ALFONSO STICKLER, Il Giubileo di Bonifacio VIII Aspetti giuridico-pastorali

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FONDAZIONE CAMILLO CAETANI

CENTRO DI STUDI INTERNAZIONALI GIUSEPPE ERMINI FERENTINO

ROMA

Riproduzione digitale

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ALFONSO STICKLER

Il Giubileo di Bonifacio VIII Aspetti giuridico-pastorali

Roma 1977





IL

GIUBILEO DI BONIFACIO VIII ASPETTI GIURIDICO-PASTORALI


A FONDAZIONE Camillo Gaetani, non si è, certamente, lasciata guidare da un criterio campanilistico quando ha voluto dedicare le due prime conferenze della sua attività pubblica al grande Papa Caetani in relazione al primo Anno Santo; perché nel giubileo d'argento degli Anni Santi il richiamo al primo era più che doveroso e perché la circostanza offriva inoltre l'opportunità unica per riconsiderare questa figura di Papa, tanto contrastata ancor oggi nella storiografia quanto indiscutibilmente grande, nella vita della Chiesa di quel tempo e ciò non solo per rendere maggiormente giustizia alla persona di Bonifacio VIII, ma più ancora per vedere in una luce più chiara e vera la storia della Chiesa di cui era allora il capo e che determinava con la sua azione. Ed è proprio per corrispondere a questo intento che ho scelto come tema specifico di questo incontro, dopo quello più generale della prima conferenza 1, gli aspetti pastorali-giuridici del primo Giubile9. Essi ci permetteranno non solo di cogliere alcuni elementi ben precisi di ecclesiologia che il giubileo del 1300 mette in evidenza e sviluppa a sua volta, ma di individuare tratti personali di Bonifacio VIII che lo caratterizzeranno come Sommo Pontefice e che possono illuminare l'azione generale di governo della Chiesa attraverso il Papato di quei secoli e in quelle condizioni di storia ecclesiastica.

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Sono, naturalmente, debitore alla storiografia moderna su Bonifacio VIII e il Giubileo del 1300 di cui ci ha parlato, con la competenza che gli è propria, il Prof. Morghen 2 • In modo particolare vorrei accennare all'esemplare lavoro di Arsenio Frugoni 3, condotto direttamente sulle fonti primarie tra cui emergono la cronaca del Card. Jacopo Gaetano Stefaneschi e la Glossa del Card. Jean Lemoyne alla Bolla di indizione del Giubileo. Siamo particolarmente fortunati di avere tali fonti dirette, di valore unico e indiscutibile. Tutte e due sono non solo di contemporanei agli avvenimenti di cui danno testimonianza ma di Cardinali, presenti nei Concistori del Papa e perciò, oltreché conoscitori diretti dei fatti e delle idee e decisioni del Pontefice, anche collaboratori in quella consulta unica nella quale maturavano le più importanti decisioni per il governo della Chiesa Romana ed universale. Jacopo Gaetano Stefaneschi di Roma, ove nacque nel 1270 circa, fu creato cardinale il 17 dicembre del 129 5 da Bonifacio VIII al quale era particolarmente caro. Scrisse la cronaca del primo giubileo ( « De centesimo seu iubileo anno li ber »). Sempre presente nel collegio cardinalizio morì ad Avignone il 22 giugno del 1343 4 • Jean Lemoyne, chiamato latinizzato Joannes Monachus, è invece nato a Crécy in Picardia attorno al

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1250. Dopo gli studi di diritto canonico fatti a Parigi, andò a Roma e fu creato cardinale da Papa Celestino V il 30 settembre del 1294. Tra i più eminenti canonisti di quel tempo, commentò il Liber VI di Bonifacio VIII e scrisse glosse a parecchie decretali extravagantes tra cui anche la famosa « Unam Sanctam » e la « Antiquorum habet fida relatio » che è precisamente la Bolla di indizione dell'Anno Santo Bonifaciano . Impegnato nel continuo servizio dei Papi morì ad Avignone nel 1313 (22 agosto) 5 • Saranno queste due anche le nostre fonti principali, insieme con lo stesso testo della Lettera Pontificia di indizione del Giubileo 6, che ci condurranno nelle considerazioni che sto proponendo a questo eletto uditorio.

I. È ampiamente documentato dal racconto del Card.

Stefaneschi come da altre testimonianze contemporanee, e perciò oggi comunemente accettato, che l'idea del Giubileo non è nata nella mente del Pontefice e dei suoi consiglieri, i cardinali. Li ha, anzi, colti tutti di sorpresa. Non è il caso di dilungarci qui sul complesso problema delle cause che lo hanno suscitato: cause remote

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quale l'antico culto petrina e il pellegrinaggio alla tomba degli apostoli per ottenere grazie e remissione delle proprie colpe; cause più recenti come la indulgenza accordata per la grande opera di difesa della Terra Santa e dell'ortodossia contro i movimenti ereticali; oppure cause prossime quali i movimenti spirituali e, soprattutto l'avvicinarsi della fine del secolo che ha sempre dato origine ad impulsi spirituali più accentuati, anche se non così travolgenti come il compiersi del primo millennio cristiano. È stato senza dubbio un fenomeno di spiritualità popolare che ha suscitato, su fondamenti parzialmente sia veri che immaginari, questa attesa, diventata man mano convinzione, che cioè tutti i pellegrini alla tomba del principe degli apostoli potevano ottenere il perdono completo di tutte le loro colpe in questo anno del compiuto secolo. E in questo l'idea degli anni giubilari dell'Antico Testamento come figura di conciliazione e di liberazione dai debiti di ogni genere non era certamente estranea, anzi, era uno dei motivi più prossimi e concreti di attuazione.

Ma il Papa non ha certamente dato molto credito a questa convinzione popolare anche perché alla prima voce del giubileo aveva fatto fare delle ricerche negli archivi curiali senza però trovare testimonianza scritta alcuna. Solo quando, colla notte dall'l al 2 di gennaio

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del 1300, scoppiò, per così dire, la pietà popolare affollando incredibilmente la Basilica di S. Pietro per l'acquisto del perdono, il Papa cominciò a prendere posizione positiva. Essendo egli, secondo l'esplicita testimonianza del Card. Stefaneschi « ingenio vigil refertusque sollertia », vale a dire vigile d'indole e pieno di accortezza, non solo non proibiva quell'affollarsi, ma mostrava che gli era accetto e confermava così il voto dei pellegrini. E di fronte al persistere del movimento pensò seriamente ad una azione autorevole Pontificia che desse piena soddisfazione e sanzionasse il moto popolare. Per questo scopo chiese il parere dei cardinali che era senz'altro favorevole. Per la chiarezza necessaria fu redatto un testo sulla sostanza della concessione da fare il quale veniva discusso con i cardinali e approvato. La decisione Pontificia è del 16 febbraio ed è datata dal Laterano, allora sede dei Papi. Ma Bonifacio VIII che aveva ormai sposato in pieno la causa, volle dare alla concessione fatta anche una pubblicazione adeguata. A questo scopo decise di recarsi personalmente alla basilica di S. Pietro nel giorno dedicato alla cattedra, e di promulgare dinanzi alla folla ivi radunata l'indulgenza, facendo cambiare la data della Bolla dal 16 febbraio al 22 febbraio, per sottolineare il rapporto tra la concessione e la tomba di San

