OSSIER
LOMBARDIA EDITORIALE
13
Raffaele Costa Gabriele Fava
L’INTERVENTO
ECONOMIA E FINANZA FINANZA Paolo Sciumé
66
CONFINDUSTRIA L’impegno degli industriali
71
17
Claudio Scajola
PRIMO PIANO 18
COMMERCIO Carlo Sangalli, Giulio Tremonti
78
IN COPERTINA Roberto Formigoni
24
IMPIANTI Ambiente e sicurezza
82
VERSO LE REGIONALI Filippo Penati Savino Pezzotta
LOGISTICA Soluzioni tecnologiche
84
TERMOMETRO ELETTORALE Alessandra Ghisleri
32 86
ISTRUZIONE Mariastella Gelmini
36
NUOVE TECNOLOGIE Processi di gestione Digitale terrestre ALIMENTARE
90
BENI CULTURALI Sandro Bondi
38 CLASS ACTION Antonio Catricalà, Carlo Rienzi
L’INCONTRO Gian Carlo Abelli
42 IL PUNTO Giorgio Ruffolo
IN PRIMA LINEA Laura Ravetto
44
L’ARTEFICE DELLA BELLEZZA Giorgio Armani
FISCO E TRIBUTI Il redditometro
130
IMPRESE E FISCO Compensazione dei crediti Operazioni con l’estero
132
CONSULENZA Mediazioni
138
IMPRENDITORIA Il tessuto bergamasco
140
94
SISTEMA FIERISTICO Enrico Pazzali
144
98
IUS & LEX 102
48
LAVORO Outsourcing Strumenti per i giovani
RITRATTI Don Luigi Giussani
52
RAPPORTI DI LAVORO L’incarico
L’UOMO AL CENTRO Maurizio Lupi Raffaello Vignali Giorgio Vittadini
56
10 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
EMERGENZA CARCERI Fabrizio Cicchitto
150
110
GUARDIA DI FINANZA Mario Forchetti
154
CONTRATTI DI LAVORO Il part time
112
EVASIONE FISCALE Rimodulare le sanzioni
158
STRUMENTI PER L’IMPRESA Distacco e solidarietà
114
CONTRAFFAZIONE Come tutelarsi
160
CONTRIBUTI PER L’IMPRESA Internazionalizzazione
118
162
STRATEGIA D’IMPRESA Processi di aggregazione
121
DIRITTO DEL LAVORO Pietro Ichino L’arbitrato Il Mobbing
124
SICUREZZA SUL LAVORO Normativa
172
GESTIONE DEL CREDITO REATI D’IMPRESA La 231
126
RISARCIRE IL DANNO Carlo Federico Grosso
174
PROCEDURE CONCORSUALI
129
CRONACA GIUDIZIARIA Nico D’Ascola
178
Sommario DIRITTO E IMPRESA Sinergie
182
DIMINUIRE I CONTENZIOSI Strategie
186
E-COMMERCE Rischi e opportunità
188
DIRITTO INTERNAZIONALE
190
GIURISPRUDENZA E WEB
192
SINERGIE Asla
194
PENALE D’IMPRESA
196
STALKING Il reato e i suoi effetti
198
PROCESSO TELEMATICO I decreti ingiuntivi
202
SANITÀ
PROSPETTIVE
204
POLITICHE SANITARIE Ferruccio Fazio
230
EDILIZIA
270
DIRITTO DI FAMIGLIA
206
234
RESTAURO Estetica e funzione
272
NOTARIATO Paolo De Martinis Roberto Barone Il bisogno di legalità L’esigenza di riservatezza
210
SANITÀ Mariella Bocciardo
SVILUPPO DEL TERRITORIO
275
NUOVE TECNICHE Pugliese Francesco Stellacci
238
244
GREEN ECONOMY Servizi Integrati
278
IL MERCATO DEL FARMACO Regolamentazioni
246
ENERGIA Il mercato del gas
282
CARCINOMA RENALE Nuovi farmaci
EFFICIENZA ENERGETICA Innovazioni
284
TRACCIABILITÀ DEI RIFIUTI Sistri
286
MISSIONI ALL’ESTERO Federico D’Apuzzo
224
TERRITORIO VEDUTE MILANESI Philippe Daverio
250
CANTIERI APERTI Roberto Castelli
256
ARCHITETTURA Linguaggi raffinati
260
IMMOBILIARE Un investimento sicuro Costruzioni sostenibili L’andamento del mercato
264
AMBIENTE
LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 11
EDITORIALE
Troppa cronaca nera nei telegiornali di Raffaele Costa
Direttore
S
eguo da sempre con interesse i telegiornali delle reti nazionali nonché di alcune reti private e apprezzo generalmente i servizi relativi alla politica, all’amministrazione, alla vita quotidiana della società e alla sua evoluzione. Confesso, però, che vi è un aspetto che ritengo sia necessario rivedere: si tratta degli eccessivi spazi e tempi destinati alla cronaca nera. Sono perfettamente consapevole del fatto che i servizi documentano realtà che
colpiscono la società, ma la stessa – per fortuna – è sovente protagonista di avvenimenti positivi, di gesti encomiabili e altruistici che, sebbene sovente dimenticati o trascurati, sono numericamente ben superiori ai fatti di cronaca nera cui si dà ampio risalto. La mia non vuole essere una critica fine a se stessa, bensì una proposta di riflessione: comprendo che “l’anomalia” riscuota maggiore “successo” in termini di audience rispetto alla normalità degli eventi, ma ritengo che le macchie della società non debbano costituire la fonte prevalente dell’informazione. Delitti, processi per fatti ignobili, violenze, reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, arresti a catena, mafia, rapine e crudeltà possono, anzi devono essere riportati tra le informazioni quotidiane, ma non devono prevalere anche solo quantitativamente sui tanti altri aspetti della società che è molto più spesso protagonista di atti e fatti positivi.
LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 13
IN COPERTINA
18 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
Roberto Formigoni
I
n un clima politico reso incandescente da una prima esclusione alle elezioni regionali, previste per il prossimo 28 e 29 marzo, del listino “Per la Lombardia” legato all’attuale presidente della Regione Roberto Formigoni e poi dalla successiva riammissione per effetto della sentenza del Tar, il governatore uscente della Lombardia è, se possibile, ancora più motivato nella corsa al quarto mandato. E nel rivendicare la legittimità delle proprie azioni, Formigoni non rinuncia a guardarsi indietro, a soffermarsi sui quindici anni di guida della regione, sottolineando quei principi di coesione e sussidiarietà che hanno sostenuto in particolar modo la sua ultima stagione di governance. «Basta citare il sistema Dote – commenta il presidente – efficace soprattutto in ambito scolastico, tramite il quale vengono assegnate risorse in anticipo rispetto alle necessità di utilizzo». Sono queste le leve sulle quali costruire le traiettorie di sviluppo della Lombardia. Un territorio che nel ribadire il proprio ruolo di motore economico d’Italia, nonostante gli effetti della congiuntura negativa, conferma uno spiccato orientamento al rischio dell’intrapresa e all’innova-
IL FUTURO LO COSTRUIAMO INSIEME Il governatore uscente Roberto Formigoni punta al quarto mandato come presidente della Lombardia. Una regione che da quindici anni rappresenta per il resto d’Italia un laboratorio di idee e strategie sul fronte delle politiche regionali di Francesca Druidi zione. Caratteristiche che vanno, secondo Formigoni, valorizzate e incentivate. Proiettando la regione verso le prossime sfide, tra cui emerge quella della sostenibilità. Un concetto da tradurre in campo ambientale ed energetico, così come in quello urbanistico e sociale. Quali sono i capisaldi del modello politico introdotto dalla Lombardia da lei guidata dal 1995? «In Lombardia il principio di sussidiarietà è sceso dal mondo delle idee per diventare il cardine dell’azione di governo e della capacità di innovare. Ci siamo fatti conoscere per la produttività delle nostre imprese, la qualità e l’efficienza dei servizi, la semplificazione burocratica e il dialogo con gli enti locali, le parti sociali e le associazioni. Questo nuovo
modo di fare politica, dopo secoli di affermazione del primato dello Stato, ha riportato al centro dell'azione politica e amministrativa la persona. In Lombardia “si fa” perché “si fa insieme”. Questo principio ha rivoluzionato tutti i nostri servizi: il welfare, la sanità, la formazione professionale e la scuola. E ha permesso la devoluzione di competenze alle Province e ai Comuni e la corresponsabilizzazione di altri soggetti istituzionali. Questo modello ha ora bisogno di uno strumento strategico come il federalismo, capace di favorire la concorrenza virtuosa fra le Regioni e gli enti locali che, con il buon governo, potranno attrarre capitali, imprenditori e risorse dall’intero Paese. Perché il modello Lombardia è il nostro primo prodotto da espor-
In apertura, Roberto Formigoni, che guida la Regione Lombardia dal 1995
2010 LOMBARDIA • DOSSIER • 19
IN COPERTINA
tazione».
Innovazione e apertura sono i due pilastri che lei ha indicato essere cruciali per la Lombardia. Come declinare questi elementi nel tessuto economico della regione? «Gli esempi sono davvero tanti. Cominciamo dalle imprese. Il peggio è passato e se, dopo la lunga notte della crisi economica, comincia ad albeggiare, è merito delle imprese lombarde che hanno reagito mettendo in campo le loro virtù di sempre: coraggio nell’intraprendere e apertura al nuovo. Ma non bisogna abbassare la guardia: la Regione continuerà ad affiancare gli imprenditori attraverso nuovi strumenti per l’accesso al credito, investimenti sul fronte dell’innovazione tecnologica e della sostenibilità ambientale, oltre che della promozione delle competitività sui mercati esteri. E procedure rapidissime per chi decide di mettersi in proprio con i nostri servizi di “Impresa in un giorno”. E in campo sociale? «Consideriamo la famiglia come una sorta di società sovrana, che viene prima dello Stato e del mercato e che, come tale, gode di diritti sociali propri anche in relazione al concorso della spesa pubblica. Per questo, vogliamo farla ancora più protagonista delle nostre politiche di welfare. Ren-
20 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
deremo più ricco il pacchetto di interventi regionali: il Bonus da 1500 euro annuali, la creazione di nuovi nidi, il sostegno per gli affitti e l’acquisto della casa, l’innovativo voucher di conciliazione per acquistare servizi. Il tutto affiancato da un’azione politica nei confronti del governo perché introduca provvedimenti concreti a livello fiscale come il quoziente familiare». La regione ha mostrato solidità di fronte alla crisi. Quali priorità vede ora per una definitiva ripresa? Includerebbe anche le politiche ambientali? «La vivacità economica di Milano e
della Lombardia tutta, unita alla tradizione dei grandi maestri dell’architettura, del design e dell’edilizia, rappresentano le basi migliori per trasformare le difficoltà in un’occasione di crescita. Continueremo a investire sul capitale umano, l’innovazione e la coesione. Non c’è tuttavia sviluppo senza difesa ambientale: questa è una delle priorità della prossima legislatura. Strumento principale è il “Piano per una Lombardia sostenibile” per fare della regione un territorio a bassa intensità di carbonio e ad alta efficienza energetica. Prevediamo nuove forme di mobilità a basso impatto ambientale, il rin-
Roberto Formigoni
novamento del sistema infrastrutturale e dei trasporti e la diffusione delle fonti energetiche rinnovabili». Il tema della mobilità è uno dei più sentiti dai cittadini. Come operare un decisivo salto di qualità? «La Lombardia ha bisogno di muoversi ancora più velocemente di quanto già faccia: stiamo investendo 11 miliardi di euro in tre anni e nella prossima legislatura troveremo ulteriori finanziamenti per superare definitivamente il gap infrastrutturale, rispondendo alla domanda diffusa di una mobilità efficiente. Ogni miliardo di euro destinato allo sviluppo di questo settore genera circa 20mila
nuovi posti di lavoro. Per questo, abbiamo completato una serie di infrastrutture viabilistiche, la Milano Laghi, la Boffalora Malpensa, la quarta corsia della A4 Milano-Bergamo, e sono stati aperti nuovi cantieri, quali Pedemontana e Brebemi. Si è, infine, evitato che il Nord produttivo rimanesse isolato, diventando meno attrattivo per gli investimenti esteri. In quest’ottica, vanno giudicate le scelte per l’aeroporto di Malpensa, nonostante le decisioni del governo nazionale, con interventi su ferro e gomma per migliorare l’accessibilità e, quindi, il profilo intercontinentale dello scalo: oggi in treno
si arriva da Milano a Malpensa in meno di mezz’ora». Alla luce dei recenti fatti di Milano, esiste un problema di integrazione degli immigrati in regione? «Concepire quartieri a mix sociale e abitativo è la sola e reale soluzione per evitare l’effetto banlieue e favorire l’integrazione con gli stranieri desiderosi di lavorare e adeguarsi alle nostre leggi e stili di vita. La drammatica situazione in cui versano alcuni quartieri è il frutto avvelenato di una sciagurata politica che ha concentrato tutto il disagio sociale in poche aree. La realizzazione di zone esclusivamente “popolari” non è più sostenibile se si vuole davvero sconfiggere il mercato criminogeno delle occupazioni degli appartamenti ed evitare, come di recente è successo, che vie e quartieri a maggioranza straniera esplodano come bombe. Occorre stabilire delle quote immigrati anche per gli insediamenti abitativi, in modo da governare senza traumi la convivenza tra italiani e stranieri. Sono stati già realizzati allo scopo 6mila alloggi, recuperati 30 quartieri popolari e, solo nel 2009, sono stati destinati alla casa 374 milioni. Questo significa costruire un mix abitativo di qualità, cancellare periferie e moltiplicare per 100 il LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 21
IN COPERTINA
Continueremo a investire sul capitale umano, l’innovazione e la coesione. Non c’è tuttavia sviluppo senza difesa ambientale: questa è una delle priorità della prossima legislatura
Dall’alto, il presidente Formigoni in occasione dell’inaugurazione della Pedemontana. Sotto, un rendering relativo ai canali d’acqua che saranno realizzati a Milano per l’Expo 2015
centro delle città».
La sanità identifica uno dei settori di eccellenza della regione. Esistono margini per un ulteriore miglioramento? «Nel 97 eravamo gli unici a credere nella libertà di scelta del cittadino, nell’importanza di mettere a disposizione gratuitamente per tutti i pazienti sia strutture pubbliche sia private accreditate. Oggi la Lombardia rimane la regione con il rapporto spesa sanitaria e Pil più basso d’Italia e la spesa pro capite è decisamente al di sotto della media nazionale. Da sette anni ormai i bilanci sono in pareggio, ma non si è certo smesso di 22 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
investire: nella ricerca, per avere cure all’avanguardia, nelle professionalità sanitarie, nell’edilizia ospedaliera e in una strumentazione tecnologica aggiornata. Non è un caso che la Lombardia registri, rispetto alle altre regioni, il più alto livello di attrattività di pazienti. Negli ultimi cinque anni abbiamo costruito sette nuovi ospedali, da Como a Legnano, da Vimercate a Varese al Nuovo Niguarda, altri in futuro nasceranno, a Milano la Città della Salute, il primo polo integrato per ricerca, la prevenzione e la cura delle malattie più gravi e diffuse; a Pavia, all’ospedale San Matteo, e almeno una nuova strut-
tura in ogni provincia». Come la Lombardia guarda all’appuntamento con l’Expo 2015? «Dovrà essere un momento di rilancio della nostra economia, delle nostre imprese e delle nostre infrastrutture. Ma più in generale Expo 2015 dovrà essere la grande occasione per mettere in vetrina l’intero sistema delle eccellenze lombarde. Già 8 miliardi abbiamo assicurato per realizzare infrastrutture adeguate e con miglioramenti del territorio: una Lombardia più verde, più ospitale, che metta in mostra i suoi patrimoni paesaggistici; una Lombardia più attrattiva. L’Expo sarà un grande cantiere di riflessioni e di progetti comuni su alcuni temi fondamentali: produzione agricola, alimentazione, ambiente, mobilità sostenibile. Il lungo e impegnativo percorso di realizzazione di Expo 2015 dovrà costituire un catalizzatore di iniziative e di progetti per la promozione di quei “beni pubblici globali”, pace, sviluppo, sostenibilità ambientale, di cui tutti noi abbiamo un urgente e crescente bisogno».
