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Un carattere combattivo
Donne e impresa
Rete e informazione tv
Gli strumenti necessari per fare emergere il merito femminile nella scelte strategiche delle imprese pubbliche e private. L'opinione di Lella Golfo, promotrice della legge sulle quote rosa che porta il suo nome
Cesara Buonamici: Le trasformazioni del giornalismo televisivo e il rapporto con la rete. “Il telegionalismo come sentinella nella giungla di notizie del web"
L'esperienza maturata alla Fondazione Mps. Le sfide su responsabilità, idee e competenze, lanciate da una nuova generazione di imprenditrici. Ne parla Antonella Mansi
Donna Leader N. 1 - Maggio 2014
Il nuovo tabloid che parla al femminile
In allegato al quotidiano il Giornale
Talento senza confini e valorizzazione delle competenze bbiamo proprio bisogno delle donne ai vertici in politica, economia e società? La domanda non è peregrina, perché ci affanniamo da tempo in Italia, più a parole che nei fatti, a dare spazio alle donne. Qualcosa migliora, ma poco cambia. Perché se le quote sono un obbligo applicato nei numeri ma non nei poteri e nelle responsabilità, se sono uno specchietto per le allodole messe lì per fare numero ma per non contare e incidere e scelte con pochi meriti, non ci siamo. La valorizzazione dei talenti, di tutti i talenti, è oggi un must delle società avanzate. Questo vale ancora più per le donne, che in Italia non hanno ancora potuto dispiegare appieno il loro contributo alla crescita del paese. Allora che fare? Molto semplice, l’unico parametro siano competenze, merito e risultati. L’unica linea guida sia che, anche per il mero interesse economico, chi decide rappresenti proporzionatamente tutti i cittadini, clienti e interlocutori (donne, giovani, anziani e persone di diverse culture), se no come può capirli, ascoltarli e vivere nei loro panni? La crescita economica e sociale ha bisogno di tutti e, ancor più ai vertici, di quelli che per il talento e la natura sono più capaci di ascoltare e dialogare con i vari target. Questo è il modo per promuovere veramente il talento femminile. E come emerge da una nostra ricerca presentata il 26 maggio a Milano nel convegno “Facciamo il Punto!”, il problema è legato a cultura e costumi imperanti, ma ancor più all’organizzazione rigida e obsoleta che le nostre istituzioni, organizzazioni e aziende hanno. Migliorare l’organizzazione delle aziende è, quindi, un must per tutti, soprattutto per poter competere nell’economia globale.
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La passione per il lavoro A 22 anni entra a far parte del cda di Standa, a 30 era vicepresidente di Fininvest, in poco tempo ha raggiunto il vertice di Mondadori. Il futuro dell'impero Berlusconi è sempre più nelle mani di Marina Continua a pag. 4
Marisa Montegiove coordinatrice del gruppo Donne manager di Manageritalia
Tornare protagonisti
Risparmi e investimenti
Sanità e welfare
Dario Franceschini: “Ecco tutti gli interventi necessari per rilanciare il turismo nel Bel Paese” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 40
Antonella Lambri: “Agli italiani vanno proposte soluzioni concrete. Gli advisor sono strategici nella gestione dei patrimoni” . . . . . . . . . . . . . . p. 16
Annamaria Cristiano: “Occorre puntare a un nuovo modello che superi la spending review. Per un sistema in favore dei pazienti” . . . . . p. 52
Attualità
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Lavoro ed Europa. I nodi da sciogliere . . . . . . p. 6
I dati sull’imprenditoria femminile . . . p. 10
La nuova mission dei telegiornali . . p. 30
Lo stile italiano nel mondo . . . . . . p. 34
Come cambia il ruolo dell’avvocato . . . . . p. 44
Lavoro, si riparte dal Jobs Act . . . . . . p. 48
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Dalla squadra di governo alle partecipate, il 2014 è l’anno delle quote rosa (sulla carta) È di certo uno degli effetti della legge sulla parità di genere, ma è anche così che si può cambiare la percezione di questi temi nella società. Ne parliamo con Lella Golfo iù donne nelle istituzioni significa un’attenzione maggiore alle problematiche femminili e alle politiche a favore dell’occupazione femminile. Non solo, “oltre ad avere effetti positivi sulla produttività, come dimostrano diversi studi internazionali, assicura un’organizzazione del lavoro che tenga maggiormente conto della conciliazione tra lavoro e famiglia”. Non è una dichiarazione di poco conto dunque quella di Christine Lagarde, direttore del Fmi, che ha etichettato l’Italia come uno dei paesi della zona Euro che incoraggiano meno la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Anche a questo serve il Premio Bellisario, a favorire il merito femminile in tutte le sue variabili. La selezione delle candidate per il Premio Bellisario è ogni anno una conferma per le tante donne preparate e competenti che hanno raggiunto grandi traguardi nel nostro Paese, per questo quest’anno sarà immancabile un focus sulle tante donne entrate nei Cda grazie alla Legge Golfo-Mosca.
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Come vede l’attuale situazione italiana sul fronte femminile? «Piena di luci e ombre. Grazie alla legge sulle quote di genere i passi avanti sul fronte di una qualificata presenza femminile nelle aziende sono stati grandi. L’esecutivo guidato da Matteo Renzi ha dato segnali incoraggianti in questa direzione: 8 donne su 16 ministri e anche in dicasteri storicamente appannaggio maschile come Difesa e Affari Esteri; tre presidenti donne - di cui due Premi Bellisario - in aziende come Enel, Eni e Poste. Al di là delle discussioni su quanto di sostanziale ci sia in queste nomine, credo che comunque daranno un contributo importante al cambiamento culturale. In Italia deve radicarsi la consapevolezza che l’apporto femminile è indispensabile per la crescita e il rinnovamento del Paese». Quando le quote rosa diventeranno obsolete? «Quando tra un candidato uomo e una donna, le aziende >>> segue a pagina 5
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Il giusto equilibrio tra professione e famiglia Una buona dose di talento, molta energia e l'armonia della vita familiare: la ricetta del successo imprenditoriale di Marina Berlusconi
ome tanti, dinanzi ai figli e soprattutto alle figlie di papà, avevo un pregiudizio (nel mio caso favorevole) rispetto al blasone, ma un non lieve dubbio sulle qualità intrinseche di Marina Berlusconi. Sbagliato. Ho scoperto che la fortuna del nome, si merita. Il nostro vero nome emerge dalle prove della vita. Marina è il nome di chi ha preso molto vento, facendosi portare al largo. Al liceo ho avuto un compagno di banco di nome Marco R., strade diverse, ma amicizia profonda. Sono i misteri affettivi. Lui si è diretto di corsa verso sinistra, facendo il professore di filosofia. Un giorno mi rivelò che aveva avuto un’allieva con una prontezza di mente, una capacità intuitiva e una grinta eccezionali al liceo di Monza dove insegnava. Era Marina B. La sua è una biografia semplice: un diploma al liceo classico a Monza, l’ingresso giovanissima nell’azienda di famiglia. Un anno fa, al quotidiano tedesco Die Welt, ha raccontato come è nata la passione per il suo lavoro: “Dovete sapere che io e mio fratello Piersilvio siamo cresciuti a pane e televisione. Molte riunioni si svolgevano direttamente a casa nostra, e tra le mura domestiche osservavamo i big della televisione, che poi diventavano stelle del piccolo schermo, a colloquio con mio padre. Una volta mio padre mi ha chiesto se volessi partecipare a una di queste riunioni. Ho esitato un attimo, poi ho preso un blocco degli appunti e ho partecipato all’incontro. Così è iniziato tutto”. A ventidue anni già faceva parte del consiglio d’amministrazione della Standa, a 30 era vicepresidente di Fininvest, in pochi anni è arrivata al vertice di Mondadori e nel cda di Mediobanca. E su una cosa non c’è dubbio, il futuro dell’impero economico dei Berlusconi è sostanzialmente e salda-