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Pietro 7 • Il fedele cronista Stefaneschi ci attesta l'immenso giubilio che la comunicazione Pontificia suscitò nella folla presente e come d'ora in poi il giubileo avesse il suo pieno svolgimento lungo tutto l'anno 1300. Abbiamo voluto sottolineare questo carattere particolare della genesi del Giubileo con questa sommaria descrizione prima di passare al contenuto pastoralegiuridico della concessione così come si presenta attraverso la Lettera Pontificia di indizione. Il fatto unico della retroattività del disposto della Bolla di quasi due mesi (dal 16-22 febbraio 1300 al 24-25 dicembre del 1299) dimostra al di sopra di ogni dubbio che non è stato il Papa ad ispirare e a suscitare il movimento spirituale del giubileo; ma prova altresì che il Papa ha avuto anzitutto una sensibilità pastorale che potrebbe anche far meraviglia a chi vede in Benedetto Caetani solo l'uomo autoritario e altero, impegnato in azioni di lotta esterna. Chi invece guarda al Pontificato di Bonifacio VIII almeno anche sotto l'aspetto dell'azione apostolica nell'interno della Chiesa così come risulta attraverso gli atti di governo spirituale attestati nel suo Registro e nel suo Liber VI 8, trova nel Giubileo da lui voluto l'espressione del suo senso apostolico e pastorale piì1 fine ed insieme più vigoroso senza dover ricorrere a motivi di opportunismo e di calcolo, ispirati da una pura affermazione di potere.

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Ma l'azione del Pontefice mostra insieme anche il suo già ben noto senso giuridico. Il Card. Stefaneschi ci dice che il Papa voleva lo scritto, in forma di lettera bollata, per la chiarezza della condotta da tenere vale a dire per la sicurezza di tutta la disposizione in una materia praticamente nuova 9 • E, ben conscio dell'urgenza della cosa, si limita alla sostanza rinunciando alla forma elaborata. Il cronista dice bensì che il testo è stato più volte ritoccato per renderlo più elegante; ma ci fa anche capire che ciò non aveva importanza poiché i cardinali, consultati su di esso a turno, sostennero che il testo dovesse restare sostanzialmente quello che era. Giovanni Monaco, che guardava questa Lettera Apostolica proprio sotto l'aspetto giuridico, ci dice nella sua prima glossa che « haec epistola satis grosse fuit composita » 10 , giudizio che si può facilmente condividere se si confronta il testo scarno di essa, che annuncia appena la sostanza delle disposizioni, con lo stile curato, prolisso, descrittivo di altre decretali dello stesso Pontefice. Il diritto a stretto servizio della pastorale, per di più urgente, ecco le due caratteristiche della genesi del documento sul primo giubileo. Due aspetti che potremo non difficilmente riscontrare anche nella stessa sostanza dispositiva che vogliamo ora esaminare.

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II. Qui è da notare subito un elemento importante: nonostante che il cronista Stefaneschi e il commentatore Giovanni Monaco (come, del resto, anche il divulgatore, lo scrittore Pontificio Silvestro) 11 parlino esplicitamente e costantemente di « giubileo » riferendosi espressamente alla figura del giubileo dell'Antico Testamento, Bonifacio VIII non usa questa parola mai nella Lettera di promulgazione della indulgenza plenaria. E sembra che lo faccia coscientemente e volutamente. La conferma ce la dà abbastanza esplicitamente Giovanni Monaco: prima di tutto, dice, il giubileo ebraico era solo tipo e figura dell'indulgenza del NT, perché in quello si rimettevano tutti i debiti contratti; ma in questa si dà la remissione dei debiti spirituali, cioè. dei peccati che ottiene solo chi si pente e confessa, e con la conseguente indulgenza riceve anche il perdono della pena dovuta per i peccati commessi. Questo grande perdono, ricevendo la sua certezza con la nascita del Redentore, fissa il giubileo cristiano ogni anno nel giorno della nascita del Signore e perciò ogni Natale potrebbe chiamarsi, secondo la figura dell'Antico Testamento, anno cinquantesimo giubilare cristiano 12 • Ma il Papa, ci dice Giovanni Monaco riportandoci una testimonianza diretta ( « sicut ego ex ore ipsius audivi »), non volle seguire la figura vecchiotestamen-

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taria di ogni 50 anni per due ragioni esplicite: prima perché la trad1zione, anchç se in questo caso nella forma di una semplice fama Ìna largamente divulgata, testimoniava una tale remissione solo ogni cento anni dalla nascita del Signore; e questa tradizione, per quanto debolmente documentata, il Papa non volle disattendere per il centesimo anno che cadeva nel suo Pontificato e privare il popolo cristiano di questo beneficio desideratissimo 13 • La seconda ragione che per Bonifacio VIII militava a favore di solo ogni cento anni per il giubileo ci apre un aspetto assai notevole nella mente del Pontefice. Prima di tutto egli associa l'indulgenza del giubileo all'altra indulgenza plenaria finora concessa, quella cioè della crociata: « indulgentia transmarina guae similis huic exstitit ». Ora questa si può guadagnare praticamente solo una volta nella vita e non è perciò repetibile. Per questo motivo ( « ob favorem indulgentiae transmarinae ») cinquanta anni del giubileo come nell'Antico Testamento sono troppo frequenti ( « quia frequenter evenit ») ma i cento anni non vengono ordinariamente ( « nisi in paucissimis ») superati dalla vita umana e perciò questo giubileo non è repetibile: ecco il motivo perché il Papa dispone nella Bolla anche per i futuri giubilei solo ogni centesimo anno 14 • Ora questa disposizione ci dice due cose importanti: 1) il Papa ha in mente una concessione solo cri-

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stiana e spirituale-pastorale del giubileo e non adopera neanche il nome di giubileo per non ingenerare confusione o accostamenti indebiti con il giubileo dell' Antico Testamento; 2) Bonifacio VIII concepisce l'indulgenza plenaria del giubileo cristiano come una cosa tanto straordinaria, grande ed unica - nella luce di tutta la tradizione penitenziale cattolica - che non vuole che la possibilità di una repetizione nella vita di un uomo possa diminuire e danneggiare la sua straordinaria efficacia per e nel popolo di Dio e per il senso della penitenza necessaria per tutti i peccati. Non so se in questo bisogna vedere più la serietà pastorale o la parsimonia del Pontefice canonista, rispettoso della prassi e tradizione della Chiesa nell'usare la sua pienezza di potere apostolico. Non voglio insistere su altre ragioni piuttosto simboliche o mistiche che Giovanni Monaco adduce ancora come sue personali a favore dei cento anni. Non dico che non sono state considerate anche da Bonifacio VIII stesso perché sappiamo come anche a lui fossero presenti i simbolismi di vario genere. Pensiamo solo alla sua spiegazione del numero VI nella Bolla di promulgazione del Libro VI. Dice dunque Giovanni Monaco nella glossa che un'altra, prima, ragione che milita per i cento anziché per i cinquanta anni è il fatto che il giubileo implica

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due remissioni, quella della colpa e quella della pena e perciò è bene che si sommino i due giubilei di cinquant'anni. Una seconda ragione sarebbe che secondo S. Girolamo e Beda il numero centesimo procede da sinistra a destra; ora ciò non avviene quando uno muore libero solo dalla colpa dovendo ancora andare in purgatorio, cioè ancora a sinistra; solo quando muore libero da colpa e pena passa dalla sinistra alla destra dell'eterna felicità e siccome l'indulgenza del giubileo Bonifaciano libera da colpa e da pena si verifica il passaggio da sinistra a destra, significato precisamente dal numero centesimo. Una terza ragione è la seguente: il giubileo dell'Antico Testamento restituiva i beni temporali, il giubileo Bonifaciano invece i beni spirituali e perciò non fa meraviglia se si duplichino gli anni . Una quarta ragione si richiama alla perfezione del numero cento che conveniva alla indulgenza plenaria cioè pienissima: il cento è il numero perfetto poiché da uno si procede fino a cento, ma da cento si discende di nuovo all'uno. Finalmente una quinta ragione invoca l'abbondanza della quaresima che trabocca nella quinquagesima: e siccome esiste una doppia quaresima, quella cioè che distrugge il male ossia la quaresima volgare (prima della Pasqua) e quella che opera il bene (cioè quella tra Pasqua e Ascensione), l'uomo in grazia abbonda - per queste due quaresime - in due • • 15 qumquages1me .

