PAUL OSCAR KRISTELLER Marsilio Ficinio letterato e le glosse attribuite a lui nel codice Caetani di

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FONDAZIONE CAMILLO CAETANI

CENTRO DI STUDI INTERNAZIONALI GIUSEPPE ERMINI FERENTINO

ROMA

Riproduzione digitale

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PAUL OSCAR KRISTELLER

Marsilio Ficinio letterato e le glosse attribuite a lui nel codice Caetani di Dante

Roma 1981


QUADERNI DELLA FONDAZIONE CAMILLO CAETANI

III

Paul Oskar Kristeller

Marsilio Ficino letterato e le glosse attribuite a lui nel codice Caetani di Dante

ROMA 1981


QUADERNI DELLA FONDAZIONE CAMILLO GAETANI

III

Paul Oskar Kristeller

Marsilio F icino letterato e le glosse attribuite a lui nel codice Gaetani di Dante

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TI!

© 1981 FONDAZIONE CAMILLO GAETANI VIA DELLE BOTI'EGHE OSCURE,

32 -

ROMA

Finito di stampare nell'ottobre 1981 dalla Tipografia Otta ,Nùova dèlla PAMOM, Roma


Indice

PREMESSA

di Hubert Howard

pag.

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MARSILIO FICINO LETTERATO E LE GLOSSE ATTRIBUITE A LUI NEL CODCE CAETANI DI DANTE

Oskar Kristeller

di Paul

APPENDICE I

di Paul Oskar Kristeller

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APPENDICE II

di Albinia de la Mare

»,

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APPENDICE III

di Augusto Campana

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TAVOLE

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Sonq veramente lieto di accogliere nei Quader,,;i della Fondazione Caetani il testo della conferenza eh~ il prof. Paul Oskar Kristeller della Columbia Univer~ sity tenne nella nostra sede il 15 novembre 1979. Il tema della, sua ampia lezione gli era stato da mè 'suggérito in seguito al felice ritrovamènto di uno dei manoscritti più preziosi del nastrò Archivio; ossià· il codice quattrocentesco della Divina Commedia postillato d~ un umanista che, per tradizione, si dicèva essere stato il fiorentino Marsilio . .Ficino. Già noto ·ad illustri dantisti del passato e studiato da critici più vicini :a noi, del codice si perse ogni traccia negli anni tormentati della seconda guerra mon~ diate. Nessuno sapeva dire dove il codice fosse finito~ forse trafugato, forse accuratamente nascosto in qualche angolo del palazzo, per metterlo meglio al riparo da eventuali danneggiamenti e manomissioni. Ogni ricerca fu vana, finchè nel corso di lavori ( 19 76) nei locali della vecchia amministrazione esso venne insperatamente alla luce, emerge'ndo sano e salvo tra pacchi impolverati, accuratamente involto in una busta e chiuso nella sua bellissima custodia di pelle. E' stato per la Fondazione un momento particolarmente lieto, perchè rientrava così in possesso di un codice estremamente importante: credo però che a doversene rallegrare non saremo solo noi, ma la cerchia più ampia degli stu-

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diosi, dato il particolare significato che esso ha per la storia della tradizione dantesca e umanistica. Sono perciò grato al prof. Kristeller che, raccogliendo il nostro invito, ha presentato adeguatamente il codiçe, illuminando con grande esperienza il contesto storico e cui.turale in cui esso venne elaborato, e ~ercando nel contempo di arrivare a· qµalche' pr~cis~ -risultato circa l'.àttriliuz•iòne tradizioriale,. , r!,elle, postille 1 · , « ficiniane». . ,. · . - . • ·· ; . Questo Quadernò, è, dunquf, per molte ·ragioni pregevole .. E,' un altro contributo, che la ,Fo1id4zione Caetani me.tte discretament(1 a disposizione della cul. tura e della ricerca·.

U Pres~de~te drlla F.on411zione Caetani Huberi: Howard )

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Palazzo çaetani, 22 marzo 1981

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MARSILIO FICINO LETTERATO E LE GLOSSE ATTRIBUITE A LUI NEL CODICE CAET ANI DI DANTE

A Gianfranco Contini con amicizia ·e affetto


Desidero ringraziare sentitamente l'Hon. Signor Hubert Howard per la sua ospitalità e per avermi segnalato e mostrato il codice. Ringrazio parimenti il dott. Luigi Fiorani Pf!r a1<er11!i fa,cilitato .la consultazione dei codici dell'Archivio Caetani e per varie indicazioni bibliografiche, nonché la Signorina ·Albima ' de la Mare per il suo prezioso parere paleografico ( Appendice II) e i professori Gianfranco Contini e Augusto Campana per la revisione del mio dattiloscritto,· il secondo anche per le osservazioni paleografiche, codicologiche e per la storia del codice ( Appendice III). Ancora al dott. Fiorani sono grato per avere attentamente curato l'edizione italiana del mio testo nei Quaderni della Fondazione Caetani.

Paul Oskar Kristeller New York, Columbia University, 10 marzo 1981


cominciai dopo il 1930 a studiare l'opera di Marsilio Ficino e a raccogliere notizie su manoscritti contenenti i suoi scritti o collegati con lui in altro: modo, ebbi conoscenza del codice Caetani di Dante nell'edizione bella e accurata pubblicata da Don GelasiQ:Caetani nel 19 3 O 1• Senza aver visto il codice stesso, .menzionai. :una: vecchia nota :nel manoscritto che lo collega col Ficino,.·ma esitai a eonsiderarlo autore delle numerose gk>sse latine contenute nel codice e trascritte per intero nell'edizione. Non ebbi, allora, l'occasione di consultare il codice, ma quando tornai in Italia dopo la guerra, grazie alla lettera di presentazione d'un amico comune 2, fui gentilmente invitato dal sig. Howard e. dalla sua compianta consorte Donna Lelia a visitarli e a consultare il loro famoso Archivio. Vi ho trovato ·parecchi manoscritti e documenti che mi interessavano 3• Quando chiesi poi del codice Caetani di Dante mi fu confermato ciò che avevo già sentito da fonti indirette, cioè che quel codice mancav:a già dalla fine della guerra e doveva considerarsi perduto. Questa .perdita mi · dispiaceva molto; e quindi è stata ·anche per me una sorpresa molto gradita quando il sig. Howard mi avverti pochi anni fa che, in se~ guito a lavori da lui ordinati nell'archivio amministrativo, si era potuto ritrovare il manoscritto. Durante una mia visita a Roma approfittai del suo invito .a-visi-

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tarlo e a esaminare il manoscritto, e allora, credo nel 1976, ne cavai una descrizione sommària perjl -inio Iter Italicum 4• Il codice, ben noto· ai dantisti 'fin dal secolo scorso 5 e pubblicato per intero fin dal 1930, è, scritto su pergamena da una bella ·mano calligrafica del tardo Trecento o poco posteriore e contiene nel margine molte glosse latine. Sul verso dell'ultima carta una mano, che direi dell'ultimo Quattrocento- e che è -certamente diversa da quella del testo e delle glosse, ha scritto le parole seguenti: « Hoc commentarium est: Marsilii · Ficini ». Questa nota potrebbe es~ sere interpretata' come uria . semplice nota di possesso, quale troviamo in altri manoscritti appartenuti al Ficino, ma la mano non è quella del Ficino, e poi non si capisce perché il libro posseduto dovrebbe essere ·descritto come Commentarium, trattandosi della Commedia di Dante, -accompagnata da glosse sparse e non continue che non costituiscono, un commento vero e proprio che avrebbe una sua importanza uguale a quella del ,testo. Mi pare più probabile che l'autore :ignoto e relativamente tardo della nota abbia voluto identificare il Ficino ·come autore delle glosse. Siccome la nota · da sè sola ha poca autorità, l'attribuzione delle glosse al Ficino va riesaminata con altri criteri, . paleografici e interni. Prima di affrontare questo compito, mi piace abbozzare un ritratto del Ficino, studiosb e imitatore

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della letteratura ·latina e toscana e specialmente ,di Dante, nel qual ritratto le glosse del Codice Caetant, se fossero autentiche, · potrebbero essere inquadrate.

I. ' ,.n," Marsilio Ficino come pensatore, studioso e scrit~ tore ha ùna .fisionomia) quanto ma:i complessa che si i:iduce male al :tipo dell'umanista classico e letterato tanto diffuso nel Quattrocento. La sua opera matura è dominata da problemi·e interessi riguardanti la metafisica / la'. teologia, la medicina, l'astrologia e la magia. che furono estranei alla maggior. parte •degli umanisti del suo secolo. Abbiamo poi imparato che i suoi studi di filosofia e·~niedicina scolastica ;risalgono alla sua età giovanile è costituiscono un elemento formativo e indispensabile ,p er · una giusta comprensione della sua opera matura ,6 • D'altra parte non bisogna ,ignorare o sottovàlutare i legami del Ficinò coll'umanesimo 7 • La sua conoscenza del greco, per quanto acquistata un po' tardi e limitata agli autori filosofici, fu profonda, come risulta dalle .sue traduzioni autorevoli e generalmente apprezzate di .Platone, .Plotino e altri pensatori, è gli meriterebbe un rposto, nella storia degli studi classici che non gli è stato ancora accordato 8 • Sappiamo poco dei suoi primi 'studi, e notiamo che già da studente si

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atteggiava a filosofo e parlava con disprezzo dei cultori della grammatica e retorica 9, ma è ovvio che ptima dei suoi studi universitari aveva ricevuto e assimilato una solida formazione umanistica. I codici da lui glossati, copiati o posseduti contengono non solo testi filosofici greci e latini, ma anche Strabone, Macrobio e Igino, fonti di geografia e mitologia antica, Cicerone, Seneca e Apuleio, e qualche traduzione del Bruni da Platone e Aristotele 10 • Una riccà miscellanea, quasi tutta della mano del Ficino, contiene scritti e traduzioni del Bruni, Guarino e Rinuccio Aretino, pezzi brevi del Petrarca, Salutati e Porcellio, il discorso del Palmieri sul Manetti, e: qualche trattatello grammatico e retorico 11 • Tra gli autori citati negli scritti del Ficino troviamo, accanto alle fonti filosofiche, anche Omero e Esiodo, e qualche altro poeta e prosatore greco 12 • Tra i latini egli cita spesso Cicerone, Virgilio, e Lucrezio che ammirò molto anche per ragioni filosofiche, e più raramente alcuni altri poeti .e prosatori 13 • Anche se ammettiamo che una parte di queste . citazioni è di seconda. mano, bisogna concludere che il Ficino ebbe una discreta conoscenza della letteratura classica latina, e una conoscenza buona di Cicerone e Virgilio. Era poi molto ·esperto di mitologia classica di cui fece uso frequente a scopo allegorico; Troviamo menzionati nei suoi scritti il Bruni eJ'Alberti, indirizzò qualche lettera a Matteo Palmieri

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e a Donato Acciaiuoli, conobbe personalmente Poggio e probabilmente il Marsuppini, per non parlare dei suoi rapporti stretti con molti umanisti contemporanei suoi o più giovani di lui 14 • Un'eco della sua cultura umanistica si nota poi nella forma e nello stile dei suoi scritti. Conosco un esempio solo di poesia latina tra gli scritti del Ficino, e si tratta della parafrasi in strofe saffica d'un suo opuscolo composto prima in prosa 15 • La sua produzione in prosa comprende, oltre i trattati e le traduzioni, molte lettere e parecchie orazioni, egli adopera volentieri la favola allegorica (apolo gus) e quàlche volta. il dialogo 16 • Il suo stile latino è chiaro e corrente, semplice piuttosto che elegante, ma animato dall'entusiasmo e dall'arguzia 17 • Un altro aspetto della cultura e opera del Ficino, che è stato piuttosto trascurato dagli studiosi, riguarda il suo interesse per la lingua e letteratura volgare e il contributo che· ha dato al loro sviluppo con una parte poco nota dei suoi scritti 18 • Il pregiudizio romantico contro l'umanesimo latino e il pregiudizio puristico contro la lingua fiorentina del Quattrocento hanno confuso a lungo lo studio della lingua e letteratura italiana, ma da qualche tempo siamo arrivati a una comprensione migliore del loro sviluppo reale 19 • Ci troviamo di fronte, nel Quattrocento come prima e dopo,

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a una cultura bilingue in cui il volgare toscano si espande gradualmente a spese sia del latino che degli altri dialetti italiani. La lingua fiorentina del Quattrocento ha subìto certi cambiamenti di fronte a quella del Trecento, ma tale .lingua può sembrare irregolare soltanto nella prospettiva del purismo del Cinquecento, che scelse come norma · la lingua del Trecento. Lo studio di questa lingua è appena iniziato; ci mancano edizioni di testi autentici .e non normalizzati, e dizionari evocabolari dei vari autori 20 • Ma si vede chiaramente che nel Quattrocento il volgare ha esteso il suo territorio, che gli umanisti, specialmente quelli toscani, hanno scritto anche in volgare e che fuori della Toscana i volgarizzamenti e altri componimenti dialettali e parzialmente toscaneggianti sono dovuti pure a umanisti o a letterati toccati dalla cultura umanistica 21 • Si . parla quindi di umanesimo volgarè, e incontriamo tra gli umanisti toscani che scrissero anche in volgare il Bruni e il Palmieri, il Manetti, l'Acciaiuoli e l'Alberti, e poi il Laudino, il Ponzio e il Poliziano 22 • Troviamo poi un vero culto dei poeti stilnovisti -e delle tre corone fiorentine, e specialmente di Dante, che culmina nel commento del Laudino alla Divina Commedia, dedicato alla Signoria di Firenze e ·stampato nel 1481. Non .bisogna meravigliarsi se anche Marsilio Ficino, nato a Figline nel Valdarno e vissuto quasi sempre a

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Firenze, usò la sua lingua materna volentieri e con facilità, e conobbe bene la letteratura volgare antica e cmntemporanea. Accompagnò parecchie opere volgari dei suoi amici con prefazioni, di solito in latino 23 , citò il poeta Guido Cavalcanti per la sua dottrina dell'amo2 re \ e ebbe un'ammirazione speciale per Dante. Trascrisse in un suo manoscritto le due ecloghe latine indirizzate a Giovanni del Virgilio 25 , e inserl in un trattato giovanile alcune terzine che sono probabilmente componimenti suoi e chiaramente di ispirazione dantesca 2\ Ma il suo contributo maggiore agli studi danteschi fu il suo volgarizzamento del De monarchia, dedicato a Bernardo del Nero che era rimasto mal soddisfatto d'un volgarizzamento anonimo anteriore, e ad Antonio di Tuccio Manetti, dantista di merito che pare abbia scritto la versione sotto dettatura del Ficino 27 • Ci rimane una copia fatta dallo stesso Antonio Manetti che porta la data del 1468, e una dozzina di altre copie che attestano una certa diffusione di questa versione, dato che anche ·il testo latino ebbe una diffusione relativamente limitata 28 • La versione del Ficino è stata stampata parécchiè volte nel secolo scorso e nel presente, . ma un'edizione critica è uscita soltanto recentemente 29 • L'accuratezza della versione è stata giudicata diversamente, e almeno in un passo il Ficino evidentemente ha inteso male il testo di Dante 30 • Risulta poi che

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il manoscritto latino usato dal Ficino non fu molto buono, e quindi la sua versione non può contribuire molto a costituire il testo latino di Dante 31 • Ma in linea generale la traduzione ha i suoi pregi, mostra una padronanza completa delle due ·lingue, esprime il pensiero di Dante abbast-anza fedelmente, rendendolo qualche volta più semplice che non sia nel testo, e ha uno stile .chiaro •e piacevole, privo cli latinismi sintattici e ben cadenzato 32 • La breve prefazione spiega poi che il Ficino fece la sua traduzione a .richiesta degli amici « acciocché sia a più leggenti comune », e fa l'elogio di Dante fiorentino e •«•philosopho poetico » ché « di molte sententie Platoniche adornò e libri suoi », « col vaso di Virgilio beendo a1le Platoniche fonti, et però del regno de' beati et de' miseri et de' peregrini di questa vita passati nelle sue Commedie elegantemente tractò: » 33 Il Fìcino, seguito in ciò dal Landino, fa di Dante un suo predecessore rnme filosofo platonico. E nel suo prologo latino al commento del•Landino, il Ficino celebra in parole entusiastiche il ritorno di Dante nella sua patria 34 • Mettendo insieme tlittti questi dati, non sembra affatto impossibile che il Ficino abbia posseduto ·un. manoscritto della Commedia e lo abbia .poi annotato con glosse sue, come ha fatto con i codici di molti filosofi greci o latini da' lui posseduti o usati e poi glossati~;;.' , 1

