FONDAZIONE CAMILLO CAETANI
CENTRO DI STUDI INTERNAZIONALI GIUSEPPE ERMINI FERENTINO
ROMA
Riproduzione digitale
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RAFFAELLO MORGHEN
Bonifacio VIII e il Giubileo del 1300 nella storiografia moderna con una introduzione di Leopoldo Sandri e una premessa di Lelia Caetani Howard
Roma 1975
QUADERNI DELLA FONDAZIQNE . CAMILLO CAETANI
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QUADERNI DELLA FONDAZIONE CAMILLO CAETANI
I
Raffaello Morghen
Bonifacio VIII e il Giubileo del 1300 nella storiografia moderna con una introduzione di Leopoldo Sandri e una premessa di Lelia Caetani Howard
EDIZIONI DELL'ELEFANTE
©
1975
EDIZIONI DELL'ELEFANTE PIAZZA DEI CAPRETTARI 70 - ROMA
Indice
PREMESSA
di Lelia Caetani Howard
PRESENTAZIONE
di Leopoldo Sandri
BONIFACIO vnr E IL GIUBILEO DEL 1300 NELLA STORIOGRAFIA MODERNA di Raffaello Morghen
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Sono ben lieta di presentare questo primo numero dei « Quaderni della Fondazione Camilla Caetani ». Esso riproduce il testo della lezione del professor Raffaello Morghen e l'introduzione del professor Leopoldo Sandri, tenute nella medesima Fondazione il 5 aprile 197 4 davanti a un pubblico ristretto di studiosi e di rappresentanti di istituzioni culturali romane. A questo primo incontro altri dovranno seguire: è infatti intendimento nostro e del Consiglio della Fondazione che una tale iniziativa abbia un suo sviluppo nel tempo, nella medesima linea di una divulgazione ad alto livello di aspetti e di problemi connessi con la storia della Famiglia Caetani o, anche se non direttamente legata ad essa, comunque attinta dallo studio e dal!' utilizzazione delle preziose carte dell'Archivio Caetani. Insieme alt' Archivio, ben noto agli studiosi e liberamente accessibile, anche queste periodiche conversazioni vogliono essere un contributo alla cultura, permettendo che ricerche e studi elaborati sulle tematiche e negli ambiti che si è detto trovino qualche più ampia risonanza, e valgano altresì a promuovere quella migliore conoscenza della storia della Famiglia che è tra i fini più importanti della nostra Istituzione. Non mi rimane che affidare queste pagine all'attenzione dei lettori avveduti, con un caldo ringraziamento al professor Morghen che ha voluto accettare
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di aprire, con un contributo così rilevante, la serie dei nostri « Quaderni », e insieme con lui a quanti verranno di volta in volta a dar vita ai contributi che seguiranno. LELIA CAETANI
HowARD
Presidente della Fondazione Caetani
Palazzo Caetani, novembre 1975.
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PRESENT AZIONE
Bonifacio VIII e il Giubileo del 1300 è, come è noto, il tema della lezione che il professor Morghen terrà oggi qui, su invito della Fondazione Camilla Caetani di Sermoneta, in questa sala che fa parte degli ambienti ampi e nobili riservati alla conservazione dell'Archivio storico della Famiglia Caetani. Nella mia qualità di consigliere anziano della Fondazione ringrazio, anche a nome di Donna Lelia Caetani presidente della Fondazione e degli altri membri del Consiglio, Sua Eminenza il Cardinale De Furstenberg, le loro Eccellenze, le molte personalità e quanti altri sono qui convenuti, ed in modo particolare, il professor Raffaello Morghen che ha accettato, onorandoci, di iniziare un ciclo di conferenze inteso a rievocare, con contributi di alto valore scientifico, figure e momenti della lunga storia di questa famiglia. Promuovere studi storici, favorire ricerche, riprendere e continuare le ben note pubblicazioni di Don Gelasio Caetani sulla storia della famiglia, sono fra gli scopi della Fondazione; il piu importante di essi è però, conservare, ordinare, valorizzare l'archivio. Questo grande archivio, custodito sino al secolo XVIII nella torre del castello di Sermoneta, venne trasferito nel 1780 in questo palazzo alle Botteghe Oscure, che da poco tempo era divenuto la principale dimora della famiglia in Roma, e che offriva ormai garanzie di sicurezza maggiori che non il Castello, specie dopo che questo, in quegli anni, era stato, come si direbbe oggi, smilitarizzato. L'Archivio, ordinato secondo la pratica archivistica dell'epoca, era distribuito in 184 cassette o capse, con la consistenza di 3457 pergamene, 1196 volumi manoscritti e circa
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200 mila documenti cartacei, comprendendo nel loro insieme un arco di tempo che sfiora il millennio. Le cronache, se volessimo fermarci a contemplare il paesaggio, raccontano che la teoria dei carri che trasportavano l'archivio, guidati dagli uomini di Casa Caetani, attraversarono la Campagna romana e Roma in grande assetto di guerra, per proteggere il prezioso carico. Il Presidente di Roma e Comarca permise questo viaggio armato in protezione degli archivi solo perchÊ erano dei Caetani, sennò l'avrebbe proibito. L'archivio è rimasto, da allora, in questo palazzo per circa 150 anni, oggetto delle cure che sempre i Caetani ebbero per il proprio complesso documentario, divenendo, con il passare degli anni e con le aggiunte successive, uno degli archivi privati piu ricchi ed importanti che si conoscano e soprattutto piu vario per il contenuto nel tempo: fonte preziosa, non solo per gli studi tradizionalmente configurati come storici, ma per gli studi economici, per gli studi politici, per gli studi religiosi e anche per gli studi letterari. Riflesso e testimonianza delle vicende e delle attività svolte in molteplici campi da uomini e donne della Famiglia, entrati assai spesso ed in primo piano nel complesso e faticoso discorso della storia. Sul finire del 1934 il duca Gelasio preoccupato della conservazione futura dell'archivio, - i tempi andavano facendosi difficili - d'intesa con il fratello Roffredo e con il figlio di questi Camilla, ritenne che sede degna dell'archivio avrebbe potuto essere il Vaticano , i cui importanti istituti (Archivio Segreto e Biblioteca Apostolica) si sarebbero certo giovati per il complemento che ad essi poteva venire dalla ricchissima documentazione Caetani, per tante vie strettamente legate alla storia del papato, di Roma, del Lazio. Questa