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Checché ne sia del valore di queste ragioni simboliche, il Pontefice ha manifestato nel Concistoro davanti ai Cardinali i due primi motivi realistici che esprimono in Bonifacio VIII sia i motivi pastorali propri come anche le preoccupazioni per un uso serio del suo potere spirituale.

III. Addentrandoci ora di più nel contenuto stesso del Giubileo Bonifaciano al quale abbiamo dovuto già accennare nel qualificare l'indulgenza come del tutto propria, è necessario trattare anzitutto della sostanza più intima di essa. In che cosa consiste questa indulgenza del primo Giubileo? La risposta è racchiusa nelle poche e precise parole della Lettera Pontificia dove si dichiara che « vere penitentibus et confessis non solum plenam et largiorem sed plenissimam omnium suorum concedimus veniam peccatorum »: si tratta dunque di pentirsi dei proprii peccati e di confessarsi per ottenere il pieno perdono dei peccati. Sembra qui di trovarsi di fronte ad una confusione di idee e perciò di disposizioni, poiché si parla del perdono dei peccati: ma anche qui la glossa contemporanea del collaboratore diretto di Bonifacio ci può dare le più esaurienti chiarificazioni . E diciamolo su-

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bito: con una chiarezza e completezza che, per quei tempi, può stupire. Il canonista Giovanni Monaco espone la dottrina (che era certamente familiare anche al suo collega canonista Benedetto Caetani) con questi ragionamenti: bisogna anzitutto pentirsi dei peccati e poi confessarsi; con ciò si riceve da Dio il perdono della colpa; ma anche la pena eterna, dovuta alla colpa mortale, viene commutata da Dio in pena temporale. La quantità di questa è però ignorata dal ministro della penitenza e perciò ogni penitenza imposta per cancellare questa pena sarà arbitraria (e perciò incerta la remissione della pena). È vero che la contrizione del penitente può essere così intensa da togliere anche tutta la pena; ma di fronte al dubbio il ministro di Dio e soprattutto il vicario di Cristo e successore di Pietro in alcuni casi come nel giubileo di cui si sta parlando e nel voto dei crociati ed in altri ancora, trasforma la pena incerta in atti soddisfattori di efficacia certa qualunque sia l'entità della pena 16 • Più avanti Giovanni Monaco, spiegando questa necessità di pentirsi e di confessarsi anzitutto insiste: il tesoro della Chiesa non può essere applicato a chi non è membro della Chiesa: e chi vuol essere capace di acquistare l'indulgenza deve essere purgato dalla colpa attraverso il pentimento e perciò può ricevere l'indulgenza solo chi è veramente pentito e confessato, non altri 17 •

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E qui, prima di proseguire, mi si permetta subito un'applicazione: si è detto che la Bolla contemporanea « Nuper per alias » di Bonifacio VIII che escludeva alcuni esplicitamente dall'indulgenza 18 , era piuttosto una espressione della sua coscienza politica rivolta contro Federico d'Aragona, i siciliani e i Colonna 19 • Ora notiamo anzitutto il fatto che nella Bolla si nominano in primo luogo i mercanti, falsi e empi cristiani, che fornivano, contro la proibizione Pontificia con annessa scomunica, i musulmani di merci comprandone da loro delle altre. Solo in secondo luogo vengono nominati i riconosciuti e ostinati nemici della Chiesa. Orbene, nella luce della dottrina esposta possiamo vedere qui una semplice applicazione dei princìpi enunciati: membri fuori della Chiesa, cristiani non pentiti e confessati sono perciò di per sé indegni ed incapaci della indulgenza. La dichiarazione esplicita, fatta dalla Bolla potrebbe, con uguale se non con maggiore diritto, essere chiamata un tentativo pastorale di fronte ai noti scomunicati o cristiani altrimenti in colpa. Ma proseguiamo nell'esame del punto concernente il contenuto della indulgenza. La dottrina contemporanea pone già più di un quesito che era emerso certamente nella e dalla concretezza dell 'Anno Santo in corso e in parte anche discusso ad altissimo livello cioè nel Concistoro. Ecco alcuni punti di questa casistica . Anzitutto viene specificato, e per di più con due

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identiche glosse, che la parola del testo « pienissima venia peccatorum » vuol dire « poenarum pro peccatis debitarum » 20 e il perdono pienissimo riguarda precisamente le pene, poiché, dice Giovanni Monaco, la parola non può riferirsi che alla soddisfazione o espiazione perché non può riferirsi alla contrizione e confessione che sono già presupposte e devono precedere 21 • Sul significato quantitativo poi della parola « pienissima » ( e non solo piena e più larga) abbiamo una interpretazione autentica del Papa il quale nel Concistoro e in presenza del Card. Giovanni Monaco ha dichiarato che la intendeva tanto piena quanto era estesa la pienezza del potere Papale 22 : altro segno della magnanimità pastorale di Bonifacio VIII. Un altro caso era costituito dalla coincidenza di penitenze ingiunte già prima del Giubileo. Anche qui il Papa dichiarava personalmente nel Concistoro, perciò in forma vincolante, che tutte le penitenze precedenti vengono commutate e perciò assorbite dall'indulgenza giubilare e perfino i voti, diceva, sono tolti da essa. Se questo mostra nuovamente la sua larghezza pastorale, le eccezioni che fa, cioè quella del pellegrinaggio a Gerusalemme e quella di entrare in un ordine religioso, documentano la sua prudenza e accortezza giuridica che sapeva evitare applicazioni gravi che sarebbero state contro il maggior bene e contro un obbligo benefico superiore, assunto in antecedenza dal

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fedele 23 • L'indulgenza doveva percio procurare maggior bene, ma non un minor bene o addirittura un danno spirituale.

In questo contesto si rivela ancora più chiaramente la mente del Pontefice attraverso una discussione av•· venuta nel Concistoro tra lui e il nostro glossatore proprio riguardo al punto or ora considerato. Il Cardinale aveva obiettato alla dichiarazione del Papa che ciò è vero per i voti che riguardano il cambiamento di penitenza o quelli, fatti in espiazione dei peccati, ma non per i voti che non riguardavano materia penitenziale come p. es. promesse fatte durante viaggi pericolosi per mare o durante malattie al fine di ottenere l'aiuto divino. Come possono, diceva, tali voti che non sono stati fatti per espiare pene dovute ai peccati, essere tolti da questa indulgenza che è stata data per l'espiazione delle pene causate dai peccati? Ma il Papa gli ha risposto, riferisce lo stesso Giovanni Monaco, che vuole che anche tali voti siano tolti da questa indulgenza, e aggiunge che il Papa può benissimo farlo anche se ciò non è compreso nelle parole della conces24 sione dell'indulgenza • Il nostro Cardinale riferisce in questa occasione ancora di un'altra decisione del Papa: egli ha dichiarato che i suoi penitenzieri, in occasione della confessione per l'acquisto del Giubileo, non devono aggiungere al-

