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CRISI CLIMATICA E CRISI IDRICA

Corriere delle Alpi | 3 novembre 2022

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Finalmente piogge e neve in alta quota Ma il bilancio idrico è ben sotto la media

Francesco Dal Mas BELLUNO La neve è in arrivo. La pioggia pure. Fioccherà alle quote più alte, dai 1500 metri in su, soprattutto oltre i 2000. Almeno per mezzo metro, secondo le previsioni che si stanno perfezionando in casa Arpav ad Arabba. Pioverà, invece, alle quote più basse, ma non nella misura che sarebbe sufficiente per riportare in equilibrio il bilancio idrologico. Poca pioggia«In tutto il mese di ottobre», fa sapere Bruno Renon dell'Arpav di Belluno, «sono caduti da 35 a 70 millimetri di pioggia, a fronte dei 120-220 di media, con località dove è piovuto solo per un quinto del totale medio pluriennale (ad esempio a Sant'Antonio Tortal, sopra Trichiana). E, si badi, gran parte della pioggia è caduta solo in due mezze giornate, nella mattinata del 22 ottobre e nel pomeriggio del 24». Da inizio anno il deficit nel bilancio pluviometrico si è rafforzato, con scarti negativi ovunque compresi fra il 20 e il 45%, ad eccezione di alcune località dell'estremo nord della provincia, come a Santo Stefano di Cadore, dove le precipitazioni sono state addirittura "normali". «Negli ultimi 36 anni, il 2022 si sta confermando uno dei quattro più secchi, assieme al 1990, 1997 e 2003», fa sapere Renon. Arriva la neveDi neve ne arriverà abbastanza, ma, attenzione, non è detto che resista. I terreni su cui cade sono molto caldi, il mese di ottobre ha registrato temperature sostenute, e, in ogni caso, la prossima settimana potrebbe arrivare l'estate di San Martino. Sarà anche una neve pericolosa, sostengono gli esperti, nel senso che, precipitando su versanti tutt'altro che freddi, potrebbe scivolare a valle. Quindi bisogna prestare la massima attenzione al pericolo di valanghe attraversando le strade sottostanti. E a nessuno venga in mente - si afferma dal Soccorso alpino - di iniziare anzitempo qualche attività di scialpinismo. In altri tempi, la fuga verso la Marmolada sarebbe cosa scontata, ma dal giorno della tragedia di 4 mesi fa è presente una ordinanza del Comune di Canazei che vieta l'accesso al ghiacciaio. Ieri pomeriggio, il bollettino dell'Arpav di Arabba si limitava a segnalare, in rosso, che «dalla tarda serata di giovedì 3 e nel corso di venerdì 4 fase di tempo perturbato, a tratti instabile. Sono previste precipitazioni diffuse con quantitativi consistenti, localmente abbondanti su zone montane e pedemontane. Fino alla prima parte di venerdì rinforzi di scirocco sulla costa e dai quadranti meridionali in quota". Non precisava, dunque, la metratura della neve. Ma il mezzo metro sarà confermato oggi. Anzi, con qualche centimetro in più: 55 cm. Più precisamente, nella giornata di venerdì, dai 35 ai 55 mm sopra i 2 mila metri, e fino ai 75 oltre i 2200. Impiantisti in attesaSarà una neve sufficiente per preparare le piste da sci? «Piano con l'entusiasmo», suggerisce Sonia Menardi della società Ista, che gestisce fra l'altro le piste del Col Gallina, le prime di solito ad aprire la stagione. «Cinquanta centimetri, in queste condizioni, sono un po'pochi, perché dopo il passaggio del gatto delle nevi di fondo ne resterebbe poco. Avremmo bisogno di terreni men caldi e di temperature più rigide. E non si dimentichi che a giorni arriverà l'estate di san Martino». Il Col Gallina, fra l'altro, è il paradiso degli allenamenti. Attendono di prenotarsi sci club di mezza Italia. «Per gli allenamenti le piste devono essere perfette, anche dal punto di vista delle attrezzature. Quindi di neve ce ne vuole». Insomma, conclude Menardi, «apriremo non appena saremo in grado di offrire il meglio». E per quanto riguarda la neve programmata, l'Ista come le altre società scenderanno in campo solo se si presenteranno le condizioni ottimali. Comunque tranquilli, gli impiantisti. A parte la parentesi di temperature al ribasso dei prossimi giorni, il caldo "estivo", con otto-dieci gradi in più, non dovrebbe proseguire oltre la metà novembre e non dovrebbe essere così sviluppato durante l'inverno, soprattutto dicembre e gennaio saranno un po' più piovosi, il che significa potenzialmente che la neve in montagna ci dovrebbe essere. Lo asseriscono gli studiosi di mereologia a livello nazionale. Staremo a vedere, incrociando le dita, conclude Sonia Menardi. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere del Trentino | 4 novembre 2022