VERSO LE REGIONALI
L’alternativa di Penati per il governo della regione Dieci punti per altrettante nuove proposte destinate alle Lombardia del futuro. A proporle è il candidato per il Pd alla guida della Regione, Filippo Penati. Il quale vuole restituire alla Lombardia il ruolo di «regione leader in Italia e in Europa» Nera Samoggia
L
e idee sono chiare. E concrete. Un suo eventuale ingresso al Pirellone, per i lombardi, significherà: riduzione dell’addizionale regionale Irpef in base al quoziente familiare, azzeramento delle liste d’attesa nei nidi e rilancio del sistema ferroviario locale. Questi i primi tre provvedimenti che Filippo Penati, can-
Sotto, Filippo Penati, candidato del Pd per la guida della Lombardia
24 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
didato del Pd per la guida della prima regione d’Italia, assumerà in caso di vittoria. Uomo di punta del Pd che, però, durante il suo mandato in Provincia ha saputo dialogare molto (e bene) con il centro, Penati è convinto che una sua vittoria in regione «debba passare per il bisogno di rinnovamento che, sono convinto, tutti i lombardi avvertono. Formigoni governa da 15 anni e il meglio di sé l’ha già dato. Ora – osserva – è solo un’esausta replica di se stesso. Vive prigioniero di diversi estremismi e avendo perso anche l’appoggio dell’Udc lo sarà ancora di più. Formigoni è al suo crepuscolo politico e segna il passo anche dal punto di vista amministrativo. Il federalismo fiscale da quando il centrodestra governa il Paese è rimasto lettera morta, l’aeroporto di Malpensa è stato abbandonato, il dramma quotidiano dei pendolari evidenzia lo sfascio del sistema ferroviario regionale. E questo per non parlare del fatto che non ci sono stati interventi efficaci di contrasto a una crisi che sta met-
tendo in ginocchio il sistema economico della regione. Io sono convinto che i lombardi siano stanchi di tutto questo e sappiano che quello che serve è un’alternativa di governo concreta. Io propongo loro questo. La mia categoria di riferimento è l’alternativa e questo prescinde dalle
Filippo Penati
Sono convinto che i lombardi sappiano che quello che serve è un’alternativa di governo concreta. E io propongo loro questo
tradizionali categorie di centro, destra e sinistra». Il suo programma poggia su dieci punti, quale è il loro filo conduttore? «Il rilancio del sistema economico lombardo. La pesante crisi economica ha colpito qui più che al-
trove. Va affrontata da subito, non negata, come si ostina a fare irresponsabilmente il centrodestra. Il mio progetto di governo ha l’ambizione di affrontare la crisi nel suo complesso, di far tornare la Lombardia quello che è per vocazione: regione leader in Italia e in Europa. E questo sostenendo le imprese, i lavoratori, sia dipendenti che autonomi, le famiglie nella crescita dei figli e nella cura dei propri anziani. Garantendo a tutti i cittadini lombardi un sistema della mobilità efficiente e un ambiente sano». Entriamo nel concreto delle sue proposte di governo. Lavoro: come si facilita l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro? «Per sostenere i giovani bisogna avviare una sperimentazione regionale del reddito minimo d’inserimento, già diffuso in quasi tutti i paesi europei ed estendere, anche con incentivi alle imprese, il lavoro a tempo indeterminato. Allo stesso tempo, è necessario lavorare per un
programma di contrasto del lavoro nero che avrebbe effetti positivi anche sul sistema previdenziale. Ma soprattutto per promuovere nuove opportunità di lavoro è necessario innovare con coraggio le regole del mercato e trovare un nuovo equilibrio tra flessibilità e sicurezza. In Lombardia non si può vivere con 700 euro al mese. È necessario costruire un modello sperimentale per cui chi perde il posto abbia una retribuzione pari al 90% del salario e possa trovare un'altra occupazione entro un anno. Il nuovo modello prevede un accordo tra le parti, risorse aggiuntive delle imprese e investimenti da parte della Regione per la formazione e la rapida ricollocazione dei lavoratori». Lei propone anche una nuova idea di welfare. «Intendo costruire un nuovo welfare a misura di famiglia. Le famiglie vanno sostenute innanzitutto nella crescita dei figli. Le liste d’attesa dei nidi devono essere azzerate. Per questo bisogna investire LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 25
VERSO LE REGIONALI
cento milioni di euro in cinque
anni. Le famiglie vanno sostenute anche nella cura degli anziani, istituendo un fondo regionale per le non autosufficienze e riattivando la rete territoriale dei servizi per l’assistenza domiciliare e la medicina di territorio, oggi poco presente». Se diventerà presidente della Regione quali saranno i primi tre provvedimenti che prenderà? «Innanzitutto ridurrò l’addizionale regionale Irpef, tagliandola a misura di famiglia in funzione del numero dei figli e degli eventuali anziani a carico. Stanzierò da subito 20 milioni di euro, a cui seguiranno altri 80 milioni nei quattro anni successivi, per la realizzazione di nuovi asili nido in tutta la regione il che porterà, come dicevo prima, all’azzeramento delle lista d’attesa. Stanzierò inoltre 100 milioni di euro (altrettanti in ciascun anno successivo) per il rilancio del sistema ferroviario regionale oggi allo sfascio, per garantire più tratte, treni più frequenti e meno affollati». D’obbligo una domanda sull’immigrazione dopo le violenze di via Padova. Come si lavora per una vera integrazione non di facciata? «L’immigrazione irregolare va contrastata in maniera netta. Non si può tollerare continuino a esistere fortini dell’illegalità quali via Padova. Per farlo è necessario impiegare forze dell’ordine nei quartieri a 26 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
Stanzierò 100 milioni di euro, e altrettanti in ciascun anno successivo, per il rilancio del sistema ferroviario regionale oggi allo sfascio
Filippo Penati
rischio e iniziare a far rispettare la legge. Va applicata la norma, a oggi a Milano completamente disattesa, che consente di perseguire tutti coloro che affittano abusivamente appartamenti ai clandestini. Per combattere l’immigrazione irregolare, inoltre, è necessario combattere il lavoro nero in tutte le sue forme. Altrettanto netto deve essere l’impegno per i diritti e l’integrazione di chi lavora regolarmente. Per questo sostengo l'istituzione di un fondo per l'integrazione degli immigrati per finanziare azioni positive per il loro inserimento nella società: corsi di italiano, formazione, sostegno nelle scuole agli alunni stranieri e interventi per la casa». Il listino è pronto. Oltre a Gianni Bugno, ex campione del mondo di ciclismo, Rosanna Della Valle, operaia e Maruska Piredda, assistente di volo precaria in quota Idv, ci sono molti ex assessori, segretari, sindaci. Impossibile il ricambio? «Il listino vuole essere rappresentativo del mondo del lavoro della regione: in lista ci sono diversi lavoratori sia dipendenti che autonomi. Questo a testimonianza della centralità del lavoro nel nostro progetto di Governo. Non posso, inoltre, non essere orgoglioso della presenza di Gianni Bugno, un grande campione, un simbolo dell’eccellenza della nostra regione. Nel listino, ci sono anche numerosi amministratori locali.
100 mln BUDGET
I fondi che stanzierà Filippo Penati per realizzare nuovi asili nido in tutta la regione così da azzerare le lista d’attesa
100 mln EURO
I soldi che ogni anno saranno stanziati per il rilancio del sistema ferroviario regionale per garantire treni più frequenti e meno affollati
E considero questo un grande punto di forza. Sono l’espressione della migliore tradizione di governo lombarda. E questa, sono convinto, non va messa da parte, ma premiata e valorizzata». A che punto siamo, invece, con la lista Pd. Quali criteri di scelta adotterà? «Si tratta di una lista aperta alla società civile, plurale per ispirazione. Una lista che premia l’impegno e la conoscenza del territorio, di tante donne e tanti uomini che da anni si adoperano per migliorare la regione nelle amministrazioni pubbliche, nelle associazioni, nel mondo del lavoro. C’è una forte componente femminile e sono presenti molti giovani. Il nostro impegno per la loro affermazione non è di facciata, ma reale: per questo abbiamo voluto fossero soprattutto loro a rappresentare il nostro progetto. Abbiamo voluto una lista che fosse espressione del nostro progetto di governo: concreto, riformista, attento alle richieste delle comunità locali». LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 27
VERSO LE REGIONALI
Protagonista in Italia e in Europa Punta alla Regione in quota Udc, Savino Pezzotta, parlamentare e già segretario generale Cisl. Una corsa in solitaria per proporre un modo differente di fare politica. A partire dal programma accompagnato dalla una frase di don Sturzo: “Un programma politico non si inventa, si vive” Nera Samoggia
F
orse la Lombardia «soffre del “mal” di Padania». Ecco perché è il momento che questa terra «d’infinite bellezze ed eccellenze» che «amo molto» diventi «protagonista in Italia, in Europa e nel mondo». Savino Pezzotta è in corsa per l’Udc per la guida del Pirellone. Una sfida in solitaria. Nel 2005, i casiniani ottennero il 3,8%, per il 2010 «il nostro obiettivo è di crescere, anzi di raddoppiare perché questo bipartitismo illusorio ha stancato molti. L’Unione di Centro ha l’ambizione di proporre politiche utili all’azione di governo ben oltre i consunti schemi della destra e della si-
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nistra, per realizzare un felice connubio tra gli ideali della cultura politica cattolica e liberaldemocratica e un agire pragmatico e riformatore». Insomma un’altra strada, un modo differente di fare politica il cui primo banco di prova è stata la stesura del programma elaborato fuori dalle «stanze segrete perché frutto di un confronto tra le anime che compongono l’Unione di Centro e della osservazione della realtà. Tra breve sarà sul mio blog dove i cittadini potranno fare integrazioni». Tra l’altro, sottolinea Pezzotta, «ho scelto di accompagnare il programma con una frase di don Sturzo: “Un programma politico non si inventa, si vive”. Credo sia veramente un programma solido e privo di slogan elettorali usa e getta». Quali i suoi punti di forza? «Lavoro, famiglia, sicurezza e integrazione, infrastrutture. Per noi, il lavoro, sia esso dipendente, autonomo, imprenditoriale o intellettuale, è il tratto essenziale che connota ogni uomo. Per questo è al primo punto. La famiglia è il
vero investimento sociale e oggi in Lombardia merita una politica di sostegno strutturata e continuativa, non singoli aiuti che sembrano delle mance. Proponiamo di introdurre nuove e robuste misure che consentano la conciliazione famiglia-lavoro e di inaugurare una nuova fiscalità per le tasse regionali basata sul numero dei figli, tenendo conto anche delle giovani famiglie esposte al pericolo povertà nel momento in cui desiderano fare figli. E poi le famiglie e i cittadini meritano una sanità più vicino al territorio, lontana dalle lottizzazioni dei partiti. Sulla sicurezza è tempo di mettere nel cassetto gli slogan: telecamere, militari e ronde padane. Servono semplicemente più mezzi e uomini alle forze del-
Savino Pezzotta
l’ordine, mortificate nella loro azione dai deficit di organico e di fondi. Infine i trasporti: dobbiamo definire la mission degli aeroporti lombardi, dobbiamo colmarne il gap infrastrutturale e soprattutto dare risposte concrete ai pendolari afflitti dai disservizi del trasporto pubblico locale». Di quali mali soffre questa regione? «La Lombardia deve rafforzare il suo ruolo di traino, di innovazione e di sperimentazione, uscendo da ogni forma di centralismo statale o regionale per dare corpo a un federalismo compiuto delle autonomie e municipalità in un processo unitario nazionale ed europeo. È una grande regione che, grazie alla riforma della Costituzione, ha po-
teri e responsabilità nuove da mettere in campo di fronte ai cambiamenti indotti dalla crisi economica e dai costanti processi di rinnovamento. Può contare su un tessuto di competenze culturali, scientifiche e finanziarie che nessun’altra regione possiede. Nonostante questo, politicamente non ci convince un “quarto mandato” per Formigoni, ormai distante dalle origini e sempre più condizionato dalla Lega. Crediamo in una politica di forte innovazione, sobria, efficiente, meno urlata e più attenta ai valori e alle riforme utili al Paese». Immigrazione: dopo le violenze di via Padova, ha detto basta con la logica del manganello. Come si lavora per una vera integrazione? «L’immigrazione è diventata un fe-
In apertura, Savino Pezzotta, parlamentare, è in corsa per l’Udc per la guida del Pirellone
La politica oggi si trova ad affrontare questioni inedite. I cristiani non possono sottrarsi e sono chiamati a una nuova presenza politica
2010 LOMBARDIA • DOSSIER • 29
VERSO LE REGIONALI
nomeno strutturale, ci sono per-
sone immigrate che abitano in Lombardia da 15/20 anni e ragazzi che frequentano le nostre scuole. Questa presenza di potenziali nuovi cittadini deve essere affrontata con nuovi strumenti che generino una pacifica sicurezza. In questo orizzonte, che esclude ogni approccio xenofobo e razzista, è opportuna l’istituzione nel nuovo governo della Lombardia dell’assessorato alla Cittadinanza e immigrazione. Un nuovo strumento di governance, finora assente, che si occupi, d’intesa con il governo e con l’associazionismo, con più serietà del fenomeno migratorio in regione e che accompagni le persone che, costrette a fuggire dai loro paesi, hanno cercato qui rifugio e asilo politico. È necessario trovare soluzioni concrete che coniughino il rispetto delle regole con
30 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
l’integrazione per evitare forme di ghettizzazione o l’insediamento di quartieri potenzialmente esplosivi, già presenti nelle aree metropolitane. La proposta dell’Unione di Centro, tra multiculturalismo e assimilazione, è quella dell’interculturalità basata sul rispetto di quat-
tro impegni: il rispetto delle leggi, il rispetto dell’identità nazionale e della Costituzione, la conoscenza della lingua italiana e l’incontro rispettoso delle culture e delle persone». Perché, nella bergamasca, ha fatto partire la sua campagna elettorale dal carcere di via Gleno? «Perché quello delle carceri è un mondo dimenticato. Ci sono problemi di sovraffollamento, di carenza di personale, di rischio sanitario. È un quadro sconfortante che rischia di fare uscire peggiori di come si è entrati. Mi rendo conto che è un tema scomodo per una campagna elettorale, anche perché la crisi economica ci ha posto davanti a sfide talmente grandi da cambiare l’ordine di priorità, ma le carceri sono presenti nel nostro programma perché per noi sono un’opportunità, la cui soluzione può virtualmente alleviare i carichi di pressione proprio sulla società civile che sta fuori. Attraverso la formazione regionale e il sostegno alle associazioni del volontariato lombardo che operano in
Savino Pezzotta
A destra, immagini di impianti produttivi nella provincia di Milano; nella pagina accanto, in basso, l’aeroporto internazionale di Malpensa
Per noi il lavoro è il tratto essenziale che connota ogni uomo. Per questo è al primo punto del nostro programma
questo settore, è possibile un reinserimento non traumatico dei carcerati nella società civile, ridando loro dignità. Quest’azione avrebbe un doppio vantaggio reale: la sicurezza della stessa società civile e la possibilità per i carcerati di sviluppare capacità, competenze e partecipazione al contesto produttivo e quindi sociale». Il cardinale Bagnasco sogna «una generazione nuova di italiani e di cattolici» disposti a «dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni» per la cosa pubblica. «Il monito del cardinale Bagnasco è una chiara sollecitazione verso il mondo cattolico affinché ritorni a un impegno politico più diretto. La politica oggi si trova ad affrontare questioni inedite che riguardano l’uso della scienza e della tecnica, il fallimento dei modelli economici tradizionale, il crescere di nuove questioni e bisogni sociali che molte volte incidono sulla visione antropologica. L’uso integrato di microbiologia, biochimica, ingegneria genetica, tecno-medicina ha dato all’uomo capacità mai
prima sperimentate di intervenire nel processo evolutivo dell’essere umano. Ciò combinato alla pervasività dell’informazione, della comunicazione e dell’economia, oltre che produrre benefici, può influire sulla libertà e la dignità dell’uomo. Questo processo chiama in causa la politica e i valori etici che lo devono orientare, i cristiani non possono sottrarsi e sono chiamati a una nuova presenza politica. L’Unione di Centro si pone come obiettivo quello di costruire un nuovo soggetto politico in cui l’ispirazione cristiana, in un contesto di laicità e di aconfessionalità, funga da orientamento ideale e generativo di una buona politica. Si tratta di una proposta che non si centra su un’identità chiusa, ma sul tentativo di una nuova progettualità del cattolicesimo liberale e sociale che in Lombardia ha sempre
giocato un ruolo fondamentale nella costruzione dell’unità nazionale, nel riscatto sociale, nella resistenza, nella costruzione della democrazia repubblicana». Nella sua “vita precedente” è stato alla guida della Cisl, cosa porta di quell’esperienza in questa campagna elettorale? «Il sindacalismo democratico e i suoi valori di libertà, di solidarietà, di partecipazione e di autonomia è ancora nella mia “vita presente”. Mi porto dietro la tensione verso il bene comune e la ricerca della coesione sociale, oltre che la forte esigenza di avere attenzione ai deboli e al lavoro come strumento di libertà e di partecipazione. Il tema del lavoro in tutte le sue declinazione resta il tema centrale, soprattutto deve essere proposto che paradigma per governare l’uscita dalla crisi attuale». LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 31
ISTRUZIONE
Svolta epocale nella scuola italiana «Solo un sistema scolastico di qualità può rendere i nostri ragazzi protagonisti del loro futuro». Ecco perché secondo il ministro Mariastella Gelmini era indispensabile riformare la scuola superiore italiana. Più spazio a lingue straniere, strumentazioni multimediali e stage formativi Nike Giurlani
A lato il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini
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opo più di 80 anni la scuola superiore verrà riformata. A partire dall’anno scolastico 2010-2011 per superare il problema dell’eccessiva frammentazione e consentire alle famiglie e agli studenti di compiere scelte chiare i 396 indirizzi sperimentali, i 51 progetti assistiti dal Miur e le varie sperimentazioni attivate saranno ricondotte in 6 licei. Inoltre il rilancio degli istituti tecnici e professionali rappresenta «la migliore risposta che la scuola potesse dare alla crisi economica» sottolinea il ministro Mariastella Gelmini. Uno sguardo poi
