del Fedele, si legge: Quesfo eilíficío
o) r;['r Ho" eàíficìum fecí ego lohannesfímpeialís paticiusl fiIíus ilomlní DoclíoíIí gpatael quí ín Traíeclo lflumílne pro díss' fìlpatíone Agarenorum lnunctl rchedíficaoí Henc oe[ro] rnclílam domum et íanilíful tutrem díkclo filío lnelo DocíoíIi gpatae donaolí|,
b) Di
questa torre parla dettagliatamente
il
Fedele aella sua
già citata monografia La Battaglía ilel Gadglíanoi nella copia del eecolo XVII del testamento di Docibile II, di cui si servirono i compilatori del Coder Cajelanus (I, p. 90), si legge
ínclita ípsa cutte dc Araleclum, -""\" io quella del secolo Xl del nostro archivio (Regesta, l, p.,2) è scritto: ínc!íta ípsa lurte d.e Trcíeclum quam cgo (Docibilis) a funAamentís edí-
ficabí pst guam ab ípsi gtecí dísípata fuít,
cum omnía sibí
pettínent6us, qucmodo míchí cam donabít domínus lohannes pakícío gaílor meus, íla et nos suptailícto lohannes dux filío nostro earn donahínus, Tale preziosa informazione conferma e completa quanto ha illustrato il Fedelc nella suddetta moaografia.
Ub. I, Cap. II'
I DUCHI DI GAETA
l2
ficata da Pandolfo Capodiferro, principe di Capua, poco più di un secolo appresso, perchè, senza dubbio, molto somigliante alla prima. Enormi massi di pietra, lapidi e sculture, tratte in massima parte dalla vicina romana Minturno, e grezzamente cementati con durissima malta, formano I'imponente mole su cui nel secolo XV venne sopraelevata una torre merlata fatta di mattoni. Le due torri erano distanti poco più di mezzo chilometro I'una dall'altra; nel medio evo la prima era designata come << torre del Garigliano " o della scafa (traghetto), mentre l) I'altra fu detta < torrr a mare >. Sulle facciate della seconda che guardano il frume ed i monti, il Capodiferro fece incidere due lapidi in esametri che ricordano come il princípe Pandolfo, I'Eroe, eresse questa torre a difesa della Patria che, ne' tempi passati, i saraceni, risalito il 6ume, J xì avevano devastata ed afrnchè spettí glotía e nome degno di memoría a chí I'eresse.") All'intemo le volte sono sostenute da archi formati con massi ciclopici di pietra; e quando, al tramontare del sole, entrai in quei tetri ambienti, appena rischiarati dalle anguste frnestre che forano i grossi muri, tutti olezzanti per il letame del bestiame che vi alberga, ebbi I'impressione di essere entrato nell'antro del ciclope Folifemo che impri'compagni, e per un poco gionò Ulisse ed i suoi seguii come in sogno i tozzi e potenti guerrieri del secolo Xll, che edifrcarono quella mole' La torre di Giovanni patrizio, eretta dopo la battaglia del Garigliano, segnò il principio delI'epoca aurea dei signori di Gaeta, i quali, per pitt di cento anni, regnarono in relativa pace, dando grande sviluppo al commercio ed alle istituzioni della città e riconducendo la prosperità nel territorio straziato da tanti anni di guerra e di Tone di Pandolfo di Capua sul Garigliano.
Opere varie.
rapine.
ll
patrizio Giovanni diede mano anche ad altre importanti opere murarie; ampliò la città torre di Gaeta e la munì di baluardi, di .cui si vede ancora un magnifico avanzo in una Piazza Commestibili' La torre quadra, di circa cinque metri di lato, dalla parte meridionale della dalla Mole è formata di blocchi regolari di travertino lo"ul", che in palte certamente pervennero essi' È alta cir"u Atratina, come si riconosce dalla metope e dai triglifi scolpiti in alcuni di
u) Delle due lapidi, quella verso
cifrabile
il
6ume è facilmente de'
e dice:
uaruc ovoNDAM TERRANI vAsrAvlr GENs AGAREN[A] POSTEA POSSIT [s]cANDEhls HVNC FLWM FTERI NE CoNDIDIT HERo[sl PALDOLFVS TVRRIM HANC [PjRINcEPs VT StT STRVCTORI DECVS ET MEMORABILE NoMEN -
t$
gu L'altra, molto rovinata, si è potuta decifrare a stento salendo alla radente luce è la quando sole, del tramonto al una scala,
I
Cf. Cr.
Sses.
superficic della pietra'
Iu
es't*leggerei:
rS Hrc oI-ttvr eATRIAM vAsrAvlr cENs AcARENA pER FLVMEN .ISCANDENS (Pfob.) ATROCIA BELLA (?)] IPATRANDo
PRO QVO PALDWFVS PRINCEPS ET PROVIDVS HEROS coNDlDlr HANC TVRREM SVE PATRIEQVE SALVITII Nell'ultimo verro bisogna leggere la parola SVE con un
U
lungo pcrchè I'esametro eia corretto.
Opere degli ipati
Iel5.e34j
€G0lohtNlpe Rtf\Lr PATRTqvS'rtllvsDol1 DoclbltlyPATIAFVNDA t1€NTl S'eDltlcAvl
^
Lapide di Giovanni patrizio imperiale, in Gaeta,
30 metri e, a due terzi della sua altezza, in uno dei conci di spigolo si legge z Io Giot:anní patrízío ímperiale, figlio del sígnoî Docíbile ípata, edí.ficaí dalle fondamenta. ") Giovanni costrul anche un ponte, di cui un masso si trova ora murato nel Palazzo Albani, dalla parte del vicoletto che congiunge la Piazza Cavallo con Ia via Bausan. In esso si -f. Voi tuttí che síete per passare su questo ponte, pregate per Giooanni che condusse alegge: frne questa oPerc.u) Nel muro a destra della prima branca della scala, che dalla Difesa Marittima porta alla Batteria a Scomparsa S. Maria, presso il porto, si legge z Io Gíot:anni patrízio ímperiale e Docìbìle duca ed ípata facemmo.") Tali iscrizioni sono posteriori all'anno 915 ed anteriori al 933-934, nel quale tempo morì il patrizio imperiale. Fu sepolto nella cattedrale di S. Erasmo e, dopo la ricostruzione di essa, la sua tomba venne a trovarsi presso il magnifico campanile eretto verso I'anno 1200. Su di essa il Gattola, alla fine del secolo XVIII, lesse Ia seguente iscrizione:
Hrc
REQVIESCTT DCiM JOH" IMpERTA-f,.
PATRICIVS FILIVS DÓM. DOCIBILIS YPATA.
La
chiesa in quel tempo conservava, ancora integra, la primitiva struttura medioevale, che le avevano dato i duchi gaetani ed i loro successori, eseguendo un'opera composita con blocchi di marmo e sculture romane di ogni genere; le sette navate erano sorrette da una selva di colonne antiche, tutte diverse I'una dall'altra e sormontate, a volta da capitelli corinzi della
piìr bella epoca imperiale, a volta da blocchi di pietra, rozzamente foggiati a modo di capitello romanzo. Possiamo immaginarci che tesoro infinito di preziose iscrizioni e rare sculture era sparso per quelle navate t Ma venne poi Ia ignoranza e stupidità umana nella persona di Sua Serenissima Maestà il borbonico Ferdinando IV, re di Napoli, il quale, per propiziarsi la clemenza divina di cui aveva tanto bisogno, ordinò ai suoi ministri di trasformare I'antico tempio in qualche cosa di
a)
Il
dotto canonico Salvatore Leccese, appasionato rtudioso delle mtichità gaetane, mi ha cortcgcmeate comunicatc le iscrizioni c molte aerì'ig rigu3dilti le costruzioni del secolo X.
che qui riproduco
b)
*i
oMs evr paR hvNc PONTeM TRANSITv
RI eSTIST ORATe PRO Iohs $ hoc opvs PATRA vtT
d< eco loh.
rMpERrAL. pATRr
cIVS eT OOCtStLls ovx \ er y-FI, Fecmvs.
Lib. I, Cap. ll
I DUCHI DI GAETA
l4
di mattoni lindo e moderno, ciò che fu fatto awiluppando le magnifiche colonne con pilastri ad un tempo, spazzando via e distruggendo I'opera secolare de' nostri antichi'
e,
* *d1
Govetno
degli ipati.
Testamcnto
di
Docibile.
ll governo degli ipati e duchi di Gaeta aveva una forma allo stesso tempo despotica e
dando origine patriarcaL. La famiglia, ul prin"ipio del secolo X, si era grandemente moltiplicata dinasúe u ouri rami collaterii di "ui ul"uri acquistarono molta irnportanza, tanto da formare ducato di Fondi e dopochè distinte. Già sotto Docibile ll, il figlio Marino Il fu investito del capostipite del ramo dei duchi di divenne duca di Gaeta, suo figlio Marino III gli successe e fu a quello dei conti di Fondi. Dauferio I diede origù" al ramo dei conti di Traetto, e Gregorio della famiglia rna, al principio Castro Argento. Non porri"*o seguire con certezza il suddividersi di altre località i quali tutti del secolo XI, troviamo anche i conti di Sujo, di lrri e i signori a mano acquistando audiscendevano da un medesimo ceppo. -d" Questi rami andarono a mano dutur" i propri atti dagli anni dei ducati e delle contee tonomia sempre maggiore al punto XII dopo la caduta di questo ultimo, soprawissero sino al secolo separatisi da quello li Gu"tu ", cui si rese padrona la famigiia per finalmente sparire o essere assorbiti nella contea di Fondi, di
bel'Aquila, che poi si estinse in quella dei Caetani' ,, per la mancanza di documenti è difficile formarsi un concetto esatto dell'intimità famiche nel nostro archivio si conservi il gliare di quei tempi; pure una rara fortuna ha voluto una vivida impressione della vita patriartestamento di Docibile II, che ci permette di ricevere cale degli antichi duchi. ") La Il documento è del rnese di maggio 954 e comincia: I In nome del sígnore etc""' Ia affinchè non sopîat)oenga repenlína umdna fragfliù deoe senpre preoedere i casí tepentíni gtazía di Dio duca dt Gaeta' con mente morte. Ed- è percíò che íI sígryror" DocibíIe, per ed otdino che aadano a pto' delsana ed íntelletto ìntegro dtsse: Prima di otgni ,o'o ooglío come dísparrò' I'aníma mía duecento aurei bízantiní da destínarsí dooe e sía libeto voglio ínoltre ed ordino che scherano mio famulo con Ia fi.glíuola Eupraxíola (Jrsolo dí Gaigliano mío famulo sía da ogní giogo di ser0ítù con tutto ìI suo at)ete, e che ogní suo aoere e con tuttÌ i figIí e Iibero da ogní giogo ili seroitît con sua moglie e con a Gregorio mío figlio' eccezíone di Petrulo taro figlio che abbíamo donato Ie figliuole ,u", "o, dando libertà ad altri servi, cavallari, contadini, porcari' pecorari' cuoIn tal rnodo prosegue '1" che porloro famiglie (saranno state cento e piìr persone), permettendo chi etc. con tutte Anastasiola, dona il letto e gli addobbi tassero seco ogni loro avere; alle ancelle Rosula ed il vecchio du-ca a questi schiavi relativi (Iectisternia). Nel testamento si sente I'affetto che legava Sono tutti chiae servitori, i quali da piìr generazioni forse erano venuti a far parte della famiglia' (Jtsulus, Marinulus, Mínciotus, Iohannulus' etc' ed uno di essi è mati con vezzeggiativi "o*" preso per suo I'appellativo della designato Petru|us, quí dicitur de Gaietano, quasi avesse qui dícitur ed il fatto è degno di nota' consorteria ducale. É I'uni"o precisato con le parole Al primogenito Govanni donava il pal"zzo ducale adiacente alla chiesa dei SS' Giovanni dalle e Paolo, presso l'odierna via Chiaromont"; lo donava tutto intero' totum et ínclítum' .) La fatta
Pergamena, scritta in eseguire dopo I'anno l0O0
caratteri longobardi' è una copia da Gregorio (f tOZl)' 6glio di
d'una lite L"one pr-ufetturio e nipote di Docibile ll, in occmione che lo avevano spogliato Traetto' di conti i cugi-ni, con eh"
"blu
di tutti i beni nella campagna. È pubblicata nei Regesfa Charlarun
(Vol. I, p. ào uno
l); il
testodatonel Cod.Cajel' (N'Ul)futrascrltto
d"l sec' XVII, probabilmente tratta dal nostro archivio'
"opi" per cura di Costantino Gaetani e di lezione completamente errata'
[e54]
Gaeta durante
il
l5
ducato
vasche d'acqua sino alle gradinate di marmo che scendevano alla riva del mare, con la cucina presso la detta chiesa, con le grandi aule e le stanze da letto, i corridoi, le cucine, i gallinai, le cantine ed il cortile; lo donava dalle fondamenta sino al sommo tetto. Minuta ne è la descrizione tanto che ci par di vedere quella strana e cornplessa struttura. Non bisogna credere che
un grande edifizio costruito su un piano ben prestabilito e che risaltasse in mezzo agli altri caseggiati; al contrario esso faceva parte di un ammasso molto complesso di
il
palazzo fosse
case, palazzi e chiese, {ormante il quartiere ducale che, prospiciente sulla piazza, si estendeva lungo la riva del mare. Oltre al palazzo del duca, ve n'erano altri appartenenti a lui ed ai parenti e frammiste ad essi, in strana confusione, v'erano alcune case di cittadini privati. Tra un edifizio e I'altro correvano vicoletti tortuosi, ridicolmente angusti, tutti fatti a gradini e scalinate che in buona parte devono esser stati quelli stessi che tuttora sussistono. In essi la Iuce del giorno rimane olfuscata dal grande numero di archetti di muratura che servono .t \'*ì a puntellare le case, perchè molte di esse mal si reggono in piedi. Ad oscurare le vie concorrevano anche i numerosi ponti che congiungevano un'abitazione all'altra. Singolare caratteristica del quartiere era l'abbondanza di colonne e columnelle che, non solo servivano a sostenere gli archi a tutto sesto dei loggiati e l'architrave delle finestre bifore (ef ípse fenestre cum columnello), ma erano anche posti come spigoli quasi ad ogni can-
tone di strada. Persino le anguste e ripide scale interne, costruite quasi a chiocciola intorno ad un pilastro centrale rettangolare, erano ornate ad ogni lato con colonnine mar'
Scala a colonnette del palazzo ducale
di
Gaeta'
moree o di granito. Entro gli edifizi rimanevano angusti cortili ove, mezzo nascoste da qualche arancio o melograno, si apriva la bocca di una cisterna o stava la vasca per lavare i panni. La vicina Formia ed i monumenti romani dei dintorni, specialmente di Minturno, avevano servito da cave: fomivano a buon mercato colonne e blocchi ben squadrati di marmo e per tale motivo questo prezioso materiale, che facilmente si poteva trasportare per via acquea, era usato in abbondanza per gli stipiti delle finestre e delle porte, per le gradinate d'ingresso e per quelle che dai palazzi conducevano sino alla riva del mare. Il quartiere ducale occupava I'estrema punta della penisola che chiude a nord il golfo di Gaeta, in vicinanza della cattedrale di S. Erasmo, e rappresentava buona parte della città, Ia quale era allora molto piccola e tutta concentrata sull'ultimo cocuzzolo roccioso. Una cinta di mura la difendeva dall'altura maggiore retrostante, ove doveva sorgere piir tardi il castello aragonese e di essa facevano parte quelle torri edificate dal patrizio imperiale Qiovanni, delle
quali si è detto prima. Non credo che il piano generale della città e specialmente dei palazzi tìa molto variato dal X secolo ad oggi, perchè già in quel tempo gli edifizi nell'angusta penisola si erano talmente addensati I'uno contro I'altro, che non vi fu piir modo di distrigarli; perciò non potendosi cambiare il corso degli oscuri vicoletti, le costruzioni e ricostruzioni successive si sono eseguite
Quartiere ducale'
I DUCHI DI GAETA
l6
Lib. I,
Cap. II
sulle vecchie fondazioni, ed io sono del parere che molti muri e colonne d'angolo nelle viuzze attuali sono quelli stessi del periodo ducale. Delle soprastrutture poco si può dire perchè mal
si distinguono a causa degli intonachi che ricoprono le pareti. ") Ma torniamo a vedere quanto Docibile disponeva per testamento. Al prirnogenito lasciava inoltre Ia torre del traghetto sul Garigliano, già ricostruita, come si è detto, dal padre Giovanni, patrizio imperiale, e da Docibile stesso sulle rovine di una più antica. Legavagli anche ogni altro bene che suo padre Govanni aveva a lui donato e cioè: poderi, oggetti di oro, d'argento e di rame, panni di seta e di lino, servi, ancelle e bestiame grosso e piccolo. Al figlio secondogenito Marino, duca di Fondi, donava il palazzo comprato dal cognato Guaiferio e dalla sorella Maru nel medesimo quartiere, precisandone con minuziosa cura i confrni dalla colonna posta dinanzi al portico sino alla via dove sorgevano le case della badessa Megalìr e di Gemma, altre sorelle sue, ricordando le 6nestre, le colonne, le cisterne e finanche le pareti di divisione tra i fabbricati. Oltre alla casa acquistata da Megalìr e alle cantine poste presso il mare sotto la chiesa catholíca, gli donava la vigna
che lo stesso Marino, al pari di molti altri membri della famiglia, si era piantata ed aveva coltivata per diletto alle porte di Gaeta, a lato della mola preiso i monumenti, I'antica via selciata e la via Massarina. Ometto i molteplici legati di terre seminative, oliveti, frutteti ed altri fondi sparsi in ogni parte del territorio, i quali dimostrano come gli ipati avevano avuto cura di arrotondare ed estendere la loro proprietà privata con ripetuti acquisti.' I numerosi figli e figliuole del duca già godevano, esso vivente, di tali beni ed erano serviti dagli schiavi sue suppellettili e portavano le sue vesti. Per testamento, Docibile assegnava ad ognuno di essi una casa e, piùr che donare, confermava loro il possesso di quanto sino allora avevano goduto. Alcuni beni, tra cui quelli in Napoli che già furono di
di lui,
!3 GAE-TA.\ Finestre gotiche (sec, XII) del palazzo ducale di Gaeta.
usavano
le
b) venivano Orania, sua moglie, probabilmente sorella di Stefano de' duchi di quella città, lasciati indivisi tra i nove figliuoli maschi e femmine' In tal modo Docibile dispose di ogni suo bene personale e privato; delle altre proprietà di famiglia e di quelle di diritto pubblico, di cui i duchi avevano I'amministrazione e fors'anche il godimento, non si fa cenno, p"r"hè la successione di esse era re(olata dalla legge. Tale fu
a) Non sono d'avviso che le finestre trifore a mattoni con sgoc' ciolatoi di peperino, illustrate in questa pagina e rePutate come parte del palazzo ducale, siano dell'epoca, ma bensì le considero delsec.Xll perchè quasi identiche a quelle esistenti nel campanile della chiesa
di
S. Maria di ltri. Anche la struttura delle cortine è
simile a
quella del vicino campanile di S. Erasmo costruito nel ll80 circa' b) Gli editori del Cod. Caiel.la rePutano 6glia di Marino I
di Napoli e
della senatrice Teodora.
l7
Governo dei duchi
[rec. X]
la volontà del vecchio despota e male doveva venire a chi non la rispettasse; ecco le parole: NeI caso conhaîío in úero, cíò che non sía ed lddio preoengs, che alcuno de' mieí figlt o qualsiasí persona grande o píccola (cioè della nobiltà o di stato libero) . uolesse irusalídare questo mío testamento, sia cacciato e dísgíunto dal regno de' cielí e rímanga scomunícato daí trecento e diecíotto padri e sí segga con Giuda traditore dí Dío e oenga sottoposta aIIa pena di 200 líbre d'oro di curia e, scontata la pena, rímanga fermo ed immutato questo mío testamento che fu scritlo per ordine mío da Martíno, arcidíacono della nostra santa chiesa gaetana, nel mese dì maggío della XII índìzíone. Poi appose Ia firma di sua mano. Il testamento di Docibile ll, scritto nell'anno 954, paragonato a quello dell'avo Docibile I del 906, l) ci fa vedere di quanto era aumentata Ia potenza e la ricchezza della famiglia in mezzo secolo e di quanto si era estesa sul territorio circostante la città. Resosi indipendente dal ducato di Napoli, dopo la morte del patrizio Giovanni, il frglio Docibile abbandonò il titolo di ipata e, in segno della sua indipendenza dalla corte di Costantinopoli, cessò dal datare gli istrumenti con I'anno dell'imperatore regnante, intitolando se
Deí gratia duca di Gaeta; il figlio Giovanni II e i suoi discendenti aggiunsero il titolo di console. il duca era duce e giudice supremo; amministrava giustizia nel suo palazzo, circondato dalla nobiltà maggiore (nobìIíores homine), che in massima parte erano suoi parenti e portavano i titoli di comes, di prefecturí, di uiri magnífici, nobilíssími o clarissímî. 2) Al duca stesso ed a sua moglie spettava l'epiteto di emínentissl'mus o gloríosus. Tali titoli erano soggetti ad una graduatoria ben stabilita.3) La proprietà dei duchi era di due specie: de íure publíco e de íure príoato. La prima ebbe origine dai beni demaniali della corte di Costantinopoli e, allorchè il ducato si distaccò dall'impero, passò al godimento della famiglia stesso
il
Sottopassaggio nel palazzo ducale
regnante, pur rimanendo nettamente distinta da quella privata. I frutti della prima andavano probabilmente nella cassa privata
di Gaeta
(sec. XI ?).
del duca e.servivano d'incremento alla seconda, ed entrambe rimanevano ereditarie da padre in figlio. D ius publicum erano strade, piazze, fiumi, peschiere e proprietà terriere di vario genere, tra cui Ie isole di Palmarola, di Ventotene e probabilmente anche quella di Ponza. La proprietà
privata si venne formando per eredità e per una serie di numerosi acquisti fatti da parenti e da privati e che, includendo case, oliveti, vigne, poderi, ecc., si diffuse gradualmente per tutto il ducato e nei territori limitrofi sino a dare alla famiglia regnante un vero predominio sulla proprietà terriera del distretto. Anche sulle chiese e sui beni ecclesiastici si stendevano i diritti dei duchi. Essi battevano moneta e di questa si hanno molteplici conii ben illustrati da monsignor Salvatore Ferraro nella sua pregevole opera << Le Monete di Gaeta u. a) Verso Ia frne del ducato tali proprietà, divise tra i vari rami della famiglia, di cui si è parlato prima, vennero a formare i patrimoni individuali di essi; ma ne perdiamo presto traccia nel secolo XI, nella oscurità storica che segue da vicino la conquista normanna. t)
Cocl, Caiet,,I, p. 31. Domus,
l,
3,
\
Cî. Caíel. Gcn., Tsv. XXXVL
î)
Cf, Metotes, p. 88.
a) Cf. illurtrazionc a pae.3.
Patrimonio ducale.
I DUCHI DI GAETA
t8
Lib.
l,
Cap' II.
** Fine del ducato
dei Caetani.
La potenza della famiglia .. Gaetana > giunse al suo apice nella seconda metà del secolo X, quando fu coinvolta nelle vicende dei tre Ottoni, imperatori romano-germanici, ed è a questo periodo che si vuole connettere I'emigrazione di un ramo della famiglia da Gaeta a Pisa, par" piìr probabile che esso originasse dopo la caduta dell'antico ducato gaetano' quantunquet) V"rro il principio del 1009 rnoriva Giovanni lll, duca e console di Gaeta e di Fondi, ed a lui successe il figlio Giovanni lV, un giovane defrciente, che fu duca per tre anni sotto la tutela della madre, la senatrice Emilia, e morì nell'aprile-settembre del 1012. Suo figliuolo, probabilmente postumo, Giovarrni V, governò sotto la tutela deli'ava, donna di straordinario ing"gno . Íorru di carattere: è la unica figura di quei tempi, di cui siamo in grado di formarci e un concetto relativamente chiaro ed esatio. Ella governò per trenta anni, in tempi difficili vescovo di tempestosi, appoggiandosi ove meglio potè e in special modo sul cognato Bernardo, propizio il gr""o eremita S. Nilo, che ella visitò nell'umile rifugio sulla Gu"tu; ,i t"*" "n"h" u Montagna Spaccata ", ir"rro la città, là dove I'estremo fianco roccioso di Monte Orlando' dalla cima al fondo scendendo a picco uul M"r Tirreno, è aperto da uno sguarcio trasversale in cui muggono le onde spumeggianri del golfo. Per quul"h" tempo la tutela della pubblica 'umministrazione le fu contestata dal figlio Leone II, che si associò quale duca al nipote Ma nel 1025 Giovanni V (f Ot 5-1}25),forzando lu propriu madre a disinteressarsi del governo' la duchessa e senatrice Emilia riprese le r"dini del ducato a tutela del nipote sino alla fine del 1032, quando Pandolfo IV, principe di Capua, con I'aiuto dei normanni, s'impadronì gaetana in dell'indeboliio ducato di Gaeta e ne discacciò gli ultimi rappresentanti della stirpe di questa dinastia circostanze rese più tragiche dal mistero e dall'oscurità che circonda il tramonto di Gaeta' che, come dice il F"d"l", segnò il periodo piir glorioso e piìr prospero della storia
r) Cf. pag. 6.
Caprror-o III.
LA FAMIGLIA - DI GAETA " ED I GAETANI DI NAPOLI. (967- sec.
xlv)
a partire dal secolo XI, prese il nome di " D Gaeta ' e che, a mio awiso, si dovrebbe considerare come una delle diramazioni della consorteria gaetana. Su di essa il De Lellis ha raccolto molte notizie, di cui dò un breve sunto. Un primo cenno della famiglia si trova nella persona di un tale Aligerno, figlio di un domínus Leone Di Gaeta ,,, a cui "
stsrE- una famiglia che,
il
compare Adenolfo, conte di Teano, frglio di Adenolfo, nel^ marzo del 1060 ") dona Ia parte a lui spettante del molino di S. Gorgio in territorio di Gaeta.
Gaeta..,"rJ"t"lî?"10';,,';,L"Jî,iul',,K"ff;ru1"3;, Di Gaeta, insieme a Maralda sua sorella, moglie di Pietro di e ad altri nobili della citdà di Gaeta vende un feudo posto vicino a Piedimonte
stemma dei <
Transo, Casal di
ff;:";*;;
Di
Sessa.
2)
ll De Lellis non precisa se nei documenti
questi personaggi siano designati con I'appellativo Caíetanus, o con la denominazione de Gaieta o Gaietae, ma li annovera come sicuramente appartenenti alla famiglia Di Gaeta, della quale abbiamo notizie certe a partire dal principio del secolo XIV quando si era stabilita in Napoli. 3) Aggiunge informazioni di cui, a titolo di esempio, riporto qui solo brevi cenni concementi personaggi della prima metà del secolo XIV. l30l Pietro, awocato dei poveri. 1306 Guido, feudatario in Traetto. l3l0 Vitale, la cui tomba era in S. Pietro di Napoli. l3l3 Giovanni, giudice in Napoli. 1322 Matteo, signore feudale. 1330 Pietro, vescovo di Valva. l33l Flora, con tomba in S. Giorgio in Napoli. a) Terzo anno del principato di l,andolfoprincipe diCapua, XIll'indizione; istrumcatonell'archiviodelmonasterodiS.Caterina cistercense
r)
di
Gaeta (cit. De
Rcgiruo
di S.
I*IIís, p.
Pietro a Cartcllo, cit.
431).
Dc LeIIts,
ivi.
')
Arc.
deeli qedi
di Giov. di Tranro,
cfr..
Dc LeIIis,
iri'.
I
Ioî
p. 430-443.
LA FAMIGLIA " DI GAETA U ED I GAETANI DI
NAPOLI
Lib. I, Cap. III.
1333 Crilrnto, cavaliere e ambasciatore. 1336 Giannetto, valletto della Real Casa. 1337 Giovanni, possidente. 1338 Lorenzo, cameriere maggiore. 1339 Fietro, dell'ordine de' minori di S. Francesco. 1340 Cristoforo, rettore di S. Martino d' Ocra. 1346 Andrea, scutifero del re. I Di Gaeta avevano una cappella in S. Francesco del Monte in Gaeta, dove il De Lellis vide scolpito in pietra lo stemma della famiglia, identico a quello dei Gaetani di Pisa e a quello della città di Gaeta, ma alla banda d'azzurro caricata di tre stelle d'oro. Nella cappella di S. Agatio (o di S. Maria del Rosario) della chiesa di S. Pietro Martire in Napoli si legge in una antichissima lapide: HIC IACET VITALIS DE CAIETA, QVI OBIJT ANNO DOMINI MCCCX. EIVSQVE ANIMA PER MISERICORDIAM DEI REQVIESCAT IN PACE.
nella chiesa di S. Giorgio Maggiore stemma gentilizio ed attorno si legge:
e
è il
sepolcro marmoreo dove
è scolpito
il
suddetto
HIC IACET DOMINA FLORA DE CAIETA DE NEAPOLI, QVAE OBIJT ANNO DOMINI MCCCXXXI. DrE PENVLTIMO MENSIS MAU 14 INDICT. a)
famiglia continuò a fiorire, prospera ed onorata, sino al XVII secolo. Altro non aggiungo perchè non ho voluto addentrarmi in accurate ricerche nè sul conto dei Di Gaeta, nè sui Gaetani di Napoli, i quali possono forse vantare una comune origine con la nostra ,famiglia, ma non ebbero mai in seguito con essa alcun legame di parentela o qualsiasi relazione nel corso degli awenimenti storici. Il De Lellis, il Cjacconio ed alcuni altri vogliono che Govanni Gaíetanús o .. da Gaeta ", che fu poi Gelasio II, discendesse da questo ramo; ma tale opinione non è che una vaga congettura, come meglio si dirà nel capitolo seguente.
La
rs
** r di
Gaetani
Anche i Gas,raNl DI NApoLI probabilmente si debbono riconnettere alla famiglia dei duchi Napoli' di Gaeta. Ho già accennato che tra questi e i duchi di Napoli esistevano in origine stretti legami politici ed amministrativi, e non è da escludersi I'ipotesi che le due famiglie regnanti originassero da un medesimo ceppo. Rimane certo che tali legami, rinsaldati da molteplici vincoli di parentela, si mantennero vivi anche dopo la caduta del ducato gaetano. È quindi perfettamente possibile che alcuni membri della famiglia Caetani prendessero dimora in Napoli durante il secolo X ed è anche probabile che altri vi si rifugiassero dopo che Pandolfo IV di Capua li ebbe discacciati da Gaeta. Ricorderò che Pandolfo tornato dalla prigionia di Germania, con I'aiuto dell'imperatore Enrico III, riebbe il principato di Capua;
I
[ccc. XI-XII]
Gaetani
di
Napoli
zl
per vendicarsi dell'aiuto dato al suo avversario dal duca Sergio IV di Napoli, mosse quindi contro di lui e Io scacciò dalla sua città. Sergio si rifugiò presso i duchi di Gaeta, suoi parenti, venne da loro ospitato e finalmente verso Ia fine del 1029, con I'aiuto delle loro navi e delle milizie nornanne, potè riconquistare la propria capitale. Sergio in compenso di tale aiuto aveva l) Promesso speciali privilegi ai cittadini di Gaeta. Pandolfo serbò rancore ai Caetani e, come fu ricordato prima, tra I'agosto del1032 ed il gennaio del 1033, mosse contro Gaeta e se ne impadronì, scacciandone per 'sempre il duca Govanni V e Ia duchessa Emilia, ava di lui. È quindi da supporre che i fuggiaschi cercassero, a loro volta, ospitalità e protezione presso Sergio e che in Napoli prendessero fissa dimora. A prova di tutto ciò, nell'anno 955, troviamo in Napoli un Alígernum Kaíetanum, frglio di Leone prefetturio, 2) che probabilmente è identico a Leone prefetturio figlio di Docibile I. 3) Aligerno non appare mai nelle carte di Gaeta, ed è quindi da supporre, come anche ritengono i compilatori del Codex Caietanus, che egli prendesse dimora fissa in Napoli. Constatiamo inoltre che il nome della famiglia ricorre sovente nelle carte di Napoli dopo Ia venuta di Aligerno in questa città e specialmente dopo che Ia famiglia ducale fu cacciata da Gaeta. Non volendo addentrarmi nella genealogia e nella storia di questa famiglia, mi limito a riportare qui appresso varie notizie tratte da antichi documenti: 967-1024. ... nos Sergrus ... consul et dux (Neapolis) concedímus ... tíbi Perro Gaietano cuí nomen a Ricco 1îlro (lacuna) dispnsatbr bonorum pro ... fidelí serbitío que(sic) mihl fecístí, id est integram domum ... posítam a íunctura etc .... 4) l0t3 decembre l0 Un tale Giovanni vende et tradit d. Anne nunc monache filía
qd. Johannis Gaetani- relícte qd. Gregorí Millusí, postmodum oero monacÀi alcune terre in Napoli. 5) 1076 novembre 15. ._ È pr"r"nte ad un atto testamentario un Johannes Gaytanus. ó) Dai vari documenti del Capasso e da un altro citato dal De Lellis si trae il seguente albero genealogico:
Marino (1093) f ll03 ant. di Gregorio ,r
minorenne
il03
ant.
't
Gio vanni n. ll20 c.;
?r;il f
L
imp i ade
nel ll32
m.
Giovanni Cacapece
1093 novembre 3. Quercre Petrum prubgterum cusitus oerc ecclesíe S. Petri ín ...Tertíumetipsecumooluntate d. Ademarí etc. ... et de domíno Urso Gaetano filio quidem d. Marini Gaietani et qd. Drosu h. f. que fuft rtIia d. Gregoríi de d. Anthímo iugalíum peîsonatum, sef ípse d. Urso Gaet ano cum ooluntate ípsíus d. Gregorii de domíno Anthimo thií suí, hoc est thío et nepote, domíníí de memorcta ecclesia; D e nel N. 583 del ll03 aprile ll si trova a. d. U rsone cognomento Gaietano f ilio qd. Marini Gaietani ef qd. Drose, que fuit fiIta qd. Gregotíi de domínò Anthimo íugalium. Il De Lellis,s) 1) Cod. Cajet.,
ll, 2,p.97.
z) Ioí, l, p. 99. l, p. 306. 6) Capouo,n-|, N.351,R. N. A.M. T.,
1 Cf. Caíet. Gcn., Tay. XXXV. 6)Iot,ll-2, Nl 523, lV, p. ó5.
a) Catarto di S. Pictro a Castello 7)
Ioi. ll-1, N.
558.
in Copasro, r) p. 180.
LA FAMICLIA " DI CAETA " ED I GAETANI DI
NAPOLI
Lib. I, Cap. Ill.
potuto rintracciare, riferisce citando altro documento dell'archivio di s. Gorgio, che non ho mentooato Orco Caenell'anno 1l3Z: Límpíade e Giooanni cognomínati Caetani, figliuoli del a quei tempí, saloo che a tano, e df Sfca ,oniugí, chiamati Sígnori, titolo non solito darsí dí Gíooanní Cacapece marito dí Limpíade' e persone di gran ,ongJ",, e potenza, ,oI "orr"nro de' píìt nobtlt del seggio di Címbto della con liautonfà (di mundualdo) Gío. essendo ^rnor"i regíon Furcellense sono amtnessi a poter conbahete' ll2t maggio 13. - Da una donazione di Sergio, duca di Napoli, apPare che Orso di un appezzamento di Gaíetano, Pietro Caraggulo e Giovanni Guínilaeio si erano impossessati t) terreno nella località detta Licíniana. qd' (lacuna) 1123 aprile 9. -- Un tale Gregorio qui nominatur Gaitano fiIíum 2) e probabilmente lo stesso ricorre in un àltro istrumento del 30 magagisce du * ubbo"atore >>, 3) Era gio 1128, in cui viene detto parimenti d. Gregorius qui nominatur Gaetanus' costui marito di d. Sicelgarda filia d. Cesaríi Gossi' Ben' qui 1138 maggio 24. ) Purpura h.f.fi/io (sic) quidam d. lohannis Longobardi Moneca, iugalium relicta quídam d' nomínatur Mon. tropualilu et quedam d, Teoilote de Gregorii qui nominatur Gaytani ofert et tradit etc. ....4) 5) quattro ll21-llqg. -_ Nei registri dell'antica badia di S. Matteo de Castello si trovano della suddetta badia' atti di vendita a favore di domni Petri Gaytani' monaco getmanis ll50 giugno 25. - Riccardo cognomento Gaytano et Gregorio uterini sí'mul óuyt"no e altri insimul patentes et consortes fiIíís quonilam íilem domni Gregorii Napoli, plesso il sedile di Forcella' donano domgngis de integrum monasterio di S. Gregorio di d"tto *onustero a favore di quello della ss. Trinità di cava.6) di S' Sebastiano' 7) 1160-?. I Gaetani tenevano in feudo certe terre del monastero posta in Matina " Iohannes Caitanus olím cíoitatís Napolli dona una terra I20l giugno, - fu forse falsato, perchè appare scritto su rasura. 8) ll nome Napolli,r. vieppiùr frequente' Ai Col principio del secolo XIII il nome dei òaetani di Napoli si fa Gaetani, frgliuoli di Govanni tempi di Federico II abbiamo i fratelli Bartolomeo e Tommaso suddiacono della chiesa napoletana' Gaetani e Agresta, che donano alcuni beni a Gregorio, cesario, Marino, Ligorio, Petrona, Filippo' cognominato cacapece; e nel 1265 si riscontrano cavalieri e feudatari napoletani che Giovanni, Matteo, Giacomo e suoi fratelli nell'elenco dei e) prestarono obbedienza a Carlo I d'Angiò' Non mi tratterrò a parlare di costoro e de' loro discendenti. Napoli furono tenuti in molto onore Aggiungo solo che id ,""olo XIII in poi i Gaetani di XIV furono eclissati dallo splendore dei dalra corte angioina, sinchè verso la fin. i"l secolo si imparentarono con la stessa real casa Gaetani conti di Fondi che, saliti a massima potenza, aragonese. a) Iui' N. 677' 9) 1oi, N. 639. lt.l, N. 627. t) Gael MS"ll' e' 23lh' coPia d'ittrum' 8' N' H' Am' 5) Ediz. Monteos.i.o, pp. 72-91. 8)Regeato,l,p'27,e1DeLeIL,p'180'lEl;Cf'CsietGen"p'38'40;Arc'Gqet'Ar"cod'1308'c'185'
r) Arch. S. Marcellino, copia '- in Gael' MS., |1, c. 231b. 6)
\
Copasso,
Arc. Bailía Ttin. dí Cou ìle' Títeni:
Caprrolo IV.
GELASIO II. (r060-r r r9)
a
tradizione che lohannes Caíetanus o, come alcuni vogliono leggere u Giovanni da Gaeta >), creato papa con il nome di Gelasio II, appartenga alla famiglia Caetani, è stata concordemente accettata dalla maggior parte degli scrittori de' secoli XVI, XVII e XVIII, ma è negata da alcuni storici contemporanei.
Non ripeterò qui gli argomenti e la documentazione prò e contro tale questione, avendoli già esposti nella prefazione alla Caíetanoîum Genealogía. Mi limiterò qui a riassumerla in poche parole e a dare un breve cenno delle vicende dell'infelice pontefice, ponendo specialmente in luce la sua vita famigliare ed i legami della sua parentela. Pandolfo Pisano, suo fedele compagno di sventure e suo Antenati Stemma (di Gelasio II ì) nei sotterranei e parentele' di S. Grisogono in Roma' storiografo, ") lo dice nato da nobilissima stirpe (a nobiltbus iuxta saeculi dígnítatem parentibus felíciter educatus), Secondo le vite pontifrcali, attribuite al cardinale Bosone (t I l7S), fu egli figlio di Crescenzio e, nativo della Terra di l.avoro, ebbe per patria Gaeta. Negli Annales Romani, manoscritto vaticano l) è detto Gelasíus natione Gaiete ex patre lohanne coníulodella. fine del secolo XII, Il Duchesne ed altri vorrebbero correggere la lezione in lohanne consulo, ma il Fedele ritiene che Giovanni appartenesse alla famiglia Coniulo di Gaeta. Voglio solo. far osservare che nulla giustifica la lezione degli Annales, perchè Giovanni ai suoi tempi fu universalmente chiamato lohannes Gaietanus, come ho documentato nella sopraccitata prefazione. La tradizione che appartenesse alla famiglia Caetani si può far risalire sino al secolo XV, come mi sembra possa dedursi dalle pergamene che costituiscono il .. fondo pisano ,, del nostro arcHvio, di cui mi occuperò appresso' e non è già, come vorrebbero alcuni, uno dei tanti prodotti di quella fioritura di studi genealogici più o meno fantastici per i quali si distingue il principio del secolo XVII. .) Sanclfs. D. N. Gelasií Papae II ... a Panilulpho Pìsano eíus familÍart conscrípta etc., edita e commentata da Costantino Gaetani, Roma, ló38. Edizione volgare: Roma, 1802.
r\
BìbI. Vat., Cod. u. 1984, c,
196.
CELASIO II.
Lib. I, Cap. IV.
Se teniamo presente che Pandolfo Pisano lo dice iam adolescens nel 1088, Giovanni Non erano quindi trascorsi trent'anni da quando la famiglia Caetani aveva perduto il dominio di Gaeta e vari rami collaterali della famiglia ducale in quel tempo fiorivano ancora in Fondi e nelle altre castella di Terra di l.avoro. Non abbiamo elementi per precisare chi fosse suo padre Crescenzio; potrebbe essere quel domnus Criscencius ducibus fundanis che appare nel memoratoúum del 1049 presentato da Ederado, conte di Traetto, in una controversia con vari membri e consanguinei della famiglia Caetani, t) oppure quel Crescentius filius quondarn domnÍ Crescentíí Prefecturíi menzionato in una carta di poco posteriore i 2) anzi non è improbabile che i due personaggi siano identici. L'abate Costantino Gaetani opina che Giovanni fosse figlio di un Crescenzio Gaetani di Pisa il quale, recatosi in Ispagna, sposò ivi Alberta di Alvaro Didaco ; 3) ma le notizie genealogiche dell'immaginoso prelato a volte sono poco attendibili. Il De Lellis ed altri lo vogliono considerare membro della famiglia nacque probabilmente verso I'anno 1060.
" Di
Educazione
di
Giovanni.
Gaeta u. Per zio materno (aounculus) ebbe quel Giovanni a cui, in giovane età, dedicò un compendio della vita e del martirio di S. Erasmo e per nipote ebbe Crescentius Gaíetanus, a cui Pandolfo Pisano dà il titolo di g/oríosus, che per eccellenza spettava ai membri delle famiglie ducali di Gaeta e di Napoli e di cui certamente non fu mai insignito alcun membro della famiglia Coniulo, che appare priva di titoli e di modesta condizione. Venne educato con amorosa cura dai genitori ed in special modo dallo zio Giovanni a cui serbò sincera gratitudine; quantunque fosse di natura gracile, tuttavia si distinse presto per intelligenza e per memoria tra i coetanei, tanto che Oderisio, poi abate di Montecassino, invitò il giovane ad entrare nel monastero, a cui la famiglia ducale di Gaeta era legata da trinte amichevoli tradizioni antiche. Suppongo che ciò ayvenne tra il 1070 e il 1080. Pandolfo lo afferma con le parole : Hic a beatae recordatíonís Domno Oderísio Abbate Casinensi Petitus, mentre Pietro Diacono 4) asserisce che sia stato I'abate Desiderio ad indurre il giovane ad entrare nell'ordine benedettino: ") cosa piìr probabile, perchè Oderisio diventò abate solo nel 1087, dopo la elevazione di Desiderio al papato, e quindi poco tempo prima che Govanni venisse creato cardinale.
Il
giovinetto si perfezionò nelle arti, nelle scienze e nelle dottrine dell'ordine sotto la guida del filosofo Alberico e specialmente sotto quella dello stesso abate Desiderio; sollecitato ripetutamente dallo zio Giovanni, si accinse a scrivere la Passio Sancti Herasmi, che ora conservasi tra i codici cassinesi del sec. XI, nei manoscritti N. l0l. HH. e 196. II. Di questo scritto si occupa ampiamente il Ferraro nella sua Colonna del Cereo Pasquale di Gaeta (p. 3l -39) e nelle sue Memorie relígíose e cíoili della cíttà di Gaeta (pt. 13-37); ne dà una lezione più
corretta di quella pubblicata dall'abate Costantino Gaetani in appendice ai suoi commenti sulla vita di Gelasio II. Nella Passío il giovane monaco dà prova di quella eleganza di stile che, non molti anni piir tardi, doveva meritargli l'alta posizione che si acquistò nella cancelleria pontificia. Mentre Govanni trascorreva gli anni giovanili, dedicandosi agli studi nella quiete del monastero di Montecassino, I'ltalia tutta era agitata dai contrasti tra il papato e I'impero per la supremazia dell'uno sull'altro e per la riforma della Chiesa. Gravissima era la corruzione di questa. Nelle contese tra i Crescenzi, i conti di Tusculo e le altre potenti famiglie di Roma, uomini indegni venivano insediati con usurpazione e violenza sul trono pontifrcio. .)
GclasÍus
.., paflulus ín Caslno sub
t) Coi!. Cojet., l, p. 369. Arch. Cuíncnsis, Cap. 44.
\
Iot,
Desíilerío Abbate,
ll, p. 94.
B. Benedícto ) Cf.
oblatus...
Coíet. Gen., Tav.
XlV, LVIIL
t) Libet ìlc Vtit liluttîibut'
Gioventir
lro60-ro88]
di Giovanni Gaetano
25
Teofilatto, figlio di Alberico di Tusculo, fu eletto papa nel 1033, in età di poco piìr di 12 anni; prese il nome di Benedetto IX. Nulla curandosi di doveri spirituali, si abbandonò a vita libertina ; nel 1045 vendeva il sommo ufficio a Giovanni Graziano, che prese il norne di Gregorio VI. Papi ed antipapi, disputandosi la tiara come fossero piccoli sovrani secolari, trascinavano la cattedra di S. Pietro alla rovina, distruggendone sempre piìr la dignità ed il
Condizioni
del papato nel secolo Xl.
prestigio.
Era invalso I'uso che gli imperatori con turpe mercato concedessero I'investitura delle cariche ecclesiastiche ai maggiori offerenti, ingerendosi persino nelle disordinate elezioni dei pontefici púncípatus ín electíone, ossia la designazione del candidato alla tiara. con I'avocare a loro
il
le somme chiavi furono affidate a lldebrando da Soana, uomo di mente elevata e di animo invitto, di costumi austeri e di dottrina profonda. Aveva avuto massima infuenza nelle questioni della Chiesa durante i pontifrcati degli otto suoi predecessori. Salì sul trono pontificio nel 1073, assumendo il nome di Gregorio VII, e fu considerato dai posteri una delle piìr grandi figure del medio evo. Con lui divampò il conffitto aperto tra i due poteri supremi. Riconfermò subito i canoni contro la simonia, contro il matrimonio dei preti e vietò che qualsiasi ecclesiastico potesse ricevere investiture da laici. Tale disposizione feriva direttamente I'imperatore; Enrico IV con presunzione dichiarò il papa deposto e Gregorio VII, di rimando, gli scagliò contro Ia scomunica, pena usata sino allora assai di rado. Con la forza delle arrni spirituali umiliò I'imperatore e Io costrinse a chiedergli perdono nel castello di Canossa, ove per tre giorni rimase in abito da penitente, inginocchiato nella neve, tra la seconda e Ia terza cinta Finalmente
delle mura. A Gregorio successe (10S6) Desiderio, abate di Montecassino, l'amico e protettore del nostro Govanni Gaetano, e salì al trono pontifrcio assumendo il nome di Vittore lll. Pandolfo Pisano nella vita di Gelasio II non fa menzione di Vittore lll, ma mi par certo che questi, anzichè il successore Urbano'll, chiamasse presso di sè Giovanni, di cui aveva curato l'educazione monastica sino allora, e conferisse a lui giovanissimo (iam adolescens) la carica di cancelliere di Santa Chiesa. Grande era la loro familiarità e lo stesso Giovanni nel proemio alla vita di S. Erasmo esclama: Imperocchè dopo Dio, ed iI piíssímo e Íeùeîendíssímo abate nostro Desíderio, a ooí solo (Giovanni suo zio) ío debbo quel tanto che ho conseguíto neglî studí e nelle lettere. Comunque il pontifrcato di Vittore III fu di breve durata e, dopo sei mesi di sede vacante, venne eletto papa, in Terracina (12 marzo 1088), Ottone, cardinale di Ostia, che assunse il nome di Urbano II. 'e lo condusse seco a Roma Gov. Gaer. Non tardò egli a richiarnare presso di sè Giovanni Gaetano quando, nel novembre di quell'anno, vi entrò appoggiato dalle armi normanne. Sanguinosi com- caacellicre' battimenti funestarono le strade di Roma, ma, per quanto si adoperasse, urbano non potè prevalere con le armi sull'antipapa Clemente III e dovette contentarsi a vivere miseramente nell'lsola Tiberina, sotto la protezione del potente Pietro di Leone (Pierleoni), in compagnia del nostro'Govanni ed in tanta povertà che per il vitto dipendeva dalle elemosine delle matrone romane ed a volte da quelle delle povere donnicciuole (muliercularum pauperum). Il papa confermò Giovanni nella carica di cancelliere e, non ostante la sua giovanissima età, per la sua esperimentata sagge/za e prudenza lo ceò diacono cardinale (1088), acciocchè, dice Pandollo, per quella eloquenza di cui era stato dal Sígnore dotato, Giooanní, con l'ispírazione dello Spírìto Santo e con I'aíuto díoino pofesse ipristínarc Ia forma dell'antico stile arguto ed elegante, gíà quasi itrel tutto trascurata nella sede apostolíca, e potesse ridurre con .
Donus,
l,
4.
GELASIO I I.
Lib. I, Cap. IV.
il
coîso leoníno'). In ciò Giovanni compì opera notevolissima. Verso la metà stile secolo lo letterario della cancelleria pontificia era giunto ad un alto grado di perfezione e per quasi due secoli si mantenne tale: Ie bolle erano redatte in una prosa resa piìr elegante ed armoniosa da un marcato ritmo che I'awicinava in certo rnodo alla poesia; ma col soprawenire del
Iucida rapìdità del V
Pontificato
di Urbano II.
periodo barbaro, lo stile cancelleresco ben presto degenerò sinchè per merito di Giovanni Gaetano fu ricondotto all'antica nobilissima forma a cui allude Pandolfo Pisano. b) Urbano II continuò la lotta contro le investiture e molto stentò a mantenersi in Roma contro I'antipapa Clemente III. A lui successe nel 1099 Pasquale II il quale, benchè alle prese con quattro antipapi, riuscì finalmente ad affermarsi come unico capo della Chiesa. Ma nel lll0 Enrico V, venuto a Roma per farsi incoronare, riaccese il conflitto per I'investiture. Data la ostilità del clero, non esitò ad imprigionare il papa e vari cardinali obbligandoli, sotto minaccia di morte, a piegarsi alla sua volontà. Tra questi fu pure il cardinale Giovanni Gaetano il quale, con i ceppi ai piedi, pazientemente condivise le umiliazioni e le sofferenze del suo signore. Nel lll5 moriva Ia contessa Matilde, lasciando il suo patrimonio alla Chiesa; I'imperatore calb immediatamente in ltalia per impossessarsi dei beni di lei e, venuto a Roma, costrinse il papa e Ia curia alla fuga; poi si fece pubblicamente incoronare imperatore da Burdino, arcivescovo di Braga. Pasquale, appoggiato dai normanni e da una parte della nobiltà capitanata da Pietro di Leone, ritornò nella Città Eterna ove poco dopo, la notte del 2l gennaio lll8, moriva . senza aver potuto prosternarsi per I'ultima volta davanti alla tomba di S. Pietro che era tenuta
dai
nemici.
indivisibile compagno del suo signore in tante dolorose vicende, condividendone le privazioni, il carcere e le sofferenze morali, e, come dice Pandolfo, perseoerò a sostenerlo con anímo carítateoole nelle ínfiníte aooersità e, durante tutto iI pontíficato, oera' mente fu per lui íI bastane della oecchiaía. Lo "consigliò nella scelta dei nuovi cardinali e tra questi Pandolfo, loro contemporaneo, menziona Gregoríum Gaíetanum; i registri della Chiesa ed i vari autori ricordano due cardinali di questo nome, uno di Anagni (o Subiaco ?) ed uno di Pisa. Per la omonimia anche di altri cardinali dell'epoca, titolari delle diverse chiese di Roma, i dati cronologici dei due suddetti Gregori risultano incerti. ") Degno di nota è il fatto che in questi tempi vi fosse alla corte pontificia anche un altro Iohannes Gagtani che è da supporsi parente di Gelasio II. Nana Giovanni Longo (sec. XIV), autore della cronaca di San Bertino e che ebbe a sua disposizione I'archivio dell'omonimo
Govanni Gaetano
o)
La
rglhmée.
ptose
d'un grcnìl
En il'autrcs termes,
fu
de tulles ponlíficales
esl
eIIe t:íen! frapper I'oreíIles, à
de
nomhre
ceilaÍns ínlero.alles, pat Ie rctour de sgllabes accentuées, de sons foil, don! Ia place el le nombre sonl ilétermínés. Così Noél
c)
Valois nel suo studio sul ritmo nelle bolle pontificie. (Bíbl. Ec. des Chartes, XLII, an. 1881, p' 16l). b) Cfr. Duchesne, Iql, L, an. 1889, p. 16l : 1L Bruslau: Handbuch d. UrL. ftir Deutsch. & It., p. 364).
Gregorio Gaetani
Gregorio Gaetani (di Marino IVr?)
di
(di Gherardo)
di
Anagni
Pisa.
Scrittore ponti6cio e cappellano; monaco benedettino (Zcpp')
Legato a
Abate di S. Paolo in Roma (ZIPP.) Cardiaale ml titolo di S. Lucia in Septisotio (1O99' Mou
Cardinale col tilolo dei SS. Apostoli (1106?)
1103, De Mag Am.; lll2' ZaPP') Interviene al concilio di Guastalla (1106 ott.) Sottbscrive una bolla del t 106 con le iniziali G'
Intervieae
Beneveato
al concilio di Guastalla (l 106 ott.)
G. (Card')
tnterviene al concilio del Laterano (del 1116) Legato in Gallia con il card' Pietro Pierleoni Muore ai prini di luglio (l I 18 ant., Cad.; ll24'll30' Moti 1128, De Mag., ZaPP.) Ebbe per stemma una croce (?)
lnterviene al concilio
di Veroli (Canl. l, p, 214)
Muore I l3l (Carl.
e
UgheIIí).
Giovanni Gaetano alla corte pontificia
[1099-11r8:l
27
tra I'anno ll12 e lll5, nacque acerbissima discordia tra Ponzio abate di Cluny e Lamberto abate di S. Bertino per la supremazia dell'un monastero sull'altro. Le difterenze furono dibattute a Roma davanti papa Pasquale II; e narra il cronista che negli ultimi due anni del pontificato di questo papa, o durante quello brevissimo di Gelasio ll, ... dumque semel ín pape palacío Poncius de nobís (Monasterii S. Bertini) tractans cum lohanne Gaytani (sic) in quodam cenaculo nooo resideret cum suis, suór7o cenaculum corruit cum eis quí íntus erant; ubí Iohannes Gaytani (sic) sfcfim mortuus est, Poncíus crus suum fregit, et ceteri oíx et)aserunt; quod plerique beato Bertina pro rniraculo ascribunf. l) Venivano quindi a trovarsi allora nella curia romana du e lohannes Gaíe\ani, cioè il cardinale (poi papa) ed un omonimo, che si giudicherebbe essere stato un dignitario di corte, e non è improbabile che quest'ultimo fosse un fratello di Gescenzio o qualche altro parente di Gelasio II. Riscontriamo quindi che verso l'anno I I l8 si trovano alla corte pontifrcia quattro membri della famiglia Gaetani. Del resto non sono questi i soli personaggi eminenti di essa che appaiono nella curia, durante il secolo XII; altri cinque vennero insigniti della dignità cardinalizia e cioè: Villano Gaetani, creato cardinalè nel ll44 e morto nel ll7,{; Gherardo Gaetani, creato nel l146 e morto nel ll54; Pietro Gaetani, creato nel l165 e morto verso il ll88; Goffredo Gaetani, creato cardinale dal suo parente Lucio III nel I 182 e morto nel l2l l, tutti e quattro di Pisa, nonchè Aldobrandino Caetani, patrizio romano, creato nel ll98 e morto verco il 1223. Da quanto sopra si vede che, nel secolo XII, quasi sempre vissero nella curia ad un tempo due cardinali di casa Caetani; e ciò deve essere preso come un indizio che, dopo Ia caduta del ducato di Gaeta, i vari rami della famiglia godettero di un alto prestigio, derivante dalla nobiltà del loro lignaggio. Sarebbe strano in vero che tanto onore fosse stato tributato ad una' monastero che,
famiglia di non illustre prosapia. Torniamo ora a Giovanni Gaetano. Insignito del titolo di S. Maria in Cosmedin arrícchì Ia chíesa di preziosí doní di oro e di argento, dí codíèí, dí parcmentí, dí case innumereùoli, di fondi, di casalì e sopratutto Ia ínnalzò soora ogní altra per gIí oggetti sauí, in quanto a Roma è possíbile. Una lapide murata nell'abside ricorda che egli donò alla chiesa molte reliquie di santi le quali furono riposte in un altare dell'abside, che venne consacrato il 6 maggio 1123.2) Alla morte di Pasquale II, Giovanni si trovava nel monastero di Montecassino, ove spesso dimorava ed a cui si sentiva legato da profondi sentimenti di venerazione e di affetto. Ivi gli era dato di poter godere di quella quiete fisica e spirituale che era negata a chi, in quei tempi agitati, viveva nella corte pontificia. [Jn messo spedito da Roma gli portò ad un tempo I'annunzio della morte di Pasquale II e la convocazione del conclave. Giovanni rimase profondamente addolorato d'esser stato privato di tanto padre ma, come figlíuolo dell'obbedíenza, sah subito sulla mula e, senza attardarsi per istrada, si recò a Roma. . Qui convenivano intanto i cardinali da ogni parte d'ltalia, preoccupati dell'atteggiamento che i due partiti della nobiltà e del popolo avrebbero preso riguardo all'elezione del nuovo pontefrce, la cui scelta doveva necessariamente riportare in giuoco Ia questione delle investiture. Il conclave si riunì nel monastero di S. Sebastiano al Palatino, detto <. il Palladio >, presso I'arco di Tito ed ora chiamato .. alla Polveriera ,. Era riputato asilo sicurissimo, essendo proprietà della curia e situato in luogo forte. Da un lato, in vero, confinava con il quartiere dei potenti Pierleoni, fautori del papato, ma dall'altro con quello degli accaniti e violenti sostenitori del partito imperiale, i Frangipani, Ie cui case e torri merlate occupavano parte del Palatiúo, del Foro e ') Mon, Ger Hrrr.
SS.
XXV, p.
790.
2)
Ct. Fotcella, lV, p. 305.
I
erdinali Gaetaai
del XII secolo.
Ub. I, Cap. lV.
CELASIO II. si stendevano sino al Colosseo. Forse per acquietarli
fu dato ad intendere a questi che la designaztone
del pontefice sarebbe stata fatta a piacimento dell'imperatore. Elezione Dopo non lunga discussione la sceita dei cardinali cadde sul cancelliere Giovanni Gaetano; di
Gelasio
II'
avrebbe egli voluto rifrutare
il
sommo uficio che, come dice
il
Gregorovius, era ben poco desiderabile
in quei tempi in cui quasi ogni papa diventava un tragico attore delle cose del mondo. Ma i cardinali lo pr.r"ro dol""*"nt" p"t t" braccia e, insediatolo, gli prestarono omaggio ed obbedienza. Egli assunse il nome di Gelasio Il (24 gen. ll l8)'
G ú;*t
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dei Frangipaai.
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Oltraggio
s
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Jb***T
di Gelasio Il; Arc. Cattedrale di
Lucca'
Appena la notizia si sparse per Roma, Cencio Frangipani che in questa elezione, fatta in segreto e senza riguardi al benestare imperiale, vedeva un afironto al suo sovrano' accotse ,ul l*go del conclave con una schiera di armati. Sibitando a modo di immanissímo serpente t o"ido dal profonilo petto lunghí sospirì, con la spada alla cintola, si awentò contro il "monastero e, forzati i serrami e rotta la porta, entrò furibondo nella chiesa. Scacciò coloro percosse che stavano alla guardia del papa ; vilmente insultandolo, prese Gelasio'per la gola, lo
con calci e pugni e, gettatolo sul pavimento, crudelmente lo insanguinò a colpi di sperone; torri vicine ed poi, acciufiatolo per i capelli e tirandolo per le braccia, lo strascinò in una delle sue iui lo tenne prigion" "uri"o di catene. Vuole la tradizione che la torre ove fu imprigionato r) I'arco di Tito. Nel fosse quella a"ttu Cno* ularia, di cui si vedono ancora le fondazioni presso i cardinali e frattempo gli sgherri di Cencio butravano col capo in grù dai cavalli e dai muli legato con quanti altri erano accorsi a tanto rumore; chi veniva spogliato, chi tormentato, chi e semivivi' funi, e coloro che non fuggirono in tempo non fecero ritorno a casa che rnalconci Alla notizia di tanto ,""*pio si raccolse gran numero di romani, tra cui Pietro prefetto altri nobili della città, Pietro di l-eone, St"furro Normanno, i Boccapecorini, i Bonisci e molti ConTrastevere' con loro gente armata, nonchè molto popolo dei dodici rioúi di Roma e di Cencio di liberare immediamente il vennero in comizio al Campidoglio donde inti*urono due volte a pontefrce ed papa. Atterriti dall'ira popolur" i Frangipani, e primo tra essi Leone, liberarono il ingino""hi"tiglisi davanti, a lui chiesero umilmente misericordia. Allora Gelasio, ancora tremante per I'insulio ed il dolore, salito su di un bianco cavallo, dove con la tiara in capo fu condotto trionfalmente per la Via Papale a S. Giovanni in Laterano, tutti
gli
prestarono omaggio. era Mu non potè egli ,"gn"r" a lungo in pace. Messi da Roma portarono l'annunzio di quanto una awenuto all'imperatore accampato sul Po. Enrico V partì subito alla volta della città con A piccola schiera di armati ed il 2 marzo, di notte, metteva piede nel portico del Vaticano' r) CJ. Grcs., lV, p. 653'
Elezione
[1118]
di Gelasio Il.
di fuggire al più presto. Il
papa, che stava in Laterano, fu fatto salire la notte stessa su un cavallo e messo al sicuro in una torre dei Bulgamini, nel rione di S. Angelo, presso il Tevere ed in vicinanza del quartiere dei potenti Pierleoni. Da lì, segretamente imbarcandosi su due galee, fuggì con i suoi fedeli, inseguito sino ad Ostia dalle soldatesche dell'im' peratore. Anche gli elementi sembrarono voler congiurare contro I'infelice pontefice: una tempesta tale notizia
i dignitari della curia
decisero
Fuga
a
Gaeta.
con grandine impedì che uscissero al largo; i flutti mossi dal vento battevano contro i fianchi delle navi, mentre dalla riva del fiume i tedeschi tiravano dardi avvelenati (sic) contro i fuggiaschi, minacciando di incendiare i legni con fuoco gteco. L'oscurità sopraweniente, il mal tempo e la violenza delle onde frustrarono i loro disegni. A notte alta il cardinale Ugo, preso in collo lo sfinito ed infermo pontefrce, lo portò a salvezza nel castello di Ardea, dove rimase due dì sino a che, partiti i tedeschi e calmatosi il mare, le galee poterono proseguire per Terracina e Gaeta. Accorsero quivi da ogni parte principi e prelati a venerare il Santo Padre, che finalmente potè sentirsi al sicuro in mezzo ai propri concittadini e parenti, protetto altresi da Guglielmo duca di Puglia, da Roberto principe di Capua, da Riccardo dell'Aquila e dai molti altri baroni del mezzogiorno, i quali tutti gli giurarono fedeltà. Il l0 aprile Gelasio fu ordinato prete e poscia consacrato pontefice; tra I'altre espressioni della sua benignità volle promuovere Pandolfo Pisano da ostiario all'ordine di lettore e di esorcista per ricornpensarlo della fedeltà dimostratagli come compagno nelle traversie di cui abbiamo parlato. Intanto l'imperatore in Roma aveva fatto eleggere papa Burdino, arcivescovo di Braga, che prese il nome di Gregorio VIII, riaprendo in tal modo la piaga dello scisma. I principi normanni si mossero per appoggiare con le armi Gelasio: davanti a tale minaccia Enrico V si ritirò, lasciando I'antipapa in Roma. Allora il nuovo pontefice pensò di far ritorno al cuore della cristianità e^ si awiò accompagnato da una grande comitiva e scortato dai principi normanni; ma costoro, giunti a Montecassino, se ne distaccarono forse perchè il papa non li aveva accontentati in ogni loro richiesta. Ritorno Gelasio, abbandonato a se stesso e con pochi fedeli, non pertanto si awiò a piedi alla a Roma. volta di Roma, traversando il suo stato, al dire di Pandolfo suo compagno, píù da pellegríno che da soùrano e pagando il libero passo ai propri vassalli. Entrato in città, si rifugiò nella chiesa di S. Maria in Secundicerio, presso il Palatino, posta vicino alle case di Stefano Normanno, di Pandolfo suo fratello e di Pietro di Ladrone Corsi, suoi fautori. La parte maggiore di Roma era tenuta dai seguaci dell'antipapa Gregorio VIII, il quale risiedeva indisturbato nel Vaticano. Agli occhi della cristianità si presentavano nuovamente il doloroso spettacolo e lo scandalo dello scisma della Chiesa in seno all'alma città, acuito dalle discordie intestine e confuso ad esse. Non abbiamo che vaghe indicaiioni sul modo nel quale erano divisi i due campi awersari, Ogni famiglia patrizia si era annidata in uno dei monumenti antichi che, unitamente alle adiacenti e snelle torri di mattoni, alle case fortificate ed ai muri di cinta, veniva a formare un quartiere fortificato, nel quale la famiglia patrizia viveva in relativa sicurezza assieme alla sua gente d'arme, ai suoi seguaci e dipendenti. Tali quartieri s'intrecciavano I'uno con I'altro, le vie erano allontanarsi troppo da casa propria senza adeguata scorta armata. _malfide ed era prudente di non ln tali condizioni visse Gelasio II. Il 2l giugno commise I'imprudenza di recarsi a celebrare messa nella chiesa di Santa Prassede sull'Esquilino, regione che era in potere dei Frangipani. Gò fece, fidandosi alle antiche insegne ") di Stefano il Normanno e del gloúosus Crescentius Gaíetanus, suo nipote, che lo accompagnavano
ù
in
armi.
Antiquís slemmatíbus. Forse è da leggersi slrenur'lafibus, ossia all'avito valore.
30
Secoudo oltraggio
dei
Frangipani.
Partenza
per
la
Francia.
cELAStO lt.
Ub. l, Cap. lV.
Erano appena ultimati i divini uffici, ci racconta Pandolfo, che Cencio e Leone Frangipani con grossa schiera di gente armata fecero irruzione nella chiesa, awentandosi contro quanti vi si trovavano. In un momento il sacro recinto si trasformò in campo di battaglia: Stefano il Normanno e Crescenzio Gaetani, seguiti da coloro che erano armati, si slanciano per arginare I'orda nemica numericamente di gran lunga ad essi superiore. Volano scssí e gîaoellottí; i dardí laneíatí oengono scaEliatí índíetro, una spada abbatte l'altra, Ia lancía soiata soía I'altra: di qua fantí, dÍ Ià cadono caoalierî, in ogní canto uomíní prostratí sul pavimento insanguinato. Mentre infuriava la mischia Gelasio, dimessi in parte gli arredi sacri e travestitosi alla meglio, fu fatto salire su un destriero e, seguito dal solo crocifero, fuggì verso San Paolo. Andò errando per la campagna, a discrezione del proprio cavallo, sino a che cadde in terra, esausto dalla fatica e dalla sofferenza morale. Una donnicciuoia, avendolo ritrovato, lo nascose, e, occultato anche I'indomito destriero, in sul far della notte lo condusse in luogo sicuro. Nella chiesa la battaglia continuò sino a notte quando Stefano il Normanno, assicuratosi della fuga del papa, gridò ai Frangipani: ., Che cosa fate? dorse corete a precípizio? II papa che rícercate sí è gíà sottratto con Ia fuga. Volete dunque mandarc a îooíno. noí che síamo pure romaní e oostrÌ consanguínei ? Ritirateoí perchè pure noí, stanchi della lotta, possiamo lornare a casa nostra! " A tali parole Lgone e Cencio Frangipani se ne partirono, gemendo dí rabbía per aver fallito nel loro intento. Frattanto Gelasio, che era stato ritrovato nel suo nascondiglio, stanco e rattristato, venne ricondotto entro la città quella sera stessa. Egli però non aveva piir I'animo di esporsi nuovamente all'empia lotta. L'indomani chiamò attorno a sè i suoi fedeli ed espose loro che non era più possibile vivere in Roma; li esortò a fuggire da Sodoma, dall'Egitto e dalla novella Babilonia, giusta il detto profetico: .. Fuggíamo la città del sangue. " Dispose per la distribuzione delle cariche e delle responsabilità durante la propria assenza ed il 2 settembre salpò per la Francia accompagnato da alcuni cardinali e da vari altri ecclesiastici e patrizi romani. In un primo tempo la comitiva si fermò a Pisa, ove fu onorevolmente ricevuta e si trattenne per qualche giorno. Alla breve fermata dél pontefrce avranno certamente influito gli antichi legami di afietto e di fede che da tempo esistevano tra i Pisani e la sede apostolica e, a mio parere' non è da escludersi anche il desiderio di Gelasio di prendere contatto con quelli della sua casata. Come dissi prima, i Gaetani di Pisa probabilmente discesero dalla famiglia dei duchi di Gaeta e verso la metà del secolo XI emigrarono in Toscana, ove salirono subito in grandissima potenza e si distinsero nelle spedizioni contro i saraceni e nelle prime crociate; a questo ramo u) apparteneva altresì il cardinale Gregorio di SS. Apostoli, fedele compagno del pontefice. Il 26 settembre consacrava il duomo di Pisa ed ai primi di ottobre faceva vela per Genova Si fermò in questa città di cui visitò la cattedrale di S. Lorenzo, come risulta da una Perga' mena che si conserva nel relativo archivio; nel tesoro esiste anche un piviale di broccato d'oro
.) La mia supposizione viene awalorata, strano a dirsi, da una pergamena apocrifa (Prg. 3192), che fa parte del così detto < fondo pisano o, di cui si dirà nel capitolo seguente. Eso è un curioso miscuglio di vero e di falso, confezionato alla fine del secolo XV, che rispecchia Ie tradizioni e le pretese, fossero esse giuste o mal fondate, Cei Gaetani di Pisa di quel tempo. In detta pergamena, che è supposta esere copia redatta nell'anno 1307, ei legge: Nell'anno ItlS ilí seltembre íI noslrosîgnote Gelasío se. condo, oenuto a Písa, fu ficeoulo ín casa e nella coile dl
Tena dí Nome e nella msa dl merpet Marzucco (Gaetani) dallo Marzucco con I compagnî àello slesso sígnot papa ed îot sí ttattenne per be ù e oísílanilo la chíesa e l'oratorío dl S. Donato dÍ detla coile oÍ celebà la messa e ùísítò l'orulofio etc, Così pure in una copia seicentesm di una carta pisana del t+gs: [Majores Gaitanorum] habuerunt duos surnmos ponlifices, nempe Gelasíum secunilum el Bonífaltum oclaúum, cardínales seplem, epíschopos duoilecím et sanclos quln' ./uc (!)... Reges Aragonlae oilgínem habuerunl a domlnls de
slesso messer
Gaílanís de Plsís, etc, etc, (C-2450),
Ponti f icato
lrus-111e1
jsffi:
ttro SC?c*l'arecflrd&
-{'l: --{- kBolla
ornato
di
di
Gclasio
ll ; Cattedrale di
ricami che si vuole venisse donato da Gelasio
Geno'ra.
II,
ma che certamente
è di epoca assai
piùr tarda.
finalmente il fuggiasco pontefrce sbarcava in terra straniera, presso le foci del Rodano, degnamente ricevuto dai monaci di S. Egidio e da largo concorso di ecclesiastici e di signori del luogo. Giunto ad Avignone, consacrò la chiesa abbaziale del vicino convento benedettino di S. Andrea, sul monte Andaon, ove poi, alla metà del secolo XIV i re di Francia, per sorvegliare la papale Avignone, costruirono la magnifica cittadella che tuttora si ammira. Le sue peregrinazioni in Francia non durano a lungo. Improwisamente colpito da pleurite, sentendo awicinarsi Ia morte, volle essere trasportato subito al vicino monastero di Cluny e, confessatosi in presenza de' suoi fedeli, si fece distendere per terra, in obbedienza alla regola benedettina e, il29 del mese, serenarnente spirò. Fu sepolto eon molto onore nella grande basilica del monastero, ínter crucem et altare quod est post chorum, ma la sua tomba fu distrutta dai vandali della rivoluzione francese unitamente alla chiesa e a tutto il resto del convento. Così, dopo una crudele passione càe l'aveva awicinato a Cristo, venne a spegnersi la nobile figura di un uomo di animo buono e pietoso, di mente colta ed elevata: per sua natura era stato piuttosto destinato alla vita quieta ed ascetica del monastero che a quella agitata del pontifrcato durante la lotta dell'investiture, alla quale Gelasio II contribui sacrificando la felicità spirituale e la vita. i
di
Morte Gelasio
ll.
Captrolo V.
I GAETANI DI
PISA.
(sec. XI-XVII).
i
Gaetani di Pisa, secondo I'abate Costantino Gaetani, discesero dagli ipati di Gaeta ed appunto da Ugo, frglio di Doeibile II, il quale dicesi, nel 962, si trasferisse da Gaeta a Pisa. ") A prova adduce che le loro armi sono identiche a quelle antichissime della città di Gaeta. È o"ro che sóvente i comuni presero per insegna alcuni elementi dell'arme gentilizia dei propri signori, ma tale norma non può applicarsi a Gaeta, perchè il governo
NcHE
della famiglia Caetani cessò ivi molti anni prima che sorgesse I'araldica. Sembra probabile invece che i Gaetani di Pisa, in ricordo della loro origine, sin dal XII secolo, adottasseso per Sigillo di Sigerio Gaetani di Pisa (prima metà sec. XIII).
stemma
)
lo scudo quadripartito di
Gaeta.
Il Federici 2) nega I'esistenza del detto Ugo, argomentando che di lui non si fa' menzione nel testamento di Docibile,3) e difatti il suo nome non appare nel Codex Caietanus. Non so donde il Gaetani abbia tratto la notizia, che si ritrova di continuo aryrotata ne' suoi manoscritti e nel suo carteggio e di cui fanno cenno molte opere a stampa del principio del secolo XVil. Risulterebbe da una certa fonte che i Gaetani, i Gsmondi, i Visconti, gli Orlandi ed altre primarie famiglie pisane si stabilirono in Pisa per volontà dell'imperatore Ottone I. L'abate fu un diligente ricercatore di notizie ed ebbe agio di studiare codici ed incartamenti ormai dispersi; ma, purtroppo, non è lecito prendere ad oerbum le sue citazioni, perchè il desiderio di provare una supPosizione lo spingeva a volte, per così dire, a perfezionare i documenti, con I'aggiunta di un cognome o d'altro piccolo dettaglio del genere. Egli afierma altresì che nel 1083 un Govanni Gaetani, capitano generale dei pisani e genovesi, conquistasse Toledo in Ispagna, dando origine al ramo dei Gaetani spagnoli, che per stemma presero la croce d'argento in campo rosso della città di Pisa. L'ipotesi pitr verisimile è quella già espressa che il ramo di Pisa si distaccasse da quello di Gaeta poco prima o subito dopo la caduta del ducato (1032). Sin dal suo apparire nella di
a; L'abate Costantino iel suo Ms. della Biblioteca Alessandrina cita
te
É/rlstorfe
t\ Manní, T.
XVll.
ili
Písa, cap.
)
p.
I,
589.
della
Libr.
\
Cod. Cajet.
I, p.
Firenze
pisano.
Medicea 87.
e la HÌslofia ìlí
Písa
di Rinieri
Sardo, cittadino
Origini
[sec. XI.1308]
33
storia si distinse per nobiltà di sangue e per la dignità degli ufrci: e ciò appare da molti documenti, certamente autentici, che I'abate Costantino potè esaminare in Pisa e negli archivi di altre città toscane. Leone [Gaetani] fu vescovo di Pisa nel 1049. l) Stefano, frglio di Lorenzo Gaetani, intervenne al contratto di fondazione della Misericordia di Pisa. D ll 27 febbraio 1098 troviamo Ruberto di Piero Gaetano; sindaco della comunità di Pisa, venire a patti con i volterrani per il nolo di due navi ad uso dei crociati; 3) alla 6ne del secolo XI Gherardo di Gaetano e Pietro di Bocchetta Gaetani furono eletti capitani dei crociati ; a) nel I l0l Ranieri, Cerione, Gusmaro, Gherardo, Bandino, Galgano e Gaetano, fratelli e figli di Marzucco Gaetani, eleggono il rettore della chiesa di S. Giovanni .. al Gaetano ,r, che rimase di giuspatronato della famiglia sino al secolo XV. 5) Dei vari cardinali del XII secolo si è già parlato a pag. 27. Ai tempi di Bonifacio VIII esisteva una notevole intimità tra il papa ed i Gaetani di Pisa. Giacomo, figlio di Oddone, signore di Pietracassa,a) fu miles etfamilíaris del papa. Egli, unitamente al padre, e Pandolfo Beneaccorsi ., de Moneta ,r, Nero Ammanati ed altri furono mercanti pisani e, in omaggio al potente cliente, diedero alla propria casa commerciale il nome di u Società Benedetta u. 6) Giacomo, associatosi agli Spini e ad altri banchieri di Firenze, ebbe a trattare gli affari frnanziari personali di Bonifacio VIII D hnto prima che dopo la sua elevazione al pontificato; e con i soci fu banchiere della Chiesa, riscuotendo altresì le decime della Marca Anconitana, della Polonia, dell'lrlanda, della Francia e di altri paesi. Delle relazioni tra Geri Spini ed il papa parla anche il Boccaccio nel Decamerone. 8)
6ffi"N?6fi,.^^a"f)"w'** Sottoscrizione autografa
di
Galgano Gaetani
di
Pisa.
Il
papa riversò molti bènefizi sulla famiglia di Pisa: a Giacomo concesse per tre generazioni il castello di Montaguto, che era stato confiscato a Margherita Aldobrandesca, b) e già gli aveva fatto ottenere vari favori nel napolitano da re Carlo; a Benedetto di Oddone Gaetani di Pisa, preposto alla chiesa di S. Pietro in Grado, aveva concesso I'abbazia secolare di S. Afroe) disio, una prebenda in Francia, nonché altre grazie; e a questi e altri membri della stessa famiglia aveva di continuo estesa la sua benevolenza. ") Giacomo fu uomo d'arme di molto valore ed ebbe grande influenza presso il papa; perciò tanto il comune di Firenze quanto re r0) come piir ampiamente si dirà nel IX capitolo. Carlo cercarono di tenerselo amico, Anche Nicolò Gaetani di Pisa fu intimo del papa e de' suoi nipoti e, durante il pontifrcato e negli anni di guerra che seguirono la morte di Bonifacio VIII, lo troviamo procuratore di Pietro Caetani nella controversia per la città di Caserta (1306-1308). a) La rocca di Pietracassa fu costruita nel s€colo Xlll dai Gaetani di Pisa, che ta tennero sino al 1405 quando Piero di Bcnedetto, ribelle alla città patena ed emigrato a Firenze, la consegnò aseieme ad altre castella ai fiorentioi (Arc. deí Gaet. dì Fhenze, cit. Mannl, XVII, p. 132).
Il Davidsohn (Daoùl.F.,Ill,p. l7), parlandodi quanto è caduto in'crrore credendo che Giacomo fosse nipote
b) sopra,
R. 1., Vol, del 29 apr, 1295, che si riferisce a Giacomo Caetani 6glio di Giovanni, fratello del p"pu (Ct iur', Vol. ge, f' to, del 1299, in cui re Carlo rimette il sstvizi6 nilitarg a Jaapo Gagelano ile PísÍs, milfti a tamíIíarl ,1. p"pu). c) Notiamo tra guesti pure Guido Gaetani di Lamberto giudice; pet Andrea di [Go]Vaoni, v, Dota seguente. del papa, fondasdosi sul documento àell'Atc. Nap.
77,
Î,
76^,
\ Arc. Písa. r) 4 ag. rc53 ; atto di n. Bartolomo de' Vchionsi, giudie piqo, Gaet. MS.,I, c. 5, cit. dc. di Piq. 6) Dìgaú, u 492. t) Arc. cononici àt Pím, cit. Gael. MS., l, c.5. a) Agostíni: Cron. Pisue, 219.. Ttoncí, 36. e) Daíì|. F.' lll, p. l8 ; Dìganl, N. 1477, 1845' 1) Mut., lX-ll, p. 62, 7l i Cron, D. Compasnl. E) gior. VI, nov. II, . Cisti foroio. ' ro) Ct. Mu., lXJl, p. 70: Cs. Dno Compasnì' 766,2971, 3193. r) Arc, Cattcìh. ilí
di Voltena.
Domus,
l,
5.
Gaetani di Pisa
eBonifaciovlll'
I CAETANI DI
34
Lib. I, Cap. V.
PISA
Tale intimità familiare può trovare spiegazione nelle continue relazioni d'affari colla bancà di Giacomo e nella intensa attività politica che il pontefice svolse in Firenze; è probabile però clre per molto v'entrassero pure la omonimia delle due famiglie e la tradizione, allora certamente già viva, che i due rami discendessero da un medesimo ceppo.') Dino Compagni, coetaneo di Giacomo Gaetani di Pisa, nella sua cronaca chiama questo z lacopo Guataní, parente del papa. Negli atti pubblici non è mai detto parente o affine, bensì familiare del pontefice; ma ciò non esclude che vi potesse essere anche qualche legarne di sangue, di cui non è rimasta memoria.
Al
principio del secolo XV un ramo dei pisani si trapiantò in Sicilia, ove si illustrò sotto il titolo di marchesi di Sortino e principi di Cassaro ; nel 1652 Topazia Gaetani, frglia di Pietro principe di Cassaro, sposò I'esule Filippo Caetani di Sermoneta, stabilendo I'unico legame di parentela tra le due famiglie. Abate costan- Costantino Gaetani, monaco cassinese, un cugino remoto di Topazia, fu colui che commentò tino Gaetani' Ia vita di papa Gelasio II : per tale lavoro, 150 pergamene dell'archivio Caetani, che custodivasi in Sermoneta, sin dal 1613 passarono nelle sue mani; dopo la sua morte furono vendute a vilissimo prezzo e per opera del Gattola finirono nell'archivio di Montecassino, ove tuttora si conservano. L'abate Costantino fu un diligente ricercatore di notizie e raccolse molti documenti, in massima parte ora perduti, in preparazione forse di una grande opera che intendeva comporre sulle origini e sulla storia della propria famiglia. I suoi voluminosi manoscritti alquanto disor-
a) Questa tradizione, che alcuni critici moderni vorrebbero attribui;e alle fantasticherie del secolo XVtl, trova una curiosa conferma nella straordinaria opera di falsifrcazioni, eseguita da Galgano de Gaetanis di Pisa sul finire del secolo XV, della guale si è già fatto cenno a pag. 30. Vantava la sua famiglia diritti su S.
Do'
nato, Nome, Marittima, Parrano, Vado Marittima ed altre terre Pisa; pare che le catte comprovanti i titoli di proprietà furono persf per Ia lncutla de noÍ (Gaetani) che non Il trcxímo presso
rcoínslo el fotto sancto Noftí'da li fiorcntínt noslrì nlmící ch'anno ilato íI sacco el bruscíate (tcZo) tuue le lectete et chose de noí ptsaní (Prg. 326a). Per questo rtotivo, o sotto guesto pretesto, Galgano procedé durante I'ultimo decennio del secolo XV a confezionare uoa nunerosa serie di carte e Pergamene false (in gran parte simulanti copie autentiche redatte da notari di Pisa, Siena, Firenze e Palermo, ma invece vergate di sua propria mano); miste ad altri documenti autentici, costituiscono il . fondo pisano > che, acquistato da rrio padre, ora si conserva nel nostro archivio. Per qualche tempo simili antiche carte tennero in dubbio lo stesso prof. Federici ed il dott. Ramadori finchè, osservate le numerose irregolarita e le caratteristiche anormali di molti documenti, vollero coutrollare I'esistenza o meno dei notari che avevano rogato Ie copie autentiche. Fatte opportune ricerche ncgli archivi notarili di Palermo e di Pisa, non si trovò traccia di detti notari, ed un esame accurato delle scritture rivelò che oltre sessanta di tr€ erano state vergate dalla quantÌo
fu
mano dello stcsso Galgano Gaetani, Ora questi, per awalorare la sua tegi, sostenne, forse in base ad una antica tradizione, che i Gaetaai di Pisa originarono dallo stesso ceppo della famiglia di Bonifacio VIII, a prova di che non esitò di creare anche una bolla dello steeso papa, che a titolo di curiosità riproduco qui appreeso:
Ego Nlcolaus olím bone memoríe d. Hugonís de sancto Míníale papalí dígnifaú notaríus fidem facîo, quod domínus
Andreas f.!íus quoidam et hetes domíní Vannís du àoftoni" de Písís anno dotnlní t297, uI patel ex suís carlls ollí (sic), quod lpse domínus Andreas conlulít x Romam el în Urbe
Rone permansít apuil papam Bonífacíum octaùum quí domínus papa se rccognooÍt esse de domo eI famíIía domínorum Comllum Tene Nomfnr3 et Matíctímae ìle domo Gaítanorum de Plsís rtulgo díc!í del Terríccío de la Maiclíma infeiorc el ut sempet appateat gítur, ut
ile eíus consottío ín bullís e! infta, oídelicet:
seu líteris papalíbus le-
Annuenles pe!ítíoníhus Andteae fIíí et hetedís ollm Vannls de domo Gaílanotum de sancto Donalo de Plsís Comítîs totius Maríctlmae lamquam uníus d.e nosttls consoilibus et ile eadem domo et prcgeníe nostra eundem cum tota sua famíIia posteúsgue el successorióus suls ín ínfinítum oolumus esse nosfros et sanclae sedls
filíos et
proeeres, comítes et
feadalafios Anagníne Cw!ís e!
spoletane cíoílatís, cíoesque tomanos declarcmus, eI sancte ecclesîe
rcmane fideles et sanctí Petil de Uúe domínos, ptout in BuIIís. Item, quod ecclesía sanctl Donatí.de Maic!íma písana ab
els constructa
sit
lmmunís ab omnl decima
ecclesíe concedímus
fn
sufs festís
e!
grcoamíne cul
el díe festo sancll Donatì ín
díe septima Augus!í annuatín ín perpetuum mllle aanos oísítanlíbus. Dalum Rome anno dominí t297. Queste caile sono dl Drca Gaílaní et ío le ho facte copíare et Ie hoe messe ío Gaddo di M. Iotenzo Gailanl petché non sî petdano ín sanclo NoÍen dí Písa mîa Compagnia posta ín Pisa pesso la porta dl sancto Mareho In Kínsicha, et cíè la mla anne e! segnío, ct cl hoe míIlefioinî d'oro, e! diclo ser
Nícnlo de sanclo Míníate nofurto hae scrripto ame sopra, e! ll iordl îo l'hoe datt a ser Blsta ill sancto Kassíano nolaúo che me ll coîseîùa a mía úchlesla hogl che síamo nel t188 aI sua
chorco
dî
Písa.
(C-tle.-ll; Prg,
3264; cf. Prg. 2166-)399 del fondo pisano; cartacei dell'ordinamento cronologico, buste l-3 passim).
[oec.
XV-XVll]
'Ramo
di Sicilia
dinati e privi di quella scrupolosa esattezza che fu singolare merito del suo contemporaneo, il De Lellis, si conservano alla Biblioteca Alessandrina di Roma; essi contengono molte notizie interessanti.
Molto vi sarebbe ancora da dire sui Gaetani di Pisa, su quelli di Firenze, e specialmente sul ramo di Sicilia che, nel XVI e XVII secolo, fiorì in Siracusa, Catania'e Palermo, e assai si distinse nel mestiere delle armi e ne'pubblici uffici, ma il soggetto esorbita dai limiti prefissi al presente volume; del resto, salvo per I'intimità creatasi al tempo di Bonifacio VIII e che, in modo formale, fu tenuta viva anche nei secoli seguenti per rispetto della comune origine, le relazioni tra il ramo di Pisa e quelli di Sermoneta e Fondi furono scarsissime. Quindi non aggiungo altro, limitandomi a rimandare chi s'interessa all'argomento alle opere dell'abate Costantino e del Trònci delle quali, in massima parte, sono stati tratti i dati cronologici e gli alberi genealogici riport'ati nelle tavole
LVII-LX della
Caref anorum Genealogía.
Caprrolo VI.
I
CA,ETA.NI
DI ROMA E DT ANAGNI. (sec. Xtt
e XIlt).
Quesrr non appaiono che a partire dalla metà del secolo XII; apparono tutto ad un tratto, uscenti dall'oscurità dell'Xl secolo, , come una famiglia nobile, ricca e potente, imparentata con gli Orsini, con i Conti, con gli Anibaldi e con i Da Ceccano; li troviamo già divisi in due rami: uno di Roma, che probabilmente si estinse in Perna Caetani, moglie di Matteo Rosso Orsini, e I'altro di Anagni che, per opera di Benedetto, eletto pontefrce con il nome di .Bonifacio VIII, salì rapidameúte in grande potenza, si suddivise in vari rami ed ebbe principale parte nella storia dello stato pontificio e del regno di Napoli. Che siano una diramazione dei Gaetani del napolitano e precisamente dei duchi di Gaeta è piùr che probabile, quantunque non Stemma dei Crescenzi. vi sia alcun documento che valga a provarlo in modo indiscutibile. Roma, Campidoglio. Questa supposizione fu ventilata anche ne' secoli scorsi e qualcuno, o per cortigiano spirito di adulazione o per scopo di lucro, falt) sificò nel sec. XVI, o al principio del XVII, due pergamene: una dell'anno 1167 ed un'altra del 1201,') in cui fu inserito il nome Caíetunus sopra rasura di altre parole; con tali atti si voleva fare apparire la relazione tra i Caetani del napolitano e quelli di Anagni. Il primo cenno dei Caetani di Roma è dato da Radevico (Rahewinus, sec. XII), canonico di Frisinga ed autore di Gesfc Fríderici, neile sue aggiunte all'opera di Ottone di Frisinga (morto nel ll58), ') ove, parlando dello scisma dell'anno 1139, dice: Episcopus Aletrínus in praentia Domni Guídonís Cremensis cardinalís, et Gímundi, et trohannis Gaietani et aliorum multorum dixit: Non possum ad Domnum Victorem (lV) uenr're. E poco piùr sotto, parlando dei capitoli fatti in occasione della elezione di Alessandro III, dice : De omnibus supradíctís capítulís testímonium perhíbuerunt predícti rectores clerí Romaní el septem archipresbgteîi suprc memorati ... et Petrus Urbís prefectus et Stephanus de Tebaldo et Stephanus Noilmannus et lohannnes de Sancto Stephano ef Iohannes Gajetanus et Wo$rammus de Gidocíca et Gimundus de domo Petrileonís et multí alií illustres Romani et nobilissími quí omnióus frrt ínterfuerunt...
r) Pre. ó12.
s)
Plr.
3756.
3) Edir. Waitz (1884), lib,
lY. w.
261-262.
[sec. XII-XIII]
Parentela con
gli
Orsini
L'abate Costantino Gaetani opina che questi fosse figlio di Crescenzio, nipote di Gelasio II. ciò non si ha prova alcuna, ma le parole et multí alií illustres Rornani et nobilíssímí provano che questo Caetani era romano e di nobilissimo lignaggio. Molti autori afiermano che, come risulta dai registri dei censi della camera apostolica, lo stesso Giovanni era solito sborsare ogni anno sei denari per la chiesa di S. Bartolomeo nell'lsola Licaonia, che Gelasio II aveva avuto cura di far restauiare a tempo del suo cardinalato. l) Sorella dello stesso Govanni dicesi fosse Gaetana, la quale nel ll5l sposò Orso de' Bobo, figlio di Pietro Bobo o Boveschi, capostipite della famiglia Orsini. Alfermasi anche che Perna, la quale si suppone fosse figlia del detto Giovanni Caetani (ma che probabilmente ne era invece la nipote), verso I'anno 1220, sposasse Matteo Rosso Oriini, nipote di Orso, mentre Covella, sua sorella, divenisse moglie di Stefano Colonna. Perna fu I'ultima del suo ramo, il quale così si estinse negli Orsini, a cui passarono i beni e le terre dei Caetani di Roma. Nei registri di Gregorio IX, zr in data del luglio 1233, si parla di lacobus", natus nobílís obi lohannis Gaetaní ciúis romaní, il quale potrebbe essere fratello di Perna, parendomi poco probabile che sia un Orsini; difatti Giovanni Gaetani Orsini, che ebbe un 6glio Giacomo, testò il 13 aprile 1232 e probabilmente un anno dopo era già morto. Le notizie riguardanti la parentela dei Caetani e degli Orsini sono riferite dall'abate Costantino Gaetani, dal Gregorovius e da molti storici e furono tratte dall'archivio Orsini di Bracciano, come lo indica Io stesso abate, nonché da una memoria manoscritta del nostro archivio, 3) che parla dei testamenti di Giovanni e Matteo Orsini; ma sino ad ora non sono stato in grado di rintracciare i documenti originali. {.Jna prova indiretta ci è data però dalle notevoli e spiccate consuetudini dei secoli XIII e XIV di seguire certe norme nel battezzare i frgli con i nomi dei genitori o degli avi. Così, ad esempio, v'è la ripetizione di alcuni nomi di padre in 6glio, che si verifica di continuo nella farniglia dei Dell'Aquila, in quella dei duchi di Gaeta e quindi nella famiglia dei Caetani di Roma e d'Anagni nonché in molte altre. Più caratteristica e piùr frequente ancora è Ia consuetudine di dare ad uno dei figli il nome dell'avo ed in questo si distinguono i Caetani di Filettino ed i Palatini; tra i Da Ceccano riscontriamo
D
le alternazioni Landolfo-Govanni-Landolfo-Giovanni
e quella Tommaso-Berardo-Tommaso-Berardo
nella famiglia dei Conti, signori di Sgurgola, troviamo la ripetizione
;
Gualgano-Corrado-Gual-
gano-Corrado etc.
di
Non meno singolare, benché meno nota, è la consuetudine delle famiglie Caetani ed Orsini battezzare uno dei frgli col cognome della madre o dell'ava, come si vede dai seguenti
esempi:
Gaeta'ni, madre di Giovanni Gaetano Orsini f 1232 c. Stefania Rubea, madre di Matteo Rosso Orsini f 1246 c. Perna Gaetani, madre di Giovanni Gaetano Orsini f l2B0 c. N. Gaetani (sorella di Bonifacio VIII), madre di Giacomo Gaetani Tommasi t 1303. Margherita Aldobrandesca, ava di Aldobrandino Orsini (sec. XIV). Perna (prob. una Gaetani), nipote di Gacomo Giovanni Gaetani Stefaneschi, madre del Gaetana
cardinale Anibaldo
Gaytani de' Gaytani
da Ceccano.")
a) Tale consuetudine sovente ha causato confusione, facendo attribuire alla famiglia Caetani personaggi appartenenti a quella Oreini, r) Flotio Blonilo (nc, XV), eit. Gact. C,, p, 37. Cf. ep.
LV.
\
Auoros,',,
ol.
809,
q.
1451,
3)
N.
141936.
Lib. l, Cap. VI.
I CAETANI DI ROMA E DI ANACNI
Verso quest'epoca troviamo anche altri membri della famiglia Caetani in Roma ed appunto Aldobrandino, cardinale di S. Susanna e vescovo di Sabina, il quale nel l22l rinunziò la r) prebenda di S. Susanna a favsre di Gacomo, figlio di Giovanni Caetani suo fratello. Di lui ,ono vari ricordi nei registri vaticani, e nel martirologio dei SS. Gro e Giovanni è detto
"i che morisse il 22 decembre (prob. 1223).
* tt Non meno antichi sono i Cep,raNt p'ANecNt e della Campagna, di cui si hanno notizie a partire dalla metà del secolo Xll. Due supposizioni si possono fare: una che essi derivassero dal ramo di Roma, che abitava abbiamo parlato sopra; I'altra, che io reputo più vicina al vero, che nell'lsola Tiberina di " "ui con la decadenza e il disfacimento essi discendessero da uno dei vari rami dei duchi di Gaeta i quali, del ducato medesimo, verso la seconda metà del secolo XI, dovettero emigrare. Tanto nell'uno
Prime notizie
o ad altra quanto nell'altro caso credo probabile che il trasferimento a Veroli, Ceccano, Anagni, la quale' con le sue città della regione, ,i do""rr" a legami di parentela con la famiglia Conti Da ceccano, primeggiava molteplici diramazioni e per i vincoli di sangue con gli Anibaldi e i correva al tempo di nella casta feudale d"lla Campagna. Secondo una tradizione che, dicesi, e si potrebbero collegare Bonifacio VIII, i Caetani d'Anagni sarebbero stati di origine catalana u) perciò a quel Giovanni Gaetani di Pisa che nel 1083 si recò in Ispagna' cardinale da Tutti gli scrittori di storia ecclesiastica concordano che Gregorio Gaetani, eletto della cardinale 2) (e che molti confondono col coetaneo ed omonimo pasquale n ,a I 103 circa che i Caetani si trasferifamiglia pisana), sia oriundo di Anagni: ciò che, se vero' proverebbe rono in questa città prima della fine del secolo XI' I 159 indisc*ibile documento che abbiamo sui caetani d'Anagni è del 13 luglio 3) Il pri,oo 'Boron" si Br"krp"ur, cardinale dei SS. Cosma e Damiano e camerario del papa' quando pontificio, e con Rodolfo, recava con pietro Caeàni, con Ruggero nipote di Giovanni, cancelliere di fedeltà da Gualgano conti, cappellano del papa, a sgurgola per ric"v"re il gtuT*:nt: a) ,ig;r" di sgurgola, e da si*on" " Gofir"do suoi figliuoli. Non deve far meraviglia se non come dieemmo Caetani menzionato prima nelle Pergamene di Anagni ricordando, trlvasi il b) "ogno*" e, se nelle perricorre ben di rudo n"i documenti dei secoli XI e XII ; già, che il "ogno." cognome di farhiglia, ciò è soltanto ior.n" di qul"i tempi riusciamo ad attribuire talvolta il ceccano, de zancafo (Anibaldi), de alle designazioni di dominio, come alle parole de
iruri"
etc. che troviamo unite ai nomi di battesimo' S"uIruIo -i "a;*do le pergamene di Anagni, mi sono sentito pitr di una volta inclinato a voler (Jbertí, Pettus Lofredt, Rainaldus domini riconoscere puri*"nii àei Caetani nei Rttfrtdus fossero RoÍftidi ile (Jberto etc., guando le circostanze sembrano alludere che in quegli atti queste pr"r"nti dei Caetani, come indubbiamente dev'essere stato in moltissimi casi "' : ma
.) Negli appunti dell'abate Costantino Gaetani e, di rifeso, in quelli di monr. Onorato Caetaai del rce' XVIII' si mettc enfasi sul fatto che Bonifacio Vlll si sarebbe vantato di esr€re
di
origine catalana; ma
di cià non ho potuto
cuna conferma (Cf. C'l42.xxll).
Anche
il
trovale al-
Ciaccouio
-p. 2%), dice Bonifacio VIII di origine catalana'illustre famiglia ri n cognorne degli stessi Conti, la più d'Anagai del XII e XIII scolo' non aPPare che nel ll24' (Atc. An., ArE. It, Cup. ll, n. to; Cf. Pag' 3)'
(ll'
t) Arc. Vat., Reg. Hon. lll, cp, 529t CÍocc., ll, p- 4lt UeheIIì, l, p' r) Lit. Cens., p. 400.
167'
t) Cl.
pas.
26.
, CÍ. CótìleIIa, I'll, p'
85'
Caetani
lflo3-u84]
di
Anagni
deduzioni seicentesche non sono piùr lecite. Probabilmente è lo stesso Pietro, di cui sopra, che nel 2l maggio ll77 appare come proprietario di una casa in contrada Castello nolo. t)
In quel medesimo tempo, ed appunto il 12 settembre 1163, troviamo un nobile Orso Caetani che, per mandato del rettore e dei buoni uomini di Anagni, paga in Città di Castello all'architetto Giacomo d'lseo I'ultima rata per il prezzo e I'onorario per I'opera sua della costruzione del palazzo civico, il quale ancora ai giorni nostri si ammira come uno dei gioielli d'arte della vecchia Anagni. In questo documento si legge : In ChristÍ nomine smen, Anno millesímo Fríderici imperatofis, díe duodecíma mensís septembris. Ego Magister Jacobus de Ysei archítector sum confessus et contentus me in oeritate habuisse et recepísse a Magnifico domìno Hurso Gaietano de Anagne et de mandato do,minorum Rectorís et bonorum homínum dictae cíoìtatis libras praoísínorum quatuor prc opeîe aedificationis palacíi rationum Comunis Anagne. Actum est hoc ín Cíoitate Casteltri in domo dominí Stephaní canoníci Aretini, presentibus thoanne de plebe Tuftae, Pebo de Monte oicino, et domino Ugolíno milíte de Perusía testíbus ad hac oocatís et rogatis. Et ego Leonardus, aulae ímperialís notaríus, scrÍpsi centesímo sexagesimo tercio, Indictione duadecíma, temporíbus domíní
et
absohsi. ")
Un Pietro Caetani appare nuovarnente in un atto del ll93 ed è assai probabile che sia figlio o nipote di quello menzionato prima. Addì 19 settembre di queil'anno, Rogerio, priore della chiesa di S. Pietro in Vineis, permutava alcuni beni posti in Acuto ed in Anticoli, proprietà del vescovo di Palestrina, a favore di Giovanni (Conti) vescovo Anagni; I'atto veniva redatto in casa dello stesso vescovo di Palestrina, in presenza di Oddo domini Trasmundì zancatensis (Annibaldi), di Rainaldus domíní RoÍfridi de Uberto (forse un Caetani), di Guttiftedus domíni Petri Busse (fa-
di
$ff;=-;-= .-j :>-,-i
-EfiÈ&-i-
Anagni; palazzo civico.
miglia che al tempo di Bonifacio VIII era imparentata coi Caetani) e di altri testimoni. Dopo il nome dei testi è scritta la frase ; Ad maíorem etiam firmítatem omnium predíctorum gue ín presentía dominorum. Ilditii ef Petri Gagetani Anagnínorum ín dícta domo acta sunt et completa, hanc paginam domini episcopi Prenestìni et nostrí et capituli sígìIlo et canonicorum subscríptíone corroboramus. Seguono le firme. Questo Pietro viene ricordato, in data 9 maggio dello stesso anno, in una transazione firmata tra Adinolfo di Mattia (Conti) ed il monastero di Villamagna: Ante praentiam Petri G a g e t a ni judìcís et Berardi Bulgarellí judicís.lldizio, quantunque non menzionato col cognome, appare come iudex ordinaríus et scriniarius in atti del 1176, 1178, 1184.2) ù De Mag An., ll, p.2a7. ll De Magistris aÍerma che si trova ora nell'archivio nostro. Sino ad ora
o nelle Mi*ellanee di monl. Onorato Caetani, che ancora non è possibile anche che eso si trovasse tra
questo documento
sooo state schedate;
non sono stato in grado di rintracciarlo, trattandosi forse di una copia cartacea, inserita in qualche fascicolo d'epoca più recente
Torre.
1) Arc. An.,
Am. I,
S. P., XLII, p.584.
Fs.
18,
N' 928, cit' Dc Mag.,
Doc.
IXXV.
le
pergamene, oramai disperse, dell'archivio Caetani della
\ D.Mos. Am.,Dq, LXXXVI;
Atc, An.,'Cf. Falco, Arc.
I CAETANI DI ROMA E DI ANAGNI Parentcle''
fra
i
baroni
della Campagna
Lib.
l,
Cap. Vl.
Altra indicazione sui Caetani 4 ci dà la cronaca di Fossanova: in essa leggiamo che il 25 luglio 1196 venne consacrata la chiesa di S. Maria di Fiume in Ceccano e che in tale occasione, dopo la cerimonia, i vescovi fecero ricche donazioni di viveri alle varie chiese, mentre íl magíster lohannes Fercntínus fece simile donazione ad domum loannis Cagetaní ed il vescovo di Segni ad domum Stephani de Natoní; da simile atto di deferenza giudico che tanto Govanni quanto Stefano dovevano essere personaggi d'importanza in Ceccano. l) È difi"il" dire che parentela vi fosse fra detto Giovanni Caetani e quelli di Anagni; forse era egli stesso di questa città, perché nel febbraio del 12?3 troviamo che lohannes Gaíetanus vendeva un orto, che pro indioíso habebat cum domina Mafria Grel1oríi de Zancato (e quindi un'Anibaldi), a Tommaso 2) procuratore del fratello Stefano. b) Questa comproprietà d'un Caetani con una .Anibaldi è certamente un indizio di parentela. Sono convinto del resto che già sin dal XII secolo esistessero numerosi e complicati legami di sangue tra i Conti, i Da Ceccano, gli Anibaldi ed i Caetani, nonchè tr4 gueste famiglie primarie ed altre d'importanza minore; sono legami di cui purtroppo non abbiamo una cognizione chiara, perchè è solo in base ad essi che'si potrebbe giungere ad una comprensione esatta delle vicende della Campagna e Marittima.3) C'insegna la storia che quasi tutti i grandi awenimenti che hanno sconvolto il mondo si possono far risalire a fattori econoinici e così si è verifrcato anche in quelli che agitarono i singoli stati e Ie provincie: le alleanze e le discordie delle famiglie baronali, che forrnano sì larga parte della nostra storia durante il medio evo, dipesero piìr che altro da fattori economici quali possono esser stati il condominio delle castella, il diritto ereditario, I'obbligazione per una dote e così via; e tali fattori economici a loro volta originavano o dipendevano da vincoli di parentela. Le ricerche genealogiche, che alcuni vogliono considerare piuttosto come un divertimento atto a soddisfare vanità personali, sono un efficacissimo e non suffrcientemente valutato strumento per I'analisi storica: invero la remota origine di molti importanti awenimenti può essere rintracciata al sottile capello di qualche bella fanciulla. Lo Zappasodi riferisce che gli statuti di Benevento del 1230 sono sottoscritti da un Ruffidus Caietanus lJberti anagnínus, rcctor nobilís et potens míIes. Il dott. Egidio Gentili, del R. Archivio di Stato di Napoli, da me richiesto di verificare tale sottoscrizione, trovò soltanto Ie .parole : Ego Rofridus Ubefií Anagn. rcctor beneoentanus suóscripsí. Non so donde lo Zappasodi abbia tratto la lezione sopra riportata; se fosse corretta, sarei propenso a credere guesto Roffredo avo di Bonifacio VIll, a preferenza di quel Mattia menzionato da tutti gli scrittori di storia, in base a non so quale giustifrcazione documentaria. ") a) Un membro della famiglia è ricordato in un atto del l?33 del Líber Censuum con le parole z lohanne Gaitano cioe Anagníno, teste. Un altro lohannes Gaetanus, abate di S. Paolo di Roma, è ricordato in un atto di investitura del I 229, ' ma è possibile che questi sia Govanni-Gaetano Orsini, il quale poi salì al trono pontifrcio col nome di Nicolò IIL
Nel vestibolo del castello di Fumone si legge in una lapide moderna, col lettere ad imitazione di quelle dell'cpoca: a)
MEOTI.A CAIETANA
F. LAUTFRIDI DE ANANTA MCC'(VI
Forse fu ivi poota da qualcuno dei marchesi [-onghi, desideroso di ricordare un'antichissima parentela. Non so dove I'autore abbia
attinta
la
,')
preziosa nonché dubbia notizia.
Mw.,Yll,ot. 882.
2) Arc. An.,Fasc. 17,.N. 869.
b)
È
probabile che sia to stesso loÀannes Galetanus anagníin un atto del 20 genn. l2?3,'(Auorug,
nus che appare come tesùe
ll, p.
oz).
Un mcgr'stcr RoîtfuIus Hubeilí de Anagnta, procuratore del papa Gregorio IX, appare in vari istrumenti del tzlz. contenuti rcl Llbq Censuum (1, p. 488, 504), e non dubito aia lo stesso signore che fu rettorc beneventano' c)
3) Cf. pag.
38.
a)
p.
503.
5) De Capts,
p.34.
Albero genealogico riassintivo
[ne6.r233.l
4l
CAETANI DUCHI E CONSOLI (ipati) Dl GAETA
Prirna notizia
di
Giovanni Cae-
di Napoli di uo Pietro
Gaetani
Caetani
dollo Stato Pontificio
Gaetani di Fondi Vari rami: Signori di
,Prima notizia è
Traetto, Itri, etc.
nell'anno 967.
tani, I 139.
Sec.
Gaotani
di
Pica.
Prima notizia della meta del s€c" XI.
Xl-Xil
(Notizie incerte)
Famiglia <
Di Gacta
>
Appare in Gaeta €d in Tera di Lavoro nel secolo XIII e poi si trasferisce a Napoli.
Caetani di Roma Prob. estinti in Perna Caetaui, moglie di Matteo Rosso Orsini; netà sec. XIII.
Caetani Sec.
XII;
Gactani.
mentata da Mattia (?), avo di tsonif. Vlll, principio sec. Xlll. Da Pietro, nipote di Bonif. VI[ originarono i eeguenti rami:
Pteho
Roîredo
di Anagni
Discendenza docu-
III f
+
di
Spagna
Ramo, dicesi, fondato da Gio. vanni Gaetani quando nel I 063 conquistò Toledo.
Gactani di Sicilia Da Pictro, emigrato in Sicilia
rcl 1417, originarono i Gaetani di Sicilia, marchesi di Sortino e principi di Cassaro.
1308
f 1322 Conti Palatini, eotiuti Benedetto
1335-6
Capostipite
dei Caetani
nel:ec. XVI.
NícoÈ
f
1348 prob.
BeIIo f 1360 priac Capostipite dei Caetani
Filettino, da cui discesero i Conti dèlla Torre, detti poi Cactani di Anagni, che ri estinguono con Francesca.
f 1362-74 dei Caetani di Selvamolle, che prob. si Glooannî
di
Capoetipite
estinsero verco Ia 6ne del secolo XV, e prob. del ramo dei
Gaetani di Cactelmola tut-
tora
Gtaamo
II t
Cfistoforo
egistente.
1423 pnu.c,
f l44l
Gîacobello
Secondogenito; caportipite dei Gaetani di Aragona, logoteti del Regno, conti di Fondi, conti di Morcone, poi duchi di Traetto, sigoori di Piedimonte,
Glacomo
Rincipi di Altamura, Duchi di Laurenzana, etc. Ramo molto illustre nella storia delle Due Sicilie c che tuttora fiorirce a Napoli, portando il titolo di
IV +
nI +
1433
Capostipite dei Caetani di Sermoneta.
1408
Francesco
Capostipite
XVlll.
principi di Piedimoate.
di Scrmoneta iimpareotarono nel l5l3 c nel 1593 Gaetani d'Aragona e uel 1652 cot i Gaetani di Sicilia. Da Bonifacio Caaaai (f 1857) originò il ramo dei Cactani dclla Fargna di Firenze, che si cctingue in Rita e Teresa Caettsi.
I
Caetani
Domus,
l.
6,
i
1460 c.
Maenza: ramo cstinto nel secolo
con
f
dei Caetani di
42
I CAETANI DI ROMA E DI ANAGNI
Lib. I, Cap. VI.
*
** Con Rofhedo, padre di Bonifacio VIII, usciamo definitivamente dalle incertezze genealogiche ed entriamo nel campo indiscutibile della storia documentata. Per opera di questo grande pontefice la famiglia salì in massima potenza e così si mantenne per circa tre secoli e, come si verifica nella storia di quasi tutte le famiglie illustri, si propagò piùr prolifica e rigogliosa durante I'apogeo della sua maggiore potenza e prosperità. Nel decorso di poco piìr di un secolo i Caetani si scissero in vari rami, come è indicato nella pagina precedente. La famiglia Caetani ingranditasi per opera di Bonifacio VIII, si mantenne in tali condizioni per quasi tre secoli. Poi, mutati i tempi, diminuito lo splendore della Casa e le risorse di cui dirpon""u, alcuni rami si affievolirono, si estinsero, scomParendo dalla storia. Verso la fine del secolo XVI persino il ramo di Sermoneta, esausto finanziariamente dai fasti di quell'epoca grandiosa, fu pii ai una volta sul punto di spegnersi, tanto è vero che si considerò persino la un bastardo venisse a continuarne Ia discendenza e che i Gaetani d'6tu*ono possibilità "h"giorno essere chiamati a ricevere i titoli ed i feudi dei Caetani di Sermoneta. potesrero un Gò p", ulrro non accadde; per quasi due secoli la Casa versò in condizioni economiche molto difrcili e, pur mantenendo un'apparenza di splendore e cariche onorifrche, ebbe solo una parte secondaria nella storia, sino a che verso la metà del secolo scorso si ristabilì eeonomicapiìr mente e si sforzò a rialfermarsi nel risorgimento intellettuale e politico della nuova e grande ltalia.
Caprrolo VII.
I PARENTI DI BENEDETTO
CAETANI.
(sec. XIII)
uEsro papa Bonifazío fu dalla cíttà d'Alagna di Campagna assaí gntíle uomo dí sua terra, figliuolo di messere Lifredi Guatani e dí sua nazione Ghtbelltno. ") Così il Villani 2) parla dell'origine di 3) ed il Tosti affermano che suo avo Benedetto Caetani. L'Ughelli fosse Mattia. Forse ciò risulta da qualche documento dell'Archivio Vaticano, in cui si accenna alla parentela tra Mattia ed il vescovo Pietro, zio di Benedetto; ma può anche essere che finora si sia caduto in errore ritenendo per avo di Benedetto quel Mattia Caetani di Anagni, capitano d'arme di Manfredi nel 1255, di cui parleremo appresso. Benedetto nacque verso il 1230 e quindi questo Mattia, se fosse stato suo avo, nel 1255 avrebbe dovuto avere almeno 70 anni, età da reputarsi incompatibile con attivi servizi di guerra. Rofiredo I, padre di Benedetto, a dire del Carinci, fortificò Maiuscola dell'anno I 178, r) la città di Sessa e la rese centro delle operazioni militari. Durante le guerre, che dopo la morte di Federico II si scatenarono tra Manfredi e Alessandro [V, nacquero tumulti tra guelfi e ghibellini e.si combattè nelle strade di Anagni. Rofiredo con le sue milizie (ancorchè, al dire del Tosti e del Carinci, militasse sotto le bandiere di Manfredi), assalì i ghibellini che si erano asserragliati nel palazzo civico e Ii costrinse alla fuga. ll palazzo ebbe molto a soffrire da tale assalto, ma i danni furono riparati a proprie spese da Alessandro IV, che affidò il lavoro ai mastri d'arte che dimoravano nella badia di Fossanova.
4)
Sono propenso a credere che in occasione di questo restauro ed in ricordo dell'opera di Roffredo, o forse per qualche carica da lui tenuta, vi siano state murate le due armi dei Caetani
a) La nobilta dela sua famiglia viene anche ricordata da un contemporaneo, il cardinale Giacomo StefaDeschi, nell'Opus
Mebícum cornle paroh z CIarc ìlonus geauit, quam nulrít Anagaía eolle, Gaietana oírum (Mw., lll, e. 64?). Booifaciortcsso nella sua bolla Nuper ad auden!ìam cosisi esprime:...sedubìaudí-
tum
a
saeculo esl
r) Bolla
Als.
quoìl
haetetíca
fuerímus labe rcsp*sl, quís
lll, Arc. Cact., Pact.
2615,
2)
Vllt, qp. VI.
nedum
de cognatíone nosba, tmo ìle tola Campanîa unde ori-
gínem duxetimus, notatut hoc nomíne.,.
(Dupug, p. ó07).
Alcud autori tedechi embrano rirruere
perplessi trovando
ora iI nome di Roff:edo, altre volte quello di Gofredo, Lofhedo, Lifredo, Gottifredo, Solhedo etc,, quantungue non siano altro che variaati dialertali dello stessonome <Gottfried> di origine germanica. 3)
l, p. l?52.
{) ZaFp., l, p.322i Cî.
Sìbtlio, e.237.
Genitori di Bonifacio VIll.
I PARENTI DI BENEDETTO CAETANI
44
Lib. I, caP. vlt.
che si vedono, una nella sala maggiore ed una (scoperta nel 1920) nel muro del loggiato. Questi stemmi in marmo, dallo scudo accuminato ed in profondo rilievo, sembrano appunto risalire alla metà del secolo XIII. La presenza di essi e'di un terzo sulla facciata del palazzo civico") è un indizio dell'alta posizione di cui la famiglia Caetani godeva in Anagni prima ancora che Benedetto fosse promosso
àl
cardinalato.
Riporta
il De Magistrisr) che il
papa scelse Rofpolitíco fredo cl della Marca, peî e ao fiIeoarla dalle oíolenze usate daí fazzíonarj dell'ímperadore e per I'argine fatto ad ognì díssordine, îese gloríoso íI suo nome e Ia tranquillità aI Piceno.u) Di lui poc'altro si sa; il Ciacconio 2) dice Líutfredus Caíetanus anagnínus " eques opulentus procreaoít multos rtIíos ".') Si vuole che Roffredo avesse per moglie Emilia, figlia di Pietro, signore di Guarcino, e di una sorella di Rinaldo Conti, il quale nel 1254 salì al trono pontifrcio col nome di Alessandro lV. Questo Pietro di Guarcino ebbe un fratello Benedetto il quale fu vesèovo di Modone, suffraganeo nel vescovato di Patrasso, e da ciò i signori di Guarcino, nipoti di questo, presero il soprairnome di Patrasso. 3) Detto Pietro ebbe certamente due figlie Adelasia e Maria e due figli, Andrea dictus de Patrax, Pietra sepolcralc del card. Leonardo Patrasso: Lucca. milite, ed il cardinale Leonardo, nato in Alatri verso il 1230 to ciò risulta dal testamento dello stesso Leonardo. Non è possibile che Emilia fosse sorella dei suddetti quattro frgliuoli di Pietro di Guarcino (tutti vivi nel l3ll) e allo stesso tempo madre di Bonifacio loro coetaneo; perciò sono del parere che ella fu invece sorella di Pietro, e che il padre loro sia stato il marito della sorella di Alessandro IV. E probabile che Benedetto Caetani, che poi fu Bonifacio VIII, abbia preso il nome dallo zio Benedetto, vescovo di Modone. Leonardo fu molto favorito dal cugino Bonifacio VIII, il quale nel 1299 lo fece arcivescovo di Capua e poco dopo, il 2 marzo 1300, lo creò cardinale di Albano. Nel l3ll fu spedito da Clemente V in Italia come legato per coronare I'imperatore Enrico VII; ma, arnmalatosi in Lucca, testò il 30 novembre l3ll e morì il 6 del mese seguente. Nel suo testamento, che si conserva nel R. Archivio di Stato di Lucca, nominava il cugino Francesco Caetani, cardinale di S. Maria in Cosmedin, suo esecutore testamentario lasciandogli in ricordo una grande bibbia gooeîno delle armí
I
Patrasso
legata
ù...
(Iacuna).
Romano in Lucca, che era dei domenicani, e Ia sua pietra sepolcrale sino a pochi anni fa trovavasi nel pavimento dell'abside, tutta rovinata per
Volle
a)
I
copertina
l29l
essere sepolto nella chiesa
di S.
primi sono riprodoui sul froutespizio e l'ultimo rulla
di
querto volume.
b) A lui certamente accenna ta bolla di Nicolò lV dcl t... rcnunllallonc facla quonilam maglstro Gtfriìlo ìlc Ana' 2) ll, p. 293. 1) De Mac;, p. 43. \ Mot.' Ll, p. 294.
gnia, tunc Marchle anconllane recloi (Langlots, n. 4477). .) E nel processo di Avignone: Benedlctus iftxít eís: ,.. malet mea guae habuít plures líbetos 4) VtU, G.,
VIll,
cep.64;
,-
(Dupug,
Mor, Ll, p. 290,
p.
559).
Contese fra guelfi
[r230-r255]
le
scalpellature
e ghibellini
de' rabbiosi giacobini lucchesi. Ora si trova
45
addossata
ad una delle pareti
del
chiostro. ")
Il
Ciacconio attribuisce per stemma al cardinale Leonardo Patrasso uno scudo partito con le onde gemelle de' Caetani dal lato destro e dall'altro Ie onde semplici u color minii >, su fondo d'argento; l) sulla pietra sepolcrale però appaiono le sole onde gemelle. Certamente i Patrasso adottarono quest'arme in onore dell'onnipotente cugino ; la semplice banda ondata, se il Ciacconio è corretto nella sua afiermazione, potrebbe essere indizio di qualche altro e più antico legame di sangue con i Caetani. Essa si riscontra pure su varie tombe nel camposanto di Pisa tra cui ve n'è una, qui appresso illustrata, della famiglia Bocca che, a mio parere, è quella stessa dei Bocchetta, i quali furono una diramazione dei Gaetani di Pisa. Cugino di Rofiredo, se non fratello, deve essere stato quel Mattia Caetani d'Anagni a Mattia cui si è accennato sopra. Capitano d'arme di re Manfredi, nel 1254 fu mandato in Toscana con 300 cavalli e fanteria tedesca a risollevare il partito ghibellino, che sin dal 1250 era stato sopralfatto da quello del popolo' b) 8.sto?ls.qo((?q Egli si recò a Siena e, per timore che all'awicinarsi di lui Orvieto potesse ritornare in potere dei Filippeschi e del partito ghibellino, il papa Alessandro [V mandò colà da Roma il conte Pandolfo dell'Anguillara con 200 cavalli a guardia della città e a sicurezza dei Monaldeschi. Mattia radunò in Siena un grosso esercito di gente ghibellina di Arezzo, Pisa e Montepulciano e, unitamente ai conti di Manenti, di Santa Fiora e di Bisenzio, mosse contro Orvieto. Si accampò sotto Bardano e prese a scorrere la Pietra sepolcrale della famiglia Bocca pianura di Orvieto, con animo di sollevare il partito dei Filippeschi o Bocchetta; Pisa, Camposanto Pandolfo della città. Il conte quello guelfo e d'impossessarsi contro (ala meridionale, 2" frla presso la porta). dell'Anguillara però ed i Monaldeschi tennero buona guardia e Ia cavalleria di Perugia venne in loro soccorso. Mattia riuscì a sollevare il partito ghibellino di Todi e di Foligno; ma il conte Pandolfo, unitamente a Ranuccio Farnese, al conte Guglielmo di Santa Fiora, alla cavalleria orvietana ed ai 400 cavalli di Perugia, diede una rotta ai ghibellini nel pian della Meta (?) e 120 prigionieri furono condotti ad Orvieto. I guelfi si mossero poi contro varie castella, una delle quali fu Amelia, di cui si era impossessato Mattia con il concorso dei tudertini, e la presero. Mattia dovette ritirarsi nel Regno, ma l'ànno seguente (1255) ritornò, sbarcando nel porto di San Valentino per andare a sostenere Amelia, che era stata ripresa dai ghibellini di Todi 2) coadiuvati dai viterbesi. Il papa si rivolse per soccorso al popolo di Orvieto e di Perugia ed al rettóre di Spoleto, e i confederati, appoggiati e guidati dal conte Umberto di Santa Fiora, mossero contro Todi. Presso Caqtrovetere Ia truppa tudertina, guidata probabilmente da Mattia Caetani, aggredì la retroguardia dell'esercito, ma il conte Umberto contrattaccò e inflisse una grave sconfrtta a quelli di Todi mettendoli in fuga, prendendone 42 prigionieri e liberando Amelia. 3) Probabilmente figlio di questo stesso Mattia fu quel domínus Adínulfus domíní Mactíe Anania, eletto podestà e capitano di'Orvieto nel l29l e che, dal libro delle /nsinuazioní,a> de risulta essere stato un Caetani.') o)
Notizie fornitemi cortesemente dal
zarecchi, del
R. Arc. di St. di
fredi pas.sando per la Maúttima distruse Tiberia (o îvera), I'antico castello sorto sulla villa di Tiberio presso Ninfa. c) Incerte sono le parentele tra i vari Caetani che troviano
dott. Eugenio Laz-
Lucca.
b) Riferisce il Pantanelli (1, p. 300) chc I'esercito di Man' t) Cl. Ushelli,I,p,.328'
2)
Mut',XY -Y,
p. 302, notedel Fumi'
3)
Mn.,XY-Y,o.
154,102t
Monen.,ll,p.ll9). I Mur.,XY-Y,p.
162.
caetani
I PARENTI DI BENEDETTO CAETANI
46
Pietro vesc'
Lib. I, Cap. VII.
caetani
di
Fratello carnale di Roffredo I, e quindi fratello o cugino di Mattia, fu il vescovo Pietro Todi' Viatico. La prima notizia che abbiamo di lui è del 20 giugno 1246 quando lo troviamo canonico e cappellano di Pietro di Collemezzo, vescovo d'Albano; il 3l marzo 1247 Ciovanni, arcivescovo di Toledo, gli concedeva una pensione annua di 200 maraboiini sopra i beni di quella chiesa. Innocenzo lV nel 1248 lo elesse uditore e, da canonico di Anagni, lo creò vescovo di Sora; nel 1249 era suddiacono e cappellano del papa ed il suo nome ricorre spesse volte nei registri di Innocenzo IV. l) Per il senno, per Ia serenità di mente e per I'equanimità, di cui era dotato, avanzò rapidamente nella carriera ecclesiastica ed il 28 maggio 1252 fu trasferito a Todi, che per molti anni
dove lasciò di sè duratura memoria. Ivi nel 1254 concesse Ia chiesa di S. Fortunato ai frati minori di S. Francesco, riservandosi un canone annuo di nove soldi lucchesi per il diritto episcopale, tre soldi per il diritto del presbiterio e I'onore della precedenza per sè ed i canonici. Gò risulta dalla permuta eseguita tra i monaci vallombrosani della chiesa di S. Fortunato ed i frati minori di S. Arcangelo delle Fontanelle, permuta confermata da Alessandro IV il 28 decembre 1254.D Nel 1252 emanò le prime costituiioni dei canonici di Todi, che vennero confermate in Perugia da Innocenzo IV il 16 ottobre dello stesso anno; u) si leggono in queste le varie penalità a cui erano sottoposti i canonici per infrazioni disciplinari; Chiesa di S. Fortunato in Todi. tra altro era vietato loro di girare di notte per la città, e specialmente di andare con cappa, tabarro ed armi; dovevano portare vesti chiuse, avere la tonsura ed andare in compagnia di persone oneste. Sarei curioso di sapere quale era il tenore di vita dei bravi canonici di Todi prima dell'anno 12521 L'undici giugno 1255 il vescovo Pietro ed i canonici concessero al frate Bentivenga, priore e custode dell'ospedale della Carità in Todi, piena libertà ed immunità per questo istituto, il piùr antico dell'Umbria nel quale si ricoveravano i poveri, i malati ed i bastardi. 3) divenne sua dimora
menzionati nei documenti di quest'epoca. Ai tempi di Fede. rico II viveva nel napoletano un Pietro Caetani, conte d'ltri, che I'imperatore nominò conte palatino nell'anno 1239 (Reg. Fed.,Lit. B. an,1239, f. zlu), e nel 1240 troviamo tra i feudatari dell'imperatore un Ruggero ed un Pietro Caetani (N. 14, f. Ztf): troviamo altresì un Giacomo ed un Pietro del fu Filippo Cae-
tani (N. s,
Î. Zz); questi
sono ricordati nuovamente tra
roni della Campania a cui, unitanente a
i
ba-
Tommaso d'Eboli,
Ettore di Conca, Riccardo di Marzano e Guglielmo d'Aquino, nel 1240 vennero affidati alcuni prigionieri lombardi (an. 1240, f. 42). Queste notizie, desunte da copie autentiche del secolo XVII
r) Dal 1246 è) Leoníj, p. 57 ;
al 1253.
2) Arc. clí
Cl. Ceci, p, 327-3)4"
e
(N. 92691, tStoogi Arc, Gaet, Arag., cod. troa), si riferiscono molto probabilmente a membri del rmo napoletano della famiglia, ma non è da escludere che possano fone riguardare certi parenti di Rofiredo I, date le relazioni che i Caetani d'Anagni sembrano avere avuto con gli imperiali del napoletaoo sotto gli Hohenstaufen.
a) Hoe sunt cowtÍtutíones guas nos pro mísetallone dioína Tuilertínus Epíscopus e! R. Príot cum Capitulo fucler;ie Tudertíne fecímus ad tefotmalíonem Canonícorum exíslentíum în eadem ut dqen!íus solíto seníalut ín ea. (Arc. dÍ S, Foilu-
ncto; pubbl. da Gcr', p.
285).
S. Fottunato, Arn. IV, Cas. V, N. 8, irt, Leonìj, p. 56; Uehellì, l. p. 1352: Cecí, p.
237
Pietro Caetani vescovo
llr46-12681
Credo opportuno di omettere Ia narrazione completa delle attività del vescovo Pietro nello amministrare la propria diocesi tanto sotto Innocenzo IV quanto sotto Alessandro IV; ricorderò soltanto che nel 1275 f.eee una convenzione con Taddeo, conte di Montefeltro e di Urbino, per mantenere Todi fuori della giurisdizione del rettore del Patrimonio nella Tuscia, ed il Theiner riporta altro istrumento sulla medesima vertenza col rettore Guido di Pileo. Ma Ie attività del vescovo non furono limitate alle sole cure della diocesi; egli dovette adoperarsi altresì a mettere un freno alle discordie civili. Todi ed Orvieto furono in guerra per molti anni, perchè in quest'ultima prevalevano i Monaldeschi di parte guelfa, mentre quella era in potere del partito ghibellino. Vedemmo già che nel 1254 e 1255 Mattia Caetani di Anagni, capitano di Manfredi, venne nell'orvietano a muovere guerra ai guelfi e ritolse Amelia ad Orvieto riconducendola all'obbedienza di Todi. In tali vicende rimase coinvolto il vescovo Pietro, ghibellino di nascita e parente di Mattia. Ne troviamo una prova guando Amelia nel 1256, ribellatasi a Todi, fu costretta a venire a patti; in quest'occasione Marco di Montenegro capitano, Rambaldo giudice e vicario, ed il consiglio generale e speciale di Amelia, adunatisi nel palazzo episcopale, il 6 decembre 1256, elessero il vescovo Pietro ed Andrea di Berardo loro sindici e procuratori per trattare la pace con i todini.") La pace fra Todi ed Orvieto venne conclusa nel 1275 ed è ricordata in una lapide posta in S. Pietro, nella canonica. l) Era allora ghibellino anche il giovane Benedetto Caetani, il quale stava proseguendo gli studi sotto le cure dello zio Pietro; e deve essere stato appunto nelle baruffe di partito di questi anni che il futuro Bonifacio VIII, a causa di certi sparvieri, rimase ferito dai guelfi, colpito in capo da quodam parculo (percula, ossia da una palla), come risulta dagli atti d' un processo del 1267, che conservansi nell'archivio di Todi, riguardanti queste contese. 2) Suo nemico speciale pare fosse Gerardo Dattero da cui ricevette ingiuria e di cui, secondo quanto dice il Manenti, nel 1300 volle vendicarsi cacciandolo da Todi. 3) Malgrado il proprio colore politico il vescovo Pietro, a quanto afferma il Leonij, rimase ligio ad Alessandro IV, ciò che è confermato dalle grazie che il papa concesse a Benedetto Caetani su domanda dello zio. Nel l2ól era venuto a Todi S. Bonaventura per cercare di staccare questa città dall'amicizia per re Manfredi, ma fallì nel suo intento; gli odi di parte continuarono piir acerbi che mai. Trascorso appena un anno da quando il re era caduto nella battaglia di Benevento (1266), il partito ghibellino, valendosi del malcontento suscitato dal malgoverno de' francesi, si sollevò nuovamente e invitò Corradino, ultimo rampollo degli Hohenstaufen, a scendere in ltalia. Questo fanciullo, bello d'animo e di persona, partì nell'autunno per andare incontro al suo destino. n 5 aprile l2ó8, entrava trionfante in Pisa, festosamente accolto dal popolo, mentre Clemente IV da Viterbo scagliava scomunica solenne contro lui e contro tutti i capi del partito ghibellino, nonchè contro Pisa, Siena, Verona e le altre città che si erano pronunziate a favore di lui. I Caetani, fedeli alla tradizione della Casa, al primo sollevarsi dei ghibellini, ayevano preso le armi ed alcuni di loro caddero nelle mani de' nemici. Dell'awenimento fu informato Luigi IX, re di Francia, il quale ne fece parlare al papa dal suo ambasciatore pregandolo di liberarli dalle mani, forse crudeli, di coloro che li tenevano prigionieri. a)ll 1)
Leonij indica invece come data I'anno 1262.
Ceci,
p.,146.
') Arn. l,
Cas.
I, n. 17, <it.
Ccct,
p. 159 c 354; CÍ. C-l
I
l.
L
D /oí, loc.
cit,
Caetani ghibellini
I PARENTI DI BENEDETTO CAETANI
Lib. I,,Cap. VII.
IV addì 15 aprile gli rispondeva:... ín quonto ai prígionieri della casa gaetana domus) molto cí piacque quanto tu chìedestí e, peÍ quanto è possióí/e, ci occuperemo
Clemente
(gaietane della lorc liberazíone ed aoîemo cura dí non farli ríIascíare se non ín mano sicura. Ma speúamo ín Dío che aIIa tírannide del tuo consanguineo i cíttadiní romaní ben presto piegherunno iI collo con solída Pazienza.^) Qui è da ricordare che in quel momento prevaleva in Roma il partito ghibellino e che il popolo, istigato dal senatore Arrigo, da Giacomo di Napoleone Orsini, da Pietro di Vico e ddi Anibaldi, invocava la venuta di Corradino. Ora dalle parole . del pontefrce mi pare rilevare che la liberazione de' prigionieri viene considerata come una indulgenza verso i romani, e quindi sono indotto a credere che i Caetani militassero in Roma con i loro parenti, gli
,
Anibaldi e gli Orsini. In mezzo a tali contrasti il vescovo Pietro cercava di tenere un atteggiamento imparziale. All'awicinarsi di Corradino, anche in Todi si erano sollevati i ghibellini che per le strade diedero battaglia ai guelfr. La città aveva scelto in quel tempo per suo podestà il comune stesso di Bologna, che aveva delegato come rappresentante Comacchio dei Galluzzi. Questi prese rigorose disposizioni per mantenere la pace, deciso a reprimere con la forza qualsiasi tentativo di disordini. Contuttociò era appena in ufficio da quaranta giorni quando scoppiò I'insurrezione dei ghibellini; molti guelfl furono uccisi e feriti ed il nuovo podestà rimase assediato nel suo palazzo. Stava il popolo per appiccarvi il fuoco e, penetrato per la porta della scuderia, minacciava già di mettere a morte Comacchio, quando improwisamente cominciarono a suonare le della vicina chiesa di S. Maria e, spalancatasi la porta dell'episcopio, usci il "u*pun" vescovo Pietro Caetani circondato da molti frati e fedeli. Scese le scale, parlò al popolo, lo calmò, lo ricondusse a piir miti consigli; quindi, preso sotto la sua protezione il nuovo podestà, Io condusse nel convento di S. Fortunato. b) Pietro resse il vescovato sino al 16 gennaio I 276 quando fu trasferito ad Anagni, dove morì nel 1277, La sua salma, al tempo di Bonifacio VIII, fu trasportata nella nuova cappella gentilizia che questi aveva eretto nella cattedrale. *
::! S
Da Roffredo I e da Emilia Patrasso nacquero: a,) Roffredo II il quale, al dire dell'autore della storia manoscritta dei Caetani d'Anagni,
r)
sposò Elisabetta Orsini;
ó) Benedetto, che fu poi Bonifacio VIll; c) Govanni,.) di cui si fa menzione nell'atto di vendita, eseguito il 25 agosto 1278 da Corrado di Sgurgola, con ,le parole : nobilibus Rffiedo llll Gaíetano milití anagnino et lacobo Rofrtdi
fiIio
lohannís Caietani.2' e) una figlia, la quale sposò verso il 1240 Gualgano Tommasi e fu madre di Giacomo Gaetani Tommasi, che Bonifacio nel 1295 creó cardinale di S. Clemente. nepoti
ù ... Quod tercío ilecapftoífsl gaíelane domus petístl placuít nobís multum ad quorum lìbeta!íonem ínlendímus sìcut possumus nec speramus eosdem nísí ín manu oalída dímíctendos, set ín De-o confidímus quoi! consangulnel luí tírannídí rcmani cíoesín paclencía sollila cílo colla subducent.(Arc.Vat., Reg. Clem. IV, n'ep. 2o). t) Arc.
Cael.
An,, p'
21.
2) Regesla,
I' p. 49.
b) Detl'episodio e del susseguente processo parla dettagliail Ceci nel suo libro (p. t:Z e seg.) .) Un altro Giovanni Caetani era abate di S. Paolo in Roma, e di lui si vedeva l'immagine ne' mosaici di quelta tamente
chiaa (Vasail,
I, p.
27S).
49
Pietro Caetani vescovo
1r268-t2771
TENTATIVO DI
ALBERO GENEALOGTCO PARZI.ALE
CONTI, - PATRASSO - CAETANI (l) lldcbtando Conti - t0l8 -
Rano CONTI
0)
Litolforo
NB. Su quede primc generazioni, Dc Maglsttîs c C.onlelozb aol rono d'accordo.
-
t0ó8
-
(l)
0)
Ameto
ObcÉo
to6E
-
-
Lirtcfrido - ll24 -
"
quî dlctlut de
Komlte,
(t)
(|. 4, ó)
(l) Trirtano
Giovanni tteo
Trarrnondo
f
Rasro
m
DE PAPA
Clarice Scotta
0,4) Filippo di Jenne
(l) Da oueato Mattia discesero
oucl Mattia di Adenolfo ú. z. ll detto " De PaPa o , * l2t7'c. ncPos Gregoil IX,
(1,4) Ugolino 1227'1241
GREGORIO TX
0,
Cardinale
Riccardo Conte di Sora; Caportipite
I t98-l 216
INNOCENZO
dei
TTI
ryou Bcncdctto Cectani
C.onti
di
Valmontone,
il
cui pro-pronipote fu qucl Giovanni proconsole di cui alla tav. gcneal,
e .Adenolfo c Nicola di
Mattia de Papa (1, 2, 3)partccipi all'attcntato di AnaSlr (lúr). L' figlia di Adenolfo
(iî36)
(l)
4, ó)
Lotario
Iltatalona di Mattia di Adcnolfo De Papa (r)' aiPotc di Bonifacio VIll, rn. (l3ol)' Ncola di Teobaldo Anibaldi (Arc.Vat., Res. 50, f. 27s)
4
0)
0) Filippo
Mattia
1068
-
dcl cap. XXXIX.
(2)
(1.,f)
Rinaldo
Prob. uaa figlia
Agnora
tl
o sorot Alexaniltl IV "
f
1254-1261
ALESSANDRO TV
conte palatino.
..... di Guarcino
t2E4 aat.
n"*" tc"le di tig. di ll. Gli credi vcndono
(Patraero)
Icnnc
Sba-llu
al card. Benedetto
Caetani.
Ramo C^AETANI
Ramo PATRASSO (ó)
Bencdctto
Petraro
(ó)
(5, ó)
Emilia Patrano
Pictro (Patrano)
ú.
1229 c. Caetani 1270 c.) 1222) fratello del vercovo Pietro
A.rciúcccovo
Rofircdo
(5, 6)
(5)
Lconardo
Patrauo
f r3il. xu.j Cardinah
di
Albano.
altri 6gli vivi nil lrlt.
Bencdctto Cactani
BONIFACIO VIII 8. t2to c. f tro:.
(f
I
(t
Roffrcdo II
x
Cactani neo
Càetani chc prob.
'f
Coote di Caserta: da lui
dircendono i Caetani di Scrmonaa 1)
Dc Mag. Aab. àrc. Caa. z) Arc. Vat.
2)
ll, o. 2lO.
a) Contclulus. 5)
6)
Tat.di lan. Putreg, Mornl.
Domus,
l,7.
sposa Adcnolfo
D. P+"
avo
di
Mataloaa
I PARENTI DI BENEDETTO CAETANI
50
Ub. I, Cap. Vll.
una 6glia che sposò Catenazio o il di lui figlio Vernazzone di Anagni. u) g) probabilmente una figlia che sposò un << De Papa ,,,. ramo della famiglia Conti. b) I Caetani d'Anagni erano non solo imparentati con i Conti di Segni, con i De Papa e gli con Orsini, ma anche con gli Anibaldi e con I'altro ramo della medesima famiglia detta " da Ceccano > ; ") così pure i Patrasso, gli Amatori di Todi, i Catenazio di Anagni, i Bussa condomini di Selvamolle, i signori di Sgurgola (anch'essi probabilmente della famiglia Conti), e molti altri sono da annoverare tra i parenti o consanguinei dei Caetani d'Anagni. Non abbiamo conoscenza precisa di tale parentela, perchè scarsa è la documentazione di cui disponiamo; però sappiamo che in quei tempi assai limitate erano le comunicazioni con altre parti d'ltalia e che di conse$uenza tanto il nobile quanto il popolano, di preferenza, sceglieva per moglie la giovine figlia del vicino. Le famiglie, di cui si è fatto il nome, da quasi due secoli erano vicine di casa in Anagni, in contrada Castello e quindi è piùr che naturale che fossero tutte imparentate tra loro.
f)
a) Vernazzone, Guernazzone o Gernazzone furob. peggtorativo di Bernardo e Bernardino), nipote del papa e testimonio nel procesco di Avignone, deve essere lo stesso Bernardino o Bernazono di Catenazio che si ritrova in vari istrumenti (Cf.
Dígatd, tooz, soot). b) Difatti Matalona di Mattia di Adinolfo (Conti De " Papa n) era nipote di Bonifacio VIil. ll 2 ag. l30l il papa le concedeva licenza baldo Anibaldi
di contrarre matrimonio con Nicola di Teo-
de Utbe malgrado il loro 40 grado di
consangui-
neità; il che fa presumere una certa affinità anchc tra e gli Anibaldi (Dísard, Reg. Bon. VIU).
i
Caetani
c) Pietro Caetani aveva sposato Giovanna da Ceccano, nella eui faniglia quella degli Anibaldi si era trasfusa verso la 6ne del secolo XIll. Nel tZgO Bonifacio VIII, forse perchè parente, véniva scelto quale arbitro nella questione sorta tra i nipoti di Anibaldo . Maggiore r per I'eredità del cardinale Riccardo, fratello di guelto ; Bonifacio in tale sentenza dichiarò (Z maggio) di agire tanto come papa quanto come Benedetto Caetaoi
(lrc. Vat.,lwu.
Misc.270).
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Captrolo VIII.
GIOVENTÙ DI BENEDETTO CAETANI. (1230-1282)
N tali condizioni di ambiente e di parentela, verso I'anno 1230,
nacque
Benedetto Caetani.
Alcuni hanno voluto fissare per la data della sua nascita I'anno 1217, ma il Finke nel primo capitoto della sua opera r) fa un'accurata analisi della questione, provando che Bonifacio VIII non poteva aver superato di molto 70 anni il giorno della sua morte. Nacque in Anagni, e certamente nell'antica casa dei Caetani in contrada Castello, in vicinanza della cattedrale di S. Maria, ove si era fissata la famiglia sin dal principio del Xil secolo e nella località medesima in cui Benedetto, divenuto papa, volle che sorgessero i palazzi dei nipoti e quello pontificio. sua gioventù non si sa quasi nulla. V.":t: Dei primi ?:'::,i:t ",1',:; "..i Tosti, Èurundori sul Theuli, 2) che fosse educato nel convento dei frati minori in Velletri ed affidato alla cura di Leonardo Patrasso suo cugino; il Du Boulay, non so con quanto fondamento, afferma che si recasse a Parigi ed in quella 3) presso Adinolfo Conti, canonico di università a lungo studiasse il diritto canonico e civile Nòtre Dame, ma di ciò non v'è alcuna indicazione precisa. Cominciò la carriera ecclesiastica in Anagni dove fu canonico; ma non molto dopo che lo zio Pietro fu nominato vescovo di Todi nèl 1252, in età di poco piùr di vent'anni, si recò presso di lui a proseguire gli studi, ospitato ora dallo zio e ora da Ragnutíus Amatoris,4 il quule avea per moglie domína lacoba,
ffi1"ff
tl
i'b
a) La famiglia degli Amatori o Amatoni, a volte scritta Amati o Armati, seppure di non grande nobiltà, è una
che verso
Il
anche
delle più antiche di Anagni ed il suo nome si riscontra con frequenza nelle antiche pergamene. Il norne di battesimo Amato ricorre di cóntinuo nella famiglia Conti sin dal principio del se' colo Xll: quindi si potrebbe arguire che vi siagualche legame di sangue lra le due case, e che cioè gli Amatoni discendano da qualche Amato Conti. G. Marchetti Longhi (lrc. S' P., XLVlt, p. 267) ha rintracciato la probabile genealogia di questa famiglia che forse può farsi risalire a quel Gregorio Amati
') Aus tlen
Tagen BoníJaz
VM.
la 6ne dell'xl sec. sposò Marozia Crescenzr. l) parlando di Rainuzzo è perciò caduto in
Finke (p.
errore facendo la pungente ed ingiuslificata osservazione: Nut zum Tell erschelnen ilíe Gaétani und íhte Veruandten ín ootnehmerer Stellung,
Può darsi che questi sia stato zio di quell'lnatot lohannls mìIes anagnlnus che nel 1295 fu nominato vicario generate della' Chiesa in Tuscia, u6cio ehe ritenne probabilmente sin verso il 1300, giacchè ne abbiamo memoria nel 1296, 1297
anche podestà
2) Teatr. Slot. dì Vellebí, Il, Cap.
