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FONDAZIONE CAMILLO CAETANI ROMA
Presidente Bruno Toscano Vicepresidente Piero d’Amelio
Consiglio Tommaso Agnoni, Luciano Arcangeli, Lucio Caracciolo, Rita Cassano, Lelio Fornabaio, Andrea Gentiloni, Duccio K. Marignoli, Maria Cristina Misiti, Cesare Pasini, Lucia Pirzio Biroli Stefanelli, Pier Giacomo Sottoriva Giunta Bruno Toscano, Piero d’Amelio, Rita Cassano, Andrea Gentiloni
Via delle Botteghe Oscure, 32 – 00186 Roma Tel. 06 68 30 73 70 info@fondazionecamillocaetani.it www.fondazionecamillocaetani.it
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PALAZZO CAETANI Bollettino della Fondazione Camillo Caetani
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EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
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PALAZZO CAETANI Notiziario periodico
Direttore: Bruno Toscano Redazione: Rita Cassano, Caterina Fiorani, Giovanna Sapori, Massimiliano Tortora
Referenze fotografiche: Mario Brunetti, Maurizio Necci, Pasqualino Rizzi. Le schede non firmate sono a cura della redazione.
Edizioni di Storia e Letteratura via delle Fornaci 38, 00165 Roma Tel. 06.39.67.03.07 – Fax 06.39.67.12.50 e-mail: redazione@storiaeletteratura.it
www.storiaeletteratura.it
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Sommario Ricordo di Giacomo Antonelli (Bruno Toscano, Piero d’Amelio, Lucia Pirzio Biroli Stefanelli), 7; Inventare il tempo (Nino Criscenti), 9; L’attualità di Aldo Manuzio. Una giornata di studi alla Fondazione Caetani (Fabio Massimo Bertolo), 12; La committenza di Beatrice e Giovanna, nobildonne Caetani della seconda metà del Cinquecento (Livia Nocchi), 14; L’epistolario di Beatrice Caetani Cesi, 1557-1608 (Caterina Fiorani), 18; Un Album amicorum del Cinquecento a Palazzo Caetani (Giovanna Sapori), 20; La villa Caserta all’Esquilino (Ilaria Sferrazza), 24; La cartografia italiana di Rilke (Marino Freschi), 30; Rudolph Kassner a Roffredo Caetani (Sophie Levie), 35
acquisizioni e restauri
Tre ritratti della raccolta Caetani di antichità (Franca Taglietti), 37; Restauri di antichità, dipinti, arredi, 42
Le collane, 44; Schede di libri, 46; Convegni e mostre, 50; Attività in collaborazione, 52; Borse di studio, 55
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Ricordo di Giacomo Antonelli Non saprei dire quando ho incontrato Giacomo per la prima volta. È forte in me la sensazione di averlo sempre conosciuto, forse perché le sue origini lo riconducono a luoghi a me familiari e alla mia stessa città e conosco bene il villaggio del versante ovest della Valnerina, Le Cese, da cui gli Antonelli provengono. L’impressione è che ci siamo da sempre frequentati e dunque la nostra amicizia era per me un dato di fatto. Così, non riesco neanche a ricostruire l’occasione in cui fui per la prima volta invitato nella sua bella casa di Via di Monserrato, a pochi isolati di distanza dall’appartamento dove nel 1968 ero andato ad abitare. Giacomo e Maria erano ospiti che ti mettevano subito a tuo agio con una conversazione che toccava argomenti di solito molto caldi e li sviluppava in modi a me così vicini da presupporre un consenso a lungo consolidato: la battaglia culturale, la politica e il contributo dei laici, la società civile, l’associazionismo, Italia Nostra, e così via. Nel corso degli anni, fra gli ’80 e i ’90, davvero anni difficili per il Paese, finii per vedere in Giacomo il perfetto rappresentante di un’Italia
vigile e colta, solidamente piantata e difficile da trascinare o da sedurre: un’Italia già allora decisamente minoritaria e oggi pressoché ininfluente. Da Via di Monserrato a Via delle Botteghe Oscure il percorso è breve e così la Fondazione Camillo Caetani da tema di conversazione diventò in breve, per me, luogo di diretto coinvolgimento; al punto che quando Giacomo decise irrevocabilmente di rinunciare all’impegno della presidenza, pensò di indicare me come suo successore. Formulato in termini che ben ricordo («non puoi non darmi una mano»), l’invito non poteva essere declinato. Di quest’ultimo decennio, il ricordo più toccante che conservo di lui è la sua convinta condivisione per quanto, per far crescere la Fondazione, tentavo di fare dopo di lui: ma molto di più il modo in cui me lo manifestava, con la lietezza e la soddisfazione di chi è consapevole che se si metteva a segno qualche obiettivo, la bontà del risultato non poteva che riverberarsi su lui stesso. Bruno Toscano Presidente
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Giacomo Antonelli, uomo di grande cultura, dotato di una curiosità intelligente e di una straordinaria ironia, è stato innanzitutto un grande avvocato. Come tale fu scelto dalla Famiglia Cae tani come proprio consulente legale. Donna Lelia e Hubert Howard se ne servirono costantemente e, dopo averne constatato le grandi qualità, lo preposero all’organizzazione della Fondazione Camillo Caetani di cui fu a lungo Presidente. La Fondazione deve a lui il grande rilancio dell’attività scientifica, ottenuto con la pubblicazione di importanti volumi e l’organizzazione di interessanti convegni. Antonelli pensò anche a garantire la continuità dell’attività fondativa
cooptando Bruno Toscano e Piero d’Amelio rispettivamente come Presidente e Vicepresidente. Gli fu, a quel momento, conferita la carica di Presidente Onorario: omaggio non formale, ma segno di una preziosa continuità. La Fondazione gli deve molto e lo ricorda con affetto e gratitudine. Piero d’Amelio Vicepresidente Il ricordo di Giacomo Antonelli è soprattutto legato ai molti anni nei quali abbiamo condiviso l’impegno per gli “Amici dei Musei di Roma”. Socio sostenitore dal 1989, fu membro del Consiglio, Vicepresidente e infine Pre-
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sidente dal 2010 al 2012, attivamente partecipe alla vita dell’Associazione, della quale condivideva totalmente gli scopi e le funzioni, sempre pronto a fornire il suo contributo per risolvere situazioni e problemi, non solo di natura legale, con molto understatement e quella sua ineguagliabile ironia che stemperava le situazioni più difficili e spingeva a non prenderci mai troppo sul serio. Aderì sempre alle raccolte di fondi promosse per restauri ed acquisti, partecipando sia a titolo personale, sia coinvolgendo la Fondazione da lui presieduta. Dalla felice e consolidata collaborazione con gli “Amici” nacquero presso il Museo Napoleonico le mostre Il salotto delle caricature. Acquerelli di Filippo Caetani 1830-1860,
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nel 1999 e Il Costume è di rigore, 8 febbraio 1875: un ballo a Palazzo Caetani nel 2002. Nel 2006 volle che fossero gli “Amici dei Musei di Roma” a fare da tramite alla donazione da parte della Fondazione del dipinto di Lelia Caetani, l’Incoronazione di Giovanni XXIII (1958) per le collezioni del Museo di Roma. Personalmente sono molto riconoscente per il costante sostegno ricevuto nel corso del mio periodo di Presidenza. Rimane in tutti noi che lo abbiamo conosciuto e avuto per amico il ricordo di una persona speciale come oggi purtroppo si ha raramente occasione di incontrare. Lucia Pirzio Biroli Stefanelli Consigliere
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Inventare il tempo Musica da camera: un’espressione che ha perduto il suo senso spaziale. Si suona nelle grandi sale da concerto, quella musica, ma noi abbiamo provato a riportarla alla sua dimensione, in uno spazio raccolto, appunto in ‘camera’. Lo facciamo in un programma televisivo per Rai 5, Inventare il tempo, un’ora di musica eseguita e insieme narrata, uno spettacolo di suoni e parole, in cui esecuzione e racconto si integrano per illuminare la storia e la struttura dell’opera. Quando l’abbiamo progettato con Sandro Cappelletto, che lo conduce, e con Angelo Bozzolini che lo mette in scena, non c’è stato alcun dubbio: «Ricreiamo le condizioni per lei necessarie – ci diceva da musicologo Sandro Cappelletto – quelle che consentono la sua modalità di ascolto, di partecipazione, di condivisione». E così siamo andati in cerca di ‘camere’ romane per le riprese. Le abbiamo trovate nelle sedi di istituzioni culturali. Abbiamo girato il Quartetto delle dissonanze di Mozart nella biblioteca del Forum austriaco di cultura a viale Bruno Buozzi, Chopin nell’Istituto polacco di via Vittoria Colonna, le Variazioni Goldberg al Goethe Institut di via Savoia. Tra le sedici puntate già trasmesse ce ne sono tre ambientate, grazie alla disponibilità della Fondazione Camillo
Caetani, nelle sale di Palazzo Caetani alle Botteghe Oscure. Se per le sedi appena citate il legame era chiaramente riferito alla nazionalità degli autori, quali ragioni ci hanno portato a girare Nella sede della Fondazione Camillo Caetani a Roma sono state registrate tre puntate del programma televisivo di Rai 5 dedicato alla musica da camera, Inventare il tempo, prodotto da Land Comunicazioni: un artista del popolo?