strada, quella cioè di affidare i propri archivi privati al Vaticano, era stata battuta da altre famiglie romane. Don Gelasio era anche preoccupato di poter mettere l'archivio a disposizione degli studiosi e ritenne quindi che inserito in un organismo già noto e famoso per la collaborazione che dava e che riceveva dagli studiosi, avrebbe avuto maggior prestigio e avrebbe potuto svolgere la sua funzione . Alla morte di Gelasio il disegno fu ripreso dal duca Roffredo che nel 1935, previo intese con il governo italiano e la Santa Sede, ottenne di poter affidare l'archivio alla Biblioteca Vaticana sotto la forma giuridica del deposito. Nessuno pensava allora che uno degli articoli che si introducono sempre in simili accordi, quello della possibilità della restituzione, sarebbe divenuto attuale. Ma qualche anno dopo l'Italia entrava in guerra. Un grande lutto colpi la famiglia; sul fronte greco-albanese cadeva combattendo il duca Camilla. Nel quadro dei problemi che si presentavano al padre, amore e dolore gli suggerirono di affidare all'archivio la missione di continuare nel tempo la presenza storica della famiglia. Fu cosi che nacque l'idea della fondazione che avrebbe perpetuato anche il nome del figlio. Nel 1956 l'archivio Caetani lasciò dunque la Biblioteca Vaticana per tornare in questo palazzo. La fondazione , di cui è presidente donna Lelia, venne subito costituita. L'iter burocratico, però, come accade in Italia, per ottenere la definitiva approvazione della Fondazione dello statuto fu lungo . Il decreto del Presidente della Repubblica si ebbe il 15 ottobre 1969. Già da prima la Fondazione aveva intrapreso i suoi lavori favorendo innanzitutto la sistemazione dell'archivio, affrontando un grosso problema che da anni pesava sull'ordinamento dell'archivio stesso: il rior-
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dinamento. Intorno al 1917 era stato attuato un singolare ordinamento cronologico, il quale aveva bisogno di essere riveduto per cercare di ricostruire nelle linee esrenziali quelle serie che erano state formate fin dal sec. XVI, ma ciò è, come si sa, difficilissimo ad attuare. E' stato affrontato questo tema rendendo possibile l'utilizzazione del grande schedario per materia che accompagna la consistenza archivistica. Si è provveduto anche ad aumentare la consistenza facendo confluire nel!'archivio stesso una grande fonte documentaria che prima era rimasta a latere. Parlo dell'archivio detto cosi, con termine burocratico, Archivio amministrativo, ma che è una fonte preziosissima che parte dal secolo XV, giunge quasi sino ai nostri giorni e dove è riflessa gran parte della vita economica e sociale di Roma e delle terre del Lazio. Fu dato incremento, diremo quasi, alla possibilità di studiare nell'archivio; i giovani l'hanno frequentato, a questo fine sono state date borse di studio, lavori sono stati compiuti. Data la natura stessa e lo scopo fondamentale della Fondazione che è quello di perpetuare, in un certo senso, l'attività artistica e culturale della famiglia, fra gli scopi non solo era previsto la continuazione dei volumi della Domus Caietana, ma anche di collaborare con l'Accademia dei Lincei dove nel 1924 fu costituita la Fondazione Leone Caetani per gli studi islamici - per la diffusione, la migliore conoscenza di quella opera grande di Leone Caetani che sono gli Annali dell'Islam. Poiché col tempo era venuta a mancare anche la figura di don Roffredo, fine letterato, fine musicista, la Fondazione ha assunto sopra di sè il compito, non solo di conservare musiche scritte da lui, ma anche di far meglio conoscere que-
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sta musica; concerti di musiche di Don Roffredo sono stati tenuti a Roma e nella Rocca di Sermoneta. La mia breve presentazione della Fondazione, non può tuttavia dare il senso grande di carica, come si dice oggi, che anima la Fondazione per i lavori che fa, per l'archivio che manda avanti, per quell'esempio nobilissimo che viene offerto di archivio privato che superando la vecchia concezione di archivio statico e di conservazione, entra parte viva nella vita wlturale. Questo è quanto si desiderava. Quanto avviene oggi con la prolusione del professor Morghen e con le conferenze che seguiranno. LEOPOLDO SANDRI
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BONIFACIO VIII E IL GIUBILEO DEL NELLA STORIOGRAFIA MODERNA
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e
a studiare le vicende del pontificato di Bonifacio VIII e della sua età con l'intento di accertare, al di sotto dell'esteriorità dei dati acquisiti, le ragioni profonde degli avvenimenti più clamorosi della sua azione di pontefice e le manifestazioni più solenni e durevoli del suo ministero dì sommo sacerdote, non può sottrarsi all'impressione che passioni dì parte, interessi di dinastie familiari e di sovrani, lo spirito laico dell'Europa, agli inizi dell'età moderna, e i contrasti ideali delle lotte politiche e di ispirazione religiosa, nelle quali Bonifacio VIII si trovò ad essere coinvolto, abbiano determinato, in gran parte, il carattere polemico e moralistico della prima storiografia sul Pontefice che, nella letteratura storica più moderna, viene riconosciuto genericamente come l'ultimo grande papa del Medioevo 1 • Già nelle testimonianze delle fonti coeve, documentarie e cronachistiche, il giudizio su Bonifacio VIII e la sua opera oscilla fra due estremi. Da una parte le accuse più infamanti di illegittimità, dì eresia, di avidità, di lussuria, di amore del fasto mondano e di idolatria, contenute nel primo manifesto di Lunghezza, pronunciate nell'assemblea del Louvre del 1303, accolte in parte nelle invettive di Jacopone da Todi e di Dante. Dall'altra il riconoscimento di « magnanimità », di gran cuore, di grande ardire, di senno naturale e di alto ingegno, di grande perizia nella conoscenza della ScritHl SI ACCINGA