5.
di
e
1298.
Tuscania (Toscanella) quando,
s HisI. Uníoet, Patls., lll, p. 676.
Nel
1297 era
il I di luglio,
Educazione.
CIOVENTU DI BENEDETTO CAETANI
52
Lib. I, Cap. Vllt
di Benedetto. Andò nelle scuole di Roucheri (o Bartoli ?), dottore in legge. ') Ebbe per compagno di studio Vitali, che fu priore di S. Egidio e che, dopo la morte di Bonifacio VIII, si ricordò degli anni vissuti in comune per riversare su di questo le più odiose consanguinea
accuse.
dal maestro Angelo di Perugia e, quando fu scolaro in Spoleto (ciò che dev'essere stato dopo compiuti i primi studi in Todi), frequentava la casa del maestro Arnaldo e di maestro Teobaldo doctor íurÍs. Rimase affezionato e grato a quanti gli avevano impartito i primi insegnamenti e, diventato papa, fece ricerca di loro per ricompensarli. L'animo forte di Bonifacio era altrettanto tenace nel non dimenticare un benefizio quanto nel non per2) donare un afironto ricevuto. Benedetto rimase in Todi per vari anni, come ricorda egli stesso, ") e viveva in una casa 3) Per la sua intelligenza e coltura si meritò la stima e la benevolenza adiacente alla cattedrale. di tutti. [-o zio Pietro, valendosi delle affinità di sangue che univano i Caetani alla famiglia Conti, implorò ed ottenne che Alessandro lV gli concedesse un canonicato nella cattedrale di Todi, e I'otto giugno 1260, il papa scrisse ai canonici invitandoli a contentare il vescovo; ma essi risposero che i loro statuti non permettevano tale nomina per chi avesse solo I'ordíne di a) diacono, onde il papa con altra lettera autorizzò i canonici a derogare ai loro statuti. In seguito a ciò, nello stesso anno, nel coro della chiesa di S. Maria del Vescovado, si riunirono Goffredo arcidiacono, messer Bartoli íuris cioíIis professor, maestro di Benedetto, messer lacopo Gaíetaní,b) probabilmente stretto parente del vescovo, Maccabrino canonico di S. Govanni de platea, messer Rustico priore, messer Bonafidanza arciprete di S. Teren-
Fu
educato anche
ziano, messer Ugolino di Bonifazio e messer Bonavero di Ugolino di Zurcio, canonici, per rice' vere concordemente e liberalmente il giovane Benedetto, priore di S. Illuminata, quale canonico e fratello della chiesa di S. Mari a e Io mísero in possesso personalmente dello stesso canonicato e deí díríttí del canonicato suo col bacío della pace e anche con le tooaglie dell'altare.5) Come dicemmo prima, Benedetto si trovò a Todi nel 1254'1255 quando il comune, di sentimenti ghibellini, si unì a Mattia Caetani ed alle truppe imperiali pet muovere guerra contro
il
popolo volle conferire a Bonifacio rettore a vita della città (lrc. Vat.,
Vlll la carica di podestù e
Todi da Bonifacio
AA. Arm. I-XWI'
C
3577 ;
llol
troviamo: Amatus dominî lohan'
nts mlles anagnlnus, olcatlus ln Anconílana Matchia
genetalís
pa
ln dlcla
magnífcum ohum domínum PeIrum Gaglanum,...
Matchta generulem reclotem, ln altra lettera del medesimo mese viene detto Amatonls (Doc. St. It., lv, p. 552-4). Nella vendita di Capo di Bove appare tra i testi u Amalono domíní Iohannls domînl Amatonri ", Figlio di questo Amatone rarà stato quel Giovanni Amati che, al tempo della norte di Bonifacio VIll, era vicario per Benedetto Caetani conte palatino, rettorc dellaTugcia (Zapp., l, p. 449t Dígad, n. 1845; Saolgnonl, Arc, S" P.,XlX; Atc. Val,, 50,f. 402, caP.275). È probabilmente per la parentela tra Rainuzzo e Booifacio VIII che querti
il 29 marzo 129E, confetmando al díl*to flío
nobíIl
tho lacobo dícto Armalo, míIilí anagnlno, nepll noslm b r,ea' dita fattagli dalle moaache di S. Maria io Viano di una ccrta caca in Anagni (DígatìL, * 2467), lo chiama tuo nipote.
Nicola Armato, canonico
r)
Dupu,t,
Ate. Caet, An.,
di
Reirns,
fu eletto
veecovo di
528. \ MohI. K., p. 147, 262(l9)t t) Cecì, P' 287, 17.
p.
apúle 1297, clezione che di pcr parentela (Leonlj, p, 7l;
un indice di
Ughcilí).
Cf. Pflusk, p. s72).
Nel settembre del
VllI il zl
stes-.a sembra ess€re
Fínhc, p. 8.
a quanto è detto sopra sono del parere che queo Armati appartengano tutti a un'unica famiglia e riano pareoti dei Caetani.
In
base
sti Amatori, Amatoni, Amati L'apparente diversità gazione nel fatto che
i
del cognome può trovare una
spie-
notari lo modeltavano talora alla seconda,
talora alla terza declinazione. Cî. Amalus domínl lohannís, (Re. gesla,l, p. 166)t l*o Amatonls de Guarcîno, (6f, p. lOg),' noúÍfs Amatonís lohannîs ìle Anagnga, procuratore di Roftedo Cae-
tani,
(/uf p. l7a); Pema Armala, (/rrd p. 180); etc. pass.. t) Nos aulem slalus et cylinilí!íonum cíoìlatls elusdem ple'
nam nollllam ob!íncn!*, curn ín ca dudum clrca nosbe íuoen. tutls pímoùlía moram non modlcam iluxerlmus conttahcnìlam.
(Dtgad, N. $l). b) Questo canonico Giacomo aesai probabilmente era un parente del vescovo Pietro e non è da escludere che poca essere stato quello steuo Giacomo a cui il cardinale Aldobrandino Caetani, ruo zio,
rcl l22l ")
aveva tra:fcrito la prebenda di S. Susanna (Cf. p' 3e).
Dupuu,
p.
55g.
a)
Zopp.,l, p, ?V9; Atc. Toilí, cit.
Dimora
Ir252"12e8]
in Todi
53
Orvieto, Perugia ed il partito guelfo. È du ,uppore che Benedetto seguisse la linea di condotta del vescovo Pietro, guelfo per necessità, ma ghibellino nell'animo; ciò che ci conferma lo stesso Villani con le parole : ... e mentre ch'era cardinale fu loro protettore (dei ghibellini), e specialmente dei todíni; ma poichè fu fatto papa molto si fece guelfo, e mollo fece per Io rc Cailo nella guerra di Cicilía, con tutto che per moltí saoí sÍ dísse, ch'eglí fu partítorc della parte guelfa (var. sotto I'ombra dí mostrarsí malto gueuo) come ínnanzí ne' suoi pîol) e tanto fu ghibellino cessí manifestamente sí potrà comp,rendeîe per chí sía buon íntendìtorc, d'animo che, come fu accennato prima, in una delle baruffe di parti rimase ferito nella testa
dai
guel6.
La bella memoria che lasciò di sé il vescovo Pietro, il lustro del nome di farniglia ed grande il ascendente che venne ad acquistarsi Benedetto con Ia elevazione al cardinalato, val' sero a far chiamare il fratello di lui Roffredo a tenere I'ufficio di podestà di Todi per un semestre, cominciando dal I decembre 1282. ll primo febbraio venne personalmente in Todi. Il 5 giugno nominava come vicario il nobile messer Catenazio di Anagni; ciò fa supporre che continuasse per il secondo semestre nella carica di capitano. D I suoi giudici furono Pietro de Sero e Nicola e Leonardo di Guarcino. Benedetto serbò sempre grata memoria di quegli anni; come cardinale andò spesso a soggiomare in vicinanza della città nel castello di Sosmani 3) e, diventato pontefice, riversò i suoi benefizi sulla chiesa di Todi a) ricordandoz che Ia copíosa benígnítà della chíesa medesima un tempo faoorì e trattò come fíglío e nutri e allattò con Ie sue materne mammelle noi che, ancora ín mínore dígnítà, uscíoamo dal suo onoreoole grembo.') E nella bolla del 20 settembre 1295 diretta al vescovo e al capitolo così si esprime : E per oerítà mentre oolgíamo íntorno gli occhí noshí e da ogní parte con Ia fona della mente consídefiamo attentamente Ie condízíonì delle chíese, con maggiore attenzíone dírigíamo glt aleUt della nostra sollecitudíne e ín modo piìt speciale apríamo Io sguardo della carità uerso Ia città e Ia chíesa tudertína, Ia quale chiesa appunto faoorì come figlío noi già ríoestítí dí mínore ufrcío come membro del suo collegio e finalmente promossì o píìr altí uffz| da madre dioenuta figlía, cí ama e fioerisce come padre.b)
Donò alla mensa vescovile ed al capitolo i beni del soppresso monastero di S. Angelo delle Fontanelle, elargì somme cospicue per restaurare Ia cattedrale e concesse molte altre grazie che vengono enumerate dal Ceci.5) Sottrasse Todi alla giurisdizione del Patrimonio, ponendo fine in tal modo ad una questione che da piùr di mezzo secolo teneva in agitazione I'animo
dei cittadini. Nel gennaio del 1297 fu eletto podestà di Todi come Benedetto Caetani, cioè come cittadino privato, e non già come pontefice. Donò una campana alla cattedrale; il 2 maggro 1298 confermò la vendita di Montemarte fatta al comune di Perugia e poi a quello di Todi da Leone, Pietro e Farolfo del fu Andrea di Montemarte.
ù
Quoil elusìlem Ecclesíae
copíosa benîgnílas nos
ln mlnoúbus agercmus de ípsíus honorabllí gemlo
olím dum looíl et
exîslentes
traclaolt u! filíum, maletnís fooít e! Iaclaoít ubertbus (Boulag, cit. Tostl, I, p. 40; Cl. Dígatì|, n. 400, cit. Fún[e, p. 4).
b) Sanc dum leoamus ln cítcullo oculos noshos el slalus ad cíoítalem et
eccleslarum uadlque mcnlís acle conlemplamu\
5)
r) Ub. Vlll, Cap. VL
p.284'
2)
Cton.
Ailî, cit. Cai, p.
l72t C- lll.l.
eccleslam luderlínam, quae quldem Ecclesía nos iludum ín mínort conslílulos offclo, utpole sul membrum collegit fooít ut fittum eI landem ad malota prcoeclos, facta de mabc filia, illltgít ct rct)ctelur ut Paben, sollícítudínls nosltac sluilía potiorlcontemplatíone dftígímus c! charíla!ís olsum speclalîus apefimus etc.
(Arc. Toàí; C-ul.l). n
Dapstt, p. 528, 529. Deuo anchc
.*.fuíono?
r) Cî, Tqtí, p, 43.
Gratitudine veno Todi.
GIOVENTÙ DI BENEDETTO CAETANI
Lib. I, Cap. Vlll.
sentimenti shibellini. ó'ree'rur'
Diventato papa dovette abbandonare quei sentimenti ghibellini che avevano colorato la prima parte della sua vita; non perchè in lui fossero mutate Ie convinzioni di partito, ma perchè I'alto ufficio al quale era stato chiamato imponeva a lui di difendere la Chiesa e I'ltalia stessa dalla egemonia di sovrani stranieri. Fu quindi awersario accanito dei ghibellini, partigiani dell'imperatore, dei Colonnesi e di Filippo il Bello. Con Todi però, ove da giovane si era battuto a favore del partito a cui apparteneva la sua famiglia, non volle usare quella durezza di cui non esitò a dar prova in ogni altra occasione. Fedele all'amicizia come crudele con i nemici,. non volle inveire contro quelli che gli erano stati compagni negli anni della gioventìr. Perciò usò una politica larga che, pur Iasciando ai ghibellini il predorninio nella ghibellina Todi, non permise a questi di opprimere il partito della Chiesa. Quantunque i guelfi non si dimostrassero contenti, tuttavia la benevolenza di Bonifacio VIll fece del suo pontificato I'epoca aurea del comune di Todi. I partiti vissero in relativa armonia o almeno con represse animosità, accomunati da opportunismo politico, tanto è vero che i ghibellini presero il nome di ghibellíní dì pafie ecclesíaslica, o della Romana Chiesa. Il 25 novembre 1296 deliberarono di iscriversi tutti in un libro per distinguersi dai veri nemici di Bonifacio VIII, e di far dipingere le armi del papa sulle facciate delle proprie l) case. Gli intransigenti furono messi all'indice. Ciò spiega le sopraccitate parole di Giovanni Villani e dimostra che le debolezze dell'animo umano si sono mantenute singolarmente costanti dal
XIII
secolo
ad
oggi.
Bonifacio VIII, memore sempre de' benefizi ricevuti, volle visitare la città, dove aveva trascorso i piùr belli anni della vita, cioè quelli di studio e di meditazione durante i quali la sua mente si era maturata. Nel 1298 vi si fermò per dieci grorni. Da parte loro neanche i todini si dimenticarono delle grazie ricevute dal riconoscente pontefice; ne abbiamo la prova nel fatto che nel. libro degli statuti, compilati nel 1337, fu imposto che nessun forestiero potesse comprare un pezzo di terra nel territorio comunale ad eccezione dí quellí della Casa del sígnore Bonífacio VIII che oolíamo (tuui) aoere per cíttadíni di Todi.2) Ultimati gli studi a Todi ed in altre scuole, Benedetto Caetani si trasferì a Roma ove, al contatto dei negozi della curia, il giovine prelato andò rapidamente acquistando credito e, per la non comune coltura, attirò I'attenzione dei pontefici su di sè come su una delle perso-
nalità piìr notevoli della corte. u) Fu creato canonico di S. Pietro e ricevette numerose altre prebende, che vengono ricor3) Nominato notaio apostolico e awocato concistoriale, nel date in una bolla di Martino IV. 1264-1265 ebbe il primo incarico politico che fu d'accompagnare come segretario il cardinale Ottoboni Fieschi (poi Adriano V) il quale si recava in Inghilterra presso il re Enrico per offrire al figliolo di lui il reame della Sicilia.
.*
.ùù
Dopo aver brevemente accennato alla gioventir di Benedetto ed ai primi suoi passi nella carriera ecclesiastica, dovrei ora parlare di lui come cardinale e come pontefice. Il compito, per quanto grave e difficile, sarebbe attraente perchè, dopo la pubblicazione degli Acta Aragoo) Il card. Giacomo Stefanechi suo contemporaneo ed amico, così si espime nell'Opus melrícum: Ebbe mente eleoata, feconda giooínezza e ilocíIe íngegno. L'accortezza peîspícace, la condíscenilenza pronta, Ia sìcuta prudenza nel patlate pubr) Cî. Cecí, p,356.
2)
C-206, cit. deni $atuti
stempati an,
blícamente aí ptesulí, fecerc la shada pet Ia quale conilollo ln alto doùeoa etescere. Otlenuto quíndí I'ufrcio dÍ scilba del papa, ttat-
tanìIoluttÍínegozi,chíatoneldellarc,Ieoítasaceilote,ilsplendelle
assaíunlempoperíltítolocatdínallzloelc.,,,(Mur.,lll,p.643.)
1549.
3)
Rubeus,
p.3.
F
b
a Eqs-
È- È:
! i
F264-t2e4l
lnizio della carriera
e di altri documenti recentemente venuti alla luce, sarebbe assai opportuno che la storia di Bonifaeio VIII venisse riscritta da capo a fondo, nonostante che il soggetto sia nensict
del Finke
già stato trattato ampiamente -da vari scrittori di vaglia; ma non ho alcuna intenzione di assumermi le veste di storico e, fedele al mio programma, mi piopongo soltanto di raccontare in gueste pagine, modestamente ed a mio modo, la vita intima dei nostri antenati. E perciò, del grande papa mi limiterò ad analizzare I'animo ed il carattere con speciale riguardo ai rappo*i con la zua famiglia, adoperandonii a ricondurre entro giusti termini la figura dell'uomo che, purificato di ogni magagna umana da' suoi ammiratori, è stato dai nemici tuqpemente ed ingiustamente insozzato col fango'delle calunnia.
Caprrolo IX.
BONIFACIO OTT.AVO. (1294-1303)
t
Nnssutto storico antico o moderno ha saputo meglio di Giovannr Villani scolpire con poche ed incisive parole Ia natura di questo grande pontefice. Venuto con la sterminata turba di pellegrini per il giubileo, fu così compreso dalla grandezza dell'antica Roma e dalla importanza degli awenimenti di quell'ora che si sentì ispirato a compórre la sua famosa cronaca. Egli vide Bonifacio VIII con i propri occhi, forse lo sentì parlare, udì la gente discuterne e dirne male, ma fu anche in grado di rialutarne le qualità.
L'arguto fiorentino che, Pur prosternandosi davanti al sommo pontefrce, si sentiva a lui legato da tutt'altro che spirito partigiano, così si esprime a riguardo di Benedetto Caetani:
Suo carattere.
Bolla plumbea di Bonifacio
a'
e
Vlll'
Questo papa Bonifuzío fu sdoissímo di scríttura e dí senno natutale, e uomo molto aooeduto e pratico, e dí gtan cono'
:#:X;n:i"::':';::'i";;::::'": :i:'1t:r';:";
" Íu'ÍfTlo," Santa Chíesa.... Magnanimo e largo fu a gente Úalorcsa, e che dí ragíoní e molto Io stato Ii píacase; oago fu molto della pompa mondana secondo suo stato e fu molto pecuníoso non guarilando né facenilosi grande né sbelta coscíenza d'ogní guadagno per aggîandire Ia Chtesa e í suoí níPoti. ") st'oì nemiei
aúoersarí;
ìll ganile ardlrc e alto lngegno, e guldaoa la Chlesa a suo d (Lib. VIII, cap. 6a). E nel cap. 6z Molto fu ma' tnoilo,eabbassaoachînonlíconsentta...i(eap'254)"Dellasua manben e seppe otpte, molto gnanímo c sîgnofilc,e tollc motte moÚl ne futono contenlî c allegí, puchè crudehrcate teg' pet suo saIo c Chlesa; della raglont Ic .,ùanzare c tcnete geúa, c accendeoa guene, ilisfacenilo moila genle e taunando assal pccunîoso molto fu pere e poterc molro fu tidoilalo e lemuto ; 'per lesoro: e sp*lalnente se ne rcllegtarono I Bíanchi c ghlbclllnl' coscícnza parentl; rmn facendo ChÍata e' suol 'at aggtandírc la petchèercIotorrrilía(enîmíco:ma lNen'sc neeonlistoroassal. g;iaog*, che tutto díceoa, ck -gIí aa lícîto quel, ch'cta E nel proceroo di Avipone venne detto chc:... proplcr clur dclla Chíesa. atque planlíom catilínalesilubltabanl atm atguere austefitatan Bonífaclus FIfc E Benvenuto d'Imola (Inf., cant XD(): el cî rcsístetc cum efectu. ct rcpekndae, quam scqdolant, plus ilrlr:al inímo, gencîe, mrtgnus fult nobtlk quoil rcmanl cl alli oÎclnî etanl omnes slmllÍlct Itan ... pailenlla domlnatlous, amatot honoús cl stalus eccleslae; et sua el ausledtalem tîmentet, (Dupug, p. aal)' efus rruilclílaletrt ampecunlosus oaltle, ct potenua mu1lum fuít formlilatus, fuít qal expeilus fuil tom In lemporuItbus quam sFI' multam Isle omnía quoìl lícílum allegans conscÌenlta pleclens sine 'faccrc luoa rtfualiibus, auìkn homo ea Potenleî ponl(ficans. (Mon. Ge'. Hlsl' pto craltallone ecclesÍac ; magnîficaolt ct dltdolt suos. SS', xxw' p' 261)' p' %): ",fu Dino Compagnr netla zua cronaca (Vol. ll,
Accuse
F2e4-r3rol
57
Ebbe alcuni amici fedeli e molti nemici potenti. La brutale imposizione della propria volontà scosse le ambizioni, la vanità e gli interessi de' suoi nemici. E questi per nove anni dovettero far tacere il loro odio sino al giorno che, avendogli la morte velato la luce degli occhi, si riversò sulla memoria di lui la marea delle grida che I'imponenza della persona sacra. aveva tenute represse. Non era appena rinchiusa nel sarcofago di marmo bianco la salrna del papa, che i nemici Dupuy e gli atti del procerco' insorsero come un essere solo per distruggerne la memoria e disperderne le ceneri. Il processo contro Bonifacio VIII diventò I'idea fissa di Filippo il Bello, I'anello di salvataggio di Nogaret,' lo sfogo alla vendetta dei Colonnesi. Passarono sette anni e finalmente esso venne imbastito nel momento stesso in cui si stavano tirando le reti che dovevano raccogliere i tesori dei Templari
e legare questi al
rogo.
Vennero chiamati a raccolta i testimoni e prescritte loro le accuse che dovevano formulare; poi davanti al tribunale, costituito dal collegio dei cardinali intimoriti e diffidenti, fu riversata a carico del defunto pontefrce una fiumana di imputazioni che in massima parte non erano altro che abiette e ridicole calunnie. Simonia, furto, omicidio, lussuria, incesto, sodomia, magia, eresia ! ! Ogni possibile infamia venne esposta davanti al tribunale e registrata negli atti con una uniformità di parole e di concetto che recherebbe meraviglia se non ci fosse ben nota u) Calomníez, calornniez, íl I'attività coordinatrice che il Nogaret svolgeva dietro le quinte. restera toujours quelque chose ! sembra essere stata la parola d'ordine. E così fu. Con tutto ciò il processo morì d'anernia, ma gli atti, rinchiusi in casse nell'archivio nazionale di Parigi, furono tratti dopo tre secoli alla luce dal Dupuy e pubblicati in un grosso volume: soltanto però quelli relativi alle accuse e alle calunnie, perchè il Dupuy quando arriva agli atti
l) li
omette, scrivendo: Après fuít un grcnd écrít produít par ceux quí d"f""doient la memoíre de Boruface, Cet écrit remplg d'allegations ínutíIes ne merite d'estre extrait, moíns d'estre coqié. b) La compilazione del Dupuy fu eseguita con molta cura, ma con marcato spirito partigiano a favore di Filippo il Bello. Gli atti d'accusa, hanno un grandissimo pregio: essi sono stati sinora quasi i soli documenti pubblicati che dessero ragguaglio sulla vita intirna e famigliare del pontefice e sugli intrighi della curia: quindi risaltano con viva luce in mezzo alla fredda ed arid" prolirsità dei brevi, delle bolle, dei trattati di teologia e degli oscuri registri. GIi scrittori della vita di Bonifacio VIII sono stati tentati di trarre da questa fonte il materiale per colorare le loro opere, col rischio di dimenticare che si ha dinanzi un deliberato e ben concertato programma di calunnie messe insieme per scopi politici e per vendetta. A volte
della
difesa.
Pecché plus oníl:Ie, ne greggnur oíIegnic
a) Pietro di Langtoft nel suo CÀronÍcon Rhgthmícum, cica I'anno 1320, così riferisce quanto aveva inteso dire: Entte
ces afetes graunt conlrcùerslge
Enbe lug teg de Frcunce, sírc ìle Segnt Dín'ge Et Bonlface Ia pape s'en leoa par hatgc
Lug
rogs oers I'apostoglle surmlst' hcrcsge Pccché sodom!1en, usuîe et símonlùe,
Ettou el
mesctcauncc
en gilolabge,
Raoínc tle scgnte eglíse, frauile et bugetíe Morgnc patdutable de almc am dc o!1e:
De telc mesoeaunce 11
e. 5t2.
Domur,
I,
De chef ile segnte cgllse fust unlles mes (Mon. Get. Hrtf., 5S., XXvllI, p. ó60.)
8.
Phelippe
Ia
pape escrye;
b) E a p. 5l4l Ce qul
oge
suít ilans lercgistre ne metílc pas exlraí\, n' eslanl guc des cítatíons de droít canon, et de passages índuits mal et ínutíIement par les defendanrs de Bonífoce. Et iI n'g esl baíté que du poínt des témoíns. Nella intestazione della bolla di Benedetto XI (p. 232), in cui condaana I'attentaio di Anagni, il Dupuy *rive: BuIIe du Pape BeneilÍct, pat laquelle aptés aoot *ageré (sicl) Ia cap-
d'
estrc copîé ng
turc
du
Fape Boníface
et le ool du besot elc....
BONIFACIO OTTAVO
58
il
desiderio
di dare una nota piccante al
racconto
Lib.
l,
Cap. lX.
ha velato I'equanirnità di alcuni
storici
tedeschi. ")
Solo recentemente per opera del Finke è stata portata alla luce negh Acta Aragonensía la preziosa ed interessantissirna corrispondenza diplomatica di Giacomo II d'Aragona che, quantunque del tutto confidenziale e non scritta con animo favorevole al pontefice, tuttavia, non contiene alcun accenno alle vili calunnie diffuse ad arte dai Colonnesi e dal Nogaret.
-v/ Statua di Bouifacio
ilì{
VIII
nel duomo di Firenze
(Andrea Pisauo?) b)
A titolo di curiosità
riporterò nelle pagine seguenti alcune delle dicerie fàntastiche, che si facevano circolare a bella posta durante il processo di Avignone, sicuro che verranno stimate per quel che valgono. Ma è tempo ora che, lasciati da parte tanto le apologie quanto il cieco spirito partigiano, si dia una vera e fedele immagine di Benedetto Caetani quale fu, uomo e pontefice, con tutti i suoi difetti e con tutte le sue grandezze, peccatore di gtand'animo come Io volle chiamare Benvenuto d'lmola. Al coatrario, il Finle casì siesprimcribattendoleaccusc: il prof. Roberto David:ohn che dch eln solcher Sumpf oon Rohelt und Gemcínhcít, ofatbart Hlet innocentemente, forse creduto, ha Floteaz oon nella GescÀfcÀte dass fteín emster Hlstofifter úagcn uild, aus díescn Angaben so a guasi tutte le fantasticherie c calunnie preparate da quel notorio bugiardo del Nogaret c con ciò ha dimoshato una deficienza ùerhon,meìer Menschen ScÀliissc zu zlehen (p. Zql). b) Statua acquistata da rnio padre e donata al duomo. di critica storica che moho dimiauisce la monumentale sua opera. a) Corpicuo tra qu6ti è
Carattere
[12e4-1303]
59
*:$ Benedetto, uomo della Campagna, nato ed educato nei monti della Ciociaria, in tempi in cui la vita era ardua e îozza, fu il tipo de' suoi tempi in cui, al dire del Tosti, glt ltaliant... sotto ruoida scoîza, recaoano cuori capací dí grandi fatti. Di alta statura, misurava sette palmi e tre quarti; Ia testa non era eccessivamente grande, Ia
Suo fisico.
fronte ampia, le sopracciglia pesanti, Ie guance tonde, le orecchie poco sporgenti. Portava la faccia rasa e negli ultimi anni della sua vita diventò un poco calvo sull'alto della testa. Robusto di corpo, aveva i denti forti e sani e solo due dei frontali gli mancavano quando morì; la l) faccia aveva I'espressione severa; le mani belle e lunghe con le unghie affrlate. Ancora cardinale, ma soprattutto durante gli ultimi anni della vita, fu tormentato dai dolori strazianti del mal della pietra che, dopo averlo più volte condotto sino all'orlo della tomba, furono causa della sua morte. 2) Le solferenze continue, esasperandolo, influirono sul suo carattere, sul suo morale e persino sulle sue azioni: ciò che costituisce un fattore nella storia di questo pontefrce che sino ad ora non è stato sufficentemente valutato. L'animo corrispondeva al corpo: forte nei sentimenti, franco, rude e violento, ebbe Ia narura despotica di un monarca, piùr che lo spirito di un uomo della Chiesa. Odiò la falsità e la dissimulazione che considerò Ia veste dei deboli. Egli, che non ebbe paura di nessuno e che tutti temevano, volle sempre lottare a viso aperto e cercò di schiacciare i suoi nemici invi' diosi come si schiaccia un serpe. La parola riproduceva il suo animo: romanesco ne' modi, ebbe quel grado di brusca e sarcastica franchezza, caratteristica dei romani che un forestiero sarebbe inclinato a tacciare di volgarità. Fu .. sboccato >, come si dice a Roma, e non esitava di gridare ad alta voce il suo pensiero, inveendo chi Io contrastava con le parole di: asino! bestia ! meretrice ! senza riguardo all'altissima posizione sua o di chi gli stava di fronte. ') Si compiaceva negli scherzi di parole e nelle esclamazioni facete. Avendogli il cardinale Govanni Le Moine (Monaco) di Piccardia detto in un concistoro di Anagni i " Tu non chiedi íI consiglio dei cardínali, come è dooere dei pontefici, ma ne chiedi I'intsíto consíglio rr, il papa montato sulle furie esclamó: ,, Píccardo, Piccardo, tu haí una testa píccardíca, ma per Do io pícchíerò te e farò ín ogní cosa iI mío oolere e non I'abbandonerò per te o per tuttí quelli che sono quí, come se foste tanti asiní. , 3) Saggi vivi e precisi della sua oratoria si hanno nei discorsi che pronunziò nel concilio nazionale tenuto a Parigi alla fine del 1290. Insorto era il clero di Francia contro la bolla Ad fructus uberes di Martino IV in favore dei frati mendicanti. Il cardinale Benedetto, legato pontifrcio, tenne testa fieramente a quanti reclamavano l'abolizione del privilegio e sospese dall'ufficio il vescovo Enrico di Gand, che alle sue spalle tentò di ribellargli altri del concilio. Il giorno seguente, 30 novembre, Benedetto rimproverò i maestri, che chiedevano la gtazia del vescovo Enrico, con Ie seguenti parole : u Voí, o maestrí di Parigi, rendeste e rendete stolta Ia dottrina di oostra scíenza, né emperalor né rcge chí ool allrí se sía, da te non se partía senza cruìlel feire.
u) Glielo rimprovera fra Jacopoue da Todi con le parole:
O
lengua macellaía a dícet oíIlanía Remproperut ùergogne
(Jacopone, Laude
Con gtanile blasfemía,
r)
Ricoguizione del corpo: aq.
1605; Tosll,ll,
p.333.
?) Cf. Cap.
XV'
LVlll, p. l3l).
a) Dupuu' p.139'
Linguaggio immoderato.
Lib. l, Cap. IX.
BONIFACIO OTTAVO
turbando Io stato della Chíesa unioersale. Sedete ín cattedra e credete che Crísto sía retto dai oostri ragíonamentí... llon cosi, o mieí fiatellí, non cosi ! Ma poíchè a noi è afrdato iI mondo, dobbíamo pensarc non ciò che torni conto a ooi chiericí a ttostro piacere, ma cìò che giooí aII' unitterco íntero. E cosi ín ooi sí adempie iI detto: u Coloro che dícono sé essere sapientí son dioenulí stolti, ,, L'uníoersítà deí maestrí, conclude il diarista del concilio, ficeúuta Ia benedizíone a capo chino, fitornò aIIe propríe mansioní.... AIIora dísse maestro Eustachio, un certo zoppo: ,,. Ecco quanto furono oalidi e fermí glí argomentí da dieci anní messi su daí maesti, ín guísa che per Ia parola
di un sol cardinale tutti sono statí demoliti ! " E allora il oescotlo d'Amíens confuso uscì, mentre tuttí grídaoano alle spalle di Iuí: u Va cum Dieu, úa cum Dieu I ,' r) E così i/ prioilegio rimase oalido nel suo oígore.2) Diventato papa non trattò i cardinali ed i re in modo piir riguardoso di quel che aveva usato verso i maestri di Parigi. Nell'inverno del 1293 Carlo ll, ve' nuto a Perugia, ebbe I'ardire di sedersi in conclave tra i cardinali Napoleone Orsini e Pietro Colonna e di consigliare il sacro collegio a decidersi al più, presto nel trovare un successore a Nicolò IV; il Caetani, che non poteva sofirire Ia pericolosa ingerenza di un prinòipe vassallo della Chiesa, lo rimproverò con acri parole, ") di cui il re deve essersi ricordato piùr di una volta quando trovò i suoi destini dipendere da Bonifacio VIII. Coll'andare degli anni il sentimento della propria illimitata potenza lo rese ancor piìr intollerante di contrasti e piir duro con i suoi nemici. Contro Giacomo I[ d'Aragona usava duta et aspera tterba; disprezzava gli spagnoli; ed a re Carlo che gli diceva : ,, Padre, molti Catalaní sono buoní ! ,, rispose con voce sarcastica : .,. Anzi è un grande míracolo che qualche Catalano Carlo II d'Aneiò Campidoglio (Arnolfo di Cambio?) faccía qualche cosa di buono. " ll re, timoroso di perdere il trono, si umiliava davanti a lui e perciò Bonifacio lo disprezzò e lo trattò sempre come un servo: nel I 302 il f rate Lorenzo Martini registrava nel suo diario: II papa biasímò assaí re Carlo dicendogli che non eta tln uomo, ma bensi un oiliisìmo úba|do e che egli Io at)er)a sostenuto, mentre in albo tempo Ia terra I'aorebbe ínghiottíto.3)
Il
cardinale Govanni Monaco, nel 1301, malevolmente diceva pera ogní uomo e dí chiunque díce male- ,, a)
di lui:
<<
Inoero eglí oitu-
o) euod rcgem Carolum Perusíís multum exasperassel.,., Dura quoque oerba cum àomíno Benedicto Caíetaní habuít, nihìI tamen profecít, l"osfr', I, p. 65 e note. r) Ncl teto: Vs csm
At., p.
105.
ile,
oa
cum
de.
I
Diario del concilio, FíaÉc, p.
lll.
3) Finfte, p.
XV XXXVI, XLV, Ll'
a) Acta
Carattere
[12e4-r303]
6t
i
Specialmente contro nemici fu aspro e violento. Il mercoledì delle Ceneri del 1299 quando I'arcivescovo Porchetto Spinola di Genova, ostile ai guel6, s'inginocchiò davanti a Bonifacio VIII per farsi cospargere il capo con la cenere benedetta, questi che lo sospettava partigiano dei Colonnesi,
z ,. Rícordati che seí ghíbellino e che con í ghibelliní fidioenterai cenere,, o) e con violenza gli scagliò la cenere negli occhi. Quindi lo privò dell'arcivescovato; ma, convintosi poi
gli
gridò
che non era vero che Porchetto avesse ospitato presso dì sé i profughi cardinali Giacomo e Pietro Colonna, lo riprese in grazia e lo reintegrò nella carica. l) Tale violenza ed asprezza di linguaggio dette campo alle accuse di bestemmia e di insulti a Dio, di cui non fu mai colpevole. Nel processo di Avignone Io accusarono di aver vilipeso Do ed i sacramenti. Vili calunnie ! Bonifacio non fu certamente un bigotto, ma fu un credente; adorò lddio, ma piir che considerarsi il serous seîooîum'di nostro Signore, si sentì chiamato ad essere il suo vicario in terra. Raccontano che, quando eseguiva le sacre funzioni, I'animo suo si raccoglieva tutto e che le lagrime gli bagnavano gli occhi. Riferisce lo stesso Nogaret nelle sue accuse che il papa in casa propria, in Roma, in Perugia, in Rieti ed ovunque si recava, faceva aprire una finestra che dalla sua stanza desse nella cappella propinqua per poter assistere alla messa, e per molti anni una di queste si potè vedere nella casa dei Santi Quattro. Per S. Bonifacio ebbe una venerazione speciale e con amorosa cura ne raccolse le ossa che, awiluppate in un velo di seta violetta, fece collocare sotto I'altare della cappella gentilizia che si era fatto erigere in S. Pietro. Fece elevare altresì nel 1297 I'altare ove era riposta Ia mascella di S. Maddalena e, quando Carlo II gli portò Ia testa della santa, verifrcò personalmente che la mascella si adattava perfettamente ad essa e si 2) piegò alle pietose preghiere del re permettendogli di portare in Provenza la testa così ricostruita. Il Tosti, 3) citando un codice d'Urbino, ricorda che orava due grosse ore aI gíorno tn Laterano e nella chiesa detta del Crocifisso. Egli riporta anche la preghiera attribuita a Bonifacio VIII, scoperta da Girolamo Amati in un antico codice vaticano, dove è úcordato che nel secolo XV, nella basilica di S. Paolo, si leggeva Ia seguente iscrizione.
SaNro BoNIrazo pApA OrrAVo FEcE LA E
CONCESSE
A CHI LA Staoa
INFRAScRITTA oRAzloNE
DICERÀ LIBERAZIONE DI MORTE SUBITANEA.
la
Vergín sotto della cîuce:
Vedea patír tesu, Ia oera luce: Madre del re dí tutto I'uníoerso
íl capo che staoa ínchìnato, tutto íI corpo ch'era tormentoto, Per riscattar quato mondo peflierco.
Vedeoa
E
Vede lo figlio che Ia guarda e dice: ! donna affítta, amara ed ínfelíce, Ecco íI tuo figlío: e Joan le mostraoa. Oh
Vede I'aceto, che era col fieI misto, Dato a beoere a dolce lesù Gisto, E un gran coltello íl cor le trapassaoa. Vede lo
figlio
tutto passionolo Dicer colla Scrittura: è consumato. Fíume di píanto daglt ocr,hi dissena, a) Mementó guoìl Gíbellínus es et cum Gíbellínís ín cínetem îeoerlefis. r) MS, Bibl, resia, cit. Dupuu,
p,202.
\
Fleurv,
p.
l9l.
3)
ll,
p. 331
t CI.
Nannuccl, Man. Stor, di Lett. h.
sentimenti religiosi'
BONIFACI
O OTTAVO
Ub. I,
Cap. IX.
E
Crísto Pate e muot tra le flagella: Piange Ia matre úeryìne Pulcella II redentor del cíelo e della lena. Grandissímo dolore aI corc at)esti, Vergine madre, come tu oedesti II caro figlio, quando era sqiruto. Qaesfo dolor
fu di tanta Possanza,
Che mìlle ooltè ogni martire aoanza
Che fosse mai Per te marlorizzalo.
Madre di míserícordía, umìle e SoIa speranza dell'aníma mía, Contra
'I
Pía,
nímíco donami oittoria.
Il Du Boulay r) cita un'altra preghiera z Arte Vírgo stato
in grado di
gloúosd etc., che non sono ancora
rintracciare.
Bonifacio compì molti atti di pietà: fece restaurare edifizi sacri e costruire cappelle, fu largo nel distribuire benefizi alle chiese, ma al cospetto del mondo si sentì chiamato piìr a difendere con la spada la grandezza della Chiesa che non a mostrarsi esempio di pietà e di contrizione. Due principali correnti si erano andate precisando in quei tempi in seno alla Chiesa; dall'una parte la curia con tutti i dipendenti rappresentava una istituzione secolare sotto veste spirituale, che lentamente andava alla deriva allontanandosi dai principii di Cristo; dall'altra la ,"urion" che, sotto forma di misticismo, voleva awicinarsi a Dio, perdendo completamentq la Elezione
di
Celestino
V'
visione delle necessità del mondo. conclave che si teneva in Quando nel 1294, nella disperazione di giungere al termine del Perugia, il sacro collegio riversò voti sull'eremita Pietro di Morrone, tu quel santo che, rin'
i
chiuso nella sua minuscola ed oscura cella, non vedeva altro se non la luce che gli veniva dall'amore divino, il cardinale Benedetto Caetani ebbe un amaro sorriso di ironia e di com' patimento, mentre la folla dei fedeli si prostemava giubilante davanti a Celestino V, che doveva rappreseútare il ritorns della Chiesa nelle braccia di Cristo. La viva luce del giorno però colpì d9|ororu*"nte gli occhi del santo, assuefatti solo a quella mistica delle sue visioni; andò per qualche mese barcollando, facendosi guidare da chi, piùr vicino a lui, gli prendeva la mano per avvantaggiare i propri interessi. Questo stato di cose non poteva durare. Celestino V fece il pontifrcio. << gran rifiuto u ; Benedetto Caetani, I'antitesi del santo, salì sul trono È probubile che il cardinale Caetani non sia stato estraneo alla abdicazione di Celestino. ") Non poteva tollerare che la Chiesa andasse alla deriva in un momento tanto pericoloso e, pienamente conscio della propria forza di carattere, rénra inutile modestia, considerava se stesso il membro del sacro collegio piir capace di tenere il timone della nave. b)
"o*.
o) Ciò diede origine alla leggenda che frate Bartolomeo riporta nella wa Polísto'/.a (Mur', XXIV, col. zol), con le parole: Aoeoa per usanza íI delto papa Celestlno ìlí state gan lempo ilella notte ín orazione, ín una sua cappella; e íI delto caulí' nale Beneilello slaoa aqpresso ilí quesla cappella, E quanilo íl iletlo papa stata ín otazíone, Íl delto cardínale pet un peilugío molto occuilo con un cannone parlaoa dícenilo" " CeII papa uilendo quella oscuta Iestlno finunzia aI papato I
"
t)
Hlsl, I/níoers. Poris.,
lll, p. 509'
ùoce, credetle cÀ'asa .;fosse ooce
dí un
tanto glt dísse, che íI delto papa
Di
angíolo.
E ín
Celestlno rtnunzíò
breoe
aI papato.
questa leggenda e delle varie venioni di essa, tratta detGraf ne' Mì!í, I*ggenile e Supersllzíoní del Medío
tagliatamente il
Eoo,ll, p.223.
b) Leggiamo nella cronaa Urbevetana (Mur., XX-Y' p. 20),.- et anlequam ail (papalum) assumerelut, Paqam sc assetebal
fulurum, elíam anlequam cailînalís fierel
Celestino V
Lrze4.t2e5j
Dventato pontefice si rese conto del pericolo di uno scisma qualora all'umile Pietro di Morrone fosse stato concesso di far ritomo al proprio eremo, dove tutti gli esaltati sarebbero corsi ad adorarlo. Perciò decise di farlo rinchiudere nella sicura rocca di Fumone, a breve distanza di Anagni. Obbediente agli ordini ricevuti, re Carlo di Napoli, il 26 gennaio 1295, trovandosi in Roma, diede ordine al giustiziere d'Abruzzo e a tutti i dipendenti di prestarsi al trasferimento del oenerabile Pietro dí Monone, che doveva essere condotto dagli ambasciatori pontifici alla presenza di Bonifacio VIII (o per dire meglio a Fumone); essi furono scortati dalle regie milizie sotto la guida di Pietro Lombardo e di Bernardo di Sant'lppolito, sen)ientes armoflrm, per timore che il popolo di Sulmona causasse qualche impedimento. l) Nella rocca di Fumone, viene ancora additato un angusto locale ove si vuole che il santo eremita fosse rinchiuso, Non vi rimase a lungo, perchè in breve tempo il Signore lo richiamò a sè. La calunnia, serpeggiando tra Ia folla de' credenti, tesseva drammi e raccontava raccapriccianti dettagli sulla fine di lui. Alcuni bisbigliavano che il santo fosse stato ucciso con un chiodo confrccatogli nel capo; altri che il papa Io aveva fatto morire a mazzate in testa per mano de' nipoti, e che il corpo imballato in una cassa era stato spedito di nascosto a Firenze. ') Il contrasto tra le due figure, cioè tra quella dell'eremita e quella del nuovo sovrano, orientò contro Ia persona stessa di Bonifacio tutta la corrente di interessi che rimanevano offesi dal nuovo governo. b) Ai mistici si unirono i nemici politici e personali, cioè i ghibellini, nonchè i Colonnesi scacciati dai loro castelli e, negli ultimi anni del pontiÉcato, I'accusa di eresia e di empietà diventò il vessillo sotto il quale si unirono tutti per combattere tanto I'uomo quanto
Prigionia
di
Celertino
il pontefice. Più di ogni altro duro nella critica e ardente nell'odio fu fra Jacopone da Todi. Mistico seguace di S. Francesco, ad un tempo esaltava Ia via della virtir che conduce a Dio ed inveiva contro i peccatori, animato dall'odio feroce caratteristico dei fanatici e dell'epoca nella quale visse. Criticava gli stessi massimi esponenti dei propri ideali. Quando fu eletto Celestino V gli dedicò un'epistola
in
versi che comincia: Que farai, Píer da Morrone? èí oenuto al paragone.
Vederimo eI lat:orato, che en cella haí contemplato ? se 'I mondo de te è 'ngannato, sèquìta maledizíone. 2) r) ... Ilem ptobabíIut manífesle, quoil ba nobîles, quotum duo mílltes, quí ín nece oírl sanctt (Celeslíní) opetatì sunt, de díctí B(onífucí) et frctfis sul domíni R(oftedl) mandato, modut
et minatus
sunt rabíosí, e! blasphemabanl cftca moilem quod hoc coeníebal eís, quía ad mandatum Gagetanotum occÍderant ttírum sanctum
Gagetanorum ex eo quod. díxerat; e! slatim dubílans ne communc Florentiní oíderct, díxít: u Ego rcooco omnes tr,ends, nolo quod.
dominum Celestínum. Item probabítur, quod nullo omnlno pernrtsus cum multl ad hoc ínstarent. Item pro.
langatís cassam >, el sta!ím sepelhe tecÍt, mandans sub magnís poenls cassam non tangì. Ex quo quílibel sapíens et íntellìgens adoeilít quod occísus fuerct. A scientíbus ením asserítur íilem
fuí! oíderl posl moilem,
babítut, quod eo moiluo domínus Theodeilcus de Uúíoclefi Cametaríus eíus, tunc
ín una
cassa optíme claoata
mas
fecíl
I Nos
eum defent Florentínum,
et ímpacta
et
mandaoít communi FlotenlÍnl sub poena decem milíum maîcarum aqentí, quod cuslodtenl ípsum. Tunc domínus Ambrcsíus de Florentino rcspondít: < Quíd dalís nobls ad custodíenilum non nísî unam cassaml guomodo eryo ponílís nobis poenas, quod custodia-
undígue,
oolumus oídere
1) Arc. Nap.
quíd est înlus et íIIud quod
R. 1., vol. 66, p.
264'
2) Laudc LlV.
erìt
lntus custodlemus est
",
Quo audîlo slupuìt Theodetícus ptaedíclus,
ad noilem dícto domíno Ambrosío,
ipse ooluerut úítuperute papam
ln
dícens quod.
perpeluum, et deslruete ilomum
domínus Celeslínus occísus fuísse claoa fullonís percusso capile...
(Dupus, p. 344).
b) Si vuole che pochi giorni dopo la sua elezione si rparla voce che il nuovo papa fosse morto, e che a tale notizia il popolo di Napoli giubilasse; è probabile però che I'in-
gesse
cideate debba riferirsi ad epoca più tarda quando s'era gia creato un gentimento a lui ostile. (Cfl Ffnfte, p. 45 e n. f ).
Jacopone
da Todi.
V.
Lib. I, Cap. lX.
BONIFACIO OTTAVO
Non v'è quindi da meravigliarsi che acerbamente criticasse Bonifacio VIII, antitesi de' propri ideali, che gli apparve come I'anticristo in persona salito sulh veneranda, e tante volte profanata, cattedra di S. Pietro. Jacopone si schierò subito con i nemici del papa; fece causa comune con i Colonnesi e prese parte ai loro conciliaboli ed alle loro cospirazioni; unitamente ad essi fu scomunicato per I'immoderate critiche, anzi per i libelli infamanti e bugiardi di cui fu ispiratore. Fu un duro colpo per lui. u Col/a lengua forcuta, esclamava, m'hai fatta sta feruta ... per grazia te peto che me díchí : - Alsoloeto - e I'altre pene me lassi fin ch' io del mondo pcssí. Per un anno e mezzo stette in Palestrina finchè, insieme ai propri protettori, cadde nelle mani del pontefice; fu senz'altro gettato in sotterraneo carcere encatenato co(me) /ione, spiato nel parlarg con il mangiare riposto in un canestrello apeso che dai sorci non sia ofeso. Dalla misera prigione continuò ad inveire con rozzi versi, forte, egli dicea, di uno scudo che .. ... /o diamante ha prooato. NuIIo ferro ci sponta, tanto c'è dura pronta ! Quato è I'odio mîo, ionto >>
a
di
Dio. " Non è cosi che avrebbero parlato i suoi maestri e capi spirituali, San Francesco d'Assisi e Pietro da Morrone! ll pontefrce non diede ascolto né alle supplicazioni né alle invettive del ribelle. Per sei anni fu tenuto in carcere; finalmente con la cattura e morte di Bonifacio, fra Jacopone fu libero di dar sfogo all'odio ed allo sdegno che lo sofiocavano, e giubilante alzò la voce perchè se spanda en tríbìt, lengua e nazíone. Redasse la famosa epistola che comincia:
I'onor
O
paPa Bonífacio
molt'hai íocato aI Penso
mondo
che giocondo
non te Porrai Partíre. Bonifacio VIII, come dicemmo, fu un credente non un bigotto; ebbe un elevato concetto della sua missione come vicario di Cristo e volle sinceramente il bene e la grandezza della Chiesa, e neppure davanti alla minaccia di morte volle chinare il capo. Nell'attentato di Anagni, quando sentì fracassarsi le porte del suo palazzo sotto i colpi delle masnade del Nogarei e di S"i"rra Colonna, ordinò a due chierici di vestirlo delle insegne pontificali; quindi prese una croce r) e se Ia strinse al petto, piegando su di essa la testa e baciandola piùr volte con fervore. n Se ora per tradigíone ío sono preso, disse, come rroúenne a Cfisto, e condotto nelle maní de' míeí nemící ad esser morto, ooglío e desiderc moríre da pontefice sommo ,' e salì sul trono ad aspettare i nemici. Quando questi gli si fecero davanti insultandolo, rispose al Nogaret: o Eccoti il capo, eccotí íI collo: ío cattolico, ío pontefice legíttímo, ìo oícafio di Gísto, allegramente porterò d'esserc deposto e condannato dai pateriní. Ho sete dí morte per Ia Fede
di ,A.ccusa
d'eresia.
Crísto
e della
Chíesa.
,
2)
Non erano certamente questi atti e parole di un miscredente e di un eretico ! Contuttociò i molteplici sospetti popolari, di cui si è testè parlato, servirono ai nemici di Bonifacio VIII per tacciarlo di gresia, accusa a cui nel medio evo e nel Rinascimento si ricorse ogni qualvolta si mirava ad isolare un awersario e condurlo alla rovina. Nel processo d'Avignone tale accusa diventò << argomento principe ,, di coloro che miravano a condannare
')
Dcposiz. testim. ncl prccoro Avígnonc, Dupsa,
p. 402.
!) IotL Il, p.2l0-21l;
Cf. Crp. XXll.
Accuse
[12e4.r303]
i
A
la
65
comprovarla testimoni riferirono mostruose pratiche, a cui memoria del grande pontefice. volevano Benedetto Caetani si dedicasse sin dal principio della carriera ecclesiastica e di cui a titolo di curiosità parleremo appresso. La verità è, come lo dimostra il Mohler, r) che di eresia non s'intese mai parlare prima del 1298 e quindi tale accusa è da considerarsi come un'arma
forgiata dai Colonnesi per abbattere il capo della Chiesa, Ioro nemico. La prima accusa pub' blica è del marzo 1303, ed i due grandi nemici di Bonifacio, Dante e Jacopone, non si valsero mai di tale argomento per colpire il pontefice. D'altra parte era difiicile che un uomo del suo calibro e del suo ingegno si piegasse alle formalità religiose prescritte dalla Chiesa; poco potevano importare a lui i minuti precetti di devozioni quando I'animo suo era travagliato dai grandi pericoli che minacciavano I'istituzione stessa. Mangiava di buon appetito e spesso non osservava Ie prescrizioni del digiuno; si atteneva al magro sol quando gli faceva comodo; è probabile però che tali infrazioni gli fossero
di combattere il terribile male legno della vita. La sua salute lo
ordinate dai medici, che cervavano
che gli stava rodendo il preoccupava molto, in parte a causa delle devano I'esistenza un martirio,
sofferenze che
in parte perchè
gli ren-
vivere voleva dire
portare ad un termine il consolidamento dell'edifizio statale e completare su basi salde la potenza della u Domus Caíetana ,r. In quei tempi la medicina, I'alchimia e la magia formavano un assieme ben poco difierenziato, e tanto il popolo quanto i sovrani credevano nella religione e nelle superstizioni con uguale sincerità. Anche Benedetto sperò trovare aiuto contro il male e contro i nemici portando un sigillo d'oro con il simbolo del Leone sui reni ed un magico anello al dito. Le qualità medicamentali del primo furono descritte come segue z Propríetà dí guesto sígíllo, ín generale, sono Ie seguenli: seroe per tutte le sofercnze dello stomaco, dei fianchi, del dorso, deí rení e de' mestruí abbondanti; cantro le insolazíoni e Ie febbri Bonifacio Vlll acute ed acutíssíme; contro tuttí í dísturbí e moltí altri malíGrotte Vaticane (Arnolfo di Cambio). Si porta suí rcni.2) Al dito soleva portare un anello con una pietra, forse un occhio di gatto, dai riflessi cambievoli, che a volte gettava sprazzi di luce, ed a volte era pieno di ombre oscuÍe nelle quali potevansi rawisare immagini ora di uomini ora di bestie ! Si diceva che I'anello, un tempo appartenuto a re Manfredi, gli fosse stato donato dal conte Guido Novello. Tutti glielo conoscevano ed una volta in Laterano, essendo re Carlo rimasto perplesso al vedere variare Ia luce della pietra al dito del papa, questi gli disse: " Che guardí? ouoi che te lo día? " ed il re prontamente gli rispose in francese : u I eo nel ooíI pax, tene oos oesbo Dgables / " (Je ne Ie veux pas, tenez vous vos diables !) Le donnicciole ed i malevoli raccontavano infatti che in quella pietra fosse contenuto un demone, ma che non era il solo perchè un altro gli fu dato da una certa donna di Foligno, grandissima negromante, incanfutrtce e matematicd.' un altro, si diceva, più potente ancora glielo avesse procurato il maestro Gorgio di Simbilico, monaco nero peritissimo nell'arte della negromanzia, che alla corte era detto maestro Giorgio Ungaro. Si diceva inoltre c.he dal maestro r) p.
158-f64.
Domuq 1,9.
2) Finhe, p.206.
Accusa
di
magia,
BONIFACIO OTTAVO
Lib. I, Cap. lX.
Bonifacio Lombardo di Vicenza ebbe anche uno < spirito familiare e demone u de' piir potenti che si chiamava Bonifacio, sicchè il papa ebbe a dire del maestro: ,, Ben si chiama Bonífacio che portò Bonífacìo a Bonìfacio ! ,, Ogni tanto dunque (così raccontarono i testimoni al tempo del processo in Avignone), l) il papa si chiudeva in camera con siffatta buona compagnia e, scostate le tende da una nicchia al muro, s'inginocchiava davanti ad una diabolica immagine ed invocava i mali spiriti in mezzo a suffumicazioni tanto dense che i vapori uscivano poi a nubi dalle finestre. I servi, paurosi e trepidanti, andati a spiare per i buchi delle serrature e ad origliare alle porte, udivano rumori strani, voci che interrogavano e rispondevano, ora grosse ora sottili come quelle d'un fanciullo e, dopo qualche ora che duravano gli incantesimi, cominciava a tremare il suolo come per un terremoto e da entro la camera partivano sibili di serpenti e muggiti di belve e.... E così continua! Ma non basta! Altre e piir orrende storie d'incantesimo e di magia vennero riferite durante il processo : il teste frate Berardo di Soriano depose sotto giuramento che quando, ai tempi di Nicolò III, I'esercito pontificio stava sopra a u Puriano ", Benedetto Caetani, che allora era notaio, fu mandato a prendere possesso del castello. Viveva il teste con lui in Viterbo in qualità di familiare. LJna sera, stando affacciato ad una finestra del palazzo ove abitavano, vide Benedetto uscire nell'orticino adiacente, segnare con una spada un gran cerchio per terra e sedersi in esso: poi, preso un gallo, sgozzarlo facendo sgocciolare il sangue sulla bracia rovente contenuta in una pignatta e, mentre i fumi s'innalzavano come nubi, leggere in un libro e ad alta voce invocare i demoni. Dopo un poco si udirono grandi e paurosi rumori, voci che chiedevano ed altre che rispondevano sino a che il perfido prelato gettò il gallo fuori del recinto estlaVedendo tutto ciò il pio frate Berardo fu invaso da sacro mando : ,, Eccor)i la parte oostral terrore !
Accuse
di
libertinaggio.
2)
"
Ometto gli altri racconti perchè se il lettore s'interessa alla magia, e ci crede, può andarsi a leggere da sè Ie mirabolanti testimonianze dei seguaci del Nogaret. Eresia, magia e commercio coi demoni nel medio evo furono Ie consuete accuse che si muovevano contro chiunque volevasi diffamare, ed il popolo vi prestava credenza con speciale facilità e compiacimento se I'accusato godeva riputazione di uomo dotto e versato nelle scienze esatte. Ricorderò le leggende sul famoso Gerberto (Silvestro II), il papa del pauroso millennio e sul frlosofo Michele Scotto; persino il grande pontefrce S. Gregorio VII, una delle piir fulgide figure del medio evo fu accusato d'essere .. principe de malefizi > ; e racconta Benone che, quando il papa scuoteva le maniche, spargevasi nell'aria un nugolo di faville. 3) I nemici di Bonifaio VIII non si fermarono a queste accuse: vollero i suoi denunziatori che il papa fosse un libertino, dedito ad amori illeciti ed alla sodomia. A queste accuse il Davidsohn aggiunge per conto suo anche I'incesto, riferendo che Giacomo Gaetani di Pisa, nipote del papa, agì da mezzano alla propria figlia. a) In primo luogo Giacomo non era nipote del papa; e in secondo luogo quest'accusa è da rigettarsi al pari di tante altre calunnie. Di Giacomo detto u Sciarra Barone u si è parlato nel capitolo V. Era figlio di Oddone e unitamente a questo fu intimo di Benedetto Caetani già prima della sua elevazione al pontificato. 5) Suo padre fu socio della famosa casa Spini, banchieri del papa, e Giacomo gli succedette nella ditta; per questo motivo si trattenne quasi di continuo alla corte pontificia, non solo per
t) Dupua, p. 331,3?4-3?6R. 1., vol. 56, î. ll7 b.
2) Dupuu, p, 537.
z) CÍ. Grcf,
ll, p. 3.
a) Daoid. G.,
lll, p, 253.
3) Arc. Nap.
Accuse
F2e4-r3031
curare gli interessi della propria banca, ma anche come amministratore, cpntabile e consigliere di Bonifacio VIII, presso il quale acquistò un grande ascendente. Di ciò tenevano conto i sovrani ed i loro ambasciatori. Vediamo infatti I'abate Gaufredo, rappresentante di Gacorno II, re d'Aragona, scrivere al suo sovrano z EgIí (Giacomo " de Prsls ") è un uomo che in questî tempì oi può molto giooare perchè può tanto col sígnore papa quanto altra persona oioente e glí sta contÌnuamente a fianco. ") E non solo oi può seroîre nella faccenda della Sardegna ma anche ín molte altre cose può faroi comodo col signore FaPa,
ed íI re dí Sícilía lo accarezza e lo mantíene ed íI sígnor Carlo (ll) lo rîcopre dí ogní atten2) ed zíone e premwa.l) Troviamo infatti che il sovrano gli concesse feudi presso Aversa, il nome suo e de' suoi parenti ricorre spesso nei registri angioini. Giacomo aveva due figlioli giovanissimi, Gaetanuccio, detto anche Gaetanello e la sorella Gaetanuccia, il cui nome fu storpiato dal Dupuy scrivendo Gartamicia.3) Senza dubbio alcuno furono battezzati così per fare piacere al papa, il quale negli ultimi anni della vita si compiaceva della compagnia di questi fanciulli, che considerava quasi suoi nipotini, e si faceva accompagnare da essi nelle passeggiate e nei viaggi. Ciò diede campo ai nemici di far circolare la calunnia che il decrepito pontefice sfogasse gli istinti sessuali tanto sul padre quanto su entrambi i figlioli !! Dicono i testimoni che Giacomo soffrisse di cancro nella tibia. Un altro degno teste del Nogaret, e uomo di alta moralità, Notto di Buonaccorsi di Pisa, riferì che la propria moglie donna Cola e la figliola Cetta erano concubine del papa, e che egli a) le vide spesso, coi propri occhi, nel letto pontifrcale ! ! Non credo che Benedetto Caetani sia rimasto più innocente del peccato camale di quanto lo fossero tutti gli altri prelati del suo tempo; Govanni Villani ci dà una candida affermazione di ciò, meravigliandosi di Nicolò III, con le seguenti parole | ... fu fatto Papa Gíanni Guatani [Gaetani], cardínale di casa Ií Orsiní dí Roma, íI quale mentre che fu gíoúane chíeríco e poí cardinale fu onestissímo e di buona oíta, e díceasí che era di suo coîpo lergine.5) Volere accusare però Bonifacio VII di libidine e sodomia sin dall'età di vent'anni è certamente una calunnia. Era quasi settantenne quando salì al pontificato; rimessosi appena da un attacco del male che lo aveva condotto all'orlo della tomba, quattro anni piir tardi(29 dec. 1298), era ancora tanto malato che, scrivendo a Filippo il Bello, si scusava di non poterlo incontrare dicendo: ma perchè, eome píacque aI Signore, dopo íI ritorno dei precedenti nunzí, una gruoe e lunga malattía ci tenne ín riguardo, nè ancora cí sì oede che siamo peî essere pienamente rìstabilìti aI primíero figoglio; poichè enche cí son capitati non líeoi impedimentí, che lungo sarcbbe 6) csprtmere con Ie presenti; poíchè inoltre gíà si oede che fisentíamo i disagí della oecchiaia ... E I'anno seguente scrivevano di lui: Ies maladíes I'ont puissedg bop traoeillíet et menet près dusques à Ie moil ne encore n'est-il míe en poínt... Nuls ne Ii promet, k'íI doít longhement oíorc ne f iI se doít íamais aidier dou cors.1) Nel l30l il cardinale Landolfo diceva di lui: Altro non ha se non Ia língua e g[i occhi perchè tutto íI resto ín luí è marcito, nè, credo, potrà durare molto Píù a lungo. b) Ar., p. l8a). L'iduenza politica di Giacomo Caetani oon cessò in alcun modo con la morlc di Bonifacio VIII. b) Non lamen habel nísi linguam et occulos, quîa ín alÌís pailíbus totus esl puttefaelus. Et síc, u! credo, non multum
Così pure Geius de Sprnr's, verso I'anno 1300, scriveva a Giacomo che sperava: fet t)esham egtegíam ptobítatem, qua apuì! Domînum nostrum summum ponteficem cuncta polestís,
per I'acquistc della Sardegoa (Acla
tani esprimendogli la propria riconoscenza-per quanto aveva fatto
dutabít. (Acta
.)
de llberall gratía ímpehai .,. {Gaet. MS.' ll' p. l8l). Il 29 agosto l:04 il re Giacomo scriveva a Giacomo Gaet)
Acra
At., p,
0) Notices el exh.
des
ll1,
2)
MS' Bibt.
Atc.
Gaut. Arus,, coà. 1308,
Na!. de Patís,
XX, p. 130.
c.
179.
Ar., p. rca)
8) Dupu'J, p. 565,567
7) Ftnke"
p' 201'
.
a)-Dupus, p.
539.
5) Lib.
Vll,
Cap. 53'
Giacomo Gaetani di Pisa.
Salute di Bonifacio VIII.
Lib. I, Cap. lX.
BONIFACIO OTTAVO Morivi
delta
inimicizia'
Contro i nemici fue altiero uudele e supetbo,.. Magnanimo e largo fu a gente oalorcsa e che Ií píacesse. Queste parole richiamano alla nostra mente i Colonnesi. Nei primi tempi Bonifacio fu in buoni rapporti con loro e fu ospitato amichevolmente a Zagarolo. Il 13 agosto 1293, quando era ancora cardinale, venne chiamato a regolare una lega di pace e di guerra tra i Colonna, i Da Vico e gli Anguillara e a dare il suo beneplacito al 'Iebalduccio figlio di Manfredo da Vico, matrimonio tra Lucia, figlia di Stefano Colonna, e l) La causa iniziale unione che doveva suggellare la concordia tra le due poteuti famiglie. dell'inimicizia, che poi sorse tra il papa ed i Colonna, fu di origine politica. Bonifacio voleva scacciare Federico d'Aragona dalla Sicilia; questi trasse dalla parte sua i cardinali Giacomo e Pietro della Colonna, ghibellini nel sangue, e si mise a complottare con loro; risaputa la cosa, Bonifacio si voltò contro i due cardinali; per reazione o per vendicarsi di qualche differenza u) il giovane ed familiare in cui era rimasto coinvolto I'onore di una donna di casa Colonna, irruento Stefano, detto Sciarra, derubò un convoglio che trasportava il tesoro del papa e questo oltraggio fu la scintilla che fece divampare la crudele guerra tra i Caetani ed i Colonna che, come vedremo, durò per ventiquattro anni. Bonifacio diffidò i cardinali a comparirgli innanzi e, brutalmente venendo al nodo della quistione, pose loro il quesito se essi lo riconoscessero Papa legittimo. La domanda stessa prova che il papa già sapeva che I'animo loro era di contestargli Ia legittimità della elezione. Pietro e Giacomo pubblicamente negarono volerlo riconoscere; la dignità di Bonifacio, come uomo e come vicario di Cristo, rimaneva compromessa e sorgeva il pericolo di uno scisma. Una sola linea di condotta rimaneva aperta: schiacciare i cardinali ribelli ed assieme ad essi tutta la loro schiatta ghibellina ed il partito imperiale. Il pontefice scagliò contro i ribelli le armi spirituali e temporali e non diede tregua bino a che non li ebbe schiacciati in modo che egli sperava non dovessero mai risorgere. Fece annunziare in diversi luoghi che chi aìesse ucciso uno dei Colonnesi avrebbe avuto un premio 2) in denaro; e chi ne avesse preso uno vivo avrebbe ricevuto un compenso doppio. Così egli vendicò l'amor proprio ofieso, represse il partito ghibellino e sperò di aprire la strada all'ingranb) dimento temporale della Chiesa. L'annientamento della stirpe dei Colonnesi doveva togliere agli imperiali il più sicuro punto d'appoggio entro Roma stessa e doveva sbarazzare la Campagna dalla insanabile piaga delle guerre de' baroni. 3) Prowedimenti così drastici non furono dettati soltanto da astio personale, ma anche da un saggio criterio politico. A differenza degli Orsini, i Colonnesi, per quanto nobili e grandi, furono responsabili di molte sciagure, perchè, come ghibellini, ripetutamente invocarono I'intervento straniero nelle cose d'ltalia e per la loro potenza resero possibili invasioni e dominazioni d'oltre Alpe, che altrimenti sarebbero forse state scongiurate.
u)
Riferisce I'Anonimo Fiorentino
(Pietro ll),
(l' p' l2o) che v'era
al
quale eglr'(Bonifacio) portaua granilksímo amote, et aoealo fatlo conte dí Rdmagna; ora questo suo nipole ooleoa bene a una gíooane ile' Colonnesí
uno s,to nfpofe
(Ben. d'lmola: aIIa donna iIí lacobo delto Sclana), onde papa Bonífazto, pet contenlailo ill cÎò ch'eglî ooleoa, ordínò uno mangíate dí ilonne ín Roma, e tuooí inoílata quesla gÍooane ile' Colonnesl, et orilínò la mattîna che asteí ùenne ín una ceila camera, e! questo suo nípote sforzatamenle ebbe a farc ift lel; onde ì Colonnesl lut!î toilc silegnotono del fatto..,. r)
Rcgeslo,
l, p. 69.
2) Dupuu, p,
359.
3)
Anche la cronacadetta Martíní Contlnualío(Mon Gcr. HÍst., SS., xxlv, p. zat ) allude ad olfese penonali c vorrcbbe far risalire I'odio tra le due faoiglie al fatto chc i Colonnesi, contrariamente al desiderio
di
Bonifacio
VIII,
disdeguarono dilontrane legami di (V, p. 5 t E) vonebbe far risa-
parentela con i Caetani. Il Gregoroviut
lire il risentimento dei Colonnesi all' inopportuno intervento del papa nella divisione ereditaria tra i 6gli e i nipoti di Oddone Colonna.
b)
....
íncepr? guailam
slngulai oía potenlíam suam et (BíbI. Patígí, n. 7t?, ctt.
papalem magnlficentíam ilíIatate
Dapug
Ct. Ftnhe, p. 125,
Preuves,
p. l.)
Guerra contlo
[r2e3-rso3]
i
Colonnesi
Cacciatili e messili al bando della umanità, Bonifacio VIil non volle neppure che implola clemenza divina. Vietò ai Colonnesi di rnettere piede in Roma durante I'anno santo, onde non potessero godere delle indulgenze concesse ai pellegrini e, nella speranza vana che la razza non si moltiplicasse, tenne le donne di casa Colonna quasi prigioniere in Roma, separate dai mariti. Raccontano gli antichi cronisti che Agapito Colonna, contrawenendo agli ordini del papa, si recò a Roma travestito da pellegrino e, visitata la moglie Mabilia Savelli, la lasciò di sè incinta. Risaputolo, il papa lece chiamare la giovane e le gridò: ,, Rea femmina meretríce, tu se' pregna; di cui se' tu pregna? Esitò la povera Mabilia per non accusare il marito " ed allo stesso tempo tutelare il proprio onore; poi con spirito sottile rispose: ,, Padre Santo, ooí rsedete che ìo sono giooane, et sono senza maríto, però ch'egli è cotanto tempo che ooi ce Io Iascíasti oeniîe, né io non posso andare a lui: et dooete puîe sapere che io sono femmína came I'altre. EgIi aooenne a questi tempi che uno pellegrino passaùa da cesa mis colla schíaoína et colla scarsella, come oanno i pellegrínî, et guardai costuí che somigliaoa tanto iI maríto mio che mi paroe tutto esso; et soooennemi tanto dí luí, che ío iI ríceoetti ín casa et dormi meco; et poíchè pure íI r)olete sapere, di Iuí sono pîegna. " l) Il papa si divertì all'abile risposta, cominciò a ridere e le disse che andasse con Dio. Nè a ciò limitò Ie persecuzioni contro di esse: ordinò a Matteo di Acquasparta, vescovo di Porto, di far dimettere Giovanna, figlia di Giovanni Colonna, dall'uffrcio di badessa di S. Silvestro in Capite 2) e saputo che, per opera dello stesso cardinale, erasi trattata la pace fra Matteo Rosso e gli Orsini, dall'una parte, e Giacomo della Colonna e suoi parenti, dall'altra, montò in furia, fece rompere le trattative ed impedì che si formassero vincoli nuovi di sangue tra i Colonnesi e le altre famiglie nobili. 3) I nemici lo accusarono persino di essersi irato col vescovo di Sabina perchè aveva fatto amministrare gli ultimi sacramenti ad Agapito Colonna.a) Previde il papa però che dopo la sua morte I'idra dalle sette teste sarebbe risorta ad avvelenare il mondo; pensò quindi porre riparo a questo pericolo creando una nuova stirpe, amica degli Orsini, che avesse potuto tenere in soggezione quella dei Colonnesi. A chi meglio assegnare tale missione che ai propri valorosi nipoti ? Gente forte e giovane, prometteva una vita rigogliosa, propria di ogni nuovo organismo che si forma. Questo progetto politico si colorava della più bella luce per I'intenso, profondo affetto che I'animava verso quelli nelle cui vene pulsava il sangue de' Caetani. Bonifacio non fu meno tenace ed impetuoso negli affetti che negli odii. Amò i nipoti, i parenti e gli amici suoi con sincero e sviscerato amore. Pianse arnaramente la morte dello zio, del fratello e del nipote Benedetto e non poteva consolarsi d'averli perduti; dissero gli accusatori di lui che persino contro Dio si ribellò, quando la morte lo privò degli amati congiunti; sembra quasi che nella soprawivenza de' nipoti e nella loro grandezza cercasse quel senso d'immortalità che genera nel padre I'amore pel figliolo. Tale intensità d'afetto commuove malgrado quella nota d'egoismo che grava su tutti, anche sui piir nobili, atti del grande pontefice. Mirò con Ia distruzione dei Colonnesi ad assicurare la grandezza temporale della Chiesa: ma I'amore del proprio sangue gli impedì di vedere che nel creare una nuova dinastia feudale, gettava il seme di novelle discordie che dovevano straziare
Perrecuzioni.
rassero
lo
stato.
Per assicurarsi che il frutto del proprio nepotismo non si sarebbe marcito dopo la sua morte, promosse molti parenti ad alte dignità. Dce il Villani: I suo tempo fece più cardinali 1) Anoaimo
F., l, p. 570.
r) Mohlet, p. 86,
3) Dupuy, p.334.
t) Ioí, p,336.
Ncpotismo.
BONIFACIO OTTAVO
70
I-ib. I, Cap. IX.
e confidenti, e íntra Ií altri due suoí nípotí molto giooaní (Benedetto cardinale di Cosma e Damiano, e Francesco cardinale di S. Maria in Cosmedin) e un suo zío, fratello SS. che fu della madre (Leonardo Patrasso cardinale di Albano) e oenti tra oescooi e arcìúescooí suoi parentí e amící della píccola città d'Alagna. sdoí amicí
Aggiungasi Giacomo Gaetani Tommasi, figlio di Gualcano e di una sorella di Bonifacio VIII; questi fu creato cardinale nella promozione del 17 decembre 1295 col titolo di S. Clemente, chiesa che egli restaurò, come vedesi da una lapide murata presso I'abside. ") Zio paterno di questo Giacomo fu Jacopo d'Alatri, quale nel 1236 fu creato cardinale dal suo affine Gregorio IX. l) Bonifacio VIll sin dal tempo del cardinalato si era adoperato a promuovere i parenti e, per sua intercessiofie, Bar-
il
\\
9+ 'ì
tolomeo Caetani, figlio di Giacomo, parente di Benedetto, nel 1285 lu nominato abate di Subiaco, ufficio che resse sino al 1296,b) quando ai 27 di ottobre fu promosso al vescovato di Foligno. A lui successe nella badia Francesco Caetani de' minori osservanti, fratello forse dello stesso Bartolomeo. ")
Giacomo Gae-
Creò cardinale anche Gacomo Gaetani Stefaneschi, di Perna Orsini, la quale era nipote di Giovanni-Gaetano Orsini (Nicolò III) ed ebbe per ava Perna Gaetani e per proava Gaetana Gaetani. Per questi ed altri legami di parentela, lo Stefaneschi fu sempre considerato comè un affine del pontefice; gli fu sinceramente amico e dopo la morte di Bonifacio VIII, diventò uno degli esponenti maggiori della fazione caetana in seno ai vari conclavi. Di nobilissimo lignaggio trasteverino, lasciò di sé fama di erudito e mecenate. Affidò vari lavori a Giotto, tra cui il famoso mosaico figlio
taai Stefaneschi.
G
L-
VIII cousacra S. Ludovico di Tolosa. Napoli, Museo Nazionale (Sinone Martiri).
Bonifacio
della " Navicella " che per tre secoli ornò la facciata dell'antica basilica. Scrisse alcune opere, e nell'archivio capitolare di S. Pietro si conserva il prezioso codice di S. Giorgo, che contiene il piir volte citato Opus Metricumin cui si descrive I'incoronazione di Bonifacio VIII. In una delle lettere iniziali miniate dal codice, qui riprodottta, è rappresentato lo stesso cardinale in atto di comporre il suo poema, con la penna ed il raschino in mano. d) Nepotismo e simonia sono le due sole gravi accuse che si possano muovere contro Bonifacio VIII; tutti i cronisti del tempo ne fanno cenno ") e Io stesso Dante, volendo condannare Bonifacio, per colpa di simonia soltanto gli assegna un luogo di punizione nell'lnferno. 2) ' r) Er annís domínl elapsls mílle ducentís nonaglnta nooem taèobus collega mlnorum huíus basllíce títuli pars catdìnís aIlI hoc iussít fei quem plausít Roma nepolem papa Bonífacius octattus Anagnia proles,
c) (Ct. Lanclotlr' 4., I Falsari Celebri, p. nel
di S, Maria del
d) Un
Verde (Ugheúf,
I, col
zoo).
interessante documento vaticano (Reg. 71, Ioh.
com. an, V f . 79t ep. XXVI) c'informa che,
essendo sorta
XXU, inimi-
i Da Ceceno, il card. Giacomo Gaetani Stefanechi ottenne da Giovanni XXtl che si creasse una nuova duplice parentela tra le due famiglie; da questo documento ho tratto I'albero genealogico della pagina seguente, a correzione della cizia tra gli Stefaneschi e
b) Arc. Vat., Hon. IV, Reg. 43, ep. 358; in questa bolla di collazione non è detto però il cognome di Bartolomeo. 149
e
seg).
il
vescovato sino alla morte, awenuta 1304. Fu uomo di naturasupeiore e anche dotato di qualità
Bartolomeo Caetani resse
Populo e
guerreche. Presso Subiaco edi6cà un forte castello, che fu chiamato Monteacuto. A Foligno edificò i monasleri di S. Maria de
r) Ct. Mot., XXVIll, p. 102; XXXVI, p. 253i CaileUa
etc.
tavola
IXV-A
della Caíetanorum Genealogía e di quanto è stato
sino ad ora aÍermato sulle parentete del cardinale Stefaneschi. .) Ho citato già Ie parole del Villani, Il cronista della Cronaca Urbevetana (Mur,, XY-Y, p. 200) così si esprime: 2) Cants
XlX,
Accuse
F2e4-13031
7t
PIETRO STEFANESCHI Seniore Milite; Governatore di Ronà (tzeo)
fr...V.s. m
a)....
b) Perna
b)
f
Costanza
di
Gaetani?) Oraini
b) GIACOMO-GAETANI
t320 ant.
Sposa forse
parente
(-
STEFANESCHI
un Caetani
Bonifacio
VIII
n. l27O c, I tZll Cardinale di S. Giorgio in Velabro (t29i . xÌt. t7)
Perna (Caetani?)
a) Paolo
+
a) Stefano f t:zo ant.
t32d ant.
Franccsco I
Francecco
m
II
Nel ltzo . D(. 5
Berardo II da Ceccano
ortiene
licenza di rposare una delle
due figlie
di
Berardo
II
da
Ccccano.
Auibaldo
Francesca II Ceccaneae il mutilo Probabilmente nel l32o f t38l ". n promesse in matrimonio Porna a Pietro " Stefaui r da Ceccano Iuniore ed a Francesco II Stefaneschi.
Tornmaso
< Gaytani de Gaytani
>
da Ceccano f l:fO.VU. tf Card. di S. Lorenzo in Lucina (1327 . xll . ls) Berardo
lll
Pietro
< Stefani
luniore Nel 1320. tX .5 licenza
di
ottiene
ria
sposare
" una
delte 6glie di Berardo It da Ceccano, sia una di quelte di Tommaso II da Ceccano.
Alcune figlie
di cui
Cf. Tav. D(VIII della Car?!. Gen.
in moglie
una fu promessa a Pietro o Stehni >
Iuniore Stefaneschi (1320), ALBERo GENEALOGICo DA CECCANo.STEFA.NESCHI.
Con ingegnoso artifizio lo accusa facendo parlare Ncolò III che, imprigionato a capo fitto Accusc nella buca infuocata dei papi simoniaci, non potendo vedere Dante che I'interpella, esclama. di simonia'
. . . sei tu gíà costì ritto seí tu grà coslì rìtto, Bonífazío ) di parecchi anni me menti Io scritto.
tu sì fosfo di quell'aoer sazío, peî lo quale non temesti torre a ínganno Ia bella donna, e dí poí fame strazío ? Se'
suos ln tota depauperatís autetebat, rc-
Híc pecuníamoongrcgans hrtnilam, consangaíneos Canpanía aileo supr omnes fectt, ut lpsl soII,
alìÍs, qutbus caslra pet pecunlam male emenilo manslsse síngularcs ilomíni olderenlut. E I' irato Jacopone da Todi nella laude LVltl (p. I ro), dopo la cattura
in Anagd:
... ma pol
che
tu salíslí
papato a Io sialo dcsile. Vlzio enoetercIo conoèrlese en nalura: dc eongtegat le cose en offcío
non s'aconfé c$erc cn tal
gande hal aluto cura;
ot
non ce basta el líclto tua fame dun,
a la
messo
scritta
l'èí a tobbatura
como ascatan npfie.
Parc che Ia oergogna deieto aggí gellata: I'alma c'l corpo haî psto ail leoat lua casata; omo ch'cn rcna mobíIc fa gantle ctlificata, subíto
c
è ruînala
non gIî può fallbc.
BONIFACIO OTTAVO poi
Lib.
l,
Cap. lX.
proseguendo:
e
oeramente fui figliuol dell'orsa cupído sì, Per aoanzar gli orsatti, che su I'aoere, e quí me mísi in borsa.
Di
aI
capo mio son gIí altîi tîatti che precedetter me simoneggìando sotto
Con queste parole il Poeta accenna probabilmente a Innocenzo IV (1243-1254), Alessandro IV (1254-1261), Urbano IV (1261 -1264) e Clemente IV (1265-1268), quali tutti furono colpevoli di simonia: ma volendo alludere anche al futuro papa d'Avignone, Clemente V, che piìr di tutti
i
gli altri fu avido di denaro, fa
soggiungere
a Nicolò III:
ik píù laíd'opra
chè dopo luí [Bonifacio VIII] aerrà dí oer ponente un pastor senza legge
tal che conoíen che Iuí e me ricopra.
il piìr grande genio euesta è l'accusa principale che, unitamente all'altra della superbia, d'ltalia muove contro Bonifacio VIII. Ma se gravi erano tali colpe agli occhi di Dante, non apparivano altrettanto agli uomini di quei corrottissimi tempi, così che nella fiumana di accuse, riversate contro Bonifacio VIII dai suoi nemici, si accenna solo incidentalmente alla simonia ed al nepotismo; quella che era di tutti, non poteva essere colpa speciale di uno. Nelle accuse del fro."rro di Anigrrone poi, le testimonianze a riguardo sono brevi, generiche e rare. Era fuori luogo insistere su tale argomento, quando il movente del ptocesso stesso era di forzare Clemente V ed il collegio dei cardinali a dimostrarsi arrendevoli verso Filippo il Bello, affinchè questi potesse incamerare Ie infrnite ricchezze dell'ordine religioso de' Templari. Era espediente Jiluog"rri nei dettagli di efferati delitti e nel precisare I'accusa di sodomia e d'eresia, ma non conveniva insistere troppo sulla delicata questione di come si operava nella curia e nelle corti
provenienza delle ricchezze.
i
parenti. l) I Colonnesi, che erano gli istigatori di tutto il movimento antibonifaciano e che ricercavano i testimoni e li mandavano per essere imbeccati dal Nogaret, si mostrarono molto discreti su questo punto; e fecero bene perchè, quando nel processo Caetani-Càlonna, quasi contemporaneo u qu"llo di Avignone, osarono insistere che tuttí i beni che Posseggono i Gaelani futono acquistati con denarí ilella Chíesa e specialmente della gallicana, rispose loro il cardinal Francesco Caetano : u Leggano bene, í sígnorí Colonnesi, í libri loro e oedano con díIígenza con qualí beni essí si siano anícchui ed eleoatí ! ,, Con le quali parole alludeva alla rapacità dei cardinali Colonnesi ed all'oro dei sovrani stranieri, che dei Colonnesi si valsero per affermare il loro dominio sull'ltalia. Non pare che il cardinale Pietro Colonna ritornasse sull'argomento. Aggiungasi a ciò il concetto che la proprietà feudale dei baroni non era proprietà privata n"l ,"n* assoluto della parola, ma col vassallaggio veniva a formare parte integrante dello sbto che da esso traeva forza e derivava i suoi redditi. Infatti il cardinale Francesco non sembra nella sua difesa voler negare I'origine della ricchezza o della potenza dei Caetani, ma anzi si
per arricchire se stessi ed
compiace
di poter così servire la Chiesa
t) Ql, lízet, ap. lY.
ed
il
re z
,, Dato che cíò sía oero, esclama
il
cardinale,
Accu
F2e4-rs03l
se
73
i
suoi sarebbero tuttaoía pronti ad espone Ie ricchezze così peroenute Ioro ed anche bení maggíori se ne alessero, a serr)ízìo del re, sígnore suo e della dt luí Casa ; sono pronti a mettere a disposízione del re tanto Ie propríe fortune quanto Ie proprie percone, nè in ciò ìl loro desíderio dí seroíre è inferíore a quello deí Colonnesi e forse ptù dt questi saîanno in grado di fare. ,, t) È qui il caso di prendere in accurato esame il modo ed i mezzi con i quali fu messo su il patrimonio della famiglia Caetani, perchè nessuno, sino ad ora, ha saputo o voluto precisare Ia verità su questo argomento. L'opinione generale è stata sempre che Bonifacio VIII, durante i pochi anni del suo pontifrcato, si adoperasse a rastrellare, con inconsulta fretta, denari, terre e castella per riversarli alla rinfusa nelle braccia dei nipoti e che ciò facesse inducendo re Carlo ed altri a far doni non dawero spontanei, usurpando castella con la violenza, eseguendo acquisti per cui non fu mai pagata la moneta ed iúcorporando contee intere per via di precipitosi matrimoni. Ciò non è vero. Bonifacio VIII fu uomo di grandissima perspicacia, astuto e, malgrado la sua audacia, fu anche. aweduto e prudente. La vastissima coltura e la profonda conoscenza del diritto si rispecchiano in ogni azione di lui ed è naturale che nell'attendere a quanto gli stava così vivamente a cuore, cioè al consolidamento ed alla grandezza futura della propria Casa, applicasse tutta la sagacia
eglí (Francesco) ed
d'un
Metodo seguito nel costituire
il
patrimonio
ai nipoti.
esperto giurista.
Volle la grandezza permanente dellagens caietana.' volle che non vivesse piìr a lungo, per così dire, all'ombra dei Conti, degli Orsini, dei Colonna, ma si trovasse alla pari, anzi al di sopra di essi; i Colonnesi dovevano essere'annientati ed i Caetani, diventati guelfi, dovevano con i guelfi Orsini formare una fazione tanto potente che, dopo la sua morte, impedisse ai ghibellini di rialzare Ia testa ed assicurasse la preminenza della Chiesa di fronte all'impero. L'opera doveva essere duratura e quindi eretta su salde fondamenta, cioè sulla legalità e sul diritto; tutti i mezzi illegali, le prepotenze, le usurpazioni e gli atti frttizi dovevano, per quanto possibile, essere evitati. Prevedeva egli che un giorno non sarebbe piìr Iì a proteggere i nipoti col suo manto e che i Colonnesi, bramosi di vendetta, sarebbero risorti dalla polvere, appoggiati da tutti coloro che egli si era fatto nemici. Nella creazione del dominio dei Caetani si distinguono tre fasi. La prima, dal cardinalato di Benedetto all'anno del giubileo, corrisponde al processo d'integrazione del dominio per mezzo di donazioni, infeudazioni, matrimoni e specialmente attraverso una serie d'innumerevoli acquisti a contanti; la seconda fase corrisponde al processo di consolidamento politico e militare, dalI'anno 1300 al 1302; la terza, compresa negli ultimi due anni del pontificato di Bonifacio, è quella in cui, inebriato della sua sovrana potenza e perduto di vista I'originario intento di aggrandire Ia Chiesa, si lasciò strascinare da un sogno di egemonia per cui la sua Domus doveva signoreggiare su gran parte d'ltalia. D queste tre fasi tratterò ne' capitoli seguenti, limitandomi ora ad esaminare i criteri giuridici che seguì nella prima. Bonifacio fu un giurista di prim'ordine e tutti Io riconobbero come tale, tanto i nemici de' suoi tempi quanto i critici moderni. Uomo di straordinaria potenza d'ingegno, dotato di grandissima memoria, studioso e pensatore, visse raccolto nel suo pensiero forse piìr per disposizione d'animo che per superbia; in guesto si volle trovare la causa principale dell'isolamento, nel quale si compiaceva di rimanere. Ma lontano da ogní mescolanza aioeoa per eonto suo, t) Mshtcr K., p. 2?1, $ l0; p. 232, S 7. Domur,
I,
10.
Bonifacio giurista.
VIll
Ub. I, Cap. lX.
BONIFACIO OTTAVO
74
di lui il
cardinale Giacomo Gaetani Stefaneschi, suo contemporaneo, nel poema in cui l) parla della sede vacante che precedette I'elezione di Celestino V. Studiò il diritto romano e quello canonico per molti anni: .. Sono quarant'anni, ebbe ad esclamare egli stesso nel 1302, che cí siamo espeîímentrLti .nel dirÎtto e sappíamo che due sono scriveva
i
Poteri costituítí da Dío u, etc. Frutto principale della sua scienza giuridica fu la raccolta dei Decretalìa emanati da Gregorio IX in poi. Ai cinque volumi messi insieme da questo papa nel 1234, egli aggiunse il Líber Sextus, perchè nel loro insieme formassero corpo del diritto canonico, che è il piir bel monumento della legislazione cristiana. Ne diede I'incarico a Guglielmo Mondagout, a Riccardo Petroni, a Berengario Fredoli e a Dino dei Rossoni di Mugello, e collaborò egli stesso alla compilazione, adducendo modifiche e correzioni dettate dalla sua profonda conoscenza della legge. L'opera fu poi inviata alle principali università d'Europa e venne pubblicata il 3 marzo 1298. Fu molto apprezzata t dai contemporanei i quali riconobbero tutti il merito di Bonifacio VIII. Giovanni Villani nella dura descrizione .. De' morcI1 ch'ebbe ín sè papa Bonífacío u dice: alzo' e aggranèt molto lo stato e ragioni di sqnta Chiesa, e fece fare a messeîe Gulíelmo da Bergamo e a messete Riccardo da Siena cardínali, e a m$sete Dino Rosoní dí MugíeIIo sommí maestrí ín leggí e decretali, e egli con loro ínsieme, ch'era grande maestro ín dtoinítà e 'n deueto, iI se,to libro 2)
Rendite Boniracio
di
VIll.
iI
è
di
tutte Ie leggí e decretali. ") A Bonifaciò spetta anche il merito di avere fondato I'Archiginnasio romano, ossia I'Università che poi prese il nome di .. Sapienza u: ciò che fece con le bolle /n supremae ptaemínentia dígnítatis, emanate il 20 aprile e l'8 giugno 1303, concedendo larghe immùnità e b) privilegi, come diffusamente racconta Filippo Renazzi nella sua opera. Tanta sapienza e dottrina giuridica informò ogni suo atto nel creare il patrimonio de' nipoti. Egli sapeva benissimo che un dominio fondato sulla illegalità e violenza sarebbe inevitadopo la sua morte, al primo assalto di nemici. Ed in vero perchè avrebbe bilmente "rolluio egli dovuto valersi di mezzi illegali quando poteva disporre a suo piacimento di tante ricchezze? ammassate per usura' simonia Queste che alcuni hanno creduto, o voluto credere, interamente e rapina, solo in parte possono essere rinfacciate a Bonifacio Vill. Larghissimi erano in quei tempi i redditi dei benefizi soprattutto dei cardinali; Benedetto Caetani si servì delle laute rendite cardinalizie per fare cospicui acquisti, vari anni prima di ascendere al trono. ll tesoro di 200 000 fiorini, rapitogli da Stefano Colonna il 3 maggio 1297, era stato accumulato sin dal tempo del cardinalato ed era sua proprietà personale, come ebbe a dichiarare Bonifacio VIII al stesso in concistoro; nè avrebbe egli potuto discostarsi dal vero, pronunziandosi così davanti sacro collegio in un momento tanto grave, nel momento cioè in cui alcuni membri del collegio si erano ribellati a lui dichiarando invalida la sua elevazione al papato. Aggiungansi i lauti pro'
ilelle
decretalì,
quale
quasì lume
venti dei feudi, concessi da re Carlo J Lib. VIll,
cap.
II ai nipoti e Ie larghe somme che, donate direttamente
praelermíssís
îure.... Eius ezlanl open plafima. De chrístíanae fideì et Romanorum Pontífcum Ftsecutíoníbus Q?). De regulís luris. De Inilulgen!íís anni lubîIaet. Epíslolae plures, guarutn duae Ieguntut "opud Mathaeum Monasteienxm (Du Boulag, Híst.
.Sancli
Univ. Paris., III, p. 509.)
LXIV. Anche il
cronista urbevetano,
che di lui parla sempre con tanto astio e rnalignità, così si esprime : Decrelalíum lìbrum sexlum conilíAft, ubí multa rcfotmaoít tn me'
atque cassatís (Mur', Beilíní: Beneìlíclum Guag' et índustríum et unum de maiotíbus cleìck
Iíus, multís exbaoagantibus XV-V, p. zot). E la cronaca
!aní, ttírum subtíIem íurís!ís tocius orbís (Mon. Ge'. Hís|., SS'
.... oír
profundíssímae ilochínae
') Mw,, lll, c. 622.
2) Dupuu,
ín
XXV p. s0s). utrcque praesetlím
p' 77, cit' Fínhe, p' 6'
b) Storia delt'Univenità degli Studi di Roma detta comu' la Sapienza etc., Roma, 1803-6; Cf. Mor., LXXXV' p.301 ; C-180. Xl.
nemente
3) Cî. Mot.,
XIX, p. 193;
Doot<]. G.,
III, p. 12; Ior!1, ll, cap. I.
Acguisto del patrimomo
[r2e4-13O3]
75
pontefice dai fedeli, spettavano a lui come proprietà privata, senza tener conto delle oblazioni che gli innumerevoli pellegrini deposero I'anno del giubileo ai piedi degli altari di S. Pietro
al
in Vaticano e di S. Paolo fuori Ie mura dove, giorno e notte, stavano due chierici con i rastrelli in rnano a raccogliere le infrnite piccole monete buttate dalle mani dei fedeli. o) Afferma lo Stefaneschi, testimonio oculare, che. i denari del giubileo furono spesi per ordíne dello stesso sommo pontefice ad acquístare díritti e proprietà per Ie basiliche e quíndi can Ie rendíte dí essi ad accrescere il culto degli apostoli, gIí uffici dioíní..., l) ciò che smentisce singolarmente la voce che del giubileo si awantaggiasse a benefizio dei nepoti. Certamente le ingenti somme sborsate dai Caetani nell'acquisto di tante terre e casteila Acquisti a contanti' non possono esser state ricavate per intero dai loro proventi personali, nè dalle sole rendite cardinalizie dello zio; in gran parte furono fornite dal pontefice che le trasse dalle casse della Chiesa di cui, in parte almeno, poteva disporre legalmente perchè donate alla sua persona. Comunque è fuori di questione che gli acquisti furono eseguiti a pronti contanti. Pochissimi sono gli atti di donazione di cui abbiamo memoria; e la frase che si riscontra in alcuni istrumenti di vendita, come ad esempio: ,, che se tutti e singoli í predetti beni, cose e dírittí oendutí oalessero più del pÍe.zzo sopraddetto, /o sfesso Ríccardo (Anibaldt), oenditore, per i molti e gradítí seroígi che asserì dí aúer ficeouto e speraoa di potu iceoere ín aooenire dal detto sígnor Pietro, compÍatore, It donò e a titolo dì donazione concesse aI medesímo puramente, Iiberamenle, semplí' cemente, assolutamente e írreùocabilmente per quella donazíone che sì díce tra oit)ì >>, frase che I'Eitel2) vuole interpretare come un indizio di vendita forzata a basso pÍezzo, non è altro che una formula giuridica consueta: s'inseriva fra le rinunzie alle varie eccezioni, che integravano gli atti di vendita di quell'epoca, ad evitare possibili contestazioni fra le parti; tanto è vero che si ritrova anche nelle disposizioni e nei legati dei testamenti. Una prova lampante che gli 3) dal quale altissimi prezzi furono effettivamente pagati ci è data da un documento vaticano, appare che dei 40 000 frorini pagati da Pietro Caetani, per I'acquisto del castello di Gavignano; ai fratelli Conti, figli di Adenolfo, l0 000 furono depositati presso la banca degli Spini in Firenze, per soddisfare eventualmente le ragioni dotali delle due figliuole dell'antico signore del castello. Più vicina al vero può essere la supposizione che alcuni baroni e parenti furono costretti ad accondiscendere alla vendita
di feudi, di cui non avevano
forlalítías magnas eísdem (nepotibus) cons!ruete non expaoít, eft' dícatís et depressr's multís nobíIíbus rcmanís et alíís. ... Item quod díclus Bonífacíus tomanís, campanls el alíís plutíbus nobíIìbus lenas et caslra sua pet suí potentíam abstullt et extorsít alíquíbus níchíIo dato, alíquíbus aliquo dato, ut síbî placebat, quí dolenles et ínolrí íd rccípíebant tímore peíus
(Dupus, p. 334). E Jacopone da Todi nella sua laude
l'aíace alcun castello, 'nestante mettl screzío entra frale e
el potentíam extotqueba!, tolum dahat foetídae catnî
se non assente al tuo apPeIIo, menaccel de feire,
Ed in altro luogo si dice che quando bramava le castella
) p.87.
s) Reg. 50, ep.
fralello;
a I'un gettí eI brczo en collo, a I'altro mostre 'I coltello.
suae oídelícet nepotíbus riuís.
ll, p, 310.
LVIII (/acopone, p. I 3l .)
Quando nella contrala.
halenilí, et ad peíus oìtandum. Ilem quod omnes íIIas tenas el caslra, guas sícui per suam
Zosti,
disfarsi. b)
alcuni nobili, i quali non volevano venderle, cercava di met' tere discordia tra loro, come fece con i signori dí Sermíento (Anibaldi di Sermoneta), con i signori di Astura (Frangipani) e con quelli di Sgurgola e di Trevi. Perciò si usò ripetere contro di lui il motto (cautio) storyiato dal copista: VoIí lugu stellu ptops ínlet lug frf, Iu ocullelix, che io interpreterei con le parole dialettali: VoIí lu castellu, poní ínlet Ií fratí Iu cultellu
Ptolomei Lucensis, Doc. ilî St. ItaI., Vl, p. 102)' b) Cosi nelle accuse del processo d'Avignone si legge: ... c!
l) cit.
di
di
Cf. îosfi II, p. 30ó; G. Villanl,Lib. VIII, Cap. XXXVI ; Mur..T. ll, Gon. di Paolino di Piero; ..' unde factus est concuÌsus populí tanlus ex omní geneîe el natione quod síngulis diebus ascenilebal oblatío ail mille líbrcs prortíncíales (Ann. a)
auslefitatem
desiderio alcuno
LXV
BONIFACIO OTTAVO
Lib. I, Cap. IX.
Del resto il valore della maggiore o minore legalità degli acquisti ci è dato dalla storia stessa; non appena i Caetani, per la morte del papa, dovettero sostenersi con le proprie forze, perdettero i feudi pervenuti loro con atti non pienamente legali o per prepotenza ed anche molti di quelli graziosamente concessi da Carlo I[ e da Bonifacio VIII, mentre quelli acquistati legalmente e a contanti rimasero loro proprietà incontestata per secoli ininterrotti. Ed il fatto che lo << stato " dei Caetani si mantenne integro e piùr a lungo di quello di qualsiasi delle altre famiglie baronali, dimostra la legittimità del titolo di proprietà, cui aveva proweduto con straordinario acume e prudenza lo stesso Bonifacio VIII. Quasi tutti gli atti di acquisto si conservano ancora nel nostro archivio e sono stati da me pubblicati nei Regesta Chartarum; perciò si può certamente affermare che nessuna famiglia d'ltalia può documentare così ampiamente i suoi possessi quanto la nostra.
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di
Valvisciolo)
Nulla sarebbe stato più facile al papa che di trasferire ai nipoti le terre confiscate ai nemici. Questo egli non fece; anzi neppure permise che alcuno dei nipoti diventasse protagonista e, forse, neppure prendesse parte nella guerra contro i Colonnesi, sicchè di essi non si trova traccia nei ricordi della crociata bandita contro loro. L'unica eccezione si ha per Ninfa. Su questo castello i Colonnesi pretendevano diritti assai incerti ed il cardinale Pietro aveva cercato di affermarsi nel possesso della terra con mezzi illegali quando, dopo I'elezione di Bonifacio VIII, previde I'estendersi del dominio dei Caetani sulla Marittima e la formazione di una nuova dinastia r) i"udul" pericolosa alla propria Casa. Ma dopo pochi anni dovette dichiararsi vinto. Una riprova della legalità, a cui mirava il pontefice giurista, si ha altresì nei matrimoni dei nipoti. Molti contemporanei, e poi quasi tutti gli storici moderni, hanno creduto che il matrimonio di Roffredo t) Vedi Crp. XlV.
Magnificenza
[13e4-r303]
con Margherita Aldobrandesca fosse fatto per volontà del papa e con lo scopo di trasferire il possesso del contado di lei ai Caetani. Questo non fu il caso; anzi il pontefice ben sapendo che il titolo sul contado sarebbe stato contestato da molti, si afirettò dopo poco a sciogliere il matrimonio per dare invece in moglie a Roffredo Giovanna dell'Aquila, unica ed incontestata erede delle .vaste e ricche c.ontee di Fondi e di Traetto. In un primo tempo non si curò nemmeno.di ritenere il feudo aldobrandesco a benefizio di qualche nipote o parente e solo cinque anni piir tardi, quando vanamente sognò un dominio dei Caetani che si stendesse sino in Toscana, conferì il contado aldobrandesco al nipote Benedetto perchè la famiglia si affermasse nella Tuscia.
***. Non deve recar meraviglia se Bonifacio VIII, il u papa imperadore ,r, fosse amante di pompa e di onori, se fosse . magnifico ed a volte quasi teatrale ne' suoi atti. I sovrani ed i baroni del medio evo e del Rinascimento seppero valutare meglio delle generazioni moderne I'importanza delle processioni, dei cortei, dei costumi sfarzosi: per cssi non erano manifestazioni di inutile vanità, ma intese a colpire I'immaginazione del popolo e a cattivarsene il rispetto. La democrazia moderna ha creduto suo dovere di abolire ogni manifestazione esterna dello spirito regionale o nazionale e far sparire qualsiasi foggia che esprimi la frerezza di appartenere ad una data arte, ad una data casta, alla propria città o al proprio villaggio. Anche i pittoreschi costumi delle nostre contadine sono pressochè spariti e esse quasi si vergognano di portarli. La democrazia mira a dipingere tutti gli uomini in grigio ed il socialismo vuole sostituire I'odio alla frerezza della propria classe. Solo I'esercito e la Chiesa hanno mantenute le tradizioni perchè si rendono' conto che, abbandonandole, perderebbero lo spirito che li regge e li fortifica. Se quindi Bonifacio VIII fece mostra grandiosa di sè, non v'è ragione di stupire e di farne un'accusa alla sua megalomania; bisogna dare il giusto valore alle parole di Giovanni Villani : < molto fu magnanime e sígnoríIe e oolle molto onore;.., oago fu molto della pompa mondana secondo suo stato. ll 23 di gennaio 1295 Bonifacio VIII si faceva consacrare in Roma con pompa non mai veduta per l'addietro, cavalcando dal Vaticano al Laterano, la tiara in testa, su una bianca chinea condotta a mano dal re di Sicilia e da Carlo Martello. Arrivato presso il Celio, si oscurò I'aria e un violento temporale investì tutto ad un tratto il corteo pontifrcio, spegnendo le torce, e creò tanto spavento e confusione nella folla che piìr di quaranta persone rimasero travolte ed uccise. E ben dice il Fleuryr) che le anime superstiziose ne avrebbero potuto trarre un presagio del singolare miscuglio di grandezze e di sfortune che dovevano segnalare il ponti6cato di Bonifacio VIII. Giunto in Laterano, fu imbandito un sontuoso banchetto ove il papa, seduto ad un tavolo appartato, piir elevato e più riccamente addobbato degl'altri, fu servito dai due re in costume regale con la corona sul capo. 2) Bonifacio volle aggiungere alla tiara pontificia una seconda corona in segno del dominio della Chiesa in terra; ma ciò deve essere avvenuto dopo il giubileo, perchè solo negli ultimi suoi ritratti delle grotte vaticane si vede rappresentato con la'doppia corona in capo; ai cardinali concesse di vestire di porpora quali principi della Chiesa. Un indice della magnificenza e del fasto della curia ci è dato da un preziosissimo inventario del tesoro papale, compilato nell'anno 1295,' nel quale sono enumerati oltre 1600 oggetti di ogni >>
r) p, 183.
e) Cl. Crcg.,
V, p" 509 e l'Opus Meltìcum
delìo Stefaneschi.
s) Pubbl. 'dal Molinier in Bibl. Ec. des Charles, vol, 43"49.
Magnificenza.
Tesoro di Boqifacio
Vlll
e valore. Troppo mi dilungherei cercdndo di darne una, per quanto sommaria, descrizione e perciò ricorderò soltanto due oggetti. L'uno è un grande faldistorio d'oro che probabilmente fu il trono dell'imperatore Federico II, a cui si attribuiva un valore di 700 000 lire oro, tutto ornato di perle, di pietre preziose e d'immagini in ismalto;l) I'altro è una delle tiare tutta a cerchi e gigli d'oro e tempestata di gioie ed ornata di un gran numero di cammei, certamente di opera romana: ciò indica il grande pregio che già nel XIil secolo attribuivasi ad essi. ") Nel tesoro inventariato probabilmente poco dopo I'incoronazione di Bonifacio VIII, troviamo naturalmente, quasi per intero, gli oggetti raccolti dai predecessori di questo; alcuni di essi erano doni di sovrani inglesi. Bonifacio vi aggiunse molti altri preziosi arredi, ed il cumulo di ricchezze diventò tale che quando le masnade del Nogaret e dello Sciarra, al tempo dell'attentato, vi misero le mani, rimasero stupefatti da tanta ricchezza e non poterono trafugarne che genere
una parte.
Corte
b)
'uno coloro Bonifacio, con il passare degli anni, perdonarono ad uno ad che commisero I'oltraggio di Anagni, i Colonnesi e tutti quelli che avevano offeso la Chiesa nella persona di Bonifacio, ma non vollero mai levare la scomunica o cessare la persecuzione contro i detentori della parte rubata del tesoro che a poco a poco, ma non già interamente, venne restituito ai papi. Il che andrebbe a comprovare che chi è morto è morto o presto dimenticato, ma che les afaíres sont les afaites. 2) Il Laterano fu residenza prediletta di Bonifacio VIII in Roma. Racconta il Fleury le magnificenze della corte: intorno al papa si affollavano 4 cardinali vescovi, 7 cardinali preti e g cardinali diiconi, il primicerio di palazzo ed i suoi 45 giudici, 20 notai, l0 penitenzieri, il 3 tesoriai, maestro di teologia, 2 notai apostolici, 24 cappellani, 2 camerieri, 8 maestri di porta, un maresciallo di giustizia, senza contare i cuochi della grande e della piccola cucina e Ia folla di servi, stallini, portatori d'acqua, etc. i quali, unitamente alle famiglie dei cardinali e degli altri funzionari di corte, davano vita al dedalo dei palazzi lateranensi, che circondavano la basi-
I
ponti6cia.
Lib. I, Cap. lX.
BONIFACIO OTTAVO
78
successori
di
lica e di cui oggi rimane apPena qualche misera traccia' Tiara.
e)
La tiara, che non è la più
de'
Lì
conun cammeo
Et
preziosa delle
scritta nel modo seguente: Item una grande milra
due'
è
trale)
oi
e
ner giglí e u nel tltolo
sono
2A halascí nsus et
Pat aíde
"
(síc)
e t0
3l peie gtosse a IaIo píccolíbalascle IO" peile e nelle rcseanletìorí oí sono due cam' meí con due tesle e.seí zafirí e sel gtanali; nel cetchíoposte' úore oí sono tte cammeí ilue con leste eil una con caoallí' In delto cerchío e neí glgll ol sono 20 zaffrí e 18 balascl ed uno
e
due
28 peie; in due rcse oi sano due cammeí e seí zafftl e seí granalí' Ed ín una delle code ttí pîccolí e sono aeí balascî e seÍ zofftl gtossl e note gtanatellí coila nell'altta e canpanelle; cíngue perle e 9 zafbí e 27 smeruIilo granile
zaftrí
sono sef
e t0
e
píccolí e
sel balascí gtossí
e I0 zafirl
míno'f e
nooe
ganatellì e 27 peie e cinque campanelle' II puo ilella mítra con Ie caile e fodere è dí t2 m' ed un oncía' b) Pietro di Longtoft nel suo CÀronr'con Rhgt' così rife'
rigce :
CìI alaint
La
ùers Anagne,
cíté cnbagnt,
r) Cî, Munoz, p.
ou Boníface nasquìl;
Ig cítagne
60.
2)
assentít'
l.
cit,
Ie
pape príst
swúenaunt
Ie
tetce
iout
wlll,
íssísl'
La
soume
Ne
combeen
de I'aoet he Bonífoce perdíst, arer homme lg rcndísl, Ne ile feez de cous!, uncote ne fu patfrsl;
snercIdi
Poí oÍ sono trc gossl zaffi e
oegr ítoft
De tut le graunt |resot, ft'en son lemps canqulst, Ne aoatt plus fte lop, ou femer ftaunt íI síst'
(ossia banda verticale cen-
'
longus
pú
son trcsot tut megatenaunt segsís| La pape sauntz oíaund fu ileus iurs en
ín mezzo, nel quale ol è l'îmmagíne dí un uomo e dl una ilonna, due grossÍ zafftí e due altil carnmeí, uno cfloè con una lesla bíanca e l'altro con due tmmagíni; e nello slesso cerchlo anlerlote
Columngne
(Mon. Ger. HÍs,. SS., xxvlll' p.
E Walter
6ó1..
Gsburnensis riferisce:
... [Sciarra] quí in oígilía nalíoítatís beale Marie tenít Ananíam cum exercílu copÎosa' ubi ent thesautus pape a multo tempore teconilílus ín lutíssímo Pallacío,..i e narrando poi la liberuione del papa aggiunge: ... beneilíxít eos [anagninos] "' ErposuíIque eís causam, quarc thesaututn congregaÙeîat, pto negocío scíIícet
Tene Sancte
ptomooendo
(Mon' Ger' Híst',
xxvlx, p.
645rFurono altreì saccheggiate le case di tre cardinali el el del papa (Cron' fonilacho ìIegIí Spíní în làil Fhenze banchieri
SS.
Marc. MagI., Bibl. Naz' Firenze, XXV-19,
c' l9)'
Corte pontificia
F2e1.13O31
Grande era I'abbondanza alla corte: ogni settimana si consumava pet 129 libbre d'argento di pesce, per 600 di carne, per 200 di pane, e per 100 libbre di vino. Ai poveri venivano distribuite 195 rubbia di grano. Percorrendo le pagine dei registri Introitus et exílus par di rivedere con la mente I'intima vita del palazzo apostolico in tutte Ie sue inezie familiari: per la similitudine di esse a quelle che sperimentiamo ai giorni nostri, si ha la sensazione che decresca la distanza che ci separa dagli uomini del medio evo, che siamo soliti di contemplare soltanto sotto
la fredda luce del classico racconto
storico.
continuo accenni alle cure che il papa aveva dei beni propri e della sua famiglia. Ora si tratta delle impannate alle finestre del palazzo di Anagni; ora delle opere di restauro alle case della famiglia, ora delle ricostruzioni e fortificaFrammiste alle spese della corte troviamo
di
zioni delle castella recentemente acquistate per i nipoti. GIi onori, il fasto e la potenza che Bonifacio VIII bramava per sè, volle pure riservare ai nepoti ed alla propria casata: così, ad esempio, nel 1291, mentre era ancora cardinale, ottenne dal popolo e da Nicolò lV, probabilmente con I'appoggio di Carlo II, che il proprio fratello Rofiredo ll de Anagníc fosse nominato senatore di Roma, dopo che il potente Giovanni Colonna era scaduto da quest'ufrcio, al quale era stato chiamato dal popolo e che aveva retto da vero signore dell'Urbe. l) In un primo tempo Rofiredo tenne da solo Ia carica di senatore (così nel luglio 1291), ma pare probabile che verso la fine dell'anno gli si associasse Pandolfo Savelli. Del senatorato di Roffredo abbiamo anche alcune monete rarissime su cui appare lo stemma dei Caetani.
')
Moneta coniata durante il senatorato Rolfredo II Caetani (1290-1292).
di
Così gli Orsini che per un tempo si erano fermamente insediati nell'alto ufficio ed i Colonna che, con Nicolò IV, erano riusciti a togliere loro il primato, videro una nuova stirpe forestiera, a franco dei Savelli e degli Anibaldi, salire alla dignità suprema dell'Urbe. Appaiono sulla scena di Roma i nipoti di Benedetto Caetani. Questi, diventato papa, riversò su essi onori e ricchezze, ed il seme che gittò non cadde su terreno sterile, perehè I'antica razza degli ipati di Gaeta, ringiovanitasi per due secoli nella salubre aria e nel virile ambiente dei monti di Anagni, per opera di Bonifacio, ebbe a riprendere vita rigogliosa, partecipando alle vicende storiche dell'ltalia, mentre Ie più illustri ed antiche famiglie medievali di Roma andavano .) Le monete del senatorato di Rotfredo
sono dei grossi c
in cui
da un lato è rafÉgurata Roma *dente in trono, con la rcritta ROMA cAP. MUNDI, e dall'altra v'è un leone con le parole SENATUS P. Q. R. Nel piccolo settore sottostante at leone si scorgono metà
di
t)
grosso d'argento
del senato rommo,
Lansl., nn. 733?,7339.
le onde araldichc dei Caetaai. Questo è il
primo esempio dello
gentiltio del scnatore segnato sulle monete dclla zccca fonana, usanza che si riscontra poi sovente nel aecolo XIV;
stemma quando
(Sercf.,
i
senatori erano due si incidevano
l, p.29;
Capobianchi
i
loro rtemmi partiti
in lrc. S. P., xlx, p. 84).
Roffredo Caetani senatore,
BONIFACIO OTTAVO
80
e
Villani, non senza una certa ingenuità
di
parole, parlando de' nipoti nella sua cronaca, osserva che se papa Bonifuzío oioendo aoesse creduto che fossino sufí sí pro' ín aîme e oalorosi ín guerra, dì certo gIí aorebbe îqttí re o gîan sígnorí. indebolendosi
sparendo. Giovanni
Lib. l, Cap. lX.
*** cercato, nelle pagine precedenti, di profrlare con realtà e sincerità il carattere di Benedetto Caetani, uomo e pontefice, Quale esso traspare a , traverso le bigotte apologie e Ie inconsulte, per lo piùr calunniose, accuse che si sono addensate sulla memoria, di lui velandone I'immagine. Per secoli ha prevalso il sentimento che Bonifacio sia stato un potente e magnanimo despota che ebbe poco rispetto delle leggi divine; un uomo da ammirare e ad un tempo da condannare. Gò si rispecchia in alcuni curiosi sonetti del secolo XlV, intesi a rappresentare la voce del vecchio pontefice che, levandòsi ,da sotto alla pietra tombale, rievoca I'imperioso suo dominio, e dà un salutare ammonimento al viandante:
Ho
IN NOME DI PAPA BONIFACIO.') NeI mondo stando dooe nulla dura ío Bonífazio ebbí tanta potenza chene di Francia et Carlo di Proenza di me dottarc et ebborne pauîa.
Ancor
potei et
fu
mìe
fattura
Ia struzion qudel'dí Fírenza; a Colonnesi die mortal sentenza. I cicíIianní tenní in ria oentura efe folleggìare íI re d'lnghiterra eI conte di Fiandra i francíeschi fallire tra maggíor del Lamagnd accesi guerra.
Ad
ogne potente mí fe ubidire oî sono infuso dentro nella terra ef posso nulla per oer si puo dire.
dall'Allacci .a Brutto messo da Fiorenza fPoeft' ") Attribuito Antíchí,p. I 9l). MS. cartaceo del princ. sec. iV, AiUt. Magliab., N. VlI, 624, c. 5', che contiene anche il secondo sonetto citato da C. e L. Frati: Inì!íce delle caile dí P. BíIancíoilí, Bolo' gna, 1893, Parte I, Rime, P. 182. b) Lrzione del codice ferrarese del sec'
XlV,
zEO (263)-
Nel monilo ,iondo àoou nulla dura
Ío
BonÍlazío ebbí tanta Potenza
ili FrcncÎa el Cailo dí Prcenza de me iloctato et ebbeîne Pawa,
Chc Io rc
lo
poteí e
la
fu
ile fetao.-mía facluta
crudel' deslruzÎon
ile Fíorenza
b)
Et a Colonesí díeill moildl sentenza e cícíIlanÎ lenni ín îea oentura.
g I
Fecí folleggíarc Io rc d'Enghibena conli di Fíandra et franceschÍ fallîe ba Iî maggíofi ìll Lamagna accest guetra.
S Ail
ogní Potale fecemí ubbídùe
el ota son conchíuso nella lerra Chío possa nulla Per oeto se Po dírc. (Pubbl. da G. Agnelli: Saggío ilí .un Catalogo ileí codícl ,., nella BíbI. Com. tlí Fenata; Firenze, lEgl' p. 27),
F I t I I
Sonetti e Eatirc
[r3o0.1310 c.l
8t
INOME DEL DICTO PAPA BONIFAZIO.
O tu che peî Ia oia del mondo
oai
e dai ooler di gloríosa t)entura resta e oedi me disfuUa figuta
il
chore altero chal. QueIIo chí sono essqdo nol pensai di díoeníre chotanta cosa squîa perdìo mie oísta tí metta pauîa pensando qúel che se' et che saraí ehío Bonífazío papa ímperadorc ebbi potnzía senno et aîdíre tanto chío lu ìlel mondo sígnore, humilíando
A' ogni pototte mi fe ubídbe quello chí sono non pote
fvggir"
tu
huomo che sempre ouoglí essere moggiorc pensa et oedí chome definire. "l
r)
Numeroae sono
le
satire ed
'i
motti contro Bonifacio
L'autore dei FJorcs húortarum, che
(tiZ
Westininster
ant.1,
VllL
ad e*luaivo benefizio di Bonifacio
riferisce:
sk soÍpstt: Ingredítut oulpes, rcgnat leo, sd eanls cxlt; Rc tanilem oeta sí slc Íuí1,'eccc Chimera.
De quo quídam octsirtcatot
.Vulpes lnltaott, laequam leo pont(ficaalt, Exllt utque canls, de dloltefactus lnanîs.
Ed
il Platina:
Intrastl
Domsr,
ul
L l l.
oulpcs, rcgnaslí
ut leo,
motletls
ut canh.
c vari altri:detti
del gcnere aon furonorpcrò b.oiiati VIlt; prinà che focse nato I erano già stati applicati all'imperatore F&lcrico I e.poi furono riserviti a Leone X (Cf. Berso: Roma ed il Papa,,p.2al). Questi
si dice foase Mattpo di
Ncgli lnnclas dí Eb.th"rd e nelle cronache di Arur. di Polham si riporta quest'altsa satira (Mon. Cg.: f/lsl., SS.
tX' p. 8ló; XVlt' p.
'
599).
Nomína blna bona tîbl sunt pteclarw amlctus; Papa Bontfacfus motlo, s.c quondam Bcnèdíctus; Ex re aomen habe; benefac,1qrcilíc, B.eneilícte; Aut cllo pet)erle: mahfac, maleillc, MafuIí,cte, Franc, pipino (Mut,, rx, col. 74r) della rtcsaa satira dà una difrerente lezione.
Caprolo X.
LA CAPPELLA DI BONIFACIO VUI IN SAN PIETRO.
'ANTIcA basilica di S. Pietro, distrutta dalla furia innovatrice del Rinascimento, aveva Ia forma delle antiche chiese cristiane, a somiglianza dell'odierna San Paolo fuori le mura. Davanti alla facciata v'era 'un grande quadriportico, nel centro del quale s'innalzava la gigantesca pigna di bronzo che ora sta nei giardini vaticani. La basilica era a cinque navate, divise da quattro ordini di colonne; in fondo, I'abside con I'altare maggiore; ai lati, varie cappelle e, lungo Ie pareti ed addossati ai pilastri, s'ergevano altari di santi e monumeirti sepolcrali di papi della piir remota antichità, purtroppo rovesciati per cedere il posto alla fredda magnificenza marmorea della nuova chiesa. Alla navata centrale davano accesso tre porte, di cui quella a sinistra era detta ,, Ravennana > ; entrando per la medesima, a sinistra, contro la parete interna della facciata, trovavasi la cappella AngelodelatombadiBoniracioVur. che Bonifacio VIII iolle erigere ad onore di S. Bonifacio IV e Per (Amolfo ilt Cambío.) collocarvi Ia propria tomba. Nuovo Museo Vaticano' Consisteva in un ciborio di stile gotico, sopportato da quattro colonne, cappella caetani. di cui due erano appoggiate alla parete e tra queste, incassata nel muro, era l'urna sepolcrale. Una balaustrata di marmo chiudeva I'altare tra Ie quattro colonne, ed il ciborio stesso era circondato da una cancellata di ferro forgiato, di cui un lato chiudeva
il primo intercolunnio
sinistro della navata centrale' Uno studio accurato della pianta dell'antica basilica, incisa dall'Alfarano nel 1590, e de' disegni acquarellati, eseguiti da Domenico Tasselli prima che gli antichi monumenti venissero demoliti all'inizio del XVII secolo, I'esame di altri documenti, nonchè di alcuni frammenti e del sarcofago che si conservano in S. Pietro e nel Vaticano, mi hanno permesso di eseguire un tentativo di ricostruzione, in cui mi è stata preziosa collaboratrice la valente artista Maria Barosso. I documenti, su cui mi sono fondato, sono sufficientemente precisi per non lasciare dubbio sugli elementi principali architettonici del ciborio. Esso fu opera di Amolfo di Cambio (o di Lapo), il quale vi incise il proprio nome. Egli fu anche autore di quello bellissimo di S. Paolo fuori le mura. Nei dettagli delle guglie i due cibori molto si rassomigliano, ma differiscono interamente nelle linee architettoniche fondamentali; quello di S. Paolo ha il tetto, o baldacchino, sostenuto da archi a sesto acuto poggianti sulle quattro colonne, mentre in quello di
Antica basilica di S. Pietro
F2e7.13031
il
tetto riposa sopra architravi. Gò dà a questo ciborio una forma golfa e strutturalil peso del baldacchino appare sproporzionato alla resistenza degli architravi. Pure i disegni del Tasselli sembrano sufficientemente esatti per non lasciare dubbio sulle linee principali del monumento. Bonifacio VIII fece raccogliere le ceneri di molti santi in un vano preparato nel pavimento, e sopra questo fece porre la base marmorea dell'altare, a facciata di porfido, entro Ia
S. Pietro
mente debole perchè
Cappella
Bonifacio Vlll in S. Pietro. Veduta d'insieme.
di
quale collocò le ossa di S. Bonifacio, rawolte in un v"lo di seta violacea e contenute in un recipiente di vetro che, a sua volta, era protetto da un vaso di piombo chiuso e sigillato. ") Sulla base stessa posava la grande lastra dell'altare, officiando sul quale il sacerdote poteva a) Vicino all'urna fece porre I'antica epigrafe dell'Xl colo relativa a S. Bonifacio, a cui aggiunse i due versi:
se-
Oclaous fitulo hoc Bonífatíus ossa rcpetla
Hac locat
erecla Bonífalíí nomínis
arc.
(Grot. Vat., n. 2o).
LA CAPPELLA DI BONIFACIO VIII lN SAN PIETRO
84
a sè, incassata nel muro, la bella tomba r) stesso Arnolfo di Cambio.
vedere davanti
Lib. l, Cap. X.
che Bonifacio si era fatta scolpire dallo
del tipo consueto dell'epoca e molto simile a quello' del cardinale Consalvo (t 1299), che sitrova in S. Maria Maggiore, opera di Giovanni Cosma; rappresentava il pontefice giacente sul catafalco, in una nicchia o alcova, formata da tendirie a pieghe regolari; ai lati estremi vi erano due angeli in atto di tenere aperte col braccio le tende. ") Le due figure marmoree, opera dello stesso Arnolfo, si trovavano nelle grotte vaticane, nel corridoio a sinistra di chi entra, vicino alle famose sculture di Mino da Fiesole, ma ora sono state trasferite al nuovo museo di S. Pietro. Il sarcofago, che ancora si ammira ne' sotterranei, è di semplicità tale che invero contrasta b) Il pontefice giace sopra con la superbia e I'ambizione smisurata attribuita a Bonifacio VIII. ad un catafalco, coperto di un ricco drappo ricamato, su cui ricorrono i motivi araldici, ed ai piedi del sarcofago vi erano cinque stemmi in mosaico con le onde della Domus. La testa ornata della tiara, poggia su due cuscini riccamente ricamati; il volto ha I'espressione di calma, di serenità e di dolcez za, ma Arnolfo di Cambio, come spesso faceva, non ne ha rifinito la
Il
monumento sepolcrale era
scultura con quella accuratezza che si scorge negli ornati delle vesti, opera forse de' suoi discepoli. Al di sopra della nicchia marmorea v'era un mosaico che raffigurava, da un lato S. Pietro che presenta Bonifacio VIll, inginocchiato davanti alla Madonna ed al Bambino, e dall'altro S. Faolo. Si suppone essere stato opera di Giacomo Turrito, ma potrebbe essere stato di mano
di
Giotto. d Ved.
illustr. a p. 87. b) L'infbrmazione, datadal FinLe (p,
Statue di Bonifacio VIII'
zSS), che
il
papa si
fosse eretta una statua dorata nella parete accanto al monumento sepolcrale, è erronea; il testo a cui si riferisce (Mon. Ger. Híst.,
XXV, p, 712)
descrive la stessa statua sepolcrale ornata di mosaici ricchi d'oro. Risulta tuttavia che alla destra dell'altare, sul pilastro della navata centrale, fd collocato un busto del pontefice in atto di benedire, opera dello st$so Arnolfo e questa scuttura si trova ora:nel nuovo museo (lllustr. a p. 65). Altre statue furono erette dal pontefice, sua vita durante: bronzo esiste nel museo di Bologna. (lllustr. a p. 9l). una rimarchevole opera in metallo sbalzato eseguita da Manno, orefice bolognese; era posta molto in alto nel flttrro 3o' pra Ia rcnghieta dc Slg,a, sotto ad un baldacchino ricoperto di piombo I ai piedi era affrssa la seguente lapide:
una
di
EsEa
è
BONIFACIO
sua biografia
(p.
14) ricarda una statua marnorea che nel sec.
XVll
"-miravasi ancora nella cappella di S. Tommaso in Laterano; probabilmente egli cadde'nello stesso errore in cui molti incappano tuttora prendendo per Bonifacio VIII la statua d'un papa inginocchiato, che trovasi nella cappella a destra del coro e che invece rappresenta Bonifacio
IX,
come chiaramente dimostrano
gli stemmi in musaico con le armi Tomacelli; di altre si è
perso
memoria.
Tanta profusione di immagini diede campo ai denigratori del papa per accusarlo di idolatria. Negli atti del processo di Avignone si legge: Ifem ut suam damnalíssímam memortam ***
VIII P. M.
OB EXIMIA ERCA SE MERITA S. P. Q. B, ANNO MCCCI'
(B$1. Vat., Cod. Barb. lat., n'
pezzî, buona patle deì qualí itrooall ín un otto futono tluní!î e ialtatí alla slatua con metletoí íl': túregno colle tre cotone prooa che quesla stalua non meríla píù feile fC- lsO. lxl. Di quelle di.Orvieto si parlerà al Cap. XVII. Un'altra assai interessante, ma che ora appare bruttisima perchè gofiamente restaurata nel secolo XVll, si vede sulla facciata del duomo di Anagni (Vedi iniziale del cap. xxl). ll vescovo Cristoforo Caetani nella
1221,
p.
fecít lryagínes suas atgenteas erígí ín ecclesíís, pet hoc honínes ad \ilololatranduní\t) înducens J,. Item... Ín poilís cìoitalum, et supeî eas, ubi an!íquílus consueoeîunt ídola esse, suas ímagínes Ítannoîeas erígí fecÍ\, sícul Palet ín cîoítate Urbeoetana, el
418)
alíls locis plurróus etc. (Dupug, p. 331). Una di marmo, destinata alla facciata di S. Maria del Fiore in Firenze, dopo varie peripezie, 6nì in possesso di un antiquario, d1 cui rnio padre la comprò per donarla alla cattedrale ove ora si\trova (lllustr. p. 58). Ad essa credo si riferisce il seguente appuntci del secolo XVIII: La slatua dl Bonífucío VIII che è ín Flrcnze, quando fu fifotta la facciala del domo di Fírcnze a tempí
e
de' Medlcl nel
non curata
1500
pîù onde,
') Var,,l,278,
note;
e tantî (?) fu gítlata gìt la stalua all'íngíutle, sl tuppe ín píìt
esposta
Arc, Vqt.,
Translatio Sanct. Corp., Cod,
Tra le immagini del papa devesi ricordare anche I'affresco di Giotto (lllustr. cap. XXI), che conservasi nella basilica di S. Giovanni, in cui è raf6gurato Bonifacio VIII in atto di proclamare la bolla d'indulgenza per il giubileo dalla loggia, che egli fece costruire in capo alla antica sala del concilio, in vicinanza allo spigolo nord-ovest del palazzo tateranense. L'afresco ornava la Ioggia stesa; e di quete opere parlano difusamente il Fleury (Le Lalran, pp. 194-2ol, ?73-)74) ed il Muntz (Melanges, an. I 888
G. 13, pubbl. ÎoslÍ, ll, p.333,
Descrizione della cappella
lr2e6-r311l
85
il
gradino del ciborio, su tre lati, correva uno spazio angusto. Qui, nel lato sinistro, fu sepolto Benedetto Caetani il giovane, cardinale diacono dei SS. Cosma e Damiano, morto il 13 dicembre 1296. ") Pochissirno sappiamo di'questo nipote di Bonifacio VIII. Probabilmente era figlio di Giacomo, fratello del papa. Onorio IV, cedendo alle preghiere del cardinale Benedetto Caetani, il 13 agosto 1286 assegnava a questo omonimo nipote un canonicato in Arras, l) benchè già ne godesse altri in Anagni e Baiona. 2) Si è comunemente creduto che fosse creato cardinale dei SS. Cosma e Damiano da Celestino V, ad istanza del cardinale Benedetto (Bonifacio VIll), nella promozione fatta in Napoli nel settembre 1294, ma il Finke 3) afferma che ciò non può .rr.r" perchè nella lettera di Giacomo ll, a) ove si parla dei neo'eletti, non frgura il suo nome. Quindi avrebbe dovuto essere stato elevato al cardinalato nella prima promozione che fece'Bonifacio VIII il 17 dicembre 1295; senonchè I'otto agosto di quell'anno già apPare come cardinale dei SS. Cosma e Damiano nel contratto che stipulò con Pietro de Luparia per I'acquisto di una casa,in Anagni. u) Quindi rimane confermata la tradizione antica; devesi supporre che il re Giacomo II d'Aragona, riferendosi alla elezione dei nuovi cardinali eletti da
Tra la
cancellata ed
abbia per errore omesso il nome del giovane Benedetto Caetani. Gli storici ci hanno tramandato il ricordo delle amare lagrime che versò il vecchio papa, vedendosi sparire anzi tempo I'amato nipote, sul cui appoggio aveva contato per sostenere la grandezza della Casa. Tanto fu il dolore che, al dire degli accusatori, lo spinse ad inveire contro Ia volontà divina. ') Nel 1606 le ossa e la lapide mortuaria del cardinale Benedetto furono trasportate nelle grotie vaticane e vi fu affissa la epigrafe: Celestino
V,
BENEDICTUS CAETANUS SS. COS.
MAE ET DAMIANI DIACONUS CARDINALTS BONIFACII
VIII PONT. MAX.
NEPOS OBIIT IDIBUS DECEMBRIS
ANNO MCCXCVI
E SACELLO SANCTI III IN BASILICAE
TRANSLATUS BONIFACII
VETERIS DEMOLITIONE ET
HIC AD PEDES SANCTISSIMI PATRUI DEPOSITUS
XIII KAL. 5)
SEXTILIS ANNO MDCVI
Dalllaltro lato dell'altare fu sepolto Pietro Rodriguez, detto comunemente Pietro Ispano, vescovo di Sabina. Creato principe della Chiesa da Bonifacio VIII, fu uno dei due soli cardinali rimasti fedelmente presso di lui in Anagni, quando lo Sciarra ed il Nogaret si avanzarono o)
Il lg dic. Toài
invia un'ambasciata al papa per con'
p. 358). b) Arc. An., fasc. 10, a. 469, Benedetto aPPare anche tra i firmatari di una bolla del zt giu. 1295 (Dígad,
dolersi della morte del nipote (Cecr',
n.184).
")
Tempote moiís ilomíní Beneilîcti catdÎnalís, neqolís suí,
r) Prou., Reg. Hon. lY,
w'
626-7
'
2) Zopp.,
l'
*
377.
ín
presenlía sex oel octo catdínalíum, qui íoerunt ail consolan-
dun eum, cle
quíbus ego (Petrus Columna) eram unus, ilíxít ín camera sua apud Sanctum Pelrun, quod Deus facere! síbt peíus, quod posset de celero, quía peíus facere sÍbl non posset, quía abstulíl síbí frattem et duos nepotes, qucs'predíIígebar (Mohler, p. 267; Proc. d'Avignone.)
') p, 37.
a) Acta Ar.,
p,20.
i) Btbl. Val.,
Barb. Lat. 2733,
c. 175,
card. Benedetto caetani niPote'
LA CAPPELLA DI BONIFACIO VIIT IN SAN PIETRO
Lib' I'
CAP.
X.
l3ll
(dic. l4?) in Avignone, volle essere sepolto ad pedes baldanzosi ad insultarlo; morto nel l) dominí suí,. Iì giace ancora oggigiorno, dopo seicento e più anni, nelle cripte vaticane. Bonifacio istituì tre beneÉciati, oltre 30 già esistenti nella basilica, perchè in eterno pregassero per lui sulla tomba del santo omonimo. Aveva consacrato la cappella con le sue
i
proprie mani il 6 maggio (1297 ?), dotandola di bacili e calici e di due croci di argento, una di diaspro ed una di cristallo, e di molti altri ornamenti ed arredi di valore. 2) Ancora oggidì a San Pietro si celebrano Ie messe per il' riposo dell'anima sua. 3) Egli fu molto fiero della opera che aveva fatto costruire: in certi appunti del secolo XVI è ricordato un aneddoto umoristico, tratto non saprei dire da quale fonte, che verrebbe a dimostrare come il temuto ed imperioso pontefice si assoggettava, a volte senza malanimo, a lnzzi personali. Pare dunque che un giorno, trovandosi in mezzo ad alcuni veseovi, chiese loro se trovavano bello il suo sepolcro o se, a loro Parere' qualche cosa vi mancasse. Tutti lodarono I'opera, ma un vescovetto disse che una cosa mancava e, alla domanda del pontefice, soggiunse: u Che non ci síate rsoí rr. Allora il papa con un amaro sorriso: u Manca ancoro 'un'altra cosa e cíoè un buco per íI quale ío possa caccíani dentro i miei nemíci (dettahentes) "; ed il vescovetto di rimando 2 u Voi, sígnor papa, fateli príma chíuder dentro e poi fate fare
íl forame! "
grande pontefice spirò I'undici ottobre 1303 ed il giorno dopo fu tumulato nel sarco,'"ru futto preparare. Corse la leggenda che, non aPpena rinchiuso nella cassa, I'im' f"go "he *"gin" della Madonnina, che stava sul ciborio e che era di marmo bianchissimo, apparve a) completamente nera e per quanto si facesse non ci fu modo di ridipingerla in bianco.
Il
secolo dopo, e precisamente una notte di ottobre del 1410, un certo Pietro Simeozzo e due complici entrarono nella cappella di Bonifacio VIII e profanarono la tomba del cardi' nale Benedetto suo nipote, rompendone la lapide che stava nel pavimento, per il quale delitto furono carcerati. Ma n"l 1416 canonico Battista Orsini rimise detto Pietro Simeone nelle grazie del capitolo e gli affidò le chiavi della cappella di Bonifacio, malgrado le proteste dei
Un
il
il
beneficiati bonifaciani.
Demolizioni
del 1605.
5)
Un altro ancora de' Caetani doveva essere sepolto piìr tardi nella cappella: il protono' 1500. tario Gacomo, awelenato a Castel Sant'Angelo, per ordine di Alessandro VI, il 9 luglio del u' La salma vestita di nero fu portata a S. Bartolomeo all'lsola e fu ivi tumulata p"t essere ll' come trasportata, non so capire b"ne per"hè, a S. Pietro, probabilmente ai tempi di Giulio vita' della fu ,upporre la ir"ririon" che parla della mors ímportuna che lo tolse nel vigor "i Cooil correre del secolo XVt si andò svolgendo la costruzione della nuova basilica e nel 1605 piccone demolianche gli ultimi resti della vetusta basilica dovettero cadere sotto I'inesorabile tore. Le tombe arcaiche degli antichi papi, le cappelle del medio evo insieme a quelle splendide del Rinascimento dovettero emigrare, sparire, per far posto alla fredda magnifrcenza dell'arte quello nuova; così I'altare di S. Bonifacio ed il monumento di Bonifacio Vlll, al pari di delle vicino di Giulio II, protettore de' Caetani, vennero demoliti con scrupolosa osservanza dispersi cerimonie rituali, ma con nessun rispetto per I'arte e per la storia; i marmi vennero ha di scultura o rilavorati per la nuova costruzione della basilica e solo qualche frammento soprawissuto ,ino ai giorni nostri. Uguale sorte seguì la maggior parte degli altri monumenti dell'antica chiesa di San Pietro, e
si dice che le tombe di molti papi dei primissimi
buttate via alla rinfusa con gli scarichi delle demolizioni t, 24, n. 20i BíbI. Ba. Zaf', "t,p."'744, I C-140. lt. Rubeus, l. l44t "-"e)
Burch,,lll, P. 67'
Martirol' Ant', dà gome data
a)Mw.,
il 5 fcb'
lx, al. 741.
in
secoli vennero
corso. l'
) BibI' Vot" Libcr'
-i3lMst.'xxlv'v' 6)
Diar'
ldi P' di
Anniven' Bat' Vat'
Schiavo'
pp' 64' 103'
Sepolture
lrsn-1605I
87
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Cappella
di Bonifacio VIII in S. Pieho.
LA CAPPEI".LA Dt BONIFACIO VIll IN SAN PIETRO Apertura
del rarcofago.
Lib'
I'
Cap'
X'
Quelli di casa Caetani vollero assistere all'apertura della tomba del loro grande antenato e I'l I ottobre, appunto nel trecentesimo secondo anniversario della sua morte' in presenza del duca Pietro e dei fratelli, Antonio arcivescovo di Capua e Bonifacio vescovo di Cassano, nonchè di gran numero di prelati e dignitari, fu rimossa la statua sepolcrale, che serve di coperchio al sarcofago, e fu trovata in esso una semplice cassa di abete nella quale giaceva, meravigliosamente incorrotto dal tempo, il corpo di Bonifacio VIII, vestito de' suoi magnifici paramenti sacri di seta, di damasco e di broccato d'oro su fondo nero, di opera turca o p"rriun". Nei ricami ricorrevano le onder dello stemma gentilizio. Le mani belle e lunghe erano iivestite di guanti di seta bianca ed incrociate sul petto; la testa, un poco calva, era intatta;
la faccia ,"n"ru, Ia fronte largu,
ii
mento raso' ') Il corpo rimase esposto alla curiosità ed ammirazione del pubblico sino al 27 novembre nell'archivio della basilica; poi'l'antica cassa fu rinchiusa entro un'altra di piombo e poi in una terza di pino, fatte costruire dalla famiglia Caetani' Ora la ,ulm" ripor" nelle oscure cripte vaticane, nella cappella della Madonna della Febbre. Ai suoi piedi, come prima, ,sono sepolti il nipote, il pronipote ed il fedele Pietro Ispano. A tempo d"l 1;1io avo e.dietro sua supplica, fu riaperta la tomba (24 ag. 1832) per aggiustare il coperchio che chiudeva male; I'aria aveva disfatto tutto e del grande pontefice non rimanequale, vano che le.ossa e le ceneri informi. Trovavasi presente Don Filippo, fratello del duca, il per ricordo, sottrasse una piccola falange di quella mano che aveva benedetto Dante ed aveva rrina""iato Filippo il Bello. Conservo questa reliquia come uno de' più preziosi cimeli di famiglia, rinchiusa in un cofanetto d'argento, che Don Michelangelo fece confezionare dal suo amico
e
collaboratore I'ore6ce Castellani. a) per
procèsso verbale della ricognizione
,
del corpo di B.
vlll vedi Îostr" .ll, Docum.,
Ornato sul drappo marmoreo del sarcofago di Bonifacio Vlll; Grotte Vaticane.
P- 333 '
LIBRO SECONDO
GENESI DEL DOMINIO
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Ornato del drappo marmoreo sulla tomba
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di
Bonifacio
VIII. Grotte Vaticane.
C.qprror-o XI.
ANTICHI POSSEDIMENTT.
Eca talvolta meraviglia il vedere con quanta tenacia alcune famiglie, originate o stabilitesi in certe località, vi si siano mantenute a traverso le tumultuose vicende dei tempi, quasi avessero affondato le radici nel suolo loro prediletto e, seppure trascinate altrove dalla prepotenza degli eventi, il vederle, fosse anche dopo un secolo, tornare alle terre ed alle case avite. Così per i Caetani due sono le zone a cui sempre hanno fatto ritorno: i monti Aurunci, nei dintorni di Gaeta, loro città d'origine, e I'alta valle del sacco, nelle vicinanze d'Anagni ove, al principio circa del secolo XII, si era trasferito un ramo della famiglia. Nel primo capitolo ho detto come i Caetani, duchi ed ipati di Gaeta, si diramarono dando origine ai duchi di Fondi, ai conti di Traetto e Sujo, ed ai signori di ltri, Alife, San Germano etc., in Terra di Lavoro. Caduto il ducato di Gaeta, soprawissero alcuni di questi rami sino a che, verso la metà del secolo XII, Ia maggior parte del territorio passò ai Dell'Aquila che presero il titolo di conti di Fondi. Con la fine del secolo XIII, in seguito al matrimonio di Giovanna, )ialua ln bronzo di Bonifacio Vtu; ultimo rampollo ed erede universale di questa illustre famiglia, le contee Museo di Bologna' di Fondi e di Traetto passarono nuovamente ai Caetani che le ressero sino al principio del secolo XVI. Nella Campagna i Caetani appariscono verso la metà del secolo XII; non abbiamo che vaghi indizi sui loro primi possedimenti in Veroli, Alatri, Ferentino, Ceprano, Ceccano ed in altri paesi vicini. Non ne troviamo cenno nella serie, quasi completa, degl'istrumenti d'acquisto rogati al tempo di Bonifacio VIII, ma vengono ricordati negli atti di divisione del secolo XlV. In Veroli esisteva, murato in un palazzo, I'antico stemma Caetani con le sole onde, reliquia
di
qualche vetusto possesso. Castello Nuovo ,,, dove un Pietro Caetani discendenti ncn cambiarono piìr dimora ma, met-
In Anagni la famiglia si stabilì in contrada "
aveva una casa già sin dall'anno 1177.r) I tendo radici sempre piir profonde, allargarono
i
possessi
finchè, 120 anni piìr tardi, un altro
Lib.
ANTICHI POSSEDIMENTI
OJ
ll,
Cap. XI.
Pietro, nipote di Bonifacio VIll, costruiva nella medesima contrada un nuovo palazzo e comgli edifizi vicini, formando un vasto quartiere di sua proprietà in adiacenza prava le "ur" "l) alla cattedrale. Se ci fosse dato di conoscere meglio la prirna storia delle antiche famiglie nobili della Campagna, vedremmo tali nessi di parentele e reciprocità d'interessi da poterle considerare di quuri ,iru stirpe sola; capiremmo come I'attaccamento a date località è dovuto a vincoli per cui si vanno sangue, all'arnor patrio, al fascino della terra e delle mura nelle quali si vive, dei Caetani non sep' stringendo legami indissolubili fra uomini e cose. Per questo i vari rami p.rJ ,,è noll"ro mai dimenticare la propria città d'origine; nel corso dei secoli li vediamo e custodire le antiche case in contrada Castello, ricordare ne' testamenti la cappella ubi "r" loro vecchia gentilizia nella cattedrale e, emigrati in Ispagna, dopo cento anni, tornare alla Primi acquisti.