D. Sostakovic, Quintetto in sol min per pianoforte e archi op. 57 Interpreti: Michele Campanella, pianoforte; David Romano, violino; Ingrid Belli, violino; Raffaele Mallozzi, viola; Diego Romano, violoncello notte trasfigurata
A. Schoenberg, Verklärte Nacht Interpreti: Sestetto Stradivari (David Romano, Marlène Prodigo violini; Raffaele Mallozzi, David Bursack viole; Diego Romano, Sara Gentile violoncelli) come un’alma rapita
Gesualdo da Venosa, Madrigali Interpreti: Ensemble De Labyrintho, Walter Testolin, direttore
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Sostakovic, Schoenberg e Gesualdo in un palazzo cinquecentesco? Potrei dire che ci piaceva giocare sul tempo, a contrasto per i primi due e in corrispondenza per il polifonista. In realtà c’era un’altra ragione, più forte: il cosmopolitismo di Palazzo Caetani. Che è stato nel corso del ’900 un centro di scambi culturali: nelle sue stanze ha preso vita la più bella rivista letteraria internazionale che abbia avuto l’Italia, «Botteghe Oscure», voluta e diretta da Marguerite Caetani, su cui scrivevano Albert Camus e Truman Capote, Dylan Thomas e Günter Grass, insieme a Calvino, Landolfi, Soldati. Dunque le
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note del Quintetto in sol minore per pianoforte e archi op. 57 di Sostakovic e quelle di Verklärte Nacht di Schoenberg erano tutt’altro che estranee a quelle pareti. E Gesualdo? I suoi madrigali e responsori erano coevi al palazzo ma appartenevano anche al XX secolo, perché è allora che sono ritornati a vivere. E il dialogo tra presente e passato è stato una delle linee, forse la più ‘moderna’, del cenacolo di Marguerite Caetani. C’era più di una ragione per far risuonare quei capolavori nelle camere di Palazzo Caetani. Nino Criscenti
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L’attualità di Aldo Manuzio Una giornata di studi alla Fondazione Caetani Nella giornata dell’8 ottobre si è tenuto presso la Fondazione Caetani l’incontro dal titolo “L’attualità di Aldo Manuzio”. Aldo Manuzio e i Caetani, un rapporto non molto conosciuto fuori del ristretto ambito di studi specialistici, ma ben più di una argomentata ipotesi per chi abbia approfondito i primi anni di formazione del più illustre dei tipografi del Rinascimento. Nato a Bassiano intorno al 1450, nel territorio allora controllato dai Duchi di Sermoneta, la sua prima formazione avvenne a Roma sicuramente sotto la protezione della famiglia Caetani. Sono anni di apprendistato umanistico, alla scuola dei maggiori docenti dello Studium Urbis, anni che formeranno il giovane Aldo prima della tardiva avventura tipografica, iniziata a Venezia intorno al 1490 alla veneranda età di 40 anni. Senza Aldo e le sue edizioni – stampate tra 1495 e 1515, circa 120 opere – non esisterebbe il libro moderno così come lo intendiamo noi: non esisterebbe l’interpunzione moderna, non esisterebbe il carattere moderno, l’impaginazione moderna, la cura dei testi moderna. Di questo si è parlato alla Fondazione Caetani, insieme ad un gruppo di studiosi di varie discipline ma anche
di addetti ai lavori, che riconoscono ad Aldo Manuzio il merito di aver innovato e rivoluzionato il concetto di Libro…ma non solo. Nel 1985 veniva realizzato dalla Aldus Corporation il primo programma di Desktop Publishing per Apple Macintosh: il suo nome era Aldus Pagemaker e riportava nel logo il celebre profilo di Aldo Manuzio. Il signor Steve Jobs aveva ‘scoperto’ Aldo frequentando un corso di calligrafia al Reed College, e a lui sicuramente volle ispirarsi quando cominciò a pensare come sarebbero stati i caratteri dei suoi Mac, quei caratteri che ora tutti noi usiamo sapendo poco di Aldo Manuzio. Di questo ha parlato Marco Calvo, presidente di Liber Liber e ideatore oltre 20 anni fa della prima biblioteca di letteratura italiana virtuale in rete: il Progetto Manuzio raccoglie ad oggi migliaia di edizioni in formato digitale, consultabili e scaricabili on line gratuitamente. L’eredità di Aldo nel campo della grafica dei caratteri è stata analizzata da Riccardo Olocco, disegnatore professionista di fonts, soffermatosi sul ruolo decisivo assunto dal bolognese Francesco Griffo, il punzonista che affiancò Aldo nella realizzazione dei due caratteri simbolo dell’impresa aldina: il tondo romano del De Aetna
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di Bembo (1496) e il corsivo del S. Caterina (1500). Con Edoardo Barbieri – professore ordinario alla Cattolica di Milano – lo sguardo si è allargato all’intera produzione di Aldo, a sottolineare il suo ruolo di umanista impegnato in primis nel recupero della tradizione classica greca-romana, ma sempre attento alle profonde suggestioni dell’umanesimo cristiano. Il prof. Carlo Pulsoni dell’Università di Perugia ha indagato il rapporto tra Aldo e i suoi testi, nella prospettiva moderna e innovativa della cura filologica profusa dietro ogni singola edizione, sia essa classica che volgare. In tal senso ha ribadito il proficuo rapporto ventennale intessuto con Pietro Bembo, alla cui acribia ecdotiPalazzo Caetani 3 (2015)
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ca si deve buona parte delle edizioni aldine, ancora insuperabili dal punto di vista testuale. Piero Scapecchi, già responsabile dei fondi antichi della Nazionale di Firenze, ha indagato testimonianze interne ai libri o tramandate da epistole e documenti che possano servire a ricostruire alcuni passaggi della biografia di Aldo ancora poco noti, quale ad esempio il suo giovanile periodo bassianese e romano. Infine Laura Lalli della Biblioteca Apostolica Vaticana si è soffermata sulla produzione degli eredi di Aldo, che hanno portato avanti sino alla fine del XVI secolo la sua preziosa eredità culturale, lasciando ai posteri decine di altre edizioni similmente impeccabili. 13
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Una di queste è stata di recente rinvenuta in occasione dell’inventariazione del fondo antico della Fondazione Caetani: si tratta dell’opera di Carlo Sigonio, Emendationum libri duo, stampata da Paolo Manuzio nel 1557. Sul frontespizio campeggia la celebre àncora con delfino in una corona di frutti e foglie d’alloro, ai cui lati compare la scritta Aldus. Storico, umanista, professore di letteratura a Venezia, Padova e Bologna, Carlo Sigonio compose la dissertazione sulle
antichità romane entrando in polemica con Francesco Robortello. Si tratta della prima edizione, che seguiva a due anni di distanza la sua eccellente edizione delle storie di Tito Livio, le orazioni Pro Eloquentia e il Regum, consulum, dictatorum, ac censorum Romanorum fasti. Paolo Manuzio stampò ben 10 edizioni di Sigonio, a segnalare un rapporto consolidato di stretta collaborazione e stima reciproca. Fabio Massimo Bertolo
La committenza di Beatrice e Giovanna, nobildonne Caetani della seconda metà del Cinquecento Nell’ambito dei miei studi di dottorato sulla committenza delle famiglie Caetani e Cesi tra il 1560 e il 1590 ho concentrato la prima fase della ricerca sulle figure di Beatrice e Giovanna Caetani, figlie di Bonifacio Caetani e Caterina Pio di Savoia. Nel contesto del mecenatismo di casa Caetani della seconda metà del Cinquecento le figure delle due nobildonne, ma soprattutto di Beatrice, stanno pian piano emergendo nel corso delle mie ricerche come partecipi dell’ambiente culturale e religioso romano del tempo, e come raffinate committenti. Nel maggio del 1561 Beatrice sposò Angelo Cesi, matrimonio caldeggiato dai cardinali Niccolò Caetani
e Federico Cesi, da tempo in buoni rapporti con la famiglia Caetani, mentre la sorella Giovanna sposò nel 1565 Virginio Orsini, duca di Sangemini, altra famiglia molto legata a casa Caetani. La prima importante commissione artistica è per la chiesa del Gesù. Nel 1584 infatti le due nobildonne, insieme a Porzia Orsini dell’Anguillara, moglie di Paolo Emilio Cesi, marchese di Riano, finanziarono, ognuna con 1000 scudi, la decorazione della cappella della Madonna della Strada nel transetto sinistro della chiesa. La cappella, come è noto, fu progettata dal padre gesuita Giuseppe Valeriano che lavorò anche ai bellissimi di-
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pinti con Storie della Vergine, insieme con Scipione Pulzone, pittore legato a casa Caetani. La cappella è ornata nella volta da Angeli musicanti affrescati da Giovan Battista Pozzo, e nelle pareti da una ricchissima decorazione in marmi mischi, compiuta da Bartolomeo Bassi, scalpellino specializzato nella lavorazione dei marmi (cfr. L. Nocchi, Gli scultori della famiglia Cesi a Roma (1540-1590), Tesi di laurea, Dipartimento Studi Umanistici, Università degli Studi di Roma Tre, 2014, pp. 107-111). Oggetto di importanti studi (vedi F. Zeri, Pittura e Controriforma. L’arte senza tempo di Scipione da Gaeta, Torino, Einaudi, 1957, pp. 76-77; P. Pecchiai, Il Gesù di Roma, Roma, Società Grafica Romana, 1952, pp. 89-91; G. A. Bailey, Between Renaissance ad Baroque: Jesuit art in Rome 1565-1610, Toronto, University of Toronto press, 2003, pp. 214-216) la cappella non è stata mai abbastanza valutata nel contesto della committenza Caetani di quegli stessi anni. Le mie ricerche stanno mettendo in luce quanto questa iniziativa artistica si colleghi strettamente ad altre promosse dai Caetani, in una fitta rete di rapporti con le grandi famiglie romane. La costruzione della chiesa del Gesù era stata appena terminata grazie al finanziamento del cardinale Alessandro Farnese, cugino del cardinale Niccolò Caetani, con il quale fu sempre in ottimi rapporti. Anche la famiglia Cesi era legata ai Farnese, e da questo punto di vista dobbiamo Palazzo Caetani 3 (2015)
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anche considerare che Olimpia Orsini, figlia di Porzia dell’Anguillara e nuora di Beatrice Caetani, poiché ne aveva sposato il figlio Federico I duca di Acquasparta, commissionò la decorazione della cappella di San Francesco nel transetto destro della chiesa del Gesù. Come era consuetudine le nobildonne erano fortemente devote e sostenevano confraternite e congregazioni; delle due sorelle Caetani è in particolare Beatrice, rimasta vedova nel 1570, quella particolarmente vicina alla compagnia del Gesù. Già nel 1580 aveva infatti fondato a Sermoneta, parte dei feudi Caetani, una Confraternita nel nome di Gesù; nel suo testamento del novembre 1608, oltre a lasciare varie suppellettili sacre per la cappella della Madonna della Strada del Gesù, destinò del denaro anche alla casa Professa. Nel 1597 Beatrice compare inoltre come testimone nella causa di beatificazione di San Filippo Neri, che dichiarò di conoscere da più di vent’anni e di avere visto a casa di suo fratello Onorato Caetani e nella chiesa della Vallicella (G. Incisa della Rocchetta, Il primo processo per San Filippo Neri nel Codice Vaticano latino 3798…, vol. II, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1958, pp. 147149). La famiglia Caetani era legata all’Oratorio dei Filippini sin dalla sua origine ed aveva infatti acquisito il patronato della cappella per la quale Camillo Caetani commissionò a Scipione Pulzone la celebre Croci15
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Cappella della Madonna della Strada, parete d’altare, Roma, chiesa del SS. Nome di Gesù (Patrimonio Fondo Edifici di Culto).
fissione. Da queste poche notizie è evidente che Beatrice è molto vicina ad alcune delle congregazioni più importanti e influenti di Roma, ed era parte di un piccolo gruppo di colte nobildonne, tra le quali spicca anche Porzia Orsini dell’Anguillara. Porzia fu la committente della pala con l’Immacolata Concezione di Scipione Pulzone (1581) per la chiesa di San Bonaventura di Roma, di una cappella dedicata all’Assunta nella chiesa di Santa Maria in Via, e di un’altra in Santa Maria sopra Minerva, per la quale Andrea Cesi, dopo la morte della madre Porzia, commissionò a Ottavio Leoni un dipinto con la Visione di San Giacinto.
Ancora nell’ambito della committenza Caetani un’altra opera che potrebbe essere avvicinata a Beatrice è il ritratto femminile, già in palazzo Caetani alle Botteghe Oscure, la cui collocazione è attualmente sconosciuta. Attribuito a Scipione Pulzone anche nel recente libro di Adriano Amendola (A. Amendola, I Caetani di Sermoneta. Storia artistica di un casato tra Roma e l’Europa nel Seicento, Roma, Campisano Editore, 2010, p. 120), che lo identifica con il ritratto di Isabella Caetani, il ritratto non è registrato nell’ultima monografia sul pittore (Scipione Pulzone da Gaeta a Roma alle Corti europee, catalogo della mostra a cura di A. Acconci e A. Zuccari, Roma, Palombi,
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Cappella della Madonna della Strada, parete d’altare, Roma, chiesa del SS. Nome di Gesù (Patrimonio Fondo Edifici di Culto).