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IL Siamo ora in grado di affrontare la questione dalla quale siamo partiti, cioè s~ le glosse del codice Caetani di Dante si possano attribuire 'al Ficino. Cominciamo con i criteri paleografici. La mano che ha scritto le glosse, esaminata da me rapidamente nel 197 6 quando vidi .il codice e con più calma in base alle fotografie inviatemi dal s'ig. Howard e dal dott. Fiorani, è certamente diversa dalla mano corsiva del Ficino che conosciamo, ,come -del resto si è accorto già il principe Gelasio 36 , dalla mano calligrafica attribuita al Ficino stesso da Martin Sicherl 37 , e dalle mani dei suoi amanuensi principali ·note-a noi da parecchi codici firmati 38 • Non fidandomi del ' mio giudizio in cose di questo genere, ho consultato una delle personalità più autorevoli nel campo della paleografia umanistica, la signorina Albirtia de la Mare ' della Bodleian Library di Oxford ~, e anch'essa ha confermato senza esitazione il mio giudizio negativo. La mano delle glosse Caetani non ha . rapporti col Ficino o col suo ambiente immediato. Ma la signorina de la M~re e indipend~ntemente da lei l'amico prof. Augusto Campana hanno apportato alla questione un argomento decisivo accertando ·che la mano chè ha scritto le glosse, in ùn tipo di scrittura molto diverso, è tuttavia la stessa che ha scritto il testo 40 • Anche ammettendo che possano essere state aggiunte

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a qualche distanza di tempo, non possono essere posteriori ai primissimi decenni del Quattrocento, e questo mette fuori causa il Ficino. D'altra parte, già in occasione della pubblicazione del codice da parte di Gelasio Caetani, un illustre dantista aveva proceduto a un esame interno delle glosse a confronto con antichi commenti danteschi manoscritti e anche a stampa, giungendo alla conclusione che il loro compilatore attingeva nella sostanza a una delle prime forme del commento di Benvenuto da Imola, la lettura bolognese del 13 75, e dimostrava una particolare affinità col codice Ashburnhamiano 839 41 • Non sarà tuttavia inutile l'esame interno che io stesso ne avevo fatto dal mio particolare punto di partenza ficiniano, prima di conoscere questi contributi. Le glosse, per quanto posso giudicare, sono scritte in un latino scolastico, ma relativamente semplice, e servono anzitutto a chiarire il senso letterale del testo e a spiegare la divisione dell'argomento. Non si tratta d'un commento vero e proprio, che sarebbe preceduto da un'introduzione e seguirebbe il testo passo per pàsso dal principio alla fine, ma piuttosto di glosse sparse che saltano molti passi e interi canti. Le glosse mostrano una buona cultura sia scolastica che umanistica, e citano liberamente sia i poeti -classici latini che i testi filosofici di Aristotele e Boezio. Non mostrano nessuna conoscenza del greco, e non han-

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no la mm1ma traccia dei tipici concetti platonizzanti che troviamo in tutti gli scritti del Ficino compresi i trattati giovanili e le annotazioni. Il Ficino ha una sua fisionomia intellettuale e stilistica che manca completamente in queste glosse. Bisogna però notare un passo interessante che si trova in una delle ultime glosse al canto XXXIII del Paradiso: « Dicit Augustinus in libro De·Civitate Dei quod Termegistus philosophus avus Mercurii Magni dixit. Deus est spera cuius centrum est ubique circumferentia vero nusquam » 42 • Il glossatore sbaglia perché il famoso detto di Mercurio Trismegisto sul quale abbiamo un'intera letteratura non si trova in ·Agostino, ma risale allo pseudoErmetico Liber XXIV philosophorum composto nel secolo XII e spesso citato nei secoli successivi 43. È possibile che questo passo abbia indotto l'autore della nota finale nel codice Caetani ad attribuire le glosse al Ficino, poiché dopo il 1463 quando il Ficino fece la sua traduzione del Pimandro che va sotto il nome di Mercurio Tris~egisto, traduzione molto diffusa e famosa 44 , il nome del Trismegisto era inseparabilmente associato con quello del Ficino mentre il detto del Liber XXIV philosophorum era notissimo molto prima del Ficino. La glossa sul Trismegisto è interessante in se stessa, ma ci offre anche la soddisfazione di potere spiegare come nacque l'errore che attribuiva le glosse al Ficino.

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IIL Ma l'esame paleografico delle glosse, se porta· (come gli altri argomenti) a un risultato del tutto negativo per ciò che riguarda il Ficino e il suo ambiente; apre poi una prospettiva positiva e inaspettata in un'altra direzione. Secondo il parere della signorina de la Mare il testo del codice Caetani appartiene a una mano fiorentina del primissimo Quattrocento o del tardo Trecento che mostra già qualche influenza della scrittura umanistica e sembra avere , dei legami col circolo di Coluccio Salutati 45 • E poiché le glosse, sebbene in scrittura diversa, sono della stessa mano che ha scritto il testo (come ritengono A. de la' Mare e A. Campana), ne viene di còrtseguenza che sono molto più antiche di ciò che si era pensato, si inq~adra~o nell'ambiente fiorentino del primo Quattrocento, e offrono una testimonianza nuova e preziosa per il cÙlto di Dante al tempo di Coluccio Salutati e forse éli Leonardo Bruni. Non mi sento capace di proseguire questa strada della ricerca, ma mi auguro che il mio tentativo fallito d'un'interpretazione ficiniana delle glosse tani sarà poi seguito da un'interpretazione più positiva e definitiva da_parte d'uno studioso più giovane e più esperto della cultura fiorentina verso il 1400.

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IV. Avendo compiuto la discussione del codice Caetani per ciò che riguarda il Ficino, ci rimane il compito di continuare e completare il nostro quadro del Ficino letterato, e specialmente del Ficino come scrittore volgare. I suoi componimenti, più numerosi ed estesi di quanto si pensi, e forse degni di essere raccolti in una edizione critica, si dividono in due categorie chiaramente distinte: scritti composti originalmente in volgare, e volgarizzamenti di testi latini. I componimenti originali appartengono in gran parte al periodo giovanile, cioè anteriore alla fondazione dell'Accademia Platonica ( 1462), ma, costituiscono soltanto un aspetto dell'attività del Ficino Jurante quel periodo, giacché abbiamo dello stesso tempo parecchi scritti latini di contenuto scolastico, umanistico, dossografico o platonizzante. I componimenti volgari o si adattano a tradizioni letterarie popolari o si rivolgono a un pubblico di lettori abituati alla lingua materna ma non al latino scolastico o umanistico 46 • Un primo gruppo di componimenti fu scritto per i parenti del Ficino e ha un carattere moraleggiante e quasi domestico. Vi appartiene l'Epistola mandata ai frate!U che porta la data del 6 agosto 1455 e che è quindi ·uno dei primi scritti del Ficino 47 • Insiste verso

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la fine su un concetto patriarcale della casa e famiglia, in cui i figli devono obbedire ai genitori e specialmente al padre, ma anche al figliùolo màggiore che deve dare tin buon esempio ai fratelli più giovani 48 • Ma vi sono anche elementi d'una gerarchia universale con accenti platonizzanti. Dio che diffonde la sua bontà a tutte le tose viene paragonato al sole e a una fontana, vi appare l'amore e l'appetito innato in tutte le cose che si rivolge versò le cose superiori, uguali e inferiòri 49 , è l'armdhia nella famiglia viene paragonata alla musica e alla pittura 50 .- Il testo ebbe una notevole diffusione manoscrìtta nelle miscellanee volgari fino al 1 secolo XVI, ma si trova anche in alcuni manoscritti più vicini al ;Ficino stessò e sembra essere indicato in un suo elenco dei propri scritti 51 • Di tono simile è la Pistola consolatoria a' suoi propinqui della morte de Anselmo suo fratello che ha la data del 19 ottobre 1462 52 • La lettera che porta anche il titolo Visione d'Anselmo racconta che l'anima del fratello morto apparve in sogno a Marsilio e gli raccontò le sue esperienze nell'ascesa al cielo di Marte. Vi sono alcuni ragionamenti tipici della letteratura consolatoria, ma la descrizione dell'anima nella sua ascesa riflette la cosmologia del Paradiso dantesco e comincia con ' alcune terzine di intonazione dantesca . di cui abbiamo già parlato. Il testo ci è conservato soltanto in

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una dozzina di miscellanee volgari, ma viene meriziònato nel primo catologo delle opere del Ficino 53 • Simile nel contenuto è una lettera a una sua cugina per la morte della sorella, che non è datata e si trova soltanto in due miscellanee del Cinquecento, ma il cui stile e il cui contenuto non fanno dubitare della sua autenticità 54 • Un interesse speciale offre il trattato Di Dio et anima dedicato a Francesco Capponi e datato dal 24 gennaio 1458 55 • Offre una rassegna sommaria delle opinioni di molti filosofi antichi su Dio e l'anirria. Bisognerebbe accertare le. fonti antiche e forse medievali di questa rassegna spesso superficiale. L'interesse per le dottrine dei filosofi antichi meno noti sembra essere stato vivo a Firenze in quel periodo, del quale abbiamo pure due trattati latini del Ficino stesso 56 e un altrò trattato pure latino che è stato pubblicato sotto il:nome di Giovanni Battista Buoninsegni ma che appartiene sicuramente a Bartolomeo Scala 57 • Il Di Dio et anima contiene parecchi rimandi a Platone e ai suoi seguaci, e anche a Mercurio Trismegisto, e il trattato comincia con un breve racconto secondo il quale il Capponi aveva incontrato il Ficino l'estate precedente a Campoli, villa di Giovanni Canigiani, ·« appresso d'un fiumicello all'ombra con un libro di Platone nostro el quale trattava della divina et umana natura », evidentemente il Fedro. Il Ficino aveva poi interrogato il Capponi .alla maniera

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di Socrate, e avuto da lui parecchie risposte come « lo 'ngegno umano secondo l'opinione platonica per naturale o vero divino lume in se contiene cognitione innata di tutta l'universa natura» 58 • Il Ficino cita due volte una sua opera più lunga che deve essere la sua opera perduta e intitolata Institutiones ad Platonicam disciplinam composta nel 1456 59 • Il Di Dio et anima ebbe una diffusione manoscritta simile a quella dell'Epistola ai fratelli, e viene elencata due volte nei cataloghi delle opere del Ficino 60 • Abbiamo poi tre lettere filosofiche, che rassomigliano nel loro stile e contenuto alle numerose lettere latine composte da lui in varie epoche e che egli scrisse evidentemente su richiesta di persone che non leggevano facilmente il latino. La prima è la lettera famosa che porta il titolo Che cosa è fortuna e se l'uomo può riparare a essa e che fu scritta a Giovanni Rucellai, probabilmente tra il 1460 e il 1462 61 • Trattando d'un argomento molto popolare al suo tempo, il Ficino ragiona che l'uomo prudente può resistere alla fortuna, ma che la prudenza stessa è un dono della natura e di Dio. La lettera si trova nello Zibaldone originale di Giovànni Rucellai, ma .anche in parecchie miscellanee volgari e quindi fu letta non soltanto dal Rucellai ma anche da molti altri. Le altre due lettere sono; indirizzate a un certo Lionardo di T one Pagni che il Ficino

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chiama suo compare. La prima di queste lettere porta il titolo Dell'appetito e la data del 25 marzo 1460 ed è importante per una discussione giovanile dell'appetito e delle sue forme principali, dottrina che doveva occupare un ,posto centrale nella filosofia matura del Ficino 62 • Il testo è: conservato soltanto nelle solite miscellanee volgari, ma viene elencato nel primo catalogo delle opere del ·Ficino 63 •. La seconda lettera a Lionardo di Tone Pagni non ha titolo e porta la data del 18 agosto 1462 64 • Accenna a una lettera precedente e non .conservata in cui il Ficino aveva ammonito l'amico « che amassi te solo », e « che non distendessi la tua cogitazione più che per un punto presente ». Nella lettera.presente egli aggiunge due esortazioni che sembrano opposte alle' prime due ma di fatto ne sono il complemento: << che ami tutte le cose >>, e « che pensi per tutta l'eternità ». La lettera tocca parecchi punti importanti della dottrina del Ficino, ma il testo ci è conservato esclusivamente da due . miscellanee volgari. Poiché gli scritti volgari del Ficirio si sono diffusi e conservati in gran parte nelle miscellanee volgari del suo secolo, conviene fare qualche osservazione su questo tipo di manoscritti che malgrado la loro frequenza e i loro tratti caratteristici sono sfuggiti all'attenzione degli studiosi, con l'eccezione di Emilio Santini e dei

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compilatori di cataloghi 65 • Si tratta di antologie o rac, colte di testi brevi in prosa volgare, di forma più o merio retorica e di contenuto morale, politico o reli• gioso. Sono per la maggior parte lettere, discorsi o trat· tatelli, spesso chiamate « dicerie » nei titoli o tavole del contenuto dei manoscritti stessi. Alcune di queste raccolte sono assai simili nel loro contenuto, ma quasi nessuna è completamente uguale all'altra nel numero e ordine dei testi che contiene. Ogni manoscritto sem• bra essere .una scelta individuale fatta su un repertorio molto più largo, e tutto ciò che possiamo dire è che certi testi ricorrono in molte se non in tutte queste antologie. Vi troviamo spesso la lettera del Boccaccio a Pino de' Rossi, il volgarizzamento d'una lettera del Petrarca a Nicola Acciaiuoli, le lettere spirituali di Luigi Marsigli, di Giovanni dalle Celle e di Brigida Baldinotti, alcune lettere e orazioni del Bruni, del Filelfo, del Palmieri e del Manetti, i discorsi di Ste· fano Porcari, molti « protesti » di autori meno noti o anonimi, e pure alcuni volgarizzamenti di testL antichi brevi e molto diffusi. Alcuni di questi manoscritti si trovano adesso fuori di Firenze, ma sembra certo che siano tutti di origine fiorentina. I copisti e possessori di questi codici sono di solito oscuri o ignoti, ma essi appartengono evidentemente a quella classe media di mercanti e artigiani che aveva una parte tanto impor•

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tante nella vita economica e politica della vecchia Firenze e che nutriva una vivace curiosità per _i problemi morali, religiosi e anche filosofici, ma non aveva un'educazione universitaria o umanistica che li mettesse in grado di leggere i testi latini antichi, medievali o umanistici in cui questi problemi erano discussf. Queste antologie riflettono quindi un importante fatto sociale oltre che letterario o linguistico. Se i trattatelli volgari del giovane Ficino furono inclusi, se non in tutti, almeno in una ventina di queste miscellanee, ciò vuol di:rè che egli riuscì con i suoi scritti volgari, con o senza sua intenzione, a suscitare l'interesse e la curiosità di questo ambiente medio fiorentino a cui appartenevano anche alcuni dei personaggi importanti per i quali scrisse i suoi trattati. I componimenti volgari posteriori al 1462 sono relativamente pochi. C'è anzitutto il Consiglio contro la pestilentia scritto nel -1479 a proposito della peste del 14 7 8 e dedicato alla memoria di suo padr~ medico e chirurgo (e come pare non laureato). L'opera fu stampata nel 1481 dalla tipografia di San Jacopo a Ripoli e ristampata parecchie volte tra il secolo XVI e XVIII, ma sostituita nelle edizioni delle opere del Ficino, destinate a un pubblico internazionale di dotti, dalla versione latina di Girolamo Ricci fatta nel 1516 e stampata ad Augusta nel 1518 66 • Un altro testo medico