Anagni. Benedetto Caetani, animato
dal profondo affetto familiare che colorò tutti gli atti della possedimenti della propria sua vita, e spinto dalla sua naturale ambizione, volle estendere i uno (< stato >>. Tale ambizione gli si maturò nell'animo sin dai primi anni Casa per "r"url" fu innalzato alla dignità di protonotario apostolico' della carriera ecclesiastica; infatti appena -Ji valendosi delle molteplici rendite di cui godeva. Il cominciò a fare acquisti di terre "ur" " alcuni suoi 25 agosto l27B Coimado (Conti) signore di Sgurgola, avendo liberato da un mutuo di Giovanni' suo beni, vendeva al nobilè Roffredo II Caetani, milite anagnino, ed a Giacomo
Anagni, in contrada " senipote, procuratore di Benedetto, alcune terre site nel territorio di .. Gentulmu >r p€Í il prezzo di 98 libbre di denari del senato' verana ,, " del castello di Sismano Elevato al cardinalato, o poco prima, Benedetto venne in possesso archivio del relativo acquisto' presso Acquasparta, ma non abbiamo notizia alcuna nel nostro Il solo accenno ,ic"ha e probubil" che la proprietà gli pervenisse in eredità dallo zio Pietro. 2) processo di Avignone; che ho potuto trovare di tale possesso è nell" deposizioni testimoniali del ai molte compere fatte da Benedetto Caetani non sia rimasta del resto è assai probabile memoria.
Selvamolle,
"n"
Nel 1283, trovandosi di molto aumentate le rendite, potè dare piùr ampia esecuzione al è naturale, si estesero verso vasto progetto che gli stava tanto a cuore. Le sue mire, come indotto le casteila vicine uj Anagni e verso i monti Lepini. Nel fare ciò egli fu probabilrnente facilitazioni che poteva ottenere da interessi che la f*migli" aveva già in quelle località e dalle in virtù delle sue relazioni con le famiglie a lui affini o imparentate. (Selva In primo luogo si occupò di comprare tutto il castello e il territorio di Selvamolle da Ceccano' d"' Muli. n"lla dùc"ri di Ferentino, "h" erano tenuti dalla moglie di Landolfo che si conservano nel da' suoi parenti e da altri numerosi proprietari. Da tredici pergamene' 3) risulta che in qo"rii diversi acquisti egli sborsasse una somma non minore nostro ur"hinio, state facilitate da di 9600 libbre di denari del senato. È probabile che le trattative gli siano tra essi gli eredi di Agnesa un certo grado di parentela con gli stessi proprietari: infatti notiamo patrasso, madre del cardinale Benedetto. conti, sorella di Aressandro IV " ,iu ài Emilia a) forse erano suoi parenti, a giudicare dall'intimità che essi avevano con Anche i nobili Bussa molte il cardinale, a cui donarono, con forse discutibile buona voglia le proprie terre, e dalle paren' di Forse un indizio premure che si diedero nel condurre a termine questi vari negoziati.
t) Cf. cap. LV.
z) Pspus, p. 562.
!) Vedi
Regesla,
I, p, 50 e aee.; Arc. Coet' An,,pp'
20'21'
\ Ct' Regesla' I' p' 88'
Primi acquisti
F27B-lzetl
93
tela è appunto l'odio che nutrirono contro Bonifacio VIII quando, piùr tardi, si videro sopraffatti dalla potenza dei nipoti di lui. ') Con simili acquisti si andò sempre piir rafforzando in Anagni la posizione dei Caetani come signori feudali, formando quel vassallaggio su cui si basava il potere delle famiglie medievali. il 6 agosto 1288 il nobilis Lffiidus Gagtanus, a nome del fratello cardinale, concedeva in feudo ai nobili Giovanni e Leonardo Picaloctis una casa ed un orto in contrada Castello, facendosi prestare il debito giuramento di fedeltà e vassallaggio. l) Testimonio a quest'atto fu lo stesso Nicola Bussa, di cui si è parlato prima. ' Alla fine del secolo XIII Ia spinosa questione della Sicilia, caúsa di tante guerre, teneva in subbuglio tutta I'Europa occidentale. Il papato si sforzava di comporre le difficoltà, pur sostenendo sempre le proprie ragioni, ed al cardinale Benedetto, come ad uno dei piìr dotti ed autorevoli membri del collegio cardinalizio, vennero afidati vari ed importanti incarichi. Gà nel 1283 Martino lV lo aveva spedito per dissuadere Carlo I d'Angiò dal battersi in duello con Pietro dtAragona, ed in questo e negli altri negoziati Benedetto ebbe occasione di venire in continuo contatto con il frglio di lui Carlo II e di meritarsene la riconoscenza. Ne abbiamo una prova nella grande cura che Carlo Martello, vicario di Carlo II, aveva degli interessi del cardinale nel regno di Sicilia. Di fatti non solo il 16 giugno 1290 s'interessava affinchè venisse restituito al familiare del cardinale un polledro, fuggito al di là del passo di Sora ed indebitamente trattenuto, ma ordinò pure ad Ottone di Tuttiaco, giustiziere del regno, che Berardo di S. Gregorio non recasse molestia al cardinale Benedetto per la casa, owerosia antico monastero di S. Angelo di Orsara, dell'ordine di Calatrava che, da molto tempo dilapidato e guastato, 2) La quistione poi si comj era stato dal cardinale restaurato e trasformato ad uso d'abitazione. plicò e si protrasse per due anni. Nel 1291 il Caetani fu mandato a Tarascon per trattare la pace fra gli Aragonesi, Carlo II d'Angiò, Carlo di Valois ed il re Filippo di Francia. Egli ebbe parte principalissima nel condurre i negoziati a buon porto e, se Carlo ottenne che Alfonso d'Aragona rinunziasse a prestare aiuto al fratello Giacomo di Sicilia e che gli restituisse i figli ed i baroni provenzali tenuti in ostaggio, lo dovette in gran parte all'autorità e al buon volere del cardinale Benedetto. In riconoscenza di ciò re Carlo, il 5 febbraio, donava perpetuamente in feudo a Rofiredo, fratello del cardinale, il castello di Vairano contro pagamento di un tributo di 160 once d'oro annue a) Diamo un albero genealogico parziale dei Bussa, come risulta dai documenti citati.
Bartolomeo Bussa
di
Selvamolle
f
Nicola vende
a
Bussa
1284 ant,
i
suoi beni
Benedetto Caetani
*
Nicola $
Fumone;
miles anagninus
(Giacomo ?) Feudatario
di
Cospira contro Bonifacio
t284.lV. t6
di Anagni
VIII
prob. m.
Goffredo
Cappellano pontificio,
m.
Perna (Caetani
Perna Bussa
?)
Maresciallo
post. Canonico d'Anagni (tze7) 1302
x $
Ruggero Podestà
di
S (tZse)
f tzs4 ant, Giaconro
$
di Corte;
contro Bonifacio
Cospira
Vlll.
0303.Ix.7.)
?
Pietro di Nicola
S
Canonico (t2s5),
Goffredo $
Spoleto
m. prob.
Maria di Luparia
Dubito che questo Giacomo sia invece il 6glio di Nicola. Donano i loro interessi in Selvamolle al cardinale Benedetto Caetani (tZel . l. Zl).
r)Resesla,l,p.58, 2)Arc.Nap,R,A.,vo|.5l,f.ó4b-84b;v,fr.56,fr,112'e179bt v"60,fi.9-10:v.66,t.94';v.53,f.l15,etc.
Proprietà
nel
napoletano,
ANTICHI POSSEDIMENTI
94
e per
il
Lib. Il, Cap. XI.
di otto
uomini d'arme; ordinava che dal possesso fosse rimossó íncontínente Giovannetto della Leonessa, figlio del defunto Filippo. Il 19 del mese veniva firmato il trattato di pace, per cui rimasero riscattati anche gli ostaggi dati ad Alfonso d'Aragona da Raimondo del Balzo, figlio di Bertrando, conte di Avellino, per la liberazione della propria persona. Questi, per trovare il denaro necessario al riscatto, si trovò costretto a vendere la città di Calvi al cardinale Benedetto per 1300 once d'oro. Non so dire se fosse mosso da gratitudine per quanto questi aveva operato in tale negoziazione, o se, come è piùr probabile, fosse indotto da re Carlo il quale voleva favorire il potente principe della Chiesa, intuendo forse che da lui sarebbero dipese un giorno le proprie sorti. Della vendita eseguita a Tarascon il re diede awiso il 27' febbraio al figlio Carlo Martello, suo vicario generale, e questi, il I aprile, dalla torre di S. Erasmo presso Capua, emanava I'ordine affinchè Roffredo fosse messo in possesso tanto del castello di Vairano, in proprio, quanto della città di Calvi, come procuratore del fratello. u) Ai primi del 1292 Benedetto comprava da Giovanni di Giordano, e probabilmentg anche dal cugino Giovanni di Guido, condomini di Norma, questo castello con la giurisdizione, col dominio e con ogni proprietà e diritto ad essi spettanti. r) Per le tre parti della rocca e I'intero castello spettanti al primo, il cardinale pagò 26500 fiorini d'oro, equivalenti a circa 318000
lire
servizio militare
oro.
Quando Benedetto si recò a visitare Ia sua nuova proprietà, dalle mura che sovrastano all'altissimo dirupo, contemplò tutta la vasta pianura della Marittima: dal monte Circeo, che si profilava sull'orizzonte, I'occhio seguì il litorale tirreno con i laghi di Paola, di Caprolace, de' Monaci e di Fogliano, che luccicavano come piccole strisce d'argento lungo la duna del mard; e su questo vide spiccare la nera torre di Astura ove I'infelice Corradino, pochi anni prima, era stato catturato per esser condotto al patibolo. Vide lo specchio delle paludi contro la nera massa delle sterminate selve del litorale ed ai piedi suoi la ridente piccola Ninfa le cui acque, effluenti dal lago ceruleo, andavano a perdersi come un nastro argenteo negli stagni di Piscinara. A sinistra, poco lungi, vide Sermoneta con I'altissima torre degli Anibaldi. Tale panorama certamente lo colpì e non v'è dubbio che, presentendo forse il supremo ufficio che I'attendeva, formò nell'animo il disegno di comprendere quanto I'occhio suo abbracciava nel vasto dominio che preparava alla gente caetana. Il fervore che egli spiegava nel comprare tante terre non devesi interpretare come brama di possesso personale, ma unicamente come impulso dell'intenso affetto per quelli del suo sangue. Tanto è vero che trasferì ogni sua proprietà terriera al fratello Roffredo qualche tempo prima di essere elevato al supremo ufficio, b) e ciò egli fece probabilmente per subito defrnire e giuridicamente consolidare ai nipoti il patrimonio familiare che tanto ambiva di creare. Il 24 dicemúe 1294 Benedetto Caetani saliva sul soglio pontificio, assumendo il nome di Bonifacio VIII, e re Carlo il Zoppo, che già scorgeva in lui il protettore ed il padrone, si afirettava a riversare sul fratello e sui nipoti di lui onori e ricchezze, come dirò nel capitolo seguente.
Oltre ai feudi concessi dal re di Napoli, Bonifacio Vlll procurò d'ingrandire Io stato de' nipoti con matrimoni ed innumerevoli acquisti. Sarebbe troppo lungo il voler riferire quanto { Arc. Nap. R. 1., Vol. zt, fi. ss"-gd'.
L'ordine ri-
47, f. 4b: leg: ... omnía bona ... quae hqbebat ante papalum... per
òEít. K., p. tlTl Arc. Va!., Arm.49,'1"
guardante Calvi parla solo del procuratore del cardinale, ma è
giamo infatti
evidente che fosse Rofiredo.
oenerínt ad ilomínum
lj
Regeslc,
l, p. 60.
Loftídum frahem
suum ,,.,
(Mohler, p.
Dz)'
It2St-12941
Primi acquisti
su tale materia $i ricava dalle centinaia di pergamene che ancora si conservano nel nostro archivio: rimando quindi il lettore ai Regesfa ed alle ,, Breoí notízíe suì possedímenti di Casa Caetani >,, date in appendice alla Domus, qui limitandomi a discorrere soltanto dei fatti piir notevoli.
Le operazioni d'acquisto si possono dividere in tre gruppi principali: In primo luogo troviamo la creazione di larghi possedimenti nel regno napoletano, dovuti sia a concessione di feudi da parte del sovrano sia ad acquisti diretti. Ad integrare questi venne il matrimonio di Roffredo III con Giovanna dell'Aquila, che portò in doie Ie ricche e vaste contee di Fondi e Traetto, per cui i Caetani diventarono i piir grandi proprietari feudali di Terra di Lavoro. In secondo luogo vi sono i numerosi ed importanti acquisti nella Campagna e Marittima, che abbracciano gran parte dei dintorni di Anagni, i monti Lepini e massima parte della Marittima venendo quasi a congiungersi con i feudi nel napoletano. In terzo luogo il poco duraturo, ma interessante, tentativo del papa di sottoporre al dominio de' nipoti tutta ,la Toscana, trasferendo al nipote Benedetto i feudi di Margherita Aldobrandesca cop quanto Werava poter ottenere in compenso dei favori prodigati alla città di Firenze. I suddetti acquisti in varie parti d'ltalia si svolsero quasi contemporaneamente durante i nove anni del suo pontificato e sono intimamente collegati ed iutrecciati tra loro; discorrerò ora separatamente di essi e se a volte si riscontreranno alcune ripetizioni, ciò è dovuto al desiderio che questo lavoro possa essere consultato piìr agevolmente dagli studiosi.
.è
Captror-o Xll.
I FEUDI NEL NAPOLETANO. o
già accennato che il 23 gennaio 1295, mentre Bonifacio VIII si recava a S. Giovanni in Laterano, dopo I'incoronazione, e percorreva processionalmente le strade di Roma parate a festa, il re Carlo II di Napoli e Carlo Martello gli tenevano 'del cavallo bianco e lo servirono poi a tavola, le redini dimostrandosi pronti a soddisfare ogni suo desiderio. Approfrt-
tando del momento, Bonifacio chiese al re di conferire uno stato al proprio fratello Roffredo II, ed il dieci del mese seguente Carlo II concedeva in feudo a questo la città e la torre di Caserta e le castella di Ducenta, di Atino, di Presenzano e di Fontana, riconfermando altresì la cessione di Vairano e I'infeudazione della città di Calvi, di cui si è detto nel capitolo precedente. ") Sempre piìr vaste diventarono le ambizioni nepotistiche di Bonifacio VIII, e gradualmente gli si maturò in mente un piano per stabilire una egemonia della casa Caetani sull'ltalia centrale. Mentre i nipoti acquistavano, una dopo I'altra, casteila e tenute nella Campagna e Marittima, la superba potenza dei Colonna crollava sotto i colpi spietati che Ie inferiva il papa. Ma ciò non poteva bastare; Ia signoria dei Moneta di Riccardo I dell'Aquila, Caetani doveva estendersi anche al nord verso la Toscana duca di Gaeta!) (lto5-ltll) ed al sud verso il regno di Napoli. Purtroppo il contado aldobrandesco nella Tuscia, che era pervenuto nelle mani di Roffredo III in seguito al matrimonio di lui con Margherita Aldobrandesca, appariva un possesso Concessioni
di Carlo II.
o) Queste terre in parte erano già devolute alla corona, in parte venivano rinunziate, non so con quanta spontaneità, dagli attuali signori Bartolomeo di Capua, Ludovivo di Roher, Pietro u de Braheriis, e Bartolomeo Siginolfo, perchè il re potesse senza indugio alcuno rispondere ai desideri del pontefice (lrc.
f' 21'). Tali donazioni furono riconfermate il 20 febbraio (Regesta, I, p. Se) e I'elfettivo possesso ne fu dato il 27 del mese (Arc. Nap. R. l', vol. a, f. zozl.
Nap, R. A., vol. 77,
Le terre per ordine del re venivano riunite nel
contado di Ca-
Rofiredo riceveva il titolo con obbligo di fornire 18 rniliti ai servigi del re, in ragione di venti once d'oro all'anno per ogni milite.
serta,
.
di cui
r) Cf. Fenarc M', p. 63,
'
Continuarono le grazie del re a ricadere sui nepoti del papa: a Giacomo, 6glio del fratello Giovanni, fu concessa una rendita di 40 once annue il ze aprile (Arc. Nap. R. A.' vol. zl , f. 3ó")i Pietrofiglio di Rofiredo II fu eletto consigliere intimo del re il 9 gennaio 129ó (Iof, vol. 64, Î.206b) e, morto Rolfredo tra il rraggio e I'ottobre del tzso, fu confermata il t9-22 ottobre
al figlio di lui con remissione di tu*i i (IuÍ, vol. 80, f. l0r, l9b). Si può ben dire che ogai volta che re Carlo si recava a Roma o ad Anagni per osse' quiare e conferire cot nuovo pontefice, perdeva qualche penna sotto forma di concessioni fatte ad unodei nipoti (lti, vol.77, f, 36'; vol. 162, t. 73"; vol. ó6, l. 2l7b). la
contea
di
servizi feudali
Caserta
La famiglia Dell'Aquila
Foe1.r299I
gli sarebbe stato aspramente conteso dai cugini e dagli altri parenti della moglie. presentava la contea di Fondi, di cui era erede universale Giovanna dell'Aquila, attrattive Migliori unica figliola di Riccardo IV. Gà da molto tempo il papa aveva messo gli occhi su questa giovane ereditiera. Vennero aperte trattative di matrimonio, di cui si fece intermediario Io stesso re Carlo e in breve tempo furono condotte a termine. Appena assicuratosi di ciò, e forse anche qualche tempo prima di venire a definitivi accordi, il papa si adoperò ad annullare il matrimonio tra Roffredo e Margherita, diventatagli invisa perchè non generava figlioli e per la irregolarità della vita passata. Le tresche amorose con Nello della Pietra ed il matrimonio segreto contratto precedentemente con h"li e-rano giunti a conoscenza del papa e, valendosi di ciò come motivo legale, il 3 ottobre 1298 Érdinava che Margherita venisse dichiarata bigama e fosse annullato il vincolo matrimoniale. Ma di tutto ciò si daranno i particolari nel XVII malsicuro, che
capitolo.
Govanna era I'ultimo rampollo del ramo primogenito dell'antichissima e potente famiglia Dell'Aquila. La prima notizia che troviamo di questa è nell'atto di donazione che Riccardo I dell'Aquila, conte di Pico, faceva nel l09l al monastero di Monte Cassino nella persona dell'abate Oderisio. l) Di origine probabilmente nórmanna, Riccardo fu uomo battagliero e intraprendente; cacciò i conti longobardi da Fondi e da Sqssa, e nel I 105 s'impossessò ,di Gaeta, diventandone console e duca. Non cercherò di seguire le interessanti, ma alquanto oscure, vicende della famiglia, di cui danno notizia il Federici, Merores, Bruto Amante, Capecelatro ed altri autori; mi limito a dare nella pagina seguente l'albero genealogico della famiglia e a ricordare che i figli e i nipoti di Riccardo, coinvolti nelle continue lotte e guerre dei re normanni della Sicilia, di Federico Barbarossa e dei tanti signori e principi che popolavano la Terra di Lavoro, piir ' volte perdettero e riconquistarono il ducato di Gaeta, Ie contee di Fondi, di Sessa e di Traetto. Sul finire del secolo XIV, Riccardo IV, pronipote di Riccardo I, duca di Gaeta, era Matrimonio Giovanna signore di tutto il territorio che, da Terracina sino al Garigliano, rimane compreso tra i di dell'Aquila. monti Aurunci ed il mare. Egli morì mentre si preparavano gli sponsali della figliola Giovanna con Roffredo Caetani, perchè il 19 luglio 1299, quando re Carlo assegnava in dote a Giovanna una pensione di 200 once 2) era ancora in vita, ma nell'ottobre, quando ebbe luogo il matrimonio, era già morto. In seguito al matrimonio con Roffredo, non solo fecero ritorno nella famiglia Caetani quelle stesse contee di Fondi e di Traetto che già nel secolo XI avevano appartenuto ai Ioro antenati, i discendenti dei duchi di Gaeta, ma la stessa famiglia Dell'Aquila, che ai primi del secolo XII. aveva retto Gaeta con titolo ducale, si estinse e si perpetuò in quella caetana. In segno di ciò i Caetani, a partire dal 1299, inquartarono Ie aquile bianche su fondo aznrr:.o dei Dell'Aquila con le proprie onde azzurre su fondo oro, e propriamente avrebbero dovuto appellarsi u Gaetani dell'Aquila ,r, ciò che forse non fecero per superbia del proprio nome. Così vediamo due famiglie ducali di Gaeta, I'una succedere all'altra nelle contee di Traetto, di Fondi ed in altre terre della regione, e poi, estintasi Ia seconda famiglia, queste stesse terre far ritorno nella prima, quasi in obbedienza a quella specie di fatalità che, come ebbi a dire, sembra tenere indissolubilmente legato I'uomo alla terra da cui trasse origine. GIi spcnsali ebbero luogo nei primi giorni dell'ottobre 1299 con grande gioia di tutti, ed il procuratore Berengario de Pavo, scrivendo il 14 del mese al re Giacomo II d'Aragona, gli diceva: p papa] inoero è eccessioamente lieto, perchè ha concluso gIí sponsali della figlta ')
Cod. Cajet.,
Domus,
l,
13.
ll, p.
143.
1)
Atc. Nap. R. 4., vol, 96, f. l8l"
I FEUDI NEL NAPOLETANO
98
Lib. ll, Cap. XII.
dí un certo conte di Fondi, iI quale è morto ín questì gíorní, col proprío nepote e cosi aorà Ia contea che da molto tempo desideraoa, perchè iI detto conte non aaeoa alcun figlio maschío. t) Re Carlo, il 16 del mese, ordinava a Francesco di Monteleone di immetteie Roffredo nel possesso corporale della contea di Fondi, 2) ciò che fu fatto sei giorni dopo. 3) Il 22 del mese Giovanna, ancora fanciulla d'età minore, è detta uxor di Roffredo. La famiglia Caetani con questo matrimonio e con gli acquisti fatti nella Marittima, venne a trovarsi signora di un vasto dominio che, dai monti al mare, si allargava per B0 chilometri da Torre Astura al Garigliano. Mancavano solo Gaeta e Terracina, ma di queste due importanti città libere il papa sperava di poter disporre piir tardi inducendo il re a cederle ai nipoti, poco importava se di buona o di cattiva voglia.
Ricco e bello, in vero, era Io stato che con tale matrimonio veniva a far parte del patrimonio dei Caetani. Cominciando da sotto Terracina, esso comprendeva Monticelli, ora detta Monte S. Biagio, Acquaviva, Lenola e, forse, Vallecorsa ne' monti Ausoni; seguiva la fertile piana di Fondi, ricca di agrumeti, di campi arati e di peschiere con il suo piccolo porto di mare di Sperlonga. Di poi, ne' monti che sovrastano a Gaeta e Formia, v'erano la forte terra di ltri, che colla sua rocca inespugnabile comandava e completamente sbarrava la strada di Napoli, nonchè Maranola, Spigno, Traetto (l'odierna Minturno), che sovrasta e domina la vallata del Garigliano, al quale castello, unitamente alla sponda sinistra del fiume, spettava la famosa scafa o traghetto da cui trasse il nome; per qìesto Stemma dei Dell'Aquila; punto obbligato, tutti i viaggiatori dovevano passare pagando un pedaggio, da una miniatura del 1466. e tale monopolio costituiva un'ottima fonte di guadagno. Presso il rnare trovavasi Scauri con Ie famose mole. ") V'erano inoltre molte altre castella e tenute, che nel loro insieme costituivano le belle ed ubertose contee di Fondi e di Traetto e di cui verremo a parlare in seguito. Dnsidii I documenti dell'epoca ben poco ci dicono della vita intima e della natura di Giovanna ramiliari' dell'Aquila. Per molto tempo rimase senza prole ed i frgli Nicola e Francesca, Ia quale poi sposò Berardo da Ceccano, non nacquero che dopo piir di un decennio di vita coniugale. Preoccupatone, ;l pontefice ottenne da Carlo II che Rofiredo potesse succedere nella contea di Fondi anche se Giovanna dovesse decedere senza prole, la quale grazia fu concessa con diploma del 15 marzo 1300. 4) La sterilità apparente di Giovanna sarà stata Ia causa per cui la felicità matrimoniale fu di breve durata, ma a ciò deve avere anche contribuito Ia suocera, Giacoma Ruffo di Catanzaro che, come è di regola, venne ad acerba lite col genero. Giacoma, per la morte del marito, doveva essere reintegrata nella dote di lB00 once, somma assai cospicua per quei tempi, e pro honote primi oseulí, owero per il u baciatico >), aveva da lui ricevuto il castello di Sujo e cento once d'oro. Riccardo le aveva inoltre concesso per testamento di abitare nel comodo palazzo di Traetto, luogo invero incantevole, perchè da esso si gode la meravigliosa veduta sulla ridente e fertile campagna e sull'azzurro golfo di Gaeta; inoltre o) Scauri presso Formia era una piccolisima rocca, owerosia torre, costruita sulla riva del mare a protezione di alcune mole, operate da un canale che adduce I'acqua dalla montagaa. Il fortilizio poggia su antichisime mura ciclopiche ed è ancora abbastanza
'
t) Acla Ar., p,
71.
') Arc. Nop. R. 1.,
vol. 97,
î,
52.
bene coaservato. La sua importanza era dovuta non solo alle mole, ma anche al fatto che trovavasi viciuissimo alla strada chc conduce a Napoli.
3) Regesro,
I, p
175.
a)
Atc.
Gaet.
Arcg.,
cod.. 1308,
c.
7.
ALBERO GENEALOGICO
DEI DELL'AQUILA
NB. Le notizie ctoriche, tratte da varie fonti, non sono state tutte controllate.
,+
*
Rinaldo?
Riccardo t,
-il05-
-t09t.
Gualtcrio]?
f illt
Di
- ll05
origine normatrnai Conte di Pico; Signore di Pontecorvo a) (ttor-ttoz;; Caccia i conti longobardi da Fondi e da Ses6a; Conte di Sessa e di Sujo; Console e duca di Gaeta (tto5) ;
u Quí
oocor
de Aquila
".
-
D.
Ringarda * che
in
- lt05 Duca
Carinola
{
Goffredo I
Andrea
Peregrino
di
seconde nozze sposa Alessandro
f llll,ll12
di Gaeta dopo il
- ltot -
Signore
padre.
di ltri;
Riccardo
t tt47-n53
- ll2l-1t35
Conte di Sessa
Console
(tt35), di Traetto e di Fondi.
-
e duca di Gactr
dal lt2t.
m.
Adelieia * conte di Teano,
di Rao,
di Marsi; Contessa di Gaeta
sig.
e Ruggcro
Riccardo
b)
- l2l2 di
Barone
Vallecorsa.
duchessa.
lI
d)
tl'Ai",u
conte di Fondi, Traetto, s".* ,lCillJ' a'n*utno a) (t r4e) i congiura contro Maione, min. di Guglielmo il Malo; Tradisce Roberto di Capua (tt56); Privato della contea di Fondi; (NB. Vi sono vari Riccardi in queot'epoca e perciò prob. Riccardo Il, anziché padre, fu avo di Ruggero I ed ebbe per figtio quell'altro Riccardo che nel 1200 fu sig. di Sessa); Nel 12t2.I.3 testa norninandolaChiesaeredenella contea di Fondi; Nel l2l2.V.ll è assediato dall'imp. Federicoedalui siarrende col figlio Ruggero;f) l2l4 b)
*?: Riccardo
. lt76 -
Ruggero I + t232.VII-xlI d)
- t2t6 -
Figlia D.
di Fondi e di Traetto; Imprigionato da Fedeúco ll (122+l e privato della contsa; Restituitagli d) (tzro); Asaediq Conte
Sifredo fratello
Fondi (tzz9); Dona un casale al mon. di Fossanova (1232 . vlt).
*
di
Marcovaldo
*
Ruggcro
-l2B-
Conte di Fondi; Ebbe per avo Riccardo, conte di Fondi.
. Goffredo lI - t2t2 - 1348 Imprigionato da Federico II; Liberato (tzfO); Teste irella suddetta donazione fatta dal paùe (t2tz. Vlt); Sie, di Sujo e ltrid) (1232); Innocenzo lV gli restituisce il castello di S. Giovanni Incarico
") (t248. ttl. l8), di cui fu spogliato il * 'Ruggero Conte
di
padre da Fed. II.
lI
+ 1272 Fondi e di Traetto m.
Adelasia Sorella di S. Tommaso d'Aquino
* Giovanna + t272. l, Scp. a S. Sabina ove
* Riccardo n, 1265 esiste
sua lapide.
a.
1232 ant,
. Matteo Roro Orrini
c. f
Conte
Giacoma n rfto
h[addalena
Fondi
ai Calabria
*
Dona alcuni beni all'ospedale
n. 1270
Giovanqa pqt. + 1307-1117
Figlia unica ed erede universale del patrimonio Deli'Aquila che pel matrimonio passa in casa Caetani. m. 1299 . X. prirc.
ROFFREDO TN CAETANT Nipote di Bonifacio
Tommaso
VI-X.
Figlia del conte di Catanzaro. ln lite con Rolfredo Caetani per la roce di Traetto (tlOO).
Riccardo
di S. Spirito in Roma (rrol).
di
III
1299.
Vlll;
Conte
di
Fondi.
a) Gallola, Hi:t. Csin. Acc*. b) Lib. Censuum,l, pp.257, 260. c) Regora, I, p. 31, d) Mut., Vll, Car. R. de S. Gcrm. c)
Mu.,Yll, ol.8ó7.
D Cr. Sss.
*
I\{enzionato
íel
o nei lRegesla,
Coilcx Cojetanus
Lib. II, Cap. Xil.
I FEUDI NEL NAPOLETANO
t00
aveva legato I'usufrutto dei molini di Scauri, del demanio di Traetto e della scafa sul Garigliano. Ciò non era punto di gradimento a Roffredo, il quale aveva preso possesso di queste terre nel 1299 e, come suole accadere anche ai giorni nostri, volle levarsi la suocera d'attorno: la cacciò con mali modi privandola, non senza qualche violenza, di quanto pretendeva spettarle. Ne nacque grave scandalo; Giovanna prese ie parti della madre ; di sua propria volontà abbandonò il marito e probabilmente aveva in animo di separarsi da lui. I dissidi matrimoniali furono portati davanti alla curia apostolica e Clemente V, verso il 1306, emanò certe sentenze di cui per altro non abbiamo esatta notizia. Roberto, duca di Calabria, che fungeva da vicario per il padre Carlo II, legato a Roffredo da vincoli d'amicizia a cui si tenne fedele tutta la vita, s'ingerì nella faccenda e si adoperò molto affinchè Giovanna tornasse col marito, ma si curò ben poco di far restituire alla suocera i beni toltile dal genero. Giacoma si rivolse allora al cardinale Napoleone Orsini, protettore di Margherita Aldobrandesca e d'animo poco amichevole verso i Caetani, e costui, verso il marogio 1307, scrisse a re Carlo e lo indusse ad ordinare al figlio Roberto di non immischiarsi in siffatte questioni matrimoniali che erano di competenza della Chiesa, e di far restituire a Giacoma quanto le spettava. Ld lite si trascinò dal settembre del 130ó alla fine del l3l2 senza che Roffredo, presso cui la moglie pare avesse intanto fatto ritorno, si curasse menomarnente di eseguire le restituzioni impostegli. Stanco di tanti pettegolezzi, il 24 novembre 1312, re Roberto diede ordini perentori affinchè tale causa, entro il termine di sei mesi, fosse finalmente terminata. l) Fu convenuto che Roffredo desse alla suocera 70 once annue sui proventi di Sujo e 30 once su queili della scafa del Garigliano ed il rc, il22 maggio 1313, dava 2) Non molto tempo dopo pieno asseaso a tale accordo. Giovanna moriva e Roffredo passò a seconde nozze con Porticato nel cortile della rocca di Traetto.
le
Caterina della Ratta. Fu impossibile a Pietro ed al figlio Roffredo di mantenere integro il vasto stato nel napoletano, che era a loro pervenuto per opera del papa. Morto Bonifacio VIII e scoppiata la guerra con i Colonnesi e con gli altri innumerevoli nemici, i Caetani per far fronte alle ingenti spese, dovettero vendere alcune terre nel Regno ed a tal fine sacrificarono quelle che, per essere troppo lontane, erano difficili a tenere. ") La piìr
di
Vendite feudi minori,
ii ll luglio 1304 da Pietro Ci una somma che Pietro liquidazione a Guglielmo Stendardo, era in obbligo di pagare a Giovanna, moglie di lui, ed a Francesca da Ceccano a soddísfazione di loro interessi nel castello di Cavignano. La cosa si collega alla guerra combattuta tra i Caeo) La città di Calvi fu alienata
in
tani ed i Da Cecmno, sorta Per motivi d'interesse e per il fatto che, a suo tempo, Bonifacio VIII aveva fatto imprigionare Giovanni da Ceccano (Arc, Nap. R' 1., vol. l3l, fr' 44"'45^' 5lb-52,, 6lb-62 ; vedi pure Sìnilící, " Cecano ".) Vi furono molte altre vendite: così ad esempio, avendo Pietro contratto un debito di 300 once d'oro con i Peruzzi, mercanti di Firenze, per cui aveva dato in ipoteca Vairano, il
t) Arc. fasc. 2" n. 9.
Nap.
20 mazo 1305 vendeva a Bartolomeo di Capua questa terra per 800 once d'oro, trasferendo a loro il debito. La vendita fu stipulata
in
presenza
di
Carlo
II,
a Perugia, ove
il re
era venuto
per influire sulla soluzione deil'interminabile conclave e ove
si
adoperava altresì a far concludere il famigerato compromesso del 22 marzo tra i Caetani e i Colcnna, del quale si avrà a parlare più tardi. Con Io stesso atto si alienava pure !a terra di Pres€Eatro,
e le due castella venivano
separate dalla contea
di Fondi
(Atc. Nap. R. A., vol. 133, Îf. 65"-67"). Seguì poi, addì 25 ottobre, Ia vendita di Aúna a Giacomo di Capua (Arc. Nap'
R. 1., vol.
163,
l. li').
R. A., vol. 16l, lf. l9b, l28b-129'; vol. 159, f. 2l4b; vo!. 195, f' 32't voì. 200, f. 43'-b.
") Atc.
Caet'
Ane',
Alienazione
[13r0-1313]
di
di feudi
in grave strettezza finanziaria un debito di 2000 once d'oro con Bartolomeo Siginolfo, ") conte di Telese; ed il prestito ebbe per forma Ia vendita della città di Caserta, con facoltà a Pietro di poterla ricomprare al: prezzo rnedesimo entro un anno dalla data di stipulazione dell'atto, eseguito a Napoli il 4 settembre 1305. r) Delle 2000 once Siginolfo non pagò che 1000 rna, entrato in possesso di Caserta, pensò bene di non laiciarsela piìr sfuggire. E tanto fece che il 7 luglio 1306 Carlo II ufficialmente riconosceva che latto stipulato tra Siginolfo e Pietro era di fatto una reale compra-vendita e non già una ipoteca data in securtà per il prestito delle 2000 once: a prova di che Siginolfo adduceva la ragione cle nell'istrumento, rogato davanti a pubblico notaio, non era stata inserita la clausola di importante delle alienazioni fu quella
Caserta. Pietro trovandosi
contrasse
retrovendita, che Pietro aveva speci6cato nella
procura rilasciata per la stipulazione di esso. L'argomento legalmente era buono, benchè probabilmente addotto in mala fede, senza riguardo alcuno alle .previe intese verbali. Comunque, il re diede ragione a Siginolfo, e colse I'occasione per ricordarsi che Pietro non aveva mai pagato 300 once da Caserta; cattedrale di S. Michele Arcangelo (sec. XIi), dieci anni dovute alla corte per il u relevio , di tutti i beni feudali avuti in eredità dal padre Roffredo II; anzi il sovrano si fece liquidare tali arretrati da Siginolfo sulle residue 1000 once che questi avrebbe dovuto ancora sborsare a Pietro. D Da tutto ciò mi par di poter dedurre che I'amicizia del re per i nipoti del papa defunto si era già raffreddata; certamente doveva scottargli il ricordo delle prepotenze usategli da Bonifacio VIII e forse anche vi avevano a che fare gli intrighi del cardinale Napoleone Orsini, il quale si valeva delle persecuzioni, di cui era stata vittima la sua protetta Margherita Aldobrandesca e deli'acerba lite tra Roffredo e Giacoma da Catanzaro, per awelenare I'animo del sovrano. Pietro ebb'e sentore di tutto questo e subito delegò, come suo procuratore, Nicolò Gaetani di Pisa, familiare di casa e parente del famoso Giacomo, per impedire che Siginolfo avesse buon giuoco e per costringerlo a rivendergli la città di Caserta, anche se ciò doveva rappresentare qualche sacrifizio. Cinque giorni prinna che scadessero i termini contrattuali, Nicolò, con una muletta carica di due grossi sacchi che contenevano Ie mille once d'oro, si presentò nel grande cortile di Castelnuovo, ove risiedeva il re. Roberto, duca di Calabria, in quel momento si accingeva a salire a cavallo per uscire di città ed a lui si fece innanzi il pisano, esibendo con una mano I'atto di procura, al quale era affisso il sigillo in cera rossa di Pietro Caetani, u)
Al
di Celestino V il cardinale Benedetto Caetani abitava questo Bartolomeo (Dupug, pp. 535,561),
tempo del pontificato
forse fratello
o
patente
di
)) Arc. I'lap. R. 1., vol. 155" f.
lló8.
2) Arc.
Gaet,
Arcs.,
eod.
in
N. 4 (133ó), c. 59.
Napoli
in
casa
di
Marino
di
Siginolfo,
Vendita di caserta'
I FEUDI NEL NAPOLETANO
l02
ad alta voce dicharandosi pronto a ricomprare la città indicava
i
sacchi rigurgitanti
di
di
Lib. Il, Cap. xlt.
Caserta, mentre con I'altra mano
monete.
il
duca Roberto non aveva voglia di entrare in merito alla questione e si scusò dicendo che non aveva tempo-perchè in. procinto di partire. Nicolò non volle darsi per vinto e si rivolse a Bernardo Caracciolo, vicecamerario di Siginolfo, lì presente, ma questi si guardò bene di prendere atto dell'offerta; in seguito di che il procuratore, che non trovava chi gli volesse dare ascolto, presentò debita protesta dell'accaduto. l) Saribbe troppo lungo riferire tutte le fasi della causa che seguì tra Siginolfo ed i Caetani riguardo a Caserta; re Carlo e Roberto presero le parti del loro camerario, trovando forme Iegali per rendere legittimo a Siginolfo il possesso di Caserta. Pietro continuò a chiamarsi e sottoscriversi conte di Caserta, malgrado le proteste dell'avversario, al quale il re aveva concesso di mutare il titolo da conte di Telese in quello di Caserta. Finalmente Roberto fece citare Pietro entro termini perentori chiamandolo, tout court, ,, dominus Petrus )> e, non essendosi questi potuto presentare perchè impedito dalle guerre che sosteneva contro i Colonna e trattenuto in casa dal matrimonio del frglio Benedetto (mar. 1308), fu condannato in contumacia. Appellò contro la sentenza, ma il processo si arenò, perchè poco dopo cadeva trucidato a tradimento dai fuorusciti di Anagni. I figli, Rofhedo e Benedetto, visto che era impossibile di contrastare la volontà sovrana e che la'contea di Caserta era oramai perduta per loro, accettarono il residuo pagamentó di 1000 once e riconobbero come valida la vendita, che fu sanzio2) nata col regio assenso di Carlo II in dàta del 18 novembre 1308. In tal modo finì la signoria sulla città di Caserta; tuttavia, dopo tre secoli, essa doveva tornare in possebso della famiglia con titolo di principato, quale eredità di Anna Acquaviva d'Aragona, moglie di Francesco IV
Ma
Caetani, vicerè di Sicilia. Così, nel corso di pochi anni, si verificò quanto il sagace Bonifacio VIII aveva previsto: i bei feudi e Ie ricche rendite graziosamente concessi ai nipoti del papa sotto pressione politica e per puro favoritismo (a volte ingiustamente privandone i precedenti possessori), ad uno ad uno uscirono dalle mani dei Caetani, mentre le proprietà legittimamente acquistate a contanti o per eredità rimasero per secoli in loro pacifico possesso. ') Arc, Nap. R. ,{,,
vol. II, f . 181.
2) Atc. Nao. R.
A.,vol. l7l,l.25; vol. l78,ff.3l''b,?3-?5; Arc. Co/., LXXIV-39.
Caprolo XIII. TORRE E LA INFERMITA DI BONIFA,CIO Vru.
ENEDETTo Caetani negli ultimi suoi anni ebbe molto a soffrire
Grosso paparino
di
Bonifacio
Vlll.
Collezione dell'A.
per I'abbassamento di un rene e per calcolosi, ossia mal della pietra; già nel 1292, al tempo della sede vacante, si dovette recare ad Anagni per curarvisi e, dopo Ia elevazione al pontificato, il male non gli diede piir tregua alcuna. Nel 1298 si ammalò gravemente e si trovò in pericolo di vita; al principio dell'anno seguente era ancora convalescente e nel luglio scrivevano di lui: NuI ne Ii promet, k'il dott longhemente oíùre ne f iI se doít íamaís aíilier
dou cors.") Le cure prodigate, sin dalla
elezione,
al
pontefrce dal
Acquc di Fiuggi.
pistoia, b) da Manzi" di
3:inl::1il"*"3:m; ;' *:",tt -'y;i*,*
Accursino da ben poco. Forse potè trovare qualche sollievo al suo male nell'uso abbondante delle acque minerali delle u Fontanelle > presso Torre ") nella valle di Anticoli, ora detta Torre Cajetani, conosciute ai giomi d'ogg come le famose sorgenti di Fiuggi. GIi era nota I'azione di queste meravigliose acque, tanto vicine alla sua città nativa, e che ne sperimentasse I'efficacia ci riesce provato dal fatto che non appena eletto papa si affrettò ad acquistare il castello e le sorgenti. d)
.) Vedi gcn Bonífaz
lus den TaV e doc. da cui traggo le principali
An- p,2t,
I'importantissimo studio del Finke :
suo diritto e ragione sulla terra (Arc, Caet.
VIII,
llS0. ll. 7, B);edil 9 sett. 1296 Andrea"deTutiir'd'Ala-
cap.
doc.
notizie.
tri
b) magísho Accursíno de Ptslorío habltatore Uùís medíco et famíIíarc lpsíus pape (Arc. Vat., Inst, Misc. 270). c) Per notizie dell'anno ll80 relative a Torre vedi MS. della famiglia Colacicchi in Anagni e Arc. Caet. An. ù Il 14 settembre del tzss Angelo di Leone, milite d'Ala-
et purt auú, il castello di Torre cum domibus, casís, oínels ... ct f onlem fontanîI ín oalle anliculana con il dominio e la giuridiziorc (Arc. Cael. An., p.21; Zapp,, p.402). Il Ceccacci $. ZZ) asserisce di avere letto uu istrumento identico stipulato con Nicola . de Tutiis ', ma for& incorse in errorc. Il l0 di dec. aache Nicola di Bartolomeo Pelle di Paliano gli vendeva la parte sua per 2000 fiorini (4rc. dí Moatecassíno, C. lJ(X, F, Xl, N. l3): ma la fonte
tri,
nominava Giovanni detto Conti suo procuratore per vendere
i diritti e i
beni a lui spettanti nel castello rtesso (Regesla, I, p. 90). Non è specificato nell'istrumento a chi si dovesse fare la vendita, ma si può ben supporre chc fosse a Rolfredo, fra-
tello del papa. Nello stesso anno, addì zl aovembre, Orlando milite d'Anagni, figlio di Bartolomeo di Guido, vendcva allo stcsso Rofrredo una sua casa presso la rocca di Torre ed ogni
vendeva a Pietro Caetani (essendo morto Rofrcdo
II), per
50
fiorini óonl
è citata e perciò è da arguire fosse stata proprictà esclu, < de Tutiis ,. ln un documento del 2 dec. 1160, citato dal Pierautoni, si menziona la < Fonlen Aillam ,, da cui non
siva di Andrea forse deriva
il
nome odierno
di
Fontanellc.
TORRE E LA INFERMI'I'A DI BONIFACIO VIII
t04
Lib. II, Cap. XIII.
Torre Cajetani s'innalza su un monte a forma di cono, ad 800 metri sul livello del mare, e da questo luogo, fresco anche durante I'estate, si gode il magnifico panorama dei monti e della vallata di Anagni. Appena preso poisesso della terra, Pietro Caetani cominciò Ia costruzione d'un palazzo intorno ad una torre che suppongo già esistesse allora. Il pontefice prendeva vivo interesse nel nuovo acguisto ed il primo ottobre del 1296, ossia pochi giorni dopo che fu perfezionato, volle visitare Ia terra; vi rimase per breve spazio di tempo e si hanno di lui tre brevi datati in Turrí nostru prope Anagniam. t) Tanto giovamento sperava di ricevere da queste acque che, anche quando si trovava lontano dalla valle anticolana, spediva ogni settimana dei cursori, per lo piir Ugone da Perugia ed Orlanduccio, con due muli a basto, ognuno munito di un paio di idriae di rame, stagnate all'interno, per attingere acqua ad Anticoli; il viaggio di andata e di ritorno a Roma prendeva quattro giomi, e i cursori venivano pagati 28 tornesi grossi oltre le spese per Ie bestie. Le informazioni ci son date dai libri di Introitus et exìtus Camerae et Palatíi Apostolíci e nei codicì che restano del 1299 e del I 302, consultati dal Ceccacci, si trovano 187 partite riguardanti il servizio Pro aqua Domíni nostrí, che fu eseguito durante tutto il pontificato di
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VIII. Come è facile capire, la sola cura delle acque non poteva certamente guarire il vecchio pontefice, il quale se la prendeva còn i medici, in special modo con Anselmo da Bergamo che
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Bonifacio
inganno per avere promesso una guarigione che non era stato in grado di efiettuare.2) Ai primi del l30l appare nella corte pontificia il catalano Arnaldo di Villanova: medico, chimico e filosofo. Era autore dell'opera ,, De semine scnpturarttrlt >>, che fu giudicata eretica dal vescovo e dai teologi di Parigi. Perciò al principio del l30l venne a Roma, invocando giustizia ed il giudizio del pontefice stesso. Questi cominciò per riprovare e condannare I'opera in pieno accusò
Arnaldo di Villanova,
Torre Caietani.
di
concistoro
e, per misura di
precauzione, fece anche mettere I'autore
in
prigione, 3) ma un nuovo
attacco di coliche nefritiche presentò ad Arnaldo una via di salvezza. Questi offrì l'opera sua a Bonifacio VIII, il quale accettò di farsi curare da lui. I rimedi del catalano furono pronti
ed
efficaci.
Arnaldo era un grande scienziato de' suoi tempi; medico e teologo, fu altresì eminente negli studi dell'alchimia e non è da escludere che sia stato lo scopritore dell'alcool che egli a) Intuì che la ragione principale delle sofferenze del papa era I'abbassamento chiama acquavite. del rene, perciò gli confezionò un paio di .. brache ,r, ossia un cinto renale che, mantenendo ii rene al suà posto, impediva che gli venissero Ie coliche. Gli allestì altresì un sigillo d'oro, che fece fondere il I luglio 1301, quando il sole entrava nella costellazione del Leone; sul medesimo t) ed il papa lo portava erano incisi il segno astronomico del Leone ed alcune parole bibliche,
1) Dísarl, nn' 1378, 6) Ct. Finke, p.206.
l?79, 1446.
))
Fìnhe, p. 2Ol.
3) Dupuu, o, V?|.
+) Bedhelol, La Chimie au Moyen Aec, I,
p.
l4l.
Arnaldo di Villanova
lue6-13361
t05
applicato al rene. Il che forse non era pura magìa perchè questa placca d'oro, compressa nel punto opportuno, veniva probabilmente ad integrare I'azione del cinto. Il papa ne trasse straordinario sollievo e Ie coliche sparirono come per incanto: gli sembrò di essere rinato, di sentirsi giovane; e la sua diffidenza- si trasformò in profonda riconoscenza verso colui che gli aveva effettivamente salvato la vita. Furenti ne furono i cardinali, nemici di Bonifacio VIII, perchè corrcúa Ia fama che se non fosse stato per maestra Arnaldo iI pontefice già sarcbbe stato
e sepolto; piir di uno maledisse l'arte di quel guastamestiere di catalano ! Di tutto ciò ci dà testimonianza lo stesso pontefice: un giorno, nell'estate del 1301, mentre parlava con re Carlo dicendo male degli spagnoli, ebbe ad esclamare: ., Ho trooato difatti un solo catalano che faceoa cose buone, cioè maestro Arnaldo da Villanooa, iI quale mi ha
bello
fatto sígilli d'oro e un certo brachíere, che ío porto, e mi líberano dal dolore della píetra e da moltí altrí malann| e mí fa úíaere ,r. t) Per quanto aveva fatto, Arnaldo di Villanova godeva di tutta Ia benevolenza del papa ai grandi calori, col permesso di lui, si ritirò a Sgurgola, nuovo feudo di Pietro Caetani, che rimane ail'ombra del Monte Gemma. Ivi andò ad abitare, forse nella piccola rocca che sovrasta al paese e si chiuse nella solitudine vietando I'accesso a chiunque per dedicarsi febbrilmente alla composizione d'una nuova opera, un
e, nel luglio dello
stesso anno 1301, per sfuggire
,,
Regimen Sanítatis rr, forse ora perduta. Nell'autunno I'opera era completa; quando Bonifacio ne ebbe conoscenza, rimase tanto profondamente impressionato da esclamare in presenza di vari cardinali 2 ,, Quest'uomo è iI maggior chíerico del mondo, e noi Io confessíamo e tuttaoia non conoscíuto pet mezzo nostro! ,, z) Arnaldo si trattenne presso la corte sino
è ancora
alla primavera del 1302, quando partì per la Francia, donde si credette in dovere di esqrtare il pontefice a riformare la Chiesa. Tanto Ie cure quanto i consigli morali non liberarono però il vecchio Bonifacio dall'inesorabile male. Egli continuò a far viaggiare i suoi cursori dal Laterano alla valle di Anticoli per procurarsi I'acqua della fonte Fontanil: ma né questa né il sigillo d'oro sui reni poterono sal' vargli la vita; ogni anno la salute andava peggiorando. ") Awenuta la congiura del Nogaret, la' terribile commozione e lo sdegno suscitati dall'attentato di Anagni produssero in lui tale una scossa nervosa che, come è solito in tal genere di malattie, un violento rincrudimento del male lo condusse alla morte per uricemia. I dolori strazianti che precedettero I'agonia gli fecero emettere grida qhe, dissero, sembravano il ruggito di un leone, per cui i suoi nemici ebbero agio di scagliargli contro un'ultima contumelia raccontando che fosse morto di rabbia mangiandosi le dita. b) Pietro Caetani fece molti lavori nel castello di Torre, adattandolo a pitr comoda abitazione e fortificandolo con costruzioni che tuttora si vedono, ma che alla fine del secolo scorso molto ebbero a soffrire per inconsulti lavori, eseguiti dall'ultimo rampollo del ramo di Filettino, Anatolio Caetani. Non molti anni fa si additava ancora una stanza che si diceva fosse siato I'oratorio privato del papa. Dopo la morte di Pietro e Roffredo III, quando nel 1336 si. addivenne alla divisione ereditaria tra i figli di costui, Torre e le castella di Filettino e Vallepietra vennero assegnate a Bello, il quale fu capostipite del ramo de' Caetani che, in un primo tempo, furono detti di a) Per giudizi sulla sua salute vedi pag, 67. b) Cf. cap. XXII. Un contemporaneo inglese scriveva in quei
t) Fin&"
pp.
l,
14'
Domus,
XXX, XXXVI.
Relaz.
di
Albalatq. 2)
Finke, pp. 203,
giorni: Incepít graoíler afi.ígÍ solíta ínrtffiílate, oídelícet calculi passíone (Mon, Ger Hr'st., XXVll, p, 3la). XXX.
Castello di
Torre.
,"',1
,Ì
t06
TORRE E LA INFE,fl,MITÀ DI BONIFACIO VIII
Lib.
ll,
Cap.
Xlll.
Filettino e poi presero il titolo di conti della Torre. Esso mantenne la sua residenza nell'avita Anagni e conservò stato nobile ed onorato sino ai giomi nostri guando, tutto ad un tratto, si spense nell'oscurità e nella miseria.' L'awersa fortuna'ha colpito anche la rocca, il palazzo e lo stesso paese di Torre; essi rovinarono subitamente pel terremoto del 1915, ed ora gli edifrci scoperchiati e I'alta torre, crepata e diruta, aspettano che I'inesorabile azione degli elementi e del tempo li disfaccia a poco a poco riducendoli ad un cumulo di macerie. Sic transit gloria! Saputo che i resti dell'archivio dei Caetani della Torre conservavansi dal loro parente Alessandro Longhi in Fumone, mi recai a visitarlo ed egli, animato dal nobile desiderio di veder meglio conservate le memorie di famiglia, generosamente mi donò un ammasso di carte; le caricai nell'automobile e, seduto su di esse, feci ritorno a Roma ove, ben ordinate, si custodiscono ora decorosamente nel nostro archivio e spesse volte vengono citate in queste pagrne.
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'
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Porta d'ingresso di Torre Caietani.
Clprrolo XIV.
NINFA.
INFA, la misteriosa città rnorta, cumulo di silenziose rovine, coperte di edera, di rovi e di rose, simile ad una tomba negletta e abbandonata, giace ai piedi dell'antico Monte Mirteto presso Norma, in vicinanza di un piccolo lago, nelle acque cerulee del quale si riflette I'imagine dell'altissima torre del castello medievale. Poche e frammentarie sono le notizie che abbiamo della origine e ) della storia di questa piccola città ne' bassi secoli; persino incerte sono le cause della sua distruzione e la ragione per cui fu abbandonata., Un Monogramma di Nicola circonda tutto il suo passato ed esso appunto suscita vieppìr in mistero Vari, notaio di Ninfa nel 1297. noi il desiderio di esplorarlo per scoprire qualche luce che illumini il ^) lato umano di una vita cittadina spenta da secoli e oramai dimenticata. Non cercherò in queste pagine di ricostruire la storia di Ninfa, di cui hanno trattato già vari autori u) e, in ccnformità allo scopo prefissomi, mi occuperò solo brevemente delle memorie antiche di maggior rilievo per poi intrattenermi alquanto sugli awenimenti che si svolsero dopo che la terra passò sotto la signoria dei Caetani Sulle propaggini dei Volsci ed appunto ai piedi del monte dell'antichissima Norba, dalle Ninfa all'epoca romana' mura ciclopiche piìr vetuste di quelle di Roma, scaturiscono abbondantissime sorgenti che, riunendosi in un piccolo lago, formano il caput flumínís dell'antico Ngmpheum. Presso questo laghetto sorgeva un tempio romano dedicato alle ninfe, e certe opere che tuttora si vedono, fatte di grandi massi spaziati gli uni dagli altri, potrebbero forse essere vestigia delle fondamenia di esso. Sul finire della repubblica di Roma, Norba fu distrutta da Emilio Lepido, generale di Silla, ma sopravvisse Ia leggenda norbana, tramandataci da Plinio, de' prodigiosi fenomeni che si vedevano sul lago, cioè di due isolette, dette Saltuares perchè si movevano al ritmo della sinfonia, b) e delle 6amme, che si sprigionavano dai duri sassi all'infiltrarsi delle acque piovane. ") Altre leggende sorsero piir tardi, cioè dopo la distruzione della città nel medioevo, e di queste diremo a suo tempo.
I
a) Motonl, LXXXIX, p. 85) Tomassettí, p,39?l Gregorouius, Wanderjahre, vol.
lli
Pantanellí, p*sim; Rr'ccÀr', Reggia
dei Volsci, p. 73. b) Sunl el ín ngmpheo paroae, Salluates dicÍae, quoniam ín sgmphoníae cantu ad îclus modulantíum pedum mottenlur t) Atc. Caet., Prg. 490,
(Hísl. Natut., Lib, II, cap. XCVI: De
fluctuantibus insulis)
c) .... ex qua prodíbant flammae, quae pluoíís ínfusís accenclebantut. Forse i! fenomeno si riferisce ad emanazioni di idrogeno mlforato o di idrocarburi, di cui ai giorni nostri non rimane traccia.
Lib. Il, Cap. XIV.
NINFA
108
secolo VIII Norba e Ninfa erano ridotte a vaste tenute (massae) e, a quanto riferisce Cencio Camerario, facendo parte del demanio imperiale, furono donate nell'anno 750 circa Copronimo a Papa Zaccaria. ^) dall'imperatore Costantino Dopo ciò gradualmente si costituirono in centri abitati e Norma ebbe anche un vescovato,
Nel
V
Origine
del castello.
Incoronazione
di Alesandro III.
che però fu trasferito a Velletri quando, sul finire del X secolo, Ia città fu nuovamente distrutta. Ninfa, malgrado le devastazioni delle guerre e Ie scorrerie dei saraceni, crebbe sempre d'importanza, e per il vastissimo suo territorio che si stendeva sino al mare' e per la sua posizione strategica sulla via consolare presso i confrni tra lo stato pontificio ed il nuovo regno normanno. Nel secolo XI fu occupata dalla potentissima famiglia dei conti tusculani ma, liberatosi i! papato dalla loro prepotenza per opera di Gregorio VII, anche Ninfa tornò in potere della Chiesa e Pasquale II, ne' primi anni del secolo XII, ne conferiva il feudo alla stessa comul) La giurisdinità, con certi obblighi che, sotto I'anno lll0, sono specificati nel Liber Censuum. zione della Chiesa però, sino al XIil secolo, fu esercitata con molta larghezza e di buon accordo con le autorità cittadine, sicchè Ia giustizia veniva arnministrata, sia dal comune sia b) Il papa però, temendo che Ninfa dalla Chiesa, in modo quasi indipendente I'uno dall'altra. ricadesse nelle mani de' nemici della Chiesa, ordinava agli abitanti che dístruggessero iI muro della cíttà, secondo I'ordine della cwía né Io ríedirtcassero senza lícenza dí quesfa. Con tutto ciò dopo pochi anni Ninfa cadeva nuovamente in potere di Tolomeo conte tusculano. Con il secolo Xll principia il predominio dei Frangipani nella Marittima, e nel 1146 Eugenio III concesse Ninfa in feudo a Cencio ed ai nipoti O(ddone) e E. Frangipani, col godi2) *"nto di tutte le rendite solite a percepirsi dalla Chiesa' Fu appunto sotto la protezione di questa potente famiglia che Alessandro III, perseguitato dall'antipaja Vittore lV, si rifugiò a Ninfa non appena eletto papa, scampando ai Colonnesi 59, la vigilia di ed ai partigiani dell'imperatore Federico Barbarossa. Giunse ivi il 20 settembre I I grund" concorso di popolo e di nobili e lo stesso giorno, in presenza dei vescovi S. Mutteo, "on di Sabina, di Ostia, di Porto, d'Albano, di Segni e di Terracina, nonchè di molti cardinali preti e diaconi, fu consacrato ed incoronato papa nella chiesa di S. Maria Maggiore, di cui bel oggidì si vedono ancora le mura cadenti, l'abside con resti di pitture di quel tempo ed il abbastanza bene conservato. È tradizione che in questa cerimonia servisse una cîace "u*punil" d'aigento dorato, alta circa be palmí, con figure úIeoate del Crocífisso da una banda, della b"ata Vergine iJall'all1a e con alcuní bassofiIíeoi ed íncastrì nei quali erano degli antichi cammei. (1382), la croce fu trasportata dagli abitanti euando Ninfa rimase distrutra ed abbandonata sJperstiti a Serrnoneta e nella seconda metà del secolo XVIII, a quanto ci riferisce il Pantasuoi n"lli, ,, trovavasi ancora custodita nella cattedrale di S. Maria, benchè privata de' preziosi cammei. In occasione della consacrazione, Alessandro
III concesse il nome e I'indulgenza delle a) Racconta il Piazza 5) che poco dopo Federico sette chiese di Rorna ad altrettante di Ninfa. monastero di Barbarossa, per vendicarsi del papa, distrusse la piccola città assieme al vicino Beatíssínus ponlífez(Zaccaria) postulaoera!(ail'imperatore) donalíonem rh scrlpfl's de duabus massís quae Nímphas et Normrcs appellantur, îu.iis etíslentes publící' eídem sanclíssímo ac beatíssínto papae sanclaeque Rotnanae ecclesíae íue petpe'
a)
tuo
ilbeút
possídenilas
l) In
mero etiam
tum
(Líb. Pont., et míxto ímpetío et íuisdíctíone
comnrune concunebat,
r) Vol. I,
ed. Duch', l, p' af)'
p.407.
alías díc-
íla quod lam ín cognitíonem quam ín 2)
N.
194531.
s)
Vol' l, p' 236'
ilecísíonem eral pocíor condítío occupantís, íta quod tamen sí offcíalís eccluíe íncípíebat cognoscere, nunquam oftcíalís tene se ínbomÍtlebat. H sí oftcíalís tene íncípíebat cognoscere, nun'
quam offcíalis ecclesíe se íntrcmíttebat- Et ísrud ínconcusse serÙa' balur ín omní aclu íwísilíclÍonís. In guorum îufium usu contlnuo et pacífico fuìt ilíctum commune Nímphe a ducentís el trecenlis annís cílra (Mohler a)
Oríg.
K., P. n9J'
6) Cit. Mor."
LXXXIX' P'
87.
Prime vicende
[750-12131
109
Marmasolio, ossia di S. Maria delle Marmore, situato probabilmente nella contrada ora detta la Vaccare""iu. È appunto durante gli ultimi anni del pontificato di Alessandro III che per questioni di confini tra i ninfani ed i sermonetani nacquero le prime liti e guerre, nelle quali dopo poco rimasero coinvolti anche i setini, con le nefaste conseguenze che vedremo appresso. piìr volte signoria Sino alla fine del secolo XII Ninfa rimase in possesso dei Frangipani, ") "h" dei conti' contrassero mutui sul suo territorio, principalmente con i Paparoni e loro parenti i quali, il 20 aprile 1204, cedettero ogni loro diritto ad Ottaviano Conti.r) In quel tempo lnnocenzo III privò i Frangipani del feudo concesso loro da Eugenio III, e I'otto giugno 1213 lo trasferiva al cugino Giacomo Conti, in compenso delle vittorie ripo*ate nella gúerra in Sicilia (1199-1202) contro Marcovaldo ed i nemici di Federico in Sicilia.2)
Nr\ Innocenzo
lll;
alfreeco
in
Subiaca.
Non è improbabile che Innocenzo III sia stato spinto a questo dal desiderio di veder cessati gli eccidi e sedate le guerre che erano divampate nuovamente tra i ninfani, i setini e gli uomini di Acquapuzza, dall'una parte, contro le comunità di Sermoneta, Velletri e Cori, dall'altra, per le questioni di confini. Era stato già delegato lo stesso Giacomo Conti, marescalco pontificio, a comporre le discordie, ma la pace a lui giurata aveva avuto assai breve durata, a) Vari documenti relativi a questo periodo trovansi nel' I'arc. capitolare di Anagni: fasc. 5,6, l0' 12' 18 e caPs. 2' Fra gli appunti autografi di mons. Gaetano Marini vi sono i seguenti, che possono servire di guida a chi vorra addentrarsi nella storia di Ninfa: Ninfa impegnata dai figli di Pietro Fraia1176-1194 pane. Arc. Vat., Arm. XIII, c. ó, n. lV-20. Cessione dei diritti sopra Ninfa fatta in favore di I 196
-
Paparone da Gregorio di Giovanni Giudice e Gerardo col consenso di Oddone figliuolo di Pieuo Fraiapane. Iol, Arn. llt, c. 3, n. 9.
A Scotto Paparoni vende la terza pa.rte di detto luogo - qm. Pietro Fraiapane. /ur" Arm. XIII' c.6, n. l0del ,Oddone Cessione di due terze parti di detto luogo fatta a l2O2 Giacomo di Govanni d'Oddolina marescallo e cugino di InnoI I 98
1)
Líb.
Cens,,
l, p. 256'
2) Boluaìo' ep. ll4.
cenzo
lll.
/ur', Arm. XIlt. c. ó, n. 9,10,
terza parte fatta ad Innocenzo lll - Cessione della dai figli del quondam Lombardo. n, I l; ivi si tratta anche della vendita dei castello fatta da Oddone di Pietro Fraiapane. 1204 * Filippo e Bartolomeo figli del quondam Lombardo cedono al papa la terza paite. Cenc. A. V., p. 169-170, Innocenzo III da a detto Giacomo suo cugino in l2l2 feudo a titolo di pegno Ninfa che Eugeúo aveva obbligato a 'Cencio Fraiapane e ad O. e a C.; S.3. XV. ll4.
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C,regorio
1227
IX dà a fratti ()) di detto luogo
ad
vitam al fglio di detto Giacomo cui Innocenzo III aveagli dati. s. Dq I.
t32.
Bolla di questo papa sul diritto
s. tx, vm,
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alienare detto luogo.
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NINFA
Lib. II, Cap. XlV.
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Antro di S. Michele Arcangelo sopra Ninfa. Planimetria.
Antro di S. Michele Arcangelo.
sicchè nel 1207 il papa erasi trovato costretto a mandare Ugolino, vescovo di Velletri, per costringere Ie parti ad osservare la concordia. Però doveva essere ben poco fiducioso nel risultato della mediazione, perchè nei suoi precetti ad ambo le parti specifica: che se pure, costretti da necessità, caoalcherete contro e,ssí, abbiate cura dí preaooísarlí tre gíorni innanzí. E allora se farete cat)alcate, caoalcherete senza uccídere, mutilare e íncendíare. l) Infatti le liti e Ie guerre tra sermonetani e setini si riaccesero nel 1234 e si protrassero interminabili e sanguinose sino al secolo XVIil. ' Lo stesso vescovo Ugolino fu il fondatore del monastero di S. Maria di Monte Mirteto. In questo monte, che sovrasta alla città di Ninfa, esiste una grotta coperta di stalattiti, Ia quale in tempi antichi servì forse di ricovero a qualche pio eremita. Nel secolo XII l'antro era diventato luogo di devozione per Ie popolazioni vicine sicchè, il 25 luglio I 183, per mandato del \\ Baluzìo: cit, Psnl.,I, p, 231,
S. Michele Arcangelo
[fl83-r216]
ilt
papa Lucio III e per mano di Pietro vescovo di Segni, la grotta venne dedicata come chiesa all'arcangelo S. Michele. È probabile che I'altare, la u p"rgola ,, ed i pilastri di muratura, a giudicare dalie forme primitive, siano stati costruiti in epoca assai remota. Le pareti sono rivestite di a$reschi, oramai pressochè disfatti dal ternpo e dall'umidità e che, a mio parere, sono da attribuirsi agli ultimi anni del secolo XII. Grande fu Ia venerazione per questo rustico santuario che per il suo strano aspetto colpì I' immaginazione del popolo e del clero. Nel I 195 Simone vescovo di Terracina concedeva 20 giorni d'indulgenza a chi lo visitasse e, quattr'anni piir tardi, Io stesso Pietro vescovo di Segni esortava il popolo di Ninfa a frequentarlo. Tanto deve essere stato il concorso dei fedeli in questo antro sacro, dopo la sua elevazione alla dignità di chiesa, che poco dopo, ed appunto nel 1216, durante il pontificato di Onorio III, il suddetto cardinale Ugolino, che era della famiglia Conti di Anagni e fu vescovo di Velletri e poi sali alla cattedra di S. Pietro con il
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Batosso.
Antro di S. Michele Areangelo sopra Ninfa.
nome di Gregorio IX, volle fondarvi a proprie spese una badia e ne eresse Ia chiesa in vicinanza della grotta. Al monastero venne dato il nome di S. Maria di Monte Mirteto, ma nondimeno nei secoli seguenti perdurò di preferenza I'antico nome di S. Angelo sopra Ninfa o dello .. Stramma 'r. Anche Ia piccola chiesa costruita dal cardinale Ugolino era ornata di affreschi ed il Pantanelli, descrivendola verso la metà del secolo XVIII, afferma che era tutta dipínta alla gotica,' ma ai giorni nostri delle pitture non rimane traccia. Il nuovo monastero venne affidato ai monaci cisterciensi di Calabria, della congregazione detta forense. Durante il secolo XIil acquistò grande importanza e fu dotato di molti beni, tra i quali erano due moliniu) che nel 1298 i monaci vendettero a Pietro Caetanil) e che reputo essere guei medesimi che hanno funzionato sino ai giorni nostri, quando vennero distrutti per dar posto alla officina idroelettrica. 2) a)
di
Il 2l ott.
1216 Onorio
lll
confermava
al monastero di Monte Mirteto la donazione di un molino fatta da.Ugolino
Ostia e Velletri.
')
Cf. cap.
LII.
e) Cf. Regesra,
t,
pp. 147 e 148.
vescovo
Fondazione
di S. M. Mirteto.
del
Ub. ll, Cap. XIV.
NINFA
ú2
Non cercherò, per brevità, di riportare qui quanto sappiamo della storia del monastero di l) S. Maria di Monte Mirteto perchè di essa ha trattato ampiamente il padre M. Cassoni. Ricorderò soltanto che la badia non soprawisse a lungo alla distruzione di Ninfa (1382), e da Eugenio [V fu unita nel 1432 a quella di Subiaco, ove si conservano tuttora molti dei documenti relativi ad essa nell'archivio del Protocenobio di S. Scolastica.") Nel l45l il santuario era già in cattivo stato perchè troviamo che Nicolo
S. Angelo. Nel
secolo
V
concedeva una indulgenza a chi avesse contribuito ai restauri di
XVIII un ignoto romito viveva ancora in quel luogo un
tempo tanto
venerato.
Pochissimi sono quelli che
ai giorni nostri si
prendono
il
disturbo di arranipicarsi sino alla
i
grotta di S. Michele Arcangelo; resti dell'antico monastero, cadenti in rovina, coperti d'edera e mezzo nascosti da licini, olivi e cespugli di mirto, dimenticati dal mondo, sono ridotti a misero Frangipani
e Anibaldi.
ricovero dei pastori e delle greggi. Coll'andare degli anni la famiglia Frangipani perdette il possesso del territorio di Ninfa e si restrinse verso Terracina ed Astura; gli ultimi beni e diritti furono ceduti il 13 maggio l2l7 2) da Gacoma, moglie di Graziano Frangipani, a papa Onorio III. Alla fine del secolo XIII troviamo ancora alcuni Frangipani, cittadini e vassalli di Bassiano e Sermoneta, discendenti certa3) mente di qualche ramo secondario di questa famiglia. Circa l'anno 1230 cominciò a fiorire in Roma e nella Marittima la famiglia Anibaldi, d'antica stirpe germanica b) e strettamente imparentata ai Conti ed ai Da Ceccano. ") Verso Ia metà del secolo XIII la troviamo in possesso di buona parte dei territori di Sermoneta, S. Donato, Bassiano
e
Ninfa.
dominio però di questa famiglia nella Marittima non fu di lunga durata. Tanto Íl cardinale Benedetto Caetani quanto i Colonnesi avevano gli occhi sulle ubertose pianure dell'agro pontino e, come già si è detto, nel 1292 il primo si era reso signore del castello di Norma. Preoccupati di ciò i Colonnesi,' eredi, come dice il Tomassetti, dell'antica tendenza dei conti tusculani, cercarono di scalzare gli Anibaldi, rnossi altresì dal desiderio di impedire che del vasto territorio di Ninfa s'impadronissero i Caetani, contro i quali nutrivano malanimo forse anche
Il
Pretese dei Colonnesi.
prima che Benedetto fosse elevato al sommo ufrcio. Pretendevano i Colonna avere certi diritti su Ninfa, e documenti a prova furono prodotti durante la lunga sede vacante che precedette I'elezione di Celestino V, allorchè, a quanto affermò il eardinale Pietro Colonna, la comunità si diede in dominio a lui. ll documento più importante però su cui basavano le loro pretese fu quello redatto durante il primo anno del pontificato di Bonifacio VIII, quando il cardinale Pietro si trovava ad essere podestà e rettore di Ninfa. Per assicurarsi il possesso delle terre e del vasto territorio, provocò nuovamente il comune ed il popolo affinchè gliene conferissero per tre anni il pieno dominio e la giurisdizione. L'istrumento fu sripulato il l0 febbraio del 1296 da sei dei nove buoni uomini conestabili del consiglio dei sessanta giurati: ma I'atto fu tutt"altro che legale, come ampiamente dimostrò il cardinale a) perchè, a norma degli statuti, Francesco Caetani circa I'anno 1306 nella lite Caetani-Colonna, i buoni uomini da soli non avevano il diritto di trasferire il dominio e la giurisdizione della
a) I documenti si trovano in < Monasterì ilí c Atch, u, pubbl. Min. Pub. Istr. 1904, vol' ll. b) Anaalil
p.
, in latíno Anualdus da
cui Aníbaldus
tsv).
r)Rio.
Stor. Beneilet.,
An.XIV,N.59eseg.
.) Gò si può forse
Subíaco. Bíbl.
Innocenzo
(Geg
'
V ',
che gli
e
III ai Conti
stsi
spiegare
con Ie infeudazioni date da
suoi congiunti. Non sono alieno
dal credere
Caetani d'Anagni fossero imparentati con gli Anibaldi
i Da Ceccano a partire da questo secolo' (Cf. pag.
t)Pant., 1,p.26V.
3)Regesla'l'p. ll2.
50.)
a)Mohlet K"appendie'
[sec.
Xllfl
Rivalità Caetani-Colonna
e CCLe
n3
Sln iS.nNCTl'MICHffLIS;
flRcHflNCeLr
.È
i{
s((rone ,rlil Dísegno
comunità,
dí Maúa
Barossa.
nè Pietro, nella Eua qualità di
podestà
e
rettore, aveva facoltà
di accettarne
I'investitura.
dominio de' Colonnesi fu assai breve, perchè i Caetani, $enza preoccuparsi minimamente delle pretese loro, nel 1297 comnciarono a trattare con i vari proprietari di Ninfa per l'acquisto della massima parte del tenitorio. Il 3 di maggio di quellhnno, awenuta la rottura tra il papa ed i cardinali Colonna, guesti furono scomunicati, le terre della loro Casa confiscate ed iniziata la guerra che awebbe dovuto condurli a totale e duratura royina. Il loro vicario fu espulso da Ninfa. ") Non bisogna credere però che il possesso di Ninfa fosse una cosa molto semplice che poteva senz'altro passare dalle mani di uno a quelle di un altro; invero Ia proprietà era frastagliata e complessa e dividevasi in beni comunali, privati e feudali. Abbiamo visto che per la donazione di Costantino V, verso l'anno 750, il territorio di Ninfa diventò proprietà della Chiesa; ma col costituirsi della comunità e col popolarsi della regione il possesso reale della terra gradualmente passò nelle mani di un gran numero di enti, istituti religiosi e persone private, sicchè Comunque,
il
territorio di Ninfa comprendeva la massima parte di ") ll quello attuate del comune di Cisterna ed anche parte di quello di Sermoneta; dai Monti Lepini si stendeva sino al rnare, con' finando al nord approssimativamente con una linea che dal ponte della Regina va siuo a Foceverde e include le Cese, tutta la selva di Cisterna (allora detta di Ninfa) con Cerreto la Croce e Cerreto Alto (ne' documenti si parla di Cerrttello), e dal convento dei SS. Pietro e Stefano di Valvisciolo raggiungevaì'estremità del lago di Monaci. Il Zl maggio l299,in un tentativo di por 6ne alle perenni discordie, tra il territorio di Sezze e quelli
di Ninfa,
e S. Donato,
che trovavansi riuniti sotto il dominio dei Caetani, furono delimitati i coofini nel segueate modo: Incípîant a Caoata antíqua que es! prope Tuním de Petrara (presso Tor Trepontì) et protendantut per ípsam Ca. Sermoneta
D"mus,
l,
15.
úatdm usque ad Sílicem et íurla ípsam SíIlcem descendcndo subtus Gtoctalazatí usque ad oíam de Marítíma el usqae ad Ríoum Maillnum, et quod a& Ípso Ríoo Mdilino sícu| extendílut flumen antíqum ùersus Tenacenam a parle lnfeiofi oeîsus maîe sí! de tefitotío Sanúl Donatl, et ab ípso flumine antíquo supeius úetsus nonles slt ile tertilorto cornmunís Se!íe, Tolum autem quod est ad manum rcctam oersus mqte eunilo de Ninfa ùersus Tenacenam ínfta díctos confines slt ile tenimenlo Nínfe, Sermínelí et Sanctí Donall, alÌud oerc quod lntus est oenus
de tenímenlo ^Se!íe (Regesta, I, 163). ll 20 settembre 1300 il papa approvò e confermò questa delimitazione dei confini. (Regeslc l, p. 209 etc,) Per i coafini tra Ninfa e Cori vedi (C- 134). monles ad manum sínístrcm sít
p.
Suddivisione
della proprietà terriera,
Lib. Il, Cap. XIV.
NINFA
ll4
sullo scorcio del secolo Xtll i diritti della Chiesa si erano ridotti a poter tenere un numero di porci nella selva, a far pascolare montoni da ingrasso ed a percepire ogni anno, per Ia quaresima, una certa quantità di pesce del lago di Fogliano. I-e grandi proprietà o i latifondi spettavano ad alcune famiglie nobili, come i Paparoni e gli Anibaldi ed a vari monasteri, ai quali ultimi appartenevano quasi tutte le peschiere dei laghi; le fertili pianure erano fonti di u) Iauti redditi ed il territorio fu sempre considerato ricchissimo. Benedetto Caetani, ancora cardinale, aveva comperato da Giovanni di Giordano per un'ingente somma tre parri della rocca e I'intero castello di Norma; diventato papa, volle acquistare altresì i vasti e feraci territori dei castelli di Bassiano, di Sermoneta, di Ninfa e di S. Donato, onde gettare le basi per la signoria della casa Caetani' Le trattative cominciarono con I'anno 1297 e dal29 aprile troviamo una serie di contratti, con i quali gli Anibaldi vendettero a Pietro Caetani il dominio ed ogni loro diritto sui castelli di Bassiano, Sermoneta e S. Donato per la somma complessiva di 140000 fiorini d'oro, ed il b) La canonico Giovanni cedeva altresì per 3000 fiorini i propri diritti sulla selva di Ninfa. procedura seguita da Pietro nel conseguire e perfezionare i titoli alle nuove proprietà è tanto Lene studiata in ogni dettaglio che non si può mettere in dubbio che non sia stata dettata Proprietà
dei vassalli.
dallo stesso Fonifacio VIII. Assicuratosi dei maggiori interessi, Pietro ebbe cura di confermare il suo diritto di signore su tutti i beni feudali appartenenti ai cittadini privati di Ninfa. feudi non erano frutto di concessioni sovrane' ma Questi piccoli, anzi a volte minuscoli, inf.udazioni particolari concesse dagli antichi signori ai propri vassalli ed in sostanza erano e vassalli furono enfrteusi. per regolare e ben precisare il diritto dominicale, i singoli cittadini invitati u"nd"r" e donare pro forma questi beni a Pietro Caetani, il quale a sua voha li " mesi restituiva loro in feudo. Dal 30 giugno 1297 all'otto settembre 1298, ossia per quattordici attradi seguito, centinaia dei nuovi sudditi intrapresero il lungo tragitto da Ninfa ad Anagni, u"ruuido le pittoresche vallate degli aridi monti Lepini per sottoporsi alle formalità dell'investituraVenivano a comitive, chiedendo lor via per le anguste strade di Anagni, finchè giunti nella trovavano piazza nuova, davanti al nuovo e smagliante palazzo di Pietro, o nel palazzo stesso, il notoio, generalmente Nicola Vari di Ninfa, intento a redigere gli atti d'investitura. Ma giacchè la gente era tanta che sarebbe stata cosa fastidiosa e lunga rogare innumerevoli istrumenti individuali, i contraenti si presentavano in gruppi; compivano I'atto di cessione e poi di conformarsi ricevevano nuovamente in feudo i beni donati o venAuti, dichiarando per brevità alle co'dizioni ed agli obblighi convenuti in altri atti d'infeudazione piir importanti, come quello che lo stesso notaio Vari aveva stipttlato con Pietro Caetani. Leggiamo appunto in questo contratto che, chiamato dal suo signore, Nicola Vari era tenuto a prestare servizio militare ed a presentarsi al parlainento, ricevendo dodici denari d'indennità per ogni giorno di servizio. A Pasqua, a Natale e nella festa della Vergine doveva offrire àu" tort" grondi ed a Natale anche un palmo di lombo di porco cum reoolta sì porcum habuerít. All'aia doveva prestare un'opera e, in ogni occasione di matrimonio nella famiglia del signore, doveva uno de' figlioli o delle figliole offrire dodici torte nuziali. Poteva egli trasferire e lasciare in eredità i beni feudali ai parenti o alienarli anche totalmente sia per
u) Il Nogaret parlando di Ninfa al dice:
...
processo
di
Avignone
Caslrum Ngmphae, quod dítlssímun cashum est, el
ubenírnunr
in rcddítíbus... (Dupug, P. 3$).
b) Ometto di citare le
numerosissime pergamene degli ar-
chivi Caetani e Colonna, da cui sono tratte queste e le notizie seguenti (vedi Regesta, passim ab. an. 1297 ad an. l30l).
il5
Acq uisto
[r2e7.r30r]
quod absit, pet pena d'omicidio, per riscatto dalla prigionia o per le spese una grave infermità, ma non mai eragli consentito di alienare né la casa né il podere
necessità sia,
di
(massam). In tutti i casi doveva sempre richiedere il proprio signore se volesse comprare i beni r) al prezzo offerto da altri, né mai eragli lecito vendere a chi non fosse un vassallo de' Caetani. Ad integrare e confermare poi tali convenzioni, I'otto di settembre 1298, furono convocati . Acquisto dei beni comunali' in Ninfa i cittadini, al suono delle campane ed alla voce dei banditori, nella piccola piazza davanti la chiesa di S. Maria Maggiore; ed in presenza di frate Gottifredo, vicario della terra, costituirono procuratore Bartolomeo di Tagliacozzo, loro concittadino, ad affermare nuovarnente la piena validità di tutti gli atti eseguiti ed inoltre a vendere a Pietro Caetani tutti i diritti e beni, col patrimonio della comunità. Ricevuto il mandato, Bartolomeo si recò al palazzetto del comune che, a mio parere, deve essere stato queilo recentemente restaurato ed attiguo alla piazza del castello; ivi, nella grande sala dalle /-_-__---\. sette finestre bifore, I'attendeva il giovane Benedetto, figlio di Pietro Caetani. Con tutte le debite formalità venne stipulato I'istrumento per cui la comunità di Ninfa cedeva tutti i suoi diritti, beni, poteri e giurisdizioni per la ingente somma di 200 000 frorini d'bro, che vennero sul luogo consegnati al procuratote; ípsa faclo cessò di esistere il comune di Ninfa, come risulta dalle ultime parole dell'atto che si dice: Acturn ín palatío condam comunis Ní"f". Come si è accennato prima, la giurisdi\ zione di Ninfa si stendeva dai piedi del monte t$q \ entro míglia \,. di Norma sino alla spiaggia e cento 1*'J--'- '".tq^' di maggiore la selva comprendeva e îl marc, Ninfa nonchè quella del Cerritello (Cerreto) e
-{i-.L/
tutto il litorale da Foceverde sin oltre I'estremità (Dalt'acquarello di M. Barosso). Affresco nell'antro di S. llichele Arcangelo meridionale del lago di Caprolace. Era necessopra Ninfa (princ' sec' XIII)' sario compiere anche in quelle distanti e deserte regioni il solenne atto della presa di possesso.2) Di conseguenza, tre giorni dopo, Bartoiomeo di Pantano, sindaco di Ninfa, e Gottifredo, vicario di Pietro Caetani, traversarono a cavallo le pantanose praterie di Piscinara e le magnifrche selve di annosi cerri e farnie, che separano la palude dalle lagune costiere; ivi, nella località ove ora sorge la riclente villa di Fogliano sulla sponda del lago omonimo, ma ove a quel tempo non esistevalno che poche capanne di pescatori disperse tra i malsani cannucceti, il frate Gottifredo fece I'atto ,ol.nn" di presa di possesso- calpestando la terra col piede, appoggiando la mano su quei manufatti rustici che gli stavano attorno ed abbracciando con lo sguarCo quella silvestre e iesolata landa. Poi, suppongo, quei signori si afirettarono ad allontanarsi dall" paludi che la stagione rendeva ancora malsane e se ne tornarono all'amena Ninfa. Malgrado tanú atti e cerimonie la signoria di Ninfa non era ancora completamente assicurata, perchè non era stata giuridicamente annullata la cessione che lo stesso popolo di Ninfa aveva
iatto pochi anni prima al cardinale Pietro Colonna. In quei giorni appunto era caduta Palet)
Regeda,
l, p, 134.
2)
Regesla,
I, p.
145.
Rinunzia
dei Colonna.
Lib. II, Cap. XIV.
NINFA
il6
strina ed i cardinali Pietro e Giacomo, assieme ad Agapito e Sciarra Colonna, erano stati costretti a recarsi in Rieti e, con la corda al collo, ad inginocchiarsi davanti all'irato pontefice chiedendo perdono. a) In tanta strettezza non potè Agapito, figlio di Giovanni, far a rneno di donare a Pietro Caetani tutri suoi diritti su Ninfa: ma tanto poca era la'validità della cessione redatta in Rieti
i
che nel 1306 non la troviamo neppure citata fra i documenti prodoiti nell'accanito dibattito che si svolse nel processo Caetani-Colonna sulla questione di Ninfa. Ma se poco valore giuridico poteva avere la donazione, anche meno valevano i diritti donati. Nel fratternpo non cessava Pietro di ampliare e completare la sua nuova signoria comprando di continuo case, vigne e poderi, grandi e piccoli, da nurnerosi cittadini. Tali acquisti si facevano a .. contanti ed il prezzo veniva fissato quasi uniformemente a 50 libbre del senato per moggio " di terra libera, e a 40 per moggio di terra feudale; le operazioni si protrassero ininterrotte sino
Sanzione
pontificia.
alla fine del 1301. Non abbiamo conoscenza di tutte le somme pagate (che i nemici vollero fossero sborsate dal tesoro del papa e tratte dalle chiese di Francia), rna è fuori dubbio che esse ammontarono ad una cifra toiale che, considerato il maggior valore del denaro di allora, desta meraviglia. ed Non appena en[rato in possesso di Ninfa, Pietro Caetani si era affrettato a fortificarsi a costruirsi (iZle-f300), sulla sponda del lago, la magnifica ed altissima torre che tutt'ora si Intorno ad essa correva vede quasi intuttu, b) difesa validissima e simbolo di suprema giurisdizione. 1300 un pi""olo recinto guadro, fortificato, di cui si parla nelle seguenti pagine' Il 30 settembre verbale' che un consenso il papa sanzionava queste opere, a cui sino allora ncn aveva dato dopo lu ,uu morte potessero i Colonnesi turbarne il pacifico possesso ai Mu, pr"o""upato "h" discendenti di lui tutti i suoi nipoti, it z ai ottobre cedeva in feudo perpetuo a Pietro e ai diritti, beni e ragioni della Santa Sede sul territorio di Ninfa, a condizione però che questo Colonna, né ai mai non venisse trasferito nemmeno in minima parte o a Giacomo o a Pietro figli di Govanni o ai loro discendenti, sia per linea maschile, sia per quella femminile. L'atto sovrano che sanzionava I'intera proprietà della terra venne firmato da quattordici sacrista d'Embrun, rettore cardinali. Il 3 di ottobre il papa ordinava a Gacomo di Bargiaco, il che awennd di Campagna e Marittima, di immettere Pietro nel corporale possesso del feudo; ;f 14 del mese ín loco ubí ilicítur sub SíIíce, cioè a valle della Via Appia, in quei tempi feudali della Chiesa. Il ancora selciata, ed appunto nella località ove si esplicavano i diritti 22 aprile del l30l ii pupu confermava I'infeudazione e la immissione in possesso con apposita bdú. E perchè la cessione non avesse carattere di donazione' ma bensì di permuta, Pietro in acquistati da lui in cambio donò alla Chiesa la grande torre nuova, il palazzo ed altri beni r) orvieto, ciò che fu debitamente eseguito il 20 ottobre 1300. e S. Donato L'opera era completa; gli acquisti ed il possesso di Sermoneta, Bassiano assoluto erano stati anch'essi condotti a termine, e perciò Pietro Caetani si trovava ora signore e legittimo di cinque castelli formanti un corpo solo che, malgrado le guerre, spoliazioni e confrsche d.i secoli seguenti, per 621 anni di seguito si mantenne base incrollabile del dominio della Casa. a) Poco dopo, ed appunto il 20 novembre 1298' I'intero lerritodo di Ried fu colpito da un violentissimo terremoto nel momento che Bonifacio VItl, circondato dai cardinali, celebrava messa solenne nella caîtedrale. Scricchiolavano le volte, crollavano
le
case
1)
ed indicibile fu Io spavento' Bonifacio, in abiti ponti6' Regeslq
l,
pp,
2ll'222,
cali, e signori
e
in grande confusiole, fuggirono tutti, possibile, all'apcrto; perqualche giorno la
popolo,
quanto piùr presto
fu
curia si accampò a ciel sereno. (Fr. Pipino in Mur.,lx, @1. 742j' h) ... Rotr's, foilaiitíis, tunibus et palatíís maxímís faclís
íbídem... (Dupug, p. 3a3)
[sec.
XIV princ.]
D escrizione
lt7
Purtroppo I'aberrazioni causate dal turbine della grande guerra hanno ora distrutto u lo Stato ,, dei Caetani, salvo per quel minimo lembo che I'affetto per le tradizioni familiari rni ha fatto salvare !
Non è difficile
di ricostruire
D. Francfscus Caelaní
|
nella nostra mente l'aspetto di Ninfa qual'era al principio La rocca. del secolo XIV. Presso il lago, piìr piccolo dell'attuale, perchè ancora non era stato ricostruito e sopraelevato il grande muraglione che ne ha innalzato il livello dell'acqua, sorgeta Ia nuova rocca, bianca e luccicante al sole. La torre alta 32 metri, solidamente piantata su di una platea di calcestruzzo, s'inalzava diritta in mezzo ad un piccolo cortile selciato; intorno ad essa la leggiadra rocca in forma di perfetto quadrato con quattro torri agli spigoli per fiancheggiare le mura merlate, che nella loro prima forma erano bassissime. Entro Ia cinta venne eretto in un secondo tempo, probabilmente dallo stesso Pietro, un piccolo palazzo, formato da una grande sala le cui finestre bifore, prive di inferriate, s'aprivano sull'amena città, piena di giardini, di alberi e di acque correnti. Adiacente ad esso il figlio di Pietro, Roffredo III, aggiunse, a quanto mi sembra, le altre sale prospicienti I'attuale orto, anch'esse munite di finestre bifore. Dal palazzetto alla torre si accedeva per uno stretto ponte volante che valicava I'angusto cortile. Il tetto della casa non sporgeva fuori delle mura, ma era contenuto entro Ia merlatura, e di gronda ad esso serviva lo strettissimo cammino di ronda che faceva il giro della rocca. Restò così costituito il piccolo castelio che'non subì trasformazioni o aggiunte sostanziali nei secoli seguenti, ma di cui purtroppo I'incuria degli uomini e I'imperversare degli elementi hanno fatto scempio. Vicino alla rocca era il palazzo comunale. Esso conteneva una grande sala a volta, sostenuta Palazzo da una colonna centrale, tutta dipint a aIIa gotíca e con molte iscrizioni latine ; c'informa il tomunale' Pantanelli che I'aula per incuria rovinò completamente nel 1747. Sono del parere che sia appunto questa parte dell'edifizio che, a cura di Francesco Caetani, venne ricostruita e adattata a granaio nel 1765, come leggesi dalla lapide murata sopra la porta; ") la grande sala gotica, tutta affrescata, con sette finestre bifore, adiacente ad esso ed ora trasformata in abitazione dell'autore, deve essere stata certamente la sala del consiglio o del popolo. D faccia al palazzo comunale brontolavano ruminando gli antichissimi molini, mossi dalle acque effluenti dal lago. Sgorgavano esse in meravigliosa abbondanza da ogni lato e, riunendosi poi in un corso solo, formavano il fiume Ninfa. II piazzale compreso tra la rocca, il palazzo comunale e le mole era certamente il centro più animato della città, perchè ivi convenivano gli abitanti dei paesi circostanti per farsi macinare il grano" I somarelli, Iegati con la cavezza ai passoni delle staccionate, in fila, aspettavano pazientemente, corne tutt'ora si vede, che il grano venisse macinato mentre i padroni bevevano alla taverna. La città di forma esagonale, limitata da tre lati e divisa per metà dalle limpide acque del fiume, era cinta tutta da alte muraglie merlate, munite di numerose torri. È diffi"il" dit" quando siano state ricostruite dopo che, verso I'anno I I 10, Ie fece demolire Pasquale ii ; si vede però che furono tirate su con tumultuosa fretta, sotto Ia minaccia di un attacco, e le pietre sono state accatastate alla meglio, affogandole in un letto di malta. Intorno alla cinta merlata correva, a lunghi tratti, una seconda muraglia di guardia, venendo a formare come una strada di circonvallazione in modo che, per accedere a qualunque delle sei porte della
a)
e!c.
Sermonetae
ilur
Ngmphae dnús
e!c, I aquís congeslís I pontíbus construclís molendínís undíq. I reparu!ís comodíore oía ad accessum | rcslítuta domum
et amplun honeum I a fundamenlís erexít I coniluctot. D. Antoníus Spazíant I auctor et suasor hoc slsdrbsr'Jsrrne i poní curaoít ann. sal MDCC LXV.
I
NINFA
t8
Lib. II, Cap. XIV.
città, era necessario passare sotto un lungo tratto della cortina. Entro la città si vedono ancora le rovine di quattro grandi chiesei S. Giovanni, S. Maria Maggiore, S. Biagio e S. Salvatore presso la porta omonima, che è quella che si apre verso Sermoneta; essa dava nome ad una delle parrocchie della città. Ognuna di queste chiese era eretta in vicinanza ad una delle porte che da essa prendeva il nome. Fuori le mura, presso I'attuale stazione ferroviaria, era la bella chiesa
di S.
Pietro. ")
S. Maria Maggiore.
&*. (I)ull'acquarello dí
M.
Eatosso).
Urbano V. Alfresco in S. Maria Maggiore di Ninfa.
Questa e S. Maria Maggiore erano a tre navate, di cui le laterali a volte di muratura, mentre quella centrale era coperta da tetto. L'abside, le pareti ed i pilastri erano interamente coperti da affreschi piuttosto rozzi, di cui si vedono ancora alcuni frammenti, purtroppo, assai rovinati. Nell'abside di S. Maria esistono resti di pitture della frne dell'Xl o principio del'XII secolo ; si riconoscono due ordini di figure di santi in vari atteggiamenti. Su di esse, nella parte centrale, è stato sovrapposto un affresco del XIV secolo formato di due quadri. In quello di destra è rappresentato un monaco vestito di nero; in quello di sinistra papa Urbano V, con il triregno sul capo, in atto di mostrare al popolo le teste di S. Pietro e S. Paolo, nitidamente raffigurate in un teca o su piccolo foglio quadrato, che il pontefrce tiene fra le mani appoggiate sulle ginocchia. Con ciò si è voluto ricordare la cerimonia che ebbe luogo il 3 marzo del 1368 prima che le venerande teste degli apostoli, tolte dall'oratorio di Sancta Sanctorum, venissero racchiuse in appositi busti d'argento per essere poi custodite nella basilica r) sopra il quadro è I'iscrizione in lettere gotiche Iateranense. Aeà€U5 UAABI.IUS. Ai piedi dell'affresco, in epoca più tarda, qualcuno incise sulla fascia rossa dello zoccolo:
S. CESARIUS. b) Urbano fu tenuto in odore di santità mentre era ancora in vita e la sua canonizzazione 2) fu chiesta cinque anni dopo la sua morte, nel 1372. Ninfa fu distrutta e abbandonata, ad aflermare che I'affresco fu eccezione d"lle chiese, nel liBZ, e quindi possiaino con sicurezza dipinto appunto
in
questi anni. ")
documenti ricordano altresì quella di S' Paolo' pro' babilmente vicino al lavatoio, presso il muraglione del lago' inoltre entro Ninfa la chiesa di S' Veneziano; quelle
a)
I
E"isteva
di S. Leone, di S. Ma*ino e
della
S'
Parasceve erano forse
fuori le mura al pari di quella del monastero di S' Clemente;
ma di esse non rimane traccia' Lr sette chiese di Ninfa' a cui Alessandro III aveva concesso speciali indulgenze' vengonc ricordate in un testamento del 1349 (Regesla' II' P.146). Inventario
di S.
Maria
Maggiore.
Tomassetti affermò erroneamente che I'afresco rapCesario (Camp. Rom', II, p' 404) e lesse PraeS. presenti (Jrbanus anzichè Bealus lJrhanus,' credette che la tiara
b)
ll
lectus .ol trir"gno foese siata aggiunta da mano più tarda' e che le
r)
Cî. Moltat,
p,360.
'?)
Mor', LXXXVI,
w'
20'22'
d' imperatori. Al contrario I'aÉre' le iscrizioni qui riportate si leggono chiaramente in una fotografia fatta de me 25 anni or sono quando gli afreschi ndn etano ancora tanto rovinati. c) LJn inventario del secolo XIV'delle suppellettili di S. Maria di Ninfa è contenuto in una aggiunta al codice B. 43
due
teste rappresenlassero quelle
sco non è mai stato ritoccato e
bibl. Vallicelliana della fne del Xfl secolo : In nomíne dominî. lsle sun! tu ecclesíe Sancle Matíe de Nímpha usígnatle al lohanne de Sermínetlol eîlusdeml eccle-
della
ac oero? ab arehíptesbìlero et alíís canonicís elc. Sub anno míIlesímo CCCXXXVI (?) pontificalus domínl pape Bleneilícfil ínilíctíone.,.. mensri úrlfi dîe XXI.
sîe canonicus
In
prímís duas cruces atgenteas deauralas
[sec. XI-XV]
Chiese
I t9
Nella vicina chiesa di S. Biagio si vedono altri afireschi palinsesti di mano migliore, anch'essi della fine del secolo XI ; nella navata sinistra di S. Pietro è raffigurata la decapitazione di S. Giovanni e la scena di Salomé. La pittura è scadente e può attribuirsi al XIV secolo. Questi affreschi nonchè gli altri piùr irnportanti, che ancora sussistono tra le rovine di Ninfa e quelli di S. Arcangelo super Nimpham, sono stati fedelmente copiati dalla valente artista Maria Barosso perchè ne rimanga un ricordo prima che gli ultimi lembi di intonaco cadano in polvere. Le costruzioni piir antiche di Ninfa, ossia quelle del X e XI secolo, si riconoscono dallo scadente tipo della muratura eseguita ad opus íncertum,' tra esse dobbiamo annoverare la cinta castellana (lll0 c.), nonchè le fondazioni ed i muri principali delle chiese. Il succedersi dei difierenti tipi si scorge chiaramente nella chiesa di S. Salvatore. GIi edifizi sacri furono poi in parte restaurati ed elevati in epoca piir tarda. II campanile di S. Maria è del XIII secolo; fu addossato all'antica chiesa e rappresenta I'epoca aurea delle costruzioni ninfane. Di speciale interesse sono anche la struttura e I'or-
namentazione esterna dell'abside di ' S. Pietro. Le chiese minori erano di piccola dimensione ed ornate spesso di affreschi monocromi assai rozzi. Le case, in numero ili circa 150, si allineavano irregolarmente come in tutte le città del medioevo; fabbricate a piccoli conci di tufo e talvolta anche con il calcare locale, erano quasi tutte a due piani, solarate, raramente a volta, e coperte di tetti alla romana; è curioso notare il grandissimo numero di piccole nicchie ad arco che esse contengono, Scena di Salomé. e che servivano di ripostiglio per le Afresco del sec. Xlll nella chiesa di 5. Pietro di Ninfa' iconi e il lume. Una diecina di torri, snelle ma robuste, ci danno un indizio delle famiglie maggiorenti, tra cui gli Scatafassi, i Vari ed i Razza, che emigrarono a Sermoneta dopo la distruzione di Ninfa. Le due ultime sono oramai estinte. u)
Item V calices.,,. deaw.,,. cum smcldís telíquos oero secundum smaldos fltlem unum tabenaculum de argento..,. ín naoîcellam cum cuccíatte de argento
flum de argento. Ilem una..,. pellas de aryento Item duo líbrí cum tabulís? argenteis ex una..'. Ilem iluas scutellas de pí,... Item IX planelas quatum una de dgaspero tsÎiAe et cum ftísco de curato ?... ras, Ilem? alía? de síico rubeo cum gtífonís e! floríbus elc. elc. Segue I'elenco dei panni e della biancheria' Item unum
n) Tra i moltissimi nomi di cittadini di Ninfa di quel tempo ricordo
i
seguenti:
Iacobus Portífcus, Bectus Magollus, Nícolaus Caraoele, Nícolaus Corolla, Paulus Rítía, Cesafius Roía, Angelus Chaer
La
città
rus, Pelrus Pîcconus, Gregoríus Balsanus, Teobaldus Brunellus, Bailholomeus díclus Grapsus, Iacobus Paci,ificus, Leonortlus Mancínus, Níeolaus Vafi (notaio), Barlolotneus díctus Lutdus, Peczus, Paulus Conte, Gualcanus Surdus,. Iohannes díclus MailínÌonus,
Lancellottus ilíctus Tasca, Iohannes Basscrtsí, Paulus Zonle, Cefabellus, Petrus de Consulo, Nicolaus Bucapìscís, Rosa Capponî, Iohannís Ptegle, LanìIulfus Paoní, Iacohus Pazus, Nícolaus Capuilcenerís, Barlholomeus Malabrance, Iacobus Rubeus, Iohannes Peilone, Fílíppus Pontícafius, Theobalilus
Maríanus, Laurenlíus Cappellus, Petrus Macerc, Iohannes Guailapollílrt, Pelrus Booe, Pelrus Pace, Anilteas de Fabís, Romanus Rocche, Paulus Marocle, Andreas Becus, Nicolaus de Centí, Matheus Pecìus, Iohannu Carnale, Iohannes Gípsíus, Symeon Cambeo (Camleo), Iacobus Pageni, Bercrdus de Boni, Nomenclatura. Petrus Cocotonus, Laurentíus GaIIina, StepÀanus díctus Scarc-
palío (Scatafasi): ed anche un lacobus Gagtanus, forse un povero e distante parente del papa.
120
NINFA
Lib.
ll,
Cap. XIV.
Tra una casa e I'altra v'erano strettissime intercapedini, come si vede tuttora a Sermoneta, piccoli orti e giardini recinti da muri o frasche. Le strade non selciate, salvo davanti a qualehe edifizio piìr importante, erano strette: quella principale, alquanto pitr larga, faceva il giro della città e in un punto sembra portasse il nome di " Via del Ponte ,. Piccole sorgive secondarie scaturivano in vari luoghi e le loro acgue cristalline, traversando le strade e gli orticelli, andavano a ricongiungersi al corso del frume, che allora non era incassato nei margini come oggt, ma lambiva le fondazioni delle case. [Jna vena di acqua, adattata a fontana, era detta Calcarella ,. LJno dei quartieri portava il nome di u Vicus de Salpis " ; " Ia piazza di 5. Maria dovea essere davanti la chiesa maggiore, e la piazza della Gloria corrispondeva forse al piazzale grande davanti S. Biagio. L'ospedale era chiamato di S. Matteo. ") Molto vi è ancora da dire sulla storia della piccola città morta della Palude Pontina. Ma di essa parlerò Ímcora in un capitolo seguente; per ora mi preme di ultimare il racconto di come venne compiuto I'acquisto dei principali feudi della Casa. o) Tra le attre località urbane notiamo: Porta Sanc|l ÈaulÍ, l'os;edale Le Mancínule, Fencgínale, Vla de Plagano, Vía Satapt, Bofotca Sanctí Romaní, Poila Sancle Marle, Porla S. Saloatore, Ata maíot, Parta S. BlasÍí, Molentlnt óe GIoùa; Nellacampagna vicina: Casale ileTepla(T"pptu)' Pelialonga,
Casale Límttonís, Ttepontl, Vaccatec.cía, Síloía F:,assítí, VaIIe, Senaxoníbus, Canafemto, tn Surdlnî, Sarba rcsce mande, ín Límaií* Il Tomasetti dà pure: Casa(e Bonàeî, caoana cupd, Fargneta, Freguellí, Isola, oalle Malqenca, Casaie Pena'
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*
Caprrolo XV. SE RMON E TA,
BASSIANO E S. DONATO. (sec. XIll)
I'antica Sulmo dei Romani, u) rorg" . 300 metri sul livello del mare, sulla vetta di uno sperone dei monti Lepini che, quasi a guisa di promontorio, si avanza arditamente nella pianura delle Paludi Pontine. ll luogo è fortissimo perchè da tre lati i fianchi del colle sono scoscesi a tal punto da rendere I'accesso assai difficile, ed alle spalle I'angusta sella, che lo collega al massiccio della montagna, può essere facilmente difesa. Abbandonata durante gli ultimi secoli dell'impero romano, la terra venne ripopolata nel IX secolo nella parte piùr alta del colle e dal lato prospiciente il mare; I'antica cinta castellana è segnata tutt'ora dall'arco della piazza presso il u Loggiato ". Nel secolo XIV, sotto Ia signoria dei Caetani, venne ripopolata anche la contrada più bassa, che prese il nome di Torrenuova e che attualmente è quella piìr popolosa che si trova al primo ingresso nel paese. Le notizie storiche di Sermoneta vennero raccolte, nella Stemma Caetani affisso in una casa di Sermoneta. seconda metà del secolo XVIII, dallo studioso e coltissimo Pietro Pantanelli, canonico della collegiata di S. Maria, con grandissima cura e con molto criterio, in un manoscritto che, nel 1908, fu dato alle stampe a cura di Leone Caetani. Non cercherò quindi di rifare Ia storia di detti luoghi così afnpiamente illustrati dal Pantanelli, alla cui opera ho attinto sovente nel compilare queste memorie della nostra Casa. Dall'alto del castello lo sguardo abbraccia tutta la pianura delle paludi dalla Tone di Astura sino al monte Circeo. A destra, per chi guarda il mare, si trova I'antico territorio di Ninfa, di cui si è parlato nel capitolo precedente, con quelli adiacenti di Cisterna e dell'antica Tiberia; ai piedi del monte, quello di Sermoneta che, verso Tor Treponti, si estende oltre la via Appia e che a sinistra confina con il tenitorio di Sezze: in distanza lungo Ia grande duna, che separa le lagune dalle paludi di Fogliano, di Caprolace e di Paola, la sterminata selva, che si estende sino ai piedi del Grceo. ERMoNETA,
a) Detta anche Sulmonuooo, Sulmoparous, Sulmoneta, Sotmonela, Sermlneto, Sírmíneto etc. Cf. Pan!., pp. 108, I 12, 189. Domus,
l,
16,
SERMONETA, BASSIANO E S. DONATO
122
Gli
Anibaldi.
Acquisto,
Lib. II, Cap. XV.
Non sappiano a quale famiglia appartenessero i Dominí Serminetí menzionati nei documenti del XII secolo ; nel I 222 sono ricordati Stefano ed Oddone: r) verso il principio del secolo XIII il castello passò in possesso della famiglia Anibaldi. Poco conosciamo del loro governo sulla terra di Sermoneta ma possiamo affermare con certezza che nella prima metà del duecento gli Anibaldi misero mano alla costruzione di una rocca, di cui ancora sussiste Ia magnifica torre principale o maschio che, quantunque abbassata di un piano al tempo dei Borgia, tuttavia costituisce Ia parte piìr bella e piùr imponente del castello attuale. Tra i primi membri della famiglia dobbiamo ricordare il cardinale Riccardo Anibaldi, del titolo di S. Angelo. Egli fu signore di Sermoneta e nel 1273, addì 2 di marzo, donò alla collegiata di S. Maria la tenuta di S. Lorenzo; il Pantanelli riporta l'atto di donazione. 2) Egli era del ramo degli Anibaldi della Molara e, creato cardinale nel 1240, morì I'anno 1274.3) Alla stessa famiglia appartenne anche il castello di Bassiano, un bel paese che sorge a 500 metri sul livello del mare, a cavaliere dello spartiacque di una aspra ma pittoresca vallata dei Lepini, a metà strada tra Ninfa e Sezze. Protetto contro i miasmi delle Paludi Pontine, da una catena di monti e dalla propria posizione fresca ed elevata, il paese ebbe sempre a soffrire poco della malaria e perciò la popolazione crebbe forte e rigogliosa. Pochissime sono le notizie che abbiamo sulle origini. e sulle vicende di Bassiano ne' bassi secoli, ma mi par certo che la sua sorte sia stata sempre intimamente connessa a quella di Sermoneta. Il suo territorio era limitato ai nudi monti ed assai poco redditizio, ragione per cui i bassianesi si batterono con accanimento e tenacia per ogni lembo di terra arabile che fosse loro conteso. Il terzo castello degli Anibaldi era il castrum dírutum di S. Donato, di antichissima ma oscura origine, sorto probabilmente sui ruderi di qualche villa romana presso I'attuale Fogliano, in mezzo alle selvagge e disabitate foreste di quercia del litorale; nel sec. XIII una torre soltanto e qualche edifizio diruto segnavano ancora la località, ove un tempo era sorta I'antica borgata (uícus) ; ma il territorio che le apparteneva era di considerevole estensione; di fatto, però, dal duecento in poi, fu considerato quasi come parte di Ninfa. Quest'ultima ed i tre castelli, di cui ora si è detto, col loro vastissimo territorio, erano dunque entrati in possesso della famiglia Anibaldi sin dal principio del XIil secolo. Boni' facio VIII ambì di renderne signori i propri nipoti ed a tale determinazione fu forse indotto anche dal fatto che tra gli Anibaldi ed i Caetani d'Anagni sicuramente esistevano vincoli di parentela, di cui abbiamo qualche memoria, e già da tempo i secondi avevano degli interessi nelle terre di Ninfa e di Sermoneta. Troviamo che nel 1282, addì 13 settembre, un tale Petrus Caietanus, che potrebbe anche essere stato il nipote del cardinale Benedetto, intervenne, come procuratore del capitolo di S. Maria di Sermoneta, nella lite per il testamento di un certo canonico Oddone. a) Viceversa anche i sermonetani erano in relazione con Anagni, e nel 1297 troviamo un Rinaldo di Sermoneta, proprietario di una casa adiacente alla torre nuova, che il 5) marchese Pietro Caetani si era edificato in Anagni. Le trattative fra i Caetani e gli Anibaldi non durarono a lungo, benchè il comprare tutti i loro interessi non fosse una questione molto semplice, essendovi 17 condomini. Il primo atto di compra-vendita, conservato nel nostro arcHvio, è del 29 apile 1297; in cinque mesi tutte le terre degli Anibaldi passarono in pieno possesso dei Caetani in seguito ad una numerosa serie d'istrumenti, pubblicati nel primo volume dei Regesfa Chartarum-
1) C-102.
2)
l,
pp. 281, ?09.
3)
C'. Mor., II, p. 91.
1)
P:r!., I, p.
324,
5)
lr.-.
CcL, XK-|0.
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11222-tzs7l
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i
castelli di Sermoneta, Bassiano e S. Donato furono fatti a contanti ed ammontarono, a quanto risulta dai contratti, ad oltre 140 000 fiorini d'oro ; aggiungendovi i 200 000 pagati alla comunità di Ninfa, i beni ceduti alla Chiesa in compenso de' diritti ottenuti, Ie numerosi compere da privati, nonchè i 265A0 fiorini pagati per Norma, risulta che per tutto il dominio e territorio delle cinque terre fu spesa una somma certamente superiore ai 400 000 fiorini d'oro, o), corrispondenti a circa cinque milioni lire oro di quei tempi, quando il potere di acquisto del denaro era quadruplo di quello che fosse il nostro prima della guerra pagamenti per
mondiale.
Calcolando I'attuale svalutazione della lira (anno 1925) ad un settimo del suo valore di anteguerra si giunge alla sbalorditiva constatazione che Caetani pagarono per quelle terre una somma corrispondente a 140 milioni di lire italiane del giorno d'oggi.
i
L'acquisto copriva ogni proprietà e diritto degli Anibaldi.e degli altri signori, ma non già ogni appezzamento di terra nei 35000 e piir ettari delle suddette castella, perchè buona parte del territorio era proprietà privata ed assoluta di vari enti e cittadini; ma esso comprendeva anche i diritti feudali ed il privilegio giurisdizionale che avevano vero valore pecuniario, perchè ad essi corrispondeva un lauto gettito annuale, frutto d'imposte, multe,. penalità, canoni, prestazioni d'opera e cosi via. Ciò spiega I'altissimo prezzo. Non si può in alcun modo mettere in dubbio che tutti questi acquisti furono eseguiti per vie assolutamente legali e pagati a contanti; I'unico punto che può essere discusso è se i condomini si siano prestati di piena e libera volontà a cedere le loro proprietà, oro sonante. Non v'è altro argomento per affermare ciò che le generiche accuse scagliate contro il pontefice al tempo del processo di Avignon". È probubile invece che gli Anibaldi non si trovassero in buone condizioni finanziarie e Ie larghe offerte di denaro fatte dai Caetani li inducessero a ven' dere gli aviti possedimenti. Erano tempi in cui le operazioni di banca erano poche e I'uso delle tratte e delle aperture di credito era limitato; perciò quasi sempre il denaro veniva trasferito sotto forma metallica, ciò che non sempre era cosa agevole. I cinque milioni di lire oro pagati per i feudi pesavano una tonnellata e mezzo e ci volevano giornate intere per contare le monete. Facchini, muli e carretti erano necessari per trasportare il denaro ed infatti sappiamo che il 3 maggio 1297 Pietro Caetani, per trasferire da Anagni a Roma un ingente tesoro, dovette caricare niente meno che 80 muli e cavalli. Questo io voglio credere fosse destinato a pagare i nuovi acquisti fatti dagli Anibaldi; purtroppo su quel tesoro misero le mani i Colonnesi che se Io portarono a Palestrina, ciò che fu causa d'inÉniti guai, come meglio vedremo nel XXII capitolo. *
il
* :l:
Dopo che tutti gli istrumenti furono debitamente confermati e convalidati, Pietro nominò nobile Catenazio, milite anagnino, b) suo procuratore a prendere possesso delle terre; questi,
dal I 7 settembre al 3l dicembre 1297 si trattenne di continuo a Bassiano, a Sermoneta e a S. Donato per assolvcre I'ufficio di procura, perchè la cerimonia d:lla immissione in possesso e del giuramento di fedeltà dovette ripetersi per i beni e per i vassalli d'ognuno dei membri della famiglia Anibaldi, che avevano venduto le proprie ragioni a Pietro Caetani. u) Il fiorino d'oro della repubblica di Firenze, coniato nel 1252, pesava grammi 3,54 che, al titolo di 9/10 di oro puro, corrisponde a L. 12,7a della nostra, oramai diventata invisibile, moneta d'oro (8. Maúlnoú, La Moneta; Roma, 1915.)
del fu Teobaldo, sposò Giovanni Spada, cittadino anagnino (l3ol. XI. 5, Dígad, n. 428). b)
Il nobile
Catenazio, 6glio
Ajugata (sic) figlia
di
Presa di posseso'
SERMONETA, BASSIANO E S. DONATO
124
Lib. II, Cap. XV.
Sermoneta Catenazio si presentò davanti I'ingresso della rocca, di cui gli venne spalancata la porta, che egli toccò con mano e chiuse e aperse in segno di possesso; a Bas,iuno, ove evidentem"nte Ia rocca non esisteva, la cerimonia si eseguì davanti a una'delle porte della città. I vassalli delle terre, che dipendevano sempre individualmente o dall'uno o àail'altro dei signori Anibaldi, vennero uno ad uno davanti al procuratore e pronunziarono la formula di giuramento: < Giuro sopra í santi oangeli e prometto a te, signor Catenazío, che da questo gíorno ín poí e sino all'ultimo gíorno della mia oita saù fedele e oassallo a )> promiPietro Gaetano, mío sígnore, e ai suoí eredí contro huttí gli uominí del mondo... ; contro altri. r) sero altresì di guardarlo dif"nd"rlo contro qualsiasi insidia e di assisterlo nell'ofiesa " Dell'antico castrum di S. Donato non esistevano in quei tempi che una torre ed alcune di " Foscase, presso cui probabilmente erano le capanne per i pescatori della vicina peschiera ,"llu "; perciò, u difi"r"nro di quanto si era fatto per il possesso di Sermoneta e di Bassiano, Caetani non venne ricevuto da Catenazio alcun omaggio di fedeltà. Il procuratore di Pietro scempio, attraversò a cavallo le maestose e deserte selve, di cui purtroppo ora si è fatto orribile ove un posto seguito dalla sua gente d'arme e dal fedele notaio e, giunto nel solitario eseguì solennemente la presa di possesso, calpestando il suolo, e pot"irpo sorgeva il "ult.ilo, delle case e della torre, aprendo e chiudendone i battenti come era n"nào l" Luno sulle porte attonita solito farsi in tali atii. La semplice cerimonia si svolse davanti ad una piccola folla signore.2) di pescatori, di porcari e di pastori accorsi a vedere il rappresentante del loro nuovo che *od"stamente, n"lla solenne calma della natura, s'iniziava il possesso di quelle terre Corì,'62l anni dovevano rimanere ininterrottamente sotto il dominio d'una stessa famiglia. pet n 14 di ottobre 1299 papa Bonifacio VIII partiva da Anagni Per tornare a Roma, ma e la palude, perchè invece di prendere la solita ,trud", preferì quella attraverso i monti Lepini sua uvere la soddisfazione di contemplare le nuove proprietà della famiglia ... le castta
A
voll" ile Maritima. r)
Regesla,
i
?)
I, p.
128.
ili
2) Acta
At., p. 71,
B) Reg*la,
l, p.
I 12 e seg.
Caprror-o XVI.
SGURGOLA. (sec. Xlll).
RGEst
j.t
{ a,
il piccolo paese di Sgurgola u) dirimpetto
ad Anagni, dall'altro
lato della vallata del Sacco, sopra un'ispido e scosceso sperone de' monti Lepini'. La natura l'aveva destinato piuttosto a covo di aquile ed a pascolo di capre che ad abitazione di esseri umani; ma la tofiezza del luogo indusse i soldati fuggitivi di Spartaco a fondarvi il castrum che prese il nome di Sgurgola. Il fabbricato si stende lungo un ciglio roccioso, che per buona parte dell'anno rimane all'ombra del monte Gemma tanto è vero che, al dir degli sgurgolani, Ie madri, per tener a bada i figlioli irrequièti, sogliono ripeter loro : .. Se stai buono, ti porto a vedere il sole ,r. A metà del borgo v'è la angusta piazza, detta < dell'Arringo r; b) su questa, verso la pianura, s'erge a picco uno spuntone di roccia in cima al quale, nel medio evo, fu costruita una minuscola Statua di bronzo di Bon. VIil; Bologna. rocca che sovrastava alle casupble come altissima torre. Ora è distrutta, ma un tempo dominava completamente il paese e gli angusti vicoli e dalle finestre dell'annesso piccolo palazzo, I'occhio, scendendo per Ie precipitose balze del monte, percorreva Ia ubertosa ed ampia valle del Sacco e si èlevava al di là sui colli della Ciociaria ove sorge Ia vetusta Anagni. Da qui Benedetto Caetani, sin dai primi anni della gioventùr, cardinale, concepì il disegno punto d'appoggio strategico ai suoi che abitavano Anagni. ")
aveva sovente ammirato quella fortezza naturale e, allorchè
di
fu eletto
possederla perchè diventasse un Nel I 159 il castello fu 'concesso
in feudo da .Adriano IV a Gualgano Conti il quale, signoria unitamente ai figlioli Goffredo e Simeone, il 13 luglio, prestava omaggio di fedeltà e di vassal- dei conti' laggio al papa. l) Alla cerimonia fu presente un Pietro Caetani, che è il piìr antico personaggio del ramo anagnino di cui si abbia memoiia. a) Detta anche Sculcula,. si vuole traesse il, nome da di acqua Iimpidissima (Ct. Mon, X.}*VI, p. 272).
uno
sgorgo
Il
Morcnî, (loc, cit.) crede che il nome sia derivato dall'airinga fatta ai congiurati la vigilia dell'attentato di Aagni, ma a suo tempo dirò che Ià congiura non fu preparata in Sgurgola. A mio parere il nome trasse origine Calle arringhe che b)
si soleyano fare al popolo dalla' sovrastante rocca ') Líb.
Cens.,
p. 400; Cf. pae. 38.
in
occasioni
solenni, come quella
") Per
Regesta,
di cui si dirà qui appresso. di Sgurgola dai Conti ai
il.trapasso
Caetani, vedi alla donazione di Adenolfo documenti si riferiscono agli acquisti
l, pp. 176-205, 231 . Oltre
da Supino a Pietro Caetani,
i
da queto eseguiti e, dopo la sentenza contro snzionati da Booifacio VIII (t299-1303).
i fratelli Conti,
SGURGOLA
126
Lib. Il, Cap. XVI.
Un secolo dopo, ed appunto nel 1253, ne era signore Corrado I Conti, figlio di un Gualgano (che diremo secondo), pronipote del primo, il quale resse la terra per 30 anni e piir. Testò nel 1270 lasciando eredi per metà la figliola Gemma, monaca di S. Maria di Viano, e per metà i cinque nipoti Corrado II, Mazia, Simeone, Altrude e Cubitosa. Dubitando però che il primogenito Corrado potesse usare violenza contro il fratello, dispose che in tal caso egli decadesse da qualsiasi diritto di successione su Sgurgola. Non si era ingannato nelle previsioni: quegli aquilotti nati nel roccioso nido, per istinto quasi si beccavano la preda I'uno all'altro e non si affratellavano che per difendersi contro qualche comune. nemico. Non appena Corrado I ebbe lasciato le mortali spoglie, il nipote primogenito si awentò contro il proprio fratello Simeone, Io scacciò da Sgurgola e non esitò ad insidiargli la vita. Alla morte di Corrado II i figlioli di costui non usarono maggiori riguardi allo zio Simeone, per la qual cosa costui, nel suo testamento, invece di lasciare le proprie ragioni ai nipoti, nominò erede il cugino Adinolfo Conti da Supino, vescovo di Conza, il quale rimase così investito non solo del Sgurgola veduta dal lato del monte. l/10 spettante a Simeone, ma anche della guota spettante ai figli di Corrado II, cioè per avere essi violato le disposizioni a Simeone a Gordano, Gualgano IV e Pietro, devoluta testamentarie di Corrado I. La quasi totalità degli altri interessi era venuta a concentrarsi in mano al monastero di S. Maria di Viano. Acquisto. Pietro Caetani, sul frnire dell'anno 1299, determinò di rendersi . signore di Sgurgola. Dal vescovo Adinolfo Conti si fece donare i diritti ereditari a lui spettanti e, con 5000 fiorini e con I'appoggio del papa, comprò quelli del monastero di S. Maria di Viano. Eseguite queste ed altre transazioni private, il marchese Pietro volle considerarsi signore assoluto della terra' Della stessa opinione noh erano i fratelli Giordano, Gualgano e Pietro Conti. Comunque sia, per tagliar corto alle discussioni, il 15 marzo del 1300, il Caetani nominò suo procuratore Pietro di Guido, milite anagnino, il quale si recò subito alla rocca di Sgurgola e, traversato I'angusto ponte levatoio, aprì Ia così detta < porta CanpíIolií ,r, salendo in cirna ove era la stanza di Giordano Conti e, aftacciatosi alla finestra, si mise ad arringare la folla nella piazzetta sottostante: gridò ad alta voce che prendeva possesso della rocca a nome di Pietro Caetani ed in forza dell'acquisto fatto delle ragioni spettanti a Giordano. Questi non era pienamente consenziente, ma davanti al fatto compiuto dovette piegarsi e, sette giorni dopo che Pietro di Guido ebbe preso possesso della rocca, egli, sia di buona sia di cattiva voglia, vendeva al cardinale Francesco Caetani i propri diritti per I'ingente prezzo di 20000 fiorini d'oro. V'è poco dubbio che la vendita non fu eseguita di piena buona volontà; difatti, dopo breve tempo, i tre fratelli Conti s'impadronirono del castello venduto. E'qui abbiamo una prova della perfetta legalità con la quale i Caetani, dietro consiglio di Bonifacio VIII, si regolavano in ogni loro operazione, perchè, invece di reagire con prepotenza contro Ia violenza degli altri, ciò che sarebbe stato ben facile al potente marchese Pietro, questi procedette tranquillamente per vie legali. Fu intentata causa e dopo un lungo e minuzioso giudizio, il primo maggio del 1300, Pietro rientrò nel possesso di Sgurgola ricevendo omaggio di fedeltà dai vassalli. La
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F F r
A cg uisto
p2s3.13OOl
127
proprietà gli fu confermata con bolla ponúficia del primo luglio r) e, il 4 successivo, dall'alto della rocca, Pietro giurò personalmente di voler rispettare le óntiche consuetudini e i privilegi del comune, i quali erano stati sempre osservati dal vecchio signore Corrado. Il popolo, adunato nella piazza dell'Arringo, stotceva il collo guardando in su ed ascoltava il verbo del nuovo padrone.
ALBERO GENEALOGICO
DEI CONTI, SIGNORI DI SGURGOLA Gualgano II + 1252-t253
prob.Corrado I
Govitsla (l)
Goffredo
f
-
1236. T. 1270, l22ó anr. Sig. di Sgurgola per oltrc 30 anni
-
Pietro
(Cf. Arc. An., lO, n. 4ól).
Gemma Monaca di S. Maria
Erede del fratello Giovanni; Dal padreeredita l/z diSgur. gola che nel l27o dona al
m.
Ruggero, milite
anagnino.
lll padre ant. al 1270.
Giovarni
Gualgano
di Vianot
di
tz62 -
Preie; Nomina
premorto at
erede
gua sorella Gemma.
moniltefo.
Dei cinque fratelli ognuro è sig. di Sgurgola per
lt p6l.
Mazia
Conado
t
l27E
il
Primogenito; Spoglia fratello di Sgurgola ed
attenta qlla sua
vita
di suoi
Monaca di S. Maria Viano a cui lascia i diritti su Sgurgola.
Simeonc t 1299 ant' Testa nomirando il ve-
l/l
Altrude intestata.
Cubitoaa
Morta
m.
Pietro
scovo Adinolfo C.onti sig.diSupino,suoerede.
Ruggero
m.
t
(Tommaea tutrice dei figli?)
1298 ant, m.
Mergherita
di
Ferentino.
Rogata
+
Maria di S, M. di Vano a cui cede i dirirti au Sgurgola. Monaca
Giacoma m. Rinaldo Bulzone di Terracina'
Giordano
Gualgano
+ l3l4 po!t. Cospira contro Bonifacio
I
lV
Pietro n.
1265 e.
llpiùgiovanedeihatelli.
Vlll' tre fraretli tofuono a Simeone il poeseeco di Sgurgola; Si fatti da Pietro Caetani; Tengono il
oppongotro agli acquirti
cardlo occupato 3ioo at l3l4 e combattono
r) Reserla, l, p.
2O4,
1298
i
Caetani.
Lib. II, Cap. XVI.
SGURGOLA
l2B
Poco dopo questi awenimenti, ed appunto nel luglio del 1301, il famoso medico Arnaldo permesso del papa, si ritirava nella solitudine di Sgurgola per sfuggire'ai calori estivi e per dedicarsi alla composizione della sua opera De Regímine Sanítatis.l) È probabile che abitasse nel piccolo palazzo compreso entro Ia cinta della rocca e che, a giudicare dai documenti, consisteva di una stanza sola. 2) perdita Così rimaseto le cose finchè visse Bonifacio Vlll. I Conti. però non vollero scordarsi della del castello' prepotenza di cui si reputavano vittime e, quando nel 1303 Sciarra Colonna ed il Nogaret vennero ai danni del papa, Giordano di Sgurgola accettò subito di prendere parte alla congiura e pare fosse presente all'oltraggio di Anagni. Lo stesso giorno che il papa fu tratto prigioniero, i fratelli Gualgano e Pietro ripresero possesso del loro antico feudo e, sostenuti dai Colonnesi, dai Da Ceccano e dagli altri potenti nemici dei Caetani, seppero resistere alla forza delle armi e mantenere le loro ragioni. Per molti anni i Caetani si-lamentarono di essere stati derubati del castello e ne mossero colpa agli stessi Colonnesi, come risulta dal processo Caetani-Colonna. Clemente V cercò di ricondurre Ia concordia tra i baroni, che con le guerre straziavano la Campagna e, il 20 aprile 1312, impose una pace a cui dovevano partecipare i Caetani ed i signori di Sgurgola. Concesse un'amnistia a Gualgano per I'oltraggio perpetrato contro Bonifacio VIII, ed ordinò che i fratelli Conti restituissero Sgurgola a Roffredo e Benedetto Caetani. Quelli non si curarono menomamente di eseguire I'ordine finchè nel l3l4 Rofiredo, trovandosi ad essere probabilmente in quel momento rettore della Campagna e Marittima, ebbe modo di poter imporre gli ordini del papa. L'otto luglio Bernardo di Castelnuovo, deputato apposta per la esecuzione di questa pace, diffidava Gualgano e restituire il castello, ma non essendo egli comparso in giudizio, autofizzava i fratelli Caetani a farsi giustizia con le armi, assolvendoli sin d'allora da qualunque colpa per
'di Villanova, con il
atti di violenza. 3) I Caetani si devono essere giovati liberamente di tale permesso: riconquistarono Sgurgola e, nelle divisioni del l3l7 e del 1333 tra i frgli di Pietro, il castello rirnase ai conti palatini, discendenti di Benedétto. Costoro lo tennero sino al 1484, quando Gian.Felice Caetani ne fu o) *u, Onorato discendente di Gan-Felice, ed il frgliolo di lui spogliato da Prospero Colonna; Giovanni-Luigi per sentenza dei 6-18 marzo 1548 furono reintegrati in possesso di un sesto di Sgurgola contro Ie pretese dei De Crispoltis.5' Verso quell'"po"u si estinsero i Caetani palatini, ed io non cercherò di seguire oltre le sorti del solitario castello di Sgurgola. eventuali
t)
Fìnke, p. 20V.
2)
Regesta,
II, p. 96.
s) Ioì,
ll, p. 5.
4)
Atc.
Cael.
An., p.
52'
s) Pts, 3454'
Caprolo XVII.
SAN FELICE AL CIRCEO. (r r rB-r7r3)
non appena ultimati gli acquisti di cui si è detto, diresse la sua attenzione alle terre poste tra il territorio di Ninfa e Ia contea d, Fondi, cioè al lago di Paola, al Grceo ed a Terracina.
[l]mr$'
ll
Monte Circeo, la dimora della leggendaria maga cantata da.omero' sorge' a somiglianza di,un'isola' Iniziare di una boila di Bonifacio Vlr.r) Ît::"' dalla pantanosa ptanura ln nva al mare, segnando a distanza I'estremo confine meridionale delle Paludi Pontine e della lunga catena di laghi e lagune adiacenti alla costa del Tirreno. Dell'antica Circeí e della villa, costruita da Lucullo ai piedi del monte omonimo, non si vedono oggi che pochi ruderi ed incerte tracce. La città romana andò distrutta al principio del medio evo, ma per vari secoli soprawisse I'lrr Cbcaea o Rocca Circejí che godeva Ia riputazione di essere Ia rocca piir forte della Marittima. Il suo possesso fu conteso dai signori di Gaeta, da quelli di Fondi e dal comune di Terracina; sin dal secolo XI il papato accampò diritti di sovranità su quella tottezza che proteggeva il limite meridionale dello stato pontificio. 2)
II, a quanto racconta Pandolfo Pisano suo contemporaneo, 3) affidò la rocca del Circeo, perchè la difendesse dagli imperiali, al cardinale Ugo d'Alatri, il quale se ne allontanò soltanto per venire a Roma per la elezione del nuovo papa Gelasio II (24 gen. I I l8), e subito dopo vi fece ritorno. Ma Gelasio II gli ordinò che la consegnasse ai terracinesi, cosa di cui ebbe a pentirsi amaramente. Dopo non molto tempo il Grceo cadde nelle mani dei Frangipani, i quali s'impadronirono altresì della rocca Traversa entro Ia città di Terracina. Due anni dopo Eugenio III investiva della città la stessa famiglia, ma I'oppressione che questa Pasquale
esercitò sui poveri abitanti fu tale che, non essendo riusciti ad avere aiuto dal papa Clemente III, dopo la morte di questo, verso I'anno 1200, presero e distrussero completamente la rocca Traversa, baluardo dei Frangipani, e, noncuranti dei rimproveri di Innocenzo III (1203), si recarono ad
la rocca circea; di
lì a poco però si riconciliarono con i
loro signori. Nel 1239 Gregorio IX afrdò ai terracinesi la custodia e difesa della rocca ed è probabile che verso quel tempo cominciasse ad essere edifrcata la piccola terra di S. Felice. espugnare
1)
Regesla,
Domus,
l,
I, p. 231.
17.
2) Gteg. W.,
l, p.
172.
3) Goel. C.. p. 0.
SAN FELICE AL CIRCEO
130
Lib. II, Cap. XV[.
poi nelle mani dell'ordine dei Templari unitamente alla vicina tenuta di S. Maria della Surresca, situata sulle sponde del lago di Paola, antica proprietà del monastero di Grottaferrata. I Templari, però, intenti ad interessi di maggiore importanza, traevano ben poco utile da quella plaga selvaggia sicchè, il 3 maggio 1259, il gran maestro Tommaso Berardi credette opportuno di cedere ogni diritto dell'ordine al cardinale Giordano Pironti di Terracina, vicecancelliere della Chiesa, in permuta di un certo casale presso Roma in contrada u Piliocti u. I Templari si riservarono soltanto una casa in Terracina, presso le mura, in località Posterula. l) Nell'istrumento di cessione non si parla di un castrum, ma solo del /ocus Sancti Felícis; sí trattava piìr che altro di una piccola borgata rurale, composta di alcune case e di una torre che servivano di centro all'azienda agricola dei Templari, per la pesca nel lago di Paola e per lo sfruttamento della. tenuta di S. Maria della Surresca, della macchia e della montagna dove pascolavano le greggi. Nei grandi boschi di quercia abbondava la selvaggina, che viveva quasi indisturbata nella maestosa solitudine de' Iuoghi. Non so dire in qual modo queste terre passassero nelle mani degli Anibaldi che troviamo ne erano proprietari alla fine del secolo XIII. Nel l30l Pietro Caetani, avendo già definito gli acquisti di Bassiano, Sermoneta, Ninfa e S. Donato, volle integrare il suo stato e comprò il lago di Paola ed il Monte Circeo allo scopo di poter eventualmente mettere la mano su Terracina. Il 23 novembre Riccardo Anibaldi, che aveva già venduto a Pietro la torre delle Milizie, cedeva a lui per 20 000 fiorini d'oro il castello di S. Felice eon Ia rocca, i porti e le giurisdizioni nonchè il lago di Paola, S. Maria della Surresca con metà dell'omonima peschiera, tutti i beni suoi e quelli spettanti al castello di S. Felice nella città di Terracina, ll/ló del frume Ligula, un quarto della selva di Terracina ed altri diritti e proprietà immobiliari. Il 30 del mese il nobile Guidozzo di Otvieto, vicario di Pietro, prendeva possesso dei detti beni. 2) Lo stesso giorno Pietro comprava da Rainone Frangipani di Roma tutti i suoi diritti e beni in Terracina nonchè l/4 della rocca Traversa, ll4 di Tempio, li8 della Peschiera di Bacchi, 114 disasso detto Capo Silice dÍ Altura, l/S di .. Forto'di Ponte >> e tutte le altre ragioni e proprietà per 1000 fiorini. Il 28 gennaio 13A2, Bonifacio VIII confermava specifrca3) e con altra bolla dello stesso giorno confermava tamente i contratti stipulati coll'Anibaldi a) altresì quelli fatti col Frangipani. Con tali acquisti, e probabilmente con altri di cui non abbiamo memoria, Pietro Caetani Passò
ordiva intorno a Terracina quelle trame che sperava potessero un giorno condurlo a rendersene
,
signore.
'
*
** La piccola terra di S. Felice ebbe una esistenza tutt'altro che felice. Abbarbicata all'estremità orientale del grande massiccio del Monte Grceo, che s'innalza come un'isola sul mare in vicinanza dell'antichissima cr*, circondata da un vasto territorio, avrebbe voluto vivere di vita propria; invece fu considerata dai pontefici e dai re di Napoli unicamente come un punto strategico sul conftne dei loro stati e di conseguenza fu oggetto di continue contese; ogni qualvolta giungeva ad un certo grado di prosperità, veniva assalita, espugnata e distrutta. Caduta in abbandono per le guerre del Grande Scisma e per le depredazioni dei corsari, che durante tutto il secolo XIV ne infestavano la costa, il castello fu ricostruito da Giacomo IV r)
l, c-339. XXXVIL Regeala,
pp. 36,
37.
2)
ful, l,
pp. 226,227 .
9
C - lEO,
lY t, Disoftl.
L
5OO).
+) Theinet,
ll, p. ?8?i
Cf. C-2319t
n25e.r7r3j
Vicende del Castello.
t3t
Caetani nel l43l ; un decennio dopo re Alfonso di Napoli, per vendicarsi dei Caetani, lo fece al suolo e ne disperse gli abitanti; per piùr di mezzo secolo Ia terra, incolta e spopolata, rimase in preda alle contese sorte tra i napoletani, i pontefici, i terracinesi ed i Caetani; su di essa pesava I'interdetto della ricostruzione e del ripopolamento. Finalmente dopo I'anno 1473 i Caetani rientrarono nel pieno possesso di S. Felice ed ebbero I'autorizzazione di riedi6carla e ripopolarla, ma le tumultuose vicende degli ultimi anni del secolo XV ritardarono I'opera. Appena risorta, fu nuovamente distrutta da Federico di Napoli quando, nel 1501, dovette definitivamente abbandonare il Regno; il re approdò sotto il monte Circeo con le galee che lo eonducevano in Francia e, per vendicarsi della Chiesa e della famiglia Borgia a cui apparteneva allora il castello, lo prese, lo saccheggiò e lo diede alle fiamme; si vuole che gli abitanti, abbandonate le rovine fumanti, in buona parte si rifugiassero a Sermoneta. l) Pochi anni dopo Guglielmo Caetani, signore di Sermoneta, fece un nuovÒ e definitivo sforzo per colonizzare la terra. Furono ricostruite le case nonchè le mura castellane per proteggere i cittadini dalle incursioni dei pirati e molte delle famiglie, fuggite a Terracina dopo le ripetute distruzioni, fecero ritomo nell'ameno paese. Non sappiamo esattamente in che anno ciò awenisse, ma esiste nel nostro archivio un documento dal quale risulta che un bel giorno Guglielmo (t l5l9), seduto sotto il proprio padiglione pr€sso il diruto castello, in presenza di notaio, donò ad ogni famiglia che voleva far ritorno un rubbio di terreno e concesse molti privilegi tendenti a dar nuova vita agricola a guella plaga abbandonata. Il castello risorse in quella forma che si vede ai giomi nostri e da allora in poi esso, nonchè le vastissime tenute che circondano il Grceo, il lago di Paola e la chiesa di S. Maria della Surresca, rimasero nell' indisturbato possesso della famiglia Caetani sino al l7l 3 quando, in un momento di ristrettezza finanziaria, I'antico feudo fu venduto ai principi Ruspoli. Non dirò di piìr per ora perchè di questa amena e poco fortunata terra parlerò sovente nel corso della Domus Caíetana. radere
t) Orrs., p. lO; Prs. 184, 1287'
--<{----..a--r''
Torre Olevola ed
il
Circeo con
S.
Felice.
Caprrolo XVIII.
MARGHERITA ALDOBRANDESCA E ROFFREDO CAETANI..) (1254-t308)
EL l2B4 (18 maggio) moriva in Orvieto il conte palatino Aldobrandino Rosso da Pitigliano, figlio di Guglielmo di Aldobrandino, e signore del vasto contado aldobrandesco, che si stendeva incirca dal Monte Argentario al Monte Amiata e per la valle del Paglia sino al lago di Bolsena e da lì sino al mare verso Corneto. b) Egli veniva sepolto nella . sua cappella innanzi alla
cli Aldobrandeschi.
sacrestia
A
Iniziale
d'uua pergamena
di San Francesco. l) lui succedeva nel vasto dominio I'unica figliola Margherita, contessa
palatina, detta " Comítíssa Rubea " dai suoi contemporanei (Dupug), che nel 1286 fu investita dei feudi paterni da Rufino vescovo di Soana. 2) Non era piir giovane, essendo nata verso il 1254.3) Anteriormente al 127.1 4) ayeva sposato il conte Guido di Monfort€, ") noto nella storia per avere ucciso, il 13 marzo 1271, nella chiesa maggiore di Viterbo, il principe Enrico, figlio di Riccardo d'lnghilterra, onde di lui ebbe a dire Dante:
dell'anno I I 79.
ín grembo a Dio cor che in sul Tamígi ancor si cola. fesse
lo
(Inl., XII, il9).
suocero, Guido accorse in Toscana per assicurarsi del contado aldobrandesco che spettava alla moglie, ma su cui accampava pretese anche il conte di Santa Fiora,
Alla morte del
parente di Margherita. Seguì poi crudele guerra con il conte dell'Anguillara, nel corso della quale Guido rinlase geùiter oulneratus in canna. 5) Da questo matrimonio nacquero (circa l2Bl) Tommu*u, àh" fu data in moglie a Pietro de' Préferti di Vico, e Anastasia la quale nel 1293 sposò Romano, detto Romanello, di Gentile Orsini, d) a cui generò Guido che u) Capitolo gia pubblicato nelfArc. S. P., XLIV, p.5-3ó qui ristampato con aggiunte e correzioni. b) Pran Castagnaío e lutte le alhe lene !rc tl fíune AIbegna chz nasce ilalla rccca iletla Albegna, e metle a pìé clí Satumîa e dÍ Massíllana, e mette fra íI caslello ilell'Abailía e Pían Castagnaío fino alla strcila Fnncesca, fino aI marc' col illstrelto ilí Corne1o, sotto Montal|o oers Orolelo e oetso Toscanella e Corneto (Ct, Funt, p. l0S). Nella divisione dell'un-
e
') /tfrrn XV-V, p, 3l8t Fumí' P. 330. 5) Fumi, loc. cit'
t) Ilgh.tli, lll,
col.
dici decembre 1274 lra Aldobraodino Rosso e suo zio Aldobrandino di Bonifacio, il primo ebbe precisamente la contea di Soana e di Pitigliano (CÎ. Peecí, Monogra6a di Soana). c) Riguardo alla vita di Guido, vedi I'importante raccolta di notizie pubblicate dal Daoídsohn, Forsch. zur Gesch.
v.
Florenz, pP. 201'211.
A) Arc. Ors., P. 82; Daolil. F., p, 210 e non già Guido Otsini, come díce l'Acqua., p. A4,
742.
)
Pettocchì,
p. 133.
a) Acqua.,
p.83,
dice
rcl
1270.
[r254-12es j
Vicende matrimoniali
fu padre di Aldobrandesca, moglie
di
Margherita
t33
di un Monaldeschi di Orvieto. r) Guido di Monforte
fu fatto prigioniero da Ruggero di Loria nella battaglia navale del golfo di Napoli (23 gíu. l2S7) e condotto in Sicilia, 2) ove rimase in carcere sino alla sua morte awenuta verso Ia fine
del l2gl.