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tura e del diritto canonico. Tutte doti attribuitegli da Dino Compagni e specialmente dal Villani, che pure non ignora le intemperanze del politico e dell'uomo, altiero e superbo, amante del lusso, del fasto e della pompa esteriore. E la polemica nata dal contrasto tra le nuove forze politiche del secolo e la tradizione teocratica del papato medievale, ispirava ancora, nel 1651, l'opera del Rubeus sul papa Bonifacio e, nel 1665 L'histoire du differend d'entre le Pape Boniface VIII et Philip le Bel, che offre ancora la documentazione di base per la conoscenza del contrasto storico tra i due poteri, lo spirituale e il secolare, e delle reazioni del re di Francia alle esortazioni e alle ingiunzioni del pontefice 2 • Verso la metà del secolo XIX la Storia di papa Bonifacio VIII dell'abate Tosti (1846) e la Geschichte Bonifaz des Achten del Drumann ( 1852), non portarono elementi di rilievo per una rappresentazione più compiuta dei fatti noti e accertati. Più preciso sviluppo, nel senso di una ricerca più spassionatamente documentata, si ebbe, nella storiografia moderna sul Bonifacio VIII, con la nota pubblicazione del Finke, Aus den Tagen Bonifaz VIII, del 1902, basata su documenti dell'archivio di Barcellona e specialmente sulle relazioni degli ambasciatori aragonesi alla corte pontificia. Ed in questo settore della storiografia erudita su
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Bonifacio VIII, si inseriscono, con particolare rilievo, tra i moltissimi altri, gli studi del Mohler sui cardinali Giacomo e Pietro Colonna ( 1914); di Pietro Fedele sulla storia dell'attentato ad Anagni, del 1921; del Falco sulla formazione della signoria dei Caetani, del 194 7; del Dupré sulla storia di Bonifacio VIII nella Storia della città di Roma, pubblicata dall'Istituto di Studi Romani nel 1952. Tutti studi che al di là dei vecchi motivi, della polemica antibonifaciana, si proponevano di mettere in luce, negli intenti di una ricerca erudita di storici di mestiere, aspetti e momenti particolari della 3 figura e dell'opera di Bonifacio VIII e dei suoi tempi • D'altra parte, dall'angolo visuale della storia delle idee e delle dottrine politiche, le ragioni del contrasto tra Filippo il Bello e il Pontefice, venivano riassunte, e ripropo.ste sul piano teorico della lotta tra Stato e Chiesa - che costituisce il motivo ispiratore di molta storiografia giuridica sul Medioevo - da tutta una letteratura storica, nella quale debbono ricordarsi in modo particolare i noti lavori dello Scholtz sulla pubblicistica dell'età di Filippo il Bello (1903); del Kampf su Pierre Du Bois e i fondamenti spirituali della coscienza nazionale francese (19 3 5); dello Stengel sul titolo imperiale e la idea della sovranità (19 3 9); dell 'Ullmann, pure sullo sviluppo dell'idea medioevale della sovranità (1949). Più recentemente i noti studi di Arsenio Frugoni su Jacopo Gaetano Stefaneschi e il suo Opus Metricum,
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sul giubileo di Bonifacio VIII e su Celestino V, hanno dato l'avvio a un maggior approfondimento della storia di Bonifacio VIII, in rapporto alla storia della Chiesa e della tradizione religiosa della civiltà occidentale. In un mio studio sul cardinale Matteo Rosso Orsini e la politica papale nel secolo XIII (1923 ), io stesso ho accennato ad alcuni dei maggiori momenti dell'età di Bonifacio VIII. Matteo Rosso Orsini fu protagonista nei conclavi nei quali furono eletti Celestino V, Bonifacio VIII e Benedetto XI. Designato egli stesso al papato nel conclave che, dopo il suo rifiuto, portò al soglio pontificio Benedetto Caetani, fu il più deciso sostenitore del partito bonifaciano, dopo lo schiaffo di Anagni, e il più acerrimo promotore della condanna di Filippo il Bello, dopo la morte di Benedetto XI . E nel conclave di Perugia del 13 O5, nel quale venne eletto Clemente V, il « pastor senza legge » di Dante, nella persona di Matteo Rosso il partito bonifaciano fu definitivamente sconfitto. Anche da quel mio studio preliminare emergeva sempre più l'esigenza che la storia di Bonifacio VIII andasse inserita nel flusso di una tradizione politicoreligiosa dell'Europa cristiana, che aveva origini lontane e che, alla fine del secolo XIII, era giunta a una delle sue fasi conclusive 4 •
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Il secolo XIII è infatti il secolo in cm 1 grossi nodi della civiltà medioevale al tramonto, portavano ormai a soluzioni, a volte drammatiche e clamorose, maturate tuttavia lentamente attraverso una sequela assidua di fatti, di lotte, di compromessi, in un travaglio di pensiero e di passioni morali, in un clima infuocato di contrasti particolaristici, di speranze miracolistiche e di attese definitive. È il secolo in cui si conchiude la lotta tra l'Impero e il Papato medioevali, con la sconfitta e la morte di Federico II. È il secolo in cui i sovrani dell'Europa cristiana, che Rainaldo di Dassel, il cancelliere imperiale del Barbarossa, definiva sprezzatamente come « reges provinciarum », si pongono, come interlocutori e come effettivi arbitri, tra i due massimi poteri della cristianità. È il secolo della sconfitta definitiva della rivolta ereticale, contro la Chiesa Romana. È il secolo dei più drammatici conclavi per l'elezione dei Papi, conclavi, nei quali le ragioni della Chiesa universale e gli interessi di dinastie secolari e di oligarchie ecclesiastiche del collegio dei cardinali, vengono a scontrarsi frontalmente, in una lotta che, alla fine, ha il suo « segnacolo in vessillo » proprio nel nome di Bonifacio VIII. È, in una parola, il secolo di Filippo Augusto, il vincitore della battaglia di Bouvines, di Federico II e di Carlo d'Angiò, il vincitore della battaglia di Benevento. È il secolo di Gregorio IX, di Niccolò III, di
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Celestino V. È il secolo della crociata contro gli Albigesi e del movimento dei Flagellanti e degli Spirituali . È il secolo di San Francesco e di San Tommaso, del Giubileo del 1300 e dell'Unam Sanctam . È senza dubbio difficile, in una visione d'insieme della storia di Bonifacio VIII e del suo tempo, tenere adeguato conto di tutti i fatti accennati, del loro vario sviluppo, del loro complicato intrecciarsi. Ma a non tener adeguato conto di tutto ciò, si rischia di dare, dell'opera di Bonifacio VIII, una rappresentazione limitata alla registrazione di episodi clamorosi e di fattori contingenti, e, della sua figura, una visione distorta, in quanto egli fu impegnato e alla fine travolto, in una lotta che egli affrontò con animo magnanimo , nella tradizione del papato di Gregorio VII, di Alessandro III e di Innocenzo III mentre ormai le condizioni dei nuovi tempi non comportavano più soluzioni di compromesso. Ma, nell'ambito della storia della Chiesa e della tradizione religiosa dell'Europa, il Giubileo del 1300 e la solenne proclamazione dell'Unam Sanctam rimangono due fatti che proiettano la presenza di Bonifacio VIII nella storia dell'Occidente cristiano, al di là del suo tempo.