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La voce dei ghiacciai Cambiamenti climatici, lo studio su «Nature» di due ricercatori trentini

La nostra è l’ultima generazione che può ascoltare la voce dei ghiacciai. I ghiacci secolari possono ancora raccontare com’era l’ambiente nei millenni passati, prima che arrivi il loro definitivo scioglimento. Il ritiro dei ghiacciai alpini poi, oltre ad essere una delle manifestazioni più evidenti degli effetti dei cambiamenti climatici, a livello globale sta diventando il simbolo della dimensione filosofica ed etica dei mutamenti in atto.

Lo sostengono due ricercatori trentini, Mauro Gobbi e Daniel Gaudio, amici fin dai tempi della scuola, compagni di banco al liceo e con il sogno comune di diventare scienziati. Un loro articolo pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Nature and Culture che si occupa di ambiente, sociologia, antropologia e archeologia spiega proprio questo: il ritiro dei ghiacciai può dare la possibilità di svolgere ricerche inedite ricostruendo storie che sono uniche. Mauro Gobbi e Daniel Gaudio sono laureati in Scienze Naturalistiche e Ambientali all’Università di Milano, Gobbi ha la specializzazione in Biodiversità degli ambienti alpini, ed è stata proprio la specifica preparazione in ghiacciai a portarlo a lavorare come ricercatore al Muse di Trento, ampliando la sua esperienza sui ghiacciai di Alpi, Ande, Pirenei e Scandinavia. Gaudio è invece specializzato in Antropologia forense e Bioarcheologia umana, con esperienza in vari paesi tra cui il Regno Unito, proprio a Durham nel Regno Unito ora dirige il Master di Archeologia e Antropologia Forense, mentre a Trento è collaboratore dell’Ufficio Beni Archeologici della Provincia. Nel loro articolo, i due studiosi spiegano come i ghiacci non più perenni restituiscono nuove storie e nuovi ambiti di ricerca. Lo scioglimento dei ghiacci porta a scoprire corpi in cerca di identità, antichi reperti che riaffiorano da aree subito colonizzate da nuovi organismi. Grazie a una prospettiva originale, nell’articolo Glaciers in the Anthropocene. A Biocultural View i due ricercatori trentini esplorano criticità e potenzialità offerte dal ritiro dei ghiacciai alpini sotto il profilo bio e culturale, giocando sul dualismo «guadagno contro perdita» di conoscenza culturale e biologica. Le ricerche sono state condotte da Gaudio e Gobbi sui ghiacciai andini, scandinavi e alpini, tra cui quelli trentini del gruppo Adamello Presanella e delle Dolomiti. Come ricorda Daniel Gaudio, tra i ritrovamenti di reperti bioantropologici e archeologici che, sempre più spesso vengono rilasciati dai ghiacci in fusione, ci sono resti umani di diverse epoche: resti e reperti archeologici che necessitano un attento recupero per poter ricostruire i singoli destini e le storie di chi è scomparso inghiottito dai ghiacci e per salvaguardare quel patrimonio storico e archeologico. Gaudio inoltre esplora aspetti altrettanto importanti quali la funzione memoriale e spirituale dei ghiacci. Mauro Gobbi, ricercatore dell’Ambito Clima ed Ecologia del Muse, affronta gli aspetti più strettamente biologici ed ecologici relativi ai ghiacciai, habitat in cui è presente una biodiversità esclusiva, con organismi perfettamente adattati alle condizioni estreme e per questo a rischio estinzione. Allo stesso tempo il ritiro dei ghiacciai sta liberando nuovi terreni permettendo di comprendere modalità e tempi di colonizzazione di queste nuove aree da parte della natura; ma anche libera gli inquinanti accumulati dai ghiacciai nei secoli e che ora vengono rilasciati nell’ambiente. Alla fine i ghiacciai sono i più attendibili libri di storia che esistono: raccontano di esplorazioni, sport alpini, guerre, passaggio di uomini da una nazione all’altra, sfruttamento industriale, idroelettrico, fragili ecosistemi con biodiversità esclusiva. Narrazioni uniche e interdisciplinari che rappresentano un’opportunità di conoscenza offerta dai cambiamenti climatici.