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dettato, secondo una nota nel manoscritto, dal Ficino a Bartolomeo Ponzio a richiesta di Francesco Sassetti e intitolato Ricepte contro alla. peste potrebbe essere un abbozzo del Consiglio, ma siccome la mano non è quella del Fonzio si può dubitare se il Fiçino sia l'autore 67 • Vi sono poi due lettere brevi, una. del 1475 a Lorenzo de' Medici e una senza data e destinàtario 68 • Finalmente troviamo tra le prefazioni aggiunte . dàl Ficino alle opere volgari dei sqoi amici, di cui abbiamo parlato sopra, e che sono quasi tutte ·in latino, un proemio volgare che il Ficino aggiunse alle lettere di s. Leone Magno volgarizzate da Filippo Corsini e stampate a Firenze il 21 maggio 1485 69 • Dopo le lodi dell'autore, il Ficino si compiace del fatto che la voce di s. Leone finora « non era in tutto conforme agli orecchi toscani » mentre adesso Filippo Corsini « la conforma agli orecchi toscani ». L'idea qui espressa che il volgarizzamento · rende accessibile ai lettori toscani un testo latino che prima non potevano leggere sta pure alla base dei volgarizzamenti fatti o ispirati dal Ficino stesso, a cui ora dobbiamo tornare. Le traduzioni che il Ficino fece di opere altrui sono ben poche. La più importante è quel" la della Monarchia di Dante di cui abbiamo già parlato. Si aggiunge la traduzione di due testi religiosi fatta per Clarice Orsini tra il 1477 e il 1482 10 • Il primo testo

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è intitolato Salterio abbreviato di Santo Girolamo. Si tratta di un apocrifo breve e tardo di cui gli editori e specialisti di san ;Girolamo non si sono occupati ma di cui l'amico Eugene ·Rice• mì ha segnalato parecchie copie manoscritte. Il volgarizzamento del Eicino si trova sòltanto in quattro miscella'nee religiose, e il co-· dice di dedica appartenuto a Clarice non è conservato. L'altro testo è la préghierà inclusa nel primo ·libro dei Soliloqui di s. Agostino (cap. 1, par: 2-6) che si trova in un mànoscrittò solo dopo il testo def Salterio mache viene menzionato nella prefazione del Ficino come traduzione sua 71 • Passando .'ai volgarizzamenti ·che il Ficino fece di parecchie sue operé latine, possiamo menzionare di passaggio lo stesso proemio a Clarice che si ba.sa nella sua prima-. parte filosofica su una lettera latina scritta dal Ficino a Bernardo :Bembo, ma parla poi nella seconda parte della preghiera come medicina contro i mali del mondo, dove la lettera latina aveva invece parlato di « amor a;iltusque .divinus » 72 • I volgarizzamenti degli scritti latini del Ficino sono quasi tutti posteriori al 1462, e si vede che nel suo periodp maturo egli preferì,,comporre le sue opere in latino e si decise a tradurle in toscano soltanto quando ciò gli fu richiesto da qualche amico. Non mi pare un caso che

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le prime traduzioni non siano state fatte da lui stesso ma da qualche allievo o seguace. La lettera a Pellegrino degli Agli intitolata De furore cf,ivino porta la data del 1° dicembre 1457 e si trova copiata da sola _in parecchi codici prima di essere inclusa. nel primo libro delle epistole latine 73 • Di questa lettera importante e famosa abbiamo un volgarizzamento anonimo che si trova senza prefazione in tre delle miscellanee volgari di cui abbiamo parlato a proposito dei trattati giovanili del Fidno, e poi in un manoscritto di carattere diverso con una prefazione del traduttore in cui si fanno le lodi del giovane Ficino nuovo interprete di Platone, accennando a un suo commento al Timeo 14. Siccome questo commento viene citato anch~ dal Ficino stesso in un suo trattato del dicembre 14 57, possiamo assumere che il volgarizzamento anonimo del De furore divino fu fatto poco dopo l'originale latino e da un amico del Fidno. Abbastanza simile è il caso del Pimandro di Ermete Trismegisto, una ' delle opere più famose e diffuse del Ficino. La versione latina fu compiuta nell'aprile del 1463. Il Ficino fu: pregato dai suoi amici a comunicare questo importante testo anche in lingua toscana, ma essendo « da maggiori studi occupato», cioè dalla traduzione di Platone allora cominciata, egli impose la traduzione volgare al suo amico Tommaso Benci il

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quale la terminò il 10 ottobre 1463 e la dedicò a Francesco di Nerone 75 • L'opera del Benci si trova in più d'una dozzina di manoscritti, spesso insieme con altre opere del Ficino e soltanto una volta in una miscellanea volgare del solito tipo 76 • Fu poi stampata a Firenze nel 1548 con una prefazione di Carlo Lenzoni a Pierfrancesco Riccio segretario del Duca Cosimo in cui loda il Ficino e la sua opera, dice di avere scelto questo testo a richiesta del tipografo Lorenzo T orrentino e esprime la speranza che l'opera sarebbe stata goduta dall'Accademia Fiorentina « con tutti gli amatori di questa lingua » 77 • Abbiamo qui uno dei pochi casi (ne troveremo un altro) in cui un testo volgare che proviene dall'Accademia Platonica del Ficino ha trovato l'approvazione ufficiale come « testo di lingua » da quell'altra Accademia Fiorentina che si atteggiava a continuatrice o erede legittima di quella del Ficino, ma di fatto si occupava di lingua e letteratura piuttosto che di filosofia. Conviene ancora menzionare il volgarizzamento anonimo d'una lettera latina del Ficino a Cosimo de' Medici datata 8 gennaio 1464 che si trova soltanto in due codici miscellanei, gli stessi che ci hanno conservato la seconda lettera del Ficino a Lionardo Pagni, e che fu probabilmente tradotta a poca distanza dall'originale latino 78 • Più importanti ancora sono i volgarizzamenti dei

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propri scritti fatti dal Ficino stesso e databili tutti al decennio che va dal 1470 al 1480. Il primo luogo occupa il famoso commento al Simposio di Platone composto in latino nel 1469 e poi leggermente ritoc" cato 79 • Quest'opera bella e profonda che fu il compendio della dottrina dell'amore « platonico » e la fonte di molti poeti e di tutta la trattatistica d'amore che va dal Bembo e dal Castiglione fino a Giorda:no Bruno e oltre fu diffusa in molti codici e stampata con la traduzione di Platone nel 1484 e molte volte in seguito. Dopo il 1469, e sicuramente prima del 1474, il Ficino ne fece una versiòne volgare, « accioche quella salutifera manna a Diotima dal celo mandata a più persone sia· comune et facile », e la dedicò a Bernardo del Nero e Antonio di Tuccio Manetti 80 ai quali aveva già dedicato nel 1468 il suo volgarizzamento della Monarchia di Dante. La versione volgare del De amore ebbe una· diffusione più modesta del testo latino,. ma piace pensare che non fu meno letta, almeno a Firenze. Ne abbiamo una decina di manoscritti di cui uno fu copiato sull'originale dallo stesso Antonio Manetti 81 • Quando Ercole Barbarasa ne pubblicò a Roma nel 1544 una versione sua 82 , i fiorentini si ricordarono della traduzione fatta dal Ficino stesso, e la pubblicarono nello stesso anno con una prefazione di Cosimo Bartoli al Duca Cosimo in cui si fanno le lodi del

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Ficino •e della sua opera e si annunzia l'intenzione di a: tutti gli intelligenti la nostra lingua » 83 • Così quest'opera capitale del Ficino nella sua veste toscana fu l'unica opera di lui stampata al tempo del1'Accademia Fiorentina, seguita poi dal Pimandr:o di Tommaso Benci di cui abbiamo già parlato. Il Bartoli fu membro dell'Accademia Fiorentina e fu pure traduttore di parecchie opere latine dell'Alberti 84 • La traduzione volgare del De amore è stata collazionata col testo latino nell'edizione di ,Raymond Marcel, e mostra le stesse qualità di chiarezza, semplicità e eufonia che sono state osservate nel volgarizzamento della Monarchia 85 • Se nel caso di Dante è stata notata la tendenza del Ficino :a rendere i costrutti e i concetti oscuri dell'-originale latino più facjli nella sua traduzione, bisogna oss.ervare lo stesso a proposito della sua traduzion.e del pt.oprio -testo latino. Vi appare una tecnica consapevole della traduzione che può essere criticata, ma ·che dipende in parte dalle possibilità limitate della lingua toscana in quel momento. L'altra opera composta dal Ficino in latino e presto anzi subito tradotta in toscano fu il De religione christiana, opera apologetica composta nel 147 4 poco dopo la sua ordinazione come sacerdote. La versione volgare fu fatta nello stesso anno e dedicata allo stesso Bernardo del Nero che abbiamo già incontrato parec« farne parte

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chie volte 86 • Il testo che ha un notevole interesse storico ha avuto una grande diffusione sia in latino.che in toscano, e un'edizione critica sarebbe veramente· necessaria, poiché i manoscritti e le vecchie edizioni offrono varianti d'·autore abbastanza estese. Del testo · toscano abbiamo pochi manoscritti di cui l'uno è probabilmente · il codice di dedica, ma non meno ·di due edizioni contemporanee, la ·prima probabilmente del 1474, e un'altra stampata a Pisa nel 1484 che porta nuove addizioni del Ficino stesso, come ci assicura la nota del tipografo, e specialmente una nuova lettera del Ficino « a uno suo fidatissimo amico » che si era assunto le spese della stampa 87 • Si vede che nei circoli che preferivano il testo toscano a quello latino un'opera di contenuto religioso suscitava un interesse molto maggiore che non il trattato più esoterico e originale sull'amore platonico il cui momento storico sarebbe venuto qualche decennio più tardi. Gli altri volgarizzamenti del Ficino ebbero pochissima diffusione, ma vanno- menzionati a scopo di completezza e del resto non mancano affatto d'interesse storico. Il trattato De raptu Pauli, dialogo ·tra s. Paolo e il Ficino in cui si parla dell'ascesa dell'anima a Dio, fu composto in latino nel 14 7 6 e poi incluso nel secondo libro delle lettere, insieme con altri opuscoli di conte•• nuto filosofico e teologico 88 • Il volgarizzamento inti-

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tolato Come Sancto Pagolo fu rapito al tertio celo fu eseguito nel 1477 e dedicato al solito Bernardo del Nero. Ne conosdamo soltanto due copie manoscritte di cui l'una fu copiata nel 1522 su un originale del 89 1477 • Il volgarizzamento è stato stampato dal Garin insieme col testo latino 00 • Un altro volgarizzamento è pure noto da due manoscritti soli, ma uno di questi pare che sia il codice di dedica. Si tratta dei Sermoni morali della stultitia et miseria degli uomini, dedicati a Jacopo Guicciardini e copiati il 28 giugno 1478 91 • Come si vede dalla prefazione, sono traduzioni toscane di opuscoli « e quali più tempo fa composi in lingua latina a' mia familiari ». Sono in tutto undici sermoni basati su dodici lettere latine (il terzo sermone corrisponde a due lettere). I sermoni non sono disposti in ordine cronologico come appaiono nella raccolta delle lettere latine. Sono scelte dodici lettere di contenuto morale, sette dal primo libro, una dàl terzo, due dal quarto e due dal quinto libro 92 • Notevoli sono i sermoni quarto, quinto e sesto che corrispondono a tre lettere del primo libro che anche nell'epistolario latino portano il titolo Stultitia et miseria hominum 93 • Vi si parla d'una pittura che si trovava nello studio del Ficino e che rappresentava la sfera del mondo col Democrito ridente e l'Eraclito piangente. Il motivo letterario è antico 94 , e il motivo

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iconografico ebbe ur~a lunga tradizione nei secoli XVI e XVII ·che include Rubens è Velasquez e comincia con un quadro ·del Bramante 95 • Piace pensare che il quadro perduto che era a Careggi, forse del Botticelli o più probabilmente -del Pollaiuolo e certamente ispirato dal Ficino, sia stata la fonte del .Bramante e il capostipite di questa tradizione. Anche la prefe11enza data a Democrito sopra Eraclito, che è stata notata dagli stnrici dell'arte~ corrisponde bene alle tendenze epicuree presenti nel pensiero del Ficino 96 • Ancora meno diffuse e di attrib-1J1zione meno ,sicrura sono le Epistole philosophice di Marsilio Ficino Platonico Fiorentino tradocte di latina lingua in fiorentino sermone ad Antonio, et Lorenzo di Bernardo de' Medici v,. II codice ùnico e molto bello porta alla fine la nota del copista: « Finisce el primo libro delle epistole di Marsilio Ficino per insino all'anno del MCCCCLXXVI. Bernardus Businus scribebat ». Il volgarizzamento non è esplicitamente attribuito al Ficino e l'unica copia non ·ha proemio. Ma questa versione çhe rende l'intero primo libro delle lettere del Ficino nella sua redazione quasi definitiva è certamente vicinissima al Ficino se non · interamente sua. Il codice porta una dedica a due patenti lontani e poco noti dei Medici e nella prima iniziale un ritratto del Ficino attribuito a Giovanni Francesco Boccardi. Il codice poi

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aggìunge dopo le lettere del primo libro ma prima della nota del copista l'epistola del Ficino ai fratelli composta in volgare nel 1455,. Mi pare poi decisivo il fatto che la versione è identica a quella dei Sermoni morali per le sette lettere del primo libro incluse nella . raccolta çhe il Ficino dedkò a Jacopo Guicciardini nel 1479. Bisogna poi osservare che la famosa iscrizione •che si trovava nello studio di -Careggi e che viene :citata in una lettera ·del prìmo libro i:n prosa latina si trova invece nel codice volgare,resa in sette righe di terzine 98 • Piace pensare ,éhè nello studio del Ficino fosse dipinto il motto sulla parete nelle due lingue, latina e toscana, per l'edificazione di tutti i suoi visitatori.

V. Avendo concluso la nostra rassegna del Ficino come :autore · e traduttore · volgare, bisogna ho.tare che questo lato della sua attività pare ,che cessi completamente dopo il 1479; Nei vent'anni di vita che gli rimasero\ non scrisse più niente in toscano.·· Possiamo ·speculare sulle ragioni; ma la spiegazione più ovvia :è il fatto che in quegli anrii fu « da maggiori studii :occupato», come Tommaso Benci aveva detto·già nel 1463. E il ventennio in cui il Ficino compose o terminò la Theologia Platonica, le traduzioni dal greco di Platone,

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Plotino e altri filosofi e i suoi commenti ai testi filosofici tradotti. L'opera volgare del Ficino è evidentemente dovuta al suo desiderio di soddisfare i bisogni d'un pubblico che non poteva raggiungere con le sue opere latine, cioè la classe media dei mercanti, e artigiani, e anche le donne. Egli si rivolge con alcuni componimenti giovanili alla madre, alle sorelle e a una cugina, e con due versioni di testi religiosi a Clarice Orsini. Con la maggior parte· degli scritti volgari si rivolge a mercanti patrizi tra i quali troviamo Giovanni Rucellai, Jacopo Guicciardini ( che del resto sapeva il latino 99 ) e anzitutto Bernardo del Nero a cui dedicò ben quattro opere e che era in rapporti letterari anche con Vespasiano da Bisticci 100 • Il Ficino era di famiglia piuttosto modesta, e la composizione e diffusione dei suoi scritti giovanili in volgare riflette un sùo. istinto .per i bisogni intellettuali della media borghesia fiorentina di cui egli e la sua famiglia facevano parte e che egli voleva raggiungere almeno con una parte della sua produzione. D'altra parte egli entrò presto in rapporti con le famiglie patrizie i cui membri diventarono i suoi padroni e mecenati e poi i suoi allievi. Considerare il Ficino soltanto come una creatura dei Medici mi sembra esagerato, per quanto egli abbia conosciuto Cosimo fin dal 1456, se non prima, e sia stato il cliente suo e dei suoi

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successori fin dal 1462. Ma gli anni oscuri della sua giovinezza non si spiegano con la teoria che egli abbia passato anni interi presso S. Antonino 101 , bensl piuttosto con l'ipotesi che egli sia stato istitutore in qualche casa patrizia, ciò che è adesso sicuro per i Pazzi 102 e probabile per i Canigiani è i Benci 103 • La sua corrispondenza ci mostra poi gli stretti -rapporti ·che ebbe con molte altre famiglie fiorentine. Cosi si spiega anche il suo atteggiamento politico-che è stato spesso criticato. Fu cliente dei Medici oltre trent'anni fino alla loro espulsione. Quando pubblicò poi nel 1495 lè sue lettere a Venezia, è vero che eliminò alcune lettere troppo lusinghiere per i Medici, ma erano imbarazzanti per ·i destinatari piuttosto che per lui stesso 104 : D'altra parte la raccolta contiene ancora moltissime lettere amichevoli ai Medici e ai loro clienti, e Piero DOvizi ne ringrazia il Ficino dal suo esilio di Venezia 105 • È · ovvio che il Ficino dopo il 1494 non abbia avuto -noie personali dato che era stato sempre amico dei Valori e dei Soderini non'meno che dei Medici 106 • Il Ficino è stato criticato perché in una lettera del 1494 parlò con simpatia del Savonarola 107 , e nel 1498 scrisse un'invettiva selvaggia cotifro di lui 108 • Si dimentica che nel frattempo erano accadute molte cose che dovevano dispiacere al Ficino, tra l'altro la condanna a morte di Bernardo del Nero nel 1497.