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mente nelle sue mani. È entrata, come unica italiana, nella classifica della rivista statunitense Forbes delle 100 donne più potenti del mondo e anche in quella stilata dalla rivista Fortune dedicata alle 50 donne più influenti della comunità economica internazionale, in cui è presente ininterrottamente dal 2001. È l’unica italiana anche nella lista delle 25 donne più potenti al mondo nel settore televisivo, redatta dal magazine americano The Hollywood Reporter, che premia le “manager più innovatrici che sono riuscite ad adattarsi meglio ai rapidi cambiamenti del mondo dei media”. E del resto, il Gruppo Fininvest, sotto la sua guida, negli ultimi 17 anni ha investito complessivamente circa 23 miliardi di euro e generato utili netti per un totale di circa 4,5 miliardi. Con una radicale politica di contenimento dei costi e di riorganizzazione interna, le società del Gruppo sono diventate più efficienti e hanno potuto fronteggiare le difficoltà sui ricavi e liberare risorse per nuovi investimenti. Una strategia che appare vincente, anche di fronte alla crisi di questi ultimi anni. “La crisi è stata ed è ancora durissima”, ha detto recentemente. “Se devo guardare al nostro gruppo, però, abbiamo saputo reagire bene, siamo riusciti a trovare un giusto equilibrio tra rigore e sviluppo. Da una parte grandissimo lavoro su costi ed effi-
Con una radicale politica di contenimento dei costi e di riorganizzazione interna, le società del Gruppo sono diventate più efficienti e hanno potuto fronteggiare le difficoltà
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Mela d’oro, da 26 anni un riconoscimento al talento femminile
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opo il traguardo dei suoi primi 25 anni raggiunto l’anno scorso, la Fondazione Bellisario è al lavoro per la preparazione dell’edizione numero 26 del Premio Bellisario, che celebra il merito femminile declinato in tutte le sue variabili con la consegna delle Mele d’oro nel mese di giugno. Il Premio rappresenta un osservatorio sul lavoro e sulle carriere femminili del nostro Paese e “un’autentica lobby del merito” come lo definisce la presidente Golfo. Sette le categorie classiche (manager, imprenditrici, neo laureate, internazionale, impegno ecclesiastico, premi speciali e Germoglio d’Oro) all’interno delle quali saranno scelte le donne che si sono distinte nell’imprenditoria, nel management, nelle istituzioni, nell’informazione, nelle scienze e nuove tecnologie, nella moda, arte e design, nello spettacolo e nello sport. A queste categorie, si aggiunge il premio a tre neolaureate in discipline scientifiche. Uno spazio sarà anche dedicato alle tante donne entrate nei Cda proprio grazie alla Legge Golfo-Mosca. La selezione delle candidate è ogni anno una conferma di quante donne preparate e competenti hanno raggiunto grandi traguardi di carriera nel nostro Paese. Per l’edizione 2014, la commissione esaminatrice del Premio sarà presieduta da Antonio Catricalà e composta dal presidente di Generali, Gabriele Galateri di Genola, Marco Sala, amministratore delegato di Lottomatica, Gina Nieri, consigliere d’amministrazione Mediaset, Nerio Alessandri, fondatore di Technogym, ed Elisabetta Belloni, dirigente del Ministero degli Affari esteri.
cienza. Dall'altra nessuna distrazione sul prodotto, anzi continuiamo a investire. Senza mai perdere la capacità di innovare”. Così in Mondadori, che è il suo capolavoro. Mentre le altre aziende editoriali di grande storia - vedi ad esempio la Rcs, Rizzoli Corriere della Sera - navigano in pessime acque, l’azienda di Segrate regge marinarescamente la tempesta. Tutto questo attivismo in lei ha come una sorgente segreta: l’armonia. L’equilibrio profondo tra impegno professionale e dedizione alla famiglia. Niente a che
vedere con i fantasmi crudeli del capitalismo cannibale. In una rara intervista ha raccontato: “Cerco di tornare a casa mai più tardi delle sette di sera, se posso anche prima. Per cena sempre, tassativamente. E sempre con i bambini, noi quattro insieme. Poi comincia il rito della toilette prima di metterli a letto, la lettura della fiaba serale. Quando, verso le 21.30, Maurizio e io ci ritroviamo finalmente soli, purtroppo siamo anche abbastanza sfiniti”. Sfinita lei? Sfinita una Berlusconi? Impossibile. Renato Farina, scrittore
La sede del Gruppo Mondadori, opera dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer
>>> sceglieranno in base al merito e al talento e non al genere. Quando il criterio di selezione dei dirigenti non sarà la cooptazione ma il merito. Quando essere donna e madre non costituirà una pregiudiziale. Insomma, quando il Paese avrà fatto un autentico salto culturale e le aziende non sceglieranno una donna solo perché costretti, ma avranno la capacità di valutare quanto la contaminazione di approcci e stili di leadership diversi rappresenti un valore aggiunto». Grazie anche alla legge. «Sì, ma non siamo ancora maturi; basta guardare i numeri. A differenza delle società quotate, dove abbiamo avuto un balzo di 12 punti percentuali, nelle imprese non soggette alla legge e con un fatturato superiore a 10 milioni di euro, nello stesso periodo la percentuale di donne nei Cda è passata dal 13,7 per cento al 15. L’Italia è in fase di guarigione ma la malattia non è ancora estirpata e le quote sono ancora la medicina necessaria, almeno per i sette anni in cui legge sarà in vigore». Dove serve lavorare di più perché questo accada? «Serve dare l’esempio, dimostrare che laddove ci sono le donne l’economia e la politica migliorano. E poi serve iniziare dalle famiglie e dalla scuola. C’è una grande e generalizzata, e sa-
crosanta, indignazione per l’odioso fenomeno della violenza sulle donne, ma poche volte se ne esaminano le vere radici, ovvero una radicata cultura che - nonostante i proclami di parità - continua a considerare le donne come soggetti più deboli e inferiori». Il rischio delle quote rosa può essere quello di cristallizzare le personalità femminili da cui pescare quando serve il candidato donna. «Le donne con i requisiti per accedere alle cariche di vertice delle aziende e delle istituzioni sono tantissime, le quote consentono loro di giocare ad armi pari. Finora non è stato così. Abbiamo lanciato la campagna “Curricula eccellenti”: un database 3.500 donne con esperienza rilevante in ambito manageriale, imprenditoriale, legale pronte a entrare nei Cda e nei collegi sindacali. Nel 2012, inoltre, è partito Board Academy, un ciclo di corsi gratuiti per le donne che vogliono approfondire queste tematiche e che ripartirà nei prossimi mesi. Altro che cristallizzare. Le quote offrono al Paese l’opportunità di introdurre una vera ventata di innovazione e freschezza, una nuova classe dirigente femminile pronta a dare il proprio contributo di esperienza». Teresa Bellemo
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Lavoro ed Europa. I nodi urgenti da sciogliere Il pacchetto di riforme attualmente in discussione lascia scontenta una parte del centrodestra. Mara Carfagna spiega quali temi è necessario affrontare. A partire dall’Europa all’avvio di questa legislatura, i due rami del Parlamento sono impegnati nella discussione di diversi decreti o disegni di legge, dal Piano lavoro alla riforma del Senato, dall’individuazione di una legge elettore che dia stabilità e certezza di governo alla spending review della Pa. Più altre, che il premier Renzi ha promesso agli italiani di portare alle Camere entro l’estate. Ma questa ondata di riforme non convince appieno Mara Carfagna, a cominciare dal Jobs Act: «L’occupazione aumenta – spiega la portavoce di Forza Italia alla Camera – se il Paese torna a crescere in maniera stabile e duratura. Pertanto, piuttosto che un Jobs Act, sarebbe opportuno pensare a un Companies Act, cioè un provvedimento organico per le imprese. Oggi gli imprenditori sono strozzati dallo Stato. Bisogna ricreare le condizioni favorevoli affinché si ritorni a fare impresa e investire in Italia». Per quanto le riforme istituzionali, Silvio Berlusconi ha dichiarato che se quella del Senato andrà avanti è difficile che l’Italicum sia costituzionale. Quali sono le proposte di Forza Italia sotto questi aspetti? «Forza Italia è più interessata alla qualità che alla tempestività delle riforme. Non vorremmo che si ripeta, ancora una volta e sempre dalla stessa parte, l’errore che fu commesso con la modifica del Titolo V della Costituzione. Altro discorso riguarda la legge elettorale. Deve garantire governabilità e chiarezza nella composizione della maggioranza. L’Italiacum è il frutto di un accordo valido per la Camera, esistono diverse perplessità di tipo costituzionale sul fatto che questa norma possa valere anche per il Senato. Pertanto, la questione non è stata affrontata. Se e
