Bond high yield
Argento
Etf d’assalto
Certamente non avranno più i rendimenti degli anni passati, ma resteranno protagonisti
Un metallo che dà buoni ritorni per i suoi usi industriali e per la capacità di hedging
Per chi vuole rischiare sono sempre più diffusi gli strumenti a leva o che puntano sui ribassi
investire - a n n o X X X - n . 2 - M a r z o 2 0 1 3 - D o v e v a l a F r a n c i a
UN PAESE IN DIFFICOLTÀ Gli ultimi dati sono poco favorevoli e c’è chi pensa che oggi Parigi sia più vicina alla periferia europea che al core costituito da Germania e paesi nordici. I problemi sono indubbi e molte decisioni di politica economica appaiono discutibili, ma le potenzialità sono ancora notevoli
Dove va la Francia
mensile anno XXX - n.2 marzo 2013 - www.investireonline.it Poste Italiane Spa, spedizione in abbonamento postale. D.L. 3535/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB Milano.
euro 7,00
3
lettera a... Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia
Per favore, se glielo chiedono, accetti gregio signor Visco, al momento in cui le scrivo la situazione della governabilità in Italia appare totalmente senza vie d'uscita: sarei molto contento che quando questa lettera arriverà a destinazione la situazione sia nel frattempo cambiata, ma l’impressione generale è che l’attuale stallo non si risolverà certamente in una settimana o due. A questo punto, visto che quasi certamente i politici non saranno capaci di mettere insieme una maggioranza e soprattutto non saranno in grado di realizzare un programma di governo credibile, la mano dovrà per forza di cose passare a una personalità super partes, che costituisca un governo che mantenga gli impegni internazionali e ponga mano a quelle riforme, soprattutto economiche, che sono diventate via via sempre più indispensabili. In pratica una soluzione abbastanza vicina a ciò che è stato il governo Monti. Peccato però che questo compito non lo potrà più svolgere Monti che, dopo la sua partecipazione diretta alle elezioni, non può più essere considerato un uomo super partes e per la verità lui stesso non ha fatto molto per restarlo durante la campagna elettorale. C’è però il problema che di uomini super partes, di veri commis d’état, per dirla alla francese, questo paese non abbondi. Al momento in cui scrivo sono stati già fatti diversi nomi, qualcuno anche proveniente da Bankitalia (Fabrizio Saccomanni, per esempio), ma a oggi nessuno ha ancora portato avanti la candidatura del governatore. E a mio personale giudizio è l’unica oggi credibile. Lei è sicuramente un liberale vero, di ferree convinzioni liberiste, come ha avuto modo di mostrare in decine di pubblicazioni scientifiche di cui è stato autore, ma è anche una persona con profonde convinzioni sociali. Per di più con un grande amore per la cultura in ogni sua espressione. In pratica Lei sarebbe forse l’unica persona realmente super partes che potrebbe essere accettata con convinzione sia dalla destra, sia dalla sinistra. Il suo non sarebbe certamente un governicchio falsamente privo di ideologia. L’altro elemento che certamente la porrebbe in una posizione privilegiata è la sua estrema competenza economica. Al di là del fatto che non si arriva alla leadership della Banca d’Italia senza una grande cultura economica e finanziaria, comunque il suo governatorato su questo piano si distingue e la sua reputazione internazionale è ottima. Difficilmente si riuscirebbe a trovare una persona che verrebbe accolta meglio in Europa. Infine un dato caratteriale: la maggioranza degli italiani non la conosce e quando arrivò alla Banca d’Italia persino tra gli addetti ai lavori c’era chi aveva una scarsa conoscenza della sua persona. In pratica lei è stato sempre estremamente schivo e, se non cambia carattere all’improvviso, non ci sembra proprio la persona che si fa prendere dalle vertigini del potere, come spesso accade. Per favore, se qualcuno le chiede di fare il nuovo governo, accetti.
E
Alessandro Secciani
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
4
Sommario
A colloquio con...
6
Ed Yardeni
«Borsa Usa, presto nuovi record assoluti» Il mercato azionario globale è orientato al rialzo. Questa verità può sfuggire all’attenzione degli investitori italiani, immersi nel più cupo pessimismo, dopo anni di depressione economica e di buio politico. Ma Wall street è a pochi punti percentuali dal record di tutti i tempi. Inoltre l’Asia azionaria mostra un potente dinamismo sotto la spinta delle politiche ultraespansive del Giappone. Infine, gran parte del Vecchio continente consolida i cospicui guadagni conseguiti nel 2012
Osservatorio
8
Cinque incognite da seguire I conti con la realtà sono arrivati anche prima del previsto. La ripresa economica tutt’altro che scontata, la discutibile efficacia delle politiche monetarie, le tensioni nell’Eurozona, il fiscal cliff Usa e la scarsa crescita cinese sono problemi che possono incidere ancora sull’economia globale
Geopolitica
12
Le tensioni regionali non frenano Israele In una situazione difficile per tutta l'area mediorientale, lo stato ebraico ha messo insieme una serie di significativi successi economici. E la borsa di Tel Aviv si è dimostrata una delle più vitali e affidabili del mondo. Incide positivamente anche la scoperta di importanti giacimenti di gas sul mare al largo di Haifa, che renderebbero il paese non solo indipendente sul piano energetico, ma persino un esportatore
Trend
14
Qui Mosca
L’azzardo russo Il listino moscovita è stato uno dei più brillanti all'inizio dell'anno e alla fine del 2012, spinto dalle speranze di ripresa e dalla possibilità che crescessero le quotazioni di petrolio e gas, che restano la base dell'intera piazza. In febbraio è arrivata una doccia fredda e l'andamento è stato meno brillante con alcuni outlook negativi su un mercato che desta ancora molti interrogativi. Ma molti giurano che a prevalere sarà l'ipotesi più ottimista
Qui Istanbul
C’era una volta il toro Nel 2012 il listino del Bosforo con +50% è stato uno dei migliori del mondo, sull'onda di una serie di buone notizie economiche e per il fatto che Fitch aveva concesso il livello di investment grade. L'inizio dell'anno ha visto una consistente frenata ed è stato posto l'accento sui problemi ancora da risolvere. «Dopo una spettacolare ascesa, il mercato azionario turco non è più considerato conveniente»
Attualità
18
Decolla il flat sharing Sono in numero crescente i proprietari di appartamento che affittano una stanza per ricavare un reddito aggiuntivo.E ad approfittarne non sono più solamente gli studenti, ma spesso anche professionisti oltre i 30 anni, che riescono ad abbassare sensibilmente i costi proibitivi di una casa. Con 300-400 euro al mese in questa maniera si riesce a risolvere il problema dell'abitazione
La Francia
22
Un paese al bivio Il nostro vicino, finora considerato uno degli assi portanti dell'Unione Europea e fino a qualche anno fa ritenuto in una situazione migliore rispetto alla Germania, sta affrontando problemi pesanti, che rischiano di metterne in dubbio l'equilibrio.Anche la nuova dirigenza politica andata al potere nella primavera del 2012 non sembra ancora avere trovato il bandolo della matassa
Etf
38
Strumenti per speculare
Nati aggressivi Gli ultimi dati di Borsa Italiana mostrano che tra gli Exchange traded fund più scambiati, sia per controvalore sia per numero di contratti, ci sono diversi prodotti strutturati a leva e short leveraged. Spesso questi strumenti vengono usati per investimenti di breve o addirittura di brevissimo periodo, persino per operazioni intraday. Ma si prestano per questo tipo di utilizzo?
Indice immobiliare Investire-Tecnocasa - Gli uffici
Tracollo nel 2012 Dopo un quadriennio in limitato calo, l’anno trascorso ha visto affitti e prezzi degli edifici aziendali scendere a precipizio. La necessità per le imprese di risparmiare e le riduzioni del personale hanno inciso negativamente
Indicazioni operative Aggiustamenti post-elettorali
Strong buy
42
Fee-only
L’azione consigliata da... Credit Suisse
Lenovo, per chi crede nella Cina e nell’It Bot, poco rischio e buoni rendimenti dopo le elezioni
Gestore del mese
Uno spazio per le sim pure Sbarcate nel mondo dell’advisory finanziaria in una delle fasi più complicate della storia, le società che offrono esclusivamente il servizio di consulenza in materia d’investimenti sono riuscite a resistere e a ritagliarsi una quota di mercato significativa. L’approccio a parcella e il fatto che si tratta di strutture che non sono in alcun modo legate alla vendita degli strumenti d’investimento sembrano interessare particolarmente i clienti di elevato standing
Cambi Dossier
Una dimensione consistente
Il vero oro
Quali prospettive
Ancora buoni guadagni Secondo diversi uffici studi, gli ottimi rendimenti ottenuti negli anni appena trascorsi sono irripetibili, ma è possibile che il settore possa continuare a dare notevoli soddisfazioni. Soprattutto se proseguirà da parte delle principali banche centrali la politica dei tassi governativi quasi a zero, che manterrebbe alti gli spread
56
Gli uffici
74
Piove su Londra
L’argento
46
72
Il mago degli emerging bond
Il punto sulla situazione - Rosario Carlo Rizzo, presidente di Ascosim
Immobiliare
68
L’obbligazione consigliata da... Barclays Capital
Reti & consulenti
Obbligazionario high yield
64
Scelte d’investimento
76
Nell'attuale situazione di crisi il silver appare molto più interessante del metallo giallo. Ha ampi usi industriali e, come tutti i preziosi, è un bene rifugio. «Questa materia prima tradizionalmente ha offerto migliori rendimenti nelle fasi di ripresa e di ritorno di appetito per il rischio come sta avvenendo oggi». Il vero problema è però la forte volatilità
Cultura
80
Libri
La speranza arriva dal Sud
La foto del mese
Un settore difficile I problemi economici che stanno colpendo le aziende e l'eccesso di offerta in molte città rendono molto complicato questo comparto, che vede prezzi e affitti in netto calo quasi dappertutto. I rendimenti sono allineati a quelli delle abitazioni e spesso un po' inferiori a quelli dei negozi, per cui molti preferiscono investire su queste ultime tipologie. Resistono gli edifici ben serviti dai mezzi pubblici e ben strutturati
82
Benedetto XVI e Beppe Grillo
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
marzo 2013
6
A COLLOQUIO CON...
ED YARDENI
Il mercato azionario globale è orientato al rialzo. Questa verità può sfuggire all’attenzione degli investitori italiani, immersi nel più cupo pessimismo, dopo anni di depressione economica e di buio politico. Ma Wall street è a pochi punti percentuali dal record di tutti i tempi. Inoltre l’Asia azionaria mostra un potente dinamismo sotto la spinta delle politiche ultra-espansive del Giappone. Infine, una gran parte del Vecchio continente consolida i cospicui guadagni conseguiti nel 2012
a cura di VINCENZO SCIARRETTA
«Borsa Usa,
presto nuovi record assoluti» l mercato azionario registrerà nuovi primati», spiega Ed Yardeni, uno dei più accreditati guru finanziari di Wall street. «Le paure sono quelle di sempre: le montagne russe in Europa, il rallentamento in Cina, i problemi di bilancio in America. Ma nonostante queste incognite, l’S&P 500 è a pochi passi dal record assoluto del 9 ottobre 2007 a 1.565 punti. La mia scommessa? Il record verrà battuto al rialzo nel 2013».
I
«
Ed Yardeni
In Italia è emerso un quadro politico quasi ingovernabile che ha mandato brividi sinistri lungo la schiena degli investitori. Qual è la sua diagnosi? Che cosa le dicono i gestori di fondi con cui parla quotidianamente? «Non vorrei abbandonarmi a un eccessivo ottimismo, ma è una situazione di sconforto con cui abbiamo convissuto per anni. Questo mercato al rialzo è caratterizzato da repentine
correzioni al ribasso, scatenate quasi sempre da eventi drammatici in Europa oppure dal timore di una gelata in Cina o dallo spettro di una seconda recessione in America. Ma, ciononostante, dal minimo del 9 marzo 2009, l’S&P 500 è salito di oltre il 120%. E c’è una novità positiva». Quale? «Molti dei miei clienti sono gestori di fondi comuni e sono continuamente in contatto con la clientela retail, insomma con i risparmiatori e i piccoli investitori. L’impressione è che alcuni di essi inizino a mostrare interesse verso le gestioni azionarie, dopo essersi rifugiati per anni nel porto sicuro del reddito fisso. Voglio ricordare che tutto il rialzo dal marzo 2009 a oggi è avvenuto grazie agli acquisti degli investitori professionali. Se si aggiungesse la clientela retail, si potrebbe verificare una seconda corrente di acquisti».
Quindi lei dice che l’ingovernabilità italiana è un fenomeno negativo, ma non letale, per le borse mondiali. «È la mia ipotesi di lavoro. Mario Draghi è stato molto chiaro sulle azioni che intende porre in essere qualora si scatenasse la febbre della sfiducia sui titoli del debito italiano: egli ha dichiarato solennemente che farà qualsiasi cosa per tenere in piedi l’euro. A me basta». Passiamo all’America. Giorno dopo giorno, gli investitori si siedono dinanzi ai loro computer e sono chiamati a valutare le minacce che si susseguono e che gettano ombre sulla prrima economia al mondo. L’ultima ombra è il cosiddetto Sequester, cioè una serie di tagli automatici alla spesa pubblica che assottiglierebbe la domanda aggregata, sommandosi con ciò agli aggravi fiscali di qualche
settimana addietro. Lei che cosa ne pensa? «Beh, si tratta di 85 miliardi di dollari, cioè il 2,4% della spesa federale totale, che è di 3.580 miliardi. Non posso dire che sia una cifra irrilevante, ma neppure ingestibile. Il deficit è enorme e va posto sotto controllo in qualche modo. Per cui da questo punto di vista condivido l’approccio dei repubblicani: se il presidente Obama non è in grado di limare la spesa sociale con operazioni mirate, si aprano le porte ai tagli lineari. Qualcosa bisogna fare. Però tenga conto che l’economia è in espansione, per cui ha la forza di reggere un po’ di vento contrario». Quali sono gli elementi che la fanno parlare di un’economia in espansione? «Nel 2012 abbiamo avuto una crescita dell’1,5%; nel 2013 credo si possa salire al 2,5%. Gli ultimi dati sono tutti incoraggianti: non solo il presidente della Federal Reserve ha riaffermato pubblicamente un atteggiamento ultra-espansivo che avrà effetti stimolanti per le attività produt-
tive, ma la ripresa è già nelle statistiche. La fiducia dei consumatori è in miglioramento, le vendite di case finalmente hanno virato in positivo e gli ordini di beni durevoli riflettono un’economia che investe e guarda al futuro». Lei crede davvero che l’S&P 500 stabilirà nuovi massimi nel 2013? «Sì, con un’alta probabilità». Spieghi le sue assunzioni, la prego. «Le previsioni di consenso sono per utili medi relativi al 2013 di 113 dollari per l’S&P 500. Ma gli investitori guardano al futuro, sicché alla fine del 2013 gli operatori si concentreranno sul 2014 e guarderanno a utili ancora più alti. Perciò, applicando un multiplo di 14, arriveremo a circa 1.665 punti, cioè un nuovo record assoluto per la borsa americana. E c’è poi un ulteriore aspetto psicologico da considerare. Come dicevo, il grande pubblico dei piccoli risparmiatori si è tenuto alla larga dalla borsa, dopo la brutta esperienza del 2007-2009. I loro risparmi sono de-
tenuti in titoli del debito che oggi offrono un rendimento negativo, quando si tiene conto dell’inflazione. Inoltre, nelle ultime settimane i rendimenti del decennale sono risaliti dall’1,5% all’1,9%, causando perdite sui relativi titoli del debito (quando il rendimento dei titoli del debito sale, il loro valore scende ndr.). Ora immagini l’effetto psicologico se la borsa dovesse arrivare a raggiungere nuove vette inesplorate. Pensi ai titoli dei giornali. Il signor Smith dirà: ma come mai io non sto partecipando a questo rialzo? E chiamerà il suo promotore».
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
Per dire che anche lui vuole un po’ di azioni? «Esatto. Questo è sempre accaduto. Quando la tendenza diventa patologica è un male per la borsa. Cioè quando tutti si improvvisano grandi esperti di azioni, come ai tempi della bolla tecnologica, nel 2000, allora è il termometro di una febbre molto alta e pericolosa. Ma all’inizio non è così.All’inizio è un segno molto positivo, perché corrisponde a un parziale travaso di denaro dal mercato del reddito fisso a quello dei titoli azionari. Darà alla borsa una bella spinta verso nuovi record inesplorati». I
8
Osservatorio a cura dell'Ufficio studi di Investire
Cinque incognite da seguire
I conti con la realtà sono arrivati anche prima del previsto. La ripresa economica tutt’altro che scontata, la discutibile efficacia delle politiche monetarie, le tensioni nell’Eurozona, il fiscal cliff Usa e la scarsa crescita cinese sono problemi che possono incidere ancora sull’economia globale
mo andati incontro a diversi reality check in grado di frenare i mercati e raffreddare gli entusiasmi. Con riferimento ai reality check avevamo anche evidenziato che «la situazione dell’area euro e le [sue] dinamiche socio-politiche insieme all’eccesso di credito in Cina» sarebbero stati importanti catalizzatori di una presa di coscienza, da parte dei mercati e degli analisti, di una realtà più complessa e difficile da modificare. A noi sembra che stia proprio accadendo così. A soli due mesi dal suo inizio, il 2013 ci conferma di avere le caratteristiche tipiche di un anno di transizione, con reality check che iniziano a manifestarsi forse anche prima delle nostre previsioni.
I: el numero di febbraio avevamo sottolineato che, a fronte di una partenza sprint dei mercati azionari con il ritorno di aspettative più positive e il superamento del fiscal cliff, avremmo dovuto confrontarci con politiche monetarie in difficoltà nel gestire e spronare la ripresa economica e a rischio di commettere errori (i cosiddetti policy mistake) e sarem-
N
LA CRESCITA ECONOMICA
La crescita economica è e rimane globalmente modesta, con un 2012 che cede il testimone al 2013 in condizioni di maggiore debolezza rispetto al previsto, come i dati del IV trimestre 2012 hanno mostrato a partire dagli Usa (in crescita nulla o molto più rallentata del previsto) per arrivare alla Germania (in contrazione, anche se forse temporanea) o dell’area euro (in recessione sempre più prolungata e allargata). Le prospettive per il 2013, quindi, rimangono di una crescita eco-
nomica appena superiore al 2012. C’è uno stato dell’economia reale che stride con l’ottimismo delle aspettative, spesso di maniera a inizio anno e che palesa l’esistenza di difficoltà strutturali che le politiche economiche, soprattutto quelle monetarie, non riescono a superare. I freni che continuano a pesare sul rilancio della crescita economica sono ancora lì; ne è solo diminuita l’intensità generata dal sistema finanziario. Peraltro un ostacolo non ancora rimosso. Per eliminare alcuni freni che derivano principalmente dall’eccesso di debito e inducono il forte deleverage cui stiamo assistendo dal 2008, serve ancora tempo; per altri (forse i più importanti e strutturali, perché figli di una relativa scarsità di risorse mal distribuite e di ridotta competitività) serve affrontarne le cause con politiche redistributive più innovative e coraggiose. Sotto questo profilo possibili nuove tensioni saranno propedeutiche per spingere nella direzione utile a trovare risposte politiche più efficaci e lungimiranti. Anche i paesi emergenti, che pure non hanno il freno del deleverage tipico delle economie sviluppate, se escludiamo la Cina per il suo settore immobiliare, e sembrano in grado di av-
viarsi verso una moderata ripresa, stanno sperimentando quanto sia difficile, lungo e impegnativo vincere le deficienze strutturali e tornare a crescere in modo adeguato. E, comunque, come già mostrato nel 2008-2009, non è pensabile che riescano a separare in modo netto le proprie fortune economiche da quelle dei paesi sviluppati.
II: L’EFFICACIA
DELLE
POLITICHE MONETARIE NEI PAESI SVILUPPATI
Il loro ruolo salvifico e taumaturgico si riduce sempre più ed esse sono consapevoli in misura crescente di un arsenale ormai ridotto. Da qui in avanti qualsiasi cosa provino a fare può rivelarsi molto rischiosa e poco efficace. Come anche le recenti minute della Fed hanno portato alla luce, il dibattito tra i costi e i benefici di queste politiche monetarie così aggressive e distorsive della libera allocazione dei capitali è sempre più intenso e sottolinea i dilemmi con cui si dovranno confrontare le banche centrali. Le cosiddette currency war, ossia le corse alle svalutazioni competitive, come la decisione del Giappone di spingere la svalutazione dello yen, mostrano che gli strumenti disponibili per aiutare la crescita sono ormai molto ridotti.
Si provano nuove strade con alterne fortune. Abbiamo assistito, in relazione alla nomina del nuovo governatore della Banca centrale inglese, alla teorica possibilità che l’istituto adotti obiettivi di crescita nominale del Pil, abbandonando il tradizionale obiettivo di controllo dell’inflazione. Probabilmente assisteremo anche al dibattito se una banca centrale possa sostituirsi al sistema bancario nello stimolare l’erogazione del credito, oggi ancora al palo, non potendo o volendo ritornare a un sistema creditizio nazionalizzato con lo stato che avoca a sé anche il ruolo di intermediario creditizio e di finanziatore della crescita economica. Da circa un anno la Bank of England ha intrapreso una strada che avvicina il suo Qe a ciò che potrebbe diventare un credit easing. Il programma Funding for lending scheme, che si ispira anche a quanto già fatto dalla Banca centrale giapponese due anni fa, vede la Banca finanziare, a tassi agevolati, direttamente gli intermediari che si attivano per incrementare effettivamente gli impieghi sull’economia reale prestando a famiglie e imprese. Si vocifera che questa strada possa essere imboccata anche dalla Bce, visto che le Ltro non hanno portato a un adeguato stimolo del credito. Su questa possibilità rimaniamo però scettici, alla luce delle posizioni espresse in tema di interventi-
smo creditizio dalla Bundesbank. Nel complesso si tratta di un insieme di segnali che evidenziano il raggiungimento di un limite operativo che il mercato inizia a capire (ecco il reality check!) e per il quale non potrà attendersi o pretendere un crescente coinvolgimento delle politiche monetarie. Ciò non vuol dire che le politiche monetarie saranno costrette a fare marcia indietro. Esse rimarranno certamente espansive, ma anche esposte al rischio
di commettere errori, sia nella direzione di eccedere con l’interventismo, sia di non riuscire più a leggere adeguatamente il ciclo partendo da una posizione di enorme e innaturale ingombro economico, e rischiando di commettere errori (i cosiddetti policy mistake).
III:
NUOVE TENSIONI
NELL’AREA EURO
Potrebbe essere uno dei reality check più ravvicinati e pericolosi. È vero che tutto quanto fatto dalla Bce, con le promesse di
Sintesi operativa dello scenario centrale (probabilità 55%) Indicazioni
Indicazioni dei relative value e commenti
(+)
Costruttivi nel medio termine. Nel breve attendersi volatilità e problemi nell’area euro. Acquistare su debolezza gli Usa, contando su un accordo fiscale. Usare attivamente le opzioni. Su Giappone ancora tatticamente positivi. Cautela sugli emergenti per gli effetti del contagio dall’Europa.
(-)
Attendersi maggiore volatilità sul credito. Negativi sui crediti più speculativi. Preferire scadenze brevi e i rating elevati. Em sovrani ancora moderatamente positivi.
Obbligazioni governative
(=)
Le obbligazioni governative AAA potrebbero beneficiare nel breve termine dalla volatilità del mercato azionario e del credito. Euro periferici a rischio correzione.
Dollaro
(+)
Dollaro positivo grazie alle difficoltà dell’euro.
Materie prime
(-)
Negativi sulle materie prime legate alla crescita. Preferire i preziosi.
Asset class
Azioni
Obbligazioni creditizie ed emergenti
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
Draghi, e dalla Ue, con i primi abbozzi di riforma della Ue stessa, ha ridotto enormemente la possibilità di un disfacimento dell’euro e ha dato prova di un impegno più forte verso il progetto di unificazione europea. Poiché gli interventi non sono stati ancora risolutivi o non e non si è voluto accettare i relativi costi, sarà difficile evitare il ripetersi di mini-crisi. L’Eurozona rimane l’area economica in maggiore affanno e con il più elevato livello di pericolosità socio-politica, generata dalle enormi difficoltà in cui versano tuttora i paesi periferici, ma anche da possibili sorprese, determinate dalle difficoltà di un paese insospettato come la Francia. I mercati ripongono grandi aspettative nella ripresa ciclica dalla Germania. Speranze ancora tutte da verificare, dato che si basano finora su una generica fiducia nella stabilizzazione della domanda finale nel resto d’Europa (di cui non v’è ancora traccia) e nella ripresa dell’export verso i paesi emergenti, dimenticando, però, la ridotta crescita economica globale, la maggiore competizione di provenienza asiatica, con il Giappone avviato con decisione verso la svalutazione competitiva della propria moneta, e la rinascente manifattura Usa. Non solo, anche il livello di fiducia verso una tranquilla transizione politica in Italia potrebbe essere stato eccessivo, vista la migrazione del consenso verso
10
Osservatorio
posizioni alternative anti-austerity e non proprio filo-europeiste. Non ci sarà solo il caso Italia. Anche la Spagna è in una situazione difficile, con la popolazione sempre meno propensa a dare appoggio al governo. La Grecia rimane una polveriera sociale pronta a scoppiare, nonostante abbia drammaticamente ridotto il suo fardello debitorio immediato. Il rischio di nuove mini-crisi, quindi, non è trascurabile. Le elezioni tedesche e il complicato rapporto politico tra FranciaGermania-Italia (quest’ultima politicamente instabile) costituiscono un freno importante allo slancio riformistico necessario per il progetto euro. Possiamo solo augurarci che, dopo l’attuale fase di rilassamento politico-istituzionale, dalle possibili mini-crisi si attivino risposte politiche adeguate e si acceleri di nuovo il processo in cui la crisi dà luogo a una risposta politica.
IV: LA POLITICA FISCALE USA Il fiscal cliff è stato evitato a fatica, ma non ha risolto il problema dell’equilibrio di lungo termine del bilancio federale e non ha neppure risolto il problema
di breve termine dei tagli di spesa, che in parte è stato rimandato. Ora riprenderà lo scontro su che cosa e come fare, con i repubblicani ormai disposti ad accettare i tagli automatici di spesa se i democratici continueranno a cercare un accordo basato su nuovi aumenti delle tasse. Noi pensiamo che in extremis, come già accaduto negli ultimi due anni in tema di materie fiscali, l’accordo possa essere raggiunto. O meglio, riteniamo che si possa procedere fino al 2014 con una serie di accordi in passaggi progressivi. Ciò perché il sistema politico Usa non è come quello europeo e ha le caratteristiche di omogeneità culturale e istituzionale per facilitare un compromesso politico non traumatico. Tuttavia, sulla base delle informazioni oggi disponibili, le due posizioni ideologiche sono ancora molto distanti e non si può escludere che tatticamente i repubblicani forzino la mano, imponendo l’attivazione automatica dei tagli di spesa solo per potere migliorare tatticamente la propria posizione negoziale e ottenere un successivo accordo più favorevole in tema di tasse.
In questo caso, però, l’attivazione dei tagli automatici e la maggiore litigiosità del Congresso aumenteranno l’incertezza e avranno impatti negativi importanti sulla crescita economica, mantenendo depressi aspettative e investimenti. Considerati tutti gli aspetti, se la sopravvivenza dell’area euro non verrà nuovamente messa in discussione, come accaduto nel 2012, e se gli Usa riusciranno a trovare un accordo sul piano fiscale, è possibile e auspicabile che gli Usa e alcuni paesi emergenti riescano a guidare l’economia globale verso una lenta ripresa ciclica.
V:
NUOVA FLESSIONE IN
CINA
PER RAGIONI STRUTTURALI
Negli ultimi giorni è tornata a Pechino la preoccupazione per la ripresa dei prezzi delle case e dell’inflazione. Due fenomeni che potrebbero limitare l’entità della politica monetaria (e fiscale) espansiva avviata nei mesi scorsi. Dopo i buoni dati ciclici invernali, che hanno favorito una ripresa di ottimismo per il ritorno alla crescita, il rischio è che la mancanza di un’adeguata spinta propulsiva centralizzata
dal governo, in presenza di un elevato livello d’indebitamento complessivo dell’economia, porti nuovamente verso una stabilizzazione ciclica su valori inferiori all’8%.
CONCLUSIONE Quindi, visto lo scollamento tra mercati finanziari (e aspettative) ed economia reale e date le caratteristiche di anno di transizione che sembra avere il 2013, servono cautela e pazienza nell’approccio di allocazione di rischio sui portafogli. Le ottime performance finanziarie del 2012 hanno già incorporato parte delle buone notizie che potrebbero arrivare dal 2013. Data l’incertezza, ci pare quindi opportuno e consigliabile ricorrere a strumenti opzionali per posizionare gradualmente i portafogli sui mercati azionari, approfittando delle inevitabili correzioni, e riducendo contestualmente le ormai poco promettenti posizioni sul credito obbligazionario, soprattutto quelle a rating più speculativo e a duration più elevata. Nel breve termine evitare di pensare che si sia già esaurito il ruolo di stabilizzazione delle performance dei portafogli offerto dalle obbligazioni governative dei paesi sviluppati a migliore rating e a durata breve e media. La grande rotazione dalle asset class obbligazionarie a quelle azionarie, che avrà inizio quest’anno, non sarà un processo particolarmente veloce. I
Fattori di rischio
A complemento dell’ipotesi principale, ovvero la situazione identificata come più probabile, è necessario considerare gli scenari alternativi che si verificherebbero nel caso si concretizzassero alcuni pericoli od opportunità con probabilità inferiori Più paesi emergenti
1 Scenario alternativo positivo (probabilità 15%) Forte ripresa ciclica mondiale trainata dagli Usa e dai paesi emergenti e da una forte ritorno degli investimenti privati nei paesi sviluppati.
2 Scenario alternativo negativo (probabilità 25%) Europa e Usa finiscono in recessione. I paesi emergenti non riescono a riprendere la crescita. Le politiche fiscali si dimostrano oltremodo recessive. Le politiche economiche mostrano tutti i loro limiti nel riuscire a rilanciare il ciclo economico, nonostante una forte monetizzazione delle economie. Il sistema finanziario fatica a rimettersi in moto in modo corretto. Aumentano i prezzi delle attività reali come le materie prime contro tutte le principali valute, segno di una crescente sfiducia verso l’economia finanziaria. Ciò induce un’inflazione difficile da contenere nei paesi emergenti e nei paesi sviluppati. Dopo una prima fase di sbandamento, le autorità politiche ed economiche riescono ad avviare i giusti processi correttivi e a ristabilire la tranquillità sui mercati e a riguadagnare la fiducia degli investitori.
3 Scenario alternativo molto negativo (probabilità 5%) Lo scenario 2 evolve rapidamente in una crisi politica e di stallo fiscale negli Usa. Anche nell’Eurozona il sistema entra in crisi producendo un drammatico fallimento del progetto euro. La crisi internazionale produce una severa recessione in Cina con lo scoppio di una crisi finanziaria locale che trascina in recessione l’intera area asiatica. Il sistema finanziario mondiale non riesce a reggere alla crisi del debito sovrano europeo e di quello cinese ed entra a sua volta in crisi di liquidità e di solvibilità.
Asset class
Indicazione
Indicazioni di relative value e commenti
Azioni
++
Sovrappesare i paesi emergenti
Obbligazioni societarie ed Em
=
Stare su scadenze brevi o Frn e fare attenzione al rischio duration
Obbligazioni governative
-
Evitare la parte lunga delle curve, preferire obbligazioni legate all’inflazione.
Valute
+ Usd + Em
Materie prime
+
Sovrappesare il dollaro Asset class
Indicazione
Azioni
--
Obbligazioni societarie ed Em
--
Obbligazioni governative
+
Valute
+ Usd
Materie prime
=
Indicazioni di relative value e commenti
Preferire AAA su brevi scadenze e titoli legati all’inflazione; evitare periferici Ue
Solo i preziosi
Valute di paesi ricchi e commodity Indicazioni di relative value e commenti
Asset class
Indicazione
Azioni
--
Obbligazioni societarie ed Em
--
Tenere liquidità
Obbligazioni governative
-
Valute
+ Usd
Solo debito a breve scadenza di emittenti sovrannazionali o AAA Positivi su valute di paesi ricchi di materie prime
Materie prime
+
Solo i preziosi
Legenda Tabelle + positivo; - negativo; = neutrale; =/+ (=/-) neutrale che tende al positivo (negativo); +/= positivo senza grande convinzione.