Benedetto Caetani, figlio di Goffredo e di Emilia dei conti di Guarcino, imparentata con i conti di Se-
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gni, apparteneva ad una famiglia di piccola nobiltà della Campagna, salita poi, col favore della Chiesa, in ricchezza e potenza sì da rivaleggiare con le grandi famiglie romane che dominavano, nel secolo XIII, la Curia pontificia e determinavano, in gran parte, la politica della Chiesa. Forse non ancora ventenne, nel 1252, col favore di Alessandro IV, dei conti di Jenne, Benedetto Caetani appare come canonico nella cattedrale di Todi, dove lo zio paterno, Pietro Caetani, era Vescovo, e, nel decennio tra il 1254 e il 1264, dovette compiersi la sua formazione di uomo di Chiesa e di esperto nel diritto e nella scienza dei canoni. Nel 1264 il cardinale legato Simone De Brie, poi Papa Martino IV, lo volle suo segretario nella legazione in Francia. Nel 1265, da Parigi accompagnò in Inghilterra un altro cardinale legato, Ottobono Fieschi, poi Papa Adriano V, e lo stesso Adriano V, nel 1276, lo inviava in Francia per sovraintendere alla raccolta delle decime per la crociata. Nel 1280, per incarico di Niccolò III, conduceva infine, insieme al cardinale Matteo Rosso Orsini, le difficili trattative di pace tra Rodolfo d'Asburgo e Carlo I d'Angiò. Benedetto Caetani si era, così, adusato all'esercizio di responsabilità di governo, con l'esperienza delle cose e degli uomini: fatta in posizione subalterna, a fianco, però, dei maggiori rappresentanti della Chiesa
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romana, in uno dei periodi più travagliati della sua storia. Un anno dopo l'incontro con Matteo Rosso Orsini, nel 1281, venne creato, da Martino IV, cardinale diacono di San Nicola in Carcere, titolo mutato. nel 12 91, in quello di cardinale prete di San Martino ai Monti 5 • La salda alleanza che si stabilì da allora tra Matteo Rosso Orsini e Benedetto Caetani non fu senza importanza per lo svolgersi delle vicende del pontificato di Bonifacio VIII. Matteo Rosso, poco più anziano di Benedetto Caetani, aveva avuto la sua stessa formazione. Riconosciuto come esperto del diritto e delle decretali, Guglielmo Durante gli dedicò il suo Repertorium I uris Canonici. Anche Matteo Rosso era, come Benedetto Caetani, adusato alle arti della politica •attiva e della diplomazia, che aveva esercitato come rettore del patrimonio in Tuscia, come legato pontificio in negoziati difficili e complessi, come vicario imperiale in Toscana, in nome di Rodolfo d'Asburgo. D'altra parte la concordanza di spirito e di idee, fra i due cardinali, derivava dalla stessa tradizione teocratica del Papato di Gregorio VII che, nella lotta per la libertà della Chiesa contro l'Impero, contro l'episcopalismo nazionale e la feudalità ecclesiastica, aveva contribuito a far sì che la Curia romana divenisse sempre più il centro giurisdizionale e amministrativo
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della Chiesa universale, con l'assunzione di funzioni di sovranità politica che erano entrate nel tessuto vivo della vita e della civiltà europee, in nome dei grandi ideali del secolo XI, quali la crociata, la centralizzazione in Roma del governo della Chiesa universale, il trionfo della Chiesa, attuato e reso definitivo anche con le forze della potenza terrena. Nel secolo XIII, gli ideali della teocrazia pontificia e il potere politico della sede apostolica, non erano del tutto annullati nella coscienza degli uomini del tempo, ma erano ormai decisamente messi in discussione anche dai rappresentanti più qualificati della spiritualità religiosa. E se Innocenzo III era riuscito a debellare, in gran parte, l'eresia, e san Francesco aveva ricondotto in grembo alla Chiesa, amministratrice unica dei mezzi della salvezza, le aspirazioni spirituali alla vita e alla povertà evangeliche, proprio gli Spirituali avevano vòlto contro la Chiesa romana l'anelito delle folle alla pace e al perdono di Dio, con la condanna più decisa della ricchezza e del fasto mondano della Chiesa dei giuristi e dei politici. E col trionfo sull'Impero e gli Svevi, i papi, costretti a sollecitare l'appoggio del re di Francia e degli Angiò, per debellare Manfredi, avevano veduto crollare le basi stesse del potere politico, esercitato, in altri tempi, insieme agli imperatori, associati nella stessa funzione primaria di governo del mondo.
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All'indomani della battaglia di Benevento i papi, da Urbano IV a Niccolò III, dovevano infatti sperimentare le amare delusioni, loro causate dall'indipendenza, se non addirittura dall'ostilità, di Carlo I d'Angiò, di Riccardo di Cornovaglia, di Alfonso di Castiglia, di Rodolfo d'Austria, di Adolfo di Nassau, e dalle tendenze di tutti, imperatori e re, a fare del Papato lo strumento delle loro ambizioni politiche. Già nel 1262 Urbano IV, in una lettera diretta a Matteo Rosso Orsini, con la quale lo creava rettore e legato nel Patrimonio, definiva in termini apocalittici le tristi condizioni nelle quali venivano allora a trovarsi il Papato e la Chiesa. « Alla fine dei secoli le genti insorgono contro le genti, - egli diceva - e si arma la temeraria protervia dei figli contro i genitori, mentre la Santa Romana Madre Chiesa è flagellata dai colpi delle persecuzioni dovunque insorgenti » 6 • E alla difesa degli ideali e degli interessi della Santa Romana Madre Chiesa era strettamente legata la politica della casa Orsini fin da quando il grande senatore Matteo Rosso, di cui il cardinale aveva rinnovato il nome, era stato il maggior difensore della Chiesa romana, contro l'assalto delle truppe di Federico II. Si che frutto di tradizioni di famiglia e della tradizione teocratica del Papato, quegli ideali di indipendenza e di affermazione politica della Chiesa, furono alla base dell'azione politico-religiosa del cardinale Matteo Rosso
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Orsini e di Benedetto Caetani, cardinale e pontefice. La Curia romana era divenuta d'altronde, con l;i centralizzazione del governo della Chiesa, posteriore alla riforma gregoriana, il grande centro giurisdizionale e politico dell'Europa, nonché degli affari economico-finanziari di tutte le chiese. E interessi di monasteri, di principati ecclesiastici, di sovrani e di banchieri, venivano così ad intrecciarsi, nell'azione quotidiana del Papato sovrapponendosi, spesso, alle esigenze della sua funzione spirituale. E nei conclavi, della seconda metà del secolo XIII, la lotta, tra le forze politiche e spirituali in contrasto, si manifesta in contrapposizioni tenaci, prolungate, senza possibilità d'accordo, oltre i limiti della generale aspettativa, come avvenne, a Viterbo, nel conclave del 1269-1271, nel quale venne eletto, alla fine, Gregorio X; o si risolve in compromessi effimeri che rinviano, nel tempo, soluzioni definitive, come avvenne nel 1294 con l'elezione di Celestino V; o si chiude con sconfitte clamorose, come fu quella del partito bonifaciano, nel conclave di Perugia nel 1305, nel quale venne eletto Clemente V. Sono i conclavi dei quali, dal 1294 al 1305, Matteo Rosso Orsini e Benedetto Caetani furono gli arbitri, i protagonisti e gli sconfitti.