2013). Potrebbe essere invece, come propone Giovanna Sapori, opera di Girolamo Siciolante da Sermoneta, pittore anche lui di casa Caetani. La dama ritratta potrebbe essere Beatrice Caetani, moglie di Angelo Cesi: il dipinto sarebbe quindi da datare negli anni Settanta. È naturale ricordare che Siciolante lavorò più volte per la famiglia Cesi, e che proprio per Angelo dipinse nel 1567 il Martirio di Santa Caterina per la cappella di famiglia in Santa Maria Maggiore. Infine, come già notò Amendola, il ritratto della dama potrebbe essere identificato con quello citato nell’inventario di casa Caetani del 1665: «un ritratto di donna vestita di negro con pendenti di perle Palazzo Caetani 3 (2015)
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e con una catena d’oro in testa attorno alli capelli e perle con il collaro bianco e merletti, che esce alla cimarra con catena al collo d’oro, pittura in tavola, cornice di legno intagliata et indorata, misura di testa, segnato 58». Molti altri sono però i ritratti femminili, ed anche maschili, elencati nel 1665 ancora da identificare e da studiare, come prova la scoperta dei quattro bellissimi disegni di Ottavio Leoni che ritraggono quattro personaggi di casa Caetani (Ottavio Leoni (1578-1630), Les portraits de Berlin, a cura di F. Solinas, Roma, De Luca editori d’arte, 2013, pp. 144-149). Livia Nocchi 17
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L’epistolario di Beatrice Caetani Cesi, 1557-1608 L’archivio Caetani conserva oltre 50 lettere di Beatrice Caetani Cesi (15441608), interamente autografe, che lo storico di famiglia, il principe Gelasio Caetani, aveva già notato durante il riordinamento dell’archivio avito. Ne aveva segnalato la presenza nel secondo volume della Domus Caietana, ma non rientrava nel suo progetto scientifico l’analisi capillare dei vari carteggi, e infatti si servì dell’epistolario solo per illustrare brevemente i meriti e tratteggiare i caratteri di Beatrice. L’epistolario di Beatrice è testimonianza di un momento cruciale dell’ascesa politica Caetani ottenuta attraverso una sapiente trama di rapporti e legami matrimoniali. In pochi anni, tra il 1560 e il 1570, la casata aveva rinsaldato rapporti con i più alti am-
bienti ecclesiastici e politici, tramite il matrimonio di Beatrice con Angelo, nipote di un eminente prelato, il cardinal Federico Cesi e tramite il matrimonio del fratello di lei, Onorato, con Agnesina Colonna, per consolidare il legame con una famiglia a sua volta legata alla corona spagnola. Notevoli gli interlocutori della Cae tani: dal potente cardinale Niccolò al segretario di casa, Giovan Francesco Peranda, ai familiari, il padre Bonifacio, i fratelli Camillo e Isabella, alla nipote Camilla Costanza d’Aragona. Beatrice sembra avere ereditato dalla madre, Caterina Pio di Savoia, un’attenzione particolare per le vicende economiche e amministrative e di questo venne elogiata dal nipote, Federico il Linceo, che ne sottolineava il ca-
Beatrice Caetani a Niccolò Caetani Roma 1 agosto 1566 Ill:mo et Rev:mo Mons:or mio Zio Patron Ossmo Il dispiacere che io ho sintito per la morte del sig:or Guglielmo pur ogni cosa che viene dalla man del nostro Sig:re Idio avemo tutti a pigiare per la meglio siche VS Illma Revma la ringratio della monitione che ha fatto al sig:or Angelo che se adesso non la conosie viera tempo che se na acorgera me incresce che a niuno fa piu danno che a questi poveri figli si che prego VS Illma Revma che non si voglia scordar di me che altra speranza non ho se non la sua con questo gli baso le mani Da Roma il primo del Agosto 1566 D. VS Ill:ma Rev:ma humile serva Nipote Batrice Caetana Cesi 18
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rattere «più che virile» in un’epigrafe presso la tenuta di Monticelli. Rimasta vedova precocemente, si occupò anche dell’amministrazione dello stesso feudo di Monticelli, partecipando alle riunioni e alla vita cittadina e ordinando la cura del decoro urbano. Fu una donna colta, si appassionò di lettura, attività che lei stessa definì come l’unica capace di offrirle «refrigerio» in luoghi privi di umana conversazione e per questo sollecitava il suo amico e confidente Peranda perché le mandasse nuovi volumi per trovare conforto e consolazione. Suonava il «gravicembolo», e le vennero dedicati sonetti e balli da maestri di chiara fama dell’epoca. Fu testimone nel processo di beatificazione di padre Filippo Neri con il quale ebbe «ventidue anni circa» di consuetudine e amicizia, fre-
quentato prima in casa Caetani e poi in casa Cesi. Con la sorella, Giovanna, e la cognata Porzia dell’Anguillara, fu committente della cappella della Madonna della Strada presso la chiesa del Gesù di Ignazio di Loyola. A Sermoneta istituì una confraternita dedicata al nome di Gesù, attiva ancora nella seconda metà del Settecento. In definitiva, l’epistolario ci offre un’angolatura particolare sulla vita politica, religiosa, storico-artistica, musicale della città di Roma e sull’attività delle donne di altissimo lignaggio. Le lettere sono in corso di pubblicazione nella collana “La memoria restituita. Fonti per la storia delle donne”, a cura di Marina Caffiero e Manola Ida Venzo. Caterina Fiorani
Un Album amicorum del Cinquecento a Palazzo Caetani Un recente scandaglio nella Miscellanea dell’Archivio Caetani, raccolta di manoscritti e anche di rari libri a stampa, ha rivelato un ospite sinora sconosciuto: un prezioso volumetto miniato cinquecentesco (cm 15,5×10,5 – Misc. 1266). Alla richiesta di un parere non era difficile per chi, come me, ha dimestichezza con la pittura del nord Europa identificarlo come un Liber o Album amicorum. Si tratta
infatti di un tipico esempio di quei libri di autografi raccolti soprattutto da studenti universitari ma anche da nobili, prelati, eruditi, soldati ed artisti, secondo una consuetudine diffusa in area nord-europea, ma non in Italia, prevalentemente nel Cinquecento e nel Seicento. Nel periodo degli studi universitari in Inghilterra, in Germania, nei Paesi Bassi, in Francia o in Italia, nel corso di viaggi o nell’am-
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bito della vita di relazioni in patria, il proprietario dell’album richiedeva ad amici e conoscenti non solo di firmare ma anche di aggiungere un ricordo, una massima o una citazione. Il Liber amicorum è generalmente arricchito da immagini, inizialmente da xilografie o piccoli disegni, schizzati dal proprietario stesso, e poi da miniature; i soggetti sono prevalentemente emblemi, vedute di città, personaggi in costume contemporaneo, scene di vita quotidiana o ufficiale, paesaggi, soggetti militari, stemmi (cfr. ad esempio J. L. Nevinson, Illustrations of Costume in the Alba Amicorum, in «Archaelogia», IX (1979), pp. 16-176; R. Fabri, H. van de Velde, Bound in Friendship The liber amicorum or Friend’s Books in the Sixteenth and Seventeenth Centuries in the Netherlands, giornale della mostra, The Rockox House Museum, Anversa 2013). Immagini e iscrizioni erano finalizzate a celebrare il proprietario, la sua famiglia, la cultura la posizione sociale, a registrare fasi, luoghi, itinerari e incontri della sua vita. Ma è chiaro che le immagini sono determinanti per la creazione di un oggetto prezioso destinato anche a piacere e a divertire, a rappresentare il mondo nella sua meravigliosa varietà, le città, gli usi e i costumi, le diverse classi sociali, il lavoro e il piacere, le feste e i giochi, gli amori e le guerre. Un gran numero di esemplari è conservato nei musei e nelle biblioteche pubbliche di Londra, Oxford, Weimar, Nuremberg, Bruxelles, The Palazzo Caetani 3 (2015)
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Hague e in molte altre città europee ed americane, ma in Italia l’album Caetani è una vera e propria rarità. Esso raccoglie autografi di membri di nobili famiglie, come Hohenzollern, Hohenlohe, Öttingen, Lichtenstein, e di altri personaggi borghesi o altro non ancora identificati. Le iscrizioni sono per la maggior parte in lingua tedesca, solo alcune in lingua latina e italiana (rare sono in francese e spagnolo), e seguono formule più o meno fisse: «Zur freundtlicher vndt gutter gedechtnuss schrieb dieses In Padua den 14. Octob(er) A(nn)o 1595 Heinrich Burggraff vndt Herr von Dhona». Come di consueto, i nomi sono accompagnati dalla data e dal luogo: se ne ricava che il libro fu utilizzato dal 1591 al 1601 e che il proprietario risiedeva prevalentemente a Padova. Difficile identificarlo: le prime pagine sono rimaste bianche e non sembra che vi sia riferimento al suo nome negli autografi degli amici, peraltro a volte non interamente decifrabili, nonostante l’aiuto di Nina Pleuger, che ha trascritto i testi in tedesco. È probabile che si tratti di uno dei numerosi tedeschi – aggettivo che indica in realtà una provenienza da un’area geografica molto vasta, dal Tirolo all’Ungheria, alla penisola scandinava – che in quegli anni, come precisano i documenti, frequentavano nello Studium padovano i corsi di diritto, filosofia, medicina (L. Rossetti, Matricula nationis germanicae artistarum in Gymnasio Patavino. 1553-1721, Padova, Antenore, 1986). 21
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Tenendo conto di una iscrizione a matita in francese (f. 156), datata 1833 e siglata I.M.I, si può ipotizzare, nella speranza di trovare qualche notizia d’archivio, che fosse stato acquistato o acquisito dai Caetani dopo quella data, forse da uno dei numerosi bibliofili della famiglia. Vi sono miniati molti stemmi nobiliari, arricchiti da fantasiosi ornamenti, secondo la voga divulgata anche dalle incisioni, scene, personaggi, vedute in gran parte della Venezia contemporanea. Gli studi hanno accertato la esistenza di botteghe specializzate che producevano libri o fascicoli sciolti di pagine già illustrate con scene e figu-
re e pagine bianche destinate ad accogliere gli autografi degli amici del proprietario. Questo spiega anche nel libretto Caetani la non ordinata sequenza cronologica degli autografi e la diversità delle carte utilizzate. Le immagini degli album derivano quasi sempre da modelli, soprattutto da fortunate raccolte di costumi e vedute come quelle di Lucas de Heere, di Bertelli, di Cesare Vecellio, di Giacomo Franco. A quest’uso si deve la presenza degli stessi soggetti, pure con varianti, in album di diversa origine geografica. Così nel libretto Caetani la Veduta di piazza S. Marco, Gli amanti in gondola, La donna che si tinge i capelli, il Doge, La sposa vene-
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ziana o la Cortigiana hanno riscontri negli album del British Museum (ms. 15076) del 1576, esaminato da Nevinson, di Los Angeles County Museum of art del 1595, del Cabinet des dessins del Louvre, databile intorno al 1600 (su quest’ultimo cfr. V. Forcione in De la Renaissance à l’Age baroque. Une collection des dessins italiens pour les musées de France, catalogo della mostra, Pechino 2004, Roma-Parigi 2005, a cura di D. Cordellier, Parigi 2005, pp. 34-49). Gli alba amicorum sono stati studiati soprattutto come fonti per la storia sociale, culturale e religiosa (M. C. Tucker, L’album amicorum, étude d’un document-témoin de l’histoire Palazzo Caetani 3 (2015)
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sociale des étudiants au XVIe et XVIIe siècles (1550-1630) à travers les images, in Pouvoir de l’image aux XVe, XVIe, XVIIe siècles, Clermont-Ferrand, 1986, pp. 455-470). Dal punto di vista della storia dell’arte, sono ben noti gli album composti da artisti come Otto van Veen, maestro di Rubens, o da eruditi come il cartografo Abrahm Ortelius. In generale, alcuni autori delle immagini sono pittori noti, altri meno conosciuti sono stati identificati grazie alla firma o alla sigla, altri sono destinati all’anonimato. A volte era lo stesso proprietario che incaricava un artista di dipingere un avvenimento o una scena, ma in generale più di un artista lavora alle immagini di un li23
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bretto come si deduce dalla diversità di qualità e di stile. Perciò nel libretto Caetani alcune immagini sono certamente di buona qualità, altre sono di forme più corsive. È quindi un genere di produzione molto specializzata di opere spesso collettive e in un certo senso seriali che suscita più di una riflessione, da approfondire nel corso dello studio che sto svolgendo sull’intero libretto Caetani in vista della pubblicazione nella collana “Arte, archeologia e storia urbana” della Fondazione. In primo luogo, è da precisare l’ambiente artistico di provenienza nell’ambito della pittura nord-europea di fine secolo tra Germania e Paesi Bassi e in particolare nell’ambito della «ma-
niera piccola» (su carta o su rame) molto praticata dagli artisti nordici, anche da quelli che lavorano in Italia (G. Sapori, Fiamminghi nel cantiere Italia. 1560-1600, Milano, Electa, 2007, pp. 9-23). Vi eccellevano, solo per fare qualche nome, l’anversese Joris Hoefnagel che viaggiò per l’Europa, lavorò a Venezia, poi per la corte bavarese e infine per l’imperatore Rodolfo II a Praga; Hans Rottenhammer che da Monaco arrivò a Roma, a Venezia (1595/15961606) e infine a Augsburg; Anthoni Baijs, forse originario di Anversa e attivo per Ferdinando II del Tirolo a Innsbruck. Giovanna Sapori
La villa Caserta all’Esquilino La storia dei Caetani, come quella di molte illustri famiglie, è legata a dei luoghi strategici: quello di provenienza, quelli che ne hanno segnato la storia e anche i palazzi in cui per generazioni essi hanno abitato e che hanno trasformato secondo i loro gusti e le loro necessità. I Caetani hanno sicuramente trovato nel palazzo in via delle Botteghe Oscure un luogo adatto alle loro esigenze di
rappresentanza. La nuova residenza, acquistata nel 1776, consentiva un definitivo spostamento della vita della famiglia dai feudi alla città, dovuto anche al passaggio, tra Sette e Ottocento, da una economia di tipo feudale ad una gestione più moderna del patrimonio del casato (Palazzo Caetani. Storia, arte e cultura, a cura di L. Fiorani, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato 2007). Il palazzo in
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cui la famiglia aveva avuto la sua dimora romana ufficiale sino ad allora era quello situato in via del Corso (C. Pietrangeli, Palazzo Ruspoli, Roma, Editalia, 1992), scelto per allontanarsi dalle piene del fiume Tevere a cui erano soggette le precedenti residenze, quella sull’Isola Tiberina e quella nel palazzo all’Orso. Venduto ai principi Ruspoli nel 1713 da Michelangelo I Caetani, il palazzo al Corso non fu mai particolarmente amato dalla famiglia, che principalmente risiedeva tra Sermoneta e Cisterna, nonostante i lunghi lavori di restauro che vennero eseguiti per adeguarlo alle loro esigenze. Per un lungo periodo, che durò circa sessant’anni, fin quando Francesco V, duca di Sermoneta e primogenito di Michelangelo Palazzo Caetani 3 (2015)
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Pianta della Villa Caserta, 1806, Archivio Caetani.