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tre opere fuori di quelle richieste nella stessa; altrimenti, diceva, la si frustrerebbe 25 • Da tutte queste soluzioni dei problemi emersi circa il contenuto preciso della concessione Pontificia, Bonifacio VIII si è rivelato dunque uomo di una apertura , larghezza e generosità pastorale veramente sorprendente, la quale però, diversamente dal suo predecessore santo ma inesperto, Celestino V, non ha mai oltrepassato i limiti tracciati dall'ordine voluto allora da una sana pastorale e segnati da un diritto a servizio della cura d'anime di cui il Pontefice era un perfetto conoscitore 26 •

IV. Un altro punto che rimane da considerare nel Giubileo Bonifaciano sono le opere specifiche che condizionano l'acquisto dell'indulgenza. La prima condizione è il pellegrinaggio alla tomba degli apostoli Pietro e Paolo in Roma . Dico pellegrinaggio perché non solo non è sufficiente il semplice recarsi a Roma per uno scopo diremo oggi puramente turistico o per altri motivi , ma esige una ben precisa intenzione che muova a questo viaggio. Giovanni Monaco sottolinea fortemente questa condizione. San Bernardo, dice, poteva affermare per i suoi tempi che si

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viene a Roma mossi più dall'ambitio che dalla devotio: ma ora si deve dire al contrario che alla tomba degli apostoli (Pietro e Paolo) si viene spinti dalla devotio e non dall'ambitio . E così si soddisfa pienamente all'intenzione richiesta per ogni indulgenza, soprattutto per questa, che, afferma, può essere solo la pietas, vale a dire l'onore di Dio e l'esaltazione della fede cattolica 27 • Più avanti specifica ancora il senso di questa fides cattolica perché affermazione del « primatus ecclesiae in urbe existens » e prosegue dicendo che la peregrinatio romana realizza perfettamente sia l'onore di Dio che l'esaltazione della fede poiché l'onore tributato agli apostoli ritorna a Dio stesso in quanto Pietro e Paolo, per la conservazione e dilatazione dell'onore di Cristo si sono esposti ai supplizi durante la vita e nella loro morte e perciò l'onore dato a loro, Iddio reputa dato a sé. Ed anche la fede cattolica viene non poco esaltata da questo pellegrinaggio perché con esso i credenti di tutto il mondo cristiano confluiscono alla basilica di San Pietro da cui ha avuto origine la fede, dimostrando così che la preghiera del Signore per la indefettibilità della fede di Pietro ha avuto pieno esaudimento e cresce ognor più attraverso questa costante professione di- fede dei credenti. E qui l'arido commento giuridico di Giovanni Monaco si trasforma in un inno poetico esaltante all'intenso fervore di fede dei pellegrini che fa gioire gli apostoli quan-

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do li vedono « populosius et frequentius quam solerent et urgente devotione populi, accedentium ordine non servato, impetuosius frequentari: non fuit a diebus antiquis tanta devotio nec tantus fidei fervor in populo cristiano ». E dopo altre espressioni di gioia celeste conclude: « Sic igitur patet veritas et soliditas huiusmodi indulgentiae » 28 •

In queste parole è espressa la più valida testimonianza della più alta finalità spirituale e pastorale del primo Giubileo Bonifaciano. Le altre condizioni non solo non la smentiscono ma la confermano pienamente. La Bolla dispone che per l'acquisto si esige la visita, per 15 volte in giorni successivi, delle due basiliche di S. Pietro e Paolo, da parte dei non residenti a Roma e per 30 volte da parte dei Romani. Una doppia domanda si pone di fronte a questa condizione: primo, come mai per così poco (di fronte alla durissima indulgenza crociata) si può ottenere una così piena remissione? Secondo, come mai i Romani stessi « qui visitantes Apostolorum basilicas satis parum laborant » possono acquistare, per quanto con un numero doppio di visite, la stessa grande indulgenza che coloro che vengono « de ultimis Galliae, Angliae, Scotiae, Hiberniae, Hispaniarum finibus cum magnis laboribus et expensis? » 29 •

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La risposta è data con una chiarissima e convincente spiegazione, diciamo questa volta chiaramente dottrinale-dogmatica: il nostro glossatore dice che l'acquisto è dato principaliter non per la quantità delle opere ma per la loro qualità o il loro genere, purché vi sia la retta intenzione, spiegata più avanti. Difatti, l'indulgenza, avverte Giovanni Monaco, è una q1:1estione di grazia e non di merito , altrimenti non si chiamerebbe « indulgenza ». E, dopo un paragone con il perdono che dà un principe il quale rimette una offesa fattagli da un suo suddito senza esigere una adeguata soddisfazione, sviluppa ulteriormente la dottrina dicendo che l'indulgenza del Giubileo non viene data per un merito proprio ma per i meriti di Cristo su cui si fonda e da cui viene presa. Essendo la sua una passione di un Dio-uomo, comporta non solo un merito infinito, ma questo merito poteva essere applicato da lui capo agli uomini membri del corpo della Chiesa senza esaurirsi, anzi senza diminuzione alcuna anche se tutti i cattolici di tutto il mondo cattolico venissero nell'Urbe per l'acquisto delle indulgenze: tutte queste sarebbero meno, proporzionalmente, che una sola goccia d'acqua di fronte a tutto l'oceano o un solo granellino di miglio di fronte al monte del San Bernardo : non c'è proporzione tra il finito e l'infinito. Ora questo tesoro infinito dei meriti divini, perché non rimanesse frustrato e inutilizzato, Cristo ha

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voluto che costituisse il tesoro della Chiesa da distribuirsi per mezzo del suo vicario, il Romano Pontefice, ai fedeli a suo tempo e a suo luogo: e questa distribuzione è precisamente la concessione delle indulgenze 30 • Non si potrebbe desiderare una dottrina più limpida e più vera. Con essa tutte le questioni di fondo si risolvono; ma si risolvono anche altre questioni concrete che si presentavano nel corso dell'Anno Santo e che venivano portate davanti al Pontefice, come altre, per una sicura soluzione. Ecco una prima: qualcheduno si era pentito dei suoi peccati, li aveva confessati e aveva così iniziato l'acquisto dell'indulgenza essendo fermamente deciso di portarlo a termine. Ma una malattia sopravvenuta glielo aveva impedito ed era morto. Si domanda: quest'uomo ha acquistato l'indulgenza come se avesse portato a termine l'acquisto? Giovanni Monaco porta gli argomenti pro e contra; ma i negativi sembrano prevalere perché manca realmente una condizione essenziale richiesta 31 • La soluzione viene da una decisione Pontificia: « quidquid sit de iure, conclude il Cardinale, papa de~ claravit » che quelli che hanno iniziato di venire, anche se non sono arrivati, sia perché morti o trattenuti da un impedimento legittimo o, se sono arrivati a Roma ma non hanno potuto terminare le visite, hanno acquistato lo stesso l'indulgenza 32 •

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Questa decisione, presa durante l'Anno Santo in corso, ha avuto una applicazione logica alla fine quando il Papa non solo ha dichiarato a voce ma ha anche emanato una disposizione scritta, anche se non « bullata », che ci è trasmessa dal Card. cronista Stefaneschi: che cioè tutti i pellegrini trovandosi nel giorno di Natale a Roma, anche se non avevano potuto completare l'indulgenza, l'avrebbero lo stesso acquistata pienamente, affinché potessero tornare felici alle loro case dopo aver sopportato le fatiche e le spese del viaggio. Parimenti tutti i pellegrini morti per via o in Roma prima di terminare il numero delle visite avevano acquistato lo stesso la piena indulgenza. Inoltre viene trasformata in concessione generale alla fine del1' Anno Santo quella prima decisione per cui chi per un giusto impedimento non poteva arrivare a Roma o, se arrivato, non poteva completare la pia pratica, aveva lo stesso la piena indulgenza 33 • Tutto ciò non fa difficoltà dopo la spiegazione, che cioè l'indulgenza è integralmente gratuita e derivante dai meriti di Cristo. Spetta alla Chiesa determinare le condizioni sotto le quali vuol applicare questi meriti. Ma il Papa dichiarava alla fine inoltre che le restituzioni o gli indennizzi dovuti a terzi e, naturalmente, non cancellati ma, anzi, confermati e imposti dal pentimento e dalla confessione dei peccati contro i beni altrui , e che non si erano potuti praticare subito, pote-