È del periodo del cardinalato, presso a poco nel
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dodicennio dal 1280 al 1292, che Benedetto Caetani p,ose le basi della signoria della sua famiglia nella Campagna, in Anagni e nei territori di Alatri e di Ferentino, costituendo un vasto dominio di terre e di diritti feudali messo insieme con acquisti, combinazioni finanziarie, accordi matrimoniali che erano i mezzi ordinari sui quali le grandi famiglie romane dei Savelli, degli Annibaldi, dei Colonna, degli Orsini, erano assurte a potenza nei secoli passati, dominando la Sede Apostolica dall'interno, con la successione quasi ereditaria dei loro membri nel Collegio dei cardinali, e nei maggiori uffici della Curia; tiranneggiando la città e il territorio del districtus dalle rocche e dalle torri costruite sugli antichi monumenti romani e dai castelli disseminati nel Patrimonio di San Pietro, nella Sabina, nella Campagna e nella Marittima. Divenuto Benedetto Caetani pontefice, il patrimonio familiare s'ingrandÏ con l'investitura al nipote del papa, Goffredo, di Vairano e di Calvi e della contea di Caserta, da parte di Carlo II d'Angiò, e con l'acquisto, per mezzo di matrimoni, della contea aldobrandesca in Tuscia, e della contea di Fondi in Campagna. Giorgio Falco ha illustrato in noti studi, il processo della formazione della signoria dei Caetani, ed ha messo in evidenza la cura con la quale Benedetto Caetani cercò sempre di consolidare, con ragioni di dititto, gli acquisti patrimoniali della famiglia. E se il
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salire a tanta potenza della famiglia fu dovuto anche alle qualità del cardinale, abile negli affari e avido di ricchezza, sia per affermare, di fronte alle rivali famiglie romane, il suo recente prestigio di homo novus, sia, divenuto pontefice, per le necessità sempre più urgenti della sua dispendiosa azione politica, è pur vero che Bonifacio VIII tenne, in più occasioni, distinti gli interessi patrimoniali della famiglia dagli interessi politico-finanziari della Chiesa 7 • E se l'asprezza delle lotte che dovette sostenere, il temperamento dell'uomo e la violenza delle sue reazioni fecero sì che si ingrandisse ad arte la fama della sua avidità di danaro e delle sue malversazioni del patrimonio della Chiesa, si deve pure prendere atto che la critica storica moderna ha, in parte, ridimensionato quelle accuse, e che, anche nella dottrina, fin dal tempo di Gregorio VII e di Umberto di Silva Candida, proprietà ecclesiastica e potere vescovile erano strettamente congiunti se non addirittura confusi 8 •
* * * Non è possibile riproporre in poche pagine un esame particolare dell'azione politica di Bonifacio VIII durante gli anni del suo tempestoso pontificato, né è necessario ritessere, neanche in brevi e succinte note la serie degli avvenimenti e dei fatti che ne costituiscono il tessuto e il contenuto storico. Tra essi il con-
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trasto tra Filippo il Bello e il Pontefice, la lotta con i Colonna, la questione siciliana, la spedizione di Carlo di Valois come « paciaro » a Firenze, l'attentato di Anagni, costituiscono i temi più trattati dalla letteratura storica su l'età di Bonifacio VIII. Ma è possibile oggi trarre da quella letteratura alcune conclusioni. Per quanto riguarda il conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello e la lotta contro i Colonna è opportuno constatare che l'opposizione alle prerogative della Chiesa, nel campo dei poteri della sovranità civile, si era mostrata viva a Napoli, nelle relazioni del Papato con gli Angioini, molto tempo prima del pontificato di Bonifacio VIII; che Filippo il Bello aprì le ostilità per primo e condusse la lotta con tutte le armi, lecite ed illecite, della propaganda e della calunnia, non esclusa la falsificazione consapevole dei documenti pontifici, e che, al contrario, Bonifacio VIII, a parte le solenni dichiarazioni di principio, si mostrò in effetti incline al compromesso e alla conciliazione giungendo fino a riconoscere personalmente, a Filippo il Bello, quella facoltà di imporre tasse al clero francese che, in linea di diritto, aveva negato con la bolla Clericos laicos, inserita più tardi nel libro VI delle Decretali 9 • Così, per quanto riguarda la lotta del Pontefice contro i Colonna, condotta sino alle estreme conseguenze, non bisogna di-
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menticare che la potente famiglia dei Colonna, signori di Palestrina e di Ninfa, ruppe senz'altro in guerra aperta con i Caetani, con i quali avevano proceduto in tacita alleanza nel momento degli acquisti patrimoniali reciproci, nella Campagna e nella Marittima, quando i Caetani, che avevano già comprato per danaro la signoria di Norma, vennero in possesso, sempre per acquisto, anche della sottostante città di Ninfa. L'assalto dato dai Colonna ai muletti che portavano, da Anagni a Roma, la somma di 200.000 fiorini del patrimonio privato del pontefice, per l'acquisto della terra in questione, non fu come è stato detto, una semplice beffa 10 , ma costituiva un tale atto di aperta ostilità e di ribellione che, a parte la rivalità esistente da tempo tra le due famiglie, e le reazioni di un temperamento quale era quello di Bonifacio VIII, il pontefice non avrebbe mai potuto, in alcun modo, lasciare impunito senza perdere del tutto il controllo nei centri stessi di potere della Chiesa, della Curia, del Collegio dei cardinali, della stessa città di Roma. Poiché dietro ai Colonna erano già gli intrighi angioini e la rivolta ideale degli Spirituali. Non bisogna infatti dimenticare che il primo manifesto di Lunghezza, dove fu presente anche Jacopone da Todi, e nel quale si denunciava la pretesa illegittimità dell'elezione di Bonifacio VIII a pontefice, precedette, sia pure di poche ore, la bolla Praeteritorum