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
12
GEOPOLITICA In una situazione difficile per tutta l'area mediorientale, lo stato ebraico ha messo insieme una serie di significativi successi economici. E la borsa di Tel Aviv si è dimostrata una delle più vitali e affidabili del mondo. Incide positivamente anche la scoperta di importanti giacimenti di gas sul mare al largo di Haifa, che renderebbero il paese non solo indipendente sul piano energetico, ma persino un esportatore
a cura di C LAUDIA S EGRE, SEGRETARIO GENERALE DI A SSIOM F OREX
Le tensioni regionali non frenano Israele n un quadro mediorientale che resta estremamente confuso e dove le preoccupanti dichiarazioni dell’Esercito libero siriano di attaccare Hezbollah in Libano fanno presagire quell’effetto contagio tanto temuto, Israele torna al centro della scena internazionale per il suo primato su start up, ricerca It e progressi tecnologici avanzati. La realtà di un paese con una popolazione numerosa come l’Austria che rappresenta un unicum come modello economico nella penisola mediorientale ha saputo trovare nella ricerca avanzata sulle tecnolo-
I
gie e le biotecnologie un primato di competitività. Inoltre le recenti scoperte di importanti giacimenti di gas nel Mare Mediterraneo al largo di Haifa hanno offerto un’opportunità più unica che rara di affrancarsi dalla dipendenza energetica dall’Egitto e dai paesi arabi. La quantità di gas a disposizione, però, non soddisferebbe solo le esigenze del paese, ma gli permetterebbe di affiancarsi alla Russia come fornitore all’Ue in collaborazione con Grecia e Cipro. Israele aveva ritrovato la via della crescita economica dopo i notevoli problemi causati dalla recrudescenza della seconda intifada del 2002, che aveva impattato direttamente la congiuntura economica, dai consumi privati ai flussi turistici e commerciali. Per un paese con un Pil pro capite vicino alla media europea e superiore a quello italiano, che in 27 anni ha dimezzato il rapporto debito/Pil, ora al 75%, e battuto l'iperinflazione riducendola dal 18% a ridosso del 2% at-
tuale (target del governo 1-3%) si riaccendono le preoccupazioni. Le lotte interne alle fazioni palestinesi irritate dai colloqui "egiziani" tra Israele e Hamas, il blocco dei negoziati di pace e altri fatti recenti rianimano l'estremismo rompendo la tregua che era stata faticosamente raggiunta mesi fa. I risultati delle elezioni anticipate di gennaio, le prime dedicate nei contenuti alle sole questioni economiche interne, costringono il premier Netanyahu e la sua coalizione di destra a creare un nuovo governo aperto ai centristi, usciti vittoriosi e guidati dal giornalista Yair Lapid. Ma le condizioni imposte dai centristi sono chiare: vogliono un impegno fermo nella riduzione del deficit, che resta stabilmente al 4,2%. L'agognata stabilità economica basata su un 40% del Pil rappresentato dall'export, perlopiù nel settore high tech, non ha risentito della crisi creditizia e finanziaria dimostrando grande resistenza grazie anche a un sistema bancario solido e avverso ai
rischi, vigilato con grande rigore dal più rispettato governatore di Banca centrale del mondo, peraltro uscente, Stanley Fisher. E sono proprio gli interventi della Bank of Israel, tesi a calmierare l'esuberante shekel (la moneta locale), ad avere permesso l'accumulo di ben 80 miliardi di dollari di riserve internazionali. A fine febbraio era atteso un taglio dei tassi, ma questo non è arrivato, nonostante un rally che lo aveva portato ai massimi da 16 mesi, mantenendo così alti i flussi in entrata e forte la divisa, una delle migliori, sui mercati locali emergenti. Anche la borsa di Tel Aviv ha messo a segno notevoli progressi e dal 2010 è stata promossa nella classifica degli indici benchmark dei primi 25 paesi al mondo con il suo Ta25. E ripagando i copiosi investimenti esteri, tra capitalizzazione e dividendi versati, con il 161% in dieci anni. Nella borsa di Tel Aviv sono ben 622 le aziende in listino, delle quali il 10% è quotato anche all’estero; e poi ci sono ben 180 Etf, 500 corporate bond e 1.000 mutual fund. Con una capi-
talizzazione di poco inferiore alla borsa italiana, in 10 anni ha accresciuto la sua immagine globale laddove la nostra borsa per contro ha perso il 30% di capitalizzazione ed è scesa sotto l’1% di peso mondiale. La capacità di attrarre flussi di investimento estero grazie alle numerose
e appetibili aziende It ha visto anche Warren Buffet protagonista di un mercato Ipo molto florido. La situazione geopolitica continua a preoccupare, ma lo spirito del paese resta rivolto al progresso economico. Poi rapporti diplomatici estremamente ondivaghi con gli alleati di sempre: Turchia, Egitto e le recenti decisioni di Obama di nominare Hagel, un repubblicano palesemente anti Israele, al Pentagono parrebbero isolare il moderno stato ebraico, stretto tra paesi a maggioranza islamica. Ma in verità la diplomazia va al di là di ciò che può apparire palese e si lavora instancabilmente anche perché
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
a preoccupare gli Usa è soprattutto l'irrisolta questione siriana e la minaccia nucleare iraniana. Tanto da creare i presupposti di una storica prima visita del presidente americano in Israele il 20 marzo. Per allora si auspica che il nuovo governo si sia insediato e i colloqui possano riprendere la via del dialogo costruttivo per una pace duratura e la tenuta di un modello economico esemplare che ha però bisogno di una forte continuità politica. E magari Lapid saprà cambiare toni e argomenti che sinora non hanno convinto i partecipanti al tavolo delle negoziazioni, troppe volte naufragate. I
14
MOSCA
QUI
TREND
Il listino moscovita è stato uno dei più vivaci all'inizio dell'anno e alla fine del 2012, spinto dalle speranze di ripresa e dalla possibilità che crescessero le quotazioni di petrolio e gas, che restano la base dell'intera piazza. In febbraio è arrivata una doccia fredda e l'andamento è stato meno brillante con una serie di outlook negativi su un mercato che desta ancora molti interrogativi. Ma diversi operatori giurano che a prevalere sarà l'ipotesi più ottimista
L’azzardo russo
a cura di BORIS S ECCIANI
inizio del 2013 tutto sommato non è stato facilissimo per i mercati emergenti che, dopo un biennio di relativa minore performance, non hanno certo brillato, a parte poche e importanti oasi come la Cina e il Sud-est asiatico. Ciò è evidente anche fra i produttori di materie prime, il cui periodo d'oro ha lasciato il passo a una real-
L’
Mosca
Islanda
Svezia Finlandia Norvegia
Russia Estonia
Lettonia
Danimarca Lituania
Irlanda
Regno Unito
Bielorussia
Olanda
Belgio
Polonia
Germania
Ucraina Lussemburho Repubblica Ceca Slovacchia Moldavia
Francia
Austria Hngheria
Svizzera
Romania
Slovenia Croazia Bosnia Serbia Andorra
Portogallo
Bulgaria Italia
Montenegro
Macedonia
Spagna Albania
Turchia Greca
Cipro
tà fatta spesso di inflazione, non eccelsa competitività industriale, distorsioni sui mercati finanziari e livelli di governance mediocri. In questo quadro non certamente esaltante ha invece sorpreso l'andamento della borsa di Mosca. Nel panorama di transizione del mondo emergente,
il listino russo, infatti è risultato a gennaio uno dei migliori. Le ragioni di questa sovraperformance sono ben sintetizzate dal team di Peter cam Asset Management: «La Russia ha fornito una performance pari a +3,2% in euro a gennaio, la seconda migliore nazione emergente nel nostro universo di investimento. Questa crescita è stata aiutata dal prezzo del Brent, che è passato da 110,6 dollari alla fine del 2012 a 114,9 al 31 gennaio 2013». Il mercato russo, infatti, notoriamente costituisce un eccellente play quando si vuole ottenere un'esposizione ad alto beta sul comparto energetico europeo: ad essere avvantaggiate in questo caso non sono solamente le esportazioni di petrolio, ma anche quelle di gas che sono prezzate in base all'andamento del Brent. Ad avere agito positivamente sono stati diversi elementi. Il primo è che tradizionalmente le azioni russe vantano valutazioni molto basse, a causa del non elevatissimo livello di governance e di efficienza dei mercati dei capitali del paese. Inoltre, viste le speranze di moderata ripresa globale, la convinzio-
ne che gli investitori avrebbero operato una robusta rotazione verso l'energia e i miglioramenti istituzionali in Russia hanno ulteriormente incrementato il grado di ottimismo.
UNA MODESTA RIPRESA Ma il clima positivo di gennaio non è durato molto: l'equity locale ha cominciato a soffrire a febbraio, adeguandosi al non scintillante andamento dell'universo emergente. All'improvviso la dura realtà di una modesta ripresa economica si è fatta sentire e molte speranze sono apparse sopravvalutate, soprattutto nella vicina Europa. Indicativo al proposito quanto riportato dal Team di cross asset research di Société Générale: «A sorpresa dati negativi sono venuti dalla produzione industriale di gennaio, che si è contratta per la prima volta dal primo mese del 2009. Se è vero che i numeri di gennaio sono generalmente pieni di distorsioni statistiche, e che pertanto è difficile da essi capire il momentum generale, il trend sottostante appare comunque, nello scenario migliore, stagnante. A livello di politica monetaria il calo manifat-
turiero dovrebbe fornire ulteriori argomenti a favore di un atteggiamento più accomodante. Riteniamo che la Banca Centrale di Russia, nel suo meeting di aprile, potrebbe dare il via a un ciclo di allentamento, se vi fossero i segnali che l'inflazione al consumo ha ormai raggiunto l'apice».
ATTENZIONE
ALL’INFLAZIONE
Ciò contrasta in maniera piuttosto acuta con quanto scritto solo qualche settimana fa da Clemens Grafe, analista di Goldman Sachs: «Il rublo dovrebbe beneficiare di condizioni monetarie più accomodanti a livello globale e più rigide su quello domestico. Inoltre il surplus di partite correnti dovrebbe crescere nel primo trimestre del 2013 intorno alla soglia di 35 miliardi di dollari, il doppio di quella che è la nostra stima per l'ultimo quarto dell'anno passato (17 miliardi). Dunque la fuga di capitali dovrebbe accelerare in maniera notevole per prevenire un apprezzamento del rublo. Riteniamo che il fatto che l'emissione di debito destinato agli investitori esteri sia aumentata significativamente e che i titoli di stato domestici entro il 2013 verranno resi disponibili sulla piattaforma Euroclear dovrebbe dare aiuto alla componente in conto capitale della bilancia dei pa-
gamenti. Il quadro della politica monetaria peraltro è orientato verso una più ampia flessibilità del tasso di cambio e una maggiore attenzione all'inflazione, il cui target è intorno al 5-6% nel 2013 e al 4-5% nel 2014». Dunque chi oggi decide di puntare sulla Russia deve scegliere di credere a uno tra due scenari. Il primo di questi prevede la possibilità di vedere un paese in crescita, dai consumi interni piuttosto vivaci, con immense risorse naturali, trattate a sconto dal
mercato. Questo è anche caratterizzato da una sempre maggiore integrazione finanziaria internazionale, favorita inoltre da un avanzo con l'estero alquanto rilevante e una divisa probabilmente molto sottovalutata. Questa ipotesi sembra sintetizzata dal team del Raiffeisen International Fund Advisory: «L’annunciata apertura del mercato dei titoli di stato russi agli investitori stranieri ha supportato considerevolmente le obbligazioni russe negli ultimi mesi e ha dato un suppor-
Due anni del Moscow Stock Exchange Jsc
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
to, nel complesso, a un loro andamento molto forte nel 2012. Secondo le ultime notizie, la liberalizzazione ci sarà in effetti soltanto a marzo. Ciò dovrebbe avere contribuito alle lievi correzioni verso il basso dei corsi dei titoli di stato russi all’inizio dell’anno. Tuttavia, nuovi afflussi di capitale da parte di investitori che finora non avevano accesso al mercato potrebbero fungere da supporto nei prossimi mesi. Il mercato azionario ha fatto registrare un forte guadagno del 5% circa, simile a dicembre. Il prezzo del petrolio in crescita ha inoltre provveduto a creare un ambiente positivo. I settori più richiesti erano comunque i titoli immobiliari e finanziari e non le azioni petrolifere». Il secondo scenario, molto più negativo, mette l'accento soprattutto sul rischio di puntare su uno sgangherato produttore di materie prime, non in grado di diversificare adeguatamente la propria base produttiva, costretto a rischiare uno scenario stagflativo per riuscire a sostenere un po' la crescita. Il tempo dirà se la vera Russia è quella di gennaio o quella di febbraio I
16
QUI ISTANBUL
TREND
Nel 2012 il listino del Bosforo con +50% è stato uno dei migliori del mondo, sull'onda di una serie di buone notizie economiche e per il fatto che Fitch aveva concesso il livello di investment grade. L'inizio dell'anno ha visto una consistente frenata ed è stato posto l'accento sui problemi ancora da risolvere. «Dopo una spettacolare ascesa, il mercato azionario turco non è più considerato conveniente»
C’era una volta il toro
a cura di DAVID TONELLO
a Turchia sotto molti punti di vista è uno strano paese e presenta caratteristiche che la rendono una nazione difficilmente catalogabile all'interno del gruppo degli emergenti. Non è infatti un esportatore di materie prime, anzi subisce in maniera pesante gli aumenti del prezzo del petrolio; è un discreto produttore industriale, senza
L Istanbul
Islanda
Svezia Finlandia Norvegia
Russia Estonia
Lettonia
Danimarca Lituania
Irlanda
Regno Unito
Bielorussia
Olanda
Belgio
Polonia
Germania
Ucraina Lussemburho Repubblica Ceca Slovacchia Moldavia
Francia
Austria Hngheria
Svizzera
Romania
Slovenia Croazia Bosnia Serbia Andorra
Portogallo
Bulgaria Italia
Montenegro
Macedonia
Spagna Albania
Turchia Greca
Cipro
essere un gigante del commercio mondiale, e ha un disavanzo con l'estero pesante; il mercato interno è giovane e vivace, senza però avere le dimensioni non solo dei colossi Bric, ma neppure di realtà come l'Indonesia, il Sudafrica o il Messico. In questo contesto la borsa di Istanbul è stata caratterizzata da un'ampia
volatilità: si è verificata infatti una pesante perdita nel 2011, annata caratterizzata anche da una forte svalutazione valutaria. La ripresa del 2012 è stata però spettacolare, con l'Istanbul National 100 che è aumentato di oltre il 50% in valuta locale (peraltro stabilizzatasi). Che cosa è successo in questo biennio? Nel 2011 la Turchia ha messo a segno una crescita economica mostruosa (+8,5%), acuendo però alcuni squilibri strutturali: il saldo delle partite correnti è salito fin oltre il 10% del Pil, a fronte del 6,4% dell'anno precedente, superando la soglia dei 77 miliardi di dollari, il livello assoluto più alto del mondo dietro gli Usa. Gran parte di questo buco è stato finanziato con afflussi di denaro provenienti dalle banche europee, mentre gli investimenti esteri diretti hanno fornito un contributo relativamente modesto. Non sorprende che in un quadro di panico come quello del 2011 le performance dei mercati turchi siano state disastrose.
SIGNIFICATIVA
INVERSIONE
Il 2012 ha visto una parziale ma si-
gnificativa inversione: il saldo delle partite correnti è sceso del 35%, tornando intorno al 6% del Pil. L'economia ha rallentato parecchio, crescendo di circa il 2,5%, ma con l'avvio della ripresa della propensione al rischio la Turchia è tornata a fare faville. In effetti attualmente il deficit delle partite correnti non sembra destare eccessive preoccupazioni: il fatto che esso sia interamente dovuto alla bolletta petrolifera sembra indicare un livello di competitività discreto del paese. Non a caso Marteen-Jan Bakkum, senior emerging markets strategist di Ing Investment Manage ment, dichiara: «Il saldo corrente turco non desta particolari preoccupazioni, visto che l'ammontare negativo è dovuto essenzialmente ai costi energetici». In assenza di shock sui corsi delle materie prime, dovrebbe essere più facile per la Banca centrale riuscire a portare avanti una politica monetaria coerente e stabilizzare il tasso di cambio della lira turca, come commenta il Team di cross asset research di Société Générale: «La lira turca ha tratto beneficio dalle buone news
economiche, specialmente dal fatto che il deficit delle partite correnti sia diminuito del 35% nel 2012, elemento che ha consentito alla divisa di riprendersi dall'impatto dato dalle elevate cifre dell'inflazione a gennaio». Il rinnovato equilibrio economico dovrebbe consentire di ravvivare la crescita nel 2013. Ercan Güner, head of equity and structured funds Turkey equity di Hsbc Global Asset Management, afferma: «Per quanto riguarda il 2013 riteniamo che la Turchia possa tornare a una crescita sostenibile del Pil, intorno al 5% annuo, grazie alla continua forza della domanda domestica, aiutata da buone condizioni demografiche, da un contenuto livello di indebitamento aziendale e privato, da tassi di interesse bassi e dai recenti sforzi governativi per affrontare il problema del deficit delle partite correnti». Se ciò dovesse accadere, la Turchia ritroverebbe il suo ruolo emergente di leader regionale, moderno e stabile, in un'area turbolenta. Dal punto di vista dell'export, infatti, le aziende nazionali stanno operando un sempre più massiccio decoupling dalla travagliata Europa. Ancora Ercan Güner ricorda: «Nel 2007 l'Eurozona rappresentava il mercato di sbocco del 56% delle esportazioni turche, mentre il Medio Oriente e l'Africa (Mena) contavano per il 28%. Nel 2011 la quota dell'area euro era scesa al 46%; in compenso quella
dei paesi Mena era aumentata fino al 26%». L'espansione turca nel mondo islamico è comunque favorita da un livello di competenze e di produttività della forza lavoro ai migliori livelli est-europei.
UN
PORTO SICURO
Ambizioni e dinamiche simili si possono trovare a livello finanziario: la crescita dei servizi bancari dovrebbe essere favorita anche dal continuo miglioramento della reputazione del paese, cui Fitch ha fornito il rating di investment grade. Non è difficile immaginare che cosa potrebbe succedere in termini di incremento di
presenza di capitali esteri, se la situazione dovesse cambiare. Ricorda infatti Gregor Holek, gestore del team emerging markets equities di Raiffeisen Capital Management : «Solo pochi anni fa, la Turchia era vista come estremamente sensibile agli shock congiunturali esterni ed era considerata economicamente problematica, con l'inflazione alle stelle, un elevato deficit delle partite correnti e una moneta debole. Oggi, benché la Turchia non sia completamente immune dai recenti conflitti, è ormai considerata da molti come una sorta di porto sicuro in una regione altrimenti alquanto critica. L'agenzia di rating Fitch ha riconosciuto questo stato di cose innalzando il rating del paese a investment grade. Questa decisione potrebbe ridurre ulteriormente i costi di finanziamento per governo, banche e imprese, in parte perché i grandi investitori internazionali saranno ora in grado di puntare sulla Turchia. Tuttavia, molti fondi pensione richiedono che siano almeno due le agenzie di rating ad assegnare lo status di investment grade
Cinque anni di Istanbul Stock Exchange National 100
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
e S&P e Moody’s ancora non si sono mosse in tal senso». In questo contesto, però, non tutta l'antica volatilità è scomparsa, visto il calo dei corsi azionari mostrato quando Moody's a sorpresa non ha portato lo scorso gennaio il debito turco sull'agognata soglia della rispettabilità.
LA
SCINTILLANTE
TURCHIA
Nel frattempo investire sull'azionario turco nell'immediato può non risultare facile, viste le quotazioni non certo più da saldo di stagione. Sempre Gregor Holek spiega: «Dopo una spettacolare ascesa, il mercato azionario turco non è più considerato conveniente e le valutazioni a sconto rispetto ad altri mercati emergenti sono in gran parte scomparse. Il paese, tuttavia, è ancora perseguitato da alcuni vecchi problemi, come l’elevato deficit delle partite correnti e la suscettibilità alle oscillazioni dei prezzi del petrolio». Insomma anche in questo caso pazienza per vedere finalmente dischiudersi la nuova scintillante Turchia, ormai completamente scevra dei problemi del passato. I
18
ATTUALITÀ Immobiliare
Decolla il flat sharing Sono in numero crescente i proprietari di appartamento che affittano una stanza per ricavare un reddito aggiuntivo. E ad approfittarne non sono più solamente gli studenti, ma spesso anche professionisti oltre i 30 anni, che riescono ad abbassare sensibilmente i costi proibitivi di una casa. Con 300-400 euro al mese in questa maniera si riesce a risolvere il problema dell'abitazione ta emergendo chiaramente un nuovo fenomeno sul mercato immobiliare, indotto soprattutto dalla crisi economica. Anche a gennaio si riconferma l’aumento del numero di proprietari che affittano parte della loro abitazione per incrementare il proprio reddito. Non passa inosservato, inoltre, che la classica vita del fuori sede, che per risparmiare sulle spese prende in affitto una stanza in un appartamento in condivisione con altre persone, non è più
S
appannaggio esclusivo degli studenti. Oggi a preferire il flat sharing è un numero sempre maggiore di professionisti over trenta, che nelle principali città italiane rappresentano quasi il 20% della domanda. Studenti, professionisti giovani e meno giovani, ma anche coppie e persone in cerca di occupazione, sono tutti ormai attori di un modello abitativo made in Usa, che coinvolge sempre più italiani, costretti delle difficoltà economiche a preferire il risparmio alla privacy.
Nel crollo generale del mercato immobiliare italiano, che vede forti discese sia nelle quotazioni delle locazioni, sia nei prezzi di acquisto delle abitazioni, questo particolare mercato tiene e in alcune città addirittura incrementa i prezzi degli affitti. Secondo i dati di Easystanza.it in Italia, comunque, il prezzo degli affitti di stanze e posti letto a gennaio è diminuito rispetto ai due mesi precedenti. Nelle principali città italiane l’affitto medio ha registrato un ribasso del 9%, compa-
Affitti medi di una stanza a gennaio 2012 vs affitti gennaio 2013 Città
Affitti gennaio 2012 (euro)
Affitti gennaio 2013 (euro)
Roma
420
440
Milano
425
450
Napoli
320
300
Torino
350
340
Bologna
300
330
Firenze
320
380
randolo con agli ultimi mesi del 2012, portando la media di una stanza in affitto da 350 euro a 330 al mese. La diminuzione del prezzo degli affitti degli appartamenti in condivisione interrompe il trend positivo in perenne crescita dall’agosto 2012. «Archiviati il caos e i problemi generati dalla scadenza dell’ultima rata della tassa sulla prima casa a dicembre, mese in cui gli affitti hanno raggiunto picchi storici, i proprietari di casa sembrano volere concedere maggiore respiro agli inquilini con un lieve, ma significativo, ribasso sul costo dell’affitto di camere e posti letto», afferma un report di Easystanza, il principale strumento per la ricerca e l'offerta di stanze e alloggi in condivisione in Italia, con oltre 30 mila annunci al mese. «Risparmiare sull’affitto in un periodo di grave recessione diventa un'esigenza per molti italiani. L’effetto Imu sembra quindi sedato e molti padroni di casa hanno sperimentato che aumentare i canoni d’affitto per rientrare della spese fiscali immobiliari, gravando sulle tasche degli inquilini, non è un’idea redditizia. D’altra parte in un momento in cui l’offerta della camera è in aumento, chi affitta il proprio appartamento per la condivisione sa bene che è un grave rischio proporre prezzi fuori mercato». Durante il mese di gennaio 2012 affittare una camera a Milano costava in media 450 euro, mentre a Napoli invece è stabile il costo di una stanza, intorno a 300 euro. In controtendenza Roma, dove è stato registrato un lieve aumento del costo delle camere negli appartamenti in condivisione. Se confrontiamo gli affitti medi del gennaio 2012 con quelli del gennaio 2013, si può notare un generale aumento del canone mensile che gli inquilini devono pagare, fatta eccezione per Napoli, dove si riscontra un ribasso del 9%, e Torino. Dal confronto spicca inoltre la differenza tra l’affitto medio del gennaio 2012 e quello di quest’anno per gli affitti di Firenze, passato da 320 euro a 380. I
Auto
C’è chi vince ivalutazioni a due cifre, dividend yield elevati, liquidità consistente in cassa, forte presenza nei mercati emergenti. Questa è la radiografia per grandi linee delle principali società automobilistiche di ogni parte del pianeta alla chiusura del 2012. Il settore ha poi moderato la sua ascesa in questa prima fase del 2013. A detta degli esperti si tratta di un periodo necessario a metabolizzare i risultati conseguiti negli ultimi 12 mesi. Tuttavia, non tutte le società incorporano il medesimo potenziale di crescita e, ora più che mai, appare importante porre l’accento sulla selezione dei titoli automobilistici da inserire in un portafoglio d’investimento. Il 2013 è iniziato con andamenti molto diversi tra le case asiatiche, europee e statunitensi. Per le prime, le misure introdotte dal governo di Tokyo per riattivare l’economia e spingere le esportazioni attraverso la svalutazione dello yen hanno giocato un ruolo fondamentale. Società come Toyota, Nissan o Mazda hanno accumulato rivalutazioni comprese tra il 50% e il 186% nell’ultimo trimestre. Si tratta di tre titoli che dipendono molto dalle politiche seguite dall’esecutivo locale e, pertanto, il loro futuro appare quanto mai incerto. Nonostante ciò, gli esperti confidano molto sul loro posizionamento nei mercati internazionali e sulla capacità di generare cassa. Uno scenario ben distinto è quello europeo, in cui ci sono aziende che continuano a mostrare un’eccessiva dipendenza dal mercato domestico, mentre altre mantengono inalterato il loro potenziale di espansione su quelli internazionali. Un esempio, il migliore, del secondo gruppo è Volkswagen. Il colosso automobilistico tedesco poggia su fondamentali solidi, un ratio P/E
R
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
conveniente, una presenza nel mercato cinese che molti giudicano non ulteriormente migliorabile e solide aspettative di crescita. Il rendimento da dividendo è un altro dei punti di forza del titolo: nel 2013 dovrebbe avvicinarsi al 5%, quasi l'1,5% in più rispetto al 2012. Il mercato statunitense sembra quello che, temporaneamente, offre meno spunti di riflessione. Ford e General Motors sono i due titoli che hanno accumulato i rialzi più consistenti durante il 2012 e questo trend potrebbe supportare le quotazioni nei prossimi mesi. Tuttavia, General Motors, fabbricante di auto a marchio Chevrolet o Gmc, non distribuisce dividendi e si pone in una posizione di svantaggio rispetto ai diretti competitor che hanno garantito lo stacco di cedole (magari più ricche rispetto a quelle viste nel 2012). I
20
ATTUALITÀ EasyJet
Una crescita vorticosa asyJet Plc (EZJ) è entrata da qualche giorno nel Ftse100, andando cosi ad affiancarsi a British Airways nel principale benchmark del mercato azionario britannico. Ciò è avvenuto a circa un mese di distanza dal nuovo record delle sue quotazioni, messo a segno dalla seconda maggiore compagnia aerea low-cost d'Europa. Negli ultimi 12 mesi EasyJet ha praticamente raddoppiato il suo valore, sfiorando la soglia dei 4 miliardi di sterline di capitalizzazione. La società ha così raggiunto la 85° posizione sul listino di Londra in termini di grandezza. Un'azienda può essere accolta nel Ftse solo dopo che è entrata nelle prime 90 per evitare un eccesso di volatilità del posizionamento.
E
Secondo quanto comunica Bloomberg, EasyJet è partita con due aerei nel 1995 ed è poi cresciuta fino ad avere una flotta di 214 Airbus Sas, in grado di trasportare qualcosa come 59 milioni di passeggeri all'anno, 20 milioni in meno della rivale Ryanair holdings. Guidata dal Ceo Carolyn McCall, l'azienda è stata in grado di affinare il proprio modello, basato su un servizio spartano, cominciando a usare un sistema di assegnazione posti, biglietti flessibili e venditori in grado di catturare una quota crescente del segmento business. Donal O’Neill, analista di Goodbody Stockbrokers a Dublino, commenta: «Si sono concentrati moltissimo sui costi e sono stati bravissimi a targettizzare il traffico business sugli aeroporti primari, segmento che presenta margini elevati, riuscendo a strappare una rilevante quota di mercato ai vettori tradizionali. Il valore di mercato riflette la performance dell'azienda, che è stata eccezionale». McCall, che ha lasciato la sua posizione di Ceo di Guardian Media Group per andare a EasyJet nel luglio del 2010, si è concentrata sulla puntualità, il tasso di riempimento degli aerei e il livello di profitti per passeggero.
La sua gestione ha visto la puntualità crescere dal 60% dei voli all'88%, mentre in termini di riempimento degli aerei si è passati dall'87,2% di due anni fa all'88,9% attuale. Willie Walsh, Ceo di International Consolidated Airlines Group (Iag), che possiede British Airways, lo scorso 28 febbraio, giorno in cui ha presentato i risultati trimestrali, ha dichiarato: «Carolyn McCall ha messo a segno una delle migliori performance del 2012. Quando Iag ha stabilito i propri obiettivi di costo per i voli locali che operano in Spagna, ha usato come riferimento proprio EasyJet». McCall ha aperto un tavolo di trattative con il fondatore dell'azienda, Stelios Haji-Ioannou, che da tempo si oppone ai piani di crescita del gruppo. Il rapporto con l'imprenditore, che tuttora possiede il 37% del pacchetto azionario, continua rimanere conflittuale. Stelios, come preferisce essere chiamato, ha ridotto la propria quota lo scorso gennaio per la prima volta dal 2004 e ha minacciato di vendere ulteriori azioni se EasyJet comprerà altri aerei: «Se il consiglio di amministrazione decide di fare un altro ordine, distruggerà in futuro valore. In-
vece di comprare nuovi aerei, EasyJet dovrebbe concentrarsi sul fatto di riuscire a raggiungere un margine del 10%». I portavoce di EasyJet hanno dichiarato che il gruppo ha l'obiettivo
«prudenziale» di aumentare la capacità in un range che va dal 3% al 5%, presentando agli azionisti un piano di gestione della flotta per il dopo 2015 e di consegna degli aerei a partire
dal 2017. La società nel 2012 è riuscita ad attrarre 10 milioni di passeggeri business, aumentando anche negli ultimi tre mesi dell'anno le destinazioni disponibili, includendo la Svizzera e
la Francia. In programma c'è di aggiungere altri voli business, altamente profittevoli, quali la tratta Mosca-Londra, oltre che il Milano-Fiumicino nel marzo del 2013. I
Energia solare
In 50 anni la fonte maggiore oyal Dutch Shell Plc (Rdsa) sostiene che l'energia solare, un business che ha abbandonato quattro anni fa, potrebbe diventare nel corso del prossimo mezzo secolo la maggiore fonte di energia del mondo. Questa affermazione è contenuta nel rapporto New Lens Scenarios Europe, di recente pubblicato dal maggior gruppo energetico europeo, sulla domanda di energia per questo secolo. Viene inoltre previsto che per il 2030 il gas naturale sarà invece la maggiore fonte di carburante. Entrambe queste previsioni comportano rischi per il clima e per i gruppi del comparto energetico: infatti, secondo quanto dichiarato da Peter Voser, Ceo del gruppo, in un recente evento a Washington, «il mondo, già oggi complicato, è destinato a diventare in futuro ancora più disordinato». Le stime sul solare di Shell, basate sull'assunto che comunque i prezzi dell'energia rimarranno elevati, fanno seguito a un boom dell'industria che ha visto la capacità crescere fi-
R
no a 102 gigawatt nel 2012, secondo i dati compilati da Bloomberg new energy finance. Basti pensare che nel 2000 si era a 1 gigawatt, secondo l'International energy agency. Secondo il gruppo di ricerca basato a Parigi, minori costi e il sostegno statale spingeranno la produzione solare fino a circa 600 gigawatt entro il 2035, una quota superiore al 2% del totale dell'elettricità prodotta, in fortissi-
ma crescita rispetto alla percentuale trascurabile fornita nel 2010. I progetti di Shell nell'eolico, nel solare e nell'idrogeno erano stati sospesi dal precedente Ceo Jeroen van der Veer nel 2009, prima che Voser subentrasse nel luglio di quell'anno. Lo studio adesso pubblicato è quello che finora si è avventurato su previsioni a più lungo termine, dopo avere speso negli ultimi cinque anni 2,3 miliardi di dollari in ri-
cerca su fonti alternative di energia e su tecnologie per catturare e immagazzinare l'anidride carbonica. Secondo Shell, la domanda di energia potrebbe raddoppiare nei prossimi 50 anni, a causa dell'aumento della popolazione e del miglioramento degli standard di vita. Allo stesso tempo la società prevede «emissioni globali di diossido di carbonio quasi a zero nel 2100». I
Eolico
Tutti in Romania uercus Assets Selection, società di gestione specializzata in investimenti in infrastrutture con un focus sulle energie rinnovabili, ha annunciato l’operazione di finanziamento di un veicolo di nuova costituzione, Energia Verde Ventuno, per la costruzione e l'esercizio di un nuovo impianto eolico da 17,5 Mw a Cerna, nella regione di Tulcea in Romania. L’investimento di circa 30 milioni di euro è stato effettuato con un finanziamento tramite il fondo Quercus Renewable Energy II, comparto lanciato a fine 2011 con lo scopo di cogliere le opportunità di investimento offerte
Q
dal settore delle energie rinnovabili in tutta Europa. Il progetto è cofinanziato dall’Unione Europea, tramite un organo operativo per la crescita della competitività economica e da UniCredit Tiriac Bank, la divisione rumena di UniCredit La Romania continua a essere uno dei paesi più attraenti per gli investimenti in energia rinnovabile, grazie all’importante potenziale del settore eolico, considerato uno dei più promettenti dell’Europa centro orientale. La capacità installata nel paese è aumentata da 14 Mw a 1.400 Mw negli ultimi tre anni.