3)
Margherita intanto, mal sopportando Ia solitudine, allacciò, a quanto dice il Tommasi, a) una tresca amorosa cbn Nello de' Pannocchieschi, signore della Pietra, forse con lo scopo principale di trovare uno che le difendesse lo stato contro le trame dei conti di Santa Fiora suoi cugini. Lo nominò suo vicario generale e nel 1289 se ne stava con lui ad Orbetello, mentre la gente sua assediava Ansedonia. A conferma di ciò troviamo negli Annales (Jrbeoetani 5) che Raniero di Ugolino di Baschi, in quell'anno medesimo, con cento militi di Todi mosse contro Orbetello, ove era la contessa e, presala prigioniera, .la condusse a Baschi. Il Tommasi aggiunge che Neìlo si rifugiò nel castello di Pereta, feudo aldobrandesco, donde andò commettendo eccessi di ogni sorta, tanto che nel 1290 il papa prendeva prowedimenti contro di lui ed il 25 agosto di quell'anno accusava Margherita di tenere detto castello occulta dolosítate in ribellione alla Chiesa. Per timore che il contado aldobrandesco per opera di Nello si sottraesse all'obbedienza della Santa Sede, il papa Nicola IV, con rescritto del 2 agosto 1291, incaricava il cardinale Benedetto Caetani di assumere la procura di Margherita ed il governo del contado. 6) Dalla adultera relazione con Nello, verso I'anno 1288, nacque quel frglio Binduccio che, al dire di un anonimo laurenziano del sec. XlV, 7) si annegò in un pozzo in età di dodici anni nel maggio 1300 e di cui si legge la lapide nella chiesa di S. Francesco di Massa Marirtima. ") Ciò non ostante, dopo la morte di Guido di Monforte, Margherita, la quale probabilmente non poteva sposare lrlello, essendo questi ammogliato con la Pia de' Tolomei, paisò in seconde nozze con il conte Orsello Orsini (princ. del 1293), figlio di Rinaldo e di Ocelenda e fratello di Napoleone, cardinale di S. Adriano. b) Orsello nel prendere possesso del contado giurò fedeltà al comune di Orvieto. s) Fu nominato capitano dell'esercito mandato ad assediar Bolsena, che si arrese I'undici giugno del 1294. e) Da questo matrimonio nacque Maria, l0) che è forse quella stessa Maria Orsini, Ia quale poi sposò Nicolò Anibaldi di Pietro.rr) Orsello deve essere morto verso il principio del 1295 tD e, dal fatto che egli nel suo testamento nomini il cardinale Napoleone Orsini e Margherita tutori della figliola Maria ed esecutori testamentari, si argomenta che sino all'ultim'ora abbia vissuto in buona armonia con
la
Tresch.
con Nello della Pietra.
moglie.
Nel giugno del 129513) awenne la tragica morte di Pia de' Tolomei, moglie di Nello de' Pannocchieschi, signore della Pietra. Racconta I'anonimo commentatore fiorentino del sec. XIV che essendo ella alle finestre d'uno suo palagio sopra
a)
a una oalle ìn f;laremma,
p.
messet
HIC JACET BINDOCC|US, FTLTUS DNE MARGARITE COMITISSE PALATINE ET DM NELLI DE PETRA
(Petrccchí,
PANNOCCHIENSIUM
(Vedi commenti di Gías. Campí sulla Divina Commedia, Torino, 1891, tl, p. I l0), na non è probabile che Orsello prestasse
AN. DNI MCCC INDICTIONE
XIII DIE KALENDARUM MAI.
di òpinione che questa lapide sia il matrimonio pubt'lico tra Margherita e Nello,
t59). Sono
stata scolpita dopo
b) Lo Scarabelli a$erma che
il
matrimonio avcnne nel l29l
giuramento al comune di Oryieto due aani dopo
il
matímonio.
t) Mur. XV-V, p' 227t note del Fumi. È) Ioi, p. l6lt lllst. An., rw 1287. n Dai<]. F.,pp.2ol-?llt pts. 2242, 5) Mqr., XV-V,p. 16l, 6)Lcng1.,ta.5752,7260,7261. ?) Cf, C. RiccÍ, Ore e Ombre Danrehe, ll, p. 120. 8)Mur.,XV-Y, p. 100;Fumi, p.34\tManen.,p. 160, p.274. s)Mú.,XY-Y,p. 163; Manan.,p, lge. t0)R.g."ra, 1.p,256. t') Ioi, ll, p- 87. 12) Co:ì au:he tl Manen., p. 166. 13) Gíslí, Diaric Seo*; Acqua., p. gB; Cf. G, pignorri, Rc$. d,Arre Senee, ann, XIV, N. lV, a) Tom. Giu.,
Pia
dei Tolomei.
MARGHERITA ALDOBRANDESCA
134
E
ROFFREDO CAETANI
Lib. Il, Cap.
XVll.
Nello mandò uno suo fante ù che Ia prese pe' piede dirietro, et caccíolla a tena delle fine' r) fatto reso immortale stre in quella oa1le profondissíma, che maí dí lei non sí seppe nooella.' dalle parole di Dante. Lo stesso commentatore racconta: Dicesi che príma (Nello) aoeoa tratto Ia donna che del conte Umberto b) dí Santa Fíora: et questa per
moglie patto d'atter fu a costei' Ia morte d'aftettate cagione Ia ancorc fu Così anche gli aliri commentatori di Dante sembrano generalmente propensi ad ammettere che il movente del delitto fosse il desiderio di sposare Margherita. Certo è che, se Dante ha voluto con brevi parole ricordarlo, questo delitto deve a suo tempo aver suscitato grande impressione e molti commenti. Alle patetiche e semplici parole del Poeta ci sentiamo proclivi a considerare la Pia quale innocente Jitti*u di un'odiosa insidia. La verità, forse, fu meno semplice e piìr cruda. Secondo il mio parere, ricordando I'oscuro dramma, Dante volle alludere ai corrottissimi costumi di quel tempo Infatti per quale ragione avrebbe egli posto la Pia nel Purgatorio tra coloro che furono peccatori injno àU'ultím'ora senza fare accenno alcuno alle sue colpe? Adottando la lezione suscettibile di una interpretazione dísposata anzichè I'altra disposando, il passo del poema è príc, cioè già meno simpatica ma piìr logica: conduce alla supposizione che la Pia, inanellata (disposata m'a\ea con Ia sua gemma). moglie di un altro, ,i dirporusse con Nello della Pietra Ciò non potrà recare eccessiva meraviglia se si abbiano presenti la corruzione e le tumultuose vicende matrimoniali, per così dire, dell'aristocrazia del tempo. ") pare quindi probabile, come opina il Davidsohn, che Nello abbia veramente fatto ucciche ne risultò e data la notorietà dere la pia per sposare Margherita; ma, visto lo scandalo ciò conveniva ad entrambi' delle sue relazioni con lei, p"nrurr" bene di sposarla in segreto' Forse (Jn anno dopo Margherita sposava tanto era vivo ancora nella mente di tutti I'efierato delitto. pronipote del papa. Nel documento da noi posseduto e riguardante il Roffredo Il[ Caetani, -tra questo e la moglie, è detto che nell'atto di sposarla ignorava che divorzio che poi seguì la segretezza dell'unione vi fosse ancora in oit un legittimo marito di lei, ciò che confermerebbe E per qual ragione avrebbe con Nello, desideroso p", Jloru di celare il motivo del delitto. Nello nel 1301, se non Per rego' Bonifacio Vlll costretto Margherita a sposare pubblicamente e giustifrcare il divorzio con lare defrnitivarnente la promiscuità matrimoniale di questa donna Rolfredo
? d/
che abbiamo su di Margherita è una strana, misteriosa figura del medio evo; le notizie suo. Ma la sua vita agitata, lei sono scarse, e nessun documento c'illumina sull'intimo dell'animo la già matura età, le leggende awenturosa e battagliera, i suoi numerosi matrimoni, non ostante potente personalità, di sul suo conto ci fuino urguire che ella fosse una donna dotata di una elementi sufun grande fascino " probubilrnente anche di non comune bellezza. Non abbiamo fi"ieiti per giudicar" ," il fascino che esercitava fosse dovuto alla personalità sua dominante, o piuttosto ull" gru"i" femminili coadiuvate da quelle arti di cui Ie donne del rude duecento
u) L'anonimo laurenziano alferma che costui fose un Magliata da Piombino. (Cf. C. Ríccf, loc. cit', P. 273)'
b) Errore; sposò invece Guido di Saota Fiora' c) Ricorderò soltanto che Rofiredo lll Caetani ebbe mogli e
tre
un divorzio; auo fratello Benedetto ebbe quattro mogli
r\ AnonÍmo F.,
Cf. Imolq.
e lo zio Francesco divorziòperdiventare cardinale; Margherita Aldobrandeca ebbe cinque mariti e due divorzi e Nello de' Pannocchieschi certamente tre e forse quattro mogli ed un divorzio'
d) C. RfccÍ nella
sua citata opera,
bibliografia sulla questione della Pia'
ap.
277, dà un'arrpia
t35
Pia dei Tolomei e Margherita
F2e5-r2e6l
erano maestre al pari delle nostre contemporan€€, a) s611o è che il fatto solo che fosse erede di tanti e così vasti feudi non basta a spiegare tutte le vicende della sua vita. Nel settembre del 1296 Margherita passò in terze nozze con Rofiredo Caetani. Quali fossero i moventi di questo matrimonio è dificile dire: Roffredo era giovane ancora, mentre Ia sposa aveva certo piùr di quaranta anni, era vedova di due mariti e madre di tre figliole. Tale disparità d'età è cosa del tutto anormale nei matrimoni di quell'epoca. Che i suoi diritti sul contado aldobrandesco fossero l'unico movente di questo matrimonio, si può escludere per due ragioni: in primo luogo perchè il possesso del contado era notoriamente malsicuro e turbato, e guesto sapeva il papa già dal tempo del suo cardinalato; il comune di Orvieto e la Chiesa si contendevano tra loro il titolo di pieno dominio sul contado ed al possesso dei feudi pretendevano non solo Margherita, ma anche il conte di Santa Fiora, vari Orsini, Nello della Pietra, il Prefetto di Vico, marito di Tommasa, e Romanello Orsini marito di Anastasia. Anche I'infante Maria, figlia di Orsello, doveva un giorno rappresentare le pretese di altri Orsini. Con tanti pretendenti, come ebbe a dire un contemporaneo, la famiglia Caetani Dio oolse che pochu n'ebbe bene, In secondo luogo non è probabile che in quel tempo Bonifacio VIII pensasse di fare del contado aldobrandesco il nucleo del futuro stato dei Caetani, per la ragione che già prima di salire al pontificato, cioè dal 1283 in poi, aveva cominciato a stabilire Ie basi di un vasto possesso nella Marittima e Campagna e nel I 295 aveva ottenuto che Carlo II donasse al proprio fratello Rofiredo II la contea di Caserta ed altri feudi nel napoletano. Il progetto del papa, nei primi anni del suo pontificato, fu quello di fondare una signoria per la propria famiglia in quelle stesse provincie dalle quali questa era scaturita; e non è che piìr tardi, all'apogeo della sua potenza, che sognò di darle il dominio sovrano di tutta I'ltalia centrale. Roffredo III, detto poi il " Conticello " b) di Fondi per distinguerlo dal padre conte di Caserta, era un giovane vano, di natura impetuosa e forse poco prudente, ma coraggioso e battagliero. La prima notizia che abbiamo di lui è del 1288 quando Nicolò lV, addì 28 febbraio, gli conferì un canonicato della chiesa d'Amiens, vacante per la morte di Pietro Savelli; in seguito godette anche delle rendite delle chiese di S. Paolo e di S. Stefano di Sgurgola e di altri canonicati. l) Di lui sentiamo parlare poco sino a che il matrimonio ed il susseguente divorzio con Margherita gli attirò I'attenzione del mondo e lo fece oggetto di critiche e di pettegolezzi. Il papa Io creò rettore della Campagna e Marittima, nel quale ufficio lo troviamo
nel 1299 e nel
1300.2)
Colonnesi e gli altri denigratori di Bonifacio VIll cercarono di far circolare su di lui voci infamanti, allegando il sospetto che per ordine del papa si recasse a Fumone con alcuni
I
a) Le ricorda fra
Puol con Io strucínarc cuopre Ie suoutate (pianelle Se è femena PaIIîda,
Jacopone nelle sue invettive poetiche
quando esclama: Co(me) non
col
pensale, femene,
mandale
a
a
sto
arosclate
secolo
Perilímento
)
con
oede che faí, femene, te sai conbafare.
La tua Persona Píccola, co' Ia saì dímoslrcre. Sotto Ií Pledí meltete
u 7369.
2) DígaìL,
mîseta
far
suà laoatwa;
moslrando sua Pentuta, moú'aneme
b)
(Ct.
Dupug,
ha dannate. (lacopone, Laude Vlll)
p. 34) Il
soPrannome gli rimase anche molti
la morte del padre e così lo troviamo 822 nelle ballate senesi (Cf. Cap. XXV).
anni dopo
ch'una glgante Pate, r) Lansl.,
la
non so con que tentura; se è bruna, ímbíanca:e
Ot co'
sughero).
sccond.o sua natura,
oostto Poilamento
quant'aoen'
di
u' 3408 e aeg.
ricordato nel
Matr. di Margh.
.on
Roffredo
Caetani,
Roffredo
lll
Caetani.
t36
MARGI.IERITA ALDOBRANDESCA E ROFFREDO CAETANI
Lib.
ll,
Cap.
XVlil.
complici e di nascosto facesse morire Celestino V a mazzate in testa. Non v'è ombra di verità in questo, ma bensì piir vicino al vero è lo scandalo che I'anno del giubileo, suscitò tra i devoti pellegrini venuti dalle piir distanti parti del mondo a prosternarsi sulle tombe degli apostoli.
Il papa, corrispondendo al desiderio del nipote, volle insignirlo del cingolo militare. u) milite' La cerimonia, che doveva portare nuovo lustro alla famiglia, fu predisposta nei primi giorni d'aprile del 1300 con ogni solennità e, quantungue i documenti non Io dicano, suppongo non senza ragione che Roffredo passasse Ia vigilia in arme nella cappella di famiglia in S. Pietro. Non è forse fuori luogo ricordare qui le parole che I'incerto autore della vita di Cola di Rienzo usa, descrivendo Ia cerimonia simile che il tribuno compiè in Laterano: La sera fra notte e die salío' ne Ia cappella di Bonifazio papa ... de le cittadi olcíne a questa festa oenneîo gli abitatori, che píù? e li oeterani e le pulzelle, oedooe e marítate. Poi che ogni gente fu partíta, allora fu celebrato solenne fficío pel chíerícato, e po' I'offcio entro' nel bagno,.. Uno cìttadino dì Roma li mise la spada,. poí si addormío' ín un letto oenerabile e giacque ín quel loco ,.. La compío' tutta quella notte ... staoa come caoalíere armata ne la cappella di Papa Bonifazio con solenne compagnía ,.. Fatta Ia dímane /euossÍ... oestito di scsrlatto con r)ari, ctnta La spada ... con speroní dí auro come caoalíere; fassí gran festa e gran letizía,.. Ed ora ritorno al nostro racconto. Roffredo uscì da S. Pietro e nel quadriportico antistante, ove sopra la fonte purificatrice sorgeva la famosa pigna di bronzo, montò sul destriero e, seguito da festosa compagnia, cavalcò in lungo ed in largo per quel sacro recinto in cui, sepolti umilmente ai piedi dell'apostolo, giacévano i corpi di una infinità di fedeli, di'santi e di martiri. Furono corse le giostre e rotte lance ed il gaio' corteo, con i fiori in mano, cantando e danzando, percorse le strade di Roma. Nel processo di Avignone contro la memoria di Bonifacio VIII il cardinale Pietro Colonna testimoniò che la folla di pellegrini, i quali allora gremivano Roma, furono profondamente scandolezzati al vedere i sacri luoghi profanati da così mondane feste ; ed egli stesso (così afferma Iui !) non potè fare a meno di versare lagrime. Esclamarono alcuni che dunque erasi awerata la profezia che Ia .Chiesa di Dio sarebbe caduta in sì basso stato che i cavalieri avrebbero cavalcato entro la basilica del beato Pietro, calpestando il corpo dei santi! E Jacopone da Todi nelle sue invettive contro il papa ricorda il fatto con le parole:l)
Roffredo consacrato
La
settímana santa
Che onom staaa en planto, manda,sti tua fameglia per Roma andar aI salto, Iance andar rompenda, facendo danza e canto; Penso ch'en molto afranto Dio te degia puníre. '
.) Nella medeima occasione (lcfa Ar., 9. 90\.
signori
r) Laude LVIII.
furono fatti cavalieri anche Teobaldo Anibaldi,
il
6glio ed
i
nipoti di lui nonchè altri ccnto
Conferimento del cingolo militare
[r288.1300]
t37
Entro pet santo Pietro
e per Santa Santorc mandasti tua fameglia facendo danza e corc;
li
percgríni
tuttí
:
scandalizzati fuoro, maledicendo tuo oro
e te e tuo Considerata
la natura
caoalliere.
di Roffredo, imbaldanzito dal subitaneo accrescimento della tra i giovani baroni dell'epoca, non mi pare irragionevole arguire che il matrimonio sia awenuto più che altro per sua volontà e che forse per prepotenza egli Ia togliesse a Nello de' impetuosa
sua posizione
Pannocchieschi.
ll
la metà di setdesume da una delle accuse mosse contro Bonifacio VIII nel processo postumo, intentato contro di lui in Avignone, in cuil) si dice cÀe all'arrtoo della contessa Rubea, moglÌe del suo nepote Rofredo ín Anagni, cíò che fu dt mercoleù ne' guattro tempí dí settembre (19 sett.), Bonifacio ordinò che tutti mangiassero carne non solo nel convito nuziale, ma in tutta la città. u) Procedettero poi gli sposi per Orvieto, ed in tale occasione il comune fece vestire cinquanta giovani signori di tuniche e rnantelli, e dodici cavalieri con vesti d'armi e mantelli foderati di pelle di vajo e li mandò sino al lago di Bolsena ad Orvieto: Porta Rocca. incontrarli ed a riceverli con tutti gli onori. Il comune presentò i consueti doni augurali; si fecero grandi giostre in città e gli sposi furono poi accompagnati sino al castello di Soana, ove si rinnovarono Ie giostre e Ie feste. In segno di omaggio i rappresentanti del comtrne deposero i loro vessilli ai piedi di Roffredo e, spogliatisi delle loro vesti, gliele presentarono in ilono. 2) Già da molto tempo vertevano tra il comune d'Orvieto e il papato alcune questioni di sovranità su Acquapendente e le terre di Val del Lago, ed ultimamente gli Orvietani avevano matrimonio awenne verso
tembre, come
a) Una curiosa eco di questo episodio ritroviamo negli annali della distante Islanda, romanticamente travisato da un ignoto cronista del principio del secolo XlV, a meno che non si riferisca veramente ad un matrimonio di un principe con qualche
nipote
di
Bonifacio, quale potrebbe essere una donna
di
casa
Conti, o Da Ceccano, o Anibaldi. Ma non siamo in grado di confrontare con altre fonti la leggenda, mancando notizie precise sui matrimoni contratti dalle varie sorelle
t)
Dupus, p.
Donas.
l.
18.
Matrimonio.
si
338.
2)
di
Benedetto Caetani.
Mn, XY-Y,
p. 169.
Traduzione: l30t
- Un
cerlo polenleptíncípe gueneggíatta Leggenda
conlrc Ia slessa Roma; dí poí fece pace con papa Bonlfacío islandese. ín modo che prendesse (ín nogllQ Ia figlíola dí una sorcIla del papa (eil íl papa fece clò pet la pace ilella sanla crìstlanítà) e fu conoenulo che facesse I ptepata!Ítí delle nozze loro e permetlesse che sl mangíasse carne nèl glotno della Domenlca delle Palme; ma Notbi poí, ehe alttí segukse I'esempío suo
(Mon. Ger. Hlsl., SS., Ex Ann.
Islandicis).
r38
MARGHERITA ALDOBRANDESCA
E
ROFFREDO CAETANI
Lib. Il, Cap. XVil.
Relazioni prese le armi per far valer i loro diritti a danno della Chiesa. In seguito a ciò, e già sin orvieto' dall'ottobre del 1295, furono intavolate con il papa trattative di pace e queste si protrassero per un anno intero. Finalmente, all'epoca del matrimonio di Roffredo, si venne ad un accordo finale ed il due di ottobre del 1296 gli ambasciatori orvietani riportarono da Roma i privilegi pontifrci e la cessione di Val del Lago da parte della Chiesa. In ricordo di ciò il comune di Orvieto decretò di erigere due statue in onore di Bonifacio VIII, I'una sulla porta Postierla, che fu tolta al tempo di Nicolò V e che ora sta nel museo di Orvieto, ed un'altra, bruttissima, che sta ancora sulla porta Maggiore. ') ' Il palazzo papale fu costruito l) in segno di ammenda verso la Chiesa per la guerra di Val del Lago (apr. 1297). Non è improbabile che il papa abbia largheggiato nella sua benevolenza verso il comune di Orvieto, per ottenere in cornpenso che si consolidasse il possesso del contado aldobrandesco nelle mani del pronipote Roffredo. Quell'anno stesso I'esercito orvietano entrò nel contado ai servizi della contessa Margherita. 2) Di questa pace e cessione di Val del Lago si muove accusa contro Bonifacio VIII, tanto nella cronaca urbevetana 3) quanto nel
con
processo d'Avignone.
Tutti questi awenimenti servirono a
stringere
le relazioni del comune e del popolo d'Orvieto con il papa e la sua famiglia. Pietro II, padre di Roffredo, fu nominato podestà nel 1296 ed anchd Bonifacio VIII fu piir volte eletto podestà o capitano della città ; nel giugno del 1297 ví andò a soggior-
nare per vari mesi, durante il qual tempo canonizzò Luigi IX nella chiesa dei frati minori e diede prova ) u' / | di molta benevolenza e magnanimità verso la chiesa r Al) e la popolazione di Orvieto. a) Circa la fine di quelI'anno suo nipote Pietro comprò case, una torre ed , ;-\' altri beni urbani in Orvieto. Il 2 di ottobre del 1300 tali beni furono da lui dati alla Chiesa in compenso della concessione in feudo che il papa gli fece di \ 5) tutti i beni e diritti ecclesiastici in Ninfa. Le case Luigi d'Angiò consacrato da Bonifacio VIII. si dissero poi ., case di Santa Romana Chiesa " e Dettaglio dell'afiresco di R. De Odefisío, la torre fu chiamata .. Torre del Papa > : esse erano Napoli, chiesa dell'lncoronata. ó) situate sulla strada principale Mercanzia, ora Corso. È da notare qui che già sin dal 1283 vivevano certi .. Guaitani ,, o Caetani in Orvieto e T) che nel l29l Adinolfo di Mattia Caetani di Anagni fu podestà di Orvieto.
'aÍ,5'î
\î2 \"t
a) Illustrate in Muioz, pp. 40, 41. Il Finke (p' 250) è caduto in errore, credendo che I'erezione di queste statue sia da collegarsi con la donazione che, solo cinque anni più tardi, il papa fece del contado aldobrandesco a favore del nipote Beue' detto Caetani, fratello di Rofiredo. ll Nogaret, invertendo il motivo, nelle sue accuse contro
t) Ioí' note del 1) Manen. pp. 146, 156, 158.
r) Mur., XV-V, p. ló8, e 6) Mur..
XV-V, p.
l7l.
Fumí.
p. 170.
Bonifacio VIll aferma:..' suas ímagínes maÍrnoteas erígí fecí|, sícu! patet ín cíoílale Utbeoetana, et ín locís plu:/.Jus; et ad rcmunetandum dìctos Urbeoetanos de ereclíone slatuarum suatum supet poilas,... dedít eísilem Urbeoelanís lolam lenam VaIIIs Lacus, quae etat cametae Eccleslae, ín praeíudícíum Eccleslae',.
(Dupus, p. 331). 3) Ioí, p.
2OO,
a) Ioí,
p.2O4.
5) Regesla,
I' p, 2ll.
Vita
[r2e5-r2e8]
coniugale
t39
La felicità matrimoniale fra Roffredo e Margherita fu di breve durata; il primo sentore di ciò si ha da un istrumento del cardinale Napoleone Orsini, redatto in Orvieto in data del 13 ottobre 1297, D in cui egli dichiara che suo fratello Orsello, conte palatino, trovandosi in fin di vita, aveva fatto testamento e nominava sua moglie Margherita e lo stesso' cardinale Napoleone esecutori testamentari e tutori della figliuola (Maria). Ora, non volendo il cardinale avere nulla da fare con I'esecuzione delle disposizioni testamentarie e con Ia tutela degli eredi, vi rinunzia formalmente affinchè essi eredi possano liberamente provvedere da se stessi al recupero ed alla difesa dei propri diritti. Afferma inoltre che se qualche cosa fece per il bene
Dissapori
ramiliari'
dell'anima del defunto, operò soltanto come fratello e non come esecutore testamentario o tutore. Il motivo dell'atto stesso è da attribuire alla difficile posizione nella quale veniva a trovarsi il cardinale come tutore della propria nipote, gli interessi della quale erano in evidente conflitto con quelli di Roffredo, nipote del papa. Egli agì certamente a malincuore, perchè nell'animo fu sempre in favore di Margherita, con cui ebbe amichevoli relazioni d'affari sin da 2) vari anni prima del matrimonio di Margherita con Orsello, e fu awerso a Bonifacio VIII ed alla di lui famiglia. La rinunzia deve essere stata fatta a richiesta del papa stesso, ed è quindi un indizio che già eran sorti alcuni disaccordi con Margherita. E probabile che la contessa non tardasse ad allontanarsi dal marito e si awicinasse per maggiore sicurezza al cugino Guicio di Santa Fiora; ciò si può intravedere dal fatto che il 17 luglio 1298 entrambi venivano richiesti dal podestà di Siena di nominare un loro sindaco o procuratore per venire ad una
ai danni da loro arrecati ai senesi. 3) Tre mesi piir tardi e precisamente il 3 ottobre 1298, con bolla diretta da Rieti a Gherardo vescovo di Sabina, a) Bonifacio affermava che Roffredo aveva contratto il matrimonio con Margherita ignorando che un marito di lei fosse ancora in vita; e perciò gli ordinava; nonostante le costituzioni contrarie, di appurare la verità e, in caso affermativo, di annullare detto matrimonio sommariamente, síne strepítu et figura iudicií, concedendo a Roffredo di poter conconvenzione riguardo
4) trarre matrimonio con altra persona. È du urrodare se questo motivo dell'annullamento era veramente esistente o no: b) Bonifacio VIII fece autorità in materia di diritto al tempo suo, e tutte Ie sue azioni, in special modo quelle riguardanti la posizione futura della propria Casa, furono ispirate ad un senso squisitamente giuridico; le basi, che egli stava ponendo al dominio dei nipoti, dovevano essere durature e perciò fondate sulla perfetta legalità. A tale principio fondamentale, di cui si è già discorso a pag. 73, conformò tutta I'attività svolta durante il suo pontificato a favore dei nipoti. Così nell'annullamento di questo matrimonio dovea rendersi conto che, trattandosi di una questione di fatto, sarebbe stato pericoloso per la discendenza di Roffredo porre il divorzio su una falsità di fatto, quando dopo tutto avrebbe potuto trovare motivi piìr elastici, di cui la Chiesa ha saputo valersi tante volte in altre occasioni. Ora, che il marito ancora in vita, ricordato nella bolla, fosse Orsello Orsini anzichè Nello della Pietra, è. da escludere ; perché in qual mcdo Orsello ín extrenús canstítutus avrebbe potuto e voluto nominare Margherita sua esecutrice testamentaria e tutrice della figliola assieme
a) Gherardo Bianchi
di
Cainaco (Parma)' Promosso ear-
dinale dei SS, Apostoli da Nicolò lll (lz mar. tzza), poi da Martino IV eletto vescovo di Sabina; uomo di grandi meriti, morto a Roma il I marzo tzoz (Fínfte, p. Llll; Gams, Eubel).
') Regesta,l,p.125.
2)
h;ì, p.
61.
b) Gli accusatori del papa nel procmso di Avignone sostenil divorzio non era giustificato: Item quod cum nobllís mulìu * Comílissa nupsissel cum nepole díclí Bonlfacli, per
nero che
ausleilalem et polentíam lpsîus Bonífacíj înducla síne lusta causa díclum malrímoníum separaoít etc'
8) Atc. S. Síenc, Statuti, a. 4,
Í' 427.
a) Regeslo,
I' p.
147.
Divorzio.
140
MARGHERITA ALDOBRANDESCA E ROFFREDO CAETANI
Lib. II, Cap. XMII.
al cardinale Napoleone, quando fosse stata illegittima moglie di un altro, che aveva pretese sulla stessa eredità del contado ? Quindi Orsello deve essere morto prima del matrimonio di Roffredo con Margherita. Mentre si svolgevano le pratiche del divorzio, Roffredo aveva già intavolato trattative di matrimonio e prima che fosse trascorso un anno, sposava Giovanna dell'Aquila, la ricca ereditiera della vasta contea di Fondi Non si sa con certezza che cosa awenisse di Margherita dopo l'annullamento del matrimonio. Dalle accuse mosse contro Bonifacio in Avignone e dalle oonache urbevetane risulterebbe che fosse subito spogliata del suo contado. Pare certo invece che da principio ella ne mantenesse il possesso nominale, quantungue il godimento del contado rimanesse a Rofiredo; alla reggenza del patrimonio fu deputato il cardinale Teodorico Ranieriu) sin dal principio del 1299. Netluglio del 1299 i senesi mossero guerra contro la contessa Margherita e presero dirtrurruro Saturnia. b) " Rimane fuori dubbio che Margherita e Nello si difesero strenuamente, ragione per cui il pontefice Ii dichiarò ribelli ed il 23 ottobre 1300 ordinò a Orso, rettore della Tuscia, ed al nipote Gentile Orsini de Uúe di muovere contro di loro a mano armata e toglier loro Soana e le altre castella, pur sempre riservandosi di tutelare gli interessi di Anastasia e di Maria, figliole di Margherita, e quelli delle città di Orvieto e Siena. D ll 2 di novembre donava il contado a Bertoldo Orsini e al suddetto Gentile, suo figliolo. ") Le cronache urbevetane affermano che il contado fu confiscato come devoluto alla Chiesa, col pretesto di non avere Margherita dato esecuzione al testamento paterno ehtro i termini prefissi. Margherita non volle rimanere a lungo senza ùn mirito che Ia proteggesse, ed a ragione perchè, come erede dello stato aldobrandesco, si trovava circondata da nemici e, come donna, le era difficile difendersi. Perciò passò in quarte nozze con il suo parente in terzo grado Guido di Santa Fiora. d) Gò deve essere stato nell'anno 1299 oppure 1300, ed il
Matrimonio
con Guido di Santa Fiora.
pale (Palestrina). Vedi cenni biografici: Fumí,
b) I cronisti orvietsni (Mur., XV'V, p.
toldo et
971. pongono I'av-
d)
figli e nipote del vecchio Gentile Orsini, fratello di Nicolò IIl' e quindi cugini di Orsetlo, marito di Margherita, e del erdi'
Il
Davidsohn
è
in errore, forse per mancanza di (secondo) matrimonio con Nello a Santa Fiora. caduto
documenti, anteponendo
quello con Guido
nale Napoleone,
Lettera (2 nov. 1300) dell'abate Golfredo di Foix a re ll (Fiin&e, p. XVll) z Encara, sengot' ùos fas sabet, quel sengor papa ha pfioaila Ia eomtessa de Sancla Flot del comlal el de toda Ia lena sua et ha ho donal a mísset Bet'
Giacomo
a fals
rcgìdot,
venimento nella prima metà del 1298. c) I suddetti Orso, Bertoldo e Gentile erano rispettivamente
t
fil
mísser GenlíI
ho poxem aoer,
p,
l7l)
a
seu, e per so, gue pus leugerement capítanís del patrímonî Io dìl mlsser GenlII e mÍsser Ors son auoncle, el ha rcoocal Io catdínal (Teodorico), qut fo archabisbc de Pisa, qul neta capítant et
a) Teodorico di Orvieto, 6glio di Giovanni di Bonaspene, già arcivescovo di Pisa ed allora (t3oo) vescovo di Città Pa-
di
il
.., el cum Guídone de S. Floru ecclesie publlco lnlmlco affní suo ad secundas (sic) fllrcr'las nuplías lrunsieral (Poilh,, 25219, cil. Eít. K., p. 25i Daoíd. F., p. 383). L'on. Ciacci mi ha gentilmente comunicato il seguente albero gencalogico parziale degli Aldobrandeschi:
lldebrandino
t
1208 post. m,
Adelasia
Ildebrandino maggiore
Bonifacio t 123ó ant.
Tommaao
Guglielmo + 1254 Umberto
lldebrandino di S. Fiora
Ildebrandino minore
Ildebrandino-Roego Primo conte di Soana e Pitigliano
Primo conte
m. Francesca Baschi
Ildebrandino Novello
Bonifacio
t) Dtgotd, nn. 3906, 3909.
Umberto
Guglielmo
GUIDO
MARGHERTTA Sposano 1299 c.
lr29e-r3021
Persecuzioni
di
Margherita
l4t
ti[olo di contessa di Santa Fiora, che Ie dà I'abate Gofrredo di Foix, conferma questi fatti. o) Già al principio di gennaio del l30l I'esercito d'Orvieto dovette muovere guerra contro Margherita ed il conte di Santa Fiora. L'esercito fu guidato da Gentile e da Orso Orsini e la cavalleria fu comandata da Rinaldo de' Medici l) e furono assediati Pitigliano, Sorano e di Gttà Papale, aveva intentato processo un regolare contro di lei in seguito al quale, il giorno 9 marzo BA2, Íu dichiarata deeaduta dal possesso dei feudi concessile nella maremma toscana dal monastero di S. Anastasia Soana. Intanto ilpapa, dietro richiesta affidata a Teoderico vescovo
ad Aquas Saloías. Fer tale prowedimento si addusse come motivo che Margherita aveva alienato parte dei beni feudali e che aveva aderito al partito di Guido di Santa Fiora, pubblico nemico della Chiesa, col quale aveva contratto matrimonio, nonostante che fosse a lei congiunto in terzo grado di consanguineità. 2) La guerra durò a lungo ma, essendosi poi Margherita e Guido sottomessi agli ordini del comune (l mag. l'302), si venne ad un accordo di pace tra il' qardinale Teodorico e Guido e questi fu reintegrato nel suo stato; però in quello stesso anno morì. 3) È notevole il fatto che in una lettera del cardinale Napoleone Orsini, citata da Carlo II, a) nella quale si ricorda il divorzio di Margherita e di Nello, di cui dirò appresso, non si faccia accenno alcuno al matrimonio con Cuido di Santa Fiora. Ciò si può spiegare in quanto che tale matrimonio, per essere stato contratto tra consanguinei, era illegittimo e quindi da considerare come non awenuto. Del resto non conveniva al cardinale Napoleone di insistere su questi particolari così poco favorevoli alla sua protetta. Margherita fu trattata duramente e, per ordine del papa al cardinal Teodorico, fu relegata in prigionia nella rocca di Pian Castagnaio e dopo poco costretta a sposare (1303) Nello de' Pannocchieschi della Pietra, che fu suo quinto marito. Questo matrimonio imposto dal papa mi sembra una prova che, come dissi sopra, Nello avesse già sposato segretamente Margherita dopo I'uccisione della Pia. Bonifacio VIII volle non solo' mettere un termine ad uno scandalo, che minacciava di protrarsi senza fine, ma dare altresì una prova pubblica della legittimità del divorzio che aveva imposto tra il pronipote Roffredo e Margherita. b) I Caetani intanto stavano consolidando Ia loro posizione nell'orvietano e nel maggio l30l Pietro comprava iI castello di Giove per 40 000 fiorini d'oro da Violanta, Rodolfo e Rinalduccio de lorsîs ed il 30 del mese Rinaldo de Melíoris veniva delegato a prenderne il possesso. 5Ì Poco' dopo Io stato aldobrandesco fu concesso a Benedetto Caetani, fratello di Roffredo,') che prese il titolo di conte palatino (ant. all'apr. 1302), e venuto ad Orvieto fu investito del féudo, confera) Vedi nota precedente. L'anonimo commentatore di Dante la chiama: la donna che fu del conle Unbeilo (?) dt Santa Fíon, Anche il fatto che le cronache orvietane e le altre fonti, tra I'anno 1300 e t302, parlino tanto spesso di lei unitamente al conte Guido di Santa Fiora, e che in quel periodo ella venga pur detta contessa di Santa Fiora, confermano che ne fosse moglie iu quell'epoca. Così pure nel marzo del tgoo il consiglio di Siena stabiliva che nessun cittadino potese acquistare,
b)
Eotlem anno (lZOl), Domlnus Benedlclus, nepos pape,
comes ín comítalu llddbandesco; et comítlssa Mar garlla nuxlt domlno Nello (Mur:, XV-V, p. lV4) .,, e-! dlcta Margaila de mandato suo [Bonifatii Yllll, medíante domtno Theoderlco de UrbÍ-oelert, quem feclt Cadínalem AIIÍ|, nupsíl scílícet domlno Nbllo de Sent3, capla pftus personaliler
fitît faclus
senza speciale consenso, qualsiasi castello appartenente
ípsa domíàa Maryarela pet eundem domínum Theodeicun, de mandalo lpstus (Beneilíctí) et non ilímlssa quousque slbí et nepotíbus suís deìlíl ac c*sll totum Comìlalum suun Alilobran.
donde abbia tratto la notizia.
(Dupug, pp. 344, 433.) c) Ai 25 di aprile del 1302 il popolo di Montebuono prcta giurameato di fedeltà nelle mani di Beneilícfí de Galanl, pape nepolís, conltísín comíIalu palalîno.(Reges!a,|, p. 229).
a Margherita ed al conte Guido di Santa Fiola (Daoíd G., III, p. tlr). Il Davidsohn afierma che il matrimonio awenne in Pitigliano durante l'assedio postovi dall'esercito della Chiea, ma aon so
deschum.
r)Mut-,XY-Y,p. lT2enote;Fumt,p. 198. 2)Giotgi,hAtc.S.P., l;p.6i;Atc.Vat.,Ree.50,f.37O.b 8)Manen.,p. l7l; a)Atc.Nap.R.A.,vo]. 16l;f:128.b ó)Regertal.pp.224,225. Mur.,XY-Y,p. 173;Daoíd,F. |Y,p.382.
Matrimonio
con Nello della Pietra.
Benedetto Caet. feudatario del
cont. Aldobr.
Ostilità
di
Orvieto.
Lib. Il, Cap. XVIII.
MARGHERITA AI.DOBRANDESCA E ROFFREDO CAETANI
142
matogli poi dalla comunità. Benedetto diventò cittadino d'Orvieto e si fece una casa nel quartiere dell'Olmo, ove oggi è S. Agnese, conforme agli obblighi contrattuali dei feudatari del contado. In quest'occasione creò cavalieri dieci di casa Monaldeschi, la quale Io aveva molto aiutato a riconquistare lo stato aldobrandesco dal conte di Santa Fiorar) e a sottomettere Orbetello, Soana, Pitigliano, Marsigliano, Ansedonia, Magliano, Monteacuto ed altre terre ancora che erano state contrastate a Benedetto dai conti di Santa Fiora. Era appena cominciato I'anno 1303 che il comune fu costretto a mandare una cavalcata contro Nello della Pietra il quale, come nuovo marito di Margherita, voleva far valere i suoi 2) diritti sul contado, ed il 25 gennaio fu commesso pieno arbitrio contro di lui. Nel marzo papa Bonifacio volle completare il dominio che aveva ceduto al nipote Benedetto e dargliene sanzione giuridica, nello stesso modo come già aveva fatto un mese prima per il dominio di Pietro, padre di Benedetto, nella Marittima. Perciò il 12 di detto mese fu redatto in Laterano un istrumento in presenza di Teodorico vescovo di Gttà Papale, di Pietro vescovo di Sabina e del cardinale Francesco Caetani, ed in esso .s'inserì che, avendo Bonifacio privato Margherita propter demerita, culpas ef excessus ipsius Maryaríte et ex causis legittímis di certe terre, che ella teneva in feudo dalla Chiesa (cioè il contado aldobrandesco), nonchè di altre città, terre, beni etc. spettanti al monastero di S. Anastasia di Acqua Salvia presso Roma, e u) imPose ad essa perpetuum síIentíum, che ella teneva per eredità in enfiteusi da detto monastero, Ora sperando che detti beni potessero essere meglio governati dal nepote Benedetto e che Ie terre detenute da altri potessero per opera sua essere ricuperate, gli cedeva in enfiteusi Ie terre spettanti al detto monastero, disponendo che in caso Benedetto morisse senza discendenza, l'"nfrt"uri dovesse passare a Pietro Caetani o ai suoi eredi. Comprendevano queste terre ^le isole di Giannutri e del Giglio, il promontorio di Monte Argentario, Orbetello, il lago di Burano e tutto il territorio compreso tra il torrente Elsa e I'Albegna, da un lato, ed il mare, dall'altro, nonchè il diritto di navigare e pescare per cento miglia entro il mare. n trl giorno successivo Benedetto prestò giuramento con le seguenti parole 2 In nomíne daminí amen. Ega B"nedictus Gagtanus, comes ín Tuscía palatinus, natus magnífici et potentis oíti
d. Petri Gagtaní, domíni pape nepotís, comítís casertaní, oobis oenerabíIí patri etc. iuro etc. quoi! ab hac hora ín anthea usque ín ultímum diem tsìte mee, ín omníbus rtdelis ero etc. ,r...3) Lo stesso giorno 13 maruo 1303 il pontefice dava in feudo a Benedetto lo stato aldobran-a) desco e lo investiva formalmente con la coppa d'oro e coi vessilli dei contadi (síc al plurale). per dare maggiore autorità al nepote, I'otto aprile 1303 Bonifacio VIII confermava le suddette 5) investiture e norninava Benedetto rettore del patrimonio della Tuscia, ufficio che questi affidò al vicario Giovanni Amati suo parente. I molti benefici elargiti da Bonifacio VII al comune ed al popolo di Orvieto, la cessione delle terre di Val del Lago e le molte altre prove della sua benevolenza non avevano tuttavia
diritto di sovranità sul contado aldobrandesco, diritto che la Chiesa loro in voleva rivendicare a sè e che il comune ed il popolo di Orvieto pretendevano spettar di modo assoluto ed indiscutibile da tempi immemorabili. Fino a che il papa tenne Ie chiavi S. pietro e che il feudo trovavasi nelle mani de' suoi nipoti, la questione rimase assopita. Ma quando giunse ad Orvieto la notizia che il papa era stato fatto prigioniero dal Nogaret in Àn"gni, p"ru" che Ia potenza di lui fosse stata infranta per sempre, I'undici di settembre 1303 risolto
la
spinosa questione del
"
a) Erano stati concessi
in
enfrteusi
al padre
Aldobrandino-Rosso ed a
1) hlanen., p. 173; Mut,' XV-V' p' 174' \ Fumí' p' 396' \ At. Vat., Ree. 50, f, 370b, cit. Datîd' F'; Theìn' ll' p' 397'
lei il 20
maggto 1269.
E) Resesta'
l' p' 212'
a)
Atc. Vat., Reg. 50, f. 370.b
Benedetto, conte palatino
F302-r3051
143
in gran fretta il consiglio generale nel palazzo del popolo e fu deciso ali'unanimità che il capitano ed il podestà si movessero immediatamente con tutti gli uomini d'arme della città a prendere possesso di tutte le terre del contado. Fu decretato che incontinente si suonassero le campane a martello e che, se il capitano ed il poclestà non fosseso potuti partire a cavallo quella sera stessa, fossero partiti I'indomani summo mane. Si chiusero le botteghe e si prorogò la vendemmia; furono chiamati alle armi tutti gli uomini delle terre soggette al comune. Mentre I'esercito stava occupando le varie terre del contado, non senza gravi spese e spargimento di sangue, giunse notizia (23 sett.) che il papa aveva fatto ritorno a Roma. Il consiglio dei sette consoli e delle altre arti rimase perplesso sul da fare. Finalmente il 30 del mese fu deciso di mandare ambasciatori popolari, e non già nobili, al papa onde esprimergli qualmente iI comune e iI popolo di Oroieto si dolse della aooersità sua e della cattura deì suoi ... e che gode ed esulta del sollíeoo e della líberazíone sua. Non era che una ipocrisia ; in
si riunì
verità gli oratori dovevano tastare
il polso
del vecchio terribile papa ed
aYevano
istruzioni, nel caso che Bonifacio reclamasse le terre aldobrandesche, di dire che su tal argomento non avevano ricevuto
mandato alcuno. Le operazioni belliche nel frattempo rimasero rallentate. Il 13 di ottobre, saputa la morte del PaPa, fu ordinato di procedere di nuovo con rinnovato ardore contro Monteacuto, Pitigliano, Soana, Sorano e Pian Castagnaio che non si erano ancora sottomesse. Contro i nobili,
ai
mandati del comune, -ef-'t' qt,P=a*lo=;.* ;. -*-fu decretato di procedere per via sommaria, armata manu e con il vessillo della Orvieto; Palazzo di Bonifacio VIII o u del Papa ". giustizia. Poco dopo furono assoggettatè tutte le terre del contado, ma nel gennaio del 1304 il comune dovette mandare una cavalcata contro Nello de'Pannocchieschi, che a r) mano armata cercava di far valere i suoi diritti come marito di Margherita. L'unione tra Nello e Margherita non durò a lungo e ciò risulta dalla già citata lettera (ant. giugno 1307) del cardinale Orsini diretta al re Carlo II, in cui gli espone che Margherita era stata costretta a sposare Nello, ma che poco dopo i due si erano separati e che Nello aveva di già contratto matrimonio con un'altra. ") Questo probabilmente accadde verso la frne del 1305, perchè nel settembre di quell'anno troviamo che Margherita donava al cardinal Napoleone 2) le sue terre di Pian Castagnaio con tutte le torri, i fortilizi etc. ; donazione che è da supPorre 6ttizia e fatta soltanto per mettere questi beni di Margherita sotto la protezione del cardinale, b) suo antico cognato, il quale meglio di lei avrebbe potuto difenderli contro Ie pretese di Nello.
che resistessero
12s".) A questi fatti accenna ilgià ricordato anonimo taurenziano con le parole: PoÍ aolenne che íI PaPa senlendo come íI loro malrímonío eta falto
a) (Arc. Nap. R'
e
A., vol. 16l, f.
soilo che condízíone, síe íI pailío: dí che ilelta contessa Mat' sl pattio ilal detlo messet Nello e pet IIo monilo andò
gheríIa
con tn'slissíma oíta gran tempo, 1) Fumì, pp,
188-399,
(Ríccí,lx, cit. p. z)
Regesta,
274).
l, p, 241.
b) Questi rcl 1322, malato di corpo, dettò il suo testa' mento (pubblicato da G. MllanesÌ nel Giornale storico di archeo' logia toscana, 1859, IIl, p.3l) e I'll luglio di quell'annoera ancora in vita. Iu esso fa menzione di madonna Nera sua moglie defuna, e di madonna Bartola di Baldo di Conte della Tosa, sua ultima moglie (Acqua.,
p. 82i Daoíd. F., p,
177).
Margherita
divcrzia da Nello.
MARCHERITA AT.DOBRANDESCA E ROFFREDO CAETANI
t44
Lib. ll, Cap. XVllt.
Deve essere verso quest'epoca, e appunto dopo il 1305, che appare la curiosa figura di una falsa Margherita Aldobrandesca che andava girando per Grosseto ed altre terre della Marittima (síc, la parola è intesa a significare Ia rnarina toscana), probabilmente con I'obiettivo di far aderire Ie popolazioni a Nello della Pietra. Il cardinale Napoleone Orsini, che allora era legato in Toscana (1306-S), scrisse alle comunità awisandotre dell'inganno e affermando che la vera Margherita, la carissina cognata noslra, dirnorava a Roma in casa del cardinale con le figliole Maria Orsini ed Anastasia di Monforte; e dava ordine di arrestare I'awentur) riera. Questo curioso documento della biblioteca nazionale di Torino è dato dal Davidsohn. Dopo Ia morte di Bonifacio VIII, il cardinale divenne sempre piir palesemente protettore di Margherita, la quale andò appoggiandosi alla famiglia degli Orsini; ciò che del resto è ben naturale, ricordando che la prima figliola di Monforte aveva q)osato Romano Orsini e che per il suo secondo matrimonio con Orsello si era imparentata con il cardinale Napoleone e gli
altri Orsini. Con il l3l3 si arrestano le notizie che ho potuto raccogliere su Margherita Aldobrandesca; molto invece potrei dire ancora del cardinale .Napoleone, perchè numerose sue carte, lasciate iri eredità con il castello di ,Màrino al pronipote Giordano, nel 1384 passarono in possesso di Onorato I Caetani e tuttora si'conservano nel nostro archivio. Ne parlerò in altra occasione ; per ora ricorderò soltanto che il cardinale fu un potente ed accanito awersario del partito bonifaciano e dei Caetani i quali, circondati ed attaccati da ogni lato, per molti anni si difesero vittoriosamente con le armi contro i nemici, che cercavano di distruggere il dominio creato loro da Banifacio tl
Daoii!-
F., fY, p.
185.
VllL \
Rescta,ll' p. 87.
a \)
o Autografo del card. Napoleone Orsini. 2)
N
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è L)
CRprrolo XIX.
L^4, TORRE DELLE
MILIZIE.
(r r98-r348)
La torre delle Milizie è uno dei monumenti piir cospicui della Roma medioevale; la sua gigantesca mole si eleva nella parte alta del colle Quirinale, sovrastando maestosa a tutti gli altri monumenti della Città Eterna. L'edifizio è della fine del secolo XII o del principio del XIII, e la sua struttura, a mattoni sottili e serrati, è caratteristica delle fortificazioni di quell'epoca; si riscontra nelle torri dell'Anguillara, in quella dei Capocci ed in special modo nella vicina torre dei Conti, di cui oggigiorno non rimane che un misero e deforme avanzo, ma che a suo tempo superava di molto per mole e per altezza la stessa tone delle Milizie, nonostante che questa in origine fosse di un terzo Stemma del cardinale. piir alta di quanto appare ora. Pietro Stefaneschi. Il pellegrino che si avvicinava alla Città Eterna, per qualunque Roma, S. M. in Trastevere. parte della Campagna transitasse, vedeva le due torri principali profilarsi verso il cielo e perciò Ie troviamo raffigurate in quasi tutte le più antiche piante e vedute di Roma.') l) Quella delle Mitizie nel l27l è ricordata per Ia prima volta col suo nome, che probabilmente trasse da un antico monumento ricordato h Mirabilta, detto Milicíae Tiberionae, che fu forse una stazione militare al tempo dell'impero ; ') piì, tardi si chiamò anche * Torre di Nerone ,r, ereditando I'appellativo da un altro fortilizio che sorgeva sul Quirinale, detto pure .. Torre Mesa ,r, abbattuto nel 1574 per dare posto all'antieo palazzo pontificio, ora residenza dei nostri sovrani. Una leggenda, cara al popolo, raccontava che da essa Nerone, in lieta estasi, avesse assistito all'immane incendio che distrusse gran parte di Roma nel luglio 64. Scomparsa la Torre Mesa,' la leggenda, per non morire, si awinghiò alla torre delle Milizie e tutt'ora dura ")
L'aspetto imponette delle due torrièbene rappr,esentato
nel disegno gui riprodotto; essoprobabilmente è delsec. Xw e di scuola olandese, Fa parte della collezione del prof. Thomas Ashbn it quale mi ha cortesemente concesco di pubblicarlo' Un'altra r) Mtttatelli, Y, n. 127, ét. Domus,
I,
19.
Sabatíní,
p. 25.
2)
buoaa veduta delle Milizie, evidentemente veritieia, è data nel panorama disegnato da Anton Van den Wyngaerde (tlOo) pubbl. dall'Àhbyz Melanges il'Arch. et d'Hîst. de I'Ec. de Fraace, XXVI, tav. IV-WL
Cl. Grcg., V, p. 638.
LA TORRE DELLE MILIZIE
t46
Lib. II, Cap. XIX.
di un fortilizio o quartiere fortificato, composto di vari nel cui centro sorgeva isolata I'altissima torre che ad un cortile, fabbricati raggruppati intorno ne costituiva il maschio; simile disposizione si riscontra a Ninfa, a Coucy ed in altre rocche del medioevo. Per una ripida scala scoperta o, forse piìr probabilmente per uno stretto ponte volante, si ascendeva all'unica porticina che si apre a parecchi metri dal suolo. La base è formata da un solido monolite di muratura che da un lato si appoggia sopra Ie fondamenta di qualche edifizio romano il quale, non cedendo sotto il peso della mole, ha fatto inclinare Ia torre da un lato. La base monolitica è attraversata verticalmente da un pozzo quadrato il quale forse comunicava con una cisterna ed ora sbocca in un vano che, in epoca piir tarda, fu scavato entro il massiccio della muratura. Tale struttura monolitica fu usata per distribuire il peso enorme dell'edifizio sul terreno poco compatto e lo proteggeva dal pericolo di essere minato con I'ariete o scalzato da sotto le fondamenta. Anticamente I'altissima torre era a tre piani, formati da tre rastremazioni esterne della cortina, il paramento interno rimanendo
La Turrís Milítiarum
faceva parte
continuo.
corpo intermedio è costruito a costoloni per diminuire il peso dell'edifizio ed ottenere maggiore rigidità; la merlatura che lo coronava era posta in aggetto e poggiava sopra a mensole di marmo di cui alcune ancora esistono. Tra le mensole v'erano senza dubbio i' machecoulis. La terza ed estrema parte fu forse elevata in secondo tempo. La forma altissima delle torri di questo tipo, che si vedono in quasi tutte le città d'ltalia, non era una semplice manifestazione di orgoglio ed un privilegio nobiliare, ma mirava in quei tempi in cui non esistevano le armi da fuoco, a sollevare i difensori fuori della portata de' dardi nemici e a dare alle pietre che si lanciavano dalla cima una velocità tale da farle diventare proiettili mortali e da sfotrdare qualsiasi copertura o opera d'approccio. Perciò torri simili erano reputate inespugnabili e la storia ci mostra come Castel Sant'Angelo e tante altre Íofiezze abbiano potuto resistere per tempo illimitato, quantunque difese solo da un pugno d'uomini. La costruzione si può far risalire quasi certamente ai tempi di Innocenzo III (1198'1216) quando in Roma vi fu, per così dirè, una fioritura di opere di questo tipo; ogni barone era asserragliato in una torre ed ambiva che Ia propria fosse piir alta di quella del vicino in modo da potergli gettare le pietre in testa. Così fece Pandolfo de Subuxa, senatore di Roma, pr"rro la casa propria sul monte di BaIIea Neapolis (odierna Magnanapoli) per impedire che Giovanni Capocci procedesse nella costruzione di una certa sua torre, ed t figli di Píetro t) Questa Alessio, fauiorf di Pandolfo, sopîa aI predetto monte eCí.ficarono una eccelsa torre. ultima, di cui fa menzione Ia cronaca consultata dal Baluzio, era probabilmente Ia torre delle Milizie. Alla fine del secolo XIII era in possesso della famiglia Anibaldi e tanta ne era I'importanza che i baroni portavano il titolo di domínus \Iilítîarum o de Militiís. Pietro Caetani, all'apogeo della sua potenza e come primo barone della città, sul principio del l30l volle acquistare la torre da Riccardo Anibaldi al fine di crearsi in Roma una dimora
ll
Origine.
che fosse ad un tempo palazzo e rocca inespugnabile. Possedeva altresì il vantaggio di trovarsi nella immediata vicinanza del quartiere dei Colonnesi ed in posizione dominante su di esso: ma è erroneo supporre, come si è scritto talvolta, che la torre dovesse servire a vigilare e tenere in soggezione questi nemici del papa, perchè ai primi del l30l la potenza dei Colonna era stata già infranta e le case, le torri e i palazzi loro in Roma erano stati completamente distrutti da
') Ivlut., lll. c.
566.
Acquisto e ricostruzione
[ne8-r30rl
147
Bonifacio VIII, tanto che per vari anni dopo la sua morte rimasero inabitabili. u) Piuttosto credo che il possesso della rocca delle Milizie mirasse ad impedire il risorgere del quartiere dei Colonnesi presso SS. Apostoli. Le premure di Bonifacio VIII indussero gli Anibaldi a vendere la torre a Pietro Caetani, a cui negli anni precedenti avevano ceduto altresì quasi ogni loro possesso nella Marittima. Dopo la morte del pontefice pretesero di essere stati spinti a tali vendite contro la propria volontà e cercarono di riprendere i loro antichi possessi valendosi anche delle armi, ma fallirono nell'intento perchè gli acquisti erano stati legalmente eseguiti e pagati a contanti. L'istrumento di compera si è forse perduto; troviamo però che il 13 aprile del l30l Pietro, già possessore della torre, comprava per 1000 fiorini d'oro da frate Simone de Tarquínío, inquisitore degli scismatici ed eretici, certe case, torri, edifizi, casali, piazze ed orti ed altre aree che furono già di Federicozzo di Giacomo di Federico, situati nella regione Bir)eratíca,") in contrada delle Milizie, presso la via Srlr'cis, presso Ia torre stessa e lungo una strada che da S. Basilio andava verso le Milizie, dirimpetto alla Chiesa di S. Salvatore de Dioitíís. Questo Frederigotíus era stato condannato, ed i suoi beni vennero confiscati, per aver preso le parti dei Colonnesi scismatici e ribelli alla Chiesa. r) ll fortilizio a quei tempi era formato probabilmente dalla torre e da fabbricati di considerevole mole. Il cronista della Martini Continuafro parla del palatio Mililíarum ed i documenti dell'epoca accennano ad una sala di ricevimento e ad un loggiato. 2) ' Pietro con I'acquisto di cui è detto sopra, e probabilmente con altri di cui non abbiamo memoria, si assicurò tutti i terreni adiacenti alla torre perchè aveva intenzione di allargare la cinta del fortilizio, rimodernare i fabbricati, costruirsi un piùr fastoso palazzo e crearsi bna rocca veramente inespugnabile. È probabil. che costruisse, o ricostruisse, il terzo piano della torre, perchè il citato cronista afferma che iI papa (sic) ríparò iI palazzo delle Milízíe in Roma con íngente spesa ed íoí costrui un'eleoata torre. D Mise mano al lavoro senza economia, come ricorda I'Anonimo Fiorentino: a) ... [Bonifacio VIII] comperò íI castello della Mílízía di Roma, chefu íI palazzo dí Trajano ímperadore; et quella uebbe et fece edíficare con grande díspendío. Quando Pietro acquistò le Milizie, la grande torre era certamente in pessimo stato e la parte superiore doveva essere quasi diruta; posta in località elevata ed inalzandosi sopra tutti gli altri edifizi della regione, la torre costituiva un vero parafulmine ed ogni anno doveva subire I'azione dilaniante di quel che il popolo chiamava il " tronito " ; ciò si vede dalle numerose riparazioni e dai lunghi rappezzi che solcano le facciate della torre. La sua stabilità rimase tanto menomata che fu necessario consolidare I'edifizio, rivestendo I'interno della torre con una fodera di muro da 60 a 80 cm. di spessore che forma, per così dire, una seconda torre inserita nell'anima della prima. Tale lavoro, eseguito con blocchetti di tufo caratteristici dell'epoca e del tutto simili a quelli usati per la costruzione del palazzo dei Caetani a Capo di Bove, deve attribuirsi, a mio parere, al marchese Pietro.
a) ,.., Ilem ín pallacÌís, tuníbus et domíbus de Urbe, oi' ilelícet dqmus monlís Acceploií, domus de Fomílaiís et alie lunes et domus quam plures. Quq pet tírcmpnídem ípsîus Boní'
habítan! Columpnenses ín domìbus alíenís
facií trailíta fuetunl totall exlermínío et ruíne, et usque
all'attuale Magnanapoli.
(posteriore
')
al iloo)
Regesla., 1.,
hodìe
(CÍ.
Sabalíní,
p.
39).
uíne ilurant nec rehedíficata sun|. Immo
p.
221.
2) Theín., l, p.
384-
3) Mon.
ín Urte (Accuse
del Card. Pietro Colonns, Eil. K., p. 216, n. 7). a) Detta an'che Híberc!íca o Líberatíca, corrispondente
Get H6r.' SS.' XXIV' p. 261.
a)
I' p. 424.
Ricostruzione,
LA TORRE DELLE MILIZIE
Lib. II, Cap. XIX.
Questi, per condurre I'opera a buon termine, non si fece scrupolo di ricevere aiuto dagli amici. A tale proposito, Gerau di Albalato, arcidiacono di Muruedro, scrivendo al re Giacomo II di Spagna, racconta che verso il febbraio del 1302 il cardinale Gherardo Bianchi di Parma, vescovo di Sabina, i cardinali Pietro Valeriano Duraguerra, Francesco Caetani, Guglielmo de' I-onghi da Bergamo e Riccardo Petroni da Siena, si recarono a visitare il marchese Pietro alle Milizie. Nell'ispezionare i lavori in corso, il cardinale Bianchi ebbe a dirgli: " BeIIo è questo laooro e glorioso! > Al che rispose il marchese: " Così è, signore; ma non ancoîa pe{etto né possíamo ultimarlo perchè è molto sunluoso n. Il cardinale soggiunss; .. E noí per íI completamento di quest'opera gloríosa díamo a ooí in sussidío le case e tutti í possedímenti che furono di Campana ín Viterbo ed anche tutte Ie alfue terre che comprammo ed abbiamo neí confini dt Viterbo ,. Pietro prese Ia palla al balzo ed immediatamente fu redatto I'atto di donazione in presenza di detti cardinali: ciò fu oggetto di molti pettegolezzi nella curia e la gente rideva del cardinale Bianchi il quale, si diceva, non aveva potuto fare a meno di dimostrare una generosità che era venuta a costargli oltre 12 000 fiorini d'oro. o) A lavori compiuti, la torre delle Milizie divenne una delle più formidabili fortezze di Roma, ed esserne signore significava avere una posizione dominante paragonabile a quella che ebbero nel secolo seguente i castellani di castel Sant'Angelo, dopo che il castello era stato ridotto a forma piir perfetta. Pietro Caetani, seguendo I'esempio di Riccardo Anibaldi, prese il titolo di dominus Militiarum e, dopo la sua morte, i figli Roffredo e Benedetto continuarono a fregiarsi di tale denominazione anche quando la rocca non era piùr nelle loro mani. Poco sappiamo delle I Caetani perdono vicende di questa negli anni successivi alla morte di Bonifacio VIII. Pietro ed i frgli si affretil possesso. tarono a trasferire il diritto di proprietà al cardinale Francesco Caetani, nella speranza che la rocca potesse essere meglio guardata e mantenuta da un principe della Chiesa che non dai nipoti d'un defunto papa, contro cui si accanivano tanti nemici. Il Gregorovius afferma che nel l3l0 fosse in mano al popolo di Roma; ciò m'induce a credere che I'avesse occupata verso I'aprile del 1305, quando il popolo stesso, partigiano dei Colonnesi, si pronunziò contro Ia memoria di Bonifacio VIII e contro i nipoti, decretando arbitrariamente che i Caetani Pagassero 100 000 fiorini d'oro ai Colonnesi per i danni arrecati loro, e che fossero restituite a questi tutte le r) Non sembra che le disposizioni del decreto siano state castella tolte al tempo di Bonifacio. eseguite, tuttavia sappiamo che il popolo romano mosse contro Ninfa e la tolse a Pietro Caetani; perciò è piìr che probabile che anche la torre delle Milizie e la Îafiezza di Capo di Bove passassero nelle sue mani subito dopo l'emanazione del decreto stesso. Con tutto ciò i Caetani non rinunciarono al loro diritto sulla torre e troviamo che ai 18 di novembre 1308 Carlo II chiamava tuttora Rofiredo e Benedetto Caetani Mílitíarum domíni.z) Calata di Tre anni piir tardi, quando Enrico VII si preparava a venire a Roma per farsi incoronare Enrico Vll. imperatore, mandò Lodovico di Savoia come senatore a prendere possesso della città, e questi si fece consegnare dal popolo romano Ia torre delle Milizie ed il Campidoglio' Richiamato poi a Brescia dal re, nell'ottobre del l3ll, affidò la Íortezza a Riccardo Orsini ed a Giovanni Anibaldi. Quest'ultimo si affrettò a consegnare la torre delle Milizie al proprio fratello Anibaldo, il quale mostrò ben poca inclinazione a restituirla a Lodovico, quando questi fece ritorno a Roma nel febbraio del 1312. Le cose rimasero così frnchè arrivò Enrico VII per I'incoronazione. a) (Fínfte, p. Utl) Mi pare probabile che questa donazione sia stata fatta per entrare nelle grazie del poatefice' il quale rimproverava al cardinale Bianchi d'aver Preso tanto a cuore t) Dupuu., p.2782 Moht. K., p. 172.
2)
Federico di Sicilia, mentre Bonifacio allesliva cortro questo la spedizione di Carlo di Valois.
le parti di
Atc, Nap., R. A., vol. l7B' f. 3lb.
lr302.l32rl
Roma, straziata dalle fazioni,
Incerto possesso si era divisa in due grandi
149
campi trincerati ed
andare a S. Pietro trovò la strada sbarrata dagli Orsini e dal partito guelfo.
Si
il
re
per
svolsero sanguinose
battaglie per le vie; l) con la forza e con l'astuzia il re riuscì a prendere possesso di vari fortilizi ed anche Anibaldo Anibaldi si trovò costretto a consegnargli la torre delle Milizie, dove il re andò ad abitare verso la fine di maggio. Era la più comodd e sicura dimora della parte di Roma occupata dal campo imperiale. Tra le spese dell'imperatore troviamo annotate le seguenti: 2i Maí; a ceus qui uarderent Ie Milisse paî une nuit, ancoís que Ii rois í úenist, par le hooe maístrel I I floríns; e il 25 del detto mese : Item pour catpentages fais es cambres Ie îog o. S. Iehan de Lateran et a Ie IVIíIísse.z) La proprietà delle Milizie, come si è detto prima, era intestata al cardinale Francesco Caetani; il 6 di agosto l3l2 Enrico VII si dichiarava pronto a restituire ai cardinali, per le mani di Arnaldo Fouquères, vescovo di Sabina e legato pontificio, tutte Ie fortezze da lui occupate, inclusa la torre delle Milizie, cioè Ie case o palazzí delle Milizie che abbíamo saputo appartengono dt dtritto aI sígnor Francesco Gaietano cardínale, anzi che sono dí sua proprìetà. Il legato si ricusò di ricevere, ma Luca Fieschi, cardinale di S. Maria in Via Lata, rispose di voler accettare le dette Milizie per restituirle al cardinale Francesco.3) È impossibile dire se tale restituzione avvenisse subito di fatto. È probabile però che non tardasse di molto perchè la posizione dei Caetani in Roma si andava sempre piìr rafforzando. Nel l3l4 Roffredo, il quale era diventato uno dei principali condottieri di re Roberto, fu a) e credo che sia in quest'epoca mandato a presidiare Roma con grande comitiva di uomini appunto che egli ed il fratello Benedetto rivestissero la carica di rettori della Campagna e Marittima. Vi è anche ragione di credere che non molto tempo dopo fosse nominato vicario del re o vicesenatore di Roma. La eminente posizione dei Caetani permise loro certamente di riprendere possesso della torre delle Milizie, ma di ciò non abbiamo prova documentata. Tre anni pih tardi, morto il cardinale Francesco, i tre fratelli Roffredo, Benedetto e Francesco procedettero alla divisione dei loro beni e le Milizie furono assegnate a Benedetto e a Francesco in parti uguali. 5) È probabile che i Caetani godessero per qualche anno il pacifico possesso della rocca, ma nel l3l9le ostilità con i Colonna si ravvivarono e a poco valse la tregua di due anni, imposta dal pontefice alle due famiglie nemiche. I Caetani non si sentivano sicuri da qualche improvviso colpo di mano e perciò, per prudenza, vollero metter I'importante fortilizio sotto la protezione di Carlo, duca di Calabria; a tal fine e per dare veste giuridica al possesso del sovrano, ricorsero ad una finta permuta per cui cedevano a lui la torre in compenso di certi castelli nel Regno, come risulta dalla lettera sovrana del 22 febbraio 1321, 6 del seguente tenore: Carlo etc. ... ai nobilí uomíni ,.. rsícari ín Roma, paternì o nostrí, presentí e futurí, Volendo aoere Ie Miltzte dì Roma che, per un certo motioo ragíoneoole íl quale ne ha percuaso, abbíamo decretato che síano tenute per noí, abbíamo fatto íniziare hattatíoe dí permuta delle Mtlizie sfesse con i nobili uomíni í conti palatíní e di Fondí, consígliefi, familiari e fedeli paterni e nostrì, in modo che, datí loro in cambio certi castellí e benì nel nostro Regno, equíoalenti a quelle, Ia medesima permuta ottenga oigore di stsbtlità. Per iI che faccíamo appello aIIa oostra deoozíone e oì esoiliamo con attenzione non pertanto ordínando che nell'occupazíone pacifica di dette Mtlizte e delle pertínenze anche delle medesime non permettíate durante iI tempo del oostro uffcío successioamente che apportino alcuna noúità aIIe cose íoi stabilíte e che \ Cf . Mur., lX, c. 885, Relstto de ìtinerc etc. Nicolai ep. botrontinensis. {) Cf. Cap. XXV. ó) Resesla, ll, pp. 16'17. ll, p. 45E.
a)
2) Gns,,Yl,pp.33'52; RendagesGîlc, p.316. Nsp, R. 1., vol. 221, t, 154b, cit, Boùatd, p. 164.
Atc.
\
Th.ín.,
I caetani reintegrati'
LA TORRE DELLE MILIZIE
t50
Lib.
ll,
Cap. XlX.
saranno stabíIite da noi; che anzí alla manutenzíone e difesa del possesso o quasi delle Miltzie stesse dedíchiate, se ed in quanto sarà espediente, Ie opportune cure del oostro uffcio ín guisa che per mezzo del oostro ministero sia ímpedíta ogní molr-stia o íngiuría che potrebbe ínsinuarsi. Che si trattasse di un atto fittizio è reso evidente dal fatto che in realtà i conti di Fondi
indicati nella lettera non avevano alcun condominio nella rocca e che I'anno seguente Benedetto disponeva liberamente della sua metà. Dalle parole " dífesa del possesso o quasí " mi sembra 'poter arguire che il duca Carlo delegasse gli stessi Caetani alla custodia del fortilizio. Trapassi eredirari Comunque sia, I'anno seguente Benedetto, sentendosi vicino alla morte, il 22 agosto dispo. v..dite. neva per testamento che ogni suo diritto sulle Milizie passasse al figlio primogenito Bonifacio, u) il quale nel suo testamento del 20 maggio 1328 stabiliva che si ponesse una ipoteca di 1500 fiorini sulla torre, come meglio diremo apprmsg. l) L'altra metà appartenéva al tesoriere Francesco Caetani; costui verso il 1329 si inimicò con Roffredo e con i figli di Benedetto, e ritengo che per siffatto motivo fosse spinto a vendere la propria metà della torre a Paolo Conti preposto della chiesa di N*o*, da cui passò per eredità ad lldebrandino Conti, vescovo di Padova, ed a suo nipote Paolo Conti milite. Ora I'undici settembre 1332 in Avignone, Ildebrandino e Paolo Conti vendettero la metà, che ancora possedevano indivisa con gli eredi di Bonifacio Caetani palatino ( f 1329 fine), al cardinale Napoleone Orsini per il pÍezzo di 4000 fiorini d'oro fiorentini. Non sembra essere stato incontrastato il diritto dei Conti, giacchè il cardinale richiese una fideiussione contro evizione, stabilendo inoltre che la metà del ptezzo si sarebbe pagata, parte in terre e parte in denaro, un anno dopo che gli fosse stato trasferito il possesso reale delle Milizie. 2) Del prezzo convenuto il cardinale pagò 400 frorini, ma avendo potuto poi accertare che le Milizie, a lui vendute come esistenti in buono stato, erano invece quasi totalmente rovinate, b) nel 1334 diede ordine di ritirare la somma versata.
.
Lo stato di rovina qui accennato non deve recar meraviglia se si considera che la torre quasi ogni anno rimaneva colpita e squarciata dal fulmine e che le case, il palazzo ed i fortilizi certamente ebbero molto a soffrire dalle tumultuose vicende di quegli anni. È probabile che, piir tardi, la parte superiore della torre, fortemente danneggiata e mal riparata, cadesse per effetto del violento terremoto del setternbre 1348. In che anno cessasse il possesso dei Caetani palatini sull'altra metà delle Milizie non mi è dato di fissare con esattezza, ma opino che uscisse dalle mani dei turbolenti nipoti del conte Benedetto pochi anni prima del tribunato di Cola di Rienzo. u) Item .lagamus ,.. Bonlfacío anle sorlem omnía jura nosba comitalus AlíbrandÍsí et MíIícîas UrbÍs.(Regesta, Il, p. 3l).
b) Cum carìlínalfs (Neapoleo) prídem emedt meilíetalem MílÍcíarum Uùís a domíno Paulo ile Comlle, àue díeebanlur esse ín bono slalu el poslmoilum sí! comperlum quoil sunt fere lotalíter dissí-
')
Cf. Cap.
XXXlll.
')
Regesta,
ll, p.
77.
.,.
oult guod MathucÌus fiileìussores compellat dum quadtÍngentos florenos el quod etecutíonem non pate
ail rcslíluen' diîerct sícul
carum habel gratíam cardínalr's, Memoriale e informazioni al no' bile Matteuccio u de Poilío Tene Arnulforum u, vicario del car' dinale Napoleone Orsini in rcmanís pailíbuz (Regesta' ll, p.9l).
Caprrolo XX.
CAPO DI BOVE (TOMBA Dr CECTLTA METELLA). (sec. XIII-1312.)
il
terzo miglio della vja Appia Antica sorge il bellissimo sepolcro di Metella, figlia di Quinto Cecilio Metello Cretico e moglie di Licinio Crasso. l) A questa nobildonna, completamente ignota alla storia, dobbiamo essere riconoscenti per averci lasciato il più bel monumento sepolcrale nei dintorni di Roma. Esso s'innalza su un'altura, dominando mae-
REsso
stoso sulla'vasta e solitaria campagna; haforma
di torre rotonda, tutta rivestita di travertino ; di 20 metri di diametro, è solidamente piantato Stemma Caetani sulla rocca di Capo di Bove. su di un basamento monolitico di calcestruzzo, di forma quadrata, anche esso a suo tempo alla muratura. ") legati rivestito di enormi massi di travertino intimamente Lungo il fregio superiore ricorre un ornato di festoni e di teste di bue detti < bucranii ,', . da cui nel basso medio evo il monumento e la tenuta vicina presero il nome di Caput boois. Da una carta dell'archivio di Subiaco dell'anno 850, riprodotta dal Galletti, 2) risulta che il monumento spettava alla Chiesa e che portasse il nome di Tacanetricapíta, che il Tomassetti vorrebbe derivare da cata-cretifcíl-capíla. Al tempo dei romani sorgevano in quella vicinanza la villa del ricchissimo Attico ed un 3) Il Tomassetti a) è del parere che centro suburbano, rimasto famoso sotto il nome di Triopio. durante tutto il medio evo ivi continuasse a frorire un borgo o pdgus e di fatti nel secolo XIII, in vicinanza del sepolcro, sorgevano ancora alcuni casolari e cascine nonchè una o forse due per la demolizione della parle superiore del monumento a fine di ritrarne i blocchi di travertiuo i ma per fortuna tanti furono i reclami,
Querti massi furono rimossi con grande cura in epoca al l3oz, e ne abbiamo la prova nel fatto che le fondamenta dell'epoca bonifaciana riposano direttamente sul calcestruzzo già denudato del suo rivestimento in travertino. Nel tlag Go. Batt. Mattini ed altri ottennero da Sisto V il beneplacito a)
anteriore
+)
t) Cl.
ll,
Tomassetti,
pp. 7l-7?,
ll, pp. 60-70.
2) Primicsio della
tra cui spero debbano annoverarsi aache quelli della farnfulia Caetani, che venne inpedita I'eseclzione del barbaro proposito (Mor.,
DOV, S.
Sede,
p.
p. l4l;
18ó.
Lancíanì, Boll. Arch. Comun,, 1s94, 3)
Cf. E.
Coetoní-Lotatellì, Scritti Vari,
p. l5l). p.
125.
CAPO DI BOVE
152
Lib.
ll,
Cap. XX.
piccole chiese. È naturale che una torre di tanta mole, posta sul ciglio della stessa via Appia, venisse usata come fortificazione nelle continue lotte tra I'impero ed il papato; infatti alla base delle mura adiacenti al sepolcro si scorgono avanzi di costruzioni dell'Xl secolo che possono attribuirsi ai conti tusculani. Tali fortificazioni, più o meno rovinate, si conservarono sino alla fine del secolo XIII ed avevano presso a poco la forma ed il tracciato di quelle che si vedono attualmente.
in uno degli istrumenti d'acquisto (19 lug. 1302), di cui parleremo parole z Ia fortificazíone che sí chíama Capo dí Booe e I'altra torre che appresso, si chiama Capo di Vacca con la cín:la di muro, í cassarí e i fortilizi loro; í quali benì tutti s,ono posti fuori Roma pîesso iI monastero di S. Sebastiano aIIe Catacombe. È supponibile che tali fortilizi e le tenute di u Torre Perrone ,' e di Capo di Bove, ad essi unite, passarono dai conti tusculani ai Gescenzi e da costoro ai loro discendenti, i Del Giudice. Fatto sta che nell'anno santo 1300 il sepolcro e la tenuta di Capo di Bove appartenevano in varie quote ai figli e nipoti di Pietro Gabelluti, e quella di Torre Perrone Esse v'engono ricordate
r) con le
Acquisto.
ad alcuni membri della famiglia Del Giudice; qualche interesse spettava altresì a Luca di Govanni Savelli, forse in seguito ad un nnatrimonio con una Gabelluti. Nelle pagine precedenti abbiamo visto con quanto ardore e con quanta magnificenza il marchese Pietro Caetani, nei primi mesi del 1302, ricostruisse il fortilizio intorno alla torre delle Milizie e come si adoperasse ad impiantare entro e fuori di Roma le basi strategiche per quel potere sovrano che Bonifacio VIII gli voleva conferire e per cui questi stava facendo segreti preparativi, seguendo I'impulso d'una sempre crescente e vieppiir sfrenata ambizione, come u*piu*"nt" ,i àir;, nel tajtolo successivo. È naturale quindi che Pietro prowedesse a rehdersi padrone anche della formidabile torre di Cecilia Metella e a fortificarsi in simile località, Ia quale ad un tempo gli dava il dominio della via Appia e gli poteva servire come villa, come base militare alle porte di Roma, nonchè come stazione intermedia sulla strada che conduceva alle propria castella nella Marittima. Il cardinale Francesco, suo fratello, ebbe I'incarico di procedere all'acquisto del fortilizio e delle tenute adiacenti, ed il marchese Pietro, a giudicare da quanto fece a Ninfa, avra messo mano alla nuova impresa senza attendere che il fratello regolasse gli acquisti o che il papa gli desse speciale licenza di eseguire le fortificazioni progettate. Il cardinale si mise all'opera metodicamente, seguendo i precetti giuridici dettati dallo zio. Si fece preparare la bolla pontifrcia che confermava la vendita di una terza parte dei casali di Capo di Bove e di Capo di Vacca da parte di Sabo del fu Martino Gabelluti a favore di Leone del fu Giovanni del Giudice ed al figliolo di lui Govanni. Indi, il 14 marzo del 1302, invitò gli interessati a presentarsi in casa di Pietro Duraguerra, cardinale di S. Maria Nuova, presso la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, in presenza del cardinale stesso e di Riccardo di Teobaldo Anibaldi, di Orso di Napoleone Orsini, di Amatone di Giovanni Amatori, suoi parenti, di Simone Gherardi degli Spini di firenze, banchieri del papa, ") e di mohi altri testimoni. A notaio fu scelto il fido Nicolò detto Novello di Vico, che di solito rogava gli atti di compra-vendita a favore dei Caetani. Come si vede, tutto era stato disposto per agire in famiglia. Eseguita la vendita Gabelluti-Del Giudice, necessaria per legalizzare e rendere validi gli atti successivi, a) La asserito
presenza del banchiere Spini conferma quanto ho prima, che gli acquisti delle proprietà per parte dei
t) Atc. Vat', Ree. 50, f. 308, cap. 280'
Caeteni venivaao fatti dito.
a
contanti
o con operazioni di
cre-
Acquisto
ll30o-13031
t53
la bolla pontificia di conferma, già pronta sul tavolino. Quindi i nuovi proprietari vendevano, per 3000 fiorini d'oro, al cardinale Francesco quanto avevano testè acquistato. Il giorno seguente si perfezionò Ia vendita, per parte di Paolo e Cecco Gabelluti a favore del
fu
presentata
cardinale, della sesta parte loro spettante, ma guesta volta il contratto fu stipulato in casa dello stesso cardinale Francesco presso SS. Quattro Coronati, non lungi dal Laterano, in presenza di altri parenti del papa, cioè del canonico Giacomo, di Nicola di Mattia (Conti ?), di Pietro
i
del fu Nicola Bussa e del cugino Guernazzone di Catenazio di Anagni nonchè di altri testimoni.r) A questi seguirono altri atti nel mese di marzo e di aprile, luglio ed agosto e finalmente nel maizo del 1303, per effetto dei quali la proprietà dei fortilizi e dei terreni circostanti, tenuti in comune dai Gabelluti, dai Del Gudice e dai Savelli, passò'interamente in mano del cardinale Francesco a cui il papa riconobbe il possesso, confermando con relative bolle i vari istrumenti di compra' vendita. Per la proprietà venne pa' gato il prezzo complessivo di 13250
fiorini d'oro. Il fatto che gli acquisti vennero eseguiti in nome del cardinale e non già in quello del' marchese era un artifrcio per tenere i beni sotto Ia protezione d'un principe della Chiesa,
l]I.ì
modalità seguita, come si è visto nel
capitolo precedente, anche per la torre delle Milizie. Già si prevedeva Tomba di Cecilia Metella nel 1715. O Ia tempesta che si sarebbe scatenata sopra i nipoti dopo la morte del papa ! Pietro mise mano al restauro del fortilizio ed alla costruzione del palazzetto attiguo alla Ricostruzione della rocca' tomba di Cecilia Metella, molto tempo prima che fossero perfezionati gli atti d'acquisto e, suppongo, appena assicuratosene il possesso mediante un compromesso. Nella esecuzione delle opere si valse certamente dello stesso architetto che gli aveva fabbricato la rocca di Ninfa: ad esso erano probabilmente anche affidati i grandiosi lavori che si stavano'eseguendo alla torre delle Milizie. In tali opere murarie si riconoscono una medesima tecnica ed una medesima mano: e non sono alieno dall'ammettere che I'ignoto maestro costruisse o almeno progettasse anche la grande sala baronale del castello di Sermoneta, quantunque la crederei d-i qualche anno posteriore alla morte di Pietro Caetani (1308). Sopra al cornicione del sepolcro di Metella si elevarono gli esili merli di forma ghibellina, insegna tradizionale a cui i Caetani non vollero rinunziare anche dopo essere diventati fautori principali del partito guelfo. 3ì Dal lato esterno i merli vennero proweduti di mensole di pietra con fori orizzontali, destinati a ricevere i cardini degli sportelli mobili di protezione, come è indicato in una delle illustrazioni del LX capitolo e non già, come ha creduto il Tomassetti, per sostenere una ringhiera di ferro. Detro la merlatura correva un ballatoio di legno, sopportato da lunghe mensole di marmo infisse nel muro, e su tale piattaforma circolare poteva muoversi
Cccilia
r)Arc,Vot,,50,f,4O2,qp.275iî.403,cap.276t f.404,op.277e*s.tCÍ.Die.Mé1.:Lc 3) Cf. pae. 54. 2) Gal. Naz. d. Stampe, vol' 1464 F. N: F. C' 2816. Metclla.
Domus,
l,
20,
domaiucdqCaetaniauTonbcaudc
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Lib. ll, Cap. XX.
la gente d'arme addetta alla difesa. Al maschio si accedeva per una piccola porta a metà altezza della torre, dal lato della strada, e poi per una comoda scala elicoidale. A ridosso della torre merlata fu costruito I'ameno palazzetto, guale oggi si vede ottimamente restaurato. E di tipo quasi identico a quello di Ninfa: a due piani con cinque ambienti per ognuno di essi e, come volevano le regole militari, era separato dalla torre da un piccolo cortile. Il solaio era di legno ben armato su pesanti travi ed il tetto, a capriate e tegole alla romana, poggiava direttamente dietro la merlatura. liberamente
pian terreno, sotto il corpo principale del fabbricato, i vani comunicavano tra loro per di grandi aperture ad arco formando quasi una sala unica, spaziosa ed illuminata dall'alto da piccole finestre rettangolari, munite di pesanti ferrate; dovevano servire alle soldatesche. Al secondo piano gli ambienti erano più leggiadri. Eleganti finestre bifore di marmo, di cui esiste ancora una intatta, davano sulla luminosa campagna romana, che spaziosamente si
Al
mezzo
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r/úfr Castello Caetani
di
Capo
di
Bove'
domina collo sguardo dall'alto di quella collina. Le stanze erano dipinte ad affresco e, lungo le pareti, all'altezza di circa due metri, infisse nel muro a distanze regolari, sporgono tuttora piccole mensole di marmo che non so bene a cosa servissero: dovevano probabilmente sostenere Ie aste donde pendeva il drappeggio, di cui si era soliti rivestire e addobbare la parte inferiore delle pareti stessg come si vede sovente indicato nei quadri del secolo XV, a meno che non servissero a tener sospese le armi. Nella sala maggiore era aperto un grande camino rettangolare e, ad un angolo di quella adiacente, ne era addossato uno circolare, simile a quello che si vede a Sermoneta e nel palazzo di Bonifacio VIII in Anagni. I Caetani sembrano avere prediletto tale forma poco comune. L'ambiente presso Ia torre, dal lato di levante, serviva di veranda; era prowisto di una grande apertura o balcone a sesto ribassato, il cui parapetto poggia su eleganti archetti a sesto acuto e su piccole mensole di marmo. Sotto agli archetti si vedono ancora resti di pitture. Qui, d'estate, riposandosi al fresco, I'ospite poteva abbracciare con Io sguardo il magnifico panorama dei colli albani, i cui contomi si fondono nella foschia violacea che s'inalza
dalla
campagna.
dalla sala maggiore ad un ballatoio sovrastante all'ingresso principale della rocca, ed un piccolo ponte volante collegava il ballatoio con la porticina d'accesso alla torre, a cui si è accennato prima.
Dal lato della via Appia, una porta
conduceva
F3o2.13031
Descrizione
155
Tale era in poche parole il piccolo palazzo, o rocca che dir si voglia, accuratamente costruito con mattoncini di tufo bene squadrati e ornato di mostre e davanzali di marmo, tratto dai vicini sepolcri romani. S'elevava su fondazioni di epoca anteriore, di cui si vedono tracce ai piedi dei muri. Queste costruzioni piìr antiche che, come si è detto prima, furono probabilmente erette dai conti di Tusculo nel secolo XI, sono caratteristiche, perchè in esse fra i blocchetd di tufo spiccano numerosi i frammenti di marmo. È probabile che in quell'epoca piir che nel secolo XIV abbondassero le telle lastre di marmo sparse tra gli antichi monumenti romani e bene si prestavano ad essere ridotte a forma rettangolare con pochi colpi di martello.. Le opere murarie tusculane si distinguono quindi faciimente e risaltano all'occhio per il loro scacchiere bianco, che contrasta col grigio del tufo e del selcio adoperato quasi esclusivamente in quelle piùr recenti. Si vedono vari avanzi delle prime sotto la merlatura della grande torre e alla base del palazzetto e delle mura castellane, dietro I'abside della chiesa di S. Nicola. Vicino alla rocca, ai due lati della via Appia, sorgeva una piccola borgata che, dopo ricostruzione eseguita dalla nostra famiglia, prese il nome di Cíaitas Cajetana. In un antico la inventario dell'archivio, forse ora perduto u) ed intitolato: u Inoentarío delle case sottoposte aIIa casa nostra de píacza japu (sic, per capo) de booe, > vengono ricordate ben 50 case, vari orti, la casa di un parroco esente da pigione e una chiesa di S. Biagio oltre quella castellana
di S. Nicola. Intomo alla borgata si stendeva, in forma di perfetto rettangolo, la cinta di mura delI'epoca tusculana, composta di cortine e di piccole torri aperte verso I'interno. Alla fine del XIII secolo queste fortificazioni dovevano essere in cattive condizioni e perciò Pietro Caetani in parte le demolì sino alle fondamenta ed in parte sino ad una certa altezza per impostarvi sopra le nuove mura. È probabile che in questo rifacimento il lato meridionale della cinta castellana sia stato spostato in avanti per ingrandire il borgo. Si distingue ancora nettamente il piano dove le nuove mura caetane riposano su quelle tusculane, non solo perchè Ia tessitura ne è. difierente, ma anche perchè è rimasta la fila dei fori nei quali vennero infissi i murali delle armature, che i mastri appoggiarono sulle antiche mura prima di procedere alla sopraelevazione. La ricostruzione del recinto è evidentemente posteriore a quella della rocca, e ciò è provato dal fatto che la cortina orientale è addossata contro la torre quadra, che forma lo spigolo sud-est del palazzetto. Vi è una grande differenza tra i due tipi di muratura: Ia rocca e la chiesa di S. Nicola sono di fattura accurata ed elegante ed interamente costruite con mattonelle di tufo, mentre le mura castellane sono un lavoro grossolano, eseguito promiscuamente con pezzi di marmo, di tufo e di selcio male squadrati, quali pervennero dalla parziale demolizione delle mura tusculane, dai ruderi circostanti e dalle cave limitrofe. Lungo la merlatura e dietro le torri ricorrono quelle stesse lunghe mensole di marmo, di cui si è parlato prima a proposito del sepolcro stesso, ivi apposte per sostenere il ballatoio, o cammino di ronda. Tanta trascuratezza e tale dilferenza di stile si devono attribuire a ragioni di economia o di fretta. Può essere che i Caetani non pensassero a ricostruire Ie mura di cinta che dopo la morte di Bonifacio VIII, quando da ogni parte si trovavano incalzati e circondati dai nemici nonchè stretti a denari, oppure che le mura venissero ricostruite e riparate dopo che furono guastate nel l3l2 dall'imperatore Enrico VII. .)
Citato dal Tomassetti
(ll, p. ó7): portava la numerazione del
Carinci: ctrsa XLX,'n'
47.
Civitas Cajetana.
CAPO DI BOVE
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Lib. Il, Cap. XX.
Due ampie porte ad arco davano passaggio alla via Appia, che traversava in lungo la borgata. Quella verso Albano fu demolita molto tempo addietro, mentre I'altra verso Roma esisteva ancora nel secolo XVIII ed è rappresentata nelle varie incisioni dell'epoca. u) Entro il recinto il cardinale Francesco, o forse lo stesso Bonifacio VIII, fece erigere la bella chiesetta dedicata a S. Nicola di Bari, l) che si vuole costruita dall'architetto Tommaso Di Stefani, detto Massuccio II di Napoli. 2) È formuta da una unica navata, ornata da eleganti finestrine ad ogiva di marmo, ed il tetto era sopportato da ,sei archi a sesto acuto, accuratamente composti con blocchi di peperino. La chiesa fece parte della diocesi di Albano, e Bonifacio VIil concesse alla famiglia Caetani e ai suoi discendenti i diritti parrocchiali ed il ius patronatus.3)
Pietro, a memoria dell'opera compiuta, fece affiggere sopra I'ingresso della rocca una lastra rettangolare di marmo in cui, tra due stemmi Caetani con le sole onde, è scolpita la testa di un bue (e non già un bucranio), volendo così associare ad un tempo simbolicamente il nome della casata a quello del luogo denominato comunemente Caput boois. Sperò egli di esserii creato alle porte di Roma un ameno rifugio per godere la quiete campestre, dove, stanco delle lotte civili e dei fasti della corte, senza allontanarsi dalla città, avrebbe potuto riposarsi sorvegliando i lavori dei campi, degli orti e delle vigne e dove Io stesso pontefice all'epoca della vendemmia avrebbe potuto ricrearsi, assistendo alla u mozza ed alla pigiatura dell'uva, e farsi servire le frutta degli alberi che allora abbondavano negli a) orti. Non vi. mancavano neppure le peschiere, ricordate in un documento insieme alle óascales' ma non so lmmagmarmi dove fossero state scavate. La sorte però non consentì che Pietro potesse godere a lungo della nuova villa; difatti, ultimati i lavori, vide scatenarsi immediatamente sulla p.opriu famiglia la tempesta che smisurate ambizioni erano andate addensando da anni. L' undici ottobre del 1303 moriva Bonifacio VIII e, non appena deposto nel suo splendido sepolcro, tutti i nemici della casa si awentarono addosso ai nipoti superstiti. I Caetani dovettero sostenere asprissime guerre contro i Colonnesi, contro gli Anibaldi, contro i Conti e contro gli stessi Orsini loro parenti: per due anni, cioè sino a quando visse Benedetto XI, a loro favorevole, e durante la sede vacante seppero tenere le posizioni conquistate, ma verso il principio del 1305 vennero espulsi da Roma e ricacciati nelle loro castella della Campagna e Marittima. I Romani, in aiuto dei Colonnesi, mossero contro i Caetani ed una delle prime fortezze a cadere nelle mani dei nemici deve essere stata cèrtamente Capo di Bove; po"t dopo i Savelli, accampando forse gli antichi diritti, che avevano donati e non già venduti al cardinale Francesco, se ne resero padroni e vi si mantennero sino al 1312, quando Enrico VII venne a Rorna per farsi incoronare. [n quel tempo era signore del fortilizio Giovanni Savelli. Di animo awerso all'imperatore, era stato da questo costretto a sottomettersi, ma poi fu liberato, previa cauzione di 20 000 marche d'argento, per cui doveva dare in pegno il castello di Capo di Bove. Non appena uscito di città, egli vi si trincerò e di lì mosse offesa contro I'imperatore ed i romani, tagliando anche le acgue che animavano le mole presso S. Sabina. Quindi con altri baroni operò contro Roma assalendo porta Datiab) e Porta S. Giovanni. >>
Perdita del castello.
Calata di Enrico VII.
a) Cf. lllustr. a pag. l5?. b) Porta Appia o di S. Sebastiano, detta poi Porta Datia t) Atc. Val., Arm. XXXI, Vo,,,5O, fol 309, cap.28l.
'Î.
26"
f'
165u, cit. Tomusetti.
(Azia, Accia) per il dazio che vi si pagava. Cf . Infess.' P.
Il
27 ,
n. 2.
Greg., Vl, p. 65, vuole che sia una corruzione volgare di Appia.
?) Melchíonì, Guida di Roma, p.
775.
3) Cl.
Boryano.
a) Arc,
[r303-1406]
Vicende del castello
157
Allora I'imperatore ordinò a Stefano Colonna, a Riccardo Anibaldi ed al maresciallo di Fiandra di dare battaglia ai ribelli. Messi in fuga, alcuni dei baroni si ritirarono con la loro gente d'arme entro le mura di Capo di Bove. Le truppe imperiali e romane si schierarono intorno al castello in ordine di battaglia, diedero I'assalto e, superato il fossato, alla terza ora prima che annottasse, irruppero entro il borgo. Venne fatta strage dei difensori e I'imperatore tornò in città, portando seco, come dice il diarista, molto bottino e pochi prigionieri. Prima di partire ordinò che si desse fuoco alle difese e che venissero spianati i fossati (luglio l3l2). t) La rocca resistè piìr a lungo ma, venendo a mancare i viveri, la guarnigione si arrese a patti. 2) L'imperatore allora conferì il iastello, la rocca e le tenute a Pietro Savelli, fratello di Giovanni e cognato di Pietro Colonna, per il prezzo di 20 0@ marche di argento, con ordine di restituirlo a Govanni quando avesse pagato la penalità in cui era incorso. Dopo la morte repentina dell'imperatore passò ai Colonnesi. 3' Al principio del secolo XV era probabilmente in mano degli Orsini, perchè sappiamo che nella metà di luglio del 1406 Lodovico Migliorati, nipote di Innocenzo VII, e Paolo Orsini si fermarono a Capo di Bove nel recarsi a Napoli per trattare la pace con re Ladislao. a) Dal principio del secolo XV Capo di Bove deve aver perso completamente Ia sua importanza e, solo di rado, viene incidentalmente menzionato nei diari e nelle cronache. Il possesso del sepolcro di Cecilia Metella da parte della famiglia Caetani fu di brevissima durata, ma tuttavia.il nome di questa è rimasto piùr di quello di qualsiasi altra legato allo storico monumento. È l'*i"o in Roma pervenuto quasi intatto, con Ie sue soprastrutture medievali, a ricordare I'epoca feudale quando i mausolei, i teatri e le altre grandi opere d'arte del periodo aureo dell'impero romano erano stati trasformati in fortezze e in covi di ladroni ove s'annidavano i baroni, gli uni insidianti gli altri, durante le incessanti guerre civili che straziavano ed indebolivano I'ltalia.
2) Ioi; cc.9lE,919, ') Mw,,lX, c, 1107, Hist. Ferrcti Vic. lI, p. 68.: Nibbu, I, p, 384: Mw., XXIV, c. 979.
De Gestir Hen.
VIl,
r)
Mw.,X, c. 574.
a) CÍ. Tonssctlí,
Capnolo XXI.
SOGNI DI EGEMONIA. (12e4-1303).
oNIFAclo VIll molto si adoperò per dare al Laterano, cuore della cristianità nel secolo XIII, uno splendore non mai raggiunto prima, sicchè Dante ebbe ad esclamare: Se i barbari ....
,
Vedendo Roma e I'ardua sua opîa Sfupefacè,nsi quando Laterano
AIIe
cose mortalí
ando'
di
sopra.
t'
Alla
di Bonifacio Vlll; cattedrale di Anagni.
Statua
vetusta aula dei concilii aggiunse, nel tratto corrispondente allo spigolo settentrionale dell'attuale palazzo apostolico, un'elegante loggia di stile gotico costituita da un baldacchino marmoreo sostenuto
da due ordini di colonne. L'interno fu affrescato da Giotto, il quale dipinse il pontefice nell'atto di promulgare da questa loggia la bolla con giubileo (22 leb. 1300) ; pa*e di questo affresco si conserva nella basilica. ")
Apogeo
di
potenza.
la quale istituiva il Tale atto solenne segnava I'apice della sua potenza e probabilmente nessun pontefice prima e come lui ebbe tanto piena la sensazione del dominio sull'orbe cristiano. Dalle piùr remote parti della terra i pellegrini, a diecine di migliaia al giorno, confluivano a Roma ppr pregare sulle tombe degli Apostoli e per rendere il loro tributo di omaggio e di fedeltà al papa. II mondo si prosternava davanti al vicario di Cristo, seduto sul piir potente dei troni. Il re di Napoli si dichiarava, e gli era, vassallo sottomesso; la potenza dei Colonna era infranta e la superba Palestrina rasa al suolo; gli Orsini lo sostenevano o gli ubbidivano; Orvieto, Firenze e Bologna gli erigevano statue; quasi tutte le città d' Italia s'inchinavano ossequiose e pavide alla volòntà despotica del vecchio pontefice. Il sentimento di tanta potenza risvegliò nell'animo suo altiero ed aggessivo una tracotanza tale che non lo fece piìr dubitare di nulla. Di lui si racconta una scena che, perchè di fonte francese e perchè riferita quando già in Francia era viva la reazione contro il poniefice, può del Heems") La loggia è bene rappresentata in un disgno kerck del sec. XVI, pubblicato in Das PapstbucÀ (Monaco,
') Pcr.. XXXL 3l.
1925,
p. e7), in cui è
rano nel medio evo.
anche data
la pianta
generale del Late-
M egalo mania
[1300.r3o3]
t59
o
senza dubbio grandemente esagerata. Tuttavia, anche se non fosse vera, rispecchia almeno I'opinione che il volgo aveva del u papa-imperadore e perciò la riporto, omettendo
essere falsa
,
alcuni dettagli troppo inverosimili. Nel 1303 Arnaldo Sabastida scriveva a Giacomo II d'Aagona che erano giunte in Montpellier Iettere da Roma in cui si raccontava che il papa, chiamati davanti a sè i cardinali ed i vescovi, fece una predica e poi chiese loro tre volte per che cosa lo tenessero. Dopo un momento d'esitazione gli fu risposto che era tenuto per vìcario di Dio in terra. Allora Bonifacio VIII annunziò loro che erano tutti deposti dal loro grado e che consegnassero a lui i cappelli e gli anelli; e tutti obbedirono. Fatta una seconda predica, restituì ad ognuno la propria dignità, perchè obbediente alla Chiesa e degno di appartenere ad essa. Dopo di ciò si ritirò in una camera attigua, si vestì tutto di rosso e
Bonifacio
VIII
proclama
il
pittura di GÍotto in S. Giov.
giubileo;
in
Laterano.
riapparve con la croce nella destra e una spada nella sinistra e disse':, ,, La uoce che pofio nella destra la porto perchè sono papa, e Ia spada, nostto Sígnore Ia donò a S. Pietro in segno del poter temporale, e per quata rugíone ho preso la spada u. Poi invitò i prelati ad entrare in S. Pietro. Dopo poco si presentò a loro tutto vestito di nero ed amaramente piangendo disse: .. O baroni, (sic) uí dooete meîaoiglíaîe perchè mi sono t)estito di nero ; I'ho fatto perchè quelli che Ia santa Chíesa ha eleoato ed anicchíto le sí sono ooltati contro e sí sono resí disobbedíenti r. Allora tutti dichiararono di esser pronti a fare e dire quel che avrebbe comandato, ed ognuno andò ad ofirire un cero acceso a San Pietro. l) Non è impossibile che Bonifacio VIII, per impressionare il clero che vedeva titubante, abbia inscenato qualche atto simile a quello qui sopra sunteggiato. Certo è che non ebbe paura nè di parlare apertamente nè d'impone la propria despotica volontà. t) Acta At,, p. l?3: Ct. Mw., lX, Chron. Pipiui.
SOGNI DI EGEMONIA
t60
Lib. ll, Cap. XXL
Ne troviamo una indicazione nelle testimonianze, pel quanto bugiarde, portate a suo carico durante il processo di Avignone: Francesco Armanei, teste prezzolato del Nogaret, attribuiva al papa le seguenti parole : u Va, oa ! io posso più di quanto mai Crísto abbia potuto, pcrchè ío posso umiliare ed importerire i re, imperatori e principí, e di un pooero milíte posso fare un gtan îe, e posso donare citl,à e regní, e fare dí un pooero un ricco e dí un ricco un pooero ! ,, t' Pietro Caetani.
Llamore sviscerato per i suoi e I'orgoglio della propria Casa, ormai alla pari dei Colonna e degli Orsini, lo spinsero tanto oltre nel nepotismo che gli fecero $ognare per i Caetani un'egemonia sull'ltalia centrale, non dissimile da quella alla quale aspirò poi Alessandro VI per Cesare Borgia. Forse s'illudeva altresì che Ia preponderanza della propria stirpe su quella dei Colonna sarebbe stata un presidio ed un bene per la Chiesa. Nipote prediletto del pontefice fu Pietro, primogenito del fratello Roffredo; egli fu creato marchese della Marca Anconitana") e quindispesso per antonomasia.yenne chiamato " il Marchese u. Sappiamo pochissimo di quanto abbia operato in tale carica; risulta soltanto che mentre era rettore della Marca, il 23 maggio del 1300, i ghibellini dell' Umbria, istigati da Federico conte di Montefeltro e dagli Ubaldini, sotto la guida di Uguccione della Faggiuòla, con 2000 cavalieri, presero Gubbio facendo scempio dei guelfr. Il cardinale Napoteone Orsini fu subito nominato legato nella Marca Anconitana e nel ducato di Spcleto e la stessa notte partì per re-spingere i ghibellini. Si'disse che Pietro rimanesse tanto dispiacente, non solo perchè non gli fosse stato dato il mandato, ma anche perchè si recava offesa alla propria dignità, che si ammalasse al punto da doversi coricare in letto; ma tosto rimessosi andò con Ie sue truppe in aiuto al cardinale Napoleone Orsini, il quale, introdotti uomini armati nella città sotto veste di pellegrini, ne riprese il 2) possesso facendo ampia vendetta dello strazio subito dai guelfr. Sigillo di Pietro Caetani. b) Quando suo zio, giunto all'apogeo della potenza, profondeva su lui ricchezze ed onori, egli era uomo sui cinquanta anni, di natura forte, pratico delle armi e delle cose del mondo; ma data la scarsezza dei documenti dell'epoca, ben poco sappiamo del suo carattere e della sua vita. Dalla moglie Giovanna, probabilmente 3) ebbe tre maschi ed una femmina. Il suo nome non appare figliola di Landolfo II da Ceccano, quasi mai negli atti pubblici sino alla morte del padre quando, diventato capo della famiglia, si riversarono su lui tutte le attestazioni e le grazie dei sovrani. L'otto gennaio 1296 veniva ricevuto 5) e tra i consiglieri e gl'intimi del re Carlo II; a) nel luglio veniva eletto podestà di Orvieto, poco dopo dal papa era nominato marchese. Si vociferò che fosse causa o istigatore della guerra contro i Colonnesi ; ciò è falso perchè sino al 1300 Pietro si occupò ben poco di politica ; ina) Eitel (p. só), Bon.
VItl,
quel giorno ducato
di
basandosi sul HuysLens
aÍerma che
fu
fu
nominato addì
e sui registri di
tg giugno l30l- ln
confermato rettore délla Marca Anconitala e del u 4?75)z ma tali cariche gli devono
Spoleto (Drgard
$sere state concesse prima, perchè già in un atto del 2 settem' bre 1297 lo troviamo designato marchese : Aclum Anagníe, ìn Platea nooa, aate lunem noùam domínì Marchtonrt (Re-
t) vol. 64,
Dupus,
f.
p,
20ób.
566.
\
b) Mancn',
Daoitl. G', IIl,
p.
164.
p. l24i Acla Ar., p' 86.
l, p. tOS); e nell'ottobre
1299 è designato con tale titolo u Oo). Decaduto dal titolo dopo la morte di Bonifacio VIll, continuò, per cortesia, ad essere chiamato Marchere sino al giorno che mori trucidato (Regesta, gesla,
negli
l, p.
Acta Atagonensía (pp.
OO
252).
b) Matrice di brorzo infranta, visieri a
nio
donata dall'antiquario Corpadre e facente ora Parte della collezione dell'A.
s) Cf. Caier, Gen., Tav.
IXVI.
t) Atc. Nop. R' 4.,
Pietro I I Caetani
Ir2e6-r303]
t6t
tento principalmente agli interessi di famiglia, Ie sue attività furono limitate alle funzioni di corte, alle cure amministrative e al disbrigo dei molteplici atti di acquisto e donazioni e ad altre transazioni per integrare e consolidare il vasto patrimonio che il pontefice gli stava formando.
Ebbe a cuore la città di Anagni ove volle che I'antichissima sua famiglia, vissuta sino allora modestamente accanto ai potentissimi Conti, si affermasse definitivamente e con tutto il decoro adeguato alla sua nuova posizione; quindi nella contrada Castello comprò di continuo orti, case e palazzi in vicinanza di quelli aviti. Mise mano a imponenti opere di ricostruzione, edificando un palazzo nuovo, probabilmente sulle fondamenta della casa degli antenati e ad esso aggiunse una bella torre presso la piazza che fu poi detta u del Conte ,' ; nel l29B troviamo la torre già ultimata. l) Non soddisfatto della vetusta ma modesta cappella gentilizia esistente nella cattedrale, edificò quella maggiore che tuttora si ammira dal lato della piazza ed ivi, sotto un baldacchino di bellissima opera cosmatesca, fece raccogliere in due sarcofagi ornati di mosaico le ossa di vari membri della famiglia. Al dire del De Magistris 2) istituì un giuspatronato. Altri affermano, forse non senza ragione, che tali iniziative fossero prese invece dal cardinale Benédetto, suo zio, sin dal 1292. Come nipote del papa e capo della Casa diventò in breve il personaggio piùr influente ed il primo barone di Roma. La rocca delle Milizie trasformata in palazzo gli conferiva Íorza e dignità; vero principe secolare della Urós, trovavasi alla pari dei sovrani con i quali trattava familiarmente. Favori e indulti si ottenevano per sua intercessione, e narra il Litta che Adinolfo V, frglio di Gentile d'Aquino, caduto in diqgrazia di re Carlo II, potè ottenere un privilegio di perdono e la restituzione dei diritti civici per mediazione di Pietro Caetani (25 ag. l30l). Il papa attese a creare ai nipoti un vasto dominio, formato da una serie di feudi lungo Ia costa del Tirreno. Abbiamo visto nei capitoli precedenti come si fosse assicurato del contado aldobrandesco nella Tuscia e come al sud di Roma quasi tutto il territorio compreso tra le valli del Sacco e del Liri, e la costa del mare sino al Garigliano, era diventato un vasto stato, e al sud della Terra di Lavoro la proprietà si stendeva su varie castella sparse giìr sino a Caserta ; in Roma Ia formidabile torre delle Milizie, Capo di Bove e la fortificata isola Licaonia formavano solidi punti di appoggio militare. ") Ma più alte erano le sue mire; voleva ampliare tale signoria e consolidarla. Orvieto doveva piegarsi alle voglie dei nipoti; Gaeta e Terracina dovevano essere incluse nei feudi, per comprendere in un corpo solo tutte le terre da Torre Astura b) al Garigliano; nella Campagna si sarebbero sradicati i Da Supino, i Da Ceccano, i De Papa e altri baroni. La potenza dei Caetani doveva essere formidabile e sovrana. Il progetto fu portato sul tappeto nel febbraio del 1302 quando convennero a Roma re Carlo II, Carlo di Valois, il duca di Calabria e molti altri signori per allestire la spedizione in Sicilia contro Federico d'Aragona. Il papa dava denari, aiuto di uomini ed appoggio morale. Pietro Caetani era intimo del re, I'onorava con festini e prendeva parte alle conferenze che i principi tenevanó in Laterano. Il momento era propizio per forzare la mano al re, ma Bonifacio VII con bolla del 22 nov. l37S (Pîg.
a) Bonifacio Vlll con apposite bolle confermò e riconfermò ai nipoti detti feudi e conceste ad essi ed ai loro eredi in perpetuo di poter compÍare e ritenere le terre ia Campagaa e Marittima, con la riserva soltanto che le donne non potessero succe'
b) Nel ettembre del tzss si parla di Astura come appartenente al march* Pietro, ma può es*re che intendevasi parlare della spiaggia tra Fogliano ed Astura (Acta Ar.,
dere: disposizione quest'ultima che venne reyocata dall'antipapa
p.
r) Cf' Cap. Domw,
l,
21.
LV.
2) p. ó6.
Clemente
66).
2505),
Cappella
in
Anagni.
Aspirazioni
su Gaeta
e Terracina.
SOGNI DI EGEMONIA
162
Lib. II, Cap. XXI.
a Pietro come feudo della Chiesa; re I'avrebbe concessa. ll 4 marzo vi si diceva che se I'avesse chiesta come un feudo regio, il fu un animoso e violento colloquio tra il re ed il papa; quegli si schermiva e rifiutava; questi perse il lume della ragione e, come riferisce al vescovo di Valenza il contemporaneo Lorenzo Martinez, rettore della chiesa di Carvera, gli disse che non era uomo, ma bensì un vilissimo ribaldo : si ricordasse che I'avea tollerato quando altrimenti avrebbe dovuto sparire sottoterra. ll re gli rimproverò di volerlo sempre vituperare senza motivo; aggiunse che a lui veniva sempre con massima umiltà e sempre era ricevuto con massima superbia; che tutto aveva tollerato pazientemente, ma che ora non poteva tollerare piìr a lungo; sapeva che tutto ciò aweniva p"r.hè egli desse Gaeta al nipote. Finalmente concluse: u E se, o Padre, rtoi consíderate bene quali sono í oostrí, abbastanza gîà hanno ed abbastanza io diedí laro rr, Al che questi irato: o, Non saí tu che io úi posso togliere iI regno! ,, Ed il re rispose: ...lVon /o so ',. Così si lasciarono e per .nove giorni non si parlarono piìr'') Riferisce I'abate Lorenzo Martinez che il 23 febbraio il papa, chiamati i migliori e piìr eletti dei romani, li esortasse ad armarsi per andare in Sicilia. Luca Savelli, in nome di tutti, rispose che erano pronti a rischiare il corpo e gli averi a pro' del papa e della Chiesa, ma che desideravano di uu"r" per capitano un romano e che a tale ufficio fosse designato il marchese Pietro Caetani. Tale era il desiderio suo e di tutti i romani. Bonifacio li ringraziò, ma per quanto il nipote, rimetteva ad altro tempo la sua deliberazione. E I'abate aggiunge: "on""rn"uu E credo che non andranno (i romani) perchè iI papa non manderà iI nípote oolendolo perchè quello che dissero del destínare a maggiorí cose, nè quelli díoercamente andrebbero, fece pesare troppo la propria, insistendo che Gaeta fosse data
Spedizione
in
Sicilia.
Aspirazioni al potere sovfano.
l) capitano I'íntendono su/ serio. Il marchese Pietro era il primo Quali erano le maggiori cose di cui si parlava nella curia? d"i romuni; gli Orsini ricevevano da lui gli speroni d'oro; gli ambasciatori di Arezzo si rivolgevano a lui per protezione contro il prepotente senatore Stefaneschi, che il papa dal suo maresciallo I d"gli "r""urori della giustizia aveva fatro cacciare dal Campidoglio. Ma il papa voleva dargli piir alta di quella di senatore e sentiva in sè la Íorza e il tempo di farlo. Scrivevano un. "uri"u di lui : II sígnor papa è gíor)rlne, sano e robusto, e dice che oíorà finchè tutÍí í nemící suoí
saranno statí dístruttí.b)
animi rimanevano tutti sospesi; molte vcici diverse si e ripetute da ripetevano tra i cardinali e in confidenza venivano comunicate ai nunzi de' principi esteri loro ai propri sovrani. Di giorno in giorno si aspettavano mbabilía. Chi diceva che il papa avrebbe fatto pietro re della Toscanan chi invece che I'avrebbe fatto re dei romani; Ia voce piir fondata però era che lo volesse nominare patrizio di Roma, la dignità piir alta in ltalia dopo quella àell'imperatore; ed infatti durante la vacanza dell'impero spettava al patrizio di esserne vicario. Si diceva in Roma che già erano stati preparati la corona d'oro nonchè le coppe d'argento e
Di ciò la curia aveva sentore e gli
molti nobilissimi paramenti. Certo è che Bonifacio VII si adoperò seriamente ad ottenere che Alberto I d'Austria, re de' Romani, rinunziasse alle sue pretese di sovranità imperiale su Firenze; ed allo stesso .)
il
re continuò a riversare grazie sui nipoti e, pochi giorui prima dell'attentato di Anagni, donava (23 ag' tlol) a Pietro il castello di Ducenta (Atc. Gael' At', CoA' t3AB,
Ciononostante
c,
177).
b) Corse la voce che il papa volesse fare Fietro re della Sicilia e che a tal 6ne si abboccasse con Federico, re di Sicilia,
r)
Finhe, pp.
XXXVlll'L.
quando questi venne nella Campagna promettendogli la corona imperiale. Racconta la cronaca di Orvieto (Mut', XV'V, p. 200) che il ponteFce ed il re conversassero di ciò sotio un albero presso Velletri, mentre il popolo guardava da lontano, e che, non appena finito il colloquio, I'albero si rovesciasse a terra: il che si ritenne
un indizio della collera divina per
i
mali consigli ventilati.
Aspirazioni sovrane
[1302-r3031
163
tempo, con una serie di concessioni, nomine a benefrzi ecclesiastici e dispense, andava favorendo molte famiglie nobili di quella città, con lo scopo di preparare un partito che lo appoggiasse quando forr" giunù il momento di condurre la città sotto il- dominio piìr dirdtto della Chiesa. È porsibile, l) come sostiene il Davidsohn, che fosse mente sua di trasferire il dominio di Firenze e della Toscana intera nelle mani del nipote Pietro, a cui forse speravà a suo tempo di conferire una corona regia. Intanto, per dare ai nipoti autorità sempre maggiore, nominò Roffredo rettore della Campagna e Marittima, 2) mentre a Benedetto assegnò simile incarico sul Patrimonio di S. Pietro. Ma il destino piir che la volontà del papa diresse il corso degli eventi. La morte dèl cardinale Geraldo, vescovo di Sabina (l mar.), sconvolse, non si sa bene perchè, i progetti del pontefice; poi la discordia con Carlo d'Angiò, I'attitudine del re Filippo di Francia e I'unnunzio che gli ambasciatori del re de' R.omani già erano arrivati in ltalia, sospesero qualsiasi grandiosa deliberazione.
Mentre nel cielo si addensavano le nubi della tempesta, che doveva scatenarsi fra Bonifacio Vlll e Filippo il Bello, Pietro Caetani conte di Caserta, marchese della Marca Anconitana e signore delle Milizie, si stava fortifrcando nella formidabile torre che, elevandosi al di sopra di ogni ultro edifizio, dominava le fortezze dei nemici tutti di casa Caetani, quasi minacciando la stessa Città Eterna. Pronto ad ogni ardimento, attendeva fiducioso lo svolgersi degli eventi; vedremo'che si dimostrò alla pari di essi e degno della tradizionale impresa della famiglia, compendiata nel minaccioso motto .r, Agítata Crescunt ,r, che si legge sotto le onde azzuîre dello stemma, forse alludenti alle acque dell'agognato golfo di Gaeta. t\
Daú<!. FL,
Ill,
pp. 84-92, 187.
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LIBRO TERZO
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Caplror-o XXII.
ATTENTATO.DI ANAGNI. (1297-t303)
t- 3 rnaggio l?97, di venerdì, giorno che si vuole porti sfortuna, avvenne alle porte di Roma un incidente che, pur non essendone la principale causa, I'inizio della guerra che Bonifacio VIII mosse ai Colonnesi; la guerra ' fu di breve durata, ma dopo la morte del papa si riaccese tra loro ed i Caetani e si protasse per 24 anni di seguito: in essa rimasero coinvolte anche le altre famiglie baronali del Lazio. L'animosità tra i Caetani ed i Colonna si può forse far risalire ad offese familiari, l) ma la vera ragione che spinse Bonifacio VIII a voler distruggere quest'antica stirpe baronale, era il fatto che i Colonnesi, paladini per eccelBenedetto Xl. Monumento sepolcrale lenza del partito imperiale, davano ombra all'autorità della Chiesa ed erano in Perugia. una continua minaccia per essa; inoltre il papa vedeva nei Colonnesi un impedimento a che i propri nipoti potessero espandersi ed affermarsi, come desiderava, in Roma e nella Campagna e Marittima. Alla guerra contro i Colonnesi si innestarono la quistione di Sicilia, 2) la lotta tra i partiti guelfo e ghibellino, quella tra il re di Francia ed il papato, nonchè Ie ostilità tra le fazioni in seno al sacro collegio. Essa ebbe gravi conseguenze e contribuì non poco alle condizioni che condussero poi all'esilio di Avignone. Quel giorno, tre di maggro, dunque, il marchese Pietro Caetani faceva trasportare da Anagni a Roma o) un tesoro del papa, che si dice ammontasse a 200 000 frorini' formato di denaro, di vasi e suppellettili di oro e d'argento e di molti oggetti preziosi. Accuratamente imballato in sacchi, era stato caricato sopra ottanta muli e cavalli ed il convoglio, accompagnato da uniesigua scorta, era quasi giunto a destinazione, quando, sulla via di Albano e a segnò
che
(Mar., XXII-tl, p.55) narrano ") Gli lnnales Forolíoíanses tesoro veniva. trasportato da Roma ad Anagni, ma I'altre
il
r) Cf. pae. 68.
z) DtsatA, n. 23EB
; CÍ. MohI.
K
p. ól '
il contrario, ciò che del resto sembra più (Cf, Bibl. Naz. Fir., Cron. di Fir,, XXV-19, c. l9).
cronache a6ermano
probabile
Rapina
del tesoro.
ATTENTATO DI ANAGNI
ló8
Lib.lll,
Cap.
XXII.
circa due miglia da Roma, fu aggredito da gente armata che Stefano di Giovanni Colonna, I'impetuoso e guerriero nipote del cardinale Govanni e fratello del cardinale Pietro, aveva ivi posto in agguato. I famulì e le guardie vennero fugati e Ie ricchezze di casa Caetani furono l) con ogni sollecitudine trasferite nella rocca dei Colonnesi in Palestrina. È diffi"il" immaginarsi quale motivo abbia spinto Stefano a commettere atto sì temerario contro il sommo pontefice; forse un impulso di vendetta indusse I'irruente e stolto giovane a commettere I'offesa senza considerare
le
gravissime conseguenze
che inevitabilmente
dovevano
derivarne.
Ribellione dei
card.
Colonna.
L'aggressione, indubbiamente, fu diretta piuttosto contro i Caetani che contro il pontefice; il tesoro era proprietà privata e lo stesso Bonifacio VIII, subito dopo avvenuto il fatto, dichiarò in concistoro che esso era stato da lui raccolto quando era ancora cardinale e quindi di sua proprietà personale. Sembra probabile che venisse trasportato a Roma dal marchese Pietro per completare il pagamento per le terre di Ninfa e Sermoneta di cui, nel mese pre2) cedente, si era in massima parte già compiuto I'acquisto dalla famiglia Anibaldi. Il pontefrce procedette subito a ricercare e punire i colpevoli e ad infliggere debita umiliazione ai Colonnesi, sospettando, a torto o a ragione, che all'oltraggio della rapina non fossero del tutto estranei i cardinali Colonna, che aspettavano un'occasione propizia per ribellarsi a lui. Difatti il giorno seguente citò Giacomo e Pietro Colonna a comparirgli innanzi per rispondere dell'inaudita offesa arrecatagli dal parente e, venendo subito al nodo della quistione, intimò loro di sottomettersi a lui come a legittimo pontefice. I due Colonnesi si allontanarono sdegnosi e non diedero risposta. Il tesoro, invero, fu subito e integralmente restituito, ma Ie cose non frnirono lì: il pontefrce non aveva in animo di contentarsi della semplice restituzione; prelese non solo che il colpevole gli fosse consegnato prigioniero ma, interpretando I'aggressione come atto di ribellione alla Chiesa, ordinò altresì che i Colonna gli dessero in mano Falestrina ed
altre
Crociata contro
i
Colonnesi.
castella.
Per tutta risposta i due cardinali si riunirono con altri membri della famiglia e con vari giureconsulti e prelati a Lunghezza in casa di Pietro Conti (10 mag.); al consiglio fu presente un"h" fro Jacopone da Todi, il fanatico ed ipercritico predicatore che poi nelle sue rozze' ma frere, cantiche espresse il proprio sdegno contro Bonifacio VI[], sul quale sperò di poter imprimere un perenne marchio d'infamia. In questo convegno i Colonna dichiararono apertamente di non voler riconoscere Bonifacio per papa legittimo, allegando che Celestino V non aveva avuto 3) Sul facoltà di abdicare alla tiara, e si appellarono ad un concilio e a tutta la cristianità. manifesto redatto su carta pecora da pubblico notaio, i cardinali, per maggior cautela, vollero apporre i propri sigilli in presenza di fra Jacopone e degli altri testimoni. Aveva preso tutta il lungo documento e quando furono impressi i sigilli, già cominciava ad la notte "-r"dig.r" albeggiare. La pergamena fu affissa alla porta di S. Maria della Rotonda e un secondo esemsull'altare di S. Pietro' -plur",- quasi cartello di sfida, fu con superba tracotanza deposto Diou1npò lo sdegno di Bonifacio VI[; i due Colonnesi furono dichiarati decaduti dal cardinalato e scomunicati; fu bandita la crociata contro la loro Casa, chiamando a raccolta il popolo, i nobili, Ie città ed i comuni d'Italia. ") Non fu dato quartiere alcuno. Nella guerra ebbero parte principale Orso e Bertoldo Orsini, a) ed altri nemici dei Colonnesi, ma né Pietro né i suoi fratelli del cardinale Matteo Rosso o)
CÍ, Mohlet ed in particolare Daoli!. G., lli, pP. 3949, Per quanto riguarda I'intervento dei Gorentini'
t) Mar., XV-V, p. 201,
z) MohL
K.' p. 57 (l)
\
Dupuu, p.
3?.
4)
Digail, nn. 1139' )917, cit Mohl,
t69
Oltraggio dei Colonnesr
[3 mag. 1297-rct.12981
parteciparono: i documenti dell'epoca non fanno menzione alcuna di essi. o) La cosa è perfettamente spiegabile; anzi è logico supporre che Pietro e gli altri nipoti non partecipassero alla crociata per espressa volontà del pontefice. Questi intese dare alla lotta il carattere di guerra santa a tutela degli interessi della Chiesa e non voleva che sembrasse ispirata da motivi d'interesse privato. Non voleva che si credesse avere egli chiamato Firenze ed altre città 'e comuni d'ltalia a concorrere con genti e denari nell'abbattere la potenza dei Colonnesi, per dare incremento a quella dei propri nipoti. La crociata fu spinta innanzi con vigore e rapidità ; nell'agosto 1297 Nepi, feudo dei Colonna, era già assediato dall'esercito pontificio e resistette poco ; b) alcuni castelli minori cedettero subito. La rocca di Colonna si difendeva ancora nell'aprile 1298, ma poi si arrese, come pure Zagarolo. Ed infine cadde anche Ia superba Palestrina, il baluardo dei ribelli: e, perchè a suo tempo era considerata inespugnabile, volle credere il popolo che la rocca fosse presa' non per forza d'arme, ma per inganno suggerito da Guido di Montefeltro, come ricorda il sommo Poeta:
figlioli
vi
Lo p'{rncípe de' nuooí Farísei, Aoendo gueîrc presso a Laterano, E non con Saracìn',.nè con Gtudet; Chè cíascun suo nimíco era CristÍano,
Cosi mí chíese questi Per maestro A guarir della sua superba febbre: Domandommi consíglio, ed io tacetti Perchè Ie sue parcIe paîoer ebbre. E poì mi disse; " Tuo coî non sospeffí,' Fin or ti assoloo, e tu m'insegna fare Sì come Penestríno in terra getti. Lo ciel poss'io seîtaîe e dìsserrare, Come tu saí. Perc' son due le chíauí, Che iI mìo antecessoî non ebbe care ,r. AIIor mí pínser gli argomenti graoí La 'oe íI tacer mí fu aooiso íI peggío, E dissÌ: u Padre, da che tu mi laoi Di quel peccato ooe mo' cader deggìo, Lunga promessa con I'attender corto Ti faù tríonfu nell'alto seggio >,.1)
Il
papa ordinò che I'intero paese fosse raso al suolo, e sulle rovine della romana Preneste fu passato I'aratro e seminato il sale, come già per I'antica Cartagine, perchè non abbía píìt nè Ia consístenza, nè iI nome o íI titolo di ctttà.z) ") Tra le tante accuse mosse contro la memoria di Bonifacio Vlll è anche detto che Pietro Caetani fosse promotore della guerra contro i Colonneoi e nel decreto del popolo romano, di cui si dirà appresso, fu scritto: Item, quía noloium -. quod Columnenscs .,. ilesttttctí el. ìIesolati luerunt pet dom. Petrum "praeterlu e! occastone sínl manífestae ... Gaglanum et eíus (Dupug, p, 279). Tali accuse però non hanno alcun valore probat'l Infetno, Domus,
l,
XXVll, 85-l I l.
22,
t)
Gt"g.,
Yl., p.
tivo, perchè miravano a
riversare sopra Pietro ogni responsabilità
per rivalersi sui beni personali di lui ad indennizzo dei danni subiti dai Colonnesi per opera del pontefice (CÍ. Daotd. C,, ltl, p. 4l).
b) Da una pergamena del nostro archivio (Regesla, I, p. I l0) risulta che Mario Cittadino, magístetlígnamÍnls, fosse impiegato dai Colonnesi a costruire macchine belliche in difesa di Nepi contro I'esercito dclla Chiesa.
13, cit. bolla dcl 1299.
Consiglio di
Guido da Montefeltro.
ATTENTATO DI ANACNI
170
Lib.
IIl,
Cap.
XXll.
Quanta magnificenza, quanti tesori d'arte, quanti ricordi di un glorioso passato furono distrutti dall'ira e dall'odio ! Non possiamo fare a meno di condividere lo sdegno del cardinale Pietro Colonna quando, al tempo del processo con i Caetani, inveiva contro il defunto pontefrce per la devastazione apportata nel cuore dello stato colonnese: (< Tutta Ia città fu sottoposta, er"lurnuv a, allo sterminío eil aIIa rooina con i suoí antíchiss;imi e nobìlissímí palazzí e "gli co| grande e solenne ternpio che era stalo dedícato in onore della beata Vergíne; già furono edificatí quellí da Gtulto Cesare ímperatore, a cuí ín tempo antíco appartenetsa Ia città dí ,, Prenestina >>, con scale di pregeoolìssimo matmo, Iarghe ed ampie, per Ie quali sí potet)a ascendere anche a caoallo aI palazzo ed aI tempio predettí, le qualì scale at)eoano oltre cento gradíni, II palazzo dí Cesare irusero fu edif,cato a forma dt un C perchè era la príma letterc del suo nome. Ed íI tempio addossato aI palazza fu edtficato con opera sunfuosissíma e assaì pregeoole a somíglíanza di S. Maria della Rotonda ín Roma. Tutte Ie qualí cose da esso Bonífacio tirannícamenle furono gettate ín totale sterminío e îooína unilamente a tutti gli altri palazzì ed edirtzi e case del\a città e con Ie mura antíchissime dí opera cíclopica (sarra' t\ cenico opere) fatte di grandi macigni squadratÌ ,. Il Mohler 2) analizza i fatti accennati negli ultimi versi di Dante, ossia il supposto inganno per cui Palestrina cadde in mano del papa. Non si tratta, come alcuni hanno creduto, di un semplice stratagemma per conquistare la rocca, ma bensì delle trattative che ebbero luogo per la sua resa. La quistione fu discussa acerbamente tra i Colonna ed i Caetani nel processo che A-lÌ> ebbero qualche anno dopo; i primi sostennero di aver consegnato la rocca a certi patti e condizioni che Card, Giacomo Colonna. dovevano assicurarne la salvezza ed il possesso, ma il Roma, S. Maria Maggiore. Mosaico dí Gíac, Tonílt. cardinale Francesco negò ciò recisamente affermando:... prima cÀe essi (Colonnesi) chíedessero misericardia, già aoet)ano dato Palesbína e I'altre castella ín domìnío del. signor Bonifacia a sua piena discrezione. È impossibile dire se Bonifacio abbia fatto positive promesse prima della resa. Quello che par certo, a mio parere, è che sin dal principio della guerra ebbe in animo di completamente distruggere la cittadella dei Colonnesi, perchè questa formidabile fortezza era una minaccia alla sicurezza della Chiesa; perciò, avuta in mano la superba Palestrina, non tardò a trovare una 3) scusa per annullare le promesse, se ne aveva date, e per farla radere al suolo. Alla fine dell'anno, vinte le ultime resistenze isolate, la potenza di questa superba stirpe
lé\.k
era stata Prostrata. u) Le terre furono distribuite in feudo specialmente agli Orsini ed a quei membri della confisca dei feudi colonnesi. famiglia Colonna i quali erano rimasti fautori del papa, cioè ad Ottone, Matteo e Landolfo; alcune furono date ai Conti e ad altri baroni della Campagna. Non vi furono concessioni a a)
... per compensalíonem, el emendationem damnorum cíoi' lalum Penesbín., Tunis de Marmurc, caslrorum Columnae' Pte'
t) MohI., p,
216.
2) toi,
pp.92-97.
a) Ioí,
p.2)O.
UfoAí, Rmípuccí Normennorum
el
communanlíae praeìllctotum p, 279)'
Columnensíum, quae fundílus dírutae fuerunl .,' (Dupug,
[1293 - g]èn. 13031
Caduta
t7l
di Palestrina
Caetani, ed è evidente che tale esclusione fosse intesa e voluta dal pontefice stesso. ") Molte furono le lagnanze che più tardi i Colonna mossero contro i Caetani per usurpazioni e spoliazioni, ma nessuna di queste si riferisce alla confisca delle terre, ordinata da Bonifacio Vill in occasione deila crociata. La sola contestazione che vi fu tra le due famiglie fu quella relativa a Ninfa, di cui si è detto a pag. ll2, ma tale quistione verteva sulla validità o meno dei rispettivi titoli d'acquisto e non aveva nulla da fare con le confische a danno dei Colonnesi. Infranta la potenza di costoro, cessò ogni ragione di conflitto aperto, ma sotto le ceneri continuarono a covare il feroce odio ed il desiderio di vendetta in attesa che un colpo di vento propizio facesse divampare la rovente brac:. L'occasione fu data dal famoso attentato di Anagni che commosse I'intera cristianità; esso non soltanto segna il principio della crudele guerra che per 24 anni doveva infierire tra le due potenti famiglie dei Caetani e Colonnesi, ma anche I'inizio di uno dei piìr lamentevoli periodi della storia di Roma. Cli awenimenti politici che condussero all'inaudito atto di violenza contro la sacra persona del pontefice sono tanto noti che mi limiterò a ricordarli in poche paroleNei primi secoli i successori di S. Pietro furono soggetti all'imperatore, ma gradualmente I'autorità pontificia si rese indipendente da quella laica tanto nel campo spirituale quanto in quello temporale. Ciò non awenne senza violenti confiitti. E superfluo ricordare la lotta per le investiture tra Gregorio VII e I'imperatore Enrico IV, il quale a Canossa dovette umiliarsi davanti al grande pontefice, o rievocare gli avvenimenti che condussero alla caduta della dinastia degli Hohenstaufen. La reale casa di Francia, in un primo tempo protettrice di Santa Chiesa, coll'andare degli anni si fece paladina della sovranità laica contro le pretese dei pontefici che' awocavano a loro il supremo potere spirituale e temporale, sostenendo che, come vicari di Cristo, avevano il diritto di concedere e togliere la cororra a tutti i re e gl'imperatori
favore
dei
della terra. Il conflitto scoppiò sotto I'ambizioso e prepotente Filippo il Bello; ebbe origine dal fatto che il re, sempre bisognoso di denaro (tanto che non ebbe vergogna di diventare tra i monarchi il piùr famoso dei falsari), impose una tassa sul clero francese. Bonifacio VIII, geloso delle prerogative della Chiesa, con la bolla Clericis laícos (25 Íeb. 1296) vietò a tutti gli ecclesiastici di pagare tasse senza il consenso della Santa Sede: di rimando Filippo vietò che si levasse denaro dalla Francia, con ciò arrestando uno dei piir larghi cespiti della Chiesa. ll contrasto si andò sempre più inacerbendo; il papa convocò il clero francese ad un concilio, da tenersi in Roma il primo novembre 1302, ed il re, con inaudito ardire, fece bruciare la bolla pontifrcia davanti N6tre Dame di Parigi. Bonifacio, nel concilio tenuto in Laterano, pubblicò la famosa bolla Unam Sanctam (18 nov.), con la quale affermò il dogma che ogni creatura in terra era soggetta al vicario di Cristo; Filippo il Bello convocò un parlamento nazionale al Louvre (13 gen. 1303), il quale pose sotto accusa il papa appellandosi ad un concilio generale. Oramai le cose erano giunte a tal punto che non v'era piir possibilità d'accomodamento. Il frero Bonifacio Vlll, che non ebbe mai timore di cosa alcuna, si preparò alla lotta ad oltranza; si accinse a far uso degli estremi mezzi ed a lanciare contro Filippo la tremenda arma della sco' munica. Questi non era in condizione di poter reagire con Ia forza muovendo contro Roma "i Il Mohler (p. tof) parla diÍfusamente della i Caetani non figurano tra i beneficati.
perchè
divisione delle terre colonnesi; caduto
in un
preconcettoerrato, nonsa spiegarsi
Conflitto con Filippo il Bello.
ATTENTATO DI ANAGNI
172
Ub.lll,
Cap.
{XII.
Missione con un potente esercito, come anticamente erano stati soliti fare gli imperatori germanici; perciò ricorse all'espediente di mandare in ltalia Guglielmo di Nogaret, suo fidato scherano, per cercare di tacitare I'awersario, sia suscitando una ribellione, sia ricorrendo a qualche temerario colpo di mano. Per compagni gli diede il fiorentino Giovanni Musciatto Guidi de' Franzesi, detto mon scígneur Mouche,") Thierri d'Hiricon e Giacomo de Gesserin. Le lettere patenti che conferivano a questi signori o I'inaudita missione >, come dice il Renan, di arrestare il papa, sono datate
del Nogaret'
col
7 mano 1201.
v
Pianta del quartiere Caetani
in
contrada Castello
di Anagni'
motivo apparente doveva essere di diffidare il papa e di chiamarlo davanti ad un concilio che defrnisse la validità della sua elezione. In realtà, credo, gli emissari del re non avevano un piano definito, ma contavano sulla animosità dei'nemici del papa per suscitare una ribellione che, debitamente guidata, avrebbe offerto I'occasione di annientare o almeno scuotere I'autorità despotica di Bonifacio VIII e con ciò salvare la posizione del re. Gli emissari si .andarono al castello di Staggia, presso fermarono a Firenze per prowedersi di denaro e poi Poggibonsi, da dove ,i rnir"ro in relazione con i nemici del pontefice e prepararono il colpo. In
ll
un
ù llz2 dic. 1296 Bon.Vlllconcedevalicenzadi costruire 'a Bícío el Campollno dîcto Musclallo ac Níeo'
monastero
lulío,
fiI!ís
quonilam Guídonís de Ftancesls ile Fíghíno, míIílís'
frabíbus, laícls Fesulane díocesls
(Dígatil, n. l5l2). Mercalotes
florenlínì de socletale FtancÎsorum
{Iol, n.
l57S),
Cospirazione
[7 mar. - 7 set. 1303]
173
breve tempo riuscirono a forrnare una vasta cospirazione tra i baroni della Campagna che piìr avevano da lagnarsi della sempre crescente potenza dei Caetani. Anche una parte degli Orsini, ispirati dal cardinale Napoleone, diede il suo assenso. Le trattative furono condotte con somma congiura segretezza, ma il Nogaret, sino agli ultimi giorni, non manifestò agli altri il modo brutale e dei baroni' sacrilego a cui era disposto ricorrere. Alla fine di agosto corse voce che il papa intendeva passare ad azioni estreme; I'otto di settembre doveva promulgare la bolla Super Petri soliol) con cui sopraffare il re con tutto il peso delle armi spirituali. Non c'era tempo da perdere: solo un colpo di mano, per quanto temerario, prima che la bolla fosse promulgata, poteva stornare il corso degli eventi. ") Il Nogaret accorse a Ferentino ove convennero i congiurati ; presi gli accordi, la notte tra il sei ed il sette del mese, partì alla volta di Anagni con varie centinaia di cavalieri e di uomini d'arme. b) Tra questi v'era Sciarra Colonna, avido di vendicare le offese arrecate alla sua Casa, e Rindldo da Supino, che non poteva dimenticare gli interessi privati e I'onore familiare offesi, ") ed a lui si unirono il figlio Roberto ed il fratello Tommaso da Morolo. V'erano inoltre Adenolfo e Nicolò Conti, figli del fu Mattia " de Papa ", Goflredo Bussa e Giovanni II di Landolfo II da Ceccano col figliolo Goffredo, marito di Maria di Giacomo da Supino e cugino di Govanni Ill da Ceccano, che Bonifacio VIII teneva rinchiuso in duro carcere. Costoro erano tutti parenti o affni dei Caetani. Ad essi si unirono Massimo di Trevi, Pietro da Genazzano, Orlando e Pietro de Luparia ed altri molti di cui non si fa memoria. Quanto odio e quanta sete di vendetta li accomunava
!
All'alba la schiera di congiurati forte di 600 cavalli e 1050 pedoni armati, salendo silenziosamente per la strada di campagna che conduce ad Anagni e, a)
I
precedenti ed
i
preparativi per I'attentato
di
Anagni
sono ampiamente descritti dal Renan nei suoi: É,fudes sur la polí!îque telÍgíeuse du ùgne de Phílíppe Ie Bel.
b) Molti storici afrermano che
i
congiurati partissero da Sgurgola, anzichè da Ferentino: ciò non è verisimile, perchè Sgurgola era terra dei Caetani e così grande schiera di armati non avrebbe potuto adunarvisi senza venire denunziata al papa dai dipendenti della Casa. Del resto sappiamo che Sgurgola fu catturata dai ribelli lo staso giorno deli'attentato. Il Sindici (Ceccano, p. l5l) scrive: Lacospírazione conforme a documentì esístentÍ nell'orchít;ío della segretería comu-
nale
il|
Ferenlíno
fu orillta nel loro feudo di Ceccano nella Ia < Píeha Rea u o < Píetra del
conlrada anche oggí detta
r) Ct. Dupus, p. l8l.
Mal
Via di
Anaeni. Assalto.
costeggiando
il
monte dal lato setten-
, oícíno a Bosco Faílo e non gîà nella Sgugola Tetrínoni (Cl. L[or., XXYll, p. 273 ; D(XXI, p. 45).
Consigllo
come asserl
iI
Il De
Magistris opina che il nome si ricolleghi alla congiura che Benedelto Caetani Palatino ordì nel 1340 per impossessarsi di Anagni.
") Rinaldo diventò acerrimo nemico dei Caetani,
costretto a tacere quando,
nel
perchè
1299, I'arcivescovo Adenolfo Conti
fu invitato a donare i diritti su Sgurgola a Pietro Caetani propler seníIîa gue tecepímus et speramus rccípere (Ct pag. 126) e perchè sua sorella Maria, moglie di Francesco Caelani, nel l2g5 fu costretta a separar.si dal marito e a fare voti di cctità quando questi venne elevato al cardinatato
suo parente
(Eir. K., p. Bt; Dupug, p. 3ll).
ATTENTATO DI ANAGNI
t74
Lib.Ill,
Cap.
XXII.
trionale lungo le fortificazioni alle quali è appoggiata la cattedrale, si avvicinò alla porta -T--foll- :h" Adenolfo J" pup" ed traditori di Anagni fecero trovare aperta. Con lo stendardo della Chiesa e con le bandi"r" di Francia spiegate al vento entrarono in città, seguiti ed acclamati dai citta-
i
,,, dini di parre ghibellina.) e si avanzarono al grido di z u Víoa Í|rc di FrancÍa e Colonna! u Morte o popo Bonífacío eil aI Marchesel " Al clamore, così riferisce'un testimonio oculare, quanto uomini e donne balzano dal letto, aprono le porte domandandosi I'un I'altro Ia ragione di papa ed accade, ed in un momento si sparge la notizia che Sciarra era venuto per prendere il
Difesa dei nipoti
di Bon. Vl['
l)
Intanto i congiurati, divisi in varie squadre, movevano all'assalto e' Per le anguste e ripide strade, si avanzavano verso contrada Castello' Il quartiere dei Caetani era posto ivi, sull'alto del colle, sul quale poggia Anagni, e adiacente cui alla cattedrale. Era formato da un aggruppamento di caseggiati, di torri e di palazzi, tra b) Gli edifizi, primeggiavano per mole e per imponenza quelli del papa e del marchese Pietro. ,"puru,i cla vicoli, giardini e piccoli orti erano collegati tra loro; su due lati erano protetti d"ll" *uru castellane, sul terzo dalle antiche mura della arx romana e sul quarto erano limitati mole dei due palazzi suddetti. Il quartiere era eflettivamente un vero recinto fortificato dalla grande -n"rro piazzad"l Coni", sovrastava la nuova torre che il marchese Pietro si era fatto costruire' u "ui, del pericolo imminente, approntarono la euesti ed i frglioli Rofiredo e Benedetto, avvisati a raccolta i propri uomini d'arme e familiari e quelli del papa e de' cardifesa, J) "hiu*undo permetteva la dinali. Le strade furono barricate con travi ed altri impedimenti, come meglio 2) si scatenò furiosa ristrettezza del tempo e la battaglia, a quanto asserisce lo stesso Nogaret, e durò molto a lungo. I Caetani si difesero valorosamente, tirando quadrelli e frecce dalle finestre: sui nemici di cui vari dall'alto delle torri . dull" finestre gettavano sassi e precipitavano macigni furono feriti ed uccisi. chiusi vennero Finalmente però, giunti rinforzi agli assalitori, prevalse il numero. I passaggi diede forzati ed il nemico, f,enetrato nel centro del quartiere, ossia nella piazza del duomo, Francesco Caetani, l,assalto alle case meno forti dei nipoti del papa ed a quelle del cardinale di Gentile cardinale di S. Martino ai Monti, del cardinale d'Orvieto e di Pietro Ispano, vescovo di Sabina, e vi penetrò mettendo ogni cosa a sacco. Non omisero di svaligiare anche gli uffici per usci degli Spini, b"n"hirri del papa. I principi della Chiesa si salvarono a stento, fuggendo ,.tiortunti (il Walsingham dice per la transenna d'una latrina) e, travestiti' cercarono scamPo del vecchio Pietro Ispano che, per nobiltà d'animo, volle rimanere fuori della città, ad """"rion" ed il pericolo. fedele al suo signore e si rifugiò presso lui per condividerne la sfortuna Allora il marchese Pietro, i figlioli e i seguaci si trincerarono nel recinto piìr ristretto, cattedrale e che, formaro dai due grandi palazzi e dagli altri edifrzi che li congiungevano alla d) dal lato di settentrione, erano appoggiati alle mura castellane.
ucciderlo.