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quando si dovesse ravvisare la necessità di discutere sul Senato eleggibile, allora faremo le nostre opportune valutazioni». Sono sempre più coloro che affermano che questo modello di Europa abbia fallito. In cosa, secondo lei, l’Europa non funziona e quale deve essere la nuova visione di Europea? «Il dibattito non deve essere incentrato su Europa sì o Europa no, semmai su quale Europa e, soprattutto, quale Italia vogliamo. Noi chiediamo un’Italia in grado di rinnovare le proprie istituzioni per garantire maggiore governabilità - questo significa una precisa individuazione di chi è tenuto a compiere delle scelte, ovvero l’assunzione delle responsabilità - e un’Europa non più centralista, ma una comunità che aiuti, nel rispetto delle diverse identità culturali, a gestire e risolvere i problemi di un mondo globalizzato. Questo si traduce in un vero e proprio processo di integrazione politica europea attraverso l’unione bancaria, fiscale, diplomatica, militare e istituzionale». Torniamo alla politica interna. Che partito è oggi Forza Italia e come vede il futuro del centrodestra? «Forza Italia è sempre stato e sempre sarà il faro dei moderati. Stiamo vivendo una fase di rinnovamento, nonostante ciò ci presentiamo agli elettori con un progetto per l’Europa e per l’Italia chiaro e ben definito. È fuor di dubbio che una democrazia moderna possa trarre vantaggi non indifferenti se le proposte politiche si riducono a due, tuttavia in Italia bisogna ancora fare i conti con una situazione frastagliata e multicolore. Pertanto, il futuro del centrodestra non può che passare dall’aggregazione di tutte le forze che non si riconoscono nella sinistra». Nicolò Mulas Marcello
Expo, non solo Milano Le aziende di Roma e del Mezzogiorno si stanno mobilitando in vista dell’Expo 2015. Margherita Boniver illustra le finalità del consorzio Hero ero (Hub for the Expo in Rome) è un centro di raccordo tra Roma, le regioni del centro-sud d’Italia, le aziende estere e le istituzioni che saranno coinvolte dai grandi eventi ospitati dall’Italia nei prossimi mesi: l’Expo di Milano nel 2015, ma anche il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea, l’Asem, incontro tra i paesi di area asiatica e paesi di area europea previsto per il prossimo novembre, e l’ostensione della Sacra Sindone, tra aprile e agosto del prossimo anno. Hero, formato da professionisti del marketing, della comunicazione, della logistica, del turismo e del mondo legale, si pone due obiettivi fondamentali: affiancare le ambasciate nella gestione delle numerose delegazioni che verranno nel nostro Paese e fare da punto di unione tra gli imprenditori internazionali, le Regioni e i Comuni centromeridionali, agevolandone i contatti in modo da attivare collaborazioni e progetti. «La sua missione – spiega Margherita Boniver, advisor del consorzio – è quella di anticipare le esigenze, ideare proposte, facilitare i contatti e promuovere opportunità di dialogo tra tutti gli attori coinvolti, per far sì che anche le regioni fisicamente più distanti dall’evento di Milano abbiano la loro visibilità». Un evento come Expo potrà rappresentare davvero un’opportunità di rilancio per la nostra economia? «Certamente sì. L’Esposizione dovrà essere una componente cruciale del processo di ripresa del sistema Paese, ponendosi come un potente stimolo alla crescita, all’attrazione di investimenti e di flussi turistici, obiettivi riassunti nell’Agenda Italia 2015, il master plan dei progetti promossi dal governo per la piena valorizzazione delle ricadute economiche dell’Esposizione universale. Gli investimenti dei partecipanti internazionali a Expo sono stimati in più di 1 miliardo di euro. Il contributo dell’afflusso dei visitatori alla crescita del settore del turismo è stimato in oltre 4 miliardi di euro. Sui 20 milioni di visitatori attesi, il nostro Ministero degli esteri prevede che oltre 6 milioni verranno accolti con pacchetti turistici dedicati che coinvolgeranno l’intero territorio nazionale e specifiche politiche di facilitazione per la concessione dei relativi visti. Si tratta di numeri impressionanti che fanno capire la dimensione di una sfida che dovrà coinvolgere l’intero Paese». Quali eventi avete in programma nei prossimi mesi in vista di Expo? «Hero sta allestendo una serie di tour e di programmi personalizzati per i visitatori dell’Expo, coinvolgendo istituzioni sul territorio, soggetti privati, grandi eventi culturali e sportivi. Gli esempi sono già molti: Lazio, Salento, Reggio Calabria, Ischia e la costiera amalfitana, e poi i grandi festival come il Maggio musicale fiorentino, il Festival di Spoleto e l’Umbria Jazz. Sarà proposta una speciale visita fuori dall’orario di apertura dei luoghi segreti dei Musei Vaticani e un interessante tour della Napoli insolita. Ed è solo l’inizio». Nicolò Mulas Marcello
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Pari opportunità
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Conquistare le cariche e far valere le competenze Famiglia e carriera possono coesistere ma è importante, come sottolinea Marina Brogi, avere modelli femminili da emulare e consapevolezza del proprio ruolo n un suo recente intervento, il direttore del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde ha guardato con fiducia agli sforzi del nostro Paese per uscire dalla crisi, ma ha sottolineato come l’Italia non abbia incoraggiato a sufficienza la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. «In un paese che non cresce è difficile che trovi spazio una maggiore occupazione femminile - commenta Marina Brogi, professore ordinario di international banking all’Università La Sapienza -. Se i primissimi deboli segnali di ripresa dell’economia dovessero rafforzarsi, è possibile che ci siano maggiori spazi anche per le donne». Che contributo possono dare le donne allo sviluppo dell’economia e quali differenze culturali e normative tra l’Italia e gli altri paesi europei impediscono che ciò avvenga? «Sicuramente un contributo positivo, le differenze culturali e normative rispetto agli altri Paesi sono soprattutto tre. La prima è la maggiore difficoltà di conciliazione favorita in altri Paesi da specifiche normative, ad esempio di natura fiscale, più difficilmente attuabili in un paese come l’Italia con un così alto debito pubblico. In Italia tante donne lasciano il lavoro a seguito della prima maternità, e ancora di più dopo il secondo figlio, ma esistono alcuni accorgimenti, poco diffusi e privi di costi, come il telelavoro, che possono favorire la conciliazione e rendere la vita delle lavoratrici più facile. La seconda differenza è data dalla diffusione di stereotipi negativi, ancora presenti nel nostro Paese, che possono far sì che sia più raro che nell’avanzamento di carriera sia scelta una donna. La terza differenza discende dalla scarsità e minor visibilità di modelli femminili positivi da emulare». La legge sulle quote di genere quanto è stata utile e cosa manca all’Italia per vincere la sfida delle pari opportunità tra uomo e donna? «La legge Golfo- Mosca sulle quote di genere è temporanea e persegue l’obiettivo di catalizzare un cambiamento - un maggior numero di donne nei consigli di amministrazione - che era già in atto ma che senza la legge si sarebbe verificato in diversi decenni. Il bilancio è certamente positivo, le società si sono in larga parte adeguate. Se le donne entrate nei Cda