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
22Un paese LA FRANCIA
Tra la periferia e il core
al bivio Il nostro vicino, finora considerato uno degli assi portanti dell'Unione Europea e fino a qualche anno fa ritenuto in una situazione migliore rispetto alla Germania, sta affrontando problemi pesanti, che rischiano di metterne in dubbio l'equilibrio. Anche la nuova dirigenza politica andata al potere nella primavera del 2012 non sembra ancora avere trovato il bandolo della matassa di Boris Secciani e David Tonello n malato si aggira per l'Europa, anzi a ben vedere di malati se ne aggirano parecchi. Probabilmente oggi nel Vecchio continente si fa prima a contare i paesi con fondamentali ancora sani, rispetto a quelli in equilibrio precario. Il problema è che il degente di cui stiamo parlando è in una categoria oltre il «too big to fail», dicitura che si adatta all'Italia e forse alla Spagna. La Francia, perché è questa la nazione di cui si sta parlando, è infatti oltre tale classificazione: se i mercati sono riusciti a gestire la possibilità di un intervento a favore di un colosso bancario locale, l'eventualità che lo stato francese possa finire in una situazione di tipo spagnolo è semplicemente terrificante. Per questo infatti a tale scenario finora non si è neppure arrivati vicini: anzi la curva dei tassi dei titoli di stato francesi ha goduto
U
dello status di «rifugio sicuro della periferia», entrando a volte nel territorio dei rendimenti nominali negativi. Infatti capitali istituzionali, sia privati sia di banche centrali, hanno portato sul debito francese una buona parte del denaro che prima era distribuito nel Sud Europa. Il problema è che se la Francia ha retto lo scontro con i bond vigilantes, la sua economia si sta allontanando sempre più da quella tedesca, ormai peraltro una delle pochissime ancora in semi-crescita, in un'Europa dove anche membri core come la Finlandia e l'Olanda sono in recessione. Il guaio è che se la crisi è arrivata nel Nord Europa di recente, in Francia è un processo che è maturato in un lungo lasso di tempo ed è esploso da poco. In pratica se una dozzina d'anni fa il paese transalpino aveva standard di vita e di competitività ai massimi livelli mondiali e alla pari, se non superiori, con la Germania, oggi gli stessi indicatori, da qualsiasi parte li si osservi, appaiono in
uno stato di deterioramento impressionante. Deficit dello stato, debito pubblico, saldo commerciale e delle partite correnti, produttività sono tutte grandezze fondamentali che oggi non sono più paragonabili a quelle del potente vicino. Indicativa appare la parabola del comparto auto nazionale: se fino a circa un decennio fa un'azienda come Psa Peugeot Citroën pre-
margini di profitto delle aziende francesi, misurati in termini di Ebitda, sono intorno al 28%, uno dei livelli più bassi d'Europa, contro una media continentale del 38,3%». Nello specifico, anche la congiuntura non sembra offrire grandi segnali di ripresa: se il quarto trimestre del 2012 ha visto una contrazione dello 0,3%, le speranze di ripresa sono state rintuzzate dalla pubblicazione del Pmi manifatturiero e dei servizi dell'Eurozona da parte di Markit. La ripresa del deterioramento su tutto il territorio europeo ha colpito i mercati come uno shock, con in più dati ancora da notte fonda per la Francia, con ogni probabilità rientrata in recessione. La situazione non appare destinata a cambiare troppo presto, anche perché i problemi vengono da lontano. Basti pensare che nel 2009 l'economia tedesca dipendente dall'export aveva subito una contrazione piuttosto violenta, mentre quella transalpina, basata sul consumo e sulla spesa pubblica, aveva inizialmente tenuto meglio. Il 2009 si è però rivelato per la Germania una battuta d'arresto in un quadro di ripresa, dovuto a profonde riforme che stavano finalmente mostrando i loro benefici, mentre da allora i nodi di Parigi hanno cominciato a venire al pettine.
UN
sentava la maggiore profittabilità d'Europa in una fase in cui invece la Volkswagen era impegnata in una difficile ristrutturazione, oggi il mercato appare dominato dalle tedesche, con i costruttori transalpini in una difficoltà che rischia di diventare esiziale. Una sintesi delle criticità competitive francesi viene fornita da Stefan Scheurer, vicepresident e global capital markets&the-
matic research di Allianz Global Investors: «Il costo del lavoro per unità di prodotto è cresciuto del 30% dal 2000, mentre in Germania è aumentato del 10%. Negli ultimi anni in Francia vi è stato un processo di deindustrializzazione: ormai il comparto manifatturiero contribuisce per il 19% del valore aggiunto, a fronte del 28% in Germania. Secondo l'Eurostat, inoltre, i
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
DIVARIO NELL’AREA CORE
Le difficoltà di avviare un processo di riforme, in un sistema istituzionale piuttosto complesso, vengono ben evidenziate dall'analisi di Donatella Principe, head of institutional business di Schroders: «I dati macroeconomici recenti confermano che la Francia si trova in una fase di rallentamento ciclico, che potrebbe anche peggiorare se quanto suggerito dal Pmi dovesse rivelarsi corretto. La situazione appare tutt’altro che rosea, specie alla luce della stretta fiscale che dovrebbe avere luogo quest’anno, sommata agli effetti, certamente non pro-business, di alcune recenti iniziative di governo. Si è ormai aperto un divario nell’area core tra l’andamento del Pmi tedesco, in costante e forte recupero, e quello francese, che conti-
24
LA FRANCIA nua ad attestarsi su valori depressi e in deterioramento. Se per la Germania e buona parte dell’Europa un primo trimestre di crescita negativa quest’anno dovrebbe essere seguito da un segno più nel secondo quarto dell’anno, per la Francia la prospettiva è di una prosecuzione della contrazione del Pil. Al paese continuano a mancare quegli aggiustamenti strutturali che sarebbero precondizione necessaria per riguadagnare competitività e fare ripartire il motore del-
Tra la periferia e il core la crescita. Basta guardare gli ultimi report dell’Ocse per trovare conferma del fatto che la Francia ha lasciato trascorrere più di un ventennio senza mai affrontare i problemi della spesa pubblica e delle riforme strutturali. L’unico timido tentativo fatto da Chirac nel 1995 di opporsi alla “pensée unique” e di riformare il sistema pensionistico ha prodotto una tale reazione di piazza che il governo ha preferito la non-azione per i successivi due mandati». I
Un lento declino
Qualche valida potenzialità resta llo stesso tempo va comunque detto che qualche differenza fra la periferia europea più fonda e la Francia esiste. Innanzitutto il paese è ancora una potenza politica e militare, ha un'industria con problemi di competitività, ma spesso collocata nei centri nevralgici dell'economia mondiale. Per questo in qualche maniera la sua posizione è oggi uno strano ibrido che si muove lentamente e in maniera continua verso una peggiore situazione economica, senza però avere vissuto nulla di paragonabile a quanto successo alla Spagna o anche all'Italia. A questi elementi va aggiunto il fatto che comunque il deficit e il debito pubblico, per quanto elevati, non hanno mai mostrato un andamento esplosivo. Lo stato francese vanta un'efficienza non paragonabile a quella del sudEuropa nella raccolta delle (ab-
A
bondanti) tasse. Questo fatto spiega in parte l'indulgenza che gli investitori hanno finora mostrato nei confronti dei nostri cugini. Un esempio di questa visione viene da Darren Williams, economista di AllianceBernstein: «La Francia è qualcosa di curioso. Politicamente rappresenta l'altra metà dell'asse franco-tedesco che ha guidato il processo di integrazione europea, a partire dal secondo dopoguerra. Dal punto di vista economico, però, le prospettive appaiono meno chiare. La nazione si posiziona a metà del nostro ranking di rischio, a uguale distanza fra la parte core del continente e la periferia. In gran parte quest'ultima ha vissuto forti difficoltà a causa del fatto che le bolle, che hanno caratterizzato i mercati locali prima della crisi, sono scoppiate. Questo fatto a sua volta ha innescato i problemi a livello sovrano. A ciò spes-
so si è accompagnata una gestione fiscale dissennata. Niente di tutto ciò vale per la Francia, che prima della crisi non ha vissuto bolle nei propri asset. Inoltre l'aggiustamento necessario per stabilizzare i conti pubblici è relativamente minore. Quest'ultimo punto è importante, perché significa che la Francia non ha bisogno di imporre quell'austerità tremenda che ha demolito la crescita e la fiducia degli investitori nella periferia europea».
SFIDE
DI LUNGO PERIODO
Uno scenario di declino di lungo periodo come alternativa più plausibile a un crash immediato viene sostenuta anche da Johannes Mueller, capo economista di Deutsche Asset & Wealth Management: «Il problema principale a livello nazionale è il lento e continuo deterioramento della propria posizione competitiva. Di fronte ci sono molte
sfide di lungo periodo, in particolare per le aziende. Ad ogni modo, però, a differenza di Spagna, Portogallo e Irlanda, non ci sono pressioni immediate a operare un forte deleveraging. Inoltre è vero che il livello del debito pubblico è salito, ma, a differenza dell'Italia, la sua sostenibilità non è in discussione. Di conseguenza non vediamo all'orizzonte un’escalation come quella che ha caratterizzato la periferia». I
I fondamentali fragili
Disoccupazione e deficit preoccupano e quanto meno l'instabilità finanziaria per il momento appare evitata, come ricordato da Principe di Schroders in precedenza, l'andamento economico generale oscilla tra lo scadente e il pessimo. Gli elementi di debolezza non mancano, specialmente in un'economia più orientata ai consumi di quella tedesca. Indicativa l'analisi delle difficoltà francesi sull'occupazione di Andreas Bockberger, gestore del team global fixed income di Raiffeisen Capital Management: «Con un tasso del 10,3% la Francia ha uno dei maggiori problemi di disoccupazione fra i paesi core. Varie stime realizzate dalla Commissione europea e da diversi attori del mercato non prevedono certo che la situazione cambi nel futuro immediato. Il quadro appare ancora peggiore se si guarda ai giovani senza lavoro: i numeri dell'Eurostat in questo caso mostrano il 21% di disoccupati, dato che è davvero allarmante». Sempre Bockberger appare
S
di conseguenza meno tranquillo circa la solidità finanziaria del sistema transalpino: «È probabile che la Francia continui a rimanere indietro, non solo rispetto alle nazioni più forti dell'Eurozona, ma anche a confronto con i propri vicini meridionali. Ciò renderà difficile riequilibrare i conti pubblici, con il rischio nel tempo di una crisi finanziaria».
FUGA
DI CAPITALI DAL PAESE
La difficile situazione a livello di finanza pubblica è indubbiamente un problema serio, non aiutato anche dal fatto che l'attuale dirigenza politica francese (stabilire se a torto o a ragione non rientra negli scopi del nostro giornale) viene percepita come una delle più anti-business d'Europa. È indicativo che nel primo anno della presidenza di François Hollande, in verità caratterizzata da una retorica costruita su promesse di spesa pubblica e su tasse ai ricchi e da una realtà caratterizzata da un inizio di austerità e da un
aumento della fiscalità generale, abbiano cominciato a manifestarsi alcuni problemi tipici del Sud Europa. A partire dallo scorso autunno vi è stata una contrazione dell'aggregato monetario M1: questo dato, insieme a quanto mostrato dai saldi Target 2, indica che è in corso una fuga di capitali dal paese. Diverse voci si stanno levando sulla desertificazione industriale causata da un numero sempre più grande di aziende desiderose di ricollocarsi altrove. Il poco cortese scambio di opinioni fra esponenti istituzionali da una parte e manager e investitori
esteri dall'altra visto di recente ugualmente non contribuisce ad aiutare la situazione. È difficile inoltre che per il 2013 si riesca a centrare il contenimento del deficit pubblico al 3%, mentre il ministro delle finanze Pierre Moscovici ha più o meno apertamente affermato che l'obiettivo ufficiale di crescita (+0,8%) non verrà raggiunto. Nel frattempo si rincorrono voci di nuovi downgrade del debito francese, dopo quelli di Standard&Poor's nel gennaio del 2012 e di Moody's nel novembre, sempre dello scorso anno. I
I necessari cambiamenti
Non sono dietro l’angolo i conseguenza allo stato attuale è difficile aspettarsi grandi cambiamenti e spinte innovative dall'azione politica, né in un senso (riforme pro-mercato) né nell'altro (incisive azioni redistributive): il fatto che la Francia sia
D
anch'essa impelagata in un circolo vizioso di austerità-contrazione (anche se in maniera meno disastrosa che altrove) viene sottolineato senza troppi giri di parole da Didier Le Menestrel, presidente di Financière de l’Echiquier: «Purtroppo non ci
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
possiamo aspettare nulla in termini di politiche fiscali e a favore della crescita, dal momento che seri tagli alla spesa pubblica non verranno varati. Se il governo di François Hollande non comincerà a ridurre i costi, non avrà alcun margine di
26
LA FRANCIA manovra per perseguire altre politiche». In verità qualche segnale di luce dal punto di vista delle riforme c'è: ad esempio in termini di mercato del lavoro l'attuale amministrazione sembra che si stia impegnando, anche se, come al solito in una nazione europea, per di più notoriamente poco propensa ai cambiamenti, questi processi appaiono inevitabilmente complessi e portati avanti in maniera contraddittoria. Frederic Jeanmaire, gestore azionario europeo presso Threadneedle Investments, non a caso afferma: «Hollande si sta trovando di fronte il dilemma di come mantenere le sue promesse di una politica di stampo socialista, (rialzo delle tasse e protezione dei lavoratori), riuscendo allo stesso tempo a sostenere gli investimenti in industrie in difficoltà strutturali. Un tentativo di riforma del mercato del lavoro è in corso, il che mostra come la Francia stia adottando un atteggiamento pragmatico per migliorare le prospettive economiche. Come la
Tra la peri feria e il core periferia nel 2011-2012, il paese si trova adesso a fronteggiare diversi imperativi in termini di finanze pubbliche, che limitano il raggio d'azione dei politici. Pertanto riteniamo che François Hollande continuerà a seguire le politiche del suo predecessore, con più austerità fiscale, anche se in maniera meno aggressiva rispetto a Spagna e Italia. Ciò peserà ad esempio sui consumi e sul comparto edilizio».
POCHE
SCELTE POLITICHE
Ciò che appare chiaro è che le autorità francesi non avranno molta scelta nelle loro politiche, in linea con la situazione economica nazionale: i fondamentali industriali in pesante deterioramento, ma ancora meno tragici di quelli della periferia europea, nonché la mancanza di bolle sui mercati finanziari, fanno sì che politiche eccessivamente draconiane non siano all'orizzonte. In fondo il governo aveva come obiettivo di rientrare nel parametro del 3% di rapporto deficit/Pil nel 2013, mentre appare più proba-
bile che il risultato finale sia intorno al 3,7%. Allo stesso tempo questi numeri fanno capire che la Spagna è ancora lontana, come lo è l'Italia, in termini di mole complessiva del debito pubblico, o il Regno Unito (ma anche alcune nazioni nordiche) per quanto riguarda quello privato. Allo
stesso tempo le promesse di un nostalgico ritorno alla prima era Mitterrand, vagheggiato l'anno scorso, sembrano irrimediabilmente fuori dalla realtà. Comunque sia, le incognite che accompagneranno chi deciderà di investire sui mercati dei capitali francesi sono ancora molte e tutt'altro che scontate. I
LA FRANCIA
L’azionario
Tante
occasioni da scegliere
che puntano tutto sui
quella spettacolare del listino tedesco, che all'inizio del 2003 si trovava in uno dei periodi più bui della propria storia post-bellica. Il principale benchmark azionario di Parigi, l'indice Cac, dopo un 2011 e una prima metà del 2012, dove il meglio che si può dire è che è stato solo pessimo ma non catastrofico, ha recuperato moltissimo, sovraperformando anche altri indici e chiudendo l'anno passato con un apprezzamento intorno al 18%. Nel complesso oggi l'equity parigino appare caratterizzato da luci e ombre, più o meno in linea con altre borse del continente. Jean François Tilquin, responsabile della gestione obbligazionaria di Convictions Asset Management, afferma: «Crediamo che il Cac performerà in linea con gli altri principali indici europei su un orizzonte di medio periodo».
consumi interni
SELETTIVITÀ
on si può certo dire che il mercato azionario francese abbia mancato di riflettere le difficoltà e il declino nazionali. Infatti nell'ultimo decennio la sua performance è stata molto inferiore rispetto a
In linea con il resto del continente, infatti, la Francia sembra mostrare valutazioni a sconto, sia rispetto al resto d'Europa, sia alla propria media storica. In questo caso, però, la selettività appare di rigore, in linea con quel processo di decoupling delle aziende nazionali dalle vicende domestiche che abbiamo descritto in precedenza.
Se le difficoltà del paese sono evidenti, il listino equity parigino, che ha attraversato negli anni scorsi momenti difficili, offre una serie molto interessante di imprese capaci di muoversi efficacemente sul mercato globale. Poca fiducia, invece, nelle società
N
DI RIGORE
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
Donatella Principe, di Schroders, commenta: «Il mercato europeo continua a essere nel suo complesso a sconto, sia rispetto alla propria media storica, sia confrontato con altre attività d’investimento. La situazione della Francia non rappresenta in tal senso un’eccezione, nonostante l’indebolimento atteso nell’economia locale e il difficile contesto nel quale versa in generale l’Unione. L’importante è che la focalizzazione nella selezione dei titoli sia prevalen-
28
LA FRANCIA temente sui player internazionali, per i quali il peso delle esportazioni sul totale del bilancio sia preponderante. In questo caso anche eventuali flessioni del Pil avranno ricadute meno rilevanti sui corsi azionari di società i cui destini dipendono dalla domanda globale e dalle importazioni di economie in riaccelerazione come la Cina. In ogni caso un’importante cartina tornasole per la tenuta del listino francese è rappresentata dal suo mercato obbligazionario. Sebbene la reazione al downgrade di Moody’s sia stata relativamente ridotta, consentendo alla Francia di continuare a finanziarsi a tassi molto bassi, nonostante la situazione non rosea dell’economia e delle finanze pubbliche, non di meno lo spread con il Bund è relativamente elevato su base storica». Interessante, riguardo la biforcazione delle azioni transalpine, appare l'analisi di Frederic Jeanmaire, di Threadneedle Investments, che ripropone
L’azionario l'antico dualismo fra capitale pubblico e privato, alquanto sentito nel paese: «Il mercato francese è molto polarizzato. Da una parte ci sono le ex aziende di stato, nonché alcuni grandi gruppi in settori poco innovativi: si tratta di società nelle quali noi non investiamo. Dall'altra ci sono i campioni globali, per i quali a Threadneedle vediamo un grande potenziale di rialzo e di cui siamo stati investitori chiave per anni. Stiamo invece evitando i cosiddetti campioni nazionali. Per esempio, Bouygues, una conglomerata che opera in comparti che vanno dalle costruzioni alle telecomunicazioni e che fa il 72% delle sue vendite in Francia, Edf, la utility company che ricava dal mercato interno il 61% del fatturato, e France Télécom, che fattura nel paese la metà. Oltre a essere esposte a industrie che si trovano di fronte a problemi strutturali, quali le telecom e il nucleare, queste società sono altamente
orientate a un mercato domestico stagnante e stanno vedendo regolari tagli nei dividendi. Ma l'analisi non dovrebbe fermarsi qui. In Italia avete Luxottica e Pirelli e la Francia similmente ha alcune società dinamiche che operano all'estero con successo. L’Oreal, la società di cosmetici, deriva solo il 12% delle sue vendite dalla Francia, Pernod Ricard il 10%. Questi gruppi stanno sfruttando fattori secolari di crescita, quali ad esempio la ricalibrazione delle economie emergenti verso i consumi, che limitano i rischi derivanti dalla Francia. Così il segmento consumer è chiaramente un'area di opportunità per noi. Ci piacciono anche alcuni industriali: Legrand (apparecchiature elettriche) è uno dei nostri titoli preferiti, con solo il 27% delle sue vendite in Francia. Sta performando eccezionalmente e ha un ottimo management. In linea generale ci sono molte società così alla borsa di Parigi e il nostro mes-
I fondamentali
C’è molto a sconto on manca chi vede l'azionario francese a sconto rispetto a molte altre opportunità sparse per il globo. George Nadda, gestore di Nemesis Asset Management, sembra mostrare interesse anche per nomi non particolarmente apprezzati allo stato attuale da molti investitori: «Mentre il Cac ha avuto un buon 2012, la sua performance è stata inferiore ad altri mercati, quali l'S&P 500 e il Dax, se si guarda indietro all'inizio della crisi. Da una prospettiva di valutazioni, il Cac sta scambiando a 9,9 volte gli utili previsti per il 2013 e a 9,09 di quelli del 2014.
N
Alcune società che crediamo abbiano buone caratteristiche di rischio/rendimento sul lungo periodo sono Veolia, Safran, Total, Jc Decaux (azienda che non fa parte del Cac), Edf e Aéroports de Paris». Su questa linea sembra muoversi anche Didier Le Menestrel, di Financière de l’Echiquier: «Ovviamente continuiamo a vedere molte opportunità! Il listino francese infatti è appena il 60% del Pil in termini di capitalizzazione, il che significa che c'è ancora spazio per valutazioni migliori, specialmente nei settori che più hanno sofferto della crisi, come banche e utility».
saggio è chiaro: bisogna evitare il mercato domestico, ma ci sono alcune società francesi veramente attraenti». Su un mix relativamente simile di opportunità sembra puntare anche Geoffroy Goenen, head european equity di Dexia Asset Management: «Ci piacciono Sanofi (e l'health care in generale in Europa), Sodexo, Air Liquide, Legrand, Schneider, Technip, Lvmh. Sono tutti player globali con diverse qualità: buoni manager, vantaggi competitivi, elevata capacità di generare utili, crescita dei fatturati, un adeguato livello di leva, nonché una valutazione interessante».
OCCORRE
PAZIENZA
Visti i chiari di luna, ci troviamo anche in questo caso a dovere ripetere ciò che sembra diventato il concetto chiave: gli investitori devono portare pazienza. Marc Caretti, gestore global equities di Raiffeisen Capital Management, sostiene: «Come casa di gestione bottom-up vediamo splendide opportunità nei titoli value per gli investitori che guardano al lungo periodo. Crediamo che le valutazioni di società come Bouygues, Total o Gdf Suez siano molto convenienti e rileviamo un interessante potenziale di lungo periodo». In effetti proprio il lungo periodo ci dirà se il mercato è stato preveggente nel rifilare a Corporate France valutazioni da listino periferico, o se invece si sarà trattato di uno dei tanti casi di scarsa lungimiranza, sulla stessa falsariga della Germania di 10 anni fa. I
LA FRANCIA
L’industria
Sempre meno
Marianna I consumi interni transalpini, che erano il punto di forza delle imprese locali, continuano a perdere importanza e le società più competitive stanno diversificando i mercati di sbocco e delocalizzando la produzione, nonostante il governo cerchi di trattenerle sul territorio metropolitano. Le aziende che non sono riuscite a portare avanti questo processo sono spesso in crisi profonda
Q
uando si guarda ai mercati e all'economia francese, gli investitori devono tenere presente una serie di punti a volte contraddittori. Le aziende francesi, come abbiamo visto, sono spesso non eccessivamente efficienti, soggette a un potere politico dal-
la mano pesante, che talora spinge per tenere quante più attività è possibile in Francia, dove la struttura dei costi è elevatissima. Allo stesso tempo le principali imprese nazionali, pur con questi problemi di competitività, restano colossi in segmenti dell'economia globale a medio o elevato valore aggiunto: basti pensare ai grandi gruppi, pubblici e non, nell'energia, nell'auto, nell'aerospazio, nel lusso.
UNA
VALUTA TROPPO FORTE
Le società transalpine si trovano nella necessità di diversificare i propri mercati di sbocco, rendendo contemporaneamente produttivo il proprio apparato. Una situa-
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
zione se si vuole non eccessivamente diversa da quella in cui, dopo l'immobilismo degli anni novanta, si sono trovate le keiretsu giapponesi, oppresse da una classe politica locale pietrificata, costi di produzione spaventosi e la necessità di riequilibrare i propri mercati di sbocco, gestendo allo stesso tempo una valuta troppo forte per il grado di competitività domestico. Quest'ultimo problema congiunturale viene evidenziato in tutta la sua forza, costituita da un groviglio di delicati problemi politici a livello continentale, da Donatella Principe, di Schroders: «La situazione europea sul fronte valutario non potrebbe essere più dissimile da quella nipponica. In
30
LA FRANCIA Giappone una forte convergenza di vedute tra governo e Bank of Japan ha favorito un notevole deprezzamento dello yen, tornato ai minimi da tre anni, che ha ampiamente agito come volano per le esportazioni. In Europa questa coincidenza di vedute non esiste né a livello politico né a livello di Bce. In particolare quest’ultima potrebbe agire solo nella misura in cui il fattore cambi dovesse risultare una fonte di instabilità sul fronte dei prezzi. Anzi, proprio la Bce è una delle motivazioni più potenti della forza dell’euro, che oggi risulta sopravvalutato di più del 12% sulla base della parità di potere d'acquisto. In una fase in cui le principali banche centrali del mondo sono impegnate in politiche ultraespansive e premono sul quantitative easing, al di là dell’Omt e del “whatever it takes” della Bce, i mercati sono ben consci che la Draghi-put è out-of-themoney e che di conseguenza l’euro resta la valuta da comprare. Al di là del valore assoluto della moneta unica, è inoltre importante tenere presente che la diversa competitività internazionale fa sì che economie diverse subiscano con intensità differente i contraccolpi della
L’industria forza della valuta comune. Uno studio recente fissa a 1,37 contro dollaro il valore dell’euro dal quale l’economia dell’Unione inizia a entrare in affanno. Per la Francia, tuttavia, questo livello si abbassa a 1,24, data la sua competitività internazionale inferiore alla media europea. Ciò detto, sul mercato azionario francese sono quotate molte società che sono in realtà player globali, attive in diversi settori, da quello industriale ai beni di lusso. È su queste imprese, meno esposte all’atteso rallentamento interno e agli effetti locali delle inevitabili misure di austerity, che deve rivolgersi l’attenzione di chi guarda al mercato azionario di Parigi». Dunque i gruppi transalpini non si possono aspettare più di tanto sul fronte domestico, in termini di recupero di competitività, né su quello europeo, essenzialmente per le differenze di vedute con i tedeschi sul livello ottimale dell'euro. Il vantaggio di tutto ciò è che comunque non si tratta di un quadro istituzionale certo nuovo ed è da anni che il management dei maggiori gruppi francesi sta operando una politica di diversificazione produttiva. Indicativo in questo ambito appare il
parere di Marc Caretti, gestore global equities di Raiffeisen Capital Management: «Durante l'ultima decade, abbiamo già visto un movimento dal mercato domestico a quello internazionale: sia per le società pubbliche, sia per la maggior parte delle compagnie francesi questa diversificazione internazionale è un trend che continuerà nel futuro». Britta Weidenbach, gestore azionario di Deutsche Asset & Wealth Management fa risalire ad ancora più indietro nel tempo l'inizio di questo fenomeno: «Questo processo di diversificazione è quanto è accaduto negli ultimi 20 anni. Il vero dibattito è la reindustrializzazione della Francia: il governo dovrebbe fare e sta facendo tutto il possibile, inclusa una maggiore flessibilità negli orari di lavoro, per aiutare la creazione di nuovi posti nel lungo periodo».
FUGA
DALL’EUROPA
La questione della produzione locale si presenta comunque in tandem con la necessità di ampliare i mercati di sbocco. Qui il quadro si fa un po’ più ambiguo: è vero che le aziende francesi sono grandi e in segmenti economici ad alta complessità, ma è anche indubbio che la buona espansione internazionale degli ultimi anni è stata spesso operata nella periferia europea, con tutte le conseguenze del caso. Anche qui comunque alcuni miglioramenti in corso ci sono: i gruppi francesi si sono mossi molto per aumentare la loro presenza sui mercati a maggiore crescita. In particolare una forte accelera-
zione vi è stata a partire dall'avvio della crisi finanziaria. Didier Le Menestrel, di Financière de l’Echiquier, spiega: «Le società francesi hanno già adottato questa strategia: dal 2008 stanno scappando dall'Europa, in particolare da quella del sud, e continueranno di sicuro a cercare opportunità di crescita al di fuori della loro economia locale negli anni a venire». Indicativa delle ambiguità transalpine a livello corporate appare la sintesi di Jonathan Fearon, gestore azionario Europa di Ignis Asset Management: «Se nel complesso la dipendenza dei gruppi del Cac 40 dal mercato domestico è maggiore rispetto ad altre economie di grandi dimensioni come il Regno Unito, va però ricordato che ciò varia molto da società a società. La Francia ha la fortuna di avere un numero sufficiente di colossi globali come Eads, Sanofi e L'Oreal, che sono tra i leader assoluti nel loro campo. Senz'altro l'attuale stagnazione domestica non aiuta, non si
non è un fattore chiave».
ESPANSIONE
tratta però di un elemento in grado di uccidere il potenziale delle azioni, dal momento che sono entità i cui marchi stanno traendo beneficio dalla crescita in realtà come gli Usa e i mercati emergenti. Tra l'altro le attività nazionali finora semplicemente sono stabili o crescono a un ritmo inferiore rispetto al passato. Questa strategia viene portata avanti già da tempo e mi attendo che continui, visto che la maggior parte dei corporate Ceo ha da tempo accettato che gli Usa e le economie emergenti offrono prospettive di crescita migliori di quelle della Francia e dell'Europa occidentale e continuano a cercare di posizionare le loro società in queste regioni per sovraperformare la crescita della loro economia domestica».
NECESSARIO
DECOUPLING
Interessante appare il discorso di Fearon anche su come sta avvenendo il necessario decoupling, cioè con strategie di investimento, e non solo di vendita,
sui mercati che contano: «Ciò prenderà diverse forme: sempre più gli investimenti orientati alla crescita vengono allocati lontano dalla Francia (e dall'Europa occidentale in generale) con acquisizioni concentrate sulle economie emergenti per aumentare la loro esposizione verso queste regioni a maggiore crescita. Ad esempio Gdf-Suez, dalla sua fusione nel 2008, ha consistentemente cercato di collocare capitali per aumentare la propria esposizione sugli emergenti; ciò è stato fatto sia per crescita interna in mercati come il Brasile e la Thailandia, sia attraverso acquisizioni come quella di International Power. È da notare come tutto ciò sia stato parzialmente pagato vendendo significative quantità di asset in Europa occidentale. La crescita europea è stata inferiore a quella di altre regioni come l'Asia per molti anni e quindi la quota di profitti sul totale generata da questa regione è calata nel tempo. Per esempio Lvmh aveva il 54% delle sue vendite in
Europa nel 2004, mentre nel 2012 erano solamente il 33%». Sulla stessa lunghezza d'onda anche Jean Francois Tilquin, di Convictions Asset Management: «Le società francesi sono già impegnate in questa strategia e sono generalmente player globali. Si prendano ad esempio Axa o Lvmh: sono multinazionali con esposizione ai mercati emergenti». Come sempre accade in questi casi, non si tratta comunque di un processo estremamente lineare. Fa ad esempio qualche distinguo Geoffroy Goenen, di Dexia Asset Management: «Dipende dalle loro attività e dai loro clienti: per molti comparti, ha senso produrre nei paesi dei consumatori finali. Almeno quando la prossimità è importante, come avviene in settori quali i servizi e i beni di consumo, a eccezione del lusso dove l'etichetta Made in France ha un grande valore. Oppure si delocalizza una parte della produzione in qualsiasi altro paese quando la vicinanza ai clienti
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
INTERNAZIONALE
Interessante appare infine anche il ragionamento di George Nadda, gestore di Nemesis Asset Management, che nota che l'addio ai travagli di casa non è limitato solamente ai gruppi che operano in comparti consumer ad alto valore aggiunto e forte presenza di brand: «Le società francesi si sono concentrate sull'espansione internazionale da molti anni. La presenza globale delle aziende transalpine è un dato di fatto. Persino utility come Veolia, Suez Environement ed Edf hanno una significativa esposizione internazionale. Ci aspettiamo che i business francesi continuino a provare a diversificare la loro base di introiti fuori dal paese d’origine».