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VI. È tempo che concludiamo .la nostra rassegna piut-

tosto sbrigativa della produzione volgare del Ficino, e mi scuso se vi ho annoiato cc;m l'enumerazione di molti particolari bibliografki e storiçi che sono in gran parte µn volgarizzamento poc0 toscano e poco .elegante del mio Supplementum Ficinianum. L'opera vplgare del Ficino è sorpassata in quantità e forse in qualità soltanto dall'Alberti e dal Laudino fra gli uman,isti toscani del Quattrocento, e il suo contributo alla prosa dottrinale e strettamente filosofica ha pochi precedenti all'infuori di Dante stesso. Ci vorrebbe veramente un'edizione .critica ~i questi testi rche sarebbe o~era nuova per i volgarizzamenti ( eccetto che ,per la Monarchi<,l e il Ratto di s. Paolo) e che renderebbe anche i testi del mio Supplementum più accessibilj e forse ,in, v:este più ·conforme alle esigenze attuali della grammatica e .della grafia. Bisogna poi studiare il vocabolario del Ficino, la sua ortografia, morfologia e sintassi, la sua dipendenza dal dialetto fiorentino del suo tempo,. il su,o stile e la cadenza delle sue frasi; la sua tecnica e accuratezza nel tradurre -i testi latini anche suoi. Occorrer,ebpero poi indici per rendere possibile paragonare la prosa toscana del Ficino con quella dei suoi pr.edecessori e successori e per fissare il suo contributo alla ter-

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minologia, alla sintassi e allo stile della lingua dottrinale italiana 109 • Io non ho preparazione per proseguire questo compito, ma spero che altri studiosi più giovani potranno farlo, e mi piacerebbe incoraggiarli con le indicazioni che ho cercato di dare. Dopo il tramonto dei pregiudizi romantici e puristi il tempo sembra arrivato in cui possiamo studiare e apprezzare l'opera e il contributo del Ficino scrittore volgare e letterato. · Credo che ,gli spetti un posto nella storia ddfa lingua e letteratura italiana, per quanto meno illustre del contributo che ha da,to agli studi greci, alla filosofia plàtonica, e pure alla .teologia, alla medicina, all'astrologia e alla magia. Quanto al codice Caetani di Dante che è stato l'occasione e il punto di partenza di questo discorso, spero di avere risolto la questione del suo legame col Ficino in modo definitivo, per quanto negativo, ma mi auguro che il legame col tempo del Salutati, orn suggerito dai dati paleografici, apra la strada a nuove ricerche interessanti e positive su questo codice prezioso.

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NOTE

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Comedia Dantis Aldigherii Poeta~ Florentini, ed. Gelasio Caetani, Sancasciano Val di Pesa 1930. Cfr. G. CAETANI, La prima stampa I del Codiçe Caetani della· Divina Commedia,, Sancasciano J930, pubblicato artcne col titolo La nuova edizione del codice Caetani della Divina ·Commedia, negli « Atti della Società italiana per il progresso delle scienze», Riunione 19,, Bolzano-Trento 7-15 sett. 1930, vol. Il, Roma 1931, pp. 667-076. P.O. KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, Firenze 1937, ristampato nel ,1973, I, p. LV. Il codic.e viene menzionato come perduto nell'Edizione Nazionale della Società Dantesca Italiana (DANTE ALIGHIERI, La Commedia secondo l'antica volgata, ed. G. PETROCCHI, vol. I, Introduzione, Milano -1966, p. XIX, nota; p. 545, nota 1). 2 Fui introdotto al sig. Hubert Howard dal sig. James ,Van Derpool allora direttore della Avery Library della Columbia University. Fui pure incoraggiato a visitare l'Archivio Caetani dal compianto amico Myron P. Gilmore. ' 3. Ho visitato l'Archivio nel 1967 e vi ho trovato mÒite ·lettere e documenti ·di letterati del secolo XVI e qualche manoscritto interessante. Ne· darò l'elenco ili un futuro volume del mio Iter Itrilicum. Vorrei menzionare soltanto una copia anonima dell'opera Del senso delle cose del Campanella (Misc~llanea 1037/ 302) e una copia della sua Monarchia Ispanica (Miscellanea 1137/1214, fase. 2). Per il ms. del Cammino di Dante di Piero di Ser Bonaccorso ( Miscellanea 1198/1222), cfr. P. PEcCHIAI, Il Codice Caetani contenente "Il Cammino di Dante" di Ser Piero di Ser Bonaccorso, «Archivi», ser. II 19, 195,2, 179-202. Per l'Archivio stesso, vedi P. PECCHIAI, L'Archivio dei Duchi di Sermoneta, in Studi in onore di Riccardo Filangieri, l, Napoli 1959, 421-443; LUIGI FIORANI, Onorato Caetani, Un erudito romano del Settecento, Roma 1969. Ringrazio il dott. Fiorani di queste e molte altre indicazioni bibliografiche. 4 Il codice porta la segnatura Miscellanea 1243/1267. 5 CoLOMB DE BATINES, Bibliografia Dantesca, tomo 2, Prato 1846,

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pp. 201-202, n. 375; 342, n. 581. Carteggio dantesco del Duca di Sermoneta, ed. A. DE GuBERNATIS, Milano 1883. Epistolario del duca Michelangelo Caetani di Sermoneta, ed, G.L. PASSERINI, vol. 2, Corrispondenza Dantesca, Firenze 1903. Quest'ultima edizione contiene anche Tre chiose nella Divina Commedia di Dante .Alighieri del duca M. CAETANI (pp. 153194) che erano state stampate prima in parecchie edizioni. 6 P .O. KRISTELLER, The Scholastic Background of Marsilio Ficino, nel mio volume Studies in Renaissance Thought and Letters, Roma 1956, pp. 35-97; Un nuovo trattatello inedito di Marsilio Ficino, ibid., pp. 139150. Almeno uno di questi testi scolastici giovanili porta la data del 1454 (p. 150). Un documento recentemente scoperto e datato 28 ottobre 1451 ci informa che « maestro Marsilio di maestro Fecino che sta per ripetitore curo Piero de Pazzi » prese a prestito una copia della Logica di Paolo Veneto, testimone « maestro Piero di Antonio Dini eletto a leggere loyca nello studio di Firenze». Vedi SAMUEL JoNES HoUGH, An Early Record of Marsilio Ficino, « Renaissance Quarterly », 30, 1977, pp. 301-304. ·-, 7 P.0. KRISTELLER, Fiorentine Platonism and Its Relations with Humanism and Scholasticism, « Church History », 8, 1939, pp. 201-211. Non ho mai sostenuto che il Ficino sia uno scolastico puro, ma, soltanto, che c'è nella sua opera, come in quella del Pico, un forte elemento scolastico. 8 Gli storici della filologia classica parlano del Ficino come filologo in maniera piuttosto superficiale: JoHN EowIN SANDYS, A History of Classica/ Scholarship, II, Cambridge ,1907, p. 82 e passim. RuDOLF PFEIFFER, History of Classica! Scholarship from 1300 to 1850, Oxford 1976, p. 57. Più importanti sono i contributi di J. Festugière, Paul Henry, H.D. Saffrey, M. Sicherl e L.G. Westerink che parlano delle traduzioni dd Ficino e dei codici greci annotati da lui. Cfr. P.O. KRISTELLER, L'Etat présent des études sur Marsile Ficin, nel volume Platon et Aristate à la Renaissance, Parigi 1976, pp. 59-77. Un lessico trascritto dal Ficino è stato pubblicato recentemente come opera sua, ma si tratta d'un testo anteriore copiato da lui che va ancora studiato: MARSILIO FICINO, Lessico greco-latino, ed. R. PrNTAUDI, Roma 1977, cfr. la recensione un po' dura di F. Dr BENEDETTO in « Giornale italiano di filologia», n.s. 9, .30, 1978, pp. '113°121. Malgrado tanti discorsi generici, ci manca ancora uno studio della tecnica e accuratezza delle traduzioni del Ficino in confronto col testo greco e con le traduzioni anteriori (e posteriori) degli stessi testi. 9 Già nel trattatello del 1454 il Ficino parla con disprezzo dello stile

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retorico usato fino allora anche da lui, e aggiunge: « de1nceps philosophorum more· loquamur verba ubique contempnentes » {Studies, p. 146). E. CRISTIANI, Una inedita invettiva giovanile di Marsilio Ficino, in (<Rinascimento», 17, J.966, pp. 209-222. IO Per un elenco dei codici posseduti o copiati . dal Ficino, vedi Suppl. Pie., I,. pp. LIII-LV. Studies, pp. ,164-165, n. 31a, HD. SAFFREY, Notes platoniciennes dc Marsile Ficin dans un manuscrit de Procltts, in «· Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance », 21, ,1-9.5.9-, pp .. 161-184. Per un codice di Macrobio posseduto e annotato dal .Fidno, vedi G.B. ALBERTI, Marsilio Ficino e il codice Riccardiano 581,. in (< Rinascimento», 21, 1970, pp. 187al93. , Un codice di Igino posseduto dal Ficino (Triv. 690) mi fu .segnalato da Paola Zambelli. Cfr. Biblioteca Trivulziana,. Mostra di libri di profezie, astrotogia, chiromanzia, alchimia; a cura di G SANTORO, Milano 1953, p. 12, n. 14 . .1!. Parigi, Bibliotli,èque Nationale, Nouv. acq. lat. 650. 12 Per un indice degli autori citati negli scritti del Ficino, vedi P.O. KRISTELLER, Il pensiem filosofico di Marsilio Ficino, Firenze 1953, pp. 451463. Vi sono citazioni o menzioni di Demostene, Erodoto, Euripide, Isocrate, Pindaro e -Senofonte. 13 Oltre gli autori filosofici e patristici, notiamo menzioni di Ammiano Marcellino, Claudiano, Columella, Floro, Gellio, Giovenale, Livio, Lucano, Marziale, Orazio, Ovidio, Plauto, i due Plini, Pomponio Mela, Prisciano, Quintiliano, Solino, Stazio, Suetonio, Tacito, Terenzio e Varrone. 14 Per un elenco dei personaggi contemporanei. menzionati. negli scritti del Ficino, vedi Supplementum Fici11anum, Il, pp. 357-367. 15 Per il testo, vedi Suppi. Fic., I, pp. 40-46. L'unico manoscritto che lo conserva (Ricc. 85) fu posseduto dal Ficino e contiene le Epistole di s. Paolo in greco con sommari latini, Cfr. Suppi., I, pp. XVII e LIV: Iter <Jtalicum, I, Leida 1963, p. 184. Si tratta della versmcazione dell'Ortitio ad Deum theologica contenuta in una lettera a Bernardo Rucellai (FICINO, Opera Omnia, Basilea •1561 e 1576, ristampate a Torino 1959; vol. I, pp. 665-666). Corrisponde all'ultimo capitolo dell'Altercazione di Lorenzo de' Medici e va datata al -1473 (P.O. KRISTEi.LER, Le thomisme et la pensée italienne de la Renaissance, Montréal e Parigi 1967; p. 111). La base della datazione è una lettera di Naldo Naldi a Niccolò Michelozzi del 12 sett. 1473 che menziona le poesie di Lorenzo (Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, ed. T. DE MARINIS e A. PEROSA, Firenze 11970, p. 56). 16 Le lettere latine in 12 libri si leggono in Opera, I, pp. 607-964.

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Furono stampate per la prima volta a Venezia ·nel 1495. Per la ctondlogia delle lettere e per la storia della raccolta, vedi Suppl. , I, pp. LXXXVII-CX. Per lettere addizionali, vedi . Suppl., I, pp. 37-40, 46-65; II, pp. 79-96. Tra le lettere troviamo pure alcune orazioni (Opera , I, pp. 757-760 e pass.) e declamazioni (Opera, I, p. 659 e pass.), cfr. Suppi., I, p. LXXXIX. Per un'altra orazione storicamente importante, vedi Suppl., I, p. 58. Dialoghi sono il De raptu Pauli (Opera, I, pp. 697-706) e il De amore (Opera, Il, pp. 1320-1363), e anche un passo della Theologia Platonica, VI, 1 (Opera, I, p. 156). Troviamo parecchi apologi tra le lettere (Op ., I, pp. 840, 847-849, 855, 921-924; Suppi., I, pp. 56, 58-59; FIGINO, The Philebus Commentary, ed M.J.B. ALLEN, Berkeley 1975, pp. 454-457, 464-479). Il Prof. Allen ha trovato un apologus del Ficino inserito nella sua traduzione del commento di Ermia al Fedro di Platone {Biblioteca Ap. Vaticana, Vat. lat. 5953, cc. ,134-316). 17 Sui brani entusiastici che si trovano nei libri XIII e XIV della Theologia Platonica Raffaele Spongano acutamente ritiene che siano influenzati nel loro stile dalla tradizione volgare piuttosto che da quella latina classica (Un capitolo di storia della nostra prosa d'arte, nel volume Due saggi sull'umanesimo, Firenze 1964, pp. 40-42). Un giudizio sfavorevole sullo stile latino delle lettere del Ficino dette Johannes Ludovicus Vives: « epistolas composuit... dictione invenusta et molesta » (De conscribendis epistolis, in Opera omnia, Il, Valencia 1782, p. 314). Cfr. L. THORNDIKE, A History of Magie and Experimental Science, IV, New York 1934, p. 562, nota 1. · 18 I componimenti e le prefazioni dei volgarizzamenti sono stati pubblicati fin dal 1937 nel ,mio Supplementum Ficinianum. Vi accenna B. MIGLIORINI, Storia della . lingua italiana, 2" ed., Firenze 1960, p. 269, e ne parla più a lungo A. BucK, Der Einfluss des Platonismus auf die volkssprachliche Literatur im Florentiner Quattrocento, Krefeld 1965. Ma altrimenti il Ficino è stato trascurato dagli storici della lingua e letteratura italiana. 19 P .0. KRISTELLER, L'origine e lo sviluppo della prosa volgare, in « Cultura neolatina», 10, 1950, pp. 137-156; Studies, 11956, pp. 473-493; H. BARON, The Crisis of the Early Italian Renaissance, Princeton 1955, I, pp. 297-312; Il, pp. 422-429, 578-591; la stessa opera (Revised OneVolume Edition, Princeton. 1966), pp. 332-353, 532-541; G. FoLENA, La crisi linguistica del Quattrocento e l'« Arcadia» •di J. Sannazaro, Firenze 1952; H.W. KLEIN, Latein und Volgare in Italien, Monaco 1957; C. GRAYSON, A Renaissance Controversy, Latin or Italian?, Oxford