") ll
vescovo Crist. Caetani nella sua biografia
di
Boni'
facio VIII (p' 19) ricorda le cinque principali famiglie di pa*e ghibeliina e cioè: i De Rossi, Rospi, Mauri, Danzi e Musici' b) Una descrizione più dettagtiata dei palazzi e del quartiere è data nel capitolo LV. c) Il Nogaret cercò poi di scusarsi serendo: ,.. quoìl dÌclus Bonífacíus Paraùerat ínsídlas dicto GuiI'
lelmo per ílinera, el maxime sí oenísset Anegníam, ín pdculum mortís oel crucíalus corpois GuíIIeImÍ ípsfus (Dupug, p' 442); ciò che era una Pura invenzione perchè il paPa era completa' mente inconsapevole della Progettata congiura'
r) CÎ, Fcdcle Au'
z) Duquv, pp'
247
'
331
'
443'
d)
Il
Fedele, nella sua monografia sull'attentato, non
si
è
reso conto esatto, credo, della organizzazione iuterna, direi difensiva, del quartiere; nega che il palazzo fosse congiunto alla cattedrale ed in ciò ha ragione se vuolsi partare di un corridoio speciate o dell'esre il palazzo addosto alla chiesa' Ma per
gli awenimenÌi di cui parliamo non v'è bisogno di a tale ipotesi. Il quartiere papale era formato da un agglomerato di ediEzi solo in partc addossati l'uno all'altrol tra spiegare
ricorrere
ricorrevano vicoti, piuzette, cortili, orti e giardini le cui mura cinta, collegaado un edifrzio all'altro, formavano un tutto cod' tinuo, un dedalo se vogliamo, per cui si poteva pasare al co'
xi di
t75
Colpo di mano su Anagni
[7 set. 1303]
Le condizioni però erano disperate. Assediato e
circondato da
tutti i lati, Bonifacio
pensò
Armistizio.
di chiedere una tregua a Sciarra, nella speranza che nel fratíempo gli anagnini, pentitisi, si sarebbero sollevati in suo favore o che il cardinale Francesco, i parenti, i castellani delle terre vicine e la loro gente d'arme, saputo dell'attentato, sarebbero accorsi per liberarlo ; ciò non avvenne per la stret' tezza di tempo. D'altra parte i cittadini, i quali a tanto rumore di guerra si erano riuniti in consiglio sulla piazza, intimoriti dalla gente armata del Nogaret e sopraffatti dai compaesani, seguaci dei congiurati, permisero che tumultuosamente venisse eletto a capitano del popolo Adenolfo de Papa, figlio di Mattia, l) nemico capitale del papa. Questi naturalmente li dissuase d'intralciare I'opera nefasta
del Nogaret e di
Sciarra.
Scaduto l'armistizio, i congiurati si scagliarono di nuovo all'assaito del quartiere papale al grido .. Addosso, addosso/ ,, Pietro con i figli e con i loro familiari si opposero strenuamente. Impotenti a penetrare nei palazzi, i congiurati misero fuoco alla porta Matrona della catte'drale, posta dal lato del campanile e, bruciatala, entrarono nella chiesa e la saccheggiarono. Nel conflitto cadde ucciso il vescovo di Strigona ") e, sino a non molto tempo fa, credevasi rawisare per terra la rnacchia del suo sangue. Fugati i canonici, Sciarra e Nogaret avanzarono per il passaggio coperto, o serie di porticati, che in prossimità delle mura castellane congiungeva il duomo alla dimora pontificia. 2) I nipoti del papa, presi alle spalle, fecero I'ultima resistenza. La battaglia però era disuguale sicchè Pietro e Roffredo, che ne avevano sostenuto I'impeto 3) rimasero soprafiatti e dovettero arrendersi a Sciarra in persona, daii'alba sino alla nona ora, a) ma il secondogenito Benedetto, a quanto riferisce un- testimonio oculare degli awenimenti, si sottrasse alla prigionia passando per una camera privata e, sparendo in quel dedalo di corridoi,
b) cortili e scale, uscì du quul"h" porticina o si fece calare dalle mura castellane. pianse amaramente temendo della loro Quando il pontefice seppe della prigionia dei nipoti vita. I congiurati, liberi ormai di agire a lor piacimento, si scagliarono contro I'edifrzio principale del palazzo e, bruciate e rotte le porte e le frnestre, penetrarono nelle stanze interne. Mi valgo 5) qui della bella descrizione che della dolorosa scena ci dà il padre Tosti. alcune Staoasene iI oecchio pontefice nelle sue stanze aspettando la morte. GIí corsero Iagrime per Ie gote: ma come utt fracassarsì Ie poúe, e oíde appìccaîoisì íI fuoco, quasí << oergognando di quel píanto, lo asciugò, e dísse a due chencí che glt erano daccosfo: Se ota per trailígione io son pîeso, came alt)enne a Cristo, e eondotto nelle maní de' mÌeí nemici ad '"rru, ooglio e desídero maríre da pontefice sommo ". E cíò detto, sí rioesti della cappa ^oi;o, pontificale, ímpose aI capo i! triregno e strìnse nelle mani Ie chiaoi ed una uoce, che premenilola aI petto e baciandola, paîeoa che ne oolesse trarre quella fotza che tsí lascíò Críslo, insegne, domaf.rìce dell'errore e della ingíustízía.") E cosi come èra circondato delle sacerdotali perto dal palazzo at duomo e nel quale si svolsero i combatti' menti, Il marchese ed i figlioli, gradualmente cedendo una posizione dopo I'altra, si ritirarono verso i due grandi palazzi' quello proprio e quello del papa, sino a che, respinti e con le spalle al muro, dovettero arrendersi a Sciarra' a) Gregorio di Katupani, arcivescovo di Grau, ucciso da Orlando, primogenito di Pietro de Luparia. Ct' Feilele l'f', doc' xlll' b) Alcune cronache parlano soltanto di Roflredo e Bene-
detto; le testimonianze del Nogaret accennano soloa Pietro ed a Ro6redo; la cronaca l\'Îarc. Magliab. (Bíbl. Naz. Fírenze, xXV-19,6. ll) dice: -. fu preso papa Bonifacío otlaoo "' eI marchese suo nepote con
r) 6) îorrÍ,
II
suo fglíuolí'
CÍ. A. De Magistrìs, ia Atc, S.
ll, p.210.
P.'Yll,
Fr' Pipino nel p. 271'
2)
suo
Chronícon
nale ed
il
afferma che unicamente il cardi' conte di Fondi (Rolfredo) riuscissero a fuggire. Credo
(Mur., lX, c' 740)
più probabile la versione da me data e mi pare ragionevole supporre che Benedetto raggiungesse lo zio Francesco, e che esi, unitisi al cardinale Fieschi, tornassero dopo due giorni a Promuo' vere la riscossa (Cf. Dupug, pp. 247-3ll; Mon. Get. Híst.' xy.utl, p. 622; Cíac., To Il-301 ; Mur., XY-Y, Cron. Urbev') ò .,. Papa frcmíIum audíens timore commolus, ornamentis Papalíbus
ínfulatur: ad quern Fraedíclus Pelrus (l) [de Nungareto]
aeceilens, iubet
ut cedat Papatuí,
alíoquín ímmínete íntímat síbi
naledízít eíilem (Io. HocsemlJ, cap. 29, cit, Dupug, Preuves, p' 4). morlem.
At Papa
ccnstanter
Duouu,p.44?. \ Dupuu,p.443.
a) Mon. Get
H6l.' XXVIII' p.622.
Cattura del ponte6ce.
ATTENTATO DI ANAGNI
176
Lib.lll
Cap.
XXll.
iI
ttono e oí sí dssíse, coùendogli i franchi que' due soli anzídetti cardinali. ") ly'on si trooò pure un ltaliano ! La oeneranda canizíe, Ia coscíenza della libertà della Chíesa, per cui era per moir martíre, e I'aníma oeramente grcnde che tutta sí dffindeoa nella faccía e nella postura della persona, e quella misteríosa dignítà che círconda I'uomo a pochi passi dal sepolcto, íncatenò le mani dell'iratissimo Sciarra, che, abbattute Ie porte, entrarta nella stanza a. percuoterc íI pontefice ín quella tremenda maestà. Seguíoalo írto e superbo il Nogaretto, e con píglio da carnefice dísse aI pontefrce: Luí oenire per condurlo ín catene à Líone, ad essere spoglíato della dígnítà papale in un concilío da coru)ocarsi ín quella città per gíudicailo; ed in questo lo traeoa bruscamente dal trono ín cuí era assíso. Cui Bonífazío con incredibile impeto di spírito, sporyendosi: ,, Eccoti iI capo, eccotí iI collo ; io cattolíco, ío pontefice Iegíttimo, io Vícario di Crista allegramente porterò d'essere deposto e condannato daì Pateríní.b) paratíssimo
alla morte,
ascese
Cattura
Ho
sete
sonore
di moile
per
di
Bonifacio
Ia Fede dt
di un fulmine a
Cristo e per la Chíesa ,r. Andaoano queste parole piìt percuotere quel ribaldo. Era inerme Bonífazío, md una trapotente
o) Cardínales oero tímenles rclíclo eo fugerunl, exceplís dom. Petro Hlspano Sabínen. & dom. Nícolao Hostien. Epíscopís (Dupug, Preuves, p. 3). ù
,.,
El,
cum papa posìIus esset ad rctionem, an oellet papa.
tul renuntiare, dlxít conslanter, quod non, ímmo cicius oellet perdere capud I et díxít ín suo oulgafi: " Ec Ie col, ec le cape I " quod est i!ícere: Ecce collum, ecce ccpudl (Relatio de Bon. ' capto etc., Mon. Ger. Hrtf., SS, XXVllt, p. 623). ,.. Et lpse papa seilens ín sede sua cum omalu papali tenensque ín manu crucem cuí erct domlníca ímago ínfixa, talía ínlrcpÍde rcsponilísse
fetlut: u Ego non sum
heretícus, sed patet
herelícus, eI sícut constat fuít et pto heresí condemu. (Arm. Weichardi de Polham, Mon' Gen Hr'sr., SS. IX, p. sl6). ... ma come magnanírno e oalenle dtlsse: " Da che pet trctuus
fuíl
nclas
dímenlo, come Gesù C'fsto ooglío esseîe pr6o e unoíenmí mo-
rtre, almeno ooglío mofire come Papa; > e dí ptexnte sí fece parcte dell'ammanto dí San Píeto, e an Ia corona di Costantlno în capo, e con le chlaoí e ctoce ín mano' e posesÍ a seilerc ín su Ia sedía papale etc.... II magnanímo papa lí ríspose r) Pubbl in
Fe<lele
VIIL I)
An., e. 12, Cod, chig. L.
Vlil. n6. c.
156 A.
(al Nogaret) ch'era coitenlo esser condennalo e dlsposto pet lí Patefinî, com'erc egli e Ia madre, e Íl padre arsl per Pate'ini. Onde messere Guglíelmo imase confuso e soergognato, (VíIIaní, VItl, cap. D(tll). .,. lemporc ... quo fuíl caplus pet díctum GuíIlelmum de Nogareto, ípse domínus Bonífocíus erct índutus papalíbus, ct crucem ín maníbus sttictam |enebat, et ípsam amplexebatut et osculabatur: et hoc est pubblícum et nolorium íIa quod proba!íone non índíget. (Dupug, p, a}z),
E Francesco Pipino, (Mur., IX, c. 740): Et slatim cruce de oero lígno coram oculís suís posÍta, apertis portís, dum aggtessores cameram
íngreìlerenlut, ínoenerunt eum ettenso collo supta
crucem.
.
A tuui è nota I'invettiva del Poeta: .,. Vuscro ín Alagna entrcr Io fiodalíso, E nel oícaio suo Cntlo esser catlo. Veggíolo un'altn oolla esser deia'; Veggío rínnooellat I'acelo e íI fele,
E ha
oioÍ ladroni essere
ancíso
"'
(Perg',
xx,
só)'
Cattura di Bonifacio VIII
[7 sett. l3O3]
177
oirtìt era ne' suoi occhi, nelle sue parole; quelle oírtù dí Dio che non mai abbandona í suoí mínistrí nelle persecuzìonÌ. Ah ! ne at)essero sempre Ia coscienza e non disonestasseîo Ia úeneranda dignítà sacerdotale strísciando ai píedí de' potentí a mendícare quella forza che è tanto fragìIe, e che i popolí infuriati spezzano ad ognÌ uollo del capo. II Nogaretto, sfolgorato da quelle parole e t)ergognoso, perchè quella ooce dí Paterino gIí toccaoa Ia memoria del suo aoo, che Paterino era stato ed arso come eretico, non traoò oerbo a ríspondere. Ma iI bestiale Sciana trooò parole e modí degni dí lui; ed oppfimendo dí contumelie iI oecchío pontefice, gíunse fino a percuaterlo in oiso con un guanto.a) Disperati queglí scheraní dí poter píegarc quell'aníma indomabile dalla fona, Iasciarono iI papa strettamente guardato da' soldati, e sí tsolsero ai loro che furíosamente ponet)ano a sacco íI palagio. Dirubato íI tesoro, spaîse le reliquíe de' Santì a îapbne il prezioso, lacere Ie scrítture e í pritsilegi della romana Chìesa,b\ per tre di sí raooolse quel turbíne per Ie papalí stanze; nel quale spazio di tempo, fosse che Ia míserìa di que' casí glíene toglíesse íI desíderio, fosse nìego de' custodí per ammazzarlo, Bonifucío non prese cibo di sorta. ") La mattina di quel giorno in cui i congiurati diedero I'assalto al quartiere dei Caetani, il cardinal Francesco, nipote del papa, temendo della vita, fuggì inosservato, travestito con i panni d) di un suo cameriere, e si riparò in una sua terra presso Anagni, che suppongo sia stata Torre. Non v'è dubbio che il cardinale, pínguís iuaenís et robustus, unitamente al valoroso ed energico nipoté Benedetto, si adoperasse immediatamente a chiamare a raccolta tutta la gente d'arme, i vassalli e i fautori di casa Caetani. A capo delle rnilizie di soccorso si mise il cardinale Luca Fieschi, a cui si unì Romano Orsini con sua gente. Il lunedì, l0 settembre, entrarono in Anagni, favorevolrnente accolti perchè la parte piìr iana della cittadinanza, resasi conto della enormità dello scandalo awenuto e temendo il male che ne sarebbe derivato, aveva prevalso sui faziosi. Il popolo prese le armi mentre le campane di Anagni suonavano a stormo; la folla, dicesi di diecirnila persone, si awiò j verso il palazzo papale al grido ., Mora li
Liberazione.
forestíeri! " I congiurati, sorpresi da questa sommossa inaspettata, cercarono di difendersi, ma sopraffatti dal numero dovettero cercare salvezza nella fuga. Nogaret rimase ferito nella mischià ed unita-
a) (CÍ. BaîIIet., p, 225). Lo schiafio di Sciarra è certa' mente una leggenda, ma è probabile che egli ponesse le rnani addosso al pontefice e lo scuotesse' Ciò è confermato dalle parole di Benedetto XI ... ín eund.em pteilecessorem temeraiís ímmo sceletat1s,... ínîectís maníbus efrenís (Reg. Ben, XI' col, eSl). Anche nella bolla di Clemente V è detto '.. et ín eum manus míserat oíolentas (Dupug, pP, 57g,lSO). alcuni, anche cronisti
antichi, andarono oltre afiermando perfino che Bonifacio
ferito e
venisse
sanguinasse.
b) Il Nogaret saccheggio
osò affermare
di
avere protetio
il
tesoro
a cui si erano dati i nipoti (l ? ?) ed i famigliari
dal Schiaffo del di Sciarra.
p. 445), ma in altra parte leggiamo: .,. el sanclorum relíquíae rcPIa et díspera fuerunt per eundem GuíIIeImum et alíos, et pluríma príoílegía, et literce scrlplae minutís et cartís anlíguís, donatíones, Ímmunílates, Iíbertates, emptíones, acquísíIíones, et iuia alia Romanae Ecclesíae conlínenles concessa ab Imqetaloríbus, Regíóus, Príncipíbus, el alíís Calholícr's Cirr'stfanr's lacerata fuerunt' papa (Dupug,
ramente lagnandosi
(Dupus, p. a72). c) Sifridus de Balnhusin nel suo Compendíum híslotíarum cosi si esprime: .,. ípse nullum cíbum amplius sumete ooluí|, sed. cum aó sur's amrcr'ssfmís rcgaretur, uI cíbum capetel, cum
dio sull'attenlato, pubblicato nel no 4l del Bullettino dell'lst.
stata Sgugola perchè, il giorno stesso dell'atteútato, venne Presa a mano armata dagli anticH proprietari.
Il
Nogaret, che non era Presente
in
quell'istante, nega che
gli si usase violenza e di continuo afiernrò nel processo d'Aviguone d'aver difesa eficacemente la incolumità del papa, ama-
di essere stato accusato quod ín eum manus oíolentas íníecímus (Dupug, p. 3s2), ma non negò che lo Sciarra fosse coìpevole. Ciò corrispondeva alla verità; infatti i difensori di Bonifacio, che durante il processo di Avignone si valsero di ogni elemento per vilipendere il Nogaret, non lo accusaxono di tale atto sacrilego (/ur', p. a00). Di questo punto ampiamente discute il Fedele nel suo stu' Stor. Italiano. Domus,
l,
23,
índígnalíone rcsponilíI: u NoIo comederc, nolo amplius oíoere ! > (Mon. Gen Hr:rt., SS. XXV, p. 716.) d) G. Dígaril: lJn Nouveau Recit de I'Att. d'Anagni, Reu. Quest. Hr'sf., XLIII, p. 557..., AufuCtt ad certum locum satís ptopínquam Anagníae -. (Dupug, p. 3l I ). Non può essere
ATTENTATO DI ANACNI
t78
Lib.
tll,
Cap.
XXll.
mente ai Colonnesi fu scacciato da Anagni, mentre il vessillo di Francia, abbandonato in mano alla popolazione sdegnata, venne strascinato per il fango delle strade. u) I nipoti del papa, che da tre giorni stavano prigionieri in casa dei figli di Mattia, furono liberati. b) Si aprirono le porte del palazzo ed in capo alla scala apparve il vecchio pontefrce, accasciato dall'umiliazione patita, ma lieto di ritrovarsi finalme.nte libero in mezzo ai suoi. Parlò
Ritorno
a Roma.
r) al popolo ed in uno slancio di generosità perdonò a quanti lo avevano offeso. Digiuno da tre giorni, ") accettò il pane ed il vino che gli offrirono le popolane. II 14 settembre partiva per Roma. ll tragitto prese tre giorni; Ia comitiva procedeva lentamente, essendo il papa esausto e sofferente per le emozioni patite; vicino gli erano'i nipoti nonchè il cardinale Matteo e Giacomo Orsini con i loro armati. Da Roma gli venne incontro una schiera di 400 cavalieri, e bene a ragione perchè la strada era fiancheggiata dalle terre dei Colonnesi. A quanto riferisce il cronista pannense, non mancarono Ie offese e molti dell'una e dell'altra parte perirono negli scontri. Il 17 settembre entrava in Romad) trionfalmente accolto dal popolo e, dopo essersi fermato due giorni al Laterano, si ritirò nelle sue stanze in Vaticano. AIlo sdegno per gli insulti patiti si aggiungevano la sete di vendetta ed i dolori causati da un rincrudimento del suo mal della pietra. Intanto gli Orsini lo circondavano e lo tenevano come prigioniero. Volle sapere la verità. Chiamò presso di sè Napoleone Orsini di Castello e Io tenne a mensa; per irritarlo contro i Colonna gli raccontò che Sciarra gli aveva detto che la sorella di Napoleone era stata resa incinta. Ma Napoleone gli rispose : u Tantì tagazzí sono in casa, che I'haoerranno potuta ímprennaîe, ma hora mai saría tempo di perdonare aIIt 2) Colonnesí. r, Il papa rifiutò e gli Orsini lo tennero sotto piir stretta guardia. LJna sua lettera, invocante aiuto a re Carlo, fu intercettata. Tutti prevedevano che il dramma volgeva verso I'epilogo, perchè non era difficile capire che al vecchio Bonifacio era stato inferto un colpo mortale. Era t"n" pr"porarsi per il prossimo conclave e già Federico di Sicilia era accorso in Roma. Anche re Carlo, il 28 settembre, si accinse a partire da Napoli unitamente al frglio Roberto, forse animato dal desiderio di proteggere lo sfortunato pontefice dal quale, in vero, a volte era stato maltrattato, 3)
ultimi
istanti.
ma al quale doveva esser grato per avergli assicurato la malferma corona. La salute del papa andava rapidamente declinando ; s'awicinava la fine; la partita era perduta. I seguaci dei Caetani, sentendo la tempesta awicinarsi, si sbandavano; da ogni lato si ribellavano le terre a loro soggette. Le violente e continuate emozioni avevano acutizzato il male di cui soffriva Bonifacio e provo' cato nuove coliche nefritiche. GIi atroci dolori gli facevano emetter grida che rintronavano nelle vaste sale, e quelli che I'intesero le paragonarono al ruggito d'un leone. Per ealmare il morente gli fu portato innanzi Gaetanello, il giovane figliolo di Giacomo Gaetani di Pisa, a cui tanto era affezionato e che soleva portare in braccio, ma esasperato dagli spasimi lo cacciò insofierente. Il Dupuy nelle sue Preuoes 4 pubblica la lettera di un fide dignus diretta agli amici in Francia nella quale si comunica la lieta novella della morte di papa .. Malefacius ,' e si Il
a)
Nogaret ad Avignone ebbe la sfacciataggine di
rire di essere partito di suo buon grado, avendo chiesto
di
prendere
la
custodia della persona
gli
del papa e
del
tesoro (Dupug, p. a 5). b) .,. propter díIígentían et curam díctÎ GuíIIeIni (de Nogarcto) tano,
oíta saloa tunc fuít díelo Bonífocío, ilÎclo Pelro Gaíì' eíus líberts, cum, nîsí íilem GuíIllelmus Ptohíbuísset,
et
ínterfeclt fuíssent (Dupug,
\)
Dupuu,
p.445.
p.
c) ... Cumgue lÍmore oenení iam tríduo íeíunasset, quídam
asse'
anagnini
de
suís cocta síbi porrígít ooa
p,3,
'Ù CÍ. Feilele 11,.,
quae prcPteî lesÍarum ínte-
p. 557) aferma che il papa rientrasse il 12 gett.
2a8)' 2') Infessura,
tia,
grítalem oenení suspícíone carebant. cuí Papa quasí alienatus, TaIía, ínquí|, prcndía tÍbí consueúímus míníslrcre. (Io, Ítocsemíj, czp, 29, cit, DuPug, Reuves, p. 4). O La cronaca di Grenoble (Reo' Quesf. Hrtt', Xllll'
docum.
) Dupuu" o' 6'
Fine
[14 set.-12 ott, 13031
t79
dà una descrizione delle ultime ore del pontefice. Riproduco questo curiosissimo documento perchè esso è una dimostrazione lampante di come i nemici di Bonifacio deliberatamente travisavano la verità e con quanta voluttà foggiavano calunnie per dar sfogo al loro odio feroce. ") Ad esso il Davidsohm ha largamente attinto. r) Questi nemici vollero che Bonifacio morisse in un accesso di rabbia, rodendo un bastone, mangiandosi le dita e cozzando la testa contro il rnuro sino a cadere esanime col capo rotto ed i capelli insanguinati e che al momento di spirare rifiutasse i sacramenti; per infamare Ia sua memoria raccontarono che a Giacomo Gaetani di Pisa, che lo esortava a raccomandarsi alla Vergine, rispondesse: .. Non credo ín essa pfù che ín un'asina, nè ín Cristo più che nel figlio dell'asína! 2) e violentemente respingesse i sacramenti gridando z AII'onta de Dio et de Sancta " ', Maria, nolo nolo ! " t La verità è tutt'altra: giunto al momento supremo, scemò il martirio della carne, tornò la calma; il grande ,. papa imperadore ,', assistito dal fido Giacomo Gaetani di Pisa, si con3) e serenamente spirò il giorno undici di ottobre 13A3. fessò in presenza di otto cardinali Raccontano i contemporanei che, morto il pontefice, si oscurò il cielo e si scatenò un violento
a) Caússímí, quantunque ío sappía poche cose degne dí nala, tuttaola, afinchè oot non possíate ímputatml pîgrízía clí ilooere, dt pena e dí penna, oi scrÍoerò alcune cose che sí díoulgano presso noi nel momento atluale. Innanzí tutto dírò delI'ultíma malattía e àel hansíto ilel defunto Malefaclo, una oolta capo di S. Romana Chiesa, e ilí ques!í fattl che eruno accadutí ín Roma alcunÍ gíomí príma lella morte dí lui, e che sono slatí notstí da tultí coloro che oollero oetleil' II giomo 9 ottobrc ptosslmo passato, peianlo, comqrcntlendo e considerundo esso Farcone che non poteùa poîtaîe a \ermlne I malertcî da Iuí îníziatl, aooîcínandosí íl lemtíne di sua mofle, confessà che egll aoeoa eil aoeoa aoulo demoní ptloati, secondo i preceltí dei quali aoeoa operoto tulte quelle cose che aoeoa compluto,
nè
aoeùa alcuna
tacoltà da loro
dl
rcoocark
ín
qualsíooglía
moì!o: e aggaoanilosí l'lnfermítà ìlí luí e progredendo dí male ín peggio, rtmase furíbonilo duranle un'íntera gÍornata, ed aooenne che íI giomo sfesso e Ia noile successloa lntomo alla casa dí quel !íranno sl uilhono tuonÍ cosl foill, si scatenarono così ortlbÍIî lenpeste, appane tale una moltítudine dí uccellí nefi onibllmente schíamazzanlí, che
pauta gídaoa ail una ooce:
"O
íI
popolo sorpreso da soúerchía
Sígnore Gesù Cilslo, abbí píetà,
abbt píetà dí noí "; e finíto I'uragano afermaoano tuttî che oeîamente erano statÍ questl demoni ínfernall che cercaúano I'anlma dî quel Faruone. Ma íI decímo gíorno successíoo, mentre coloto che gll ercno pîìt íntíml îaccontaoano aI medesímo quanlo era successo, e Io esottaúano salulatmente a proooedete uscíte
a íI
ín díoersa gulsa all'aníma proqía, perché non poteoa dal corpo e ooleoano induilo a confessare I peccatt suoí,
professare
Ia
legge e Ia
feile cattolíca, a ficeúere deoolamente
ìlel Saloatore che sí era fallo poilare onoríficanente, come conoeníoa, eglt slesso lnoaso dal demonío, con mercoÍglía dî tutli, índlgnato, fremenle e stríngendo I denlÍ conlro colui corpo
che tenela íl cotpo del SÍgnore, quasl oolesse díoorcte íI ptete slesso, senza ilù nulla sì ooltò dall'altru pade. Il sacerd.ote poÍ uscì dall'aula e lornando ín fuga alla chíesa, rípose í! corpo
del
Slgnore nel suo luogo.
t) Daoîd. G., lll, p, 253.
E lo
stesso
gíono
2) Dupuu, pp. 536,
aolenne
539,
che, mentrc eglí Malefocío, sì era fatto portare ín una cella pfirtata, coloro che I'aoeoano trasportalo, tbanilosí tla una patle, oídero e uilftono come méglío potetono quel ttanno prendere I'anello (cf. pag. 65) e, fissando lo sguardo nella píetra dell'anello medesímo, úpelere con la bocca prcpría: n O ooí spbítl maligní, che síete statì chlusÍ nella píetru dl queslo anello, che ml aoele sedotto ed íngannato con í oostrí incantesími e Ie aoslre callít)e Iusínghe, al qualí ho ptestalofede, aî qualí ho dímostralo anehe
acquíescenza, perchè
non
mi
gíooale
?
mt
abbandonate
?
Perchè ín altrc maníera
>
Ed ímmantlnentî, getlando lonlano I'anello, lornò ín caneta sua; aggrcoandost la malatlía e Ia rubbía ili luí e petseoercndo partmentí nella sua ínfquítà, confermò, rutíf.cA eil ín brcoi parcIe nuooamenle pubbltcà I proeessí che aoeoa fatto conlro íl rc di Francla e I famílíatl dí luí, non chetultele caltíoeazíoni che aúeoa díanzí compíule. Per albo, tuggendo eglí a modo df leone per i dolotí, quell'ínfame era ín lali condízíoní che gIí astanlí scappaùano sotto gIí occhl suoí ctedendo che sìcutamenle díoetebbe fufibondo anzi píù precísamente che egll dioettebbe un díaoolo. In seguíto poi gli amícl suoí, compîendendo che eglí satebbe timasto lta cosl gtanilí ansíetà, per compasslone e stcwí dl faryIi qualche po' dí bene, pet mltigarne í ilolort, glf condusseto íI figlío del Slg. Gíacono dí Písa, che soleúa per I'lnnanzí tenete a proptío sollíeoo e poilare sulle bruccía, allo scopo dl glortficare sè nel peccalo, e che con pattlcolare afezlonc aoeoa predlletto píù dí ogni altro essete umano; ma appenachè oíile íl detto ínfante, oolgendosl oerso Io stesso, sembtaoa che oolesse i!íoorurlo e, se non fosse stato tolio di Ià, aorcbbe shappato lI naso ilell'ínfante con i dentí. Fínalmente iI detto Faraone íI I 2o gíorno seguente sl spense, slrczíato da cruccÌ díoercí pet oendetta dlofna, senza che aoesse pteso íI corpo df Gesù Ctíslo, senza confessíone, senza fare alcuna professíone dÍ tede: nel gual giotno apparoeto lanto ganilÍ tuoní, nembt e dnghí ín aúa chc lancíaoano dalle bocche una specíe dÍfuoco, baglíori e segní díoersí che il popolo ilí Roma creileoa iloúessero illscenclere nell'abísso la cíllà e la plebe. $) /oi, oo. 395, 4O2.
Epistola
di
un
diffamatore.
g h $ t:
i
ATTENTATO DI ANAGNI
t80
Lib.
lll,
Cap.
XXll.
temporale,.) il che ha uno strano rafironto con quanto era accaduto nove anni prima mentre, appena incoronato, si recava processionalmente al Laterano. Il popolo intimorito credette riconoscere in ciò un segno del corruccio divino. b) Trecento e due anni pitr tardi, quando venne aperto il sarcofago prima di trasferirlo nelle cripte vaticane, fu rinvenuto il corpo meravigliosamente intatto; illeso era il capo ed illese le lunghe e belle mani, rivestite di. guanti di seta bianca ricamati a punti d'ago ed omati di perle; intatte persino le unghie lunghe ed afilate. Calma e serena era I'espressione del volto di quel grande papa che volle imperare come sovrano del mondo, non già per soddisfare a vanità personali, ma sinceramente convinto d'aver per missione quella di sublimare la Chiesa
e d'innalzare la propria
casata.
non fo celata aI monilo quello che ce santtòne;
a) Cf. aota precedente. Anche Tolomeo da Lucca (Mur., lXl, col. 1223, rifeùce... mhortque rcoerenlía sepelilut. Quod accíìllt proptet nlmíam aefis iempestatem. b) tl temporale della corona2ione è ricordato dal Dupuy nelle testimonianze del processo, e ad esso allude fra Jacopone da Todi con le parole: Quando Ia Púma messa da te fo celebrcla, oenne una tenebtìa en tutta la conbata
'
h
i
sanlo non temase lumíeru attaPiccíata'
tal
temPwla
là
'oe
Quando
la
è
leoata
tu staoe a dírc. fo celebtata
coronazíone,
Quanntl omlnî
a
I'uscír ile
fù mottl la mascíone,
mlraalo Dío mostÀne quando gIí ert en pìacere. (Iacopone, Laude LVIIL) ll fatto è confermato nei Mon. Gen Hlst., SS, XXW, p. 261 : ... Et ln diem coronalíonfs sue posl cenam, gue tarde tacla futt, cum multi Romani gul lbl ailetant, oellent éescendere quosdam gailus palaríl íuxta Sancta Sanctotum, prlnls cadentíbus proptet prelsuîam, alíÍ supercecldeun!, et alíl allos oppres' setunl usque ail qulaquagínta oítos tam cletícos quam laícos; el
moilul sunl.
Si trattò ili una sempliee disgrazia, ma anche voleva ha Jacopone che foase colpevole il papal
di
questa
Caprroro XXIII.
GUERRA TRA
I CAETANI ED I
COLONNA.
(1303-1312)
coMlNctARotlo i Colonnesi e gli altri nemici a muovere all'assalto dei nipoti di Bonifacio VIII non appena il papa giacque nel suo sarcofago di marmo bianco. u) La fortuna per un momento sembrò avere voltato le spalle ai Caetani e perciò, come è insito nella natura umana, gli awersari presero coraggio e si awentarono addosso a loro per awalersi dello sconcertamento d'animo e della confusione nello stato sempre conse- . guenti alla morte di un pontefice. Le case dei Caetani e dei cardinali di parte bonifaciana Prime aggressioni' vennero assaltate in Rorna ; t) quelli in un primo tempo' si difesero energicarnente nelle loro rocche e nei loro palazzi: a Capo di Bove, nell'isola di San Bartolomeo e specialmente Lettere iniziali (lN) d'una pergamena del 1297.2) nella inespugnabile torre delle Milizie che dominava il quartiere dei nemici. Si fortificarono anche entro Anagni. Piir difficile fu la difesa delle castella sparse per sì grande parte dello stato pontificio e del regno napoletano.
'Lo
stesso giorno dell'attentato di Anagni, gli antichi signori di Sgurgola, Gualgano e Pietro, presero questa terra e con I'aiuto di Sciarra Ia tennero a lungo, giacchè dagli atti del processo di Vienne risulta che nel 1312 tl castello era ancora nelle loro mani. Castel di Giove, che faceva parte, bensì, del contado aldobrandesco, ma che i Caetani avevano regolarmente acquistato, fu preso a mano armata probabihnente da Margherita Aldobrandesca e l.,lello della Pietra, suo marito, verso i primi di gennaio del 1304. Alle rirnostranze di Pietro, il nuovo pontefrce Benedetto XI venne in suo aiuto ed ordinò che entro otto giorni fosse restituito.
ù ... Columpnenses ... una cum quibusdam Ípsorum Gaíta' notum occullís ínímícís et emulÍs quía per se soll non potuissenl ... ínceperunt'et mooerant Gaítanís ... gueftas undíque Íllícílas, grcùes et asperas, ínoadenta, occupantes, deoastanla et derobantes caslru etc.... (Mohler, p. 2?91. L'inv*ione fu ini.iata lo stesso giorno dell'attentato d'Anagni poi si arrqtò per ess€re ripresa più violenta non appena il pontefice fu spirato. Racconta ') Reg. Ben. XI,
col,
657,
2) Regcsla,
p,
125.
un contemporaneo: Et ípsa dle qua dictus domínus papa
fuíl captus omnis populus Rome el tocíus Campaníe se teoelaoíI contra papam el major pars tene el casba que papa emerat matqulsío se rcoelaoetunt conlrc papam et nobíIes homínes, guotum dícta caslrc fuercnl, rccuperaoerunl eI Hrtt., XUlt, p. t57).
ceperun!
(G.
Digard, Reu. Quesf,
GUERRA TRA I CAETANI ED I COLONNA
t82
Attitudine
di re Carlo e dei pontefici.
Situazione
difrcile dei Caetani.
Lib. m, cap.
XXII.
Anche nel napoletano i Caetani furono assaliti nei loro beni. Il castellano di Rocca d'Arce s'impossessò di certi molini ; alcuni baroni s'impadronirono ,dei beni del cardinale Francesco nella città di S. Maria e della casa di Calatrava che Benedetto, ancora cardinale, aveva restaurata. Ma re Carlo venne tosto in difesa dei Caetani e ordinò Ia restituzione del maltolto r) e, in data 23 gtugno 1304, disponeva che nessun suddito uscisse dal Regno per portare aiuto ai Colonnesi ed agli altri che avevano offeso Bonifacio VIII. 2) I Caetani inoltre, con l'aiuto del re, poterono trarre uomini d'arme e cavalli dai propri feudi del napoletano per combattere i loro nemici nello stato pontificio. A prova di ciò vi sono lettere di Carlo II, 3) in data 30 ottobre 1304, con le quali egli autorizza Pietro e RoF fredo a fare uscire dal Regno una compagnia non píccola di caoalíerí e di fantí armalí ... per Ia dífesa sia delle persone che delle tere ùostre che aoete e tenete in Campagna e Maríttima, ed a riguardo furono impartiti ordini di lasciar passare ai comandanti dei distaccamenti che guardavano i passi di Terra di Lavoro e del comífafus di Molise ed Abruzzo. Dell'appoggio sovrano però non c'era da fidarsi troppo; il re nutriva amicizia ben poco sincera per i nipoti del defunto pontefice, e là magnanimità e Ie dimostrazioni di affetto, di cui aveva fatto ostentazione per il passato, non erano state in massima parte che effetto della propria soggezione alla volontà imperiosa e minacciante del papa. Si ricordava di quanto aveva tribolato per tenere a freno le ambizioni dei nipoti Pietro e Rofiredo. u) Perciò, breve tempo dopo la morte di Bonifacio, quando la situazione politica si fu meglio delineata, non mancò di dimo' strare il risentimento per le umiliazioni patite dando prova di nutrire animo piuttosto ostile verso i Caetani, ed a ciò deve avère contribuito anche il dissenso sorto nel 1306 relativamente alla contea di Caserta; essi però trovarono sempre un amico nel figlio di lui Roberto il ciuale, pervenuto al trono nel 1309, estese le sue grazie a Roffredo, a Benedetto ed ai loro figlioli, li prese come suoi capitani d'arme e in ultimo afrdò ad essi i propri interessi nella Campagna e Marittima ed in Roma stessa. Variabile ed incerta fu I'attitudine dei papi che succedettero a Bonifacio VIII; Benedetto XI, che gli era stato fedele corìpagno durante le tragiche giornate di Anagni, fu piuttosto favorevole verso i Caetani; verso i Colonna non prese attitudine ostile, ma si oppose a revocare quanto Bonifacio aveva decretato contro di loro. Invece Clemente V, creatura di Filippo il Bello, poco dopo la sua elevazione, favorì apertamente i Colonnesi sicchè i Caetani furono costretti ad abbandonare Rorna e a ritirarsi nei loro feudi, ove si refforzarono confederandosi con gli altri nemici dei Colonnesi. Per comprendere quanto fosse diffrcile la loro posizione bisogna notare che ben poco numerosi in mezzo a tanti nemici erano in quel tempo i membrr della famiglia. Oltre al cardinale Francesco (t l3l7) e a Pietro (t 1308) non vi erano, come elementi atti alla guerra, che i figlioli di questo, cioè Roffredo, Benedetto e Francesco. L'ultimo, probabilmente ancora giovanissimo, seguiva la carriera ecclesiastica e non partecipò all'inizio della guera. Tale esiguità numerica, a quei tempi, fu un elemento di debolezza rispetto ai Colonna ed agli Orsini, i quali erano numerosissimi, tanto è vero che queste famiglie erano scisse in fazioni opposte che si perdevano
a) Regno
\
in guerre fratricide.
Nel 605
tanto Pietro quanto Roffredo furono chiamati a pr$tare ligio omaggio al sovrano per
(.4rc, Gaet. Arag,, cod. 1308, c. l79b)' Fcdele.,4rl., doc.
IX, X,
XtV.
!)
1uL doe'
Xl.
3)
Atc'
NaP'
R' l', vol' l4l, fÎ' 3gh'40''
i
feudi che possedevano nel
Situazioni strategiche
F303 - 13041
Gò non
t8,
le
ricchezze e tanto salda era la posizione dei Caetani, i Colonnesi dovettero confederarsi con gli altri nemici per cimentarsi alla lotta. ") Nello stato napoletano possedevano due grandi e ricchi feudi di Caserta e di Fondi; ciò Ii rendeva ligi agli angioini sulla cui protezione potevano contare. Lo stato di Sermoneta, Norma e Ninfa, ostante così grande erano
che
i
munito di forti rocche, era un sicuro appoggio nella Marittima. Pietro ebbe premura di affermarvi la propria auforità facendosi solennemente riconoscere dai ninfani come legittimo signore. A tal fine, il 28 febbraio 1304, il popolo di Ninfa, congregato al suono delle campane e per voce di precone nella piazza davanti a S. Maria Maggiore, dietro invito del nobile Giacomo ,, domine Gemme " di Anagni, scelsero per procuratore Fietro ,, Picclonem " perchè si recasser) alla presenza del marchese Pietro a prestare debito giuramento di fedeltà e sottomissione. Anagni, in cui i Caetani erano singolarmente potenti, fu scelta come base di tutte Ie loro operazioni.
Nella Toscana il contado aldobrandesco, come già abbiamo esposto, non presentava stabilità alcuna; Margherita Aldobrandesca e Nello della Pietra suo marito, il conte di Santafiora ed altri ancora, vi accampavano diritti, e continuamente cercavano di farli valere con le armi. Lo stesso comune di Orvieto vedeva con occhio bieco che il contado fosse tenuto in feudo dal battagliero Benedetto Caetani e lo rivoleva sotto Ia propria signoria; perciò non appena in quella città giunse Ia notizia della prigionia di Bonifacio in Anagni, il comune immemore dei beneficî avuti dal papa, spedì truppe per occupare le terre del contado, né mai piìr i Caetani ne godettero paci6camente il reale possesso. 2) La maggior parte degli Orsini, tanto per odio verso i Colonnesi quanto per legami di parentela, presero Ie parti dei Caetani; il loro cardinale Matteo Rosso era a capo della fazione bonifaciana nel sacro collegio; ma tuttavia non potevano prestare valido aiuto ai Caetani dovendo difendere se stessi contro i Colonna, i quali volevano riavere le terre che Bonifacio aveva tolto a quest'ultimi e dato in feudo agli Orsini. Il cardinale Napoleone e alcuni suoi prossimi parenti, però, furono ostili ai Caetani ed al loro partito in seno alla curia. Anagni, ove, come si è detto, i Caetani erano potentissimi, diventò la base di tutto il movimento militare, e per molti anni riuscirono a mantenere il proprio predominio in questa città. Quando gli anagnini liberarono Bonifacio VIII (9 set.), Sciarra Colonna ed il Nogaret fuggirono a Ferentino, città loro amica, donde si erano' mossi per andare contro il pontefice ed ivi furono ospitati e nutriti in casa di Rinaldo da Supino, capitano della città ed alleato del Nogaret. La sua famiglia, ghibellina per eccellenza, eta imparentata con i Colonna: Rinaldo diventò regolare agente del re di Francia in ltalia e per il tradimento di Anagni ricevette un premio di l0 000 fiorini, che gli furono pagati molti anni piìr tardi in Carcassonne e per cui rilasciò quietanza il 29 ottobre 1312. t A Ferentino accorsero pure gli altri confederati, ed ebbe principio la crudele guerra di cui ora diremo. Il Nogaret vi si trattenne qualche tempo, intento a tener viva I'agitazione tra i nemici del papa nella speranza che, per il temerario colpo da lui inferto, sortisse un qualche effetto che gli permettesse di condurre a buon termine la missione affidatagli dal proprio sovrano. Gli venne in aiuto la morte che, l'undici di ottobre, sottraendo I'altero Benedetto Caetani al giudizio degli uomini, lo chiamò a rendere ragione del suo operato davanti al Signore. Lo stesso cardinale Pietro Colonna dichiarava nel ,.. non est oeisímíIe quod lam potenles el locupletatî
a) cesso
t) Atc. Col., LVI-|8. cit.
îorncss., Il, p. 398.
prooírt,
sícut eranl Gagetaní, melum ,,. pali potuerint a Columpnensíbus quí exînanítí etant pet persecutíonem Bonífac|l (Mohler, p. 237). 3) Dupus. p. 608.
Nogaret
a Ferentino.
CUERRA TRA I CAETANI ED I COLONNA
t84
Lib,IIl,
Cap.
XXlll.
I.a notizia certamente riuscì gradita al Nogaret perchè risolveva una situazione il cui esito era pieno di incertezze, anzi minacciava di complicarsi; libero di poter tornare in Francia per riferire al re sulle belle gesta compiute e per riceverne le grazie, si accinse subito a prendere accordi con i signori della Campagna, suoi amici, perchè potessero continuare Ia guerriglia contro Anagni ed il partito bonifaciano e difendersi dalle vendette che i Caetani minacciavano. Il 17 ottobre il Nogaret fece redigere da pubblico notaio un regolare trattato: presentò una lettera del re di Francia, del 17 marzo 1303, in cui si diceva che Guglielmo di Nogaret e Giovanni Musciatto militi, paestro Thieri di Hiricon e Giacomo de Gesserin erano autolirzzati a trattare, far leghe etc. con chiunque per agire contro < certi ecclesiastici ,r. In base a tale documento il Nogaret, in nome del re di Francia, impegnava Rinaldo da Supino, capitano di Ferentino e suo confederato, a muovere guerra al comune di Anagni ed ai nepoti del defunto papa per vendicarsi delle ofiese avute e lavare I'onta de' gigli reali strascinati nel fango delle strade. GIi prometteva consiglio, favore ed aiuto in denaro ed in gente sino a tanto che avrebbe durato la guerra e s'impegnava di risarcire Rinaldo e suoi seguaci di tutti i danni e le spese in cui sarebbero incorsi. r) Compiuta così la propria missione, verso Ia fine del gennaio 1304, Guglielmo di Nogaret si partì con lieto animo non avendo oramai a preoccuparsi d'altro che di tutelare sè ed il proprio sovrano contro le conseguenze del malfatto e di ritrarne ogni possibile proÉtto. Guerra Infieriva l'odio di parte e già, sin dal giorno dell'attentato, si era scatenata la guerra civile. con Ferentino' Il popolo di Ferentino, spinto dal proprio capitano Rinaldo, sentendosi tacciato da Bonifacio come ribelle, si era mosso assalendo Selvamolle, proprietà dei Caetani, ed avutala nelle mani, la saccheggiò e ne distrusse le fortificazioni, le case ed i poderi. 2) Ciò awenne verso [a fine del settembre 1303. Dopo poco però i Caetani sottomisero Ferentino; risulta dal processo di Vienne che il marchese Pietro, forse nel principio del 1304, ne divenne podestà. ') Il desiderio di vendetta nell'una e nell'altra parte non aveva limite. ll primo passo dei Caetani fu di nominare Giacomo' ,,.Theobaldí" sindaco di Anagni e di far stendere il processo contro gli autori dell'attentato; ciò avvenne durante la breve sede vacante che precedette I'elezione di Benedetto XI, mentre appunto il Nogaret concludeva il trattato con Rinaldo da Supino e con quelli di Ferentino a danno dei Caetani e di Anagni. La sentenza pronunziata contro i congiurati fu iscritta negli statuti di Anagni perchè eterna ne durasse la memoria: Rinaldo Conti da Supino il quale, incatenato con i suoi figlioli, era stato condotto dal popolo davanti al papa, ormai iiberato, e da questo era stato perdonato, 3) venne esiliato in perpetuo assieme al fratello Tommaso da Morolo, a Giordano di Sgurgola, Massimo, Stefano, e Balduino, frglioli di Rinaldo Rossi da Trevi, a Giovanni di Landolfo ed alcuni della famiglia Da Ceccano, a Gualgano e Pietro di Sgurgola, a Francesco Graziani e molti altri. Tutti costoro che avevano offeso il grande cittadino di Anagni, furono banditi in eterno, sotto pena di decapitazione se mai cadessero in mano della corte, e fu ordinato che chiunque osasse proporre in futuro di far richiamare o perdonare alcuno dei fuorusciti, fosse condannato alla pena di 1000 fiorini d'oro e della decapitazione.
b)
ù (MohI. K' p. 2a3).ll Carinci afferma che Pietro
epitolo col ttwloz Capítulum exemplatum ex
avesse la
t) Dupus, p.
174.
\
Mohl. K.,
p' 244.
3) Tostí'
oetertbus slatutís
cíoílatís Anagníae de poena proilltorum b.m. Bonífacíí Papae
ni
risulta da alcun documento. Le inimicizie tra questo comune e quello di Anagni rimontavmo al t239. (CÍ, Auoras, Reg. Greg. x, T' IIl, fasc. XI, p- 3). b) tl Ruóeus (Vita Bon. Vlll, p. 338), riporta questo
signoria di Ferentino, ma ciò non
-
Ez
biblìoreca bonse mem.
tani elc.; Cl. Zapp., p. +55.
ll' p'
213.
d.
VIII'
Constanlinî Abbatís Caíe-
[ott. l3O3 - mar. 1304]
Pontificato di Benedetto XI
185
27 ottobre 1303 veniva eletto papa Nicolò Boccasini. Bonifacio VIII lo aveva creato cardinale vescovo di Ostia e questi si era legato a lui con così profondo alfetto e sincera devozione che durante I'attentato di Anagni fu uno dej due sotri cardinali rimastigli fedeli al fianco. Ligio al partito bonifaciano, ma giusto e magnanimo anche verso gli avversari, cercò di sopire gli odi di partito, non esitando tuttavia a condannare i rei. II nuovo papa, che prese il nome di Benedetto XI, fece stendere il processo contro i colpevoli dell'attentato e, il 7 giugno 1304, con la bolla Flagitiosum scelus, rinnovò Ia scomunica di Bonifacio VIII, mettendo al bando Guglielmo Nogaret, Rinaldo da Supino, Tommaso da Morolo suo fratello, Roberto figlio del suddetto Rinaldo, Pietro da Genazzano e suo figlio Stefano, Adenolfo e Nicolò de Papa, Goffredo Bussa, Orlando e Pietro de Luparia, Sciarra Colonna, Govanni di Landolfo e Golfredo di Govanni da Ceccano, Massimo da Trevi ed ahri, rtIii prímogeníti Sathanae et iniquitatís alumpní, per i delitti comrnessi davanti agli occhi propri. E nella bolla il pontefice esclama: .. O ínaudito mísfutto ! O mísera Anagnî, che hai tollerato che si commettesserc nel tuo seno talt delUti! La rugíada e Ia píoggía non cadano sopra te e sÌ ríoersino sopîa altrí montí ; Iascino stare te perchè, mentre oedeoí ed erí ín grado r) d'impedírlo, Egli cadde da prode e piena di oigore fu abbattuto. ,,
Il
Non curante della scomunica e delle condanne, Sciarra Colonna si adoperava a ristabilire con le armi le sorti della sua casata. Entrato nel sublacense, ove I'animo deila popolazione era ghibellino, prese possesso del'ricco monastero, fugandone I'abate Francesco che lo reggeva sin dal settembre 1297. Il Lanciotti afierma che costui era un Caetani, parente del papa, ma nel Chronícon Sublacense 2)
Sciarra
nel
sublacense,
Ieggiamo invece che era un nobile bastardo de domo Ramandíelis;4 di costui le cronache ed il Lanciotti ci danno la piir nera immagine, asserendo che I'indegno u francescano ,, gozzovigliasse nella rocca di Subiaco, dilapidando i beni del monastero e valendosi dell'infame ìus coscíandí sulle figlie dei coloni soggetti al cenobio. L'abate si adoperò subito a reagire e, con I'aiuto
dei parenti e fautori, tra cui v'erano forse anche i Caetani, assoldò una forte schiera di armati e nel 1304 si preparò ad assaltare di notte la rocca di Subiaco. Ma Sciarra, awertito in tempo, tese un agguato al nemico le cui schiere furono circondate, disfatte e quasi sterminate. Molti furono catturati, tra cui lo stesso abate che, al dire del Lanciotti, insieme aí superstíti suoí fautoi, fu gettato nella più tetra carcere della racca sublacense, dot)e, costretto a bere ?) ne[Io stesso oaso che gli seroioa per glí escrementí, sí t:uole che presto morísse. Pietro Caetani dal canto suo non desisteva dal rafforzare Ia propria posizione con le armi e con la diplomazia, ora schiacciando un nemico piìr vicino o incomodo, ora facendo pace con uno o alleanza con un altro. Il 6 marzo 1304 aveva fatto pace con Giovanni da 4) valendosi della Ceccano (che suppongo fosse Giovanni III u Junior ", 6glio di Anibaldo I) mediazione di Carlo II, ed il patto fu stipulato in Capua per mano di Bartolomeo di Capua, 5) Entro Anagni la posizione dei Caetani era specialmente logoteta e protonotario del Regno. salda, ma ciononostante pare che in un prirno tempo non tutta la città fosse in loro potere; costò ad essi non lieve fatica ad espellerne con la forza i nemici piìr potenti che si erano a$serragliati nelle case e nelle torri proprie.
a) Difatti nella bolla del 24 set. 1297 per la
è detto:.,. ls lunc ortus natalíbus,
')
no-i'a
ad abate
ficílur e lt*sun accenno è fatto a legami di parentela coi Cae'
de
nobíIibus
tani (Dfgdrd, n. 2050).
monachus monaskrtí Cossínensís,
ín
abbatem prefoli monasleií(Sublacensis) prc'
Dupuu,pp,23?,499i Reg. Ben, XI, col.79E. t) Arc. S' P., Xlll, p. 529. [XVll.
Gcn., Tav.
Domus,
l,
24.
2)
Mar., XXIV' col. 963.
!)
Lanciottì,pp.
l5l-157.
a)
Cf.
Caicl.
Alleanze.
CUERRA TRA I CAETANI ED I COLONNA
t86
Lib.
tll,
Cap.
XXIll.
Anche in altre parti della Campagna questi resistevano a tutta oltranza e forse, con qualche colpo di mano, Ferentino riuscì a liberarsi nuovamente dal giogo di Pietro Caetani. Perciò egli e i suoi figli nell'agosto del 1304 andarono radunando in Anagni gran numero di uomini d'arme, a piedi ed a cavallo, onde rinforzare la loro compagnia dei fidi catalani e, unitamente alla popolazione della città, si prepararono a sottomettere i nemici. In vista di ciò costoro, il 26 del mese, si riunirono in pubblica assemblea in Alatri, dalle Lega di Atarri. ciclopiche mura, ed ivi fu stretta un'alleanza difensiva ed offensiva contro i Caetani. All'atto furono presenti Francesco Pietro Nicola, sindaco e rappresentante dell'università di Alatri, Giovanni di Rinaldo da Supino a nome di quella di Ferentino, nonchè Landolfo da Ceccano, Adenolfo e Nicolo' di Mattia de Papa, Tommaso da Supino e vari fuorusciti di Anagni. Si noti che questi baroni erano quasi tutti parenti dei Caetani. Tra gli altri patti fu stabilito: di dividere fra i confederati, a seconda dei diritti spettanti ad ognuno, i beni che eventualmente si potessero riconquistare dalle mani dei Caetani; di confiscare a favore dei fuorusciti ' di Anagni, in corrispondenza dei servizi prestati alla lega, le proprietà dei cittadini di Ferentino e d'Alatri che seguissero o avessero seguito la parte awersa;
di
rendersi solidali nelle condanne che potessero venire inflitte dalla Chiesa, ed in ogni eventualità tenersi uniti
come úefi fratelli ed amicí fedeli; di non fare pace o tregua separata con Pietro Caetani, con i suoi figli o col comune di Anagni; di darsi, occorrendo, mutui ostaggi; di considerare spergiuro e pubblico nemico chiunque venisse meno ai patti convenuti. In fede di tutto ciò si obbligavano i confederati, sotto pena di 10000 fiorini d'oro e, a garanzia dei patti, Landolfo da Ceccano Porta d'ingresso delle mura pelasgiche di Alatri. impegnò il suo castello di Patrica, Adenolfo e Nicolò de Papa ipotecarono Ie terre di Montelongo e di Ca' stello ed i signori di Supino diedero in sicurtà questo castello, quello di Morolo ed i loro beni nel territorio di Ferentino.') Ancora piir violenta divampò la guerra civile nella Campagna. In un primo tempo i confederati assalirono Selvamolle e ne dispersero gli abitanti. Allo stesso tempo Sciarra Colonna con largo stuolo di armati si avventò di sorpresa contro Ferentino, donde scacciò il vicario che Pietro vi aveva posto quale vicepodestà; le case, i palazz| le proprietà, che i Caetani ivi possedevano, furono saccheggiati, arsi .e distrutti. Ma I'occupazione fu di breve durata perchè Pietro venne alla riscossa e lacittà di Ferentino dovette nuovamentearrendersil) e, il 3 novembre 1305, Pietro mandava un suo procuratore a riprendere possesso dei suoi beni in questa città e nella campagna, 2) costringendo altresì il comune ad annullare tutti i bandi e le sentenze emanate da esso a suo danno, occasione proxíme preterite guerîe habite intra ípsos. Parimenti questo procuratore doveva chiamare in Selvamolle gli abitanti dispersi ed intimoriti dalle violenze della guerra e costringerli a tornare ad abitare il castello. a) Arc. di Alatri; doc. pubbl. da P. 1) t\[ohler. p.
243.
2)
Regesla,
l, p.
Mercedes nello studio storico: L'aflenlato contto Bonífacío 242.
VIII;
Parcvia, 1903.
[a9.1304-feb.
Sede vacan te
13051
t87
Perugia il papa Benedetto XI e si era aperto nella stessa città il memorando conclave. Il collegio dei cardinali era diviso in parti uguali: dall'una, la fazione italiana o bonifaciana, capitanata dal cardinale Matteo Rosso Orsini, era per il proseguimento Intanto
il 7 luglio
1304 era morto
in
della politica di Bonifacio VIII, dall'altra il partito francese, con i Colonnesi, aveva per massimo esponente il cardinale Napoleone Orsini. Le due fazioni si bilanciavano esattamente, essendo nove per ciascuna. Per rompere tale equilibrio quella francese tentò sin dall'ottobre di accordarsi col gruppo caetano costituito dai cardinali Francesco Caetani, Leonardo Patrasso e Pietro Ispano. Alcuni awenimenti contribuivano ad aiutare questo piano. A Roma le cose si erano messe male dopo la morte di Benedetto XI; i senatori guelfi, Luca Savelli e Gentile Orsini, perdettero il loro ufficio e, in mezzo ad un'anarchia quasi univefsale, il governo fu preso in mano dal popolo romano, ghibellino d'animo e favorevole ai Colonna. Questo si pronunziò per loro e decretò che essi fossero reintegrati in tutti i beni propri e che i Caetani venissero condannati a pagare 100000 fiorini d'oro come indennità per i danni arrecati alla famiglia da Bonifacio VIII. Tutte le donazioni fatte dal papa al marchese Pietro dovevano essere revocate. Il senatore, i capitani del popolo e gli anziani furono incaricati di portare ad effetto queste decisioni, se necessario, anehe a mano armata. Le due parti r) I furono invitate a riunirsi in un posto a cinque miglia da Roma per concludere la pace. Caetani non si curarono di questa sentenza, ma è probabile che ad essa si debba collegare la guerra che il popolo îomano da lì a poco mosse contro Ninfa. Pare che in un periodo precedente i Caetani facessero prigioniero e mettessero a morte Lorenzo degli Anibaldi; u) venuto il momento propizio, cosioro, sperando di riprendersi per niente i feudi venduti di mala voglia a monete sonanti, impugnarono le armi contro Ninfa, istigati ed appoggiati dai Colonnesi. L'amena città e la rocca, costruita da Pietro Caetani, furono espugnate e messe a sacco e a fuoco; ma giacchè gli Anibaldi non sentivano di poter tenere la città contro i potenti Caetani, chiamarono in aiuto il popolo romano. Questo, per intervenire, si valse dell'accusa che i Caetani depredavano il bestiame (che i romani tenevano nelle tenute di t{infa) e che imponevano ad essi taglie ed imposte contrariamente alle antiche franchigie di Roma. Fu mandato un esercito a Ninfa e la città fu occupata e tenuta dai romani per vari anni, e riuscì lungo e difficile ai Caetani il ricuperarne il dominio pieno. Lo stesso cardinale Pietro Colonna nel 1312, quando Ninfa era ancora tenuta dai romani, testimoniava che... slrappare dalle maní (del popolo romano) íI castello o sarà del tutto ímpossibile o dfficíIíssíma ímpresa.2)
condizioni si trovavano i Caetani, minacciati da tutte le parti nei loro beni e persino nella vita; 3) ma, quel che era peggio, non erano liberi della persona per poter guerreggiare contro i nemici nella Campagna e Marittima, perchè la loro presenza era indispensabile a Perugia, ove si svolgeva il conclave che doveva decidere della futura politica della Chiesa e quindi della loro propria sorte. Il cardinale Francesco Caetani era magnd pars negli intdghi e nelle lotte in seno al sacro collegio; allo stesso tempo, quale membro piìr autorevole della Casa, vigilava e dirigeva gli a) che gli stavano afiari di famiglia consigliando in ogni minimo dettaglio il fratello ed i nipoti, vicino per aiutarlo e proteggerlo e per mantenere vivo il proprio prestigio in Perugia ove con-
In tali
tavano molti amici. a) ll Mohlet (p, zaí)
lesse erroneamente Amballi.
t) Dupua, p.28O: Mohl. K', p.
173.
z)
l[ohl. K.' p' 246.
s) Eít.
K., p, 97.
a) A4ohl.
K., p.23V.
Decreto del popolo romano,
Perdita
di
Ninfa.
CUERRA TRA I CAETANI ÉD I COLÓNNA
r8B
Compromesso
Caetani-Colonna,
Lib.lll,
Cap.
XXIll.
Grandi interessi pubblici e privati dipendevano dalla scelta del nuovo ponteflce; il contrasto elettorale era aspro ed ostinato; ed il conclave, che già durava da otto mesi, minacciava di protrarsi all'infrnito. Per portarlo ad una risoluzione era importante che venissero appianate le differenze tra i Caetani ed i Colonna, e perciò da tutte le parti si esercitavano pressioni sui nipoti di Bonifacio VIII. Minacce si alternavano con promesse. Nel febbraio del 1305 Io stesso re Carlo, da Napoli venuto a Perugia, cercò di far valere la sua influenza perch! i Caetani, suoi feudatari, venissero ad un accordo con I'altra parte. Finalmente, per opera di amici comuni, le cose assunsero una migliore piega e vi fu buona speranza di venire ad un equo compromesso tra le due famiglie. Le basi di esso erano già state gettate qualche mese prima, e precisamente nell'ottobre, in certi preliminari accordi intervenuti tra Roffredo, conte di Fondi, ed il cardinale Pietro Colonna; ora si prometteva di giungere ad una finale transazione per cui quest'ultimo avrebbe ceduto ogni suo diritto sul ricco territorio di Ninfa, rinunziando altresì a qualsiasi risarcimento di danni, mentre i Caetani avrebbero ceduto le castella di Pofr e di Selvamolle. Tale permuta avrebbe avuto il vantaggio di scindere piùr nettamente i possedimenti delle due famiglie, tanto nella Marittima quanto nella Campagna' I Caetani si piegarono a malincuore a tale accordo, perchè, se da una parte ottenevano dai nemici delle rinunzie a titoli di dubbia validità, dall'altra perdevano due castelia che appartenevano loro per titolo legale, essendo state comprate a contanti; con tutto ciò avrebbero dovuto rendersi conto che la transazione era a loro vantaggio perchè sanava e confermava ai Caetani il possesso di Ninfa, che era base e nucleo principale del loro stato nella Marittima, mentre Pofi e Selvamolle erano proprietà d'importanza relativa ; inoltre si toglievano I'incubo del risarcimento di danni arrecati ai Colonnesi da Pietro, dai frglioli e dallo stesso Bonifacio VIII, perchè, come sivolle sostenere nel processo del 1312, i nipoti di questo dovevanoesseretenuti respcnsabili anche dei danni inflitti per ordine del pontefice nell'esercizio del suo ufficio. Finalmente, non so con quanta sincerità d'animo, il consiglio di famiglia, decise di addivenire al suddetto accordo, ed a tal fine, il 19 di febbraio, diede a Benedetto, il piir giovane dei membri, ampia procura per stipulare il contratto. Sorsero però altre complicazioni di cui non abbiamo indicazioni precise; sappiamo soltanto che il 19 marzo i Caetani accettarono di rimettere la causa ed i loro beni nelle mani di Fiiippo il Bello, loro capitale nemico; poi, tre giorni dopo, e precisamente il 22 maruo, Benedetto stipulava I'atto di permuta col cardinale Pietro Colonna. Il t) testo di questo interessante documento trovasi pubblicato nella preziosa opera del Mohler. Tutto ciò non condusse per altro ad alcun risultato utile, perchè i Caetani quasi subito sconfessarono I'atto al quale non fu data esecuzione; Ia procura fatta a Benedetto, e che era elemento indispensabile per la validità della permuta, non pervenne mai nelle mani dei Colonnesi, oppure fu p"rdutu o sparì e così, malgrado le proteste e le cause, la transazione andò
in
Intervento
dei francesi.
fumo.
Re Filippo vi mise le mani, il che fece peggiorare le cose. In quei giorni era venuta a Perugia I'ambusciuta del re di Francia composta di lthier de Nanteuil, del protonotario Goffredo du Plessis e del nostro antico ccnoscente, il famigerato Musciatto Guidi de' Franzesi, complice del Nogaret nell'attentato di Anagni. Costoro, da veri francesi, presero subito un'attitudine altera e minacciosa ed il 9 aprile mandavano un ordine perentorio ai condottieri dei Caetani di costituirsi prigionieri
t) p.
221
in carcere regis FrancÍe nel castello di Staggia, r)
!,,aneloís, Rev. Hist.,
p' 67, cit. Eít' K'' p.99.
proprietà dello stesso Musciatto.
2)
Conclave di Perugia
ifeb..5 giu. 13051
t89
che fecero, suppongo, perchè i Caetani si rifiutavano di sottostare alla promessa, data il 19 marzo di rimettersi all'arbitrio del re; Pietro ed il cardinale Francesco sostennero che la promessa non era stata fatta di libero arbitrio, ma estorta sotto minaccia. Le cose, invero, cominciavano a prendere cattiva piega. I perugini, che erano in favore de' Caetani, si impensierirono
Il
dell'attitudine baldanzosa degli ambasciatori francesi e, il 14 aprile, ufrcialmente li interrogarono per sapere se erano venuti per procedere contro la memoria di Bonifacio VIII e per opporsi ai cardinali da lui creati; i francesi abbassarono la cresta e si profusero in assicurazioni di non preoccuparsi che del bene della Chiesa
e di
accelerare
la
risoluzione
del
conclave. l)
Questioni politiche ed affari privati formavano tutta una matassa complicatissima di cui non si riesce a trovare il capo; comunque non si concluse nulla. I Caetani ripudiarono la permuta del 22 marzo, dichiarandola non valida per ragioni giuridiche e perchè Ie loro firme erano state estorte sotto pressioni e minacce; i Colonna negarono questa tesi, affermando che i Caetani erano troppo potenti nella guelfa Perugia, ove avevano molti aderenti e protettori, per poter essere intimiditi dal re di Francia o da chicchessia. Ai Colonna d'altra parte mancava I'istruniento originale di procura che avrebbe resa valida la firma che il giovane Benedetto aveva apposto all'atto di permuta, e così la questione fu trascinata davanti ai tribunali per una quindicina d'anni; rna non condusse ad alcun risultato, perchè i Caetani non si lasciarono sfuggire dalle mani né Pofr, né Selvanrolle, esclusero il cardinale Pietro Colonna da Ninfa e in quanto all'.. astronomica somma di denaro per il risarcimento dei danni, lasciarono agli awersari la
'
di venirsela a riscuotere personalmente se ne avevano I'animo. In vero però tutte queste pressioni e minacce miravano, pitr che altro, ad infuire sulla Accordi segreti tra i cardinali' Per efietto di esse e per il desiderio in tutti di uscire dal ' risoluzione del collegio ""rdioulirio. ristagno nel quale era impelagato il conclave, cominciarono trattative segrete tra i cardinali della
facoltà
fazione caetana e quelli di parte francese. Racconta il Villani: ... dell'una era capo messere Matteo Rosso dell'Orsíni con m$seÍ Frsncesco Guatani nípote che fu di Papa Bonífazío; e dell'altra eîano caporali messer Napoleone dell'Orcíni dal Monte e 'I cardínale da Prato per rimefterc i loro parentí e amíei Colonnesi in istato, e eîano amíci del Re di Francia, e pendeano in enímo ghibelltno. E essendo stati per tempo piìt dt not)e mesí rinchiusi e distretti per li Perugínì, perchè chíamasserc Papa, e non poteano u)ete eoflcordia, aIIa fine trooandosi íI cardínale da Prato con messer Francesco Guataní cardinale in segreto luogo (dicesi in una latrina) dfsse.' .. Noi faccíamo grande male e guastamento di santa chíesa a non chísmare Papa ". E messer Francesco rispose: ,, E' non rimane peî me! " QueIIo da Prato Iì disse: ,, E se io ci trooassí buono mezzo, saresfi contento? r> QueIIi ríspose dí sì, e così îdgionando insietne t)ennero a questa concordia per industrìa e sagacità del cardinale da Prato, trattando con detto rnesser Francesco ín questo modo Ií dtede iI partito, che I'uno collegío per leoare oia ogní sospetto elegesse tre olbamontaní, sfficíentí uomini aI Papato, cuí a loro píacesse; e I'aLtro collegío ìnfra quaranta di prendesse I'uno di que' be, quale a luí píacesse, e quello fosse Papa. Per la parte di messer Francesco Guatani fu preso di fare Ia elezione credendosi prendere iI oantoggío, e elessero tre arcioescoui oltramontani, faltì e creatí per Papa Bonifuzío suo zío molto suoi 2) amici confidenti, e nímící del re dí Francia loro aloersaúoIl re, a quanto dicono, si afirettò a prendere segreti accordi con uno di essi, Bernardo di Goth, sicchè costui con I'appoggio dei cardinali di parte francese, fu eletto il 5 giugno 1305 e assunse il nome di Clemente V; andò a Lione per farsi coronare in terra francese. Abile cortigiano,
')
Dupuu, p. 277.
2) Villaní,
Vlll,
eap. E0,
GUERRA TRA I CAETANI ED I COLONNA
r90
Lib.II,
Cap.
XXlt.
di coscienza e carattere, si piegò ad umilianti condizioni sottoponendo la Chiesa allo scettro di Francia e dando così inizio al vergognoso esilio di Avignone, che fu causa di tanti
privo
Clemente
V
favorisce
i
Colonna.
mali a Roma ed all'ltalia. Tra i primi atti cercò di risolvere la questione Caetani-Colonna ed il 30 gennaio 1306 da Lione emise una bolla u) con la quale incaricava i cardinali Napoleone Orsini e Francesco Caetani di adoperarsi affinchè, di comune accordo (nè mai I'uno avrebbe potuto procedere senza I'altro), riconducessero alla pace i baroni e le città della campagna romana, e nella parte spirituale dava loro facoltà di delegare persone ecclesiastiche per assolverli; tale incarico fu affidato a Leonardo d'Anticoli vescovo di Anagni. Ma questi provvedimenti non giovarono a sedare le discordie e ben a ragione, perchè i Caetani si erano già accorti che il nuovo papa, sollecitato dal re Filippo, avrebbe dato tutto il suo appoggio ai Colonna, mettendo gli altri in condizione di inferiorità. Ne avevano avuto la prova quando, il 15 dicembre 1305, reintegrò nel cardinalato Pietro e Giaccmo, e quando con bolla' del 2 febbraio 1306 rimise i Colonna nel possesso di tutte le terre e i beni loro. Poi estese il suo perdono anche a tutti quanti gli altri nemici di Bonifacio VIII e, dopo qualche anno, diede l'assoluzione di ogni peccato commesso persino al Nogaret ed agli altri congiurati. Ma la grazia sovrana non si estese mai a coloro che avevano trafugato il tesoro pontificio in Anagni al tempo dell'attentato: seppure era lecito a Clemente V perdonare le volgari offese recate al sommo pontefice suo predecessore, non conveniva però transigere in quesúoni di denari e perdonare quanti avevano messo una sacrilega mano sul tesoro della Chiesa, di cui qualche reliquia stava ancora al largo delle casseforti pontificie. Quando i Caetani si awidero che nulla v'era piìr da sperare da Avignone, si fecero giustizia con le proprie mani; non curandosi né del patto del 22 marzo, né dei pacieri del papa, ripresero le armi e menarono guerra più aspra che mai e, come dice Giovanni Villani t) nelle sue cronache ... furono franchi e oalenti ín guerra facendo oendetta di tuút i loro oíciní nemící, che aoeoano tradito ed ofeso papa Bonífacío spendendo largamente, e tegnendo a laro soldo trecento caoalierì Catalani, per Ia cuí forza domaron quasí tutta la Campagna e Terra dí Roma. E se papa Bonifazío oioendo aoesse creduto, che fossíno su/i si pro' Ín aîme e 2) si oalorosi in guerra, dí certo gli atsrebbe fatti Re o gran signori. Nella cronaca di Orvieto legge che questi catalani furono fatti venire dalle Puglie e che nei primi tre anni di guerra rimasero uccisi
Guerra civile in Anagni.
più di mille
nemici.
Il cardinale Pietro Colonna non si stancava di protestare e reclamare per i danni subìti: prima si rivolse al papa appoggiando le sue domande sul ricordato decreto del popolo romano; poi chiese l'aiuto di re Filippo a Poitiers e tanto fece che nel marzo del 1307 riuscì persino 3) ad interessare alle sue lagnanze il re Edoardo d'lnghiiterra. Nel frattempo le cose non erano andate migliorando nella città naiiva dei Caetani; piìr che mai vi infreriva Ia guerra civile tra essi ed i Colonnesi. Verso Ia fine del llO5 si erano recati ad Anagni il vescovo Guglielmo Duranti e I'abate Pilifort di Lombez con incarico, da parte della Chiesa, di intromettersi nella lotta; fu fatta una tregua tra le due fazioni e la città di Anagni si diede in signoria ai legati del papa; Raimondo d'Agrimonte, rettore della Tuscia, fu incaricato di assumere il governo a nome del pontefice. Ma i Caetani, che ayevano ben ragione di difidare di Clemente V, non permisero al rettore neppure di entrare in città; anzi lo cacciarono via con vituperio. Così, rotta la recente tregua, a) Che
il
Carinci trovò nell'archivio
') Lib. Vtll,
cap.
64,
2) Mut.,
di Alatri (Cat L' O., p'
XV-V.
3) Cl' Mohl.
170).
K.' p'
182.
Inasprimento della guerra
[1305.1306]
t9l
fu mossa guerra alla parte awersaria, per cui Stefano Colonna accorse in aiuto di Adenolfo e Nicolò de Papa, suoi cugini e, per proteggerli, andb ad abitare nelle case loro; a lui si unirono Giovanni Conti, Rinaldo, Tommaso e Roberto da Supino e molti altri nobili ed amici. Ma i Colonnesi con i seguaci non poterono tenere occupata che metà di Anagni, la quale rimase divisa in due grandi campi trincerati e, per otto mesi di seguito, cioè sin verso I'agosto del 1306, vi fu una guerra cruenta per le vie e le piazze della città. Si pose I'assedio alle case e ai palazzi, furono erette macchine belliche e trabucchi, e con baliste furono lanciate grosse pietre sul quartiere dei Caetani in contrada Castello e sull'antico palazzo del papa. Gli edifizi molto ne soffersero; invero i Caetani pretesero che i danni recati loro ammontassero a oltre 200 000 fiorini, ma non mi stupirei che tale stima fosse alquanto esagerata. Dopo una lunga lotta i Caetani presero il sopravvento e cacciarono Stefano Colonna, i frgli di Mattia de Papa, i Conti e gli altri loro awersari e per molti anni rnantennero il completo dominio di Anagni. Adenolfo de Papa, suocero di Benedetto Caetani, e i suoi fratelli non r) poterono ritornare sotto i propri tetti che dopo 2l anni di esilio. Furono cacciate altresì le cinque famiglie ghibelline che avevano congiurato contro Bonifacio VIII e, in vlrtir degli statuti penali di quei tempi contro i ribelli e traditori, furono distrutte le loro case. Ricorda mons. Cristoforo Caetani che in segno di memoria perpetua dí scelleraggine sì grande furano e sí rsedono anche oggi (cioè nel sec. XVD segate e delineate col|i picconí Ie faccíate delli medesimi edífi2í demolíti dal popolo armato e furíoso per gíusti-
ficarsi allora appò i nepotí e successoîì dí Bonífacío.2) Piìr inaspriti che mai gli esuli continuarono a guerreggiare, unendosi ai fuorusciti di Alatri, di Ferentino e di Ceccano e facendo causa comune con gli antichi signori di Sgurgola e Trevi, i quali cercavano di recuperare quelle terre che dicevano aver dovuto vendere a Pietro non u) Sciarra, unitosi a liberamente, ma per forza. Son del parere che appunto in questo tempo quelli di Ferentino, occupò con le armi e tenne per breve tempo la terra di Pofi, che per il Perugia doveva spettare ai Colonna. D'altra parte Giovanni Ricci, i suoi parenti ed altri nobili di Alatri occuparono alcune castella dei Caetani nel territorio di Alatri, asserendo di essere stati messi in durissimo carcere ed incatenati ai tempi di papa Bonifacio e costretti persino con la fame e vendere i propri diritti su quelle terre a Pietro Caetani. La guerra con i confederati di Ferentino durò per oltre due anni e rimasero insanguinati e desolati da incendi e rovine altresì i campi di Tufano, di contratto
di
3) Ticchiena e di Castel Mattia, detto << al Castellaccio ". Nella Marittima si accese la guerra con Sezze. Premetto che Ie discordie tra Sermoneta e Sezze, per questioni di confine e per il decorso delle acque torrenziali che infestano la pianura di Piscinara, rimontavano ad epoca antichissima; furono una piaga che si riapriva ad ogni momento e si protrassero per vari secoli dando luogo a continue violenze, angherie e fatti di arme che a volte assunsero l'importanza di vere battaglie, come diremo a suo ternpo. a) Al momento di cui stiamo parlando Pietro, dopo aver guereggiato per qualche tempo con Sezze, si mostrò favorevole ad una pace; a tal frne il 26 ottobre del 1305, nella località detta " Fontana di Rammaldina ,r, in un campo presso la strada pubblica, si recò Roffredo Caetani, accompagnato dai propri seguaci e legali e dai rappresentanti delle università di Serrnoneta, di Norma
o) La cronologia degli awenimenti qui narrati è alquaato ci è dato di verifiare se alcuni fatti avven-
.incerta, perchè non
\
Moht. K',
Yll, p. 265.
w.
248, 249, atti dcl prceso Caet'-Colonna; a) Cf. Cap. LI.
N.
184 574.
aero subito dopo
la
cante, oppure dopo
2)
Caet.
Xlt.,
morte di Bonifacio
VIII,
durante la sede vaV al pontificato.
la elevazione di Clemente
p.25.
3) Cf.
A.
De Magistis in Arc. S. P,,
Guerra
con Sezze.
GUERRA TRA I CAETANI ED I COLONNA
t92
Lib.
Iil,
Cap.
XXlll.
per incontrarsi con quelli di Sezze e di Trevi; fu stipulato un accordo di pace, con reciproco condono dei danni, delle ingiurie e delle spese incorse sino allora e vennero
e di
Bassiano
fatte rnutue concessioni. l) La pace però, come era da aspettarsi, ebbe breve durata. Continuavano intanto le discordie e le guerre dalle parti di Anagni e di Ceccano. Si cercò di mettere un termine ad esse alla fine di settembre del 1308 quando, in presenza di re Roberto, si venne ad una pace tra Pietro Caetani, Benedetto e Roffredo suoi figli ed i loro seguaci, dall'una, e Rinaldo da Supino, Tommaso suo fratello e Roberto suo figlio, nonchè Landolfo da Ceccano ed i loro seguaci, dall'altra parte. L'accordo però era lungi dall'essere completo o duraturo; pochi giorni dopo, ed appunto I'undici ottobre, parve necessario di precisare in un atto suppletivo 2) che tra quei suaccennati .. seguaci > non fossero inclusi dai Caetani i fuorusciti di Ferentino, né dai Du Ce"cuno i fuorusciti di Anagni, coloro cíoè che furono tndizíatt o íncolpatí della cattura della buona memafía del signor Bonifacío vlll. Anche Clemente V, non ostante tutte le concessioni fatte al re Filippo, teneva costoro ancora sotto il bando, come risulta dalla bolla del27 aprile l3ll,' ed erano appunto: Guglielmo di Nogaret, Rinaldo da Supino, suo figlio Roberto ed il fratello Tommaso da Morolo, Pietro da Genazzano ed il figlio Stefano, Adenolfo e Nicolò de Papa, Gofiredo Bussa, Orlando e Pietro de Luparia, Sciarra Colonna, Govanni di Landolfo, Gofiredo di Govanni da Ceccano e Massimo
di
Morte Pietro caetani.
da Trevi. Tanto inasprire contro gli esuli di Anagni è probabile abbia condotto all'uccisione di pietro, che fu di somma sventura per i fratelli Caetani. Il marchese che aveva sfidato tanti pericoli e condotto tante guerre, verso la fine di settembre 1308, mentre tornava da Ceccano, cadde in una imboscata tesagli dagli esuli di Anagni; assalito di sorpresa, fugata la piccola scorta che aveva seco, cadde trucidato. u) Dopo la sua morte la guerra fu continuata dai figli Rofiredo conte di Fondi, Benedetto conte palatino,
e Francesco tesoriere
eboracense.
rt<
l:*
Cosi ho brevemente accennato alle lotte che i Caetani dovettero sostenere nei primi annr di guena' successivi alla morte di Bonifacio VIII. Al conflitto con i Colonnesi si sovraPPongono e si frammischiano molte altre guerre: i fuorusciti di Anagni tentavano di cacciare quelli di parte awersa per rientrare in patria ; altri volevano riprendere possesso delle terre di cui pretendevano essere stati spogliati; altri ancora cercavano di approfittare della posizione critica, in cui si trovavano i nipoti del papa defunto, per usare prepotenza; aggiungansi i contrasti per ragioni di dote o di eredità e la partecipazione alle discordie altrui. Il tutto forma un groviglio di awenimenti intimamente collegati tra loro: vediamo un continuo succedersi di guene, di scorrerie, di liti, di alleanze e di tregue, ed è pressochè impossibile di rintracciare il Élo della storia valendoci delle poche, laconiche ed oscure notizie pervenuteci a traverso le codache, i pubblici istrumenti' le
spese
bolle pontificie ed a)
di ed
di
i
processi dell'epoca.
(Mu., XV-v, p. zOl). Dagli
aui riguardaoti
la
vendita
Caserta appaùebbe che Pietro morisse tra l'uudici di ouobre il te novembre 1306. Invece nelle riformazioui dello statuto Anagni, fatte nel settembre del 1308 dagli statutari del co-
mune, Bcnedetto Caetard, Bartolomeo Guernazzoni ed
') C-174i C- l80.Xn'
altri,
si
parla dei domíní cpmítes fiIÍi quonilam bone memoríe ilomíní Marchíonis. Ciò fa supporre che Pietro morisse verso Ia fine di settembre e che la notizia della sua rnorte non giungesse in Napoli che dopo I'undici ottobre (lrc. An., Íasc' 9,
n.
3s5). è) Dupus, p. 6Ol.
Fine della prima fase della guerra
[r3o8]
t93
Comunque, si capisce facilmente quali ingenti spese dovessero causare queste continue guerre; in quell'epoca i soli 300 cavalieri stipendiati, di cui parlano le cronache, e lo stuolo di fanti che I'accompagnavano, rappresentavano quasi un piccolo esercito e ci voleva un tesoro a mantenerlo. In parte valsero ai Caetani le immense ricchezze lasciate da Bonifacio VIII, in parte le rendite dei grandi domiriî di cui disponevano; ma ciò non bastò, sicchè Pietro dovette procu-
rarsi denari vendendo alcuni feudi. Metà di Torre Astura fu ceduta a Landolfo Frangipani per 30 000 frorini d'oro il 7 febbraio 1304. Nel settembre del 1305 furono venduti Vairano e Presenzano, che facevans parte della contea di Caserta, e nell'ottobre dello stesso anno anche il castello di Atina, già nel 1295 concesso in feudo a Ro$redo, fratello di Bonifacio Vlll. Così pure nel 1306 Pietro, per comprare r) cavalli occorrenti al proprio esercito, dava Fontana in pegno a Guglielmo d'Eboli di Capua. Ma non arrivando i denari, nel settembre 1306, Pietro ottenne un prestito di 2000 once d'oro da Bartolomeo Siginolfo, conte di Telese, con sicurtà sulla contea di Caserta, ciò che dette poi argomento al conte di Telese di costringere i Caetani a cedergli nel 1308 il feudo nonchè il relativo titolo. 2) Prima di pro@ire oltre nel racconto della lunga guerta col partito dei Colonnesi, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione su quanto stava accadendo presso la curia pontificia che viveva in Avignone, sottoposta al vigile e difiidente occhio di Filippo il Bello tl Atc.
Domus,
l.
Gact,
25.
Arus.,
qÀ
1308,
c.
180b.
'?)
Cf. xng, 100-103.
Caprrolo XXIV.
I
PR.OCESST
DI AVIGNONE E DI
VIENNE.
(r308-r3r2)
prima fase della guerra tra i Caetani ed i Colonna, di cui si è parlato nel capitolo precedente, si chiude col 1312. Quest'anno segna altresì la fine di due grandi processi, quello di Avignone contro la memoria di Bonifacio VIII, provocato dai Colonna e dal Nogaret ed imposto da Filippo il Bello per motivi politici, e quello di Vienne, d'ordine privato, mosso dal cardinale Pietro Colonna contro i nipoti di lui. Con tali processi i Colonnesi mirarono a vendicarsi del loro grande nemico e ad infrangere la potenza di questa nuova stirpe, sorta a contestar loro il primato; sperarono altresì di farsi risarcire gli infiniti danni sofferti dal giorno che Bonifacio mosse guerra in Laterano sino al momento attuale. Nella prima fase del conflitto, avevano sperato di ottenere cornpleta vittoria iron solo con le armi, ma anche con I'appoggio della legge e con I'intervento del papa e del re di Francia. Cadute tali speranze, coll'infelice esito dei due processi, dovettero contare unicamente sulle proprie forze, e la contesa tra le due parti degenerò in una guerriglia che si confonde Particolare della tomba di nelle lotte politiche di quel tempo. Roberto il Savio. Nel processo di Avignone non dobbiamo rawisare soltanto un'abile S. Chiara in Napoli. mossa politica del re di Francia per asseryirsi la Chiesa e per estorcere quanto voleva da Clemente V, ma anche il supremo sforzo strategico dei Colonnesi e del loro confederato Nogaret per entrare nel pieno godimento dei frutti delle comuni malefatte. tr-a stessa animosità personale e di partito, che faceva infuriare la guerra nelle straziate provincie romane, si ripercuoteva nella corte pontificia di Avignone. Molti onori e benefizi si era procurati Guglielmo di Nogaret col temerario colpo di mano d'Anagni, ma, peso insopportabile, gravava su lui la scomunica di Bonifacio VIII, confermatagli da Benedetto XI e che Clemente V si rifiutava di revocare. Il re era stato da lungo tempo perdonato, le costituzioni a lui nocive erano state revocate ed egli non aveva ragione di preoccuparsi del fiero nemico che riposava muto ed imbelle nella sua tomba in S. Pietro. il Nogaret e i suoi complici invece, non potendo estorcere I'assoluzione spirituale da Clemente V, cercarono di conseguirla con altro espediente e appunto facendo dichiarare eretico e papa'illeggittimo colui che, da essi insultato, li aveva scomunicati. Contro gueste mene si
a
Opera
del Nogaret.
Motivi del processo d'Avignone
[1308-1s0e]
195
il cardinale Francesco Caetani, il quale si accinse a difendere la memoria dello zio. Già il 15 agosto l30B aveva scritto al re Giacomo II d'Aragona supplicando di cooperare alla conseruazione dell'onorc e della buona fama di Bonifacio VIII. Incaricò Giliberto de Scintillis di portare Ia lettera e conferire col sovrano. r) D'altra parte il Nogaret non si diede pace o riposo sino a quando non ottenne che il re imponesse a Clementé V d'istruire il processo contro il proprio predecessore. Tanto scandalo ripugnava al papa ed al sacro collegio, e pericolose in sommo grado per Ia Chiesa erano le oppose energicamente
di principio coinvolte. Filippo il Bello di buon animo assecondò il
questioni
desiderio del Nogaret ed insistette perchè il non solo piacevagli vendicarsi sul cadavere del nemico, ma il processo doveva servirgli anche come un'arma con cui rendere il papa piùr arrendevole alla infame persecuzione che preparava contro i Templari per impossessarsi delle loro imrnense ricchezze. Del resto Filippo doveva trarre poco fastidio dal processo, perchè il suo guardasigilli Nogaret si era assunto I'incarico, non solo di formulare le accuse, di convocare i testimonii di affrettare le procedure, ma persino fu tanto cortese e previdente da preparare le minute per le bolle pontificie. Guglielmo di Plaisian gli fungeva da alter ego; i cardinali Napoleone Orsini e Pietro Colonna si prestavano come intermediari con I'ltalia; Rinaldo da Supino e gli altri scomunicati fungevano da agenti nella Campagna e si adoperavano a raccogliere le prove
processo avesse luogo
:
testimoniali. accuse scovate contro Bonifacio VIII erano varie e numerose. Il Nogaret non si stancò perfezionarle e compilarne elenco su elenco; ricamò sulle colpe che effettivamente si potevano
Le
nel
rimproverare al papa e, oltre alle solite accuse che erano di pramrnatica in quei tempi, ne inventò delle nuove con tanta esuberanza di immaginazione che si può ben dire che non vi fu peccato al mondo che non si attribuisse a Benedetto Caetani: eresia, simonia, furto, assassinio, bestemmia
contro lddio, peccati carnali, sodomia, violenza, falsità, frode, inganno, odio contro
il re di
e cosi via. A titolo di curiosità riproduco qui un sunto delle accuse contenute in uno degli elenchi 2) e, per cornpletare e meglio specificarne alcune, mi sono valso meglio particolareggiati e ordinati anche di altri non dissimili elenchi e delle deposizioni testimoniali. u)
Francia
lo) Bonifacio non credeva nella immortalità dell'anima. . Sfo/ti, slo/ti, diceva ai propri familiari, chì maí ci ha ríferíto dell'altro mondo? Beatí coloro che conoscono quuto mondo e sqnno goderselo e stare allegri; stolti coloroche perla speranzadella oita futurc perdono il loro tempo: essi fanno come iI cane che dal ponte, con un pezzo di carne in bocca, si specchìaoa nelle acque del fiume e, oedendo I'immagine della carne, lascíaoa cadere quella che aoeoafra i denlí per aferrare un ombrafuggeoole ". E di continuo faceva suo il 'volgare proverbio: " Voglío soddisfue alle míe oolontà sino a che t)iúo e dopo le cose oadano a píacer loro, perchè non senza ragíone si dice nel prooerbío antico: uMe mortuo nec terra >.
o) Credo interesante di stampare qui quanto il Mollat dice a proposito del procso contro i Templari: L'ahpreuoes maléríelles, I'ínoraísemhlance des chatges, le de ,sence
(p. lss)
charcctère contrailíctoíre des déposí!íons, la brutalité dés il'enguète, Ie nombre iles tétraclatíons, le courage
du
procé-
d*
défen-
de I'orihe, Iout concourt à ìlémonlrct l'ínnocence d.es Templíers. Lew ptocès esl trugué et potte une marque de faseurs
1) Acto
At., p,
149.
1) Dupuu,
p. 324.
btígue, celle de Guíllaume
de Nogaret. On
poursuíte achamée conlrc les Templíers
la
retrouoe dans la
mème taclígue que dans
Ies afaírcs de Bonífoce VIII ef Guíchaùl de Trogtes: guene pamphlets, conooealíon des Éuts, harcngue au bon peuple, procédu oîolents, accusatíons de crímes d'hérésíe, appafitíons groluques de démons succubes eI íncubes. Dans toul Ie déoeloppenent ìlu procés on rcttouùe non ilíssímulée Ia maín de Nogarel.
de
I PROCESSI DI AVICNONE E DI VIENNE
196
Lib.lll,
Cap. XXIV.
2o) Tanto è vero che non arrossiva di ripetere che preferiva essere un cane o un asino, un animale senzaanima, piuttosto che un hancese. Voleva calpestare e schiacciare la superbia gallica ed esclamava: donde oien loro tanta superbía) In cosa sanno eccellere gli altri) " Oh ì francesì, i francesi, asíní asiní, Varrei essere, non díco una nabile bestia, ma un cane piuttosto che un francese!, 3o e 4o) Non credeva che il corpo di Cristo fosse nell'ostia consacrata. Ovunque andava, si faceva fare una finestra nella propria staDza per poter assistere alla messa che si celebrava nella cappella adiacente, ma all'elevazion"-nor, dava segni di pietà, e dei fedeli che accorrevuno per inchinarsi di""u",
u'Asiní! coîîano come se dot)essero trooar la manna! u 5o) Considerava che cedere ai piaceri della carne non fosse peccato maggiore che shopicciarsi le mani. 6o) Diceva che voleva distruggere la superbia francese, dovesse con ciò il mondo andare in rovina, ed esclamava in italiano t ,, Pera Sansone con tutti li soì! " LIn giorno al fratello Roffredo, che gli chiedeva grazia per alcuni principi ultmmontani, rispose: " Roftedo, Rofredo, tu chiedí grazie e non
sai donde penda Io statomio, iI tuo e quellodellatuaCasa(domu) ",'edallasuadomanda: ,, Ditemí, Padre santo > rispose: . Già da tempo lo dooresli sapere, Ignori tu ehe sinchè tsioe Píetro di Murrone non sarà solído nè lo stato rnio, nè quello tuo e della tua Cssa e che debbo temerc non solo i re e,l i grandi príncipi, ma anche í piccoli baroni e le cíltà? In secondo luogo sappi ehe sino a che non sarà calpatata e distrutta la superbía gallíca non potrò fare quello che ooglio e neanche comíncíare quello che íntendo ... In terzo /uogo, disse soffiando sulla palma della mano, dobbíamo con un soff.o stermìnare t) nei bení e nelle pe$one, sía clerÍcí sía laicí, due case, quella dei Colonna e quella deí Ceccafio r,. L'indomani partì Rofiredo per la Campagna, ove Celestino era tenuto in carcere, ed entro un mese corse voce della morte del santo. 7o) Un libro scritto da Arnaldo di Vllanova, condannato come eretico dal vescovo e dai maestri di teologia dell'università di Parigi e dallo stesso Bohifacio VIII riprovato e condannato in concistoro, fu 'poi da lui approvato e lodato.2) 8") Si i""" erigere statue d'argeato entro e fuori le chiese per farsi idolatrare ", u "o*pèoro di quelle marrnoree che gli orvietani fecero porue sulle porte della città, donò loro tutta la tena di Valle del Lago che era della camera apostolica. 3) 9o) Ave-ra cornmercio col diavolo. a) lOoJ Consultava gli indovini e li proteggeva: tra altri, certi porcari incantatori di Cisterna, di Ninfa, di Ardea e di Passarano. I lo) Sosteneva che il papa non può commettere simonia, perchè il papa romano è signore di tutto, e di tutto può disporre l2o) Seminava discordia tra sovrani, principi, baroni e cardinali, seguendo il precetto che dalla discordia altrui sarebbe derivata la propria fona.5) l3o) Riteneva eretico chi non gli era soggetto. i4o) Durante tutta la vita, sin da giovane, fu dedito al vizio della sodomia. I 5') Fece uccidere molta gente ed in special modo durante I'anno santo quando, uscendo dal Laterano per recarsi a S. Pieuo e premuto dalla folla dei pellegrini, ordinò di usare violenza sicchè moltissirni rimasero uccisi o feriti. ó) 16o) Disprezzava i sacrarnenti e li negava ad altri. I 7") Si faceva rivelare le confessioni. l8') Non rispettava il digiuno e faceva mangiare la carne a tutti i familiari. Un giorno di quaresima il suo supercocus Pietro da Veroli, non avendo preparato che sei portate di carne, Bonifacio ordinò che ne portasse altre. Gli furono mandate quattro pietanze di pesce, sicchè il papa irato gli disse: o Com'è che non mandi cibi di carne? u Rispose il mastro cuciniere: " Signore, gíà ne aoeste sei! " E Bonifacio inveendo : u Maledetto sii tu che ouoì farc parsimonía dei beni della Chiesa. " 7) l9') Opprimeva i cardinali e ne disprezzava il consiglio. 8) 20o) Voleva distruggere la Francia. 2lo) Aizzava gli altri stati contro la Francia. r) Nel Dupuy: Îerrono. t1 Cf. o"s.
137.
E)
I Cf. pae. 104.
Cf. pae. ó0-61.
)
Cf.
pae.84.
a) Cf. pae.
ó5-66.
6) Cf. pag.
75.
6) Cf. pag. 77, l8O.
Accuse
[r308-r3oe]
197
Per sua colpa fu perduta la Terra Santa: ") prendeva i denari delle crociate per perseguitare Colonnesi ed arricchire Ia propria Casa. 23') Era simoniaco per arricchire i parenti e presunse crearli marchesi, conti e baroni, opprimendo gli altri nobili e spendendo un milione di frorini nella crociata contro i Colonnesi. 24o) Sciolse vari matrimoni legittimi come quelli dei nipoti Rofiredo e Francesco.l) 25o) Fece morire Celestino V.2) 26o) Revocò religiosi alla vita secolare. 27') Disse che in breve tempo avrebbe reso tutti i francesi o martiri o apostati. 28') Non credeva né nel paradiso né nell'inferno.
22\
i
Così Guglielmo di Nogaret, dopo avere messo per iscritto tutte le calunnie e le infamie che era stato capace di escogitare, sottilmente intrecciandole al vero, finisce il lunghissimo documento con una lode a Dio, cuí solo honor et ímperíum ín saecula saeculotum, Amen, Amen,
Amen! Davanti ad accuse così ampie e particolareggiate, Clemente V non poteva ricusare di aprire il processo; spinto dal re, assillato e discretamente richiarnato ai patti cui aveva dovuto sottoscrivere per ottenere la tiara, finalmente nel pubblico concistoro del 12 agosto 1308 in Poitiers dichiarò che, avendo inteso gravi accuse contro Bonifacio VIII, non voleva rifiutarsi a che si appurasse la verità. Vennero citati alcuni testimoni, ma il processo non fu effettivarnente awiato che nella seconda metà del 1309. L'una e I'altra parte si prepararono alla battaglia. Guglielmo di Nogaret, instancabile nel lavoro di diffamazione, si rivolse all'antico complice e confederato Rinaldo da Supino perchè riunisse buon numero di testirnoni a carico, gente fida e pronta a giurare quanto sarebbe stata incaricata di deporre. Verso i primi dell'aprile 1309 Rinaldo si mosse con la sua comitiva dalla Campagna per andare in Francia, senonchè a poco meno di tre leghe da Avignone gli giunse la voce, così egli affermò, che i nemici avevano preparato un agguato. I numerosi testimoni che I'accompagnavano e che forse per esperienza conoscevano le rappresaglie del partito bonifaciano, ebbero paura e si rifiutarono di andare oltre; anzi presero la via del ritorno malgrado le rimostranze del loro signore. Irato di questo primo scacco, iI nobile barone Rìnaldo da Supíno, milite dei serenissimo principe iI re di Francia, si recò a Nîmes e, in presenza del regio vicario, di numer,osi testimoni del luogo e di alcuni del suo seguito, fece redigere per rnano di notaio formale -i' protesta dell'accaduto. 3) Non voglio escludere la supposizione che fosse tutto un giuoco ed una commedia di Rinaldo. Certo non si può negare che I'una e I'altra parte erano pronte a valersi di qualsiasi espediente; ed un farniliare del cardinale Francesco Caetani proferì così gravi rninacce contro un testimonio a) I testi vivevano in d'accusa che lo stesso cardinale dovette umilmente scusarsi presso il papa. Avignone in istato di guerra e venivano al tribunale arrnati. I loro nomi si tenevano segreti sino all'ultimo momento propteî perículum personúrum. 5) Il Nogaret insisteva che si facesse presto perchè i testi piìr preziosi, quelli che ricordavano Bonifacio VIII giovane, s'invecchiavano e si spegnevano. Uno fu trovato morto in letto quando andarono ad interrogarlo: ciò che deve avere 6) I Caetani imbarazzato ben poco il Nogaret perchè era perito nell'arte di crear falsi testimoni. per parte loro erano accusati di spacciare documenti contrafiatti. i) Aspra fu la lotta tra le due parti ed ognuna si valeva di tutti i mezzi di cui poteva disporre; certo però che la linea di a)
Fu perduta al tempo di Nicolò lV; Ct Dupug, p. 397.
r) Cf. 7)
bi, p.
pag. I 39 e'cap.
367.
XXVII.
z) CÎ'
pas.
63,
e) Dupus, p.
288.
a) Ioì, p.293.
t) Ioi, p. 373-
$) Ioi, p. 494.
Preparativi e testimoni.
I PROCESSI DI AVIGNONE E DI VIENNE
t98
Ditensori.
Lib.
Ill,
Cap.
XXIV.
condotta dei Caetani e dei cardinali bonifaciani si distingueva da quella degli avversari per singolare dignità e prudenza; essi si prepararono alla difesa con sani criteri giuridici e scelsero valenti avvocati. Primi fra i testimoni erano due nipoti del papa: il giovanissimo Francesco Caetani, figlio di pietro, che era entrato nella carriera ecclesiastica con la speranza di salire a sommi onori, ma, con i tempi che correvano, si convinse presto che Ia spada valeva meglio delle armi spirituali; con lui era Teobaldo del milite Guernazzone di Catenazio d'Anagni, nipote di Bonifacio per parte àell'ava. Poi venivano i giurisperiti e testi Blasio di Piperno, Giacomo di Modena, Corrado ài Spoleto, Crescenzio di Paliano, Giacomo di Sermoneta, Tommaso di Muro, Gozio (o Lucio?) di Rimini, Nicola di Veroli, nonchè Baldredo Biseth canonico di Glascow e Ferdinando
cappellano del vecchio cardinale Pietro Ispano, vescovo di Sabina. Ma i veri difensori di Bonifacio VIII erano gli stessi cardinali da lui creati, perchè, dichiatata invalida I'elevazione sua al papato, altrettanto sarebbe awenuto della loro al cardinalato. Lo
quellt ch'aoea ricorda lo stesso Villanil) con le parole : .., del collegío dí cardinali o'aoea dì cont)enìa, che fatti Papa Bonifazio .., e se Ia memoria di Papa Bonìfazío fosse dannata, fossero deposti dal catdinalato ...") Quindi tra i giudici stessi sedevano i difensori' fare escludere Clonr"p"uol" di ciò il Nogaret, nella seduta del 27 marzo 1310, cercò di creati da Bonifacio VIII, ritenendoli suspecfos ed erano appunto Leonardo dal processo i "ardin"li Longhi, Giacomo Patrasso da Guarcino, Pietro Ispano, frate Giovanni da Murro, Guglielmo de' Fieschi. Gaetani Stefaneschi, Francesco Caetani, Riccardo Petroni da Siena e Luca Il processo fu iniziato il 16 marzo l3l0; il Nogaret recitò la litania delle accuse che da monotonia anni era andato a tutti ripetendo, ed a lui fecero coro i testimoni con tanta che a dettagli, nella sostanza delle deposizioni, nella forma delle frasi e nella sconcezza dei occhiate ad un pezzetto di rileggerle par di sentire una scolaresca del ginnasio che, con furtive b)
Argomenti giuridici.
carta, ripete la lezione imparata a memoria' La difesa, a dire il ì"ro, parlò in modo piìr chiaro e piìr convincente; del resto il suo in merito alle accuse compito era piìr facile. I giuristi chiamati dai Caetani non entrarono mai di eresia e la infamanti ma, attenendosi ad un sano criterio giuridico, solo confutarono I'accusa discredito sulle illegittimità dell'elezione, adoperandosi a dimostrare false I'altre accuse cd8ettare si potesse procedere legalmente testimonianze del Nogaret. Aizitutto, per principio, negafono che ;; il defunto ponlfr"", rff"r*"rono che Bonifacio VIII, pari in dignità e potestà a Clemente V, ímpetium e che ormai non poteva da querto essere giudi calo quía par in paîem non habet' che da una ogni giudirio sul defunto pontefrce era riservato a Dio. Facevano osservare inoltre di Bcnifacio sarebbero sorti nella Chiesa scandalo e confusione perchè, per le ragioni "ond*nu ed allo già esposte, infiniti prelati e rettori della Chiesa (e con ciò accennavano ai cardinali propria dignità e giurisdizione. stesso Clement" V), ipso facto, sarebbero stati destituiti dalla di procedere Appena un concilio, concedevano, avrebbe potuto deliberare sulla facoltà' o meno' così pure I'lnfessura nel suo diario (p' 5): ... leuosse 'no canlínale spagnolo el petì lícenza de poter parlate, el dr'sse.' . Se atdeno I'ossa ìlí papa Bonífacio eome
.) E
herettco et la (Clemente V) consenfr' questo, tu non sei oero papa, perchè esso tí fece arcíùescotto dí Boilella, noí haoemo
eletlo nel papato I'arcíoescooo
')
Lib.
Vlll, CaP.9l.
ili
Botdella, et petò se non fu
papa, non tí
Potè
fare
arcíoescooo n-
b) Riporto un commento di Emeto Renan (p'
180):
oouilraít lranscfire les alléga!íons qul suíoenl. Tous Is témoíns ruppoilent les mèmes faíb aoec des taffnements ìle scandale. Cette unÎformité esl une taison de uohe
Aucune plume
ne
qu'íl g eul ìlans les lemoígnages de I'artífce et de I'ímposlure'
Difesa
[1309 - apr. 1311]
199
nei riguardi del defunto pontefice. E, forti di precedenti, aggiungevano che un nuovo concilio unr"bù" potuto, quando mai, pronunciarsi sulle eresie, ma non già sulla persona del pontefrce perchè defunto. Negavano a Guglielmo di Nogaret e a Guglielmo di Plaisian Ia facoltà di deporre contro il papa, perchè palesi suoi nemici; contro ogni sacro precetto ne avevano violato la persona e quindi come eretici non potevano accusare Bonifacio di eresia. I difensori si compiacevano con una certa malizia a far rilevare le continue contraddizioni in cui erano caduti i due Guglielmi: come mai poteva ammettersi che Bonifacio non credesse all'immortalità dell'anima, quando gli stessi testi avevano giurato che egli costantemente cercava non già la salvezza, ma la perdizione delle anime? Negavano che Bonifacio fosse vero paPa e contuttociò adducevano in tribunale certi testimoni vecchi o malati o in procinto di allontanarsi, tenendone segreti i nomi appunto in forza di una costituzione apostolica emanata dallo stesso avidità fu pontefice ! Accuruvuno Bonifu"io di aver negato aiuto ai fedeli, sicchè per la sua p"rduta Terra Santa, mentre era notorio che tale iattura avvenne sotto Nicolo IV. Concludevano i difensori : qui calumníatur in uno, ín aliís praesumÍtur calumníarí, e non avevano torto. Non è il caso qui di seguirli nelle lunghe disquisizioni di dintto canonico, nelle infinite citazioni delle costituzioni apostoliche e delle scritture sacre per dimostrare che Celestino V aveva avuto la facoltà di abdicare e che Bonifacio, entrato nella Chiesa dalla retta porta, ne era stato legittirno capo.
u)
Chi ha interesse a seguire piir da vicino Ia storia del processo, legga le belle opere del Renan, del Lizeran d e, cum grano salis, anche la raccolta di documenti del Dupuy. Io, dovendo continuare su altra strada, ricorderò soltanto che, dopo i prirni mesi di attività, il processo fu trascinato per le lunghe, giacchè Clemente V cercava con mezzi dilatori di ostala volontà del re e I'impetuose insistenze del Nogaret, e di rnandare eventualmente . in "j"r" fumo quel processo che gli era profondamente odioso, che gli sembrava ingiusto ed inopportuno, ma al quale non aveva animo di opporsi a viso apefio' Corì po"o alla volta si passò dai dibattiti pubblici alle trattative segrete e gli atti si protrassero sino alla fine dell'anno per essere poi rinviati agli ultimi giorni del marzo l3l I . Si discusse l3ll la ancora per qualche tempo e finahnente il papa si abbassò a pubblicare il 27 aprile l) bolla Rer gloríae oírtutum: con questa, a tutti perdonando ogni cosa, si liberò dall'incubo del processo-. La bolla fu redatta sulla falsariga preparatagli dallo scomunicato Nogaret. A che punto il capo della Chiesa era costretto di piegare vergognosa la fronte! Toglieva scomuniche L interdetti, annullava le condanne scagliate dai predecessori contro il re, la famiglia e i dipendenti di lui e ordinava che le parole offensive al monarca ed ai cortigiani, scritte nei registri della Chiesa, venissero abrase e gli originali distrutti' Dopo seicento e più anni, a chi esamina nei registri del Vaticano quei fogli di pergamena raschiati e guasti si stringe il cuore, pensando in quanta bassezza era caduta la Chiesa di Roma. e Mentre la mano tocca e scorre quelle carte, scritte per I'imperiosa volontà di Bonifacio VIII afiacciano alla servilmente mutilate e corrette per la compiaeente debolezza di Clemente V, si pontefrci : e si dei due mente con straordinaria vivid ezza, in tutto il loro contrasto, le immagini
")
Racconta
il Villani flX,
cap. 22) che messet Canaccío'
il'Ebole, catalani oalentí e proili caoalíert chiesero di battersi in dudizio di Dio per dimostrare I'innocenza messer Guíelmo
1) Duttus,
p. 592.
di Bonifacio VIII: dal quale aneddoto alcuni genealogisti hanno voluto trarre I'afhettato giudizio che la famiglia Caetani fosse di origine catalana.
Epitogo'
I PROCESSI DI AVICNONE E DI VIENNE
200
Lib. Ill, Cap. XXIV.
figura dell'accusato per splendore e per magnanimità eclissare e schiacciare quella meschina del giudice diventato servo del re di Francia.') A Nogaret, per punizione, fu ordinato di recarsi in Terra Santa e di fare alcuni pellegrinaggi; ai complici furono date penitenze varie. Erano stati perdonati, dunque, quanti avevano preso parte al grande scernpio, eccettuati coloro.però (/es afaíres sont les af,aires!), che ancora detenessero una parte del tesoro trafugato in Anagni. vede
la
:i: 'l
Per giudicare quali fossero il vero carattare e Ia portata del processo contro Bonifacio VIII, bisogna esaminare quelio contemporaneo che Filippo il Bello promosse contro i Templari. I due processi sono intimamente legati tra di loro ed il primo, piùr che altro, mirava a costringere il papa a dimostrarsi arrendevole nel secondo. La condanna dei Templari premeva al re piìr
Registri abrasi.
a) Berengario Frédol vescovo tusculano e Arnaldo Novelli cardinale di S. Prisca, in obbedienza ai comandamenti più volte dati da Clemente V (er1s pluries ùíùe ùoce otaculo mandaúercl), ordinarono ai notai Andrea Taccone di Sezze e a Oddone di Sermoneta, già scrivano e chierico di carnera di Bonifacio VIII nonchè un tempo uomo di fiducia di cua Caetani (Regesla,l, p.214), di raschiare completamente dai regisui (VeAt Arc. Vat,' Reg. 50, fr. 134'-b, 3lo,?slJ quelle parole delle bolle bonifaciane che, a quanto pare, recayano ofresa al serenissimo Filippo il Bello. * Omnlno tollalut > è scritto in margine ad un foglio e sul verso furono in parte rase ed alterate le parole del testo in obbedienza alla nota marginale: u Conlganlw hec
>.,., ma anche il nome di chi diede quest'ordine éompletamente scancellato perchè non ne avesse vergogna. E tutto ciò fu redatto verbale nei registri stessi dai due aotai. Ora, trascorsi piùr di sei secoli, un pronipote si prende I'ardire
secund.am notam
fu
di
di dare al pubblico degli studiosi la fedele riproduzione d'uno di questi fogli mutilati nel quale, coll'andar del tempo, Ie tracce delle parole del fiero Bonifacio VIII appena visibili, sono ricomparse unitamente alla verità che si è fatta giorno sulle calunnie contro di lui scagliate dal vendicativo re di Francia' Con speciale processo fotogradco il cav. Ponpeo Sansaini è riuscito a rendere leggibili le tracce di scrittura sul foglio 134 del registro n. 50. ln questa bolla Bonifacio VIII privava il re di Francia di tutte le grazie e privilegi concessigli per il passato. Eccone il testo: Saloalor munill secundum orilínatíssímam dísbíbutíonem lemporum... postquam.,. mosdgce ac tandem eoangellce gratíe suaùe
ac leoe íugum ímposuít et íìleo non tntandum si
eíus
oícarlus Pebíque succe$ot secundum oaietatem teînPorum Fet sonarum et locomm qualílgte Fensala statutd príoíIegia îndul-
a sede aposlolÎca pto temporc ipsa coníectuta prodesse aut necessítate
genlias conccssiones gralías que
conceduntt
cred.ente
(t)
urgate oel utíIítate publíca suadente postquam
expefimento
lnutilía comprcbanlur suspenilít rcoocal et lmmutal pruertlm ptoptet îngatítudínem oel abusum lllorum quíbus huìusmodí gratíe ac púoÍIegía et ínilulgentîe sunt concessa et lendíI ad noram quoil cancerrrum fuetat ad medelam eíus quoque (?l quoi! ex causa conceilítur ea cessante cessarc debet efecfus íute' exemplo guoil promísa oel anccssa ez causa rcaocantut poslmodum útíonabíIítet et mutantur nec îomanus ponlifex ín concedendís gratils síc plenítudlnem poi*tatís asbín-
quc patet palfteî et
gît quín pos-sr'l ecs cum decet e! expedit ret)ocaîe ac eLíam ím' mutate. Nos ígítur attenilentes quod nonnulla pioíIegía inilul'
genttas el grutias caríssímo ín Chrtsto flío noslro Phllíppo rcgt Fruneíe íIlusti eíusque successofibus eI specíalítet pro ilefensíone rcgni suí sub cerlís formís duxímus concedenda et gatíose alíqua concessÍmus cleicís et laícís guí de suo et successoîÉm suotum strícto consilío fuefint oel maíofi partí eotum guotum príoíIegíorum gratiarum índulgentíarum el concessíonum occasíone per abusum ecclesíis el ecclesíarum prelalís ac petsonís rcIígíosls et seculaibus díctí rcgnÍ magna díspendla et grcoamína sunt illata el graoia scandala sunt exorta et ín antea possenl ofii ac precaoentes ne tali prelextu suprcdíctl ecclesíe prelatl ac Aersone ecclesias!ìce plus grcoentw prooidímus supet hoc salubte remedíum aìlhíbere. Unile íIla omnía quantum ai! omnem ípsorum efectum de fratrum nosttotum consillo usque ail prei!ícle seilís beneplacllum iluxímus suspenilenda llla maxlme que occasíone guefidtum qulbus dlctlrcgni stalus pacìficus tutbabalur tunc teînports
concessa nec constAenftonem nostrum peilrunsít quod
fuerunt
dloína facíente clementia per mínisteríum nosbum ínler tpsum et caissimum ín Cisto fiIíum nostrum E[doard;m] rcgem Anglíe lllustrem pacís est reformatío subsecuta et saltem non est
tanla neces-
sílas defensíonís huíusmoìli cum tanto onere aliorum ac sÍqua sìt esse dinosítut ()) culpa sua ínsupu quicquld ptelatís et personís eccleslasticís
rcgulaibus et secularíbus díc!î rcgní
sub
título ilecÍme
úeI centeslme (?) subsidíí guocumque nomlne censealur ímposllum fuetíI petílum oel lnquísltum ab eís eliam si ad íIlud soloenilum prelalí et petsone predíc!í assensum prestiteinl oel ad hoc se duxefint obblîgandos nec (t) adhuc exaclum fuefit rtel solutum absque sedís eîusdem speclali mandalo d.ecemímus non soloendum executoúbus
a dicta
xger
Fremíssís
oel alìquo
seile concessr's dísttícte mandantes
suspenslbnem
ptemíssorum
ut conba
huíusmodí
et decretum nostrc aliquas non aggraoent rtel mo-
Ieslent aut contra
eos huíusmoilí occasíone tsel causa
aliquo modo
illud decemímus írtítum e! ínane et nullíus oolumus exíslere firmítatís. Celerum quía labìlís est humana memoría et ípsf se corrigentí et habíIítanti ail gatíam prometendam libentet quanlum cum Deo possumus absque mulproceilanl
et
sr' secus fecerínt
torum scanilalo conplacemus díctis suspensíone ac decreto ín sud fi.tmítate ndnentibus ftatenìlas nooembis ptoxímo oentutas pto peremptorío termino assígnamus ut omnta príoílegía gralíe índulgenlíe et ancesíones que dícto rcgí e! successorÍóus surls
ac
Ín
cleticís et laicís cle ípsorum consíIío íIla pteserltín que dum IJrbeoeteil oel Anagnía cum nosha moÍaîemuî curta sub
guaoís
fotma noscîmut
concesst'sse
ilicte
seilís conspectul ptesen-
lentut et aìl nosbam ct rlsíus sedls noti!Íatn etc.
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dffi ó .'...1€.F{*.r#*$,€.rci:{ltrd**Îrn,*6qh;fi1sr. .&fio.-,;.?.fiLs*îGl-f 3t*; *ù*tÌ*,."ig!*&attn'n'$qÉ#ú'"line€hr'.$A?. q*à ì"n'."t & .tr*itvr. tn4#4i ***i;F#.*$ {i'*, S ;.8 p; ; :"$; acjerol*'îtdis.,rii"tt'1,i"'.'a*É,,1,',-ru3**oft**...-5trnrx,rir{itn,tl*"'Jg,"**,{;\6irrfir,-,,";"r. ,
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FOGLIO DEL REGISTRO abraso d'ordine
di
DI BONIFACIO VIII Clemente V.
Processo contro i Templari
lr3o7-13131
201
di quella di Bonifacio VIII, ossia
Ia
confisca
del loro
perchè la prima avrebbe rappresentato un vantaggio materiale, vistoso patrimonio, mentre la seconda, piir che altro, sarebbe stata
una soddisfazione morale. L'ordine dei Templari era stato fondato nel I ll9 per la difesa della Terra Santa ma, proceso contro cessate le crociate (1272) e perduta la Palestinar Questa potente organizzazione si valse delle i remplari' immense ricchezze accumulate per dedicarsi ad operazioni bancarie, ed in ciò riuscì tanto bene da sorpassare i lombardi e gli stessi ebrei. Così i Templari diventarono i banchieri dei papi, dei re e dei principi. Tanta prosperità e ricchezza non può che aver prodotto una certa decadenza morale dell'ordine, e I'invidia, che sempre serpeggia in cerca di una preda, se ne valse per sguinzagliare contro di esso le rabbiose cagne della calunnia. Filippo il Bello aveva penosarnente bisogno di denaro. Già aveva fraudolentemente alterato il corso della moneta; già, nel l29l , aveva spogliato i banchieri lombardi e, nel 1306, pelato gli ebrei; ora doveva essere il turno del ricchissimo ordine. Furono confezionate Ie accuse e lanciato il processo, ed il 13 ottobre 1307 tutti i Templari di Francia furono arrestati. Lingua umana non può descrivere I'orrore delle torture a cui furono sottoposti: se non confessavano I'imputata colpa, erano destinati al rogo; se I'ammettevano, potevano salvarsi la vita, ma incriminavano I'ordine di infamie che questo non aveva comrnesso; se ritrattavano le menzognere confessioni, estorte nella disperazione delle straziate carni, venivano dichiarati spergiuri e perciò bruciati vivi. Tale era la procedura giudiziaria del medio evo e noi, ai giorni d'oggi, ci domandiamo come mai agli urnanisti ed ai giuristi eneriti di quel tempo, che consideriamo intéllettuaimente nostri pari, non si ribellasse I'animo contro un sistema così illogico e barbaro. Il gran maestro Giacomo di Molay e piir di 60 nobili cavalieri furono legati al rogo ove spirarono profferendo dinanzi a Dio la propria innocenza. Così I'ordine fu distrutto, ma il re non raggiunse il suo intento perchè Clemente V lo gabbò ritenendo per sè i tesori dei Templari, suoi subordinati. Vuole la tradizione che quando cadde la testa dell'ultimo gran maestro, I'architrave della chiesa di Valvisciolo presso Ninfa, appartenuta all'ordine, si spezzasse come ancora oggi si vede. Negli altri paesi furono intentati processi simili che portarono in luce Ia falsità delle accuse. Non v'è dubbio che Ia storia, col volgere degli anni, si erige a supremo e veritierio giudice dell'operato umano, ma, purtroppo, ciò si riduce in sostanza a deporre una corona di frori sulla tomba della vittima e a formulare un voto di biasimo contro il colpevole che, qualche secolo prima, placidamente spirò confortato dai santissimi sacramenti. |F
*?t
Chi piir di tutti ebbe a solfrire dell'infelice esito del processo contro Bonifacio VIII fu la famiglia Colonna. La condanna dell'odiato nemico e Ia dichiarazione di illegittimità della sua elezione, non soltanto avrebbero dato ai Colonnesi I'acida soddisfazione della vendetta, ma avrebbero assicurato loro grandi vantaggi materiali. Con la dichiarazione di Bonifacio eretico e falso papa sarebbe crollato quasi tutto I'edifizio giuridico che egli aveva così intelligentemente composto a sostegno del patrimonio dei nipoti; nulle sarebbero state le concessioni in feudo, nulle le ratifiche e conferme degli acquisti fatti, e Ia rovina del prestigio della casa Caetani avrebbe permesso ai Colonnesi di prevalere su di essa con la forza. Svanito tale sogno, il cardinale Pietro Colonna si lusingò che il papa, riuscito a salvare Ia memoria del predecessore, avrebbe almeno acconsentito che Filippo il Beilo e gli altri nemici di Domus,
l,
26.
proceeso
caetani-colonna'
I PROCESSI DI AVIGNONE E DI VIENNE
Lib.
lll, Cap. XXIV.
Bonifacio VIII calcassero la mano sui nipoti. Sul finire dell'anno l3l I portò quindi davanti al re ed al pontefice una petitio contra Gaietanos, chiedendo il risarcimento dei danni sofferti, non solo per mano dei nipoti, ma anche per quelli inflitti dal pontefice nell'esercizio della sua autorità sovrana. Questo processo si svolse sul principio del l3l2 in Vienne nel Delfinato, ove, risiedeva il papa: ne parlano ampiamente l'Eitel ed il Mohler, e nelle loro opere sono riprodotti gli interessanti atti relativi, conservati tra Ie carte dell'antico archivio di Castel
S.
Angelo.
Il
cardinale Francesco Caetani, in assenza dei nipoti, prese Ie difese dei propri parenti e abilmente tenne testa al collega Pietro. Sarebbe troppo lungo riferire qui la storia particolareg' giata del processo; perciò mi limiterò a un breve sunto: Il cardinale Pietro muove causa con una requisitoria generale, a cui il cardinale Francesco risponde che piùr dettagliate e specifiche debbono essere le accuse prima di poterle prendere in considerazione. Allora il Colonna specifica le sue lagnanze e ad esse risponde per capi il Caetani, confutandole e scindendo quel che riguarda la guerra della Chiesa contro i Colonnesi da ciò che si svolse in quella tra le due famiglie. Tale discussione, ricca di riferimenti agli eventi passati, getta una viva luce sulla vita intima dei baroni e sulle discordie civili che avevano sconvolto lo stato ecclesiastico. Alle domande per indennità, avanzate dall'awersario, il Caetani contrappose simile richiesta per i danni subìti dalla sua famiglia, non esitando ad enunciarne I'ammontare nella formidabile cifra di 940 000 fiorini d'oro, corrispondenti a circa dodici milioni lire oro che, ragguagliate al valore odierno della moneta, porterebbero alla somma addirittura fantastica di 336 milioni
lire
carta
!
i
Colonna in questo processo per danni siano stati più fortunati 'che in quello precedente contro la memoria di Bonifacio VIII. Oramai, se avevano delle ragioni dal fu, oul"r", dovevano contare sulla forza delle proprie armi a cui i Caetani si sarebbero opposti da pari a pari, con animo impavido e coscienza tranquilla; forti di per se stessi, potevano pure contare sull'aiuto materiale e morale di alcuni potenti amici quale Roberto re di Napoli. Anche Firenze, grata dei molti benefizi estesile da Bonifacio VIII, costantemente prese le parti dei Caetani. Il 9 di novembre del 1308, non appena avuta ia notizia dell'uccisione del marchese Pietro, aveva decretato una sowenzione di 400 fiorini d'oro a favore dei figlioli Roffredo e Benedetto. l) Questo legame e guesta amicizia, come vedremo, durarono per oltre un secolo; i
Non pare che
Caetani piùr volte andarono in aiuto di Firenze e, ai tempi di Cola di Rienzo, le truppe frorentine si rifiutarono di muovere contro il conte di Fondi, perchè considerato alleato della repubblica.
tra Ie due potenti famiglie baronali, di cui diremo nel capi' tolo seguente, ha un carattere piìr spiccatamente politico perchè si allaccia intimamente alle lotte tra i guelfr e ghibellini, che si riaccesero piìr vive con la venuta in Italia di Enrico VII e di Ludovico il Bavaro.
La
t) Atc.
seconda fase della guerra
St.
Fir., Lib.
Fabarun,
VIll,
cc. 34h-
35'.
Cnprrolo XXV.
EPILOGO DELLA GUERRA TRA
I
CAETANI E
I
COLONNA.
(t312-1327)
1,,,1ú
Roberto
il
Savio.
Statua sepolcrale nella
di S. Chiara in
chiesa
Napoli.
'EstTo nullo del processo Caetani-Colonna convinse Clemente V che la guerra civile tra i baroni avrebbe assunto proporzioni allarmanti e che di ciò avrebbe molto sofferto Ia sua autorità nello stato pontificio. Cercò quindi di mettere un freno intervenendo personalmente nel conflitto Con bolla in data 20 aprile 1312, diretta al nipote Bertrando, Treguagenerale del l3l2' rettore della provincia di Campania e Marittirna, al re Roberto, . al principe Filippo di Taranto e ad altri, ordinò una tregua tra Roffredo e 'Benedetto Caetani e gli anagnini, da una parte, e Rinaldo, Tommaso e Roberto da Supino, Pietro Colonna, signore di' Olevano, i frgli e nipoti di Mattia de Papa, Giacomo e Nicolò Bussa di Anagni, Giovanni Conti, Gualgano e Pietro di Sgurgola, Massimo di Trevi, il comune di Ferentino e i fuoru' sciti di Anagni, Alatri, Ceprano, Anticoli e Paliano, dall'altra parte; incaricò i cardinali Francesco Caetani e Napoleone Orsini di restituire i beni confiscati, far rientrare i fuorusciti, far perdonare i danni arrecati e pose gravi pene ed una multa di 6000 l) Re Roberto ed il marche d'argento a chi rompesse la pace.
fratello Filippo erano nominati conseroatotes pacis. Le ordinanze del papa giungevano disgraziatamente in una ora poco propizia alla conci- calata di Enrico vll' liazione delle awers" furioni: in quel tempo appunto Enrico VII si muoveva verso Roma per farsi incoronare imperatore. Partito dalla Germania iome .< angèlo della pace >>r per forza maggiore dovette prendere in mano le armi e dare nuova esca alle discordie partigiane. ll7 maggto l3l2 entrava nell'Urbe da porta del Popolo e, evitando i quartieri occidentali occupati e fortifrcati dai guelfi, prendeva dimora in Laterano. Dopo avere invano tentato di aprirsi la strada con le armi per giungere a S. Pietro, il 29 giugno si faceva incoronare in San Giovanni. I Caetani militavano contro I'imperatore sotto le insegne di re Roberto presso il quale, dopo la morte di Carlo II, erano saliti in grandissimo favore; è poco probabile che partecipurr"ro ai combattimenti per le strade di Roma, ma piuttosto a capo delle truppe regie in t)
Theín.,
l,
455,
EPILOGO DELLA GUERRA TRA
I
CAETANI E
i
I COLONNA
Lib. lll, Cap. XXV.
Quando Enrico VII andò in Toscana e si accinse ad assediare Firenze, i cittadini inviarono lettere (3 set.) ai due fratelli, chiedendo che venissero ccn le loro genti in aiuto della città e ad esaltazione sua e nostra e dt tutti gli amící ed a pericolo e morte dei nemici. r) Data la scarsezza dei documenti dell'epoca, è impossibile seguire lo svolgimento delle varie azioni a cui parteciparono i Caetani. Sappiamo che prima della discesa di Enrico VII, Benedetto, il conte palatino, aveva dato una grave disfatta a Giovanni da Ceccano ; nel 1312 Riccardo o Vetulus ,, 2) figlio di Giovanni, ebbe la sua rivincita rornpendo presso Anagni un corpo di truppe napoletane, alleate agli anagnini, che muovevano verso Roma; ma a sua volta verso i primi del l3l3 Benedetto, a capo delle truppe reali, sconfisse completamente presso Ceprano le genti di Riccardo, vittoria che, al dire del Gregorovius, 3) valse ai guelfi e a re Roberto il dominio della Campagna e Marittima e fu causa che in Roma venisse rovesciato il governo democratico. Dopo di ciò i Caetani, come capitani e luogotenenti di Roberto, diventarono onnipotenti nelI'Urbe. Questo trionfo rialzò anche il prestigio di Benedetto in Orvieto e gli ridiede per qualche tempo il contado aldobrandesco ed il castello di Giove (l apr. l3l3), feudi che dieci anni prima gli orvietani ingrati si erano affrettati a torgliergli colle armi, appena avevano saputo che Bonifacio VIII era caduto in mano dei nemici in Anagni. Benedetto fissò Ia dimora in Orvieto, diede una figlia in moglie a uno dei Monaldeschi, diventò una delle colonne del partito guelfo, che si era riaffermato, e prese parte principale alla grande battaglia svoltasi nelle strade di Orvieto dal 16 al 20 di agosto tra Monaldeschi e Filippeschi. a) Intensa deve essere stata l'attività militare dei Caetani durante questo periodo: il ,{ luglio l3l4 i priori ed il comune di Firenze scrivevano a Benedetto scongiurandolo, ahche in memoria di Bonifacio VIII loro benefattore, di venire al piir presto in loro aiuto con 200 esperti uomini d'arme. 5) Du un documento dei regsitri angioini, oramai distrutto, risulta che nel medesimo anno re Roberto dirigeva un ordine al giustiziere di Terra di Lavoro di far prestare convenienti sowenzioni a Roffredo, conte di Fondi, il quale con grande comitiva d'uomini d'arme stava in Roma a difesa dei seguaci e degli amici del re, non senza suo grandissimo Campagna e Marittima, furono forse comandati a guardare
dispendio
e
disagio.
passi del Regno.
6)
Le fortunate gesta di re Roberto culminarono, con Ia morte improwisa dell'imperatore (24 ag.), nella vittoria completa del partito guelfo; i ghibellini awiliti ammutolirono e solo in Pisa, in Milano e in altri pochi centri dell'ltalia rimase viva Ia fiamma dell'imperialismo. Clemente V si dette in braccio al re di Napoli : nell'autunno del I 313 lo creò senatore di Roma, al principio dell'anno seguente gii affidò il vicariato imperiale delló stato ecclesiastico e non' si stancò di riversare su di lui i segni della propria riconoscenza. Nelle grazie furono compresi anche i Caetani; abbiamo già visto che negli anni passati il papa aveva nettamente favorito i Cclonnesi, fautori del partito francese e antibonifaciano; in piìr occasioni era venuto in urto con i Caetani ribellatisi alla sua autorità ed aveva negato loro il diritto di tenere milizie. Dopo la vittoria delle armi napoletane non poteva però tenere in disgrazia, senza gravemente dispiacere al re, chi tanto vi aveva cooperato. Per appianare le difficoltà, nell'autunno del 1313, quando Roberto fu nominato senatore, concesse un'amnistia generale e cercò di riconciliare le famiglie baronali romane: ai Caetani, che prestarono obbe. dienza, furono restituiti i militi (milttibus rcstitutis). In quel tempo credo riprendessero finalmente Sr.
a) Cf. Cap. XXVI. \) Amnít.; Daoid. FI., lll, p. 490. 6) Arc. \ Z"pp., I, p. 462, die Rinaldo. E) Gres.,Yl, p.79. s)'De LeII., p. 192; opia aut. del 1612 ir Atc. Gaet, Arcs., coÀ, Fir., Sien. CaÉegeio, Miss, Min. F. V. n. 29- Datíal. F., p.366.
1308, c. 9.
Predominio dei Caetani
[r312 - i317]
possesso anche
205
di Ninfa, ciò che è accennato forse nelle parole de facto Ngmphae, contenute
in una delle interessantissime schede raccolte dal cardinale Garampi, riguardanti un documento r) che non si può più rintracciare. u) Roberto rivestì Roffredo e Benedetto Caetani della carica di rettori di Campagna e Marittima, ufficio che debbono aver tenuto verso tl 1314, come risulta dalla lettera del 5 giugno 1320 con cui Giovanni XXI chiede loro di dar conto delle somme riscosse durante la propria gestione amministrativa e che spettavano alla camera apostolica.
2)
Sono del parere che Roberto, oltre al rettorato, conferisse a Roffredo anche la carica ed il titolo di vicesenatore di Roma. Di ciò non v'è ricordo nei documenti dell'epoca, ma 3) attribuisce alla prima metà del XIV secolo, troviamo alcune monete senatoriali, che il Serafini con lo stemma di Roffredo III, cioè con I'aquila e le onde. Le monete senatorie dell'avo Roffredo I, di cui si è detto prima, a) portano le sole onde, come volevano le regole araldiche; nè la moneta suddetta potrebbe essere di Pietro suo padre, perchè neanche questi ebbe il diritto d'in' quartare le aquile degli antichi conti di Fondi. Escludo Ia possibilità che Nicolò Caetani, figlio di Roffredo III (1336-1348), sia stato senatore, e quindi la moneta non può attribuirsi ad altro
Senatorato
di
Rofiredo
lll.
membro della famiglia. Essa è riprodotta al principio del XXVIII capitolo. I Caetani si valsero senza dubbio della propria posizione eminente per aggiustare più di uno dei loro affari pendenti. Ripresero possesso, come si è detto, di Ninfa e così pure di Sgurgola. Questo nido di aquile era stato loro tolto da Gualgano e da Pietro di Sgurgola, antichi signori del luogo, il giorno stesso dell'attentato di Anagni e i Caetani non erano piir riusciti a riaverlo. Invano Clemente V aveva ordinato a quelli di conformarsi ai suoi mandati. Morto il papa, Bernardo di Castelnuovo, che era stato nominato vicario generale in Campagna e, Marittima ed era stato deputato alla esecuzione della pace tra i baroni, fu richiesto di citare Gualgano di Sgurgola a conformarsi ai mandati pontifici; e Bernardo autorizzò i Caetani (S lug. 1314) a riconquistare il castello con le, armi, assolvendoli sin d'allora da tutte le colpe nelle quali potessero 5) incorrere per il ricupero dei propri beni. L'opera pacificatrice dei pontefrci e dei rettori e specialmente la giustizia, amministrata da sè con le armi, servirono ben poco a ricondurre la concordia. Piùr vive che mai continuarono
le inimicizie, specialmente tra i Caetani ed i Colonna. In quel tempo era venuta a mancare ai vivi Giovanna dell'Aquila, seconda moglie di Roffredo, la quale per qualche anno era rimasta separata dal marito, in seguito alle aspre discordie sorte tra questo e la suocera. Da lei era nato un solo figlio, Nicolò, e perciò Roffredo pensò di ammogliarsi nuovamente e mise gli occhi su Caterina della Ratta, figlia di Domicella e di Diego, conte di Caserta, gran camerario del Regno. Da tali sponsali Roffredo si prometteva non solo di assicurarsi altra prole, ma anche di poter forse rientrare in possesso di Caserta, essendo Caterina e sua sorella Agnesa uniche frgliole ed eredi universali del padre. Le trattative furono iniziate nel l3l7 ed il 17 ottobre fu redatto I'istromento di formale impegno. Per dote il padre assicurò allo sposo le 50 once d'oro che erano state concesse alla figlia e ai suoi eredi dal re Roberto, ed inoltre promise, qualora egli stesso fosse morto senza prole maschile, di dare in
a) (CÍ. Boíiatil, p. oo). Che qualche cosa del genere sia acaduto in quel tempo è provato anche dal fatto che l'8 ag. 1317 Gio' vanni XXII nominava Guglielmo de Balet rettore della Camp. 1)
t)
pae.
Atc. Val., Instr. Migc. X, n. 20".
79.
6) Regesla,
ll, p.
5.
')
Zapp.,
l, pp,465,471i
e Mar., con incarico anche
di
assumere
contee (sic) di Segni e Niafa, a6nchè
ivi
la rettoia
specrcle delle
regnasse I'ordine e fossero
protetti i diritti riella Chiesa (Arc. Vat., Reg. ó7, ep. I I ó8, f. 33ó). MoIIot, Lettre Curiale, pp.
82-89.
) Sqof.' I' p. 43.
Matrim. Caet,Della Ratta.
EPILOGO DELLA GUERRA TRA
I
CAETANI E
I COLONNA
Lib. III,
CAP.
XXV.
dote anche la città di Caserta i il 24 del mese il re dava il suo assenso a quanto era stato convenuto.l) Senonchè Diego della Ratta, anch'egli non stanco degli azzardi matrimoniali, aveva da poco tempo scelto una seconda e giovane moglie nella persona di Oddolina di Chiaromonte, dalla quale non tardò ad avere un figlio per nome Francesco, ciò che tolse a Roffredo la speranza di poter riacquistare Caserta. Diego morì nel 1325 e, nel 1331, Nicolò Caetani, figlio di Roffredo, lusingandosi forse che il figlio seguisse il padre, sposò Violanta della Ratta anch'essa nata dal matrimonio di Diego con Oddolina; in tal modo Nicolò diventò cognato del proprio padre. Tutte queste abilissime e complicate operazioni non valsero a nulla, perchè la povera Violanta dopo brevissimo tempo morì, in età di 16 o 17 anni, suppongo di parto portando seco nella tomba il neonato. Quindi Caserta non fu rivendicata allo stato della famiglia e, solo tre secoli piìr tardi, doveva il feudo rientrare in possesso dei Caetani in seguito al matrimonio di Francesco IV con Anna d'Acquaviva (1618). *"'* Benedetto podestà di Siena.
La
reputazione
di Roffredo e di
Prigionia Benedetto.
di guerra e
come potenti
il signori, nonchè le intime relazioni con la Toscana, valsero a quest'ultimo di essere eletto, luglio 1319, podestà di Siena. primo Egli portò seco cento cavalieri al soldo del comune e il primo di gennaio dell'anno seguente, fu eletto capitano a guerra della città di Siena per un anno. Or awenne che, il 15 di agosto del 1320, D"o Gu""i de' Tolomei ed alcuni altri fuorusciti si impossessarono di Menzane, che fu dato in mano loro per tradim:nto dei castellani. Ma col conte Benedetto c'era poco da di casa scherzare; lo stesso giorno egli fece chiamare a sè quattro dei piìr cospicui cavalieri Tolomei e con modi cortesi e con molta calma li informò che, se entro due giorni non avessero fatto tornare Menzano nelle mani del comune, avrebbe fatto tagliare la testa a tutti quanti. E per dar peso alle proprie parole, fece portare davanti a loro il ceppo e la mannaia e le vesti la colpa su p.r^ l'"r""urione, ed ui Tolo*"i, che cercavano di scusarsi e di salvarsi scaricando non rispondeva altro se non: << Io Ooglio Menzano mí! " Davanti a così duro dilemma "lrri, i Tolomei, non vedendo altra via di scampo, mandarono il compagno lanni Granelli a messer ad Deo, scongiurandolo di lasciare Menzano per salvare loro la vita e così Deo fu costretto liberazione fu fatta andarsene, non senza però aver prima saccheggiato la terra. Per questa segno di giubilo: e grande festa a Siena e fu acceso un grande falò sulla torre dell'Orsa in le Aa tu fatto in sì grande stile che il fuoco si appiccò alle capriate del tetto ov'erano appese frantumandosi' le quali precipitarono -Benedetto andò ad Anagni per il disbrigo dei propri affari e dopo pochi Il mese seguente salvacondotto e giorni, mentre senza alcun sospetto di insidia se ne tornava a Siena, munito di un da Domenico i""o*pugnuto soltanto da piccola scorta, presso Viterbo, fu assalito a tradimento i Tur.llu, lupituno di genti à'ur*" dei Colonna, il quale dal castello di Sansovino taglieggiava a Stefano Colonna, il viandanti. Benedetto fu f"tto prigioniero con tutti i suoi e consegnato in mano piìr violenta la guerra tra le quale lo tenne prigioniero in Palestrina. A tale annunzio si riaccese jue famiglie, e le terre di Cave, Valmontone, Montefortino (Artena), Sermoneta ed Anagni
campane
di
Benedetto come abili uomini
furono devastate. {)
Regeslo,
ll,
pP.
11,13,42'
I Caetani a Siena
lr3t7 -13221
Manenti dice che Benedetto fu menato prigione nel castello di Sansovino e non già a Palestrina: che gli orvietani si sollevarono in suo favore, mandando truppe contro Corneto e Toscanella, favorevoli ai Colonnesi, e che tanto fecero che alla fine lo liberarono. Appena avuta notizia della cattura, Giovanni XXII, amareggiato che le insidie dei nobili continuassero a tener viva la fiamma della discordia nelle abbandonate provincie, ordinò che Benedetto e i suoi fossero subito liberati e, in data 6 novembre 1320, impose che si concludesse aI più presto una pace di due anni tra Benedetto, Roffredo, Francesco e Bonifacio Caetani, figlio di Benedetto, da una parte, e i Colonnesi, cioè Stefano, suo fratello, suo figlio e suoi nipoti, dall'altra. Si doveva stabilire nei patti che: Per sifatta tregua non íntendíamo concedere ín alcun modo alle parti o aí sopraddetti nobilí (Caetani e Colonna) o ad alcuno o ad alcuni dei medesimi lícenza di ofendersi a oicenda, finìto íI tempo della tregua sfessc.' ciò che ci dà un'idea di quanto fossero poco proclivi le parti ad una vera pace. Piùr che altro il pontefice ebbe timore che Stefano Colonna violasse la tregua e perciò dichiarò che qualora egii cadesse sotto le pene della scomunica, I'interdetto doverr" gravare sulle comunità e castella da lui dipendenti, finchè queste non si fossero sottratte alla di lui obbedienza. l) Gli ordini del papa non ebbero immediata esecuzione e vi fu ancora un confitto tra Roffredo ed i Colonnesi di Roma per avere costoro depredato le bestie da soma ed il bagaglio del conte, com'è ricordato in un rescritto di Carlo di Calabria dell' I I gennaio 1321.2) Dopo qualche mese di amrra prigionia Benedetto fu liberato, ma i patemi d'animo e Ia stizza ne alterarono Ia salute al punto che, secondo le cronache sanesi, morì di dolore. Incapace di riprendere I'uficio, il I gennai o 1322, in sua vece fu chiamato il fratello Roffredo a ricoprire
Il
la carica di
podestà
in
Siena.
Roffredo, su domanda del comune, portò seco cento uomini d'arme, pagati 24 libbre al mese cadauno, come risulta dalla liquidazione dei conti per i due mesi comincianti con il 7 febbaío del t32 t (leggi I 322) quínta índizione. 3) Seguendo le orme del fratello, dovette difendere i Nove ed il partito popolare contro la prepotenza de'Tolomei e, data la turbolenza delle fazioni usò energia ed asprezza nel mantenere I'ordine. In occasione di un incendio nella casa dei Marescotti, Ia gente del podestà accorse per spegnere il fuoco e approfittò dell'occasione per rubare, per la qual cosa nacque una rissa che subito degenerò in una battaglia di partito in cui varie persone rimasero ferite. Roffredo represse severamente il disordine e vari dei Marescotti e dei a) Ioro seguaci punì con gravi multe e alcuni mandò in esilio. Il 24 giugno, alla frne del semestre della sua carica, armò cavalieri sei della famiglia Scotti. È ,nolto probabile che, scaduto il termine del proprio ufficio, i senesi, come già fecero per il fratello, lo eleggessero a capitano di guerra. Verso la fine del 1322 messer Deo de' Tolomei si rimise in armi ed assali Città di Castello, s'impossessò di Asciano, Asinalonga, Torrita e Rigomagno e poi portò guerra nelle campagne mettendo a ferro ed a fuoco le ville, guastando Ie vigne e rovinando le case. I senesi affidarono il comando a Roffredo Caetani, il quale con un forte esercito mosse contro Deo e lo costrinse ad abbandonare le castella occupate in Val di 5) Le notizie che abbiamo su questo periodo sono così Chiana e ad uscire dallo stato di Siena. poche ed oscure che non mi è stato .possibile ricostruire I'opera svolta dai due fratelli Caetani nel senese; sappiamo però che essi presero la parte dei Salimbeni e dei popolari contro quella de' Tolomei e duramente trattarono gli awersari. Ciò non fece che render piùr vivi gli odi 1) 3)
Arc. Vat., Reg. 7l , f . 24b,
ep.
lrc, St, Slena, Bicchcma, vol. 543, pp. 212-213.
78
; Zapp.,l, p. 47O i Mur XV, Cron. Suei. a) Cf. nota a) pae. 210ert., Arc, Dipl. S' Crce.
Eít. K., p. l2O t, Theín,,|, p. 499
c. 5Oi Atc. St. Fir.,
Quad.
2) Pflusk, p.642. 6) Tommasí,l1,
Pace
Caetani'Colonna
àel 1320.
Roffredo podestà di Siena.