Proprio questa sarà la sfida per capire se i prossimi anni vedranno ancora una Francia protagonista, o se il suo ruolo, le sue ambizioni e la sua competitività verranno limitati allo stagno della periferia dell'unica area del mondo che non cresce. I
32
Due settori chiave
LA FRANCIA
Auto in
difficoltà, banche quasi
tranquille I comparti strategici del mercato transalpino sono in fasi molto diverse: Peugeot Citroën e Renault attraversano una crisi profonda e non sembrano avere idee chiare su come fare a uscirne, mentre gli istituti di credito, che erano pieni di obbligazioni governative dell'Europa periferica, hanno molto ridotto l'esposizione ai bond tossici e guardano con più ottimismo al futuro
industria dell'automobile francese, insieme alle banche, costituisce un compendio degli errori strategici del paese: una forte chiusura domestica, con un'espansione internazionale particolarmente marcata nella periferia europea, i cui consumi automobilistici sembra che siano andati indietro di decenni. Nello specifico si aggiunge anche il fatto che, a differenza di altre tipologie di prodotti, in questo caso il made in France non appare collocato in una fascia a elevatissimo valore aggiunto. Il risultato è che la perdita di quote di business è stata ancora più rapida della discesa, già impressionante, del mercato europeo nel suo complesso. Una sintesi di quanto sta accadendo viene delineata da Stefan Isaacs, gestore del M&G european corporate bond di M&G Investments: «Le case automobilistiche francesi Peugeot e Renault hanno da poco pubblicato i bilanci per l’esercizio 2012. A giudicare dalla svalutazione annunciata venerdì scorso da
L’
Peugeot Sa per un onere non monetario di 4,7 miliardi di euro, le prospettive della società e di alcune concorrenti europee sono ancora scoraggianti. Secondo S&P, il mercato automobilistico della regione versa in condizioni disastrose. L’eccesso di capacità produttiva e la generale incertezza economica hanno fatto scendere i tassi di utilizzo di vari stabilimenti al di sotto della soglia di redditività. Si continua a bruciare liquidità e i corsi azionari, come prevedibile, ne soffrono». Appare particolarmente preoccupante il fatto che un processo di riforme e di intervento sembra non più procrastinabile, pena un disastro che forse non è neppure il caso di immaginare. Sempre Stefan Isaacs afferma: « Schiacciate da una montagna di debiti, Peugeot, Fiat e Renault si trovano in una situazione non molto diversa da quella dei giganti dell’auto americani nel 2008-2009. Alcuni anni fa, Gm, Ford e Chrysler sono riuscite, anche tramite il ricorso a procedure fallimentari, a ristrutturare, tagliando la capacità produttiva, riducendo il debito ec-
cessivo e rinegoziando onerosi accordi sindacali, per poi tornare in utile, sia pure a livelli di produzione decisamente inferiori a quelli pre-crisi. Un’esperienza in netto contrasto con quella dei produttori europei, che continuano a ignorare queste esigenze, nonostante la persistente debolezza della domanda interna». Ciò che per certi versi impressiona dell'auto francese, e in generale dell'Europa al
di fuori della Germania, è avere evitato completamente quel processo di ristrutturazione e diversificazione geografica che, invece, come abbiamo visto, è stato profondo e, tutto sommato, non scevro di successi in altri comparti. Il risultato che adesso è sostanzialmente imprescindibile è inventare politiche che in altre tipologie produttive sono state sviluppate da un ventennio. Interessante anche in questo caso la
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
sintesi di Stefan Isaacs: «A oltre cinque anni dallo scoppio della crisi finanziaria, le aziende non sono ancora riuscite a ridimensionare le attività, dovendo fare fronte a ingenti pressioni politiche e forti resistenze contro il taglio di posti di lavoro. Ironicamente, se oggi Peugeot deve ricorrere agli aiuti di stato, è proprio a causa della stessa ingerenza statale che ha ostacolato il cambiamento in Europa. Ma non si può riman-
34
Due settori chiave
LA FRANCIA dare all’infinito: bisogna prendere alcune decisioni, per quanto difficili. Altrimenti, si continuerà ad accumulare perdite e bruciare liquidità. E gli investitori, probabilmente, preferiranno fare credito ai produttori Usa anziché a quelli europei».
UNA
PERIFERIA?
Se la situazione non cambierà in fretta, almeno per quanto riguarda l'auto, la Francia rischia di essere annoverata a tutti gli effetti nella periferia del mondo sviluppato.
Passando all’altro settore chiave, cioè le banche, vale la pena chiedersi in quali condizioni si trova oggi il mercato finanziario francese. Non è una risposta facile da dare e per farlo dobbiamo riprendere alcuni temi trattati in precedenza. Le banche transalpine, infatti, per molti elementi sembrano esemplificare ciò che non va oggi nell'economia nazionale. Infatti da una parte sono state spesso create con una forte concentrazione domestica, dall'altra hanno fondato la loro espansione interna-
zionale soprattutto su piazze dove forse era meglio non avventurarsi, nello specifico la periferia europea. Non è un caso che alcuni osservatori malignamente sostengono che il salvataggio dell'Europa sia stato in fondo soprattutto un bailout del complesso finanziario francese, che nel 2011 e nel 2012 ha vissuto giorni drammatici. Da questo punto di vista oggi il mondo sembra differente, come ricorda Donatella Principe di Schroders: «Allo scoppio del-
Il mercato auto europeo
Un fantasma in libertà n altro fantasma si aggira per l'Europa: il mercato auto. Uno dei pilastri fondamentali di una moderna economia industriale basata sui consumi quale la Ue si trova infatti in una palude, che inevitabilmente, nella migliore delle ipotesi, ne ridisegnerà le mappe e gli equilibri. Se infatti la Cina ha conquistato la leadership mondiale nella produzione e nelle vendite domestiche, con una crescente presenza di modelli e brand sviluppati localmente, l'Acea, l'associazione dei costruttori europei, ha riportato nel mese di gennaio del 2013 un nuovo consistente calo di vendite nell'Unione a 27, mai giunte a questi minimi da quando i dati complessivi vengono raccolti, cioè 23 anni. L'ennesimo segno meno sta continuando a caratterizzare in questo 2013 il trend secolare di minori vendite di macchine in Europa iniziato nel 2008. Nel 2012 si è infatti arrivati a minimi di acquisti dal 1995. A soffrire una crisi devastante ovviamente è stata la periferia europea, ma anche i mercati nordici appaiono ormai in forte declino. Ciò contrasta non solo con alcune floride realtà emergenti, ma anche con gli Usa, dove c'è stata una reazione aggressiva al rischio di disintegrazione del settore, anche se con modalità discutibili dal punto di vista della sostenibi-
U
lità finanziaria di lungo periodo. Tutto ciò si accompagna a una sovraccapacità produttiva, difficile da risolvere, anche per i risvolti politici che inevitabilmente la chiusura di un impianto auto comporta. Nello scenario di lacrime e sangue, come accennato, vi sono vincitori e vinti, o quanto meno sopravvissuti e malati gravissimi. Fra questi ultimi ormai rientrano a pieno titolo i costruttori francesi.
la crisi greca alla fine del 2009 il sistema finanziario francese aveva un notevole grado di esposizione ai paesi Piigs: degli oltre 2,8 trilioni di dollari in capo alle banche europee, ben un terzo era nell'economia d’oltralpe, con un forte grado di concentrazione verso alcuni specifici paesi: gli oltre 500 miliardi di dollari di titoli italiani detenuti dalle banche francesi rappresentavano di fatto la metà dei nostri titoli di stato nei bilanci di tutti gli istituti dell’Unione. Da allora la Francia ha dimezzato il peso dei Piigs sulle proprie banche, portandolo sotto 500 miliardi di dollari, riducendo ampiamente anche il rischio di contagio a esso associato. In particolare le aziende di credito francesi oggi hanno un’esposizione assolutamente trascurabile ai titoli di stato ellenici, sia in totale sia come singola realtà. Inoltre le due banche sussidiarie in Grecia (Emporiki di Crédit Agricole e Geniki di SocGen) sono state cedute a istituti locali. Per quanto riguarda il peso di Spagna, Por-
togallo e Irlanda, esso non è ampio abbastanza da mettere a rischio neppure la tenuta degli utili aziendali. Sebbene il debito pubblico italiano resti sempre quello su cui la Francia conserva la massima esposizione assoluta e relativa (64% di tutto il peso dei Piigs e 52% di tutte le banche europee), la dimensione oggi non è tale da compromettere la stabilità degli istituti francesi, a meno che si verifichi un’ipotesi estrema di rottura dell’euro. Tuttavia la Draghi-put ha ampiamente contribuito a ridurre proprio la probabilità che si verifichino scenari di coda come questo. Anche la stessa esposizione di Bnp all’Italia attraverso Bnl non sembra più oggi un reale fattore di rischio e instabilità».
PROTAGONISTI
IN SALUTE
Un interessante compendio dei progressi fatti viene elencato da Geoffroy Goenen, head european equity di Dexia Asset Management: «Alcuni protagonisti del mercato sono ora in salute decisamente migliore: Bnp presenta un core tier 1 ratio sotto le regole di Basilea 3 del 9,9%, uno dei più alti in Europa. Per Société Générale questo indicatore è all'8,3%, anche in questo caso in linea con i principi di Basilea 3. Dal 2008, Société Générale e Bnp hanno visto aumentare il proprio capitale di più del 30%. Il caso di Crédit Agricole è un po' più difficile da definire, dato che il livello di capitale appare diverso a seconda delle differenti autorità di controllo. Se guardiamo alla leva dei loro bilanci, le banche francesi appaiono ancora più fragili di altri istituti, anche se la loro
situazione sta migliorando. Il comparto infatti è anche stato costretto a migliorare il proprio grado di liquidità. Grandi benefici sono venuti anche dalle misure prese dalla Bce: sia Bnp sia SocGen hanno già iniziato a ripagare parte del denaro preso a prestito tramite il programma Ltro». Comunque i problemi non sono scomparsi magicamente: indicativo l'avvertimento di Frederic Jeanmaire, gestore azionario europeo di Threadneedle Investments: «L'esposizione delle banche francesi alla periferia rimane significativa. Ad esempio Bnp Paribas detiene 13 miliardi di euro di bond sovrani periferici, soprattutto in Italia, che rappresentano più del 20% della sua capitalizza-
zione di mercato. Le banche francesi sono esposte anche tramite le loro sussidiarie: la maggiore esposizione anche in questo caso è di Bnp Paribas, con l'8% delle sue revenue che deriva dall'Italia. Ciò detto, l'esposizione alla periferia esclusa l'Italia (Irlanda, Spagna, Portogallo)
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
è limitata e tutte le banche francesi sono uscite dalla Grecia». Come dire tutto relativamente tranquillo per il sistema creditizio dei nostri vicini, dando per scontato che l'Italia non diventi di nuovo la vera variabile impazzita del sistema finanziario europeo. I
36Un pericolo LA FRANCIA
Il punto dell’Ufficio studi di Investire
per l’Europa? C ertamente no. Non vediamo la Francia andare verso una crisi o diventare un fattore primario di pericolo per l’Eurozona. E’ vero che Parigi, nell’ipotetica gara per la supremazia economico-politica nell’area euro, ha perso alla grande il “derby” con Berlino, ma è altrettanto vero che rimane un’economia relativamente solida, con problemi analoghi a quelli oggi tipici di molti altri paesi sviluppati, ma con livelli di criticità lontani da quelli che contraddistinguono la periferia europea. Ci sembra, infatti, che il caso francese risenta più che altro di una cattiva copertura mediatica, soprattutto d’impronta liberistico anglosassone, che non di una reale e severa difficoltà economica, soprattutto se si considera che anche altri paesi sviluppati stanno attraversando una fase molto difficile.
ALCUNI
NUMERI
Dal 1990 la crescita annuale media del Pil francese è stata di +1,4% e dal 1999 è stata sostanzialmente sincronizzata con quella dell’area euro, con un hit ratio (% di volte in cui è risultata superiore) del 43%. In Italia dall’euro in poi arriviamo a mala pena allo 0,3%. La disoccupazione complessiva è del 10,3% (quella giovanile è doppia e in questo la Francia non si discosta molto dalla periferia europea), lontana da quel minimo del 7,5% toccato prima della recente
Se si osservano con
attenzione i numeri, si scopre che il paese
transalpino non manifesta una crisi peggiore della maggior parte delle aree sviluppate. Inoltre il governo socialista è impegnato nel rientro dei conti pubblici, anche se in misura minore di quanto la destra tedesca vorrebbe crisi economica, ma non ancora pari all'11,3% che vigeva nel 1997. A causa di una perdita di competitività comune a molte nazioni sviluppate, ma non alla Germania che in questo ha battuto tutti, la sua posizione commerciale è andata deteriorandosi leggermente con l’ingresso nell’euro (anche in ciò la Francia ha sofferto le
tendenze dei paesi periferici, anche se sempre in misura più ridotta). Partendo da un leggero surplus è arrivata a toccare un saldo negativo del -1,9% del Pil nel 2011, solo parzialmente corretto con il -1,5% del 2012. Tuttavia si tratta di uno sbilancio ancora contenuto e legato alla dinamica della domanda interna che non ha ceduto durante la recente crisi; fattore che ha garantito alla Francia la possibilità di crescere sopra la media dell’area euro negli ultimi due anni. Comunque la competitività rimane uno dei punti critici e delicati dell’economia francese, su cui dovrà lavorare nel corso dei prossimi anni.
L’ALTRA
FACCIA DELLA MEDAGLIA
Ma esiste anche un’altra faccia della medaglia. La Francia, forse più di ogni altro paese dell’Eurozona, ha potuto e voluto permettersi di mantenere negli ultimi anni una politica economica poco propensa all’austerità, evitando pericolosi scivoloni recessivi visti nella periferia. Questo approccio ha avuto un prezzo da pagare, ovvero il peggioramento della posizione sulla fiscalità del governo. Nel 2012 il rapporto deficit/Pil verrà rilevato vicino al 4,5% e al 3,5% nel 2013, per cui Parigi mancherà l’obiettivo del 3% richiesto dalla Ue. Dato che il livello del debito/Pil nel 2012 sarà vicino al 90% (in Germania siamo comunque all'82%, mentre nel 2007 erano pressoché sullo stesso livello del 64%, seb-
bene allora la Francia fosse messa leggermente meglio della Germania) e potrebbe arrivare al 91% nel 2013, diventerà importante avviare una politica di contenimento del deficit. Sarebbe però un errore pensare che il governo francese non sia impegnato nel rientro dei conti pubblici. In realtà lo è, ma forse non nei modi, nei tempi e nella qualità dell’aggiustamento che la visione della destra tedesca vorrebbe. Il governo socialista di François Hollande non solo ha accettato il patto di stabilità inserendolo nella legislazione nazionale, ma ha anche sottoscritto il piano di rientro fiscale già delineato dal precedente esecutivo. Tuttavia, rispetto a Sarkozy, Hollande ha cambiato il mix tra tagli di spesa e maggiori entrate, cercando di equilibrare le due voci e anticipando la manovra di rialzo delle tasse rispetto a una più graduale riduzione della spesa negli anni a venire. Inoltre dal 2014 sarà varata una riduzione dei contributi sociali versati dalle imprese, utile a
migliorare la competitività, che sarà finanziata da aumenti d’imposte (l’Iva) e da tagli di spesa, mentre nel 2012 il governo ha elevato i contributi sociali per finanziare l’abbassamento da 62 a 60 anni dell’età pensionabile per alcune categorie.
SOPRATTUTTO
RALLENTAMENTO
Il mancato raggiungimento degli obiettivi Ue si deve quindi più al rallentamento economico del 2012, che ha visto la Francia avere una crescita nulla, piuttosto che a una situazione di conti fuori controllo. Anzi il paese transalpino avrà modo di dimostrare che la tradizione di efficienza e coesione della sua struttura organizzativo-burocratica e di “civil servant” aiuterà a gestire adeguatamente le turbolente fasi del prossimo futuro, a differenza di quanto sta accadendo in altri paesi della periferia europea. Quindi, nel complesso e in relazione al contesto, quella della Francia non ci sembra una situazione fuori controllo o un fat-
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
tore di particolare rischio per l’area euro. Ovviamente la situazione di Parigi potrebbe diventare un fattore aggravante della crisi europea nel momento in cui dovesse peggiorare la situazione del Sud Europa attraverso l’instabilità del debito sovrano di Italia e Spagna. Un’eventualità che, alla luce dell’esito elettorale italiano, pare più probabile. In questo caso il “trait d’union” avverrebbe, infatti, attraverso il canale finanziario del sistema bancario transalpino. Come segnalato anche dal rapporto del Fmi del dicembre 2012, nonostante il forte ridimensionamento degli attivi effettuato negli ultimi anni, il sistema bancario francese rimane ancora particolarmente esposto verso i paesi del Sud Europa (l’Italia in particolare) e ancora troppo dipendente per il proprio finanziamento dall’instabile mercato finanziario all’ingrosso (per i 2/3), piuttosto che da una stabile e allargata base di depositi dei risparmiatori al dettaglio. I
38 ETF
Strumenti per speculare
Nati
aggressivi di Dario Palladini dariopalladini@fondionline.it
on c'è alcun dubbio: tra i tracker preferiti dagli investitori italiani, ci sono anche strumenti con una connotazione aggressivo-speculativa, come i prodotti a leva (sia long sia short). I dati sul segmento EtfPlus usciti il 18 gennaio scorso confermano infatti la forte presenza di questa tipologia di cloni: se consideriamo, ad esempio, gli Etf più scambiati sul listino milanese in base al controvalore, vediamo che tra i primi cinque ben due (e sono i primi due di questa speciale classifica) appartengono alla categoria degli Etp a leva. Il primo è un prodotto di Lyxor che replica inversamente l'andamento del principale indice della borsa di Milano con leva due e con reset giornaliero della stessa (così non è possibile evitare il fastidioso compounding effect): si tratta del Lyxor Etf Ftse Mib Daily Double Short Xbear. In soldoni, se il Ftse Mib fa -1%, nella stessa seduta il clone di Lyxor ottiene una perfor-
N
Gli ultimi dati di Borsa Italiana mostrano che tra gli Exchange traded fund più scambiati, sia per controvalore sia per numero di contratti, ci sono diversi prodotti strutturati a leva e short leveraged. Spesso questi strumenti vengono usati per investimenti di breve o addirittura di brevissimo periodo, persino per operazioni intraday. Ma si prestano per questo tipo di utilizzo?
Gli Etf più scambiati per controvalore dei contratti nel 2012 Etf
Controvalore scambiato (mln €)
Quota percentuale
Lyxor Etf Ftse Mib Daily Double Short XBear
7.024,11
13.22%
Lyxor Etf Ftse Mib Daily Leveraged
6.384,73
12,02%
Lyxor Etf Ftse Mib
2.994,33
5,64%
iShares Euro Stoxx 50
1.626,88
3,06%
iShares S&P 500
1.447,1
2,72%
mance positiva del 2%. Questo strumento ha registrato scambi nel corso del 2012 per un controvalore di oltre 7 miliardi di euro e ha fatto registrare un rendimento a sei mesi del -20,75% e a 12 mesi del -25,34%. Il secondo, il Lyxor Etf Ftse Mib Daily Leveraged, è un fondo indice messo a disposizione sempre dallo stesso emittente che replica, questa volta direttamente e non inversamente, il medesimo indice Ftse Mib con leva due e reset quotidiano. Il controvalore scambiato durante il 2012 su Borsa Italiana è stato di quasi 6,4 miliardi di euro; le performance sono state del 12,28% a sei mesi e del -7,65% a 12 mesi. I due Etf risultano sempre ai primi posti anche per numero di contratti andati a termine nel medesimo anno solare, questa volta, però, a posizioni invertite. Troviamo poi al quarto posto come numero di contratti nell'anno 2012 il Lyxor Etf LevDax, con 55.575 scambi andati a buon fine: si tratta di un altro tracker a leva 2 long, questa volta sul più importante indice tedesco, rappresentativo dei principali 30 titoli per capitalizzazione della borsa di Francoforte. La presenza di prodotti strutturati resta significativa anche se andiamo ad analizzare quali sono gli Etc più scambiati sulla piattaforma nazionale. Infatti due su cinque tra i più scambiati per controvalore nel corso del 2012 sono prodotti a leva: si tratta dell'Etfs Daily Leveraged Natural Gas e dell'Etfs Daily Leveraged Silver, che occupano il secondo e il quarto
posto in graduatoria, con un controvalore scambiato pari rispettivamente a 746,96 milioni di euro per il primo e 428,28 milioni per il secondo. Entrambi i fondi indice riproducono l'andamento delle quotazioni dei rispettivi sottostanti (il gas naturale in un caso, l'argento nell'altro)
Gli Etf pi첫 scambiati per numero di contratti nel 2012 Etf
Numero contratti
Quota percentuale
Lyxor Etf Ftse Mib Daily Leveraged
409.065
18,62%
Lyxor Etf Ftse Mib Daily Double Short XBear
399.915
18,21%
Lyxor Etf Ftse Mib
121.234
5,52%
Lyxor Etf LevDax
55.575
2,53%
iShares Euro Stoxx 50
38.095
1,73%
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
40
Strumenti per speculare
ETF
utilizzando una leva due long con reset giornaliero. Andando a vedere il numero dei contratti realizzati sempre nel corso del 2012 sulla piattaforma EtfPlus di Borsa Italiana, troviamo, tra i cinque Etc più scambiati, ben quattro strumenti strutturati: stiamo parlando ancora dei due cloni appena visti (occupano in questo caso le prime due posizioni della classifica), dell'Etfs Daily Leveraged Wti Crude Oil, che amplifica con leva due l'andamento del prezzo del petrolio Wti, e dell'Etfs Daily Leveraged Wheat, che riproduce con leva due il trend del prezzo del frumento. Tutti i prodotti sono a reset giornaliero della leva. I rendimenti degli Etp, ad esclusione del Lyxor Etf LevDax, sono decisamente negativi. Fanno eccezione anche le performance del Lyxor Etf Ftse Mib Daily Leveraged a sei mesi e dell'Etfs Daily Leveraged Silver a tre anni.
UNO
STRUMENTO EFFICACE
Al di là dei rendimenti offerti (e dei costi, particolarmente eleva-
ti per gli Etc), viene da chiedersi se gli strumenti exchange traded si prestino a investimenti speculativi mordi e fuggi. A nostro parere, vista la struttura di questi veicoli d'investimento, sembra proprio di sì. Gli Etp infatti si adattano sia a strategie d'investimento di lungo periodo (come dimenticare tra gli altri tutti i prodotti a distribuzione dei proventi), sia a orizzonti temporali più ridotti. Le caratteristiche di negoziabilità che li contraddistinguono li rendono sicuramente adatti a essere trattati con una certa frequenza: un Etp si compra e si vende al pari di una qualsiasi azione, potendo fissare anche i prezzi di acquisto e di vendita; la liquidità sui mercati non manca e qualora ce ne fosse necessità viene garantita dagli specialist. La leva poi si pone come lo strumento adatto a chi ha forti convinzioni e vuole massimizzare quello che pensa sarà a breve il movimento dei mercati, potendo poi liquidare velocemente ed efficacemente l'investimento fatto traendone un profitto da reinvestire alla prossima occasione.
La trattazione speculativa intraday, inoltre, ha il pregio di semplificare l'intricata normativa fiscale che riguarda gli Etp: com'è noto, infatti, la tassazione
Gli Etc più scambiati per controvalore dei contratti nel 2012 Etf Etfs Physical Gold
Controvalore scambiato (mln €)
Quota percentuale
1.204,39
16,34%
Etfs Daily Leveraged Natural Gas
746,96
10,13%
Etfs Gold Bullion Securities
732,31
9,93%
Etfs Daily Leveraged Silver
428,28
5,81%
db Physical Gold Euro Hedged Etc
373,04
5,06%
Gli Etc più scambiati per numero di contratti nel 2012 Etf
Numero contratti
Quota percentuale
Etfs Daily Leveraged Natural Gas
152.624
24,87%
Etfs Daily Leveraged Silver
41.426
6,75%
Etfs Physical Gold
41.062
6,69%
Etfs Daily Leveraged Wti Crude Oil
40.422
6,59%
Etfs Daily Leveraged Wheat
29.487
4,80%
su questa tipologia di strumenti va a colpire la maggiore tra le differenze (prezzo di venditaprezzo d'acquisto e nav del giorno di vendita-nav del giorno d'acquisto), con altre ripercussioni a cadere, dal momento che la normativa italiana prevede due diversi tipi di reddito da investimento, che sono i redditi da capitale e i redditi diversi (su questi ultimi c'è poi il discorso sul recupero di eventuali minusvalenze). La trattazione intraday elimina di fatto il delta nav, lasciando che l'imposta vada a incidere esclusivamente sul delta prezzo, evitando così tutte le altre complicazioni, che possono anche fungere da disincentivo all'investimento.
Certo gli Etp a leva, long o short che siano, sono veicoli d'investimento da maneggiare con attenzione e solo da parte di investitori esperti. La leva finanziaria e il compounding effect possono infatti alla lunga anche dare risultati sostanzialmente diversi da quelli che ci si aspettava quando si è partiti con l'investimento, a prescindere dall'andamento dei mercati. Senza contare poi la prossima introduzione della nuova imposta ispirata alla Tobin tax, elemento che va decisamente contro l'attività speculativa o comunque di trading sugli strumenti exchange traded: dal primo marzo infatti c’è questa nuova imposizione sulla cessio-
ne delle azioni e degli strumenti finanziari che danno diritto a una partecipazione societaria; dal primo luglio, poi, l'imposta graverà anche sui contratti derivati che hanno come riferimento le stesse azioni e strumenti.
E' chiaro che nel mirino ci sono gli investimenti potenzialmente più speculativi, col doppio intento di generare un gettito fiscale da una parte e di penalizzare le attività caratterizzate dal trading a breve termine dal-
l'altra. Per le cosiddette operazioni ad alta frequenza è poi prevista un'ulteriore tassazione speciale, ma stiamo parlando di operazioni generate da algoritmi ogni mezzo secondo. In ogni caso gli Etp, nella loro qualità di strumenti che indirettamente danno diritto a una partecipazione societaria (assimilati dunque alle azioni), saranno assoggettati alla nuova imposta, dovuta dal compratore nella misura dello 0,20% o dello 0,10% per i trasferimenti sui mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione (per il 2013 le aliquote sono maggiorate allo 0,22% e allo 0,12% rispettivamente). Pur non incontrando sicuramente il favore degli investitori, come qualunque altra imposta, non sembra comunque che la Tobin tax all'italiana possa influenzare più di tanto il comportamento dei risparmiatori: chi infatti si sente in grado di scegliere prodotti a leva e affrontare la volatilità che ne consegue, non si farà certo frenare dall'ennesima ulteriore piccola tassa. Le possibilità di guadagno (e di perdita) anche nel breve periodo sono molto, molto più cospicue. I
Performance dei principali Etp a leva Isin
Perf. % Ytd
Perf. % 6m
Perf. % 12m
Perf. % 36m
Ter %
Lyxor Etf Ftse Mib Daily Leveraged
FR0010446658
-1,49
12,28
-7,65
-50,99
0,6
Lyxor Etf Ftse Mib Daily Double Short XBear
FR0010446666
-2,12
-20,75
-25,34
-36,47
0,6
Lyxor Etf LevDax
LU0252634307
0,85
17,44
19,7
49,44
0,4
Etfs Daily Leveraged Natural Gas
JE00B2NFTQ41
-7,32
-21,32
-48,98
-96,59
1,03
Etfs Daily Leveraged Silver
JE00B2NFTS64
-12,4
-17,18
-39,55
82,67
1,03
Etfs Daily Leveraged Wti Crude Oil
JE00B2NFTJ73
-0,11
-21,65
-36,93
-40,64
1,03
Etfs Daily Leveraged Wheat
JE00B2NFTX18
-17,03
-47,05
-5,79
-49,27
1,03
Etp
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
42Uno spazio FEE-ONLY
Il battesimo del fuoco nella crisi
per le sim pure , Sbarcate nel mondo dell’advisory finanziaria in una delle fasi più complicate della storia, le società che offrono esclusivamente il servizio di consulenza in materia d’investimenti sono riuscite a resistere e a ritagliarsi una quota di mercato significativa. L’approccio a parcella e il fatto che si tratta di strutture che non sono in alcun modo legate alla vendita degli strumenti d’investimento sembrano interessare particolarmente i clienti di elevato standing
di Massimiliano D’Amico erto non sono state baciate dalla dea Fortuna. Il loro ingresso nel mercato dell’advisory è infatti coinciso con uno dei momenti più difficili dalla celeberrima crisi del ’29 a oggi. Ma se le sim di consulenza pure, ovvero le società nate sulla scia della prima versione della Mifid (1° novembre 2007), che operano solo attraverso l’approccio fee-only e non sono in alcun modo legate alla vendita degli strumenti d’investimento, sono riuscite a resistere e a consolidare il loro business in questi anni complicati, significa che i loro fondamentali sono solidi. «Mai come in questo momento», sottolinea Fabio Gnecco, amministratore delegato di Ambrosetti Asset Management Sim, «le
C
società che offrono consulenza finanziaria devono essere attrezzate adeguatamente per potere affrontare con successo uno degli scenari più difficili che si ricordi». La filosofia della sim fondata giusto 10 anni fa e che vanta attualmente circa 400 milioni di asset under advisory, un dato che è andato consolidandosi malgrado la crisi, si fonda su un business model che in questo lungo percorso è rimasto pressoché identico. «Nata nel 2003 come società a responsabilità limitata», spiega Gnecco, «a seguito del recepimento della direttiva Mifid nel nostro paese, Ambrosetti si è strutturata come sim, un soggetto sottoposto dunque alla vigilanza di Consob e Banca d’Italia. Questa decisione è stata presa per garantire alla clientela le massime tutele, assicurando processi operativi ancora più improntati alla trasparenza e valorizzando la
posizione di una società che opera, da sempre, nel solo interesse dei suoi assistiti». Nel dettaglio, Ambrosetti Asset Management è una sim specializzata nella consulenza di portafoglio calibrata sulle esigenze del cliente, sul suo profilo di rischio, in un’ottica di continuità del servizio e di lungo periodo e non focalizzata, dunque, sul singolo titolo o strumento d’investimento. «Per raggiungere quest’importante obiettivo», rimarca Gnecco, «la mia società adot-
ta un approccio sistematico, avvalendosi di un modello proprietario quantitativo che attraverso alcuni algoritmi, tradotti in un software sviluppato in house, è in grado di produrre portafogli modello personalizzabili in un’ottica realmente tailor made». Un’altra caratteristica della sim è che opera solo con clienti istituzionali (banche, fondazioni, fondi) la cui size media di portafoglio è di circa 50 milioni di euro. E questo, ovvero il focus su una fascia d’investitori di
Parcella
Fee di performance sì, fee di performance no a caratteristica distintiva delle sim di consulenza, rispetto agli altri operatori dell’advisory finanziaria, è rappresentata ovviamente dalla parcella, pagata direttamente dal cliente per i servizi ricevuti. Quasi tutte le sim pure, in genere, la calcolano in base agli asset del cliente e prevedono un canone fisso e delle fee legate ai risultati ottenuti. «Il modello di remunerazione adottato da Gwa è fee-only: la sim», assicura Zeno d’Acquarone, «prevede l’emissione di una fattura direttamente al cliente con cadenza trimestrale». In linea generale il costo del servizio si aggira intorno allo 0,1% trimestrale (0,4% su base annua) calcolato sulla giacenza media delle masse in consulenza.«Possono essere applicati,naturalmente,sconti»,rimarca d’Acquarone «grazie agli inducement percepiti da alcuni intermediari con cui Gwa ha stretto accordi di
L
Zeno d’Acquarone, vicepresidente di Global Wealth Advisory Sim
Marco Toledo, consigliere delegato di Tosetti Value Sim
Fabio Gnecco, amministratore delegato di Ambrosetti Asset Management Sim
collaborazione: le retrocessioni sono totalmente trasparenti, rendicontate e scontate in fattura al cliente». Lo schema remunerativo adottato da Ambrosetti e J. Lamarck si basa anch’esso su una commissione fissa trimestrale calcolata proporzionalmente sulle masse in consulenza e prevede una fee di performance fondata sul sistema high water mark. Consultique propone una flat fee annua che varia da uno 0,2% a uno 0,8% del patrimonio sotto consulenza. «Consideriamo, comunque», spiega Armellini, «anche altre variabili nella sua quantificazione: il tempo da dedicare al cliente, la complessità degli investimenti già in essere, il suo profilo di rischio». Anche la durata del contratto standard di Tosetti è annuale. «Permettiamo, tuttavia, alle famiglie private», spiega Toledo, «di potere
recedere dal contratto in qualsiasi momento, qualora non fossero soddisfatte». Com’è evidente, quasi tutte le sim di consulenza utilizzano le performance fee, un sistema remunerativo che ha principalmente l’obiettivo di fare collimare gli interessi delle società con quelli degli investitori. Secondo alcuni critici, tuttavia, questo modello presenta alcune criticità: in primis c’è il rischio che il consulente, pur di ottenere buoni rendimenti, e quindi incassare le performance fee, possa esporre il cliente a rischi eccessivi. Per ovviare a questo problema quasi tutte le strutture attive nella consulenza finanziaria adottano l’high water mark storico continuo. «Questo meccanismo», spiega Rizzo, «garantisce l’equilibrio tra le esigenze della sim e gli interessi dei clienti. Il meccanismo dell’Hwm si fonda sul principio che non è possibi-
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
le applicare nuove commissioni di performance fintanto che gli investitori non abbiano recuperato integralmente le perdite registrate precedentemente. Un sistema che lega le capacità del consulente ai risultati reali e non espone il cliente a pericoli sproporzionati». Contrariamente alle altre sim, Tosetti non prevede, invece, un’ulteriore remunerazione legata alla performance. «Siamo professionisti e non gestori. La performance fee è implicita essendo la remunerazione direttamente proporzionale al patrimonio del cliente», conclude Toledo.