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vano essere fatti entro tutto il tempo fino alla Pasqua prossima senza frustrare l'acquisto pieno dell'indulgenza 34 • Vi sono ancora due problemi riguardo alla visita delle due basiliche . Faceva anzitutto difficoltà l'interpretazione della disposizione che voleva la visita continua o interrotta, ma anche obbligatoria una volta al giorno. Anche questa difficoltà è stata risolta dal Papa stesso nell'adunanza con i cardinali nel senso che vi poteva essere una interruzione purché si visitasse una 35 volta al giorno almeno una delle due basiliche • La seconda difficoltà è costituita dall'ultima esortazione della Bolla ove il Papa dice che ognuno meriterà di più ed acquisterà l'indulgenza tanto più efficacemente quanto di più e più devotamente visiterà le due basiliche. Come ciò si combina con la dottrina esposta secondo la quale si acquista l'indulgenza non per propri meriti ma per l'applicazione dei meriti di Cristo che opera sempre il pienissimo perdono oltre il quale non vi può essere aumento? La stessa dottrina però chiarisce che l'indulgenza, operando per tutti il pienissimo perdono, fa entrare tutti in Paradiso; ma chi avrà più devozione ed impegno entrerà anche con maggiore intensità, vale a dire ricaverà, oltre l'efficacia comune e generale, cioè l'ingresso nella felicità, anche un merito personale che gli procurerà una felicità maggiore 36 • Anche su questo punto delle condizioni del Giu-

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bileo possiamo dunque concludere che Bonifacio manifesta uno spirito pastorale improntato alla più fine umanità ed insieme al più generoso uso del suo potere spirituale per le singole anime; che non è però mai disgiunto da quella dottrina teologica che dà sicurezza e da quel senso di giustizia che dà ordine e certezza alla stessa elargizione pastorale.

V. Il ruolo del Pontefice stesso in tutta questa concessione e determinazione del Giubileo appare già abbastanza chiaro dal fin qui detto . Giova però affrontare ora questo problema in modo esplicito e diretto . Giovanni Monaco lo ha fatto all'inizio della sua glossa sugli elementi costitutivi l'indulgenza : perché il primo era per lui proprio « l'auctoritas in concedente » 37 • Ho voluto esaminare questo punto per ultimo perché costituisce il naturale presupposto non tanto per una conclusione valutativa del Giubileo Bonifaciano quanto pit1 per una riflessione sulla stessa personalità del Pontefice Benedetto Caetani nel contesto della storia ecclesiastica e della sua storiografia. Il problema dell'autorità concedente il Giubileo porta naturalmente alla considerazione generale dell'autorità nella Chiesa tanto più in quanto proprio il

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Giubileo è strettamente collegato con S. Pietro, primo vicario di Cristo in terra e capo della Chiesa. Infatti, Giovanni Monaco affronta questo punto non in una glossa alle parole della lettera papale che si richiamano all'autorità apostolica in forza della quale il Pontefice decide, ma, come si disse, all'inizio dell'esame degli elementi costitutivi l'indulgenza plenaria. Egli inizia col richiamare la similitudine tra il corpo naturale e quello mistico della Chiesa. Come in quello esiste una unica testa nella quale risiedono tutti i sensi, così in questo vi è un capo in cui esiste la pienezza del potere. Ciò avviene, continua, per disposizione divina del tutto ragionevolmente in quanto Dio ha voluto che la Chiesa militante rappresenti la Chiesà trionfante ove è un capo solo, Dio. Lo stesso mistero della Trinità delle persone si ricompone nell'unità della natura divina. Se uno dunque volesse affermare nella Chiesa militante due capi non soggetti uno all'altro, negherebbe l'imitazione dell'ordine celeste nella Chiesa. Questa invece si realizza propriamente e perfettamente se tutti i gradi gerarchici sono sottoposti in ubbidienza ad un capo che è solo il Romano Pontefice, vicario di Cristo e successore di Pietro al quale il Signore ha detto: « tu sarai chiamato cephas » che vuol dire capo. E qui ritorna il nostro glossatore nuovamente alla « recta ratio » che richiede la reductio ad unum nella norma e nel governo di tutti gli altri uomini. Ciò, dice, si realizza nel

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Romano Pontefice che è il primo di tutti e la norma direttiva di tutti gli altri uomini a cui perciò « piene omnes catholici simpliciter sunt subjecti » . Alla fine dei tempi questa soggezione si estenderà nella misura in cui la totalità delle genti entrerà a far parte della Chiesa perché anche tutto Israele sia salvo Così si verificherà anche la profezia del Signore che dice: vi sarà un solo ovile e un solo pastore. A conclusione di questa dottrina sul potere papale Giovanni Monaco torna al paragone del corpo e ripete che, come nel corpo materiale vi è una testa sola nella quale è la pienezza dei sensi, così nella Chiesa militante esiste solo un capo ossia il Romano Pontefice nel quale è la « plenitudo potestatis et auctoritatis », conferitagli dal Signore quando disse a S. Pietro « qualunque cosa legherai e scioglierai etc. ». In questo contesto inserisce il significativo detto assai familiare ai canonisti che la Chiesa sarebbe un corpo mostruoso se avesse due teste. Ed ecco l'applicazione di questa dottrina ecclesiologica all'indulgenza del Giubileo: « Ipse Romanus Pontefix est, qui concessit istam indulgentiam et in ipso (ut iam ostensum est) plenitudo residet potestatis » 38 • Dobbiamo dire che questa dottrina non solo non costituisce una novità ma è la dottrina comune sviluppata e tramandata da tempo dai canonisti nel contesto

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dei poteri nella Chiesa e accettata anche dai teologi e trattatisti. È inoltre da notare che questa dottrina è qui ripetuta da un cardinale francese che, come sappiamo, non rinunciava alle sue proprie idee davanti al Papa il quale lo giudicava uomo piuttosto caparbio 39 • Se in questo punto fondamentale non solo non ha obiezioni da fare ma fa sua tutta questa dottrina è segno che anche per lui queste prerogative di Papa Bonifacio sono patrimonio dottrinale comune e pacifico. In questa luce possiamo anche dire che non è necessario vedere nel Giubileo un mezzo finalizzato per l'affermazione e la promozione della autorità pontificia, ma questa è piuttosto presupposto e sorgente di quello, anche se, come è stato pure detto esplicitamente dal nostro glossatore, l'indulgenza giubiliare comporta come conseguenza l'esaltazione e l'accrescimento della fede cattolica in quanto dà in questa occasione testimonianza del primato di Roma e della plenitudo potestatis del Romano Pontefice, successore di quel Pietro di cui si venera la tomba per ottenere perdono di colpa e di pena.