indispensabile va all’Europa e quindi al potenziamento delle lingue straniere. Da settembre si vedranno i primi effetti della riforma che ha interessato le scuole superiori. Quali sono gli aspetti che rendono questo cambiamento “epocale”? «L’impianto dei licei risaliva agli anni 20. Per l’istruzione tecnica e professionale il riordino era atteso da quasi 80 anni. Si tratta di una riforma indispensabile e non più rinviabile che raggiungerà alcuni precisi obiettivi: razionalizzare i piani di studio e ridurre la frammentazione degli indirizzi, privilegiare la qualità della didattica e l’approfondimento delle materie, irrobustire le lezioni di matematica, di scienze, delle lingue, incentivare la didattica in laboratorio e costruire un rapporto più stretto tra scuola, imprese e territorio». Il presidente Berlusconi ha definito la riforma in “linea con l’Europa”. Su quali aspetti ha posto particolare attenzione per rendere possibile questo miglioramento? «Il presidente Berlusconi ha sempre seguito con estrema attenzione i problemi della scuola e la messa a punto di questa riforma. Solo un sistema scolastico di qualità infatti può rendere i nostri ragazzi protagonisti del loro futuro. Per questo motivo il presidente ha richiamato
Mariastella Gelmini
più volte l’attenzione di tutti sulla necessità di potenziare lo studio delle lingue straniere, sulla digitalizzazione della didattica attraverso la diffusione di nuovi strumenti come le lavagne multimediali e sulla promozione delle occasioni di stage e tirocini durante il periodo scolastico». Uno dei suoi obiettivi primari è creare un legame sempre più stretto tra scuola e impresa. Quali sono le iniziative che intende promuovere? «Il riordino dell’istruzione tecnica e professionale ha proprio l’obiettivo di rilanciare l’occupazione giovanile e formare quelle figure professionali che le nostre imprese hanno sempre più difficoltà a trovare. Sono 180mila infatti i profili professionali richiesti dalle aziende che il mercato del lavoro, la scuola e la formazione non riescono a fornire. Per questo ritengo che il rilancio degli istituti tecnici e professionali sia la migliore risposta che la scuola
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Con il maestro unico abbiamo restituito ai ragazzi una guida, un punto di riferimento stabile a cui affidare la propria formazione
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possa dare alla crisi economica. In particolare dal secondo biennio aumenteranno le ore di stage e dei tirocini per agevolare la transizione scuola-lavoro. La razionalizzazione degli indirizzi, inoltre, è stata attuata tenendo presenti le esigenze del nostro tessuto imprenditoriale. Inoltre, utilizzando la quota di autonomia, le scuole potranno organizzare percorsi didattici mirati che valorizzino i settori produttivi strategici per i singoli territori». A partire già dall’anno scolastico 2009/2010 sono stati apportati dei cambiamenti, come, per esempio, il voto di condotta e il maestro unico. Si possono riscontrarne già i benefici? «Certamente. Con il maestro unico
abbiamo restituito ai ragazzi una guida, un punto di riferimento stabile a cui affidare la propria formazione. Con il voto in condotta finalmente è stato riaffermato il principio secondo cui gli studenti sono titolari di diritti e anche di doveri, tra i quali il rispetto per i propri compagni e per l’istituzione scolastica. È giusto infatti che i ragazzi vengano valutati non solo per le conoscenze acquisite, ma anche per il comportamento tenuto in classe. Quest’anno sono stati oltre 63mila gli studenti che hanno ricevuto il 5 in condotta nel I quadrimestre. Non fa mai piacere quando a un ragazzo viene assegnata un’insufficienza, ma la scuola deve anzitutto educare». LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 37
L’INCONTRO
Un impegno forte per valorizzare il territorio Un ritorno tra la sua gente. Questo è il motivo che ha spinto l’onorevole Gian Carlo Abelli a lasciare il suo incarico parlamentare per candidarsi nuovamente alle regionali nella giunta Formigoni. Molti i progetti già in mente per la sua città Pavia e per tutta la Lombardia Nicola Rossi
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Nella foto, il parlamentare Gian Carlo Abelli
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ià presidente della commissione Sanità della Regione Lombardia per la giunta Formigoni e successivamente anche assessore alla famiglia, l’onorevole Gian Carlo Abelli, dopo una parentesi parlamentare ha deciso di rimettersi in gioco per tornare a candidarsi alle prossime regionali. Una decisione che è stata dettata dal legame con la propria gente e il territorio di origine: «Un politico, quando è autentico – spiega Abelli – vive il suo territorio ed è in perenne contatto con la sua gente. A me in questi anni è sempre stato chiesto di tornare in Lombardia per ridare quel ruolo, quell’autorevolezza che Pavia ha sempre avuto nella giunta lombarda». Il legame con la sua città natale Pavia non si è mai interrotto e un occhio al proprio territorio c’è sempre stato anche per quanto riguarda proposte di sviluppo. «Il territorio pavese è uno dei crocevia più importanti della Lombardia. Direi quindi che un dato, su cui occorrerà puntare, è lo sviluppo delle vie di comunicazione». Nel pavese ci sono reti e servizi da perfe-
zionare ma già si sta lavorando a riguardo. «In questo senso dopo decenni finalmente possiamo dire che sta vedendo la luce una delle infrastrutture più attese: la seconda autostrada regionale, ovvero la Broni-Pavia-Mortara-Stroppiana. Un’opera necessaria se vogliamo essere al passo con il mondo, se vogliamo essere considerati parte integranti di un motore che porta avanti l’economia di questo Paese». La candidatura dell’onorevole Abelli è stata appoggiata dalla lista civica Rinnovare Pavia, un connubio supportato da un sentire comune, nato anche dal costante contatto con la gente. «C’era il bisogno da anni, oltre quindici, di dare a Pavia un governo capace e dinamico, non succube di ideologie del passato. Ecco, dunque, il percorso è nato da questo: da un sogno-bisogno di dare al capoluogo quella libertà e quella rifioritura che meritava. È evidente poi che la nostra alleanza si fonda su una piattaforma valoriale che nel Pdl è solida, a sinistra mi sembra sia evidente che non esista». In programma ci sono molti progetti di sviluppo sia per Pavia sia per
Gian Carlo Abelli
Più di tutti c’è un piano che ho in mente: quello di continuare a fare ciò che ho sempre fatto per i miei cittadini
tutta la Lombardia. «Programmi ce ne sono tanti, da quelli di tipo culturale, come può essere il completamento del restauro del Duomo, a quelli di natura economica, come la realizzazione dell’autostrada, di cui ho parlato, e di tutte le infrastrutture di cui le imprese hanno bisogno.
Penso anche a programmi per la valorizzazione del territorio dal punto di vista turistico, perché parliamo di luoghi che hanno una bellezza fuori dal comune, luoghi che attirano l’attenzione di giornali e opinionisti stranieri». Con un occhio particolare alle persone: «più di tutti c’è un piano che ho in mente: quello di continuare a fare ciò che ho sempre fatto per i miei cittadini. Ovvero impegnarmi a rappresentarli conscio che ciò significa sacrificio, ma anche tanta soddisfazione». Nello specifico tra i programmi di sviluppo la Lombardia vanta un sistema sanitario all’avanguardia. Più volte è stata proposta l’idea di esportare questo modello in tutta Italia. «Attualmente sono membro della commissione Affari sociali alla Camera e credo che questa sia la strada da percorrere, perché lo dicono i risultati raggiunti.
Tutto è perfettibile, anche la riforma sanitaria lombarda, sebbene sia la migliore, viene continuamente adeguata ai tempi. Molte regioni hanno preso il nostro sistema come modello, perché funziona. Se alla fine tutte le regioni nella propria autonomia sceglieranno questo, chiamiamolo prototipo, sicuramente avranno fatto la scelta giusta». Tra gli incarichi possibili in caso di vittoria l’onorevole Abelli non disdegnerebbe quello di assessore all’agricoltura: «Vengo dall’Oltrepò un’area in cui l’agricoltura è un intreccio di saperi e sapori, di tradizioni antiche che si tramandano e ricerca per l’innovazione continua. Sono legato per natura e per storia familiare a questo campo. È un tema quindi che mi appassiona. Ma bisogna prima aspettare il voto popolare. Poi si vedrà». LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 43
L’UOMO AL CENTRO
Un modello di società con la persona al centro
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ibertà di educare. Liberà di scegliere. Libertà d’impresa. «Se questa concezione sta al fondo, non può che affermarsi un nuovo modello di società» che avrà come cardine l’uomo, quale essere unico e irrepetibile. Stop, dunque, alla logica statalista, traguardo che, oggi, a Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera dei deputati, appare un po’ lontano. «La persona non è ancora pienamente al centro della società – osserva il parlamentare del Pdl –. Non ha ancora il posto che meriterebbe. In troppi campi, infatti, sopravvive un centralismo statalista che soffoca l’individuo. Questo crea un livellamento che non favorisce l’emergere delle ricchezze che pure ci sono nel nostro Paese. L’esempio più cogente, da questo punto di vista, è quello della scuola dove ogni pro-
Per Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera dei deputati, libertà è la parola chiave su cui deve poggiare un nuovo modello di società. Quello che pone al centro l’uomo nella sua unicità Nera Samoggia getto di riforma è costretto a fare i conti con la difesa di rendite di posizione che hanno come risultato immediato un impoverimento della nostra offerta formativa. O ancora il problema del Mezzogiorno che è stato sempre considerato come l’oggetto di un assistenzialismo buonista e non come una leva di sviluppo per l’Italia. Ciò nonostante credo che, in questi anni, ci siano stati alcuni significativi passi avanti. Il più importante è sicuramente l’affermarsi del concetto di sussidiarietà. Cioè la possibilità che lo Stato aiuti e sostenga
Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera dei deputati
Maurizio Lupi
Non è più lo Stato da solo a gestire la vita dell’uomo “dalla culla alla tomba”, ma, assieme ai cittadini, cerca di rispondere ai bisogni della società cedendo, dove necessario, spazi di sovranità
cittadini e gruppi di cittadini che lavorano per rispondere ai bisogni della società». In questa logica, la realizzazione del singolo individuo si compie solo nella dimensione comunitaria, ma come si concilia l’interesse
del singolo con quello di una comunità? «La dimensione comunitaria risponde alla natura dell’uomo che non è fatto per la solitudine. La storia dimostra questo e l’esperienza di ciascuno lo conferma. Sussidiarietà e solidarietà sono due dei quattro pilastri della dottrina della Chiesa. Occorre riscoprirne la portata e soprattutto il significato, anche politico. La politica deve agire in senso sussidiario favorendo ciò che nasce dal basso in una logica di progresso meritocratico. Come si concilia questo? Un esempio: un genitore che vuole scegliere la migliore educazione per il proprio figlio esprime un interesse personale, ma è chiaro che se gli diamo la possibilità di rispondere a questo bisogno, offriamo un servizio all’intera comunità. Ciò che ri-
sponde al bisogno di felicità, giustizia e bellezza dell’uomo ha in sé un carattere universale». L’idea delle centralità della persona è legata alla dimensione educativa e culturale del lavoro? «Non a caso ho parlato di scuola, ma anche di libertà d’impresa. L’uomo realizza se stesso quando ha la possibilità di modificare la realtà per rispondere ai propri bisogni. Ma per far questo ha bisogno di un’educazione». Ridare dignità all’individuo può essere la via maestra per creare occupazione, lavoro e benessere? «La dignità dell’uomo ha a che fare con tutto: l’ambiente, la sicurezza, una politica di immigrazione che punti all’integrazione, l’occupazione. Non c’è tema che possa prescindere da questa dimensione fondamen- LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 57
L’UOMO AL CENTRO
tale. Se io non parto dalla persona, sono compiere con le loro forze e prima o poi, farò prevalere un interesse particolare, un egoismo. È la società dell'homo homini lupus. Prevale il più forte o chi è in grado di affermare il proprio potere. La politica da questo punto di vista ha un compito centrale perché fissa le regole che permettono a tutti di concorrere “ad armi pari”, premiando chi fa più e meglio. Non necessariamente chi fa più e meglio è il più forte». Il Libro Bianco del ministro Sacconi si apre con le parole di Protagora “Omnium rerum mensura homo”. Ciò presuppone una nuova logica di Welfare: non più state, ma society? «Sembro un disco rotto lo so, ma è la logica della sussidiarietà. Quella riassunta nell’enciclica Quadragesimo Anno di Pio XI: “come è illecito togliere agli individui ciò che essi pos-
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l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare”. Non è più quindi lo Stato a gestire la vita dell’uomo “dalla culla alla tomba”, ma è lo Stato che, assieme ai cittadini, cerca di rispondere ai bisogni della società cedendo, dove necessario, spazi di sovranità. Dal welfare state alla welfare society». Se si guardano agli anni del Dopoguerra o del boom degli anni 60, pare emergere una sorta di protagonismo dell’individuo, della famiglia. Perché ora sembra essersi persa questa dimensione? Come s’inverte la rotta? «Non c’è una rotta da invertire, basta riscoprire ciò che ha fatto grande il nostro Paese. L’Italia non ha mai avuto risorse prime eppure è diven-
tato uno dei 10 paesi più industrializzati del mondo. Ciò è stato possibile facendo crescere e valorizzando la libera iniziativa dei cittadini. Negli anni 60 era più naturale per un italiano rischiare la propria professionalità, fare impresa. Oggi è diverso. L’individuo, la famiglia vengono guardati con sospetto. C’è un’ultima tentazione di controllarne la vita. La burocrazia è l’esempio concreto di questa concezione. Lacci e laccioli che, il più delle volte, spingono a rinunciare. Non dico che non debbano esserci controlli, ma un conto è controllare per far sviluppare, un conto è controllare per soffocare». Partendo dall’impegno del singolo, il cardinale Bagnasco sogna «una generazione nuova di italiani e di cattolici» disposti a «dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni» per la cosa pubblica. E’ un traguardo raggiungibile? «Su questo punto credo che ci sia sempre un po’ di confusione. Quando si parla di una generazione nuova di cattolici impegnati nella cosa pubblica, c’è come la sensazione che la Chiesa abbia l’obiettivo di formare nuovi crociati. Per questo io cito sempre una frase di San Clemente ai Corinti: “Ciascuno al suo posto piaccia a Dio agendo in buona coscienza e dignità”. Per me, cattolico impegnato in politica, il richiamo del cardinale Bagnasco si gioca a questo livello: ho la responsabilità, lì dove sono stato messo, di rendere evidente ciò che è vero nella mia esperienza. Non è un traguardo irraggiungibile, la società è piena di persone che si muovono così. E le assicuro che, dove c’è qualcuno che agisce così, le cose cambiano».
L’UOMO AL CENTRO
Il capitale umano muove la nostra economia Sintesi di educazione e istruzione, il capitale umano è all’origine degli altri capitali. E’ «la nostra autentica ricchezza», rileva Raffaello Vignali, parlamentare Pdl alla Camera. «L’uomo è il centro dell’economia». Tradire questa idea ha ridotto l’economia a un universo matematicomeccanico in cui la persona è ridotta alla sola dimensione del consumo Carla Samoggia
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Raffaello Vignali, parlamentare Pdl alla Camera, per cinque anni (dal settembre 2003 a marzo 2008) presidente della Compagnia delle Opere, associazione di piccole e medie imprese e realtà no profit
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a persona è il vero capitale delle imprese». E lo è ancora di più in un sistema economico come il nostro. «Siamo un Paese privo di materie prime e al contempo, una delle sette potenze industriali ed economiche del mondo», osserva Raffaello Vignali, parlamentare Pdl alla Camera e per cinque anni (dal settembre 2003 a marzo 2008) presidente della Compagnia delle Opere, associazione di piccole e medie imprese e realtà no profit. «La nostra autentica ricchezza è il capitale umano che è anche l’origine degli altri capitali, quello economico e quello tecnologico. Un impianto industriale non nasce in natura, ma è frutto del capitale umano». Non è, dunque, una contraddizione in termini parlare di capitale umano ricorrendo a strumenti di valutazione utilizzati nella scienza economica. Anzi. «Esistono diverse definizioni di capitale umano – osserva Vignali –, a seconda dell’ottica con cui lo si guarda. E tutte sottolineano l’in-
sieme delle abilità, delle competenze e delle attitudini delle persone in relazione al reddito». Volendo, tuttavia, darne una definizione la più chiara per Vignali è: «il capitale umano è la sintesi di educazione e istruzione. Non solo istruzione, quindi, perché l’istruzione è fondamentale in quanto dà gli strumenti, sapere e saper fare, ma non interviene sulla personalità nel suo complesso, saper essere. Il senso di responsabilità dipende invece dall’educazione che è opera della famiglia, della scuola, dell’ambiente sociale». Inevitabile che, da questa idea, discenda un modo differente di interpretare, e quindi di concepire, la dimensione produttiva. «L’uomo è il centro dell’economia – avverte l’onorevole – . Dell’economia reale. Purtroppo così non è stato per tanti decenni per le scienze economiche. La scuola economica più affermata nel Novecento, che ha più condizionato anche le politiche economiche dei Paesi occidentali, quella nata da J. M. Keynes, è stata la por-
Raffaello Vignali
tatrice di una concezione fondata sulla riduzione dell’uomo a “homo oeconomicus”. E, quindi, su una cultura che riduce l’economia a un universo matematico-meccanico in cui l’attività economica diventa solo la somma di aggregati quantificabili (Pil, consumi, investimenti) e la persona diviene una mera unità sociale, ridotta alla sola dimensione del consumo, che reagisce semplicemente al cambiamento delle condizioni combinate con gli istinti economici». Del resto, sottolinea Vignali, «il grande Roepke, caposcuola dell’economia sociale di mercato e ispiratore delle politiche che hanno portato alla rinascita economica della Germania del secondo Dopoguerra, denunciava con forza questo “tradimento” operato dagli economisti, ridotti ad “alchimisti di algoritmi”. La crisi economica attuale, del resto, non nasce forse da questo tradimento? Con gli algoritmi finanziari si è creduto di sviluppare economia e, invece, è stata solo creata una bolla artificiosa, di cui tutto il mondo paga il conto».