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1960; B. MIGLIORINI, op. cit.; C. DroNISOTTI, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino 1967, pp. ,103-144; In., Gli umanisti e il volgare fra Quattrocento e Cinquecento, Firenze 1968; A. BucK e M. PFISTER, Studien. zur Prosa des Florentiner Vulgaerhumanismus im 15. Jahrhundert, in « Abhandlungen der Marburger Gelehrten Gesellschaft >>, 197,1, 5, Monaco ,1973, pp. 163--263; G . NENCIONI, Fra grammatica e retorica, Un caso di polimorfia della lingua letteraria dal secolo XIII al XVI, in « Atti e memorie dell'Accademia toscana di scienze e lettere La Colomliaria »; 18 .(n.s. 4), 1953 (1954), pp. 211-259; 19 {n.s. 5), 1954 (1955), pp. 139-269 {pubblicato anche come volume, Firenze, ca. ;1955). 20 BucK e PFISTER, Le., pp. 197-233. Poiché la maggior parte delle edizioni dei testi del Trecento è «normalizzata», dubito che lingua e grafia siano cosi regolari nei. manoscritti come si pretende. Gli autori del Quattrocento scrissero la lingua del loro tempo come avevano fatto quelli del Trecento. Soltanto gli autori del Cinquecento scrissero « con cura »; giacché volevano .imitare quelli del T,ecento. 21 Basta menzionare il Filelfo, il Fazio, il Decembrio e il Boiardo, tutti autori di volgarizzamenti dei classici. 22 Per il Bruni, cfr. E. SANTINI, La produzione volgare di Leonardo Bruni Aretino e il suo culto per "le tre corone fiorentine", in « Giornale storico della letteratura italiana», 60, 1912, pp. 289-339. Un vol. garizzamento dell'orazione Pro Marcello di Cicerone fatto dal Bruni è stato scoperto da G. FoLENA, cfr. la sua recensione a FRANCESCO MAGGINI, I primi volgarizzamenti dei classici latini, Firenze 1952 nella « Rassegna della letteratura italiana», 57, 1953, pp. 155..162, a p. 160. In., Volgarizzare e tradurre, nel volume La traduzione, Trieste 1973, pp. 57-120, a pp. 89-91 {devo questa indicazione al dott. Bodé> Guthmueller; la segnatura del ms. discusso è Ricc. 1095, come nella recensione; e non Ricc. 1905 come nell'articolo posteriore). H.W. WITTSCHIER, Giannozzo Manetti, Colonia 1968. L.B. ALBERTI, Opere volgari, ed. A. Bonucci, 5 voli., Firenze 1843-49; ed. C. Grayson, vol. I-III, Bari 1960-73. In., La prima grammatica della lingua volgare, ed. C. Grayson, Bologna 1964, CRISTOFORO LANDINO, Scritti critici, ed. R. Cardini, 2 voll., Roma 1974. M. SANTORO, Cristoforo Landino e il vol'gare, in « Giornale storico della letteratura italiana», 131, 1954, pp. 501-547. R. CARDINI, La critù:a del Landino, Firenze 1973. M. LENTZEN, Studien zur. DanteExegese Cristoforo Landinos, Colonia 1974. Per le opere volgari del Fonzio, cfr. · C. TRINKAUS, , A Humanist's Image of Humanism: the Inaugura! Orations of Bartolommeo della Fonte, in « Studies in the Renaissance », 7, 1960, pp. 90 ..147, .a pp. 130-147. Per due opere voi-

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gari di Francesco Bandini, cfr: KRISTELLER, Studies, 1956, pp. 395-435. LORENZO DE' MEDICI, Opere, ed. A. Simioni, 2 voll., Bari 1913-14. Per i protesti e altri discorsi pubblici, vedi E. SANTINI, Firenze e i suoi "Oratori" nel Quattrocento, Milano 1922; In., La Protestatio de Iustitia nella Firenze Medicea del sec. XV, in «Rinascimento», 10, 1%9, pp. 33106. Per i sermoni nelle compagnie, vedi KRISTELLER, Studies, p. 105, n. 17: Molti autori di questi discorsi e sermoni furono umanisti. 23 Prefazione latina al · Triumphus virtutum, poema volgare di Bastiano Foresi ( 1474) in Opera, I, p. 643; Firenze, Biblioteca Nazionale, cod. Pal. 345; Cambridge Mass., Harvard University, ms. Richardson 46. Prefazione al Commento del Landino alla Divina Commedia (1481) in Opera, I, p. 840 e nell'edizione del, Landino (HAIN, 5946). Prefazione a · ENEA SILVIO, Historia di due amanti, volgarizzata da Alamanno Donati (1481-82), in Opera, I, p. 848, ms. Ricc. 2670 e nell'edizione dell'opuscolo (HAIN, 246). Prefazione alla Geographia di Francesco Berlinghieri {1482) in Opera, I, p. 855 e nell'edizione (HAIN, 2825, GW 3870). Prefazione ai Sermoni di Leone Magno volgarizzati da Filippo Corsini {1485) nell'edizione (HAIN, 10016) e in Suppl., II, pp. 183-184. Cfr. Suppl., I, p. LXXIV. Possiamo aggiungere le due lettere latine (Opera, I, pp. 662-666) scritte insieme con J'Altercazione di Lorenzo de' Medici, cfr. A. BucK, Der Platonismus in den Dichtungen Lorenzo de' Medicis, Berlino 1936. KRISTELLER, Studies, pp. 213-219: 24 Opera, II, p. 1 1355. MARSILE FrcIN, Commentaire sur le Banquet de Platon, ed. R. Marce!, Parigi 1956, p. 240. Per un'interpretazione diversa che attribuisce a Guido una concezione «averroistica» ·piuttosto che platonìca dell'amore, vedi B. NARDI, Dante e la cultura medievale, 2• ed., Bari 1949, pp. 93-129; In., Noterella polemica sull'Averroismo di Guido Cavalcanti, in « Rassegna di filosofia», 3, 11954, pp. 47-71. 25 Parigi, Bibliothèque Nationale, Nouv. acq. lat. 650, cc. 89-92v. Il Ficino non dubitava della loro autenticità, come hanno fatto alcuni · studiosi moderni. , 26 Suppi., I,I , p. 162. 27 Per la prefazione sola, vedi Suppi., II, pp. 184-185. Per un'edizione critica del testo, vedi ora PRUDENCE SHAW (Mrs. James), La versione ficiniana della "Monarchia", in «.Studi Danteschi», 51, 1978, pp. 289408 (il testo a pp. 327-408, l'elenco dei 15 manoscritti a pp. 291-297). Un altro manoscritto che ccintiehe soltanto alcuni estratti della versione mi è stato segnalato recentemente dalla dott. Marcella Roddewig: Morgan Library, MA 842, cc. 338-339 v (s. XVI). La versione era stata stampata già dal Fraticelli (1839), dal Torri (1844) e ultimamen1

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te da F. Chiappelli (DANTE ALIGHIERI, Opere, Milano 1965, pp. 847-898). Cfr. EADEM, Per l'edizione del volgarizzamento ficiniano della "Monarchia", nel vol. Testi e interpretazioni, Milano 1978, pp. 927939. Il cod. Laur. 44, 36 porta alla fine la nota seguente: « Scripto di -mano di me Antonio di Tuccio sopradetto tracto dello originale anchora scripto da me et dectato da detto Marsilio Fecino homo doctissimo et filosafo platonicho ». Un altro volgarizzamento anonimo del De Monarchia, pure del -..ecolo XV, e conservato in tre manoscritti è stato pubblicato in edizione critica dalla signora PRUDENCE SHAW, Il volgarizzamento inedito della "Monarchia", in « Studi Danteschi», 47, 1970, .pp. 59-224. Uno dei manoscritti (Firenze, Biblioteca Nazionale, cod. II, III, 210) fu copiato da Bernardo del Nero nel ,1456. Sono molto grato all'amico Gianfranco Contini per avermi segnalato queste importanti edizioni e per •averle messe a mia disposizione. 28 DANTE ALIGHIERI, Monarchia, ed. Pier Giorgio Ricci, Milano ·1965. A p. 5 si parla di 22 manoscritti, e un altro è stato scoperto recentemente: P.G. Rrccr, A sette anni dall'Edizione Nazionale del "Monarchia", in Atti del Convegno internazionale di studi danteschi, Ravenna 1971, -Firenze 1979, pp. 79-114. Devo un estratto di questo articolo postumo alla cortesia della signora Adriana Materassi Ricci . .29 Vedi nota 27. 30 D. BrGONGIARI, Essays on Dante and Medieval Culture, Firenze 1964, offre una serie di emendazioni al testo della Monarchia, e critica il Ficino tre volte. ln due casi (U, 6 e III, 12; BIGONGIARI, pp. 26-27) il Bigongiari attribuisce al Ficino un'inserzione che nel testo originale del Ficino non c'è. Vedi Monarchia, ed. Ricci, pp. 194 e 264-265, cfr. pp. 102103, e SHAW, pp. 364 e 393. Nel secondo di questi casi il Ricci respinge la variante sulla quale il Ficino e il Bigongiari vanno d'accordo. In due altri casi il Bigongiari respinge la versione del Ficino, la prima volta senza nominarlo {p. ,26 su Il, 9, e pp. 33-34 su III, 16), e viene approvato dal Ricci {pp. 207 e 272-273). L'ultimo passo è piuttosto interes• sante perché il Ficino non accetta la concezione aristotelica del testo dantesco secondo cui l'uomo come insieme di corpo e anima è corruttibile, e cambia il testo che secondo la sua posizione platonica rende corruttibile il corpo solo. WALTHER BuLsT, Zu Dantes de Monarchia I 3, in •« Historische Vierteljahrschrift », 26, 1931, pp. 840-842; 27, 1932, pp. 389-390, offre un'emendazione interessante e plausibile che è confermata dal Ficino (SHAW, p. 332, 49) ma respinta dal Rrccr, p. 142. 31 Riccr, pp. 102-105. 32 SHAW, pp. 289-290, 308-324.

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Suppi., il.I, pp. 184-185. SHAW, pp. 327-328. Opera, p. 840. Cfr. nota 8. Cfr. nota 1. rr M. S1CHERL, Die Humanistenkursive Marsilio Ficinos, in Studia codicologica (Texte und Untersuchungen, 124, 1977), pp, 443-450, con tavole. i : i ii 11 i 38 P. O. KRISTELLER, Some Originai Letters and Autograph .Manuscripts of Marsilio Ficino, in Studi di bibliografia e di storia in onore di Tammaro De Marinis, Verona, 1964, III, pp. 5-33, con tavole dopo p. ,1,2 e 20. Daremo in appendice qualche tavola dal Codice Caetani. 39 A. C. DE LA MARE, The Handwriting of Italian Humanists, voi. I, fase. 1, Oxford 1973. 40 Vedi nell'Appendice II .i,l parere della Signorina de la Mare e nella UI le « Osservazioni » di A. Campana. 41 M. BARBI, Il ms. Ashburnhamiano 839 e il codice Gaetani, in « Studi danteschi», XVI, 1932, pp. 137-156, ora in M. BARBI, Problemi di critica dantesca, '.II s., Firenze 1941, pp. 435-451 (La lettura <i.i Benvenuto da Imola e i suoi rapporti con altri commenti, I). 42 Ed. Gelasio Caetani, p. 496, glossa a Paradiso, XXXIII, 115, ( « Nella profonda et chiara subsistenza » ). Per il testo, vedi C. BAEUMKER, Das pseudohermetische Buch der · vier und zwanzig Meistèr (Liber XXIV philosophorum), in Festgabe von Hertling, Friburgo 1913, pp. ,17-40, ristampato in BAEUMKER, Gesammelte Aufsaetze, in Beitraege zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, 25, .1-2, 1927, pp. 204217. Cfr. M. TH. n'ALVERNY nel Catalogus Translàtionum et Commentariorum, ed. P. O. KRISTELLER, voi. I, Washington •1960, pp. 15,1,154. 43 Per la storia del concetto, vedi D. MAHNKE, Unendliche Sphaere und Allmittelpunkt, Halle 1937. Cfr. K. HARRIES, The Infinite Sphere, in « Journal of the History of Philosophy », 13, 1975, pp. 5-15. 44 Suppl. I, p. CXXIX-CX:X:X. KRISTI;:LLER, Studies, pp. 221-247. K. H. DANNENFELDT, in Catalogus Translationum et Commentariorum, ed. P. O. Kristeller, voi. I, Washington 1960, pp. 13:8-140. 45 Vedi il parere della Signorina de la Mare nell'Appendice Il, e per ciò che dico più sotto, le considerazioni di A. Campana sulla "persona" dèll'anonimo scrittore del codice e compilatore delle glosse; nell'Appendice III. 46 P. O. KRISTELLER, The Scholar and bis public in the Late Middle Ages and the Renaissance nel mio Medieval Aspects of Renaissance . 33 34 35 36

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Learning, ed. tr. E.P. Mahoney, Durham 1974, pp. 3-25. F ScHALK, Das Publikum im italienischen Humanismus, Krefeld 1955. 47 Suppl., II, pp. 109-123. 48 Pp. 122-123. 49 Pp. 111-112. so P. 120. 51 Suppl., I, p. CLIX. Per i manoscritti elencati nel mio Index ope. rum Ficini (Suppl., I, p. LXXVII-CLXVII) bisogna sempre controllare l'elenco dei manoscritti a p. V ss., e per il contenuto completo dei manoscritti bisogna controllare il mio Iter Italicum (volumi I-II, Leida 1%3 e 1967) è i cataloghi stampati dei manoscritti delle varie biblioteche. Per le miscellanee volgari, vedi J'Appendice I. Dell'Epistola a' fratelli conosco 25 manoscritti (Suppl., I, p. CLTX) di cui la maggior parte sono miscdlanee ·volgari (compresi · Verona, Capitolare CCCCXCI, ·dr. Suppl., U, p. 369, Parma, Pal. 306, dr. Studies, 168, Tours e New Haven). Ma alcuni codici contengono soltanto altre opere del Ficino (Laur. 27, 9; Ricc. 146; Ambr. D 3 in/.; Casanat. 1297; Maruc. C. 286, s. XVI). Credo che l'opuscolo sia indicato nel primo catalogo degli scritti del Ficino (Suppl., I, p. 1) sotto il titolo Oeèonomica. 52 Suppl., II, pp. 162-166. 53 Suppi., I, p. CLX. Anche qui si aggiungano i codici di Verona, Parma, Tours e New Haven. Nel catalogo appare col titolo De consolatione parentum in obitu filii (Suppl., I, p. 1). · 54 Suppl., II, pp. 173-175. 55 Suppl., II, pp. 128-147. 56 De quatuor sectis philosophorum {Suppi., II, pp. 7-110) e De voluptate (Opera, I, pp. 987-1012) di cui il secondo porta la data del 1457. 57 L. STEIN, Handschriftenfunde zur Philosophie der Renaissance. I, Die erste 'Geschichte der antiken Philosophie' in der Neuzeit, in « Archiv fuer Geschichte der Philosophie », 1, 1888, pp. 534-55:3. P. O. KRISTELLER, Giovambattista Buoninsegni, in Dizionario biografico degli ita(iani, 15, Roma 1972, pp. 255-256. ALISON BROWN, Bartolomeo Scala, Princeton 1979, pp. 263-266. 58 Suppi., II, pp. 129. 59 Ivi, pp. 132, 146. <iO Appare in 19 mss. che sono quasi tutte miscellanee volgari (Suppi., I, pp. CLIX-CLX), compresi i codici di Verona, Parma, Tours e New Haven. Si aggiunge una miscellanea filosofica del sec. XVI (Padova, Museo Civico, CM 328, dr. Suppi. II, p. 368). Il testo appare con altre opere del