sapranno dimostrare competenze e professionalità, il cambiamento durerà oltre l’efficacia giuridica della norma e si avranno nuovi modelli di riferimento. Per vincere la sfida delle pari opportunità è opportuno spostare l’accento su persone e valori». Qual è il contributo della Women corporate directors, l’associazione internazionale che riunisce consigliere di amministrazione di tutto il mondo di cui lei fa parte? E che opportunità rappresenta avere un network di professioniste con forti capacità e peso decisionale? «L’associazione si pone come obiettivo quello di diffondere le migliori pratiche di governance a livello mondiale. È un think tank che riunisce oltre 3.000 consigliere che servono in più di 5.000 consigli di amministrazione in tutto il mondo. Le società di cui sono consigliere hanno una capitalizzazione di borsa complessiva di oltre 8mila miliardi di dollari. È articolato in 62 chapter locali, inclusa l’Italia, presenti nei 6 continenti. Per diffondere le buone pratiche, Wcd oltre dare la possibilità alle socie di confrontarsi sul funzionamento dei consigli, crea un contesto internazionale in cui scambiare opinioni sulle sfide strategiche più importanti che attendono i consigli di amministrazione». Renata Gualtieri
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In Italia tante donne lasciano il lavoro a seguito della prima maternità, e ancora di più dopo il secondo figlio
Marina Brogi, professore ordinario di international banking all’Università La Sapienza
Contabilità e finanza, dove osano le manager Aumentano in Italia le opportunità di carriera per le donne che lavorano nelle direzioni finanziarie. Un segnale incoraggiante sull’impervia strada delle pari opportunità In ambito europeo solo un terzo dei manager è di sesso femminile. Lo rileva un’analisi sul numero dei top manager realizzata da Das (compagnia del Gruppo Generali specializzata in tutela legale). L’Italia occupa il quintultimo posto sul fronte quote rosa, precedendo Grecia, Repubblica di Macedonia, Lussemburgo e Cipro. Corrispondono, infatti, a poco più di un quarto del totale dei manager italiani - il 26 per cento - le donne che occupano posizioni manageriali apicali (217mila). A portare un po’ di ottimismo in
questo scenario a tinte fosche è però un’altra indagine, questa volta condotta da Robert Half, società di ricerca e selezione di personale specializzato, che ha raccolto le opinioni di 100 chief financial officer e direttori finanziari italiani. Più della metà, circa il 51 per cento, ritiene che oggi, rispetto a dieci anni fa, vi siano maggiori opportunità di crescita e avanzamento professionale per le donne che lavorano nei dipartimenti di amministrazione e finanza. Settori storicamente caratterizzati da un’elevata
presenza femminile, ma che ora vedono sempre più donne impegnate in ruoli di responsabilità. Il 74 per cento degli interpellati sostiene, inoltre, che il background amministrativofinanziario possa tradursi per le professioniste in migliori opportunità di nomina alla carica di direttore generale. Confermano questa tendenza i dati 2013 diffusi da Manageritalia: sia a livello di quadro che soprattutto di dirigenza, le donne operative nell’area amministrazione e finanza ormai superano gli uomini.
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Perché l’Italia ha bisogno di womenomics Il lavoro femminile non è soltanto un bacino di occupazione, ma anche di risorse qualificate, per questo la ricchezza del Paese passa per un loro coinvolgimento più attivo l tasso di occupazione femminile italiano è il terzultimo in Europa – prima solo di Grecia e Malta – e da anni è fermo al 46 per cento. Paola Profeta, docente all’Università Bocconi, insieme all’economista Alessandra Casarico, qualche anno fa ha calcolato che l’ingresso di centomila donne nel mondo del lavoro porterebbe a un aumento dello 0,28 per cento del Pil. Un aumento considerevole, per un numero irrisorio di occupate, e il dato è confermato anche dalla Banca d’Italia. Sottolinea Profeta: «Le donne offrono nuovi talenti diversi e complementari, i gruppi di lavoro misti sono più produttivi. Inoltre, farebbero crescere la domanda di servizi, fungendo da volano per l’occupazione addizionale». Quali sono le misure più urgenti a livello di welfare? «Il nostro welfare è basato sul capofamiglia e la spesa per la famiglia è tra le più basse d’Europa, pari solo a circa 1,5 per cento del Pil, per questo molte donne smettono di lavorare alla nascita di un figlio. È urgente quindi pensare a forme di trasferimenti o detrazione di imposta pari alle spese di cura sostenute dalle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, cominciando magari dai redditi più bassi. Queste misure andrebbero accompagnate a interventi dal lato delle imprese, in modo che convenga assumere donne. Infine, i congedi di paternità: un solo giorno è troppo poco per stabilire la cultura della condivisione e della cura dei figli». A breve ci saranno le elezioni europee. Cosa “copiare” dai Paesi membri più attenti a queste tematiche? «I paesi nordici offrono esperienze molto
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interessanti, in particolare in tema di servizi e di congedi di paternità. Anche le politiche familiari della Francia possono essere uno spunto utile». Negli anni, la modalità con cui le donne hanno occupato posizioni manageriali – quando hanno potuto – è stata quasi di intercambiabilità rispetto all’uomo. Non crede che questa mancata sottolineatura delle inevitabili differenze ne abbia fatto perdere di vista l’unicità e talvolta la maggiore forza? «Donne e uomini sono diversi e le differenze vanno valorizzate, come insegna la teoria del diversity management. Le donne hanno uno stile di leadership meno aggressivo, più volto alla soluzione dei conflitti e dei rapporti interpersonali. Certo, avere una sola donna in un contesto decisionale maschile non aiuta a far emergere le specificità femminili e quindi la ricchezza della diversità. È per questo che si parla di massa critica: per esempio, studi recenti hanno dimostrato che la presenza di almeno tre donne nei Cda migliora la performance». In Italia, le donne manager sono molto poche. Le motivazioni sono solo culturali o c’è qualcosa di più? «Si tratta di un insieme di motivazioni, sicuramente di tipo culturale e familiare, ma anche di tipo istituzionale: i risultati che osserviamo dipendono anche dalle misure e dalle politiche che mettiamo in atto. Per abbattere il soffitto di vetro che ostacola le carriere femminili dobbiamo mettere in campo azioni concrete ed efficaci. Così hanno fatto anche gli altri paesi, per esempio la Norvegia. La legge 120 va in questa direzione». Teresa Bellemo
Donne e uomini sono diversi e le differenze vanno valorizzate, come insegna la teoria del diversity management
Paola Profeta, docente di Scienze delle finanze all’Università Bocconi e autrice, insieme ad Alessandra Casarico, del saggio “Donne in attesa” edito da Egea
Protagoniste del cambiamento Ancora troppe donne rinunciano alla carriera e poche rivestono ruoli di leadership. Ma, assicura Monica Pesce, una nuova cultura è possibile attività della Professional women’s association è iniziata nel 1987 come “expat association”, per sostenere le donne straniere arrivate in Italia per lavoro e aiutarle nella costruzione di un network mirato alle relazioni sociali. Oggi Pwa si rivolge a tutte le donne, italiane e non, che considerano il proprio percorso professionale un aspetto centrale della loro vita e che vogliono essere le protagoniste di un cambiamento necessario. «Le attività chiave dell’associazione sono - ricorda la presidente Monica Pesce - il networking, che permette alle donne di allargare la propria rete; il mentoring, per trovare il supporto di donne più esperte; il rapporto con la politica, per diventare protagoniste del processo di unificazione dell’Unione Europea e sfruttarne appieno le opportunità». Che interesse dimostrano le donne per il networking e quanto si può rivelare utile nel loro percorso di crescita? «Il networking è al centro di ogni percorso di crescita. Ci permette di trovare opportunità, ottenere informazioni, sostegno e raggiungere i nostri obiettivi attraverso la costruzione nel tempo di relazioni di fiducia. Le donne sono a volte intimorite dal networking, pensando di non esservi portate, ma sono sempre state protagoniste nella gestione delle relazioni dei propri mariti. Ciò che le mette a disagio è promuovere se stesse». Quante sono oggi le donne che rinunciano alla propria carriera e quali sono invece i problemi che esse affrontano più frequentemente? «I numeri dicono che l’Italia è ancora lontana dall’obiettivo di Lisbona 2010, che ipotizzava un’occupazione femminile al 60 per cento (obiettivo raggiunto ad esempio in Lombardia). I motivi per cui le donne ri-