Va da sé che la recente crisi sarebbe stata diversa se vissuta e risolta nella logica del capitale umano. «Il dramma – analizza – è che gli stessi che parlavano nei convegni del capitale umano al mattino, al pomeriggio nelle finanziarie, nelle banche agivano solo con la logica della finanza e dell’economia virtuale. Anche in molte facoltà di Economia si esaltavano le magie della finanza e si parlava con disprezzo dell’anomalia italiana, il nostro sistema di Pmi e di distretti legati all’economia reale e al lavoro, troppo arretrati per comprendere le “magie” operate dai nuovi “alchimisti”. Sono gli stessi che oggi chiedono illusoriamente più regole e più Stato. E, invece, la strada è ripartire dal capitale umano, ma come criterio reale di azione, non come slogan. È quello che ha fatto il Governo in questi mesi: mantenere vivo il rapporto di lavoro, legando gli ammortizzatori sociali alla riqualificazione delle persone». Una crescita umana è, dunque, possibile. «Nel 1992 Gary Becker ha vinto il Nobel
per l’economia proprio per i suoi studi sul capitale umano come fattore vero dello sviluppo economico – ricorda Vignali –. Il miracolo italiano è spiegabile solo con il capitale umano: il piano Marshall, pur determinante, non sarebbe stato sufficiente. Più semplice è contabilizzare gli effetti del capitale umano. Penso in particolare all’innovazione. Ma prendiamo anche il caso del Pil: esso contabilizza gli effetti del capitale umano, ci dice tutto quello che viene prodotto in un Paese, ma non dice da dove nasce». Insomma parlare di capitale umano sovverte ogni logica economica dominante. E soprattutto rimanda all’enciclica Caritas in veritate che è «il manifesto a difesa del capitale umano». LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 61
L’UOMO AL CENTRO
Sussidiarietà, nasce dal basso per il bene comune Valore costituzionale, la sussidiarietà privilegia le iniziative che nascono “dal basso” per la realizzazione del bene comune. Almeno per Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che attorno a questo principio vede una battaglia apertissima Nera Samoggia
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i tocca con mano la sussidiarietà. Chi ha bussato alla porta di una comunità di recupero oppure iscritto un figlio in una scuola paritaria sa bene quanto sia la sola benzina capace di far marciare un welfare esausto. Principio introdotto nella nostra Carta sull’onda di «un’enorme mobilitazione dal basso» trasversale, la sussidiarietà è «un fattore di costruzione sociale». O meglio, sottolinea Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, è il principio che privilegia le iniziative che nascono “dal basso”, delle persone e dei gruppi sociali, per la realizzazione del bene comune. Citando l’economista, Lester Salamon, oggi riguarda in particolare «la partnership tra Stato e privato sociale come fattore fondamentale per lo sviluppo di un paese». Un valore universale molto caro a Comunione e Liberazione. «Perché il movimento di Cl ama la libertà, la democrazia, l’espressione dell’io, di quello che nasce dal basso, anche come capacità di collaborare al bene di tutti. E questo, in termini giuridici e di storia della dottrina sociale, si chiama sussidiarietà. La stessa storia dell’Ita-
Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà
Giorgio Vittadini
Oggi la sussidiarietà riguarda in particolare la partnership tra Stato e privato sociale come fattore fondamentale per lo sviluppo di un paese
lia non è una contrapposizione tra Stato e privato, ma di università, ospedali, opere di assistenza, banche popolari, mutue e tante realtà cooperative che nascono dal basso all’interno di movimenti di ispirazioni ideali. È solo la lettura, da una parte, della sinistra statalista e, dall’altra, del Risorgimento alla Crispi (quindi di un liberismo anti religioso) che ha ridotto l’Italia a una contrapposizione tra due elementi, pur importanti, quali lo Stato e il privato che non esauriscono di certo la forza propulsiva del Paese». Questo principio ha comunque un fondamento cattolico. Papa Pio XI l’ha inserito, per la prima volta, nell’enciclica Quadragesimo anno (1931): «Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi
possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare». «Un termine della dottrina sociale codifica per lo più qualcosa che esiste. Basti pensare all’ospedale Maggiore di Milano che non è nato da un imprenditore a fini di lucro ne è del Comune di Milano, bensì dal popolo, da realtà sociali che hanno dato vita a questo grande ospedale. Ancora adesso, la Ca’ Granda è il più grosso proprietario terriero della provincia perché i milanesi hanno sempre lasciato l’eredità e le donazioni a un istituto che è di tutti, non dello Stato, del Comune, della Provincia e della Regione. La sussidiarietà dimostra come, ora a maggior ragione dopo il fallimento del welfare state e della finanza, non sia
possibile costruire una società se non si parte dal fatto che le persone guidano l’azione sociale ed economica in base agli ideali a cui si ispirano (in Italia, cattolico, socialista e liberale). Si deve quindi passare da una logica dell’ottimizzazione del profitto a quella dell’ottimizzazione di uno scopo. Solo così è possibile ad esempio garantire, nel 2010, un welfare universalistico. Ciò che l’America non riesce a realizzare e che gli stati del welfare state stanno ormai perdendo». Sussidiarietà, dunque, perno di un nuovo welfare? «Senza dubbio, del welfare mix o welfare society dove le realtà di welfare non sono solo statali o private, ma anche legate al no profit. Noi, invece, proveniamo da un mondo in cui uno deve prendere l’ospedale, la scuola, l’ente di assistenza garantito dallo Stato. Non c’è libertà di scelta. Al contrario, in Lombardia o in altre regioni sono cresciute realtà che valorizzano sia il ruolo della persona che sceglie sia quello di chi eroga il servizio. È un modus operandi che LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 63
L’UOMO AL CENTRO
L’ospedale Maggiore di Milano non è nato da un imprenditore a fini di lucro bensì dal popolo, da realtà sociali che hanno dato vita a questo grande ospedale pesca nella storia d’Italia, ma che è ultra moderno. Anzi è una delle chiavi del mantenimento di quel welfare collettivo tipico dei paesi europei cui nessuno sembra voler rinunciare». In Europa, però, la sussidiarietà pare avere un maggior peso specifico. «Dipende. In Olanda, la parità scolastica è un principio costituzionale. In Inghilterra, c’è l’idea di far incontrare domanda e offerta in mercati “regolati”. In Germania, infine, c’è una fortissima accentuazione costituzionale del ruolo della famiglia. Insomma, la sussidiarietà è declinata in vari modi». E da noi? «È una grande battaglia aperta. Perché, a fronte del fatto che è diven64 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
tato un termine molto comune, l’idea che le forze politiche accettino che le realtà sociali possano avere voce in capitolo oppure che le burocrazie accettino la stessa cosa, è tutt’altra che chiara. Basta vedere con il 5 per mille: prima si istituisce, poi non si danno i soldi per tre-quattro anni. Prima si danno principi dopodiché si torna indietro. Poi si dice che, se c’è un privato sociale che si muove, è sicuramente di malaffare. È, quindi, una battaglia apertissima perché qui c’è ancora gente che pensa che Ceauşescu sia un modello sociale. In una simile situazione, è evidente che non si vada molto avanti. Non si è ancora capito che per avere efficienza, efficacia, qualità ed equità non può essere tutto statale. Per esempio, gli
ultimi dati dell’Invalsi sulle elementari mostrano solo il 60% degli alunni risponde positivamente ai test in quinta elementare di matematica e italiano. Stiamo parlando della scuola più statale del mondo che doveva garantire uguaglianza e opportunità, ma alla fine cosa fa? A un 40% non dà un’istruzione adeguata. Si è difeso la scuola di Stato come l’unica che permetta uguaglianza e pari opportunità. Ma, in realtà, è l’opposto». Di recente avete indagato l’applicazione della sussidiarietà nella Pubblica amministrazione. Cosa emerge? «In primis, che il luogo più avanzato in cui si realizza la sussidiarietà è il Comune, soprattutto quello di piccole dimensioni. In secondo luogo, la Pubblica amministrazione, in particolare a livello comunale, interviene abbastanza bene sui servizi soprattutto quelli legati alla famiglia. Ciò avviene perché, in questo caso, il Comune è davvero sussidiario alla famiglia nell’aiutarla ad assistere l’anziano, il disabile, il malato di mente. Questo si verifica meno nei grandi centri. C’è, invece, una bocciatura quasi generale su Province e Regioni, eccettuate quelle del Nord (Lombardia e Veneto). Perché lì la burocrazia si è trasferita dallo Stato alle Regioni». Nell’ottica del federalismo fiscale: la sussidiarietà che ruolo può giocare? «Come si evince dalle prime leggi in materia, questa riforma abbuona questa fiscalità anche a favore di forme che sono partecipate a cui la Pubblica amministrazione può delegare servizi per cui non è né efficiente né efficace. Il federalismo fiscale può essere, quindi, una grande possibilità».
GIORGIO BASILE consigliere incaricato di Assolombarda per finanza, diritto d’impresa GIORGIO GRAGLIA presidente di Confindustria Varese
CONFINDUSTRIA
Gli ostacoli sul cammino della quotazione L Le imprese che decidono di intraprendere il cammino della quotazione in Borsa incontrano inevitabilmente una serie di passaggi che non sempre sono di facile attuazione. Giorgio Basile, consigliere incaricato di Assolombarda per finanza, diritto d’impresa e fisco illustra le novità
Nicolò Mulas Marcello
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a crescita dimensionale delle nostre aziende va incoraggiata e le associazioni imprenditoriali sono impegnate ad affiancare tutte quelle imprese che desiderano confrontarsi in scenari competitivi sempre più complessi che richiedono visione strategica, piani industriali solidi e importanti capitali per realizzarli». Con queste parole Giorgio Basile, consigliere incaricato di Assolombarda spiega come l’Associazione degli industriali milanesi sta lavorando per proporre strumenti che aiutino le imprese ad affrontare il tema della dimensione. Il percorso di quotazione in Borsa per molte imprese italiane, soprattutto quelle di medie dimensioni o a conduzione familiare, è visto spesso come uno scoglio dietro il quale si possono nascondere insidie, regole difficili e tanta burocrazia. Al fine di semplificare questo processo interviene l’accordo che Confindustria e Borsa Italiana hanno sottoscritto per mettere a disposizione delle imprese servizi personalizzati, mirati all’assistenza delle aziende nell’avvicinamento alla quotazione. Questo accordo è già operativo per Assolombarda. Quali sono gli strumenti a disposizione delle imprese? «Il tema di fondo è l’intenzione di accompagnare le imprese nel percorso che le porta alla quotazione. C’è una difficoltà nell’affrontare qualcosa che non è sufficientemente noto, che fa un po’ di paura e che magari obbliga al rispetto di norme impegnative. Per superare questa difficoltà in parte psicologica, in parte oggettiva, l’Associazione si impegna ad aiutare l’azienda a essere informata, guidandola poi nel dialogo con la borsa. Assolombarda in questo caso fa un po’ da “psicologo” nell’interesse dell’associato. Operativamente poi esiste uno sportello, l’Exchange Information Point, che segue tutte le fasi del processo di quotazione». La quotazione in borsa costituisce uno
L’impegno degli industriali
In apertura Giorgio Basile, consigliere di Assolombarda incaricato per finanza, diritto d’impresa e fisco
strumento di crescita per le imprese. Questo è sicuramente un elemento di competitività sul mercato. Ma qual è lo scoglio da superare? «Per le imprese italiane la diagnosi è chiara. Non si può più competere senza raggiungere una scala dimensionale di un certo livello in funzione del settore di attività o del segmento nel quale si opera. Non occorre per forza diventare grandissimi, ma quasi sempre va rivista la dimensione. Per fare questo ci vogliono capitali che solo fino a un certo punto sono ottenibili tramite il credito bancario. Occorre fare ricorso anche ad altri strumenti. Tra questi bisogna riconoscere che la quotazione in Borsa è sicuramente quello che, seppur creando dei vincoli, pur obbligando a dei comportamenti, ha due grandissimi vantaggi: massimizza la trasparenza, che nel lungo termine è un grande pregio per l’azienda perché crea molta managerialità, e lascia piena libertà all’azienda. Insomma, la borsa è uno strumento fondamentale per ottenere quelle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione di pro-
getti e investimenti di grande respiro e permette di raggiungere nuove soglie di efficienza e capacità di programmazione». In tema di patrimonializzazione delle imprese quali sono gli strumenti di finanziamento diversi dal credito bancario adatti a sostenerne i programmi di sviluppo? «Sicuramente un altro strumento importante è quello del private equity per le piccole e medie imprese. Ci sono iniziative recenti come FuturImpresa promosso della Camera di Commercio di Milano, interessante perché è un private equity dove l’investitore è guidato da motivazioni di carattere economico, ma con aspettative di ritorni certamente molto contenute rispetto a quelle del mercato ordinario del private equity. Questo è importante perché può aiutare molto le Pmi. Ma poi ci sono circa 3.000 imprese medie italiane che non sono considerate Pmi, per le quali lo strumento principale rimane quello della borsa. Purtroppo in Italia non abbiamo una diffusa cultura azionaria. Basta vedere quante imprese in Italia sono quotate rispetto all’Inghilterra, alla ❯❯ LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 73
CONFINDUSTRIA
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Non si può più competere senza raggiungere in un modo o nell’altro una scala o una dimensione di un certo livello in funzione del settore di attività o del segmento nel quale si opera
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❯❯ Germania e alla Francia. Serve un grande lavoro di sensibilizzazione in questo senso». Tornare alla crescita impone scelte strategiche e investimenti innovativi. Quali sono le strategie adottate da Assolombarda per le imprese milanesi? «Assolombarda ha iniziato a sviluppare uno strumento che è quello delle Azioni sviluppo. Ho presentato, in occasione dell’accordo tra Borsa Italiana e Assolombarda, questo strumento ideato più di tre anni fa attraverso un percorso complesso che ha richiesto l’intervento delle istituzioni e della Consob. Il presupposto logico è che ci sia una figura preposta al controllo dell’azienda. Quest'ultima emette nuove azioni che si chiamano Azioni sviluppo, che, però, non hanno diritto di voto. Nel momento in cui il soggetto che controlla non ha più questa facoltà perché non ha più il 50,1% queste azioni si convertono per statuto automaticamente in azioni ordinarie. Lo stesso accade in caso di Opa obbligatoria. Questo è importante in quanto generalmente le azioni che non hanno diritto di voto non piacciono molto perché in caso di passaggio di controllo non godono degli stessi vantaggi che normalmente hanno le azioni ordinarie. L’altra caratteristica fondamentale è che queste Azioni sviluppo portano un extra dividendo che viene fissato al momento della emissione. È uno strumento in cui crediamo moltissimo e che può essere veramente utile per la crescita delle aziende familiari». Anche gli investimenti all’estero possono costituire una base di crescita e sviluppo per le imprese. Qual è la propensione delle 74 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
aziende milanesi all’internazionalizzazione negli ultimi anni? «La propensione c’è stata ed è dimostrata da una buona tenuta delle quote. Ormai però non si può più internazionalizzarsi solo con l’export. Molto spesso non basta l’attività di esportazione, bisogna andare a produrre nei mercati di destinazione e questo sta accadendo. Ma un’altra modalità per internazionalizzarsi è quella delle reti di impresa che aiutano le aziende a ingrandirsi. In questo caso non si lavora sul capitale o sui mezzi finanziari che fanno diventare più grandi e più competitivi, ma si lavora sulla aggregazione. Alleandosi con uno o più operatori, integrandosi orizzontalmente o verticalmente, si raggiunge o per una parte delle attività o per certe funzioni dell’attività quella dimensione senza la quale il grado di competitività rimane precario».
Qui sopra, la sede di Assolombarda a Milano
CONFINDUSTRIA
Le reti d’impresa guidano lo sviluppo L’unione degli industriali di Varese pensa a un proprio programma per affrontare l’uscita dalla crisi. Il modello della rete d’impresa è uno dei progetti su cui Giorgio Graglia, presidente di Confindustria Varese, ha fondato gli interventi più importanti Nicolò Mulas Marcello
I
l 61,9% delle imprese varesine ha dichiarato di aver aumentato, nell’ultimo trimestre dell’anno 2009, la produzione rispetto ai tre mesi precedenti. Un calo invece si è registrato nell’export manifatturiero provinciale. Come ricorda il presidente di Confindustria Varese Giorgio Graglia, la crisi però ancora non è passata anche se qualche segnale di ripresa si è notato. «Come associazione di imprenditori stiamo cercando di mettere in atto azioni capaci di far crescere non semplicemente le imprese, ma tutto il sistema locale nel quale operano. Con sempre maggior frequenza stiamo proponendo un nuovo modello, quello della rete. Una strategia di attacco per non subire, ma anzi guidare, la mutazione in atto nell’economia mondiale. Cercando di aiutare le piccole e medie imprese ad essere all’altezza delle sfide alle quali sono chiamate, per continuare a interpretare quel ruolo di baluardo a difesa del made in Italy che tutti riconoscono a queste realtà».