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Ficino nel Laur. 27, 9 (e nel Maruc. C. 286 del sec: XVI). Viene citato nel primo elenco del Ficino sotto il titolo Compendium de opinionibus philosophorum circa Deum et animam (Suppi., I, p. 1) e nel secondo elenco sotto il titolo Opiniones philosophorum de Deo et anima (Suppi., I, p. 2). 61 A. W ARBURG, Francesco Sassetti' s letztwillige Verfuegung, in Kunstwissenschaftliche Beitraege August Schmarsow gewidmet, Lipsia 190'7, pp. 149-150, nota 49; In., Gesammelte Schriften, ed. G. Bing, I, Lipsia 1932 (rist. Nendeln 1969), pp. 147-148, n. 2. ID., Ausgewaehlte Schriften und Wuerdigungstet, ed. D. WuTTKE, Baden-Baden 1979, pp. 157-158, n. 49; Suppi., H, pp. 169-172. Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, I. Il Zibaldone Quaresimale, ed. A. Perosa, Londra 1960, pp. 114.i116, dr. pp. 176 e 203-205. La lettera ~i trova in 10 codici miscellanei -tra cui i manoscritti di Verona, Parma, Tours e New Haven. 62 Suppi., II, pp. a58-.t6L Cfr. P. O. KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, FJ.renze 1953, pp. 180'212. 63 Suppi., I, p. CLX . .Il testo si trova in dieci codici miscellanei compresi quelli di Verona, Parma, Tours e New Haven. Appare nel primo elenco degli scritti del Ficino col titolo De appetitu. 64 Suppi., II, pp. l67-169, dr. I, p. CLX (dove la data è errata). Il testo si trova soltanto nei due codici miscellanei Ricc. 1074 e 2544. 65 E. SANTINI, Firenze e i suoi « Oratori » nel Quattrocento, Milano 1922, pp. 91-92 e passim. Per le miscellanee volgari che contengono testi del Fidno vedi l'Appendice I. Sono ancora più numerosii codici miscellanei dello stesso tipo che non contengono testi del Fitine. 66 Suppi., I, pp. LXXXVI-LXXXVII e 24-25. Opera, I, pp. 575-606. 67 Suppl., II, pp. 175.182 dal codice Magi. XV, 190. Cfr .. S. CAROTI e S. ZAMPONI, Lo scrittoio di Bartolomeo Ponzio, Milano 1974, p. 130. 68 Suppi., Il, p. 182. La l~ttera a Lorenzo esiste nell'Archivio Mediceo avanti il Principato e porta ora la segnatura 73, 292. 69 Vedi sopra, nota 23. Suppi., II, pp. 183-184. · 10 Suppi., II, pp. 185-187, cfr. I, p. CLXII. 11 Parigi, Bibliothèque Nationale, Lat. 1161, 1428, 10526, 10545, 13285,, Franç. 24748. Londra, British Library, Royal ms. 2 A VIII, King's ms. 9, Add. ms. 17012. Cambridge, Fitzwilliam Museum, ms. 49, 51, 52, '54. Il tésto occupa di solito una decina di carte. Non viene elencato da Dekker, Stegmueller o B. Lambert nei loro elenchi delle opere apocrife di S. Girolamo. Ma l'incipit che viene indicato da V. LEROQUAIS, Les livres d'heures manuscrits de la Bibliothèque Nationale, Parigi 1927, voi. I, p. XXVUI-XXIX. « Verba mea auribus percipe Domine» corri-

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sponde a quello della versione del Ficino .(« Signore mio ricevi co' tuoi orecchi le parole mie»). H breve testo si trova quasi sempre insieme con le Ore della Vergine o in raccolte di preghiere. La fonte probabile del Ficino è il cod. Laur. 25, 3, miscellanea membranacea e miniata del secolo XIII, che porta il titolo Supplicationes variae e che appartenne a Lorenzo de' Medici. Contiene a cc. 25v-33 un Psalterium Beati Ieronimi (inc. « Verba mea auribus percipe domine», des. « quoniam ego servus tuus sum »), preceduto da un breve prologo (« Prologus Beati Hieronimi presbiteri », inc. « Propter hoc breviatum est psalterium hoc ut meditetur » ). Ho consultato il manoscritto recentemente, col permesso speciale della dott. Antonietta Morandini, malgrado fosse esposto in mostra. Cf. A.M. BANDINI, Catalogus codicum latinorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, I, Firenze 1774, coli. 7·48-754, a col. 749, n. 9 (col titolo B. Hieronymi presbyteri Psalterium cum Prologo, e senza indicazione dell'Incipit e Explicit); Disegni nei manoscritti Laurenziani (catalogo di mostra), Firenze 1979, pp. 71-76, n. 45. Un testo che porta un titolo simile (Psalterio di Sancta Hieronymo abreviato) si trova in alcune 'edizioni rare del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento, ma è più lungo e ha degli incipit diversi (« obsetro te mi domine»; « comitetur nos quesumus domine»; « Deus in adiutorium meum intende »). Ho consultato per questo testo ,la copia della Biblioteca Casanatense di Roma, segnata Rari 166 (già Inc. 166), cfr. REICHLING, 1039; SANDER, 5951; Indice generale degli incunaboli ddle biblioteche d'Italia, vol. 4, 1965, p. 335. Il testo del Ficino si trova nei codici Ricc. 341, 1497, 1622 e Triv. 84 (Suppl., II, p. 369). L'orazione di s. Agostino si trova solo nel Ricc. 1622. 72 Opera, I, p, 753. 73 Suppl., I, p. XCIV. Opera, I, pp. 612-615. La lettera si trova come opuscolo separato nei codici Laur. 21,8 (c. 133), Laur. 21,21 (c. 131), Ricc. 146 (c. 49), 351 (c. 27v}, 574 (c. 51), 966 (c. 63); Glasgow, Huriterian Museum, U 1.10 {206, c. 96v-99); Londra, British Library, Harl. 5335; Ambr. D 3 in/. (c. 156v); Piacenza, cod. Landi 50 (c. 109v). Sull'importanza di quest'opera e il suo influsso sul Landino e altri, ·dr. A. BucK, Dichtung ttnd Dichter bei Cristoforo Landino, in « Romanische Forschungen », 58-59, 1947, pp. 233-246; ID., Italienische Dichtungslehren vom Mittelalter bis zum Ausgang der Renaissance, Tuebingen 1952, pp. 87-97; E.N. TIGERSTEDT, The Poet as Creator, in « Comparative Literature Studies », 5, ,1968, pp. 455-488. 74 Per la prefazione, vedi Suppl., I, pp. 68-69 dal cod. II III 402 della Biblioteca Nazionale di Firenze. Il testo senza prefazione si trova

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anche nei mss. Ricc; 1074, 2544 e Siena J VI 25. Tutti questi codici, con l'eccezione del codice di Siena, hanno legami stretti coll'ambiente del Ficino. 75 Per la prefazione vedi Suppl., I, pp, 98-101. 76 Ai dodici manoscritti elencati ,(Suppl., I, pp. 98-99) si aggiungono Ricc. 2174, Naz. Panciatichi 125, Ottob. lat. 1167 e Genova, Universitaria A IX 28 (Gaslini, 47). Quest'ultimo manoscritto (Iter, I, pp. 244245) è miscellaneo e contiene altre opere di Tommaso Benci e dei suoi fratelli Giovanni e Lorenzo. Tra gli altri manoscritti il solo Naz. II I 71 appartiene al tipo delle miscellanee di dicerie volgari. 77 Per la prefazione, vedi Suppl., I, pp. 102-103. Dell'edizione del 1548 è stata fatta una ristampa ·anastatica {Milano 1944). 78 Ricc. 1074 e 2544. 79 Opera, II, pp. ,1320-1363. MARSILE F1c1N, Commentaire sur le Banquet de Platon, ed. R. Marce!, Parigi 1956. Sulle varianti d'autore che distinguono le redazioni · del De amore e che non vengono chiaramente indicate nell'edizione del Marce!, vedi JAMES A. DEVEREUX, The Textual History of Ficino's De amore, in « Renaissance Quarterly'», 28, 1975, pp. 173-182 (cfr. Suppl., I, pp. 86-87). Per una traduzione inglese del testo vedi SEARS R. JAYNE, Marsilio Ficino's Commentary on Plato's Symposium, Columbia, Missouri 11944. 80 Per la prefazione, vedi Suppl., I, pp. 89-91. 81 Ai nove manoscritti elencati nel Supplementum (I, p. CXXVI) di cui almeno quattro sono del sec. XVI, bisogna aggiunger.e il cod. Tordi 345 della Biblioteca Nazionale di Firenze (Studies, p. 164). Il Laur. 76, 73 porta alla fine la nota: « ed è di Antonio di Tuccio Manetti Fiorentino e di sua mano scripto e copiato dallo originale ». 82 Per la traduzione del Barbarasa vedi Suppl., I, pp. 92-93. ANTHCNY HoBSON, Apollo and Pegasus, Amsterdam 1975, pp. 42-43 e pass. 83 Suppl., I, pp. 91-92. Il testo è stato ristampato nel 1594 e nel 1914. 84 Suppl., I, pp. 133,134. P.O. KRISTELLER, Between tbe Italian Renaissance and the French Enlightenment, Gabriel Naudé as an Editor, in « Renaissance Quarterly », 32, 1979, pp. 41-72, a p. 65. Dell'Alberti il Bartoli tradusse il De re aedificatoria, Firenze 1550, e gli Opuscoli morali, Venezia 1568. 85 Vedi sopra, nota 32. 86 Opera, I, pp. 1-77. Suppl., ,I, pp. 7-12, dr. pp. LXXVII-LXXIX. 87 Suppl., 1, pp. 12-15. Il codice di dedica pare che sia quello già posseduto dal conte Giulio Guicciardini di Sesto {Studies, p. 165, n. 33).

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88 ' Opera, I, pp. 697-706: MARSILE Frcrn, Théologie Platonicienne, èd. R. Marcel, III, Parigi 1970, pp. 345-367. Cfr. Suppi ., I, pp. XCIV. XCVII. 89 Suppi., I , p. 71, cfr. pp. CX-CXI. Il ms. Naz'. Pal. 109 porta in fine la nota del copista: « Finito di trascrivere questo libretto per me ser Luca d'Antonio di Luca di Francesco Bardini del Popolo di S(an) M(ichele) V(isdomini) et sotto di IIII di giugno 1522, el quale transcripsi d'uno origine (sic) stato scripto sotto dl XI dicembre 1477 et da huomo degno ·d i fede» (Suppi., I, p. XXV, corretto recentemente sul manoscritto). 90 Prosatori latini del Quattrocento, ed. E. Garin, Milano ·1952, pp. 931-969. 91 Suppl., I, p. 72, cfr. p. CXI. Per il codice di dedica, Ricc. 2684; vedi Suppi., I, pp. XX-XXI. 92 Suppl., I, pp. XX XXI, CXI, 71-72. 93 -Opera, I, pp. 636-638. 94 A. BucK, Democritus ridens et Heraclitus flens, in W or/'. tmd Schì-ift, Festschrift /uer Fritz Schalk, Francoforte 1963, pp.- .167-186, dove le fonti antiche (Seneca, Giovenale e altri) e le ripercussioni letterarie fino al sec. XVII sono discusse. 95 W. WEISBACH, Der sogenannte Geogràph von Velasquez ttnd· di~ Darstellungen des Demokrit und Herizklit; in « Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen » 49; 1928, pp. 141-158. E. WÌNn, The Christian Democritus, in « Journal of the Warburg and Courtauld lnstitutes », 1, 1938-39, pp. 180-182. EH. GoMBRICH, Symbolic Tmages, Londra 1972, pp. 77 e 219. A. CHASTEL, Marsile Ficin et l'art, Ginevra 1954, pp. 67 e 70. In., Art et Humanisme à Florence aù temps de Laurent le Magnifique, Parigi 1961, pp, 248-249. A. BlmSCHI, Bramante architetto, Bari ·1969; pp. 7612-763. C. PEDRETTI, The Sforza Sepulchre, parte I, in « Gazette des Beaux Arts », VI, 90 (119); 1977; pp. 121-131, a 'pp. 123-125 e 129, n. 12. Sembra probabile che Leonardo abbia trasmesso il motivo da Firenze a Milano. 96 KRISTELLER, Il pensiero filosofico, p. 14- e passim. 97 Suppi., I, pp. XLV-XLVI e CX. Si tratta del cod. Casan'atense 1297. 98 Suppl., I, 70, dr. Opera, I, p. 609. 99 Il ms. Lea 42 della University of Pennsylvanià Library a Philadelphia contiene il trattato latino De misericordia di Laurentius· Cyathus · dedicato a Jacopo Guicciardini. !Ilo Vespasiano dedicò a Bernardo del Nero il suo Comentario della vita di messer Giannozzo Manetti (VESPASIANO DA BISTICCI, .Le vite, 0

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ed. Auw GRECO, II, Firenze 1976, pp. 515-517). Nella prefazione Vespasiano si rivolge « a voi : {Bernardo del Nero) al quale sono state mandate alcune opere di messer Marsilio Ficino, piene ·di cloquentia et di doctrina » (p. 516, cfr. Suppl. , I,I, pp. 238-239). Per il contributo dei mercanti fiorentini alla letteratura, cfr. C. BEc, Les marchands écrivains à Florence, Parigi 1967. 101 R. MARCEL, Marsile Ficin, Parigi 1958, pp. 170, 204 sgg. e passim. 102 Vedi sopra nota 6. 103 Dedicò a Antonio Canigiani il De volttptate {Opera, I, p. 986) e il De virtutibus moralibus (Suppl., Il, pp. 1-6) e menziona una visita alla villa di :suo padre Giovanni nel 1458 al principio del trattato Di Dio et anima (Sttppl ., Il, p. ,129). Per i rapporti con la famiglia Benci, vedi Suppt:, II, p. 358 e 364 dove i rispettivi passi sono indicati. Bisogna notare che •alcuni menibri delle famiglie Benci e Canigiani avevano legami col banco dei Medici ·(R. DE RoovER, The Rise and Decline of the Medici' Bank, Cambridge, Mass. 1963, nei passi elencati nell'indice). Per le biografie degli amici del Ficino è ancora indispensabile l'opera di A. DELLA TORRE, Storia dell'Accademia Platonica di Firenze , Firenze 1902, passim. IJ caso di Piero de' Pazzi mostra che il giovane Eicino poteva essere istitutore non solo di suoi coetanei, ma anche di persone più anziane di lui. Vedi sopra, nota 6. 104 Suppl., I, pp. 58-64 . Cfr. ivi, 47-50 per le lettere omesse dopo la congiura dei Pazzi. 10s Suppl., II, pp. 218-220. 106 Per la corrispondenza con Tommaso, Francesco, Gianvittorio, Paolantonio e Piero Soderini, vedi Suppl., Il, pp. 362 e 367, per quella con Filippo e Niccolò Valori, ivi, Il, pp. 362-363 e 367. Filippo Valori sostenne le spese dell'edizione della traduzione di Platone nel 1484, cfr. P.O. KRISTELLER, The first printed Edition of Plato's Works and the date of its publication, in Science and I-Iistory, Studies in honor of Edward Rosen (Studia Copernicana, 16), Wroclaw 1978, pp. 25-35. Filippo Valori fece pure copiare parecchie opere del Ficino, aggiungendo dediche a Lorenzo e Piero de' Medici e a Mattia Corvino: De vita, per Lorenzo, nel Laur. 73, 39 ( Suppl., I, p. 22); Epistolae, libri I-VIII, per Mattia Corvino, nel ms. Wolfenbuettel 73, Aug. fol. (Suppl. I, pp. 65-66); Epistolae, libri III e IV e traduzione di Sinesio, per Mattia Corvino, nel ms. Wolfenbttettel 2, Aug. 4° (Suppl ., I , p. 66); traduzione e commento di Plotino, per Lorenzo, nel Laur. 82, 10 (Suppl., I, p. 94); traduzione di Prisciano Lido, per Mattia Corvino, nel ms. Wolfenbuettel 10, Aug. 4° (Suppl., I, p. 95); traduzione di Sinesio e

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Psello, per Piero de' Medici, nel ms. Ottob. lat. 153J. (Suppl., I, pp. 104105); traduzioni di Alcinoo, Speusippo e Pitagora, per Lorenzo, nel ms. B III 3 della Biblioteca Durazzo di Genova (KRISTELLER, Iter Italicum, I, p. 248). A Niccolò Valori il Ficino dedicò l'edizione dei suoi com, menti a Platone {1496) e possiamo sospettare che egli ne abbia sostenuto le spese (Opera, II, pp. 1136). 107 Opera, I, p. 963. 1os Suppl., II, pp. 76-79. 109 Conviene estendere questa investigazione al Pico che scrisse a Firenze e in volgare toscano il suo Commento sopra una canzone de amore composta da Girolamo Benivieni (G. Prco DELLA MIRANDOLA, De hominis dignitate, Heptaplus, De ente et uno e scritti vari, ed. E. Garin, Firenze 1942, pp. 4511-581) e a Francesco da Diacceto che fece traduzioni volgari di due scritti suoi, il De amore e il Panegyricus in amorem. I due scritti volgari furono stampati a Venezia nel 1561, il Panegirico solo a Roma già nel ,1526. Le opere furono composte tra il 1508 e il 1511. Cfr. KRISTELLER, Studies, pp. 304 e 308-311.