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temporum, con la quale il Papa pronunciava la condanna definitiva dei Colonna. D'altra parte l'effettivo svolgersi degli avvenimenti, in quegli anni della fine del secolo, mostra come l'azione politica di Bonifacio VIII, pure promossa da un uomo della sua potenza e della sua abilità, non avesse, date le condizioni dei tempi, molte probabilità di successo. E ciò spiega, almeno in parte, le reazioni esasperate con le quali il Pontefice combatté fino agli estremi le sue battaglie. Privi di efficacia furono, infatti, i suoi tentativi di intervento nelle questioni dell'Impero, pur ridotto a una larva, nelle figure di Alberto d'Austria e di Rodolfo di Nassau, e vani furono i suoi tentativi di promuovere la crociata che era uno dei maggiori compiti che la Chiesa medievale, dopo Gregorio VII, aveva imposto all'Impero e ai regni cristiani. Contro i disegni del Pontefice, d'insediarsi da signore in Toscana, con l'invio di Carlo di Valois a Firenze come pacere, i Neri di Corso Donati, di Geri Spini e consorti, mostrarono subito che non avevano alcun interesse ad acconciarsi alle mire del Papa, e ciò fu chiaro, specialmente in seguito, col fallimento della legazione di Matteo d'Acquasparta nel 1304. Né migliore successo ebbero le cure assidue del Pontefice per la soluzione della questione siciliana, sorta con la guerra del Vespro tra Aragonesi e Angioini, e conclusa con la pace di Caltabellotta del 1302, stipu-
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lata tra Carlo II d'Angiò e Federico III d'Aragona, quasi alle spalle del pontefice, senza tener conto alcuno dei diritti della Chiesa nel regno di Sicilia e dei suoi interessi. Nella lotta ingaggiata con Filippo il Bello, che aveva mobilitato contro il Pontefice tutte le forze politiche del regno, dalla Sorbona all'episcopato, dalla noblesse de robe agli Stati generali, il Pontefice dové subire, alla fine, la violenza sacrilega dell'attentato di Anagni . L'unico successo del Pontefice, conseguito con il consiglio fraudolento di Guido da Montefeltro, secondo la leggenda propalata da Riccobaldo di Ferrara e riecheggiata da Dante, fu la distruzione di Palestrina e il temporaneo abbattimento della potenza dei Colonna. Ma la vittoria sugli odiati rivali della sua famiglia fu una vittoria effimera e fece perdere al Pontefice, più che guadagnare, consensi e alleati. Bonifacio VIII, si trovò a una svolta decisiva della civiltà europea, quando le attese evangeliche e pauperistiche di una rinnovata coscienza religiosa, si univano, nella lotta contro la teocrazia politica del papato, al nuovo sentimento di autonomia della sovranità civile, affrancata ormai dalla pesante tutela dell'Impero cristiano e della Chiesa. Al tempo di Bonifacio VIII molti nodi di un lungo processo di degradazione di istituti, e di maturazione di nuovi ideali religiosi . e
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di vita civile, erano venuti al vaglio della storia, ed il Pontefice doveva subirne in pieno il contraccolpo.
* * * Proprio nel pieno della lotta del Pontefice contro i Colonna e una breve pausa del contrasto con Filippo il Bello (dell'agosto del 1297 è, infatti, la canonizzazione di Luigi IX re di Francia), appare come una meteora, nel cielo tempestoso dell'Europa cristiana, il grande avvenimento del Giubileo del 1300, che scandisce un momento essenziale della tradizione religiosa cattolica. Riguardo ad esso la storiografia moderna, sulla base della cronistica contemporanea all'avvenimento, si è trattenuta prevalentemente sugli aspetti esteriori dell'avvenimento: l'afflusso, il numero e la qualità dei pellegrini giunti a Roma nell'anno; i risvolti economici e finanziari della grande romeria; le notizie relative al costume, i viaggi, negli echi che il grande fatto destò in tutto il mondo cristiano; la partecipazione dei differenti ordini della società medievale al grande pellegrinaggio. Ma riguardo al fatto religioso in sé, gli storici non avevano oltrepassato mai i limiti della pura registrazione delle dichiarazioni di principio e delle manifestazioni degli organi ufficiali della Chiesa. Fu Arsenio Frugoni che, nel 1951, ripropose il problema storico del Giubileo nella complessità di tut-
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ti i suoi nessi, con la tradizione e la dottrina ecclesiologica, sulla base della testimonianza del nipote di Bonifacio VIII, il cardinale Jacopo Gaetano Stefaneschi, biografo di Celestino V, nel suo Opus metricum, autore del De centesimo seu Jubileo anno liber, designato da Matteo Rosso Orsini, nel conclave di Perugia del 1305, a succedere a Benedetto XI, come il papa al quale sarebbe spettato il compito di vendicare il misfatto di Anagni 11 • Nello studio del Frugoni, compiutamente definito nelle dimensioni della ricerca erudita e di esegesi dei testi, il Giubileo del 1300 veniva inserito nella storia del pontificato di Bonifacio VIII, come l'affermazione più solenne, fatta da un pontefice, della plenitudo potestatis della Chiesa romana. Seguendo le testimonianze di Jacopo Gl,letano Stefaneschi, il Frugoni ricostruiva l'iter della proclamazione del Giubileo, indetto per la prima volta nel corso della tradizione cristiana, come celebrazione ricorrente del centesimo anniversario della nascita di Cristo, e come definitiva garanzia di salvezza per tutta la cristianità, in ogni prossimo centesimo anno, in virtù della Redenzione e del« tesoro dei meriti dei Santi », tesoro affidato da Dio alla piena disponibilità della Chiesa romana. Nella bolla Antiquorum habet, con la quale Bonifacio VIII, il 22 febbraio 1300, giorno dedicato alla
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festa della Cattedra di San Pietro indiceva l'anno giubilare, riconoscendone retroattivamente l'inizio al 25 dicembre del 1299, il Pontefice si rifà alle indulgenze di carattere penitenziale e di pellegrinaggio alla tomba degli Apostoli, dei martiri e dei santi, indulgenze che egli approva e conferma, mettendo in evidenza, nello stesso tempo, la novità dell'indulgenza giubilare consistente in una plenissima remissio di tutte l_e pene da scontare in terra e dopo la morte, per tutti i peccati per i quali si fosse ottenuta l'assoluzione del sacerdote, in virtù della plenitudo potestatis della Sede Apostolica, largitrice unica spiritualium munerum, cioè dei doni della Grazia. Poiché, se le precedenti indulgenze erano concesse in virtù dei meriti dei singoli Santi, intercessori presso Cristo a favore dei loro devoti, con l'indulgenza plenissima del Giubileo, da rinnovarsi alla fine di ogni secolo, i meriti di tutti i Santi venivano a costituire l'inesauribile « tesoro spirituale » a disposizione della Sede Apostolica elargitrice dei doni della Grazia, ai fedeli di tutto il mondo e di tutti i tempi. Il carattere nuovo dell'indulgenza giubilare veniva messo in evidenza anche dal fatto che, in una successiva bolla, essa veniva estesa anche ai pellegrini che fossero morti durante il viaggio, intrapreso alla volta della Città santa. La dottrina del « tesoro dei meriti » e della sua circolazione ecclesiale ad opera della Chiesa