44
FEE-ONLY elevato standing, è uno dei tratti comuni e distintivi delle sim che offrono il servizio di consulenza in materia d’investimenti.
CRESCITA
COSTANTE
Anche Galileo Finance Sim si rivolge esclusivamente agli investitori istituzionali e a oggi vanta circa 60 milioni di euro di asset under advisory. «Malgrado lo scenario non sia stato dei più favorevoli, il bilancio di Galileo Finance Sim in questi anni è assolutamente positivo: le strategie d’investimento adottate hanno tenuto al riparo i portafogli dei nostri clienti dalla volatilità dei mercati e la società ha registrato una crescita graduale ma costante», sottolinea l’amministratore delegato Rosario Carlo Rizzo. L’approccio absolute return e il focus su due aree meno interessate dalla crisi come gli emerging market, i frontier market e le small cap europee hanno, infatti, permesso ai portafogli in advisory di risentire in maniera limitata dei travagli che hanno interessato le principali economie sviluppate del mondo.
Cesare Armellini, amministratore delegato di Consultique Sim
Il battesimo del fuoco nella crisi «In Galileo la gestione dei portafogli si caratterizza per un approccio attivo, sia long sia short, differenziandosi dunque dalle tipologie di gestione più tradizionali, perché puntiamo a conseguire risultati positivi sia nei rialzi sia nei ribassi dei mercati». Altre società, così come Galileo, hanno visto nella crisi un’ulteriore possibilità di crescita. È questo il caso, per esempio, di J. Lamarck Sim, che rappresenta una sorta di anomalia nel panorama finanziario italiano. Se sul mercato sono presenti, infatti, alcune realtà che si occupano generalmente dell’intera situazione patrimoniale e finanziaria del cliente, J. Lamarck ha scelto di fornire un servizio esclusivamente focalizzato sul settore delle biotecnologie farmaceutiche. «Le incertezze del contesto economico delineatosi nel periodo dopo-Lehman, chiarisce Gianpaolo Nodari, amministratore delegato di J. Lamarck Sim, «non hanno avuto alcun impatto negativo sul fronte dei titoli biotecnologici, in cui la nostra sim è specializzata: questi al contrario, hanno messo a segno performance sostanziose. Dal giorno del fallimento Lehman Brothers a oggi, il portafoglio della clientela J. Lamarck sim è praticamente raddoppiato. «Tosetti Value Sim», ribatte il consigliere delegato Marco Toledo, «assiste famiglie e istituzioni dal 1997 e non ha cambiato il suo approccio alla consulenza da quando si è trasformata in sim. Gli ultimi anni sono stati molto interessanti, poiché le difficoltà hanno aumentato il
bisogno da parte dei clienti di farsi assistere da professionisti qualificati, indipendenti e in assenza di conflitti d’interesse. I clienti sono aumentati e il livello di fidelizzazione rimane elevatissimo». Attualmente la società supervisiona circa 3 miliardi di euro e assiste 30 famiglie, cinque istituzioni finanziarie e quattro aziende. Nel dettaglio le famiglie hanno patrimoni medi intorno a 30 milioni di euro, mentre le istituzioni e le aziende sono intorno a 100 milioni. C’è poi un cliente di Tosetti che ha sottoscritto il mandato su due portafogli da 900 milioni di euro complessivi. Consultique Sim, invece, segue una cinquantina di nuclei familiari con patrimoni medi nell’ordine di 5 milioni, mentre il resto degli asset under advisory (circa 250 milioni di euro) deriva dai clienti istituzionali. La società guidata dall’amministratore delegato Cesare Armellini in questo scenario complicato si è posta principalmente l’obiettivo di proteggere il patrimonio dei clienti. «Il nostro mestiere è la pianificazione», sottolinea Armellini, «pertanto le strategie che mettiamo in atto puntano da un lato alla conservazione del capitale, dall’al-
tro a cogliere le opportunità che via via si presentano. Questa è una regola fondamentale quando si fa il nostro lavoro e sicuramente non l’abbiamo dimenticata in questi anni. Il patrimonio dei nostri clienti per questo è rimasto al riparo dalle intemperie e si è accresciuto in misura sensibile». È simile l’approccio adottato da Global Wealth Advisory Sim. «Abbiamo sempre cercato di salvaguardare i portafogli dei nostri clienti tramite la diversificazione e il controllo del rischio», sottolinea il vicepresidente Zeno d’Acquarone. «Dal 2007 a oggi», prosegue il manager, «abbiamo sempre aumentato sia il nostro fatturato, sia il numero di clienti, anche grazie all’arrivo di nuovi partner provenienti dal settore della consulenza o del private banking». Al 31 dicembre scorso la sim fondata nel 2007 da Tito Staderini e Renzo Moretti, che nel 2012 ha visto l’ingresso di Zeno d’Acquarone, già fondatore di Advin Partners Sim, e Maurizio Sella, banker di lungo corso, vantava asset under advisory pari a circa 370 milioni di euro. Al momento Gwa segue 65 famiglie con un patrimonio medio di circa 6 milioni. I
RETI & CONSULENTI IL
PUNTO SULLA SITUAZIONE
ROSARIO CARLO RIZZO, PRESIDENTE DI ASCOSIM*
a cura di
Una dimensione consistente
MASSIMILIANO D’AMICO
Qual è la fotografia delle sim che offrono solo il servizio di consulenza in materia d’investimenti? «Le sim autorizzate alla prestazione del solo servizio di consulenza in Italia sono 25 e il focus è rivolto sia agli investitori retail, sia ai clienti professionali e istituzionali, con una prevalenza quantitativa di questi ultimi dal punto di vista del valore dei patrimoni. Gli asset under advisory di queste società sono valutati nell’ordine di 37 miliardi di euro. La dimensione del mercato della consulenza in Italia è consistente: recentemente la Consob ha comunicato che gli asset under advisory presso le banche italiane (consulenza sui patrimoni detenuti dalla clientela in deposito amministrato) ammontano a circa 640 miliardi, ossia il 55% del totale dei titoli amministrati. A questo si deve aggiungere il servizio di consulenza fornito dalle reti di promotori finanziari: i top player hanno già superato i 10 miliardi di asset under advisory». In Gran Bretagna la Retail distribution review è già realtà e gli advisor possono incassare i rebate dalle case di gestione solo dopo avere informato i clienti che la loro è una consulenza ristretta. Qual è la
sua opinione sulla Rdr e, secondo lei, l’Italia sarebbe pronta ad avviare una simile rivoluzione? «Il mercato della consulenza finanziaria in Gran Bretagna è senza dubbio tra i più avanzati in Europa. Per noi rappresenta un importante punto di riferimento per comprendere l’evolu-
zione futura della nostra attività. In particolare, la Rdr inglese ha già avuto un importante impatto sui progetti di revisione della Mifid elaborati dalla Commissione europea. I dati della Fsa rivelano che nel 2012 si è avuta una diminuzione dell’11% del numero dei financial advisor operanti sul mercato (di questi il 5% per normale pensionamento), in parte per i maggiori requisiti previsti per l’esercizio della pro-
fessione, in parte per il divieto di percepire retrocessioni sui prodotti. Alcuni sondaggi sulla Rrd resi noti ultimamente evidenziano che il pubblico dei risparmiatori ha ancora una scarsa conoscenza della nuova disciplina: solo il 10% ne è a conoscenza, nonostante un’importante campagna informativa istituzionale. E’ ancora pre-
maturo esprimere una valutazione sugli effetti della nuova normativa. I sondaggi, tuttavia, evidenziano che il 23% degli intervistati intende avvalersi della consulenza degli advisor e il 10% ritiene che la nuova normativa rende ancora più conveniente rivolgersi a un consulente finanziario. Certamente nel nostro paese la struttura del sistema finanziario è diversa da quella del Regno Unito e non possia-
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
mo evitare di tenerne conto. Tuttavia la nostra risposta è positiva. La consulenza in materia d’investimenti risulta più efficace e credibile se si evitano i conflitti d’interesse che derivano dalla remunerazione proveniente dal fornitore del prodotto consigliato. Inoltre, come nell’esperienza inglese, sosteniamo che vi debbano essere stringenti requisiti di professionalità per chi offre un servizio di consulenza ai risparmiatori». Qual è la sua opinione sui consulenti persone fisiche e giuridiche e sulle reti di promozione che offrono il servizio di consulenza in materia d’investimenti? «Crediamo che tutti i soggetti possono svolgere un efficace servizio di consulenza agli investitori, a condizione che sia conforme alla regolamentazione Mifid e che venga svolto con elevati profili di professionalità. Per questo riteniamo utile un confronto tra i diversi attori presenti sul mercato, nella convinzione che da tutti ci sia qualcosa da imparare. Nel Forum sulla consulenza finanziaria che organizziamo annualmente cerchiamo di sviluppare questo confronto costruttivo». I *Associazione delle sim di consulenza
46Ancora buoni OBBLIGAZIONARIO HIGH YIELD
Quali prospettive?
guadagni
Secondo diversi uffici studi, gli ottimi rendimenti ottenuti negli anni appena trascorsi sono irripetibili, ma è possibile che il settore possa continuare a dare notevoli soddisfazioni. Soprattutto se proseguirà da parte delle principali banche centrali la politica dei tassi governativi quasi a zero, che manterrebbe alti gli spread di Boris Secciani olto si è scritto in questi tempi sulle prospettive del reddito fisso per il 2013 e i prossimi anni. Infatti queste ultime stagioni sono state un periodo per certi versi magico e irripetibile: ad aiutare tutto il complesso dell'obbligazionario, infatti, c’è stata una rara combinazione di politica monetaria mai vista prima in termini di espansività, crescita economica stagnante, momenti (seppure brevi) di panico sui listini azionari e profondi cambiamenti nella percezione e nella gestione del rischio. Tutti questi elementi hanno contribuito a spingere il reddito fisso verso rendimenti che in condizioni normali sarebbe stato difficile ottenere anche con le asset class più rischiose e volatili.
M
Infatti la morte del concetto di tasso riskfree, o quanto meno la sua identificazione con gli interessi offerti dai titoli di stato di paesi considerati sviluppati, ha portato a una biforcazione: da una parte alcuni emittenti safe haven ampiamente nel territorio dei rendimenti reali negativi, dall’altra la periferia europea in forte difficoltà, prima dell'intervento globale delle banche centrali. Ciò ha spinto un numero sempre maggiore di investitori istituzionali a rivolgersi al mercato dei corporate bond, alla disperata ricerca di rendimento reale per la componente, corposa, dei portafogli collocati nell’obbligazionario. Le aziende, vista l'opera di risanamento, il deleveraging e la crescita dell'efficienza, hanno conquistato un grado di fiducia sempre maggiore da parte degli investitori. In particolare il debito ha comunque continuato ad attrarre più dell'equity nella struttura di capitale, per una serie di ragio-
ni. Innanzitutto molti istituzionali, in particolar modo europei, tradizionalmente collocano una grande quantità dei loro capitali sul fixed income. In secondo luogo il mercato azionario, pur avendo complessivamente messo a segno una cavalcata trionfale di ripresa dai minimi di un quadriennio fa, è stato caratterizzato da brevi momenti di elevato panico e di volatilità, risolti grazie al massiccio intervento delle banche centrali.
SPOSTAMENTO
VERSO LE AZIENDE
Dunque il fenomeno che si è verificato è stato un rilevante spostamento verso emissioni aziendali a più lunga scadenza e a minore rating, per ottenere così rendimento dato dal carry e dalla compressione degli spread. Non sorprende, dunque, che le emissioni corporate high yield abbiano messo a segno risultati spettacolari. Per avere un'idea di che cosa è stato il 2012, basta ascoltare il ragionamento di Michel
Ho, client portfolio manager strategie high yield di Ing Investment Management: «Le emissioni high yield denominate sia in dollari sia in euro hanno messo a segno ottime performance nel 2012, con rendimenti a livello di indici rispettivamente dell’8% e del 25%. Il risultato di questo rally è stato che i rendimenti attualmente sono ai minimi storici intorno al 6%». Come si diceva, l'obbligazionario (nella seconda metà del 2012 anche quello peri-
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
ferico) ha permesso di ottenere in tempi recenti performance inaudite, grazie ai processi descritti poco sopra, oltretutto con una traiettoria della volatilità che è stata ampiamente correlata a quella di altre asset class: all’inizio di quest'anno gli investitori potevano contare sui mercati più mansueti da quasi un decennio. A questo punto sorge spontanea la domanda: vale ancora la pena avventurarsi sugli high yield?
48
Quali prospettive?
OBBLIGAZIONARIO HIGH YIELD
La risposta, come si può immaginare, non è semplice: i problemi, in termini di potenziale compressione degli spread incassati, sono ben sintetiz-
zati dallo stesso Michel Ho di Ing Investment Management: «Agli attuali rendimenti lo spread creditizio è ancora intorno a 500 punti base, un
livello che dal punto di vista dei fondamentali creditizi appare interessante. Gli high yield dal punto di vista storico appaiono attualmente cari, il
nostro outlook rimane però incoraggiante, sostenuto da solidi fondamentali creditizi, forti afflussi di capitali e interessanti livelli di spread». I
Due presuppostii
Bilanci solidi e fiducia nelle imprese
I
l ragionamento di Michel Ho sostanzialmente tocca tutte le questioni di questo tipo di paper; per giungere alle sue conclusioni, però, bisogna confidare su determinati assunti. Due di questi riguardano la solidità dei bilanci aziendali e la fiducia accordata alle società da parte degli investitori. Per quanto riguarda il primo elemento, il grado di ottimismo continua a essere elevato, anche se probabilmente pure da questo punto di vista gli investitori dovranno abituarsi a minori margini di miglioramento. Interessante al proposto appare il ragionamento del Global economics research team di Goldman Sachs: «Gli spread contenuti sui corporate sono stati giustificati non solo dallo scenario macro, ma anche a livello micro. Dopo gli eccessi dell'era
dot-com, il comparto aziendale nel suo complesso ha operato un notevole deleveraging, elemento che ha fatto sì che i bilanci societari fossero ai massimi livelli di salute da decenni quando è scoppiata la crisi finanziaria. Il collasso dei profitti ha indubbiamente provocato danni, man mano però che gli utili si riprendevano, la maggior parte delle aziende è stata in grado di rifinanziarsi a tassi più bassi e di allungare le scadenze del proprio debito in maniera tale che, in media, i bilanci aziendali oggi scoppiano nuovamente di salute. Però, se i fondamentali del credito corporate appaiono solidi dal punto di vista storico, non stanno attualmente migliorando. Anzi potrebbero anche deteriorarsi su alcuni mercati e per alcuni player marginali».
POCHE
SCELTE
Una simile analisi non sembra però particolarmente rassicurante per le emissioni high yield, che hanno goduto in questi anni pienamente della ristrutturazione del rischio nei portafogli obbligazionari. Dall'altra parte a favorire questa asset class potrebbe anche esserci una semplice verità: non c’è molta altra scelta, almeno se lo scopo è ottenere rendimenti reali positivi dai soldi collocati nel reddito fisso. Per questo motivo parecchi investitori non si aspettano clamorosi cambiamenti nel corso del 2013. Laconicamente, ad esempio, Asoka Wöhrmann, chief investment officer di Deutsche Asset & Wealth Management, continua a vedere nei prossimi mesi nell'ambito europeo fenomeni simili a quelli dell’ultimo perio-
do: «All’interno dell’area euro, anche nel 2013 potrebbe proseguire la convergenza dei tassi tra i paesi del cuore del continente e quelli periferici. Si sente ancora risuonare la voce di Mario Draghi che afferma di essere pronto a fare “tutto quanto necessario” per salvare l’euro. Quindi, probabilmente la Bce continuerà a fornire un elevato livello di liquidità alla periferia. Con il carry e la diminuzione degli spread, che permettono di ottenere plusvalenze costruendo posizioni che beneficiano di una convergenza degli spread dei tassi di interesse, nell’anno precedente si sono potuti ottenere alti profitti. Gli spread un po’ più piatti, ma tuttora evidenti, significano che ci si può aspettare una continuazione di questo carry-flow per le obbligazioni, sia di stato sia societa01/02/2010 - 31/01/2011
I migliori fondi obbligazionari high yield area euro Isin
Valuta
Data di inzio
Capitale
Commissione di gestione %
Dexia Bonds Euro High Yield C Acc
LU0012119607
Euro
31-05-89
155.988.249,00
1,00
13,30
7,91
Raiffeisen-Europa-HighYield R VT
AT0000765599
Euro
01-12-99
460.973.401,00
0,96
13,38
6,92
Fidelity European High Yld A-EUR
LU0110060430
Euro
26-06-00
2.315.876.377,00
10,73
8,26
Pioneer Fds Euro High Yield E EUR ND
LU0229386650
Euro
05-12-05
982.860.499,00
1,20
19,51
9,07
HSBC GIF Euro High Yield Bond A Acc
LU0165128348
Euro
27-10-99
1.280.122.434,00
1,10
10,82
10,05
Euro
31-12-97
13,61
10,29
Euro
31-12-97
11,97
9,25
12,84
8,84
Fondo
Benchmark 1: BofAML Euro HY Constrained TR EUR Benchmark 2: BofAML Euro HY BB-B Constrained TR EUR Number of investments ranked Media del campione
Return
Std Dev
43 732.528.366,00
1,10
pensiamo che vi sarà pertanto un significativo aumento dei tassi di default nel breve termine, dal momento che le necessità di rifinanziamento sono state in gran parte affrontate e solo una piccola parte del debito oggi esistente è a breve scadenza».
rie. In questo ambito le obbligazioni corporate high yield e i covered bond europei sembrano promettenti». D'altronde se è vero che difficilmente il mondo aziendale potrà mettere a segno i progressi stellari del passato, è altresì indubbio che i segnali di deterioramento provenienti dalle emissioni sotto il rating di investment grade sembrano comunque debolissimi. Significativo appare da questo punto di vista il quadro delineato da Michel Ho di Ing Investment Management: «Il livello complessivo di leva aziendale è rimasto stabile sotto la soglia di 4. Le imprese sono in buona salute, in seguito alla ripresa degli utili dopo la crisi finanziaria del 2008. In questi anni molti gruppi hanno operato un grande deleveraging, anche se rimaniamo attenti ai possibili segnali di aumento della leva e nei confronti di quelle società che si indebitano per pagare dividendi. Ad ogni modo i tassi di default nell'high yield sono rimasti sotto il 2%, dal momento che le aziende hanno mantenuto un approccio cauto, concentrandosi sulla rimessa in sesto dei propri bilanci. Non 01/02/2011 - 31/01/2012
SITUAZIONE
DI CALMA
Dunque, se il quadro degli emittenti high-yield appare caratterizzato da una situazione di calma, per fare sì che continui indisturbato il processo di afflusso di capitali per sfruttare il carry trade fra i rifugi sicuri e le obbligazioni più rischiose e la
conseguente compressione degli spread, descritti precedentemente da Asoka Wöhrmann, è necessario che continuino a ve-
rificarsi le condizioni macroeconomiche degli ultimi anni e che le banche centrali continuino a reagire di conseguenza. I
Il quadro dei tassi
Il nemico è la crescita lle banche centrali gli investitori chiedono ciò che hanno domandato (e ottenuto) a gran voce negli ultimi anni: stabilità nei tassi di interesse e grande liquidità. Indubbiamente un processo di normalizzazione dei benchmark delle istituzioni centrali scombussolerebbe i piani di molti protagonisti del mercato.
A
01/02/2012 - 31/01/2013
Anche in presenza di una rilevante compressione degli spread, è difficile pensare però che elevati rendimenti si potrebbero ottenere a fronte di un rialzo generale dei tassi. Questa situazione viene evidenziata ancora dal Global economics research team di Goldman Sachs: «Nel caso in cui il quadro macroeconomico migliori e
vi sia un rialzo dei tassi reali risk-free, il rischio non è tanto che gli spread si allarghino, quanto che, a questi livelli di compressione, un ulteriore restringimento potrebbe non essere sufficiente a compensare un innalzamento dei tassi. Questo fatto renderebbe i rendimenti su una base di total yield assai meno interessanti. Ciò
01/02/2010 - 31/01/2013
Return
Std Dev
Return
Std Dev
Return
Std Dev
Sharpe Ratio (arith) Information Ratio (arith)
2,90
12,19
17,35
5,41
11,01
8,83
1,15
2,49
12,89
16,88
4,44
10,75
8,71
1,13
-0,01
12,42
18,41
5,28
9,45
9,09
-1,48
15,29
18,09
5,24
11,61
2,45
16,39
17,61
5,90
1,43
14,56
19,90
5,89
2,71
13,80
18,88
-0,49
14,19
16,86
01/02/2008 - 31/01/2013 Max Drawdown
Tracking Error
Return
Std Dev
-0,12
9,35
2,95
8,07
14,68
-0,19
8,82
3,34
9,52
15,57
0,94
-0,67
11,07
2,89
9,68
15,30
10,69
1,00
0,07
13,40
3,14
11,95
19,14
10,12
11,38
0,81
-0,51
11,72
2,49
10,37
15,22
11,38
10,71
0,98
12,15
0,00
12,04
16,87
5,75
10,99
10,00
1,01
-0,42
10,79
0,92
11,26
15,71
5,30
9,44
9,73
0,81
-0,64
11,72
2,87
8,08
15,22
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
50
OBBLIGAZIONARIO HIGH YIELD sembra suggerire che i corsi non sono particolarmente estremi nell'azionario o negli spread creditizi, quanto nei tassi riskfree sottostanti. Questi ultimi appaiono alquanto bassi negli scenari di crescita verso cui ci stiamo dirigendo».
LO
SCENARIO IDEALE
Quest'ultima affermazione permette di affrontare la questione dell'influenza dello scenario macroeconomico ideale per gli investitori in high yield. Contrariamente a quanto successo in passato, quando questa asset class era essenzialmente ciclica con un elevato beta rispetto all'andamento dei mercati globali, negli ultimi anni le obbligazioni corporate in generale hanno invece trovato il loro
Quali prospettive?
habitat naturale in un'economia stagnante. Una componente di questo fenomeno, come detto, è stata dovuta al lungo processo secolare di messa in efficienza da parte delle aziende. Una percentuale della crescita dei corsi del credito delle imprese, in particolare sugli high yield, è stata dovuta alla politica monetaria non convenzionale di questi anni: non solo infatti i tassi sono stati, quasi dappertutto, portati in territorio negativo a livello reale, ma sono state fornite anche quantità enormi di liquidità. Ciò ha avuto come conseguenza una diversa percezione di molte asset class di nicchia come gli high yield, in cui la liquidità spesso spariva ai primi aliti di crisi. Il cambiamento nel profi-
lo della quantità di capitali disponibile viene ben sintetizzato da Michel Ho di Ing Investment Management: «Il mercato degli high yield ovviamente non è liquido come quello dei titoli di stato o dei corporate investment grade. Di recente, però, la liquidità è risultata decisamente buona, dal momento che la ricerca di rendimento ha portato a forti flussi di denaro, con in più un vitale mercato delle nuove emissioni che fornisce molte nuove obbligazioni agli investitori». Nello specifico europeo conclusioni simili vengono fornite da Andreas Utermann, global Cio di Allianz Global Investors: «Con riferimento al segmento high yield in Europa, le valutazioni basate sul rischio di
insolvenza risultano interessanti. La domanda degli investitori si mantiene superiore all’offerta da parte degli emittenti». Può cambiare a breve questa situazione? Molto dipende dall'idea che si ha delle prospettive economiche. Da questo punto di vista Goldman Sachs appare ottimista sulla crescita e, paradossalmente, meno positiva sul debito aziendale di minore qualità. Altri investitori hanno idee diverse, come Stuart Thomson, capo economista e comanager del fondo Ignis Absolute Return Government Bond: «Vediamo una crescita globale al di sotto del potenziale fino al 2018. Le caratteristiche di questo periodo di inflazione volatile e bassa crescita conti-
I migliori fondi obbligazionari high yield Usa
01/02/2010 - 31/01/2011 Isin
Valuta
Data di inzio
Capitale
Commissione di gestione %
Return
Std Dev
AXA WF US High Yield Bonds FC USD
LU0276015533
US Dollar
29-11-06
5.634.168.831,00
1,00
15,30
6,77
CS BF (Lux) High Yield USD B
LU0116737759
US Dollar
13-10-00
394.909.780,00
1,20
15,38
6,72
BGF USD High Yield Bond A2 USD
LU0046676465
US Dollar
29-10-93
4.725.609.838,00
1,25
17,17
7,64
Franklin High Yield A Acc $
LU0131126228
US Dollar
02-07-01
4.544.896.801,00
0,80
13,66
7,20
MFS Meridian High Yield A1 USD
LU0035377810
US Dollar
01-07-97
946.419.050,00
0,75
14,08
7,26
Benchmark 1: Barclays US Corporate High Yield TR USD
US Dollar
30-06-83
16,19
7,24
Benchmark 2: BofAML US HY Master II TR USD
US Dollar
29-08-86
15,88
7,06
14,10
7,21
Fondo
Number of investments ranked
52
Media del campione
1.637.870.631,00
1,00
Return
Std Dev
15,91
8,70
01/02/2010 - 31/01/2011
I migliori fondi obbligazionari high yield global Isin
Valuta
Data di inzio
Capitale
Commissione di gestione %
Aviva Investors Global High Yld Bd A USD
LU0367993317
US Dollar
22-09-08
2.314.658.815,00
1,20
Cap Int Global High Inc Opp C
LU0110451464
Euro
07-05-99
1.346.666.633,69
13,61
6,94
AXA WF Global High Yield Bonds AC USD
LU0184630167
US Dollar
27-02-04
810.383.863,00
1,25
15,46
6,84
GS Glbl High Yield A
LU0122975302
US Dollar
05-03-01
7.002.462.603,00
1,10
15,56
8,02
BGF Global High Yield Bond A2 USD
LU0171284937
US Dollar
08-06-07
1.839.069.178,00
1,25
16,40
9,23
US Dollar
31-12-97
15,06
9,75
US Dollar
31-01-90
15,94
9,61
14,79
7,80
Fondo
Benchmark 1: BofAML Gbl HY Constd TR USD Benchmark 2: Barclays Global High Yield TR USD Number of investments ranked Media del campione
43 1.839.069.178,00
1,15
nuano a essere una riduzione dell’indebitamento e misure di austerità. Questi freni sono bilanciati da tassi ultra bassi e una politica monetaria espansiva. La storia dimostra che, dopo un grave tracollo finanziario, si verifica un lungo periodo di deleveraging che porta a una crescita debole e volatile». Dunque, se la struttura portante dei mercati, cioè una continua ingegnerizzazione al rialzo delle asset class rischiose da parte delle autorità, non cambierà, è difficile pensare che il debito high yield smetterà di fornire buone performance, sia in termini relativi sia assoluti. Anche se, come ormai è diventato comune refrain in questo periodo, probabilmente i soldi facili sono alle spalle. I 01/02/2011 - 31/01/2012
Legenda tabelle Premessa:
Per ogni campione (peer group) sono stati considerati i fondi armonizzati distribuibili in Italia con almeno tre anni di storia e un miimo di 50 milioni di patrimonio. Per ogni fondo viene inclusa una sola classe.
Metodologia:
La metodologia di analisi tiene conto della performance rispetto al rischio assunto, della costanza della performance negli ultimi tre anni e dell’ampiezza del calo della quota (drawdown).
Divisa:
Valuta di denominazione del fondo.
Data inizio gestione:
La data di inizio gestione è relativa alla singola classe.
Patrimonio:
Il patrimonio è espresso nella valuta di denominazione del fondo. Le dimensioni del fondo sono relative all’intero patrimonio gestito (tutte le classi).
Stile:
Lo stile del fondo (growth, value, blend).
Performance:
Rendimento nei vari orizzonti temporali, nella valuta indicata. Nel caso di periodi superiori all’anno, è indicato il rendimento annualizzato.
Deviazione standard:
Indicatore di rischiosità del fondo: misura la variabilità dei rendimenti.
Sharpe ratio:
Misura il rendimento in eccesso rispetto al tasso privo di rischio, pesato per il rischio assunto.
Information ratio:
Indicatore del valore aggiunto dalla gestione attiva pesato per i rischi assunti nella medesima gestione rispetto al benchmark di riferimento. Misura il rendimento in eccesso rispetto al benchmark di riferimento pesato per il tracking error.
Max drawdown:
Misura il massimo calo registrato nel periodo in oggetto, inteso come differenza fra massimo del periodo e minimo successivo.
Tracking error:
Variabilità dei rendimenti rispetto al benchmark di riferimento indicato in ogni tabella. Il valore indica quanto una gestione è attiva: gli Etf o i fondi indice hanno un tracking error molto basso, mentre i fondi molto attivi hanno in genere un tracking error molto elevato.
Fonte dati:
Morningstar.