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nunciano alla propria carriera non sono sempre legati alla maternità, ma spesso alla condivisione della cultura aziendale e degli obiettivi della stessa. Soprattutto in posizioni di middle management, troviamo donne che lasciano l’azienda per reinventarsi un percorso professionale su misura, perché non riescono più ad accettare le logiche organizzative o magari si sentono un pesce fuor d’acqua all’interno dell’azienda». Cosa manca all’Italia per rafforzare la presenza femminile nell’economia e nella politica? E cosa ha significato la nomina di donne alla presidenza di importanti società partecipate? «Manca una cultura aziendale e politica che non veda la donna come sbagliata rispetto alle proprie esigenze, spesso percepita come emotiva, non focalizzata e dedita, e fonte di problemi perché madre. C’è bisogno di una cultura che non colpevolizzi la donna quando sceglie di lavorare e d’investire tempo ed energie nel percorso professionale. Infine, manca un welfare attento alle esigenze della famiglia, che offra servizi adeguati, a partire dagli asili nido, a un prezzo accessibile. Per quanto riguarda la nomina di donne a capo di società partecipate, è sicuramente un segnale di cambiamento che attendevamo da tempo. L’elemento innovativo è che sia arrivato dal settore pubblico, che è più lento nel recepire e fare proprie certe sfide e ci auguriamo che il mondo privato ne tragga spunto. Quello del presidente è un ruolo chiave nel coordinare le attività del consiglio di amministrazione, quindi è un segnale della caduta di alcuni preconcetti che portavano a vedere le donne erroneamente meno adatte a ruolo di mediazione e leadership». Renata Gualtieri
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Una ventata d’aria fresca Far entrare le donne nelle stanze dei bottoni può dar vita a un circolo virtuoso fatto di più meritocrazia e meno raccomandazioni. Ma la vera sfida sarà raggiungere la plancia di comando a agosto scorso la presenza minima di donne nei Cda è obbligatoria per legge e i primi effetti sono certamente evidenti: il numero di donne nei board delle società quotate è aumentato dal 7,4 per cento del 2011 al 17 del 2013, e oggi l’80 per cento delle società quotate ha in media due donne in consiglio. Prima della legge, inoltre, le poche donne presenti erano in buona parte figlie o parenti di imprenditori. Oggi, invece, la maggioranza delle donne ricopre il ruolo di amministratore indipendente, ma sono pochi i casi virtuosi dove la presenza femminile supera la soglia minima prevista. Il rovescio della medaglia, per Paola Schwizer, presidente di Nedcommunity, la società che unisce i membri non esecutivi dei Cda, è evidente: «Poche donne hanno assunto ruoli esecutivi. Ciò riflette le persistenti difficoltà nel raggiungere il vertice della struttura aziendale. In altri termini: più spazio alle donne, purché non al comando».
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Quali sono le principali funzioni dei componenti non esecutivi? «L’indipendenza di giudizio è richiesta a tutti gli amministratori. I non esecutivi, e soprattutto gli indipendenti, sono chiamati in modo particolare a presidiare l’interesse della società e i conflitti di interesse che possono sorgere tra gli amministratori esecutivi o i soci di riferimento e gli azionisti nel loro complesso». Non è raro imbattersi in Cda formati da personalità note e spesso con più incarichi. Come risolvere questa abitudine tipicamente italiana? «Se guardiamo ai dati, il numero medio di altri incarichi dichiarati dai consiglieri delle quotate è rimasto sostanzialmente invariato, attorno a 3, con un trend in discesa negli ultimi 5 anni. Restano ovviamente casi particolari: nel 2008 circa l’8 per cento dei consiglieri aveva oltre 10 cariche, fino a un massimo di 38. Nel 2013 il dato è sceso di sei punti percentuali, con punte però di 89. La soluzione al problema è duplice: regolamentare e autodisciplinarsi. A livello europeo, è stato introdotto
Paola Schwizer, presidente di Nedcommunity, la società che unisce i membri non esecutivi dei Cda
per le banche un vincolo al numero di incarichi, che andrà disciplinato dai singoli Stati, e molte società prevedono già nei propri statuti limiti al numero di cariche assumibili dai propri amministratori». “Apparato” e “salotti buoni” sono termini – non esattamente positivi – con cui ci si riferisce ai soliti noti dei Cda. E anche le donne che vengono nominate spesso fanno parte di questa cerchia. Come educare su questo fronte i giovani, la futura classe dirigente? «La cultura del merito deve prevalere rispetto a quella della relazione. L’apertura obbligata alle donne ha già rotto gli schemi perché ha imposto uno sforzo di ri-
cerca di talenti al di fuori della tradizionale cerchia del potere. Diverse società, associazioni, e persino il governo, si sono appoggiati a società di executive search nella selezione dei candidati per garantire un’identificazione di profili coerenti con i requisiti professionali richiesti. Il criterio del merito è una condizione necessaria per la competitività delle imprese, soprattutto in una fase di crisi dove la capacità di innovazione nei processi e nei metodi, ma anche l’efficienza e la produttività, fanno la differenza. Nessuno si può permettere di non investire seriamente in capitale umano di qualità». Teresa Bellemo
Dirigere è partecipazione Anche se non bisognerebbe mai generalizzare, molte delle caratteristiche tipiche delle donne sono guarda caso adatte a questo nuovo corso dirigenziale, sempre più inclusivo iuseppina Baffi è una delle leve del potere italiano al femminile. Anche se intende mantenere un basso profilo, ha iniziato prestissimo a sedere ai tavoli decisionali, soprattutto della pubblica amministrazione, e fino a poche settimane fa ha ricoperto l’incarico di presidente di Consip, la società del Ministero delle finanze che si occupa di consulenza, assistenza e supporto per gli acquisti delle ammini-
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strazioni pubbliche. La sua carriera è iniziata nel settore finanziario, dove tradizionalmente c’è una forte presenza maschile; per questo si è dovuta abituare quasi subito a partecipare a riunioni in cui era la sola donna presente. «Si percepiva un po’ di imbarazzo. Ma è possibile che si sia trattato solo di una mia sensazione. E poi forse erano altri tempi». Ma quello che conta per lei, oggi come ieri, è la responsabilità di occuparsi di questioni rilevanti
Giuseppina Baffi, dirigente del Ministero delle finanze
per il Paese, insieme a persone competenti e molto motivate. Qual è stato il suo percorso? «Scuole primarie a Fregene e secondarie a Maccarese, quindi la laurea in Statistica alla Sapienza di Roma. Dopo ho cominciato a lavorare in una società di consulenza poi, nel 1995, sono passata al settore bancario. Erano anni di profonda trasformazione, fino a quando, nel 2007, sono arrivata al Ministero dell’economia e delle finanze. Quello che ho capito è che è importante mostrare coraggio nelle proprie scelte e cogliere le opportunità che si presentano. In altre parole, saper approfittare delle “sliding doors”. Può sembrare in contraddizione con l’idea che stia a ciascuno di noi orientare la propria vita, ma è proprio così: a volte bisogna andare incontro al caso e prendere qualche rischio».