EPILOGO DELLA GUERRA TRA
208
I
CAETANI E
I COLONNA
Ub. III, Cap. XXV.
ritroviamo una espressione del risentimento in una ballata politica contenuta in un manoscritto del sec. XVI, già appartenuto ad Enrico Molteni, ora all'Ambrosiana di Milano, l) Essa è un libello scritto evidencon il titolo : Poetí antichí senesí îaccolti da Celso Cittadini. temente da un partigiano de' Tolomei contro Roflredo Caetani, accusandolo di molte colpe, non confacentisi né al suo carattere, né a qrranto ci riferisce la storia. Il ritornello ,, Deh Contin, torna ín Campagna " ci dice che il soprannome di " Conticello ,,, dato al conte di Fondi già sin dai primi anni del pontifrcato di Bonifacio VIII, gli era rimasto anche in età matura, quando non ve ne era più necessità alcuna per distinguerlo dal
di parte e
padre, conte di Caserta. Riproduco questa ballata con una versione libera:
BALLATA POLITICA. Deh Contin, torna in
Deh Contin, toma in CamPagna Se fu se'saùio e cortese, Pa' che Ia gente sdnese De Io tuo stallo si lagna. Ben t'hanno orlato íl caPPello E gíudíci e caoalieri;
di Roma se tu sei savio e cortese, Iagna.
Ben t'hanno preso in giro i giudici e cavalieri che portasti con te dalla Campagna; d
Messo t'hanno
Se rimani, finirai per essere ucciso
a tradimento. b) etc.
Crediti stare a oedere; Ahra oía conúien tenere Chi ouol co[mJPier sua l)eîgogna: Far sonar bomba e samqogna Poco honor se ne guadagna.
elc.
Pìccolomín Perdonastì
E da te non fur Puliti(sic); Messer SPíneI condennasti a) Messer Tommaso' ili messet Tommaso da S. Lupídlo il'Anagnía (prob' parente di Rofredo); gíui!íce; Messer P.o ilí messq GuÍdano ile Pophis; Messer Monalilo Zaccono (Rinaldo Tacconi ?) da Sezze; note del Cittadini' b) Alberigo dei Manfredi di Faenza nel 1285 convitò a Messer Bussa
t) Pubb. da V. de
Bqttholomqer'r
Deh Contin etc.
Chi fa pace per forza, come Deo de' Tolomei .fu costretto a fare per opera di tuo hatello Benedetto e di te stesso, non si atterrà ad essa; Ti sei fatta una reputazione cacciandoci da Asciano e credi poter riPo' sare sugli allori; ma altra via devi te' nere per scancellare I'onta del tuo mal fare (di quale?): poco ci guadagni a strombazzare il tuo ultimo successo.
fa pace pur Per forza Non la fa Per buon oolerc: Trattone iI tuo caPítale, Chi
A
in tal zimbello i ra-
gazzi ed i masnadieri i quali non Pensano che a far di ogni cosa moneta;
D'Alberigo di Romagna.
Deh Contin, torna in CamPagna
poi-
chè la gente senese del tuo ufficio si
Messo I'anno in tal zímbello E ragazzí e bírioíerí Che guadagnon oolentieri Chaschedun di loro ín tutto; Se cí stai, haoraì del fructo
Deh Contín, torna in CamPagna
Campagna
Deh Contin etc.
Ai
Piccolomini perdonasti e da te non furono puniti, invece Messer Spinello de'Tolomei tu condannasti e molti dei menss alcuni suoi parenti ed al fine del desinare, avendo ad alta voce ordinato di portare le frutta in tavola, li fece dai servi armati tnrcidare. Da qusto fatto venne la Írzae; " frutta dÍ ftate Albeúgo ', per uccisione a tradimento (CÍ. Inferno, xXXm, v. lls).
in Bull' Soc' Filol' Rom', Misc' di lett'' fasc' I'
Roffredo Caetanr
lt322l
209
loro furono messi al bando. Non ti far velo con la mano perchè tu hai sulla fionte di vergogna maggior
Ch'assai [furono ?J sbandtti.
Non t'agguattar dopo i diti, Chè tu haí in su la fronle Di oergogna maggíor monte
mole di qualsiasi monte da qui ad Anagni.
Che non ha ila chi ad Alagna.
Deh Contín, torna ín Camqagna
elc.
Non dovresti piùr far suppliche al papa Giovanni XXII e portare le sue armi, dopo averlo vituperato.') Tu ti sei solo occupato a correre appresso alle donne e Ie cattive novelle di te si spargeranno da Napoli sino ad
dooresti più inorare El santo Padre íncoronato; La sua arme non portare
Chè'n
Po' che l'hai oítuperalo; Sempre mai
Di
tí se' studíato
seroíre alle fancelle
Andoranno le nooelle Da Napol fino ad Alagna.
Deh Contin, Iotna in CamPagna
Tu ti
A A
Anagni.
etc.
Conte, la tua afrmaia?J Tosto leoa lo accamato; Se ci slai, haorai tal mercato Si supra da chi ad Alagna. etc.
fi
la tua
codardía,
daríano una paglía;
Fiorentin, gente
di
Vagheggíare non
Per
I
Io Piacque;
etc.
Tu t'arrecasti a sdegno La caoalcata d'Ascìano ; Festí díre ín conieglío Che'n ooleí
esser caqítano
Noí tí coglíarem nel Píano
per
a) Come capitano d'arme di re Roberto aveva combattuto papa, il quale s'interessava ad aggiustarc le dirordie dei
il
Caetani con i numerosi loro uemici. b) Forse un'allusione alle sue vicende matrimoniali' Domus,
l,
27.
tuoi messi per farti pa-
Fiorentini, gente di vaglia, non hanno simpatia per te e per un'inezia ti bastonerebbero le anche. ")
tí
Deh Canlìnt, lorna in CamPagna
i
bero neppure una paglia.
oaglía
bussaríen le hanche meno d'una castogna.
Anche
mandasti
gare le taglie (dai Tolomei?), ma essi sanno la tua codardia e non ti dareb-
Per user cspítan di taglía: Sanno
mal portato in questa tua
Deh Contin etc.
Tu
mandasti ambasciaría
Non
Deh Contin etc.
signoria che ogni senese ti odia per Ia tua baratteria. Conte, la tua gente d'arme usa il bastone (camalo per battere la lana), ma se tu rimani awai tal trattamento sulle spalle dai (tuoi nemici?) in Anagni (oppure : da qui ad Anagni ?)
Chesta tua rcoerendaría'
Tu
u)
Tu ti sei così
si ben Portato chesta tua signorio: níun ssnese non è ingrato se'
Deh Contín, torna ín CamPagna
Deh Contin etc.
Deh Contin etc.
Tu ti
sdegnasti perchè Deo de'Tolomei cavalcò sopra Arciano e facesti dire in consiglio che volevi comandare le truppe contro di lui; (vieni) chè noi ti
aspettiamo
nella pianura d'Arezzo
e
.) I Gorentini spesse volte chiamarono Rofredo a venire in toro soccorso cou le armi e sempre si coasiderarono alleati dei Caetani, e di ciò diedero prova al tempo di Cola di Rienzo (Cap. XXXII). Le accuse sono quindi tutt'altro che fondate.
Epl1-oco DELLA gUERRA TRA
2lo
Carattere
di
Roffredo.
I
CAETAN! E
le
I CQLQNNA
Che si chiama el piano d'Arezzo;
daremo
Noi fi faremo mutar ttezzo A te e a la tua compagna !
pagnia ! ")
Deh Contin, torna in Campagna, Se lu se' soúío e cortese Poichè Ia genle sanese De lo tuo stallo sí lagna.
Deh Contin etc.
busse
a te
Lib. tll, c"p.
Xkì.
ed alla tua com-
Tutte queste insinuazioni ed accuse hanno ben poco valore, perchè furono dettate da odi di parte e da interessi lesi. Pure non possiamo fare a meno di notare che questo non è il solo ricordo che ci è pervenuto delle critiche di cui Roffredo fu oggetto da parte de' suoi contemporanei, mentre, a quanto ci risulta, nulla del genere fu mai detto contro il fratello Benedetto; persino nella farragine di contumelie e calunnie contenute negli atti del processo di Avignone non
vi è una sola parola che tenda a mettere costui sotto una cattiva luce. trn vero gli elementi storici di cui disponiamo sono troppo scarsi per poterci fare
una
immagine chiara del carattere di Roffredo e per formulare un giudizio su quanto operò nella vita. Tattavia giudicherei che fu uomo di mente meno elevata di suo fratello Benedetto, piir di lui dedito ai piaceri e per natura altiero e litigioso; ma per attività, per coraggio e per abilità militare, non fu certamente inferiore agli altri nipoti di Bonifacio VIII. Ai nemici non diede tregua, agli
Sue opere.
amici fu fedele. Con Firenze rimase legato da legami di affetto e riconoscenza e per essa si espose piir volte ai rischi della guerra. Servì re Roberto in tutte le guerre e fu uno de' suoi piìr fedeli e valorosi capitani d'arme; a lui spettò in buona parte il merito d'aver assicurato' al re di Napoli I'assoluto predominio sullo stato della Chiesa; in compenso di ciò il sovrano riversò l) su di lui molte grazie; lo esentò da gravami fiscali e gli conferì cariche di molta importanza; addì l0 agosto 1324 lo nominò suo capítcno generale a gueîîa delle terre e deí luoghi della Maríttima da Sperlonga sÌno a Castellammare di Stabía inclusa-z) Compì molte opere d'importanza specialmente ne' propri feudi. A lui credo debba attribuirsi la costruzione di buona parte del castello di Sermoneta ed in special modo la grande sala dei baroni vicino al maschio, che al tempo dei Borgia fu ridotta a stanze di abitazione ed ora 3' è detta .. Casa dei Signori ,,. Di essa infatti si parla nell'istromento ll ottobre 1324 con le parole Actum ín curía dícti domini ín camera maíori picta, in capite sale magne. C'informa il De Lellis che nel 1327 ebbe commissione dal re di riparare e fortificare tutti i castelli, Ie terre e i luoghi da Sora sino a Gaeta, e per tante e così ingenti spese si trovò costretto a vendere Montemorisco, Sardinolo e Baselice a Roberto di Montevairano, ed il castello di Sonnula
a Carlo d'Artus.
a)
n) La finale mi fa supporre che questa ballata, composta durante la gueffa contro i Tolomei, sia stata cantata dai loro soldati. ll Cittadini accanto al nome Rofredo scritse sul manoscritto : Fotse opera dí Símone di Nerì dí Raníeil CíIladíní, che gIí leoà lI romoro conlrc ínsíeme ad alcuní de' MarescolIí suoí cugînì: anche ne fu bandílo. Ciò conisponderebbe
a quanto scrive
il
Tommasi nella sua Hístofia dí Síena
Ia
(p. zrt): Questo
anno con occasíone che s'era appreso
íl fuoco
nelle case de Maríscottì allabocca del Casalo ili sotto, ch'an'
Goet.
cor oe ne imane íl segno (an. 1626), essendooi corsa gente della famíglia del Podeslà (Rofredo) solto spezíe di imedíaroí, ma ín oero pÌù loslo per rubbaroí, come aùeoa comíncíaIo a farc, furono ferítl e caccíali oía a fotza; onde esso Podestà con' dennò per lale cagíone ín míIIe líre per cíascuno Scollìno, Píetro e Cecco dí Símone dÍ M. Guído Mafiscolli, Sígnofi dellc ilella casa, e Símone de Neft Citlailiní lorc cognato peî
!) Cl. Arc. Nar. R. A., vol. 255, f. Arag, cod. 1308, c. 182.
5b.
soreIla
dí
essí,
M.
Tommè Squarcíalupí, Maso
dí
Bene
Anîghí, M. Gíooanní Fontana, Beneìlelto del Conte, Gíonni i!'An&ea
1 lui, vol, 255, f. lD4b.
s)
e
Regesla,
sette
albí della
II, p. 40.
Ser
plebe.
\ De
Lellís, p.
l93t
Cl. 4rc.
Roffredo Caetanr
Ir31e - 1327]
Al
2lt
principio del secolo XIV la città di Fondi si trovava in pessime condizioni: certamente Bonifica da secoli nessuno si era piir occupato della sistemazione idraulica di quella regione pantanosa, di Fondi' sicchè anche i terreni vicini alla città e circostanti al lago di Fondi erano pieni di acquitrini, fomiti di malaria, in modo che, al sopravvenire dei calori estivi, si corrompeùd I'aría e scoppíaoano epidemíe mortalí. Entro la stessa Fondi, per rnancanza di scoli, stagnavano le acgue ed al tempo delle piogge le strade e le piazze diventavano un pantano di melma; le mura castellane erano in buona parte rovinate e tutto il paese era in condizioni tanto tristi che la famiglia Caetani vi ahdava di rado, preferendo vivere nelie terre di Campagna e Marittima e nella amena Traetto. Roffredo volle porre riparo a tutti questi mali e perciò verso la fine del l3l9 espose al sovrano lo stato delle cose ed il suo intendimento di procedere alla bonifica idraulica della contrada, al rifacimento delle mura ed alla pavimentazione delle piazze con mattoni (tegulis cum Iateríbus); dichiarò altresì che, risanata Fondi, avrebbe potuto venire ad abitarci, ciò che gli avrebbe permesso di trovarsi più frequentemente in vicinanza ed ai servigi del re. Ma per sopperire a tali ingenti spese non poteva gravare sui cittadini e vassalli pauperes utique ac dioersís oneribus pregraoatí e perciò pregò che gli fosse concesso d'imporre un pedaggio di due grani per ogni salma a tutti i forestieri transitanti per la città con bestie cariche di vettovaglie. Il re, in data 12 novembre 1319, gli concesse tale privilegio a condizione però che il ricavato fosse interamente devoluto ai lavori di bonifica e che questi fossero compiuti entro dieci anni. r) Traetto. Traetto invece, I'altro feudo del conte di Fondi, era in prospere condizioni ed in un primo tempo fu dimora preferita della famiglia nel napoletano; e ben a ragione, perchè sana ed amena Rocca di Traetto; porticato (sec. XIV), era la terra e ben fortifrcata in cima allo sperone di montagna che domina la pianura del Garigliano. Sono del parere che la rocca, di considerevole mole, sia stata costruita prima di quella di Fondi e che probabilmente risalga al tempo dei Dell'Aquila. Un grande maschio rotondo e varie torri quadre ne guarnivano gli spigoli. L'accesso principale era guello attuale e dava in un androne a volta, dal quale si entrava nel piccolo cortile, ornato di un porticato a sesto acuto e di finestre bifore. Una comoda e larga scala conduceva al loggiato del primo piano, donde si entrava nella grande sala dei baroni, tuttora esistente nella sua nuda e disadorna vastità. Dalle finestre del palazzo e dalla piattaforma delle torri si godeva il magnifrco spettacolo della verdeggiante pianura, tutta cosparsa di casette e torri bianche, e della larga insenatura dell'azzurro golfo di Gaeta. Ora la rocca, con le torri mozzate e deformata da strutture posteriori, ha perso all'esterno ogni carattere di Íortezza e di residenza baronale ; solo entrando nel cortile si ha un'impressione di quel che fu quando era abitata da signori, di cui nessuno sembra più neanche ricordare il nome. Anche la vicina chiesa di S. Francesco, ove furono sepolti Roffredo e molti de' suoi discendenti, ha perso tutte le sue primitive caratteristiche; le tombe, le lapidi ed i' monumenti sepolcrali sono stati t) Atg. Gaet. Arcs.,
cod.
N. 5 (491), c.
12.
EPILOGO DELLA GUERRA TRA
212
I
CAETANI
E
I COLONNA Lib. lil, Cap. XXV.
il
periodo della rivoluzione francese e dell'occupazione napoleonica; oggi non si vede che una banale chiesa moderna con stucchi dipinti in rosa, bianco ed azzurro quasi a ricordare coloro che la deturparono. Verso la metà del secolo XIV, quando .i conti di Fondi piìr di rado soggiornavano nei loro castelli della Campagna e nella stessa Anagni, essi, al dire del Riccardelli, erano soliti dimorare metà del tempo a Traetto e metà in Fondi; ma quando nel secolo XV, per opera di Cristoforo e di Onorato Gaetani d'Aragona, venne costruito il bellissimo palazzo, s'ingrandì la rocca e fu abbellita la città di Fondi, la famiglia fece di essa la sua abituale e quasi esclusiva demoliti e dispersi dal vandalismo che caratterizzò
residenza.
Roffredo, entrato in grande dimestichezza con re Roberto, durante gli ultimi anni visse di preferenza a Napoli nel palazzo del sovrano, e in una casa di sua proprietà teneva i familiari e la gente d'arme del suo seguito. l) Si legò d'amicizia con Carlo, duca di Calabria, giovane adorno di tutte le qualità che possono desiderarsi in un principe e dotato di un senso di giustizia tanto squisito che di lui per 2) più, secoli si tenne viva la memoria nel cuore del popolo. Ricorda Angelo di Costanzo I'aneddoto del vecchio e decrepito destriero di Marco Capece che ottenne la protezione del principe, strofinandosi contro e facendo risuonare la campana che Carlo aveva fatto appendere in piazza davanti al palazzo della corte, perchè anche i poveri vagabondi invocanti giustizia poterrero farsi sentire. Quando I'amato principe fu rapito dalla cieca morte (l nov. 1328) grande iu il dolore del baronaggio e del popolo e nel serventese scritto in quel tempo e che comincia, Gran dolor che Io cuoî mi cuoce, è ricordato anche Rofiredo Caetani con le parole:
Piangea iI conte di Fondi e da Cíglíano E dt Calaoria iI conte di Chianzano, QueI da Mont'alto e quel da Quaglíano Traean gran guaí.1)
*
:F
Ripresa
della
causa
Caetani-Colonna'
'.i3
Ritorniamo ora al racconto delle discordie tra le famiglie baronali della Campagna. il Mentre i Caetani andavano rafforzando la loro posizione in Roma e nel napoletano, per il mancato cardinale Pietro Colonna non poteva darsi pace per la perdita di Ninfa e 1325, ritroviamo negli risarcimento di danni da parte dei nemici; difatti, in data 7 giugno di Perugia a) archivi di parigi un tentativo del cardinale di riesumare la famigerata convenzione t> e Selvamolle Pofi Sfiduciato ormai della propria capacità di farsi consegnare del zZ marzo tlos. dai Caetani, o seccato delle procedure legali che si protraevano all'infinito senza risultato alcuno, sortire dalla qu:stione; perciò pensò bene di ricavare quel poco di profrtto che poteva eventualmente da come si fa tuttora vendette ogni diritto ad alcuni procuratori ecclesiastici, non diversamente non mai mozzorecchi, ,b"llute cedendole per un boccone di pane ad awocati per le ""u"r" Colonnesi difficili a trovare. Costoro dovevano farsi restituire dal re di Francia i diritti che i contro i Caetani e che, anni fa, erano stati rimessi completamente nelle mani del' accampavano
quello ,onruno; quindi con I'appoggio di questo che certamente non sarebbe mancato, e con a proprio della famigiia Colonna e dri suoi fautori, dovevano procedere energicamente assumendo .
t)Atc.Vot.,hstt.Mis.,n. 1357,
5) Cf, pae. 188.
)Lib,V.
\A.Meilícr,Lamentideis,XtVeXV;Fireoze,
1883.
a)Dupuu'p'6ll'
11313 - 13271
Roffredo Caetani
2t3
carico tutte le spese; quel che potevano ricavarne sarebbe rimasto a loro, dietro pagamento al cardinale Pietro di una certa somma fissa. I procuratori per procedere avevano bisogno di due documenti fondamentali; dell'originale istromento di permuta, munito del sigillo di Carlo II di Napoli, e dell'altro di procura in base al quale il giovane Benedetto aveva trattato a nome dei parenti. I Caetani asserivano che detta procura non esisteva ed i Colonna non I'avevano certamente in mano, per cui le prospettive della causa erano poco promettenti. Perciò i procuratori ecclesiastici convennero di pagare al cardinale una somma à forfaU di 10000 fiorini, qualora i due documenti fossero pervenuti nelle loro mani, e di soli 4000 se non si poteva ritrovare I'atto di procura, senza íI quale nulla poteoasí compiere legalmente, poíchè tutto I'afare dipendeoa dal procuratorío. Ma quegli abili awocati ebbero poca fortuna sicchè, malgrado tutti questi sforzi, Pofi, Selvamoile e Ninfa rimasero
ai Caetani. La guerra tra le due potenti famiglie romane perdurava; l'una eta esponente principalo Guerre in Toscana' del ghibellinismo, I'altra fautrice ardente del guelfismo; a volte divampava per brevi tratti con fragore di armi, per poi continuare sorda ed accanita sotto forma di liti, d'intrighi politici e di congiure; sempre dipendeva e si collegava alle maggiori vicende dell'eterno conflitto tra il partito imperiale e quello guelfo, ed è facile capire come necessariamente ne seguisse le sorti. Dopo la sfortunata impresa di Enrico VII e la di lui morte, awenuta in Siena il 24 agosto 1313, svanirono le speranze dei ghibellini di conquistare il predominio nell'ltalia causando la caduta di Roberto d'Angiò, capo della parte avversa. Al contrario i guelfi, e con essi i Caetani, diventarono padroni della situazione nelle provincie romane. Tuttavia le città di Pisa e di Lucca, da principio capitanate da Uguccione della Faggiola e poi da Castruccio Castracane, continuavano a sostenere il partito imperiale in Toscana, e la sconfitta di Altopascio, che quest'ultimo infisse ai guelfr nel 1325, rialzò a tal punto le sorti dei ghibellini che i fiorentini dovettero nuovamente ricorrere alla protezione di re Roberto, offrendo per dieci anni la signoria della città al figliolo Carlo; duca di Calabria. Costui designò a suo vicario il duca d'Atene e, dopo breve tempo, si mosse egli stesso verso la Toscana, accompagnato dalla moglie e da larga schiera di cavalieri e di- gran signori del Regno e della Provenza. Tra essi era anche Roffredo Caetani, conte di Fondi, lieto di poter manifestare nuovamente alla città di Firenze lo spirito d'amicizia e l'alleanza che legavano la propria famiglia alla nobile repubblica. Il 30 luglio 1326, il duca entrava in Firenze, accompagnato da 1500 cavalieri, fior t) erano ducento della nobiltà napoletana e provenzale. Et tra quisti, nota il cronista bolognese, caOalíerí a sperun d'oro. Furono ricevuti dai frorentini con grande onore. ") il duca si trattenne in Toscana per un anno e mezzo. È presumibile che Roffredo partecipasse soltanto alle prime azioni guerresche, perchè dopo qualche mese dovette far ritorno nelle provincie romane, ove re Roberto aveva bisogno della sua autorità e del suo appoggio militare per mantenere I'ordine e per prepararsi ad una nuova guerra che si annunziava inevitabile. Nel febbrai o 1327 i ghibellini avevano invitato Ludovico il Bavaro a scendere in Italia e questi il 13 marzo partiva da Trento sotto veste di pacifrcatore, ma con animo di muovere guerra ai guelfi ed al papa. u) Tra i cavalieri era anche Benedetto Gaetani di Pisa, frglio di quel Giacomo che fu intimo di Bonifacio VIII. ll ce mune di Volterra gti aveva confiscato le proprietà comprese nel 1) Mur.,
,XVlll-I, p. 370r Cf. Villanì, Líb' X, Cap. I.
suo territorio, e Carlo duca di Calabria, trovandosi in Siena, ordinò a quel comune di retituire detti beni (Arc, Gaet, 4rug., cod. t3o8, c. t3).
214
Arbitrato
di re
Roberto
àel 1327.
EPILOCO DELLA CUERRA TRA
Di
I
CAETANI
E I COLONNA
Lib.
lll, Cap. XXV.
si parlerà nel capitolo seguente; per ora voglio soltanto ricordare che il saggio re Roberto per poter meglio far fronte all'invasore tentò di porre un fine alle discordie che essa
baroni romani suoi vassalli, ossia i Caetani, i Colonna, i Conti, i De Papa ed altri. S'intromisero amici comuni e gli stessi Caetani si dimostrarono certamente piùr accondiscendenti ad un accomodamento per timore che la venuta di Ludovico per la incoronazione potesse ravvivare le pretensioni e la tracotanza dei Colonnesi. Le parti rimisero le loro vertenze all'amichevole composizione e alllarbitrio di re Roberto, il quale in Castelnuovo di Napoli, il 24 maruo 1327, pronunziò il lodo in presenza di Giovanni principe di Acaia, di Ingeramo (?) arcivescovo di Capua, di Ademario Roinano di Scalea, vice ammiraglio del Regno, e di altri dignitari. r) In primo luogo compose la questione delle castella e le pretese per danni, avanzate tanto dai Caetani quanto dai Colonnesi in conseguenza alla lunghissima guerra combattuta dalla morte di Bonifacio VIII in poi. Abbiamo visto che la lite nacque con la convenzione del 22 marzo 1305 in Perugia, fu dibattuta a Vienne nel l3l I e tuttora pendeva con minaccia di protrarsi indefinitivamente. Decretò che i Caetani invece dei 100000 fiorini pretesi dai Colonnesi, pagassero per tre anni una indennità assai più modesta di lO00.frorini annui e che,'per il bene e la pace di tutti, più non si dovesse tornare sulla questione. Ordinò che Castel Mattia e le altre terre e i beni dei figli di Mattia de Papa fossero loro restituiti e che essi potessero far ritorno alle proprie case nella città di Anagni da cui erano rimasti esuli da 2l anni. La controversia di Falvaterra, castello acquistato da Pietro Caetani nel 1303 e per cui pendeva lite probabilmente contro i Colonna o i De Papa, doveva essere deferita ad un collegio di probiviri con intervento del rettore di Campagna. Il lodo ebbe esecuzione, perchè troviamo che il l0 aprile 1332, Giolanni principe di Acaia, su domanda di Roffredo, trasferiva Falvaterra e S. Felice in feudo da lui 2) al figliolo Nicolò: eiò che dimostra come i Caetani ne avevano ricuperato I'indiscusso posterto. Il 28 maggio il re si pronunziava sull'arbitraggio. 3) La sentenza servì pro bono pacís ad appianare le differenze d'interesse tra le varie famiglie, ma non conduceva a quel compromesso di pace che pur doveva essere intendimento principale del sovrano. A riparare in parte a tale omissione volontaria, fu redatto il giorno medesimo un secondo privilegio, con cui veniva intimata pace inviolabile tra Paolo Conti, da una parte, e Stefano Colonna, Giovanni Conti ed i figli di Mattia, dall'altra. Dei Caetani, amici di Paolo, non si fa cenno; donde si deduce che col suo intervento il re si limitò ad pccomodare le partite di carattere economico tra costoro ed i loro nemici, non essendo riuscito a risolvere in alcun modo le divergenze familiari e politiche che li tenevano divisi. Nè di ciò v'è da meravigliarsi; i Colonna, campioni romani della parte imperiale, e i Caetani, principali sostenitori di Roberto capo della parte guelfa, non potevano venire a pace duratura. Con questo lodo si chiude guindi soltanto il conflitto di interessi tra le due case, confitto che si riconnette all'opera di Bonifacio Vlll; ma il contrasto politico e familiare perdurò per oltre tre secoli e, se a volte fu messo in disparte per lungo periodo di anni, tuttavia non mancò di riaccendersi piìr vivo che mai alla piìr piccola provocazrone, come verremo narrando in questi volumi. tenevano separati
i
r) Arc. Nao. R. 1., vol. 1326-1327, fr.22b,23 (p:rduto));
a.
1326-7,
t.
23.
C-l9l;
C- 19{.
r)
Regeslo,
ll, p.75.
ì) Arc, Nqp.,
Reg. regis Rob.,
'lt
z
Caprrolo XXVI.
BENEDETTO, CONTE PALATINO. (t265-t322)
fu certamente il piìr intelligente, il piìr attivo e quello dei nipoti di Bonifacio VIII che più si distinse; uomo d'arme per eccellenza, nonchè buon amministratore e rettore di uffici pubblici, è sempre lui che partecipa agli awenimenti ed alle trattative piir importanti, come si è avuto occasione di ricordare nei capitoli precedenti. D qualche anno piùr giovane del fratello Roffredo, è da suppone che nascesse verso ;l 1265, ma non si. hanno notizie di lui sino al 1300 allorchè, il 25 aprile, il popolo di Mon-
trNEDETTo
tebuono delegò i procuratori a prestare giuramento dj fedeltà nelle sue mani quale conte palatino. l) La sua attività pub. blica comincia appunto in questo tempo quando il papa gli concesse in feudo il contado aldobrandesco tolto a Margherita. Ebbe quattro mogli: la prima fu Francesca, che potrebbe essere stata una Orsini ; in seconde nozze sposò Alogsía, figlia del nobile Adenolfo di Mattia de Papa, quello medesimo che poi diventò acerrimo nemico dei Caetani. Questo matrimonio fu contratto senza la dispensa apostolica quantunque Luigia fosse parente in 4o grado con la prima moglie Francesca e certamente consanguinea dello stesso marito. Infatti Bonifacio VIII, nel concedere la dispensa per il matrimonio di Matalona, figlia di Mattia di Adenolfo (che probabilmente era nipote di Luigia), con Nicola di Teobaldo Anibaldi di Roma, la chiama sua nipote. 2) Da Francesca o da Luigia, Benedetto ebbe Bonifacio e probabilmente altri de' suoi figli; ciò deduco dal fatto che Bonifacio fu podestà di Anagni nel 1316 e quindi, doveva contare allora almeno 25 anni: ciò che fisserebbe la sua data di nascita verso il 1290, e quella di Benedetto anteriormente al 1270. Morta Luigia, Benedetto nel 1306 si fidanzò con Giovanna Orsini, figlia di Francesco di Matteo; per tale matrimonio il papa Clemente V, in data 30 giugno, concedeva la dispensa prescritta, essendooi da una paile un quarto grado d'afinità e dall'altra ímpedímentí di pubblica giustizí.a e d'onesfà, considerato che fra Giovanna e ambedue le prime mogli defunte Lcttera iniziale miniala ; dal Lí6er Sextus Deuetalíum, ediz. del 1482.
L) Regesla,
l, p. 229.
2)
Dìearì|, n. 5005.
Marrimoni.
Lib. Ill, Cap. XXVL
BENEDETTO, CONTE PALATINO
216
il 4' grado di consanguineità. Dal testo non risulta perfettamente chiaro se anche tra Benedetto e Govanna ricorresse simile grado di parentela; in tal caso il congiunto comune verrebbe ad essere Matteo-Rosso I Orsini (f 1246), marito di Perna Caetani di Roma; e
intercedeva
quindi Elisabetta Orsini, moglie di Roffredo II Caetani, dovrebbe essere figlia di Matteo-Rosso II o di Gentile Orsini, figli di Matteo-Rosso I. l) Il matrimonio fu autorizzato, a quanto dice il breve, t' pu, alimentare e conoborare iI oero afetto e I'amicízía esistentí tra i nostri parenti, consanguíneí ed amíci da cui síno ad ora è scaturíto tanto bene e per eùitare í mali e i perícoti che I'ínteroento del díaoolo potrebbe far nascere. Se mi sono dilungato sul testo del documento è per illustrare quale complicato intreccio di antiche parentele esistesse fra gli Orsini, i Caetani ed i Conti sin dal principio del secolo Xlll. Il matrimonio venne celebrato nel marzo circa del 1308, come risulta dal fatto che il padre di lui, Pietro, addusse guesto fausto avvenimento come scusa di non essersi presentato a Carlo II per rispondere sulla questione di Caserta. In quel tempo Benedetto risiedeva in Anagni e difatti nel settembre di quell'anno egli, d'accordo con altri cittadini, riformò lo statuto del comune.
3)
Nel I 317 Benedetto prese una' quarta moglie nella persona di llaria de Sus (detta da alcuni erroneamente Flavia), contessa di Sant'Angelo e figlia di Amerigo e di Florensia, signora a) Monteleone, Pulcarino e di altre terre, che non entrarono nella di San Giuliano, Pietracarella, Casa caetana, per cui è da supporre che morisse senza discendenti maschi. In pecurtà della 5) Ebbe, dote il marito le diede i casali di Ponte Albaneto in Capitanata e quello di Fragagnani. a quanto si dice, cinque mariti, che furono Eustasio di Sabrano, Gentile di S. Gorgio, Filippo 6) di Ganvilla, Benedetto Caetani e finalmente Tommaso d'Aquino conte di Belcastro. Nel "1322, quando Benedetto dettò il proprio testamento, Ilaria era incinta, ma ignoriamo le sorti del parto Egli ebbe anche un frglio illegittimo per nome Giovanni. Si è già detto come, alla morte di Bonifacio VIII, Benedetto perdesse il dominio del contado aldobrandesco che in breve tempo fu di nuovo sottomesso alla diretta giurisdizione del comune di Orvieto. Continuarono quelle disgraziate terre ad essere dilaniate dalle guerre. Nel 1307 il contado fu invaso da Manfredi di Vico, che forse volle accampare i diritti di Tommasa di Monfort, figlia di Margherita Aldobrandesca, e la guerra contro esso e contro Viterbo, che lo favoriva, durò per piir anni. Dice il Fumi: II contado, troppo lantano da Oroíeto e troppo postumo.
Contado aldobrandeco.
oasto territorío, per manteneilo soggetto, ert cagíone dí continuí conbastí e di contínui díspendí aI Comune, che perciò ín cambio dí rafuzarsí per quello, oi andaoa consumando tutto iI suo potere.
7)
cose continuarono in questo modo fino al l3l2 quando, dice ancora il Fumi nelle sue note agli Annali Urbevetani, ") le popolazioni del contado dichiararono al capítano mandato Ià dal comune ... che se non sÍ /osse pteso un protsoedímento ímmediato, sí darebbero, per non castelli poterne piìt, díaoolo (cum amplius substinere non possint, darent se diabolo). distrutti, îesa ímpossíbíIe ogni derubati, campi catsalcatí, casserí quasí tuttí guastí
Le
I
aI
i Orbetello si ofríoa a í
o
della guardia, ma íI comune non Io permíse, forse dubitando della fedeltà di quegli uomini e nominò una commíssíone dí sedicí cíttadíní per fare le proooÍsioni opportune. Intanto Ia contessa Mergherito, che torse era stata ínoitata a ùeníre ín Aroíeto dal podestà, dal caoalíere del capítcino e daí Sette
guarilia.
sopportare
di
í/
per sè
peso
a) (p. 136). Nel citare il Fumi, ho tradotto, per comodo del lettore, le citazioni latine' {) Cf. Caiet. Gcn,, T"v. Nap. R.
XLIV.
1., vol. 264, f. 190'.
') Arc.
Vat,, Ree. 53,
5) /oi, vol. 244,
Í. 194.
Í.33b,
I
ep.
LXXXXVII. p' l9O'
De Lcll',
t)
An', fasc. 9, n' 385' p' 784'
3) Arc. Fumí'
ì Arc
[1308 -13131
Contado aldobrandesco
217
a
Pitiglíano, faceta sapeîe di non ooleroisi recare se prima un procuto.Iore del comune non I'assícurasse ., che non ríceoa ín Oroíeto alcuna coazíone dí fare alcuna quíetanza o rinunzía, donazione, fine o concessione, ma potrà d. stlo píacere liberamente stare e tarnare e ùenire. , II comune Io accordò t) e pochí gíomi dopo, Ia contessa oenne ín Oroíeto. Volle, a tenore deí pattí, iI trattamento. II comune le decretò, a tale titolo, ogni anno lite duemila. Ma íntanto sí era sulla rtne di dicemb;re e nulla Ie oenioa pagato. Perciò nel febbraio se ne recatisí
da Oníeto e ínoadeoa iI contado aldobrandesco. AI 24 febbrcío 1313, iI comune di Soana scrioeúa a quello di Oroieto ,, che Ia detta contessa Margherita col sígnor Gentile pîesero iI castello dí Sorano e Pitígliano e gíà imposero aI comune dí Soana che eseguísca í loro ordíní u. 2) Oroíeto resistette : Ia contessa rÍcorse aI popolo tomano : onde ì senatori dí Roma scríssero ad Oroíeto, pregando di wlgersi in faoore di leí, aíutandola a recuperare íI contado: altrímentì aorebher doouto prendere Ie parti deglí Orsini : ,, Che píaccia aI comune dí Oroieto accordare faoore e aiuto opportuno aI signor Gentile, a Poncello e al sígnor Romano e Pietro Orsíni e aIIa sígnora contessa Margheríta per ìI recupero del contado aldobrandesco; altrtmenfí, se si facesse díoersamente, il che non credono, íntendeoano di prendere partioa
Iadifesa ilei dettì lorocittadiníneîIorodiritti contro tutti colorochefaceoano il contraríor,.3) Cíà non ostante, Oruieto non si arrestò, quantunque l.'impresa fosse dífrcitissíma, anclrc per Ie adesíoní che gli Orsiní tuttodì otteneoano da altri sígnori. Orbetello, clte resìsterta aglí oroietaní, non fu potuto prendere, peî Ia difesa opposta da Ugolinuccio de' signori di Montemarano e dagli uomíni della terra. Glí assediantí erano scontenti perchè non îíceoeoano le paghe, e conoenne ríchíamarlí. $ Allora gli Onietani si rioalsero a Benedetto Caetani. Se questi, dopo la morte di Bonifacio VIII, non era stato in grado di tener il possesso del contado, ciò fu perchè I'aspra e lunga guerra contro i Colonnesi era venuta ad assorbire tutte Ie energie e tutte le risorse dei nipoti del papa. Superata però la crisi piir acuta di questa guerra, il prestigio che si andarono acquistando i fratelli Caetani, come uomini d'arme e .come potenti signori, rafiorzò tanto Ia posizione di Benedetto che è probabile cominciasse di nuovo ad accampare i suoi diritti sul contado. Sappiamo per certo che il comune d'Orvieto si rivolse a lui per aiuto offrendo di confermargli il feudo a condizione che egli riconoscesse che questo apparteneva di pieno diritto al comune ed al popolo d'Orvieto. Il primo d'aprile del l3l3 il conte Benedetto nominò un suo procuratore per stipulare il 5) in bas. al quale il conte s'impegnava a prestare giuramento di fedeltà al relativo "upitoloto, comune, ad assumere la cittadinanza d'Orvieto, a comprare dei beni in città e a venirvi ad abitare con la famiglia. Doveva portare seco gente d'arme e riconquistare ed occupare il castello di Gove ed il contado aldobrandesco, e ciò doveva fare interamente a proprie spese. Debbo il castello di Giove, acquistato dal padre, Pietro Caetani, nel maggio l30l dalla ricordare "h" famiglia u de Jovis >, era stato perduto dopo la morte di Bonifacio VIII. In segno di riconoscimento del dominio spettante al comune il conte doveva pagare alcuni censi e dare tre albergherie all'anno, di 20 persone e 20 cavalli I'una, ed assumere altri obblighi che sostanzialmente sono quegli stessi che, già nel 1203, il conte Aldobrandino di Aldobrandino aveva giurato di osservare.
Fu precisato inoltre che Benedetto non dovesse fare cosa alcuna per cui il contado potesse passare nelle mani di altri e specialmente in qualcuno deglt Orsíní o della progenie degli Orsíni di Roma, o nella contessa Margherita del fu conte Aldobrandino ... o ín qualcuna r) t3l2 eet. 15, Rif. Xl, c. 253. p.407t Mut., XV-V, pp. l0l' 1223. Domus,
l,2E.
1 Rif. Xlt. c. 3r.
t) Rif. Xlt, c, 8b.
r) 6 mano, Rif. Xll, c.
8-10,
6) Fumt,
Fcudatario
del contado'
BENE.DETTO, CONTE PALATINO
218
Guerre tra guelfi e ghibellini
1313.
Lib. Iil,.cap. XXVI.
delle figlie della contessd, o nei díscendenti da loro. Tali esplicite esclusioni dovevano dare affidamento al conte che il comune I'avrebbe validamente sostenuto contro i numerosi pretendenti al magnifico feudo. Un'altra- ragione, oltre quelle addotte dal Fumi, avrà pure influito nel conferire a Benedetto il contado aldobrandesco e cioè il pericolo che la parte ghibellina, con I'awicinarsi dell'imperatore Enrico VII, prendesse il soprawento in Orvieto. Benedetto in quel tempo era uno dei piir autorevoli capitani d'arme di re Roberto ed il suo appoggio rnorale e rnateriale poteva essere prezioso.
Durante l'estate del l3l3 i Filippeschi, che erano a capo del partito ghibeliino, cominciarono a rafforzarsi nelle loro torri entro Orvieto. I Monaldeschi, che rappresentavano il partito guelfo, fecero altrettanto e chiamarono in aiuto Benedetto con i suoi uomini d'arme. Avvicinandosi ognora piir gli imperiali, non poteva tardare il conflitto. Si accese difatti il 16 di agosto u) ' e per guattro giorni di seguito si svolsero aspri e sanguinosi combattimenti nelle strade della città; ogni torre, ogni palazzo era diventato una tortezza da cui piovevano quadrelli e sassi. La battaglia oscillò a volte in favore di una, a volte in favore dell'altra parte, frnchè il 19 del rnese giunsero i rinforzi imperiali, che contavano 800 cavalli e 3000 fanti. Parve allora che tutto fosse perduto per i guel6, ma al momento della suprema disperazione arrivarono in aiuto ai Monaldeschi 1200 fanti perugini ed altrettanti cavalli. I ghibellini furono a loro volta sopraffatti e molti dei loro uccisi. Sciarra Colonna e Manfredi de' Prefetti di Vico, che militavano con gli imperiali, furono presi prigionieri. Benedetto 4veva in anirno di sbarazzarsi una volta per sempre di questi suoi antichi nemici e specialmente di Sciarra, che così vilmente aveva insultato Bonifacio VIII in Anagni ed era stato causa di tanti mali alla famiglia; ma intervennero due cardinali che a Orvieto; Palazzo del Popolo (sec. XII)
Podestà
di
Orvieto.
stento salvarono Ia vita dei condottieri. Degli altri fu fatta strage e nanano le cronache che quattrocento dei ghibellini rimasero nnorti nelle battaglie. Non mi addentro nei particolari di questi r) awenimenti, di cui il Fumi dà un bellissimo ed esteso racconto nella sua opera su Orvieto. ll I gennaio del l3l4 Benedetto fu eletto podestà di Orvieto;2) nel giugno era capi-
tano della cavalleria orvietana ed abitava con la farniglia in domibus S. Romane Ecclesíe, ossia in quelle stesse case e torri che nel 1300 Pietro, suo padre, aveva ceduto alla Chiesa, in cambio dei diritti che questa possedeva nel territorio di Ninfa. Tali awenimenti servirono a rendere sempre piìr cordiali le relazioni tra Benedetto ed i Monaldeschi, con i quali anche si imparentò, dando la figlia Lucrezia in moglie a Ermanno. ll 22 di giugno troviamo 3) che concedeva in feudo perpetuo a Bonconti del fu Ugolino e a a) ll
')
Manenti dice
Fumí
On.,
il 4
agosto.
pp.93-97.
\
Mut., XY-Y, p. 179.
\ Atc.
St. Slena, Riforn., 1314.
Benedetto in Orvieto
[r313 - 1322]
2t9
Manni del fu Corrado de' Monaldeschi la terra ed ii dominio di Pian Castagnajo che, come si disse, fu donato nel 1305 da Margherita Aldobrandesca al cardinale Napoleone Orsini. Non parlandosi della riconquista di q'uesta terra, è da supporre che Benedetto già I'avesse tolta al cardinale o che a lui fosse devoluta quando riprese possesso del contado. Nel ricevere il feudo i due Monaldeschi si obbligarono a cornbattere a favore del conte, a qualsiasi sua richiesta, come suoi vassalli ed a compiere le solite obbligazioni feudali; parimenti gli giurarono di proteggere lui e la famigiia contro Ie insidie dei nernici. A partire dal 1314 non si hanno piìr notizie riguardanti il possesso del contado aldobrandesco. Benedetto, distratto dagli awenimenti che si svolgevano nelle provincie romane sotto il vicariato di re Roberto, e dal rettorato della Campagna e Marittima che questo gii aveva afrdato, non ebbe forse agio di trattenersi molto nella Tuscia. Nel l3l9 accettò I'ufficio di podestà in Siena come estesamente è detto a pag. 20ó. Tuttavia le relazioni tra Benedetto ed il comune rimasero amichevoli, ed infatti ricorda il Manenti r) che, quando nel 1320 Benedetto rimase prigioniero dei Colonna e fu condotto al castello di Sansovino, la caoalleria dí Oroíeto con li pedoní andò aIIì danni dí ghibellint de Corneto, et Thoscanella clte erano ín faoore delli sígnorí Colonnesí et del capitano TareIIo, il quale aveva catturato Benedetto, e dopo vari combattimenti intorno a Corneto, scacciarono Ii ghibelltnt et poí andarono oll'assedto di S. Saoíno et líberarono íl síg. Benedetto Gaíetano de man de Colonnesi, quale fu fatto dal commun d'Oroíeto podestà di Castro dí Maremma. Siamo informati dalla Gonaca Sanese 2) che Benedetto fu tenuto prigioniero per molti mesi, che fu costretto a sottomettersi alle condizioni dettate dai Colonnesi e che tanto fu il dolore d'essersi dovuto piegare davanti agli odiati nemici che, poco tempo dopo essere stato liberato, si partì da guesto mondo. La notizia è certamente esatta perchè nel 1322 lo troviamo nell'ospedale di Sant'Antonio presso Marturano gravemente malato (graoi ínfermítate detentus), ed il 22 agosto dettava il suo ultirno testamento con cui nominava ii figlio Bonifacio erede universale, disponendo però che se da sua moglie, la quale era incinta, dovesse nascere un figlio maschio, questi ereditasse in comune a Bonifacio le terre nella Campagna. Alla moglie legò i beni in Viterbo nonchè la spada guarnita con le cinghie, le vestimenta, le perle, il cappello, la sella ornata di perle ed altre cose. u) Dspose che il suo corpo fosse sepolto nella cappella dei Caetani nella chiesa vescovile di Anagni a cui, tra I'altro, legò il suo destriero u Maccaîone >> con la sella d'argento e la coperta d'oro e la suprasiga aurea (probilmente la " soprainsegna > che si metteya sopra alle armi) nonchè un suo vessillo, I'elmo e lo scudo. Nelle parole dettate dal testatore si sente I'animo del vecchio guerriero che si appresta ad incontrare la morte che tante volte I'aveva schivato sui campi di battaglia. Leale come sempre verso gii amici e i parenti, cancellò ed annullò qualsiasi atto di promessa, .giuramento, donazione etc. che potesse vincolare i suoi fratelli. Ed infine, preoccupato dell'avvenire del piccolo essere che tra non molto doveva venire alla luce, fece inserire nel testamento: meriti e per í sefiígí. resi chíediarno e supplíchìamo umíImente ìI sígnor Duca (di Calabria), sígnore nostrc, che piaccía a Sua Eccellenza dí essere íI dífensore del figlío nostro o della figlia, iI quale o Ia quale debba nascete dalla sígnora consoîte nosba, signora llaria contessa de Sus. b) per
i
a) Pochi mesi dopo lleria dava a Giacomo da la
sella
e la spada, ornate di smalti e d'argento, in
Ceccano
pegno per
50 fiorini d'oro per la sistemazione della dote della figliastra Lella.
(Regesta,
t) p.
ll, p.
36).
204.
\
Mut.,
XY, at.
132O.
b)
(Regesta,
II, p. 3t). Il
Gregorovius
(V, p.
duto in errore con dire che questo testamento fosse figlio di Benedetto.
óa0) è ca-
di
Pietro,
Prigionia
e
morte'
BENEDETTO, CONTE PALATINO
Lib. III, Cap. XXVI.
Poco dopo, e cioè nell'agosto del 1322, moriva lasciando al figlio Bonifacio ante sortem omnía iura nostra comítatus alibrandisí, ciò che farebbe supporre che nbn fosse piir in possesso reale del contado. Con tutto ciò i Caetani mantennero per vari anni ancora alcuni beni nel territorio di Orvieto; infatti non molto tempo dopo la morte di Bonifacio, primogenito di Benedetto, sua moglie Maria Conti delegava un procuratore nel contado aldobrandesco (8-10 gen. 1330) a ricevere omaggio di fedeltà dagli eredi di Zaccaria, per il palazzo in Bolsena spettante per metà ai Caetani, e da Pietro ., di Farneto >, per il feudo del castello di Montacuto (Montauto) concesl) Ilaria, dopo la morte del marito, ebbe lite col cognato Roffredo per certi sogli da Bonifacio. diritti che costui accampava sul casale di Torre Albaneto, in base ad alcune permute fatte 2) È probabile che i discendenti di Benedetto, assorbiti dai tumultuosi col figlio di lei Bonifacio. eventi che, durante I'esilio di Avignone, agitarono la Campagna, abbiano trovato opportuno di vendere i loro interessi nella Tuscia, troppo distante dalle proprie castella della Ciociaria, per poterli curare e salvaguardare. Da Benedetto originò il potente e turbolento ramo dei Caetani, conti palatini e signori di Ninfa, Norma, Sgurgola, Trevi, Pofi, Montelongo e di altre castella. Essi per oltre un secolo mantennero il titolo di conti palatini, valendosi forse della ragione che la investitura del contado aldobrandesco, concessa nel marzo l303.da Bonifacio VII a Benedetto, doveva estendersi con tutte le prerogative ad esso connesse anche ai discendenti suoi in perpetuo. Di questo ramo si discorrerà piìr t)
Regetta,
lI'
pp. ó7, 68.
a lungo nel XXXlll
) Arc.
Nap.
R. ,4., vol. 244, Î- 194'.
capitolo'
Caprrolo XXVII.
FRANCESCO
IL TESORIERE.
(1290-1331)
avuto piùr volte occasione di parlare di Francesco, il più giovane dei figli di Pietro e di Giovanna da Ceccano. Egli è generalmente designato come tesori ere eboracense (o ebocense) perchè investito del benefizio della tesoreria canonica della cattedrale di York (Eboracum), ed appare con tale titolo a partire dal 1314. Era anche tesoriere di Tours. Deve essere nato non molto prima del 1290, Gioventù ed educazione' perchè nel l30l andava ancorà alla scuola pressola Sede Apostolica ed il papa, per permettergli di continuare gli studi, nell'atto di conferirgli certi benefrzi ecclesiastici, gli concesse di poterne godere 2) per sette anni senza obbligo di residenza. Ebbe per maestro Guicto (Guidotto) Farnese, che Bonifacio VIII, il 3l gennaio 1302, nominò vescovo di Orvieto. Nell'atto Segno di tabellionato di. conferirgli la dignità vescovile gli scagliò amichevolmente uno di Nicolò, detto Novello da Vico. ') dei soliti frizzi: u Abbíamo aouto, gli disse, buone informazíoni su di te quantunque brutto sia iI tuo nome rr.u) Francesco venne destinato dal papa alla carriera ecclesiastica nella speranza di farlo salire rapidamente ai piìr alti uffici. Fu nominato canonico di Anagni, Tours, York, Salisbury, Lincoln, Lione, Parigi, Padova, S. Pietro in Vaticano, Langres, Cividale e Pipernol; godeva inoltre del benefizio delle chiese rurali di S. Giovanni in Trivigliano, di S. Maria di Carpineto e della chiesa 3) e, dopo la morte dello zio Francesco, gli succedette in parrocchiale di S. Maria di Bassiano quello della chiesa di S. Pietro de Scletis. Clemente V, dopo che i Caetani ebbero acquistato a) Così grande influenza presso re Roberto, gli concesse molti benefrzi ecclesiastici (27 mar. l3l4). pure Govanni XXll gli assegnò una prebenda di 100 once d'oro sulle chiese di Capua e di Salemo ed il 25 marzo l3l8 gli conferì I'abazia di S. Stefano di Alatri, rimasta vacante per la morte
o
dello zio.
5)
a) (Finfre, p. XXXIX ; Diario di Lorenzo Martiui): ludr'bonum lesllmoníum, líce| malum habeas nomen- El úocabalut Totot (leggi * Toto', abbrevazione di Guidotto). Il
oimus àe tc
1) Misc.,
Arc.
n.
Cael.,
1297. ) DíeaÀ'a.4267. Zopp.,l. p. 4óó; Mollat., Lctt. coo. Jeao XXII.
Prg,909dell'an.
1857.
b)
Davidsohn, seguendo I'opinione del FinLe, ha creduto che il papa, chiamandolo familiarmeate < Toto ,, lo dileggiasse perchè balbuziente.
\
Atc, VaL,letr, Misc., n. 4l 15 (al.
I
l).
t) Atc. Val.,
lstr.
FRANCESCO
La
sua educazione fu affidata certamente
IL
TESORIERE
Lib. III, Cap. XXVII.
al cardinale
Francesco ed è probabile che lo seguisse' in Avignone; ivi lo troviamo, nel l3l I , uno dei principali difensori nel processo contro la memoria di Bonifacio VIII. Dopo la morte del fratelio Benedetto, per I'atto di divisione del 1317, Francesco divenne condomino cotr proprio nipote Bonifacio palatino di tutti i beni ereditari. Per sciogliere questa comunanza, addì 24 f.ebbraio 1323, si stipulò un'altra divisione in cui fu convenuto che Boni' facio prendesse Ninfa, Norma e Sgurgola e che Francesco prendesse Sermoneta, San Donato, Bassiano e S. Felicel) in quel tempo tenuto in feudo da Domenico Rogsfr'. Francesco fu di animo ardente e battagliero al pari dei fratelli e, vivendo fin dalla prima gioventir in mezzo alle lotte e alle guerre che la famiglia dovette sostenere contro gli innumerevoli nemici, si sentì più chiamato al mestiere delle armi che alla caxriera ecclesiastica,
da
cui,
dopo la morte di Bonifacio VIII e dello zio Francesco, poteva oramai sperare ben poco. Nè Filippo il Bello, nè i Colonnesi avrebbero permesso che al sacro collegio acce' desse un Caetani a rawivare I'antico partito bonifaciano. Tomba di Carlo duca di Calabria, È p"t questa ragione appunto che, durante tutto il pefigiio di re Roberto (f 1328); . S. Chiara in Napoli' riodo dell'esilio di Avignone, i Caetani non poterono avere un rappresentante fra i principi della Chiesa. La famiglia andava sempre piùr appoggiandosi alla catata di Ludovico corte di Nupoii, ove Roffredo e Benedetto avevano acquistato grande ascendente, ed il sovrano il Bavaro. era targo di grazie verso tutti i membri della Casa; anche Francesco fu beneficato: verso il 1326 del ricevette da re Roberto un assegno annuo di 100 once d'oro in compenso della perdita taii castello di Collefegaro in Abrurlo, e fu accolto tra i suoi familiari. È probabile che armi; di ciò abbiamo circostanze I'inducessero a deporre la veste talare ed a mettere mano alle notizia nel l3Z7 in occasione della calata in ltalia di i udovico il Bavaro. XXII, chiamato dai ghibellini, veniva con animo euesti, inimicatosi con .il papa Giovanni di farsi incoronare re ed imperuìor" " conquistare il regno di Napoli. Il 1 3 rnarz o 1327 partiva da Trento ed il 3l maggio a Milano si poneva in capo la corona di ferro; poi mosse contro pisa ed il 7 gennai a l3ZB entrava in Roma, ove dieci giorni piùr tardi veniva incoronato
in S. Pietro per mano di Sciarra
Colonna'
i ghibellini, guidati da Filippo d'Antiochia, invadevano le terre della Chiesa Nul "ont"*po di Canterano, !o tennero occupato, per cui Bartolomeo abate del il e, preso .oll. "r*ì ""rt"llo di venire in aiuto monastero di Subiaco, a cui il castello era soggetto, supplicò re Roberto il capitano Isuardo Alfante essendo detta terra sottoposra alla sua protezione. Il re mandò data 5 matzo 132V, magister 1zostiarius a liberare la rocca di Canterano e allo stesso tempo, in ed ai si rivolse al popolo di Roma, a Stefano Colonna, a Napoleone Orsini, a Paoio Conti a Bonifacio, e eboracense, Caetani, cioè a Roffredo conte di Fondi, a Francesco tesoriere {)
"Regcsfo,
ll' p. 36.
frsn
Calata di Ludovico il Bavaro
-13281
223
fu Benedetto conte palatino, perchè andassero in aiuto di Isuardo contro Filippo d"Antiochia. r) Roffredo, Francesco e Bonifacio si mossero prontamente Compiuta questa prima operazione, furono comandati da re Ftoberto di prendere posizione nelle proprie castella della Campagna e Marittima, ove dovevano essere i primi a sostenere I'urto dell'esercito nemico. Essi si schierarono nelle vicinanze della loro Anagni, e risulta dai registri angioini 2) che il 20 luglio 1327 ll re ordinava al magístro hostíarío Matteo di Mistretta ed al notaio Nicola Calandra di recarsi nella Campagna per soddisfare i Caetani del soldo per i 300 cavalieri che tenevano al loro servizio. 3) Dopo poco, trovandosi il Bavaro ancora lontano, licenziavano la truppa ritenendo tuttavia al proprio stipendio 40 uomini d'arme per il disbrigo delle loro faccende (eorum sumptíbus). All'awicinarsi del nemico i preparativi e la vigilanza si fecero piùr attivi. Prima di tutto era necessario di mettere concordia tra i vari baroni della Campagna perchè, non ostante i molteplici accordi intervenuti per opera del papa e del re e malgrado il trattato di pace tra i Colonna q ed i Caetani del marzo 1327, ancora v era guerra tra Rinaldo da Supino, il complice dell'attentato d'Anagni, ed i Caetani Palatini appoggiati e incoraggiati dal battagliero tesoriere Francesco. Perciò Giovanni XXII nel marzo 1328 scrisse una serie di lettere, conseryate nei registri dell'archivio vaticano, 5) invitando re Roberto a riprendere Rinaldo nelle sue grazie, sollecitando Raimondo, rettore della Campagna e Marittima, a mostrarsi benigno l'erso I'antico ribelle ed implorando le due parti di venire ad una definitiva pace e di dirnenticare tutte le passate ingiurie. Scriveva inoltre al podestà ed al comune di Anagni perchè ammettessero finalmente nella città il fuoruscito Rinaldo, che da 2l anni aveva vissuto in esilio, e contemporaneamente riprendeva nelle sue grazie il podestà ed il connune di Piperno che si erano ribellati alla
figlio del
Chiesa.
6)
fedeli contro I'irnperatore ed il falso papa, che quegli stava per far eleggere in Roma, promulgò la crociata concedendo indulgenza per tutti i peccati a quanti avrebbero preso le armi ai danni dei nemici. Il 16 aprile Roberto invitava il tesoriere Francesco ad annunziare pubblicamente queste grazie in Anagni e al dt qua di Anagní per la Campagna
Per animare
olbe
i
Ferentíno.7)
previsione deil'aspra guerra Bonifacio Caetani, conte palatino, il 20 maggio, nell'atto di prendere Ia croce contro il Bavaro, dettò in Sgurgola il testamento, di cui saranno dati i particolari nel cap. XXXIII, nominando esecutore lo zio Francesco tesoriere. 8) Alla fine di maggio del 1328 l: truppe imperiali, unitesi con quelle romane, si mossero ad
In
il
i poi, passando per paludi e una prin'ra resistenza delle trovarono in Gsterna che, Velletri, scesero nella distesa verso il 15 di giugno, fu presa d'assalto, saccheggiata ed arsa completamente ; non pare che I'esercito avanzasse oltre, verso Ninfa e Sermoneta, o può darsi che venisse respinto dalle truppe dei Caetani. Velletri, per timore di seguire Ie sorti di Cisterna, chiuse le porte alle truppe che tornavano cariche'di bottino. All'awicinarsi degli imperiali i ghibellini, per un momento, avevano preso il soprawento in Anagni ma, ai primi di luglio, i Caetani con i rinforzi avuti dal re riconquistarono la città. Le truppe napoletane, avanzando poi per la via Prenestina, misero in pericolo I'imperatore che si era stabilito
affrontare
nemico
e
posero I'assedio al castello della Molara presso Frascati
8)De LeIl., p. 192. i) N. 15074; Atc. Nap. R. A.,wl.264,î.329r. \ Arc. Nap. R. 1., lit. D, f. 63b; copia C-192. r) Cf,.paa. 214. 5) Reg, I14, Joh. XXIi, m, 1505. Dcumenti ora perduti di cui copia in C - 192 e Arc. GaeI. Atag., eod. 1308, c. 15. 8) Regolo, Il, p. 59. o) /uí, c. CXLVI, n. 1509. \ Arc. Nap. R. A., vol.27l,I. 62o. 1510, 2008.
IL
FRANCESCO
224
TESORIERE
Lib.
lll,
Cap. XXVII.
a Tivoli e Io costrinsero a ritirarsi in Roma. r) La posizione del Bavaro si andava facendo ogni giorno più critica, e più ostile gli diventava I'animo dei romani; prese il partito di andarsene e, il 4 agosto 1328, usciva dalla Città Eterna coti il suo antipapa e Io spurio collegio di cardinali, quasi fuggendo, mentre i popolani Ií fecíono molta dilegíone sgrídando lui e íI falso papa e sua gente ,.. e fedírono con sassi e uccísono di loro gente e I'íngrato popolo dt Roma It fece Ia coda Romana.Z) ll popolo elesse a suoi senatori Stefano Colonna e Bertoldo Orsini ; il 18 del mese entrarono in Roma le truppe napoletane, capitanate da Guglielmo d'Eboli, il quale con i Caetani aveva sconfitto Govanni da C.eccano e suo figlio Rinaldo. 3) Con esse certamente fece ritorno anche il battagliero tesoriere Francesco il quale, mentre la città era ancora sotto il dominio di Ludovico, era stato bandito per avere rapito a mano armata certi protocolli e scritture dagli uffici del senato. a) Non appena tornato, volle farsi riabilitare e, addì 7 settembre 1328, convocato il popolo sulle scalinate del Campidoglio, fu prosciolto da tutte le sentenze e condanne che gravavano contro lui, i confederati e Ie terre sue.5)
*** Dai documenti conservatici non è possibile capire bene quale fatto sia accaduto in quei tempi e tesramento. che servisse ad inimicare I'animo di Francesco contro il fratello Rofhedo ed il nipote Bonifacio Palatino. Non sono alieno dal credere che esso debba collegarsi alle discordie sorte tra questi ultimi ed alcuni dei Da Ceccano, da una parte, ed il battagliero Tommaso II da Ceccano e alcuni suoi congiunti, dall'altra; il susseguente matrimonio di Francesco con la figlia di Tommaso') da Ceccano awalora Ia supposizione. Rimane certo che ccceso da íra íncomposta volle fare dispetto ai propri parenti; non potendo impedire che eventualmente ereditassero da lui i beni della Marittima, essendo egli stesso privo di discendenti legittimi, pensò a gravarli in qualche modo. Si trovava in quel momento sotto il peso di una scomunica; ne ignoriamo la causa, ma non v'è da farsene meraviglia data la natura degli uomini e la facilità con cui la Chiesa si valeva in quei tempi delle sue oramai spuntate armi spirituali. Francesco dunque sin dal 24 giugno 1326 6) aveva dettato un testamento nel quale dichiarava di essersi appropriato, forse indebitamente, di alcuni frutti di benefizi ecclesiastici, alludendo probabilmente a quelli percepiti mentre era sotto Ia pena della scomunica; in considerazione di ciò ordinava che, dopo la sua morte, gli eredi, il fratello Rofiredo ed il nipote Bonifacio fossero tenuti a restituire entro un anno queste somme alla Chiesa e, ove non avessero soddisfatto tale legato, i frutti di Bassiano e di Sermoneta dovessero essere devoluti alla Chiesa per venti anni. Nel processo che ne seguì tali frutti furono valutati a 2000 frorini annui. Verso la frne del 1329 Bonifacio Palatino passò a miglior vita e Francesco, che già aveva abbandonato la veste talare, pensò bene di pigliar per moglie Francesca, figliola di Tommaso da Ceccano, nella speranza di avere dei figlioli e cosl di privare completamente i suoi parenti di 7) aggiunse qualsiasi diritto ereditario. Contratto il matrimonio nello scorcio di detto anno, un codicillo, redatto il 25 febbraio 1330 nella rocca maggiore di Sermonefa, nel quale, quasi per beffa, dichiarava che, preso da spirito di conciliazione, voleva revocato il legato a favore della Chiesa. 8) Non avendo però nè revocato nè annuliato il testamento stesso, rimaneva
Discordie
(detto seniore ?) 6glio di Anibaldo dei Da Ceccano (Cf. Calel Gen., tav. IXVI e seg').
')
t)
Forse Tommaso
I
I.
Per te molteplici omonimie regna molta incertezza nella genealogia
+)Cat',L'O',p'173' r)Vtilaní,Lib.X,cap.9l. \Ioí,qp.96. \Gtee., Vl,p. ló2;Zapp', 1'p'498. 8) /ui, p' 69' 1) Regesla, ll, p.66. t) n.977. p.60. Mie., Arc. Val.,lrtr. Rcgcrlo, ll,
Testamento
F328 -13781
225
in vigore la sua confessione di essersi appropriato illecitamente i frutti dei benefizi ecclesiastici, e quindi rimaneva immutato il diritto alla Chiesa di reclamarli; morendo senza discendenza legittima, I'onere del rirnborso doveva ricadere sugli eredi. Per aggiungere dispetto a dispetto, vendè pure la sua metà di condominio sulla torre delle Milizie alla famiglia Conti. Combinato tutto questo, dopo poco più di un anno di vita coniugale, passò a vita migliore ancora giovanissimo, non saprei dire se per volontà del Signore o per quella di qualche nemico. Il pasticcio da lui combinato non tardò a portare i suoi frutti. Awenuta la morte di Francesco, gli eredi Roffredo e Bonifacio non si curarono affatto di pagare alla Chiesa il legato perchè revocato dal testatore stesso. D'opinione differente era il papa Giovanni XXII il quale, in data 16 settembre 1332, scriveva al rettore Raimondo che, non avendo gli eredi fatto domanda entro I'anno per la remissione dei frutti indebitamente percepiti, facesse valere contro loro le ragioni della Chiesa ; I'anno seguente, ai 15 di luglio, gli scrisse nuovamente lagnandosi che non avesse ancora eseguito glí ordini ricevuti. Il rettore deve avere obiettato che Roffredo era irreperibile, per cui il papa replicò che lo facesse ricercare a Napoli ove di solito dimorava e, non potendo trovarlo in persona a casa sua, facesse affrggere copia della intimazione nella cattedrale metropolitana. Il rettore in conformità agli ordini ricevuti, inviò i suoi messi che si presentarono alla porta del giardino reale in cerca del conte, il quale fece rispondere che li avrebbe ricevuti I'indomani nel castello. Così avvenne ; il 26 settembre 1333 Roffredo ebbe la intimazione e promise di obbedire agli ordini pontifici.
Pochi mesi dopo moriva il papa e Ia questione rimase sopita sino a quando il suo successore Benedetto XII Ia rawivò con bolla del 19 settembre 1335. Verso la metà' dell'anno seguente moriva Roffredo, e la causa fu nuovamente sospesa finchè, nell'ottobre dello stesso anno, il papa ordinò che si procedesse contto Nicolò, figlio ed erede di Roffredo. Il processo fu aperto nell'agosto del 1337 dal reitore di Campagna e Marittima, con la richiesta che venissero pagati 12000 fiorini, frutti delle terre di Bassiano e di Sermoneta durante i 6 anni trascorsi dalla morte del tesoriere Francesco in poi ; il giorno 12 del mese i Caetani si appellarono, avanzando vari argomenti di ordine giuridico ed in special modo rilevando il fatto che il testamento di Francesco non aveva valore perchè, quando fu scritto, il tesoriere trovavasi sotto scomunica e quindi inabilitato a testare. Il 14 marzo 1338 il papa ordinava al rettore De Vintron di riesaminare il caso e di procedere in conformità a giustizia; dal tenore del breve giudico che avesse intenzione di lasciar cadere il processo. Infatti a partire da questa data non ne troviamo piùr notizie negli archivi sino al 1378, quando I'antipapa Clemente Vll si valse delle l) pretese inadempienze per confiscare le terre a Giacomo Caetani che militava contro lui. Nei capitoli seguenti dirò come vennero divise tra gli eredi le proprietà del tesoriere e come tale divisione, suscitando, al solito, la cupidigia umana, fosse incentivo ad attriti e guerre
tra
i t)
conti palatini e quelli Resesta,
Domus,'1, 29.
di
Fondi.
lt, pp. ó9. 108, l14l Atc. Vat',lnstr.
Misc.,
a.
1357.
Causa per
il
tetamento.
Cnprrolo XXVIII.
IL CARDTNALE
FRANCESCO.
(1265-t317).
fratello di Bonifacio VIII, ebbe due figli: marchese Pietro, primogenito, e Francesco che fu
oFFREDo
il
II,
poi al cardinalato. Questi nel l30V è detto et robustus e quindi lo giudico di vari anni piir giovane del fratello e nato dopo il 1265. Sappiamo ben poco della sua gioventìr; prima che lo zio fosse elevato al sommo ufficio non s'immaginava di .dover
promosso iuoenis
Mon-eta senatoria, attribuibile a Roffredo
lll
Caetani
(tltl
c.)"
quella ecclesiastica non gli permise
un giorno diventare principe della Chiesa. Aveva preso per moglie Maria da Supino, sorella di Rinaldo Conti; r) ma non appena lo zio fu creato papa, divorziò in tutta fretta. Forse il repentino passaggio della vita secolare a di formarsi uno sprrito consono all'alto uffrcio a cui fu
chiamato.
Matrimonio Nel processo di Avignone 2) gli accusatori di Bonifacio raccontarono che Maria venne e divorzio' costretta a far voto di cdstità e che per piir anni visse con il fratello; pare tuttavia che continuasse ad avere relazioni con Francesco a cui partorì due figlioli, dopo di che fu costretta
.
'
ad entrare inun convento. Tutto ciò non awenne probabilmente senza I'approvazione dei parenti di Maria, perchè nei primi anni sembra non esistesse discordia tra Ie due famiglie; tanto è vero che 3) Che nel 1296 Adinolfo da Supino, arcidiacono barese, era cappellano del cardinale Francesco. le accuse si awicinassero alla verità è reso probabile dal fatto che furono pronunziate quasi al cospetto del cardinale stesso e che Rinaldo veniva invocato ad awalorarle. Dciamo subito che la castità non era virtù abituale dei cardinali di quell'epoca ;a) nrt pertanto null'altro viene a confermare la reputazione di libertino e di dissoluto che i nemici vollero attribuirgli per diffamare
lui ed il
pontefice.
Francesco prese la veste talare ai primi del 1295 e fu nominato tesoriere di York e di Laon, nonchè canonico di Porto, di Parigi, di Lisieux, di Arras, di Anagni, di S. Maria di a) La sua carriera Selvamolle, priore di S. Cosma nei monti di Anagni e di S. Pietro de Scletis. r) Difatti questo non era il primo scandalo del genere nella curia, perchè ci dice il Villani (Lib' Vtl, cap. tta) che Nir) CL pag.
173.
2) Dupus,
pp,74?.361.
n
Dtgqt.I,
colò
lV Éce caìlínale
aúeùa moglíe,
n.
1103.
tnesset
la quale
Píero ilella Colonna non ostante c fece tu monaca.
díspensò
Carattere ed opere
F265.13001
227
fu rapidissima, anzi fulminea; alla prima promozione fatta in Roma (17 dec. 1295), Bonifacio VIII gli conferì il titolo di S. Maria in Cosmedin e anche dopo non mancò di concedergli altri canonicati, tesorerie e simili benefizi; però, e questo è di speciale interesse, non lo obbligò mai a farsi consacrare prete, tanto è vero che il 24 febbraio 1303, ossia dopo sette anni di cardinalato, gli confermava di poter goder dei benefizi senza obblígo dí essere pîomosso all'ordíne del presbíterafo. r) Ciò si può probabihnente spiegare supponendo che la moglie Maria da Supino fosse ancora
in
vita. Insussistenti sono per altro le accuse mosse contro piùr che altro ad ammassare illecitamente, assieme allo zio,
lui come stupido, spregevole e dedito i denari dei fedeli. 2) Francesco fu uomo di non comune attività ed intelligenza. Cooperò con il ponte6ce e gli altri giuristi alla compilazione del Ltber sexfus Decretalium e, con molta abilità e profonda conoscenza giuridica, confutò gli argomenti addotti dal cardinale Pietrs Colonna nel processo di Vienne. In quello di Avignone difese strenuamente Ia memoria di Bonifacio VIII, pronto a valersi anche di mezzi energici e all'occasione non mancò di schernire fieramente gli awersari. 3) Partecipò in modo attivo ed autorevole a tre conclavi, sostenendo il giusto e sano principio che il papa doveva risiedere in Roma e non essere soggetto ad un sovrano straniero; ed appunto perciò e perchè nipote di Bonifacio VIII fu tenuto sempre in disparte dai pontefici francesi e coperto d'ingiurie dagli avversari. Come titolare di S. Maria in Cosmedin, Francesco ebbe cura di restaurare ed abbellire Ia chiesa alla quale ben poco era stato provveduto da quasi due secoli, ossia da quando, ai tempi di Callisto II, un certo Alfano, la cui tomba si vede nel porticato, compì opere importanti e fece ricchi donativi, come è ricordato in alcune delle epigrafi. Nel nuovo altare maggiore, con-" sacrato da Callisto II nell'anno I 123, furono deposte molte sante reliquie già donate cinque anni prima da Gelasio II. Il cardinale Caetani probabilmente cominciò con la ricostruzione della vetustissima copertura, e dieci delle capriate da lui rinnovate, malgrado che siano trascorsi sei secoli, tuttora sorreggono il tetto. Secondo il Giovenale, ") egli fece restaurare anche le antiche bifore dell'VIII secolo nelI'abside maggiore, introducendovi infissi gotici di marmo; fece completare gli affreschi ove mancanti, rifare il prospetto esterno della chiesa e sopraelevare il palazzo diaconale. Ma il monumento piir cospicuo e piìr bello rimasto a ricordare I'opera sua, è I'elegante ciborio sovrastante all'altare maggiore, la cui esecuzione fu affidata ad Adeodato, figlio di Cosma di Pietro Millini, famiglia di marmorari rimasti celebri sotto ilnome di Cosmati. Sul listello del timpano frontale del baldacchino I'artista incise le parole:
+e e oD'fi'f"rn €
FeC
Nei mosaici che ornano gli spazi liberi sopra gli archi trilobati si vedono sei stemmi Caetani col campo d'oro alle bande gemelle ondate d'azzurro. La somiglianza tra questo ciborio ed il monumento sepolcrale della famiglia nella cappella della cattedrale d'Anagni mi convince che anche questo fu opera
di
Adeodato.
a) Le seguenti iafornazioni sono tratte d"lle pregevole opera
Giovenalc, intitolata La Basílíca dí S. Mafia ín Cosmei!ín,le cui bozze mi furono cort$emente date in visione
di Giov. Batt.
t) Arc. Vat., Reg. 50, î. 373, cp. 12.
\
Dupuy, p. 3l
dall'autore per completare quato capitolo. All'illustre architetto devesi il perfettissimo retauro che ha ricondotto S. M. in Cosmedin alla bella forma che aveva nel medio evo.
l, r. XXX.
s) CÎ. Mohlq K.
Restauri
di s. M. in
Cosmedin,
IL CARDINALE FRANCESCO
Lib.
lll,
Cap. XXVIII.
dal Caetani perchè il soggetto è stato esaudentemente trattato dal Ciovenale; aggiungerò soltanto che alla iniziativa del cardinale deve attribuirsi altresì il cero pasquale, di cui è rimasta solo la base . raffigurante un leone accucciato che tiene tra le branche la colonnina del cero e che fu opera di fra Pasquale, come si rileva
Altro non dirò dei lavori fatti
dall'epigrafe:
eseguire
VIR
P
BVS ET DOCT PASCA
LIS RI TE VO CAT:, sv-Mo CVM
STVDIO
CO-DIDIT HV_C
CF.'REV
M;_
Il
cornplesso
dei lavori deve attribuirsi agli ultimi due o tre anni del XIII
secolo, perchè
morte del pontefice (1303). appunto in essi si iniziò I'attività edilizia dei Caetani che durò sinoalla restauri di S. Maria in Cosmedin e la costruzione delle cappelle gentilizie,
probubil" che i completi. fossero tra i primi a cominciarsi e che per I'anno del giubileo fossero Allo s"ud"re del XVIII secolo, Onorato Gaetani d'Aragona ed il monsignore ornonimo di iscrizioni, Sermoneta si compiacquero di ricordar gli antenati murando nella chiesa ampollose ora rilegate in piìr modesta posizione presso la sagrestia'
È
*** Attività politica.
L'attività politica ed
ecclesiastica del cardinale Francesco Caetani si accentuò soltanto dopo
I'uno bonifaciano e I'altro la morte dello zio, quando il collegio cardinalizio si divise in due partiti, designato come capo della francese di tendenza diametralmente opposta; egli si trovò naturalmente della parte che piccola fazione caetana che faceva parte del primo. Si è già fatto menzione si trasferì ad Avignone' ebbe nel laborioso conclave di Perugia e, dopo che la Santa Sede dei massimi esponenri d"llu minoranza italiana nella elezione di Giovanni XXII' diventò - -- è;"unotale dai naturalmente non godette di molti favori, nè ricevette incarichi onorifrci baroni papi francesi; fu deputato ,oltunio a negozi di minor conto, quale paciere tra i Orsini' ciò che fece piìr volte, anche unitamente al cardinale Napoleone àriU Campagna, -1312 il marchese Francesco d'Este, consanguineo del papa, mentre col falco Il 23 agosto sulla mano rientrava dalla caccia per la Porta Leone di Ferrara, venne proditoriamentel) del vicario pontificio. assalito e trucidato da certi soldati cutalani di re Roberto al servizio ordinò una inchiesta e mandò Grandissimo fu I'orrore destato da sì orrendo delitto. Il papa colpevoli e vendicare I'onore Francesco Caetani come legato a latere a Modena per punire i della Chiesa 1)
Mur.,
XXV.lll, p.81,
Chron.
Est.; Albettiní Musoril, De Getis Heq' VII' Ub' Xll'
F3oo.r3o5l
Attività politica
Contro {i lui, piìr che contro qualsiasi nipote del papa, si accanirono e inviperirono i nemici della Casa e gli accusatori di Bonifacio VIII; ed a ragione, perchè egli era il personaggio piìr autorevole fra i Caetani e il pitr energico difensore del papa defunto. Come diceva Voltaire : ,< Mentez, mentez toujours, íl en restera quelque chose ! " La valanga di odiose calunnie lanciate contro Bonifacio VIII ed il cardinale Francesco ha creato uno scredito che, se ilagli storici moderni è stato confutato e dissipato per quanto riguarda la grande personalità del pontefice, grava tuttavia a danno del nipote, della cui vita non sappiamo abbastanza per ribattere o debitamente scontare le accuse scagliate con-
tro di
lui.
Mentre Pietro, capo della famiglia, vali- Rapporti colr la famiglia' damente appoggiato dai. figlioli, si difendeva con le armi in mano nelle provincie romane, il cardinale curava le sorti e gli interessi loro in seno al sacro collegio e presso la corte pontifrcia. Non solo sostenne personalmente i nipoti nella lunga causa per danni intentata dai Colonnesi, ma si occupò anche della amministrazione degli alÎari di famiglia; per proteggere i loro interessi fu sempre pronto a prestarsi di persona. Gà al tempo di Bonifacio aveva eseguito piìr di un atto apparentemente in nome proprio, ma di fatto nell'interesse di Pietro, come fu per I'acquisto di Capo di Bove. Spesso gli istromenti venivano redatti in presenza o in casa del cardinale il quale, allorchè il papa risiedeva in Laterano, dimorava in una casa presso i Santi Quattro Coronati. Dopo la morte di Bonifacio VIII, quando i beni dei nipoti venivano ad ogni momento assaliti, guastati o sequestrati dalle orde nemiche, gli furono inte' state altre proprietà per mezzo di atti fittizi di vendita o di donazione affinchè, come apparGborio di S. Maria in Cosmedin tenenti ad un principe della Chiesa, rimanessero (Aìleodato Cosma) inviolabili. Così avvenne per la Torre delle Milizie. il 14 novembre 1305 nellachiesa di S. Gusto Dimora papa Dopo l'elezione di Clemente V, coronato in Avignone' in Lione, la corte pontificia si trasferì in Provenza o piir precisamente nel contado venassino, che aveva per capitale Carpentras ed apparteneva alla Chiesa sin dal principio del secolo XIII. Ai papi fu però ofierta ospitalitàr dai sowani angioini nella vicina Avignone, residenza piir comoda e piacevole, ma che solo nel 1348 diventò proprietà dei papi per I'atto di vendita compiuto a favore loro dalla regina Giovanna I di Napoli. Col trasferimento della curia il papato cadde assolutamente sotto l'influenza dei re di Francia. Il 15 dicembre Clemente elesse nove cardinali francesi, il che mise quelli italiani
IL CARDINALE FRANCESCO
Lib.
lll,
Cap. XXVIIL
in assoluta minoranza ; I'esempio fu seguito dai suoi successori col risultato che su 134 cardinali, creati durante il periodo che va dal primo concistoro di Clemente V sino alla morte di Gregorio XI, 13 furono italiani, 5 spagnoli, 2 inglesi, I ginevrino e ll3 francesi. Gò permise ai re di Francia di assicurarsi che in futuro i pontefrci, eletti sotto i propri vigili occhi, sarebbero stati ligi ad essi e che la corte non avrebbe piir fatto ritorno in ltalia. Per le necessità del suo ufficio il cardinale Francesco fu costretto ad assentarsi quasi permanentemente dall'ltalia; fissò Ia sua dimora in Avignone ove credo tenesse seco il giovane nipote Francesco, tesoriere eboracense, perchè si preparass" uilu carriera ecclesiastica. Per abitazione scelse un palazzetto nel quartiere sottostante al Rocher des Doms e suppongo che, per non essere inferiore ai Colonnesi e agli altri colleghi, menò vita sfarzosa come era a quei Conclave
di
Carpentras,
Accusa
di
fattuchieria.
i*rnpi uro dei cardinali. ") In un primo tempo le sue attività furono completamente assorbite dalla causa con i Colonnesi e dal vile processo contro Ia memoria di Bonifacio VIII. Dopo la morte di Clemente V, avvenuta il 20 aprile 1314, prese parte attiva al conclave di Carpentras quale capo della fazione bonifaciana e, come membro della minoranza italiana, si battè strenuamente per il ritorno della Santa Sede in Roma. Aspra fu la contesa ed il conclave si protrasse per oltre due anni. Il partito guascone cercò di imporsi valendosi di qualsiasi espediente, a tal punto che i cardinali, e quelli italiani in special modo, furono oggetto di continue violenze: tanto è vero che un giorno Francesco, unitamente ai colleghi italiani, temendo della vita, dovettero fuggire per una porticina retrostante del palazzo, ciò che deve aver ricordato loro le angosciose ore dell'attentato di Anagni. Essi si misero in salvo sulle rive del Rodano e minacciarono di provocare uno scisma se il sacro collegio avesse poceduto alla elezione del nuovo paPa senza Ia loro compartecipazione. Purtroppo, come tanto spesso accade, mancavano I'accordo e I'unità d'azione in seno alla esigua minoranza italiana. Francesco e Pietro Colonna si odiavano e quest'ultimo brigava ed intrigava a tal punto che Napoleone Orsini, esasperato, un giorno gli gridò : u Fate í fatti oostri come meglío potrete e noí attenderemo ai noslrí I ,, E subito andò a parlare a Francesco Caetani ed a Giacomo Gaetani Stefaneschi e li persuase a venire finalmente ad una intesa con Arnaldo di Pélagrue, capo del gruppo dei cardinali guasconi, in seguito di che, il 7 agosto 1316, l) venne eletto Giacomo Duèse, cardinale vescovo di Porto. L'accordo fu possibile specialmente per il fatto che il nuovo eletto, il quale prese il nome di Govanni XX[, era piìr che settantenne e di apparenza gracile, ciò che dava buona speranza che il suo pontificato sarebbe durato poco: invece i cardinali ebbero un'amara disillusione, perchè Giovanni, quasi per far loro dispetto, regnò 18 anni e dispensò I'assoluzione in articulo mortís a buon numero dei colleghi È difr"il" dire quanto deve essere stato profondo I'astio personale tra i vari membri del sacro collegio e speciatrmente tra i cardinali Colonna e Francesco Caetani. Certamente nè gli uni nè I'altro perdevano occasione per recarsi vicendevolmente danno e discredito. Ne abbiamo Ia prova in uno stranissimo ed interessante documento della biblioteca nazionale di Parigi. 2) È il processo verbale della deposizione, che un certo Evrart de Bar-sur-Aube, nell'aprile 1316, fece davanti al re di Francia, Luigi X, ed ai signori della corte, accusando il carr) La .
famigtia
,
dei cardinali era comPosta di una mol-
titudine di camerieri, scrivani, medici, cappellani, stallini etc.; cosl fagtole in vero erano queste piccole corti che Giovanni )O(ll,
nel l3ló, credette bene di imporre mirule restrittivc.
,
Acts,
At,, pp.212,215; Asol, p,74
e
*c,
Il
luso, scri$e una filippica contro questi sabapl monlatl su caoallí copetti il'oro che nessuno osava avvicinare con le mani vuote (Ct. Mollat, p. ?aa).
sdegnato da tanto
Petrarca, 2) Pubbl. da
ch. V. Langl"irin Reoue flís,,, LXlll, pp. 56-71.
[1314 - 13161
Accusa di fattucchieria
231
dinale Francesco di aver tentato con arti magiche di accattivarsi l'animo del sovrano e di procurare la morte dei due Colonna. Il documento è originale e porta ancora le tracce del seau de secré du rog de France. Il Langlois non sa che vàlore dare alla genuinità dei fatti strabilianti, che Evrart spiattellò nei piir minuti particolari; egli osserva che i calunniatori piir sfacciati pullulavano
e
quell'epoca nella corte del sovrano e che la magìa nera la fattuccheria (enooútement) persone piir colte e di casta elevata. trovavano credito anche tra le Per convincersi di ciò
in
basta leggere il racconto che il Mollat fa del tentativo di Hugues Géraud per affatturare Govanni XXII. l) Il tentativo criminoso awenne appena un anno dopo quello imputato al car' dinale Francesco e la severa inchiesta, che condusse Hugues al rogo, rivelò procedure quasi identiche a quelle narrate qui appresso. È b"n difrcile a dire quanto vi fosse di vero nell'accusa mossa contro il cardinale Caetani I Ie calunnie erano all'ordine del giorno e di ciò sarà già convinto chi ha letto il racconto del processo contro la memoria di Bonifacio VIII. Per mio conto, sono del parere che il documento è un interessantissimo miscuglio di vero e di falso che, conoscendo le beghe politiche e private intervenute tra i tre cardinali, si può benissimo interpetrare nel modo seguente: I Colonnesi si adoperavano ad abbattere i Caetani con ogni mezzo a loro disposizione; subito dopo la morte di Bonifacio VIII, tentarono le armi, ma I'avversario si dimostrò troppo potente, anzi invincibile; nel l3ll cercarono di colpirlo facendo condannare la memoria di Bonifacio VIII, ma anche in ciò fallirono; allora ricorsero alle vie legali, ma perdettero'la causa per il risarcimento di danni (1312). Peggio ancora: nel I3l4 i Caetani, quali luogotenenti del re Roberto in Roma, prendono completamente il soprawento e non si fanno scrupolo di valersi della propria autorità per impossessarsi di Ninfa, che il cardinale Pietro considerava sua, e delle altre castella, di cui erano stati privati per opera dei Colonnesi e dei loro confederati. In vero, le cose si mettevano male ! Allora i due cardinali Colonna tentarono di minare Ia posizione morale e politica del Caetani tendendogli un lacciolo. Gli mandarono Evrart de Bar-sur-Aube quale agente provocatore per offrirgli di affatturare il re, il conte di Poitiers e se stessi; Francesco che, uomo de' suoi tempi, credeva nella magìa, abboccò all'amo e, disposto anch'egli a ricorrere a qualsiasi espediente pur di sbarazzarsi degli avversari, accettò le ofierte dell'agente provocatore, 6nchè si accorse di essere stato giuocato. Allora i cospiratori lo denunziarono al re, sperando di rovinare la posizione morale di Francesco e con ciò di indebolire la influenza politica sua e del proprio partito in seno al.sacro collegio che, dopo due anni di vane manovre, doveva finalmente addivenire alla scelta del nuovo pontefice. Premessa tale interpretazione da me data all'afaire de me síre Francois le cardínal, riassumo la lunghissima deposizione di Evrart, invitando il lettore a discernere con dcume il vero
dal
falso.
u En I'an de grace míI lroíz sna. XVI., u moiz d'aorill, Eorart de Bar suz Aube, clerc, filz de disoit, a grant deliberatíon, plusíeurs foíz et en plusieurs Bonrelour et de Agnes de Bar, sí comme qui ensuìent /es cÀoses líeus, deposa ". Ewart, venuto a Valenza, incontrò un tale prete per nome Pietro, a cui chiese di essere presentato a qualche cardinale per ottenere alcune leítres de priere per il vescovo di Langres; Pieho condusse Io sconosciuto alla casa del cardinale Francesco Caetani che abitava presso la granl gglise, non lungi dalla dimora del cardinale Pietro della Colonna.')
il
') La chiesa maggiore di Avignone è Notre Dame de Il palazzo dei cardinali colonnesi, che fu distrutto verso
Doms.
t) Mollot,p 44'
la meti del secolo
rcorso
immediatamente dietro
per costruire l'H6tel de Ville, era Agricole, a non grande distsnza
a St.
IL CARDINALE FRANCESCO
232
Lib. III, Cap. XXVIll.
Monseigneur Francoiz gli fu assai cortese,' enhato in domestichezza, Evrart gli raccontò che aooit un clerc a Saínt Mihel qui furge les montaignes pour trouúer tresot pout le conle du Bar, et dít que il parle au díable quant íl oeut, et I'enclot la ou il oeut et lì fait ce que iI Ii demande, et s'entremeit de faire or et argent Il cardinale, che era dedito all'alchimia ed aveva in una stanza molti fornelli e polveri ed altre cose necessarie per fare oro e argento, tutto lieto della informazione, immediatamente commise a Evrart di ricercare questo mago, di nome Giovanni de Rato, perchè molte cose voleva che facesse per lui. Lungo era il viaggio e grande la spesa; Evrart esitava. Ma Andríeu, uomo giovane ed avvenente, che era cappellano e iegretario del cardinale, gli disse: o Fa la volontà di Monsignore che te ne venà gran bene. Cosa sono a Monsignore 200 o 300 libbre ! n E fu preparata una lettera credenziale, munita del grande sigillo del cardinale, che Andrieu portava addosso. ") Evrart, così continua il racconto, si partì tutto pensoso e se ne andò da un cornpaesano, certo Girart, che un tempo fu Templaro. In gran segreto gli narrò quanto era avvenuto e gli espresse il sospetto che monsignore avesse in animo di far qualche brutto tiro al re, al conte di Poitiers ed ai cardinali Pietro e Giacomo Colonna. Decisero d'inscenare una commedia: Girart doveva dare ad intendere di essere Giovanni de Prato, fingendo di essere mago e capace di tutto fare; in tal modo avrebbero indotto Francesco a svelare I'animo suo e, avute Ie prove, lo avrebbero denunziato al re. (Ciò che, a mio parere, prova appunto che i due erano agenti provocatori dei cardinali Colonna). Nascostisi per quindici giorni nelle vicine terre del conte di trúonbelíaul, simularono di tornare dal lungo viaggio e, messisi a disposizione di Francesco, ebbero I'incarico di aflatturare (enooúter) il rc ed il conte di Poitiers per cattivarne I'affetto e la fiducia (ciò che Evrart disse avrebbe giovato al cardinale per farsi eleggere papa nel prossimo conclave) e per procurare la morte dei cardinali Pietro e Giacorno. Disse Francesco: < Mon oncle, le pape Boniface, quí estoít bon deoant Dieu et deoant Ie monde, fut oituperé et mis a grant confusían si comme lous saoenÍ ... Et ie ooudroie que cil quí le firent et guí Ie procurerent a faíre fussent puníz selon leur desserte ". I due bricconi condussero la commedia in grande stile. Due pupazzi di cera furono modellati nel laboratorio alchimistico del cardinale, uno grande ed uno piccolo, e poi, secondo le regole d'arte, furono battezzati con i sacri arredi in una bacinelia da barbiere; al puparzo maggiore fu dato il nome di Pietro ed a quello piùr piccolo il nome di Gacomo. A tali cerirnonie ed incantesimi furono invitate varie persone, che poi avrebbero potuto testimoniafe a carico del cardinale. Per ottenere maggiore evidenza i due imbroglioni dissero che affatturare il re ed il conte era impresa assai difficile. Dichiararono che il diavolo, loro signore, richiedeva che Giovanni ottenesse la lingua di un uomo impiccato da tre giolni, che gliela tagliasse di venerdì, alle ore di nona, che la baciasse e così via. Francesco, che parlava male il francese, disse loro : " Fillole meue. II me plache ' (Figlioli miei, mi piace).' Oramai il cardinale era ben compromesso. I due agenti partirono per Lione e denunziarono tutto agli inquisitori Tommaso di Morfontaines e mesírc Ourri. Attesero la venuta della loro vittima. Giovanni si finse malato all'albergo ed ivi, sotto pretesto di consegnare le polveri per fare I'oro, i denunziatori si fecero mandare dal cardinale Francesco quel Pietro che era stato il presentatore di Evrart. Giovanni, che stava in letto, parlando ad alta voce col rappresentante del cardinale, ricordò tutte le macchinazioni che avevano avuto luogo, mentre dietro una parete sottile stavano due funzionari dei dieci iaguisitori a sentire ogni parola. Quindi fu lanciata la denunzia.
iI
Ecco la storiella; anche se non vera che in parte, è interessante e getta molta luce sugli intrighi e le passioni di quei tempi. dalla attedrale. Ma all'epoca in cui si svolsero i fatti qui ricordati, ossia nel 1316, la monumentale dimora dei papi non esisteva ancora, nè i cardinali forse avevano messo mano a costruire i
propri palazzi che poi diventarono cosi bello ornamento della citta. Comunque .possiamo essere erti che tutta la tragiconedia si svolse nella ristretta contrada tra le due anzidette chiese. a) Il sigillo di cui un esemplare esisteva nell'archivio di Napoleone III, è così descritto dal Douét d'Arq (Collect. des Sceaux,
I, n, 6ló4): Fragment de
sceau ogíoal f,s
$i nf^.
Sceau
à ileux compailímenls. Dans celuí du haut Ia
Víerye
asslse,
tenanl ilebout sut scs gerronr I'enfant tésus, qut bénít un homme debout; à drcíte de la Vierge un rol d.ebout. Au compailíment du bas, ileur hommes ilebout. Dans une níche lnÍe. ieute un pdant. PIus ríen d'utíle à Ia légende. Appenilu à une bulle émanée ìIe plusíeuts caìllnaux el adréssée à loules I* oilles de France, louchant Ie ptocès de Boníface WII, Anagaî ze luln t j02, VI CaI. !uIí|, VIII anno pont,
Accusa di fattucchieria
1r316 - r3311
233
Non sappiamo che effetto sortisse il tranello; di Francesco non abbiamo altra notizia sino alla primavera dell'anno seguenteu) guando, arnmalatosi, il 13 maggio 1317, ottenne dal nuovo papa Giovanni XXII Ia facoltà di testarel) e dopo quattro giorni spirava in Avignone. Troppo difficili erano i momenti e troppo pericolose le vie per trasportare in Roma la sua salma, come era stato fatto per Pietro Ispano. Certamente fu sepolto in qualche chiesa di Avignone, ma della sua tomba non ho potuto trovare traccia. Probabilmente fu distrutta dai vandali della rivoluzione francese che, con cieca bestialità, non solo scalpellarono via Ie insegne nobiliari ma, come rabbiosi iconoclasti, abbatterono le statuette che ornavano le facciate delle chiese, demolirono i sepolcri e scancellarono le lapidi in ogni parte della Francia. Si può ben dire che i brevi anni della rivoluzione furono assai piir nefasti al patrimonio artistico della Francia che I'azione dissolvente di dieci secoli. * .Lú
Dei testamenti del marchese Pietro e del cardinale non si ha memoria. Forse Pietro, ucciso a tradimento, non potè dettare le sue ultime volontà. Del resto ciò era pressochè inutile perchè la massima parte dei suoi beni erano certamente intestati al fratello cardinale per le ragioni dette prirna. Infatti soltanto dopo la morte di quest'ultimo i fratelli vennero alla prima divisione del patrimonio acquistato dal padre; nell'atto non si accenna in alcun modo alla eredità dello zio, dalla quale cosa deduco che nessuna delle terre apparteneva in realtà al cardinale. Morto questo, fu opportuno venire al piir presto alla divisione delle proprietà tra
i
fratelli Roffredo, Benedetto e Francesco, affinchè ognuno potesse prowedere ai fatti propri e meglio curare e proteggere ciò che gli apparteneva. Il 24 novembre del l3l7 quindi i tre fratelli, tra cui è dichiarato oìget. fraterna díIectío, addivennero alla seguente ripartizione dei beni sino ad allora tenuti in comune. A Roffredo, cui già appartenevano le terre della contea di Fondi per eredità della moglie Giovanna dell'Aquila, furono attribuiti Pofi, Selvamolle, Torre, Trevigliano, Trevi, Filettino, Vallepietra, Gennarurn(Jenne?) e tutti i diritti e le azioni su Carpino ed i beni in Ferentino e Veroli, nonchè tutti i diritti e le azioni nel territorio che da Ferentino si stende fino al ponte di Ceprano e da Veroli sino a Subiaco. A Benedetto e Francesco furono assegnati in comune: Castel Giove, le Milizie in Roma, Ninfa, Sermoneta, Bassiano, Norma, Sgurgola, i diritti e Ie azioni su San Felice (che quindi deve in quel momento essere uscito dalle loro mani), nonchè su Collemedio e Montelongo e tutti i beni nel viterbese. Rimasero in comune ai tre fratelli le case, i palazzi, le vigne ed altri beni in Anagni, la tenuta detta Gaetanella, b) Carpineto e Pruni. A Benedetto e Francesco poi vennero riservati tutti gli altri beni e diritti che si potessero ricuperare nella Marittima, in Rorna, nella Toscana (leggi contado aldobrandesco), nonchè nel territorio che si stende da Sgurgola a Norma. D Rimasero anche in comune i diritti e proventi di Castelluccio di Valle Maggiore in provincia di Foggia. 3) Alla mo*e del tesoriere Francesco, avvenuta verso il 1331, certi interessi di questo nelle castella di Trevi e di Pofi passarono per eredità al pronipote Benedetto, conte palatino, e ai suoi fratelli unitamente ad un terzo della torre Gaetaneila, alcune proprietà nel territorio di Anagni e i diritti e le azioni su Roccagorga e San Felice, mentre il condominio su Filettino, Vallepietra, Jenne, Torre e Selvamolle, e Ie proprietà in Carpino, Ceprano e le case in Veroli, nonchè qualsiasi diritto e dominio su Sermoneta, Bassiano e S. Donato vennero assegnati a Roffredo III, conte di Fondi. a) a) Nel marzo tllz il cardinale aveva per cappellano un certo Filippo Caetani I'odierna stazione ferroyiara di Anagai. r)
Regeslc,
Donqs,
l,
ll, p. ll.
30.
e) lui,
p,
16.
\
Arc. Nop. R. 1., vol. 294,
di
Î.27',
Assisi
(Zapp., l, p. a67).
a) Regetta, Il, p. 81.
b) Presso
Dvisioni ereditarie.
Captrolo XXIX.
I GAETANT DI CASTELMOLA. (sec.
tt
XIV e XV).
riva al mare, all'estremo lembo meridicnale di Formia, sorge una bella torre rotonda a cui si addossano un piccolo palazzo ed alcuni resti di antiche mura. Il fortilizio era conosciuto col norne di Castelmola o Mole di Gaeta, perchè nel medio evo, prima che risorgesse Formia, eranvi le mole ove i gaetani venivano a macinare il grano. Di esso furono castellani per il re di Napoli, da padre in figlio, i membri di un ranto della nostra famiglia, distinto coll'appellativo u di Castelmola ', che tuttora ne tiene il possesso.
Vi è stato sino ad ora qualche dubbio sul nesso genealogico tra questo ramo e quello originario di Anagni, e Io stesso Onorato Gaetani di Castelmola, autore della .lsforía Generale della Casa Gaetani, cadendo
in molti errori, ha credutol) che il
ramo discen-
da Coletta Gaetani, fratello del famoso Onorato II d'Aragona (f l49l), che fu protonotario e potente feudatario di re
desre
Redditi sulle mole
di
Gaeta.
Ferdinando I. Invece dalle mie ricerche sembra risultare abbastanza chiaro che i Castelmola discendano da Giovanni, figlio di Roffredo lll e di Stemma dei Gaetani Caterina della Ratta, che costui sposò in seconde nozze nell'ottobre di Castelmola. del 1317. La madre di Caterina fu una tale Domicella, di sangue spagnolo, che, corne dama ed intima di Sancia, moglie di Roberto sposò il duca di Calabria, ebbe molto ascendente nella corte di Napoli. Nel 1299 Domicella potente Diego de Larath (o della Ratta), pur esso spagnolo, ed il duca Roberto, che allora un reddito fung"uu d" vi"urio generale per il padre Carlo II, le concessse a titolc di dote di 50 once d'oro sulle terre e sui beni frscali del Regno.2) Morta Domicella (1309'1310)'
re assegnò tale rendita al marito Diego e costui, in occasione del matrimonio della figliola3) il"niro
con Roffredo Caetani, ottenne da Roberto che le 50 once venissero trasferite in dote a Caterina. A ciò, per altro, essa aveva diritto come erede della madre. Ma giacchè sino allora nulla si era concesse riurcito a riscuotere da questi redditi del Regno, il sovrano, con decreto del giugno 1324,
che in futuro Ie 50 once fossero prelevate sui proventi della dogana e del fondaco di Gaeta. r) p.
106'
r) Atc.
Nap.
R. 1.,
vol. 255,
t. ll4.
\
Regesta,
II, p. ll.
lr2ee-13601
Giovanni Caetani
215
Roffredo morì nel 1336, dopo di che re Roberto acconsentì che guesta prowisione venisse trasferita al figlio Giovanni Caetani ed in aggiunta a ciò gli concesse un'altra provvisione di 50 once suí redditi e prooenti della píazza di Mola (platee loci Molarum) pertinenti sIIa cíttà dÌ Gaeta ed il 4 maggio 1339 dava alle competenti autorità ordini relativi al modo di pagamento.r) Tale benefizio veniva riconfermato il 19 marzo 1343, con riduzione però della seconda prowisione da 50 a 40 once. 2) Così venne Castelmola a far parte dei beni feudali di Giovanni e dei suoi discendenti, a cui poi fu conferita Ia castellania del fortilizio. Giovanni era nato verso il 1319, e delle sue gesta in Campagna e Malittima, durante la Giovanni guerra dei baroni ed al tempo del tribunato di Cola di Rienzo, molto si dirà nei capitoli caetani' seguenti. Per ora ricorderò soltanto che suo padre Rolfredo, poco prima di morire, si preoccupò di sistemare l'eredità dei propri beni e volle mettere perfettannente in chiaro che Giovanni e Bello, nati dalla seconda moglie Caterina, non avevano alcun diritto su Fondi e sull'altre terre penenutegli con la dote della prima moglie Giovanna dell'Aquila, né su quelle acquistate da suo padre Pietro. Per togliere ogni dubbio, l'otto febbraio 1335, lece giurare Giovanni Siracusa, notaio di Anagni, di non ricordarsi che Roffredo emancipasse Giovanni donandogli in premio della emancipazione le terre di Pofi, Selvamolle, Carpino e Torre di Ceprano. 3) Invece gli aveva concesso altri beni tra cui una casa nel seggio di Nido in Napoli; a) inoltre, il 25 maruo 1330, aveva rinunziato nelle mani del re la terra di Vallecorsa, nella bella vallata dei Monti Ausoni sopra a Fondi, perchè venisse data in feudo perpetuo a Giovanni a cui, in caso di morte senza discendenza legittirna, sarebbe succeduto I'altro figlio di Caterina, Bello, a preferenza del primogenito Nicolò, frglio di Giovanna dell'Aquila. 5) Non pertanto all'atto della divisione ereditaria, eseguito il 2 decembre 1336 tra i figli del defunto Rofiredo, i figli ' di Caterina avanzarono pretese sui beni acquistati dall'avo Pietro, ed a Giovanni, di consenso dei fratelli, vennero assegnate le terre di Selvamolle e di Falvaterra. 6) Dopo tale divisione non sembrano esservi state differenze di interesse che inimicassero gli animi dei fratelli, ed infatti vedremo che Ciovanni si associò a Nicolò in quasi tutte le imprese guerresche. Egli fu uomo d'arme; di natura battagliero e ardito, in età di soli 17 anni, espugnò il castello di Civitella. 7) Molto frlo da torcere diede anche a Cola di Rienzo, a cui rimase quasi sempre ribelle, e vedremo piir tardi il brutto scherzo che fece a Rinaldo Orsini il quale, caduto nelle sue mani, fu calato in un pozzo ove rimase lungo tempc imprigionato. Dopo la morte di Nicolò (1348) sorsero difficoltà tra Giovanni e Bello, da una parte, ed i loro nipoti Onorato e Giacorno II, figli di Nicolò, riguardo alla eredità del rispettivo padre ed avo Roffredo III, dall'altra. Gravi furono le ininricizie, ma finalmente, a partire dal 17 gennaio 1360, per intercessione di amici e consanguinei, si venne a certi capitoli di pace per cui Onorato doveva comprare dallo zio Giovanni il castello di Falvaterra ad un prezzo prestabilito, e questi e Bello, dal canto loro, dovevano rinunziare a qualsiasi diritto o azione sulla eredità paterna, sulla contea di Fondi e sui beni dotali di Caterina. Di questo si dirà piìr a lungo nel XXXIV capitolo. La turbolenza però dei due fratelli cambiò il corso degli awenimenti. In quel tempo vigeva in Roma un nuovo ordine democratico a tutela del quale, ad imitazione di Firenze, era stata istituita la milizia cittadina detta < dei balestrieri ,, governata da guattro Banderesi. " banderesi ", il cui compito era di vedere che la giustizia venisse amministrata in modo imparziale e severo. I banderesi in breve tempo acquistarono grande e despotica potenza, imponendo
a)
') 4rc. Nop. R. 1., vol. 317, f. lSOb (aqt.), l97b (auovd; Cí. 6) Arc. Nap. À. 1., vol. 27,1, l. 46b. Zecca.
Arc. della
De Lel!ìs,p. 193. E)
Arc. Cael. An.
2)
Iui, vol. 333, f. I 80". 1) Thein., Il, p. 15,
3) Reg:sta,
II, p. 9ó.
I GAETANI DI
CASTE,LMOLA
Lib.
lll,
Cap. XXIX.
I'ordine e reprimendo i nobili che, davanti alla prevalenza dell'ordinamento popolare, dovettero ritirarsi nei loro castelli della campagna. Non so dire per quali eccessi Bello e Govanni attirarono su se stessi la pesante mano dei banderesi ; quello che è certo è che nei primi mesi del 1360 Ie l) milizie romane mossero contro i due baroni; Bello, il quale, a quanto riferisce il Gregorovius, ebbe la mala fortuna di cadere nelle loro mani, fu senza tanti complimenti impiccato per la gola; Giovanni, vedendo la mala parata e sapendo che i banderesi marciavano su Selvamolle, affidò la terra ed i beni suoi a Govanni u de Cortonis ,r, tesoriere della Chiesa e, con i figlioli e la moglie, fuggì nel napoletano. I romani presero Seivamolle, la distrussero insieme alla rocca, ne scacciarono gli abitanti e mantennero la terra occupata. Il rettore'della Campagna e Marittima confiscò tutte le proprietà e condannò il contumace Giovanni ed i suoi, quali
ribelli, all'esilio. Dopo di ciò ignoriamo che cosa sia avvenuto di lui; sappiamo soltanto che verso Ia metà del 1362, quando piir infieriva la peste in ltalia, egli e sua moglie Agnesina Colonna rivolsero supplica al papa di poter ricevere I'assoluzione plenaria in articulo mortis; ciò che Innocenzo VI concesse con bolla del primo giugno, a condizione però che non commettessero altre colpe da quel giorno in poi. ") Govanni deve essere morto poco dopo, probabilmente di peste, lasciando Ia moglie con Eredi e. disrendenti sei figlioli: Loffredo (che aveva combattuto al ,fianco del padre), Stefano, Fazio, Angelona, di Giovanni' oirr"ro. in esilio in Napoli. È probabile che avesse anche un figlio Carlo Luigú e Rita, "h" soprannominato Saccomanno o .. Sacco ,r, a cui, forse perchè illegittimo, lasciò i redditi sulla piazza di Mola pervenuti a Govanni per eredità materna, non potendo i bastardi pretendere 'quale quella paterna. Questa supposizione non è del tutto arbitraria ; infatti è la sola per Ia si può spiegare perchè Carlo non apparisca in alcuno degli atti riguardanti Selvamolle; in caso diverso bisognerebbe supporre che Carlo Sacco sia figlio di un Giovanni Gaetani di Napoli, e ciò potrebbe essere awalorato dal fatto che nel secolo XIV i Gaetani di Napoli diventarono ivi molto preminenti ed i loro nomi ricorrono continuamente nei registri angioini. Nel 1368 la vedova Agnesina ed i figlioli si rivolsero ad Urbano V supplicando di essere reintegrati nei loro beni della Campagna, protestando di non avere mai commesso colpa alcuna contro la Chiesa. ll papa, che da pochi mesi era tornato da Avignone a Roma, addì 13 aprile, scrisse al rettore Ugo di Bonvillars di prendere in esame la questione, d'interrogare 2' Le agitazioni e guerriglie, che la tracotanza dei Caetani testimoni e di riferire in proposito. Palatini e degli altri baroni suscitavano nella Campagna, intralciarono lo svolgimento del processo che si prolungò sino al 1373, quando il papa Gregorio XI concesse frnalmente il perdono ai tre fratelli e. in data del primo marzo, ordinava a Geraldo, rettore della Campagna e Marittima, di reintegrare i Caetani nel possesso dei loro beni, di permettere loro di ricostruire Selvamolle e di ricondurvi i loro vasrulli a condizione però che non edificassero alcun fortilizio. La terra fu loro concessa nuovamente in feudo perpetuo e, nel luglio-agosto di quell'anno, ne furono messi in possesso, avendo prestato debito giuramento di fedeltà. 3) I Caetani godettero del loro feudo sino al 1437 quando Nardello, Antonio e Angelella, figli di Fazio (il quale, evidentemente, per la difierenza delle date, deve giudicarsi figlio, o
Il redattore della bolla designò erro' u di Ninfa t, confondendolo con I'appellativo Giovanni neamente forse con Giovanni Palatino che, per le continue lagnanze che a) (Regesta, II, p. 210).
r) Vt,
p.394.
t) Arc. Var., Urb' V,
an,
Vt'
Ree. 258,
fioccavano alla canelleria di Avignone, era meglio noto come rmidivo bisognoeo di perdono'
p. 150.
3)
Atc' Val., Ree'
Greg'
Xl, f' 7l'
Eredi e discendenti di
[36O-sec. XVI]
G iova nni
237
forse meglio, nipote del primo Fazio), ne furono spogliati dalla famiglia Conti ma, addì 5 lugiio 1458,
furono reintegrati nel possesso della metà del castello diruto Non trovo altre notizie di questo ramo.
e del territorio di
Selvamolle.
r)
*t{. Nella seconda metà del secolo XIV appare Carlo Gaetani dt Napolt detto < Sacco u, il quale era figlio di un Giovanni che suppongo essere appunto quel Govanni di Sermoneta, di cui si è detto sopra. Sacco fu castellano del castello di Mola presso Gaeta e nel 1382 era ai servigi di Carlo di Durazzo: il 20 luglio si muoveva da Castelnuovo come alfiero di Giovannozzo protogiudice, gran connestabile del Regno, per andare in ^Abruzzo. 2) Dopo poco morì (ag. 1382) e gli successero nella castellania il figlio Francesco 3) e poi l'altro figlio Giacomo detto pure Sacco ed i figli
e
discendenti
di
costui.
a)
Questi furono per la maggior parte uomini d'arme, militarono per i sovrani di Napoli e nella prima parte del s€colo XV ricostruirono a loro spese i fortilizi e le mura di Castelmola. Piìr tardi ingrandirono il piccolo palazzo adiacente aila torre e costruirono la bella porta d'ingresso.
Ad
essi
i
marono più volte
sovrani aragonesi confer-
il
Torre di Castelmola.
possesso della castella-
nia con diplomi che tuttora si conservano.
u)
Non bene edotti sulle loro origini, fecero uso, dal secolo XVI in poi, dello stemma Caetani inquartato con le aquile, alle quali non credo abbiano diritto, perchè non discendenti da Giovanna dell'Aquila, ed usarono I'appellativo ., d'Aragona ,, che non spetta loro perchè certamente non discendono da Onorato II, al quale tale titolo fu conferito nel 1466. Allo stemma Gaetani sovrapposero, non so per quale motivo, uno scudetto d'oro alla banda di tre losanghe verdi e due rose. 5) Nella Ccíefanoîum Genealogía ho raccolto in una tavola quanto ho potuto sapere da varie fonti sulia genealogia di questo ramo, che porta il titolo di conti di Castelmola ed è rappresentato oggi da Carlo, figlio di quell'Onorato, autore della già menzionata Istofia Generale di Casa Gaetaní, stampata in Caserta nel 1888. ") Il 28 gen. l5l7 I'imperatore Carlo V
confermava tutte
le precedenti concessioni a favore della castellania di Mola. I diritti da esse derivanti erano: Nomina di un vice castellano e di 12 soldati. Esenzione dei suddetti e delle loro famiglie da qualunque foro civile, criminale e militare, dovendosi giudiae le loro cause del signore del rctello che elevava tribunale tenendo un mastro d'atti e un uditore militare alla sua dipendena. Diritto di esigere un grano a tomolo su tutti i cereali che
si macinavano nei molini siti nella tena di Mola e sua Pesca riservata nel mare che circonda
il
comarca.
castello.
Esenzione da ogni imposta governativa. Provvisione annuh di dieci once d'oro sui proventi del < quartaccio, dell'olio e di once dodici sui proventi della dogana del
sle di Gaeta.
Inibizione
a
qualunque autorità
di
poter varcare
la
soglia
del castello senza il permuso del signore. (lnform. comunic, dal conte Carlo Gaetani di Castelmola).
2) Cton. Sícalum, p. 46, ove leggi Saccus pa t) Arc. CoI., LXIV-9. 6) Cf. illurtr. a Nop, Csncell, Arag., vol. l, Privil. an. 1452-1454, I. 84b.
,Sa/fus. pae,. 234.
s) Arc. Nap.
R. 1.,
vol. 359,
î. l3A,
I
Arc,
Gaetani
di
Castelmola.
LÍBRO QUARTO
AVTGNSNE E LO SCÍSMA .
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Sarcofago della famiglia Savelli
in S. Maria in Aracoeli.
Caprroro XXX.
LA GUER.RA DEI
tsAR,ONI.
(1312-1342)
A
partenza
di
Clemente
V
per Avignone lasciò Roma,
il
Patrimonio
di San Pietro e tutte le terre della Chiesa in balìa agli odi di
t/cr
Stemma del
ard. Anibaldo
(f
da Ceccano
1350 c.)
nella chiesa di S. M. a Fiume presso Ceccano.
fazicne, alle lotte del partito popolare contro quello della nobiltà e alle guere che I'una famiglia baronale moveva all'altra. Pih aspre e cruenti di tutte erano quelle che i Colonnesi Guerre avevano a sostenere contro gli Orsini e contro i Caetani, e coin- ed anarchia' volti in esse erano anche i Savelli, i Conti, i Da Ceccano, gli Anibaldi e le altre farniglie principali della Campagna e Marittima. Ad esse accenna il Petrarca nella sua canzone Spirto gentile con ailusione araldica ne' versi:
Orsi, Iupi, leoní, aquile e scrpì, Ad una gîd.n rndtntorea colonna Fcnno noía sorsente, ed a sè danna.
Tutto ciò creava uno stato di guerra civile e
il
di anarchia nelle campagne e
nella
cui popolo, sentendosi andare alla deriva, rivolgeva fervidi appelli al pontefice offrendosi di sottoporsi a lui; questi emanava bolla su bolla e spediva legati per cercare di ricondurre I'ordine; ma tutto era vano; ogni giorno piìr Roma cadeva nell'abbandono, nella miseria ed in vergognoso disordine. Racconta I'anonimo autore della vita di Cola di Rienzo z ... Ia cittaie di Roma staoa grandissima in traoaglía. Rettorí non aoea; ogní díe si combatteai da ogní parte si derubaoa. Dooe eru loco dí t)ergínî sí oituperaoano; non c'era úparo; le píccole zittelle si fiaccaoano, e menaoansí a dísonore; Ia moglíe era tolta aI marito nel proprío letto ; Iì laooratori, quando íoano fora d laloraîe, ercno derubatí, dooe? fin sulLa porta dí Roma. Li pellegriní i quali úengon per merito delle loro aníme e le sante chíese, non eÍano difesí, ma erano scannati e
stessa Roma,
Domus,
l,
11.
LA GUERRA DEI BARONI
242
Lib. IV, Cap. XXX.
derubati; lí preti staodno per mal. fare; ogni lascíoia, ogní male, nulla giustízía, nullofreno; non c'era più rimedío, ogni persona pefioa. Quello píù aoeoa ragione, Io quale più potea
co' Ia spada ... t) Giudiziostorico. Mi accingo ora a
' '
la parte che quelli della nostra famiglia ebbero in questo dolodi Roma. Non ho in animo di fare Ia loro apologia, ciò che del
narrare
roso capitolo delle vicende resto non sarebbe fàcile, ma credo doveroso fare una considerazione di carattere generale della quale sino ad ora non hanno tenuto debito conto molti illustri professori che, nei loro lavori storici, si erigono a giudici delle generazioni passate; ed essa è che i documenti del medio evo sui quali dobbiamo basarci nello scrivere un racconto storico, sieno essi bolle papali, o trattati di pace, o istromenti legali, o cronache del tempo, si riferiscono quasi sempre alle nnalefatte di qualcuno e non già a quanto la gente compiva allora di buono e di lodevole; gli archivi non contengono eulogie degli onesti, ma solo condanne dei colpevoli, per la ragione che nessuno speciale motivo c'era per ricordare in appositi documenti gli atti generosi di amicizia, di magnanirnità e di carità cristiana. Perciò ricostruendo gli avvenimenti passati con gli scarsi elementi che hanno sopravvissuto alle vicissitudini di vari secoli, per necessità si viene a dare una immagine dei tempi più nera e dolorosa di quanto fosse la realtà, o almeno, per ignoranza, si tace su. quanto gli attori del nostro racconto compirono di bello, di utile e di generoio.
n.c"ss*rio inoltre mettere in rilievo un fatto che spesso sfugge allo studioso di antichi documenti, e cioè che negli atti legali del medio evo si adoperarono costantemente alcune formule che, per quanto sembrino precise ed obiettive, pur non hanno che un valore indicativo assai limitato. Così ad esempio, nella definizione di beni o diritti venduti si parla quasi sempre di ediflzi, boschi, corsi d'acqua, peschiere etc., ciò che non indica necessariamente che sulla proprietà vi fosse una casa, o un bosco o una peschiera. Quando una proprietà, o il plusvalore di essa, è ceduto e donato, non vuole dire che effettivamente si donasse qualche cosa, ma trattasi di una formula giuridica intesa ad impedire qualsiasi possibile contestazione. E così pure: quando un barone veniva punito per disobbedienza o ribellione, veniva dichiarato figlto dell'iniquità e colpevole di enormi delitti; se si era impossessato con le armi di una proprietà, che magari gli spettava di diritto, o aveva compiutc una rappresaglia, o aveva fatto preda come è consuetudine in tempo di guerra, era accusato di rapina, di furto e di inaudita violenza; se in un conflitio generale aveva parteggiato per I'awersario, era accusato di stupro, ferimento ed assassinio, mettendo a suo carico tutte le mancanze dell'esercito nemico, anche se il barone personalmente non aveva fatto altro, forse, che stare di guardia ad una rocca. Perciò nel trarre dagli atti d'accusa, dai processi, dalle bolle e dai decreti elementi illustrativi per un racconto storico, bisogna procedere cum gruno sa/ís e ricordarsi inoltre che gli accusatori del secolo XIV non erano, di solito, piùr veritieri di quelli del secolo XX.
È
*
:F*
Dopo che Ia curia si fu trasferita in Avignone, re Roberto rimase di fauo padrone delle provincie romane; egli teneva al suo soldo i Caetani, e questi con le armi molto cooperarono a ,ufforrur" la posizione di lui come sedicente protettore della Chiesa e sostenitore del partito guelfo. D'altra parte i Caetani, forti dell'appoggio del re e come suoi luogotenenti nella Cam1) Cola, p. 42.
[sec.
I baroni del Lazio
XlV princ.]
243
e Marittima e nella stessa Roma, si trovarono in condizioni di poter meglio difendere ed arvantaggiare i propri interessi e perciò ebbero larga parte nelle guerre, cavalcate e scorrerie che infestarono la regione sino al tribunato di Cola di Rienzo. È pr"rro"hè impossibile farsi una chiara idea di tale intreccio di awenimenti e quindi mi limiterò a dare in queste pagine brevi cenni di quanto sappiamo sul conto della nostra famiglia; ciò io faccio piùr che altro per un debito di coscienza, affinchè non rimangano gravi lacune nella cronistoria dei Caetani, ma non saprei dar torto a chi, dopo aver letto le prime pagine di questo capitolo, saltasse a piedi pari al seguente. Ho già detto della guerra dei Caetani contro i Colonnesi. Non rneno acerba fu quella contro i Da Ceccano. Erano costoro una delle piir antiche e potenti stirpi delle provincie romane. u) li Gregorovius, seguendo la naturale aspirazione della scuola germanica, la vorrebbe di razza norpagna
dica, affermazione che non cercherò di confutare, ma a cui non ho alcuna inclinazione a credere. b) La loro origine si confonde con quella dei conti di Segni e degli Anibaldi e, al pari di quella dei Tusculani, si perde nell'oscuro periodo storico che precede I'anno mille. Cominciano ad apparire nei pubblici istromenti al principio del XII secolo; nei primi anni del seguente troviamo i cardinali Giordano e Stefano, nonchè il pctente Giovanni I, signore di Ceccano, Sezze, Car' pineto, Arnara, Maenza, Giuliano, Montellanico e di molte altre castella. Egli fu uno dei piùr ragguardevoli personaggi della sua Casa; debellò Ruggero dell'Aquila nel 1216 e pochi mesi dopo s'impossessò di Morolo, ove prese prigioniero Oddone Colonna e la di lui sorella Mabilia. Dopo la sua morte, il figlio Landolfo II ed i nipoti Guglielmo e Giovanni II seniore, furono baroni potenti anche nella Marittima ove, con o senza il consenso della Chiessl occttparono e mantennero nel loro possesso Terracina, Sezze ed altre terre della regione. Giovanna' da Ceccano, che probabilmente fu figlia di Landolfo II, sposò Pietro Caetani. I pontefici dovettero piùr di una volta richiamare all'ordine questi prepotenti baroni e Bonifacio VIII, senza riguardo ai legami di parentela, calcò la mano su di loro; nel I 299 caccib Riccardo da 'Guglielmo; Giovanni III, uomo Terracina e vi pose quale rettore il già menzionato fratello battagliero ed aggressivo, fu fatto imprigionare dal pontefice. Questi privò la famiglia del feudo di Carpineto, che da lunghissimo tempo era stato da essa detenuto, ed ordinò che fosse dato dal capitolo e dai canonici di S. Giovanni in Laterano a Pietro II Caetani per I'annuo censo di un fiorino; ma all'atto della infeudazione il procuratore di Pietro pagò cento fiorini l) d'oro, per cui I'obbligo rimaneva assolto per un secolo a venire. ll 4 settembre del 1299 il 2) Così entrò questa terra i+ casa Caetani. pontefice confermava tale locazione in perpetuo. Non abbiamo elementi sufficienti per definire se I'atto fosse piùr legittimo del modo col quale i Da Ceccano erano entrati in possesso della terra di Carpineto; certo è che I'odio degli antichi proprietari contro il pontefice fu intenso e tanto Giovanni II quanto suo figlio
Gofiredo presero parte all'attentato di Anagni. L'ameno paese, situato nella larga valle che congiunge Segni con Piperno, passò poi in eredità ai figli di Pietro Caetani, Francesco e Benedetto, ma la metà spettante a quest'ultimo u) Per
la storia dei Da Ceccano vedi I'opera
di
Miche'
tangelo Sindici; n Ceccano, I'antíca Fabraterra >, Roma, 1893, e la cronaca di Fossanova nel Mur,: CÍ. Caíet. Gen., Tav.
LXVI e
seg.
b) Ricorderò incidentalmente che secondo la moderna scuola d'etnologia degli Stati Uniti tutte le classi dirigenti dell'Europa
t)
Regesta,
I, p.
165.
2)
IoÍ,
P,
167.
di origine nordica e a questa infusione di sangue settentrionale devesi la fioritura di uomini di genio in ltalia. Tanto è vero che il rinomato prof. Henry F. Osborn, in una lettera dell'8 apr. 1924 al Neu Yotft Tímes, ha sostenuto che gli antenati di Dante Alighieri erano germanici come è facile dedurre dalla forma del cognome. Ohl Ca:ciaguida tu parlasti invano! meridionale sono
Da
Ceccano.
Carpineto.
LA GUERRA DEI
244
Da Ceccano
e
Caetani-
Lib. lV, Cap. XXX.
BARONI
ritornò poi agli antichi proprietari in seguito al rnatrirnonib di Lella Caetani Palatina, figliola di Benedetto, con Giacomo I da Ceccano. Fratlllo di Giacomo I fu il cardinale Anibaldo da Ceccano, uno dei pih influenti e magnifici principi della Chiesa del suo tempo; poco prima di rhórire (1350) contribuì alla edificazione deila bella chiesa di S. Agostino, situata all'ingresso di Carpineto; e di{atti su una delle porte vedesi il suo stemma partito con quello degli Stefaneschi, del tutto simile all'altro che esiste nella chiesa di S. Maria a Fiume presso Ceccano, anche essa da lui arnpliata, se non addirittura ricostruita, su quella consacrata nel I 196 dal cardinale Giordano suo antenato. u) Tra le due farniglie infierirono le guerre non solo per questioni d'interesse, ma anche per ragioni politiche; nel corso di esse, ed appunto nel 1313, Riccardo da Ceccano subì una grave disfatta per mano di Benedetto Caetani che militava per re Roberto. b) Dopo qualche anno però, quando l'autorità dei Caetani in Roma diventò grandissima, vi fu un rawicinamento tra le due farniglie e, addì 22 gennaio I 321 , troviamo Roffredo Caetani unitamente a Giacomo da Ceccano in ufficio di mediatori per concludere Ia pace
fra Tommaso da Ceccano, Bartolomeo e Francesco
da Trevi,
nonchè Giovanni Peronti e Pietro Conti, da una parte, ed il comune di Sezze, dall'altra. l) Per dare maggiore saldezza alle amichevoli relazioni, già sin dal 1320 circa, era stato deciso di dare Lella (detta anche Bella), figliola del conte Benedetto Caetani, in moglie a Giacomo I da Ceccano. Carpineto. In securtà della dote fu assegnato allo sposo la metà del castello di Carpineto. 2) Purtroppo ciò, invece di agevolare, complicò Ie cose perchè Tommaso II, fratello di Giacomo I, accampando pretese sulla parte di Carpineto spettante a Lella, mise grande confusione nel già 3) La concordia quindi fu di breve durata. Bonifacio Caetani cornplesso condominio del castello. Palatino, fratello di Lella, non tardò ad inimicarsi con i Da Ceccanq il che fu motivo, io credo, per cui il 22 novembre del 1328 si scusava di non potersi recare in Avignone per prestare ligio omaggio al papa a causa delle ínimicízíe capítali che ebbe ed ha con alcuní nobili e per iI perícolo delle oie e per Io stato turbolente dell'ltalia. a) Furono riprese le armi e nel conflitto fu coinvolta anche Sezze, ciò che ci risulta dal fatto che, poco tempo dopo la morte di Bonifacio Palatino, avvenuta verso i primi del 1329, la vedova Maria Conti, obbedendo alle disposizioni testamentarie, restituiva agli eredi del fu Guglielmo da Ceccano un mulo e cinque frorini, tolti dal marito aI tempo della cattura, scoffita ad espugnazione dí Sezze.5) Il di lui figlio Benedetto Palatino, prepotente e battagliero, seguì le orme del padre e dell'avo. ll 16 dicembre del 1334, benchè ancora adolescente, entrava in lega con Rinaldo da Supino, signore di Morolo, il quale s'impegnava di seguíre íI conte a suo oolere e non oolere, tanto a) Per ulteriori notizie vedi pag.277. b) Del resto, eisteva gnerra fratricida tra gli stsi nrembri della famiglia Da Ceccano e, a suo tempo, diremo delle atrocità compiute dall'infame Francesco III. Tali e tanti conflitti, 1) Gioryi, p.
252.
\
Atc. Col., Ll-26; LYI-22.
8) .foí,
nonchè
il
complicatissino nesso d'intere$i privati, sono illustrati
dalle numeroe pergamene che si conservano nel nostro archivio e, in special modo, in quello di casa Colonna; ma io non mi ,"zardo ad addentrarmi nel dedalo storico che esse ci rivelano.
lXll-8.
a) Rcsesfa,
ll, p, 61.
6)
Atc. Col,, LIX-9.
Da Ceccano e Caetani
[r313 - 1336]
245
ín pace che in guerîa, contro qualunque persona, ed in compenso ricéveva in consegna la torre di Vitagino presso Morolo; però il passato di Rinaldo dava poco affidamento e perciò Benedetto credette bene di '"hi*d"t" ostaggi; gliene vennero consegnati dodici, scelti tra i vassalli di, Rinaldo, i quali furono obbligati a dimorare a proprie spese in Anagni sotto la vigile sorveglianza del conte. l) {€
*t Intanto Roffredo Caetani, conte di Fondi, ed i suoi figlioli, appoggiati da re Roberto, spadroneggiavano liberamente; I'autorità pontifrcia era pressochè ridotta a zero e in mancanza di chi imponesse l'imperio della legge, ognuno faceva i propri interessi sotto scusa di amministrarsi giustizia
da
sè.
Di tutto ciò si preoccupò grandemente il nuovo papa Benedetto Xll, non appena salì sul trono pontificio il 26 decembre 1334. Teologo ernerito, dotto in molte scienze, di natura austera e duro nella repressione degli abusi, si adoperò energicamente a riformare la curia e Ia Chiesa. Con ugual fervore tentò di ricondurre la pace e la legalità nelle straziate provincie dello stato ecclesiastico, ed i registri vaticani sono ricchi di brevi e bolle pontificie dirette a re Roberto, alle città ed ai baroni, nelle quali Ie esortazioni si alternano con le minacce di scomunica e di tutte Ie pene di cui poteva disporre il vicario di Cristo. Ma tutto ciò non
sortiva effetto alcuno; anzi questa voce del pontefrce lontano era prova della sua impotenza e vieppiìr ne scemava I'autorità. Comunque Benedettò XII non si stancò mai nei suoi tentativi di porre un argine a tanta anarchia. ll l8 settembre 1335 ordinava al rettore Ruggero di Vintron de Rodez di proibire a tutti i baroni di muoversi guerra o fare cavalcate senza lícenzc del rettore. 2) Di questo si deve essere curato ben poco Giovanni Caetani, liglio del conte Roffredo, il piìr turbolento dei baroni; con suo padre era caduto probabilmente in disaccordo a causa di Po6, Selvamolle e di altre terre 3) e, poco tempo dopo la morte di lui, nel mese di agosto del 1336, congregata una moltitudine di gente d'arme a cavallo ed a piedi, si mosse contro Gvitella e I'occupò con violenza, mettendo a morte uno dei signori del luogo, cacciando gli abitanti tutti, giovani e vecchi, donne e bambini, e saccheggiando e mettendo a fuoco Ia terra. a) Aveva preso parte altresì alle guerre e razzie che suo padre e i suoi fratelli avevano fatto a danno del comune di Sezze, con cui continuavano le discordie per le questioni dei confini e delle acque. Ai 24-30 novembre del 1336, Giovanni ed i fratelli Nicolò conte di Fondi e Bello conclusero una pace con I'antica nemica, pace che, come quelle anteriori e quelle future, doveva avere ben poco effetto benefrco e breve durata. 5) Benedetto XII, sempre intento ad impedire tali disordini, di.ede altre e più severe istruzioni al suo rettore Ruggero di Vintron. Questi cominciò col procedere contro il turbolento Giovanni; poi, a modo di rappresaglia, si rivolse anche contro Nicolò, intentandogli causa per quei famosi redditi di Bassiano e Sermoneta che avrebbe dovuto pagare in base al perfrdo codicillo dello zio Francesco, tesoriere eboracense, 6) ma Nicolò si guardò bene dall'ubbidire. 7) Gò non ostante la guerra contro i Da Ceccano continuava più violenta che mai; allora il I ottobre 1336 il papa sr rivolse a re Roberto perchè mettesse pace tra Ie due famiglie, ed a cluesto proposito scrisse varie lettere. 8) Ma queste non erano le sole guerre che tenevano i Caetani occupati; avevano briga anche con Terracina, come dirò appresso, e con Velletri. {)
Rcges/a,
o, 102 e "eg.
II, p.96. 2) Cî.
2)
3)Cî. pae.235. a) Tl,eín.,ll, r,. 15. ó) Rcgeslo, ll, Arc. Val., Arm. IX, c. XIII, n. 30. 1) Regesla, II, p. 108. 8) Daumet., p.223; Arc. Vat., P.ee, l3l, ep, CCCXXIX,
pae.224.
conflitrietregue.
L,^, GUERRA DEI BARONI
Lib. IV, Cap. XXX.
Il 3 ottobre 1337 i Caetani di Fondi, unitamente a Benedetto Caetani Palatino, firmavano un atto di pace in Velletri con Francesco e Pandolfo Savelli, nonchè con i loro nipoti Cola e Guglielmo, frgli del fu Buccio Savelli. La pace doveva considerarsi rotta ogniqualvolta si recasse ingiuria con piir di l0 cavallie Z0pedoni.') Dalla qual cosa si dovrebbe arguire che le piccole tazzie e spedizioni punitive erano considerate inevitabili incidenti giornalieri e di poca importanza.
Tali
discordie furono temporaneamente sedate.
Caetani, poco curandosi degli ordini di Benedetto XII e delle recenti ordinanze di Govanni XXII, che comminavano gravi pene a qualunque barone o nobile che osasse mettere piede in Anagni, forti dell'appoggio di re Roberto, spadroneggiavano anche nella Gociaria scacciando i nemici personali e godendosi di fatto, se non di nome, la signoria di questa città. Il 31 ottobre 1338 il papa richiamava al dovere il podestà, il comune e gli ufficiali di Anagni, creature, suppqngo, dei Caetani di Fondi. Allo stesso tempo ordinava a Napoleone de' Tiberti, nuovo rettore della Campagna e Marittima, di ricondurre i suddetti Caetani e l) Le sue parole caddero nel vuoto. quelli Palatini alla stretta osservanza delie disposizioni date. Eccidio I signori di Fondi sin dal 1336 erano nuovamente venuti in disaccordo con i Da Cecdi Anagni. cano, a cui eransi confederati ora i Caetani Palatini; ne ignoriamo il motivo, ma è da supporsi che i dissidi siano nati dalle già menzionate differenze d'interessi su Carpineto ed altre terre. Ora avvenne che un orribile e sensazionale delitto richiamò I'attenzione della curia e di tutta I'ltalia
Inoltre
i
su queste discordie di famiglia. Da una parte si erano confederati Giovanni Caetani, il fratello Nicolò e Nicola Conti di Montefortino e dall'altra Francesco da Ceccano, Rinaldo da Supino, Paolo Conti e Benedetto Caetani Palatino. Essi erano spalleggiati da Giacomo, Riccardo, Cicco, Noffo e Tormsel]o da Ceccano, nonchè da Roberto e Nicolò da Supino; non sappiamo però esattamente quali di questi parteggiassero per gli uni o per gli altri. Ad un certo momento Giovanni Caetani ed alcuni dei suoi confederati finsero di voler far pace con i signori di Ceccano e gli altri awersari; sotto tale pretesto, nel febbraio del l339,invitarono a banchetto in Anagni Francesco da Ceccano, Rinaldo da Supino, signore di Morolo, I'antico confederato di Benedetto Caetani Palatino, ed alcuni dei loro amici. Secondo una procedura entrata in uso col famoso frate Alberzgo ricordato da Dante, 2) al levar della mensa, gli ospiti trovarono argomento per far sorgere una questione e, assaliti i loro convitati, trucidarono Francesco da Ceccano e Ripaldo da Supino nonchè b) vari altri. Govanni Caetani fu responsabile dell'uccisione del primo. Il rettore Roberto di Vintron ") immediatamente informò il pontefrce dell'accaduto e questi si sdegnò oltremodo di sifiatto horrendum facinus e proditiosum et horrendum scelus. Mise in moto tutti gli scritturali della curia avignonese ed il 6 marzo fece scrivere non meno di 26 lettere dirette a re Roberto, al rettore, alle comunità di Campagna e Marittima ed ai vari baroni. Nicolò Caetani chiese di assistere le autorità ecclesiastiche nelle procedure contro il fratello Giovanni e suoi complici ed al rettore ordinò di amministrare giustizia e ricondurre la pace nelle provincie. Allo stesso ternpo gli ricordò che un ottimo strumento per tenere in soggezione
A
ll, p. lO9). Altro con0itto era nato nel per una obbligazione di 800 once fatta da Roffredo Caetani sul castello di Sujo a favore di Carlo de Ca' a) (Regesta,
mezzogiorno
bannis per la dote di Margherita da cesca, sorelta di Rofiredo. Alla morte
6glia di Frm' di costui il 6glio Nicolò
Cemo,
volle rioccupare la terra, per cui il l0 dicembre t338 dovette intervenire re Roberto (Atc. Nap. R' l', vol. lto, f. +to)'
t) Atc. Val,,Instr. Mùc., n.
15.
)
Cf,
pae. 208 nota b)'
p, sol), forre basandosi sulle accuse pitr tardi da Cola di Rienzo, ha creduto che Bello e Nicolò Caetani parteipasro al delitto, ma i brevi di Benedetto X[ dimctrano il contrario (CL VùlaI' Reg. Ben' b)
Lo
Zappasodi (1,
mosse dieci anni
XII, n.
2248).
dal Tiberti e poi evidente") L'anno precedente sostituito
mente rientrato
in
carica.
Conflitti e tregue
[1336 - 133el
247
i
Caetani era di riportare in vita la questione tuttora pendente del famoso testamento del tesoriere Francesco Caetani, l) in base al quale la Chiesa aveva argomento per chiedere il pagamento di una vistosa somma. 2) In tanto tumulto di guerra i Caetani e gli altri baroni si asserragliarono nei loro palazzi fortificati di Anagni e tennero questa occupata con le armi. 3) II popolo capì che da un momento all'altro stava per cadere sotto la signoria assoluta dei Caetani, che erano sostenuti da buon numero di popolani loro partigiani; il podestà, chiamati ad adunanza ben 522 cittadini, il 2 maggio 1339, basandosi sulle ordinanze di Giovanni XXII, fece decretare che nessun barone o nobile o principe, sia di Anagni sia della provincia, potesse entrare o dimorare nella città e, ove vi entrasse, fosse cacciato con le armi. a) Per mettersi però più al sicuro da un possibile colpo di mano, il popolo, sulla fine di giugno, pregò Benedetto XII di accettare la carica di podestà a vita ed il papa, accogliendo la domanda, diede tutte le opportune disposizioni che qui ometto perchè ampiamente riferite dallo Zappasodi. 5) Intanto Benedetto, Nicola e Govanni Caetani Palatini si erano impossessati della rocca di S. Antonio e del castello di Villamagna, che spettavano alla chiesa di Anagni, e si rifiutavano di restituirli al capitolo. Perciò il l0 ottobre 1339 il papa ordinava al rettore de'Tiberti che facesse consegnare questi castelli ai canonici della cattedrale ed il 3l del mese ripeteva I'ordine ad Arnolfo Marcellini suo tesoriere nella provincia. 6) Ordinò ad entrambi di imporsi con la forza delle armi spirituali e secolari. D'altra parte il rettore era riuscito a far concludere una tregua di tre anni fra Nicolò Caetani conte di Fondi, suo fratello Govanni (quello dell'eccidio di Anagni), nonchè Nicola Conti signore di Montefortino, da una parte, e Benedetto Caetani Palatino e i suoi parenti Giacomo, Riccardo e Tomassello da Ceccano, nonchè Paolo Conti ed i signori di Supino, dall'altra. Per securtà si fece cedere dai contraenti due castella e, per un poco, riuscì a ricondurre la pace in Anagni. A tutela di essa però aveva bisogno di forza armata e perciò chiese al pontefice di poter assoldare 50 uomini d'arme e 50 fanti per mantenere I'ordine, e di essere autorizzato a restaurare le fortezze e le mura delle terre circostanti. Il l0 ottobre il papa accondiscendeva alle sue domande. 7) Tutte queste ordinanze, intese ad assicurare la quiete della regione, e specialmente il divieto che qualunque barone mettesse piede in Anagni, non erano scevre d'inconvenienti, specialmente per il fatto che questi baroni, possedendo molte case e proprietà entro la' città, si trovavano nell'assoluto bisogno di recarvisi per accudire ai loro interessi. Molte quindi furono le proteste, in considerazione di che, il 3l ottobre 1339,il papa dichiarò che non intendeva vietare ai baroni di godere dei loro beni in Anagni, ma tuttavia voleva ''che venisse espressamente ricordato ai Caetani Palatini, ai De Papa e agli altri nobili responsabili dei recenti eccessi, che non osassero in alcun modo abusare di tale mitigazione per éntrare in Anagni guerrescamente, come erano stati soliti fare per il passato. Il piìr contrariato da tanto rigore e dalle restrizioni imposte era Benedetto Caetani Palatino, il quale non voleva desistere dall'idea di rendersi signore di Anagni a dispetto del papa e dei cugini di Fondi. In ciò era assecondato da numerosi cittadini e persino da molti ufrciali della città, i quali desideravano una signoria dispotica che permettesse loro di sopraffare gli avversari persona]i. Benedetto quindi, unitamente al confederato Paolo Conti, signore di Valmontone,
l, p.
, Cf. pae.224,
2)
Arc. Val., Ree. 134, passia; VídoI, ad an. 1339; Theín.,lI, p.58. (Arc. Vat. Segr., lnstr. Misc., n. 18) è in data dcl 16 maeeio 1339. 7) Th"in., II, p. ó1.
507. L'atto da oe ritrovoto
II, n. 87; Xlll, * 37.
3) Theínet, ll, p.59. 5) I, p. 510 e rce.
+) Zapp., a) Atc, An.,
Ben. Palatino s'imposrecsa
di
Anagni.
LA CUERRA DEI
BARONI
Lib. lV, Cap. XXX.
ordì una congiura in una località che, per il tradimento, si vuole fosse poi detta < Pietra Rea ,, o del " Malconsiglio ". Molti hanno creduto, probabilmente a torto, che il nome ricordasse invece la congiura del Nogaret contro Bonifacio VIII. r) Non so bene ove sia questa località che
il
De Magistris vuole presso Sgurgola ed il Sindici afferma essere nei dintorni di Ceccano. Parteciparono al complotto molti dei signori di, quei luoghi, tra cui si annoverano Giovanni Conti da Morolo, Orlando e Tomasello da Ceccano, Benedetto Frangipani, Giovanni Zancati (Anibaldi), nonchè buona parte del popolo di Sgurgola, Trevi e Zancati. Nel mese di marzo o di aprile del 1340 i confederati di notte tempo penetrarono in Anagni, presero d'assalto il castello, ove dimorava il vicario pontificio e che era custodito dai soldati di re Roberto, ferirono Benincasa dei Benincasa, cittadino anagnino, cacciarono gli ufficiali pontifici, ruppero Ia porta della cattedrale (come già aveva fatto il Nogaret nel suo attentato contro Bonifacio VIII) e penetrarono nella canonica, cacciandone il vicario del vescovo ed i canonici. Recatisi alla casa ove il rettore Napoleone de' Tiberti amministrava giustizia, scagliarono quadrelli e pietre contro di lui ed i suoi farniliari. Poi lo stuolo di congiurati, al grido di ,, Víoa, Vtoa íI Conte Palatino ! >, percorse le vie, danneggiando le proprietà dei nemici, per cui Ia popolazione timorosa con quella di parte avversa fuggì nella campagna. I cittadini e gli ufficiali amici di Benedetto, riunitisi nel palazzo civico, lo elessero loro signore perpetuo, a lui formalmente conferendo il dominio della città. Il rettore cacciato da Anagni si ritirò a Frosinone, ove la forte rocca gli presentava piir sicura dimora ed ivi, sedente in tribunale, il 6 maggio, fece diffidare Benedetto ed i suoi complici perchè comparissero in giudizio. Il primo luglio fu pronunziata la sentenza contro i contumaci, infliggendo a tutti gravissime pene pecuniarie, la scomunica, e condannandoli alla decapitazione e inezie simili; ma suppongo che tutto ciò non impressionasse
Espugnazione
di
Sezze.
molto Benedetto ed i suoi confederati che continuarono a signoreggiare in Anagni. Lo Zappasodi afferma che il lettore, adunata gente armata in Roma, si mosse contro il conte Benedetto, lo sconfisse e lo cacciò da Anagni, rna di questo non ho trovato indicazione alcuna nei documenti; risulta invece che per due anni almeno Benedetto tenne la signoria di Anagni. 2) Incoraggiato da questo prirno successo, il giovane e battagliero signore si confederò con Paolo Conti e, al principio del 1340, con un colpo di mano s'impossessò di Sezze, città soggetta direttamente alla Chiesa. Non tardò il solito intìmo papale di lasciar subito libera la città (27 mar.) r) Credo però che nell'obbedire a tali ordini e di restituirla al rettore della Campagna e Marittima. Benedetto fosse indotto, più che dall'autorità papale, dalle rninacce del cugino Nicolò di Fondi, il quale non poteva ammettere la ingerenza dei Palatini nelle questioni della Marittima; se mai, le brighe con Sezze spettavano ai signori di Sermoneta e vedremo nel corso di questa storia che le sanguinose discordie tra i due paesi limitrofr si protrassero per quasi cinque secoli. Comunque, nel trattato di pace (oh quanto poco duratura!) del 19 agosto 1340, che Nicolò firmava con a) è da supporsi quindi che avesse già evacuato Sezze, non si fa cenno di Benedetto Palatino;
la Espugnazione
di
Ferentino.
città.