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Quanto ha inciso la crisi economica sui bilanci delle imprese? «I bilanci delle attività produttive varesine sono stati messi a dura prova da un anno, il 2009, caratterizzato da una crisi senza precedenti. Il calo degli ordini, e con esso quello dei livelli produttivi, ha colpito duro e trasversalmente tutti i settori presenti sul territorio, a eccezione dei soli comparti a più alto contenuto tecnologico come l’aerospazio e sfiorando solo marginalmente il farmaceutico e l’alimentare. Le performance positive degli ultimi mesi, sono il segnale che dal lato della produzione il peggio è passato. Questo, però, non è sinonimo di ripresa. La crisi ora si sta spostando sul mercato del lavoro locale, mettendo sotto pressione la tenuta occupazionale in provincia. Prova ne è l’aumento, sul totale delle ore di cassa integrazione concesse, dell’incidenza della cassa straordinaria. Passata a pesare per il 44%, contro il 26% di fine 2008». Il modello su cui punta l’Unione varesina
Giorgio Graglia, presidente di Confindustria Varese
L’impegno degli industriali
PROGETTO FIGLI D’IMPRESA
A
l fine di favorire l’ingresso dei giovani nel sempre più difficile mondo del lavoro, l’associazione degli industriali di Como ha deciso di intraprendere un’iniziativa che si muove proprio in questa direzione. L’idea è quella di uno stage in Confindustria della durata di tre settimane rivolto ai figli degli imprenditori non ancora in azienda. La proposta mira a preparare i propri figli, che hanno un’età compresa tra i 18 e i 23 anni al lavoro di manager che li attenderà in futuro. Il progetto, denominato Figli d’impresa, «è nato da una riflessione sul vissuto tipico di molti figli di imprenditori, lo svolgimento dello stage nell’azienda di famiglia è infatti un anticipo della vita lavorativa. Lo scopo del corso è quello di fornire ai ragazzi nozioni base per cominciare a muovere i primi passi in azienda e imparare a conoscere il mondo economico comasco, le istituzioni, il mondo confindustriale e i suoi servizi. Spesso, purtroppo,
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temi di vitale interesse aziendale non sono fruibili nei percorsi scolastici e c’è da parte dei giovani un’assoluta mancanza di conoscenza delle realtà economiche esterne all’azienda, oltre che una limitata conoscenza dei servizi offerti da Confindustria Como, che pregiudica per molte aziende associate la possibilità di essere aiutate», spiega una nota di Confindustria Como. Gli argomenti affrontati nello stage saranno molteplici e utili per qualsiasi tipo di lavoro che i giovani coinvolti sceglieranno per il proprio futuro. Tra i temi ci sono la Costituzione, i contratti nazionali, i provvedimenti disciplinari, le organizzazioni sindacali, la selezione del personale, le buste paga, Internet, sicurezza e ambiente, rapporti con le banche, etica, comunicazione, organizzazione di meeting e viaggi di lavoro, gestione del tempo e molto altro. Lo stage si svolgerà presso la sede di Confindustria Como e sarà prevalentemente
Le performance positive degli ultimi mesi, sono il segnale che dal lato della produzione il peggio è passato
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è quello della rete. Quali sono gli esempi da seguire per quanto riguarda il distretto produttivo, quello della finanza e quello della formazione? «I tre fronti citati sono quelli in cui ci siamo impegnati negli ultimi mesi. Sul distretto produttivo, con il comitato promotore del distretto aerospaziale lombardo, siamo riusciti a riunire piccole, medie e grandi imprese del comparto intorno a un progetto orientato a impostare un’azione di crescita condivisa del settore. Nella finanza, con la società di partecipazione Varese Investimenti, costituita insieme a Intesa Sanpaolo, gli imprenditori del territorio hanno messo a disposizione proprie risorse finanziarie, e quelle delle loro imprese,
tenuto dai funzionari dell’Associazione, ma ci saranno anche interventi degli imprenditori stessi. Saranno organizzate delle visite nelle aziende associate per far conoscere dal vivo la realtà industriale comasca e non mancherà l’occasione per presentate ai ragazzi alcune personalità del mondo economico comasco, nonché gli enti economici con cui in futuro avranno a che fare.
per sostenere progetti di sviluppo di altre piccole e medie imprese della provincia. Per quanto riguarda la formazione abbiamo deciso di fare rete con il mondo della scuola, investendo nello sviluppo e nella crescita di un istituto tecnico del territorio: l’Isis Isaac Newton di Varese». Gli investimenti all’estero possono costituire uno strumento di lotta alla crisi economica? «L’economia varesina è tra le più internazionalizzate in Italia. Le nostre imprese esportano il 39,8% del valore aggiunto prodotto, contro una media nazionale del 26,4%. Per mantenere questo forte orientamento al commercio estero occorre, però, inseguire la domanda là dove c’è. E oggi i più forti incrementi si registrano dall’altra parte del mondo, nei mercati orientali ben più lontani dei tradizionali partner commerciali europei. Questo comporta, inevitabilmente, un cambiamento di strategia, soprattutto per quelle imprese produttrici di beni intermedi». LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 77
COMMERCIO
Troppa burocrazia ostacola L lo sviluppo L’inversione di tendenza c’è. Gli indicatori lo stanno confermando a Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio di Milano. «La leva fiscale è centrale in questa fase, superata la fase più acuta occorre ora dare la spinta necessaria per la ripresa» Carla Samoggia
Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio e della Camera di Commercio di Milano
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a ripresa è in arrivo. Sarà «modesta e trainata dalla domanda estera più che da quella interna», ma comunque c’è. «Gli indicatori – rileva Carlo Sangalli, presidente della Camera di commercio di Milano - ci dicono che quest’anno inizierà lentamente l’inversione di tendenza in Lombardia». Insomma il tanto sperato cambio di rotta, dopo mesi di caduta vertiginosa, si sta verificando. Certo, «permangono criticità sull’occupazione che resterà uno dei problemi maggiori con ricadute negative sul fronte dei consumi. Bisognerà, dunque, attendere alcuni mesi però prima di vedere segnali più decisi di una fine della crisi. Fino ad allora, l’attenzione va mantenuta alta». Prudente. Di più il numero uno dell’ente camerale milanese, da poco riconfermato alla guida della Confcommercio nazionale, non si sbilancia. Anche perché, secondo l’Istat, a livello nazionale nel 2009 il prodotto interno lordo italiano è diminuito del 5,1%. È stata così rivista al ribasso la stima preliminare diffusa a febbraio, che dava il Pil a -4,9%. A gennaio, rileva l’Istat, la produzione industriale nazionale ha segnato un +2,6% rispetto a dicembre 2009 e una diminuzione del 3,3% su base annua. Il sistema sembra ripartire. Quali le ricadute sul capoluogo lombardo? «Le aspettative sono importanti per il valore effettivo che esse contengono, nella possibilità di diventare realtà, anche se in una fase di crisi come quella attuale i segnali sono diversificati, discontinui, cambiano rapidamente con nuove situazioni in rapida evoluzione. Ecco perché è importante un monitoraggio continuo. La leva fiscale è centrale in questa fase della crisi, superata la fase più acuta occorre ora dare la spinta necessaria per la ripresa». Nonostante la crisi che ha colpito duro, le Pmi rimangono ancora l’asse portante
Carlo Sangalli
dell’economia lombarda e quindi di quella nazionale? «Oltre un’impresa su nove tra quelle che operano sul territorio italiano e lombardo è una piccola e media impresa. Una proporzione valida anche in una realtà avanzata come Milano che è la sede di elezione di molte grandi aziende nazionali e internazionali e che viene scelta per la propria attività da più di un’impresa italiana su venti. La piccola impresa, spesso a conduzione familiare, resta alla base del nostro sistema economico e produttivo, è la protagonista dell’eccellenza del made in Italy ed è una realtà da tutelare e sostenere nel suo processo di crescita e sviluppo». Nella bozza dell’Atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale 2010-2012, firmata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, si legge
5%
INCIDENZA Costo della burocrazia sul fatturato di un’azienda
che nella prospettiva del sostegno della ripresa economica sarà assicurato il riequilibrio della tassazione d’impresa a sostegno della competizione globale? «Credo sia importante ricordare sempre che questa grande crisi ha avuto origine negli Stati Uniti e, per effetto dell’economia globale, si è poi estesa a tutto il mondo. Per risolverla occorre, come si sta cercando di fare, un’azione concertata a livello internazionale a partire dall’America. Se non si riscrivono nuove regole e non si adottano nuovi comportamenti qualunque iniziativa sarà insufficiente e la crisi, prima o poi, si ripresenterà con effetti ancora più devastanti. L’Italia deve fare la sua parte e naturalmente Milano è in prima linea». La burocrazia da sempre è nemica delle imprese, auspicate una maggiore semplificazione degli adempimenti? 2010 LOMBARDIA • DOSSIER • 79
COMMERCIO
FISCO: LA RIFORMA IN DUE - TRE ANNI Al forum Confcommercio di Cernobbio Giulio Tremonti ha lanciato messaggi positivi sullo stato di salute della nostra economia. E riguardo al fisco ha detto: «Credo che due o tre anni sia il tempo giusto, discutendo con tutti»
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obbiamo fare la riforma fiscale, lo sappiamo: credo che due o tre anni sia il tempo giusto e discutendo con tutti». È l’impegno del governo anticipato dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti (nella foto), al Forum Confcommercio di Cernobbio. E la riforma era stata la prima richiesta della Confcommercio. «Bisogna allinearlo al sistema economico e sociale del Paese – spiega Tremonti –. L’attuale sistema fiscale è stato disegnato negli anni Sessanta e messo in legge negli anni Settanta, poi continuamente rattoppato e non so con quanta efficacia: non possiamo proseguire con un sistema vecchio di mezzo secolo». E comunque, «noi non abbiamo aumentato nessuna aliquota e non abbiamo introdotto nuove tasse: è aumentato il gettito dai giochi e quello derivato dallo scudo fiscale non è una nuova imposta», chiarisce il titolare dell’Economia. Parla anche di crisi, Tremonti. «Non potevamo fare di più – ammette – a causa del debito più alto rispetto ad altri Paesi. L’Italia ha tenuto e terrà, non c’è stata una crisi sociale come invece poteva esserci. Abbiamo fatto bene a rifiutare l’avventurismo, il deficitismo e il costruttivismo economico sperimentale che ci veniva proposto». Quindi la stoccata. «I governi hanno dato alla finanza soldi per salvarsi, la finanza usa ora questi soldi per speculare contro i governi». Per il ministro dell’Economia, comunque, «si è parlato troppo di exit strategy: il problema è il management della crisi perché nella sua configurazione, che è mutata, la crisi continua a girarci intorno». La sua idea è quella di avere regole europee sui mercati azionari e, soprattutto, per i derivati. «L’ideale sarebbe avere regole universali e generali, ma se è impossibile perché non si trova un’intesa, allora sarebbe intelligente mettersi d’accordo almeno Europa su Europa».
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«La burocrazia ha un costo elevato che per le imprese in media supera i 5.000 euro e per quelle milanesi tocca addirittura i 6.000 euro all’anno. Parliamo di spese in consulenti, ore di lavoro dedicate agli adempimenti amministrativi o fiscali, che incidono sul fatturato di un’azienda per oltre il 5%. E nel confronto europeo le nostre imprese non sono sicuramente favorite. La necessità di una maggiore semplificazione amministrativa credo sia ormai riconosciuta da tutti e in questa direzione vanno numerosi provvedimenti che a livello legislativo sono stati assunti negli ultimi anni. Le Camere di commercio poi, in quanto luogo privilegiato di ascolto delle esigenze delle imprese, sono sensibili e attive da tempo su questo tema. Dal primo aprile, ad esempio, sarà possibile aprire e chiudere un’impresa tramite una comunicazione unica, fatta alle Camere di commercio, che permetterà agli imprenditori, con una sola operazione, di mettersi in regola con tutti gli adempimenti previsti dalla legge nei confronti di camere di commercio, Inps, Inail e Agenzia delle entrate. E tutto ciò senza doversi recare fisicamente
Carlo Sangalli
Bisognerà attendere alcuni mesi prima di vedere segnali più decisi di una fine della crisi. Fino ad allora, l’attenzione va mantenuta alta
presso uno sportello, ma inviando la documentazione in modo telematico. Certo la strada della semplificazione è lunga e irta di ostacoli». È recente l’approvazione della riforma delle Camera di Commercio che, come lei ha sostenuto «contribuisce a consolidare lo sviluppo delle autonomie funzionali in una logica di rete e di valorizzazione del territorio». In quale logica si muove questo provvedimento e come cambiano i vostri compiti? «La legge che riforma le Camere di commercio è entrata in vigore il 12 marzo, anche se su alcuni temi bisognerà attendere i provvedimenti attuativi. Le novità sono parecchie, riguardano diversi aspetti sia amministrativi che di rappresentanza e si innestano su un percorso tracciato già dalla riforma del 1993. Ad esempio, ci sono elementi di novità per il Consiglio camerale che è imma-
6 mila BUROCRAZIA
È il costo, in euro, che le imprese lombarde spendono per gli adempimenti amministrativi
gine delle imprese di un territorio e che ora, dopo i rappresentanti delle associazioni sindacali e dei consumatori, accoglierà anche un rappresentante degli ordini professionali. È un aspetto importante, significa agire nell’ottica di non escludere ma di riuscire a rappresentare tutte le componenti economiche che operano su un territorio e contribuiscono al suo sviluppo. Le Camere di commercio sono poi chiamate a fare ancora più rete a livello regionale e a operare in stretto collegamento con le camere di commercio italiane all’estero. Riunite nelle unioni regionali, potranno formulare pareri e proposte alle Regioni intervenendo quindi sui temi economici più importanti e sentiti e per i quali, in qualità di casa delle imprese, sono sicuramente interlocutori privilegiati per il legislatore. Viene inoltre riconosciuta ed istituzionalizzata quella funzione di monitoraggio dell’economia locale che negli anni le Camere di commercio hanno sviluppato in modo spontaneo, fornendo chiavi di lettura importanti per la comprensione del territorio e dei cambiamenti economici e culturali che lo hanno interessato». 2010 LOMBARDIA • DOSSIER • 81
LAVORO
La crisi può diventare un’opportunità La cultura d’impresa italiana è a un punto di svolta. Ma occorre focalizzarsi con maggiore attenzione sul reale potenziale di strumenti quali l’outsourcing. I suggerimenti degli esperti, Simona Bardelli, Nazareno Tiburzi, Giuseppe Vezzaro ed Elio Luoni Carlo Sergi
L In alto, lo staff dello studio di Commercialisti Associati Tiburzi & Bardelli con sede a Milano e Legnano (Mi). A sinistra, Nazareno Tiburzi e, a destra, Simona Bardelli
a dottrina aziendalistica ha da tempo riconosciuto l’inevitabilità che l’impresa, nel corso della sua esistenza, affronti momenti di crisi, riconducibili a cause di varia natura. «La crisi andrebbe considerata, infatti, non più soltanto come evento traumatico che può causare la fine dell’impresa, ma anche come momento di riflessione e di cambiamento, fonte di opportunità». È chiara la riflessione che Simona Bardelli, commercialista e consulente del lavoro, pone a tutte quelle aziende che, purtroppo, non leggono nella crisi anche un presupposto tale su cui porre le basi per uno sviluppo futuro. «Il concetto di crisi è complesso e comprende diverse situazioni di discontinuità: una prima utile distinzione è quella tra “Decadenza aziendale” e “Crisi” – interviene nuovamente l’esperta dello studio Tiburzi e Bardelli di Legnano -. La decadenza, intesa come perdita di valore dell’impresa nel tempo, può essere in un certo senso
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vista come un passaggio fisiologico, mentre la crisi, che del declino è una degenerazione, rappresenta un fatto straordinario la cui soluzione consiste spesso in un processo di risanamento che modifica, anche profondamente, l’impresa. Oggi la crisi globale ha
Outsourcing
Paradossalmente, se il ciclo di vita dell’impresa può essere efficacemente rappresentato con una parabola, il momento di inizio della crisi coincide con l’apice del successo
fatto da acceleratore all’intero processo». Il problema riscontrato dagli esperti dello studio è che, nel sistema economico, specie italiano, non pare ancora sufficientemente diffusa una cultura della crisi tale da consentire di affrontarne per tempo l’eventuale insor-
genza. «Questa fase, infatti, può essere descritta come un processo evolutivo che, come le malattie umane, inizia da deboli sintomi ma, se non curata in tempo, peggiora. È stato fatto notare che, paradossalmente, se il ciclo di vita dell’impresa può essere efficacemente rappresentato con una parabola, il momento di inizio della crisi coincide con l’apice del successo» sottolinea Bardelli. La crisi è, invece, sempre stata vissuta come evento solo potenziale, cui l’imprenditore preferisce scaramanticamente non pensare. Facilmente, allora, gli interventi diventano episodici e di portata più rilevante, poiché la patologia non è prevenuta ma solo curata. «A livello di percezione generale, in una situazione di crisi l’attenzione e gli sforzi del top management sono concentrati in gran parte sulla gestione straordinaria e sulla sopravvivenza piuttosto che sulla gestione ordinaria e su obiettivi di continuità – evidenzia la consulente -. Anche a fronte di risultati di gestione al momento molto positivi, è quindi necessario, da subito, tenere sotto stretta osservazione una serie di indicatori e di segnali per poter giocare d’anticipo ed evitare un rapido processo degenerativo». Nell'attuale contesto economico caratterizzato da rapidi mutamenti di scenario, il primo passo per l'impresa consiste nel definire il più chiaramente possibile il proprio core business, dopo di ché l'azienda deve perseguire strategie di esternalizzazione per le LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 103