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APPENDICI

I. Elenco sòmmario dei manosaritti miscellanei di dicerie volgari che contengono qualche scritto del Ficino. 1. Firenze, Biblioteca Laurenziana, cod. 90 sup. 63 (A.M. BANDINI, Catalogus, V, coll. 369-371). Scritti di Matteo · Palmieri, Manetti, Porcari, Btuni; Cino Rinuccini, Boccaccio, Poggio. Fmrno, Epistola a' fratelli. Testi di :Salvestro Nardi, Petrarca, Luigi Pulci, Alberti, Jacopo Bracciolini. 2. Ibid., cod. Redi 130, (KRISTELLER, Iter Italicum, I , p. 79). · Testi del Petrarca, Porcari, Manetti, Bruni, Filelfo, Boccaccio. F1c1No, Epistola a' fratelli; di Dio et anima; dello appetito; che' cosa è fortuna; visione d'Anselmo. Testi di Giovanni dalle Celle. 3. Firenze, Biblioteca Nazionale, ms. II 1 71 (già Magi. VIII, 1385; MAZZATINTI, Inventari, 8, pp. 28-32). 'Testi del Petrarca, Bruni, Porcari, Manetti, Giovanni Ciai, Nello da S. Gimignano, Dino Compagni. F1crno, Epistola a' fratelli . Testi del Boccaccio, Bruni, Dante, Filelfo, Giovanni dalle Celle, Luigi. Marsigli, Brigida Baldinotti, Giovanni ·Benci. Mercurio Trismegisto, tr. Tommaso Benci. Testi di Cicerone e Boezio. 4. Ibid., ms. II II 49 (Magl. VII, 213, èfr. MAZZATINTI, 8, pp. 164-165). Lucano. F1c1No, Visione à1Amelmo. Testi del ·Petrarca, Bruni.

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5. Ibid., ms. II II 76 ( Magl. VIII, 1384, cfr. MAZZATINTI, 8, pp. 191-194). Testi del Petrarca, Porcari, Manetti, Bruni, Filelfo, Boccaccio. Orazioni da Sallustio. F1crno, Epistola a' fratelli; di Dio et anima. 6. Ibid., Magl., VI, 115 (MAZZATINTI, 12, pp. 142-144). Testi del Boccaccio, Nello da S. Gimignano, Petrarca, Porcari, Bruni, Filelfo, Manetti. F1crno, Epistola a' fratelli. Testi di Giovanni dalle Celle, Giovanni Ciai, Luigi Marsigli, Dante, Dino Compagni. 7. Ibid., Magl., VIII, 1370 (KRISTELLER, Iter, I, pp. 132133 ). Testi del Petrarca, Porcari, Boccaccio, Filelfo, Bruni, Giovanni dalle Celle. FICINO, Epistola a' fratelli; di Dio et anima; dello appetito; che cosa è fortuna; visione d'Anselmo. 8. Firenze, Biblioteca Riccardiana, cod. 1'074 (R III 12, cfr. S. MoilPURGb, Ind. e Catai., XV, pp. '61-67). Testi del Boccaccio, Petrarca, Bruni, Porcari, Brigida Baldinotti. FICINO, Visione d 'Anselmo. Testi di Nello da S. Gimignano, Manetti, Bruni. FICINO, Epistola a' fratelli; di Dio et anima; lettera a Cosimo de' Medici (volgarizzamento anonimo); de furore divino (volgarizzamento anonimo). Testo di Bonaccorso da Montemagno. F1crno, Dell'appetito; che cosa è fortuna; lettera a Lionardo di Tane suo compare. Testi del Filelfo, Bruni, Giovanni Morelli, Brigida Baldinotti, Giovanni dalle Celle. Cicerone, pro Marcello, tr. Leon. Bruni, con prefazione (c. 188vs194v). Manetti, Protesto. 9. Ibid., cod. 2544 (cfr. KRISTELLER, Iter, I, p. 220). Testi di Feo Belcari, Boccaccio, Petrarca, Bruni, Porcari, Bri~ gida Baldinotti. F1crno, Visione d'Anselmo. Testi di Nello da S, ,Gimignano, Manetti, Bruni. F1crno, Epistola a' fratelli; di ])io et anima; lettera a Cosimo . de' Medici (volgarizzamento anonimo); de divino furore ( volgarizzamento anonimo). EoN_ACC0_RS0 DA MoNTEMAGNO, Della nobiltà. F1cINo, Dello appetito; che cosa è fo rtuna; lettera a Lionardo di Tone. Testi

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del Filelfo, Bruni, Giov. Morelli, Brigida Baldinotti, Giov. dalle Celle. 10. Firenze, Società Colombaria, II II . Il 13 (Iter, I, p. ·227). FICINO, Di Dio et anima; epistola a' fr,atelli. Testi del Bruni, Filelfo, P.almieri, ·Porcari, Marietti, Salvestfo Nardi . :, ., e altri. 11. Firenze, Principe Ginori Conti, ms. , 0119 (Iter.; I, p. 228; la collocazione attuale del codice non è nota) .. Testi -del Bruni, Boècaccio, Petrarca. JiicINo, ,Epistola ai fratelli; diì Dio et anima; dello appetito;-che cosa è fortuna; visione d'Anselmo. Testi del Porcari, Bruni. 12. · Lucca; Biblioteca · Governativa, cod. -1640 (.Iter, I, p. 261'). , Testi del ;Porcari, Manetti, Bruni, Filelfo, Boccaccio. FICINO, Epistola ai fratelli; di DiO: et anima. 13. New Haven, Yale University Library, ms. · Marston 247. Testi dél Boccaccio, ,Petrarca, Porcari, Filelfo, 'Sc61aro Forestiero, Manetti, Bruni, Delle Celle, Guido di Tomaso. FICINO, Epist. ai fratelli; di Dio et anima; dell'appetito; della fortuna; visione d'Anselmo. Sallustio, tradotto da Brunetto Latini. 14. Parma, Biblioteca Palatina, cod. Pal. 306 (Iter, II, p. 36). Testi del Petrarca, Boccaccio, Bruni. FICINO, Lettera ai fratelli; di Dio et anima; dello appetito; che cosa è fo ;tuna; visione d'Anselmo. Testi del Porcari, Bruni, Manetti, Nello da S. Gimignano, Bonaccorso da Montemagno. 15. Siena, Biblioteca Comunale, cod. J VI 25 (Iter II, p. 167). Testi del Porcari, Bruni, Giovanni dalle Celle, Luigi Marsigli, Brigida Baldinotti, Boccaccio, Petrarca, Manetti. F1CINO, Di Dio et anima; epistola ai fratelli; de furore divino (volgarizzamento anonimo). Testi di Brunetto Latini, Filelfo, Manetti, Boccaccio, Bruni. 16. Tours, Bibliothèque Municipale, Lascito di Mons. Raymond Marce!, ms. 2103. Testi di Bruni, Boccaccio e Petrarca.


FICINO, Epistola ai fratelli; di Dio et anima; dello appetito; della fortuna; visione d'Anselmo. Testi di Cicerone, Sallustio, Porcari e Bruni. · 17. Bibliotecà Apostolica Vaticana, cod. Chigi L VI 229 (Iter, II, p. 48.8). Testi di Boccaccio,'Nello da S. Gimignano, Petrarca, Porcari, Bruni, Filelfo, Manetti. F1cINo, Epistola ai fratetli. Testi di Giovanni dalle Celle, Luigi Marsigli, Giòvanni Ciai, Dante . . . 18. Venezia, Biblioteca Marciana, cod. Màrc. it. XI 126 (6916), cfr. Iter, II, p. 278. Testi cli Boccaccio e Petrarca. FICINO, Epistola ai fratelli; di Dio et · anima; dello appetito; che cosa è fortuna; visione d'Anselmo . .Testi di Porcari e. Bruni. 19. Verona, Biblioteca Capitolare, , cod. CCCCXCI (Iter, II, p. 369). Testo del Bruni. F1cINo, Epistola ai fratelli; di Dio et anima; dello appetito; éhe cosa è fortuna; visione d'Anselmo. Testi di Porcari, Bruni, Mariotto Davanzati e altri.

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II. Parere della Signorina Albinia de la Mare della Bodleian Library, Oxford, sul Codice Caetani di Dante e le sue glosse (26 giugno 1979). Il manoscritto è evidentemente notevole, e non conosco nient'altro che gli sia uguale. A giudicare dalle fotografie mi pare che le glosse e il testo siano della stessa mano la quale certamente non è quella del Ficino o di alcun'altra persona vissuta nel Quattrocento avanzato. Io daterei il manoscritto all'inizio stesso del secolo XV o addirittura alla fine del secolo XIV. Il suo ambiente fu quasi certamente il circolo del Salutati, e probabilmente Firenze. Malgrado il fatto che la scrittura sia fondamentalmente gotica, il copista usa anche alcune forme nuove ~< umanistiche » che sorprendono specialmente in un manoscritto volgare di quel periodo, anzitutto la legatura &, fa d minuscola dritta (nel testo) e alcune forme capitali maiuscole. La mano del testo è per molti rispetti simile a quella del Salutati stesso, tanto vicina che ho pensato per un momento che potesse essere sua ( egli sperimentava molto nei suoi ultimi anni), ma dopo un esame più attento non penso che la mano sia sua. La mano delle glosse che mi sembra essere la stessa 1el testo, come ho già detto, è diversa da qual-

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siasi scrittura corsiva usata dal Salutati che si conosca, e dubito che, con la sua forte sensibilità per l'esatta grafia latina, egli abbia potuto . scrivere AMMEN (alla fine del Paradiso). Bisognerebbe ancora esaminare la decorazione se ce n'è. I titoli messi in posizione centrale corrispondono alla data e all'ambiente che ho suggeriti.

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III. Osservazioni sai codice Caetani della Commedia, di Augusto Campana.

Richiesto dall'amico e collega P.O. Kristeller di un parere sulla scrittura e datazione del codice e in particolare sulla discussa nota col nome del Ficino, ho avuto il piacere - per la cortesia di Mr. Hubert Howard e con l'assistenza del dott. Luigi Fiorani - di esaminare questo famoso, e nondimeno poco conosciuto, manoscritto e ho potuto rendermi conto de visti di . qualche aspetto forse non abbastanza considerato e di' qualche problema o irrisolto .o ancora non avvertito , Raggrupperò le mie qsservazioni in tre punti, relativi agli aspetti paleografici, codièologici, e di storia del codice. 1. Per la scrittura e datazione aderisco pienamente all'opinione - autorevolissima - della comune amica Albinia de la Mare., secondo la quale, senza escludere gli ultimi anni del sec. XIV, il manoscritto si può assegnare all'inizio del sec. XV e localiz_zaré p robabilmente a Firenze. Più ancora importa osservare ·çne, diversamente da quanto si era sempre ritenuto (de Batines, G. Caetani, forse altri), il testo e le chiose appartengono a una stessa mano, · nonostante la prima impressione, in questo caso illusoria, indotta dall'uso di diverse scritture:

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gotica libraria, non priva di influenze della nascente scrittura umanistica, quali le caratteristiche puntualmente osservate dalla de la Mare, per il testo; gotica corrente, di modulo molto più piccolo e caratterizzato da uso abbondantissimo di abbreviazioni, per le note marginali latine. Al riconoscimento dell'identità di mano ero giunto anch'io, prima di conoscere il parere della collega: a parte il significato 'professionale' che può avere per gli 'addetti ai lavori' la convergenza di due studiosi che hanno esperienza di codici italiani di quel particolare periodo, l'accertamento mi sembra di qualche rilevanza ai fini dell'idea che ci si può fare dello scrittore del testo dantesco e compilatore delle chiose. Come è noto, il Barbi ha felicemente riconosciuto che il postillatore del codice Caetani attinge sostanzialmente alla lettura bolognese del 1375 di Benvenuto da Imola e a un codice molto affine all'Ashburnhamiano 839, e ha osservato: « non è un copista di mestiere, ma è persona intelligente che trascrive per suo conto, o riduce, ciò che gli piace e gli accomoda; e dové anche procedere in questo suo lavoro saltuariamente, tanto che ... [diciassette canti] rimangono sprovvisti affatto di annotazioni» (in « Studi danteschi», XVI, 1932, 13756, poi in Problemi di critica dantesca, II, Firenze 1941, 435-51; 449). A quella raffigurazione concorse, credo, la notevole correttezza del testo e delle chiose (per il resto, v. 436; e quanto alle chiose, errori dell'edizione Caetani, non del codice, sono quasi tutti quelli segnala ti dal Barbi*) . L'opinione del Barbi viene ora a essere rafforzata dall'identità di mano, che porta anch'essa a concludere per la ragionevole probabilità e quasi certezza che siamo di fronte a persona di buona formazione e livello intellettuale, che si allestisce una copia per uso proprio e poi via via la arricchisce di chiose, e cioè, · mentre le scrive, studia. Non solo: ma ha anche attenzione al testo del suo autore e aggiunge nei margini, o

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ripetendole dal suo esemplare o attingendole da altri, numerose varianti testuali introdotte con la formula r1l. (sciolta sempre alias nell'edizione Caetani, senza avvertire che sarebbe stata possibile, forse preferibile, la soluzione aliter). Ovviamente, il ritrattino abbozzato dal Barbi e arricchito dalle considerazioni ora esposte può essere ulteriormente illuminato da considerazioni strettamente paleografiche. Infatti l'uso coordinato e contemporaneo di scritture diverse per funzioni diverse quali la littera textualis e la littera notularis è anch'esso un dato della cultura grafica e intellettuale della persona. Naturalmente si potrebbero aggiungere altre caratteristiche librarie del manoscritto, quali l'uso del rosso e delle maiuscole continue per i titoli, i richiami, le grandi iniziali azzurre dei singoli canti, le miniature stesse all'inizio delle tre parti. Mi fermo solo su un particolare, che altri potrà ritenere minimo, ma che pure dice qualcosa delle abitudini grafiche e della finezza intellettuale del nostro uomo: il fatto che le varianti marginali di cui si è detto (e non, si noti anche questo, la formula al. che le introduce) sono nella scrittura del testo, e sebbene solo raramente ne raggiungono il modulo non sono però mai tanto minute quanto la ~crittura delle note. (In corpo uguale a quello del testo, o occasionalmente intermedio, come a p. 36, 38, 41, 43 ecc., so~o rappresentate anche nell'edizione di Don Gelasio Caetani: Comedia Dantis Aldigherii poetae fiorentini, Sancasciano Val di Pesa 1930; prova anche questa della estrema eleganza e attenzione con cui volle curata quella stampa). Egli stesso nel fascicolo illustrativo pubblicato separatamente (La prima stampa del codice Caetani della D. C., ivi 1930, 8) ha notato nel codice la presenza di fogli palinsesti, c. 66 e 180, e ne ha anche trascritto qualcosa. Senza aver fatto un nuovo esame sistematico, l'ho osservata anch'io nel fascicolo 29 (cc. 221-222). La cosa non è rara in manoscritti di quel

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tempo. Poiché generalmente si usavano a questo fine documenti, anche di fresca data, come bolle pontificie o fogli di registri amministràtivi o giudiziari, non è impossibile che un esame approfondito con mezzi appropriati permetta di leggere qualche nome o data. Potrebbero eventualmente fornire un termine preciso per la datazione e localizzazione del codice. 2. Il manoscritto, attualmente formato di 234 carte membranacee (veramente 235, ma l'ultima è bianca e moderna), presenta la perdita di numerose carte, sei delle quali, le cc. 1, 8, 73, 145, 153, 226 (non 225), furono « sostituite nel sec. XIX dal duca Michelangelo», cioè di sua mano, come il nipote Don Gelasio spiega ripetutamente (p. 8; è noto che il vecçhio duca di Sermoneta, il dantista, dotato di una non comune educazione artistica, aveva anche una singolare abilità nel riprodurre caratteri: v. A. De Gubernatis, Carteggio dantesco del Duca di Sermoneta, Milano 1883, 23, 32). Inoltre « c'è una lacuna considerevole» tra le cc. 67 e 68, che interessa i canti 29-33 dell'Inferno. Ma queste varie perdite non sono mai state descritte in rapporto con la struttura del codice, della quale è utile anzi necessario rendersi conto. · L'esame della struttura libraria permette dunque di rilevare che il codice era formato originariamente di 30 fascicoli (ora 29), dieci per ogni cantica. Erano tutti quaterni, ad eccezione di un quinterno (il 20°) alla fine di Purg. e di un altro quinterno (il 30°) alla fine di Par., per un insieme di 244 .carte. Ma si devono sottrarre 8 carte perdute tra la 67 e la 68 e una quasi certamente bianca perduta dopo la 153, in tutto 9 (e il conto torna, portando alle attuali 235). Non sarà ozioso avvertire che manca ogni numerazione e che quella da me usata rappresenta l'assetto attuale e corrisponde a quella qua e là citata da Don Gelasio Caetani; la numerazione include naturalmente