Pochi mesi dopo, e precisamente nel gennaio del 1341, il turbolento conte palatino, non so per quali speciali ragioni, volse Ie armi contro Ia vicina Ferentino, tradizionale nemica della famiglia. D notte tempo, unitamente a Luzio di Francesco, a Ciano di Benedetto, a Pandolfo Armato e ad alcuni altri di Anagni ed agli scontenti di Ferentino, penetrò di nascosto nella città e con audace colpo di mano s'impossessò della rocca; ma appena il popolo seppe che entro le proprie mura s'era annidato il temuto e inveterato nemico, corse alle armi e violentemente r) Cf. pae. Roma,
173.
z)
l89l ; Zopp.,l, p.512'
Arc, Ses. Vot., Arm. lX, a) Theínet,ll,
Caps.
e' 67.
Xll, n.30;
Imtr. Mísc. n. 15 (1496);
t) C-611.
A, De
Magistris <<Drcumentí Anasnînì",
Benedetto Caetani Palatino
[1331.1341]
espulse
il
conte ed
i
suoi satelliti. Nuova inquisizione sui fatti ordinata da
Atto
< de Puntigraro
)>r
vicario generale delle provincie, nuovo processo, nuove condanne; nullo I'effetto di tali energici prowedimenti ! Il conte stavasene tranquillo e sicuro in Anagni ed i nunzi del tribunale di Frosinone, che il giudice voleva mandare per citare i colpevoli, rifiutarono di muoversi affermando dí non oolere nè poter recarsí ín Anagni a citare gli ínquísiti pet personale pericolo. t) Non sono in grado di precisare che cosa avvenisse in seguito di Benedetto Caetani; risulta certo che quindici mesi piìr tardi il conte, poco piir che ventenne, era passato ad altra (non oso dire migliore) vita. Forse cadde in battaglia, forse fu trucidato a tradimento; forse, e non mi parrebbe strano, ebbe /a testa amputata dal collo ín guísa che oenne totalmente separata dal corpo, in ottemperanza ai piìr volte espressi desideri del vicario papale. La madre lMaria Conti prese cura dei quattro orfanelli, forse bastardi, e nelle funzioni di capo di famiglia subentrò il fratello minorenne Giovanni, il quale col maturar degli anni, diventò tristamente famoso, quale prototipo del barone facinoroso del medio evo. Su quest'uomo prepotente, ardito e non scevro di una certa magnanimità, avremo occasione di trattenerci nelle pagine seguenti.
*** Non meno battagliero e piìr perito neile armi di Benedetto, era suo cugino Nicolò, conte di Fondi, di cui spesso si è fatto cenno in questo capitolo. Era figlio primogenito di Roffredo, natogli da Giovanna dell'Aquila verso l'anno 1312, eome si rileva dal primo accenno che troviamo di lui. 2) Ancora in tenera età fu fidanzato a Giacoma Orsini, sorella di Giordano e di Rinaldo, nipoti del cardinale Napoleone. Fu promessa una dote di 2500 fiorini e il cardinale ne sborsò mille. Il fidanzamento fu però rotto per avere Roffredo messo gli occhi su di un partito migliore: era questo Violanta della Ratta, figlia di Diego, conte di Caserta e sorellastra di Caterina , terza moglie 3) dello stesso Roffredo e matrigna di Nicolò. Si è già accennato a) ai moventi che spinsero Roffredo a tale parentela e perciò aggiungerò soltanto che nel I 331 Nicolò, il
l:ffi
ffitrr; 6.-.
quale aveva appena 19 anni, sposò Violanta. Credo che appunto
in
occasione
di queste nozze il
-^
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padre gli conferì le terre di
San Felice e di Falvaterra, che, per formalità legale, furono da ì' lui donate a Giovanni, figlio di re Carlo II, e da questo con' 'zX',É =l{' cesse nuovamènte in feudo a Nicolò il l0 aprile 1332.' Dopo 2* brevissimo terlpo Violanta, che forse era una fanciulla appena sedicenne, morì, suppongo di parto, e la sua dote venne re6) stituita al di lei fratello Francesco il 12 febbr aio 1336. Allora si allacciarono di nuovo le trattative con il cardinale Trevi. Orsini e questi nel suo memoriale interessantissimo del 20 mag' gio 1334 7) ordinò che, Giacoma Orsini essendo stata promessa frattanto in moglie al " Preposito Massiliense >, questi venisse diffidato cii contrarre il matrimonio entro quattro giorni; nel caso che egli non accedesse a guesta domanda, ordinava che, trascorsi 1
ì) Arc. Seg. Vat., lretr. h4isc. n,6 (1552)t Ví,lal' I, n' 9181. Zecca, Rcs. D, î. 249t Doc. ora perduto cf. Atc. Cael., N. 186520. R. A., wL 299, Í. 249". Damus,
l,
32.
1)
Regesta,
ll, p.92.
2) Arc. Noo. R.1,, anno 1324, vol.255, f. 5b. 5) Rcgcslo, ll, p. 75, ws,. 205.
t) CÍ.
\ Atc.
ilclla
Atc,
Nap.
6)
Nicolò Caetani.
I-A CUERRA DEI
2ro
Lib. tV, Cap. XXX.
BARONI
i
quattro giorni, si eseguisse il parentado tra Ncolò e Giacoma. u) Quanto poco veniva consultata la volontà delle spose di quei tempi ! Con tutto ciò il matrimonio fu felice; Giacoma, diventata moglie di Nicolò, gli procreò figli che grandemente si illustrarono nella storia, e nel 1363 morì in Traetto, dove non molti anni or sono esisteva ancora nella chiesa di S. Francesca la sua tomba con epigrafe e ritratto in bassorilievo. Divisione erediRoffredo, a cui si era andato incanutendo il capo, pensò di prepararsi per lasciare questo taria del 1336' mondo; volle assicurarsi che dopo la sua morte non sorgessero malintesi; regolò alcune questioni pendenti col figlio Govanni; alla figlia Francesca donò due case in Anagni ; dettò il proprio testamento, ora perduto, nel quale dispose per la dote della figlia e ordinò vari legati designando, suppongo, Nicolò quale suo erede universale dei beni pervenutigli per il matrimonio con Giovanna dell'Aquila contessa di Fondi, ed a cui Bello e Giovanni, nati da Caterina della Ratta, non avevano diritto. Dopo la sua morte Ie altre terre furono spartite fra i tre fratelli; Nicolò prese Sermoneta, Bassiano e San Donato; Giovanni prese Selvamolle e Falvaterra (che credo si godesse già vivente il padre) e Bello per parte sua prese Filettino, Vallepietra, Torre di Trivigliano ed i beni vicini ad Anagni; i palazzi ivi esistenti rimasero in comune. L'originale contratto di divisione è probabilmente perduto, ma per fortuna I'anonimo autore della Geneclogía della Nobilissíma Farniglía Caetaní di Anagnì ce ne dà una copia che credo bene qui pubblicare. b) Nicolò, diventato conte di Fondi, si dedicò interamente al mestiere delle armi. Attaccò briga con la comunità di Sezze , con la quale fu in guerra sino al 1340, quando ai 12-23 di agosto fu conclusa una tregua; ma questa doveva avere ben breve durata. Nel 1342 ricominciò a rnuovere in armi contro Velletri, per assoggettarla alla propria volontà despotica, ma essendo venuti in soccorso i senatori Stefano Colonna e Bertoldo Orsini con numerose truppe rornane, lì Nicolò dovette per allora abbandonare I'impresa; però le inimicizie, a quanto scrive il Borgia, durarono sino al 1348 quando una mortifera peste, che fece strage in tutte Ie città d'ltalia, troncò ad un tempo le imprese guerresche e la vita del conte. Ma Ia piùr grande attività militare del giovane signore si svolse in Terra lunghe ed awenturose imprese, di cui si parlerà nel capitolo seguente. a) Questo matrimonio,
al pari forse
di
quello
susseguente
tra Sancia Caetani, fielia di Nicolò, e Roberto Orsini, fu ideato per ricondurrc la pace tra le due famiglie che, per un tempo, erano cadute in grave dissidio. Queste inimicizie, di cui non si ha chiara memoria, furono ricordate da Clemente VI nel l34z con le parole: cum lnler prcgenílorcs ueslros (cioè di Sancia e Roberto) gaota scanilala et odía quamplufima hactenus exoila díssidia fotent quorum occasíone Uúls parcíumque ttícínarum slatus pacifi.cus turbabalur (Arc. Vat., Reg. 155, t.216, ep. 188). b') In nomine etc. 1336, pontÍficalus Benedíclí XII anno 2"
Cle 2.n In ptesenlía meí etc. Magníficl et oírí Nícolaus Caetanus Funìlorum comes, Iohannes et Bellus Caetaní fratres etc', fiIíí et hereiles d- LoÍfrrdí Caelaní
mensís decembús potentes
Funilorum comítís, asserenles hercdílatem paternam el bona here' ilílarla lnîtascrípta tn comuní habere propler nonnulla íncomoda eoíIanda, que ex comuníone ípsa assolent prooeníte, lam ín neglígentíîs etc. Perpenso consílío, et concorìlítet etc. ad tnfrasctíplam ilioísíonem de heredítate el pteilíctis bonís heredítafiís talítet petoenerunt oídelícet: quod caslta Setmonete et Bassíaní cum tenímentís S.ti Donati, et íutíbus el peilínentíis Îpsorum sínl parundts díscoilíís, quam
ín
bonaque eoîum ùoluntate, unanímíter
cl
csse debeant 1)
P. 307.
una pat[sJ cum ínfrascrípto onerc, oidelícel,
quod. guìcumque
Lavoro in
pailem íslcm habueftt tenuerí! ad omnía debita
pcrsoloenda, quí (?) dicta
ín
di
esset
hercdÍlas onercla, concunenle debíIo
d.
Frcncísce sororís eorum, exceptís legatís contentís ín ultímo testamenlo prefatí d. Lofddí comítís pahls eorum ad que legda soloenda dlctl fratrcs comunller quam partem etc. sibí elegít el oolult d' Nícolaus ^Ieneanlur, comes Fundorum de assensu elc. dd. Ioannís el BeIIí fiatrum predíctís soloenilo do!ís
6uoîutn; caslrc oero SíIoe mcllls el Faloaterie peilínenlíts ípsorum sînt
et
esse debeant
cum
îuríbus el
alía pars, que
castta
elígl| et ooluíl elc, ín peilem etc. d. Ioannes, oolenlíbus etc, preì!. Nîcolao comíte Fundorum et BeIIo; casha ten Felectínl, Vallíspehaîum et Turrís de TibíIíano, cum íuibus et petlínentíís ipsorum et etiam cum omníbus alíís possasîoníbus posífís ín terrítorío anagníno cum íurìbus e! peilínentíís ÍFsarum, exceqlis domíbus ild. frattum sítis ín cíoítale Anagníe que rcmoneanl ín comuní, sinl el esse ilebeant tertia pars, guan parlem d. BeIIus elegít et ooluít esse suam, i!íctaque casba'Feleclínl, Vallíspe' trarxm et Tunís cum díctís possessíonìbus rcceplt In partem, eI pto parte etc, Aclun Funilís ín ìlomibus dd. comítÍs, ptesenIíbus etc. Anilreas magístri Leonís de Sezía publlcus impefialí aucloilate notafius preilíctís omníbus ínterfuí rcgatus scr'psí et pubblícatsí.
Loco
S
sígni.
TRA
I CAETANI
E
MATRIMONI GLI ORSTNI, I DA CECCANO E
Bonifacio
Da
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Caetani Roffredo I
m. 1225
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m. r25o
c.
m. l27O
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Pietro
I CO NTI
Ceccano
Conti Emilia Patrasso nipote del papa IV Conti
Alessandro
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Nolal
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Calvi
Roffredo III Francesco Tesoriere Francesca I
m. 1330
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m, 1326
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m. 1290
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Benedetto
n. Miozia Lella
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m. 1323 att.
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Iacobello III m. l4l0
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ant. .
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m. l5l3
di Franc.
di Ludovico di Pitigliano
Camillo I Bonifacio I Giovanna V Onorato IV
Pietro III
n.
1567
ant.
Virgrmo duca
m.
1593
ts
di S. GceiBi
Felice Maria di Ferdinando diGravina
Bruno
Ceptrolo XXK.
GUERR E
DI
NIC
OLO IN TERRA DI LAVORO. (1336-1347)
r è accennato nel capitolo XXI
Gaeta
VIII
molto ambì di città di Terracina quanto quella
che Bonifacio
far conferire ai nipoti tanto la di Gaeta, perchè il loro possesso avrebbe riunite le contee di Traetto e di Fondi con le terre della Marittima, riducendo tutto il territorio dal Garigliano a Nettuno ad un piccolo e compatto regno dei Caetani. Tale aspirazione non si realizzò p"rÀè, come è naturale, ad essa si opposero costantementp i re ài N"poli e gli stessi pontefrci succeduti a Bonifacio VIII.
e Terracina.
Iniziale tratta da
Llber Sexlus Decretalíum, r)
3ifiunu ambizione di dominio ed i conflitti d'interesse, che sempre vigono tra vicini, fecero sì che per un secolo e mezzo infierirono inimicizie tra la famiglia Caetani e le due città libere, le quali, come porti di mare, si trovano in ottime condizioni non solo per diiend.rsi contro I'awersario ma anche per mole-'
starlo in casa ProPria. e per piìr anni fu in guerra con essr' Roffredo III ebbe varie questioni con i terracinesi tempi I'influenza dei caetani plesso re m" a partire dal l3l9 le cose si quietarono perchè in quei Campagna e Marittima' crebbe tanto che certaRoberto, il quale'era anche vicario pontificio nella col conte di Fondi' Ma morto Roffredo lll mente non convenne alle due città di attaccar briga Niiolò, poco piir che venrenne, e verso il gioverso il pdncipio del r336,gli succedette il figliolo lo stesso ascendente del padre' le comunità di vane, che certamente non poteva godere * "oit" non escludo per altro la possibilità Gaeta e Terracina si dimostrarono assai meno riguardose; Comunque sia andata la cosa' ben che il focoso signore desse motivo alle discordie stesse' stato tenersi in buona armonia con presto I'una e iul,ru città si accorsero che meglio sarebbe XIV' il quale non domanI'i*p"tuoro e battagliero conte di Fondi, nov"llo Boiardo del secolo vicinato' d"v" *"glio che Ji brundire la spada e in breve diventò il terrore del altri documenti' n iri*o "onflitto, di "ui "i danno notizia la cronaca suessana e gliquelli di ltri per gli uomini di Gaeta e rimonta all'otrobre del r33g. Era sorta quesrione tra reputavano di propria spettanza' si mossero ragione di un certo tenimento che gli uni e gli altri sfortunato: i gaetani con exercito maximo contro lu vi"inu ltri, ma la spedizione ebbe esito r) Ediz. del 1482.
Guerre con Gaeta e Terracina
F319 -13421
253
molti degli aggressori rimasero prigionieri nelle carceri del conte di Fondi, aspettando con animo trepidante di essere riscattati, perchè, se tale soccorso tardava, correvano rischio di uscirne con qualche arto mutilato o di esser senz altro spacciati a miglior vita. Ripo*ata sì clamorosa vittoria, il giovane conte si aflrettò a correre a Napoli, ove re Roberto si rallegrò tanto del valore dimostrato nel primo esperimento bellico dal figliolo del compianto suo fido amico, che lo onorò l) del cingolo militare unitamente ad alcuni vassalli di lui. Non contenti della lezione avuta, i gaetani riattaccarono briga e, nominato a loro capitano Corrado Guindaccio di Napoli, fecero cavalcate nel territorio
di ltri;
senonchè anche questa aggressione andò male, perchè
Ia
vigilia
di S. Andrea (3 feb.) del 1340 il Guindaccio, mentre perlustrava il territorio nemico, rimase ucciso e con lui perirono molti dei gaetani. Non volendo darla per vinta, elessero un nuovo capitano nella persona di Paolo Conti e invasero le terre dell'awersario apportando gravi danni alle campagne di ltri e di Traetto; intervenne allora re Roberto ed i gaetani dovettero ritirarsi e pagare al re, in conto riparazione, una indennità di 200 once.2) Ma queste non erano le sole beghe che tenevano occupato il battagliero Nicolò: anche Guerra con Terracina' con Terracina si era riaccesa la guerra. Di essa però sappiamo poco salvo che il 2l maggio 1340 fu conclusa una pace, alla quale parteciparono anche le popolazioni di Traetto, Itri, Sperlonga
e Lenola.
3)
Essa fu però di assai breve durata: infatti sul principio dell'anno seguente certi Meo Silvignario, Minnuc"uro, Bello e Antonio, irato anímo et malo modo, per alcuni torti forse ricevuti, si accordarono con Nicolò Caetani perchè entrasse di sorpresa ed occupasse la città di Terracina; il colpo di mano però fu sventato. I cospiratori terracinesi condannati a pagare 1000 marche d'argento, furono privati di ogni immunità e citati in giudizio. Per vendicarsi dello scacco subìto o, quel che sembra più probabile, per la ribellione di alcune castella neila contea di Fondi sobillate dai terracinesi, Nicolò Caetani ai primi di feb]1;1aio 1342 organizzò una spedizione punitiva: questa volta apertamente, al suono di tube e trombette e con le bandiere spiegate al vento, cavalcò eon maxíma comitiva di cavalli e pedoni in territorio terracinese, sino alla località detta << Lo Salto r', €d ivi prese 400 bufale, cinquemila tra pecore e capre, nonchè 25 cittadini di Terracina che ricondusse prigionieri a Fondi ed
ivi gettò nelle carceri della rocca. Tali fatti furono denunziati alle autorità ecclesiastiche da Pietro di Govanni Rossi di Fondi,' un fuoruscito forse, che abitava in Terracina, e Matteo di Pietro da Norcia, giudice generale per la Campagna e Marittima, fu subito incaricato d'istruire regolare processo. Le citazioni furono ,"duit" in Frosinone, ma quando il giudice ordinò a Pietro ,, Ttambecte " di recarsi presso il conte, o al castello ov'era solito dimorare' per comunicargliele personalmente, diffidandolo di presentarsi a Frosinone entro tre giorni, il suddetto Pietro si mise a piangere e < IacrímabíIíter , scong;11lò che per amor di Dio non Io mandasse a cítare I'ínquísito sígnor Nico|ò perchè fortemente dubíiaoa della propría sícurezza, íI conte essendo persona potente e magnífico e bani!íto della curía generale. In considerazione di che, sentito anche il parere di altre dieci persone presenti, fu stimato piìr prudente e speditivo affiggere la citazione alla porta della rocca di Frosinone, ciò che fu fatto il giorno 23 febbraio àel 1342. Inutile dire che Nicolò non si curò menomamente di quanto era stato dettg e pubblicato a suo carico. La guena contro Terracina durò sino al l0 gennaio dell'anno seguente quando, per mediazione di Giacoma Orsini, moglie di Nicolò, fu conclusa una nuova pace. Dopo di ') cr, sdes., p. 62.
?')
Ioi, p,
63,
8) Conlol., P, 219.
cUERRE Dr NIcoLò tN rEnRA DI LAVoRo
254
Lib. lV, Cap. XXXI.
giugno 1343, marito e rnoglie ottennero da Clemente VI la licenza di scegliersi un confessore articulo mortís; dal quale fatto deduco che, conclusa la pace con Terracina, erano stati ripresi
che,
l'8
in in grazia dal papa. r) Ma i conflitti d'interessi erano troppo gravi perchè si potessero regolare con la penna ; perciò si ripresero le armi, I'una parte recando gravi danni all'altra. Purtroppo dei fatti non conosciamo che la versione data negli atti d'accusa contro il conte: essi ci dicono che egli assalì di nuovo Terracina, ne devastò le terre e Ie case e, tra aitro, fece prigionieri e spogliò dei loro beni alcuni cittadini che si apprestavano a partire per la Romania in soccorso della fede contro i turchi. Tanto era il suo odio che non faceva distinzione né di sesso, né di qualità. Per operare contro Terracina, nel luglio 1345, Nicolò dovisi,
il
cominciò
per espugnare,
asserraglian-
castrum Sancti Angeli, ossia il monastero che sorgeva sulla vetta del monte sovrastante alla
città, nella località ove tuttora si vedono le arcate di quel che un tempo fu creduto essere 2) afierma esser stato il stato il patrazzo di Teodorico, re degli Ostrogoti, ma che il Contatori ternpio di Giove o Auxur ,'. Ci dicono le lettere pontificie che il conte usasse violenza contro la stessa badessa; parole che inierpreterei nel senso che la pia signora fu messa con poco garbo alla porta della sua magnifica dimora. Tante furono le lagnanze e le proteste dei cittadini che Clemente VI, in data 27 ottobre 1345, scrisse a Nicolò dandogli orclini perentori di riparare il malfatto e di far cessare le offese. u) Il nuovo pontefice, uomo di modi signorili, cortese ed accondiscendente, aveva per massima che nessuno dooeta ritírarsi scontento dal cospetto del príncípe,3) Sotto il suo pontificato ricominciò in Avignone la ressa per i favori che I'austero Benedetto XII aveva duramente represso; ma con tutto ciò egli non poteva non preoccuparsi della crescente prepotenza dei baroni e dell'anarchia che dilagava; indizio che, anno per anno, I'autorità della Chiesa andava scemando € meno sicuro diventava il possesso del patrimonio di S. Pietro. Ben poco però dev'essersi preoccupato Nicolò dei paterni ammonimenti del pontefice. Ai piedi suoi era la nemica città, retta da un certo Necus Prumptus (non si sa chi fosse), che i/ conte teneoa ín grande odio.4) Fermo in questo era il proposito di distruggerla. b) Espugnazione In quel mentre si era riaccesa la guerra ai confini meridionali dello stato. Il 17 febbraio 1346, di sessa. Nicolò Caetani, accordatosi col o dominus Capuanus , ed altri nobili di Sessa Aurunca s'impossessò delle case di Nicola di Toraldo, maggiorente della città. Quel che successe poi ' non si sa, perchè esiste una lacuna nella cronaca suessana; però mi pare di capire che il conte occupasse militarmente la terra. Comunque, dopo pochi giorni il Capuano, sdegnatosi col conte di Fondi, fuggì da| suo furore e corse a Firenze. Grandemente turbato di taie evasione, il conte trasse in arresto il fratello di lui Tommaso, Lorenzo e Giovanni .. de Matricio ,, Guglielmo di Tagliacozzo, ed altri di Sessa e li gettò in carcere nella rocca di Traetto. Fece poi presidiare Sessa da Leonardo Gallardo e dal a)
(Theín.,ll, p.
grattacapi facevano
153).
Nicolò non era il solo Caetani a dar
al pontefice: i fratelli di lui, Giovanni e Bello, ne di tutti i colori in altre parti d'ltalia, Animati da spirito
di vendetta e da odi di fazione, avevano iavaso di nottetempo, a mano armata, un solitario casale nella Marsica spogliando la gente che I'abitava di ogni toro avere, compresi il bestiane e gli stesi vestiti che portavano addosso, síechè alcuní dí gueí dísgazíatí tanlo uomíní che donne, ilenuilatí ilí lulto, furono costreili' ahímè ! a softbe I'obbrobrío della amara mendicítà. Così almeno dice
I'atto
i45, f. rc?). b) Nel l3ó9 il notaio Nicola di Orlando da
Frosinone così
testimoniava sul conte Nicolò: Semper fuít conlrat,ius et ínobe' díens ecclesíe et specíalíleî cíoítatem (síc) Tenacíne quam ma' gno lemporc tenuíl obsessam (C-269. I).
d'accusa.
') Arc. Vot', Reg. Avin, 73, Î.
Sdegnato di ciò il ponte6ce, in data 25 ottobre 1345, ordinava al cardinale Americo, anministratore del regno di Na' poli per la minorenne Giovanna I, di punire severamente i colpevoli'e di riparare alle malefatte; ma ho qualche dubbio sul' I'efúcacia dei prowedimenti adottati (Arc. Vat., Reg. 138, ep.
lù5b.
') p. 310'
3) Baluzío, Vitae, cit. MaIIa!,
p.
83.
a) Ct. Suus., p' 67.
Guerre con Gaeta e Terracina
[1343 - mag. 1346]
255
proprio fratello Giovanni Caetani de Sermoneta, con una scotta di 300 fanti ed egli stesso, con un forte esercito, ritornò a Terracina. Ivi Nicolò, oltre che del monastero di S. Angelo, si era impossessato anche di due castelli, tutte rocche fortissime, e stava stringendo d'assedio Ia città con tanto rigore che già vi si sentiva la penuria dei viveri: il tornolo di farina era salito al prezza esasperante di quattro ducati. Ma ecco che inaspettatamente, ai primi di maggio del 1346, giunsero 32 galee genovesi comandate
da
Simone. ")
Assedio
di
Terracina.
Alla vista delle vele amiche i cittadini, già riclotti agli estremi, esultarono di gioia e dall'alto dei fortilizi alzarono il vessillo di Genova facendo segnali che avevano bisogno di aiuto. Il comandante della squadra, saputo che la città era assediata dal conte di Fondi, nemico dei genovesi, e che continuamente recava danno ad essi per terra e per mare e combatteva Gaeta, città loro amica, fece approdare le navi per venire in soccorso degli abitanti. L'ammiraglio, d'accordo con i .. soci ,,, immediatamente mandò avviso al conte di Fondi ordinandogli, a nome del doge, di levare I'assedio e di non più molestare Ia città; ma Nicolò gli fece rispondere che nulla aoeoa da fare col duca di Genotsa o, in altre parole, Ii mandò a farsi benedire. Allora i genovesi sbarcarono le truppe e Ie scale (che in quei tempi evidentemente facevano parte dell'equipaggiamento delle navi da guerra) e assalirono il castrum Sancti Angeli e, espugnatolo, lo distrussero sino alle fondamenta. I cittadini andarono incontro ai loro liberatori e, con le lagrime agli occhi (piìs lachrgmís), implorarono Simone di assumere il patrocinio della città ed offrirono di sottomettersi in perpetuo ai genovesi, pur di essere protetti dal loro inesorabile nemico. In compenso dei servigi resi pagarono piùr tardi a Domenico Garibaldi e agli altri capitani della flotta una somma di 3000 fiorini d'oro, come risulta da un atto stipulato a Terracina il 6 febbraio 1347. Simone proseguì sino a Gaeta, ove fu accolto con molto onore perchè anche i gaetani videro nella presenza della flotta un'occasione per schiacciare il loro acerbo nemico. I genovesi, sempre eccellenti uomini d'affari, si fecero dare un compenso anticipato di altri 3000 fiorini e, saputo che nelle acque del Garigliano stavano due galee che, ad istigazione del conte di Fondi, erano solite corseggiare, senza indugio alcuno risalirono il frume con tutta la flotta. Giunti sotto Traetto (l'odierna Minturno), vi penetrarono a forza e, aiutati dai gaetani, tutto saccheggiarono e ricondussero i nobili della città prigionieri a Gaeta. Allo stesso tempo danneggiarono alquanto (aliquantulum)
r) I'antica tone di Docibile sul Garigliano ed espugnarono quella di Pandolfo alla foce del fiume. Furonà liberati i nobili di Sessa che giacevano nelle carceri del conte di Fondi e per vendetta fu dato fuoco in Traetto a piìr di una casa. Tra i molti prigionieri fatti v'erano anche i corsari che il conte teneva a danno dei gaetani e genovesi, il cui capo era un certo noóilís de Janua qui erat pírata prae6ipuus. Esso certamente deve esser stato quel dornínus Percioallus, di cui parla Ia Cronaca Suessana, il quale, fuggendo da Traetto con i compagni, fu preso prigioniero presso Trabatam da l,tricolò di Toraldo, e consegnato ai genovesi. Costoro proseguirono per Napoli ed ivi nel porto, il 20 (oppurc 22) maggio, appiccarono alle antenne delle navi tutti i pirati in piena vista dal palazzo reale, ove stavano il duca Carlo di Durazzo, cognato della regina, ed il conte di Fondi: ciò, dice il cronista, molto dispiacque ad entrarnbi quei signori perchè il pirata era stato loro (sic) ospite e molto danno ayeva recato ai gaetani (segue una lacuna nella
cronaca).
2)
r) ll Conlat., p. 221, dice, ')
Cf. pag.
12.
2) Cr.
probabilmente per emoÍe, che
Sr*., p,68; Mar. XVII, Au'
il
comandante era Domenico de Garibaldi.
Gen. aq'
1346; Contat', pp' 2lg-222'
Perdita
di
Traetto.
GUERRE
DI NICOLÒ IN TERRA DI LAVOF.O
Lib. IV, Cap. XXXI.
i
la
nemici del conte, valendosi della circostanza che era interrotta ogni comunicazione tra contea di Fondi e Napoli, si volsero contro Sessa che ancora teneva per Nicolò. il
22
maggío Nicola
Intanto
di Toraldo, Francesco di Albeto e Bello di Tranto con tutti i seguaci, ed amici e con largo stuolo di armati, assalirono Sessa, presidiata da soli
parenti, servitori 300 fanti, e I'espugnarono. Caddero prigionieri il vescovo di Ascoli, Leonardo Gallardo vicario del conte, I'abate Nicolò ed altri seguaci dei Caetani; a costoro fu messa in capo una mitra di carta e, a vituperio loro e a derisione del conte, furono condotti per le strade della città al suono di tuba. Di Govanni Caetani non si parla e quindi suppongo fosse assente o riuscisse
a
fuggire.
conte di Fondi non dormiva. Il primo di giugno venne davanti a Sessa con un forte esercito ed alla sua vista Nicola di Toraldo fuggì con tutti i suoi, strascinandosi appresso i prigionieri. Nicolò munì Sessa di una forte guarnigione e proseguì per Traetto ove rimise tutto in ordine. La guerra con i terracinesi probabilmente continuò per qualche tempo, ma nel I?,47 fu l) conclusa une pace per mediazione di Cristoforo de Archis. In quel tempo Luigi re d'Ungheria stava preparandosi per venire in ltalia a punire la morte del fratello Andrea, marito della regina Giovanna, che questa aveva fatto strangolare miseramente con un laccio di seta in un corridoio vicino alla stanza nella quale si trovava; il suo cotpo era stato gettato dalla finestra (lB set. 1345), Il disgraziato non aveva che diciannove anni! Tutto il mondo si era sdegnato a così efierato delitto ed il papa aveva ordinato che si' aprisse un regolare processo per scoprire i colpevoli. Nel mese di marzo del 1346 Luigi d'Ungheria mandò i suoi ambasciatori presso il papa in Avignone per chiedere che gli fosse assegnato il trono di Napoli, essendo il più prossimo erede di Andrea. Ma le circostanze, ed in special modo'il cattivo esito della spedizione fatta verso Zara contro i veneziani, lo costrinsero a rinviare quest'impresa ali'anno venturo. Intanto per travagliare la regina, le andava suscitando la guerra negli Abruzzi e, quel che contava di piùr, ottenne che Nicolò Caetani cominciasse per conto suo a 2) Non so precisare se I'impresa di Terracina, di cui si è detto sopra, muoversi contro Giovanna. facesse parte oppure no di questa campagna; certo è che Nicolò, poco curandosi dei rovesci inflittigli dai genovesi, in breve riprese possesso delle sue terre e mosse contro Gaeta, in nome del re d'Ungheria facendo scempio di gran numero dei suoi nemici personali, distruggendo le loro case e proprietà e portando via ricca preda. Con ciò volle vendicarsi dell'aiuto pre-
Ma
Luigi d'Ungheria.
Nicolò dichiarato ribelle.
il
stato dai gaetani ai genovesi nella espugnazione e nel sacco di Traetto, sua dimora preferita. I superstiti fuggirono a Napoli chiedendo aiuto, protezione e vendetta. Non poteva tardare Ia reazione da parte della regina Giovanna: nel giugno 1346 rl principe Roberto di Taranto, capitano generale del Regno, dichiarò bandito il conte di Fondi; cib molto dispiacque a Carlo di Durazzo che fu sempre amico di Nicolò. L'esercito regio mosse contro Sessa ed allora il conte stirnò più prudente di evacuare la città e si ritirò con tutte le truppe al di là del Garigliano; rafiorzata la guarnigione di ,Traetto, egli stesso prese stanza in ltri. Fu dato corso alla solita procedura contro i ribelli; la regina scrisse al conte di Fondi
a
comparirle innanzi per discolparsi, alla quale richesta Nicolò, che non aveva paura di nessuno, rispose con sdegnoso rifruto; anzi, per dispetto, mentre si rafforzava nelle proprie terre, menava guerra spietata contro tutti i fautori della regina e sobillava I'animo delle , popolazioni perchè si ribellassero.
chiamandolo
L) Contat., p.221.
2) Mur. Ann., 1346;
G.
Vil,Xll,
Cap' 75.
[mag.
Guerra con Giovanna
-set. 1346]
257
I
Allora la regina lo fece citare perentoriamente garantendogli un salvacondotto e minacciando, in caso di disobbedienza, di portare rovina nelle sue terre e nella sua persona ; ma il conte, il quale ben sapeva che simili salvacondotti non valevano la carta su cui erano redatti, rispose per iscritto che egli era soggetto unicamente al re d'Ungheria e che di nulla aveva da renderle ragione; aggiunse, a modo di sfida, che qualora la regina, eseguendo le proprie minacce, avesse voluto mandargli contro un esercito, egli, come gli dettava la fedeltà verso il proprio l) sovrano, l'avrebbe atteso nelle sue terre ben deciso a difendersi ad oltranza. Senza più tardare Ia regina dichiarò confiscati tutti i feudi di lui e riunì un esercito contro il ribelle. A capo di esso fr-r posto Filippo di Nantolio o) il quale prima della fine di giugno mosse contro Sessa. Con lui erano Bartolomeo Pironti di Terracina, come si rileva da un ordine di pagamento del 5 agosto dei salari ai capitani e agli uomini per i prossimi due mesi spiranti il 15 di ottobre. In questo elenco sono annoverati 29 capitani, tra cui si notano Raimondo deli'Anguillara, Fusco Guindaccio, Rodrigo de Vallis e Raimondo Vassallo, che avevano con loro oltre 600 uomini a cavallo. Ogni condotta o squadra era formata di un gruppo da l0 a 50 uomini, mentre i fanti erano per lo piir divisi in squadre di 19 uomini guidati da un connestabile. Il totale della somma stanziata nel suddetto ordine di pagamento è di 160l once, 16 tareni e B grani. 2) Le suddette cifre corrispondono esattamente, per quanto riguarda i cavalli, a quelle date da Giovanni Villani, che dice l'esercito essere stato forte di 600 caoalíeri e pedoní assai del Regno ;3) la cronaca suessana dice che ammontava a 1000 cavalli e 8000 pedoni, composti in gran parte di gente di Gaeta e dei fuorusciti di Traetto. Essa c'informa anche che facevano parte deli'esercito I'ammiraglio Goffredo di Marzano ed il nostro Nicola di Toraldo di Sessa, acerbo nemico dei Caetani. Essi, corne si disse, mossero contro Sessa e I'occuparono nemíne contradícente, perchè la città era già stata evacuata. Dopo di che I'ammiraglio fece ritorno a Napoli e gli altri si rnossero contro Traetto, appoggiati dagli abitanti di Sessa, di Gaeta e di Terracina e da tutti I'altrí nemicí del conte. I cittadini di Traetto ebbero paura: i gaetani avevano devastate le campagne sino alle porte del castello; due trabucchi battevano le mura e in quella torrida stagione I'acqua cominciò a mancare in paese. In considerazione di tutto ciò la popolazione si dichiarò disposta a prestare omaggio di fedeltà alla regina. Anche la monumentale torre di Pandolfo, alle foci del Garigliano, cadde in mano del nemico. Libero era ora il passo per avanzare verso ltri, nel cuore dello stato del ribelle barone. Il poderoso esercito della regina si accampò nella valle sotto il castello. b) Contro esso il conte poteva opporre soltanto 200 cavalieri tedeschi e 200 cavalieri suoi di Campagna e buon numero di gente a piedi, ma confidava nel proprio illirnitato ardire, convinto altresì di potere, con l'arte e con I'astuzia, far fronte a tanti nemici. Resosi conto della sproporzione delle forze, studiò uno stratagemma che doveva assicurargli la vittoria. Prima di narrare come vi diede esecuzione, debbo dare una breve descrizione di ltri che faciliterà la comprensione di quello
che accadde. a)
La
cronaca suessna
lo
chiama
F.
d'Anatolio, ma io
la lezione dei registri angioini. b) Domenico Gravina nella sua cronaca descrive gli avvenimenti come awenuti a Traetto, ma deve egsere caduto in errore, perchè tanto G. Vitlani quanto la cronaca suessana di-
seguo
{) Mar., Xll-lll, Cr. Grav., p. 30. Domus,
l,
33.
2)
cono che la battaglia si svolse entro ltri; ciò è confermato pienanente dal sovrano asseroo del 4 giu. 1347 all'istanza della vedova del capitano Filippo di Nantolio, il quale morì in questa battaglia apud lttum (Atc, Nop. R. A., vol. 3sz,
î.255).
Arc. Nap. R. 1., vol. 351, f.67;
C'126.
3) G. VìII.' Lib'
Xll'
cap. 75.
Giovanna I
coutro Nicolò.
cUERRE DI Nrcot-ò
258
tu IERRA DI LAVoRo
Lib. IV, Cap. XXXI.
i'rÈ i.*s
I I
Rocca
Itri.
Il
di ltri,
è costruito sopra una specie di piramide rocciosa, sul vertice della quale sorge Ia forte, dirò anzi, inespugnabile rocca. In quei tempi la terra era ristretta da una cinta di mura piìr angusta di quella moderna; ed infatti davanti a una delle porte, attualmente ben entro il paese, detta < Porta Cea >>, corrono oggi le strade della u Cinta Nuova >> e u Fuori Mura rr; su di essa si vede il giglio degli Angioini. Ve ne sono anche altre tra cui la piìr importante, e probabilrnente la più antica, è Ia porta .. Mamurra rr,") caratteristica per il suo doppi-o. arco e per la varietà delle sculture murate nella facciata; vi sono iscrizioni romane e gotiche ed ai lati vi sono due bassorilievi rappresentanti il serpe, o drago, emblema della città. Sopra il primo arco, in una specie di architrave fu scolpita qualche figura con uno scudo nei due lati; quello di sinistra e Ia frgura rnancano, ma sull'altro si distinguono ancora Ie onde dei Caepaese
'tani, senza I'aquila, che forse era scolpita sull'altro scudo. Dalle varie porte salgono a spirali le strade tutte fatte a gradoni così ripidi che con difficoltà può salirvi un cavallo od una bestia da soma e tutte convergono verso la cima ove è la rocca; sono anguste, spesso misurano meno di due metri, e sopra ad esse si accavalla una moltitudine di archi costruiti per impedire che Ie case caschino I'una sull'altra, come spesso sembrano aver voglia di fare, o p"i servire di passaggio da una abitazione all'altra. È diffi"il" immaginarsi un abitato piìr rustico e scosceso, bene adatto per Ia dimora di montanari e delle loro capre. Orbene Nicolò si valse di tale struttura del paese per trarre il nemico in un tranello. Diede ordine di murare tutti i vicoli laterali alla strada che faceva capo alla porta principale, (che suppongo essere appunto porta Mamurra), cosa non difficile perchè erano pochi ed angusti; ordinò pure che si murassero o sbarrassero tutte Ie porte e Ie aperture delle case in modo che la gente d'arme, che sarebbe entrata in città, non potesse trovare alcuno sbocco laterale, ma si trovasse per così dire incanalata a seguire la strada principale sino al centro dell'abitato. Fece praticare numerose feritoie nelle finestre e nelle mura, e guarnì le case che fiancheggiavano Ia strada con la gente piùr giovane e più atta alle armi. Anche le donne forono armate. Dede a) Mamurra, nativo di Formia, fu praefeclus/aórum di Giulio in Gallia. Diventato ricchissimo, fu il primo ad adornare
Cesare
la propria
casa con lastre e colonne
di marmo. Catullo aspr4mente
a Cesare, ne' suoi carmi (Cf. W.^ Sníth Diction. of Greek and Roman Mythology). Probabilmente ebbe
I'attaccò unitamente
una villa nelle vicinanze della porta che da
lui
prese
il
nome.
[15
ret.
Battaglia d'ltri
1346]
di
quanto ognuno avrebbe dovuto fare al segnale convenuto, e proibì in rnodo assoluto a chiunque di farsi vedere, di parlare e di fare rumore qualsiasi. Egli stesso poi con la sua gente d'arme mosse in campo aperto contro il nemico; nel pomeriggio del l'{ settembre 1346 impegnò battaglia con I'avanguardia nemica e si sostenne sino a sera, continuamente cedendo terreno e facendo finta di non $apere resistere all'avversario. Giunta la sera, cessò il combattimento e, mentre il nemico si riposava, egli personalmente ispezionò che tutto fosse stato eseguito corne aveva disposto e, dopo aver fatto vigile guardia durante tutta la notte, si nascose in disparte fuori del
ordini tassativi
Battaglia
d'ltri.
paese.
Ali'alba il nemico si avvicinò alle mura; trovò la porta aperta, la strada deserta e nessun segno di vita; insospettito si fermò e mandò una pattuglia ad esplorare il paese. Tornò questa poco dopo affermando che era deserto, che gli abitanti erano tutti fuggiti e che solo i cani giravano latrando per le strade e per le piazzette. Allora Fusco Guindaccio, senescalco del regio esercito, invaso da superbía ed audacía, diede ordine di avanzare senz'altro e Ia soldatesca, avida di bottino, si slanciò tumultuariamente per la via principale di ltri, lasciando i cavaili davanti alla porta della città perchè ben difficile sarebbe stato di entrarvi in sella. Le armi piìr pesanti furono messe in disparte per meglio poter scassare le porte e saccheggiare Ie case. Quando l'oste si fu tutta così ingolfata, .r .: apparve ad un tratto Nicolò Caetani davanti alla porta della città e, vedendo il nemico imbottigliato, diede mano ad una squillante tromba; Via di Itd (entrando da Porta Mamurra). al qual segnale da ogni casa si scatenò una tempesta di proiettili, di sassi e di colpi di lancia sulla turba ammassata nell'angusta stradicciola ove i soldati, esterefatti dalla sorpresa e, pigiati I'uno contro I'altro, potevano a mala pena voltarsi e cadevano a fasci lungo le ripide gradinate. Uomini e donne infierivano dall'alto sul nemico. Fu fatto uno spietato macello dell'esercito della regina, finchè i soldati, persa ogni speranza, chiesero misericordia e pietà. In questa battaglia perirono il capitano generale della regina, Filippo di Nantolio, Fusco Guindaccic ed altri capitani. Molte furono anche le perdite tra i vassalli del conte, un elenco dei quali, contenuto nel manoscritto Memorìale del popolo di Traetto, è dato dal Riccardelli. r) Giacomo Faraone, personaggio eminente di Gaeta, fu trovato ucciso sul campo di battaglia, ed il conte, per oltraggio alla città nemica, fece impiccare il cadavere e poi consegnarlo alla famiglia. Furono disarmati tutti e, ad uno ad uno, dovettero passare davanti al conte: i suoi nemici personali, ed in special modo quelli di Gaeta, se non potevano assicurare una taglia pel riscatto, ') p. 264.
(
GUERRE
260
DI NICOLò IN TERRA DI LAVORO
Lib. IV, Cap. XXXI.
venivano passati per le armi; altri furono barbaramente mutilati; quelli che erano mercenari o napoletani ebbero salva la vita, ma furono completamente denudati, e ad ognuno di essi fu dato un cartello sul quale era scritto, in ischerno alla regina : ,, Io in t)ero sono della rcbba
che iI conte dí Fonili rímíse a nuooo ,. u) Umiliati, cavalieri e fanti, senza cavalli, senza armi e nudi, miseri resti del grande esercito, tornarono al castello deila regina, e quando presentarono i carteili che aveva loro dato il conte, chiedendo lo stipendio ed il risarcimento della disastrosa campagna, venivano derisi e scherniti. Così finì miseramente questo tentativo di Giovanna di piegare ad obbedienza il suo prepotente va'ssallo; I'episodio fu celebre a suo tempo, e per molti anni a Napoli e anche in tutto il Regno, quando si vedeva per le strade o per le piazze uno nudo o tutto malandato, si diceva di lui ridends; " Quesf ì per certo appartenne -"1--":l aIIa robba del cante di Fondi! " t' Difficili a descriversi furono il dolore e l'ira della regina, ed il sospetto che Carlo di Durazzo fosse colpevole della baldanza del conte, servl non poco a mettere il malanimo tra loro due. Nicolò continuò a guerreggiare e, da quanto scrisse Cola di Rienzo in una delle sue lettere del 1350, l) diede pure una seconda sconfitta alla regina. Non so dire esattamente quando e
Accordi con la regina.
dove raccogliesse questi altri allori, rna possiamo essere sicuri che egli non indugiò a trarre ogni possibile profitto dalla vittoria riportata in ltri. In un primo tempo, probabilmente, vi fu una tregua, durante Ia quale cercò di aggiustare le questioni legali rimaste insolute tra lui e la comunità di Terracina: lo deduco dal fatto che il 6 gennaio 1347 faceva redigere. in Fondi una copia autentica della bolla con cui Bonifacio VIII aveva confermato a Pietro Caetani I'acquisto del Circeo e dei Porta Mamurra di ltri. l:eni di Riccardo Frangipani in Terracina. Dalle parole con cui comincia I'atto notarile ossia: ,,. apud Fundos regnante excellentissíma domina, dna. nastra luhanna Dei gratía etc. camitati oero Fundorum magníficí oiri dominí nastri, dni. Nícolai. Gagtani, Dei et regía gratía comítis Fundorum etc D .,. mi parrebbe di arguire che in quel momento Nicolò non fosse in aperto conflitto con la regina, alla quale pur non molto ternpo prima aveva apertamente dichiarato di
non voler riconoscere altro sovrano che il re d'Ungheria' conquista del Regno, in vista di Questi intanto si preparava a scendere in ltalia per la che Nicolò andò assoldando un esercito e mettendo irr buon assetto il proprio stato. Nel maggio 1347 entrò in campagna per ricoirquistarne i confini rneridionali occupati dalle regie truppe prima della battaglia di ltri ; cominciò per impossessarsi di u Mola ,,, clte suppongo forr" Torr" di Mola presso Gaeta, e di Castellone che distrusse i poi con un esercito di 500
a) ... cuilóel eorum cedulam scríptam ilabat: " Ego ením sum de rcbba quam comes Funìli fecíl de ncùo '' t)
Fapen.,
p.395.
2)
Regesls,
II, p. l4l.
I{oc etian facleba! ín maius (/l,lur., XII-tll, p. 32).
oíluperíum
jam díclae
tegtnae
Battaglia d'ltri
11346 -13471
militi e 2000 fanti pose
a Maranola,
dopo di che con pochi uomini si reco a Traetto che riebbe senza contrasto alcuno, perchĂŠ probabilrirente aiutato dai cittadini, lieti di potet ritornaie all'obbedienza del loro antico signore. II castello era allora tenuto per la regina da Renzio Quaranta, il quale si arrese alla condizione d'aver salva la vita. l'assedio
di
giugno riprese possesso anche della forte torre alla foce del Garigliano. Ristabilita cosÏ la linea di difesa del proprio stato lungo le rive del fiurne, il nostro Ncolò attese che venisse I'esercito ungherese col quale mtxlvere contio Napoli. Fatto
.
ciò, nel
rnese
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Ceprrolo XXXI.
COLA DI R,IENZO. (1347)
EL mentre che Nicolò Caetani, sconfitta la regina Giovanna, spadroneg-
giava in Terra di Lavoro, avyeniva in Roma (20 maggto 1347) una memoxanda rivoluzione che, dopo aver dato molto da sperare per il bene della città e dell'ltalia, miseramente rovinò per la vanità e I'immoderatezza dello stesso Cola di Rienzo che I'aveva operata. Non è mio compito ripetere la storia del suo tribunato. Ricorderò soltanto come da giovane questo figlio di un tavernaio'e di una lavandaia, al dire del suo biografo, u) tutta Ia die sí speculaoa ne Ii 'ntagli di marmo, Ii qualt giacciono íntorno a Roma I ispirandosi ad essi sognò ideali di libertà e di grandezza; con l'amore dello studio si elevò al rango de' notai; si atteggiò a riforSupposto ritratto di Cola di Rienzo; matore della corrottissima compagine sociale e politica de' suoi Roma, Palazzo Barberini. tempi e, nonostante la derisione e gli insulti dei baroni romani, diede vita ad una rivolta ed istaurò un regime popolare, a capo quale del si mise assumendo il titolo di Nicolaus Seuerus et Clemens, Iíberator Urbis, zelator Italíe, amatar orbís et Tríbunus Augustus. t) Malgrado la smisurata vanità che finì per accecarlo, riuscì in un primo tempo a trarre Roma e la provincia dall'anarchia e dalla barbarie, ristabilendo I'imperio della legge, dando corso ad una giustizia inesorabile, spaventando e conculcando i prepotenti baroni Purtroppo il suo subitaneo successo, Ie manifestazioni di ammirazione che gli pervenivano da tutte le parti d'ltalia e dallo stesso Petrarca, e I'ebbrezza di un fasto e di una potenza a cui non era stato educato, gli perturbarono la mente sì che, invaso da megalomania, precipitò a perdizione. Aspro e spietato fu contro i baroni di cui volle piegare Ia prepotenza; Martino di Porto, nipote dei cardinali Anibaldo Gaytani da Ceccano e Giacomo Gaetani Stefaneschi, b) per avere saccheggiato una nave, arenatasi presso il suo castello, sulla foce del Tevere, 2t nel píano di Cama) Cola
In
questo studio mi sono valso specialmente della Víta
dt Rlcnzo
degli avvenimenti, e delle opere del Papencordt e del Burdach. 1) Buil., vol, II-3,
p.
I14.
2)
b)
dí
scritta da un anonlmo suo contemporaneo, testimone
Mw. Antíq., lll, p. 395.
degli
Il
Papencordt (p. s9), forse
a cauca del
zii, ha creduto erroneamente che
doppio cognome
fosse un Caetani.
)
Repressione
lt347l
d
ei
baroni
pídoglio fu appeso; sua donna da lunga per Ii balconi Io poteoa oedere. Una nolte e due di pendéo ne le forche, né Ii gíooò Ia nobiltade, né Ie parentezze de Ii Orsíní. Contro il potente prefetto Giovanni di Vico, che rifiutava di piegarsi ai suoi comandi, mandò I'esercito di Roma, forte di 1000 cavalli e di ó000 pedoni; I'assediò nella sua rocca di Vetralla e lo costrinse a sottomettersi (16 lug.). Non soddisfatto o dubitando della docilità dei baroni, convocò con uno stratagemma e fece imprigionare in Campidoglio il venerando Stefano Colonna, il personaggio piii illustre di Roma, e suo figlio Gianni, nonchè Gordano,' Rinaldo, Cola e Bertoldo Orsini ed altri nobili. Annunziò che avrebbe fatto troncare la testa a tutti. In segnale dí sangue fece parare il parlatorío con panni di seta di colore rosso e bianco, la campana del Campidoglio fu fatta suonare lentamente a morte ed un frate minore fu mandato a ciascun barone per Ia confessione. Quando Ii baroni sentírono tate nooella una con Io stormo della campana, dioentaro si gelati, clrc non poleoano faoellare. La maggíor parle sí umíIíò, e prese penítenza e comunione; meEsere Rinaldo de li Orcíní, e alcun altro, perchè la dímane per tempo aoeano manícate Ie ficora fresche, non potéro comunícarsi... Ma il tribuno, vistili impauriti e domati, li perdonò, Ii fece pîanzare con esso, e caoalcò per Roma, e menossegli dfueto, po'Ii lascíò íre ín loro oiaggi (15 set.). Ma le cose andarono un po' diversamente con i Caetani; frdenti delle proprie forze e sentendosi sicuri per la distanza da Roma, mantennero un'attitudine indipendente e sprezzante verso l'Augusto Tríbuno. Invano costui ordinò loro di prestargli obbedienza, invano profferì gravi minacce, additando ad eempio il prefetto di Vico e awertendo che ogni resistenza - '/ sarebbe stata inutile e certa Ia loro rovina. È possibile che Giovanni Caetani, il quale stava guerreggiando nella Campagna, considerata la situazione, dopo un po' di tempo abbia fatto qualche dichiarazione, per quanto vaga e poco sincera, di volersi sottomettere; ma il fratello Nicolò, che stava aggiustando le proprie faccende dalle parti di Fondi e si preparava per Ia venuta di Luigi d'Ungheria, non si curò menomamente delle lettere, citazioni, e minacce che il tribuno gli scagliava contro. Che poteva importare a lui, che teneva in iscacco una regina e ne aveva annientato l'esercito, delle escandescenze e degli ordini imperiosi di quel figlio di tavernaio che, forse, si ricordava di avere visto da rugazzo, come disse lo stesso Cola, quale rustico tra í rusticí in mezzo al popolo minuto de' suoi vassalli in Anagni? Cola di Rienzo ne rimase irato e crucciato. I veri e piùr temibili nemici, quelli che di continuo gli insidiavano la malferma dittatura, erano i Colonnesi ed egli, ricordando I'odio di Bonifacio VIII contro essi, avrebbe voluto avere I'aiuto dei nipoti per distruggerne la potenza. il superbo imperialismo del grande pontefrce lo riempiva di ammirazione; avrebbe voluto essere alla pari; ne rievocava la memoria per dare forza ai propri argomenti. Insignito del cingolo militare, volle assistere alla messa nella di lui cappella in Laterano,{ ed in quella occasione parlò al popolo dallo stesso balcone da cui Bonifacio VIII aveva promulgata la bolla del giubileo. Quando nel mese di novembre del 1347 í Colonnesi si preparavano a muovere contro Roma, il tribuno, preso da spavento, arringò il popolo per confortarlo alla battaglia e così gli parlò: " Sìgnorí, facciooi saperc che in questa notte mí è apparso santo Bonífacío Papa, e dissemi che oggi ín questo die faremo oendetta de Ií suoí nemící Colonnesí, It qualt si laidamente oítuperàro Ia Chiesa dí Dío ". Dopo di che si recò alla basilica di S. Pietro ed ivi, nella cappella Caetani, offerse un calice ed un pallio per propiziarsi Ia benevolenza divina nell'imminente battaglia. l) ')
Co/o,
p. l73t Butd., ll-3, p. 179.
I Caetani ri6uta-
no
obbedienza.
COLA DI RIENZO
Lib. IV, Cap. XXXll.
L'alleanza con i Caetani, nemici ereditari dei Colonna, gli avrebbe dato ancor più forza morale e materiale; invece sentiva dal loro disprezzo menomata la propria sovranità, sicchè intensi gli divamparono in petto la rabbia e l'odio. Abbattere Ia superbia del conte di Fondi diventò un'idea fissa che traspare in ogni sua lettera; e non dubitava di riuscirci tanto che al papa scriveva: E fidente in Dio e nella Santìtà Vostra, non dubito dí schíaccíarlo completamente " in modo che maí píù pos;sa risorgere >>. Gà sin dalla fine di luglio aveva fatto citare il conte di Fondi in pubblico parlamento, intimandogli di comparire entro sei giorni, sotto pena di essere dichiarato ribelle e privato degli onori militari e della sua contea; evidentemente non si ricordava che Fondi non eta sotto Ia giurisdizione sua o della Chiesa. Rivangò tutti gli atti di violenza di cui Nicolò, a ragione o a torto, era stato accusato; gli rinfacciò I'uccisione di Franeesco da Ceccano e di Rinaldo da Morolo, suoi nipoti, delitto di cui non era in alcun modo responsabile, l) e di avere sgrassato nel proprio territorio piùr di cento pellegrini che si recavano a Smirne, al tempo della crociata. Accecato dall'odio lo stigmatizzava parricída, fratricída e uxarícida, píania nequissima, nemíco nefasto del\a Chiesa e del popolo romsno.
dire che Nicolò ben poco si curò di tante 'minacce : perciò fu condannato a morte e i suoi beni furono dichiarati confiucaii i ffi&, giacché per averli bisognava andare a prenderli, vennero per metà promessi alle milizie che dovevano muovere contro di lui e per metà incamerati nominalmente a favore del popclo romano; ciò nonostante offerse anche -\ al papa di disporne a suo beneplacito. Al momento in cui piir fervevano i preparativi, qualcuno, noù so dire se Luigi d'Ungheria o altro amico, pare abbia tentato di provocare tun accordo fra il tribuno ed il conte; a tal fine Raimondo degli Orsini
È
ll
tribuno
arma contro
i
Caetani,
luglio 2) ma evidentemente fallì nella sua missione. A Cola da Rienzo non rimaneva altro da fare che riunire un esercito piìt potente ancora di quello che aveva mandato contro Giovanni di Vico.
venne
Particolare della-tomba
di re Roberto.
inutile
in Roma il 3l
Doveva consistere di 1500 cavalli con quelli fornitigli dalle città toscane, di cinquecento balestrieri genovesi e altri infinitì pedoni. Quest'esercito doveva entrare in campo al principio di agosto e muovere contro Nicolò Caetani in aiuto di Gaeta; ma quando fu dato I'ordine di uscire dalla città, la cavalleria fiorentina e di Todi si rifiutò di muoversi (primi di ag.), aflermando di non essere autorizzata, per mandato, di uscire al di fuori del distretto di Roma. Ciò grandemente sdegnò Cola il quale, non si sa bene con quale ragionarnento, considerava Gaeta come facente parte della sua giurisdizione; e perciò il 5 di agosto scrisse ai fiorentini ed il giorno seguente al comune di Todi, scongiurandoli di dare alle truppe i necessari ordini. I fiorentini evidentemente non risposero, ma segretamente confermarono gli ordini alle truppe di non muoversi contro il conte di Fondi, che essi consideravano come loro alleato, non solo per i grandi favori che Bonifacio VIII aveva esteso alla parte guelfa di Firenze, ma anche per il ripetuto aiuto che Benedetto Caetani e Roffredo, padre di Nicolò, avevano prestato in favore della repubblica nei moùenti di pericolo. Lo stesso deve avere fatio Todi che considerava i Caetani come cittadini S. Chiara,
Napoli,
onorari.
Questo contrattempo sconvolgeva i piani del tribunc, gli mandava a monte la spedizione contro il potente nemico. Egli s'impazientiva; il 20 agosto scriveva di nuovo, tempestando t) Ct.
pae. 246.
Popen., p. 370. '!) Lett, di Cocheto de' Cocheti,
Misure contro i Caetani
[u&-ott.1347]
altro tempo, offrendo di essere a sua volta generoso, dichiarandosi a pagare lo stipendio alla truppa che adduceva il pretesto di non essere stata pagata. 27 ll del mese inviava un'altra lettera protestando per I'ordine avuto dalle truppe fiorentine di non muovere verso Gaeta contro il conte di Fondi e lagnandosi che neppure volessero andare contro Ia vicina Sermoneta. Voleva che i fiorentini l'autorizzassero a costringere la truppa
che non disposto
gli si
all'obbedienza
facesse perdere
e, se
necessario,
a
punirla.
Egli aveva così pomposamente annunziato al papa ed a tutti quanti Ia sua grande spedizione, che non poteva ora ritardare i'impresa senza scapito del proprio prestigio. Giovanni di Stefano Colonna era stato nominato capo delle milizie (15 ag.) ma, non essendo in grado di far muovere il grosso deil'esercito verso Gaeta, circa la metà di agosto, spedì il cancelliere Angelo Malabranca con 400 cavalli a scorrere Ie terre di Nicolò nella Marittima. Il giorno 26 le truppe incontrarono alcune genti del conte di Fondi ai piedi del monte di Sermoneta e fu attaccata battaglia, con esito favorevole al N4alabranca. Le truppe del conte dovettero fuggire e rifugiarsi nella inespugnabile rocca; molti di loro furono fatti prigionieri e fu presa anche una bandiera che, dapprima portata in grro per il carnpo, fu mandata a Roma il giorno seguente e trascinata per le strade, ad ignominia del conte e per rincuorare I'esercito alla futura impresa.
*** Nel frattempo Ciovanni Caetani e Bello, fratelli di Nicolò, scorrevailo baldanzosi per la Campagna menando guerra al tribuno ed ai propri nernici. Fra gli altri (e ciò però accadde nel 1349) presero prigioniero Rinaldo Orsini ; Giovanni fece calare questo in un pozzo, ove lo tenne per lungo tempo. Il papa Clemente VI ordinò al cardinale Anibaldo da Ceccano, suo Iegato, d'imporre ai due fratelli di restituire la libertà a Rinaldo ') *u, da guanto scrisse lo stesso Cola di Rienzo, 2) Giovanni non lo lasciò uscire dal pozzo che dietro pagamento di una taglia molto maggiore di quella che Io stesso Rinaldo aveva messo sulla testa di Cola
di
Rienzo.
Giovanni assediò Frosinone, dapprima appoggiato dai rettori pontifici della Campagna e i primi successi politici del tribuno, Quando Clemente VI per un ternpo credette di doverlo favorire, il rettore della Campagna si unì con le truppe di Cola e I costrinse Govanni a levare I'assedio. Verso i primi di ottobre il papa, preoccupato che Cola di Rienzo invadeva il campo dell'autorità della Chiesa, prese un atteggiamento decisamente ostile verso di lui, e conseguentemente il rettore della Campagna si unì di nuovo a Govanni Caetani; tanto è vero c\e si ri6utò di liberare certi prigionieri presi al tempo della spedizione contro Serrnoneta. ) Non sappiamo sino a che punto il tribuno riuscì a portare ad effetto Ie sue minacce; è probabile che il palente esercito romano non si sia mai mosso da Roma; ma Nicolò Caetani, inteso dei grandi preparativi bellici, dello scacco sotto Sermoneta e dei danni arrecati alle sue terre, e trovandosi nella impossibilità di accorrere in Marittima per difendersi, crèdette bene di venire a trattative. Gò avvenne nella prima metà di setternbre. Non sappiamo quali siano state Ie condizioni dell'accordo, rna certamente si trattò più di una tregua che di un atto di sottomissione. Nicolò convenne di lasciare Gaeta in pace, e Io fece tanto piir volentieri in quantochè stava in trattative politiche e diplomatiche con Ludovico d'Ungheria e con Giovanna
del Patrimonio, ma dopc
') 4rc. Domus,
l,
Ots., p.22O, cit.
34.
Arc. Vat,; C-140. II.
z) Popen., o. 434.
Guerrigtie nellacampagna'
COI-A DI RIENZO Accordi
fra il
e
tribuno,
Nicolà Giovanna I.
Lib. IV, Cap. XXXll.
Rienzo, felice di essersi tolto una spina dal fianco e di avere salvato il suo prestigio, andò vantandosi con tutti di avere liberato Gaeta, e scrisse in tono trionfante ai fiorentini di avere sottomesso il ribelle senza colpo . dí spada o címento di guerra solo col terrore del nostro mínaècíante gladio e senza efusíone di sangue. AIla felice soluzione contribuirono le condizioni politiche del Regno; Giovanna I, temendo la calata degli ungheresi, desiderava di pacificarsi con il conte di Fondi e costui probabilmente pose per patto che egli avrebbe riconosciuto I'autorità del tribuno e lasciato Gaeta in pace, se la regina gli avesse riconosciuto i titoli e la giurisdizione sui feudi che possedeva nel napoletano. Dall'altra parte conveniva anche a Cola di Rienzo di dimostrarsi arrendevole e di giungere ad una rapida soluzione, perchè il conte Nicolò era fervido fautore di Luigi d'Ungheria, e tenuto in alta considerazione alla corte del re, al. cui appoggio militare e morale il tribuno aspirava. Gli ungheresi si erano andati sempre piìr rafforzando negli Abruzzi e dopo che Carlo di Durazzo, già inimicatosi con Giovanna, si era ritirato dall'assedio di Aquila, essi mossero contro Sulmona ed in breve furono in possesso dell'intera provincia. Le sorti della regina declinavano; aveva bisogno di appoggi e perciò si piegò alle pretese del suo acerrimo nemico Nicolò Caetani e, fatta pace con lui, passò Ia spugna sul passato. Il 25 settembre emanava un indultol) nel quale ricordava Ia benevolenza di Bonifacio VIII verso i suoi predecessori, guando le condizioni del loro dominio erano ancora dubbie, e perdonava a Nicolò I'irreverenza e la disobbedienza di cui si era reso colpevole, non forse per maloagítà tsolontarìa, ma perchè trauiato dalla peroersità de' tempí e dalle perícolose ímprue nelle qualí era stato traoolto. A questo indulto fece seguito il 7 ottobre un decreto con il quale confermava ed assegnava al conte Nicolò Ia giurisdizione criminale di tutte Ie terre e castella e località che egli notoriamente tiene occupate in considerazione dei lodeoolí se':oígi che NícoIò Caetani ci prestò ultimamente (forse accenna alla sconÉtta di ltri ? !) e di quellí che egli sí accínge a prestare nelle prossíme spedízioní belliche.2) Questo documento è un riconoscimento del possesso non solo dei feudi che erano proprietà del conte di Fondi, ma anche delle altre terre conquistate
di Napoli. Cola di
alla regina con le armi. Ma prima di inoltrarsi nel racconto il misero epilogo del tribunato di Roma.
di quel che accadeva nel Regno, è bene ricordare *
*s stavano declinando. Dopo il brutto tiro fatto ai baroni alla metà di settembre, quando furono buttati in carcere, condannati a morte e poi liberati, i Colonnesi e gli altri nobili si prepararono alla riscossa ed alla vendetta. Il loro primo sforzo fu sfortunato, ma allo stesso tempo segnò I'ultima vittoria del tribuno. Il 20 novembre 1347 un largo stuolo di baroni, armati di tutto punto, mosse di notte contro la città dal lato di
Batragtia
di s. Lorenzo.
Il
prestigio
e le sorti di Cola di Rienzo
San Lorenzo; essi trovarono Ie rnura guardate e stavano per ritirarsi quando, all'alba, i romani apersero la porta per dare battaglia. Il primo a gettarsi contro di loro fu Gianni Colonna. Gíooane era di buona indole, barba non aoet)a messa, Ia sua fama suonaoa per ogni terra di oirtude e dí gloría. Imbracciato il pavesotto, con la lancia alla coscia, si scagliò contro i romani e li fugò. Ma per un momento si trovò solo entro le mura; fu scavalcalo, ucciso e spogliato delle sue armi. Stefano, suo padre, entrato per la porta a cercare di lui, rimase ucciso r)
Comerc,
p,86i Atc.
Gaet. Arag., cod. 1308,
c.
183.
2)
Rcgesla,
ll, p.
143,
[ott. - dic. 1347]
Cad
uta del tri buno
anch'egli. I romani allora, animati dal primo successo, si slanciarono fuori della porta e fecero strage dei nobili. ") Molti morirono e tra quelli mortalmente feriti la Cronaca Estense l) annovera anche un Cgnus Gagtanus, fratello del conte di Fondi. Ora di questo Gno non si ha memoria in alcun documento, nè mai si è inteso menzionare tale nome di battesimo; perciò voglio credere che il copista abbia storpiato il nome scrivendo n invece di un doppio c e che quindi si tratti di qualche u Ciccus " (diminutivo di Francesco), di cui non si ha altro ricordo perchè appunto morto in giovane età. 2) Gli eccessi e Ia megalomania di Cola di Rienzo ben presto lo screditarono. Il 3 decembre 1347 Clemente VI scriveva al suo legato Bertrando de Deux di considerare se non fosse il caso, per por fine alle iniquità di Cola di Rienzo, di riconciliarsi con Nicolò Caetani, pur sempre mantenendo salvo I'onore della Chiesa. Allo stesso tempo scriveva \fiU:".rr-r.n popolo di Roma di non piùr obbedire
al al '\"'t,jfu tribuno. i,S:W*+**. t-ì*tìt:ì,1ffi Così giunse la fine. Giovanni Pipino di Altamura ed altri nobili provocarono una iìiffiffi
ffi.rl
ma l_ lH *i-f!ì Cola di Rienzo sospiîando foile, tutto rcf- -I-Ll-l frecldato píagnea non sapeua che si for"rr" ;]; ed annullato iI suo corc ero, non aùet)a. '_ljg-..'7 è.r --..r'* tlírtude pet 'no píceolo gaîzone; appena il
sommossa: tribuno volle reprimerla, il popolo non si mosse in suo aiuto; allora
poteoa
t'Agnolo; chíuso
Ià
,,. e
,..
Quando stat)ano e piagnea
'I tribuno scendéo da sua grandezza Io miserabíIe popolo. 3)
a) Dopo tale memoranda strage rimasero di casa Colonna solo il magnifico Stefanodetto ( seniore t, amico del Petrarca, c Stefanello suo nipote, fratello di Gianni. Stefanello, che poi fu detto anch'esso . iunior r, come rcrive Litta, era canonico lateranense nel l?'44 e fu poi vescovo di Luni. Dopo la morte del fratello si fece taico e, seguendo le orme de'suoi parenti, diventò uomo di guerra, tutbolento ed ardito. Dice l'anonimo sto' riografo di Cola di Rienzo: Slefanello àe la Colonna ìn Pa' Ies|rína tímase plccolo garzone po' Ia morte del padrc Slefano
e di Gíannî
suo
ftale ... sl è ora ildotto ín Palesltína ol foile.
1354 vendicò la morte dei parenti provocando la caduta I'uccisione del tribuno. Trail tt53 e l356sposò Sancia, figliola appena ventenne
Nel e
che gli po*ò in dote mille once di carlini d'argento che furono pagati in contanti. La giovane era già stata promessa in isposa a Roberto, 6glio di Bertoldo Orsini, conte palatino, per il quale matrimonio Clemente VI, ael "uo primo anno di pontificato (ll+z-lZll), concsse la ncmria dispensa (C- 140. ll; Arc. Vat., Clem. VI' P. 9' epist. 188,
di Nicolò conte di Fondi,
f. zto), ma il
porra S. Lorenzo, Roma.
gìo a castello sanse ne staoa celato e rin-
farsellare
fidanzamento
fu rotto per
ragione
a noi ignota.
'infanti: Nicola, Stefanello morì giovane tasciando tre 6glioli che fu signore di Palestrina,.Giovanni che fu condottiero fa' \Mut.,XY,col.444.
Ribellione.
moso,
píagneoano anche
e Pietro che nel 1385
Di
Ii
prese le
altri che con
esso
parti del papa scismatico.
Sancia sappiamo ben poco. Secondo
il Litta, nel tloz
dovette fuggire da Roma per la rivoluzione del popolo contro i baroni e, due anni più tardi, agli undici di ottobre, la troviamo, quale tutrice dei 6glioli, partecipe alla tregua conclusa tra i velletrani ed il popólo di Roma (Boryía, p. 316). La ritroviamo nel l3ó9 (Regesto, ll, p.29a), ancora tutrice dei tre figlioli, all'atto di riscossione di 6200 fiorini, dovutile da Giovanni Caetani Palatino, per i quali i hatelli Anibaldi avevano dato in recurtà il castello di Cave. Nel trzo era in guerra con Agapito Colonna (Theín., ll, p. a77). Nel 1377 credette bene di regolare ogni suo dare e avere col fratello Onorato, per la dote e anche per denari a lui pre' stati, e col medesimo atto rinunziò a qualsiasi pretesa sulle ere' dità del padre e della madre (Bró1. Vat., Attt Stefanelli de
I. to. c. z2b). All'ultima pagina del opitolo XL è riportato uno schema d'albero genealogico di casa Colonna dal quale Scainbiis,
si rilevano il nesso tra il ramo dei Colonna di Palestrina, di cui si è detto sopra, e I'altro di Paliano a cui appartenne Mar. tino V, nonchè i legami di parentela esistenti lra i Caetani ed
i
Colonna.
2)Cf.Mqr., XtV-lV,Ctu'Mutin.,aotap' 140.
z)Cola,p'195'
Sancia Caetani.
COLA DI RIENZO
i niamo
Caetani non ebbero a che fare con le ulteriori gesta seguire gli avvenimenti nel regno napoletano.
Lib. lV, Cap. XXXil.
di Cola di
Rienzo e perciò tor-
a
'r**t
'
z
Abbiamo già risto che Ia regina Giovanna venne ad un accordo, forse segreto, con Nicolò ; sperava di trovare in lui un appoggio presso il re d'Ungheria per il caso che le cqse le fossero andate male, perchè grande era I'ascendente ciel conte presso il suo sovrano. Era egli uno de' suoi principali condottieri e, quando nell'ottobre 1347 gli ungheresi scesero in Terra di Lavoro, irlicolò entrò trionfante in San Germano con le sue genti d'arme, spiegando al vento le insegne del re d'Ungheria. l) Dopo di ciò, il 28 ottobre o) si mosse con I00 militi e 1000 fanti contro S"rru Aurun"", accompagnato dai fuorusciti di questo castello che erano stati espulsi da Nicola di Toraldo quando, I'anno precedente, I'aveva occupato con I'appoggio delle truppe napoletane. Ivi fu raggiunto da Filippo Ungaro e dal famoso e feroce capitano di ventura Guarnieri duca di Urslingen, del quale si dice che portasse scritto sul petto z ,, Duca Guarnieri, sígnore della Grcn Compagnia, nemíco di Dío, di pietà e di mísericordía > ; questi condottieri condussero seco 700 militi ed ínfinitÍ fanti. L'esercito rimase accampato sottoSessa sino al 6 dicembre 1347.2) Non potendo prendere d'assaito la città, furono messe a guasto Ie campagne, ed i casali e persino gli alberi presso le mura castellane furono abbattuti ; i viveri diventarono scarsi e sì grande fu la miseria che la popolazione si sarebbe arresa se non fosse stata trattenuta e rincorata dalla ferrea volontà del Toraldo. Il 16 novembre il duca Guarnieri e I'Ungaro cercarono di venire a trattative con questd, ma egli si rifiutò recisamente di mancare all'obbedienza verso la propria scvrana. Dopo di ciò gli aileati diedero un generale e furioso' assalto, e la mischia fu specialmente aspra e crudele presso la porta " dei Giudei ,, ove molti dell'una e dell'altra parte perirono, ma anche questa volta il valore dei suessani e l'abilità del Toraldo ebbero ragione del nemico. Intanto, il 6 novembrg la regina aveva dato incarico al conte di Bellante di muovere con sette navi contro il conte di Fondi, con I'ordine di distruggere il naviglio che questi teneva di guardia sul Garigliano: non potendo penetrare entro il fiume, la cui bocca era guardata dalla .. Torre a Mare (cioè I'antica torre di Pandolfo), il conte di Bellante rimase di fuori all'ag" guato. Riuscì a catturare uno dei legni che si awenturò al largo e, venuto ad accordi col capitano che ne era al comando, ottenne la promessa che questi gli avrebbe fatto cadere nelle mani non solo gli altri due legni, ma anche lo stesso conte di Fondi. Ma costui fu ben presto informato del tradimento che si preparava e sventò il colpo. Il l0 decembre Nicolò Caetani si mosse col proprio esercito contro la rocca di Mondragone, presso il mare e, conquistato il castello, si fece prestare dagli abitanti giuramento di fedeltà verso il re d' Ungheria; lo stesso giorno si mosse verso Caleno che occupò con le armi. Poi con instancabile energia diede I'assalto alla torre del Castellone che era del Toraldo e I'espugnò; per vendicarsi di ciò e di un dipendente ucciso, il Toraldo fece cavare dalle proprie carceri due vassalli del conte di Fondi e, condottili processionalmente per le strade di Sessa, Ii fece impiccare in pubblico. Verso la fine dell'anno, il re d'Ungheria essendo giunto negli Abruzzi, Nicolò Caetani gli andò incontro col proprio esercito presso Bojano, ma, ammalatosi di male íIiaco, si ritirò Caetani
Asedio di
Sessa.
n)
La
cronaca sueesana dice 28 novembfe: ma,
t) G. Vtllaní, Lib. Xll, cap, 103.
\
Cr.
a giudicare da quanto segue, ciò
Sues.,
p.73,
dev'essere
un lapsus calami,
I-uigi d'Ungheria nel napoletano
[ctt. 1347 - 20 gen.1348]
269
per qualche giorno ai bagni di Sujo, che ancora oggi sono frequentati per i dolori reurnatici ed il male delle ossa. Ma la cura fu breve. Il re intanto gli aveva mandato un rinforzo di truppe, ricevute le quali, il conte si mosse subito contro Teano e, accampatosi sotto le mura, intimò la resa miàacciando di prendere la città d'assalto e di sterminare gli abitanti. i cittadini chiesero otto giorni di tempo per ottenere l'autorizzazione di arrendersi dalla loro signora, la vedova del conte Bertrando del Balzo; avuto il quale consenso, consegnarono le chiavi della città al conte. r) Intanto Luigi di Taranto, il nuovo consorte della regina, si era rafforzato sul Volturno, avendo in animo di sbarrare I'accesso al Reame per il ponte di Capua; accortosene, il re d'Ungheria prese un'altra strada e proseguì per Benevento, 2) ma I'intrepido Nicolò volle affrontare il nemico, e, passato felicemente il Volturno, invase la pianura e da Orticella si mise a devastare le campagne e ad opprirnere i capuani. Luigi di Taranto gli mosse contro in aperta campagna; il suo esercito era composto di pochi teutoni, provenzali e catalani, ma di gran numero di napoletani. Il conte aveva un esercito minore per uomini, ma piìr agguerrito, composto dei propri veterani e di truppe ungheresi, teutone e lombarde. La battaglia cominciò alla terza ora e durò sino alla nona. Gli ungari si scagliarono avanti, intenti a ferire i cavalli dei nemici con le loro saette, mentre che gli italiani ed i teutoni davano addosso ai cavalieri smontati, atterrandoli a colpi di spada e di lancia. La battaglia fu sanguinosa e, quando Luigi vide che i suoi napoletani cedevano, prese la fuga verso Capua inseguito dal nemico. Allora Nicolò Caetani raccolse la sua 3) e da lì progente e si ritirò nuovamente a Teano babilmente raggiunse il re a Benevento, ove questi si trattenne dall'l I al 16 di gennaio. La battaglia di Orticella quindi deve aver avuto luogo verso il l0 genGiovanua I. Cappella deil' Incoronata, Napoli. naio 1348. Il 17 del mese il re si recò ad Aversa ove il l8 lo seguì il conte Nicolò con 500 cavalieri a suo a) venuti servizio; vi fu gran concorso di principi, di baroni e di gentiluomini del Regnq colà per prestare omaggio al nuovo sovrano, mentre che la regina Giovanna e suo marito Luigi di Taranto, facevano veia per la Provenza, Tra gli altri venne Carlo duca di Durazzo, il quale, a giudicare dalle apparenze, fu accolto amorevolmente dal re. Il conte Nicolò e messer Lallo di Aquila, intimi e fedeli del sovrano, avevano però sentore del malanimo che questi nutriva contro Carlo per il sospetto che egli fosse stato partecipe all'assassinio del fratello Andrea; cercarono quindi per un senso di lealtà verso Carlo, il quale ultimarnente era diventato il loro confederato in guerra, di persuaderlo ad allontanarsi al piùr presto con i suoi parenti; ma il duca non volle seguire i loro consigli, persistendo nel suo proposito di rimanere con il re malgrado le loro ripetuie ed insistenti esortazioni, tanto che si venne persino a vivaci parole tra loro. L'animo del conte di Fondi era turbato; al grande banchetto, che fu dato il 20 gennaio, egli fu presente, ma non toccò cibo nè si prestò a servire. Prevedeva la imminente tragedia che minacciava I'amico; prese licenza da lui ed unitamente a messer Lallo si allontanò dal campo. t) Mgr., Xll-lll, p.
ì
33
2)
G. Víil., Lib. Xll, cap. lll.
N)
Mut. Xll-lll, p.
33.
4)
G. Vill." Iib. Xll, cap. ll2.
Battaglia
di
Orticella.
Fine di Carlo di Durazzo.
COLA DI RIEi{ZO
Lib. IV, Cap. XXXll.
La sera del 24 gennaio, dopo il desinare, il re, armato di tutto punto, con la sua gente, prese la volta di Napoli, ma poco dopo espresse Ia volontà di essere accompagnato dal duca di Durazzo al monastero dei frati del Murrone per vedere il posto ove fu trucidato suo fratello. Giunti sul luogo del delitto, si rivolse aspramente contro il duca Carlo, rinfacciandogli la sua complicità e, nonostante che questi si slusasse e chiedesse misericordia, lo fece trucidare in sua presenza e, fattagli tagliare la gola, gettarlo dal verone nel giardino, nel luogo stesso ove due anni prima aveva subìto identica sorte
il
giovane consorte della regina.
*
*{. pestedet
Arrivati cosi al principio del 1348, vengono tutto ad un tratto a cessare le notizie riguardanti il conte Nicolò; non sono alieno dal credere che egli cadesse vittima della tremenda peste che, manifestatasi nell'anno precedente, scoppiò con rinnovata violenza al principio del 1348. Portata dalla Cina, si sparse per tutto I'O;iente e fu probabilmente introdotta in Italia da navigli genovesi; da lì si propagò in Francia e negli stati del nord, giungendo sino in Islanda
t348.
e
Groenlanclia.
Racconta il Boccaccio nel Decamerone : E non come ín Oríente aoeoa fatto, dooe a chíunque uscíoa iI sangue dal naso era manifesto segno d'ineoitabile morte; ma nasceùano nel cominciamento d'essa, ú' maschi et aIIe femine parimente, o nell'anguinaia o sotto Ie ditella certe enfiature, delle qualÍ alcune cîescelano come una comunal mela, altre come un uoùo, et alcune píù et alcun'altre meno, Ie quali í oolgari nomínaoano Gaoócciolí ,,. A cuta delle quali infermità né consíglio di medíco, né obtù di medícina alcuna paîeoa che talesse o facesse profitto ... pochi ne guarioano, anzí quasi tuttí infia íl terzo giorno dalla apparízione de sopradetti segní, chi piìt tosto e chi meno, ed i píù senza alcuna febbte o allro r) accidente, morioano. Si calcola che circa quaranta milioni di persone perirono di questo flagello. Tra queste vittime devesi probabilmente annoverare il poco più che trentenne Nicolò. Malgrado la giovanissima età, si era creato fama di invincibile condottiero e di temibile avversario e, se la repentina morte non avesse troncato la sua breve carriera militare, sarebbe certamente diventato uno dei piìr insigni e famosi personaggi de' suoi tempi. Non meno notevoli furono il figlio Onorato I ed il nipote Cristoforo ed i pronipoti Onorato II e Onorato III, tutti valorosi guerrieri, mirabili per energia, per forza di carattere e, ciò che è più degno di nota, incrollabili nella fede giurata al proprio sovrano. Nicolò fu tumulato nella chiesa di S. Francesco cli Traetto, u) dove poi vollero essere sepolti anche la moglie Giacoma Orsini, il figlio Onorato e molti dei loro discendenti. Le tornbe si conservarono pressochè intatte sino al 1799, quando vennero distrutte dalle repubblicane truppe francesi che, non soddisfatte d'aver messo a guasto il patrimonio artistico della Francia, colsero I'occasione della calata in ltalia per vandalicamente
far man
bassa anche
dei cinneli storici e dei monumenti nostri.
A quanto afferma il Waddingo (Annales Frcncíscanî, Vlll, p. ló8, cit' Ríccard., P.364), il convento di S. Francesco fu fondato] nel l3ó3 ()) da Roden'cus Caelanus Fundorum et
Mínlurnensís comes,
a)
r) Cl.
(
IVIolIat,
p,
85.
2) CÎ. Riccattl., p- 262: Colino, p'
2)
documento.
3O7'
Di
tale Rodrigo non si ha memoria in alcun
Caempro XXXIII.
CAETANI PALATINI. (1322-t370)
Benedetto, nipote di Bonifacio VIII, detti Palatini, furono una schiatta turbolenta e battagliera. Dopo la morte del discendenti
di
loro illustre capostipite, in possesso ancora di tutte le ricchezze e dei feudi avuti in eredità, godettero di grande potenza e di molto prestigio. Coli'andare degli anni però le risorse scemarono, le parentele si indebolirono ed i Palatini gradualmente diventarono una famiglia nobile di second'ordine nella Campagna, finchè si estinsero al principio del secolo XVI. Mi sono prefrsso di limitare il mio studio alle vicende del Sigillo di Giovanni Caetani ramo primogenito della famiglia, ossia ai Caetani di Sermoneta; (Palatino?). Collezione dell'A. perciò mi si perdonerà se accenno assai brevemente a quelle dei rami secondari. Ho già ricordato che I'energico e battagliero Benedetto prese il titolo di conte palatino quando da Bonifacio VII fu investito del contado aldobrandesco; perdutolo, egli ed i suoi discendenti, per diritto ereditario, continuarono a fregiarsene finchè dopo circa un secolo cadde in disuso. Nella divisione dei beni paterni e dello zio cardinal Francesco (tltl1, Benedetto ereditò in comune col fratello, il tesoriere Francesco, la torre delle Milizie, le castella ed ogni diritto sui beni nella Tuscia, nonchè Ninfa, Norma, Sermoneta, San Feiice, Bassiano, Sgurgola, Collemedio, Trivigliano, Montelongo ed altre proprietà minori fra cui quelle nel viter'Benedetto nel 1133 ereditarono dal prozio Francesco, tesoriere eboracense, bese. r) I nipoti di le castella di Pofr e Trevi con i diritti e le ragioni su altri beni. Un altro ramo della famiglia furono i Caetani di Filettino, poi detti < della Torre ,, o " di Anagni ,, : essi ebbero per capostipite lacobello, chiamato " Bello u, frglio di Roffredo III conte di Fondi, e quindi nipote del suddetto Benedetto Palatino; egli, come si è visto, venne impiccato per ordine dei banderesi nel 1360. I suoi figli, nati da Maria da Ceccano, e i loro discendenti furono signori di Filettino, Vallepietra, Torre, Pofi, Trevi ed Arnara. Questa stirpe, non so bene perchè, prese il proprio appellativo dal meno centrale e dal più inaccessibile dei propri feudi, ossia da quello di Filettino; esso è un piccolo paese inerpicato su di uno scoglio a piùr di mille metri sul livello del mare, là ove I'Aniene scaturisce \
Cî.
pac,. 2?2.)
I
Caetani
di
Filettino.
I CAETANI PALATINI
272
"';tger
Lib. IV, Cap. XXXlll.
a. t;1
z'r l\lG.
/',\ Affresco nel santuario
di S. Nicola di
Filettino.
dai monti Simbruini. Vi si giunge seguendo una valle alpestre che, a mano a mano che si procede, si fa piir angusta e più selvaggia. Nei tempi antichi, quando non esistevano né strade carrozzabili né automobili, doveva prendere una giornata intera il recarsi dall'altipiano d'Ar-
al paese, il quale perciò rimaneva quasi isolato e dimenticato dal resto del mondo. Filettino è poco noto anche ai giorni nostri e piìr di un perito d'arte italiana rimarre-b-be rneravigliato di trovar nella piccola cappella di S. Nicola degli affreschi dell'anno 1200 circa, tra i meglio conservati che esistano in ltalia. Nei primi due secoli il ramo ebbe una certa importanza, ma nel 1594 un Pompeo fu massacrato dal popolo per un orrendo delitto comrîesso e la rocca fu rasa al suolo. Da allora in poi Ia famiglia poco ebbe piir da fare con filettino; si mantenne piìr o meno prospera a traverso sei secoli per estinguersi ai giorni nostri, purtroppo, in subitanea povertà ed oblio, nella persona di Francesca vivente della carità dei remoti cugini. u) trn linea generale si può dire che i Palatini furono signori delle terre dei Nlonti Lepini e della Marittima, rnentre i Caetani di Filettino dimorarono nella Ciociaria. Si noti che, per successivi trapassi ereditari e contratti matrimoniali, esistevano molte comunanze di possesso ed
cinazzo sino
I di
Caetani
Filettino.
a) Non ho creduto opportuno riassumere in uno speciale capitolo le vicende dei Caetani di Filettino, perchè, seppure interessanti in alcuni particoìari, non formano un racconto ccntinuativo. Di essi parlerò incidentalmente riferendomi agli eventi nei
quali si trovarono coinvolti; del resto nella Caíetanorum Genea' Iagía (Tav, XUIl-Xt-VIll) è dato un sommario delle notizie storiche che li riguardano. Per ora ricorderò soltanto che dopo la morte del capostipite Bello, awenuta nel 1360 e la contemporanea confisca delle sue proprietà (Cf. pag. zlS), la vedova Maria da Ceccano, figlia di Tommaso II, dovette fuggire con i piccoli figlioli abbandonando le terre in balia dei rornani. Non sappiamo .che cos sia accaduto dopo di ciò; è certo però che verso I'anao 1370 i feudi erano in mano della Chisa, la quale in Filettino aveva delegato come vicario
il
nobile Ruggero Bussa di Anticoli. Per
riprendere po*esso dei propri beni ancora giovanetto
(îel
il primogenito Nicolò Caetani,
l?74 era detto íuoenculus), un bel giorno
in Filettino, ove gli abitanti figlio del loro antico signore. Il vicado fu messo alla porta e Nicolò s'installò dasignore del luogo; la stessa cosa fece Maria per Vallepietla. La Chiesa inteatò un procesao per ribellione; i giovani fratelli, Tuzio e Antonio a
entrò tutto solo
e
pacificamente
il
accolsero festosamente
quanto pare, vennero carcerati, ma alla fine, nel 137f, le autorità ecclesiastiche prosciolsero i Caetani da ogni colpa e li reintegrarono nel possesso delle loro terre (De Mag., pp. 158, l66t 4rc. Caet.
An,, p.
6S).
Tre anni dopo
i
fratelli Antonio e Tuzio, ancora ragazzi,
rnomento di furore giovanile (íuoeníIí motu) uccisero il primogenito Nicolò; per sì orrendo delitto e per altri eccessi videro ricon$scati i lcro beni, ma il 29 decembre 1374 vennero perdonati da Rinaldo abate di S. Lorenzo, lucgotenente del
in un
di Campagna e Marittima (Prg. 70a). Antonio diventò capo della famiglia e di esso
vicario
scendenti parleremo
a
suo tempo.
e dei di'
Bonifacio
[1315 - mas. 1328]
un complicatissimo intreccio di interessi, non solo tra i vari rami dei Caetani, ma anche fra essi e le altre famiglie nobili della regione e principalmente con i Da Ceccano. Bonifacio, figlio di Benedetto Palatinor) fu podestà di Anagni nel 1315, 2) delegando Giovanni Lombardi di Roma come vicario, e fu anche podestà di Todi nel 1316, dignità 'certamente conferitagli per il grande prestigio di cui godeva il padre. In suo onore (ed in ricordo anche di Bonifacio VIII), fu dato il nome di u Porta Gaitana ,, ad uno degli ingressi di Todi costruito dal podestà, il qualp fece affiggere il suo stemma nelle mura castellane probabilmente da lui riparate, in vicinanza della Porta fracta. Tale carica, che durava sei mesi, comportava una prowigione di 1300 fiorini nonchè I'onere di una larga u famiglia " composta di tre giudici, due soci militi, di cui uno notaio, otto notai buoni e sufficientí, dieci domicelli, trenta sbirri, cinque ngazzi e dieci cavalli. 3) Dopo Ia morte del padre gli venne a) che egli però non tardò ad alienare forse riconfermato dalla Chiesa il feudo di Trivigliano, per far fronte alle spese di guerra ed alle doti delle sorelle. . Ebbe per moglie Maria Conti, e suo figlio Gioyanni sposò Vannozza di Nicolò Conti. Le sorelle Lella e Miozia entrarono in casa Da Ceccano. La figlia Giovanna andò in moglie a Raimondo (detto anche Rinaldo) da Supino, signore di Morolo, e forse figlio di quel Tommaso che cospirò contro Bonifacio VIII; il fratello di lei, Benedetto, si confederò con Rinaldo. Tutto ciò dimostra quanto fossero intimi i legami di parentela tra i Caetani Palatini e le principali famiglie della Campagna e specialmente con quella dei Da Ceccano, con cui a volte furono in guerra ed a volte confederati per combattere il ramo primogenito della propria famiglia. In tal modo i Palatini largamente contribuirono a tenere agitata la provincia durante tutto il secolo XIV. Di tali discordie non si ebbe però sentore sin tanto che visse Bonifacio; anzi nel 1328, al tempo della guerra contro Ludovico il Bavaro, lo troviamo militante sotto le bandiere di re Roberto unitamente agli zii Roffredo e Francesco. 5) In tale occasione, e precisamente il 20 maggio, prima di cimentarsi nei pericoli della guerra, nella sua piccola rocca di Sgurgola, ó) volle dettare il proprio testamento, di cui si conserva copia integrale nel nostro archivio, documento umano che getta qualche sprazzo di luce sul carattere dell'uomo. Per assicurarsi la salvezza dell'anima cominciò con assegnare vari legati per liquidazione dei debiti ed in riparazione dei danni recati ad altri. Al genero Rinaldo da Supino, a Bartolomeo da Trevi e ad altri diede un compenso per i cavalli presi in occasione della caplionis, 7) A quelli sconfi.cte seu expugnatíonís di Sezze, awenuta probabilmente poco tempo prima. di Ferentino e Montellanico lasciò una indennità per la preda che si era portata via. Alla chiesa di Anagni donò ogni suo diritto, i vassalli e Ia giurisdizione su Montelongo, a condizione che almeno una volta al mese venisse celebrata una messa funebre ed una vigilia per la pace dell'anima sua. Alla frgliola illegittima Tomasicchia ed al fratello bastardo Giovanni lasciò in eredità un feudo. Si preoccupò in modo commovente del bene e del decoro della moglie Maria Conti, a cui era legato da sincero affetto e profonda stima. Volle che ella continuasse ad abitare in quella parte delle sue case in Anagni, appartenute ai figli di Ruggero (Bussa?), e che godesse in comune coi figli I'usufrutto di tutti i suoi beni fintantochè mantenesse vita onesta e lo stato vedovile; ordinò ai figli di onorarla e di trattarla in corrispondenza al suo stato, disponendo che in caso contrario ella godesse in proprio le rendite del castello di Norma, che egli aveva
{) Cf. Caícl. Gen., Tav. Nap.
R. A.,
Domus,
voL
l,
XV e XLl.
264, t.729b: CI. p' 222.
35.
7) Arc. An., fasc, II, n. 496. 6) Misc. 2, p. 28; C-10.
, C-lll. I.
t) Cf. Regolo, lt, p.
1) ó3.
Rescsta,
ll, p.37.
t) Ar".
Tetamento.
I CAETANI PALATINI
274
Lib. tV, Cap. XXXlll.
ipotecato a sicurtà dei 2500 frorini di dote che aveva ricevuto sposandola. Prowide al mantenimento dello stato disponendo che tutti i figli, ad eccezione del maggiore di età, divenissero e si mantenessero chierici. Per soddisfare ai vari legati volle che i suoi eredi contraessero un mutuo di 1000 fiorini con la chiesa di S. Pietro in Roma, dando in ipoteca i loro diritti sulla torre delle Milizie per 1500 fiorini, di cui un terzo doveva rimanere a benefizio della chiesa stessa. Sembrava preoccupato che i bravi canonici di S. Pietro non valutassero molto la proprietà; dispose quindi che in caso di rifiuto, I'offerta venisse rinnovata alla chiesa di S. Giovanni in Laterano o a qualunque altra e che, nel caso nessuna accettasse, si vendessero i cavalli, le armi, gli argenti ed altri beni mobili pur di soddisfare incontinenti a tutti i legati. Si vede che ben pochi erano i denari liquidi! Lasciò re Roberto e il figlio di lui Carlo, duca di Calabria, come protettori e difensori delle persone e dei beni dei frglioli, e nominò suoi esecutori testamentari il vescovo di Anagni, lo zio Francesco, tesoriere eboracense, Ia moglie Maria e Giacomo de Guerra, canonico di Anagni.
) ,ì
-T
Piazza dell'antrca Corte
Benedetto Giovanni.
Acuto.
i suoi giorni erano contati; entro I'anno era morto, dai nobili della Campagna, con i quali era in battaglia o trucidato forse caduto sul campo di r) guerra verso la fine del 1328, come risulta da una bolla di Giovanni XXII. Gli eredi eseguirono subito le disposizioni testamentarie, restituendo persino ai figli di Gugliekno da Ceccano un famigerato mulo, di natura randagia, tolto al tempo dell'espugnazione di Sezze. Maria rimase tutrice dei 6gli, di cui il primogenito Benedetto era adolescente e gli altri ancora in tenera età. Per rafiorzare Ia propria posizione strinse vincoli di parentela con Rinaldo da Supino, signore di Morolo, con i Conti e ccn gli Anibaldi e, valendosi delle discordie sorte tra i Caetani di Fondi e i Da Ceccano, si appoggiò a quest'ultimi che erano suoi cognati. In breve corso di anni il figlio Benedetto fu atto alla guerra e presto rivelò le doti dell'avo mostrandosi a.udace e battagliero. Ma delle gesta di lui e de' suoi fratelli ho già parlato ampiamente nel capitolo XXX e perciò non mi tratterrò oltre su di esse. Benedetto morì giovanissimo, verso la frne del 1341, lasciando due maschi e due femmine, probabilmente illegittimi, di cui la contessa Maria diventò tutrice testamentaria. 2) Tale previdenza non fu vanà perchè
e
di
r)
Regeela,
ll, p. ó1.
2)
Atc.
Caet.
An,, l?41. lX. 21.
[mas. 1328,1354]
Giovanni
Per dieci anni, dopo Ia sua morte, non sentiamo piir parlare dei Palatini, sinchè nel 1351 entra in scena il turbolento Giovanni, fratello di Benedetto, poco più che ventenne, impossessandosi della città di Acuto con un ardito colpo di mano. Il castello, a vÒlte detto anche Montacuto (da distinguersi da quello nella Tuscia), si erge in cima ad un colle in vicinanza di Anagni, a oltre 700 metri sul livello del mare. Deve esser stato un antico possedimento della Casa; per eredità passò a Benedetto Caetani Palatino e da lui al figliolo Bonifacio. Questi lo concesse in subfeudo al nobile Pietro del fu Ranuccio di Farneto il quale, il l0 gennaio 1330, confermava il proprio vassallaggio alla vedova Maria Conti.
r)
In quei tempi il paese era ristretto alla parte piìr alta del monte, come si vede dalla cinta di mura che fiancheggiano la piazza attuale, ed entro di esse le strade hanno conservato quasi immutato I'aspetto che avevano nel XIV secolo. In una delle case presso il palazzo comunale vedesi murata una chiave di arco, sulla quale è inciso I'antico stemma della comunità, ossia i tre chiodi con i quali fu crocifisso il Redentore, come è indicato nel disegno qui riprodotto. Non so dire in seguito a quali avvenimenti Acuto uscisse dalle mani dei Caetani. Alessandro IV (1251'1261) aveva dichiarato che la terra fosse stabilmente proprietà della chiesa d'Anagni e, forse in virtìr di tale privilegio nel I 351, ll capitolo ne riprese possesso per mano di alcuni chierici e cittadini di Acuto che, di notte tempo, avevano invaso il castello, rompendone i serrami e le porte € caccian{one il signore che I'aveva tolto ai Caetani. Pietro de Grassinis, vescovo di .A,nagni, poco preoccupandosi della legalità della procedura, Stemma di Acuto. accettò senz'altro, il fatto compiuto e vi delegò un vicario. Senonchè gli stessi uomini di Acuto avevano giuocato di astuzia: avevano cacciato I'antico signore sotto pretesto di dare la città al capitolo, mentre in segreto erano d'accordo con il barone e poi.ente uomo Giovanni Caetani, il quale voleva rivendicare i suoi antichi diritti sul feudo, perduto forse quando la madre si trovava sola ed inerme con i frgli minorenni. Difatti nel giugn o l35l i cittadini di'Acuto fecero entrare nel castello il conte con largo stuolo de' suoi cavalieri e pedoni armati ; lercorsero Ie strade acclamandolo .loro signore al grido di ,, Víoa Gíooanni Gaitanol ,, e I'aiutarono ad espugnare la torre. e la rocca. Checco Loteri, vicario del vescovo, fu espulso in modo assai poco garbato e ,molto ebbero a soffrire gli awersari del conte. Inutile aggiungere che il vescovo Pietro, il 27 agosto, scagliò contro i colpevoli la seomunica e tutte le condanne del caso, 2) ma dubito che queste sortissero effetto alcuno: tra non molto Ia stessa Anagni doveva cadere sotto la signoria dei Caetani. Alla fine della prima fase dello scisma, ed appunto il 4 maggio 1399; la terra di Acuto tornò 3) sotto la protezione della Chiesa Romana. Tale fu íl " début ,, di Giovanni; ma se nella sua prima azione non ebbe completamente torto nel farsi giustizia da sé, in seguito però si dedicò sovente ad atti di puro brigantaggio, ciò che del resto era consono ai costumi baronali del tempo. Ebbero a lagnarsi di lui i romani nel 1354 o'p", 15 somari ed un ronzino rubati a certi vetturali, e negli anni successivi, sino al giomo della sua morte, troviamo una serie di simili accuse per furti, depredazioni, tl È dubbio per altro violenze etc. di cui ometto di parlare perchè prive di speciale interesse.
r)Regerta,
11,p.68,
2)Atc.An,,fsc. 12,n.604.
3)Zoop.,
l,p.55l,
a)Regesla,
ll,p. 177.
5)lui,passio.
Occupazione
di
Acuto.
I CAETANI PALATINI
Lib. IV, Cap. XXXIII.
se le suddette qualifrche, contenute nelle denunzie e nelle accuse, corrispondessero s3mpre effettivamente alla natura dell'atto, essendo ovvio che i danneggiati denominassero, ad esempio, come furto, atti di violenza commessi in guerra o per rappresaglia. Nel testamento di Giovanni, di cui parleremo appresso, si dimostra una nobiltà d'animo che non corrisponde a quella di
un volgare predone. Il 9 oitobre 1355 i fratelli Palatini, Giovanni e Nicolò, addivennero alla divisione delle proprietà sino allora tenute in comune fra tutti gli eredi. Il contratto fu compiuto a Norma, nella sala di abitazione della madre Maria Conti e, suppongo, in presenza sua. Nicolò scelse le castella di Pofi, Trevi e Sgurgola; Giovanni, Norma e metà di Ninfa, salvi sempre i diritti delle sorelle Rita e Giovanna. Giovanni prese anche tutto il castello di Montelongo, dalla qual cosa giudico che o non ebbe luogo o fu in qualche modo annullata la donazione che suo padre l) Bonifacio ne aveva fatto alla chiesa di Anagni' 2) Verso la fine del luglio 1363 moriva nella sua rocca di Norma la vecchia Maria Conti, di cui ben poco sappiamo, ma che certamente fu donna di animo virile e custode vigile degli interessi famigliari. i Giovanni, come era da aspettarsi, ebbe gravi differenze e' occorrendo, impegnò le armi contro i Da ceccano. suoi vicini i Da Ceccano ; poi si fece la pace (1353) e poi si mise di nuovo mani alle armi. Finalmente nel novembre del 1363, ossia poco tempo dopo la morte di Maria Conti, dietro supp/ícc-
parentela con
zíonÍ dei vassalli e dei parenti, fu deciso di assicurare la pace dando in moglie a Nicola III 3) Esistendo tra gli sposi il da Ceccano, nipote di Tommaso II, Miozia figlia del nostro Giovanni. quarto grudo di consanguineità, il primo luglio 1364, da Avignone, Urbano V concesse la dispensa uilo ,"Jpo precipuo di por frne aIIe grandí guerîe combattute fra le due famiglie, ln cuì a) molti uomíni erano periti e moltí danní erano stati arrecatí aIIa prooincía della Campagna. Ma la storia del medio evo insegna che nuove parentele rappresentavano .nuove comunanze qualche d'interessi e quindi nuove discordie. Tuttavia il frdanzamento di Miozia e Nicola per a certi tempo ricondusse la pace o almeno segnò un tentativo di ristabilirla, e difatti si venne u""ordi che furono stipulati in Sezze tra Giovanni Caetani Palatino e il suo primogenito Antonio, da una parte, e Tommaso II e i suoi nipoti Nicola e Bello, dall'altra; essi furono rinnovati a nella prima metà di settembre 1365,5) ma nessuno poteva assicurare che avrebbero durato con Pietro lungo. Il 3 agosto 1367 i medesimi Da Ceccano firmarono un trattato di pace 6) Colonna, genero del detto Tommaso' che Ometto di parlare in questo capitolo delle complicate e poco interessanti differenze gli Anibaldi di Cave e con i signori di Fondi per ragioni di doti, di Giovanni "on "bb" e Colonna. mutui e di eredità, su cui esiste ampio materiale documentario negli archivi Caetani Il conte, violento e autoritario per natura, era generalmente proclive a farsi giustizia da sè ; per cíò condusse a quelle molteplici guerre, di cui si è parlato nei precedenti capitoli, e che, neces' le continue ,p"r", ,idursero Giovanni in cattive condizioni finanziarie e lo misero nella parte di sità d'ipotecare ripetutamente i feudi di Norma e di Ninfa e frnalmente di vendere quest'ultima terra. conti palatini. Nel 1370 Sembra che il destino abbia voluto concedere breve vita a tutti i che la morte si avviGovanni, poco piir che quarantenne, si ammalò gravemente e, presentendo che gli gravavano la coscienza' cinava, noll" pr"iuru.ri uJ essa. Molte certamente erano le colpe caritatevolmente accolse la Chiese ud Urbuno V perdono di tutti i suoi peccati; il pontefrce
t) 6)
Regesla,
ll, P. 182.
Atc. Col., LYI'69 e 73.
t\
Ioí,
p' 221'
.)
Resesla,
11,
p.
236.
ó) /ui, pp. 240' 241.
11355 -
Giovanni
r370I
277
e con bolla del 5 marzo diede a lui ed ai frglioli Benedetto, Bonifazio, Tuzio, Cecco Testamento e morte' ed Antonio completo condono di tutte Ie sentenze, delle pene cioili e crímínali (quella capitale ínclusa) e delle mulle, dffide, confische e condsnne comunque iffitte, e li assolse di tutte le ínobbedienze, lrasgressíoní, contumacíe, ríbellíoni, nonchè degli eccessí, dei delìttí (anche se sacríIeghi), deglí omícídi e delle ínoasìoni, occupazioní, depredazioni di terre, castella, cíttà e dí altri luoghî.r) Peccati da prendersi cum grano salìs: Giovanni e i figli suoi furono ribelli alla Chiesa e perciò le colpe, seppure in gran parte di carattere politico, furono imputate ad essi come volgari delitti ; se invece fossero state compiute in difesa della Chiesa, sarebbero state dichiarate atti meritori ed eroici ! Purificato così da ogni magagna umana, cinque giorni piir tardi, Giovanni, che giaceva malato in casa del suocero Nicola Conti, situata nel rione Monti in contrada Cavalli in Roma,
domanda
dettava il suo ultimo testamento. Lasciò ai figli quel tanto dei diritti che gli rimanevano su metà di Ninfa, i castelli di Norma e Sgurgola, la torre .. de Costa ,r., in territorio di Anagni, le case che possedeva in detta città in contrada Tufoli, nonchè ogni altra sua ragione. Nominò il primogenito Antonio amministratore del patrimonio. Ordinò che trattasse, reggesse e governasse bene i fratelli e le sorelle secondo la loro qualità e condizione e ad essi ingiunse di onorare Antonio e di convivere e dimorare in unione e perfetta fraternità. Volle che tutti i figli, salvo il primogenito, rimanessero chierici, ossia che non sposassero nè procreassero figli legittimi (quelli naturali suppongo venivano tollerati) affinchè I'asse patrimoniale non si sminuzzasse. Ma dispose che, se il primogenito non avesse sposato ed avuto figli legittimi entro il termine di cinque anni, fosse lecito al secondogenito di sposare e così via. Verso la moglie usò ogni possibile riguardo, restituendole la dote di 4000 fiorini e dandole inoltre ín alia manu mille fiorini e I'usufrutto di Norma; volle che i figli I'amassero e I'onorassero quale loro madre e quale signora da essere riverita (reoerenda domina) e, ove uno di essi le mancasse di rispetto, doveva decadere da ogni diritto ereditario, venendo la parte sua divisa tra gli altri fratelli. ") Disposte le sue ultime volontà, il potente uomo Giovanni Caetani, assolto da tutti i peccati per indulto del sommo pontefice, andò a renderne conto davanti al Signore. I figli ebbero larga parte nelle guerre dello scisma, militando contro I'antipapa, come si dirà in seguito. I loro discendenti furono signori di Sgurgola e possedettero proprietà in San Lorenzo, Montellanico, Patrica, Roccagorga, Giuliano, Arnara, Carpineto, Ripi, Prossedi ed in altri luoghi. Si mantennero in istato decoroso, ma modesto, sino alla prima metà del secolo XVI, quando il ramo si estinse nella persona di Zenobia che, per volontà testamentaria del padre, Federico b) signore di Sgurgola, diventò monaca in S. Cosimato di Roma. Le leggi della natura operano in modo inevitabile e crudele: i Palatini furono il primo dei rami della famiglia Caetani che, privati del nutrimento proveniente dalle radici, gradualmente persero vitalità e, disseccandosi, perirono; mentre quelli maggiori, che traevano sostentamento dal patrimonio avito, continuavano a crescere rigogliosi e forti. a)
Si
documento
omettono
le altre disposizioni
(Cf, Reg*!a, ll, p.
di
questo lunghissimo
312).
b) ll De Lellis aÉerma che i Palatini usassero le onde azurre in campo d'oro sormontato da un sole ; ma un sigillo del secolo XlV, di cui ho I'impronta con la leggenda S: IOHIS: GAIETANI (V. p. zos) e che non può rere se non quello di a)
Regesta,
ll,
p. '31 I .
Giovanni, di cui si è detto sopra, porta la sola aquila' Ciòaraldicamerte non signifim nulla perchè i Caetani spesso si valsero di questa inregna che, meglio delle onde, si adattava per ornare i sigilli. Il Cainci (Car. Doc., p.44) ha creduto enoDeamente che il sigillo,
illustratoin calce all'indice dei capitoli attribuirsi
ai Palatini;
di queto
esso appartenne invece
volume, fosse da
ai Caetani di Piga'
Captrolo XXXV.
GIOVENTÙ
DI ONORATO
I".
(1348-t378)
Occupazione
di
Sezze.
IAcoMA Orsini, con Ia morte del marito, si trovò sola a difendere i piccoli 6gli dalle insidie dei nemici e dei parenti, Il primogenito Onorato aveva poco piùr di dodici anni quando assunse il titolo di conte di Fondi; di qualche anno piìr giovani erano il fratello Giacomo, Sancia fidanzata a Roberto Orsini, e le altre sorelle. Dofevano 'rarnpolli dare prova negli anni awenire di essere degni del battagliero Nicolò e della " figliola dell'Orsa '. Il re Luigi e la regina Giovanna ebbero in grazia questi bambini e ad Onorato confermarono i titoli, i feudi e le pensioni già concessi al padre, ed il ius del mero e misto imperio con podestà di vita e di morte, nomil) nandolo altresì ciambellano di corte. Iniziale di pergamena dell'anno 1238.2) Da molto tempo duravano gravi inimicizie e guerre cruente fra Tommaso II da Ceccano e i suoi nipoti Nicola III, Tommaso e Bello, ,da una parte, e Giacomo I suo fratello, dall'altra. Parteggiavano per Giacomo il cugino (?) di questo, Francesco, nonchè i Caetani Palatini suoi parenti e credo per certo che anche Nicolò Caetani di Fondi movesse guerra a Tommaso II. Fu probabilmente nel corso di tali guerriglie che i Caetani unitamente ai loro partigiani, i Da Ceccano, vollero assicurarsi del possesso di Sezze. Abbiamo visto già che ripetutamente i Caetani si erano impadroniti di questa città, con la quale perdurava I'aspra contesa per Ia questione dei confrni, ed ogni volta i papi erano intervenuti con bolle, ordini imperativi e scomuniche perchè Sezze, fedele soggetta della Chiesa, fosse ldsciata libera ed indisturbata. Al tempo però della morte di Nicolò Caetani, o poco dopo, Giacoma Orsini era riuscita, così dissero gli awersari, ad imporre un podestà di sua scelta e, sotto pretesto di difendere la città dai nemici, la teneva effettivamente occupata.
t)
Regsta,
II, p.
15ó.
2) Prc'. 1975; Regesta,
I, p. 31.
Card. Anibaldo da Ceccano
[1348 -13501
279
Era allora legato nelle provincie romane e nel regno di Sicilia (síc) il cardinale Anibaldo da Ceccano, vescovo tusculano, detto comunemente Anibaldo-Gaetani e meglio Gagtani de
card.Anibaldo.
Gagtani.u)
Fu uomo di molto valore ed acquistò grande ascendente alla corte di Avignone. Straordinariamente fastosa era la sua vita ed è rimasto memorando il ricevimento che diede nel 1343 a Clemente VI nei sobborghi di Avignone. Il Mollat nella sua pregevole opera r) riproduce il resoconto che ne fa un testimonio oculare. Di lui ho invano cercato di rintracciare la sembianza negli affreschi, di cui fece ornare il timpano e la lunetta della porta principale della cattedrale di Notre-Dame des Doms. Questa pregevole opera, che Simone Martini dipinse verso il 1340, è purtroppo del tutto rovinata ed a mala pena si distingue una figura inginocchiata davanti alla Vergine, che la tradizione vuole sia quella del cardinale. Tommaso II da Ceccano, che di solito era in lite con tutti i parenti, si mantenne amico del legato, suo fratello, e di continuo stava presso di lui. Per odio verso i figlioli di Nicolò, .) Anibaldo era nato da Perna, lglia di sorella
Costanza che fu
del
famoso Giacomo Giovanni-Gaetani Stefaneschi. Quest'ultimo, figlio di Perna Orsini, prese il nome dal pro-zio Giovanni-Gaetani ,Orsini (Nicolò III), il quale a sua volta ebbe tale doppio nome perchè figlio di Perna Caetani. È possibile che Costanza Stefaneschi sposasse
un
Caetani e che Anibaldo
da Ceccano, appunto per tanta abbondanza di nomi e cognomi, fu detto Gaytani de Gaytani (Cf. Albero geneal. a
sopta; unile palel ex uno omnes detíoarí capíle. Stemmi Senonchè faccio oeservare che nello stemma del cardinale deiDaCeccano. Da Ce""anà, di cui vi sono vari esempi a S. Maria a Fiume preso Ceccano éd a Carpineto, I'aquila è partita (ossia divisa verticalmente). Così è pure lo stemma che si vede, unitamente a quello dei Caetani, sulla facciata del duomo di Anagni sopra la statua di
Bonifacio
VIII, e
che opino debba attribuirsi partita d'azzurro e
ai Da
Ceccano;
pag. 71, nonchè pag. 244).
so è d'ugento all'aquila
Il erdinale Stefaneschi msai si adoperò a creare rrolteplici legami di parentela tra la propria famiglia e i Da Crccano ed è assai probabile che per sua interc"-ssione fosse concessa la dignità cardinalizia al nipote Anibaldo da Ceccano. Ia considerazione di tutto ciò ed in omaggio allo zio, Anibaldo pa*ì le
Che lo stemma della famiglia fosse la so la aquila è provato dall'interessantGimo sigillo di Anibaldo da Ceccano, cortesemente prestatomi dal dotto comm, Giuseppe Berni di Bari, il quale mi
Stemma dei
Da
Ceccano
Cattedrale
di
Anagni.
armi Stefaneschi con zione a pag. 241.
le
Lo stemma Da Ceccano, al dire del Della Marra (p. 139), era I'aquila trinciata (osia divim diagonalmente) d'argento in campo ro$o nella parte superiore, e di colori invertiti in guella inferiorc. Domenico Barnaba Mattei (îA*aur. Htst. It.,YlIl, p. 4) alferma che lo stemma dei conti tusculani fu I'aquila nera in campo rosso, quella dei Conti di Segni I'aquila aurea () )) in campo rosso e quella. dei Da Ceccano come è stato detto t) p. 353.
rosso.
ha permesso di riprodurlo in queste pagine. In esso si vede I'aquila sormontata dal lambello, ciò che indicherebbe che questo Ani-
Sigillo di Anibaldo da Ceccano. Collezione G. Berni.
?
proprie, com'è indicato nella illustra-
di
baldo, probabilmente un sacerdote della prima metà del secolo XIV, appartenesse ad un ramo secondogenito o fosse un batardo. Il
comm. Berni, inclina a credere che
il
al cardinale Da Ceccmo, ma ciò è
sigillo abbia appartenuto
contraddetto dagli stemmi
marmorei di S. Maria a Fiume e di Carpineto menzionati sopra;
è più
probabile che fwe quello dell'abate Anibaldo, figlio di Giacomo I e nipote del erdinale. Nel sigillo I'aquila appàre intera, ma bisogna considerare che sarebbe stato di6cile al rozzo incisore d'indicaré che era partita.
illegittino
CIOVENTT/ Dl ONOR.\TO I"
280
Lib. lV, Cap. XXXIV.
tanto fece che il cardinale minacciò di scagliare la scomunica contro Giacoma Orsini e I'inter' detto su tutte le terre dei Caetani, se questi non si fossero ritirati immediatamente da Sezze. ll 16 luglio 1350, Giacoma, anche a nome dei frglioli Onorato e Giacomo, si appellava davanti a Leonardo Tacconi, vescovo di Fondi, mettendosi sotto la protezione del pontefice e specificando che, se non aveva potuto appellarsi al legato stesso, ciò era per il pericolo delle vie e perchè i giudici, a cui avrebbe dovuto presentarsi, erano soliti carcerare gli appellanti.
r)
a
la
vertenza, ma certamente Giacoma deve avere avuto delle buone ragioni dalla parte sua, perchè troviamo che due anni e mezzo più tardi la città di Sezze si trovava ancora sotto la protezione, o meglio sotto il dominio, della energica contessa e de' suoi figlioli. Gò risulta dal concordato, stipulato'tra costoro e Nicola e Govanni da Trevi addì 2 decembre 1352, mirante a proteggere tanto Sezze quanto Trevi contro gli eredi del fu Giacomo di Giordano di Sezze ed altri nemici. u) Il primo febbraio dell'anno seguente Tommaso ll da Ceccano fece pace con Nicola e 2) ma tale accordo Giovanni Palatini e con i nipoti loro Bonifacio e Nicola del fu Benedetto, tra i turbolentissimi baroni non alleviò le tribolazioni delle straziate campagne. Commettevansi eccessi e delitti di ogni genere, come viene provato dalle gesta di Cecco da Ceccano, cugino
Non saprei dire come andò
finire
in
secondo grado del detto Tommaso. Il raccapricciante racconto di esse ci viene dato dal formale atto d'accusa che Tommaso Deliuo di cecco da ceccano. e i suoi nipoti, nel marzo 1361, presentàrono ai sette riformatori preposti al regime dell'alma (Jrbs ed ai quattro banderesi della società dei balestrieri e pavesi che amministravano la giustizia con tanto rigore. Nell'accusa 3) è detto che Cecco da Ceccano, qualche anno prima,
aveva catturato Tommaso e, tenendolo carcerato per oltre un anno nella sua rocca di Patrica, I'aveva ripetutamente tormentato e gli aveva persino fatto crudelmente amputare i piedi con una sega; non contento di ciò, aveva strangolato con le proprie mani /a oergíne ed onesta fanciulla Patia, nipote di Tommaso, e gettato nel medesimo carcere di Patrica i fratelli di lei, Antonio e Loffredo, fanciulli del tutto innocenti; inoltre aveva fatto mettere a morte Francesca Caetani, moglie del proprio zio Riccardo da Ceccano, e i di lei figlioli, che .. innocenti faceva I'età novella,,. Insaziabile nell'odio e nel desiderio di vendetta che lo divoravano, aveva messo E sacco, a ferro e a fuoco San Lorenzo, distruggendovi tutto, compresi la chiesa ed il convento delle monache, nonchè le terre di Ceccano, di Guliano, di Santo Stefano e di Prossedi. Ovunque era passato come il flagello di Dio, catturando, torlurando, sgtassando, uccidendo, mutilando, ímpiccando, brucíando, bandendo ed accecando i disgraziati abitatori di qualunque età o sesso e, ciò che forse piir doleva a Tommaso, I'aveva spogliato di ogni suo avere. Resta a vedere quali ingiurie Tommaso da parte sua aveva compiute precedentemente
a danno del feroce Cecco. b) ' Torniamo ora a riprendere il frlo della storia. II papa fece uno dei soliti, più o meno vani, tentativi di interporre la propria evanescente autorità per mettere un freno d. tale stato di cose, ed in tal senso è probabile che si adope.) Trevi
apparteneva
di
pieno diritto
ai
Caetani sin dal
tempo di Bonifacio Vtll; frcr vi si creò, at principio del secolo XlV, un complesso condominio tra i vari rami della famiglia' Giacoma, Per Proteggere il castello da una forse minacciata con6sca, ne diede il possesso aPParente divisione e suddivisione ereditaia
1) Resesta, ll,
p.
147
'
2) Ioí,
p-
16l.
3) Ioí' p. 2Oj'
suddetti Nicola e Giovanni da Trevi, ma' Per mettersi al sicuro da ireidie, fece redigere I'istromento relativo per cui
ai
di zo ooo fiorini d'oro e cori redditi della tenar(Regesla, ll' p, 159)' zui una ipoteca perpetua b) Per il seguito di questi fatti, vedi Atc. Col', XCV-ó. legava loro le mani con una penalità
[ug. 135O.eet.
13581
Anagni
281
il
rettore, quando convocò tutti i baroni della Campagna perchè si presentassero all'adunata generale dell'esercito della Chiesa, bandita per il I marzo 1355 in Ferentino. u) Era urgente infatti che I'ordine venisse instaurato nella provincia, perchè re Carlo IV si accingeva a partire dalla Toscana per farsi coronare imperatore in Laterano, il che awenne add 5 di aprile. onorato e suo fratello non risposero alla chiamata. Con tutto ci| i baroni continuarono ad esercitare ogni specie di angheria a danno clelle popolazioni a tal punto che gli anagnini si rivolsero al senatore di Roma il quale, il 28 giugno 1355, concesse loro facoltà di esercitare rappresaglie contro i Palatini e gli uomini di Cave. l) Gli anagnini però sapevano bene quanto poca ragione avrebbero potuto farsi con la forza delle proprie armi; si ricordavano della estrema sciagura capitata loro pochi anni prima quando il duca Guarnieri d'Urslingen, senza pietà per donne e bambini, aveva messo a fil di spada'quanti capitarono nelle sue mani, e poi, data la città al saccheggio ed all'incendio, I'aveva ridotta ad un mucchio di rovine; prevedevano che un giorno o I'altro i baroni delle campagne vicine Ii avrebbero ridotti in servitù, perchè il cardinale Albornoz, Iegato apostolico incaricato di ridurre ad obbedienza i tiranni, era troppo intento a combattere quelli nella parte settentrionale dello stato pontificio, per potersi curare delle guerriglie nella Ciociaria. Considerato tutto questo, non videro altra via di scampo che di darsi in signoria ad Onorato conte di Fondi, ed al fratello suo Giacomo, rinomati per Ia loro potenzo, gíusta lode e fama e le cui terre erano rette ín pace, unítà e quiete ed i cuì popoli gooernati con gíustízia s'íngrandíoano con I'abbondanza, líberamente mercanteggiando oounque. Perciò il 2l settembre 1358, dopo avere awiato le trattative con ilconte di Fondi, fu chiamato il popolo di Anagni a convegno nel palazzo civico ove, riunitisi oltre trecento cittadini, vennero A$resco di Malleo da Viteúo chiuse Ie porie e Giovanni Budone, 'rettore e giudice del co' nella certosa di Villeneuvelés-Avignon. mune, espose in lingua volgare la situazione, invitando il popolo a darsi in signoria ai Caetani in base ai seguenti capitoli: La città si dava in perpetuo ad essi signori ed ai loro successori ed eredi, prestando giuramento di fedeltà, a condizione però che tale fedeltà non degenerasse mai in vassallaggio. rasse
a) Frclet tohannes de Luca, prcceptot e! generalís magíster Hospítalís Sanctí Spírìtus ín Saxia de Urbe, prcoíncíaîum Campaníe et MailÌme .., rector genetalís, Angelo Zacheo de
fetramentís ad guascum nec minut rebus ad grassiam putíncntÍbus, oeníant et úeníre prccwent cum e.fectu, oí'lilíter et potenter, ail cíoítatem Ferenlínl, Ín qua dísponímus cònlra hostes el rebelles
Frusínone nasbo nunclío íuralo salulem. Cas!ígandl sunt gul reoerenllamSancte Mabís Ecclesíe comIempnunt etc, .,, Quare lue díscrelíoní conmíclimus et manàamus quatenus, sta!ìm receplís presenlíbus, ex paile nostra rcquírere
felícem eíusdem Ecclesíe .,. generalem cxercilum ... sub pena etc. .,. Dalum Ferenlíní díe XIII februatí, VIII tndíctíonís (t3s5).
et mandarc pÍocurcs
ab omníbus síngulís baroníbus, uníoersítalíbus
ct
omníbus frilelíbus eíusdem Ecclesíe ínfrasuíplís ut díe domíníco proxíme futuro prìmo mensis marcíí, muníti armís, equÍs ac '). Zopp.,
Domus,
l,
I, p. 524.
16.
Fetentínum
Serrone
Anagnía
Tlebíllíanum
DomínÍ omnes Gagtani Domìní de Supíno
Palíanum Abbalía Sublacensís Domíní lCastrt
Macthie
(c-26e.1)
)l
Anagni
si dà in signoria
ai Caetani.
CIOVENTÙ DI ONORATO I"
Ub. IV, Cap. XXXIV
di mero e misto imperio e gladii potestate. Essi dovevano rispettare nell'esercizio della loro signoria gli statuti della città con certe modifrche che venivano stabilite. Dovevano eleggere e mantenere a loro spese gli ufficiali idonei, ad eccezione del podestà, la quale carica era stata concessa al papa Innocenzo VI sua vita durante ed alla Chiesa per dieci anni dopo la sua morte; dopo questo periodo la nomina del podestà doveva spettare
Ai
ai
signori veniva data ogni giurisdizione col dominio
.Caetani.
Nesruno avrebbe avuto facoltà *di introdurre in città, nè di giorno nè di notte, nè armato nè inerrne, alcun conte o barone. I signori avrebbero difeso Anagni da qualunque ingiuria e i cittadini avrebbero prestato loro aiuto colle armi. Ai signori veniva pagato un annuo assegno di 1200 frorini d'oro. I Caetani avrebbero avuto facoltà di costruire a loro piacere fortilizi, rocche, torri e palazzí
in Anagni e nel
suo territorio. Lette queste ed altre condizioni, ed in conformità a quanto già era stato approvato in un'altra adunanza, a voto unanime (tutti rimanendo seduti in segno di approvazione), fu deciso di inviare il nobile e sapiente uomo Nicola Magno, giurisperito di Anagni, ed il nobile Meo l) Martini ai magnifrci Onorato e Giacomo per conferire loro la signoria. Fortunata fu la decisione e ottima la scelta: Onorato non aveva pitr di veniidue ar.rni, ma già si manifestava in lui I'animo grande e potente ! di natura afiettuoso e riverente a Dio, *u f'orte e battagliero, ebbe sempre il coraggio delle proprie opinioni e, a spada tratta, difese Ie cause che prendeva a cuore. Il suo vasto stato si stendeva da Anagni al Garigliano e' se
Trattative
con gli zii.
i
lati fu assalito da nemici, contro tutti seppe difendersi. Il primo atto che fecero i nuovi signori fu di venire a trattative con i loro zii Bello e Giovunni. Dopo la morte di Nicolò era sorta tra loro matería dt lite e dí scandafo a causa della eredità paterna, gli zii avanzando pretese su Fondi, ltri ed altre terre quantunque non avessero ,ugion" alcuna, non essendo figli di Giovanna dell'Aquila. Vari consanguinei ed amici i iniziarono tentativi di pace, ma per quanto si sforzassero non vi riuscirono. Quando però perchè ostilità le giovani nipoti ebbero urrunto la signoria di Anagni, cessarono, a quanto pare, n"llu loro nuova posizione Onorato e Giacomo ebbero agio di farsi meglio rispettare. Allo guerre, stesso tempo, e probabilmente per il medesimo comune desiderio di por termine alle da tutti
Giovanni Palatino, dietro mandafo del vescovo Bongiovanni, rettore della Campagna e Marittima, nell'aprile del 1359, venne a trattative di pace con i suddetti Giovanni e Bello, e I'accordo 2) sarebbesi dovuto confermare dallo stesso rettore. D ciò era evidentemente consapevole il papa ; infatti troviamo che ai l8 di maggio del 1360, in un nuovo tentativo di ricondurre I'ordine nella Campagna e Marittima, non solo si rivolse al senatore ed ai sette riformatori di Roma, ma anche al giovane Onorato perchè aiutassero il legato Egidio Albornoz, vescovo di Sabina, e gli altri ufficiali della Chiesa ad imporre la pace 3)
nelle straziate provincie. L'ascendente e la potenza del giovane barone si rilevano altresì dal regio privilegio che, in data primo agosto 1360, la regina Giovanna I dirigeva a lui t nel quale ricordava come Ia stessa dinastia degli angioini avesse tratto la sua salvezza dall'opera di Bonifacio VIII, esprimendosi con
le
seguenti Parole:
di rícordare ... Ie genercse ímpîese ed i oirtuosi costumí per i quali ha contínuato ad. illustrarsi Ia casa deí Gaetani ... e nell'animo Nosfro si riafaccía Ia grata e faooreoole Síamo |fen
r)
Rcsesto,
II, p.
185.
2J loi,
ll, p.
192,
3) Theín,,
ll, p. 3E7.
Trattative con gli zii
[21 ret. 1358-15 ag. 1360]
?83
opeîa oeîso i .fy'osfri pîogenitori e úerso I'intera Noslra Casa regía della felíce memoria dí Bonífacio VIII, iI quale trasse Ia sua orígine dalla stessa Casa de' Gaetaní. Ben difficile sarebbe ooler narrare tuttí í fatti e ricardare Ie grazie ed í benefizi che ríoersò suÍ Nosfrí progenítorí, perchè furono tanti che sempîe sarà insufrcíente Ia Nostra gratitudíne nè maí saîema ín grado dt ffitre debita ricompensa, EgIi non cessò maí di operare a Nostro faoore sino a che con í suoi paterni consiglí non ebbe batto Ia Nosfra regia Casa dalle tempeslose condizíoní per Ie quali perícolaoa, saloando iI Regno da certa îot)ína e poúando I'una e I'altro a sah)amento e con Ia saoa interposta sua autorità riconducendo la pace e Ia prosperità... t) Allorchè i giovani Caetani presero la signoria di Anagni, i loro rapporti con gli zii Giovanni e Bello erano tutt'altro che cordiali. Finalmente per intercessione di Bongiovanni, vescovo fermano, conte generale e rettore della Campagna e Marittima, si arrivò al detto accordo di pace, che venne firmato dai rispettivi procuratori in Anagni il 17 gennaio del 1360. Ma, per non esserci state offese e guerre dal tempo in cui i Caetani erano diventati signori della città, si stabili che I'accordo avesse azione retroattiva ; per meglio precisare, la pace doveva considerarsi come avente principio sin dal 2 ottobre 1358, data ir, cui erano forse intervenuti alcuni preliminari accordi verbali fra le parti. L'atto fu redatto da Cecco d'ltri, notaio apostolico Si stabilì inoltre che il 15 di agosto seguente si sarebbe venuti ad ulteriori accordi per cui gli zii avrebbero rinunziato ai nipoti qualunque pretesa su Fondi, Itri ed altri beni dell'eredità di Roffredo III; Govanni, con il consenso d'Agnesina Colonna sua moglie, avrebbe venduto il castello di Falvaterra ad Onorato e le parti si sarebbero perdonate a vicenda le offese fatte fino al giorno che il conte e Giacomo entrarono in Anagni e ne presero Ia signoria. In questi otto mesi d'attesa si verificarono molti incidenti, di cui non abbiamo chiara notizia. 2) che in quel Giovanni e Bello vennero in confitto con il popolo romano. Si è già ricordato tempo vigeva in Roma un nuovo ordine democratico con milizie cittadine governate dai banderesi, intenti ad imporre la giustizia e a reprimere le prepotenze della nobiltà. Essi agivano con molta energia e, per non so quali eccessi commessi da Bello, invasero le sue terre e lo impiccarono per la gola. I frglioli dovettero fuggire e le castella rimasero abbandonate in balia al primo venuto; anche Govanni fu scacciato eC il suo feudo di Selvamolle devastato. Intervenne poi ia Chiesa Ia quale, con sentenza pronunziata contro Bello, Giovanni ef fratres, dichiarò le loro terre confiscate a benefizio della reverenda Camera Apostolica. Anche le altre propúetà seguirono Ia medesima sorte e suppongo che Ie case dei due fratelli in Anagni vennero diroccate secondo il barbaro costume di quei tempi, perchè nell'elenco di esse, contenuto in un certo libro dei beni ecclesiastici, sono tutte descritte come dirutae,"\ Quindi il 15 agosto 1360, giorno stabiiito per i suddetti accordi con Onorato e Giacomo, 3) nessuno degli zii si presentò a stipulare la vendita e gli altri capitoli concordati prima. I fratelli Caetani allora fecero redigere una formale protesta; ma giacchè la vendita di Falvaterra era stata promessa ed il castello rimaneva abbandonato in balia al primo venuto, è ben probabile che Onorato senz'altro si credesse in diritto di prenderne possesso. Questo piccolo paese che anche oggi conta poco più di mille abitanti, sorge su di uno spuntone di roccia che sovrasta alla pianura di Ceprano. Quando lo visitai, ne trovai le viuzze medievalí deserte e silenziose: quasi tutti gli abitanti erano in camPagna a raccogliere le messi; Romanae Errlesíac confiscalae (Copia moderna l4rt, Arc. Caet. An.). Vedi pure cap. LV.
.) E nel medesimo inventario: Infrascriplae sunl possessloet bona lenutae Tunls, et ilomorum ileguaslalae et dírutae Cagelanellae ... guae fuerunt dicli BeIIÍ Cagetani Camerce nes
t)
Cameta,
p. 230,
\ Cl,
pze,
235,
a)
Regesla,
ll' p.
198.
di
copia del
Falvaterra.
GIOVENTÙ DI ONORATO
284
Lib. IV, Cap. XXXIV.
IO
ebbi I'impressione di vedere il paesello come doveva essere stato in quei giorni quando i suoi signori e la popolazione erano fuggiti all'avvicinarsi delle crudeli milizie dei banderesi. Che Onorato, vistolo abbandonato, ne prendesse possesso, mi pare provato dal fatto che il 9 agosto 1369 gli veniva ordinato sotto pena di scomunica di restituire Falvaterra a Francesco di Riccardo da Ceccano, r) il quale ne era proprietario per una metà. Dopo ciò Onorato si rivolse contro il turbolento Giovanni Caetani Palatino, signore di Sgurgola e di Norma e di metà di Ninfa, e contro i parenti di costui. Erano essi una minaccia continua per Anagni, e le prepotenze e le rapine che esercitavano contro tutti sarebbero troppo lunghe a raccontare. Si venne alle armi per le questioni territoriali tra ninfani e sermonetani, sicchè
che già duravano da oltre un secolo, e Ia causa La
peste,
Testamento
di Onorato.
\. \\. \" .?
venne
di Nicola Capocci, vescovo tusculano. 2) Mentre simili discordie turbavano la oìtu d"ll" popo-
rimessa all'arbitrio
lazioni, un male ancora peggiore venne ad affliggere I'ltalia. Si è già ricordato 3) la tremenda strage che la peste bubonica (o, corne si diceva nei paesi nordici, la ,. morte nera u), fece dell'umanità negli anni 1347 e 1348. Alcune nazioni perdettero sino a due terzi dei loro abitanti. L'epidemia per molti anni si mantenne allo stato latente in Europa, ed ebbe due periodi di violenta recrudescenza, I'uno nel 1360-1363 e I'altro qualche anno più tardi. Essa viene ricordata come (< peste dell'anguinaria , da Maffeo Villani, il quale ne morì egli stesso il 12 luglio 1363. Nella sola città di Modena perirono 3600 persone nell'anno 1362. Davanti a così evidente segno del corruccio divino molti si prepararono a morire, ed è perciò che in quest'epoca troviamo numerosi testamenti di persone giovani e perfettaStrada di Falvaterra; fine del sec. XlV, mente sane, mentre invece era consuetudine di dettare le proprie ultirne volontà quando già il prete stava alla porta con i Santissimi Sacramenti. Così, ad esempio, fece Giacomo I da Ceccano, che era perfettamente sano quando testò neli'aprile del 1363,4) ma poco dopo morì probabilmente di peste, mentre il fratello Tommaso, che aveva testato un anno prima, visse per altri vent'anni. Anche Giacoma Orsini, madre di Onorato, probabilmente morì del morbo stesso il 2 lebbraio del 1363 e tu sepolta nella chiesa di S. Francesco di Traetto a) ove, quindici anni prima, I'aveva preceduta il marito Nicolò, colpito dal medesimo fagello. Onorato deve essere rimasto profondamente impressionato dal fatto che la < morte nera > era venuta di nuovo a bussare alla porta di casa e timoroso che anche I'ora propria fosse vicina, quantunque appena ventisettenne e perfettamente sano di corpo e di mente, volle testare; il 26 marco fece venire il notaio nello sfudio della sua dimora baronale. di Fondi, che sorgeva nella stessa località ove nel secolo XV fu eretto da Cristoforo e da Onorato II Gaetani d'Ara-
il
magnifico patazzo, che tuttora si ammira. Tanto era forte il convincimento che la morte poteva essere imminente, che nominò la figliola lacobella sua erede universale, quantunque la moglie Caterina del Balzo fosse incinta e
gona
u) C'informa il Riccardelli (p. 3oe) che nel 155' la fu arricchita di una bellissirna e miracolosa campena al
chiega
{)
Regeslc,
II, p.
303.
2)
Fant. I, p'
377'
3) pse' 274'
cu! suono gli agonizzanti tornavano in vita, ed loso subito ai calmava a)
Reseata,
il
mare proeel'
e le gestanti felicemente partorivauo.
ll, p. 218.
Testamento
[1363]
tra pochi mesi poteva dare vita ad un maschio, come difatti avvenne. Dirò di piir: alla
madre,
morta sette settimane innanzi, stava preparando una bella sepoltura, ma non sentendosi neppure sicuro di poterla terminare, dispose nel testamento perchè le fosse sc,rlpita una tomba honorabilís síoe honorífica et decens e che la cappella ove giaceva fosse chiusa da una cancellata di ferro. La peste lo risparmiò e perciò ebbe la soddisfazione di vedere quest'opera compiuta e sul sarcofago fece scolpire in bassorilievo I'immagine della madre, vestita del saio di terziaria di S. Francesco, con I'iscrizione : ANNo DOMINI 1363. IT FEBRVARII I) OBIIT BONAE MEMORIAE. D. IACOBA D,VRSI COMITISSA FVNDORVM ET TRAIECTI. ANIMA EIVS REQVIESCAT IN PACE. AMEN.
La sua devozione per la rnadre era così grande che per testamento dispose di voler essere sepolto ai piedi della tomba di lei, vestito. dell'umile abito di S. Francesco, e che il proprio corpo vi fosse trasportato da qualsiasi località ove lo colpisse la morte. Anche suo padre Nicolò era sepolto nella stessa chiesa, ma, a quanto pare, in un'altra cappella. il timore di Onorato di una morìa generale in famiglia è inoltre provato dal fatto che volle prevedere tutte le possibili eventualità, anche quella che morissero e ia figlia lacobella e Ia moglie con il nascituro ed'il fratello Giacomo e tutti i figli di costui. Per quanto riguardava Anagni, ordinò che gli zii Rinaldo e Giordano Orsini (sempre supposto che non morissero anche loro) e gli altri tutori ed arnministratori venissero a transazione
"
e concordia con la Chiesa Romana (non so dire a quale proposito) e che, se entro lo spazio di un anno questa non fosse conclusa, assegnava la sua parte di dominio alla Chiesa, sin d'allora rinunziando ai frutti provenienti dalla signoria della città. Da questo si intuisce che egli non teneva il governo di Anagni con spirito di tiranno e per solo tornaconto personale, ma che considerava suo dovere il tutelare e curare il benessere della città, che fu culla della propria famiglia. Del resto egli non aveva più speciale interesse ad affermare il proprio dominio nella Ciociaiia perchè oramai quasi tutte Ie castella della regione erano in mano ad altri rami della famiglia a lui nemici, e convenivagli dedicare le proprie cure alla contea di Fondi ed alle terre della Marittima. L'attaccamento alla vecchia città d'origine rimase vivo nel cuore di tutti i Caeùani, a'qualunque ramo appartenessero, ed è comrnovente rilevare come nel corso di piìr secoli la città e la cappella di famiglia vengono ricordate in quasi ogni testamento con inalterato affetto. Anche della cappella di papa Bonifacio in S. Pietro volle ricordarsi il nostro Onorato. Tali furono Ie sue disposizioni testamentarie. 2) La-morte però lo risparmiò, perchè Onorato era destinato a molte e melnorande imprese. Espugnazione Per quattro anni non abbiamo piìr notizia di lui, ma nel l3ó7, sorta questione con Ferentinc, di Ferentino' egli, unitosi al Cecco da Ceccano di triste iama (oírum detestabílem, sceleratum, Deo et homíníbus odiosum), al cugino Antonio Caetani, signore di Filettino e ad altri di Alatri, Bauco, Frosinone, Vico, Torrice, Veroli e Guarcino, d'improvviso assalì quella città e, espugnata la rocca di S. Giovanni, diede la terra alle fiarnme, distruggendo cosi la biblioteca e I'archivio con tutti i libri e le lettere della curia. Per ordine di papa Urbano V il rettore Ugo di {) È ince*o ge debbasi tecgere !l
oppure I
I
feb.
2) Regesla,
ll, p.
215.
GIOVENTÙ DI ONORATO I"
Lib. IV, Cap. XXXIV.
il Caetani e i suoi confederati, confiscando i loro beni in Ferentino che venne l) concesso in feudo a Giacomo Balzani. Poco dopo Urbano V tornava a Roma, facendo sperare all'ltalia intera che la u cattività di Babilonia ,, fosse finalmente giunta al suo termine. La potenza e I'ardire del giovane Onorato, che rappresentava la casta della nobiltà feudale, gli diedero speranza di trovare in lui un appoggio contro il sistema popolare che vigeva in Roma. Volle quindi dargli autorità e secondarlo anche Bonvillars scacciò
Urbano
V
torna a Roma.