LAVORO
PERCHÉ ESTERNALIZZARE Sono molti i vantaggi derivanti dall’outsourcing. Ecco perché affidarsi a partner specializzati
L
funzioni convenientemente delegabili al-
In alto, da sinistra, Giuseppe Vezzaro ed Elio Luoni
l'esterno. L'outsourcing di processi che non aggiungono direttamente valore al business permette alle aziende di mantenere il focus sulle proprie attività, in modo da difendere la competitività, oltre a fornire molti altri benefici. «L'outsourcing più frequente in passato riguardava i servizi informatici e logistici – racconta Simona Bardelli – ma, oggi, altri due processi aziendali iniziano a ricevere molta attenzione. Quello amministrativocontabile e la gestione del personale». Un fenomeno che osserva anche Nazareno Tiburzi, commercialista ed esperto in materia fiscale e societaria. «L'outsourcing del processo contabile rilascia risorse nel core business e libera tempo per analizzare informazioni, sviluppare strategie, rispondere ai cambiamenti del business e gestirlo secondo i piani – asserisce il professionista -. Quando l'outsourcer è l'aggregazione di professionisti e tecnici specializzati, ciò è garanzia di elevati standard qualitativi nell'erogazione dei servizi e di un impegno concreto verso l’impresa». In questo caso l’esternalizzazione non solo consente all’azienda la riduzione dei costi fissi e la concentrazione sulla propria attività, ma garantisce di accedere a competenze specializzate e sempre aggiornate, in grado di analizzare una qualsiasi problematica aziendale, cogliendone
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e imprese devono potersi concentrare maggiormente sul proprio core business. Un obiettivo fruibile solo determinando un risparmio di tempo e di risorse da utilizzare in attività di alto valore aggiunto. L’outsourcing permette di ridurre i costi di gestione amministrativa, mettere a disposizione competenze difficilmente disponibili in azienda e acquisire un maggiore controllo su attività e funzioni gestionali. Non solo, si tratta di una formula che svincola dalla dipendenza verso il knowhow di singoli dipendenti. Ma, soprattutto, contro la crisi, è il fattore tempo a fare la differenza. Per questo è importante il monitoraggio costante di una serie di indicatori e segnali utili a evitare la degenerazione aziendale. E l’outsourcing, attraverso l’utilizzo di indici gestionali e di redditività, rende questo possibile. simonabardelli@studiotiburzi.it
il suo impatto in ambito normativo, contabile, fiscale e ambito giurislavorativo. Secondo Giuseppe Vezzaro, che per lo studio si occupa di tematiche legate al mondo del lavoro, «Un quotidiano monitoraggio ed esame delle timbrature aziendali permette di comprendere e quindi prevenire l’insorgenza di comportamenti devianti». Tra gli strumenti che l’esperto indica, vi sono anche analisi più evolute come il budget del personale, «uno strumento funzionalmente completo che, se correttamente utilizzato, permette di individuare gli eventuali scostamenti rispetto a quanto stimato e, quindi, di intervenire tempestivamente attuando le necessarie azioni correttive – spiega Vezzaro -. È possibile elaborare budget a scopo di direzione, per valutare preventivamente la sostenibilità economico-finanziaria di un piano strategico strumentale al raggiungimento degli obiettivi aziendali, di controllo, per il monitoraggio e la verifica dei costi per la corretta attuazione delle scelte strategiche effettuate, di coordi-
Outsourcing
Dalla crisi può nascere una nuova cultura, la cultura della ristrutturazione permanente, che monitora quotidianamente lo stato di salute dell’impresa
namento, per misurare la produttività personale o di gruppo nell'ambito della sempre più attuale gestione per obiettivi». Un outsourcing che rappresenta, da una parte, lo strumento promotore di una rinascita dell’imprenditorialità e, dall’altra, una forte professionalizzazione, attraverso la creazione di poli di eccellenza difficili da gestire e da valorizzare all’interno di piccole e grandi strutture. Secondo Elio Luoni, anche lui esperto in materia lavoro, «la crisi aziendale non è mai un evento istantaneo ma è caratterizzata da una serie di fenomeni, legati in successione cronologica. Anche se l’elemento scatenante
può essere un fatto episodico». Per questo è importante, anche a fronte di risultati di gestione al momento positivi, poter giocare d’anticipo ed evitare un rapido processo degenerativo. L’outsourcing, quindi, non rappresenta l’antidoto contro l’insorgenza della crisi di impresa, ma sicuramente un passo deciso verso la sua prevenzione. «Uno strumento prezioso e valido non solo per le grandi realtà aziendali, ma anche per le aziende medio-piccole, che rappresentano un target in cui l’outsourcing sa esprimere al meglio la sua potenzialità – spiega Luoni -. È una soluzione a costi certi e senza alcuna complicazione e onere legato al termine dell’incarico». Qualunque processo di esternalizzazione deve partecipare in modo integrato con la struttura organizzativa, i sistemi di direzione, le risorse umane e quelle finanziarie, sotto l’egida della cultura aziendale. «Alla cultura e alle competenze distintive fa appello anche la teoria cognitiva che evidenzia l’opportunità per l’azienda in crisi di ricorrere al nucleo delle competenze distintive per la difesa o la ricostituzione del vantaggio competitivo – conclude Luoni -. Da queste osservazioni può nascere una nuova cultura della crisi, la cultura della ristrutturazione permanente, che monitora quotidianamente lo stato di salute dell’impresa». LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 105
DIRITTO DEL LAVORO
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a solita polemica di un’Italia, purtroppo, sempre pronta a gridare piuttosto che agire. E se si aggiungono le elezioni sempre più vicine, il risultato è ancora più confuso. Questo, perlomeno, ciò che osserva Filippo Menichino sulle discussioni sorte circa il recente disegno di legge che introduce l’arbitrato nella materia lavoro. Il professor Treu, la Cgil e l’Anm, sostengono che si stia tentando di affossare il diritto del lavoro e l’articolo 18. «In realtà molti di quelli che si stracciano le vesti, come è uso normale in Italia, non hanno letto il farraginoso testo della legge, e quei pochi che l’hanno letto, almeno alcuni, ne fanno un uso fazioso e strumentale» afferma il noto avvocato milanese. «Tra questi la Cgil, unica tra i sindacati, che è ormai diventata un vero e proprio partito d’opposizione». Treu, però, non è certamente un sindacato. «Per quanto riguarda il senatore del Pd Tiziano Treu, ottimo e serio professore universitario di Diritto del Lavoro, questi è per formazione professionale contrario al giudizio d’equità. È noto che la materia del lavoro è disciplinata essenzialmente da norme inderogabili e risponde a un principio generale che le controversie ri-
L’Articolo 18 discutiamone Lontano dalle polemiche e decisamente più incline alla concreta analisi giuridica, Filippo Menichino riflette sull’introduzione dell’arbitrato nella materia lavoro. E ne approfitta per fare luce su quelli che l’avvocato considera “falsi miti” dell’articolo 18 Paolo Lucchi
guardanti tali disposizioni non possano essere decise da un collegio arbitrale. Tuttavia, bisogna verificare se l’arbitrato possa essere di qualche utilità. Forse è meglio per il lavoratore un giudizio equo che dura pochi mesi, ovvero un giudizio secondo diritto che dura dieci anni? Non senza considerare che anche dopo tanto tempo il giudizio potrebbe concludersi sfavorevolmente per il lavoratore. Equità non vuol dire arbitrio, ma è la giustizia del caso singolo e ciò, nella sostanza, comporta l’applicazione della legge, poiché il giudizio di equità deve rispettare i principi generali dell’ordinamento. D’altra parte i giuslavoristi dovrebbero riflettere sul perché sia così diffuso l’arbitrato in materia societaria e civile». Cosa prevede il disegno? «La norma su cui oggi si fa tanto clamore non elimina il diritto del lavoratore di far ricorso al giudice, ma prevede un procedimento alternativo, con arbitri scelti dalle parti, presieduto da professori universitari o da avvocati e che si concluderà in tempi molto brevi. Al Sud, ormai, una causa di licenziamento dura almeno due anni. È forse questo ciò che vuole il sindacato? L’arbitrato deve essere previsto dal contratto collettivo, ovvero il contratto individuale deve esser certificato da apposite commissioni presso la Direzione Provinciale del Lavoro, o presso altri autorevoli enti. E di solito le commissioni
L’avvocato Filippo Menichino all’interno del suo studio legale di Milano www.menichinoassociati.it
L’arbitrato
hanno propensioni di favore per il lavoratore e, nel caso in cui l’arbitrato sia deciso secondo equità, anche il datore di lavoro corre senz’altro un rischio; nella pratica non penso abbia interesse a ricorrere a questo genere di soluzioni e questo gli avvocati lo sanno. Tra l’altro, a distanza di pochi giorni dall’approvazione del testo in Senato, la polemica sull’art. 18 si è dimostrata sterile: le parti sociali, infatti, hanno già previsto che l’arbitrato non potrà trovare applicazione in caso di licenziamento». Ma la sorte dell’articolo 18 preoccupa molto i lavoratori, soprattutto in questi tempi di crisi. «Ormai da tanto tempo non smetto di meravigliarmi per l’ossessione mediatica da cui è contornato questo benedetto articolo 18. La norma, nata quarant’anni fa, quando non vi erano ancora i computer e neppure i fax, si calava in un contesto ove praticamente il rapporto di lavoro poteva durare per tutta la vita. Allora si poteva dire che il “posto fisso” esisteva veramente. Ormai è un decennio che il posto fisso è sparito dalla circolazione. Le grandi banche si sono fuse tra di loro con grandi esuberi di personale, la Fiat ha ridotto il proprio personale di più della metà, lo stesso hanno fatto le Ferrovie e così via. Inoltre è bene ricordare che l’articolo 18 riguarda soltanto il 25% della forza lavoro, e cioè quei dipendenti che lavoravano in aziende che occupano più di 15 dipendenti». Per cui la maggioranza dei lavoratori non è contemplata in tal senso? «Tutti gli altri, e sono la stragrande maggioranza, lavoravano in aziende che non superano la soglia fatidica dei 16 dipendenti, oppure vengono loro applicati contratti a termine, pseudo contratti a progetto, contratti di stage, altri ancora sono semplicemente in nero. Ma a ben guardare neppure i protetti dell’art. 18 possono contare per un tempo ragionevolmente lungo sul proprio rapporto di lavoro. Le aziende crescono, si trasformano e muoiono con una velocità incredibile, e così i posti di lavoro si trovano inevitabilmente ad essere soppressi».
Non riesco a comprendere perché si continui a dare così importanza nell’immaginario collettivo a una norma che sostanzialmente non tutela il “posto”
Dalla sua analisi emerge una mancanza, anche da parte dell’articolo 18, di una concreta tutela dalla crisi. «Questa è la sostanza. Poiché non è vero, non è assolutamente vero, quantomeno negli ultimi dieci anni, che il datore di lavoro non possa licenziare il nullafacente. Certo, si dovrà andare da un buon avvocato. Ma appartiene alla mitologia dell’articolo 18 che il datore di lavoro non possa sbarazzarsi di lavoratori infedeli, incapaci, o fannulloni. Di conseguenza, non riesco a comprendere perché si continui a dare così importanza nell’immaginario collettivo a una norma che sostanzialmente non tutela il “posto”. È vero, invece, che l’art. 18, in caso di
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DIRITTO DEL LAVORO
Su migliaia di casi di licenziamento dichiarato dal giudice ingiustificato, soltanto poche decine si concludono con la reintegrazione del lavoratore
licenziamento ingiustificato tende a far acquisire al lavoratore a titolo di risarcimento somme di denaro, anche importanti». Una buonuscita quindi. «In realtà, e questo è bene si sappia poiché la fonte è sindacale, al lavoratore non interessa un bel nulla della reintegrazione. Su migliaia di casi di licenziamento dichiarato dal giudice ingiustificato, soltanto poche decine si concludono con la reintegrazione del lavoratore. Negli altri casi il lavoratore vuole il risarcimento e, con una buona somma, è disposto a risolvere il rapporto». Ma a quanto può ammontare il risarcimento? «Ricordo che circa 35 anni fa per un operaio dell’Alfa Romeo, uno di quelli irriducibili, un sindacalista barricadiero spuntò dall’azienda ben sette annualità di retribuzione. E una decina di anni fa il Tribunale di Roma, in una causa da me patrocinata, condannò una Banca a reintegrare il lavoratore che dopo 25 anni di causa era ormai da un decennio in pensione. La banca avrebbe dovuto pagare 25 anni di retribuzione poiché così disponeva l’articolo 18. Il risarcimento del danno dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione. Perché queste sono le conseguenze spesso inique della legge e del malfunzionamento della giustizia. Al
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Nord ci vogliono almeno sette-otto anni per percorrere tutti e tre i gradi del giudizio; non dico al Sud, ove le cause possono trascinarsi anche per 15 anni. E se un povero datore di lavoro ha la sfortuna di vincere nei primi due gradi e perdere in Cassazione dovrà pagare sette, otto anni di retribuzione, e cioè tutto il tempo in cui il lavoratore è rimasto disoccupato. Sono conseguenze davvero inaccettabili, poiché il datore di lavoro non è in grado di controllare il rischio del licenziamento e di fare gli accantonamenti necessari. Non parliamo, poi, di ciò che pensano gli stranieri che, infatti, da tempo hanno smesso di investire nel nostro Paese». Ma la media del risarcimento a quanto ammonta? «Dipende soprattutto dalla salute delle aziende e dal giustificato motivo di licenziamento che ha in mano il datore di lavoro. In genere, direi, le aziende più piccole hanno all’incirca sei-otto mesi, mentre quelle medie o grandi si attestano sulle 12 mensilità. Sono finiti i tempi delle vacche grasse ove si offrivano sempre due anni, e alcune multinazionali anche tre». Concludendo, come si possono evitare queste distorsioni? «Cercando di attuare ciò che il professore Ichino dice da un decennio. Abolire l’articolo 18, assumere tutti, proprio tutti, a tempo indeterminato, e in caso di licenziamento assistere il lavoratore nella formazione, nell’informazione, e con un’indennità progressiva e giusta, che gli consenta di sostentarsi fino a che non abbia trovato un nuovo posto, con l’aiuto del datore di lavoro e del sindacato. In questo modo i migliori e la stragrande maggioranza dei giovani avranno il loro posto di lavoro e non saranno più le vittime innocenti delle crisi ricorrenti, come avviene oggi».
NOTARIATO
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Paolo De Martinis
I
Il notariato europeo l’esempio francese
l notariato deve sapersi necessariamente coniugare alle culture e alle discipline giuridiche dei singoli Paesi in cui è presente. I più non sanno, infatti, che all’interno della sola Europa, tra le varie nazioni si palesano importanti differenze strutturali, frutto della storia che i notariati hanno vissuto nelle varie regioni del continente. Ma, questo ormai è imprescindibile, non possiamo esimerci dall’os- Paolo De Martinis osserva da vicino i notaires di servare ciò che accade oltre confine. Le leggi, Francia. A emergere è un interessante confronto così come il mercato e, in primis, i popoli, non per lo sviluppo di un notariato europeo appartengono più solamente ai singoli Stati, ma al mondo intero. E si può apprendere molto sempre più dinamico e moderno studiando anche i nostri “vicini”. Il notaio Paolo Andrea Moscariello De Martinis osserva con vivo interesse, da sempre, le realtà notarili extra-italiane. In particolare, ha analizzato l'esempio francese. «La Francia è un Paese a cui guardare con interesse per l’efficienza dei suoi servizi» spiega De Martinis. Sotto molti aspetti, va detto, il notariato francese è simile al nostro, riferendosi a un sistema giuridico derivante dal codice napoleonico. Ma, secondo De Martinis, la differenza fondamentale tra notariato francese e italiano, risiede nella presenza di importanti figure. Il sistema francese prevede ruoli quali l’assistente notaio e il notaio salariato. Quali ulteriori risorse portano all’attività notarile? «In Francia esiste la figura del cosiddetto “clerc de notaire” abilitato, cioè dell’assistente notaio autorizzato a dare lettura degli atti e a raccogliere le firme delle parti. La cosa interessante è che il notariato francese, introducendo questa figura nel 1973, ha aumentato la capacità di ricevere atti valorizzando risorse interne alla categoria. In realtà l’atto è definitivo e valido solamente quando viene firmato dal notaio, ma può essere redatto dal clerc abilitato, le cui funzioni vengono ovviamente esercitate sotto la responsabilità e la direzione del notaio. Il clerc è poi responsabile, oltre che civilmente, anche In apertura, il notaio Paolo De Martinis all’interno del suo studio di Milano paolo.demartinis@studiodemartinis.it penalmente del proprio operato». Sicuramente in Italia l'accesso al notariato è molto difficile: richiede anni di studio e il
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NOTARIATO
VISTO DA VICINO: IL CLERC ABILITATO superamento di un concorso molto selettivo.