I, avviò le trattative per l’acquisto del palazzo Mattei alle Botteghe Oscure dai Serbelloni di Milano, la famiglia utilizzò come residenze romane il palazzo in affitto a Campo dei Fiori e la villa che possedeva sul colle Esquilino (fig. 1), non lontano dalla basilica di santa Maria Maggiore (P. Tournon, Note sulla scomparsa villa Caserta nel rione Esquilino, «Strenna dei Romanisti», 64, 2003, pp. 643-648). La villa fu un acquisto di Michelangelo I ed era comunemente denominata “Villa Caserta” in ricordo del titolo di principi di Caserta detenuto dai Caetani. Sebbene la storia di questa proprietà sia stata indagata in diverse occasioni, non è mai stata, a mio 25
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Pianta di Roma incisa da Antonio Barbey, editore Domenico De Rossi, 1697, tratta da Le Piante di Roma, a cura di A. P. Frutaz, Roma 1962, 3 voll., CLXII, tav. 378.
avviso, adeguatamente approfondita, soprattutto in considerazione del fatto che il duca Francesco e la sua famiglia vi trascorsero parte della loro vita. È probabile che ciò derivi dal fatto che la villa fa parte di una fase della storia della famiglia meno studiata fino ad ora e che ne sopravvivano pochissime tracce: è infatti stata quasi completamente distrutta tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento (P. Colini Lombardi, Vecchio e nuovo Esquilino: la coroncina scomparsa, in «Capitolium», 10, 1934, pp. 19-32). Grazie alle ricerche compiute nel corso del mio lavoro per la tesi di dottorato, fra i documenti dell’Archivio Caetani sono però lentamente affiorate molte notizie relative a questa residenza che vanno ben oltre
le sommarie indicazioni note fino a questo momento tramandate dalle fonti. Già noto era il contratto di acquisto stipulato tra il precedente proprietario, il marchese Antonio Turboli, e il duca Michelangelo Caetani (Archivio Caetani, Misc. 388/941). In precedenza la villa era stata residenza romana del cardinale fiorentino Francesco Nerli (1636-1708) (fig. 2), che a sua volta aveva fatto sistemare una struttura più antica, una vigna appartenuta alla famiglia Cesi (fig. 3). Sebbene questa notizia fosse già conosciuta è ora confermata con certezza e con maggiori dettagli anche dalle fonti archivistiche: la villa Cesi è infatti menzionata negli inventari di Pier Donato Cesi, nell’Archivio di Stato di Roma, in relazione a ritrovamenti archeologici e lavori di sistemazione (questa notizia mi è stata gentilmente indicata dalla collega e borsista Caetani Livia Nocchi). Le informazioni più consistenti
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provengono però dai libri contabili del Fondo Economico dell’Archivio Cae tani, accuratamente esaminati nel corso delle mie ricerche. Negli anni successivi all’acquisto della villa numerosi pagamenti per muratori, falegnami, pittori e altri artigiani dimostrano che Michelangelo I impiegò molte risorse nella sistemazione e decorazione interna dell’edificio, forse anche in previsione di un utilizzo nel periodo dell’abbandono dalla precedente residenza, il palazzo Rucellai al Corso. Nel corso di questi lavori fu costruito anche il muro di cinta e completata la nuova facciata con scalone d’onore. I pagamenti connessi alla villa proseguono anche nei conti del successore di Michelangelo, Francesco V, che sappiamo vi trascorse molto tempo con la prima moglie Teresa Corsini. Il duca era vivamente attratto dalle
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scienze più che dall’arte – il vero promotore delle politiche artistiche della famiglia fu il fratello monsignor Onorato –, egli era anche membro di diverse accademie, tra cui l’Arcadia e i Lincei, e partecipava attivamente alle riunioni di cui spesso la villa divenne sede durante la sua permanenza. Le frequenti riunioni di eruditi sono testimoniate da numerosi pagamenti, conservati nel Fondo Economico, che attestano la presenza di musici e di ricchi banchetti che accompagnavano le feste organizzate dal Duca. L’interesse per le scienze ha riscontro anche nella costituzione di una biblioteca di palazzo e nell’avviamento di un’attività tipografica con l’insediaLa Vigna Cesi nella pianta di Mario Cartaro, 1576, tratta da Le Piante di Roma, a cura di A. P. Frutaz, Roma 1962, 3 voll., CXXVI, tav. 241, part.
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mento di una stamperia proprio tra le mura della Villa Caserta. Ma di certo il luogo in cui gli interessi del Duca ebbero modo di convergere in una esemplificazione pratica fu il giardino: celebrato in poemi, descrizioni e pubblicazioni scientifiche, divenne uno dei più famosi della città come tra i più incantevoli e fu trasformato da Francesco V in un vero e proprio orto botanico (A. Campitelli, La Villa Caserta all’Esquilino: un orto botanico privato, in Orti botanici: passato, presente, futuro, Atti del Convegno, 29-30 giugno 1995, pp. 237-246). Se molto si è scritto riguardo a questo, per l’edificio invece poche erano, fino ad ora, le informazioni in nostro possesso, sia dal punto di vista architettonico sia decorativo, nonostante sia possibile, ad esempio, che la villa fosse il luogo in cui furono spostate parte delle collezioni provenienti dal palazzo ceduto ai Ruspoli e che forse erano lì conservati alcuni degli arredi trasferiti successivamente alle Botteghe Oscure (A. González-Palacios, Arredi e ornamenti a Palazzo Caetani, in «Proporzioni», 5, 2004 (2006), pp. 184-228). Alcune novità, per quel che riguarda gli interni, vengono da una rilettura di documenti già indagati in altri contesti di studio, come l’Inventario dei Beni di Michelangelo I redatto nel 1760 (Archivio Caetani, Misc 296/451), successivamente alla sua morte, dal quale risulta che parte degli arredi e dei dipinti descritti si trovavano proprio nella villa all’Esquilino. Quindi grazie ad ulte-
riori approfondimenti sui documenti nell’Archivio Caetani e alle ricerche condotte negli Archivi Storici pubblici sono certa sarà possibile aggiungere ancora qualche tassello per la storia di questa residenza. Dopo essere stata dimora di diversi membri della famiglia, dagli anni Trenta dell’Ottocento vi risiedette Alfonso Caetani del quale si conserva un piccolo ritratto a figura intera, ancora oggi a Palazzo Caetani. Ho potuto riconoscere nell’edificio alle spalle di Alfonso proprio la villa Caserta, grazie alla presenza dell’arco romano detto “di S. Vito” – elemento topografico che caratterizza l’area. L’edificio e tutto il suo giardino vennero venduti da Michelangelo II Caetani e acquisiti nel 1855 dall’ordine religioso di sant’Alfonso de Liguori per risanare l’economia dissestata del casato. Essi avevano infatti bisogno di una sede per stabilire una casa madre a Roma, come è stato possibile comprendere soprattutto grazie alle mie ricerche nell’Archivio della Congregazione. Nel corso degli anni sia il nucleo principale dell’edificio sia il meraviglioso giardino vennero completamente smantellati per le necessità della vita quotidiana dei suoi nuovi proprietari. Il primo edificio ad essere costruito ex-novo nell’area in cui sorgeva l’ingresso principale della villa fu la chiesa dell’ordine. Del giardino venne mantenuta solo una parte dedicata alla coltivazione e successivamente gran parte venne espropriata nel corso dei lavori per Roma capitale che prevedevano l’ampliamento di
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via Merulana e la costruzione di nuove strade intorno all’area dell’attuale piazza Vittorio Emanuele (fig. 4). Le ultime distruzioni degli edifici risalgono agli anni Trenta del Novecento, soprattutto in vista della costruzione del Collegio Alfonsiano. Questi lavori vennero registrati sia nell’archivio dei padri Liguorini sia nell’Archivio
Capitolino e quindi è stato possibile trovare delle inedite informazioni da aggiungere a quanto già ricordato per arricchire le notizie sulla storia di questa residenza dimenticata che è stata al centro della vita della famiglia nel corso del Settecento. Ilaria Sferrazza
La cartografia italiana di Rilke La cultura intellettuale e artistica tedesca è stata da secoli legata all’Italia, alla civiltà e al paesaggio italiano con esempi straordinari, che hanno segnato radicalmente la storia spirituale della Germania e dell’Europa come il viaggio romano di Lutero all’origine della rottura con Roma, o il soggiorno italiano di Winckelmann decisivo per la nuova sensibilità neoclassica o il biennio romano di Goethe che ha contribuito a fondare la grande cultura classico-romantica. E da allora il “viaggio in Italia” è diventato una stazione obbligatoria per la formazione degli artisti e degli intellettuali, almeno fino al Primo Novecento come confermano le opere ispirate dal nostro paese di Heinrich e Thomas Mann o di Hermann Hesse. Un caso particolare è costitui to da Rilke, che ha avuto la Francia
come paese e cultura di riferimento primario, mentre l’Italia, con la sua civiltà estetica e con il suo paesaggio, ha rappresentato un’esperienza secondaria che però lo ha segnato profondamente. Il rapporto di Rilke con l’Italia è connotato da alcune costanti che lo differenziano da quello degli altri scrittori: come Hesse fu grande camminatore in Toscana e in Umbria, frequentatore di osterie e di locande economiche, così Rilke fu ospite assiduo di residenze aristocratiche. Per il poeta di Praga – dopo una breve puntata a Venezia nel 1897 – il primo importante e prolungato contatto con l’Italia avvenne a Firenze nella primavera del 1898. E il tema della primavera costituisce il leitmotiv metaforico e artistico del soggiorno, caratterizzato dal culto del Rina-
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scimento, mutuato dalle letture di Nietzsche, di Burckhardt e di Walter Prater. Rilke abita, con entusiasmo, in una stanza con un ampio terrazzo sulla città: ‹‹Un sogno, una visione di poeta››. Il culto del Rinascimento è il segnale dell’estetismo dell’epoca, come pure della forte influenza che Lou Salomé esercita sul giovane poeta, con cui ha intrecciato una relazione intima, che contribuisce decisivamente alla sua formazione sia estetica sia anche esistenziale al punto che René diventò per sempre Rainer, accogliendo il suggerimento della donna amata di rendere più virile il suo nome. Il legame è così intenso che a Firenze, per la prima ed ultima volta, Rilke tenne un diario quale dialogo costante con Lou. In quei giorni avviene, per caso, un incontro straordinario ai Giardini di Boboli con Stefan George, già riconosciuto come il vate della lirica tedesca del tempo, che coglie l’occasione per redarguire il giovane collega ancora prigioniero di un manierismo impressionistico, che inficia la densità della sua scrittura poetica. Successivamente Rilke incontra il pittore Heinrich Vogeler che ebbe un ruolo importate nella sua vita: lo invitò nella colonia di artisti di Worpswede dove il poeta incontrò la scultrice Clara Westhoff, la sua futura moglie. Nella città toscana sorsero vari componimenti poetici, tra cui due dedicati già nel titolo al Rinascimento, interpretato in chiave simbolista, con una visione della figura dell’artista che lotta con la materia Palazzo Caetani 3 (2015)