VI. Abbiamo cercato di illustrare brev~mente i punti essenziali del Giubileo di Papa Bonifa~io VIII nella sua essenza pastorale-giuridica cosl come ri.mlta dalla

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stessa Lettera di indizione e nella luce di due testimonianze dirette, quella del cardinale cronista Jacopo Stefaneschi e, soprattutto, del cardinale glossatore della Lettera, Giovanni Monaco. Vorrei ora chiudere il mio dire con due considerazioni. La prima dovrebbe cogliere il significato pastorale-giuridico del primo Giubileo nell'ambito della dottrina e della prassi dell'indulgenza plenaria e della opera ministeriale della Chiesa. È stato detto che l'indulgenza del Primo Anno Santo chiude un'epoca nella vita pastorale della Chiesa: il perdono, soprattutto quello pieno, dei peccati e delle pene nella forma dell'indulgenza plenaria, aveva avuto finora finalità prettamente sociale in quanto dato pra,ticamente solo a favore della difesa della Chiesa come società, contro i suoi nemici esterni ed interni: l'indulgenza della Crociata nelle sue varie forme. L'indulgenza del Giubileo elargisce invece questo condono a favore delle singole anime, con finalità unicamente pastorale-spirituale: l'individuo e la sua anima è l'oggetto diretto dell'esercizio deUa potestà delle chiavi pontificie 40 • L'aspetto sociologico ha certamente la sua ragione e la sua importanza; ma molto di più ci dice l'azione di Papa Bonifacio sotto e per l'aspetto teologico-pastorale-giuridico della prassi dell'indulgenza plenaria nella vita della Chiesa nei secoli successivi fi-

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no ad oggi. Nonostante che il Papa stesso parli della « antiquorum fida relatio », di una tradizione cioè precedente, sappiamo che sia lui che i suoi consiglieri e contemporanei erano ben coscienti della novità di questo perdono che a tutti, senza distinzione, purché pentiti e confessati, cancellava ogni pena dovuta al peccato commesso, solo a condizione di visitare per 1,m certo numero di volte le tombe degli apostoli a Roma. Non è dunque una redenzione collegata con i proprii meriti e per opere faticosissime quali imponeva l'indulgenza crociata; ma è il tesoro infinito e inesauribile della Chiesa che perdona gratuitamente a tutti anche a chi fa fin troppo poco come i Romani e anche se, per arrivare a Roma, porta ed impone ai non Romani ancora molte fatiche. Ma ormai l'indulgenza ple naria per pura grazia e per i meriti racchiusi nel tesoro della Chiesa è una realtà che continuerà ad operare nella Chiesa a favore dei singoli ~nche se, come tutte le cose per sé buòne, darà occasione a gravissimi abusi pieni di tristissime conseguenze. Orbene, questa inaudita apertura spirituale è dovuta ad un uomo giudicato comunemente altero, duro, violento, vendicativo, disumano. Bonifacio VIII si rivela invece proprio attraverso la sua indulgenza giubilare come un uomo pieno di sensibilità pastorale, che agisce veramente « velud pius pater» come dice la lettera non bollata di fine giubileo 41 , il quale non dissipa i tesori 0

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della Chiesa con insipienza, perché privo di conoscenza e di esperienza nel governo della Chiesa universale: ma è bensì compreso di quella gravitas pastoralis e del iuris debitum richiesti dall'ufficio a cui presiede, diversamente dal suo predecessore il quale era stato vittima di inganni e raggiri da parte di chi alla sua bontà semplice carpiva concessioni insensate 42 • Bonifacio VIII univa alla gravità pastorale il senso del debito di giustizia e di diritto. Non senza motivo si consigliava con i suoi cardinali per quasi due mesi prima di concedere l'indulgenza; la concedeva solo per ogni cento anni; ma la concedeva: lo spirito pastorale del magnanimo Pontefice aveva vinto tutte le riserve che gli ispirava la responsabilità del retto governo .della Chiesa. Ma proprio perché vagliata da questa sciente e cosciente responsabilità e riserva, la generosa concessione veniva ad acquistare una garanzia e solidità tale da poter sfidare i secoli ed essere la pietra angolare di tutta una prassi pastorale nuova ed efficacissima. La seconda considerazione conclusiva ci porta invece nel vasto campo della storia ecclesiastica e della sua valutazione. Bonifacio VIII è eonsiderato comunemente il vertice del cosiddetto ierocratismo papale ossia della concezione del potere ecclesiastico che sconfina anche nel temporale fino a pretendere non solo una superiorità qualitativa ma anche una vera supremazia sulla società

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temporale-civile (la quale oggi si chiama Stato) che implica dipendenza da parte dei reggitori della cosa civile e perciò diritto di ingerenza negli affari civili da parte del Papa. Mentre la storiografia ha ridimensionato addebiti molto simili, mossi a Gregorio VII e ad Innocenzo III, ancora oggi la si attribuiscono ad Innocenzo IV e, soprattutto, a Bonifacio VIII e si vede tuttora la espressione classica di questa concezione ierocratica nella sua famosa Bolla « Unam Sanctam » 43 • Non è il caso di addentrarci qui in questa problematica complessa; ma il contesto del nostro argomento potrà forse fornire qualche . suggerimento valido per ulteriori ricerche. Oltre al fatto che nel testo della« Unam Sanctam » si usano, proprio nei passi più contestati, formulazioni tradizionali, perfino ad litteram, mi hanno fatt0 sempre pensare le parole dello stesso Bonifacio VIII: di fronte all'accusa di Filippo il Bello, fatta al Papa, di essersi cioè voluto intromettere in campi altrui: « Quarant'anni sono, esclamava il Pontefice, che siamo esperti in diritto e sappiamo che due sono le potestà ordinate da Dio; chi ha dunque dovuto e potuto pensare che sia stata o sia tanta fatuità e insipienza· nella nostra testa » da -credere cioè che il Pontefice possa comandare al re in cose non sue, cioè dello Stato 44 • E più recentemente, sfogliando i codici del Decreto di Graziano e considerando le miniature che dagli ar-

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tisti di tutte le scuole dei secoli XIII ~l XV sono state dipinte ad ornamento delle parole iniziali « Humanum genus duo bus regitur », ho potuto constatare che la quasi totalità rappresenta il conferimento del potere secolare come passando direttamente da Dio al Re ed ai principi civili nella stessa maniera nella quale passa il potere ecclesiastico direttamente da Dio al Papa. Ciò ci dice che era opinione comune anche in questi secoli, e perciò ai tempi di Bonifacio, il dualismo dei poteri e non la ierocrazia 45 • A confortare tali posizioni vi è l'ultima conferenza del grande storico francese di diritto canonico e di sociologia religiosa, Gabriel Le Bras, tenuta poco prima.di morire, in un convegno ad Anagni (1967). Era fiero, disse, di essere il difensore risoluto del più calunniato tra i quattro Papi Anagnini (Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV, Bonifaciò VIII), di Bonifacio VIII cioè. Proprio per quello che riguardava l'affermato ierocratismo di quest'ultimo disse che ci si trovava davanti a processi per cosi dire da revisionare essendo anche in Bonifacio VIII valida la formula, che nessun Pontefice avrebbe tradito, cioè quella enunciata nel 496 da Papa Gelasio I, che affermava il dualismo delle due potestà distinte, quella del Papa e quella del Re. Esse devono bensì collaborare per ottenere il bene sia spirituale che tempotale degli uomini sottomessi ai due poteri ma sono indipendenti tra di