Spesso le si fa notare il cognome ingombrante. «Il confronto con il proprio padre è sempre difficile per una figlia, ancora di più se è stato una figura di spicco per il ruolo e i valori che ha espresso. Comunque mio padre è sempre stato un esempio da seguire, un costante riferimento, anche - e forse direi soprattutto - dopo la sua scomparsa, avvenuta quando avevo 25 anni ed ero all’inizio del mio percorso professionale. Spesso infatti capita che le persone dopo la loro morte, attraverso il ricordo, vengano percepite in maniera più nitida, lasciando un’impronta di sé ancora più evidente di quando erano in vita». Come si fa dunque a smarcarsi e dimostrare il proprio merito? «Per quanto non sia opportuno sottolineare i propri meriti, posso dire che mi >>>
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I dati premiano l’imprenditoria femminile «Puntare sulle imprenditrici - dichiara Patrizia Di Dio – conviene all’economia del nostro Paese. Più donne che lavorano significa più crescita» econdo uno studio di Confcommercio sull’imprenditoria rosa presentato a Palermo nel corso del primo forum nazionale di Terziario donna, le imprenditrici hanno affrontato la crisi meglio dei loro colleghi uomini. «Si assottiglia la base imprenditoriale per effetto della tremenda crisi che il Paese sta attraversando - commenta la presidente di Terziario donna di Confcommercio Patrizia Di Dio - e si registra un’emorragia di imprese, incluso quelle femminili. Ma a fronte di una diminuzione di 158mila imprenditori (-5 per cento), tra le donne le perdite sono state inferiori sia in termini assoluti (-47mila) che relativi (-3,5 per cento). Ciò ha determinato un aumento dell’incidenza delle donne, passate dal 29,8 per cento del 2009 al 30,1 per cento del 2013. Che contributo può dare l’impresa femminile per far ripartire l’Italia? «Recenti proiezioni Ocse rivelano che, se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7 per cento e il Pil pro-capite aumenterebbe di 1 punto percentuale ogni anno. Le donne costituiscono il prezioso capitale sommerso che va valorizzato per restituire all’Italia una nuova chance. Se continuerà a mancare un’adeguata valorizzazione di questo capitale, rappresentato specialmente dalle imprenditrici, sarà una perdita colossale per la nostra stessa economia».
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Più l’economia diviene concorrenziale, più le caratteristiche femminili verranno utilizzate >>> sono sempre impegnata a fondo in ciò che ho fatto. Non ho mai cercato di evitare le responsabilità e questo è stato sempre apprezzato. Comunque se una persona vuole ferirti, può dire che hai un ruolo perché sei “figlia di”. Chi mi conosce bene sa però con quanto impegno affronto le mie giornate, sacrificando molto della vita privata». Prima delle nuove nomine nelle partecipate statali le donne ai vertici della
pubblica amministrazione erano molto poche. «In realtà nella pubblica amministrazione c’è un certo bilanciamento tra uomini e donne già da tempo, anche se la situazione può migliorare ancora. Posso portare come esempio la mia esperienza al Ministero dell’economia e delle finanze, dove sono molte le donne dirigenti che ricoprono ruoli di grande responsabilità. Il problema è invece tuttora riscontrabile nelle società partecipate, anche se molto si sta facendo grazie alla Legge Golfo-Mosca». Quali sono gli assi nella manica che le donne possono giocare nei ruoli di comando? «Le donne hanno innate capacità psicologiche che spesso mancano nell’uomo. È ormai indubbio che governare non vuol dire comandare, ma portare una persona a condividere un progetto. E poi la curiosità per le persone, la capacità di ascolto, l’inclinazione alla mediazione e la minore tendenza alla ricerca del potere in senso stretto. Aggiungo il senso di riconoscenza, tipico delle donne. Più l’economia diviene concorrenziale e più questi assi nella manica verranno utilizzati, per questo alcuni pensano che si possa parlare di un’economia femminile. Detto questo, non c’è bisogno di dire che ogni generalizzazione ha i suoi limiti e che le qualità normalmente prescindono dal sesso delle persone». Teresa Bellemo
Quali doti, competenze e idee delle donne risultano vincenti? «I dati ci dicono tutto della capacità dimostrata dall’imprenditoria femminile di affrontare e gestire l’attuale e difficile fase economica con intelligenza, lungimiranza e determinazione. Donne coraggiose che hanno scelto la strada dell’impegno imprenditoriale, portatrici di una fiduciosa volontà di cambiamento a livello sia personale che economico-sociale: è esattamente ciò di cui il nostro Paese ha oggi bisogno». Dall’osservatorio del credito di Confcommercio è emerso che le donne hanno più difficoltà nell’acceso ai finanziamenti. Come concentrerà il vostro impegno in tal senso? «Ci stiamo battendo affinché l’accesso al credito per le donne sia più adeguato e con costi migliori rispetto allo standard, visto che è dimostrato che le imprese femminili sono più solvibili a dispetto dell’atteggiamento di pregiudizio latente che le dipinge come fragili e più rischiose. Un segnale positivo potrebbe arrivare dal protocollo d’intesa fra Ministero per lo sviluppo economico, Dipartimento per le pari opportunità e Abi, Confindustria, Rete II e Alleanza delle cooperativa italiane per favorire il rapporto fra le banche e le imprese femminili che dovrebbe essere sottoscritto a breve». Renata Gualtieri
Patrizia Di Dio, presidente Terziario donna di Confcommercio
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Le mie sfide e quelle della mia generazione Un’esperienza forte che l’ha messa alla prova. Antonella Mansi racconta i mesi alla guida della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. Tra rischio e responsabilità l braccio di ferro tra i vertici del Monte dei Paschi di Siena e Antonella Mansi, da settembre alla guida della Fondazione Mps, sui tempi della ricapitalizzazione della banca, rinviata a maggio, ha evidenziato il carattere combattivo della manager grossetana, chiamata a mettere in sicurezza la Fondazione senese. Oggi, a obiettivo raggiunto, Antonella Mansi ha annunciato di non volersi ricandidare al termine del mandato in scadenza a giugno. Aveva preventivato uno scenario così duro? «Sinceramente no, anche se sono stata coinvolta nella Fondazione Monte dei Paschi nel momento più difficile della vita dell’ente, che presentava una posizione debitoria e complessiva piuttosto critica. I primi due-tre mesi di lavoro, parallelamente all’annuncio dell’aumento di capitale fatto dopo il nostro insediamento, hanno rivelato una realtà ben più complicata rispetto a quella che si poteva cogliere dall’esterno, sia in termini operativi che di contesto generale. Era uno scenario non preventivabile nel momento in cui ho deciso di assumere la carica. Ma è andata». Forse si aspettavano da lei un ruolo più defilato. «Sono stata investita di un incarico e mi sono presa le responsabilità conseguenti. Sono un manager d’azienda e non conosco altre strade. Cerco di tenere fede sino in fondo alle mie responsabilità: è stata una strada perigliosa e in salita e, comunque, il confronto fa parte del lavoro. Dobbiamo smitizzare l’elemento polemico perché ritengo che, al di là della chiarezza dei toni, questo tipo di dinamica - che è tipica delle aziende - sia uno strumento di lavoro indispensabile per prendere le decisioni con la necessaria consapevolezza, soprattutto quando ci sono in gioco interessi estremamente ampi e importanti». Cosa ha rappresentato la guida della Fondazione Mps nella sua storia di imprenditrice? «Questi ultimi sette-otto anni sono stati particolarmente importanti per la mia formazione umana e professionale. In questo tipo di percorso si impara molto; però molto si forgia