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in superba solitudine. L’immersione in quella cultura neorinascimentale lo porta a tradurre la celebre poesia di Lorenzo il Magnifico sulla giovinezza, confermando l’insolita facoltà empatica, nonché l’eccezionale capacità di Rilke come traduttore di poe sia anche a riprova della sua buona conoscenza dell’italiano. Insomma fu un periodo creativo. Non si ripeté più che il poeta lasciasse una traccia così cospicua del suo soggiorno, anche se si dovrebbe parlare di diario toscano piuttosto che fiorentino: infatti ai primi di maggio Rilke, probabilmente turbato dalla monumentalità di Firenze, si trasferisce a Viareggio, allora ancora appartato ed esclusivo lido della Versilia, prediletto da D’Annunzio. Al ritorno cominciò sempre con Lou un’altra grande apertura geoculturale di Rilke: la Russia, seguita dal soggiorno a Worpswede e poi nel 1902 dal trasferimento a Parigi, che è la metropoli che lo influenzò maggiormente. Sono i mesi, in cui è segretario di Rodin, un periodo che si interruppe, non senza contrasti, cui pose fine un lungo soggiorno a Roma, insieme a Clara dal settembre 1903 al giugno del 1904. Rilke abita da solo dapprima accanto al Campidoglio e successivamente a Villa Strohl-Fern, dove Clara ha il suo atelier, mentre lui trasloca in dicembre in una dependance del parco. Il trasferimento è un chiaro segnale di critica verso l’atmosfera museale di Roma, già allora meta di cospicui flussi turistici, che lo sollecitano a criticare quella 31
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‹‹Museumsstimmug››. Nel buen retiro di Villa Strohl-Fern l’otto febbraio Rilke inizia a scrivere il Malte, opera senza alcun riferimento con la città, così come Mann, anni prima, a via di Torre Argentina aveva scritto I Buddenbrook, il più nordico dei suoi romanzi. I commenti su Roma sono contrastanti, ma il tono di fondo è d’insofferenza per una città ‹‹senza stile, simile a una sola grande mostra di cui presto ci si stanca››, anche se alcune poesie, ispirate dalle fontane, dai giardini, dagli acquedotti sono tra le sue liriche più intense. Il soggiorno romano conferma la natura intima di Rilke quale artista estraneo all’esperienza di massa che connota i flussi turistici della grande città. A Venezia amò la Giudecca e in Italia – che per lui rimane una mera espressione geografica, linguistica, culturale, artistica e non politica – i luoghi più legati alla sua arte e alla sua vita sono Capri, in cui soggiornò a lungo nel 1906-1907 e nel 1908, e il Castello di Duino. A Capri – come spesso gli succedeva – è ospite di una generosa e ricca aristocratica, Alice Faehndrich nella dependance, detta la “Casina delle rose” della Villa Discopoli. Scrisse varie liriche ispirate alla natura elementare dell’isola in inverno, con
Maurice de Guerin, Der Kentaurer, übertragen durch Rainer Maria Rilke, Leipzig im Insel-Verlag, 1919. Con dedica di Rilke alla principessa Caetani. Palazzo Caetani 3 (2015)
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gli elementi naturali protagonisti dei giorni e delle notti capresi: il mare, il vento, gli scogli, la pietra intesa come elemento primordiale, Urgestein. Scenari potenti che gli suggeriscono una delle liriche più suggestive: Das Lied von Meer. Piccola Marina. I giorni sono tutti suoi, mentre di sera ci si riunisce e si legge o la padrona di casa riceve ospiti in un clima di mondanità cosmopolita. Lui visita lo scrittore svedese Axel Munthe e Maxim Gorki, entrambi presenti sull’isola. Nelle lettere si coglie un certo disagio per gli obblighi mondani, cui non può sottrarsi. Già a Roma si percepiva l’assenza di quell’entusiasmo che aveva connotato il soggiorno fiorentino. Capri è legata a Napoli, l’altra grande città italiana, che Rilke visita, ma per brevi soggiorni e senza che la città lasci tracce nella sua opera, pur trovandola, a differenza di Roma, ‹‹veramente vivace, un vero mondo e una prossimità di un mare››. Il legame, non sempre libero, con i mecenati caratterizza anche i numerosi soggiorni veneziani. Nel tardo autunno del 1907, ospite delle sorelle dell’antiquario Romanelli, s’innamora di una delle due, Mimì, in un rapporto amoroso consegnato all’epistolario piuttosto che alla frequentazione, che dà luogo a una intensa raffigurazione lirica di Mimì come ‹‹la donna che ama in solitudine››, ‹‹die Wartende››, ‹‹colei che attende››. Venezia è spesso la stazione per raggiungere il Castello di Duino, che allora era ancora territorio au33
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striaco, ma che Rilke vive come una realtà italiana, o meglio come un luogo della poesia, sospeso dall’attualità, lanciato su quel mare che gli ispira l’opera più matura e complessa: Elegie di Duino, scritte a partire dal primo soggiorno tra l’ottobre 1911 e maggio 1912, ospite della principessa Maria Thurn und Taxis, con cui intraprende anche a tradurre la Vita Nova di Dante, anche se di questa impresa non si è conservato nulla. Tornò ancora al Castello, passando per Venezia, nell’ottobre 1912. Nella primavera del 1914 fu ospite per l’ultima volta di quel ‹‹luogo della rinascita artistica››, come è stato scritto. Oltre a Duino, fu spesso ad Arco sul Lago di Garda, un altro piccolo pae se italiano, ma appartenente all’Austria, per visitare la madre che vi si era ritirata. Da Duino compie escursioni a Grado, Saonara e il 26 settembre del 1912 ad Arquà per visitare la casa e la tomba di Petrarca, per lui uno dei massimi poeti europei. Vi è inoltre un’altra Italia in cui Rilke dimorò a lungo: la poesia italiana. Il poeta conobbe e studiò molti scrittori, soprattutto Michelangelo, simbolo della sua concezione dell’artista rinascimentale, nonché Lorenzo il Magnifico e la poetessa Gaspara Stampa, che rievoca nel Malte e nella prima delle Elegie di Duino, esponente purissima del petrarchismo. A Kippenerg, il suo editore dello Insel-Verlag, ne propose un’ampia traduzione nell’anno della sua morte. Si confrontò, da quel grande e appassionato
traduttore qual era, con Leopardi in una esemplare versione dell’Infinito. Nel dopoguerra intrattenne un epistolario con la Duchessa Aurelia Gallarati Scotti con una novità tematica rappresentata da inusuali commenti positivi sull’azione di Mussolini per la pacificazione dell’Italia; la duchessa tenta di replicare chiarendogli che l’avvento del fascismo ha coinciso con la repressione della libertà. Il poeta le invia un ritaglio del ‹‹Figaro››, che costituisce la sua fonte d’informazione, ribadendo la sua estraneità alla politica. Il giudizio sul regime fascista si complica per le conseguenze della Rivoluzione Russa che ha provocato sommovimenti minacciosi per l’Europa, la cui origine per lui, poeta estraneo alla politica, risalgono addirittura al 1866 con la prussificazione della Germania, con la scomparsa delle tante piccole patrie tedesche che costituivano la garanzia della pace europea. Per un impolitico si tratta di una interpretazione suggestiva, non priva di una profonda intuizione. L’ultimo contatto degli ultimi mesi di vita del poeta, è con Marguerite Caetani, principessa di Bassiano, con cui si stabilisce un rapporto di stima e di simpatia reciproca nel febbraio del 1925 in occasione della visita a Parigi di Hofmansthal e dell’invito da parte della principessa a Versailles. L’incontro si traduce nell’invito a collaborare alla rivista «Commerce››, che era ‹‹unter dem Protektorat von der Fürstin Bassiano›› con la collaborazione di Paul Valéry. Di nuovo il 23
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maggio Rilke è ospite, con Hofmannsthal, Valéry, Claudel e Schlözer, della Principessa e del Principe, su cui nel giugno del 1926, in occasione della messa in scena dell’opera Ipazia a Weimar, dà un giudizio estremamente positivo: ‹‹È un uomo della più pura natura, uno che merita l’origine nobile››. Se la morte precoce non fosse giunta nel dicembre 1926, il sodalizio con i Caetani avrebbe riservato un nuovo capitolo dei rapporti con l’Italia in una chiave nota al poeta, quella dello scambio culturale rispettoso e
cosmopolita. Si può notare che i rapporti con i mecenati aristocratici, da Alice Faehndrich a Maria Thurn und Taxis fino alla Principessa Caetani, hanno favorito il contatto con l’Italia, senza contribuire tuttavia a stabilire una vicinanza con la gente, come avvenne a Goethe e a Hesse. In ciò Rilke fu coerente con la sua missione poetica di solitudine e di distacco, completamente dedito alla vocazione della sua vita. Marino Freschi
Rudolph Kassner a Roffredo Caetani This letter was sent to Roffredo Caetani by the Austrian author and philosopher Rudolf Kassner (18731959). Kassner, a regular contributor to Commerce, corresponded extensively with Marguerite Caetani before and after World War II. This letter from 22 May 1950 fits in neatly with two letters Kassner sent her in March and August of that same year (see La Rivista Commerce e Marguerite Caetani. Briefwechsel mit deutschprachigen Autoren, herausgegeben von Klaus E. Bohnenkamp und Sophie Levie. Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2012, pp. 279-283). Kassner tells Roffredo that he has read in the paper that on Wednesday 24 May his “Spiel” will be performed. Palazzo Caetani 3 (2015)
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However, Kassner continues, due to his difficulties in moving (“meine Beweglichkeit”) he will not be able to attend the performance. He congratulates Roffredo and hopes that it will be a success. He wishes him and the family “alles Liebe”. Roffredo’s second opera, L’Isola del sole/‘Die Sonneninsel’ was performed on that date in the Stadtheater Basel (see Paul Op de Coul, Le composizioni di Roffredo Cae tani. Catalogo cronologico, in Roffredo Caetani. La personalità, la cultura, la musica, numero monografico di «Quaderni Storici» 3, Fondazione Roffredo Caetani, 2011, p. 40.) Sophie Levie 35
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Sierre 22.5.50. R<isposto> da Zurigo [in Caetani’s handwriting] Lieber, verehrter Freund! Ich lese in der Zeitung, dass es am Mittwoch zur Aufführung Ihres Spieles kommt. Ich hatte schon oft die Zeitung auf diese Nachricht hin durchgesehen. Leider kann ich nicht dazu kommen, denn meine Beweglichkeit nimmt alle Jahre ein wenig ab. Seitdem wir voneinander in Crans Abschied genommen haben, bin ich wieder hier, wieder auf der Terrasse mir Bewegung holend, und habe mich nicht gerührt. Dagegen ist nichts zu machen. Ich freue mich aber darum nicht weniger, dass es zur Aufführung kommt und wünsche von ganzem Herzen dass sie Ihnen Freude macht u. das Ganze ein Erfolg wird. Ihnen u. den lieben Ihren alles Liebe sagend, auf ein Wiedersehen hoffend, bin ich Ihr treu ergebener Rud. Kassner 36