Corriere delle Alpi | 19 novembre 2022

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Allarme dell'Arpav In provincia resta ancora grave la carenza idrica

l'analisi Ma quale pioggia? Ma quale neve? Il meteo non sta dando ancora risposte risolutive alle conseguenze della siccità estiva. Lo rileva il monitoraggio di metà mese da parte dell'Arpav delle risorse idriche in provincia di Belluno e in regione. I primi 15 giorni di novembre hanno infatti registrato nel Bellunese precipitazioni tra i 20 ed i 75 mm, contro una media del mese di 136 millimetri (statistica degli ultimi 30 anni). Quindi si è rimasti ancora lontani dal 50% atteso (e auspicabile).E sapete quanta neve è caduta sulle Dolomiti nello stesso periodo? Meno del 50% di quella attesa. Ecco perché i laghi restano ancora bassi. E perché il deflusso dei fiumi e torrenti è di gran lunga inferiore alle medie auspicate. Non ci sono quindi le premesse per recuperare il deficit idrologico, neppure se dovesse piovere e nevicare per tutta la seconda parte di novembre.In Veneto sono caduti 43 mm di pioggia, pari al 32% degli apporti attesi a fine mese (136 mm la media degli ultimi 30 anni). Qualcosa di più in provincia di Belluno, ma assolutamente mal distribuito sul territorio. La massima precipitazione del periodo è stata registrate dalla stazione di Valpore di Seren del Grappa con 130 mm, ma altrove solo poche decine di millimetri. I bacini sui quali le piogge sono state più lontane dal valore medio sono quelli del Piave e della pianura tra Livenza e Piave dove sono caduti meno del 30% del quantitativo medio mensile. D'altra parte, la prima metà di novembre è stata mite (+2,1 °C) oltre la norma, quinto valore dal 1990. E la neve? È arrivata in diverse giornate sulle cime delle Dolomiti: il 4, 5, 10, 14 e 15 novembre, con apporti complessivi di 15-20 cm a 2200 m di quota e di 30-45 cm a 2600 m nelle Dolomiti e solo il 14 nelle Prealpi con 11 cm. Ma - attenzione - la quantità di neve fresca caduta è inferiore di oltre il 50% rispetto alla media 2009-2022. Arpav calcola, dunque, che la risorsa idrica nivale del PiaveCordevole-Brenta è inferiore ai 30 milioni di metri cubi. Le conseguenze per i laghi? Davvero magre. Fino al 30 novembre il Piano di Gestione del Rischio Alluvioni indica la necessità di mantenere prefissati livelli di salvaguardia nei principali invasi (Pieve di Cadore, Santa Croce, Corlo) per una opportuna laminazione delle piene. Ebbene, il volume totale al 15 novembre è di 71.7 milioni di metri cubi (-0.5 Mm3 dalla fine di ottobre), pari al 43% di riempimento, valore sotto la media del periodo (-30%, in termini assoluti meno 30 milioni di metri cubi) e quarto più basso dal 1994. In particolare il volume invasato a Pieve di Cadore è il secondo più basso dal 1994, mentre sul Mis, non soggetto al piano di laminazione, è il terzo (attualmente al 35%

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