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Donne al vertice
Antonella Mansi, manager e vicepresidente di Confindustria
a partire dal carattere e un ruolo decisivo lo svolgono le relazioni umane e le alchimie che si creano nei gruppi di persone. Quello che ho vissuto negli ultimi mesi, per la Fondazione e con la Fondazione Mps, si può certamente definire un’esperienza straordinaria, letteralmente fuori dall’ordinario per tanti motivi. È l’esperienza in cui ho potuto e dovuto mettermi in discussione in maniera profonda. Io ci ho messo la faccia e questo ha comportato una buona dose di rischio personale. Le cose sono andate bene ed è quindi più semplice oggi parlare di questa esperienza in termini positivi. C’è poi l’aspetto piuttosto bello di aver creato un gruppo che ha lavorato per la Fondazione con la determinazione e la convinzione necessarie a vincere una sfida di certo non popolare». «La mia generazione è quella che deve raccogliere le macerie», ha dichiarato. Per rompere con il passato, conta davvero il dato anagrafico? «L’anagrafe non è di per sé un valore. Si tratta di essere con-
Antonella Mansi, Emma Marcegaglia e Federica Guidi. Tre manager accomunate dall’attività nelle imprese e società di famiglia, rispettivamente Nuova Solmine, Gruppo Marcegaglia e Ducati Energia, e dall’intenso impegno in Confindustria. Tre donne che occupano un ruolo di primo piano nella vita politica ed economica del Paese. Antonella Mansi lascerà la Fondazione Mps dove era approdata lo scorso settembre; è stata alla guida di Confindustria Toscana dal 2008 al 2011 ed è vicepresidente nazionale dell’associazione confindustriale con delega all’organizzazione. Past president di Confindustria nazionale, prima donna a ricoprire questo incarico dal 2008 al 2012, Emma Marcegaglia è stata recentemente nominata presidente dell’Eni. Federica Guidi, attuale ministro dello Sviluppo economico del Governo Renzi, ha guidato i Giovani Imprenditori di Confindustria sia a livello regionale (Emilia Romagna) che nazionale.
temporanei alle sfide che la vita ci pone davanti. E la mia generazione oggi di sfide ne deve cogliere molte, in primis quella della responsabilità. Tendo però a restare libera da elementi di discriminazione sia anagrafici che di genere. A fare la differenza sono le persone». La valorizzazione delle capacità femminili è un tema che va affrontato in Italia? «Si sta raggiungendo la consapevolezza che donne e anche giovani – categoria poco rappresentata nel nostro paese – costituiscono elementi di valore da cui attingere risorse, idee e competenze. Nel mio percorso ho conosciuto tante donne di grande valore e la recente tornata di nomine delle società partecipate ha dato segnali importanti. Resta però ancora della strada da fare. Il merito rimane prioritario, a maggior ragione in una fase così complicata per il nostro paese, che ha bisogno di tutti i suoi migliori talenti senza barriere all’entrata. L’importante è che non vi siano discriminazioni». È vicepresidente di Confindustria. Cosa significa per lei la militanza nell’associazione? «Non la definirei una militanza, ma un’appartenenza. Dare il mio apporto al sistema della rappresentanza non è un lavoro, ma un servizio. Confindustria ha contribuito alla mia formazione. Ho dato molto perché credo profondamente in quella che, prima di tutto, è una comunità di valori: merito, concorrenza, lavoro e crescita formano quella cultura d’impresa che può essere elemento di rinascita per il paese». Francesca Druidi
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Presente e futuro dell’università italiana Rispetto a quella di altri Paesi, la formazione in Italia è legata all’andamento economico e, secondo il rettore Cristina Messa, all’assenza di riforme strutturali coraggiose econdo l’Eurostat, l’Italia è ultima in classifica in Europa per numero di laureati ma il costo delle tasse universitarie resta il più alto tra i cittadini dell’Ue. E nell’ultimo decennio siamo stati superati anche da nazioni come Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania. «Il numero assoluto di laureati di un Paese - commenta Cristina Messa, rettore dell’Università Bicocca di Milano - è un dato importante e significativo perché espressione di quanto i giovani diano valore alla formazione universitaria e di quanto il mondo del lavoro consideri la preparazione universitaria come un plus». Il numero di laureati che il sistema produce va accompagnato però da una valutazione dell’adeguatezza della formazione universitaria e della sua integrazione col mondo produttivo e pro-
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fessionale. «Non è né chiaro né prioritario l’investimento che il nostro Paese dovrebbe fare nello sviluppo e nell’innovazione, cosa invece già ben delineata in altri paesi europei. Il sistema dell’alta formazione - che d’altro canto si dovrebbe impegnare di più a fungere da trampolino verso un’economia basata sulla conoscenza - è il primo a soffrire di tale indecisione». Quali crede siano le prospettive per il futuro? E, nel suo caso specifico, in quale direzione andrà il contributo che offrirà durante il suo rettorato? «Le università italiane hanno compreso che il futuro sta nell’essere parte di un sistema che comprende aziende, centri di ricerca, startup e istituzioni. Bisogna aumentare gli scambi di persone che dall’università vanno verso le aziende e viceversa. Il trasferimento tecnologico è uno di questi driver, ma lo è anche la partecipazione a tavoli di lavoro per la promozione delle risorse dell’area in cui si opera, come sta succedendo a Milano con l’iniziativa “MiWorld”. Spingerò il più possibile nella direzione di questa contaminazione, anche attraverso il mio ruolo nel comitato di Horizon 2020. In questo lavoro ci confortano alcuni risultati fra i quali il recentissimo riconoscimento del ranking Times higher education 100 under 50: l’Università di Milano-Bicocca si è confermata tra i migliori giovani atenei al mondo, migliorando la sua posizione, prima fra le italiane e ventunesima in assoluto». Come andrebbe ripensata la forma-
Cristina Messa, rettore dell’Università Milano-Bicocca
Milano capitale dell’internazionalizzazione Gli studenti stranieri che studiano all’Università Bicocca attualmente sono il 5,6 per cento del totale. Un dato superiore alla media nazionale. C’è ancora molto da fare per accogliere un maggior numero di studenti stranieri, per questo l’ateneo, in sintonia con le altre università milanesi, ha iniziato un percorso per aumentare lo scambio di studenti all’interno dei confini europei, un fattore di crescita per studenti, docenti ma anche per la città. La mobilità internazionale è un elemento che favorisce il job placement, insieme agli effetti positivi sulla formazione degli studenti causata dall’esperienza estera, quali l’apprendimento di soft skill particolarmente utili poi nel mondo del lavoro.