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Tre ritratti della raccolta Caetani di antichità La Fondazione Camillo Caetani, nell’ambito del più ampio progetto di valorizzazione del patrimonio di sua proprietà, è di recente intervenuta con operazioni di pulitura delle superfici marmoree e restauro e con una nuova collocazione nella sala della Biblioteca Marguerite Caetani e nella sala Commerce, di tre sculture facenti parte della raccolta di antichità Caetani, ben nota almeno dalla metà del XVI sec. Le vicende della sua formazione e dispersione e la sua consistenza attuale sono state da tempo indagate da Maria Grazia Picozzi e da chi scrive in due contributi apparsi nel 2007 nel volume dedicato al Palazzo, curato da Luigi Fiorani, e lo studio dei 99 pezzi censiti, che si trovano attualmente nel Palazzo alle Botteghe Oscure, è ormai quasi ultimato. La pulitura e la nuova esposizione delle tre sculture ne permette ora una migliore leggibilità. Si tratta di una testa ritratto maschile e di due busti ritratto femminili di particolare qualità ed interesse. La testa maschile (Fig. 1), che doveva essere inserita in un busto panneggiato, è tagliata poco al di sotto del collo e mantiene una piccola parte delle spalle e del petto; raffigura un uomo di età matura, con baffi e barba, caratterizzato da una capigliatura con corte ciocche di capelli disposte a formare una frangia sulla fronte, che è segnata al centro da un profonda ruga; la chioma e la barba sono rese in piccole ciocche compatte che non alterano la regolare struttura del volto. La testa Caetani è una copia romana di buona qualità, databile in età tiberiana, da un originale greco di cui sono note altre repliche. Le opinioni sulla identificazione del personaggio rappresentato sono ancora molto discordi; si è in generale pensato che si possa trattare di un poeta (Callimaco, Apollonio Rodio o Antimaco di Colofone), o di un filosofo (Ermarco o Democrito). Sebbene il ritratto non sia riconoscibile negli inventari tra le antichità Caetani, la scultura deve aver fatto parte già della collezione seicentesca della famiglia: è stata riconosciuta infatti da Maria Grazia Picozzi come modello di una testa bronzea rinvenuta nel 1722 insieme ad altri ritratti nel mare al largo di Livorno, nella zona delle secche della Meloria; la testa bronzea riproduce esattamente la testa Caetani, anche nel particolare andamento delle ciocche di capelli dietro l’orecchio sinistro che distingue questa replica dalle altre note. Tutti i ritratti bronzei della Meloria sono stati riconosciuti come fusioni moderne dei primi decenni del XVII secolo; dovevano costituire il carico di una nave naufragata nelle acque del Tirreno davanti a Livorno, con le opere d’arte che trasportava, o abbandonato in mare durante una tempesta. È noto Palazzo Caetani 3 (2015)
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che in ambiente romano, spesso su commissione di personaggi anche di alto rango, vennero realizzate, nei decenni centrali del Seicento, fusioni da ritratti di greci illustri che si trovavano nelle collezioni romane; da queste fusioni si potevano eseguire poi getti in bronzo, per adornare per lo più biblioteche e ambienti di rappresentanza. Come ha ben dimostrato Maria Grazia Picozzi, due tra i quattro ritratti bronzei dalla Meloria (Sofocle ed Eschilo) sono derivati da ritratti della Collezione Giustiniani; il ritratto bronzeo di Omero è riconducibile all’Omero già Caetani, giunto poi attraverso il Bianchini a Verona: dalla testa presente nel Palazzo alle Botteghe Oscure, qui esaminata, è stata infine ricavata, secondo la tecnica della cera persa indiretta, la forma per la fusione da cui è derivato il bronzo della Meloria. Ugualmente alla collezione seicentesca Caetani si potrebbe forse riferire il secondo ritratto (Fig. 2): si tratta di una testa, leggermente rivolta a sinistra, come dimostra il rigonfiamento della muscolatura sulla parte destra del collo, impostata su un busto di pieno prospetto. Raffigura una donna la cui età matura è segnalata anche dall’accentuazione delle rughe intorno agli occhi, ai lati del naso e della bocca e sul mento; il volto dal largo impianto ha un’espressione dura, che è sottolineata anche dalla bocca sottile con il labbro superiore leggermente sporgente; la fronte ampia e spaziosa è incorniciata da una banda piatta di riccioli che si divide al centro formando una specie di triangolo, al di sopra della quale si dispone un doppio diadema di nove ciocche allungate e ondulate; in entrambe le fasce sovrapposte del diadema i riccioli sono in numero diverso sui due lati della testa, cinque a destra e quattro a sinistra, probabilmente perché il lato sinistro della testa era destinato ad essere meno visibile; due riccioli sono lasciati liberi davanti alle orecchie; sulla parte posteriore i capelli sono raccolti in una crocchia formata da piccole trecce. Il busto, pertinente, comprende l’attaccatura delle spalle ed è tagliato subito al di sotto del seno; è rivestito di tunica e manto, resi con pieghe piatte che si dispongono a formare un caratteristico motivo centrale a triangolo. Si tratta con buona probabilità di un ritratto di Marciana, sorella maggiore dell’imperatore Traiano (Francescangeli, Fittschen), che è stato datato nella prima età traianea, quando la donna doveva avere superato i 50 anni, sebbene rimanga aperta la possibilità che si tratti di una privata che, secondo un uso ben attestato nell’epoca, si ispira sia nell’acconciatura che nei tratti del volto ai ritratti delle donne della casa imperiale (Bonanno). Sul retro del busto panneggiato si legge un numero scritto in rosso (n. 3), che rimanda alla numerazione presente nell’inventario Archivio Caetani del 1662-1665 – Misc 194/398, c. 9 relativo ai materiali esistenti nel Palazzo Caetani sul Corso, venduto poi ai Ruspoli nel 1713; la scultura è così descritta 40
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in maniera generica: «Un busto di donna, di marmo, d’altezza p.mi 3 1/4, segnato n. 3». Il terzo busto, restaurato e collocato ora nella sala Commerce (Fig. 3), è un busto femminile di notevole qualità, tagliato poco al di sotto del seno, che conserva l’attaccatura delle spalle e buona parte delle braccia, coperto da un pesante panneggio; il volto, rivolto leggermente verso destra, mostra tratti giovanili: le guance sono piene, il mento è piccolo e arrotondato, gli occhi con sopracciglia incise presentano pupilla incisa a forma di crescente lunare. I capelli, divisi da una scriminatura centrale, si distribuiscono in bande orizzontali che lasciano scoperte le orecchie e sono raccolti sulla nuca in una larga crocchia intrecciata che risale sulla sommità del capo ed è coperta da una retina; piccoli riccioli liberi sono scolpiti alla base del collo e davanti alle orecchie. Si tratta con tutta evidenza del ritratto di una privata che si ispira liberamente alla ritrattistica delle donne della casa imperiale e ricorda, ad esempio per l’acconciatura, ritratti identificati con la moglie di Commodo, Crispina, o con quella di Caracalla, Plautilla. Anche per le caratteristiche di stile può essere collocato tra la fine del II e gli inizi del III sec. d.C. A differenza delle altre due sculture, il pezzo non sembra al momento riconducibile con sicurezza alla collezione seicentesca, a meno che non possa essere identificato con il ritratto di Crispina menzionato nelle Statue inventariate nell’atto costitutivo del fidecommesso Caetani (Archivio Caetani, Misc 95/22 c. 83) datato 7 novembre 1621. Franca Taglietti
Restauri di antichità, dipinti, arredi Nell’ambito dei restauri delle opera d’arte e degli arredi conservati in Palazzo Caetani e promossi dalla Fondazione, nel 2015 sono stati restaurati due tavoli da parete, intagliati e dorati. Il primo, con mascherone, del Seicento e il secondo del Settecento.
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N. inventario 1300, cm 98×179×89.
N. inventario 1309, cm 85×125×65. Palazzo Caetani 3 (2015)
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Le collane Archivio Caetani
a cura di Caterina Fiorani
Collana concepita per accogliere in una serie organica le pubblicazioni sui diversi fondi dell’intero corpus documentario della famiglia.
Volumi pubblicati 1. C. Fiorani, Il Fondo Economico dei Caetani duchi di Sermoneta, 2010 2. G. Bassani, M. Caetani, «Sarà un numero bellissimo». Carteggio 19481959, a cura di M. Tortora, 2011 3. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di Sophie Levie, I. Briefwechsel mit deutschsprachigen Autoren, hrsg. von K. Bohnenkamp und S. Levie, 2012 4. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di Sophie Levie, II. G. Ungaretti, Lettere a M. Caetani, a cura di S. Levie e M. Tortora, 2012 5. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di Sophie Levie, III. Letters from D.S. Mirsky and Helen Iswolsky to M. Caetani, edited by S. Levie and G.S. Smith, 2015 Sono in preparazione: 6. 7.
La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di S. Levie, IV. Correspondance française. Les directeurs. Édition présentée et annotée par Ève Rabaté et Sophie Levie La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di Sophie Levie, V. Correspondance française. Jean Paulhan et les auteurs français. Édition présentée et annotée par Laurence Brisset et Sophie Levie
Arte, archeologia e storia urbana a cura di Giovanna Sapori
Ideata per accogliere studi su temi in diverse forme e misure connessi alla famiglia Caetani.
Volumi pubblicati La pittura del Quattrocento nei feudi Caetani, a cura di A. Cavallaro – S. Petrocchi, 2013 44
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Sono in preparazione: Il Liber amicorum (1590-1601) della collezione Caetani, a cura di G. Sapori. G. Ioele, Prima di Bernini. Giovan Battista Della Porta scultore, 2016
Atti e rendiconti
a cura di Caterina Fiorani
Raccoglie gli atti dei convegni che si sono svolti presso il palazzo Caetani.
Volumi pubblicati 1. 2.
Luigi Fiorani, storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta. A un anno dalla morte, a cura di C. Fiorani e D. Rocciolo, 2013 Giorgio Bassani, critico, redattore, editore, a cura di M. Tortora, 2012
È in preparazione: Il ’900 di Marguerite Caetani, a cura di C. Fiorani e M. Tortora
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Schede di libri
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ISBN 978-88-6372-363-2
La pittura del Quattrocento nei feudi Caetani, a cura di Anna Cavallaro e Stefano Petrocchi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, pp. 547, fig. 127, tav. colori 16.