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romana, dottrina che, messa in dubbio da Lutero, fu causa del primo avvio della Riforma, venne così ad essere il fondamento teologico della validità delle opere e dei suffragi che costituiranno, insieme ai sacramenti, i cardini del Cattolicesimo romano, prima e dopo il Concilio di Trento. Il fatto poi che il Papa indicesse il Giubileo con la bolla del 22 febbraio 1300, dopo aver fatto accurate ricerche sui precedenti della tradizione, secondo le precise testimonianze dello Stefaneschi e quasi sotto la spinta dal basso 12 che gli veniva dalle attese della religiosità popolare, dimostra come il Giubileo del 1300 non dovette la sua origine ad un espediente escogitato dall'abilità di un pontefice, che avrebbe sfruttato, a scopi di prestigio politico la devozione delle folle, ma rappresentava il momento conclusivo di tutto un lungo processo dell'esperienza religiosa cristiana, che vedeva concretarsi nel Giubileo la realtà misteriosa della Chiesa corpus misticum, in stretta relazione con le facoltà e le funzioni della Sede apostolica amministratrice dei mezzi della salvezza. Bonifacio VIII aveva fatto sua tale esperienza e gli aveva dato un'espressione carismatica e dottrinale definitiva, proclamandola dall'alto della cattedra di San Pietro: carismatica perché sanciva la fede nella Chiesa romana, espressione storica della Chiesa universale il cui capo è Cristo, detentrice unica dei mezzi
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della salvezza; dottrinale perché l'istituzione del Giubileo, in virtù dell'autorità della Sede apostolica, dava il , fondamento teologico alle solenni dichiarazioni dell'Unam Sanctam che della dottrina della plenitudo potestatis della Chiesa romana sarà la suprema enunciazione. Che tale dottrina costituisse la base spirituale della concezione che Bonifacio VIII ebbe della funzione della Chiesa Romana nell'economia della Chiesa universale e del corpo mistico, è documentato in tutte le encicliche e le bolle che il pontefice indirizzò al popolo cristiano e ai rappresentanti del potere civile, durante il corso del suo pontificato, nei momenti salienti della sua azione politico-religiosa: dall'enciclica Gloriosus et mirabilis del 27 gennaio 1295, sull'unità della Chiesa, diffusa all'indomani della sua elezione a pontefice; aHa Redemptor mundi e alla Super reges et regna, indirizzate ambedue a Giacomo II di Aragona, per la riconquista della Terra Santa e per la sua elevazione a re di Sardegna e di Corsica; dalla Clericos laicos, indirizzata a Filippo il Bello e rivendicante le prerogative della Sede Apostolica contro gli abusi della secularis potestas a danno dei diritti inalienabili della Chiesa; alla Ausculta fili, del 1301, quando era già scoppiato, in tutta la sua gravità, il contrasto col re di Francia, per la nomina dell'abate Saisset a Vescovo di Pamiers, e nella quale risuonano già gli accenti so-
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lenni dell'Unam Sanctam, resa pubblica il 18 novembre 1302, appena un anno prima dell'attentato di Anagni e della morte del pontefice. Nelle diverse encicliche e bolle citate ritornano costantemente i concetti della superiorità della potestà spirituale, ratione peccati, sul potere dei sovrani; sulle prerogative della libertas ecclesiae, estese anche alla proprietà ecclesiastica; sui diritti del pontefice nel conferimento delle cariche ecclesiastiche, con espressioni che ci riportano insistentemente al pensiero e alle espressioni stesse della Lettera ad Ermanno di Metz e del Dictatus papae di Gregorio VII 13 • E nell'Unam Sanctam la dottrina della Chiesa Romana Sponsa Christi e della plenitudo potestatis del pontefice, veniva ripresa e riaffermata in forma solenne e definitiva, come decreto del pontefice, avente, secondo lo stesso pensiero di Gregorio VII, efficacia di dogma, pur con tutti gli sviluppi della teoria della traslatio imperii, e le sottigliezze del giurista, nell'esegesi dei passi evangelici relativi al gladium unicum da riporre nel fodero, e all'uso delle due spade. « Unam sanctam Ecclesiam catholicam et ipsam apostolicam, urgente fide, credere cogimur et tenere ... , extra quam nec salus est nec remissio peccatorum quae unum corpus misticum repraesentat, cuius caput Christus Christi vero Deus ... Igitur Ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita qua-
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si monstrum, Christus et Christi vicarius, Petrus Petrique successor ... Spiritualem autem, et dignitate et nobilitate terrenam quamlibet praecellere potestatem, oportet tanto clarius nos fateri, quanto spiritualia temporalia antecellunt » 14 • Nelle quali affermazioni, oltre alla conferma di tutte le dichiarazioni di fede e di dottrina consolidate nella tradizione ecclesiologica medioevale, venivano solennemente proclamate l'unità inscindibile della Chiesa, Sponsa Christi e della Sede Apostolica, con un unico capo, e non due, e costituente un unico corpo mistico; e la plenitudo potestatis del pontefice super regna et reges, in terra, e per la remissione dei peccati e la salvezza definitiva, al di là della morte del corpo 15 • È cosa nota che, dopo Bonifacio VIII, la pienezza dei poteri del pontefice romano, sui regni della terra e dell'al di là, venne simbolicamente rappresentata nei tre cerchi che circondavano la tiara pontificia. « Et si deviat terrena potestas, indicabitur a potestate spirituali; sed si deviat spiritualis minor, a sua superiori; si vero suprema a solo Deo, non ab homine poterit iudicari ». Sono gli stessi concetti espressi nel . 16 Dictatus papae . Il potere della suprema potestà della Chiesa veniva, in tal modo, esaltato, al di sopra di ogni giudizio umano, mentre veniva condannata come eresia la contrapposizione della Ecclesia spiritualis e della Chiesa
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romana , ch'era stata concèzione ricorrente della eresia medioevale, accettata in parte anche dalla dissidenza spirituale francescana.