01/02/2012 - 31/01/2013
01/02/2010 - 31/01/2013
Return
Std Dev
Return
Std Dev
Return
Std Dev
5,00
9,14
13,49
2,77
11,17
6,67
1,66
5,11
6,98
11,02
2,87
10,43
5,77
1,79
3,49
10,38
12,82
3,47
11,01
7,63
4,45
10,27
12,36
3,75
10,08
4,00
9,93
12,39
3,75
10,07
5,83
9,75
13,91
3,48
5,20
9,81
13,87
3,35
3,50
9,88
11,70
3,48
01/02/2011 - 31/01/2012
Sharpe Ratio (arith) Information Ratio (arith)
01/02/2008 - 31/01/2013 Max Drawdown
Tracking Error
Return
Std Dev
-0,28
6,67
10,65
11,57
10,16
-0,34
5,09
11,04
8,57
13,57
1,43
-0,29
7,31
10,68
8,42
12,75
7,41
1,35
-0,39
7,48
10,34
7,46
13,61
7,30
1,37
-0,40
7,49
10,28
6,86
13,11
11,89
7,18
1,64
-0,22
7,14
10,31
10,93
14,03
11,55
7,13
1,61
-0,25
7,44
10,37
10,61
14,02
9,89
7,27
1,32
-0,42
7,60
10,55
7,46
13,10
01/02/2012 - 31/01/2013
01/02/2010 - 31/01/2013
Return
Std Dev
Return
Std Dev
Return
Std Dev
Sharpe Ratio (arith) Information Ratio (arith)
5,40
8,56
12,92
3,40
11,32
7,20
1,52
4,97
9,97
16,81
5,02
11,68
7,48
4,18
9,45
13,08
3,41
10,80
6,93
2,03
10,24
13,62
4,81
10,24
4,26
11,50
13,28
3,30
3,95
11,75
16,70
4,78
11,46
2,43
10,86
01/02/2008 - 31/01/2013 Max Drawdown
Tracking Error
Return
Std Dev
-0,14
5,65
3,14
1,51
-0,02
8,29
1,50
-0,33
7,44
3,23
10,20
11,99
2,90
8,92
7,94
1,24
-0,37
11,95
7,87
4,12
8,27
11,19
8,58
1,26
-0,18
14,20
8,50
3,16
7,84
14,11
5,19
11,76
9,16
1,24
9,21
0,00
11,13
15,06
17,01
5,76
12,44
9,10
1,33
0,89
8,70
0,77
11,11
14,96
13,08
4,55
10,09
8,07
1,19
-0,79
8,47
2,90
7,84
12,90
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
52 Tempo OBBLIGAZIONARIO HIGH YIELD
Un parere contro corrente
di uscire?
a cura dell'Ufficio studi di Investire l comparto preso nel suo complesso, molto ben caratterizzato dall’Indice BofA Ml Global Hy che conta 1.760 miliardi di dollari di capitalizzazione, un rating medio B1 e una scadenza media effettiva di circa sei anni, dopo quattro anni di straordinarie performance (+22,15% annualizzato con una volatilità annua del 4,77%), alla fine di gennaio ha raggiunto i livelli minimi di rendimento della sua storia: 5,65%. Il differenziale di rendimento, il cosiddetto Option adjusted spread (Oas) invece no: siamo a 518 basis point contro i minimi storici di 233 raggiunti a giugno 2007 (allora però la curva dell'Us Treasury aveva rendimenti vicini al 5%). Il mancato minimo di Oas è dovuto solo al livello dei rendimenti governativi, il cosiddetto rendimento free-risk, che si trovano su valori storicamente minimi, presentando irrealistici valori di rendimento reale negativo condizionato da un “valore assicurativo” dell’investimento particolarmente elevato. Il tasso di fallimento implicito nel comparto, ovvero la misura di quale percentuale di fallimenti societari deve sussistere nel comparto per rendere indifferente l’investitore tra l’investimento in obbligazioni risk free e in obbligazioni high yield, si è compresso in modo notevole, raggiungendo valori vicini al 7,5% annuo. Nonostante questa impressionante performance, il comparto continua ad attirare
I
Attualmente l'azionario è in grado di fornire ritorni migliori in termini di rendimento aggiustato per il rischio e la liquidità. Giocano a sfavore di questi bond sia un'eventuale ripresa, che comporterebbe un incremento dei tassi dei concorrenti governativi, sia un proseguimento della crisi, che alzerebbe il tasso di default interesse e valutazioni positive da parte di molti analisti, poiché: a) questo 7,5% di tasso implicito di fallimento è un livello ancora lontano dal tasso effettivo storico per gli emittenti di questa tipologia di obbligazioni, che è mediamente tra il 3% e il 4%, ma con punte che sono arrivate alla doppia cifra in difficili momenti storici;
b) si confida che le politiche monetarie dei paesi sviluppati rimarranno molto espansive a lungo, offrendo tassi di interesse e di finanziamento particolarmente ridotti. Quindi, sostengono i più prudenti, le caratteristiche di carry-trade offerte dal comparto continueranno ad attirare gli investitori, in un mondo che rimane alla disperata ricerca di rendimento. Noi pensiamo che questo approccio analitico/interpretativo sia molto pericoloso, ricordando un po’ l’affanosa ricerca di rendimento visto sui mercati del credito negli anni 2006-2007 o, se volete, ricordando il personaggio di John (il trader di high yield del libro Giocati dal Caso di Taleb) e pensiamo che sia arrivato il tempo di uscire. Riteniamo che l’azionario, che ha caratteristiche più rischiose, anche se simili nella struttura di un passivo aziendale, sia un investimento più interessante in termini di rendimento aggiustato per il rischio e la liquidità. Le ragioni sono almeno due: di opportunità e tecnica. Vediamo la prima. Il comparto degli high yield ci sembra una “scommessa” comunque perdente in termini di performance. Infatti, se la situazione di debolezza economica dovesse peggiorare, il suo cuscino di rendimento non offrirebbe più sufficiente protezione in grado di compensare l’aspettativa di un inevitabile deterioramento della salute delle imprese, che poi si rifletterebbe in mag-
giori fallimenti e in un allargamento dei differenziali di rendimento delle obbligazioni, con la conseguente discesa dei loro prezzi. Se, al contrario, ci dovesse essere una ripresa economica, peraltro non il nostro scenario centrale (si veda l’Osservatorio a pagina 8), l’inevitabile cambio di marcia delle politiche monetarie penalizzerebbe, con il rialzo dei tassi di interesse, tutti i comparti obbligazionari e tra questi sicuramente gli high yield, producendo una discesa dei prezzi delle obbligazioni. L’ipotesi intermedia o di equilibrio, cioè che non vi sia né troppa né troppo poca crescita, ci pare irrealistica e ci ricorda la posizione di chi sta seduto su un geyser sperando che non soffi o se volete l’approccio “à la John”. La seconda ragione è di tipo tecnico e riguarda il posizionamento del mercato e la sua liquidità vera. Il comparto ha attirato nell’ultimo anno volumi molto elevati, destando l’interesse anche degli investitori meno professionalmente preparati. Abbia-
mo iniziato a vedere perfino Etf indicizzati al comparto high yield. La possibilità di portare a casa rendimenti elevati e una sostanziale riduzione nella volatilità rispetto al mercato azionario, spiega buona parte di questo trend. Il grande afflusso di liquidità, poi, ha dato modo alle aziende di rifinanziarsi abbastanza agevolmente, allungando le scadenze delle obbligazioni e sostituendo i prestiti bancari in scadenza, spesso riducendo contemporaneamente i covenant (ossia le garanzie offerte dal debitore) e replicando un trend analogo a quello visto tra il 2005 e il 2007. Non solo, diverse aziende hanno approfittato dei bassi tassi per ripristinare elevati livelli di leva finanziaria: per esempio molti sono ricorsi alla distribuzione di capitale agli azionisti sotto forma di dividendi o buyback, utilizzando la liquidità proveniente da finanziamenti (gli investimenti produttivi sono infatti in calo). Anche le banche e i broker hanno approfittato di questo favorevole momento per ridurre i loro magazzini. Le obbligazioni
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
high yield, infatti, sono gli strumenti del debito che comportano i maggiori assorbimenti patrimoniali. Assorbimenti che le banche cercano attivamente di ridurre, vendendo gli attivi più rischiosi per apparire più virtuose secondo la metrica di Basilea 3. Inoltre il contenimento dei livelli patrimoniali consente di elevare più facilmente il Roe. Questo posizionamento di banche e broker è foriero di una minore liquidità disponibile sul mercato nei momenti di stress, ossia quando tutti cercheranno la via d’uscita. Già alcuni grandi asset manager con cospicui portafogli creditizi hanno mostrato la loro preoccupazione per la ridotta liquidità del mercato obbligazionario creditizio in una fase che potrebbe portare progressivamente a una sostituzione di bond con azioni. Quindi, pur non preconizzando necessariamente un “cigno nero” e un crollo del mercato high yield simile a quello del 20072008, non pensiamo che il gioco valga più di tanto la candela. I
54Ci crediamo OBBLIGAZIONARIO HIGH YIELD
Parlano i gestori
ma meno
Secondo due money manager, il mondo dei bond ad alto rendimento è ancora interessante, anche se i ritorni saranno sicuramente inferiori a quelli ottenuti nel corso degli anni passati. «Il contesto migliore è quello caratterizzato da una crescita moderata, quindi una situazione in cui le aziende abbiano un buon controllo della spesa» a cura di Rocki Gialanella ul piano strettamente operativo, come si stanno muovendo i maggiori gestori di high yield? Investire lo ha chiesto a due operatori leader: Laura Di Luca, gestore dei fondi obbligazionari Prima Fix High Yield, Anima Obbligazionario High Yield e Anima Convertibile, e James Tomlins, money manager di M&G European High Yield Bond.
S
Cosa vi aspettate dagli high yield bond nel 2013? Di Luca: «Ci aspettiamo rendimenti positivi, anche se sicuramente inferiori a quelli
Laura Di Luca, gestore dei fondi obbligazionari Prima Fix High Yield, Anima Obbligazionario High Yield e Anima Convertibile
del 2012. Pensiamo che le obbligazioni high yield potranno beneficiare di un lieve restringimento degli spread e del naturale rendimento del comparto. Il tutto, però, presupponendo uno scenario contraddistinto da un premio per il rischio stabile, bassa volatilità e un tasso di crescita economica che tornerà a essere positiva. È questo un segmento di mercato che i risparmiatori possono affrontare solo attraverso un fondo, che ha la possibilità di operare un’adeguata diversificazione dei rischi e di modulare le scelte di investimento in funzione anche del rapido evolvere delle condizioni di mercato». Tomlins: «Di recente il nostro giudizio sul mercato high yield si è fatto più sfumato. Anche se crediamo che queste obbligazioni abbiano una potenzialità limitata di ripetere i guadagni del 2012, pensiamo che rappresentino ancora un livello interessante di rendimento. In un mondo dominato da tassi di interesse bassi, consideriamo che l’asset class continuerà a essere per gli investitori una delle migliori fonti di rendimento reale (ovvero dopo che sia stata scontata l’inflazione)».
A livello geografico avete qualche preferenza per gli Usa, l'Europa o l'Asia? Di Luca: «Pensiamo che i titoli europei high yield abbiano un rendimento più interessante, rispetto a quelli che fanno riferimento all’area geografica americana. Pur essendo il mondo asiatico in espansione, il mercato dei titoli high yield asiatici è di piccole dimensioni e per questo inefficiente. Anche in un portafoglio globale preferiamo investire in Europa, dove le potenzialità di performance sono piuttosto elevate». Tomlins: «Per descrivere le nostre preferenze facciamo riferimento all’allocazione geografica del nostro fondo high yield. Questo strumento aveva una buona porzione sulle high yield europee in quanto, basandoci sul rapporto rischio/rendimento, ritenevamo che offrissero un buon valore: ci concentriamo in particolare sui paesi cosiddetti core dell’Europa, come Inghilterra, Germania e Paesi Bassi. Le obbligazioni ad alto rendimento europee attraevano un premio al rischio significativo, a causa delle incertezze dell’Eurozona. Sebbene nella seconda parte dell’anno le ten-
molto cauto e sicuramente non nella misura che abbiamo visto prima della crisi». Quali scadenze ritenete che siano da preferire per trarre i maggiori benefici nel breve e nel medio termine? Di Luca: «Nel medio termine, le scadenze comprese fra i 3-5 anni con rating BB sono quelle che riteniamo possano avere più valore per tre ragioni: in primo luogo perché offrono un carry, cioè un extra-rendimento
James Tomlins, money manager di M&G European High Yield Bond
sioni siano diminuite, anche grazie all’ormai celebre discorso di Mario Draghi, l’asset class ha visto un rally e ha riportato una performance migliore, rispetto allo stesso comparto Usa. Tuttavia oggi l’Europa non è più così conveniente e potremmo prendere in considerazione di ridurre questa allocazione, in particolare dal momento che le prospettive per l’economia degli Stati Uniti stanno diventando incoraggianti. Infatti i più recenti dati sugli States mostrano progressi migliori rispetto all’Europa e più alti livelli di crescita». Credete che ci sia ancora spazio per una compressione degli spread tra questi titoli e quelli investment grade e risk free? Di Luca: «Il fattore crescita rimane la chiave di lettura corretta per il mondo high yield. Siamo ottimisti, in quanto crediamo che la compressione degli spread abbia ancora spazio, soprattutto laddove i margini sono più che sufficienti per contrastare
l’erosione causata da un modesto rialzo dei tassi che ci aspettiamo nel medio termine. Nel mondo investment grade è invece più difficile trovare emittenti che soddisfino questo criterio». Tomlins: «Mentre in generale c’è una portata limitata per un restringimento significativo degli spread, sulle obbligazioni high yield a livello di singola emissione il discorso cambia. Crediamo che l’accurata selezione degli emittenti sarà il fattore determinante per incassare buoni rendimenti nel 2013. Ci aspettiamo che i tassi di default rimangano bassi e ciò dovrebbe aiutare a supportare le valutazioni di queste obbligazioni. Le società sono state gestite in modo piuttosto conservativo negli ultimi anni e hanno ridotto il loro indebitamento a vantaggio degli utili. Sebbene le società stiano a poco a poco ricorrendo di nuovo alla leva, in quanto sono più ottimiste e sfruttano i finanziamenti a basso costo oggi a disposizione, ciò sta avvenendo a un ritmo
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
interessante rispetto al rischio; in secondo luogo per il fatto che l’industria del risparmio gestito sta sempre più guardando a prodotti high yield a breve durata; infine perché queste scadenze sono meno vulnerabili in una fase iniziale di aumento dei tassi a lungo termine». Tomlins: «Al momento preferiamo scadenze medie, con il 24% circa di allocazione su scadenze tra uno e tre anni e il 23% su scadenze tra i tre e i cinque anni». Quali sono i rischi, oscurati dal restringimento degli spread, che potrebbero mettere a dura prova questo segmento obbligazionario? Di Luca: «A nostro avviso, per il buon rendimento del mondo high yield è determinante che non si verifichino shock economici. Nel caso in cui l’economia iniziasse a correre, la volatilità andrebbe a intaccare la componente tasso; contrariamente, se l’economia dovesse subire un forte rallentamento, verrebbe colpita maggiormente la componente corporate. Pertanto, il contesto migliore è quello caratterizzato da una crescita moderata, quindi una situazione in cui le aziende abbiano un buon controllo della spesa per capitali, del debito e dei flussi di cassa». I
56Un settore IMMOBILIARE
Gli uffici
difficile I problemi economici che
stanno colpendo le aziende e l'eccesso di offerta in molte città rendono complicato questo comparto, che vede prezzi e affitti in netto calo quasi dappertutto. I rendimenti sono allineati a quelli delle abitazioni e spesso un po' inferiori ai negozi, per cui molti preferiscono investire su queste ultime tipologie. Resistono gli edifici serviti dai mezzi pubblici e ben strutturati a cura dell'ufficio studi di Tecnocasa ul mercato degli immobili da destinare al terziario si registrano quotazioni e canoni in ribasso. Sul versante dei prezzi la diminuzione è stata del 3% per
S
gli uffici usati, mentre il nuovo è rimasto stabile. I canoni di affitto registrano -4,7% per le soluzioni usate e -4,5% per quelle nuove. Per il 2013 il trend atteso sul mercato per l’intero immobiliare non residenziale dovrebbe essere simile a quello che si è registrato nel 2012. Ci si aspettano ribassi
di compravendite, prezzi e canoni di locazione. La difficoltà nell’ottenere finanziamenti per tante aziende comporterà un maggiore ricorso al mercato della locazione sul quale, comunque, si registrano ribassi importanti. Si allungano anche i tempi di vendita. Per gli uffici le location centrali o
MILANO
Crollo degli affitti ul mercato degli uffici si registra un'offerta cospicua di immobili in locazione, ma l'introduzione dell'area C ha penalizzato in parte il mercato del centro. Questo settore ha segnalato ribassi del 2,3% per gli immobili usati e del 4,6% per quelli nuovi, mentre gli affitti hanno sofferto maggiormente, con un calo del 9,6% e del 6,7% rispettivamente. Chi ha cercato in affitto ha privilegiato le zone limitrofe al centro, ma chi già possedeva un ufficio qui ha scelto comunque di restare in zona. Nelle aree periferiche e semicentrali sono preferite le soluzioni posizionate vicino a fermate della metropolitana. In generale vengono scelti tagli di 100250 metri quadrati, possibilmente già attrezzati. Nelle aree più centrali della città resistono gli studi associati e gli istituti di credito; nell'area di corso Genova si segnala invece una concentrazione di attività legate al mondo della moda. Per quanto riguarda l’usato, i prezzi oscillano da 6.500 euro al metro quadrato in via Torino e nelle zone più centrali a 4.000 euro al metro quadrato per le tipologie che si trovano nell'area della Cerchia dei Navigli. Prezzi compresi tra 2.500 e 2.800 euro al metro quadrato si registrano nelle aree di Tibaldi, Lorenteggio,
S
Quotazioni e canoni uffici 1° semestre 2012
Nuovo
Usato
prezzi
nessuna variazione
-3%
Canoni di locazione
-4.4%
-4,7%
posizionate in zone ben servite dalla metropolitana saranno quelle preferite. Per risparmiare si riducono le metrature oppure si accettano le condivisioni con altri uffici. I centri direzionali sono apprezzati soprattutto se situati in buone location o ben collegati. I
Barona-viale Cassala e Ripamonti, 2.300 euro al metro quadrato in zona Cermenate-Gratosoglio. Per quanto riguarda i canoni di locazione si parte da 180-220 euro al metro quadrato annuo per le aree più centrali fino ad arrivare a 100-110 euro per le zone più periferiche, quali Cermenate-Gratosoglio e Lorenteggio. I
VERONA
Male la provincia ndamento speculare degli uffici tra città e provincia, con valori migliori nel capoluogo. Poiché l'offerta sul mercato è consistente, le quotazioni sono in calo di circa l'1% in città e sono tra il -3,2% dell'usato e il -4,2% del nuovo in provincia; gli affitti in città sono rima-
A
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
sti invariati, mentre in provincia si passa dal -2,7% dell'usato al -3% del nuovo. Le tipologie più richieste sono gli uffici di 60-100 metri quadrati, preferibilmente situati in contesti residenziali (o comunque misti), in quanto nei centri direzionali le spese risultano spesso elevate; preferenza
Gli uffici
IMMOBILIARE Uffici - 1° semestre 2012 Lombardia Brescia Città Brescia Due Centro Milano Città Abruzzi Affori Argonne - Corsica Barona - Viale Cassala Bicocca - Viale Monza Bovisa Bovisa - Circonvallazione Bovisa - Politecnico Buenos Aires - Caiazzo Centro - Via Torino Cerchia - Navigli Cermenate - Gratosoglio Città Studi - Pacini Comasina Corvetto - Rogoredo Dergano Farini - Dogana Fiera - Lotto Gioia - Zara Greco - Maggiolina Imbonati - Pellegrino Rossi Indipendenza - XXII Marzo Isola - Garibaldi Lorenteggio Lodi - Brenta Maciachini - Valtellina Mecenate - C.A.M.M. Molise - Tito Livio Monza - Palmanova Niguarda - Bruzzano Ripamonti San Siro Stazione Centrale - Centro Direzionale Tibaldi Tribunale - Romana Umbria - Montenero Zona Nord - Ovest Milano Provincia Abbiategrasso Arese Arluno Assago Bareggio Binasco Bollate Buccinasco Cerro Maggiore Cesano Boscone Cinisello Balsamo Cologno Monzese Corbetta Cormano
Compravendita Usato Nuovo
Locazione Usato Nuovo
1500 1650
2000 2000
80 80
105 120
3000 2000 2500 2000 2200 2300 2300 2000 3000 5000 4000 2200 2200 1600 2500 2000 2300 2400 2500 2200 2300 3500 2800 2200 Nd 2500 2400 2500 1500 1800 2000 2100 2500 2200 4000 3300 2000
3700 3000 Nd 3000 2800 3000 3000 3000 4000 6500 5000 3000 3000 2300 Nd 2300 3000 2900 5000 3000 3000 4000 6000 3000 Nd 3000 Nd Nd 2000 2200 3000 2500 6000 3500 5000 3800 2500
150 Nd 100 100 100 80 100 100 160 180 140 100 110 70 100 90 100 100 140 100 120 160 130 100 275 80 100 120 80 90 110 110 150 120 150 120 100
200 Nd Nd 140 125 150 180 180 180 300 200 150 150 120 Nd 120 150 140 180 120 160 200 200 160 Nd 180 120 Nd 100 100 160 150 220 160 200 160 150
1400 Nd 1400 2000 700 900 1400 1800 1250 1300 1300 1300 1400 1600
1800 Nd 1900 2500 1200 1200 2000 2300 1600 1500 1800 1900 1900 2200
70 80 70 120 70 70 Nd 90 80 70 90 95 60 80
90 95 90 130 90 80 Nd 100 100 80 130 135 80 100
Nd= Non disponibile I prezzi sono espressi in euro al mq I canoni di locazione sono espressi in euro al mq annuo Fonte: Ufficio Studi Tecnocasa
opposta nelle zone nord-occidentali, dove sono richiesti anche l’impianto di condizionamento e la connessione alla rete Internet. La domanda si concentra su soluzioni posizionate nelle zone centrali scelte dagli studi professionali (notai, commercialisti, avvocati) grazie alla migliore visibilità, mentre in periferia restano le società che preferiscono la comodità di ampi spazi, anche per il parcheggio. Le attività svolte sono molteplici. Ad Affi è presente un polo direzionale e commerciale composto da tre palazzine: il prezzo del nuovo è 1.800 euro al metro quadrato, mentre il canone di locazione ammonta a 105 euro al metro quadrato annuo. Complessi direzionali e commerciali sono presenti anche a Sant'Ambrogio di Valpolicella, in particolare a Domegliara, dove si registrano quotazioni per l'usato di 1.000 euro al metro quadrato e canoni di 62 euro al metro quadrato annuo. Nei comuni di Villafranca di Verona, Bussolengo e Peschiera del Garda le attività commerciali e gli studi tecnici e professionali ricercano so-
luzioni di 100 metri quadrati: per una tipologia usata e in buono stato si spendono 70-80 euro al metro quadrato annuo, mentre un ufficio di più recente costruzione tocca cifre di quasi 80100 euro al metro quadrato. Nella prima periferia, un ufficio in un centro direzionale presenta quotazioni di 2.200 euro al metro quadrato, mentre in altre strutture residenziali il prezzo scende a 1.800 euro al metro quadrato. Nelle zone residenziali si può acquistare un ufficio con una spesa di 1.600 euro, praticamente la stessa cifra che si deve pagare per acquistare un appartamento. Da segnalare che in zona Zai sono presenti centri direzionali, spesso nati come laboratori e successivamente adattati e utilizzati come uffici: piuttosto che le caratteristiche strutturali, l'elemento discriminante è il prezzo, che non deve superare 1.200 euro al metro quadrato. Da segnalare a Sant'Ambrogio di Valpolicella la presenza di un importante cantiere per la realizzazione di un complesso residenziale con negozi e uffici. I
Uffici - 1° semestre 2012 Lombardia
TORINO
Pochi investimenti l mercato degli uffici presenta quotazioni in ribasso: -4% per le compravendite dell'usato e -6,3% per il nuovo, -4% le locazioni, indipendentemente dalla tipologia. Uno dei motivi di questo calo è da ricercare nella mancanza di parcheggio che affligge gli uffici situati nel centro città. Poiché le rendite ottenibili con le locazioni di uffici sono simili a quelle ricavabili dagli affitti residenziali, sono pochi gli acquisti per investimento, a meno che non vi sia la possibilità di trasformare questi immobili in abitazioni. La domanda arriva da studi professionali, che ricercano uffici di 80-150 metri quadrati preferibilmente di nuova costruzione o già dotati di cablaggio e impianto di condizionamento. Spesso sono richiesti uffici situati in centri direzionali, purché non si debbano sostenere spese troppo elevate, ma c'è domanda anche per
I
soluzioni inserite in palazzi residenziali, ubicate in zone più centrali che possono portare maggiore visibilità. Nelle zone centrali di Torino sono molto richieste via Cernaia, corso Galileo Ferraris, corso Re Umberto e corso D'Azeglio, dove le prestigiose abitazioni d'epoca sono cercate soprattutto da società di assicurazione o studi professionali, alla ricerca di una notevole visibilità. La zona del Tribunale è tra le più gettonate, ma sono apprezzati anche gli edifici che sorgono a ridosso della metropolitana, lungo l'asse di corso Francia. Grazie al recente prolungamento della metropolitana nella zona del Lingotto, gli uffici in quest'area potrebbero essere rivalutati. Il prezzo medio per un ufficio nelle aree centrali si attesta a 2.8003.000 euro al metro quadrato, ma può salire fino a 4.000 per soluzioni particolarmente pre-
Cornaredo Corsico Cusago Cusano Milanino Gaggiano Legnano Magenta Mesero Nerviano Novate Milanese Opera Parabiago Pero Peschiera Borromeo Pioltello Rho Rozzano - Quinto De' Stampi San Donato Milanese San Giuliano Milanese - Zivido Segrate Senago Sesto San Giovanni Settimo Milanese Trezzano Sul Naviglio Vittuone Veneto Verona Città Borgo Roma Ca' Di David Golosine Santa Lucia Z.A.I. Verona Sud Verona Provincia Affi Bussolengo Isola Della Scala Negrar Peschiera Del Garda San Giovanni Lupatoto Sant'ambrogio Di Valpolicella - Domegliara Villafranca Di Verona Bardolino Garda Lazise Piemonte Torino Città Barriera Di Milano Borgo Vittoria - Madonna Di Campagna Campidoglio Cenisia Centro Cit Turin Corso Raffaello Crocetta - San Paolo Lingotto Madonna Di Campagna - Lucento Parella Pozzo Strada - Aeronautica - Lesna San Donato - Aurora - Regio Parco Tripoli
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
Usato 800 1500 1200 1600 1100 1450 1650 1400 1500 1650 1000 1500 1250 1500 1500 1250 1000 1200 900 1500 1400 1400 1100 1400 1350
Nuovo 1500 1700 1500 2200 1400 2000 2100 1700 2000 2250 1500 2000 1400 2000 2000 1550 1400 2400 1800 2000 2000 2000 1800 1500 1750
Usato 60 70 70 80 60 60 70 65 80 75 70 80 80 80 80 80 75 100 80 80 Nd 100 80 70 60
Nuovo 100 80 80 110 70 100 90 75 100 95 100 100 90 100 100 90 90 150 110 100 Nd 165 100 80 70
1600 1500 1500 1500 1800
2000 1800 2000 2000 2200
90 72 90 90 96
120 90 120 120 144
1550 1400 1200 1350 1350 1400 1000 1400 Nd Nd Nd
1800 1700 1500 1650 1700 1800 1500 1700 Nd Nd Nd
93 72 72 72 Nd 84 62 84 110 90 106
105 90 96 102 Nd 108 90 96 135 120 128
600 1000 1000 1400 2000 1800 1400 1600 1200 720 1300 1500 800 1350
1100 1600 1200 1800 3000 2200 2000 2000 2000 1170 1700 2000 900 2000
96 54 50 72 70 72 80 72 72 43 72 84 60 70
Nd 72 60 84 130 84 110 84 96 76 108 120 72 85
Gli uffici
IMMOBILIARE Uffici - 1° semestre 2012 Piemonte
Compravendita Usato Nuovo
Locazione Usato Nuovo
Vanchiglietta - Corso Casale - Precollina
1500
2000
72
108
Zona Fiat Mirafiori
800
1200
60
84
Carignano
500
700
54
60
Caselle Torinese
1000
1700
96
120
Chivasso
1000
1300
50
86
Collegno
1400
2000
66
93
Grugliasco
1350
1900
60
91
Leinì
900
1300
54
81
Moncalieri
900
1300
60
78
Nichelino
550
1300
60
90
Orbassano
1600
1800
72
84
Pianezza
1200
1800
54
76
Piossasco
1400
1700
77
90
Rivoli
1300
1800
60
72
San Mauro Torinese
Torino Provincia
1100
1800
54
66
Settimo Torinese
Nd
Nd
Nd
Nd
Venaria Reale
900
1600
84
108
1800
2400
72
120
Sanremo
2100
2800
84
132
Taggia
1200
1800
60
96
Taggia - Arma Di Taggia
1500
2200
84
120
Centro
1900
2300
70
95
Periferia
1150
1300
58
70
Semicentro
1500
1800
64
86
1500
2000
90
115
Carpi
1200
2000
Nd
Nd
Carpi - Centro Storico
1150
1900
Nd
Nd
Acilia - Vitinia - Malafede - Dragona
1800
2200
90
150
Circonvallazione Ostiense - Garbatella Montagnola - San Paolo
2200
2500
144
180
Casalpalocco - Infernetto - Axa
2000
2500
150
180
Colombo - Ardeatino
2800
3500
168
432
Eur - Cecchignola - Mostacciano - Torrino
2000
3300
168
216
Ostia Antica - Ostia Levante - Ostia Ponente
2000
2500
120
160
Salario
1800
2500
80
120
San Basilio - Casal De' Pazzi
2000
2500
120
180
Torraccia - Casal Monastero
1800
2200
120
136
Trigoria - Spinaceto - Mezzocammino Vallerano
950
1800
120
168
1100
1800
60
84
Liguria Imperia Città Imperia Imperia Provincia
Savona Città
Emilia Romagna Modena Città Modena Modena Provincia
Lazio Roma Città
Viterbo Città Zona Garbini - Tribunale Nuovo
stigiose; nelle zone più periferiche, invece, la stessa tipologia costa 1.500-1.600 euro al metro
quadrato e può arrivare a 2.000 per uffici situati in zone industriali. I
ROMA
Rai e Sky non bastano nche per quanto concerne gli uffici la congiuntura economica rende difficoltoso il mercato, che si dimostra comunque dinamico nelle aree che si sviluppano verso il centro, dove le richieste si concentrano in particolar modo sugli affitti. Molta dell'offerta sul mercato riguarda abitazioni che sono state successivamente riconvertite e trasformate in uffici. La presenza delle sedi di Rai e Sky ha fatto sviluppare l'apertura di attività legate alla cinematografia e alla produzione audiovisiva nella zona compresa tra la via Salaria e il Grande raccordo
A
anulare, dove alcuni capannoni vengono presi in affitto da queste società. I valori delle compravendite si attestano tra 2.100 e 2.900 euro al metro quadrato nell'area di Monte Sacro per immobili usati e nuovi, rispettivamente, mentre chi volesse prendere un ufficio in affitto deve sostenere un canone di 100 o 160 euro al metro quadrato annuo per le stesse tipologie. Le quotazioni salgono man mano che ci si avvicina al centro di Roma, fino a toccare punte di quasi 8.000 euro al metro quadrato nella zona di viale delle Belle Arti.