Fondazione Camillo Caetani Roma FONDAZIONE CAMILLO CAETANI ROMA
LA PIttURA DeL QUAttROCeNtO NeI FeUDI CAetANI
ffrontano con nuove osserumerose personalità artistildora, attivo a Subiaco, il nziata di Cori, Pietro ColeDesiderio da Subiaco, l’ineter Petrus, fino a maestri e ga fama, come Giovanni da o Romano e Cristoforo one pittorica quattrocentedionale – nelle province di ne, nelle zone dei Colli Allle dell’Aniene e dei Monti ale infatti ad un’occasione finora mai svolto analiticail forte richiamo che veniva piute su artisti di raggio looriginalità, come Antonio tro di Alvito nel Frusinate. erge inoltre, in filigrana, un ulturale, di cui la commitmponente di rilievo. In quevolume si propone come a conoscenza del territorio, tributo, frutto di nuove inulla pittura quattrocentesca
Il volume, nella collana della Fondazione Caetani: Arte, Archeologia e Storia Urbana, diretta da Giovanna Sapori, esamina la produzione pittorica nel corso del XV secolo nel Lazio meridionale. La pittura Come si legge nell’Introduzione dei curatori l’indagine è mirata ad una «acdel Quattrocento curata rilevazione territoriale circa la nei feudi Caetani pittura del Quattrocento», nell’omogea cura di neo territorio dei feudi Caetani, anche in relazione con i principali avvenimenti storici, compreso tra i due poli di Roma e Napoli inclusi gli importanti centri culturali delle abbazie di Subiaco e di Montecassino. Il volume si propone quindi come una ricognizione «della produzione pittorica quattrocentesca dell’area corrispondente ai territori delle attuali provincie di Latina, Frosinone, alle zone dei Colli Albani, della bassa Valle dell’Aniene e dei Monti Prenestini». Come rileva Giovanna Sapori nella Prefazione, questa inchiesta si presenta dunque «come un ritorno quasi inaspettato a quelle ricerche sul territorio impostate sul metodo del rilevamento sistematico in un arco cronologico definito», oggi purtroppo rarissime. I risultati della ricerca diretta da Cavallaro e Petrocchi, specialisti della pittura laziale del Quattrocento, sono proposti al lettore in dodici saggi e in una appendice che ha per titolo Censimento di dipinti del Quattrocento nel Lazio meridionale (provincie di Roma, Latina, Frosinone). Redatti dai curatori e da due giovani studiose, Marianna Benigni e Emilia Capparelli, i contributi sono organizzati in due distinte sezioni. Nella prima, dedicata alla pittura tardogotica, vengono illustrate le figure del Maestro della cappella Caldora, di Antonio da Alatri, di Pietro Coleberti e di Giovanni da Gaeta, l’attività di Lello da Velletri e il ciclo dell’Annunziata di Cori. La seconda parte, che ha per tema la pittura rinascimentale, comprende invece i saggi dedicati a Magister Petrus, a Benozzo Gozzoli e Antoniazzo Romano, a Cristoforo Scacco, al Maestro di Altovito ed alla pittura a Cave e nel frusinate. Ognuno dei singoli contributi è seguito da schede, con illustrazioni, dedicate alle opere distribuite sul territorio che possono ANNA CAVALLARO SteFANO PetROCChI
Arte, archeologia e storia urbana Collana a cura di Giovanna Sapori “Arte, archeologia e storia urbana” è una nuova collana ideata, dopo “Atti e rendiconti” e “Archivio Caetani”, per accogliere studi su temi in diverse forme e misure connessi alla famiglia Caetani. Una speciale attenzione è rivolta ai giovani studiosi che, con un finanziamento della Fondazione, lavorano su un argomento Caetani per la tesi di dottorato. La Fondazione stessa promuove ricerche e studi sul patrimonio artistico ancora conservato nel palazzo a Botteghe Oscure; sulla storia e i caratteri di residenze, opere, edifici e luoghi e sulle loro vicende di conservazione a Roma e nelle aree un tempo parte dei feudi familiari; su artisti ed eruditi della famiglia.
Volumi in preparazione Il patrimonio artistico della Fondazione Camillo Caetani. Catalogo generale, a cura di Giovanna Sapori Laura Gori, I cardinali di casa Caetani e Giovan Francesco Peranda. Mecenatismo, collezionismo ed erudizione antiquaria nella Roma del secondo Cinquecento Giovanna Ioele, Giovan Battista della Porta scultore Paul Op de Coul, Roffredo Caetani compositore. La vita, le opere, il contesto
In sovracoperta: Antoniazzo Romano, Madonna con il Bambino e i santi Pietro e Paolo e il committente Onorato II Caetani d’Aragona, Fondi, chiesa di San Pietro (particolare).
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essere ricondotte ai modi del maestro o all’area oggetto del saggio. L’appendice infine, raccoglie altri quarantasei dipinti, affresco o su tavola, di cui vengono indicati la collocazione e il soggetto. È, quindi, una raccolta di studi monografici, analitici e aggiornati che fanno trasparire il lungo lavoro di ricognizione svolto dai due curatori sulla vasta area oggetto della loro inchiesta, come dimostra anche l’inclusione di opere presenti in centri non strettamente legati alla signoria dei Caetani o la segnalazione di opere pertinenti a questi contesti ma oramai da tempo trasferite in altre sedi. Il risultato è dunque un dettagliato censimento della pittura del XV secolo nel Lazio meridionale a quasi un secolo di distanza dal primo studio ‘ricognitivo’ dedicato alla pittura quattrocentesca laziale, quello che Achille Bertini Calosso affidò alle pagine del «Bollettino d’Arte» nel 1920, e dopo circa venticinque anni dall’Eclissi di Roma di Serena Romano (1992), che arrestava la sua indagine sulla pittura laziale al pontificato di Martino V Colonna. Da questi due fondamentali studi e da molti interventi su singoli argomenti e ovviamente dalle nuove ricerche viene alla luce il più cospicuo e sistematico repertorio dedicato alla pittura laziale del Quattrocento, campo di studi assai poco frequentato dopo gli anni Ottanta del Novecento. Accostando rapporti su personalità artistiche di rilievo come Antoniazzo Romano, Benozzo Gozzoli, Cristoforo Scacco, attivi per i Caetani a Sermoneta e Fondi, a relazioni dettagliate dedicate a figure o cicli pittorici meno frequentati dalla critica, questo studio dà conto con chiarezza della singolare ricchezza e varietà della pittura del territorio indagato. La scansione cronologica e per aree dei singoli contributi, col loro corredo di analitiche schede, fa emergere come nel corso del secolo si riverberino sulla pittura di questa vasta area sia fatti romani, napoletani e sublacensi che episodi pittorici che si svolgono tra la dorsale appenninica e l’Adriatico. La produzione pittorica di Pietro Coleberti da Priverno, al quale Stefano Petrocchi assegna qui alcune delle scene dell’oratorio dell’Annunziata a Cori, dimostra bene, per esempio, come sulla formazione e attività di questo maestro abbiano agito sia la presenza a Subiaco del Maestro della Cappella Caldora – esponente della pittura tardogotica abruzzese – che i modi di maestri umbri e marchigiani, molti dei quali attivi a Roma per Niccolò V. Modi umbri e marchigiani, in parte ancora da chiarire, si ritrovano anche nella pittura di Giovanni da Gaeta, la cui formazione si svolse a Napoli e nella cui pittura emergono tratti di cultura iberica e suggestioni mutuate dalla pittura del Trecento napoletano e lombardo. La complessa cultura di questo maestro si ritrova in molte pitture murali fondane o dell’entroterra frusinate. Alla varietà dei linguaggi a cui attingono Coleberti e Giovanni da Gaeta, segno di una ricca circolazione di opere e artisti, sembra sostituirsi nella seconda metà del secolo una tendenza più uniforme. L’analisi degli inediti cicli della fine del Quattrocento di Santa Maria in Plateis, San Lorenzo e di Sant’Anatolia a Cave ne è una prova lampante poiché rivelano un lessico nato dall’interazioni tra i due dominanti poli produttivi di Roma e Napoli. Il diagramma tracciato dal volume sembra dimostrare dunque che l’originale lessico locale trova la sua più naturale e già riconosciuta spiegazione nella peculiarità di questo territorio, anello di congiunzione, geografico e storico, tra il centro e il mezzogiorno d’Italia (Beatrice Cirulli). Palazzo Caetani 3 (2015)
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Dante Alighieri, Rimes, traduction, préface et notes de Jacqueline Risset, Flammarion, Paris, 2014 Poche settimane prima di morire, Jacqueline Risset è riuscita a terminare la sua ultima fatica: la traduzione delle Rime di Dante. Non occorre qui ricordare la sua lunga carriera di dantista (traduttrice della Commedia): e tuttavia, era la stessa traduttrice a ripeterlo, le Rime sono di una difficoltà che può apparire (ed essere) addirittura maggiore di quella riscontrabile nelle tre cantiche. Ciò nonostante, la Risset è stata in grado di recuperare il dato profondo delle diverse Rime, ossia la musicalità, ottenuta da Dante non tanto attraverso un’esibita armonia, quanto affidandosi a un irregolarità che scuote incessantemente il lettore. E proprio quest’unione dell’eterogeneo, restituito con perizia dalla traduzione di Jacqueline Risset, è uno dei dati più moderni che Dante ha saputo impiantare nella cultura occidentale.
Letters from D. S. Mirsky and Helen Iswolsky to Marguerite Caetani, edited by S. Levie and G. S. Smith, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2015 Che «Commerce» sia stata una delle espressioni più alte del modernismo europeo è indubbio, e in più occasioni ricordato; e che il modernismo sia definizione che si applica per lo più alla letteratura occidentale è altrettanto difficile da smentire. Per questo motivo giunge opportuna l’edizione che raccoglie le lettere di D. S. Mirsky e Helen Iswolsky inviate a Marguerite Caetani negli anni appunto di «Commerce». Rivista, vale la pena a questo punto ricordarlo, sulla quale vennero pubblicate pagine di Babel, Osip Mandel’shtam, e Boris Pasternak: ossia di quegli autori che in diverse occasioni – si allude ad esempio al lavoro di Gifford, pubblicato nel 1990 e dedicato a Pasternak and European Modernism – vengono definiti 48
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modernisti e sono specifica espressione di un modernismo europeo e orientale. E anche di quest’apertura a Est, «Commerce» seppe farsi lucida interprete.
La camera delle meraviglie. Seduzioni dai gioielli Castellani, a cura di Alfonsina Russo Tagliente e Ida Caruso, L’«Erma» di Bretschneider, Roma, 2015 In occasione del nuovo allestimento della collezione Castellani presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, a seguito del grave furto subito dal Museo e dalla collezione stessa, Alfonsina Russo Tagliente e Ida Caruso hanno voluto ripercorrere in un volume di recente edizione (novembre 2015) l’evoluzione dell’attività di oreficeria della famiglia Castellani, attività debitrice per larga parte ai disegni e ai suggerimenti del duca Michelangelo Caetani (cfr. il saggio di C. Fiorani) e agli incisori romani (cfr. il saggio di L. Pirzio Biroli Stefanelli). È stato anche analizzato il rapporto dei Castellani presso la corporazione dei Maestri Orafi dell’Alma Città di Roma (C. di Giacomo); la passione e il fascino nutriti dai Castellani per l’oro e i gioielli nel mondo antico (P. G. Guzzo, A. Russo Tagliente, I. Caruso), l’analisi della collezione attraverso le gemme Castellani (R. Cosentino, P. Serafin). Chiudono il volume le analisi della tecnica del micromosaico (M. G. Branchetti, R. Grieco) e della tecnica costruttiva (E. Butini, F. Butini, M. Angelini, A. Di Giovanni con indagini scientifiche di G. Guida).