Cosa accade, invece, in Francia? «Per l'accesso alla professione di notaio è richiesta la cittadinanza francese, un'età minima di 25 anni, il possesso di un certificato penale senza condanne e l'inesistenza di sentenze di fallimento o di provvedimenti di liquidazione giudiziaria a proprio carico. Esiste il numero chiuso dei notai, o meglio, delle sedi notarili ed è pertanto possibile ottenere la nomina a notaio solo in uno di questi cinque modi: esercizio del diritto di presentazione da parte di un notaio che intende ritirarsi dalla professione; nomina in un posto di notaio creato ex novo o vacante; per l'Alsazia e la Lorena concorso notarile; partecipazione in una società civile professionale; assunzione della qualifica di notaio dipendente». Dunque più possibilità di accesso rispetto all’Italia? «Va tenuto conto che, oltre alla via universitaria, in Francia si può accedere alla professione anche in altre due modalità. La prima presuppone il possesso del diploma di laurea e l’ingresso in un Centro di Formazione Professionale. Una volta superato l’esame finale si deve anche effettuare un praticantato di due anni: è questo il cosiddetto Notaire stagiare (o notaio stagista). Al termine, ottenuto il certificato di compimento dello stage, si diventa Notaire Assistant (notaio assistente). Poi esiste la cosiddetta “passerella sociale” che riguarda i dipendenti di uno studio notarile titolari di un diploma di primo assistente. Questi ultimi, infatti, dopo nove anni di anzianità professionale, di cui almeno sei come primi assistenti, possono sostenere un esame per conseguire il certificato di idoneità all’esercizio delle funzioni di notaio». Qual è il suo giudizio su quest’ultima modalità?
Il notariato francese, introducendo la figura dell’assistente notaio ha aumentato la capacità di ricevere atti valorizzando risorse interne alla categoria 212 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
L'
abilitazione può essere concessa solo ai Clercs che soddisfano le condizioni previste dal decreto numero 71-941 del 26 novembre 1971, articolo 38, e precisamente può essere abilitato solo chi è in possesso di Diploma di premier clerc (primo assistente), ovvero di Diploma Superiore del Notariato oppure chi ha sei anni di anzianità professionale. Questo periodo di sei anni può essere ridotto a due anni per i titolari di laurea in giurisprudenza (maitrise en droit). Il diploma di premier clerc (primo assistente) viene rilasciato da una delle diciotto scuole di notariato (centri di formazione per la professione di notaio, detti anche in sigla CNEPN) dislocate in tutta la Francia dopo due cicli di due anni ciascuno. I centri di formazione (CNEPN) sono considerati scuole private di utilità pubblica e, sotto il controllo del Guardasigilli, sono sostenute e promosse dal Consiglio Superiore del Notariato che vi impiega tempo e risorse. Il clerc abilitato non ha la facoltà di ricevere gli atti per i quali nel sistema giuridico francese è necessaria la presenza di due Notai, quali gli atti di donazione tra vivi, i testamenti, le convenzioni matrimoniali e loro modifiche, gli atti di riconoscimento di filiazione e di consenso all'adozione, nonché gli atti di consenso dei genitori o dei nonni al matrimonio e quelli espressamente esclusi nell'abilitazione.
«Si tratta di un percorso definito, a ragion veduta, “passerella sociale”, permettendo di giungere alla nomina di notaio senza essere in possesso di un diploma di laurea in giurisprudenza. Anche se ogni anno conseguono il certificato di idoneità non più di una dozzina di persone in quanto l'esame finale è molto selettivo, mi lascia perplesso perchè l'università insegna - o almeno dovrebbe insegnare - la ricerca, la possibilità cioè di reperire informazioni mediante la consultazione di testi, ricerca che nella vita professionale di un notaio, così come di qualsiasi professionista, è fondamentale. Indubbiamente la figura dell'assistente notaio abilitato consente al notariato francese di valorizzare la professionalità dei collaboratori, molto spesso giovani, seppur nell'ambito di un sistema che ha nella regola del numero chiuso uno dei suoi cardini principali. È una valorizzazione che inizia con la formazione dell'assistente notaio attraverso i corsi svolti dalle scuole notarili, che sfocia poi nella possibilità di delegare alcune
Paolo De Martinis
SOTTOSCRIVERE UN MUTUO: PERCHÉ IN FRANCIA È PIÙ SEMPLICE Garanzie e maggiori flessibilità nell’esercizio delle stipule, svincolate dai limiti degli istituti di credito
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funzioni ai primi assistenti abilitati, sino a giungere a una protezione sociale particolare che riguarda tutti i dipendenti dei Notari. Dal 1937 esiste infatti la cassa pensione e previdenza dei dipendenti dei Notai (Caisse de Retraite et de Prévoyance des Clerc et Employés de Notaires) che assicura i dipendenti nel ramo vecchiaia, malattia, maternità e invalidità». Prima ha accennato anche alla figura del “Notaio dipendente”. «Si tratta di un’idea che risale al 1990. Il notaio dipendente conserva la sua qualifica, ma, una volta nominato dallo Stato e dopo avere giurato, può esercitare pienamente la funzione solo nello studio notarile del quale è membro. Deve così riuscire a conciliare l’indipendenza necessaria alle sue decisioni con la subordinazione derivante dal contratto di lavoro. Inoltre può esercitare solo all’interno dello studio in cui è stato assunto, non può ricevere clientela personale. Esiste lo statuto del notaio dipendente che deve attenersi alla disciplina ed alla
aolo de Martinis osserva come, anche per la sottoscrizione dei contratti di mutuo, il sistema francese sia particolarmente interessante. «La somma relativa al mutuo, infatti, deve essere già nella contabilità del notaio prima di sottoscrivere l'atto, per cui vengono meno i presupposti per effettuare fisicamente l'atto fuori sede, ossia in banca». Cosa che invece avviene in Italia, ove vi è la necessità di predisporre e, contestualmente alla sottoscrizione dell'atto di vendita normalmente collegato a quello di mutuo, consegnare gli assegni al venditore. «In Francia il venditore in ogni caso non avrà il pagamento del bene venduto se non dopo che il notaio avrà espletato le formalità preliminari di registrazione, per cui non vi è alcuna ragione di ricevere l'atto presso gli Istituti di credito, svincolando in tal modo la stipula degli atti dagli orari di apertura degli sportelli bancari» spiega il notaio. Né le banche avvertono la necessità di avere, così come da noi, un funzionario che intervenga al mutuo in quanto ogni atto è assicurato mediante la Garanzia Collettiva. «Infatti, per coprire tutti i rischi, il notariato francese ha creato sia delle Casse Regionali di Garanzia, le cui risorse finanziarie sono fornite da contributi a carico dei notai a seconda della zona considerata, sia una Cassa Centrale di Garanzia, le cui risorse sono fornite da contributi a carico di tutti i notai di Francia. Così in caso di danni a un cliente da parte di una notaio, nell'esercizio delle sue funzioni, la copertura finanziaria è garantita dalla compagnia di assicurazione, in quanto la sottoscrizione della polizza per il rischio di responsabilità civile professionale da parte del singolo notaio è comunque obbligatoria, e dalla Cassa Regionale di Garanzia. In subordine dalla Cassa Nazionale di Garanzia ed ancora infine, quale ultima risorsa, viene risarcito dall'insieme di tutti i notai francesi, solidali tra di loro».
deontologia della categoria». Quindi vi sono notai titolari e notai dipendenti? «Esatto. Uno degli aspetti più interessanti nel sistema francese è dato dal fatto che lo studio notarile, sia esso in forma singola o inteso come studio associato, ha un valore patrimoniale, per cui deve essere acquistato da un Notaire Assistant, un notaio assistente. La gestione dello studio notarile è sicuramente complessa e di questo fatto ne è consapevole il legislatore francese, tanto da aver istituito con un decreto del 2007 un corso di formazione sulla gestione di uno studio notarile LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 213
NOTARIATO
prima di essere nominati notai individuali o
associati. Se non si ha, dunque, una propensione all'impresa, si preferisce la nomina come notaio dipendente». E se uno intende passare dallo stato di notaire salarié a quello di notaio titolare di uno studio? «In tal caso deve versare al precedente titolare o all’associato che gli cede le sue quote un prezzo corrispondente al valore della sede. Taluni sostengono che la patrimonialità riservi l’accesso alla professione notarile ai soli privilegiati dalla sorte. Ma la possibilità di diventare un notaio che esercita come lavoratore dipendente smentisce questa affermazione. Inoltre la professione facilita il finanziamento dei prezzi di cessione, un tempo attraverso prestiti agevolati da parte della Cassa centrale di garanzia e attualmente mediante l'erogazione di finanziamenti molto vantaggiosi concessi dalla Cassa depositi e prestiti». Da questa analisi risulta un quadro decisamente interessante: accessibilità alla professione nonostante il numero chiuso, valorizzazione dei collaboratori, tutele previdenziali. Quello francese potrebbe fungere da guida per il notariato europeo? «Per tutte queste peculiarità il sistema francese è estremamente interessante. Valorizzare i giovani ritengo sia una priorità per tutti i paesi civili. Proposte in tal senso, che andrebbero tuttavia valutate anche in relazione alla diversità dei contesti in cui si opererebbe, per quanto concerne il nostro ordinamento notarile, non possono che essere avanzate dal Consiglio Nazionale del Notariato. Per la verità, una proposta di avvicinamento del nostro sistema a quello francese, volta a riconoscere ai nostri praticanti notai alcune delle funzioni notarili così come avviene per i primi assistenti francesi, per quanto mi consta è stata recentemente avanzata dalla Fondazione Giovani Civilisti Europei». Cosa pensa della nomina di Roberto Barone alla presidenza del Consiglio del Nota214 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
Il sogno, raggiungibile anche se non in tempi brevi, resta per tutti i notai europei l'atto paneuropeo, cioè un atto notarile con validità continentale
riato dell’Unione Europea? «La nomina del notaio Barone conferma l'alta considerazione a livello internazionale, e non solo europeo, riposta verso il notariato italiano. Sicuramente i temi principali sui quali i notai europei, e quindi anche il nostro presidente, concentreranno la loro azione saranno la circolazione degli atti autentici in Europa attraverso il riconoscimento reciproco e la loro libera circolazione, l'adozione del certificato successorio europeo e l'accesso al diritto in materia transfrontaliera in particolare mediante lo sviluppo della rete notarile europea (RNE). Il sogno, raggiungibile anche se non in tempi brevi, resta l'atto paneuropeo, cioè un atto notarile con validità continentale».
SANITÀ
Malattie rare, serve la legge Sensibilizzare società e politica sull’importanza di una legge quadro sulle malattie rare. Istituire la figura del chirurgo senologo specializzato nella cura del tumore al seno. Vigilare sul delicato rapporto tra media e minori. Sono alcune delle istanze portate avanti dalla deputata Mariella Bocciardo Francesca Druidi
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n Italia sono oltre 400 le malattie rare censite, ma in realtà si parla almeno di diverse migliaia di patologie esistenti, che colpiscono nel nostro Paese circa un milione e mezzo di persone. Facile rimarcare il fatto che si tratti di un dramma umano e sanitario per chi ne soffre e per i familiari. Meno semplice è, invece, mantenere alto l’interesse, e l’ammontare degli investimenti, attorno alla questione. Prima firmataria di una proposta di legge in favore della ricerca sulle malattie rare e della loro cura è Mariella Bocciardo, vice coordinatore regionale Pdl Lombardia, che sollecita da tempo una rapida conclusione dell’iter legislativo in Senato di un altro disegno di legge sulle patologie rare presentato da Antonio Tomassini, pronto a essere modificato e arricchito grazie anche al contributo della deputata del Pdl. Il 28 febbraio si è svolta la Giornata mondiale per le malattie rare. Quando prevede che il disegno di legge in materia riesca a proseguire il suo cammino? «La Commissione potrebbe mettere in calendario quanto prima la discussione sulle varie modifiche che sono state presentate. Mi risulta che tutto il materiale, ossia testo di legge, proposte di modifica e previsioni di spesa, sia ora sul tavolo del ministro Fazio, che si consulterà con il ministro dell’Economia per avere semaforo verde. Mentre il disegno di legge era fermo al Senato c’è stata, comunque, un’ampia attività di analisi e verifica delle proposte di legge, mia e del senatore Tomassini, da parte di tutti gli as234 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
Sotto, Mariella Bocciardo, vice coordinatore regionale Pdl Lombardia e deputata
sessori regionali alla Sanità, che a loro volta hanno proposto delle modifiche importanti. Il consenso delle Regioni su questa materia è decisivo. Il fatto che gli assessori siano riusciti a trovare un accordo rappresenta un punto a favore dell’imminente ripresa dei lavori sulla proposta di legge in discussione al Senato». Quali sono i punti cardine della sua proposta di legge, che andrà ad arricchire quella del senatore Tomassini? «Non ci sono rilevanti diversità tra i due testi sugli obiettivi da raggiungere. Si tratta, per quanto mi riguarda, di focalizzare meglio alcuni punti, che riguardano le reti di assistenza, la formazione, il ruolo delle regioni e l’istituzione del Piano nazionale delle malattie rare che, nel frattempo, l’Europa ci chiede come impegno entro il 2013». Ha depositato un ddl per istituire la figura
Mariella Bocciardo
del chirurgo senologo. Quali vantaggi porterebbe alla lotta contro il tumore al seno? «Il tumore al seno rappresenta la forma più diffusa di carcinoma femminile. Ogni anno nel mondo si registrano più di un milione di nuovi casi diagnosticati e 400 mila vittime. In Italia, si ammalano di tumore al seno 40 mila donne. La mortalità è di 10 mila donne all’anno. E recentemente è stato lanciato un allarme: negli ultimi sei anni il tumore al seno nelle giovani donne, tra i 35 e i 45 anni, è aumentato del 28,7%. Ecco perché ho presentato la proposta di legge. Il chirurgo senologo nel nostro ordinamento non esiste come specializzazione, opera all’interno di chirurgia generale. È una specie di fantasma, quando invece dovrebbe essere un protagonista. Tutti invocano l’unione in un fronte comune contro il tumore al seno. Di fronte a questo schieramento di forze, prendo atto con rammarico che nella nostra Università non esiste alcuna specialità in senologia, tanto meno in chirurgia senologica, che c’è una ca-
6-8 mila
PATOLOGIE In base a dati Uniamo, Federazione italiana malattie rare onlus, per 6.000-8.000 patologie rare, di cui il 75% colpisce i bambini, oggi non esistono cure
20 mila RISORSE
Il ministro Fazio ha dichiarato che per il 2010 saranno assegnati 20 milioni di euro alle regioni per la ricerca e l’assistenza delle malattie rare
renza strutturale di spazi chirurgici e di degenza dedicati, tranne che in alcune regioni virtuose, e che sono ancora rare le strutture che si prendono cura della paziente dal primo sospetto fino alla conclusione dell’iter diagnostico-terapeutico coordinando i vari interventi». Lei è membro della commissione Affari sociali della Camera, oltre che della commissione per l’infanzia e del Comitato media e minori. Oltre alla proposta di un sistema di classificazione del contenuto dei programmi televisivi, dove ritiene sia più necessario intervenire oggi? «Il Decreto Romani rappresenta un notevole passo avanti su questo fronte. Ma sulla tutela dei minori e, quindi, anche di quella fascia adolescenziale che va dai 14 ai 17 anni, ormai superesperta nell’informatica e nell’utilizzo del mezzo elettronico, la guerra è mondiale. Internet l’ha resa tale. Non basta intervenire con norme nazionali. Se non si affronta il problema globalmente, devo ammettere che si tratta di 2010 LOMBARDIA • DOSSIER • 235
SANITÀ
una guerra persa. Ma possiamo fare in modo
che le vittime sul campo siano le meno numerose possibili. Quindi limite di accesso a certi tipi di programmi televisivi e caccia spietata ai siti internet pornografici e a quelli che promuovono droga. Ha provato a contare i siti inneggianti alla qualità della cannabis, a quelli che alimentano il mercato della pedofilia e della prostituzione, che elogiano la violenza? C’è da rabbrividire». Ha indicato l’immigrazione come una delle
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maggiori sfide del futuro per l’Italia. Su quali aspetti il governo dovrebbe concentrare i propri sforzi? «Noi, e per noi intendo non solo l’Italia ma l’intera Europa, siamo destinati a scomparire. Nel senso che le previsioni statistiche affermano che se non si porrà freno al flusso migratorio, alla fine di questo secolo non esisteranno più italiani, non esisteranno più cittadini europei. Cambieranno culture, modi di vita, principi religiosi. Saremo un continente musulmano. L’Italia è il paese più a rischio, perché geograficamente è una porta aperta all’immigrazione. Il governo si sta impegnando veramente a fondo per rallentare, se non eliminare, questo problema. Ma non dobbiamo assumere comportamenti xenofobi. Questo è quanto di peggio possa accadere in una società occidentale che tutela i diritti delle persone. Ma il processo di integrazione deve essere basato sul principio di reciprocità. La reciprocità fu sostenuta in una lettera del cardinal Martini, dal titolo “Noi e l’Islam” che risale al 1991. Mi pare che molti se la siano dimenticata».