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le .•6 carte perdute ma supplite, e l'ultima ugualmente restaurata, che doveva essere bianca anche in origine. Ogni fascicolo è contrassegnato alla fine dal 'richiamo' costituito dalle prime parole del fascicolo seguente, accuratamente scritte al centro del margine inferiore dell'ultima pagil)a. Il richiamo manca alla fine dei fascicoli 10°, 20° e naturalmente 30°, cioè di ogni cantica. Manca anche alla fine del primo fascicolo; a c. 8 v, perché questa carta non è più l'originale. È evidente che a un certo momento della sua storia il coçlice dovette trovarsi tanto scompaginato da esserne facilitata la caduta o la sottrazione di carte sia singole sia coniugate. Vediamo prima il caso delle carte che furono poi 'restaurate'. Si può subito osservare che non è casuale la perdita delle carte 1 e 8, che erano coniugate, cioè formavano il bifolio esterno del primo fascicolo: la 1 può essere stata sottratta per la miniatura all'inizio di Inf. o eventualmente perché la decorazjone miniata includesse uno stemma, che costituiva . testimonianza di proprietà; la corrispondente 8 può essersi perduta allora, o facilmente anche in seguito perché rimasta volante. Per analoghe ragioni si sarà perduta la c. 73, iniziale di Purg., ma in questo caso la corrispondente 80 si è conservata. Alla fine di Purg. sono andate perdute· le cc. 145 e 153: qui si trattava di un quinterno che doveva avere in fine una carta bianca ( = attuali 145-153 più tina bianca); sottratta quest'ultima per la pratica, frequentissima µn tempo, di utilizzare, al bisogno, ,le carte bianche dei codici, la corrispondente 145, rimasta volante, si sarà facilmente perduta; meno facile 'è spiegare la perdita della 153, ma si può ricorrere all'ipotesi ·che contenesse nella sua pagina recto, dove finiva Purg., una sottoscrizione che poteva significare anche · nota di possesso, e che qualcuno poteva avere · interesse a far scomparire, e per ·questo fosse più esposta (anche in questo caso si è invece

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conservata la corrispondente 146). Infine la c. 226 si sarà facilmente perduta per essere rimasta volante in seguito alla sottrazione della sua corrispondente 235, probabilmente utilizzata in quanto bianca; attualmente il fascicolo, quinterno finale di Par., comprende le cc. 226-235: l'ultima, coniugata fittiziamente con la 'restaurata' c. 226, è naturalmente bianca. Una spiegazione in parte diversa di queste perdite è stata data da G. Gaetani, secondo il quale le iniziali miniate delle prime due cantiche « furono tagliate fuori con le forbici ed il primo foglio dell'Inferno e del Paradiso [leggi Purgatorio; si tratta delle cc. 1 e 73] rimasero talmente mutilati che furono riscritti per mano del duca Michelangelo» (uguale mutilazione della iniziale miniata di Par. a c. 154, la quale però è stata conservata) . Tale spiegazione, ancorché possibile, non persuade del tutto, perché omette di rendere ragione della sostituzione delle altre quattro carte 'restaurate' e della scomparsa di tutte le sei carte originali. Il Gaetani deplorava « che il desiderio del duca di dare forma piu estetica al codice abbia prevalso sullo spirito di conservazione paleografica », ma era convinto che le sei carte fossero state trascritte fedelmente dalle originali danneggiate ancora esistenti, e che pertanto la sua edizione diplomatica potesse rappresentare il testo del codice Gaetani anche per queste parti. Il dubbio è invece legittimo, e se ci si possa servire per il testo delle cc. 1 (Inf. 1, 1-57), 8 (3,136 - 4, 57), 73 (Purg. 1, 1-57), 145 (30,100 - 31, 12), 153 (33 , 124-145), 226 (Par. 30, 88-147), potrà essere accertato solo dopo un esame ovviamente delicatissimo; solo Giorgio Petrocchi, che ora sta affrontando la storia del testo dantesco nei codici della fascia post-boccacciana, potrà essere in grado di istituirlo (prima del 1966-67, quando apparve la sua edizione de La Commedia secondo l'antica vulgata, il codice non era ancora stato ritrovato; v. I, XIX, 545 n., 567).

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Il testo dantesco del codice è perduto anche per Inf. 29, 109 - 33,9, in tutto 472 versi, che erano contenuti nelle otto carte perdute tra la 67 e la 68. Si sa come Don Gelasio Caetani supplì la lacuna ai fini della sua edizione, inserendo cioè a questo punto il testo del Trivulziano (v. 8 n. 1 e nell'edizione p. 139 e 155) .. Egli dice nella pagina più volte citata che il testo mancante comprende « 156 terzine, ossia un intero fascicolo». Lasciando da parte .il computo per terzine, giacché bisognerebbe comunque aggiungere i versi finali di quattro canti, il conto torna: i versi manc~nti sonb, co~e detto, 472, e aggiungendo 8 linee per le rùbriche dei canti 8 carte. 30-33 si hanno 480 linee, cioè 30 linee X 16 pagine Ma non per questo è vero che si è perduto « un intero fascicolo», cioè un ·fascicolo . di 8 carte, · o qtiaterno, che sarebbe la spiegazione più facile della caduta. Infatti alla fine di Inf. il codice presenta attualmente un fascicolo, il 9° (cc. 65-72), che è materialmente un quaterno, ma in realtà un fascicolo fittizio formato dall'ultimo legatore con i resti di due quaterni originali, 9° e 10°, e la perdita cade dopo la terza carta di questo insieme. Ora, di queste 8 carte, solo le 68-69 costit~iscono, e costituivano, un bifolio originariamente coniugato. Partendo da questo, e calcolando il contenuto delle carte perdute, si può ricostruire idealmente un quaterna 9° di cui sono superstiti le prime tre carte (65-67) e perdute le rimanenti cinque, dalla 4a all'8\ e un quaterna 10° di cui si sono perdute le prime tre carte, e sono superstiti la 4a.5a (bifolio interno, cc. 68-69) e le ultime tre (70-72). Ritengo sicura questa ricostruzione, anche se non trovo una spiegazione plausibile delle perdite. Lo schema ricostruttivo è il seguente:

=

65 66 67 - - - 68

II II

~

- - -

69 70 71 72

71

I

quat. 9° quat. 10°


: 3. A causa di tali perdite, sulle quali ho dovuto fare un discorso non divertente ma forse necessario, sono probabilmente scomparsi elementi preziosi per la storia del codice alla sua ovigine, quali potevano essere stemmi e sottoscrizioni, ed eventualmente note di possesso o segnature di biblioteche aggiunte in seguito. Anche per questo motivo era necessario riconsiderare con maggiore attenzione le perdite e gli aspetti paleografici e codicologici di cui si è detto. Ma un compenso è sempre possibile. È evidente che basterebbe iqentificare un manoscritto qualsiasi della stessa mano e con .le stesse scritture e caratteristiche librarie de1 nostro, ma insieme fornito di qualche informazione sulla persona del su9 scrittore e primo possessore, per proiettare qualçhe luce o -tutta la luce possibile sul codice Caetani. Per questo, considero di grande importanza i saggi fotografici offerti, si può dire, per la prima volta nella presente pubblicazione (Tavole 1-3), che potranno quando che sia costituire un utile materiàte di confronto e dare luogo ad accostamenti forse decisivi (finora si aveva solo una ridottissima riproduzione di due pagine dat~ da L Fiorani _in « Studi Romani», XV, 1967, Tav. IX, poi in O. Caetani ... , Tav. VII). Anche la storia successiva del codice presenta lacune e dubbi su cui si desidererebbe maggiore luce. G. Caetani, p. 12, ha per primo posto un problema: « Due noticine ebraiche, apposte nel verso dell'ultima carta da mano forse del secolo XV, ci dicono che il codice fu dato in pegno». La testimonianza interessa la storia del codice perché generalmènté tali annotazioni, apposte su libri che sono stati oggetto di pegno; da parte dì prestatori ebrei che scriveva00 in caratteri ebraici ma in volgate, ci forniscono il nome delle persone che li avevano rilasciati come pegno, che è quanto dire il nome di un possessore, nonché date e altri elementi. Sarà necessario che uno specialista dia una trascrizione rigorosa delle due

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notlcme, .ma intanto posso dire che l'amico prof. Franco Mi, chelini Tocci, pur senza aver visto il codice e in base a un esame molto indiretto, ha potuto leggere nélla nota inferiore M(esser} Julian ... 7 maio ... , e in quella superiore, scritta dopo che la prima era stata cancellata, ancora forse M( esse)r ]uliano... Abbiamo dunque una nuova pista di ricerca in questo m. Giuliano, verosimilmente un fiorentino del sec. XV e un possessore del codice, che per due volte si; trovò in bisogno di denaro e lo diede in pegno. A un altro possessore, o utente, risalirà la nota divenuta famosa, e in piccola parte responsabile della fama stessa del codice, che si legge nella medesima pagina: Hoc commentarium est Marsilii Ficini. Non mi dilungo su questa, limitandomi a . rinviare a Caetani (12), Barbi (436), Kristeller (qui sopra 12, e di;. 21) e attraverso loro alla bibliografia precedente: accertato che non · è di mano del Ficino e pertanto escluso che si tratti di una nota di possesso (che inJogni caso sarebbe stata . altrimenti formulata), penso anch'io che esprima s.emplicemente l'opinione di un possessore ·o ,ettore sulla paternità delle. chiose, del resto destituita di ognir fondamento come orlI\ai sappiamo. Devo solo aggiungere che è scritta in umanistica c01;siva di qualche eleganza, al più presto della .. fine del Quattrocento, ma forse• anche più tarda. Dovremmo dunque con' quella nota essere a Firenze, dove anche ci riporta un'altra traccia della presenza del codice nel Cinquecento. Ha scritto il Batines (II, 202) e riferito senza commentj il Caetani'(7): « II codice appartenne successivamente a Bartolomeo Barbadoro e a Piero Vettori, la cui libreria fu nel 1780 .cor,nperata da mons. Onorato Caetani di Sermoneta». Ma anche su questo punto più cose _vanno prçcisate. L'opinione del Batines risale a una notf\ di Jacopo CorbineUi, dal Batines stesso incompiutamente edita (II, 205) e quindi m_ale intesa, che si trova alla fine di un codice_ della

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Commedia oggi giustamente celebre, il Chigiano L VI 213 (Chig di Petrocchi, a cui rinvio anche per la bibliografia, I, p. XIV, 18 s., 42) . Il codice è scritto, ciò che il Corbinelli non sapeva e neppure il Batines, ma noi ora sappiamo, dal Boccaccio, e meno di due secoli dopo fu arricchito dal Corbinelli di sue dotte note e anche di varianti marginali. Queste ultime non furono il risultato di sue collazioni personali, ma furono semplicemente trasferite da lui, come dice la nota di sua mano a p. 359, che riporto direttamente dall'autografo: Queste variazioni trassi dal Dante di M. Bartolommeo Barbadori, da lui, come qui, poste in margine, et raccolte dal manuscritto libro antichiss(imo) di M. Piero Vettori [spazio per una cifra] Luglio. 1559.

È dunque subito evidente che il Barbadori o il Vettori potevano, teoricamente, aver posseduto il codice ora Caetani, ma non l'uno e l'altro! Quale fosse il Dante del Barbadori non importa qui cercare (poteva trattarsi anche di uno stampato da lui annotato), ma certamente non poteva essere il codice ora Caetani, che ha varianti marginali aggiunte da un uomo del primo Quattrocento e non già da un contemporaneo ç:li Jacopo Corbinelli. Resta dunque la notizia di un codice antico posseduto dal Vettori, dal quale il Barbadori aveva tratto le varianti trasferite poi dal Corbinelli nel Chigiano. Poteva quel codice antico essere l'attuale Caetani? Le varianti in questione non sono quelle ·presenti nei margini del codice Caetani (basta confrontare qualche pagina) . Se invece pensiamo che il Barbadori le avesse tratte dal testo del codice, anche in questo caso le coincidenze riscontrate, del resto prevedibili, sono ben lontane dall'essere dimostrative. D'altra parte non si può neppure escludere che un uomo come Pier Vettori possedesse piu di un codice della Cemmedia. L'identità del codice Vettori (non Barbadori!) ricordato nella nota del Corbinelli con il codice Caetani sarà stata imma-

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ginata dal Batines, o a lui suggerita da altri, in base alla nozione dell'acquisto di manoscritti e libri stampati preziosi di provenienza VettQri eseguito da mons. Onorato Caetani nel 1780. Non si trattava, come Batines e altri hanno detto, qella libreria di Pier Vettori, ma di una piccola parte, sebbene preziosa, dei libri posseduti nel secolo XVIII dall'erudito discendente Francesco Vettori, rimasti a Roma dopo la vendita della parte migliore di quel fondo manoscritto e stampato all'Elettore Palatino, Duca di Baviera, passata cosf a Monaco dove è rimasta. Ora, nelle lettere di mons. Onorato ad Angelo Maria Bandini del 2 e 13 settembre 1780, che sono la fonte delle notizie pubblicate subito e con esattezza dal Bandini stesso nelle « Novelle letterarie » fiorentine, XI (1780), n. 37, col. 578 s. e n. 40, col. 627 s., non si parla di un codice della Commedia (v. L. Fiorani, Una figura dimenticata del Settecento romano, in « Studi Romani», XV, 1967, 46, 49 s.; id., O. C., un erudito romano del Settecento, Roma 1969, 32 s., 36). Vi si parla di parecchi codici e libri di ben minore importanza, e il silenzio sul codice dantesco sembrerebbe veramente impossibile con un tale corrispondente, e fiorentino per giunta. A meno che non fosse intenzionale, altra cosa improbabile data la confidenza che traspare dal loro carteggio. Concludendo, che il codice Caetani sia lo stesso appartenuto nel Cinquecento al grande filologo fiorentino, o per ipotesi un altro della sua biblioteca, non sembra per ora possibile dimostrare.

* Cosl ho potuto verificare sul codice per sei casi segnalati da BARBI, 439 n. 1, compreso Ensus p. 232 (cod. Corsus, c. 104v). Sono invece errori del codice, cioè della sua fonte, p. 78 de Boccis per Biccis (c. 38v, ma vi si legge ,giustamente qui portant, non qui portabant), e p. 188 Cassato (c. 83v) per Cassaro. Anche p. 213 (v. BARBI, 451 e n. 1) il cod. ha sensatamente Quid vis, ve/ pati penitentiam in hoc munda ... , vel in

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qlio [?]. ( c. 95v ). Altri errori della stampa ho cas4almente incontrato io stesso: p. 85 a In/. 18, 122 a Dea (c. 41v adeo); 233 a Purg. 14, 105 de Ubaldis '(c. 105v de Ubaldinis); 234 a Purg. 14, 112 primam (c. 105v patriam). Uq IJJltro, sebbene voluto, inconveniente dell'ed. è la stampa

ih caratteri comuni dei lemmi, indistinguibi'li a prima vista dal commento, mentre' nel codice sÒno accuratamente sottolineati, e si dovevano stampare in corsivo o spaziato. . Per queste ultime verifiche ho potuto valermi della fotografia bianco su nero fatta eseguire da Don Gelasio Caetani, verosimilmente in serviz'io dell'edizione, e ·èonservata' in Archivio Caetani, Miscellanea 1221!243 / '1245-1267. Aggiungo qui, per dirimete eventuali dubbi, e perché nessuno lo ha detto chiaramente, che il testo dantesco è cosi distribuito: cc: lr-72v: (In/.), 73r-153.r (Purg.), 154r,234r (Par.). ·

)

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TAVOLE


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1. Inferno, canto XX IV, 151 - XXV, 1-27 (c. 56 v).


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2. Paradiso, canto III , 4-33 (c. 159 r).


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3. Paradiso, canto XXXIII , 121-145 (c. 234 r).


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