Guerra
con Sezze.
nelle lotte che sosteneva nuovamente contro I'indisciplinato Giovanni Caetani, signore di Ninfa, il quale non aveva menomamente cessato di esercitare angherie e ruberie di ogni genere. Onorato ,i lr" spiegato chiaramente col pontefice, awertendolo di essere ben deciso a difendersi contro il facinoroso parente e a rintuzzarne le prepotenze; Urbano V lo aiutò e, I'otto giugno 1368, 2) ed allo stesso tempo scrisse a Govanni ammonendolo di astenersi da qualunque " novità ,r, ordinò al rettore della Campagna e Marittima di reprimere i ribelli. Il rettore quindi, unitamente ad 3) Addì 20 decembre 1368 Onorato, mosse contro Giovanni ed in breve lo ridusse ali'obbedienza. venne concesso al turbolento barone un salvacondotto per recarsi a Roma, non ostante Ie a) condanne su di lui pendenti, per chiarire certe questioni riguardanti Sgurgola. Da un documento mutilo del nostro archivio del 28 ottobre 1368 sembra risultare che Urbano V togliesse il peso della scomunica gravante su Onorato e sua moglie Caterina del 5) Balzo, punizione inflitta ioro forse a causa dell'aggressione contro Ferentino. Un'""o di ciò si ritrova certamente nella inchiesta che il rettore Ugo di Bonvillars aprì ar pnmr dr gennaro 1369 contro Onorato per essersi egli rifiutato sin dal 1355 a comparire nei pubblici parlamenti di tutti i feudatari convocati dalla Chiesa. Onorato pretendeva di non esservi obbiigato, perchè si ricordava bene che suo padre Nicolò non erasi mai piegato a questo servizio. V"nn"ro interrogati vari testimoni, di cui i piìr vecchi si ricordavano del marchese Pietro e dei ul principio del secolo ayevano sostenuto la guerra contro i Colonnesi; essi accen' suoi figlioli "h" narono alla disobbedienza di Nicolò, ma afiermarono che tutti gli altri di casa Caetani si erano sempre presentati personalmente ò per mez:o dei loro procuratori nei parlamenti. Intanto per la vertenza dei confini e delle acque si era riaccesa la lotta tra i Caetani e la città di Sezze, che finalmente si era liberata della poca gradita ., protezione ,, estesale dalla contessa Gacoma. i sezzesi citarono i comuni ed i sindaci di Sermoneta, di Bassiano e di Terracina per la questione di Campo Lazzaro; per tutta risposta Onorato radunò le sue squadre di fanti e cavalli e, di nottetempo, penetrò nella città. Molti cittadini morirono in combattimento, altri fuggendo per le campagne annegarono nell'attraversare i frumi e piìr di cento furono condotti prigionieri e vennero gettati nelle carceri della rocca di Sermoneta, ove alcuni furono lasciati p"rir" di fu*.. Gli ambasciatori, inviati al conte per la liberazione dei concittadini, furono durarnente accolti e ricevettero minacce di guerra piìr aspra ancora della prima, sicchè la città di Sezze dovette piegarsi alla volontà del vincitore in attesa che giungesse I'ora della vendetta,
6) la quale non poteva molto tardare.
Dal canto suo, Giovanni Palatino, nonostante le punizioni e repressioni subite, continuava ad essere il piìr turbolento e facinoroso dei baroni della regione; da ogni lato gli fioccavano addosso le condanne, compresa la confrsca di tutte le sue terre. Indebitatosi per ingenti somme o) e, poco sicuro di poter mantenere verso i Colonna, frglioli di Sancia Caetani sorella di Onorato, dita con diritto di riacquisto, la meta dei propri diritti su Ninfa. si L'ipoteca fu tolta con atto del Tdecembre l3ó8 e definitiva' parenti era fatro mente con atto dell'aprile llTo (Regesta, ll' pp. 286' 3l7l' d"lta sorelia Margherita, dando in securtà, sotto forma di vens) Panf a) Paal,, t, p. 381 , cit. doc. dell'Arc. Caet. che pitr non eJete' t) Atc. Vat.,6nigo: 6fcudazio ú, eit. Zopp., I, p. 528. ', 5) p' 72' p' LXY' Mot' a) 281' tl, Resesto, A. Atc. CoI., LXViI-27. l, p. 382. ')
.) per far
fronte a queste obbligazioni Ciovanni Palatino
prestare ó200
fiorini dagli Anibaldi, figlioli e
Attività varie
[1368 - 136e]
287
del vasto territorio di Ninfa, che gli apparteneva per metà, si decise a vendere metà di questi suoi diritti ai cugini Onorato e Giacomo che possedevano I'altra metà della terra. Urbano V, a cui conveniva che Onorato si rafforzasse nel territorio deila Marittima, con bolla del 19 maggio 1369, gli diede licenza di eseguire detta vendita e, perchè le trattative potessero svolgersi liberamente, ordinò al rettore Ugo di Bonvillars di sospendere qualsiasi azione contro Ciovanni e di consentirgli di circolare impunemente per lo stato sino al giorno 29 settembre. II 20 giugno Onorato nominava Giacomo Simone, detto < de Magistro ", di Traetto, suo procuratore e, cinque giorni dopo, convenute le parti davanti all'ameno rnonastero di Valvis"iolo, situato tra Norma e Sermoneta, si stipulò fra queste I'istromento di vendita di metà dei diritti su Ninfa per la somma di 10000 fiorini d'oro, di cui 6200 vennero pagati ai Colonna
il
possesso
il
debito contratto da Giovanni. Così i Caetani di Fondi entrarono nel possesso, nel dominio e nella giurisdizione di detta metà e fu stabilito che i Palatini non potessero alienare I'altra metà dei loro diritti (ossia I'ultimo quarto della terra), senza prima offrirla ai Caetani di Fondi.4 Il pascolo rimase in comune ed il conte si riservava la facoltà. di riparare le mura ed altri edifizi, rivalendosi per
per
Vendita Ninfa.
di
l) metà delle spese sulle entrate degli altri condomini' Er"guita la vendita, tutti i creditori e la gente danneggiata da Giovanni reclamarono ad alta voce di essere pagati, ed egli, che nutriva buoni propositi di pentimento, si trovò costretto a soddisfarli. Nel ,nurro dell'anno seguente Giovanni spirava e vedremo nel capitolo XXXVII i confitti che nacquero tra i figlioli di lui e Onorato per il possesso di Ninfa, conflitti che poi condussero alla totale e permanente distruzione di quell^ bella e ridente città medievale. " di il potente Onorato intanto andava occupandosi anche delle cose di religione. ll7 mano 1274 S.Reliquie Tommaso d'Aquino. era morto San Tommaso d'Aquino in Fossanova ed era stato ivi sepolto. Grandissima era la venerazione per le reliquie del santo che di continuo emanavano grazie e miracoli. Onorato, verso I'anno l-367, d'aciordo con I'abate di Fossanova, fece esumare la salma e raccontano i testimoni che all'atto d'aprire ili sarcofago si diffuse un dolcissimo profumo. Tanta fu la pietà che riempì I'animo Jel giovan" conte davanti a sì palese manifestazione della grazia divina che,
potesse essere rapito dal solitario monastero, volle a tutti i costi ii "orpo a Fondi nel convento dei piredicatori. Non saprei_ dire_ se anche in ciò I'abate di Fossanova; è certo però che tale modo, alquanto autoritario'
temendo forse che
fosse traspoftato
forr"
"onr"nziente nel dispone della santissima reliquia, non passò senza contrasti ed infatti nacque subito acernel 1368 bissima lite con i monaci cisterciensi. Urbano V troncò la questione con assegnare le reliquie ai domenicani di Tolosa. 2) Forse a comporre I'incresciosa vertenza avrà giovato il fatto óe, dopo i ripetuti trasporti ed ínoentíones corporís, finirono per essere due le teste di S. Tommaso che si veneravano, una in Tolosa e l'altra in Piperno. b) SapDurante i dieci anni seguenti non troviamo quasi piir notizia alcuna di Onorato. piamo solo che, sempre più crescendo in potenza, venne ad atteggiarsi a capo del partito dei documento non dice esplicitamente che la metà venduta fosse la metà dei diritti su Ninfa o la metà di tutta Ninfa; ma la guestione è chiarita nell'atto del 30 nov. l37l e nella bolla di Clemente VII, in data 22 novembre l?7E, in cui è detto che il condominio, in seguito alla divisione ereditaria tra
o)
It
tla a
i frgli e i nipoti di Pietro ll, per tf aa Giacomo e per t/, ai Palatini, e quindi rimane certo spettava per
Onorato'
che nella presente vendita Giovanni efettivamente alienava sol' r) Rcscsrc,
ll, pp.290-295. \
Btooio,
tanto
l/, de' suoi diritti, osia unquarto della
det castellorimasto loro,
i
Palatini
terra. Sul quarto
nel l37t (nar' l5)
contrassero
fiorini e, non avendolo potuto ripagare, t/. della metà del catello fu venduta all'asta per looo fiorini, il un mutuo di
aOOO
giudice avendo stimato che I'intera metà valeva circa 24000 fiorini (Prg. 3021). b) L undici ott. t369 acquistava da Roberto di Sonnino una cointeresenza sul castello
di
XlV, p' l3ó3, ert' Pant'I'p' ,E?t Mor" I)(XVII'p'
Sonnino (Regesta,
ll'
Il' p. 305).
GIOVENTÙ DI ONORATO
Lib. lV, Cap. XXXIV.
IO
i
quali miravano ad abbattere il reggimento popolare vigente in Roma. Ivi possedeva egli il palazzo suli'lsola Tiberina, in prossimità della chiesa di S. Bartolomeo. Suppongo che al pari degli altri baroni in Roma, egli vi si rafforzasse e cercasse di creare un quartiere ben munito che si stendesse anche al di là del ponte Quattro Capi. Infatti, il giorno B gennaio 1376, il suo procuratore Giovanni de Ctnthiís comprava da Paolo del fu Angelo Malabranca tutto un gruppo di caseggiati, cott una torre e gli adiacenti orti, i recinti e Ie rovine romane, volgarmente detto La Penna, posto in regione di S. Angelo in Pescheria, in contrada Piscina, presso I'arco dei Calcari. l) Il Marchetti-Longhi, nel suo studio topografico di questa regione, 2) dimostra che queste case si trovavano di faccia all'odierna chiesa di S. Caterina dei Funari, lungo il vicolo di S. Angelo in Pescheria, e che la torre in questione era probabilmente queila detta < de Merangoli n davanti allo sbocco della odierna via Michelangelo Caetani su via dei Funari. nobili,
*
:9
Urbano
V.
Suo ritorno
in
Roma.
13
Intanto volgeva alla sua fine Ia cattività di Babilonia. Il 12 settem&e 1362 era morto Innocenzo VI e dieci giorni dopo si aperse il conclave che ognuno prevedeva sarebbe stato tempestoso; perchè divisi erano gli animi dei componenti il sacro collegio. Per guadagnare tempo i cardinali ricorsero all'espediente di disperdere nel primo scrutinio i loro voti, ma uno strano caso volle che 15 su 20 di essi cadessero sul meno sospetto dei cardinali, cioè su Ugo Roger, fratelio del defunto Clemente VI. I-a costernazione dei principi della Chiesa per I'involontaria elezione fu piacevolmente dissipata quando il neo'àletto, tutto intimorito, si ricusò d'indossare il pesante rnanto di S. Pietro. In sua vece venne nominato Guglielmo de Grimoard, nunzio apostolico in Napoli. Il nuovo papa, che prese il nome di Urbano V, fu, in vero, uomo di mente elevata, ed ogni suo atto fu ispirato a profonda pietà e modestia. Sempre era vestito dell'abito di monaco e ogni notte si coricava sul duro pavimento senza spogliarsi. Ben presto concepì la necessità di ricondurre la Santa Sede a Roma e ciò egli fece contro tutte Ie pressioni esercitate dal re di Francia e rimanendo sordo alle suppliche dei cardinali. Fu indotto a sì grave atto non tanto dalla poca sicurezza del contado venassino, infestato da bande mercenarie, quanto dalle preoccupazioni che il patrimonio di S. Pietro in ltalia potesse divenire preda dei potentati della penisola, se I'assenza dei pontefici da Roma si fosse protratta più a lungo. Al|anarchia, dilagatasi nuovamente dopo il tribunato di Cola di Rienzo, aveva bensì messo riparo il potente legato cardinal Albornoz che, nello spazio di quattordici anni, con le armi in mano, aveva dcondotto all'obbedienza tutte Ie tene della Chiesa; in prova di ciò, dicesi, inviò al papa un canetto carico delle chiavi consegnategli dalle città. Ma infuriava ancora. Ia guerra contro Bernabò Visconti, il quale senza pietà massacrava gli ecclesiastici ed aveva costretto un disgraziato prete a scagliare, dall'alto d'una torre, I'anatema contro Innocenzo VI ed i cardinali.3) Uno spirito d'indipendenza faceva fremere I'ltalia, e Ia presenza del pontefice era indispensabile perchè non andasse perduto ad un tempo il prestigio ed il potere temporale dei papi. Il 4 giugno Urbano V sbarcava a Corneto (Tarquinia), ma erano appena spente le grida di giubilo, con il quale era stato accolto, che gli si prospettarono le difficoltà della r) Arc. Vat., protoc. del not. Stef. dc Scambiie. Aec. S, Ane. in Pescheria, t-9
î) Arc. S. P., XLll.
')
Greg., Lib.
Xll.
Ritorno dei papi a Roma
F362 - 13771
Il 5 settembre il
democratico popolo di Viterbo, esasperato dalla tracotanza dei cortigiani francesi, tumultuò minaccioso. Roma apparve al pontefrce deserta e selvaggia: crollati erano i tetti delle basiliche, immonde le strade; gli appartamenti vaticani, ripuliti ed accomodati alla meglio, ispiravano sgomento al ricordo del suntuoso palazzo di Avignone. La città, retta dal governo popolare dei banderesi, si diede in potere al papa come guiderdone per il suo ritorno; ma dopo breve spazio di tempo i romani, sempre insofferenti del governo autoritario di colui che volevano regnasse in mezzo ad essi, cominciarono ad agitarsi. Dopo che si fu spento il superuomo Albornoz, sembrava che I'intero edifizio si disfacesse; urbano si sentiva uno straniero in terra nemica e, sollecitato incessantemente dai prelati francesi, decise finalmente di far ritorno ad Avignone. La visionaria Santa Brigida non errò nel predirgli Ia morte se disertava la tomba di S. Pietro; di fatti, pochi mesi dopo il suo ritorno in Provenza, spirava in casa di suo fratello, ove si era fatto trasportare per umilmente terminare I'umile e santa vita. Il successore Gregorio XI, eletto il 30 dicembre 1370, si trovò davanti lo stesso dilemma che aveva travagliato Urbano V: o tornare a Roma o perdere il potere temporale della Santa Sede in ltalia. Durante I'inverno del 1375 divamparono rivolte in ogni parte dello stato pontificio ; i rettori della Chiesa venivano scacciati ; Bernabò Visconti soffiava nelle fiamme; Santa Caterina da Siena, la cui voce si elevava al di sopra del frastuono delle discordie civili, inviava pietosi appelli garantendo che all'awicinarsi del pastore i lupi sarebbero diventati agnelli. Gregorio XI, malgrado la penuiia di denari, decise di partire (17 set. 1376). II mare, di continuo in tempesta, lo ricacciò nei porti della Riviera, quasi dando ragione ai cardinali che erano in lagrime. Finalmente il 16 gennaio la nave che portava il pontefice, risalito il Tevere, lo sbarcava alle porte della veneranda e decrepita basilica di S. Paolo. L'indomani avvenne I'entrata trionfale ed il papa cavalcò sotto il baldacchino, circondato dal senatore di Roma e dai grandi baroni, tra cui si osservava Onorato Caetani, conte di Fondi, sincero e autorevole amico del pontefice. l) Le grida di giubilo, come al solito, echeggiarono per le vie di Roma lungo il tragitto sino a S. Pietro; la città era tutta pavesata a festa, ma nel fondo dell'animo i romani, riluttanti ad abbandonare il ripristinaio regime democratico, gli erano ostili. il popolo voleva avere il papa a Roma perchè ne traevano lustro ed immensi vantaggi materiali, ma allo stesso tempo ne diceva male e non voleva subime il governo; tale strana contraddizione fu, a traverso i secoli, una caratteristica dei cittadini dell'Urbe. Per questa latente ostilità il governo assoluto della città non fu rimesso completamente nelle mani del pontefice. La nobiltà invece, il cui spirito animatore era Onorato Caetani, si strinse intorno a Gregorio XI nella speranza di schiacciare la democrazia romana. Nel febbraio del 1377 Onorato, con il suo solito ardire e con I'energia che gli era propria, cercò di risolvere Ia questione con un colpo di mano. Congiuratosi con Giacomo Savelli ") tentò di rovesciare il regime popolare, penetrando in Roma con 400 uomini armati, ma il popolo si levò a rumore onde i due baroni dovettero allontaùarsi dalla città ed il papa, rifugiatosi in Castel Sant'Angelo, ebbe gran paura.2) È arr"i probabile che il papa sia stato consapevole di questo colpo di mano: sentendo il malanimo dei romani, nel maggio di quell'anno cercò un più fresco e piir tranquillo sogsituazione.
o)
ll
t)
Grcs.,Yl,p.470,
Greg.
Domus,
l,
37.
Yl, p. a74,
dice Luca Savelli. 1) Doc. dì S,or.
1., Vl, p.349; BìbL Naz. Fitenze,
cod.
XXV-19.
Gregorio
XI.
GIOVENTÙ DI ONORATO
Lib. IV, Cap. XXXIV.
IO
giorno in Anagni, di cui era podestà ed ove senza dubbio venne ospitato da Onorato signore della città, nell'antico palazzo di Bonifacio Vl[. Ivi rimase sino al 5 di novembre. Grande era la frducia che Gregorio XI nutriva per il conte, a cui affidò la carica di rettore della Campagna e Marittima e grande la loro intimità. Il pontefrce si trovava in penuria di denaro; per far fronte alle spese del viaggio da Avignone aveva dovuto prendere in prestito 30000 r) Quindi, mettendo a frutto I'amicizia frorini dal re di Navarra e 60000 dal duca di Angiò. e I'intimità col conte, si fece prestare una larga somma di denaro, alcuni dicono 12 000, altri 20000 fiorini 2) che poi, come vedremo, furono cagione di molti mali. Prima di partire da Anagni, il 2 di novembre, riprese in grazia Maria da Ceccano, moglie del defunto Bello Caetani, e i suoi frglioli i quali erano stati privati dei loro feudi per la ribellione del padre. Suppongo che tale grazia sia stata concessa per la generosa intercessione dello stesso Onorato, Ioro antico nemico: perchè, se egli si fosse opposto, certamente il papa non avrebbe acceduto alle suppliche della vedova. A podestà di Anagni confermò Bernardo Lauraboni, milite
d'Autun.
3)
Intanto Gregorio XI ogni giorno piir andava accorgendosi che le belle speranze, che aveva nutrito nel partire per Roma, svanivano per le difficoltà materiali e per-il malanimo degl'italiani; onestamente adoperatosi per porre riparo ai mali della penisola, che i suoi legati e vicari non avevano saputo superare, invece di gratitudine, non suscitò che rancori e discordie. Si pentì del grande sacri6cio compiuto lasciando la quiete ed il dolce clima di Avignone e ben volentieri vi sarebbe tornato se il male che si era impossessato di lui, non gli avesse tolto Ia possibilità
di
disertare Roma. Mentre rantolava sul letto di morte, una febbrile agitazione commosse tutta Roma; oi;nuno sentiva che si stava alla vigilia di grandi eventi. E Gregorio stesso, nella lucidità dei suoi momenti estremi, vide balenare davanti agli occhi il fantasma dell'immane scisma che, alla sua morte, doveva fatalmente straziare Ia Cristianità' ll 27 marzo 1378 sPirava.
t\ MoIIat, p.
127.
)
Depo:iz. di Tom, d'Accrno, cit, Valok,
l, p.77.
Zapp.,
I' p'
537'
Caprrolo XXXV.
PRIMA FASE DELLO SCISMA. (1378 - 1379)
u
Stemma
di
Urbano V.
primi giorni di aprile del 1378, in seguito alla morte di Gregorio XI, si apriva il conclave che, con la elevazione di Bartolomeo Prignano al trono pontificio, doveva condurre al grande scisma che straziò.I'ltalia e la cristianità per quasi mezzo secolo. La questione che piùr di ogni altra agitava gli animi era la nazionalità del futuro eletto; se francese, voleva dire che si sarebbe rinnovato I'esilio di Avignone; se italiano, era assicurata la per- . manenza del papa a Roma, e ciò il popolo manifestava gridando ad alta voce ai cardinali z ,, Romano Io oolemo o ltalíanol , La pressione sul sacro collegio minacciava di cambiarsi da un momento all'altro da morale a materiale. I sintomi erano già manifesti. Difidando dei nobili, il popolo
li aveva costretti ad allontanarsi da Roma, ciò che molto rincrebbe i quali,
temendo la furia della plebe, avrebbero voluto che due potenti baroni, Onorato di Fondi ed il conte di Nola, quali dignitari della Chiesa, avessero avuto la custodia del conclave. Ma il popolo aveva ottime ragioni per non fidarsi di loro e per non volerli attorno, ben ricordandosi del colpo di mano
ai
cardinali
i
che Onorato aveva ordito contro il regime popolare nel febbraio dell'anno precedente. In tali condizioni poco rassicuranti, i cardinali si consigliavano con Onorato al quale irolti di essi erano legati da vincoli di amicizia; pensarono di far venire mercenari bretoni per loro guardia personale, ma lo stesso Onorato li dissuase per timore che, all'annunzio dell'arrivo l) di quelli, il popolo si abbandonasse a qualche eccesso contro il sacro collegio. ll conclave si svolse in mezzo ai tumulti ed alla confusione: mentre i cardinali delibera-di vano, il popolo batteva alla porta con le punte delle lance. Finalmente (8 apr.) la scelta cadde sul napoletano Bartolomeo di Prignano, arcivescovo di Bari, ma il popolo, per una falsa voce corsa, credette che I'eletto fosse il romano Tebaldeschi e giubilante irruppe nel palazzo; ciò intimorì tanto il sacro collegio che, non osando lì per lì disilludere il popolo, in fretta e furia rivestì il vecchio Tebaldeschi del manto e della tiara pontificia e permise che fosse acclamato e venerato. Passata la burrasca, fu svelata la commedia ed il Prignano salì sul trono ')
Vslois,
l, p.
13
Elezione
urbano Vl'
PRIMA FASE DELLO SCISMA
292
(18 apr.), assumendo
Congiura dei cardinali dissidenti.
il
nome
di Urbano VI, non
Lib.
tv,
cap. XXXV.
senza qualche dubbio sulla validità della
sua elezione. La scelta era stata poco felice. Urbano era uomo di natura sgradevole, intransigente e privo di tatto; inorgoglito dalla inaspettata elevazione, usò subito modi altezzosi e nel primo concistoro parlò con tanta durezza ai cardinali che ne indispose l'animo; rpeiiul*"nte offesi rimasero quelli ultramontani. Si maturava già una congiura di palazzo. Non appena giunse in Roma il cardinale Giovanni de la Grange, campione del re di Francia, cominciarono nella sua casa in Trastevere conciliaboli segreti dei malcontenti e tra essi si poteva notare il conte di Fondi. l) Questi era francofilo d'animo e Urbano se I'era subito reso nemico, trattandolo scortesemente e rifiutando di voler riconoscere come debito della Chiesa I'ingente prestito in denaro che Onorato aveva fatto a Gregorio XI ; per di pitr gli tolse la carica di rettore della Campagna e Marittima per investirne Tommaso Sanseverino, nemico personale del conte. 2) Alla fine di maggio il piano escogitato dai malcontenti era maturato ed i cardinali francesi dichiararono ehe i'aria in Roma era insalubre e che perciò volevano andare a godersi il fresco in Anagni, dove il conte di Fondi li invitava e dove infatti li ospitò nei magnifici palazzi dei suoi antenati. In tal modo Onorato si dichiarò apertamente per i dissidenti e, sicuro di poter far fronte agli eventi diventò loro protettore e, piir che fautore, fu uno dei principali istigatori del nefasto scisma. Già si era messo d'accordo con la regina Govanna e I'autore di una interessante cronaca manoscritta del nostro archivio c'informa che: u) I-a rcgina a persuasione di Mco/ò SpíneIIo dottore in legge, detto Nícolò di Napol| pensò aooalersi dell'occasione dell'odío, che portaoano Ií cardínalí a papa Urbano VI ; e fare che eligessero un altro sotlo pretesto di haoerlo creato per forza, e per tímorc del popolo Íomano, et elesse per mínístro dí questo suo pensíero Honórato Gaetano conte dí Fundí, iI quale era stato molti anní et era ancora gooernatare de Roma per Ia Sede Apostol.íca; mandò dunque Nicolò Spínello a chíamarlo, iI quale con un galeone andò, e lo condusse a Napoli, ooe íntesa Ia oolontà de Ia rcglna, tornò dlle sue terre e tennc tal prattica secreta con It cardínali che a un tempo si par!írono tuttí dall'ubidíenza dí papa Urbano, eccetto uno, che erc cardinale di Santa Sabina. b) La situazione maturava rapidamente. Poco tempo dopo che i cardinali dissidenti si furono stabiliti in Anagni, li raggiunse Pietro de Cros, arcivescovo di Arles, il quale, da uomo previdente, era riuscito a portare seco parte del tesoro pontifrcio e, più precisamente, quegli arredi sacri di cui vi sarebbe stato bisogno per incoronare il nuovo papa. Ai primi di luglio il distacco diventò palese; il 3 del mese era giunta notizia in Roma come íI conte di Fonda à corso Anagní per sud in dtspetto del papa; e son ad Alagna diecíe cardínali. ' Questi, pel tramite del conte, chiamarono presso loro truppe mercenarie bretoni e guascone Ie quali, passando vicino a Rorna, furono scontrate non molto lontano dal ponte Salario dalle milizie del popolo romano, fautore, come è naturale, delpapa italiano; i mercenari subirono una grave sconfitta (16 lug.).
a) 4rc. Cae!. Misc., n. 324, lC- lO0Zl, copia eseguita il marzo 1773 su un codiee della metà del sec. XVI che, in pesimo stato, si trovava nelle maai del libraio Acobelli. Sono carte 261; ab anno 1307 ad 1458. Il C'regorovius si è yalso molto di questo MS. nella sua GescÀrtÀle ìlet Slailt
et
Rom.
ín tuilo fo delermînato farsi lo Papa a Fundí etc,
b) E così pure nei diurnali del
I
\
Vqlots,
I, p.
71.
2)
MqL,
lil-ll,
col,726t Sin.l., p. 155.
... et
fo
Dua di Monteleone: (p. l4).
detemìnato che Io conle de Fundí
oenesse
ala rcgína
da parle de Ia rcgína messet Nícola de Napole con una galea, et uno galeone, Et allí 2i de junío oenne lle doe fusti da Fundí con lo conle, el messer NÌcola de Napole, and.once
')
Doc. Slot It.,
Yl, p. 361.
[18 apr.-20 set. 1378]
Elezioni del papa e dell'antipapa
293
Era tempo ormai di gettare la maschera. Il 20 del mese i cardinali dissidenti scrissero ad Urbano VI, invitandolo ad abdicare e dichiarando che coniideravano illegittima la sua elezione perchè i propri voti in seno al conclave erano stati estorti sotto minaccia del popolo tumultuante. l) Ii 9 agosto, in numero di tredici, uscirono processionalmente dal palazzo Caetani e si recarono alla vicina cattedrale ove solennemente dichiararono invalida e nulla I'awenuta elezione. Onorato fu deputato ad esecutore delle disposizioni del sacro collegio come Ia persona piìt sícura ed ídonea per I'esecuzione di tutte le cose che aorebbe decíso di fare.2) Luigi d'Angiò, appena conosciuta la deliberazione presa e ricevuta Ia lettera, che i cardinali gli inviarono il 15 di agosto, scris$e personalmente a Onorato Caetani chiedendogli di ospitare, sostenere e nutrire il sacro collegio ne' suoi stati, perchè in Èreve spazio di tempo si potesse mettere un termine alla protratta vedovanza della Chiesa. 3) Per maggiore sicurezza e per essere piìr liberi di fare come piaceva loro, i cardinali decisero di accettare I'ospitalità e Ia protezione che il conte offriva nei propri feudi del napoletano. La numerosa comitiva di prelati, scortata da Onorato con forte stuolo di gente d'arme, discese per la valle del Sacco e hù*-fu accolta con grandi rnanifestazioni di letizia daila popolazione di Fondi, ove i principi della Chiesa furono ricevuti con tradizionale magnificenza nel palazzo del conte. Questi si dimostrò tanto largo e generoso, mantenendo a sue spese non solo i cardinali ma tutto il loro seguito, che Clemente VII piìr volte si compiacque di rievocare nelle sue bolle I'ospitalità di cui aveva goduto prima come cardinale e poi come pontefice.
Urbano VI dichiarato papa illegittimo.
r#i
scismatici furono raggiunti in Fondi da tre cardinali italiani Stemma di Clemente VII' e, riunitosi il conclave nel palazzo Caetani a) il 20 settembre fu eletto Museo calvet ir Avignone' Roberto di Ginevra, il quale prese papa il guercio e zoppo ""rdioul. alla incoronazione vennero Ad assistere VII. il nome di Clemente I'ambasciatore della regina Giovanna, il principe di Taranto nonchè Ottone, marito della regìna e fratello di Baldassare Brunswick - Grubenhagen, col quale Onorato aveva aperto trattative
Gli
in
moglie la propria frgliola lacobella. Il pontefice scismatico, ornato della tiara e degli altri paramenti sacri, che il previdente arcivescovo di Arles aveva portato seco da Roma, fu consacrato ed incoronato il 3l ottobre, seduto nell'abside della chiesa di S. Pietro su quella antica sedia di marmo fregiata di mosaici che ancora si conserva nella sacrestia; essa fu ornamento e oggetto di curiosità per quasi cinque secoli, finchè Pio IX, fermatosi a Fondi al tempo della sua fuga a Gaeta (184S), diede ordine che tale penoso rlcordo fosse rimosso in luogo meno onorevole, ove ora giace trascurato ed in
per dargli
pietose condizioni. Il nuovo pontefice, dopo breve soggiorno in Fondi, si recò ad Anagni unitamente ai cardinali, e ivi confermò Onorato conte e rettoie della Campagna e Marittima, con privilegio ereditario, e lo nominò capitano delle truppe che militavano al servizio della Chiesa. Ma temendo insidie da parte del rivale, dopo poco tempo fece ritorno a Fondi, scortato dalle milizie bretoni
e da una schiera di armati che gli aveva inviato la regina Giovanna. 5) Viva fu la riconoscenza di tutti per I'appoggic dato dal Caetani. Piìr volte Luigi d'Angiò scrisse ad Onorato per ringraziarlo dell'aiuto e della protezione accordati alla Chiesa in ora t)
Moilene
MS, XXX-174.
p. 356; Mut','Xlll-l' p. 17' fr Durand : Vet. Script. et M"n., VII, col. 433') Rssn., Yll' 6) Zopp., I, p. 538. a) Mur., Ill-ll, al.73l. f. lb, cit. I/o/oís, I, p. 150.
acta.
8) Bibl. Borb.,
Elezione di Clemente VII.
PRIMA FASE DELLO SCISMA
Lib. IV, Cap. XXXV.
così difficile e peric.olosa e non esitò di dire: /esù Cristo, come'è da credere piamente, attaccò queslAncora aIIa naoicella di Pietro, afinché, galleggiando sulle onde del mare, fosse aíutata
e líberata dal turbine della tempesfc. l) Non meno riconoscente fu Clemente VII, il quale ad un tempo riversò su di lui molte grazie e duramente cercò di colpire i parenti del conte a lui avversi. Giacomo, fratello di Onorato e condomino di Sermoneta, di Bassiano, di San Felice e di metà di Ninfa, sin dai primi giorni si era schierato dalla parte di Urbano VI, unitamente a Bonifacio, Francesco e Pietro Caetani, conti palatini, signori di Norma e Sgurgola e condomini di Ninfa. Clemente VII senz'altro li dichiarò decaduti dai feudi perchè ribelli alla Chiesa e, per dar maggiore veste giuridica a tale atto, fece riesumare la vecchia causa conseguente al perfido testamento del 1330 di Francesco Caetani, tesoriere eboracense, 2) affermando che le disposizioni testamentarie a favore della Chiesa non furono osservate dagli eredi di Francesco, e che perciò le terre di Bassiano e Sermoneta rimanevano devolute alla Camera Apostolica. Faccio osservare che uguale ragio-
ad
Gratitudine
vefso onofato.
essere sottratta
a danno di Onorato ! Quindi con varie bolle, in data del 22 novembre 1378,3) dichiarava Giacomo e gli eredi di Giovanni Caetani Palatino decaduti dai feudi e donava queste terre in enfiteusi ad Onorato conte di Fondì, della Campagna e Maríttima, in compenso dei molteplici e straordinari servizi prestati a pro' della Chiesa. Abrogò altresì le ordinanze apostoliche per cui nessuna donna di Casa caetana poteoa succedere ín dettó castello di Ntnfo, e ciò fece per favorire Iacobella Caetani che, tra poco, doveva andar sposa a Baldassare di Brunswick. Il pontefice si compiacque a specificare nelle bolle la sollecitudine e liberalità illimitata usata da Onorato verso il sacro collegio, tanto in Anagni che in Fondi, durante il corÍclave,
namento potevasi applicare
S. Calerina da Siena.
e figliolo nutrito dallo
latte della Chiesa. ") A tanto strazio della Chiesa non voleva piegarsi il nobile animo di Caterina da Siena. Ella, che tanto si era adoperata per far ritornare il papa da Avignone a Roma, vedeva ora crollare a precipizio tutti i progetti di riforma nei quali aveva avuto ragione di sperate. Non si diede tregua e con la parola faconda, con le appassionate lettere sue andò esortando e principi e cardinali perchè curassero di ripristinare la pace nell'ovile della Chiesa. Non si stancò mai d'incalzare i suoi argomenti, non solo con la preghiera e con la persuasione, ma anche con la minaccia del castigo divino. Tra le altre scrisse una lettera al conte di Fondi di cui conosceva il profondo sentimento religioso; manca la data, ma dal tenore di essa si arguisce che fu scritta verso la fine di novembre del 1378. In essa diceva :
ed
affettuosamente Io chiama hercs domínícus
Al
nome
di
Gesù Gísto Crccifisso
stesso
e dí María dolce.
Crísto dolce Gesù. Io Catafina, sen)a schiaoa de' seroi di Gesìr prezíoso sangue suo; con desíderio dí oederoi oero laooratore della oígna delGisfo, scríuo a ooi nel I'aníma t)ostra, accíocchè rcpportiale il molto frutto al tempo della rícolta, cioè nel tempo della morte, nel quale ogní colpa è puníta e ognì bene è rimunerato. Carissímo padre e
fratello ín
a) Nos lelanles ín te fideÍ íutamenlum, iuslícíe zelum, afruen' píelalîs afabíIìtatem beneoolam, beneficenlíe bonÍtalem et círcumspeclionem ínilusbíe deoolíone nuilíplíce teppertsse cura
!íam
luam meilo dígnís honoríbus extollend.am, ín nobís ìlíIectÍo quan apud íllum caíus oíces ín tenís gerímus tíbí oelut heres domînícus oenclícasli. Pensantes ígílut
peÍsonam
exuberat
\
íIIa
Vslok, l, p.
157.
\
CÎ, pac'
223.
I
quoiÌ exlollílur honot malrís ecclesíe de huíusmodí
fiIío a
suÍs ube-
ibus dependente quoilque rlsÍus sfafus prcemlnenlìa ín eíusilem malrts ceda! exaltotíonís augmentum, te íntet nosba ptecofulía
aìl hoc precípuís sluàíís íntendentes ut tua fidelíIas felícíbus auspîcíís exallelw tlbîque claríus pateat ardentls aîeclus aposlolíca pleníIuilo (Prg. 2505).
suscepÍmus
Prg. 2000' 2O3O e 2505'
[2O set.-29 nov. 1378]
lntervento di S. Caterina da Sieo.
295
Così prosegue nella sua*allegoria dellaflvigna esponendo ad Onorato il pericolo che egli corre, se si rifiuta di seguire i precetti di Cristo, ed il danno che egli cagiona ad altri. Vieppiir precisando in questo parlare simbolico, rivolge a lui direttamente la parola ed esclama:
O
ín che stato trooate e oedete Ia oígna oosba. Doglíomi infino aIIa morte che ìl tÍranno del libero arbítrio o'ha falto dì gíardíno che gettaoa esempio dt otrtù e di oerità e lume di fede ora I'ha peroertíto di giardíno ín bosco. E che frutto di oita può fare, essenilo ooí taglÍato dalla oerità, e fattone perseguítatore, è dilatare la bugía; trattane la fede, e messali Ia infedeltà? E perchè oí faÍe male di morte? Per I'amore che aoete alla propria sensualità, e per sdegno conceputo contro ìl Capo oostro. E non oedíamo noi che 'l sotnmo Giudíce non dorme sopra dí noi) Come potete ooi fare quello che non dooete fare, contra íl Capo oostro ? Come se oerità fosse che papa Urbano VI non fosse ùeramente papa ! ... E se ooi mí diceste: u A me è stato ríportò íl contrarío, che papa Urbano VI nonsiain oerità sommo pontefce ; ío rsì rispondercí che ío so che Dío oí ha dato lanto lume che, ,se r)oi non oel tol" lete con la tenebra dell'íra e dello sdegno úoí cognoscerete che chi 'l dice, mènte sopra 'l capo suo e sè medesimi sí fanno menzogneri, ritrattando quella oerítà che hanno porta a noì, e porgonla ín bugía. Ben so che cognoscete chi li. ha mossí quellí che tenelano luogo dí oeútà, posti per dilatare Ia fede: ora hanno.contaminato Ia fede e dinegata Ia oerità; leoata tanta scisma nella santa Chíesa, che degní sono di mille mortì. Trooerete clrc non gli ha mossi altro che guella possíone che ha mosso ooí medesimo, cìoè I'amore proprio, che non potè sostenere la parola, nè reprensione aspra, nè la príoazione della terra, ma concepette sdegno, e parturì il figliuolo dell'ira. Per queslo sí prioano del bene del cíelo, essr, e chÌunque fa contra questa oerità, Le ragioni che si possono oedere a manifestazíone di questa oerílà sono sì piane e sì chiare e sì manífeste, che ognì persona bene idiota le può íntendere e oedere; e perb non mí dístendo a nanarle a r)oi, che so che sete di buon cognoscimento; e cognoscete Ia oerità di quello che è. E così la carissimo padre, oogliate conoscere
teneste, confasaste, e faceste ríúerenzía. Increscemí ch'io oeda tanto ínsaloatic,hita I'aníma ooslra, che faccía contra questa oerità. Come iI pate Ia coscíenzía oostra, che ooi, ìl quale sete ststo il figliuoto obediente e sooúenitore della santa Chit-sa, ora abbiate
S. Caterina da Sienal
S.t"to" sepolcrale ^ .ins'MariasopraMinerva'Roma'
rícettulo riftlto seme che non produce altro che frutto di morte? E non (Isaía da Pìsa)' tanto che dia morte a ooi; ma pensate a quanti sete cagitne, aalZ"t^'t e del corpo; de' qualÍ oi conoerrà render ragíone dínanzí al sommo Gíudice. Non più così, per I'amore dt Dio ! Umana cosa è íI peccare, ma la perceoeranzia nel peccalo è cosa di dimonío. Tornate a ooí medesimo, e ricognoscele 'l danno dell'aníma oostra e del cotpo: chè Ia colpa non passa impunita, massímamente quella che è fatta contra Ia sanla Chíesa. Quesfo sempre s'è odulo. Però oí plego, peî amote del $angue che con tanto fuoco d'amore fu sparso per t)oi, che umilmente torniate aI padre oostro, che oí aspetta con Ie braccia aperte, con gran benígnítà, per fare miserícordia a rsoí e a chíunque la oorrà riceúere,a)
Poi
prosegue nella sua allegoria per indicare
la via di
salvamento
e
frnalmente conclude:
Adunque oi prego, che umilmente con grande sollecitudine torniate a qualo giogo. Cercate iI laooIa oÍgna dell'aníma oostra nella oigna della santa Chiesa: altramente sareste pfioato di ognì bene, e cadereste ín ogni male. Ora è il tempo. Per I'amore dì Dio, escíte di tanto errore; chè, passato íl tempo, non c'è píù rimedío. Tosto ne oiene la morte, che noí non ce n'aooediamo; e sì cí rítrooiamo ratore e
t) Da queste parole giudico che la lettera sia stata scritta prima del solenne atto di scomunica del 29 nov,, e forse la
santa
in
Urbano
questa lettera parla effettivamente
VL
per mandato di
;
:4
I
I
PRIMA FASE DELLO SCISMA
296
Ub. lV, Qíp. XXXV.
nelle moni del sommo Giudice. Duro ei è ricalciharc a lui. Son certa che se sarere oerc lotsoratdre della oigna oostra, ùoi non indugíerete píù a tornare; flKr con grande umiltà ricognoscerete le colpe^oostre dell'ofiesa dí Dio, chíederete dì grazía aI padre che oi rimetta nell'ooíIe suo; Altramente, no. E però oi díssi ch'ìo desíderaoa dì oedenì oqo laooislorc nella oìgna dell'anima ùostîa; e cósì oi prego stretlamenle quaàto so e posso. Ragguardate che I'occhío di Dio è sopra -{i uoi. Non aspettlamo il suo flagello i chè egli oede lo íntrinseco del cuore nostre.
Altrononoìdíco.PermaneteneIlasantaedoIceiIílezíoneiIiDro.|erdonatemi,setroppoo,ho dí parole: che I'ainore ch'ío ho alla salute oo,stra, e íI dolore di oederoi ofendere Dìo e l'aníma iostra, n'è cagíone; e non ho potluto tawe ch'io non oì díca la oerítà, Gesù dolce, Gesù amore.D
ì
graoato
Purtroppo le parole della santa cadevano su terreno reso sterile
da contrasti politici e
da.interessipersonali.Il29apriledell380ellamorivainetàdisolitf€ntatreanniesiafnmutolì guella pura voce, ispirata da Dio, che per un mom€nto squillò lsopra al frastuono delle passioni umane. L) Mlrclalellt
P,:
lrettqc di S. Catcrina do Sicm.
:
.
Capnolo XXXVI.
GUERRA NELLA CAMPAGNA E MARITTIMA. (1379 - I 380)
D un certo momento Urbano VI si trovò completamente isolato perchè abbandonato da quasi tutti i cardinali; riparò all'inconveniente in modo assai semplice, creandone venti in un giorno solo, alcuni romani, di casa Colonna ed Orsini, ed altri napoIetani suoi amici. Allo stesso tempo scagliava Ia solita scomunica contro tutti gli scismatici, dall'antipapa in giir sino al suo piìr
Iniziale d'una bolla di Alessandro del I 178 )
umile seguace. Onorato Caetani fu dichiarato scísmatíco, ribelle, contumace, apostata, bestemmíatore, eretíco e così via, e privato di tutti i suoi feudi, onori e dignità. Ma poichè le armi spirituali erano spuntate e non potevano condurre a risultati pratici, prowide a creare in propria difesa un esercito, assoldando la famosa compagnia italiana di San Gorgio, capitanata dal grande condottiero Alberico da Barbiano, conte di Cuneo, ed a capitano generale scelse (2 nov.) Adenolfo Conti di
lll
Anagni.
2)
Dal canto
suo I'antipapa riuniva un esercito non meno forte, assoldando truppe bretoni comandate dal proprio nipote, il conte di Montjoie, e da Bernardo della Sala: ad esse si unirono Ie milizie di Onorato Caetani, della regina Giovanna, del prefetto di Vico e di Giovanni, Rinaldo e Giordano Orsini. Mentre Urbano VI con romani poneva I'assedio a Castel S. Angelo, rocca di scismatici nel cuore
i
I'esercito di Clemente VII investiva da tutti i lati la città. Come ricorda il Gregorovius, per la prima volta nella storia, dalla merlatura della mole Adriana tuonava il cannone sul Capuf Mundt. L'orbe cristiana assisteva attonita all'immane conflitto spirituale e politico che si svolgeva in piccole azioni di truppe mercenarie intorno a Roma, culla della cristianità. La crepa apertasi in seno alla Chiesa, si allargava a traverso tutto il mondo: Francia, Napoli, Savoia, Spagna e Scozia erano per Clemente VII ; I'imperatore tedesco e gli altri stati parteggiavano per stesso
di Roma,
Urbano VI.
^)
Regesta,
Domut,
I, p,
l, )8,
14.
2) Grcg.,
Y|
p. 496t Arc. S. P., XY, p. 234.
Conflitto armalo
tra
i
due papi,
GUERRA NELLA CAMPAGNA
Giordano Orsini.
Battaglia
di
Marino.
E
MARITTIMA
Ub. IV, Cap. XXXVI.
il potente Giordano Orsini, zio di Onorato Caetani, pur non stacdagli scismatici, venne ad accordi di pace, o piuttosto ad una tregua candosi completamente con il popolo romano. Egli era signore di Marino e di alcune terre sui colli albani, a cui la guerra recava grave danno: dall'altra parte la città di Roma si trovava gravemente imbarazzata, avendo le vie di comunicazione tagliate dalle castella dell'Orsini. Ulteriore movente .per venire ad una tregua era il fatto che un fratello, forse illegittimo, di Giordano, per nome Nicola Brusco, era prigioniero in mano dei romani. Negli accordi presi con i cancellieri, conservatori e vari rappresentanti del popolo, fu convenuto che la tregua durasse sino alla fine di agosto, che Nicola Brusco fosse liberato e che le vertenze personali, per cui Giordano era in guerra con Adenolfo ed Aldobrandino Conti e con i Caetani Palatini, venissero composte da un óuon cittadino îomano. l) Forse in seguito a tali trattattive Giordano Orsini cadde in discordia con i suoi confederati; infatti il 3 di giugno prestava obbedienza a Urbano VI, ma ben presto ritornò ad accordarsi col nipote Onorato, il dannatissimo nemico della vera Chiesa. Nelle provincie romane la lotta tra i due pontefici si iisolveva in un numero di guerriglie intestine; alcune città e famiglie parteggiavano per Urbano, altre, ed a volta membri delle stesse famiglie, favorivano Clernente. Il conte di Fondi mandò le sue milizie e quelle di Anagni e di Veroli unitamente ai guasconi, sotto la guida di Nicola da Ceccano, contro Carpineto, feudo che apparteneva ad Adenolfo e ad Aldobrandino Conti, probabilmente in virtùr di ipoteca per la dote della madre Francesca da Ceccano, cugina di Nicola. Costui invase ed occupò la città con 300 cavalieri e pose I'assedio alla rocca che rifiutava di arrendersi. In soccorso di essa venne Adenolfo Conti, che si trovava vicino con le truppe della Chiesa (5 feb. 1379) e, penetrato nel paese, si venne a sanguinosa battaglia, in cui i guasconi ebbero Ia peggio e dovettero fuggire lasciando piìr di cento morti per le vie della città nonchè 160 prigionieri e 120 cavalli in mano del nemico. Rinaldo Orsini, rettore del Patrimonio per Urbano VI, si affrettò ad 2) annunziare agli orvietani la lieta novella. Per venire ad una defrnizione Clemente VII, il quale viveva asserragliato in Sperlonga, terra del conte di Fondi posta sulla riva del mare, mandò contro Roma un forte esercito formato da milizie mercenarie straniere, condotte dal proprio nipote, il conte di Montjoie, e da Bernardo della Sala, mentre da Roma si avanzava Alberico da Barbiano, con la sua famosa compagnia di San Giorgio. Il 19 aprile 1379 italiani e stranieri s' incontrarono presso Marino, che era in mano degli scismatici, mentre il vicino monastero di Grottaferrata era in possesso dei pontifici. I poveri monaci non sapevano a che santo votarsi e, per trovare protezione, si rifugiarono nel palazzo di Onorato Caetani in Marino; fecero bene, perchè in breve il loro sacro recinto diventò un sanguinoso campo di battaglia, ove ebbe luogo il primo cozzo che la storia del medio evo ricordi tra soldatesche mercenarie italiane ed altre straniere. Gli scismatici ebbero la peggio; molti di essi perirono ed oltre 300 furono fatti prigionieri, tra cui lo stesso conte di 3) Montjoie, Bernardo della Sala ed il Budes. Onorato Caetani e gli Orsini vennero in aiuto ai fuggitivi coprendo ]a ritirata verso Terra di Lavoro e, I'otto maggio, Clemente VII pagava al conte di Fondi 1894 fiorini per Io Nel febbraio del 1379
stipendio dato alle truppe.
a)
il
Alberico ritornò a Roma in grande trionfo ed il giorno stesso si arrese Castel S. Angelo; popolo inferocito cercò di radere al suolo quella gigantesca torre che, a traverso i secoli,
()
') Pre. 870. Valoís., I, p, 173.
j) Fumì St.; Zapp.,l, p, 5V9: Sínìl', p'
155.
) RccÀi.,
Bad.
di Grottaf,, p.87; Greg,, VI' p,
500.
[gen.-apr. 1379]
Principio delle ostilità
fu baluardo di ogni prepotente, ma topi.
la
maestosa mole romana resistette alla rosicchiatura dei
r)
La vittoria di Marino assicurò la supremazia di Urbano VI; questi riprese possesso del Vaticano e di tutta Roma, ma si trovò in assai cattive condizioni finanziarie perchè ingenti erano le spese di guena e nel salire sul trono aveva trovato gli scrigni della Chiesa completamente vuoti. Perciò impose una colletta forzosa di 100000 fiorini su tutte le chiese e i monasteri del distretto
di Roma, 2) ciò che gli
permise
di consolidarsi militarmente
e di metter I'awersario
con le spalle al muro. Le sorti di Clemente VII declinavano, gli appoggi morali e materiali venivano a mancargli ed egli dovette affidarsi completamente alle armi ed all'ardire di Onorato Caetani, il quale, da uomo magnanimo, gli rimase leale e fedele anche nell'awersa fortuna e per venti anni, da solo, difese la causa che aveva sposato, battendosi da leone contro i nemici innumerevoli e potenti che I'assillavano e I'aggredivano da ogni parte. La posizione di Onorato era molto solida, anche dal lato politico, ed a ralforzarla giovò la parentela stretta tra lui e la regina Giovanna mediante il matrimonio della propria figliola laco3) bella con Baldassare figlio di Enrico II di Brunswiclc-Grubenhagen e di Maria di Cipro e fratello di Ottone, marito della regina Giovanna. Iacobella ed il fratello Cristoforo II erano nati ad Onorato da Caterina del Balzo, figlia del grande giustiziere Bertrando, cognato di re Roberto. Il fratello di Caterina, Francesco del Balzo, aveva sposato in seconde nozze Margherita d'Angiò, sorella di re Luigi di Taranto (f 1362), secondo marito di Giovanna I. Da tutto ciò appare quanto fosse intimo e complesso il nesso di affinità tra Onorato Caetani e la regina Giovanna. I capitoli matrimoniali {urono stipulati in Napoli il 12 gennaio 1379 in presenza di Ottone. lacobella, per la morte del fratello Cristoforo, awenuta qualche tempo prima in età di circa 14 anni, veniva a trovarsi figliola unica ed erede universale del padre; fu quindi convenuto Che, se Onorato fosse deceduto senza figli maschi, dovessero la contea di Fondi e I'intero a) Si patrimonio, quale dote della sposa, passare in proprietà a Baldassare di Brunswick. stabilì inoltre che la giovane avrebbe continuato a vivere con il padre e non avrebbe potuto esser costretta dal marito ad allontanarsi dalla contea. Secondo le condizioni imposte da Bonifacio VIII nel confermare i feudi, le femmine non erano ammesse alla successione. In previsione del matrimonio di lacobella, il papa Clemente VII, con bolla del 22 novembre 1378, mentre dichiarava Giacomo Caetani decaduto da ogni diritto sui feudi della famiglia, abrogava le disposizioni di Bonifacio VIII ed abilitava le donne di casa Caetani alle successioni. 5) La regina diede alla sposa il titolo di despotessa di Romania, petr cui le cronache conteÍnporanee la chiarnano spesso ,. la despota " o * la disposta >, erratamente, dando questo titolo, a volte, anche a suo padre Onorato. 6) I termini del contratto non lasciano dubbio sulla finalità di esso, cioè di far pervenire Io stato dei Caetani in mmo dei pare:rti della regina. Ora se Onorato non aveva avuto figli dalla moglie Caterina del Balzo, per una diecina d'anni, potevasi presupporre che non ne sarebbero nati altri; il diritto ereditario di lacobella non era condizionato alla eventualità che avesse figli e quindi i feudi napoletani e Sermoneta un giorno o I'altro sarebbero certamente passati dalla famiglia Caetani a quella di Brunswick.
1573,
i) Fuai St. ; 174).
Pagliucch, Casrellaoi di Cot. S. Aqelo, 6) Ptc. 25O5. a) Pte. 1143.
l,
p.
41.
,) Bíb!. Vat., $. fisgelc io
6) Cf. De Mas., 1743-
Peech.,
l-ll, c. 66.
t) De Mas.,
di
Matrim. lacobella C. con
B.
BrunswicL.
CUERRA NELLA CAMPAGNA
300
E
MARITTIMA
Lib. lV, Cap. XXXVI.
Questo deve essere stato il motivo per cui Giacomo, fratello di Onorato e padre di vari figli maschi, vedendosi privato della eventuale legittima eredità, si inirnicò col fratello e prese le parti di Urbano VI. Non escludo per altro che la cosa possa essere andata diversamente: ossia che, avendo Giacorno preso le parti di Urbano VI, il fratello, per vendetta, disponesse della eredità in modo da privarlo di ogni suo avere; la prima ipotesi mi pare tuttavia piir probabile. rEr _tlì,t;
;: h .f iil il-- ì I
I
-l
n
Palazzo dei papi
in
Avignone.
Stato attuale.
vII Clemente VII cominciò a sentirsi a disagio anche in Fondi, capitale del suo potente Napoli' protettore; diventò restio e si preparava già per il ritorno in Avignone. Quindi partì per Sperlonga e da lì si recò a Napoli, ove contava di essere accolto festosamente dall'amica regina, ma invece gli capitarono alcuni incidenti raccontati con rustica semplicità nella già mentovata cronaca manoscritta del nostro archivio :
ctemente
in
.
.
Quest'anno medesímo papa Clemente VII oenne da Fondt ín Napolí con tutto lo collegio su galere de la regina, et discese sotto I'arco del Coslello dell'Ooo, dooe Ia regina haoeoa fatto realle mente apparecchiare, et coprire ù uni rícchissimi tapezzamentÍ, con un lalamo, e Ia sede papale, ooe ella, et íI príncípe Ottone suo marito andò ad ínchincrsí et baciarlí li piedi, et apptesso Roberto d'Artois con Ia duchessa di Durazzo, e poí madonna Agnesa, et madonna Margarita sorella, et molte altre donne, et caualieri; ma menlre sí faceoa questa fwta al Castello dell'Ooo, íI populo di Napoli haoeùa per male, che Ia regína haoase piglíato a faooire uno antipapa, et oltramontano contro un papa legitIímo napolitono, comenzò a fremire et mormorcre, che la regina haoeoa fatto oenire iI papa di carneuele (22 feb. Il fatto invece deve essere'avvenuto al principio di maggio) etmíIl'altresímilí parolacchie di oolgo, et si uenne a tale, che alla Piazza della Sellaria un oenditore di cegne di cat)allí comíncìò a gridare senza rispetto alcuno contro Ia regína, et díre, che questo non sí dooeoa sofúre et passando a caso di là Andrea Raoígnano, gentil'homo di Portanola, il riprese graúemente, et quello con più r)ehemenza cominciò a gridare, onde spinto di colera Andrea li corse adosso, et Ii caoò un'acchía con il digtto: de questo nacgue tanto tumulto, ehe pose la regina e'l papa ín grandissimo sospetto, però che colui haoeoa un nepote sailore chíamato eI Breganta, che staoa alla Scalesia, il quale sentito I'ofresa del zio, corse aIIa Sellaria con alcuni suoi aderenti del papolo mínuto e congregata una gran turba íncomincíò a gfidare: " Vioa papa Urbano ! " et seguilo da una bona parle del populaccío scorse a San Pietro Martire, 5.," AIoa et San Seoeríno, che tuttí erano luochi habitati da oltramontani, et se
Disagio dell'antipapa
[mar.-mag. 1379]
301
q ttolare I'arciúescolo Bossuto, che a quel rumote erc uscito in píazza, et menalolo all'arcíoescoúalo Io pose ín possessione del palazzo, et fè molte alhe ínsolenze, talchè Clementeoísto ciò non oolse piìt dimorare ìn Napolì, ma il dì seguente se míse ín alto (mare) con i suoi cardinalí, et se ne andò a Gaeta, et de lì in Prooenza. t)
ne qndò poi
Dopo quanto era awenuto, I'antipapa non pensò ad altro che a fuggire dai pericoli che lo circondavano nel suo incerto dominio ed a tornarsene in Provenza, ove sapeva poter trovare gli onori ed il quieto vivere che gli erano negati in ltalia. Doveva vedere nella mente I'imrnagine della bella Avignone che, tutta ridente e soleggiata, si rispecchia nelle acque del Rodano, e doveva sorridergli I'idea di ritornare trionfante guale sovrano in quello stesso grandioso palazzo dei papi, che egli aveva tante volte percorso sotto piìr modesta veste in cerca di favori e per il disbrigo degli affari. Sapeva che sarebbe stato ricevuto con giubilo dalle po' polazioni della città e di tutto il contado venassino, che avrebbero salutato in lui il papato che tornava di nuovo, ed oramai per sempre, nella terra di Francia. Animato da tale visione che non era un sogno, tornò a Fondi presso il suo protettore e forse, lungo la via, per qualche giorno rimase nascosto in una casa di ltri per sfuggire ai nemici. Così vuole almeno Ia tradizione che | ,/t. tuttora vive nella famiglia Sferra, che da secoli è propriei!': taria di una certa casa di ltri, nella quale dicono allog-í'\ * fergiasse segretamente Clemente VII, per timore che, + -Fv".^ dJI' .f mandosi nella rocca, si divulgasse la notizia della sua rrl i- li (_ .-+-. presenza nel paese. A prova di ciò si additano ancora _-lr- a ! gli stemmi ed altri omati di stucco intorno ad una fine' strella della casa stessa, situata al cantone della viuzza detta n ,. Via Papa ,,, qui riprodotti in disegno; Purtroppo essi
"l-
"l..,
I
L'.
-l
sono talmente logorati dalle intemperie che poco si distinguono, ma in ogni caso non mi è parso poter rawisare lo
Stemma papale
(di Clenente Vll
sulla casa Sferra
?)
in ltri.
VII,
che è la croce di Gnevra. 2) Prima di partire dall'ltalia fece quanto gli fu possibile per dare forza ed autorità al suo campione Onorato, che doveva rimanere solo a sostenere la difrcile causa. Già al principio del 1379 aveva messo al bando tutti i nemici di lui ; il 23 di marzo aveva fatto citare Pietro conte dell'Anguillara, i fratelli Adenolfo ed Aldobrandino Conti, Rodolfo Colonna, Giacomo Caetani fratello di Onorato, Noffo da Ceccano ed i fratelii Caetani Palatini, Benedetto, Bonifacio, Pietro e Francesco, figli del famigerato Giovanni, ed un certo Antonio da Trivigliano, perchè si statcassero dall'Ínlruso Bartolomeo da Perígnano e prestassero obbedienza. La citazione fu ripetuta con ordine di comparire dinanzi al concistoro in Fondi il 27 aprile, nra la cartapecora inchiodata alla porta della cattedrale rimase a sgualcire al vento e al sole senza produrre effetto: 3) quindi vennero dichiarati confiscati tutti i beni e ad Onorato fu data mano libera di spogliare e sterminare i nemici e parenti. Il 7 di aprile, certamente per soddisfare alla domanda di Onorato, concesse in feudo a Nicola da Ceccano alcuni castelli e la terra di Carpineto, che costui due mesi prima aveva stemma
di
Clemente
t) Arc, Cael., Migc., n" 324 IC- 10071, cc. 25b '26\.
2) Vedi pag,
293)
s)'Atc, Val.,lmtr. Misc., n. 3008.
Clemente
VII
benefica
Onorato.
GUERRA NELLA CAMPACNA
E
MARI TIMA
Lib. IV, Cap. XXXVI.
tentato di occupare con le armi; come censo Nicola doveva offrire ogni anno guanti di cuoio bianco. r)
un paio di
Il pontefice accordò ad Onorato quanto volle chiedergli. Tra I'altre cose, il 2l maggio, cioè giorno prima d'imbarcarsi da Sperlonga per Marsiglia, diede in feudo a Tuzio di Domenico di Sermoneta la rocca dell'Acquapuzza che questi, d'ordine di Onorato, con scaltrezza ed ingegno aveva tolto dalle mani di Urbano Vl e che si era adoperato a restaurare e fortificare a proprie spese. 2) Questa torre solitaria, che sorge non lungi da Sermoneta in un punto ove la via consolare rimane ristretta tra le paludi ed un dirupo roccioso, comandava la via che da Roma conduceva a Napoli e quindi sbarrava efficaòemente ai pontifici I'accesso nelle terre del conte. Pochi mesi dopo la partenza di Clemente VII, Onorato andò a raggiungerlo ad Avignone per prendere accordi d'ordine politico e militare. Fu ricevuto certamente con molto onore nella grandiosa dimora dei papi la quale, più che di un palazzo, ha I'aspetto di una formidabile rocca, ispida di torri merlate, di contrafiorti e di feritoie. Quando Onorato entrò per la porta di Clemente VI e, traversato la u Cour d'Honneur ,r, si presentò all'antipapa insediato nella cosidetta " Sala della Grande Udienza ", il maestoso edifizio era presso a poco quale si vede oggi, dopo gli ottimi restauri fatti eseguire dal governo francese. Clemente V, quando si stabilì in Avignone nel 1305, non aveva trovato sede adeguata per la corte, ma il suo successore Giovanni XXII (1316) fece ingrandire I'antico palazzo vescovile, il quale diventò la residenza dei papi e a poco a poco fu ampliato specialmente per opera di Clemente VI (1342-1352) e dí Innocenzo Vl (1352-1362) sino a coprire piìr di 15 000 metri quadrati di terreno. Dopo che il papato fu ritornato a Roma I'edifizio non subì altre aggiunte, ma cominciò a deperire come aveva deperito il Vaticano durante I'esilio di Avignone; al tempo della rivoluzione francese trovavasi in istato così lamentevole che sarebbe stato demolito se non fosse stato utile come prigione e ca-
il
Onorato
in
Avignone.
serma.
Non sappiamo quanto tempo Onorato sia stato trattenuto dal pontefrce, il quale volle contraccambiargli I'ospitalità che aveva da lui ricevuto allorchè, ancora incerto del proprio stato, viveva nella rocca di Fondi sotto la protezione del potente conte. In segno di gratitudine e di stima gli fece dono personale di una tavola d'argento ornata di perle. 3) Gli furono anche dati i denari occorrenti per continuare la guerra Sala della Grande Udienza nella Campagna e Marittima: íl 24 nel palazzo dei papi in Avignone (1350 c.). novembre 1379 gli furono consegnati 20000 fiorini d'oro per sè ed una lettera di cambio su Napoli per altri 15 000 Éorini destinati alla regina Giovanna per le spese delle operazioni in corso. 4) t) Pw. 2857.
?) Prg.200l.
\
Valok,
I, p. 159.
t) Atc. Val., Introitu et exitu, n. 352, f. 2tb, cit. Valoìs, l, p.
179
[2] mag. 1379 - l8 ott . 1380]
Clemente VII abbandona l'ltalia
Onorato tornò in Italia e, benchè rimasto solo, continuò impavido a sostenere la causa di Clemente VII, menando accanita guerra ai nemici. Sermoneta era nelle sue mani, avendola, io suppongo, tolta con violenza a Giacomo suo fratello. Mosse contro Velletri, sempre fedele
a
Urbano VI e, per timore del conte, già sin dal 1378 dovettero le monache di S. Maria dell'Orto ritirarsi in città. r) Il Borgia dice che nel marzo del 1380 i romani diedero ai bretoni del conte Onorato una grave sconfitta presso Nettuno: ma d'altra parte un cronista 2) riferisce che costui e Bernardo della Sala con mercenari bretoni e normanni, nel 1380, sbaragliarono i romani et en mistrent à dèsconfiture plus de 1400, que moîs, que príns.3) Non è improbabile che fosse in seguito a tali awenimenti che Onorato venne ad un trattato di pace con il comune di Velletri. In esso fu stabilito l" offese passate fossero "i," perdonate e che la pace sarebbe stata considerata rotta soltanto se piir di sei uomini dell'una parte avessero portato ofiesa all'altra. Le clausole del trattato erano tutte ispirate dalle contingenze delle guerre che infuriavano per Io ,"ir*u e furono prese le disposizioni necessarie per salvaguardare I'una parte contro i mercenari dell'altra e specialmente i velletrani contro le truppe bretoni e guascone del conte. Tra i nemici del conte, nominativamente indicati ed a cui i velletrani erano tenuti, per patto speciale, di non porgere aiuto o favore, erano Adenolfo Conti, Giacomo Caetani, fratello di Onorato, nonchè i figli di Giovanni Caetani Palatino; del resto ognuno rimaneva libero di serbare fedeltà alla causa che aveva sposato. Dopo non molto tempo, però, Onorato non si contentò piìr di questa reciproca indipendenza e, insuperbitosi forse in seguito a nuovi successi militari, costrinse il comune di Velletri a mandare Pucciarello Paulotti a Fondi, come rappresentante sindacale della città e questi, add 18 ottobre 1380, confermava e completava il trattato di pace ed allo stesso tempo riconosceva esplicitamente Onorato Caetani quale vero rettore della Campagna e Marittima delegato da Clemente
VII.
4)
Questa sottomissione, che senza dubbio fu imposta dalla forza, ebbe però breve durata. Il Borgia a$erma che i velletrani si rifiutarono di voler riconoscere Onorato come legittimo rettore delle provincie e, prima che passassero molti mesi, la città era di nuovo in guerra contro il suo incomodo e battagliero vicino. 1) Boryta, p. 323, cit. Arc. di Velletri,
di Volletri, cit. Falco, p. 389,i Botgia.
s) Chron.
des qualrcs premiers Valoîs,
p.285.
2) Valoís, I, p.
129.
r) Arc.
Secr.
Prima gucrra
contro Velletri.
Caprrolo XXXUI.
DTSTRUZIONE
DI
NINFA.
(r380- r382)
Guerra
con
i
Palatini.
EL mentre Onorato Caetani aveva briga con i velletrani, a cui 'la propria autorità, si adoperava altresì, cercava di imporre quale rettore della Campagna e Marittima, a ridurre i signori e le popolazioni delle provincie all'obbedienza del suo pontefice. Cominciò a mettere le cose in chiaro con i suoi parenti e congiunti le proprietà e gli interessi dei quali si frapponevano e si confondevano con i propri. Onorato, forte delle bolle di Clemente VII, aveva già scacciato il fratello Gacomo da Sermoneta ove pose una guarnigione sotto il comando di un frdo vicario, Andrea Spinello da Itri. A poche miglia dalla formidabile rocca stavano i cugini in secondo grado, Benedetto, Bonifacio, Francesco e Pietro Caetani, conti palatini, figli di quel Govanni che, mentre era in vita, tanto aveva fatto parlare e sparlare di sè. Abbiamo visto che nell'aprile del 1379 Clemente VII li aveva dichiarati decaduti da ogni loro feudo perchè ribelli; ora si trattava di dare esecuzione alla sentenza. Statua di Bonifacio IX. È diffi"il" dire se siano state le divergenze politiche che Roma, Grotte Vaticane. condussero alla inimicizia i due rami della famiglia, oppure se furono contrasti d'interessi che determinarono i Palatini a schierarsi con i nemici di Onorato. Sono propenso ad accettare la seconda ipotesi, ricordando come nel maggio del 1369 Giovanni, trovandosi in ristrettezze finanziarie, assillato dai creditori penali e civili, avesse venduto ai cugini di Fondi un quarto di Ninfa e tempestato du "ondunne p", |'OOOO fiorini d'oro. Probabilmente i Palatini rifrutavano ora di riconoscere i diritti del conào,,,ino, e ciò non senza qualche buona ragione, perchè Onorato era stato scomunicato da Urbano VI e dichiarato decaduto da tutti i suoi feudi; del resto ognuno sa che tra condomini,
coeredi e vicini i confiitti non mancano mai. Comunque, rimane certo che al principio del 1380 Onorato era in guerra con i Palatini. Molte furono le scaramucce e cavalcate. Bonifacio, succeduto quale capo della famiglia al primogenito Antonio, stava trincerato entro Norma che, sull'orlo dell'altissimo dirupo, sovrasta
Spogliazione dei Palatini
[r37e. r380l
alla pianura; ai piedi di esso il chierico Benedetto stava a guardia di Ninfa, credendosi sicuro entro la fortissima torre della piccola rocca. Onorato mosse dapprima (giu. I 380) contro Ninfa con i cavalli e fanti bretoni, guasconi ed italiani che teneva al suo soldo e fu appoggiato da Andrea Spinello con gli uomini di Sermoneta; in breve espugnò la città e la rocca e, se Benedetto non si fosse allontanato con rapida ed ingegnosa fuga (industria et operaf.io sollecítudinis), sarebbe certamente caduto in mano al nemico. Le proprietà dei cittadini, che erano anche vassalli di Onorato, furono rispettate, ma di quella dei hatelli Palatini fu fatta man bassa. La rocca fu saccheggiata e fu asportata una quantità di armature, cioè pettorali, gambali e cosciali d'acciaio, quattro balestre a leva, due bombarde (ciò che prova che anche su Ninfa tuonò allora
\\ \\ \\
il
Espugnazione
cannone), quattro giacche
velluto nero e rosso, tutto il vasellame della cucina quattro tazze d'argento. Persino i letti, in numero e di l8 forniti di lenzuola e coltri, furono portati via e dalla cantina furono prese undici " cavallate di vino. " Il valore della preda fu stimata da Benedetto ad oltre 1500 fiorini d'oro. Poi Onorato si mosse contro Norma che subì J>J la medesima sorte, senonchè Bonifacio fu meno fortunato del fratello; caduto prigioniero in mano del parente, fu gettato dapprima in carcere nella rocca di )' Sermoneta e poi in quella di Ceccano (che quindi trovavasi nelle mani di Onorato) e da lì fu strascinato a Fondi, ove fu tenuto a lungo in cattività sinchè, ( -/--), di buona o cattiva voglia, si convertì alla causa di r t*.(- | ìÉ Clemente Vil. Anche a Norma fu fatto bottino: una , j--'' L?)./ confettiera d'argento dorato, ornata di perle, di diaspri e di altre pietre preziose, alcuni vasi di bronzo nonchè molte suppellettili, cavalli etc. Abside di S. Pietro in Ninfa. Nello stesso mese di glugno Onorato mosse con le sue truppe verso Anagni facendo man bassa dei beni di Bello da Zancati (Anibaldi ?), di Andrea Tuzi, di Stefano da Celano, di Cecco Rainoni e di altri suoi nemici; due volte scorse il territorio di Sgurgola guastando Ie campagne ; espugnò Ia torre .. da Costa " (o delle Coste), proprietà di Benedetto presso Anagni, e la smantellò. Si pretese che i danni ammontassero a 10000 fiorini. Sgurgola probabilmente non cadde però nelle mani degli scismatici. Conquistate le terre dei Palatini, Onorato le tenne per vari anni, godendo dei 4000 fiorini di reddito dello stato di Ninfa e degli altri 2000 di quello di *)-
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Norma.
VI
muovendo accusa contro Onorato, contingenze Benedetto si rivolse a Urbano anche a nome dei propri fratelli (21 ott. l3Sl); fu intentato un regolare processo da Antonio d'Arpino, giudice generale delle provincie di Marittima e Campagna, e I'undici novembre fu promulgata Ia sentenza dalla loggia della chiesa di S. Stefano in Alatri, per cui Onorato ed suoi principali complici di Sermoneta, Bassiano e Anagni furono condannati a varie ed enormi
In tali
i
multe, al risarcimento del quintuplo dei danni arrecati e [u decretato che qualora lo' stesso Onorato ed il suo vicario Spinello cadessero nelle mani della corte, fossero condotti aI luogo Domus,
l,
39.
di
Ninra e Norma'
Procesro
e
condanna.
DISTRUZIONE DI NINFA
306
della
giustizía
e
che ioí uenitse loro totalmente separato itr capo
Lib. IV, Cap. XXXVll.
dal
collo
in modo
che
morissero. t)
Non appena fu pronunziata la sentenza di cui sopra che; in data 28 novembre, Benedetto Caetani nuovamente portava accusa e faceva aprire un nuovo processo contro i comuni, Ie università e gli uomini di Sermoneta, di Bassiano nonchè contro Onorato Caetani, Andrea
e Ceccarello di Giacomo. Questo stato di cose durò per qualche tempo, ma finalmente i fratelli Palatini, considerato che le sentenze del tribunale erano assai esplicite, ma davano poca soddisfazione materiale, trovarono piir proficuo abiurare la fede prestata al papa e confederarsi con Onorato. Qúesti, che aveva piìr che altro agito contro di loro per ridurli all'obbedienza dell'antipapa, probabil-
Tacconi
di
Sezze
li
reintegrò nel godimento del loro condominio pur riservando a sè I'effettivo possesso delle terre e la custodia delle rocche. ") Distruzione Risulta che nell'anno 1381, e quindi vari mesi dopo I'occupazione di Ninfa e la cacciata di Ninfa' di Benedetto, gli uomini di Sermoneta, di Bassiano e di Sezze, animati da profondo odio contro quelli di Ninfa o, forse, provocati da qualche grave offesa, di comune accordo deliberarono la mente
distruzione dell'amena città. Suonate Ie campane a stormo, questi uomini si armarono e, presi in ispalla i picconi ed i ferramenti occorrenti per le demolizioni, si mossero in larghe comitive contro Ninfa, con gli stendardi levati, scortati dalle truppe mercenarie a cavallo ed a piedi. Penetrarono nella città e sistematicamente smantellarono, e, smantellato, diedero alle framme e bruciarono la rocca, i palazzi ed ogni singola casa, sicchè questi preziosi e leggiadri edifrci rima-
sero tutti distrutti dalle fondazioni sino al tetto. b) Dopo tanto scempio I'antica Ninfa non ebbe piir né la forza né la possibilità di risolgere dalle sue rovine fumanti. Probabilmente i paesi vicini ne impedirono la ricostruzione. Molti dei cittadini certamente perirono, e ciò deduco dal fatto che, scavando fra i ruderi di Ninfa per piantare alberi da frutto o rose, ho sempre trovato oyungue, nelle strade, nei cortili ed entro le case stesse, tale una quantità di ossa umane da rimanerne meravigliato. I superstiti abbandonarono i loro focolari distrutti e, un po' alla volta, emigrarono nei paesi vicini, in massima parte a Sermoneta; vuole la tradizione che in affettuoso ricordo essi portassero seco alle nuove dimore gli stipiti delle antiche che avevano dovuto lasciare. Che I'abbandono di Ninfa sia stato irnmediato è provato dal fatto che, dal 1382 in poi, troviamo sovente nei documenti, riguardo ad alcune persone, I'espressione ., olim de Nímpha, nunc habitator castrí Sarmínetí ".2) Forse la malaria, pure che ai giorni nostri infesta la conca entro la quale Ninfa si trova rinchiusa, contribuì all'abbandono: nel secolo XVIII durava ancora in Sermoneta la tradi3) Forse zione che, quando Ninfa era abitata, nessun cittadino oltrepassasse I'età di quarant'anni.
a) Onorato, forse per consolare Bonifacio della lunga prril o dec. l?92, gliconcedeva un'annua pensione di
gionia patita,
15 once sui redditi di hi (Arc. CoL, Prg' senza numero) e per vari anni tanto Bonifacio quanto Benedetto nilitarono con
lui contro Bonifacio IX. Ma quando la fortuna del non amato
Protettore e signore
cominciò a declioare, i Caetani Palatini furono solleciti a staccarsi da lui e a tornare all'obbedienza della Chiesa. Bonifacio, vestito di sacco e con la corda al collo, chi6s unilhenls Pcldoao al papa il quale, il I naggio t199, lo assolsc' ordinando L) (C-299.
t), doc. pubbl.
dal
Mazío:
Saesiatore.
ar. ll, vol.
che tutte le scomuniche, condanne e sentenzc a suo carico fossero scancellate dai registri (Arc. CoI., ul-e) e, il t dcc. tloo, perdonava anche il fratello Benedetto a cui, tra altro, restituiva i diritti posseduti su Montelongo (Arc. Val., Reg. 317, l.3l7b). b) rpsum castrum ínhaoemnt et ìntralum cum fenamenlís et alíís ailífieíís ilínuerunt et dírrutum ìnfocatserunl cl ctemaoerunl
rrccamg{e ípsíus cas!ú et alla pala!ía et domos
ln
lpso castrc
exíslentía, ptelíosa, íocosa funilllus et alle díruetunt síc el taIiler quoilsíngulaheiùficla dtctl casti ilcstrusserunt (Prg. 2301).
lY, p.325.
t) Cf. Pant.,'1, pp" 392,
?95.
3) Ioi.,
l, p.
47.
Abbandono e fine
[3811
anche
la cattiva
posizione strategica, nella quale
essere facilmente battuta con armi
ad
da fuoco,
di
la
mettevano le alture circostanti da cui poteva cui si cominciava a far uso in misura sempre
La rocca fu restaurata e rimase in XV, e le chiise continuarono per molto tempo ad essere officiate e venerate, ma le case, le torri, le mura merlate di cinta, abbandonate alle intemperie, gradatamente si sgretolarono e le piazze e le strade deserte ben presto furono invase dai roghi ; I'edera crebbe e si awinghiò ad ogni rudero e I'antica città di Ninfa diventò un silenzioso e misterioso labirinto di rovine, che racchiudono tutto un passato in gran parte dimenticato che ci attrae e ci affascina. Non tardarono i montanari superstiziosi a tessere leggende sulla misteriosa città morta, ad esse ricollegando la origine dei miasmi malarici che, al tramontar del sole, s'innalzano invisibili dalle acque opalescenti del lago. Dice il popolo che esse sgorgano da vaste caverne sotterranee, nelle quali vanno a ricoverarsi le grandi trote, che ogni tanto si vedono guizzare tra le alghe lentamente oscillanti sul fondo del lago. Tali caverne sono la dimora di Ninfa, la bella e malefica fata. Molti e molti secoli fa, secondo la leggenda, un re era signore di tutte queste terre, ed era ricco e potente, ma per quanto potesse tutto quel che voleva, pur non era mai riuscito ad aprire sino a mare una uscita alle acque che, ristagnando, gli ammorbavano il regno. Ora questo re aveva una bellissima figliola per nome Ninfa, di cui si erano pazzamente innamorati due grandi potentati, il re Moro ed il re Martino. Dsse loro il sovrano: Darò in moglie mia figlia " a colui di voi due che sarà primo a scayare un canale che collegherà il mio regno col mare >. Senz'altro re Martino si mise al lavoro e, chiamati a migliaia schiavi e gente del suo regno, prese a' scavare un enorme fosso a traverso le dune di sabbia e le selve di quercia che separano le paludi dal Tirreno e, senza interruzione alcuna, proseguì il lavoro. Ed ancora ai giorni nostri si vede I'opera sua in quel gigantesco fosso, che traversa la grande altura boscosa in vicinanza di S. Donato e che dal suo creatore, così dice la leggenda, porta il nome di Rio Martino. Il re Moro invece non faceva nulla, e se ne rimaneva lì, a braccia incrociate, guardando I'altro lavorare e continuando a fare Ia corte alla bella Ninfa; ma questa non si curava di lui, perchè tutto il suo cuore era per re Martino che tanto spendeva e si affaticava per conquistarla. Ora venne il giorno che il rio di re Martino stava per essere ultimato e Ninfa tutta giuliva si rivolse al re Moro e burlando lo rimproverò di nulla aver voluto fare per conquistarla. Allora questi tolse in mano una bacchetta magica che teneva nascosta nel suo manto e, stendendola verso il Monte Circeo, fece un gesto solo e, (guarda caso meraviglioso !) le terre si abbassarono e si formò un grande solco, per il quale le acque impantanate si misero
maggiore, indusse gli abitanti efficienza per tutto il secolo
allontanarsi dalla loro patria.
scorrere allegramente verso il mare lasciando asciutto il rio Martino. Allora Ninfa capì che tutto per lei era perduto, perchè I'arte diabolica di un moro aveva potuto piùr che non tutti i sacrifizi ispirati dall'amore. Salì sull'altissima torre che si specchia nel lago, si voltò per un'ultima volta verso la distante marina e poi si buttò giù nelle acque
a
e di lei non si ebbe piìr novella. Crede il popolo però che ella, malefica fata, se ne sta ancora laggiù nascosta in fondo alla spelonca. Ma altri dicono che non è vera la storia di re Martino e che invece fu Corradino, re di Gerusalemme, causa di tutti i mali. Era egli giovane, bello della persona ed ispirava a tutti dolcezza ad amore. Venne, ultimo della sua stirpe, a conquistarsi un regno in ltalia, ma battuto nei monti di Sgurgola, dovette fuggire e, per trovare scampo, corse verso Astura. Fu ospitato lì da un malvagio Frangipani che, mentre gli offriva il prpprio pane, gli preparava la rovina. cerulee
Leggende.
DISTRUZIONE DI NINFA
308
Ub. IV, Cap. XXXVII.
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apportate alcune correzioni,
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Nuova guerra con Velletri
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Per salvarlo a nulla valse I'amore di Ninfa, la bella figliola del Frangipani; Corradino fu tradito, consegnato ai nemici e condotto al patibolo. Venne poi Bernardo da Sarriano al comando di alcune navi siciliane e, per vendetta, bruciò Astura ed uccise il fratello di Ninfa. La bella giovane nella sua disperazione si gittò dall'alto della torre nel profondissimo lago. Non è il caso di discutere se I'una o I'altra leggenda piir si awicini al vero; esse sono molto antiche e lo stesso Pantanelli, piùr di un secol o e mezzo fa, intese dire dai campagnoli che dalla torre si precipitasse la figliola d'un re e così sarà stato. Ancora ai giorni nostri, vuole il popolo che al tramonto emerga dalle acque una, malefrca'fata che alcuni chiamano Ninfa, che altri dicono Malaria, e che Augusto Sindici ha ricordato con i versi: Vioe EIIa a Ninfa nel fondo roccioso del oerde lago in fra I'erba malsana, tessendo lo suo manto oelenoso, e con Ie sue grida assorda queste piana;
ena Ia notte senza mai rìposo, e torna a gíorno ne Ia oscura tana, e se col nero ammento tí carezza Ia bella gíooentù muta ín oecchiezza. t) *
*{<
Ma torniamo ora alla storia. Le brighe e le guerre con i Palatini non erano le sole che tenessero occupato il nostro Onorato; con indomabile energia egli si rivolgeva ora contro uno, ora' contro qualche altro dei nemici, cercando di ridurre tutte le terre all'obbedienza di Clemente VII e battendosi con tanto ardire e violenza che, al dire degli esterrefatti ecclesiastici, si comporta va a modo di Luciferc ruggente dioorando quanti potetsa o traoiandoli nello infedeltà. Molto ebbe a soffrire Velletri. La pace conclusa tra Onorato e questo comune e riconfermata il 18 ottobre 1380, ebbe breve durata. 2) Il popolo di Velletri era rimasto sempre fedele alla causa di Urbano VI e perciò non poteva tardare a rinnovarsi il conflitto. Dopo avere scacciato i j) Caetani Palatini, le soldatesche mercenarie bretoni e basche (gentes britonum et basconum) di Onorato si stabilirono in Ninfa ed, assieme ai vassalli di Anagni e delle altre terre del conte, si misero a guerreggiare contro i velletrani, derubandoli del bestiame, imprigionando i cittadini per cui venivano poi chieste ingenti taglie, e commettendo tante e tali angherie che la popolazione cominciò a temere la propria totale rovina. Venuto poi a sapere che in Anagni si stava riunendo un gran numero di cavalieri per venire a devastare il territorio di Velletri, il comune si rivolse per aiuto al senatore di Roma, ma, tardando I'invocato soccorso, si accinse alla difesa il meglio che potè e, per avere maggiore unità di comando, elesse (26 ott. l38l) per suo capitano a guerra il fiorentino Annibale Strozzi, che allora trovavasi in Tivoli. a) Nel frattempo le milizie bretoni del conte per poter meglio operare contro Velletri si erano costruito un forte in vicinanza della città, in cima ad un colle che nel secolo XVII portava ancora il nome di " Colle de' Brettoni ". Da lì impedivano ai cittadini di recarsi nelle campagne per accudire ai lavori agricoli; molti di quelli che si avventuravano fuori delle t) <
títtoúsle
Nuooa Anlologío, giugno
in S. Glooqnni,';
t)Ct,pac.7Ù7. 1907. p 323; Folco, p. 395.
Bory.,
3) Prg. 639.
t) Ascsnîo Landí: cit,
scritture del dou.
G,
Galiani
Nuova guerra
con
Velletri.
310
DISTRUZIONE DI NINFA
Lib. lV, Cap. XXXVII.
mura cadevano pdgionieri; nessuno era più sicuro, tanto che il bestiame in parte si dovette ritenere erttro Ia città, in parte fu mandato verso i monti ove minore era il pericolo: Bauaglia Profondamente esasperato e non potendo resistere piìr a lungo alle incessanti vessazioni, miracoloca' il popolo implorò I'aiuto divino e, avendo ricevuto un rinforzo di 100 soldati sotto la guida di Andrea Cancellieri, si decise ad assalire risolutamente il nemico. La mattina del 7 decembre, al levar del sole (così racconta Ascanio Landi raccogliendo la tradizione .velletrana), il popolo attaccò battaglia; le sue preci non erano state vane perchè, per intercessione di S. Geraldo, Iddio venne in aiuto dei cittadini scatenando una subitanea tempesta con grandine simile a ghianda, così grossa e così dura che uccise molti bretoni e mise in fuga i cavalli. Vi è anzi chi afferma che la grandine consistette di palle di piombo, ed il pio Alessandro Borgia, vescovo di Nocera ed istoriografo di Velletri, awalora tale leggenda adducendo I'autorità di Antonio Mancinelli e di altri scrittori. E (quel che conta di più) egli c'informa che ai giorni suoi nella località, ove si dice avvenisse la battaglia, si trovavano ancoÌa frammiste alla terra, in gran ' copia, ghiande di piombo. Non è il caso di entrare in merito alla questione; certamente vittoriosa, se non miracolosa, fu la giornata che rimase celebre negli annali della città e si commemorava ogni anno il 7 di decembre in onore di S. Geraldo, nella cui cappella il Borgia lesse la seguente iscrizione che vi avevano fatto incidere i cittadini riconoscenti: HOC IACET IN TUMVLO GERALDVS PRESVL HVMATVS.
HINC PRECIBVS FVGIT GENS INIMICA
SVIS.
E nella cappella Ginnasia della cattedrale si vedeva un dipinto,
ordinato dal cardinale
Domenico Ginnasi, in cui era raffigurato il miracolo. I feroei bretoni, vedendo che Dio e la sorte erano loro contrari, si ritirarono entro le mura e la rocca della devastata Ninfa e desistettero dal molestare Velletri.
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Caprolo XXXUII.
GUERRA CONTRO
I
DURAZZESI E CONTRO ROMA. (t380- t400)
EL mentre che Onorato era intento alle guerriglie nella Campagna e Marittima, grandi awenimenti sconvolgevano I'ltalia. Per abbattere la potenza della regina Giovanna, Urbano VI aveva chiamato in aiuto Carlo III di Durazzci offiendogli Ia corona del regno napoletano. Nel novembre 1380 questi giunse in Roma per riceverne I'investitura; il papa, oltre che incoronarlo, gli conferì anche la carica di capitano generale della Chiesa, lo creò senatore dell'Urbe e gli fornì denari per I'impresa ; in compenso il re promise di concedere a Francesco Prignano, nipote del papa, Fondi e le altre terre di Onorato Caetani nonchè una vasta signoria che da Capua doveva estendersi frno a Salerno. Dopo un soggiorno di vari mesi in Roma partì alla conquista di Napoli, davanti alla quale giunse il 16 luglio e lo stesso giorno, senza quasi colpo ferire, alle ore 19 entrò nella città. 1) Ivi Statua sgpolcrale cinse d'assedio Castelnuovo ove si erano rinchiusi la regina con la del card. Rinaldo Brancaccio. famiglia, i cortigiani e gran numero di altre persone; somma impru(+ 1427). Napoli, S, Angelo a Nilo. denza perchè, con tanta gente nella Íoftezza, ben presto si esaurirono le vettovaglie e si presentò lo spettro della fame. Intanto Ottone di Brunswick, marito della regina, si era ritirato ad Aversa e da lì molestava e, in certo modo, teneva assediato I'esercito durazzesco trinceratosi entro Napoli. Il 24 agosto l38l fece un grande sforzo per penetrare nella capitale e, nella speranza di poter portare soccorso e vettovaglie alla consorte, si spinse avanti verso Castelnuovo con tre squadre, di cui una era comandata dal fratello Baldassare, marito di lacobella Caetani. Secondo Teodorico da Niem, 2) queste squadre, mentre arditamente avanzavano galoppando, caddero in un agguato, ossia precipitarono in una profonda fossa preparata dal nemico: il marchese di Monferrato iimase morto sul colpo e Ottone fu fatto prigioniéro, Ne seguì lo scompiglio generale dell'esercito angioino. Baldassare riuscì a fuggire e si ritirò nel castello di S. Erasmo, ma il 28 del mese si dovette arrendere a re Carlo. Il 23 ottobre fu trasferito dalla prigione di Castel dell'Ovo a quella di Capua. 3) SoÍto le bandiere del conquistatore militava il fratello di Onorato Caetani, Giacomo, ardente fautore di Urbano VI ; spese largamente del suo e prestò molti ed importanti servigt, in compenso di che il re ed il pontefice riversarono su di lui benefizi e onori. t) Arc.
Cact.,
Mi*' *
324 [C- 1007], c. 30b.
2) Nícm, p.
24.
3) Cr. SÍc., pp. 38-41.
lnvasione
di
di
Carlo
Durazzo.
312
GUERRA CONTRO
I
DURAZZESI E CONTRO ROMA
Lib. IV, Cap. XXXVlll.
di
Durazzo ebbe preso possesso del Regno, quasi tutti i baroni gli prestarono obbedienza e primi tra questi Giacomo e i due figlioli Cristoforo e Giacobello III; i soli a mantenersi fedeli alla regina e di cui Carlo di Durazzo non potè avere ragione con le armi, furono Onorato Caetani, Giovanni di Sabrano conte d'Ariano, e Baldassare della Ratta conte di Caserta. Gò non toglie però che Ia maggior parte dei suddetti baroni voltassero bandiera non appena, nella primavera del 1382, Luigi d'Angiò, a capo d'un esercito francese, venne a contrastare la corona all'invasore e a dare coraggio e forza ai fautori dell'antipapa.') Subito Onorato si schierò sotto le bandiere di questo e, come onnipotente signore di larga parte della Campagna, della Marittima e della Terra di Lavoro, molto facilitò a Luigi I'ingresso nel Reame; ci dicono le cronache senesi, l) che il conte gli fu sempre accanto e feciel aaere l'Aquíla, parole che interpreto nel senso che ad Onorato spettò principalmente il merito di fargli avere la città di Aquila quando il pretendente penetrò negli Abruzzi. D Da lì I'esercito avanzò nel napoletano. supplizio di ' Carlo di Durazzo molto si crucciò dell'aiuto prestato da Onorato alpretendente e, non potenBald' Brunswick' dogli mettere le mani addosso, sfogò il proprio odio e desiderio di vendetta sui congiunti del conte. Come si è detto, il genero di questo, Baldassare di Brunswick, giaceva nelle carceri di Capua. Re Carlo lo fece trasferire a Napoli ed ivi, il 5 agosto 1382, lo fece condurre sulla piazza del mercato, nel luogo stesso ove era stato decapitato il giovane Corradino, e lì, su un palco costruito appositamente, davanti al popolo sempre avido d'assistere all'orrido spettacolo di un supplizio, gli fece bucare gli occhi, con una lanzetta d'insagnare, et po' tornato in presone et non sende sebbe nooella più. tl La cronaca sicula a) afferma che Baldassare, accecato e triste, giacque in prigione nel castel di S. Erasmo; è probabile che dopo non molto tempo 5) per ordine di re Carlo venisse posto fine ai suoi tormenti.
Appena Carlo
a) CÎ. Montel., p.20. I nomi di molti dei baroni che abbandonarono Carlo di Durazzo per schierarsi con Luigi d'Angiò sono ricordati nei Diurnali del Monteleone (p. zl). Un elenco più completo ancora è contenuto in un decreto di re Carlo dell'undici feb. lle3, che qui riproduco perchè lo credo inedito: ... Nomína ùero ipsorum cítandorum sunt hec oídelícet: Lallus ile Componìscís olím comes Montotíi, Nícolaus de Sancto Flagmundo olím comes Ceretí, Barlholomeus de Capua olìn comes Alteoíllae, Amelíus de IanoíIIa olím comes Sanclí Angelí, Honorclus Gagelanus olím comes Fundorunt, Lantt'slaus
de Sancto Seoeríno olim comes Trícarící, Ludooícus ile Engutneo lolíml comes Cupercaní, ConaìIus de Acquaoioa olim comes Sanctí Valentìní, Anloníus ile Ia Ralh olím comes Casetlae, Pelus olím comes Lícíi, Ralnaldus de UtslnÍs, Ioannes de UP srnrt eÍus îratet, Amelíus ile Corbarío seu de Agotho, Ioannes de Agotho elus frater, Roslaínus de CantelmÍs seníor, Rostaí' nulíus de Canlelmís, Iacobus ìle Cantelmls, Lísius Caudola, Ragmunilatíus Caudola, Ioannes Anloníus Caudola, Ame'
ficus et Stephanus de Sancto Seoeríno fralres, Francíscus ile Sancto Seoeríno olím mîIes, Iacobus de Sancto Seoeino, Mattheus de Burgenlicí, Nícolaus de Alamanía olim míIes, PerÍnus de Longotto, Corcdutíus de Acguaoíoa, NÍcolaus SpÍ' nellus olím mîles, Iotilanus ile Acquaoíoa, Rìccanlus de Pe' traoalída, Thomasíus de Sangro, Conadus de Monteagano, Ioannutíus Rufus de Calabtía, Ioannes de Canlolio, Calhetína Carcczula olím baroníae Capíshelll domína, Ríccatdus de Adría,
ó)
r) Mu' XY, col. 276. Cf. Dc Mas., 1743, rctr I '
2) Pte. 1382.
Cola Abagladus, Frunclscus <le Lecto, Iacobus de Acguaoíoo, Mcolaus de .Acquaoioa, Ioannes Lolll dc Ursìnís, Ioannes de Labrc, Beileragmus de BíIIíano, Anloníus el Robeilus de BíIlîano, Petellus de Palo, BrulÍus domínl Thomasíj de Curcumello, Lísius ile Curcumello eíus ftate\ Freda de Curcumello cíus paIruus, Entícus de Trasaquís, Nícolaus. de Sancto Sebastíano, Chrístophotus VicIí de Vrsa, Llsolus de Poila, Lísolus de Malìna, Iuilex Anlonìus ìle Corrado de Luceia, donnus Antoníus de Sancto Flalmunilo, Cathetína de Canlelmís uxor Beileragmí de BíIIano, Cíccus ZuruIus, PeIrus de Aprcno díctus Bulíenus, Monacus de Aprano, Gurellus Zurulus dlctus Baoatozza, Pebaconus Caraczulus, Enícus Galeotta, Bartholomeus de A\runo, Monacus Budetta, Andreas de DíIIoIo, Mafutíus Sírísalís, Georgíus Címmînís, Ludooícus de Constantío, Bernatilus Atcabonus, AngeIíIIus FeríIlus, Angelutíus de Furno, Guíllelmus Roncella, Antonlus Rapîcanus, PetríIlus Macídonus, Cailulíus de Grífrs, Petrus Builana, Antoníus Seoerínus, Iacobus ZuruIus, Frcncíscus ZuruIus de Neapoll, Iorilanus Panilonus, Ludooícus
Carolí, sír Nicolaus Muzzapeile, AnlonÍus de Archiptesbíleto, Matínus eius fratet, Antoníus NÍcolaí de Cucalo, Sfmon Nícolaí ile Cuccolo, Blasíus eorum neqos de Cuccolo, NÍcolaus de Gígnano Preposítus Catolî ile Aqulla, Honofrtus Matlhul\, Anlonellus eíus fiIîus, Ifonofrlus MarínÍ, Iacobus de Sulnona, Augustînus ile Capto, Alfrellus de Capro e Bonusannus de Capro. Datum Neapoli efc.'(Reg. reg. Caroli lll, an. 1382 et 83, fol. 262b, copia in 4rc, Gaet. Arag., cod. n, 4 (1336), c. ó7).
t) MonteL, p.22t Arc. Caet', Misc., \' 324 lC- 10071, c.
39b.
t1 e. 47.
[r382 - 13e2]
R
elazioni tra Onorato e i Durazzo
313
Sorte non molto dissimile aveva subìto la regina Giovanna. Arresasi il 25 agosto t381, dopo la cattura del marito Ottone, fu tenuta prigioniera finchè nel maggio 1382, per ordine di Carlo, fu fatta strozzare con una cordicella di seta nel castello di Muro l) o, come altri vogliono, fu sofiocata con i cuscini del suo letto. Esposta in S. Chiara, perchè ognuno vedesse ch'era morta, fu poi sepolta in loco tanto ígnobile, che non sí sa oue fossero posfe /'ossa sue. D Così pagò il fio di una perfida e disonesta vita. L'atrocità commessa sul genero di Onorato e I'oltraggio alla famiglia spinsero costui piìr che mai a fare guerra spietata ai durazzesi, ma la nobiltà del suo carattere era pari alla frerezza dell'animo: non cercò di vendicarsi, a sua volta, sui parenti di re Carlo. Dopo che nel 1386 cadde assassinato, la vedova Margherita fu costretta dal partito angioino ad esulare da Napoli con i giovani figlioli Ladislao e Giovanna e a rifugiarsi in Gaeta dooe stectero ín multa calamità et pooertà gran tempo nutrita da pescatuîí, dooe dal sígnori del regno dícto Ladislao era chiamato Io re de Ie sarde. 3) Ivi venne a trovarsi alla mercè di Onorato, ma questi invece di trarre vendetta sui figlioli per le offese arrecategli dal padre, molto li onorò, governandoli e nutrendoli per piùr anni di seguito ed ogni di aoeoa Ia madre ... sei once d'oro, perchè erano íschaccíati di Napolt e da ogni altra gíente furono abbandonati: E poí si ín oolse íl bene della fortuna e pteso Io rc ín tanto ístato e a grandi e apíccholini (de conti Ghaetani) Io re ofizio à dato. Per Io re Anzillà sono í Ghaetani tuttí chuanti arricchíti e oenutí in ghrande
I
Durazzo relegati
in
Gaeta.
ístato. ")
Le ultime parole del cronista però
Castel dell'Ovo.
non si riferiscono ad Onorato, ma bensì
al fratello Giacomo ed a' suoi figlioli, seguaci fedeli di re Ladislao. Infatti la generosa protezione, che il conte di Fondi estendeva al re fanciullo, non si protrasse oltre I'anno 1392. La regina Margherita nel 1389 aveva dato a Ladislao in moglie Costanza, la bella e nobile figliola di Manfredi di Chiaramonte, donna Dvorzio di grande frerezza d'animq la cui vistosa dote servì a sollevare la famiglia reale dalle angustie di Ladislao' nelle quali si trovava. Ma dopo breve spazio di tempo, per ragioni di interesse e di opportunità politica, volle far divorziare Ladislao, avendo segretamente in animo la speranza di dargli in isposa una figliola di Bayazet I, imperatore dei turchi. Si mise ad infamare Ia innocente giovane facendo correre sul conto della madre, contessa di Modica, la voce che fosse donna di vita disonesta ed amante del duca di Momblanco. Ottenne dal papa la dispensa per il divorzio e, una domenica, essendosi re Ladislao e Costanza recati a messa, il vescovo di Gaeta, che officiava, inaspettatamente lesse Ia bolla papale per il divorzio, e davanti a tutto il popolo adunato in chiesa tolse I'anello a Costanza e lo restituì al giovane re. La infelice regina uscì dal castello di Gaeta (l lug. 1392) e si ritirò miseramente con una sua maestra e due damigelle, venute con lei dalla Sicilia, in una casa privata ove Ia corte le passava il vitto a modo di elemosina. a) Tanta infamia sdegnò l'opinione pubblica e molti baroni si ribellarono, primo fra questi Onorato, a cui Costanza era probabilmente parente, avendo egli avuto per madre Violanta ù Tsoale, p. 274. E Notar Giacomo (p. OZ): et era (l-adislao\ mullo honorato nulrìlo et goúernato finchè oenne ín Napolí che era de età. t) Gteg,,Yl, p. Domus,
l,
40.
513,
')
Cosr.,
Lib.
VIll.
")
Nottot,
G.,
p.67.
dal
sígnore Honorcto Cagetano,
r) Col., Lib. X;
Montel.,
p.43.
Si
ancho
3t4
GUERRA CONTRO
I
DURAZZESI
E
CONTRO ROMA
Lib. IV, Cap. XXXVII.
della Ratta 6glia di Oddolina di Chiaramonte. Onorato troncò le sue benevolenze verso Margherita ed il giovane re che, rafiorzatisi nel Regno, ben volentieri fecero a meno di lui, la cui protezione comprometteva i buoni rapporti loro con papa Bonifacio. I benefizi passati vennero presto dirnenticati e pochi anni piir tardi Ladislao non esitava a muoversi contro il vecchio conte e dargli il colpo mortale. *
**
di
L'animo fiero, leale e generoso di Onorato gli cattivò ad un tempo il rispetto dei nemici, coverno onorato I' Iu frdu"ia degli amici e I'affetto dei vassalli. Ne abbiamo una prova nel fatto che Luigi d'Angiò,
in frn di vita in Bari, addi 19 settembre 1384, nel suo codicillo volle disporre che Onorato fosse uno dei baroni a cui doveva essere affidata I'amministrazione dello stato dopo la sua morte. l) Governò da sovrano le terre a lui soggette e nei decreti, a cui appendeva il proprio sigillo con il cordoncino di seta giallo e rosso usato dai pontefici, s'intitolava: HoNotrovandosi
2) RATVS GAYTANVS DEI GRATIA FUNDORVM CAMPANIE ET MARITIME COMES. Non solo fu uomo d'arme valoroso, ma anche condottiero esperto e per vent'anni seppe tenere testa a tutti i nemici creando una potente organizzazione militare, con la quale con-
dominio quasi assoluto di tutto il territorio della Campagna, della Marittima e della Terra di Lavoro. Per meglio precisare potremmo dire che la zona a lui soggetta era comPresa da una linea che, partendo da Nettuno, passava per Marino ed Anagni e da lì, scendendo lungo la valle del Liri sino a Montecassino, seguiva poi il fiume Garigliano sino al mare e da lì, Iungo la spiaggia, si ricollegava di nuovo a Nettuno. La nrassima parte delle città e delle castella di tale vasto territorio era più o meno a lui sottomessa, ed in ogni luogo aveva seguaci e fautori, presidî militari e schiere di arrnati. Il 17 febbraio 1383, Carlo di Durazzo ingiungeva al mastro giustiziere di procedere contro Vitticece, vassallo del monastero di San Germano, il quale, come seguace e confederato del conte di Fondi, faceva guerra spietata, depredava la contrada ed imprigionava gli uomini dipendenti dalla badia. \ La dura commozíone di guena tra Onorato ed il monastero di Montecassino continuò ancora per vari anni perchè I'abate Pietro sempre si mantenne fedele a Carlo di
il
servò
Durazzo.
di liberarsi dagli imbarazzi che gli recava la guerra sui confini meridionali del proprio stato e perciò, il 30 marzo 1387, venne ad accordi di pu"" con Giacomo Marzano, conte di Squillace, ammiraglio del Regno, e con i fratelli di lui. In questo trattato fu anche compreso I'abate del monastero di Montecassino, i cui procuratori aderirono al patto e lo firmarono il giorno seguente, 3l rnarzo, e ad essi si associarono altresì i rappresentanti delle università di Pontecorvo e di Roccaguglielma. Il trattato fu firmato sulla via puÙbli"u, nel territorio di Traetto, presso il traghetto sul Garigliano che segnava il a) confrne dello stato di Onorato. Il conte però, oltre che condottiero, fu anche buon rettore delle provincie e uomo previFinalmente I'altiero conte trovò conveniente
dente. Cercò di migliorare lo stato, incoraggiando I'agricoltura e promovendo la prosperità dei suoi sudditi. Si occupò di popolare lo stato e non solo costruì presso Formia il così detto < Castellone >, ma fondò anche un nuovo paese che da lui prese il nome di Castellonorato. Questo egli edificò sopra uno sperone roccioso, che domine la campagna a metà strada tra Formia e Traetto, I'odierna Minturno, completando in tal modo la catena di castelli che r)
Voloít, II, P. 83.
\
Cf. Pw.
1264.
\ An' Nol,, R. ,4., vol. ?5g, f, 3$.
{) Îocti,
Badia di Montcqsino, lÍ1, p.22O.
[383-
Governo di Onorato I
1387]
315
Castellonorato.
Terracina sino al traghetto del Garigliano. (Jna medesima strada collega Castellonorato e Maranola con Formia, e perciò le due terre si trovano quasi sempre associate nelle stesse vicende storiche. La roccia su cui sorge il castello è lunga ed angusta e con Ie pareti a precipizio, sicchè il paese ha la forma quasi di una nave, alla prua della quale venne eretta una piccola rocca: ne rimangono poche tracce salvo una torre assai diruta, dall'alto della quale si gode una merapossedeva dalle vicinanze
di
Crotellonorato.
vigliosa veduta sulle colline circostanti. Per la sua forma angusta, non v'è posto entro il paese che per una unica strada, larga poco piìr di tre metri, che corre, per così dire, da poppa a prua e da cui qualche raro vicolo, dopo pochi metri, va a sboccare sul vuoto. Lì, in una casupola della vecchia rocca trovai una donna che si awicinava al secolo, la quale tesseva a mano una tela di canapa su un primitivo telaio, che aveva comprato da giovane e che giudicai essere stato costruito nel secolo XV. E questo, purtroppo, era I'unica reliquia che ricordasse i tempi in cui su quello scoglio dominarono i Caetani, Onorato, come dissi, si curò molto delle popolazioni, ed agli abitanti di Traetto, di Fondi, di Gaeta e di Formia offrì appezzamenti di terreno da coltivare; fu pio e generoso, dotando chiese e monasteri e tra gli altri costruì quello di S. Francesco presso Fondi; aprì i propri magazzin ai bisognosi ed aiutò le giovani di povera condizione a mariiarsi : ll Memoríale del
Popolo ricorda Barbara Fedele che egli trasse dalla miseria perchè potesse sposare Sebastiano Frizzillo di Traetto. r) Un indizio della sua ticchezza e potenza ci è dato dal fatto che, malgrado le enormi spese che egli doveva sostenere nelle continue,guerre, era stato in grado di prestare varie volte allo zio Gordano Orsini somme cospicue che, nel corso del tempo, ammontarono a 60000 fiorini d'oro di Firenze. A securtà di questi debiti, Giordano, il 16 febbraio 1383, dava ad 2) Onorato in pegno la terra di Marino con tutti i diritti, i vassalli, le fortezze etc. Varie cause avevano ridotto Giordano nelle disastrose condizioni nelle quali lo troviamo alla fine di sua vita. Egli aveva tre Gglioli naturali, cioè Orso, Orsina moglie di Giovanni Ceccarelli di Sezze, ed Andrea; inoltre c'era Giacomo, detto degli Orsiní u, reputato di
"
t)
Ríccatdelli, p, 268.
\ Atc. CoL, Ll-86.
Giordano Orsini.
316
CUERRA CONTRO
I
DURAZZESI
E
CONTRO ROMA
Lib. IV, Cap. XXXVIil.
figlio di lui e di Anastasia Orsini sua moglie; nel testamento però del 19 giugno 1384, Gordano dichiarò che questi non era suo frglio, ma che bensì era stato fraudolentemente supposto dalla moglie che aveva simulato di essere incinta. Grave odio era sorto tra Gordano ed il suo supposto figlio'e questi, diventato uomo, si eîa mosso contro di lui e gli aveva tolto Marino e Torre Astura, per cui Giordano era rimasto nella miseria. Una volta, essendosi'awicinato ad una delle fortezze tenute da Giacomo per chiedergli di che vivere, questi lo aveva cacciato e con le sue proprie mani gli aveva tirato una saetta ferendolo gravemente alla coscia. Privo di mezzi, si rivolse al nipote Onorato che lo protesse e lo sowenzionò; a securtà degli ingenti debiti contratti Giordano diede in pegno, come dicemmo, la terra di Marino e, il 2l marzo 1383, gli donava Marino nonchè la città di Nepi, il castèllo di Montalto, Ia terra e la rocca di Astura e tutte le terre che aveva nel regno di Francia ed i suoi diritti al senato di Roma. r) Poi ammalatosi e trovandosi in fin di vita (19 giù. 1384), nominava Onorato suo erede universale con obbligo di assegnare al figlio naturale Orso la terra di Rocca di Papa, appena I'avesse recuperata e, se avesse potuto recuperare prima Torre Astura, avrebbe dovuto dare questa ad Orso sino al giorno che avesse Rocca di Papa nelle mani. Ad Orsina legava Cisterna e la tenuta di Tivera. .Raccomandò ad Onorato di proteggere e difendere i suoi figlioli, di prowederli del vitto necessario e di aver cura de' suoi familiari; dopo poco essere
morì.
2)
Onorato si mise senz'altro all'opera ed in meno di un anno riconquistò Marino e constrinse Giacomo Orsini a venire a patti con lui. Dovette questi sgombrare Marino con armi e bagagli, ma ricevette in compenso Astura, la città di Nepi e metà di Montalto, a condizione però'di accogliere sempre liberamente nel porto di Astura le galere ed altri legni che venissero in aiuto o ai servigi di Onorato. Qualora Giacomo fosse morto senza discendenza maschile, le terre dovevano ritornare al conte. Inoltre gli ofiriva una condotta d'armi se voleva venire a militare ai suoi ordini. 3) L'armonia fra i due durò poco. Giacomo, entrato in possesso delle castella, le considerò come sua assoluta proprietà e, trovandosi in ristrettezze finanziarie, trattò con Nicola Orsini conte di Nola, per Ia vendita di Astura. Risaputa la cosa, Onorato Io accusò di essere un predone e, nel gennaio del 1391, per vie legali diffidò il conte di Nola perchè non cercasse di perfezionare I'acquisto di Astura, che egli come erede dello zio materno, considerava sua proprietà. Rispose Nicola di avere egli stesso certi diritti sul castello. a)
*** Attivirà
rnilitari.
Nei venti anni che Onorato fu signore quasi assoluto della Campagna e Marittima dovette guerreggiare di continuo contro i pontefici. Le sue basi di operazioni furono Fondi, Terracina, Sermoneta, Sezze ed Anagni che a lungo gli rimasero fedeli. Aveva assoggettate inoltre, o tratte dalla sua parte, anche Piperno, Frosinone, Ceprano ed altre terre. Il castello di Marino, di cui teneva il possesso unitamente al monastero di Grottaferrata, gli permetteva di stare all'agguato alle porte di Roma. Il monastero ebbe tanto a soffrire da questo stato di cose che nel 1400 frate Giuseppe, abate di esso, dichiarava di trovarsi ridotto in istato di completa indigenza.5) t) Ptg. 350 . 715. Scambiis, uot. S.
Are.
2) Arc. Col., LIV -62.
in Pech., I - 20,
9
/ur, XXXIV-
32.
{) /oí, XVlll
-
99.
5) BìbI. Vat., Aui
A. L.
de
Attività militari di Onorato I
fl384- I3eel
3t7
Mosse cortro le città di Alatri, Guarcino e Collepardo con un esercito di 500 uomini d'arme a cavallo e in uno degli scontri ebbe la peggio, perdendo oltre 40 dei suoi migliori uomini; rinnovò gli attacchi sicchè il partito allora dominante in Alatri, temendo di cadere finalmente in mano ad Onorato, diede la signoria delle castella ad Adenolfo e a Ildebrandino Conti, contrariamente alla volontà di Carlo Brancaccio, rettore della Campagna e Marittima e quindi sottraendosi alla obbedienza della Chiesa: ma nel 1389 Ie suddette comunità si sottomisero ad Urbano VI e furono perdonate. l) Terracina, città confinante con la contea di Fondi, sia di propria volontà, sia perchè Terracina. intimidita dal suo potente vicino, prese le parti degli scismatici e rimase fedele alla loro fazione sino alla morte di Onorato. Questi Ia' teneva occupata non solo con le armi, ma anche quale pegno a garanzia di un mutuo di 80000 ducati fatti da lui a favore ,, di un certo papa >), come risulta dal testamento della figliola lacobella. Da tale indicazione generica è impossibile arguire se si trattasse di denaro anticipato per le spese militari ad uno degli antipapi oppure del prestito di 20000 fiorini fatto a Gregorio XI.2) Dalla città trasse gente armata per la guerra e vi costruì una rocca in contrada Trabesia (rocca Traversa, I'antica Íofiezza dei Frangipani) 3) onde poter meglio sbarrare il passo di Terracina. o) Tenne anche occupati il Circeo ed il lago di Paola. Morto Onorato, i terracinesi tornarono all'obbedienza di Bonifacio IX e furono da lui perdonati con bolla del 12 giugno 1400, in cui però li obbligava a dar man forte all'esercito della Chiesa nell'espugnare Ia suddetta rocca, rimasta ancora nelle mani degli scismatici. a) Gli anagnini seguirono Ie parti del proprio signore e di continuo combatterono per lui; Anagni. tra altri presero prigioniero Andrea Carafa, che era ai servizi della Chiesa, con tutta la sua scorta e riscossero una grossa somma per il suo riscatto. Onorato tenne Anagni presidiata da milizie bretoni, e queste scorrevano la campagna e le terre di Ferentino rendendo assai malsicuro ai viandanti il transito per la valle del Sacco, cosa della quale ebbero a lagnarsi in modo particolare i cardinali che dovevano raggiungere il papa Urbano VI. 5) Vari cittadini andarono a dimorare a Fondi ed esercitarono uffizi per Onorato. Nell'aprile 1399 però, vedendone declinare le sorti, gli anagnini si tolsero dalla sua signoria, che durava già da 40 anni ed offersero di tornare all'obbedienza della Chiesa, mettendo avanti delle condizioni che, per la loro arroganza, indicano a che punto papa Bonifacio IX era disposto ad accondiscendere pur di poter abbattere la potenza del fiero barone. Il 4 maggio il papa li riprendeva in grazia ed anche i fuorusciti, fautori di Onorato, furono perdonati. 6) Alla conversione degli anagnini molto contribuì Giordano Colonna de Princípibus Alme Urbís, in riconoscenza di che il papa gli donò una casa in Anagni, proprietà del ribelle Onorato. 7) I sermonetani, che costantemente a traverso secoli, furono fedeli affezionati ai propri sermoneta signori, non titubarono mai e rimasero a fianco del conte sino al giorno della sua morte e questi, e sezze' per gratitudine di quanto essi avevano operato in suo favore, concesse loro varie grazie, ricordando allo stesso tempo i molti servigi e le gravi spese a cui si erano sottoposti nel corso di
anni
al
tempestosi.
Anche Sezze parteggiò per gli scismatici e rimase occupata dagli uomini di Onorato sino 1399, quando fu sottomessa dall'esercito pontificio comandato da Andrea Tomacelli e dal
a) Il Contatori (p. rto) afferma che, a suo parere, vi furono cinque rocche a Terracina, due nel piano e tre sulle alture;
r) Theín., ll, p. ó18. a) Theln,, Ill, p.
p. 31.
2) Cî. p.29Ùt Pts.
97.
7)
351.
Arc. CoI., lll-25.
al principio del
Settecento le due prime erano in completa rovina come aoche quella di S. Argelo.
3) Conrs!., p. 178.
{) Arc. Terracha, cit- Conlal.. p.93.
o) Niem.,
3t8
GUERRA CONTRO
I
DURAZZESI
E
CONTRO ROMA
Lib. lV, Cap. XXXVIII.
cardinale Ludovico Fieschi. l) In tale conquista ebbe parte principale Giovanni Ceccarelli, marito di Orsina Orsini nipote di Onorato. Tale parentela I'aveva indotto a prendere le parti di Clemente VII durante i primi anni dello scisma, ma poi, caduto in discordia con Onorato, si vide da questo strappare la terra e la rocca di Gsterna, per cui il Ceccarelli si era unito ai pontifici; in compenso dei servigi resi, Bonifacio IX gli concesse, a condizione che andasse a prenderseli, Cisterna, certe case in Marino ed altri beni probabilmente facenti parte dell'eredità di Ciordano Orsini. 2) I sezzesi abiurarono lo scisma il 9 luglio 1399 in presenza del cardinale Fieschi ed all'atto, in qualità di testimoni, intervennero tra altri Adenolfo Conti e Bonifacio Caetani Palatino. 3) I Da ceccano. Onorato guerreggiò pure contro
i
Da Ceccano. Nicolò lll, figlio di Berardo, al principio dello scisma aveva preso le parti di Clemente VII ed aveva capitanato le truppe scismatiche inviate per togliere Carpineto ai Conti, a) ma poi, inimicatosi con Onorato, fu da questo spogliato dei suoi beni e cacciato dai propri lari (l3M), da cui fu tenuto lontano per quindici anni. 5) Rientrò in grazia della Chiesa il 4 agosto 1399, e Bonifacio IX dava ordine al cardinale Ludovico Fieschi, di rimettere con le armi Nicolò ed il fratello Bello in possesso delle loro caó) Tale breve però stella ancora occupate da Onorato. non potè avere immediata esecuzione e soltanto nelI'anno seguente i fratelli Da Ceccano, dopo' aspri combattimenti, riuscirono a riavere la terra di Giuliano di Roma, che unitamente alla rocca, ebbe molto a
Aflresco nella chiesa
di
Maranola.
fautori dell'antipapa Clemente tutte le terre. e)
VII il
sofirire; i danni arrecati dalla guerra furono stimati a 40000 ducati. Il 18 aprile 1400, ossia due giorni prima della morte di Onorato, il cardinale Fieschi, rettore della Campagna e Marittima, stipulava con i Da Ceccano un concordato con il quale venivano definitivamente re' golati il possesso del castello e i rapporti dei àu" fratelli con la Chiesa. i) I Caetani di Filettino, che erano in disgrazia della Chiesa, s) diventarono subito quale, il 2 decembre 1380, ordinò che fossero loro restituite
** {<
L'accanita guerra che Onorato muoveva alla Chiesa e Ia soggezione che ave,va imposto con lX' a tutte le terre della Campagna e Marittima ed a molti baroni e vassalli, piir di una volta, ridussero papa Bonifacio IX a disperare di se stesso e a desiderare un poco di pace. Perciò
Tregue Bonifacio
nel l39l venne ad accordi con Onorato per indire una tregua che durasse dodici mesi a partire dalla fine dell'anno, ed il 20 agosto diede al legato Angelo Acciaiuoli, cardinale di S. Lorenzo in Damaso, piena autorità per stabilire le condizioni e firmare i patti. r0) 1) Giotsl, p. 263.
t) Prc. 1517.
cc. 167. 171, 173.
6) Iot,
\ Cat Du., p.53. ')7)Theìn., lll, p. 100; Atc. Vot., R.e. 316, c. CXCV. Arc, Col., lll-5, ,Cf.pae.272. e) Pietontaní,cit.Ceccaccì,p.32.
^o)
a) Cf. pae.298. Arc,Vsl.,Reg.3l3,
Trattative e tregue con Bonifacio IX
[1380 -14001
319
Intanto, peÌ rendere Onorato piìr arrendevole, ordinava a tutti i vescovi e agli arcivescovi del Regno d'impedire che denari, grano, biada, vino, olio, formaggio, ferro, armi, Iegnami, strame, panni di seta, di lana o di lino, scarpe di cuoio, carne, animali, cera e qualsiasi altro rifornimento pervenissero ai ribellidellaChiesa. r) La tregua fu probabihnente rinnovata.alla fine del 1392 ed ancora una volta nel 1393 quando, addì 17 ottobre, Bonifacio IX commetteva a due cardinali I'incarico di stipulare con Onorato una proroga che avesse la durata di due anni. 2) D'altra parte I'antipapa Clemente VII, grato di quanto Onorato faceva per lui, si rnostrava largo nelle grazie e volentieri accedeva a tutte le sue domande. Così, ad esempio, il conte gli fece presente che molte delle donazioni, infeudazioni, immunità e gli stessi privilegi del suo uffrcio quale conte della Campagna e Marittima gli erano stati concessi motu proprÌo, ma senza I'approvazione del sacro collegio; in considerazione di ciò il papa, ricordando che in Fondi egli da Onorato era stato riftcíIlato e faoorìto non altrìmenti che un caîo padre dal grato figliolo, addì 20 gennaio 1393, gli confermava da Avignone quanto gli era stato concesso prima, ed alla bolla apposero la propria firma lo stesso pontefice e tredici cardinali. 3) La situazione nelle provincie romane non mutò di molto sinchè visse Clemente VII, ma dopo Ia sua morte, awenuta il 16 settembre 1394, il di lui successore, I'antipapa Benedetto XIII, dimostrò buona disposizione d'animo di venire a trattative per vedere in che modo si potesse por fine allo scisma che minacciava di protrarsi indefinitivamente, non escludendo Ia eventualità che uno dei due papi volontariamente abdicasse; o almeno, se tale soluzione non era possibile, voleva cercare di venire ad un modus oíoendí col u collega r'. Ma il pontefice Bonifacio IX non poteva e non intendeva prestarsi a mercimoni; però volentieri avrebbe accettato Ia proposta che uno dei due papi abdicasse a condizione che questi fosse Benedetto XIII. Una prima ambasciata ebbe poco successo, in vista di che Onorato probabilmente offerse a Bonifacio IX di stipulare un nuovo armistizio che permettesse ai rappresentanti dell'una e dell'altra parte di viaggiare liberamente e d'intraprendere trattative in un'atmosfera di maggiore calma e serenità. Bonifacio [X accettò di buon animo la proposta giacchè per Ia dtfrcoltà delle círcostanze non erc possíbile di addíoeníre ad una pace; è probabile anche che si trovasse a mal partito, bloccato come era, a mezzogiorno, dalle terre soggette ad Onorato e, verso il mare Tirreno, dai corsari e dalle navi da guerra che il conte e I'antipapa tenevano a
loro
servizio.
il
18 febbraio 1396 affidava a Maffiolo, vescovo di Piacenza e suo rettore nella Carnpagna e Marittima, di addivenire immediatamente ad una tregua di un anno collo scismatico barone. Leggendo i capitoli non si può fare a meno di sentire che non era un trattato fra il sommo pontefice ed un barone qualunque, ma bensì fra persone uguali, se non per autorità spirituale, per efiettivo potere temporale. In base a questi acccrdi íI nobíIe uomo Onorato, un tempo conte di Fondí, ed il papa s'impegnavano di sospendere qualsiasi attività guerresca, tanto per terra quanto per mare, anche per parte dei propri confederati ed amici, e fu stabilito che specialmente non si dovesse né ricettare né dare ausilio a qualsiasi corsalo' pirata, invasore, awersario o soldato catalano che tentasse d'impedire I'approdo di naviganti amici. La quale clausola, è facile capire, riguardava particolarmente il signor Onorato. Dovevano Ie parti concedere libero transito per i rispettivi territori a quanti si volessero recare a Roma o dovessero farne ritorno, e fu convenuto che, se per caso dovessero muoversi navi per mare o gente armigera per terra con intento di offendere, doveva I'una parte dare immediato awiso all'altra. Perciò
t'l
Arc. Vat., R:g. 313" cc. l7O, 174'177.
') /oi,
Rcg. 314,
c.
16?:
r) Pre. 2040'
CUERRA CONTRO
I
DURAZZESI
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CONTRO ROMA
Lib. IV, Cap. XXXVlll'
Onorato poi fu chiesto d'impegnarsi solennemente di rispettare gli accordi presi, anche se gli fosse comandato il contrario dai propri superiori nelle cose temporali o spirituali (cioè dallo stesso antipapa), e ciò soffo pena dí perpetua infamia, prodizìone e fede oiolata, non potendo Bonifacio IX imporgliene altra. È pr"rumibile che, secondo quanto era stato prescritto, Onorato personalmente prestasse giuramento appoggiando Ia mano sulle sacre scritture, in attesa del momento di riprendere con
Ad
essa, se necessario,
la
spada. l)
dimostrò riconoscente del modo col quale Onorato aveva aperto le trattative con I'oppositore e perciò, avendo deciso di mandare una nuova ambasciata a Roma, fece togliere dal tesoro pontificio del palazzo in Avignone und bella coppa di madreperla montata in oro e ornata di pietre prezíose e dí peile (margaritis) da donarsí aI conte di Fondt. Essa, suppongo, fu affidata agli ambasciatori che partivano per I'ltalia. Sbarcati a Terracina, furono accolti festosamente dalla popolazione che venne loro incontro portando simbolici rami d'olivo. Onorato li ospitò per vari giorni e poi li scortò sino al suo castello di Marino. Da lì si recarono a Roma (ag. 1396), ove cercarono invano di trovare quell'auspicato modus Benedetto
XIII si
i
due papi. 2) I romani, sempre scontenti del papa che hanno in casa propria, erano d'animo piuttosto propenso verso Benedetto XIII, ed Onorato si adoperava a trarre partito da questa tendenza *unt"n.ndosi in corrispondenza con i maggiorenti del popolo e sollecitandoli in varie maniere. Una ribellione o un colpo di mano su Roma sarebbe stato un modo speditivo per risolvere la questione; con tutto ciò sperava sinceramente che i due pontefici ed i sovrani d'Europa avrebbero trovato modo di por frne allo scisma per vie amichevoli. Animato probabilmente da questi sentimenti, il conte, allo spirare della tregua con Bonifacio IX, si mostrò disposto a rinnovarla. Perciò mandò a Roma un nunzio e procuratore ad esprimere il suo sincero desiderio di vedere ristabilita I'unione della Chiesa ed il suo fermo proposito nel voler promuovere questo risultato. Propose di confermare i patti di concordia, spirati nel febbraio, sino al primo novembre 1397, asserendo di avere certi importantissimi segreti, di cui avrebbe a suo tempo fatto fede per pubblico istromento, dai quali segreti era certo sarebbe sorta la unionè universale della Chiesa. Si rifiutò però di comunicarli sino alla predetta data, festa oíoendí
di
tra
Ognissanti.
Bonifacio IX accettò subito la proposta e la tregua fu redatta per pubblico istromento, in data 27 lebbraio 1397, dal notaio Francesco di Montepulciano e, a nome del pontefice, firmata da Corrado arcivescovo di Nicosia' Ora nel lunghissimo atto d'accusa che Bonifacio IX fece redigere e pubblicare il 2 maggio 1399,3) si vuol far apparire che Onorato promettesse di volere, al termine della tregua, riconor""r" Bonifacio, vero, solo. e legittimo papa, proibire che chiunque nelle terre e negli stati suoi riconoscesse I'antipapa, nonchè far distruggere gli emblemi di lui e far dipingere invece onorevolmente
le
armi
di
Bonifacio
IX nei luoghi piir eminenti.
Dubito che Onorato eflettivamente facesse queste promesse quando la situazione era ancora tanto incerta; è piuttosto da credere che, essendovi la tendenza o la speranza che Benedetto XIII si sarebbe piegato a cedere, Onorato promettesse, in caso che Bonifacio IX fosse riconosciuto unico e legittimo pontefrce, di voler conformarsi a quanto è detto soPra. Egli s'im' pegnò di osservare i patti sotto pena di 100000 fiorini e, il l0 marzo 1397, in Terracina, a) pt*ta giuramento sulle sacre scritture in mano di Antonio de Vecchi, vescovo fermano. La tregua t) Atc. Vat., AA., Arn. I, XVIII-1259.
2) Valoís,llt, cap.
II.
3) Raun.,
XVll,
an.
1399.
t)
Iùì.
Trattative e tregue con Bonifacio IX
32t
deve essere stata però di effimera durata, perchè in un altro breve pontificio è ricordato che fu necessario prorogarla sino al I novembre 1397, termine già designato nella precedente proposta di Onorato. Prima che scadesse quest'ultimo rinnovo,'e precisamente il 25 ottobre, il papa volle o concesse che fosse prorogata per un altro anno e cioè sino al 3l ottobre 1398. l) In conclusione si vede che per sette anni, dall'agosto l39l all'ottobre 1398, vi fu una tregua quasi continua tra Onorato ed il pontefice. Ciò non ostante, malgrado le trattative e Ie tregue di pace, Onorato non escluse mai la colpi di mano contro Roma' speranza di poter troncare lo scisma con un arditci colpo di mano su Roma che conducesse alla cattura o alla fuga del papa. a) Un primo tentativo vi fu verso la fine del 1396 o il principio del 1397 e fu istigato da Tommaso e LIgo Sanseverino per tramite del conte di Fondi; ad organizzarlo si adoperarono Giovanni e Nicolò Colonna d'accordo con Paolo Savelli; ,2) i trasteverini presero le armi, ma furono domati. Alcuni autori parlano di un'altra congiura nel 1397 ; b) certo è, al dire di Bonifacio IX stesso, che nell'agosto 1398 Onorato, probabilmente disperando di poter in altro modo vedere risolto lo scisina, ordì una congiura con i romani Petruccio ' Sabba di Giuliano e Pietro Cenci per eercare di ripristinare il governo popolare dei banderesi. Marino e Sermoneta dovevano servire di base per apprestare Ia gente armata. Natolio di Bucci di Natolio, del rione Ponte, doveva portare in effetto il colpo di mano; a Terracina furono preparati le bandiere e i vessilli con gli stemmi del popolo romano, dei banderesi e dei rioni, che da Marino furono' mandati a Roma. Era stato pure stabilito che la gente d'arme del conte, al momento opportuno, avrebbe preso la porta di S, Giovanni in Laterano. La congiura però, per accortezza del vicesenatore, fu sventata ed i caporioni furono decapitati sulla scalinata del Campidoglio. ") Essendosi quindi rotta la pace tra Onorato e Bonifacio lX, ricominciò quegli ad accanirsi contro il papa ed il popolo romano tanto per terra guanto per mare; città e terre venivano sottratte alla Chiesa, corrispondenze intercettate ed aperte, nunzi, cortigiani, pellegrini e chiunque altro si recava o si partiva dalla curia, erano arrestati, taglieggiati. Le navi corsare di Onorato fermavano i legni che cercavano di guadagnare Ia bocca del Tevere per portare viveri a Roma; i delitti, a quanto diceva il papa, erano tanti da non potersi enumerare piìr, e di ciò non c'era da meravigliarsi perchè ogni violenza commessa dalle barbare milizie mercenarie veniva imputata ad Onorato come un delitto personale. d) Epput" non era ancora scaduto il termine
della tregua ! Mulgr"do Ie frequenti violazioni dei patti giurati e I'acerbo odio che inviperivs gli animi, tanto il pontefice guanto il conte si dimostrarono disposti a rinnovare gli accordi di pace e ù Honotatus ,,, pet nuntlum et cum alíls eospùatofibus cum pactìstracteoítpet gue nos eúpt faceret (Arc, Vat,' Iìeg.316, c. cX)<X). b)
AII 26 de
Gíooannc Thomacello
nbbíto sí pailè,
el
(1397?) sÍ pailè da Gaela
messer
ftate ile Io paga, ... et tornolo ín
Gaeta
gennato
anìlò
a
Roma
a Ia
ímptessa perchè
lì
rc'
fatlo et batlato de fare morirc Io papa e tutti lI napolílanî: Et per queslo Io papa nde fe moúre ben trídícì de lí meglto de Roma che lloro foro trooalí Ie banderc, con Ic quàle ooleano leoarelo Reame pet parle de Io conle de Fundl. (Monrel,, p. 4S). Vi è uaa certa.confusione tra i cronisti Per queste varie congiure. Sembrano essere tre: una prima (o forse due) maÀl haocano
nel 139ó- l?97, la
seconda uell'agosto 1398
e la terza lel
gen-
c) Vedi Greg.
(VI, p. 535) per parere sulla data della deca(Cf. Rayn., XVtl, an, llog), L'Infeàtura
pitazione di Natolio:
(p. B) scrive: Bonífutío IX .., hebbe lo'Stato dí Roma, Io quale ll lo díeto Natolo et Pebuccío Saoo perchè ercno delli signofi, et quesll sl dísseto allo papa: < Se tu ouoí mantenete lo Stato dí Roma acconzía Castíello S. Angelo , c! Io papa Io fdce; et pùì che I'ebbe fotnito, Io meilo che lí dao a Natolo et ad Pelruccío sí è che Ií fece taglíare la testa, et dísse lo papa: " Costoro me hanno dato Io Stato et orc me Io rsoleùano tetoglíere ,. é) ,,, nionnullàe homínum slrages, tenarum, Iùcorum, eccle. síatum ac monasteiorum excídía, rcpínae, spolía aedíum,.lncendla
ac
demolíIíones, oírgínum
sono
et
familías oîolatíones erc.
matrum
le parole con le quali si sfoga
il
papa.
naio 1400.
t) Arc,. Vat.. Domus,
l,
41.
Reg. 315,
f, 252t
Rce. 316,
î, 4?t Ree. 312, f. l7l.
e)
Atc.
Caet., Misc.
n.324
[C-10071
;
îÀein,, Il, p.
105.
GUERRA CONTRO
I
DURAZZESI
E
CONTRO ROMA
Lib. lV, Cap. XXXVlll.
guesta volta ad Onorato si associò l'illustre príncipe e magnirtco sìgnore Gooanni Scíarra de Víco prefetto de Roma. Difatti questi, il 13 ottobre 1398, delegava un suo procuratore il quale
d'intesa con quello del magnífico e potente Onorcto, conte di Campagna e Maríttima, doveva trattare la tregua col marchese Antonio Tomacelli, fratello di coluí che sí fa. chíamare Bonifacio IX. t) Ma le cose non potevano durare più a lungo in questo modo. Ancora il 9 aprile. l3D il pontefice sperava che Onorato volesse forse tornare alla obbedienza della Chiesa o accettasse qualche concordato che promettesse di essere più sincero e duraturo delle tante altre intese giurate
i
firmate invano; perciò ordinò che, se si fosse venuto ad una tregua, in essa fosse anche compreso Luca Spinelli, signore di Roccaguglielma, il quale militava per papa contro Onorato; motivo
il
timore di Luca che, accordatosi il pontefice con il conte, egli stesso potesse rimanere abbandonato ed alla mercè di questo che gli teneva occupato il castello di Ambrifi.2) condanna Incapace di resistere piìr oltre e temendo la propria rovina, sia perchè Onorato si rifiutò di eolcnne. rinnovare la tregua, sia perchè coinmise qualche altra grave violenza, il papa decise di fare uno " sforzo definitivo per annientare il terribile nemico, dal quale diceva di essere stato ingannato oipe' rea fraude. Incaricò cardinali Pileo di Prata, vescovo di Tivoli, e Rinaldo Brancaccio, titolare
per tale partecipazione era
il
i
S. Vito in Macello, ad istruire un solenne processo che fu iniziato il 14 aprile 1399. Avendo fatto citare Onorato a comparire sotto garanzia di un salvacondotto, e questi naturalmente non essendo comparso, il 2 maggio il giudiee lo fece, per I'ultima volta, chiamare ad alta voce dalla porta del p l^rro pontificio. Allora il papa in solenne concistoro lo dichiarò scomunicato, eretico, ribelle etc. e lo condannò a 100000 fiorini di multa, alla confisca di tutti i suoi beni, alla perdita della dignità di milite, del cingolo militare etc. o, per meglio dire, Io sottopose' a tutte quelle pene a cui da 20 anni era già stato piìr volte condannato senza soffrirne incomodo alcuno. Invitò tutti i fedeli della Chiesa ad impossessarsi della sua persona, gli tolse la facoltà di testare, escluse i suoi discendenti per due generazioni dai pubblici uffici e dalle dignità, ordinò a tutti i sacerdoti di proclamare solennemente la scomunica nelle loro chiese con il solito rito di accendere le candele e poi spegnerle e gettarle in terra; annunziò che, se anche fosse stato
di
assolto
in
misero
al
ailículo mortis, chi avesse osato dargli sepoltura ecclesiastica rimanesse scomunicato sino a tanto che, con le sue proprie mani, non lo avesse dissepolto e gettatone il corpo lontano. Ed infine concesse a quanti avessero preso il segno della croce per cooperare allo sterminio del ribelle quelle stesse indulgenze e quegli stessi privilegi che spettavano a coloro che andavano in Terra Santa a combattere gli infedeli. 3l Il 13 maggio esentò anche il monastero di Montecassino dalle decime, perchè guesto denaro fosse speso nel muovere guerra contro il rtSIío dell'iniquità. a) Poco dopo (20 giu.) gli abitanti di Pontecorvo, che avevano parteggiato per I'antipapa e combattuto contro I'abbazia di Montecassino, depredandone le proprietà, si sottopontefice.
5)
congiura A leggere le violente parole del papa ritorna in mente I'ira di Bonifacio VIII del
f400. Colonnesi. Tanta condanna non scoraggiò il conte di Fondi
contro i
il
quale continuò a combattere ed a cospirare. Non era finito I'anno che ordì una nuova congiura coi propri nipoti Nicolò e Govanni 6) che ... una notte del mese Colonna. ") Racconta Ia cronaca manoscritta del nostro archivio di Gennaro (15 gen. l4@) entrati da Ia Porta del Populo con alcuní soldatí a caoallo et d píedí, andaro in Campidoglío, sperando che col sonare Ia campana all'atme et chiamare iI a)
r\
Figli di Stefanetto da Palestrina e di sancia caeràni, sorclla di onorato,
r) Arc. Vat., Reg, 3t6, cc. Gauold, vol.
t, p. ,139.
Xlill,XLV.
5)
/oi, p.
490.
LXXVll.
3) Arc. Vat.,Reg.316, ?) Ior, c. 6) Arc. Caet., Misc. n. 324 fC- 10071' c. El.
f.
t30- 138; Rasn.,XVIll ad an. 1399.
[ott. 1398 - mar.
Crociata contro Onorato
14OO]
323
Populo in libertà, moltí si mooessero a piglíaî I'armí, e mentre durò I'oscuro de Ia notte, mandarc per molte case di quelli che loro sí fidaoano che sarebbero stati faooríti de la iibertà, ma aI fine oedendo che si faceoa di, et non sí mooeoa persona, sí partíro da Roma, et fur questa seguití da alcuni soldalí del Papa et da molti del Populo et ne furon prcsi 3l ; et in piesa accadè una cosa notabile, che essendo ne| numero loro un padre con due figli, et essendo tuttí per ordíne del Papa condennatí a morte, non trooandosi boia che l'appÍccasse, fero patto con uno de duoí figli che li perdonarebbero Ia oita se appiccasse gli altri. II giooane sfeffe sospeso alquanto perchè consÍderaoa che Ií bisognaoa appiccare tra gIí altrí tI padre et íI fratello ... peîsuaso dal padre et dal fratello se saloò per questa oía, appíccando tuttí I'altrí insíeme col padre et col fratello, et certo fu grande ínclementía del Papa et de
quel Gíudíce, che furon presenti aI spettacolo, Speciale sdegno risentì il pontefrce contro Nicolò Colonna il quale poco tempo prima, tutto vestito di bianco, s'era presentato a lui con grandi manifestazioni di fedeltà e d'affetto. I due fratelli, oltre al colpo di mano contro Roma, ne avevano fatti di tutti i colori ed avevano persino gettato in carcere lo stesso vescovo amministratore di Palestrina, mandato loro per ordine u) ed avevano svaligiato i pii pellegrini che si recavano a Roma per. I'anno santo. à"1 pupi Oramai era giunto il momento per agire: già da troppi anni il pontefice comminava pene e scagliava scomuniche rimaste senza efietto e I'autorità ed il prestigio della Santa Sede grava' mente ne sofirivano; forse anche, dopo venti anni d'incessante lotta, i seguaci del conte cominal ciavano a stancarsi e più scarso era I'appoggio finanziario che giungeva dalla Provenza. Perciò principiodel t+OO il pupufece uno sforzo supremo: riunìun forte esercito che affidò allacondotta di
Andr"" Tomacelli, suo fratello, e fu convenuto con re Ladislao che questi si sarebbe mosso contemporaneamente dal mezzogiorno in modo da schiacciare il conte come in una morsa. Era facile pr"o"d"r" che il potente ribelle stava per essere domato e perciò molti individui e varie comunità ,i ,r"""urono da lui cambiando bandiera col cambiare del vento. Tra i primi fu Corradino di Corrado d'Antiochia al quale Bonifacio IX perdonò il 6 marzo 1399. Anagni, sua fedele vassalla per quarant'anni, pochi giorni prima che fosse pronunziata la solenne condanna contro Onorato, otrri ai tornare all'obbedienza della Chiesa; Marino seguì I'esempio. Così fecero anche Bucio Savelli, Bonifacio Caetani Palatino ed Antonio Caetani di Filettino. Il cardinale Luca Fieschi, rettore della Campagna e Marittima, fu nominato prefetto della contea di Fondi l) e si unì con le sue truppe a . quelle del Tomacelli e cosi I'esercito, semPre piìr ingrossandosi, mosse verso il mezzogiorno, ad una ad una occupando le terre di Onorato e .Contemporaneamente re Ladislao avanzava da Napoli ,i"ondo""ndole all'obbedienza della Chiesa. e nel marzo 1400 traversò il Garigliano; in un primo tempo investì la piccola rocca di Scauri, che ebbe senza grande difficoltà, poi, tornato indietro, si rivolse contro la forte torre alla foce del b) Garigliano e si accampò sotto Traetto, che proteggeva Ia frontiera meridionale della contea. a) Non appcna infranta
il
la
PrePotenza
pontefice fece istruire Procsso contro
i
di Onorato
Caetani'
due Colonna
e'
sco'
municatili, mossc guerra contro di loro (14'zz mag' 1400)' Ammaestraú dalla sorte toccata allo zio Onorato, i ribelli non
tardarono a sottometteÌsi, in conriderazione di che (e specialmente della toro posizione sociale), il 17 gen. 1401, furono non solo perdonati, ma reintegrati nci fcudi c ricompennti in vari modi
iTh"tn., ltl,pp. 105, ll0, lll). Ciò che sta ' adimostrarc non per tutti il peccare comPorta gravi pene'
che
Et Ia pfima oolta che rc Lansalao ínsío ln campo da po |cbbe Napole sende andò a Ie tene de Io conle de Fundí b)
t\ Arc. Vat.,
Res,
tl6, Í. 2O2.
et
lncomensò
da
Scaule,
eI
hebbela preslamenle.
El
per questa
nooella rrrmc lo conle de Fundí la seppe pcr la gran doglîa se moà ; ct pol hebbe Trcletto e lo Galglíano, et come lí oar.allî sebbero che lloto slgnore cra motlo cosl sl lenneto tu!!i pcrilutÍ; el cosl rc Lansalao hebbe lutlo lo conlato ín potere suo ln poco lempo (Monlel., P' 5l). Casbum Seabuli rcgíís copíÎs obsessum dum erpugnaretut, apoplexi rcpenlc obíil mense aptíIís t loo (Ana. di Giorgio Stella ; Amm., p' 22o; Mazío, R. Il., lV, p' 305 ; Grcg., Vll' p' 540 ;
Ragn., XVlt' ad an.)
Bonifacio
IX
muove guefra.
GUERRA CONTRO
Disfatta c morte
di
Onorato.
I
DURAZZESI E CONTRO ROMA
Ub. IV,
Cap.
XXXVll.
Onorato intanto, vistosi abbandonato da gran parte dei seguaci ed accerchiato dai nemici, disperando oramài della causa per la quale si era battuto con tanta e così fiera costanza, si decise ad offrire a re Ladislao trattative di pace, chiedendogli allo stesso tempo di agire da mediatore presso il pontefice, a cui era disposto di prestare obbedienza. Bonifacio IX accettò Ia domanda ed il 23 marzo scrisss al re autorizzandolo a trattare ed a perdonare il ribelle, e allo stesso tempo, con dure parole, intimò al conte di consegnare immediatamente tutte le rocche e castella della Chiesa che teneva occupate. r) Così venne finalmente domato il fiero Onorato; per ventidue anni egli era stato fautore fedele e'sostenitore principale di una disgraziatissima causa che sttaziò la Chiesa e le comunità cristiane e sull'ltalia trasse la nefasta ingerenza dello straniero. La causa fu errata, ma Onorato, avendo data la sua fede, si mantenne ligio ad essa e non titubò giammai, neanche nei momenti più awersi quando si trovò solo contro tutti. Si battè da leone, tenendo il mondo.'in gran dispitto ". Ora dopo ventidue anni di lotta si vedeva vinto ed umiliato; tanto fu il travaglio dell'animo che I'altiero conte, pochi giorni dopo aver compiuto I'atto di sottomissione, sconvolto e affranto dal dolore, morì d'un colpo di apoplessia (20 apr.). Superba figura di guerriero del medio evo; vero sovrano della Campagna e Marittima; magnanimo, ardito e generoso, seppe destare I'ammirazione de' suoi stessi awersari. Fu il primo della famiglia a chiamarsi Onorato: sembra avere portato fortuna ed onore a quanti dei Caetani, in memoria di lui, vennero battezzati col suo nome; costoro piìr degli altri si distinsero per Iustro militare, per altezza d'ingegno e per magnanimità, come si verrà dicendo nel corso di questa cronistoria. t) Arc. Vat., Rec. 316. f. 363.
Stemma della regina Margherita
di
Durazzo.
Napoli, Libro dell'Agsoc. di S. Marta.
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