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loro. E Le Bras chiudeva il suo dire con queste testuali parole: « Les mots de théocratie, hiérocratie sont à mettre dans le magasin des antiquités non vénérables » 46 • Orbene, se la storiografia si è concentrata complessivamente sull'attività esterna di Bonifacio VIII, costretto a lottare contro interessi ed interessati potentissimi fuori della Chiesa e dentro di essa; e se è stata anche influenzata da formidabili condizionatori dell'opinione pubblica di allora (che Le Bras chiama apertamente calunniatori), uno sguardo sereno sull'attività pastorale sostenuta da una sicura dottrina giuridica così come il Papa Caetani l'ha svolta in occasione e in materia del primo Giubileo, ci può aprire la via ad una considerazione più equa e più giusta del suo pensiero e della sua personalità. È proprio qui dove la radice e sorgente di azione Pontificia ma anche di valutazione critica di questa azione, cioè la sua plenitudo potestatis appare nel suo vero significato. Jean Lemoyne, francese anche lui, che ha glossato sia la « Unam Sanctam » che la « Antiquorum habet fida relatio », ce lo ha spiegato molto chiaramente nel primo requisito per l'acquisto della indulgenza plenaria: si tratta di un potere spirituale, propriamente e tipicamente ecclesiastico, di una « auctoritas quae typica est et principaliter residet in Summo Pontifice ». Essa, nel senso di un potere di governo

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ordinario, si estende solo ai membri della Chiesa Cattolica, tanto è vero che comprenderà altre genti solo quando saranno entrate nella Chiesa per formare un unico ovile sotto un unico pastore 47 • In un altro punto della sua glossa alla Lettera del Giubileo lo stesso Giovanni Monaco ricalca la plenitudo potestatis del Papa che lo rende indipendente da chicchessia e superiore a òiunque, per cui il suo operato tiene sempre. Ma proprio qui specifica subito che non è la plenitudo potestatis del Signore stesso ma quella conferita al ministro e dispe11satore principale del Signore. E più avanti descrive questa plenitudo potestatis del Papa riguardo al contenuto: « quantum ad omnia bona ecclesiastica temporalia et spiritualia » 48 • Di qui possiamo partire per attribuire alla sua convinzione un potere solo ecclesiastico anche se lo vediamo impegnato in lotte temporali; perché sappiamo quanto allora, in bene o in male ma inevitabilmente, le cose della Chiesa erano implicate con le cose temporali, quanto cioè era largo il raggio dei « bona ecclesiastica temporalia » compresi nella plenitudo potestatis del Papa. Sarebbe anacronistico giudicarlo ierocrate perché si batteva per queste cose allora considerate ecclesiastiche ma oggi puramente temporali-civili e perché lo faceva contro Filippo il Bello che ne disponeva a suo piacimento senza l'autorizzazione del Papa. Qui si comprende la preoccupazione contro duo capita nella

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Chiesa e si giudicava mostruosità un duplice potere di comando anche in cose temporali giudicate allora ecclesiastiche. È però anche vero che qui già si scontrano due concezioni di Chiesa e di Stato, di cose ecclesiastiche e statali, di competenza dell'autorità spirituale e temporale: la concezione medievale e quella moderna. Ma chiamare Bonifacio VIII ierocrate perché difendeva ancora quella medievale contro la moderna di Filippo il Bello non è giustizia storica. La concezione puramente ecclesiastica-pastorale, basata su una dottrina solida giuridica come si è rivelata attraverso il primo Giubileo, potrà dunque favorire una sempre più esatta idea del governo spirituale e temporale della Chiesa in un mondo che ai tempi di Bonifacio VIII stava cambiando. Mentre è accusato di temporalismo più spinto, di cui è diventato quasi un simbolo, il grande Papa Bonifacio è in realtà il fautore di una forza spirituale che doveva aiutare la Chiesa e trovare vie sempre meno temporalì nella sua missione perenne di guida e di salvezza all'insegna dello spirito divino che si rispecchia splendidamente nello spirito e nella forza dell'indulgenza del Giubileo, che possiamo chiamare a ragione Bonifaciano.

43


NOTE

1 RAFFAELLO MoRGHEN, Bonifacio VIII e il Giubileo del 1300 nella storiografia moderna. Quaderni della Fondazione Camilla Caetani, I, Roma 1975. 2

Vedi nota 1.

3

ARSENIO FRUGONI, Il Giubileo di Bonifacio VIII in: Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano n. 62, Roma · 1950_ Uso l'estratto pp. 1-121. 4 L'Edizione è stata curata da D. QUATTROCCHI, L'Anno Santo del 1300. Storia . e Bolle Pontificie da un Codice del sec. XIV del Cardinale Stefaneschi in : Bessarione IV, 1900, voi. V.U, fase. 45-46, 291-317 . Sul Cardinale Stefaneschi cfr. i due recenti studi di A. FRUGONI, Riprendendo il « De centesimo seu Jubileo anno liber » del Cardinale Ste/aneschi in: Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano n. 61, Roma 1948, pp. 1-10 e La figura e l'opera del Cardinale Jacopo Ste/aneschi (1270 c.-1343) in: Rendiconti dell'Accad. Naz. dei Lincei, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche ser. VIII, voi. V, fase. 7-10, Roma 1950.

5 Cfr. A. VAN HovE, Commentarium Lovaniense in Codicem Iuris val. I, tam. I: Prolegomena, 2a ed. Mechliniae - Romae, 1945, p. 474 (Bib1. nella n. 3) e 475 seg. L'edizione di questa glossa si trova nelle Edizioni delle « Extravagantes Communes » con glossa. Noi usiamo l'Edizione Lugduni 1559. La Bolla di promulgazione « Antiquorum habet fida relatio » è inserita nel Libro V, tit. IX (De Poenitentiis et remissionibus ), c. 1. 6 Su di essa cfr. Mostra Documentaria degli Anni Santi (1300-1975), Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 1975, p. 7. 7 Insieme con la descrizione di questi eventi Io stesso Card. Stefaneschi ci fornisce anche l'indicazione di questo cambiamento della data: cfr. l'edizione del QUATTROCCHI, p. 301, e l'esistenza delle Bolle con la data del 16 e del 22 febbraio: Mostra cit., p. 7.

44


8 La raccolta delle leggi dei suoi predecessori dal 1234 (quando fu promulgato da Papa Gregorio IX il Liber Extravagantium) fino all'anno 1298 del proprio Pontificato. 9 « Quamobrem quo limpidius scripto gerende rei claresceret veritas, exaravi litteris concedendum, discutiendumque privilegium iussum »: Ed. QUATTROCCHI, 301: cfr. FRUGONI, Il Giubileo cit., 43 n. 5.

10

Ed. cit., col. 149.

11

Su di lui ANGELO MERCATI, La lettera dello Scrittore Pontificio Silvestro ' sul Giubileo del 1300 in: Cronistoria dell'Anno Santo 1925, Roma 1928, 1191 segg. 12 Cfr. la lunga glossa ad v. confitebuntur della Bolla « Antiquorum habet fida relatio »: « .. .In Levitico siquidem legitur quod annus quinquagesimus erat jubileus... hic legalis Jubileus typicus erat et verum Jubileum qui in adventu Christi sumpsit initium, figurabat. Ad hoc enim Christus venit, ut remissionem et indulgentiam praedicaret spiritualium delictorum videlicet peccatorum... Poenitentiam agite, appropinqnavit regnum coelorum, in quo verbo forma et efficacia praesentis indulgentiae continetur; haec enim indulgentia solis poenitentibus et confessis conceditur ... remissa culpa remanente poenae debito nondum est pax perfecta : sed utroque remisso pienissima hominibus habetur cum Deo: quod per istam indulgent' 'lm obtinetur. A nativitate igitur Domini nostri Jesu Christi in qua verus Jubileus incepit quilibet sequens annus quinquagesimus vocari potest rectissime Jubileus » Ed. cit., col. 152-53. 13

Cfr. la continuazione della glossa citata neila nota precedente.