Il giudizio di Dante su Bonifacio VIII e la sua azione politica e religiosa, è per noi particolarmente significativo, per renderci conto di quale fu l'effettiva reazione della coscienza religiosa del tempo, alle affermazioni e agli atti più importanti del suo pontificato. Il Poeta fu un nemico dichiarato e, direi, prevenuto di Bonifacio VIII, ed è superfluo ricordare i versi del poema sacro nei quali papa Bonifacio è presente (e non sempre a sua lode): del XXVII dell'Inferno nel quale è designato come il « gran prete » e « il principe dei nuovi Farisei » (leggi: dei nuovi dottori della legge, cioè dei decretalisti, che anteponevano la conoscenza dei testi canonistici, come l'Ostiense, a quella della Scrittura e dei Padri) 17; del XX, 87 del Purgatorio dove Ugo Capeto, « prima radice della mala pianta » della casa reale di Francia, denuncia al mondo il misfatto sacrilego di Anagni; del XVII, 22 del Paradiso ove S. Pietro identifica in Bonifacio, « colui che usurpa in terra » il suo seggio. Le note vicende della Firenze del tempo del Poeta, spiegano il risentimento di Dante nei confronti di Bonifacio VIII, del quale il Poeta condannava la « su-
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perba febbre di dominio », le arti fraudolente del politico, l'avidità di ricchezza materiale, il nepotismo. Ma quando vede, nella figura del pontefice svillaneggiato ad Anagni, la figura stessa del Cristo flagellato e deriso; e quando pone l'inizio del suo viaggio oltramondano, e del suo messaggio religioso proprio nell'anno 1300, al tempo, cioè, del Giubileo di papa Bonifacio; quando, nella Lettera ai Cardinali Italiani, al conclave di Carpentras del 1316, si mostra sostenitore deciso del partito bonifaciano, rappresentato da Matteo Rosso Orsini e da Jacopo Gaetano Stefaneschi, che nel conclave di Perugia del 1305 avevano difeso l'opera e la memoria di Bonifacio VIII 18, Dante ci dà la testimonianza più evidente che, nonostante i peccati dell'uomo, di cui solo Dio era giudice, Bonifacio VIII aveva, con l'indizione del Giubileo, interpretato le aspettative più profonde della coscienza religiosa del tempo. Chè se, nei secoli successivi al 1300, le pretese estreme della teocrazia papale, così solennemente affermate da Bonifacio VIII, vennero vanificate nella crisi del papato avignonese e del grande Scisma d'Occidente, dopo il quale gli interessi della Chiesa di Roma si confusero sempre più con quelli dello Stato pontificio; e la vera Chiesa di Cristo, rivendicata nei suoi pretesi diritti di primogenitura, nelle Centurie di Magdeburgo, ebbe la sua rivalsa polemica negli Annali
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Ecclesiastici del Baronio, è indubbio che il legame misterioso che unisce il corpo mistico dei credenti, e la Città di Dio alla Chiesa militante, e il fondamento del1'essenziale carattere sacramentale e carismatico del Cattolicesimo romano sono ancora legati, nell'Età moderna,_alla dottrina bonifaciana della plenitudo potestatis e dell'Unam Sanctam.
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NOTE
1 Nell'impossibilità di citare la immensa letteratura esistente su Bonifacio VIII, dato il particolare taglio del mio studio, che mira a una valutazione storiografica di detta letteratura, mettendo particolarmente in luce la figura e l'opera del pontefice nel più ampio quadro della storia della Chiesa e della tradizione religiosa, mi limiterò a citare, nel testo e nelle note, solo le opere del contributo e dei risultati delle quali mi sono valso. Per quanto riguarda il giudizio di grandezza umana, unanimemente attribuito a papa Bonifacio, esso è riecheggiato largamente nella Santa Romana Repubblica di Giorgio Falco, Napoli, 1942. 2 Cito, una volta per tutte, per i riferimenti bibliografici delle fonti e delle opere alle quali accenno, la ricchissima bibliografia posta da Eugenio Dupré-Theseider, in calce al suo articolo Bonifacio VIII nel « Dizionario Biografico degli Italiani ». 3 L. Mohler, Die Kardiniile Jacob und Peter Colonna, Paderborn, 1914; P. Fedele, Per la storia dell'attentato di Anagni, in « Bull. 1st. St. Italiano» XLI (1921); G. Falco, Sulla formazione e la costituzione della Signoria dei Caetani (1283-1303), in« Riv. Storica Italiana» XLV (1928); E. Dupré-Theseider, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia, Bologna, 1952. 4 Per la particolare accentuazione del significato dell'opera e della figura di Bonifacio VIII nella storia della Chiesa, v. R. Morghen, Il cardinale Matteo Rosso Orsini, in « Arch. Soc. Romana di St. patria» 46 (1923); e A. Frugoni, Il Giubileo di papa Bonifacio VIII, in « Bull. 1st. St. Italiano per il Medio Evo », LXII (1950). 5 Cfr. Dupré-Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia, cit., pp. 281-382. 6 Morghen, Il Cardinale Matteo Rosso Orsini, cit., p. 279. 7 Per quanto riguarda l'utilizzazione delle somme raccolte dalla Chiesa, in occasione del Giubileo del 1.300 cfr. P. Fedele, nel vol. Gli anni Santi, Torino 1934. Vedi anche Dupré-Theseider, in « Dizionario biografico degli Italiani» cit., p. 148 e R. Morghen, in Medioevo Cristiano, Bari, 1970, p. 281. 8 R. Morghen, 'I teorici della riforma della Chiesa' in Medioevo Cristiano, cit., pp. 91 sgg.
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9 Dupré-Theseider, Bonifacio VIII, in « Dizionario biografico degli Italiani », cit., pp. 153-54. 10 Dupré-Theseider, Bonifacio VIII, cit., p. 150. 11 Morghen, Il Cardinale Matteo Rosso Orsini, cit., p. 360, nn. 2-3. 12 Morghen, 'Il Giubileo del 1300' in Medioevo Cristiano, cit. p. 281. 13 R. Morghen, Gregorio VII e la Riforma della Chiesa nel sec. XI, Palermo, 1974, pp. 127 sgg., 204-206. 14 Quellen zur Geschichte des Papsttums und des Romischen Katholizismus her. Mirbt und Aland, Tiibingen, 1967, I, pp. 458 sgg. 15 Quellen zur Geschichte, cit., p. 459. 16 Morghen, Gregorio VII, cit., pp. 204-206. 17 Cfr. la Lettera di Dante ai Cardinali Italiani (Cardinalibus ytaJicis Dantes de Florentia) in R. Morghen, Civiltà medioevale al tramonto, Bari, 1973 2, p. 179. « lacet gregorius tuus in telis aranearum. Iacet ambrosius in neglectis clericorum latibulis. Iacet augustinus abiectus, dyonisius damascenus et beda; et nescio quod speculum, Innocentium et hostiensem declamant ». 18 Cfr. a questo proposito la Lettera ai Cardinali Italiani, cit.,
p. 172.
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STAMPATO IN ROMA NEL MESE DI NOVEMBRE MCMLXXV DALLA TIPO-LITOGRAFIA CHIOVINI PER CONTO DELLE EDIZIONI DELL'ELEFANTE