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Convegni e mostre Officina Risset. Un’avanguardia a più voci. Jacqueline Risset e le arti. Tradurre l’Europa, (Palazzo Caetani-Centro di Studi italofrancesi, Roma, 13-14 aprile 2015) Nella giornata del 13 aprile 2015 la Fondazione Camillo Caetani ha dato avvio all’Officina Risset, un laboratorio permanente dedicato alla riflessione sullo statuto dell’arte, della letteratura e della cultura in genere. Il primo incontro è stato dedicato proprio a Jacqueline Risset, membro del consiglio della Fondazione. Moltissimi amici e studiosi, coordinati da Andrea Cortellessa, si sono succeduti, mostrando quanti e quali filoni di ricerca, che derivano proprio dall’opera di Risset, sono ancora forieri di sviluppi: in modo particolare il colloquio si è soffermato sui concetti di modernità, di avanguardia,
e di interdisciplinarietà che caratterizzano il percorso culturale di Jacqueline Risset. Il giorno seguente, presso il Centro Studi Italo Francesi, sempre in collaborazione con la Fondazione Camillo Caetani, si è tenuto un convegno focalizzato sull’attività di traduttrice della studiosa: Momenti del tradurre. Vi hanno partecipato Francesco Laurenti, Federica D’Ascenzo, Anna Trocchi, Giacomo Marramao, Corrado Bologna. In concomitanza con il seminario svoltosi nella sala Commerce e dedicato a Jacqueline Risset, è stata inaugurata anche una mostra che ha riunito opere di artisti ispirate all’opera della studiosa: tra gli altri Barceló, Pomodoro, Rouan, Vila. Una sezione particolare della mostra è stata riservata ad alcune creazioni di Elisa Montessori, che traggono spunto esplicitamente da Puissances du Sommeil, la raccolta
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poetica pubblicata da Risset nel 1998, e che con alcuni dei testi raccolti nel volume danno vita ad un profondo e vitalissimo dialogo. L’iniziativa peraltro aveva proprio l’obiettivo di illustrare i molteplici rapporti che la rifles-
sione letteraria di Jacqueline Risset era capace di intrattenere con altre discipline: tra le quali appunto la pittura e i suoi artisti (nella pagina accanto un momento del seminario nella sala Commerce di Palazzo Caetani).
L’attualità di Aldo Manuzio. Giornata di studi (Palazzo Caetani, 8 ottobre 2015) Si è svolta l’8 ottobre 2015 presso la sala Commerce della Fondazione Camillo Caetani un seminario dedicato ad Aldo Manuzio, in cui si è voluto ripercorrere lo stretto rapporto con i Caetani (Aldo, come è noto, fu nativo di Bassiano, feudo Caetani, e il figlio fu precettore dei rampolli Caetani), soffermandosi in modo particolare sulle importanti moderne procedure di stampa del tipografo bassianese. Nell’adiacente saletta è stata allestita una mostra documentaria con gli atti di vendita dalla famiglia Manuzio a Giacomo II Caetani, nel 1413, con le procure in cui figurano in qualità di testimoni avi del famoso stampatore e con alcune edizioni aldine gentilmente concesse in prestito dal dott. Fabio Massimo Bertolo di Minerva Auctions. Palazzo Caetani 3 (2015)
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Geografie della modernità, Società italiana per lo studio della Modernità Letteraria (Perugia, 10-13 giugno 2015) L’ultimo convegno annuale della Mod (Società italiana per lo studio della Modernità Letteraria), tenutosi a Perugia dal 10 al 13 a giugno, ha visto la collaborazione della Fondazione Camillo Caetani. Durante i quattro giorni di lavori, studiosi italiani e stranieri si sono concentrati sul tema Geografie della modernità, ossia sull’intersezione proficua che approcci geografici applicati al paradigma letterario possono offrire. La prospettiva comparatistica ha permesso di avere uno sguardo più ampio di alcune dinamiche tipiche delle società letterarie di Otto e Novecento. Inoltre, non poche relazioni erano dedicate a quegli scrittori che furono promossi e divulgati da
Marguerite Caetani attraverso «Commerce» prima e «Botteghe Oscure» poi; le stesse riviste sono stati più volte chiamate in causa.
Attività in collaborazione Corso monografico di Psicologia dell’Arte Dal 2014, grazie ad un accordo istituzionale tra la Fondazione Caetani e l’Accademia di Belle Arti di Roma, la Fondazione offre ospitalità alle lezioni del Corso e del Laboratorio di Psicologia dell’Arte. I corsi sono stati dedicati all’analisi comparativa di tre ritratti dell’Abate Onorato Caetani, realizzati da tre artisti diversi sul finire del Settecento e conservati presso la sede della Fondazione.
Spiega la titolare del corso, prof.ssa Miriam Mirolla: «Il ritratto è un tema centrale nella psicologia dell’arte e lo è, a maggior ragione, nella ricerca eventualista applicata all’arte antica, che si propone di valutare e ‘misurare’ la risposta cognitiva dell’osservatore contemporaneo di fronte alle diverse rappresentazioni di uno stesso soggetto. I tre ritratti di Onorato Caetani, realizzati da Anton Raphael Mengs (1779), Pompeo Batoni (1782) e Angelica Kauffman (1784), sono stati oggetto di uno studio sperimen-
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tale impostato secondo i principi e le modalità della ricerca eventualista e sottoposti a un’inedita procedura sperimentale ideata e progettata collettivamente all’interno del corso stesso. A partire dai principi dell’Eventualismo, esplorando la biografia e la personalità dell’Abate Caetani, ricostruendo la dinamica relazionale tra l’Abate e Mengs, Batoni e Kauffman, tale sperimentazione si è posta lo scopo di far emergere le differenze psicologiche e di interrelazione tra artisti e committente, le differenze stilistiche e iconografiche fra i tre dipinti, le inferenze percettive e i conflitti interpretativi dell’osservatore contemporaneo» (cfr. www.fondazionecamillocaetani.it). Sognare l’Arcadia Sognare l’Arcadia. Stefano Torelli «peintre enchanteur» nelle grandi corti del Nord Europa è il titolo del libro, edito nell’ottobre del 2013 dalla Bononia University Press, che lo scorso 4 dicembre 2014 è stato commentato e discusso presso la sala Commerce della Fondazione Camillo Caetani, auspice il suo Presidente, Bruno Toscano, che ha presenziato e diretto l’incontro. Dinanzi a un pubblico scelto quanto interessato Bernardina Sani dell’Università di Siena, Duccio Marignoli della Fondazione Caetani, Donatella Biagi Maino dell’Università di Bologna, presso la quale lavora l’autrice del volume, Irene Graziani, hanno sì presentato l’opera ma soprattutto desunto e dibattuto problematiche varie da questo testo, denso di novità e acuto nelle interpretazioni. La Graziani, studiosa agguerrita della pittura del Settecento bolognese, ha ricostruito, recuperando la parabola culturale e di vita del Torelli, la trama sottile dei rapporti intercorsi tra le corti, le accademie, i singoli artisti, teorici, letterati e intermediari e procacciatori d’arte quali Ludovico Bianconi, Francesco Algarotti, in un crescendo di Palazzo Caetani 3 (2015)
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commesse per i bolognesi – accanto al Torelli lo smagliante Serafino Barozzi, dalla personalità multiforme e dai molti talenti; alcune tele qui pubblicate si riconoscono per opere di Ubaldo Gandolfi – e di conquiste intellettuali nel percorso che lega Dresda a Lubecca a San Pietroburgo alla lontana Bologna, la cui scuola artistica si dimostra all’epoca ancora in grado di proiettare lume di civiltà. Di questo, del ruolo di intermediari quali i letterati sopra citati si è discusso con l’autrice, la cui ricerca fonda su una disamina attentissima delle fonti e una puntuale lettura del documento pittorico, interpretato nelle componenti diverse e nel significato che rivestì in un’epoca in cui ancora si voleva credere di poter reinventare l’Arcadia. Più che una presentazione ex-cathedra, dunque, una serrata discussione sulle molte aperture offerte dallo studio della Graziani che ha coinvolto anche gli astanti, in una sorta di non prevista ma stimolante tavola rotonda. D onatella Biagi M aino La catalogazione del libro antico Il progetto di catalogazione del fondo librario antico e moderno della biblioteca della Fondazione Camillo Caetani ha previsto la catalogazione di 661 unità bibliografiche consultabili online attraverso l’OPAC dell’Indice di SBN (Servizio Bibliotecario Nazionale). Il fondo, prevalentemente antico, comprende 34 edizioni del ’500, ma in maggior parte edizioni del ’600, del ’700 fino al 1830; soltanto una minima parte è successiva a questa data. Tra le cinquecentine è venuta alla luce un’opera di particolare interesse di Carlo Sigonio, pubblicata a Venezia da Paolo Manuzio nel 1557: Caroli Sigonii Emendationum libri duo. Quorum argumentum proximae pagellae indicabunt. - Venetiis : [Paolo Manu53
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zio], 1557 ([Venezia : Paolo Manuzio]). – [12], 159 [i.e 155], [1] c. : ill. ; 4º). Inoltre, peculiarità di non poca importanza è la presenza di note di possesso, di ex libris, di timbri, di dediche di autori, rilevati all’interno dei libri catalogati. Spesso si tratta di preziosi indizi che permettono di ricostruire i passaggi di proprietà del singolo volume attraverso i secoli. In quanto ai possessori, i nomi della famiglia Caetani che ricorrono più spesso sono quelli di Livio, Ersilia, Gelasio, Leone e Michelangelo. Ad alcuni di loro i libri sono dedicati dall’autore stesso. Infine, è importante sottolineare che un cospicuo numero di esemplari è caratterizzato da lunghe note manoscritte di Annibale Bontadosi (1805-1881) il quale li aveva lasciati in eredità a Enrichetta Caetani. Stefania Bernabei
Stage in Archivio Nell’anno in corso ha svolto la sua attività di tirocinio obbligatorio la studentessa Sarah Fràttola dell’Università di Ravenna, corso di laurea in Storia e Conservazione delle opere d’arte. La tirocinante ha verificato in modo sistematico la descrizione e la documentazione fotografica prodotte durante il censimento del patrimonio storico-artistico della Fondazione Camillo Caetani. Ha elaborato modalità di implementazione del sistema, revisionando lo stato dell’etichettatura, gli elenchi fotografici, gli indici e, dall’archivio fotografico, ha digitalizzato materiale cartaceo di particolare pregio. Il lavoro permette alla Fondazione di conservare l’intero patrimonio storico-artistico censito e ben indicizzato, divenendo base di lavoro per futuri studi e ricerche.
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Borse di studio In seguito alla convenzione stipulata nel febbraio 2003 tra il presidente della Fondazione Camillo Caetani, avv. Giacomo Antonelli e il direttore del Dipartimento di Studi storico-artistici dell’Università Roma Tre, prof. Vittorio Casale, la Fondazione eroga ogni anno una borsa triennale di dottorato su argomenti storico artistici pertinenti la famiglia Caetani.
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2015-2017 Alfredo Franco, Organizzazione del territorio e regime delle acque nei feudi Caetani tra Medioevo ed età Moderna 2014-2016 Livia Nocchi, La committenza delle famiglie Caetani e Cesi a Roma (1560-1590) 2013-2015 Ilaria Sferrazza, La collezione Caetani nel Settecento: acquisizioni e dispersioni 2012-2014 Francesco Leonelli, Onorato VI Caetani e la cultura romana di fine Settecento 2011-2013 Veronica Giuliani, I paesaggi di Ninfa. Cultura e natura nel disegno storico del territorio
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Palazzo Caetani 3 (2015)
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2010-2012 Matteo Braconi, Il mosaico dell’abside della Basilica di S. Pudenziana a Roma. La storia, i restauri, le interpretazioni 2009-2011 Giulio Del Buono, L’area del Foro Olitorio, del Foro Boario e dell’Isola Tiberina fra tradizione e trasformazione: sviluppo di un paesaggio urbano tra la metà del IX sec. e la metà del XII sec. 2008-2010 Federica Savelli, I Caetani e la contea di Fondi tra XIV e XV secolo: la produzione artistica e le sue vicende conservative. 2007-2009 Giulia Facchin, Archeologia e storia di un paesaggio urbano: l’area a nord di via Botteghe Oscure 2006-2008 Giovanna Ioele, Giovanni Battista Della Porta scultore (Porlezza 1542 - Roma 1597) 2004-2006 Cecilia Metelli, Il distacco delle pitture murali negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo 2003-2005 Laura Gori, I Caetani e le arti nella seconda metà del Cinquecento
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