14

Glossa citata: ed. cit., col. 153.

15

Cfr. la continuazione della glossa citata, ed. cit., col. 153.

Glossa ad v. et co11fessis, ed. cit., col. 150. Glossa ad v. confitebu.ntur, nel brano che spiega la seconda condizione tra le quattro che si richiedo:10 per ottenere l'indulgenza del Giubileo: ed. cit., col. 151. 18 Cfr. PoTTHAST n. 24922 (1 marzo 1300). Ed. QUATTROCCHI, p. 315. l6

17

19

A. FRUGONI, Il Giubileo cit., p. 46.

20

Ad. v. peccatorum: « id est poenarum pro peccatis debitarum, ut supra eodem (titulo), cap. primo respon. » {cfr. nota seguente). Ed. cit., col. 156. 21

Ad v. confessis: « Qui est vere poenitens et confessus habet ve-

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niam culpae quam solus Deus in contritlone rem1tt1t, quae non datur nisi correcto, et poena aeterna debita pro culpa mortali commutatur a Deo in poenam temporalem ». Ed. cit., col. 150. 22 Ad v. plenissimam: « Sed quomodo ista se compatiuntur, plenam, largiorem et plenissimam? Dico Papam interpretatum fuisse in Consistorio me praesente hanc indulgentiam adeo plenam, prout clavium potestas se extendit. Quod intelligo prout verba patiuntur ». Ed. cit., col. 156. 23 « Quaero: aliquis fuit vere poenitens et confessus ante istam indulgentiam et nulla fuerunt sibi iniuncta... numquid ista iniuncta tollentur per istam indulgentiam? ». Giovanni Monaco discute, secondo il metodo allora in uso, gli argomenti pro et contra la soluzione della questione posta: prima gli argomenti favorevoli poi quelli negativi soprattutto la regola generale secondo la quale « specialis obligatio per generalem absolutionem non tollitur ». La soluzione dà il Papa Bonifacio stesso: « Et Papa declaravit consistorialiter quod poenitentiae antea mmnctae etiam tolluntur per commutationem operis satisfactorii hic positi. Dixit etiam quod vota ,(excepto Hierosolimitano et ingressu religionis) tolluntur per hanc indulgentiam ». Il brano si trova nella lunga esposizione ad v. confitebuntur, ed. cit., col. 154. 24

La continuazione della glossa riferita nella nota precedente:

« Et ego di.xi in hoc verum de votis quae essent propter COJnmuta-

tionem paenitentiae, vel essent imposita in satisfactionem peccatorum. Secus videbatur de votis hoc non respicientibus... Unde tale votum, cum non sit propter poenam peccati, quam tollit haec indulgentia, qualiter tollitur per hanc indulgentiam satisfactoriam de poenis peccatorum? Respondit tamen mihi Papa quod etiam vult hoc votum tolli per hanc indulgentiam, quod potest papa licet verba indulgentiae hoc non patiantur ». Ed. cit., col. 155. 25 « Declaravit etiam quod sui penitentiarii nihil debent iniungere ultra iniunctionem hic positam: alias (ut dicebat) indulgentia frustraretur ». Loc. cit. 26 Su questa differenza tra Celestino V e Bonifacio VIII cfr. l'esposi7ione ottima di A. FRUGONI, Il Giubileo cit., 36-43. 27 Il testo si trova nella lunga glossa ad v. confitebuntur, ed. cit., çol. 152; in particolare è da notare la frase scultorea: « per-:grinatio ad p~aefatas beatorum apostolorum basilicas ad honorem Dei et exaltationem fiC:.ei ut plurimum ordinatur ».

28 Loc.

cit.

46


29 Glossa ad v. confi,tebuntur, nella parte ove Giovanni Monaco esamina il contenuto dell'opera richiesta per guadagnare l'indulgenza del Giubileo: ed. cit., col 152. 30

Loc. cit.

31

Verso la fine della lunga glossa ad v. confitebuntur, ove pone varie questioni riguardanti l'indulgenza del Giubileo. Ed. cit., col. 155. 32

Loc. cit.

33

Cfr. l'edizione cit. di QUATTROCCHI in Bessarione IV, 1900, 316-

317. 34

Loc. cit.

35

Glossa ad v. Et saltem semel in die: « Haec verba papa in consistorio sic est interpretatus cum praecedentibus: ut continuatio seu interpolatio etiam prosit si sit semel facta in die in una dictarum basilicarum ». Ed. cit., col. 156 36

Glossa ad v. consequetur, ed. cit., col. 156.

37

Glossa ad v. confitebuntur: « ...Et notandum quod ad hoc quod indulgentiae valeant quattuor principaliter requiruntur et quintum etiam huic proposito potest addi ratione materiae. Requiritur enim auctoritas in concedente, idoneitas in recipiente, pietas in fine, utilitas in opere et quintum quod addi potest: congruitas in tempore ». Ed. cit., col. 151. 38

Tutta la prima parte della glossa cit. Ed. cit., col. 151.

39

Anche su questo cfr. A. FRUGONI, Il Giubileo cit., pag. 70 seg.

40

R. MoRGHEN, Medioevo cristiano, Bari 1958, 313 seg.

41

Ed. QUATTROCCHI cit., p . . 317.

42

Su questo contrasto e sul testo più significativo a riguardo cfr. A. FRUGONI, Il Giubileo cit., p. 38. 43 Su tali rapporti tra il pensiero ierocratico di Bonifacio Vili e il suo Giubileo cfr. soprattutto il lavoro di A. FRUGONI cit. sopra n. 3 e quello di R. MoRGHEN cit. sopra n. 1.

44 PIERRE DuPUY, Histoire du Differend d'entre le Pape Boniface VIII et Philippe le Bel Roy de France, Paris 1655, pag. 77 : « lste Petrus litteram nostram... Regi falsavit seu falsa de ea confìxit... imposuit nobis quod nos mandaveramus Regi quod recognosceret regnum a

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nobis. Quadraginta anni sunt quod sumus expertl m iure et scimus quod duae sunt potestates ordinatae a Deo; quis ergo debet credere, vel potest, quod tanta fatuitas, tanta insipientia sit vel fuerit in capite nostro. Dicimus quod in nullo volumus usurpare iurisdictionem Regis et sic frater noster Portuensis dixit. Non potest negare Rex seu quicumque alter fidelis, quin sit nobis subiectus ratione peccati ». 45 ALFONS M. SncKLER, Ursprung und gegenseitiges Verbaltnis der beiden Gewalten nach den Miniaturen des Gratianiscben Dekrets in Studia Gratiana XX, 1976, 339-359. Cfr. per le miniature l'edizione delle miniature nei manoscritti del Decreto di Graziano di A. MELNIKAS, Studia Gratiana XVI - XVIII, 1975. 46 GABRIEL LE BRAS, Unité chrétienne de l'Europe et Ponti/es d'Anagni (1198-1303) in Comunione Interecclesiale, collegialità, primato, ecumenismo. Acta Conventus internationalis de historia sollicitudinis omnium ecclesiarum. Romae 1967 (Communio 13, Roma 1972), pp. 587-589, 600-603. 47 Glossa ad v. confitebuntur all'inizio che tratta dell'autorità del concedente come primo requisito. Ed. cit., col. 151. 48 Cfr. la stessa glossa quando tratta della seconda questione che emerge nella problematica del Giubileo. Ed. cit., col. 153.

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STAMPATO IN ROMA NEL MESE DI APRILE DALLA TIPO-LITOGRAFIA CHIOVINI PER CONTO DELLE EDIZIONI DELL'ELEFANTE


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