Vi sono poche nuove costruzioni, a eccezione di uffici e di un centro direzionale a opera
dell'Enav, che ha aperto ed è operativo in prossimità dello svincolo autostradale di via Salaria. I
Uffici - 1° semestre 2012 Umbria
Compravendita Usato Nuovo
Locazione Usato Nuovo
Perugia Città
CAGLIARI
Lieve rallentamento el capoluogo sardo il mercato degli uffici ha subito un lieve rallentamento per quanto riguarda le compravendite, i cui valori oscillano tra -0,7% dell'usato e -1,8% del nuovo; la maggior parte di queste tipologie viene presa in affitto, sia da privati sia da società (-3,2% e 2%). La disponibilità media si aggira intorno a 800 euro al metro quadrato e la preferenza ricade su trilocali da adibire a studi professionali: perciò, vengono
N
ricercate soluzioni con ambienti già divisi e forniti di cablaggio e sistema di condizionamento, possibilmente ubicati in zone centrali e situati in palazzine residenziali. L'offerta di uffici si concentra soprattutto nell'area del Tribunale, che si sviluppa intorno a piazza Repubblica: qui sono presenti appartamenti di 80140 metri quadrati, che è possibile affittare a un canone compreso tra 800 e 1.200 euro al mese. I
PALERMO
P
2000
2500
100
110
Ellera
1500
1800
90
100
Madonna Alta
1500
1800
90
110
Ovest
1300
1800
80
100
Sant'andrea Delle Fratte
1000
1300
Nd
Nd
Via Settevalli
1300
1600
90
110
Arenaccia - Corso Garibaldi
1600
2200
60
120
Corso Meridionale - Vasto - Piazza Garibaldi
1700
2500
84
120
Centro Direzionale
2000
3000
180
240
Vomero Alto - Colli Aminei - Capodimonte
2200
3200
120
180
1750
2100
96
144
1200
1800
45
75
Bonaria
1400
1800
100
130
Castello
1300
1600
108
144
Corso Vittorio Emanuele
1400
1800
108
144
Fonsarda
1100
1400
120
140
Is Mirrionis
1000
1300
72
108
Nd
Nd
60
72
Monte Urpinu
2000
2300
110
150
Monteclaro
1100
1300
Nd
Nd
Mulinu Becciu
1500
1800
Nd
Nd
Piazza Yenne
2000
2400
108
144
Pirri - Centro
1000
1400
50
70
Quartiere Del Sole
1400
1700
110
130
San Benedetto
2300
2800
140
160
San Michele
700
1000
84
94
Sant'Avendrace
1800
2100
84
96
Ss 131/130
700
900
Nd
Nd
Stampace
1500
1800
84
120
Campania Napoli Città
Sicilia Catania Città Zona Industriale Misterbianco - Zona Passomartino Palermo Città Zona Sud Sardegna Cagliari Città
Marina
Scarsa propensione all’acquisto alermo ha risentito in parte della scarsa propensione degli acquirenti e degli affittuari verso questo tipo di offerta; si preferisce comunque la locazione alla compravendita. Ciò nonostante, i ribassi più elevati si registrano proprio sugli affitti (anche oltre il 10%), a fronte del -7,7% delle quotazioni. Da segnalare che i privati si orientano maggiormente sui negozi perché è possibile ottenere
Centro Storico
rendimenti più alti. Tra gli investitori si segnalano soprattutto studi professionali, in particolare nella zona del Tribunale. Le caratteristiche preferite da chi cerca un ufficio sono l'ampiezza di 100-120 metri quadrati con possibilità di creare ambienti separati, il cablaggio, il condizionamento e il portierato, ma in generale si scelgono soluzioni non particolarmente onerose. Sono pervenute richieste per uffici nella zona centrale di
Politeama, ma l'area più apprezzata è stata quella del Tribunale, dove le palazzine degli anni '50-'60 sono state rivalutate dalla presenza dei parcheggi: pertanto, per l'acquisto di un buon usato servono tra 1.500 e 1.800 euro al metro quadrato, mentre per prenderlo in affitto
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
sono necessari 700 euro al mese. Via Leonardo da Vinci è un'area centrale, logisticamente molto importante e dotata di centri nuovi e di ampie dimensioni, in cui un ufficio si acquista con 2.500 euro al metro quadrato e lo si affitta a 1.0001.200 euro al mese. I
62 Tracollo INDICE IMMOBILIARE INVESTIRE-TECNOCASA GLI
nel 2012
a cura di U FFICIO STUDI
UFFICI
GRUPPO TECNOCASA
Dopo un quadriennio in limitato calo, l’anno
Prezzo di vendita degli uffici nuovi
trascorso ha visto affitti e prezzi degli edifici
100
aziendali scendere a precipizio. La necessità per le imprese di risparmiare e le riduzioni del
-0,6
-2,6
-1,7
-0,9
80
-6,6
60
personale hanno inciso negativamente
100
99,4
96,8
95,1
94,3
88,0
2007
2008
2009
2010
2011
2012
40
partire dal 2008 inizia il calo dei prezzi e dei canoni di locazione del settore non residenziale, ma per gli uffici il vero e proprio tracollo si è registrato nel corso del 2012,anno in cui sono state rilevate discese spesso a due cifre, sia nelle quotazioni di acquisto, sia nei canoni di locazione. Nel 2012 il prezzo di vendita degli uffici nuovi è infatti calato in Italia mediamente del 6,6%, mentre l’usato in un solo anno ha perso l’8,7%. Se si considera che negli anni precedenti le perdite erano state nell’ordine dell’1-2%, si comprende quanto sia stato difficile l’anno trascorso.
A
Ma molto peggio sono andati gli affitti, scesi nel 2012 del 10,1% e del 13,8% rispettivamente per l’usato e il nuovo. Il fenomeno è dovuto al fatto che le aziende hanno iniziato a richiedere spazi sempre più piccoli per ridurre i costi e anche in seguito al ridimensionamento del personale. Gli open space sono le tipologie preferite, perchè piacciono gli immobili modulabili. Inoltre per abbattere i costi molte aziende decidono di trasferirsi in sedi posizionate in periferia o nell'hinterland, purchè ben collegate. Infatti aumenta l'offerta di uffici nelle zone centrali. I
20 0
Prezzo di vendita degli uffici usati 100
-2,0
-2,7
-2,0
100
98
95,3
93,5
91,6
83,7
2007
2008
2009
2010
2011
2012
40 20 0
Prezzo di locazione degli uffici usati
100
100 -3,9
-2,2
80
-1,5 -13,8
60
-4,4
-4,0
80
-2,8
-2,6 -10,1
60 100
96,9
93,1
91,0
89,7
77,3
40
40
20
20
0
-8,7
60
Prezzo di locazione degli uffici nuovi -3,1
-1,9
80
2007
2008
2009
2010
2011
2012
0
100
95,6
91,7
89,2
86,8
78,1
2007
2008
2009
2010
2011
2012
64
indicazioni operative I portafogli del mese
Aggiustamenti post-elettorali Il risultato delle elezioni consiglia di diminuire la componente di rischio, poiché è stata introdotta una notevole dose di incertezza non solamente nel nostro paese, ma in tutto il progetto europeo, visto il peso specifico dell’economia italiana. Di conseguenza l’allocazione azionaria è molto inferiore al benchmark ed è concentrata soprattutto sulla Germania, sugli Usa e sui paesi emergenti. Mix molto diversificato per la parte obbligazionaria, con un aumento del monetario
L
e tre allocazioni di portafoglio sviluppate dall’ufficio studi di Investire si basano sulle analisi della sezione Economia & Mercati. Due
Bilanciato conservativo Azionario
profili di investimento sono rappresentativi delle classiche esigenze di preservazione del valore dell’investimento e di crescita del capitale in termini reali, mentre il terzo ha l’obiettivo di fornire un rendimento supe-
Bilanciato aggressivo Monetario
riore al mercato monetario nell’orizzonte temporale con una strategia di investimento opportunistica. La posizione sui profili bilanciati e sul flessibile è stata ridotta nelle attività di ri-
Bilanciato flessibile
Azionario
Monetario
Azionario
Monetario
15%
18% 28%
22%
60% 7%
18%
23% 25%
36%
40% 8%
Absolute return
Obbligazionario
Absolute return
Obbligazionario
Absolute return
Obbligazionario
schio, incrementando il sottopeso sull’azionario, in quanto gli esiti delle elezioni italiane hanno reintrodotto una certa dose di incertezza non solo sull’Italia, ma sull’intero progetto europeo, visto il peso specifico dell’economia italiana. Se l’evoluzione della situazione si indirizzasse verso una stabilità di governo, ritornerebbe alla ribalta il tema della sottovalutazione dell’azionario, ma per il momento è necessario considerare la situazione da una posizione più scarica rispetto alle settimane precedenti. L’economia reale in Europa continua a non dare particolari segnali di miglioramento, a parte qualche indicatore di fiducia, e i dati economici sono molto negativi. Negli Stati Uniti la situazione è migliore in termini relativi. Il mercato immobiliare è in ripresa e la disoccupazione cala, ma molto lentamente. La crescita prevista per il 2013 si conferma intorno al 2,5%, al di sotto del potenziale dell’economia. L’allocazione azionaria area euro è molto inferiore al benchmark ed è ripartita per circa metà sulla Germania, che in termini relativi avrà anche nel 2013 la migliore crescita e le cui aziende hanno dato prova di riuscire a gestire bene anche periodi prolungati di crisi. Una posizione significativa è allocata sugli Stati Uniti, in particolare sulle aziende a maggiore capitalizzazione e diversificazio-
Bilanciato conservativo
Investitore tipo
BENCHMARK
OBIETTIVO
30%
Conservazione del capitale e redditività presumibilmente costante nel tempo con volatilità relativamente bassa.
45% 25%
Jp Morgan Cash Euro 1 mese Jp Morgan Emu (Obbl. Gov. area Euro) Msci Emu Tr Net
LIMITI
ORIZZONTE
10-40% Azionario 0-20% Mercati emergenti (obbligazioni e azioni)
medio (3–5 anni)
Benchmark Monetario (Titoli Italia <2 anni) Totale monetario
Esposizione % consigliata
Precedente esposizione % consigliata
Variazione %
28%
19%
9%
28%
19%
9%
Titoli di Stato Italia Breve Scadenza (3-5 anni)
10%
16%
-6%
Titoli di Stato Italia Inflation Linked
5%
5%
0%
Titoli di Stato Euro Core
0%
0%
0%
Obbligazioni Societarie
5%
5%
0%
Obbligazioni High Yield
0%
5%
-5%
Obbl. Paesi Emergenti
8%
5%
3%
Obbligazioni Convertibili
8%
5%
3%
36%
41%
-5%
Obbligazionari Absolute Return
10%
10%
0%
Azioni Long/Short Market Neutral
5%
5%
0%
Volatilità
3%
3%
0%
18%
18%
0%
Azioni Germania
2%
4%
-2%
Azioni Euro
2%
4%
-2%
Azioni USA
7%
7%
0%
Azioni Giappone
2%
2%
0%
Azioni paesi emergenti (Asia)
5%
5%
0% -4%
Totale obbligazionario
Totale absolute return
30%
TEMPORALE
Impiegato nella fase finale della propria carriera (50-55 anni), con importanti spese in corso (esempio il mutuo); imprenditore o professionista per il quale l’attività lavorativa costituisce la parte principale del proprio patrimonio e di conseguenza rappresenta la maggiore fonte di rischio. Obiettivo primario è la conservazione del capitale, in quanto l’investitore ha sia una limitata tolleranza alla volatilità dei propri investimenti sia una limitata capacità di prendere rischi.
45%
0%
Totale azionario
25%
18%
22%
Totale portafoglio
100%
100%
100%
0%
Euro
100%
74%
77%
-3%
Usd
18%
18%
0%
Yen
0%
0%
0%
Em
8%
5%
3%
100%
100%
0%
Totale esposizione valutaria
100%
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
66
indicazioni operative scelte di investimento
ne internazionale. È presente anche un’esposizione ai paesi emergenti (Asia e America Latina) e una posizione (a tasso di cambio coperto) sul mercato giapponese, che sconta l’efficacia delle misure di stimolo annunciate dal nuovo governo. Completa l’allocazione una esposizione a fondi con strate-
Bilanciato aggressivo
Investitore tipo
BENCHMARK
OBIETTIVO
25%
Accrescimento del capitale in termini reali con volatilità elevata.
75%
Jp Morgan Emu (obbl. gov. area euro) Msci Emu Tr Net
LIMITI
ORIZZONTE
60-90% Azionario 0-30% Mercati emergenti (obbligazioni e azioni)
medio-lungo (5 anni)
Esposizione % consigliata
Precedente esposizione % consigliata
Variazione %
7%
2%
5%
7%
2%
5%
Titoli di Stato Italia Media Scadenza (5-10 anni)
5%
5%
0%
Titoli di Stato Italia Inflation Linked
5%
5%
0%
Titoli di Stato Euro Core
0%
0%
0%
Obbligazioni Societarie
3%
3%
0%
Obbligazioni High Yield
0%
2%
-2%
Obbl. Paesi Emergenti
5%
5%
0%
Obbligazioni Convertibili
7%
5%
2%
25%
25%
0%
Obbligazionari Absolute Return
3%
3%
0%
Volatilità
5%
5%
0%
8%
8%
0% 0%
Benchmark Monetario (Titoli Italia <2 anni) Totale monetario
gia long/short. L’allocazione obbligazionaria continua a mantenere un mix molto diversificato rispetto al benchmark, che è composto da soli titoli governativi area euro, ma è stata ridotta per diminuire il livello di rischio a favore del monetario. I titoli di stato area euro core sono presenti nel solo profilo flessibile e solo come protezione in caso di eventi sfavorevoli, dato che offrono rendimenti reali negativi. Sui titoli italiani la posizione viene ridotta per la volatilità del post-elezioni, ma viene mantenuta sui titoli a bre-
TEMPORALE
Impiegato nella fase iniziale della propria carriera (30 anni) che intende destinare il risparmio a fini di integrazione pensionistica; professionista single con posizione patrimoniale e finanziaria solida che intende destinare parte dei propri investimenti a una gestione più aggressiva. Obiettivo primario è la crescita in termini reali del proprio patrimonio. L’investitore ha un’elevata tolleranza alla volatilità dei propri investimenti e una buona capacità di prendere rischi, in quanto ha un orizzonte temporale medio-lungo.
Totale obbligazionario
Totale absolute return
0%
25%
0%
Azioni Long/Short
5%
5%
Azioni Germania
10%
10%
0%
Azioni Euro
5%
15%
-10%
Azioni Usa
25%
20%
5%
Azioni Giappone
5%
5%
0%
Azioni Paesi Emergenti (Asia, Latin America)
10%
10%
0%
Totale azionario
75%
60%
65%
-5%
Totale portafoglio
100%
100%
100%
0%
Euro
100%
60%
60%
0%
Chf
0%
0%
0%
Usd
30%
30%
0%
Yen
0%
0%
0%
Em
10%
10%
0%
100%
100%
0%
Totale esposizione valutaria
100%
ve, utilizzati come alternativa al monetario, e sui titoli legati all’inflazione. Rimangono le posizioni su obbligazioni societarie, ma vengono eliminate quelle su high yield, e sono incrementate quelle sui titoli dei paesi emergenti denominati in valute forti e in parte in moneta locale. Incrementate le posizioni in obbligazioni convertibili per beneficiare della volatilità ai minimi da molto tempo e per il profilo opzionale che offrono. Nella parte sulle strategie a rendimento assoluto rimane un’allocazione sulle scelte obbligazionarie absolute return. Nel 2013 ci si attende un mercato difficile con tassi e spread che potrebbero riprendere a salire. Completano la posizione strategie long/short market neutral (in aumento per il flessibile) e una posizione in strategie di volatilità, considerato che è ai minimi da alcuni anni. Per questa classe di attività resta sempre anche il valore di protezione contro eventi sfavorevoli. Per quanto riguarda la politica di portafoglio sulle valute, si mantiene una prevalenza di esposizione all’euro, con una diversificazione sulle monete dei paesi emergenti e una posizione più significativa sul dollaro Usa che può beneficiare di sorprese positive sulla crescita oltre oceano, oltre a essere utile come protezione da ulteriori problemi nell’area euro. L’esposizione al Giappone è invece interamente coperta in euro. I
Bilanciato flessibile
Investitore tipo
BENCHMARK
OBIETTIVO
6%
Realizzare un rendimento superiore a quello del mercato monetario nell’arco di un ciclo economico, cogliendo le opportunità di volta in volta presenti.
Var mensile massimo
LIMITI
ORIZZONTE
0-50% Azionario 0-100% Obbligazioni 0-30% Mercati emergenti (obbligazioni e azioni)
medio-breve (3 anni)
TEMPORALE
Qualunque investitore che desideri cogliere in maniera tattica le opportunità di volta in volta presenti sui mercati senza vincoli derivanti da una gestione a benchmark. La strategia può costituire una parte importante del portafoglio complessivo, ma non rappresenta una riserva per potenziali spese future (casa, macchina) o per imprevisti. Obiettivo primario è conseguire rendimenti superiori al mercato monetario con una volatilità dei rendimenti moderatamente superiore a gestioni di tipo obbligazionario
Esposizione % consigliata
Precedente esposizione % consigliata
Variazione %
Monetario (Titoli Italia <2 anni)
22%
11%
11%
Totale monetario
22%
11%
11%
Titoli di Stato Italia Media Scadenza (5-10 anni)
5%
10%
-5%
Titoli di Stato Italia Inflation Linked
10%
10%
0%
Titoli di Stato Euro Core
5%
5%
0%
Obbligazioni Societarie
5%
5%
0%
Obbligazioni High Yield
0%
5%
-5% 0%
Obbl. Paesi Emergenti
5%
5%
Obbligazioni Convertibili
10%
10%
0%
Totale obbligazionario
40%
50%
-10%
Obbligazionari Absolute Return
10%
10%
0%
Azioni Long/Short Market Neutral
8%
5%
3%
Volatilità
5%
5%
0%
Totale absolute return
23%
20%
3%
Azioni Germania
2%
2%
0%
Azioni Euro
0%
4%
-4%
Azioni Usa
6%
6%
0%
Azioni Giappone
3%
3%
0%
Azioni Paesi Emergenti (Asia, Latin America)
4%
4%
0%
Totale azionario
15%
19%
-4%
Totale portafoglio
100%
100%
0%
Euro
76%
76%
0%
Usd
20%
20%
0%
Yen
0%
0%
0%
Em
4%
4%
0%
100%
100%
0%
Totale esposizione valutaria
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
68
STRONG BUY In un momento di disorientamento, l'economia del Dragone e le società hitech che puntano sulla mobilità sono tra i pochi temi di grande forza. L'azienda di computer leader mondiale nei portatili raggruppa in sé queste due caratteristiche e sta mettendo a segno un'espansione impressionante sul mercato interno e su quelli esteri. La crescita sta avvenendo anche tramite acquisizioni. L'unico problema è che non si tratta più di un'occasione, ma c'è chi pensa che le quotazioni potranno salire ancora
Lenovo, per chi
L’azione consigliata da... C REDIT SUISSE
crede nella Cina e nell’ It iù volte abbiamo ripetuto come questo inizio di 2013 sia stato finora piuttosto indecifrabile per gli investitori. Cominciato in maniera trionfale come l'anno del decollo definitivo della propensione al rischio, fra dati economici non così incoraggianti come ci si aspettava e incertezze a livello istituzionale nell'Eurozona (ma anche a livello di finanze pubbliche negli Usa), il 2013 è
P
Cinque anni di Lenovo alla borsa di Hong-Kong
stato per il momento caratterizzato da un certo attendismo. In questi tempi difficili, comunque, su alcuni temi di fondo l'ottimismo sembra che non sia stato minimamente scalfito. Soprattutto due settori fondamentali appaiono ancora di grande interesse: la ripresa cinese e la rivoluzione It in corso. In questo contesto, se si è investitori che credono a entrambi, vale probabilmente la pena puntare su
un'azione come Lenovo. Questa società cinese è il maggiore gruppo di elettronica di consumo e contende a Hewlett-Packard la leadership nel mercato dei personal computer. Nell'ultimo trimestre su cui si hanno dati certi gli utili sono saliti del 33%, andando a inserirsi in un trend di ripresa dei profitti, che sta facendo seguito a una profonda espansione e riorganizzazione dell'azienda, senza comunque tralasciare il core business dei personal computer, in cui il grado di competitività di Lenovo appare altissimo in un comparto destinato a consolidarsi ulteriormente nel tempo. Lenovo è infatti entrata alla grande a partire dal 2010 nel campo della mobilità: in Cina i suoi tablet e i suoi smartphone hanno conquistato posizioni di leadership a ritmi prodigiosi. Attualmente l'azienda sta espandendo i propri mercati di riferimento a piazze ad alta crescita quali il Sud-Est asiatico e il Medio Oriente. Lenovo appare dunque come un simbolo de-
gli sforzi titanici, e finora di notevole successo, compiuti dal comparto elettronico cinese, nonché dall'economia nel suo complesso, nel passaggio da assemblatore di prodotti di marchio internazionale a produttore con propri brand. La vera novità è che si tratta di una società in grado da una parte di dominare il ricchissimo mercato interno (la Cina ormai è leader mondiale in termini di fatturato di dispositivi mobili ed è vicinissima a scalzare gli Usa nell'e-commerce) e di competere ad armi pari con i colossi del settore in giro per il mondo. Lenovo si sta attualmente riorganizzando in due divisioni: una consumer e una di prodotti di alta gamma destinati al mondo corporate; il management spera, in quest'ultima area, di affermarsi anche nei servizi e nelle soluzioni software nel campo del cloud computing. Inoltre il gruppo non pensa solamente all'espansione per
via interna, ma anche per via esterna: diverse sono state le acquisizioni negli ultimi anni e proprio quest'ultimo tema potrebbe diventare un nuovo pilastro per l'azienda nei prossimi anni. Su questi scenari appare interessante un rapporto di Credit Suisse: «Prevediamo una ripresa delle spese globali per It (+3,4%), con incrementi sproporzionati delle spese legate a temi tecnologici, quali mobile internet, cloud computing, big data, virtualizzazione e social media. Le società che beneficiano di questi temi dalla crescita secolare dovrebbero continuare a realizzare sovraperformance nel lungo termine».
FIDUCIA
ELEVATA
A fianco a queste considerazioni, sempre gli analisti di Credit Suisse ricordano anche che nel complesso dell'It il grado di fiducia sembra rimanere elevato: «Tuttavia, nell’attuale
scenario di propensione al rischio, i tecnologici ciclici, come i semiconduttori e alcuni tecnologici di media qualità, potrebbero crescere più del resto del settore It nel medio termine, con un aumento dei margini reso possibile dal miglioramento della congiuntura economica e per le spese rinviate durante la fase di recessione. Nel segmento hardware, prevediamo una forte crescita del mercato della telefonia mobile a fronte di un declino del mercato dei personal computer, con tassi di crescita del mercato degli smartphone di poco superiori al 10%. Sommati alla crescente pressione della concorrenza (nel T4 2012 sono stati lanciati numerosi smartphone simil-iPhone), anche in questo segmento potrebbero diminuire i margini. I settori software e internet dovrebbero registrare un andamento positivo nel 2013, in virtù dei trend di crescita strutturale».
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
Interessante appare che dalla casa svizzera venga dato un rating di buy su Lenovo: «Preferiamo titoli con una solida posizione di mercato in segmenti caratterizzati da una crescita secolare, come mobile internet, cloud computing, big data, virtualizzazione e social media». Infine va comunque ricordato che di tutti questi punti di forza gli investitori si sono già accorti: basta dare un'occhiata al grafico di Lenovo sulla piazza di Hong-Kong per vedere che il gruppo cinese è stato uno dei migliori performer sulle borse emergenti. Con un P/E di oltre 20, le valutazioni non sono certo a buonissimo mercato, anche se questo valore, a fronte di sorprese upside negli utili, potrebbe abbassarsi rapidamente. Se in pratica si ha voglia di una scommessa ciclica, con ampie caratteristiche growth, probabilmente quest'azione è uno dei cavalli migliori. I
70
STRONG BUY Secondo un report della banca inglese, oggi i Buoni ordinari del tesoro e la parte più a breve della curva dei titoli di stato italiani possono fornire interessanti ritorni, che potrebbero anche superare il 5%, se l'instabilità parlamentare crescesse ancora. Più pericolose sarebbero invece le scadenze più lunghe. «Pensiamo che una strategia di cautela probabilmente prevarrà in questo contesto, con operatori e risparmiatori che tenteranno di anticipare i prossimi sviluppi politici»
L’obbligazione consigliata da...
Bot, poco rischio
BARCLAYS CAPITAL
e buoni rendimenti
dopo le elezioni on è certo un mistero che le ultime elezioni italiane abbiano costituito uno shock come se ne vedono solo una volta ogni generazione. Era infatti dai tempi della discesa in campo di Silvio Berlusconi, che un partito in Italia non faceva quello che il Movimento 5 stelle è riuscito a ottenere: entrare per la prima volta in Parlamento con più del 20% dei voti. Se ciò rappresenta uno sviluppo positivo o negativo sta alle preferenze di ognuno, ma è certo che la volatilità sul debito pubblico della periferia europea è
N
aumentata parecchio, con un non irrilevante calo dei corsi. Proprio il giorno dopo le elezioni vi è infatti stata un'asta di Bot, che ha visto un aumento notevole dei rendimenti pagati dallo stato italiano. È difficile, in una simile incertezza, riuscire a capire se in effetti stiamo andando incontro una nuova fase di turbolenza nell'Eurozona. La situazione appare ben sintetizzata dal team di analisti di Barclays Capital: «È probabile che nel breve periodo l'instabilità politica prevalga e che lo sviluppo di riforme strutturali, di cui c'è un gran bisogno, venga rallentato. Questo a meno che non si riesca a rimettere in sesto una grande coalizione delle forze politiche: infatti, se indubbiamente alcuni successi sono stati colti dall'uscente governo tecnico nel riguadagnare credibilità sui mercati finanziari e fra i partner dell'Unione, l'Italia non si può comunque permettere di rimanere intrappolata troppo a lungo in
un'impasse politica, a rischio di vedere aumentare le probabilità di ricorrere a una linea di credito».
GHIOTTE
OCCASIONI
Al di là delle considerazioni politiche non è un mistero che se l'Italia non ha poi i fondamentali peggiori del mondo, certo non si può permettere di scherzare troppo a lungo con il suo rapporto di debito/Pil. E qualora ci fosse un deterioramento congiunturale del grado di fiducia, probabilmente si presenterebbero diverse ghiotte occasioni d'acquisto nei Bot e nella parte a breve in generale della curva dei titoli di stato nazionali. Infatti, in caso di avversione al rischio, è comunque probabile che a soffrire maggiormente siano le scadenze più lontane nel tempo. Sempre per Barclays Capital, infatti, «è possibile che nelle prossime settimane l'instabilità politica possa spingere i rendimenti del decennale fino al 5-5,2%. In quest'area ci aspettia-
mo una stabilizzazione dei rendimenti: molti investitori hanno già aperto posizioni corte sul debito italiano. Pensiamo che una strategia di cautela probabilmente prevarrà in questo contesto, con operatori e risparmiatori che tenteranno di anticipare i prossimi sviluppi politici».
MERCATI
UN PO’ BALLERINI
Dunque è possibile che vi sia un moderato deterioramento sul mercato dei titoli di stato nazionali, senza che la situazione sfugga di mano. Infatti sempre dalla stessa fonte viene affermato: «L'evoluzione del sentiment di mercato nei confronti dell'Italia, e conseguentemente nei confronti dell'Eurozona, dipenderà in maniera cruciale da come i politici italiani riusciranno a gestire la crisi politica e le aspettative dei mercati nei confronti del paese. In particolare sarà fondamentale per la credibilità dell'Italia portare avanti le politiche di consolidamento fiscale e di cambiamento
strutturale. Ad ogni modo, però, il nostro scenario centrale non prevede un deterioramento tale da portare la nazione a chiedere un intervento cautelativo, che apra poi la strada al sostegno dell'Omt. Per arrivare a tal punto sarebbe necessario un'enorme svendita del debito italiano, con rendimenti del decennale nell'area tra il 6% e il 6,5%, lo stesso livello registrato nel novembre del 2011 e nel luglio del 2012. A ciò si dovrebbe accompagnare una forte difficoltà da parte del Tesoro ad accedere a capitali sul mercato. Visto che vi è già stata una forte liquidazione del debito italiano da parte degli investitori, uno scenario come quello appena descritto è a nostro avviso alquanto improbabile». Dunque il massimo che dovrebbe succedere in queste settimane è di vedere mercati un po' ballerini; proprio per questo a Barclays consigliano:«È probabile che alcune incertezze rimangano nelle prossime setti-
mane. Pertanto preferiamo le scadenze più brevi della curva italiana, fino a tre anni, dal momento che, rispetto al mercato dei Btp, dovrebbero soffrire i minori incrementi della volatilità». Insomma nei momenti di calo può valere la pena tentare di incassare qualche basis point in più sul debito italiano, sperando che il ritorno del caos europeo non sia all'orizzonte».
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
In quel caso vale comunque il vecchio assunto degli investimenti fatti con logica deep value nei momenti di forte difficoltà: se la crisi dovesse incancrenirsi ulteriormente e raggiungere la soglia della necessità di un bailout di un'economia come l'Italia, gli investimenti in Bot sarebbero probabilmente l'ultimo dei problemi di cui occuparsi. I
72
IL GESTORE DEL MESE Paul McNamara, secondo Citywire, la società inglese che monitora le performance dei singoli gestori, si posiziona nella Top 5 della classifica dei primi 1000 money manager europei. Ha fatto costantemente meglio dei suoi colleghi, sia sui tre anni, sia sul quinquennio, nel settore delle obbligazioni paesi emergenti in valuta locale, affrontando fasi molto diverse di mercato, spesso caratterizzate da momenti di panico e da grande volatilità
a cura di
Il mago degli emerging bond
C ITYWIRE
aul McNamara è l'attuale investment director del team dedicato ai paesi emergenti di Gam. Inoltre gestisce, come lead manager, il fondo Julius Baer Local Emerging Fund di Swiss & Global Asset Management. McNamara è un manager cui è stato attribuito il rating AAA ed è nella Top 5 del ranking Citywire 1000. Si tratta dunque di un money manager di altissimo livello, un risultato tanto più ragguardevole se si pensa
P
Paul McNamara
all'asset class in cui opera, quella del reddito fisso dei paesi emergenti, espresso in valuta locale. Si tratta infatti di un comparto estremamente competitivo, che negli ultimi anni ha visto un forte afflusso di capitali e la creazione di diversi nuovi prodotti. Se si va a guardare al rendimento totale cumulato sui tre anni fino al 31 gennaio 2013, si vede già come McNamara sia riuscito a fare meglio dei suoi colleghi, scarto che diventa
Performance a un mese dei gestori obbligazionari paesi emergenti in valuta locale rilevata da Citywire Gestore Maurice Meijers Luca Sibani Laurent Develay Raphael Marechal Sergio Trigo Paz Thomas Delabre Tamara Trinh Raoul Luttik Pierre-Yves Bareau Guilherme Maciel de Barros Michal Wozniak Anders Faergemann Rajeev Mittal Paul McNamara Neil Phillips Gregorio Saichin Claudia Calich Eric Lindenbaum Laura Burakreis Marco Freire Michael Hasenstab Average Manager
Classifica 1/49 2/49 3/49 3/49 3/49 6/49 7/49 8/49 9/49 10/49 10/49 12/49 12/49 14/49 15/49 16/49 17/49 17/49 19/49 19/49 19/49
Performance (% in euro) 0.34 0.16 -0.80 -0.80 -0.80 -1.23 -1.52 -1.56 -1.68 -1.69 -1.69 -1.70 -1.70 -1.74 -1.75 -1.76 -1.77 -1.77 -1.79 -1.79 -1.79 -1.88
Fondi gestiti Robeco Emerging Debt D EUR shares Epsilon Fund Emerging Bond Total Return I BGF Loc Emerging Mkts Short Dur Bond A2 USD BGF Loc Emerging Mkts Short Dur Bond A2 USD BGF Loc Emerging Mkts Short Dur Bond A2 USD Amundi Fds Bond Global Emerging - SU (C) Vontobel Fund Emerging Markets Bond B (USD) ING (L) Renta Fd EM Debt (LB) I Hgd C EUR, ING (L) Renta Fd EM Debt (LC) X Cap USD JPM Em Mkts Local Currency Debt A Acc EUR LO Funds - Em Local Curr Bond Fundam (USD) I A LO Funds - Em Local Curr Bond Fundam (USD) I A Pinebridge Global Funds - Gl Em Mkts Loc Curr Bd Y Pinebridge Global Funds - Gl Em Mkts Loc Curr Bd Y Julius Baer BF Local Emerging-USD B BlueBay Em Mkt Local Currency Bond B USD Pioneer Funds EM Bond Local Currency E ND EUR Invesco Emerging Local Currencies Debt A Invesco Emerging Local Currencies Debt A Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD
ancora più evidente se prendiamo in considerazione i cinque anni terminati a fine gennaio 2013. In particolare quest'ultimo periodo appare interessante: il quinquennio appena passato è infatti stato caratterizzato dal rischio di crollo del sistema finanziario globale, tre quantitative easing, prolungate e a tratti violentissime convulsioni nell'Eurozona, nonché un graduale ritorno del rischio, accompagnato però da momenti di volatilità feroce. In particolare i mercati emergenti in questo arco di tempo sono stati prima a rischio di bolla speculativa; poi, passata la grande paura finanziaria, si sono stabilizzati, per passare nel caso dell'azionario un ultimo biennio non facile. Meno chiaro è stato anche l'andamento di molte valute emergenti, le cui banche centrali hanno dovuto gestire crisi inflative, repentini cali della crescita, spesso preoccupanti deficit delle partite correnti, accompagnati però da un eccesso di capitali esteri a disposizione. In questo scenario essere riusciti a operare le giuste scelte in termini di carry, duration e posizionamento valutario appare senz'altro degno del massimo rispetto da parte degli investitori. I
Performance a due mesi dei gestori obbligazionari paesi emergenti in valuta locale rilevata da Citywire Gestore
Performance (% in euro) 9.813 9.813 9.813 9.149 8.430 7.002 7.002 6.805 6.805 6.664 6.653 6.497 5.997 5.650 5.650 5.341 5.332 5.151 4.977 4.960 4.960 4.803
Classifica
Laura Burakreis Marco Freire Michael Hasenstab Maurice Meijers Uwe Schillhorn Anders Faergemann Rajeev Mittal David Dowsett Nick Shearn Andrew Keirle Paul McNamara Thomas Delabre Peter Eerdmans Claudia Calich Eric Lindenbaum Alia Yousuf Neil Phillips Tamara Trinh Michael Gomez Ward Brown Matt Ryan Average Manager
1/43 1/43 1/43 4/43 5/43 6/43 6/43 8/43 8/43 10/43 11/43 12/43 13/43 14/43 14/43 16/43 17/43 18/43 19/43 20/43 20/43
Fondi gestiti Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD Robeco Emerging Debt D EUR shares UBS (Lux) Bond SICAV - Emerg Econ Lcl Ccy Bd USDPa, UBS (Lux) Emerging Ec Global Bonds (USD) P-acc Pinebridge Global Funds - Gl Em Mkts Loc Curr Bd Y Pinebridge Global Funds - Gl Em Mkts Loc Curr Bd Y BlueBay Em Mkt Local Currency Bond B USD, BlueBay Emerging Market Select Bond B USD BlueBay Em Mkt Local Currency Bond B USD, BlueBay Emerging Market Select Bond B USD T Rowe Emerging Local Markets Bond I USD Julius Baer BF Local Emerging-USD B Amundi Fds Bond Global Emerging - SU (C) Investec GSF EM Blended Debt A Acc Grs USD, Investec GSF Emerging Mkts LC Debt A Acc Gross USD Invesco Emerging Local Currencies Debt A Invesco Emerging Local Currencies Debt A ACPI Emerging Markets Fixed Income UCITS A USD BlueBay Em Mkt Local Currency Bond B USD Vontobel Fund Emerging Markets Bond B (USD) PIMCO GIS Emerging Local Bond Inst USD Acc MFS Meridian Funds Em Mkts Dbt Local Curr A1 USD MFS Meridian Funds Em Mkts Dbt Local Curr A1 USD
Performance a tre mesi dei gestori obbligazionari paesi emergenti in valuta locale rilevata da Citywire Gestore
Performance (% in euro) 3.902 1.891 1.891 0.747 0.503 0.267 0.205 0.047 0.047 0.043 -0.079 -0.079 -0.104 -0.104 -0.104 -0.146 -0.204 -0.538 -0.545 -0.583 -0.592
Classifica
Maurice Meijers Anders Faergemann Rajeev Mittal Luca Sibani Thomas Delabre Andrew Keirle Pierre-Yves Bareau Ward Brown Matt Ryan Neil Phillips Claudia Calich Eric Lindenbaum Laura Burakreis Marco Freire Michael Hasenstab Paul McNamara Raoul Luttik Alexander Kozhemiakin Henry Stipp Kieran Curtis Average Manager
1/48 2/48 2/48 4/48 5/48 6/48 7/48 8/48 8/48 10/48 11/48 11/48 13/48 13/48 13/48 16/48 17/48 18/48 19/48 20/48
Fondi gestiti Robeco Emerging Debt D EUR shares Pinebridge Global Funds - Gl Em Mkts Loc Curr Bd Y Pinebridge Global Funds - Gl Em Mkts Loc Curr Bd Y Epsilon Fund Emerging Bond Total Return I Amundi Fds Bond Global Emerging - SU (C) T Rowe Emerging Local Markets Bond I USD JPM Em Mkts Local Currency Debt A Acc EUR MFS Meridian Funds Em Mkts Dbt Local Curr A1 USD MFS Meridian Funds Em Mkts Dbt Local Curr A1 USD BlueBay Em Mkt Local Currency Bond B USD Invesco Emerging Local Currencies Debt A Invesco Emerging Local Currencies Debt A Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD Templeton Emerging Markets Bond A (Qdis) USD Julius Baer BF Local Emerging-USD B ING (L) Renta Fd EM Debt (LB) I Hgd C EUR, ING (L) Renta Fd EM Debt (LC) X Cap USD BNY Mellon Em Mkts Debt Local Curr C USD Threadneedle Emerging Market Loc Ret Net Inc 1 USD Aviva Investors Emerging Markets Loc Cur Bd A EUR
Tre anni di Paul McNamara vs bond Em global
Cinque anni di Paul McNamara vs bond Em global
40
70 Paul McNamara
35
31,57
Average manager
60
Paul McNamara
55,06
Average manager 50
30 28,67 25
47,02
40 30
20 20 15 10 10
0
5
-10 Fonte e copyright: Citywire (2013)
0 gen 10
gen 11
gen 12
gen 13
Fonte e copyright: Citywire (2013) -20 gen 08
gen 09
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
gen 10
gen 11
gen 12
gen 13
74 CAMBI
Dopo essere stata per anni la moneta rifugio, la sterlina per i deboli dati economici del Regno Unito ha iniziato un movimento al ribasso sul dollaro e sull'euro. In più il declassamento di Moody's da AAA ad AA1 ha reso ulteriormente difficile la posizione di tutta la finanza britannica. Ed è probabile che la discesa sia destinata a durare anche nei prossimi mesi, con la possibilità di arrivare fino all'area 1,45 sulla moneta americana
a cura di
Piove su Londra
VALENTINO C HIAPPI, COMMISSIONE FX DI A SSIOM F OREX
a passione è importante, è l’essenza di tutto: di ogni azione che compiamo, di ogni decisione che prendiamo e di ogni strada che percorriamo. Ci vuole passione in tutto ciò che facciamo per rendere la performance unica, singolare e irripetibile nel bene e nel male, per renderla nostra e credo anche per essere felici ogni giorno. Ricordo i primi giorni in sala trading in cui, cercando di imparare a lavorare sul mercato, osservavo i miei nuovi colleghi e futuri amici cosi catturati da eventi a me un po’ incomprensibili. Quattro schermi schierati davanti e il mercato dei cambi sotto gli occhi. Mi chiedevo come una persona potesse appassionarsi al Forex, dove l’indifferenza del mercato alle diverse notizie si alterna in modo frenetico all’improvviso interesse spesso senza un’apparente ragione. Adesso, dopo quasi tre anni, ammetto di essermi appassionato a tutti questi pip che si muovono alla rinfusa sulle piattaforme di trading come il punteggio di un flipper impazzito. Prevedere come il mercato possa interpretare una notizia valutata importante, prendere una posizione e seguirla. Alzarsi ogni mattina e controllare il
L
proprio Blackberry per vedere se hai avuto ragione, se hai sbagliato o se magari devi ancora stare col fiato sospeso in attesa di qualche dato economico rilevante. Sì, mi sono appassionato e ogni volta che prendo una posizione la passione si alimenta e mi stimola ad analizzare, interpretare e predire il prossimo movimento.