NUOVE TECNICHE
L’accademia che insegna la chirurgia del futuro Formazione e ricerca: è l’Aims, Advanced international mini-invasive surgery academy, diretta da Raffaele Pugliese, a capo del dipartimento chirurgico polispecialistico dell’ospedale Niguarda. Un centro innovativo nato dalla sinergia pubblico-privato con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento per l’insegnamento della “chirurgia senza cicatrici” Carla Samoggia
L
a chirurgia del futuro abita all’ospedale Niguarda. E in particolare nelle sale operatorie dell’ultimo nato tra le sue eccellenze: l’Aims, fondata e guidata da Raffaele Pugliese, direttore del dipartimento chirurgico polispecialistico dell’ospedale. L’Aims è una struttura innovativa, unica in Italia e tra le pochissime in Europa, che mira a diventare un riferimento internazionale per l’insegnamento della chirurgia mini-invasiva e, in particolare, della chirurgia senza cicatrici. Praticata da ormai 20 anni, la chirurgia mini-invasiva, spiega Pugliese, «permette di eseguire, con piccole incisioni cutanee, tutte le tipologie di interventi sia per patologia maligna che benigna». Un approccio, con indubbi vantaggi per i pazienti, ma che «risulta essere più complesso per i chirurghi a causa della complessità della tecnologia utilizzata». La sua naturale evoluzione «è la chirurgia cosiddetta “senza cicatrici”, una tecnica rivoluzionaria in cui il concetto di mini-invasività è spinto all’estremo. Infatti, passando con degli strumenti flessibili attraverso gli orifizi naturali, si può evitare l’incisione a livello della parete addomi238 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
nale. Messa a punto negli Stati Uniti, questa tecnica è stata eseguita, per la prima volta in Italia, dal nostro gruppo al Niguarda nel 2007». Quali i vantaggi per i pazienti? «Minore trauma chirurgico, più rapida ripresa post operatoria, eccellente risultato estetico, vista l’assenza di cicatrici visibili». Per la cura di quali patologie vi si può ricorrere? «Allo stato dell’arte, non sarà sostitutiva di tutti gli altri possibili approcci chirurgici, ma rappresenta
Raffaele Pugliese, direttore del dipartimento chirurgico polispecialistico del Niguarda, presidente e fondatore dell’Aims academy. Nella pagina a fianco, insieme al presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni durante l’inaugurazione della struttura
13 mln EURO
È il costo dell’Aims academy
piuttosto un’ulteriore possibilità da utilizzare singolarmente o in combinazione con gli approcci più tradizionali per il trattamento di tutte le patologie del distretto addominale e toracico sia benigno che maligno». Quali i suoi ulteriori progressi? «Dalla combinazione di questo nuovo approccio attraverso gli orifizi naturali con nuove tecnologie in sviluppo, si possono ipotizzare miglioramenti terapeutici nel campo delle lesioni neoplastiche allo stato iniziale, che richiedono resezioni ben più ampie di quelle necessarie; la stadiazione ambulatoriale di malattie neoplastiche; il trattamento dell’obesità patologica e dei disturbi metabolici, in particolare il diabete di tipo 2». Perché un’Aims academy, per di più proprio al Niguarda? «L’apprendimento di queste nuove tecniche chirurgiche e la continua innovazione tecnologica creano un enorme fabbisogno di formazione continua. Formazione e training pratico sono indispensabili per svolgere le nuove procedure chirurgiche in assoluta sicurezza per i pazienti. Perché il Niguarda? Perché è la sede ideale per implementare un tale modello formativo e di ricerca. I nostri pazienti sono la più importante risorsa e il fine più importante cui consacrare tutti i nostri sforzi di ricerca ed educazione. Un centro come questo in un contesto come il Niguarda offre la possibilità a discenti e docenti di verificare e scambiare le loro conoscenze». Quali tecnologie metterete a disposizione dei chirurghi-studenti?
«Dimostrazione di interventi in diretta dalle sale operatorie dell’ospedale Niguarda e da ospedali internazionali collegati in videoconferenza. La chirurgia in diretta ha un ruolo centrale. Sarà eseguita da chirurghi esperti internazionali e i discenti seguiranno gli interventi, avvalendosi di immagini ad alta definizione, interagendo con i chirurghi e ponendo domande che permettano di acquisire i particolari più importanti della tecnica. Inoltre, avranno a disposizione un laboratorio di esercitazione pratica (dry-lab) dove sotto la guida di un tutore, su modelli virtuali e manichini, potranno acquisire alcune delle abilità necessarie per l’esecuzione di interventi mininvasivi e, in particolare, le tecniche di sutura. Infine, in una vera e propria sala operatoria, potranno eseguire interventi chirurgici completi su modello animale, imparando a utilizzare le moderne tecnologie che poi ❯❯ LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 239
NUOVE TECNICHE
❯❯ i chirurghi in formazione andranno ad applicare
durante gli interventi sui loro pazienti. Il tutto sempre sotto la guida di chirurghi tutori esperti». Quali i partner che hanno contribuito al taglio del nastro staccando un assegno da 13 milioni di euro? «La realizzazione del centro è frutto di una collaborazione tra investimenti pubblici e privati. La Regione Lombardia, attraverso l’Azienda Ospedaliera Niguarda, ha provveduto alla realizzazione della struttura, mentre l’equipaggiamento del centro è di derivazione privata, contributo di banche e partner industriali concesso alla Fondazione Mias che gestisce il centro». Quali gli obiettivi assegnati alla struttura? «I pazienti che trattiamo nel nostro ospedale sono la nostra maggiore risorsa. E a essi sono rivolti tutti i nostri sforzi nel miglioramento del loro trattamento sia attraverso il continuo apprendimento delle nuove tecniche chirurgiche, sia attraverso la ricerca di continue nuove soluzioni tecnologiche che mirino a ridurre il trauma e che, al contempo, garantiscano sicurezza ed efficacia terapeutica. È per questo che il centro non si fermerà all’attività formativa, ma ci saranno alcuni laboratori adibiti ad accogliere ricercatori di varie discipline per portare
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Formazione e training pratico sono indispensabili per svolgere le nuove procedure chirurgiche in assoluta sicurezza per i pazienti
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avanti ricerche e sviluppo di nuove tecnologie. Un esempio già avviato è la collaborazione del nostro centro con il dipartimento di Bioingegneria del Politecnico di Milano». Sono previste partnership con altri istituti italiani o stranieri? «Assolutamente sì. L’Aims si pone come strumento al servizio della formazione e ricerca di alto livello nazionale e internazionale. L’ospedale Niguarda ospita e forma già medici specializzandi di diverse discipline, quindi l’Aims sarà la naturale estensione di questo percorso formativo. La nostra struttura si pone, però, anche l’obiettivo di essere un riferimento nello scenario internazionale e per questo motivo facciamo già parte di una rete internazionale di centri similari con i quali condividiamo metodologia di insegnamento e risorse umane e tecnologiche da destinare alla ricerca».
NUOVE TECNICHE
La nanomedicina che fa rientrare i ricercatori dall’estero Nasce il Centro europeo di Nanomedicina. A guidare il primo programma di ricerca, Francesco Stellacci, professore di Scienza e ingegneria dei materiali al Mit di Boston e a Losanna. Un “cervello in fuga” ora rientrato grazie a un progetto che vede insieme 10 prestigiosi centri di ricerca pubblici e privati e la Regione Lombardia Carla Samoggia
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rimo obiettivo: «Creare materiali nuovi, nano particelle composte di parti organiche e inorganiche, che possano servire come vettori di farmaci capaci di portare gli eccipienti solo alle parti del corpo che ne hanno bisogno. Così da minimizzarne tutti gli effetti collaterali. Essendo il corpo umano veramente complesso, dobbiamo fare tutto il necessario per essere sicuri che qualcosa che fa bene a una parte, non faccia danni maggiori da un’altra». Secondo obiettivo: «Sviluppare marcatori nuovi per rivelare con molto anticipo lo sviluppo di varie malattie». Farmaci intelligenti e “sentinelle” anti patologie sono di due filoni di ricerca su cui ci svilupperà il lavoro di Francesco Stellacci, professore di Scienza e ingegneria dei materiali al Mit di Boston e all’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna. Uno dei tanti (troppi) cervelli in fuga. E uno dei pochi (ancora troppo pochi) a rientrare almeno part time grazie alla Fondazione Centro europeo di Nanomedicina (Cen), nata su iniziativa di 10 prestigiosi centri di ri-
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cerca pubblici e privati e soprattutto della Regione Lombardia, per sviluppare soluzioni innovative per la prevenzione, la diagnosi e la cura di patologie tumorali, cardiovascolari e neurologiche. Un rientro, dunque, perché «mi è stata offerta un’opportunità competitiva a livello internazionale – spiega l’accademico –. La
Nella foto, a sinistra Francesco Stellacci, professore di Scienza e ingegneria dei materiali al Mit di Boston e all’ Epf di Losanna. A destra, Adriano De Maio, presidente del Cen
Francesco Stellacci
Regione Lombardia ha fortemente voluto creare un centro di eccellenza indiscussa sulla stessa scia dell’Ifom e dell’Ieo. E poi perché io, questo Paese, lo amo davvero. Reclutato dalla Fondazione Irccs Istituto Neurologico Besta, Stellacci (classe 1973 e già insignito di 12 premi internazionali), di fatto, dirigera’ un gruppo di ricerca nei laboratori ad alta tecnologia del Campus Ifom-Ieo (il campus di ricerca oncologica fondato nel 2007 da Ifom, l’istituto Firc di Oncologia Molecolare e dall’Istituto Europeo di Oncologia). E guiderà un team internazionale di giovani ricercatrici (le dottoresse Silke Krol, Fernanda Sousa, e Maria Pelliccia) con competenze scientifiche in più settori. «Il mio gruppo – spiega Stellacci – dovrà necessariamente essere fortemente multidisciplinare nelle competenze e nello spirito. La vera frontiera della scienza e della tecnologia del futuro è, infatti, nel far convergere tutto quello che sappiamo». Nanotecnologia è la parola chiave per comprendere il lavoro del giovane (per gli standard italiani) docente. Un ramo della scienza appli-
cata che si occupa sia della materia su scala dimensionale inferiore al micrometro sia della progettazione e della realizzazione di dispositivi in tale scala. Tecnologia piegata alla medicina. «Tutti gli attori principali della vita, dalle proteine al Dna, – ricorda il docente – sono di scala nanometrica. È ovvio che un materiale che sia sulla stessa scala può interfacciarsi con loro in modo veramente nuovo. Inoltre le nanotecnologie sono ideali per abbattere i prezzi di produzione di dispositivi complessi. E questo oggigiorno in medicina è veramente necessario». Infinite quindi le frontiere di applicazione di questa scienza tanto da «coincidere con quelle stesse della medicina». Una fusione che dà vita alla «nano-medicina che diventa uno dei tanti mezzi che usiamo per combattere il cancro, i problemi neuronali, quelli dell’invecchiamento, l’Hiv. Insomma, tutto perfino l’influenza». Un campo dove ingegneri e medici vanno a braccetto, stringendo un patto curativo. Due linguaggi differenti che imparano a dialogare. «È importante – ammette Stellacci – che nessuno si senta superiore. Trent’anni fa un fisico pensava che il dottore fosse un artigiano. E il medico pensava che il fisico fosse qualcuno che pensa solo a equazioni tanto irrisolvibili quanto inutili. Se non si cambia questo atteggiamento non si va da nessuna parte. Oggi c’è un rispetto maggiore verso tutte le discipline. Ed è per questo che abbiamo strumenti avanzatissimi negli ospedali». LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 243
CANTIERI APERTI
Servono più investimenti per le infrastrutture Quasi 18 miliardi sono stati stanziati nel 2008 dal governo in infrastrutture. Di essi più del 90% sono già stati impiegati. Ora si tenta di trovare un’ulteriore dotazione da investire. Il viceministro Roberto Castelli illustra i progetti già avviati Nicolò Mulas Marcello
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ono molti i progetti già avviati sul territorio lombardo in vista dell’Expo 2015. Come spiega il viceministro alle infrastrutture Roberto Castelli i fondi stanziati dal governo sono già stati impiegati e molti cantieri hanno già aperto i battenti. Tra questi l’autostrada Bre-Be-Mi e la Pedemontana che dovrebbero essere terminate ampiamente prima dell’evento internazionale. I tempi di realizzazione previsti, quindi, non preoccupano neanche nell’ottica di eventuali ritardi. Anche per quanto riguarda la dibattuta questione alta velocità Torino-Lione sono stati individuati i carotaggi nella speranza di uscita dalla posizione di stallo degli ultimi cinque anni. Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha dichiarato che gli investimenti in infrastrutture dal 2005 a oggi sono calati. Serve perciò una maggior dotazione di finanza pubblica? «È sempre difficile fare questi 256 • DOSSIER • LOMBARDIA 2010
conti. Noi abbiamo stanziato 17,8 miliardi nel 2008, di cui 17,4 sono già stati impiegati. Adesso il problema fondamentale è trovare un’ulteriore dotazione. La finanziaria non prevede fondi di ricarica né per la legge obiettivo né per l’Anas. Quindi occorre trovare strade alternative. Dobbiamo trovare almeno un paio di miliardi da poter investire quest’anno sulle
concessioni autostradali da mettere in gara. Quindi in questo momento è una questione finanziaria più che di norme». Lei ha dichiarato che l’alta velocità presenta lacune, dovute a errori di comunicazione. In cosa consistono? «È stato detto molte volte che noi avremmo fatto viaggiare l’alta velocità da Milano a Roma anche in due ore e tre
Sopra, Roberto Castelli, viceministro ai Trasporti e candidato al comune di Lecco
Roberto Castelli
10 mld EXPO
La somma già stanziata dal governo degli oltre 12 miliardi di finanziamenti previsti tra governo, privati enti locali
quarti, ma non abbiamo informato sufficientemente gli utenti che in una fase di avvio, cioè quella avvenuta a dicembre, sicuramente si sarebbero verificati degli inconvenienti, come capita sempre durante le fasi iniziali di un nuovo servizio. Inoltre è nevicato quindi gli utenti che pensavano di andare da Milano a Roma in meno di tre ore hanno visto accumulare almeno mezz’ora di ritardo. Problemi che oggi paiono superati perché in questi giorni si viaggia tranquillamente in tre ore da Milano a Roma». La questione sulla tratta dell’alta velocità Torino-Lione sembra essere arrivata a una posizione di stallo. Qual è
l’attuale situazione e quali sono le prossime mosse del governo? «Non lo chiamerei stallo perché anzi, è stato individuato un percorso dopo 5 anni di discussioni. Sono stati infatti individuati i carotaggi. Certo il problema grosso è che nel frattempo proprio per cercare di soddisfare il più possibile le richieste degli enti locali e degli abitanti della zona sono state fatte scelte che hanno fatto lievitare i costi da 6 a 10 miliardi. Anche qui si proporrà il problema di reperire i finanziamenti». A che punto sono i lavori per la realizzazione delle opere per l’Expo 2015? In cifre quanto ha stanziato il Go-
verno? «Qui le note sono molto liete perché degli oltre 12 miliardi che sono previsti di finanziamenti tra governo, privati e enti locali ne abbiamo stanziati circa 10. Il governo è intervenuto per oltre il 60%. Siamo nei tempi. La Pedemontana e la Bre-bemi hanno aperto i cantieri. I progetti per la M4 e la M5 sono stati registrati e sono arrivati in gazzetta ufficiale per quanto riguarda la Corte dei Conti, e proprio in questi giorni spero di definire anche la Rho-Gallarate che è un altro investimento che doveva essere di 300 milioni e che è lievitato di quasi 100 milioni per le prescrizioni ulteriori che sono servite, ma abbiamo trovato i fondi necessari. Dal LOMBARDIA 2010 • DOSSIER • 257
CANTIERI APERTI
punto di vista finanziario ab- quilli perché anche se ci fosse biamo coperto il 95% delle esigenze per cui possiamo dire che la partita più dura è stata chiusa». Il progetto per l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano è quindi partito. Come sta procedendo? «La Bre-Be-Mi ha aperto i cantieri a luglio. Sono stati già spesi nelle prime opere oltre 200 milioni. Per cui le note sono liete anche se c’è qualche problema da risolvere ma stiamo andando avanti. Come tempi di realizzazione è previsto un termine per la fine del 2012 quindi molto in anticipo rispetto all’evento dell’expo. Siamo molto tran-
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qualche mese di ritardo siamo in netto anticipo». Il 6 febbraio scorso sono partiti i lavori per la Pedemontana, in quanto tempo verrà realizzata? «La Pedemontana è un’opera estremamente complessa. Ricordo che è l’opera più importante in Europa per quanto riguarda il finanziamento dei privati. Non c’è al momento in Europa nessuna opera che preveda oltre 3 miliardi di investimenti privati. Il primo tratto dovrebbe essere concluso entro il settembre del 2014. Siamo partiti da Cassano Magnago e stiamo procedendo verso est».
Un altro progetto è quello della Tangenziale Esterna Est di Milano. Quali sono i tempi e i costi? «La Tem è ancora in fase di progettazione. Per quanto riguarda i costi sono previsti 1,5 miliardi nel progetto preliminare, il che vuol dire che nel progetto definitivo se rimaniamo sulla stessa falsa riga degli ultimi progetti che ho visto andremo sui 2 miliardi, però sono fondi che devono essere reperiti sul mercato. Non c’è nessun costo per lo Stato. L’opera dovrebbe vedere i lavori avviati nel 2011 e finire anche questi nel settembre del 2014 quindi in tempo per l’Expo».