SOPRA
LE PARTI
A proposito di movimento credo valga la pena spendere due parole su ciò che sta accadendo alla sterlina e più in particolare al Cable (Gbp/Usd). Nonostante la presenza nell’Unione Europea, la mancata adesione alla moneta comunitaria ha posto il Regno Unito sopra le parti a livello monetario, al riparo dai dubbi di tenuta dell’euro, ma non certo dalle critiche per la posizione economica vantaggiosa nei confronti dell’Europa. Ciò ha fatto sì che la sterlina nel biennio 2011-12 sia stata una delle monete rifugio nel quadro critico e incerto europeo, facendola rimanere ben supportata sia contro dollaro sia contro euro. In particolare nel periodo sopra descritto il Cable ha oscillato nel range 1,54-1,66, mentre l’euro/Gbp tra 0,78-0,82.
Questa forza relativa non ha comunque adombrato, o forse lo ha fatto solo parzialmente, alcuni temi di politica monetaria, economica e sociale con i quali il Regno Unito necessariamente dovrà misurarsi: l’obiettivo al 2% per l’inflazione e le fiscal rule per citarne solo due. Una forse eccessiva enfasi da parte dell’Mpc (Monetary policy committee) sul mancato inflation target ha fatto perdere di vista la stabilità economica e ora ogni tentativo di cambiare rotta può generare dubbi di credibilità; le fiscal rule applicate in un orizzonte temporale di cinque anni sono state basate solo su un taglio generico alla spesa, piuttosto che su un vero piano dettagliato quinquennale che consideri maggiormente la diminuzione del rapporto Debt/Gdp. Nei primi mesi del 2013 in aggiunta a queste preoccupazioni i deboli dati economici hanno posto ulteriori dubbi sulla forza della sterlina. Le variazioni percentuali mensili delle retail sale per i mesi di dicembre e gennaio si sono attestate rispettivamente al livello di -0,1% e -0,6%, rispetto a +0,2% e +0,6% attesi; il volume delle vendite al dettaglio è rimasto sostanzialmente invariato dal gennaio 2009; il Gdp del quarto trimestre
2012 è diminuito dello 0,3% soprattutto a causa della produzione industriale contratta dell’1,8% trimestre su trimestre.
LENTA
DISCESA
È chiaro che questi numeri identificano un’economia Uk non propriamente in fase di ripresa, tanto che verso la fine di febbraio l’Mpc prepara il terreno per ulteriori azioni di Qe (Quantitative easing) per un ammontare aggiuntivo di 25 miliardi di sterline come stimolo all’economia. A coronamento della difficile situazione sinora descritta, il 22 febbraio il Regno Unito ha subito il declassamento da parte di Moody’s di un notch da AAA ad AA1 con outlook stabile. Le motivazioni si basano sulla debolezza delle situazione economica, sulla crescita anemica o assente e sull’eccessiva quota di debito pubblico. Da un punto di vista tecnico quanto sinora evidenziato ha portato a un progressivo indebolimento della sterlina sia
contro dollaro sia contro euro. In particolare il Cable, che ha aperto il 2013 in area 1,62 sui rumor dei possibili dati economici negativi, ha iniziato una lenta discesa verso area 1,56, accelerando a fronte delle minute dell’Mpc e del successivo dowgrade di Moody’s e portandosi a ridosso di 1,52. Graficamente il movimento sembra avere come obbiettivo l’area 1,45
con livelli di supporti tecnici intermedi posti a 1,4875/1,5075 e resistenze in area 1,5330/1,5410. Nonostante la perdita di valore si attesti ora contro dollaro intorno al 6,5% (abbastanza significativa in termini di tempo/estensione del movimento), credo che ci possa essere ulteriore spazio al ribasso: al di là dell’obiettivo sopra menzionato, l’Mpc ha solo paventato ulteriori manovre espansi-
Due anni di euro contro sterlina
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
ve senza specificarne i modi e i tempi che, qualora risultassero particolarmente aggressivi, potrebbero dare ulteriore spinta al movimento. A mio avviso lo strumento da utilizzare in questo momento è la posizione spot: il sentiment di mercato sembra ben definito e sebbene più rischioso di un'opzione non vedo motivo di investire denaro nell’acquisto di un prodotto derivato che sostanzialmente utilizziamo per assicurarci da un evento incerto. Le raccomandazioni non mancano mai: ogni posizione di rischio deve necessariamente essere tarata sulla capacità di tenuta in situazioni avverse. Il Cable riserva frequentemente sorprese (per lo meno è quello che continuano a dirmi i miei colleghi/amici) e spesso improvvisamente comincia a muoversi in controtendenza rispetto al sentiment di mercato. Sono quindi d’obbligo rigorosi stop loss o stop profit per coloro che hanno avuto la fortuna di leggere il movimento sin dall’inizio e che per il momento posizioneremo in area 1,5300. La passione di cui si parlava deve lasciarti sufficientemente lucido per meglio adattarti ai frequenti mutamenti di mercato, ma nello stesso tempo fornirti la voglia di andare avanti sempre pronto ad accettare le sconfitte senza mai rassegnarsi. Mai. I
76Il vero DOSSIER COMMODITY
L’argento
oro
Nell'attuale situazione di crisi il silver appare molto più interessante del metallo giallo. Ha ampi usi industriali e, come tutti i preziosi, è un bene rifugio. «Questa materia prima tradizionalmente ha offerto migliori rendimenti nelle fasi di ripresa e di ritorno di appetito per il rischio come sta avvenendo oggi». Il vero problema è però la forte volatilità da uno studio di Etf Securities partire dalla seconda metà del 2011, molti paradigmi che si erano dimostrati validi nel mondo post-crisi finanziaria globale hanno cominciato a cambiare. Nel periodo che va dall’ultimo semestre del 2009 alla prima parte del 2011 sostanzialmente vi era stata una crescita impetuosa delle quotazioni di tutti gli asset rischiosi, aiutati dalla sensazione di scampata catastrofe e dalle montagne di liquidità fornite dalle banche centrali. Questo ambiente si poteva essenzialmente sintetizzare nel motto: «Lungo tutto, corto dollaro». Infatti la divisa statunitense, oltre a essere saldamente la principale fonte di finanziamento di redivive operazioni di carry trade, veniva comunque vista in una traiettoria di declino di
A
lungo termine, peraltro considerato benignamente da parte della Federal Reserve. Una parziale interruzione del party del rischio vi era stata allo scoppio della crisi greca nella primavera del 2010, con un'economia globale di nuovo sulle soglie della recessione. Il fatto che la crisi debitoria dell'Eurozona in quel periodo avesse colpito economie ancora gestibili come la Grecia prima e l'Irlanda poi aveva reso relativamente facile a Bernanke rattoppare la situazione con il lancio del quantitative easing 2. Il mondo è però drasticamente cambiato a partire dal 2011 con il pesante coinvolgimento di Italia e Spagna nel ciclone. Da allora, infatti, quell'equilibrio fatto di asset class altamente correlate tra loro in positivo, e di converso correlate negativamente contro dollaro, è andato progressivamente sfaldandosi.
In questo nuovo mondo post-crisi esistenziale dell'Eurozona, è mutato in maniera rilevante anche il ruolo dei metalli preziosi. Se ci concentriamo sull'oro, vediamo che la decade che è terminata nell'estate del 2011 è stata per questa risorsa, a costo di sembrare retorici, un periodo magico. Non solo infatti questo prezioso ha goduto della crescita secolare delle materie prime in genere, ma si è conquistato un ruolo importantissimo e un interesse mai visto da parte degli investitori, nel paradigma recente di un mercato dominato dall'azione delle banche centrali. Infatti l'incremento della base monetaria a livello mondiale ha alimentato i timori di un ritorno incontrollabile dell'inflazione. Man mano che gli asset rischiosi crescevano, aumentava di conseguenza l'afflusso di capitali verso l'oro, considerato come strumento di hedging nei confronti di politiche po-
tenzialmente disastrose sul medio-lungo periodo per l'equilibrio finanziario del pianeta. In pochi anni si è tornati a parlare di un possibile ritorno a una qualche forma di gold standard, eventualità che prima del crash del 2008 sarebbe stata considerata nei circoli finanziari presentabili come risibile.
FINE
DEL PERIODO D’ORO
Anche il periodo d'oro dell'oro, ci venga consentito il brutto gioco di parole, è giun-
to però alla sua conclusione. Dai massimi dell'agosto del 2011, infatti, pur mettendo a segno una correzione tutto sommato modesta, l'interesse febbricitante nei confronti di questo strumento è scemato. È vero che il prezioso ha continuato a mantenere una correlazione più tenue con le altre asset class rischiose, ma è altresì indubbio che i più recenti round di quantitative easing non sembrano avere ridestato negli investitori la stessa bramosia. A ridefinire completamente le
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
prospettive sono stati due elementi. Innanzitutto un salto di qualità dell'interesse nei confronti dell'azionario, che sembra in qualche maniera avere vinto la diffidenza che ha comunque suscitato negli ultimi anni. A questo fattore si somma soprattutto una percezione nuova delle aspettative di inflazione. Oggi infatti sembrano sparite dal tavolo sia le previsioni di un immediato collasso dell'Eurozona, sia quelle che prevedevano o una forte ripresa economica o un aumento incontrollabile dei prezzi. Attualmente il consensus generale vede una moderata uscita dalla crisi in Cina e in Usa e un'Europa comunque in grado di tirare a campare. Con sviluppi simili, in effetti, non c’è molta altra scelta, se non investire su strumenti come l'azionario o il debito high yield, per ottenere qualcosa che assomigli a rendimenti reali positivi, mentre dall'altra parte shock esogeni sull'andamento del costo della vita non appaiono all'orizzonte. È dunque venuta meno la ragion d'essere dei metalli preziosi? Non necessariamente, anche se forse oggi le migliori opportunità non sono sull'oro. Questo preambolo è infatti servito per potere finalmente concentrarci sull'argento, il cui andamento nel corso di tutto il 2012 e nelle prime settimane del 2013 ha sopravanzato quello dell'oro. Questa risorsa ha comunque seguito una parabola certamente non lineare: dopo avere raggiunto praticamente i massimi storici nell'aprile del 2011, nonché il top in relazione al prezzo dell'oro, a un pelo dalla soglia dei 50 dollari per oncia, le quotazioni si sono rapidamente dimezzate. Da lì è cominciata una lenta ripresa che ha portato il silver intorno alla
78
L’argento
DOSSIER COMMODITY
soglia dei 30 dollari. A favorire il precedente boom and bust del 2011 era stato probabilmente un accenno di bolla, causato anche da una forte crescita di interesse da parte degli investitori retail, in un mercato non eccessivamente liquido. A questo elemento va aggiunto il fatto che probabilmente l'argento in quel periodo è stato caratterizzato da un rilevante fenomeno di short-squeeze delle posizioni di potenti istituzionali, entrati precedentemente al ribasso. Se anche l'argento ha raggiunto un suo new normal fatto di mi-
nore volatilità e di inferiore potenziale di apprezzamento, per quale ragione si può pensare che la sua performance positiva, e relativamente migliore rispetto a quella dell'oro, continui? Per rispondere al quesito, bisogna tornare al quadro macroeconomico attuale, caratterizzato, a seconda dei punti di vista, o da un moderato pessimismo o da un altrettanto moderato ottimismo. In quest'ultimo campo troviamo ad esempio Nicholas Brooks, head of research and investment strategy di Etf Securities, società leader a livello mondiale nell'emissione di Etc: «Segnali
Andamento comparato di oro e argento Ritorni in Usd, 31 dicembre 2011 - 22 ottobre 2012 135 Argento Oro
130 125 120 115 110 105
più numerosi di un miglioramento della crescita globale e il continuo forte sostegno da parte delle banche centrali con politiche monetarie accomodanti ci portano a pensare che la prima parte dell'anno possa essere positiva per gli asset rischiosi e i ciclici. In un simile ambiente, le commodity potrebbero ben comportarsi, con il maggiore potenziale fra risorse più sensibili al livello di crescita come i metalli di base e i preziosi. All'interno dell'azionario, le aziende minerarie e i materiali di base potrebbero mettere a segno una sovraperformance. Pensiamo anche che le valute di paesi produttori di materie prime, quali il dollaro australiano, neozelandese e canadese, possano crescere. Se si esclude l'eventualità di una nuova crisi rilevante a livello di debito sovrano, anche l'euro può rafforzarsi. Di conseguenza valute usate per finanziare posizioni come lo yen e il dollaro Usa potrebbero finire sotto pressione».
100 95
Indice al 31 dicembre 2011 = 100
90 gen 12 gen 12
feb 12
CARATTERISTICHE
mar 12 apr 12 mag 12 giu 12
lug 12
ago 12
set 12
ott 12
Fonte: Bloomberg, Etf Securities
Correlazione tra oro e argento Indice 1
Correlazione a 3 mesi
0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 Dati giornalieri da ottobre 2001 a ottobre 2012 0.3 ott 01
ott 02
ott 03
ott 04
ott 05
Fonte: Bloomberg, Etf Securities
ott 06
ott 07
ott 08
ott 09
ott 10
ott 11
ott 12
IBRIDE
Se questi punti risulteranno veri, l'argento appare anche per i prossimi mesi come una scelta forse migliore dell'oro. Innanzitutto, come detto, il processo di ritorno all'espansione sta avvenendo con previsioni di inflazione nel breve periodo molto meno funeste, il che rende non così necessario il ruolo di hedging fornito dall'oro. Dall'altra parte l'argento offre caratteristiche ibride sia di strumento di protezione dalla svalutazione monetaria reale sia di metallo esposto al ciclo industriale. Infatti il comparto manifatturiero genera una percentuale
non certo modesta della domanda di silver. Questa natura duale viene evidenziata da Martin Arnold, senior analyst di Etf Securities: «Se dal punto di vista storico l'oro ha mostrato caratteristiche difensive durante i periodi di squilibri economici e finanziari, l'argento tradizionalmente ha offerto migliori rendimenti nelle fasi di ripresa e di ritorno di appetito per il rischio. Infatti la maggior parte della domanda proviene dal settore manifatturiero; storicamente, però, questo metallo è stato usato anche come mezzo di scambio e come bene rifugio in maniera simile all'oro. La combinazione di sensibilità al ciclo produttivo e le sue caratteristiche di riserva di valore hanno spinto l'argento alle buone performance del 2012». La distribuzione delle fonti di domanda d'argento viene ben descritta dallo stesso Martin Arnold: «Gli usi industriali garantiscono circa il 55% della do-
tà l'argento tende a scambiare in maniera più simile ai metalli industriali, grazie alla grande quantità di impieghi nel manifatturiero. Di conseguenza tradizionalmente questo mercato attrae investitori nel campo dei preziosi che desiderano avere una leva maggiore rispetto a una posizione in oro. La volatilità a dieci anni del silver su base annualizzata è attualmente intorno al 38%, mentre quella dell'oro si posiziona sul 20% e quella del rame al 35%. Storicamente forti incrementi di volatilità dell'argento sono coincisi con fasi di acuti ribas-
manda. La principale fonte di applicazioni industriali è rappresentata dal comparto elettronico: quest'ultimo, secondo Thomson Reuters Gfms, da solo rappresenta circa il 50% del totale degli usi manifatturieri. Un altro 12% deriva dai processi di saldatura e brasatura. La domanda industriale viene con lieve prevalenza dai paesi sviluppati, mentre gli emergenti dominano invece nella gioielleria, con una quota di circa il 70% dell'argento usato per fabbricare gioielli e argenteria. A sua volta questo pilastro fornisce circa il 20% della domanda complessiva».
POSIZIONE
BARBELL
Dunque scommette su questa risorsa sostanzialmente costruisce una posizione barbell che può ben comportarsi sia in caso di ripresa ciclica sia in caso di instabilità finanziaria di mediolungo termine, in cui l'inflazione potrebbe ragionevolmente tor-
nare a essere un problema. Interessante appare la tesi portata avanti su questo punto da Nicholas Brooks: «Se andiamo ad analizzare la performance mensile delle materie prime nel decennio che va dal novembre 2002 alla fine del 2012, nelle fasi in cui la crescita accelera vediamo che l'argento si colloca al quarto posto dietro solamente a palladio, rame e zinco». Chi voglia aggiungere un po' di beta al proprio portafoglio tramite una posizione in argento, tenendo però in mente l'obiettivo di avere un bene rifugio sul lungo periodo per contrastare i malefici dei vari quantitative easing, deve però essere pronto a pagarne il prezzo, che in questo caso si chiama volatilità. Quest'ultima tende infatti a essere per il silver decisamente elevata, più simile a quella dei metalli di base rispetto a quella dell'oro, nonostante la correlazione con quest'ultimo. Al riguardo sempre Arnold ricorda: «In termini di volatili-
si dei corsi, pertanto gli investitori devono prestare grande attenzione». Non sorprende che sempre su questa linea Brooks consigli: «Man mano che gli investitori aumentano il peso di settori e asset class a beta più elevato nei propri portafogli, dati i continui rischi macroeconomici e politici, appare sensato assumere posizioni lunghe di volatilità a scopo tattico». Considerazione che appare tanto più sensata, se si pensa che la volatilità oggi è economica quanto mai lo è stata da quasi un decennio. I
Volatilità di oro e argento a confronto 120
100 Volatilità argento Volatilità oro 80
60
40
20
0 1971 1974 1977 1980 1983 1986 1989 1992 1995 1998 2001 2004 2007 2010
Fonte: Bloomberg, Etf Securities
Argento e andamento manifatturiero % annuale 200%
Indice 75 Silver spot (ihs) Us Ism Mfg index (rhs)
70
150% 65 60
100%
55 50% 50 0%
45 40
-50% 35 -100% set 2002
30 set 2003
set 2004
set 2005
set 2006
set 2007
set 2008
set 2009
set 2010
set 2011
set 2012
Fonte: Bloomberg, Etf Securities
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
80La speranza la cultura
libri
viene dal Sud «L’
Italia sarà ciò che il Mezzogiorno sarà». Questa frase di Mazzini rappresenta un po’ il leit motiv del libro che Francesco Barbagallo, ordinario di storia contemporanea all’università di Napoli, ha scritto sui rapporti spesso conflittuali tra il Sud e il Nord d’Italia nel corso di un secolo e mezzo di storia unitaria. Ma significativa anche una frase di Cavour poco prima di morire: il primo presidente del consiglio dell’unità italiana ebbe a dire: «Non sarà insultando i napoletani che li si cambierà… Nessuno stato d’assedio, nessuno di quei mezzi dei governi assoluti. Tutti sanno governare con lo stato d’assedio. Io li governerò con la libertà e dimostrerò quel che possono fare di queste belle contrade dieci anni di libertà. In vent’anni saranno le province più ricche d’Italia..». Partendo da queste premesse Barbagallo percorre 150 anni di politica italiana nei confronti del Sud, con tutti i suoi fallimenti, i suoi enormi problemi irrisolti, ma anche qualche indiscutibile successo. La volontà ri-
formatrice dello stato liberale, sia pure incompiuta, sia pure in mezzo a innumerevoli contraddizioni (i successori di Cavour ebbero idee ben diverse da lui…) ci fu e talora riuscì a ottenere risultati tutt’altro che secondari. Ciò che nessun governo è mai riuscito a creare è stata una classe dirigente meridionale efficiente, capace di partecipare ai grandi processi produttivi europei e in grado di comprendere le sfide tecnologiche e sociali che la rivoluzione industriale imponeva. È questa forse la maggiore costante delle politiche meridionali nell’arco di 150 anni. E oggi? Barbagallo dedica molto spazio alla visione del
Sud contemporanea, sfatando molti miti. Se da una parte è indubbio che il Mezzogiorno sta pagando la crisi attuale in misura molto maggiore rispetto al Nord Italia e che questa area è l’unica zona europea che negli ultimi anni non ha visto un avvicinamento alle parti più industrializzate, dall’altra parte anche nell’Italia in crisi rispetto al resto dell’Europa il Meridione ha ulteriormente perso terreno: il tasso di crescita annuale in un trentennio è stato dell’1,5% nell’intera Italia e dell’1,1% nel Sud, mentre «i dati relativi alla spesa nel Mezzogiorno…servono a smentire l’idea purtroppo assai diffusa nella pubblicistica, di un Sud inondato da un fiume di pubbliche risorse…la spesa pubblica in conto capitale…destinata al Sud, tra il 2001 e il 2009 cala dalla punta massima del 41,1% al 33,5% dell’intera spesa in conto capitale del paese». E il futuro? Potrebbe essere meno drammatico di quanto fanno pensare i numeri: la globalizzazione, che ha condotto alla crisi delle aree industriali europee più avanzate e ha riportato in auge il Mediterraneo,
potrebbe dare al Sud proprio quelle opportunità di agganciarsi al core dei business mondiali. L’enorme sviluppo di internet, la produzione di energia pulita e la creazione di servizi di trasporto e logistica efficienti appaiono opportunità di grande interesse nel nuovo mondo che vede l’ascesa dell’Asia, del Medio Oriente e persino dell’Africa. A questo punto potrebbe rivelarsi di buon augurio la spregiosa frase pronunciata da Luigi Carlo Farini, luogotenente generale del governo sabaudo a Napoli dopo la conquista garibaldina: «Altro che Italia! Questa è Affrica!» I La questione italiana Il Nord e il Sud dal 1860 a oggi di Francesco Barbagallo Editori Laterza 238 pagine – 19 euro
La banda dell’Expo ilena Gabanelli, certamente una grande giornalista, sta cominciando a fare scuola. In questo testo di Alessia Candito, una giovane giornalista che lavora per diverse testate, viene raccontato con un’ampia documentazione tratta da atti giudiziari e da testimonianze di prima mano il sacco edilizio di Milano e soprattutto come la città si sia trasformata da centro industriale di primaria importanza nell’economia europea in centro di speculazione immobiliare. Per arrivare a questo risultato una serie di imprenditori con pochi scrupoli, ma anche antiche famiglie industriali e politici di primo piano di tutti i partiti non hanno badato a spese e soprattutto hanno utilizzato tutti i mezzi possibili per ottenere le aree dove costruire. Persino divertente, sotto certi punti di vista, l’uso che è stato fatto dei rom, collocati in aree che si volevano fare diventare edificabili: i cittadini, esasperati da questa presenza, pur di eliminarli erano disposti a non opporsi alla costruzione nei loro quartieri di milioni di metri cubi, che servivano a bonificare l’ambiente. Naturalmente i rom cacciati dal primo terreno, venivano collocati in
M
un'altra area della stessa proprietà, dove ricominciava il medesimo balletto. Ma non solo: operazioni come l’insediamento di Santa Giulia sono risultati ben oltre i limiti del codice penale e non certo per pochi secondari articoli.
E questa classe dirigente è quella che ha lanciato la sfida per ottenere l’Expo, uno dei più colossali affari sul piano edilizio degli ultimi decenni. Enormi terreni sono stati così riqualificati e resi utilizzabili per ulteriori speculazioni, per rendere Mi-
lano una città sempre più capitale dell’immobiliare e sempre meno produttiva. Un fiume di denaro pubblico, naturalmente, ha aiutato l’intera operazione e l’ha resa conveniente per gli speculatori e i politici che si sono gettati sull’affare. E un sinistro tintinnio di manette su diversi di loro non sembra sufficiente a bloccare questo saccheggio. I Chi comanda Milano di Alessia Candito Castelvecchi 180 pagine-13 euro
La mala
cooperazione
n libro certamente poco pietoso, già nel titolo che definisce la carità un’industria, nei confronti del mondo delle Ong, che in teoria dovrebbero rappresentare il volto bello e pulito della nostra società, quello che fa della solidarietà verso i meno fortunati un contraltare alle lotte spietate del capitalismo e della finanza moderni. Nella realtà, nel quadro delineato da Valentina Furlanetto, giornalista di Radio 24-Il Sole 24Ore, l’area del non profit non ne esce particolarmente bene. Le lotte a coltello per ottenere i fondi statali, i soldi utilizzati per pagare manager che hanno stipendi simili a quelli delle mul-
U
tinazionali o investimenti milionari nella comunicazione rappresentano ormai la regola e del fiume di denaro diretto alle popolazioni meno fortunate della terra arriva a destinazione una parte ben misera. Anche le Ong più famose e con una migliore immagine non sempre escono bene da questo studio. Ma soprattutto a essere messa sotto accusa è la concezione che sta prevalendo in questo ambiente, cioè che la lotta contro la fame e il sottosviluppo possano costituire un affare per i paesi occidentali, che in questo modo
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
vendono più merci e acquisiscono in questa Africa sempre più preda della globalizzazione e di business strategici posizioni di primo piano. Alex Zanotelli, storico direttore di Nigrizia, che firma la prefazione di questo libro, mette molto bene in risalto la profonda contraddizione di questa concezione con la visione umanitaria che dovrebbe essere al centro di tutta l’operatività I L’industria della carità di Valentina Furlanetto Chiarelettere 243 pagine -13,90 euro
82
LE FOTO DEL MESE
BENEDETTO XVI E BEPPE GRILLO uesto mese la foto del mese sono due! Ma non semplicemente per il fatto che il papa e Beppe Grillo hanno occupato le pagine dei giornali di tutto il mondo, ma per uno strano filo rosso che in qualche maniera li unisce. Apparentemente sono opposti: uno entra in Parlamento con la grazia di un portuale che fa il suo ingresso in un bordello turco, l’altro lascia sommessamente il potere con lo stesso stile e la medesima timidezza che ha portato avanti nel corso di otto anni. Eppure qualcosa che li unisce e che ha dato loro una grande forza c’è. Grillo è apparso chiaramente e nella maniera più rumorosa possibile il vendicatore contro quell’establishment che ha mandato in rovina l’Italia e che viene percepito dal cittadino italiano con la classica frase: «Tanto sono tutti ladri!» Ratzinger, che non a caso ha guadagnato in meno di un mese la popolarità che non ha mai avuto in otto anni, ha fatto comprendere con i suoi modi molto diversi di non poterne più di quell’establishment vaticano pronto a qualsiasi congiura pur di ottenere potere e soldi. E ha fatto saltare il tavolo. In fondo come Grillo.
Q
Direttore responsabile Alessandro Secciani Vicedirettore Massimiliano D’Amico Coordinamento editoriale Aleph Advice Impaginazione Alfredo Rampanelli
Investire - Marzo 2013 numero 2 – Anno XXX FINANCIAL RESEARCH Boris Secciani COLLABORATORI Valentino Chiappi, Francesco Massimino, Rocki Gialanella, Dario Palladini, Vincenzo Sciarretta, Claudia Segre, David Tonello
REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ Corso Vercelli 11 20124-Milano Tel: 02/87.34.82.66 Fax: 02/87.34.82.67 Email: investire@ediskipper.it Una copia: 7,00 euro (arretrati: 14 euro)
01 - 02 - marzo 2013 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12
CASA EDITRICE Editrice Skipper Srl Corso Vercelli 11 20124-Milano STAMPA Faenza Industrie Grafiche via Vittime civili di guerra, 35 48018 Faenza Autorizzazione n. 126 del 27 marzo 1982 del Tribunale di Milano