zione e quali sono i Paesi da cui si potrebbe trarre spunto per valorizzare la parte meno teorica della didattica? «Alla Bicocca abbiamo avviato un progetto articolato di valorizzazione delle componenti della didattica che rappresentano un valore aggiunto dell’offerta universitaria. Tra queste ci sono l’attività sperimentale, i laboratori e tutti gli aspetti pratici della formazione molto utili per l’accesso al mondo del lavoro. Vogliamo sfruttare al meglio le potenzialità offerte dall’e-learning, che può sia facilitare l’accesso ai contenuti, estendere la fascia oraria di fruizione delle lezioni, rendere parti dei corsi più interattive, sia liberare parzialmente risorse che possiamo destinare a potenziare le attività di didattica non frontale. In questo senso, il modello di riferimento sono ancora le università anglosassoni, ma anche in Europa e in Asia questo approccio è largamente adottato». Quanto la preoccupano i tagli alle università e come quest’ultima può agevolare gli studenti? «I tagli sono una scelta sbagliata e continuano a essere lineari, danneggiando
tutti, indipendentemente dal merito, nonostante siano ormai disponibili a tutti i dati relativi alla valutazione di Anvur. Stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza di molti atenei, che dovrebbero, dopo questi anni di razionalizzazione dei costi e sperimentazione di good practice, essere aiutati a diventare un punto di riferimento e di attrazione per i relativi territori. Nel nostro ateneo, in ogni caso abbiamo adottato un pacchetto di misure a favore degli studenti valorizzando l’impegno e la bravura. I crediti di merito lanciati a gennaio scorso, sono uno strumento innovativo nel panorama italiano. Si ottengono in base ai risultati di studio, non al reddito, e possono essere utilizzati per molti scopi: dal pagamento delle rette universitarie o di un master all’acquisto di libri. Abbiamo incrementato le risorse del bilancio per finanziare borse di studio sia per i laureandi che per i dottorandi e stiamo per varare nuove facilitazioni per tutti, dagli sconti per lo studio delle lingue a quelli per l’acquisto di libri, in particolare per gli studenti lavoratori». Renata Gualtieri
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Filo diretto da Roma a Pechino Quando il mercato è troppo vasto ma profittevole servono aggregatori d’impresa che favoriscano l’entrata delle aziende italiane. È questa la filosofia di Only Italia e potenzialità della Cina per il made in Italy sono enormi. Si tratta di un mercato molto esigente, competitivo, ma sempre più attento alla qualità, e dunque adatto alla produzione delle pmi italiane, tradizionalmente attente a offrire un prodotto di eccellenza, che si tratti di cibo, vino, moda o tecnologia. Ne è convinta Irene Pivetti, presidente di Only Italia (rete di imprese nata nel 2011 per promuovere il made in Italy in Cina), che però ne sottolinea anche le insidie. «La Cina costituisce un mercato immenso, spesso troppo grande per le nostre aziende. Inoltre è lontano, perciò costoso. Per questo la forma aggregata può aiutare ad affrontare la sfida». Cosa manca alle aziende italiane per approfittare ancora di più del mercato cinese? «Mancano strutture di supporto adeguate
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Irene Pivetti, presidente della rete d’impresa Only Italia
che le accompagnino oltre il primo contatto fino allo stabilizzarsi della relazione di affari in Cina. Manca spesso una corretta cultura dell’esportazione, che non è solo vendita di prodotti ma anche misurarsi con una cultura, regole e mentalità diverse dalle nostre. Infine, a volte manca la vera voglia di rischiare, di intraprendere, segno di una crisi che non è solo economica ma ormai profondamente anche psicologica e morale». Come approcciarsi, dunque, a quei settori che stanno diventando più profittevoli? «Se parliamo di Cina, ogni settore può essere immensamente profittevole se affrontato nel modo giusto. Come nella vita, prima di parlare si deve ascoltare, nel commercio prima di vendere è indispensabile capire che cosa i consumatori potrebbero essere disposti a comprare. E questo richiede attenzione e umiltà. Non è vero che
il made in Italy si vende da solo, nulla si vende da solo. Il prodotto di qualità pretende di essere accompagnato, come e più del prodotto mediocre, se non altro perché è più costoso, quindi implica una maggiore determinazione all'acquisto». In cosa consiste il progetto in collaborazione con il Centergross di Bologna? «Accanto alle collezioni, di marchi talvolta molto conosciuti, già presenti nella nostra offerta, Only Italia porterà in Cina anche alcune linee di pronto-moda, purché interamente prodotte in Italia, naturalmente. Da questo punto di vista, Centergross è il più importante, se non l’unico, polo italiano per la moda pronta. Alcune delle sue aziende hanno un prodotto di buona qualità e alcune linee, in particolare, sono molto interessanti e ben pensate. Inoltre, Centergross offre servizi aggregati per l’export, il che rende
molto comodo dialogare con diverse aziende in un unico luogo. Only Italia acquisterà perciò alcuni prodotti dalle aziende, agevolata dai servizi che Centergross offre ai buyer». Recentemente Only Italia ha stretto un importante accordo con Balletown, controllata del colosso China Infrastructure Group. Di cosa si tratta? «Con questo accordo, Only Italia diventa un canale di distribuzione diretto per le pmi italiane che vogliono esportare i loro prodotti in Cina. In più, l’ingresso nel capitale di Balletown ci consentirà di sviluppare e integrare il nostro network per selezionare prodotti e brand di tutte quelle pmi italiane che non hanno la forza commerciale per sviluppare una strategia distributiva capillare in un mercato vasto e complesso come quello cinese». Teresa Bellemo
Un nuovo modo di investire Il risparmio in tempo di crisi economica si è radicalmente trasformato. Isabella Fumagalli spiega come gli italiani hanno cambiato abitudini li italiani sono sempre stati un popolo di risparmiatori, ma la crisi ha influito anche su questo aspetto. Se nel 1990 destinare quasi un quarto delle proprie entrate al risparmio era considerato un comportamento naturale, negli ultimi 10 anni la crisi economica, la forte pressione fiscale e la diminuzione del reddito disponibile hanno costretto le famiglie a dover intaccare il proprio patrimonio per far fronte innanzitutto alle esigenze quotidiane. Nel 2012 la propensione al risparmio ha registrato minimi storici, attestandosi a poco più dell’8%, circa un terzo del valore dell’inizio degli anni ‘90. Venti anni fa, per ogni 100 euro di reddito a disposizione se ne riuscivano ad accantonare quasi 25, nel 2012 se ne sono risparmiati solo 8. «Grazie ai primi effetti della ripresa economica - spiega Isabella Fumagalli, amministratore delegato Bnp Paribas Cardif - il 2013 ha finalmente registrato un’inversione di tendenza: la tradizionale propensione al risparmio delle famiglie è tornata a crescere fino al 9,8%, riportandoci quest’anno sui livelli medi dell’area Euro. Dunque gli italiani stanno pian piano recuperando la loro vocazione di risparmiatori». Sul fronte degli investimenti, quali sono le soluzioni scelte dalle famiglie in questo periodo? «La necessità di tutelarsi dalle incertezze degli anni a venire ha riportato la fiducia negli italiani e rinnovato la pro-
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pensione a una progettualità finanziaria destinata al mantenimento del proprio tenore di vita e di quello dei figli dopo la pensione. La percentuale delle famiglie che ha investito in azioni, obbligazioni, risparmio gestito e polizze vita è aumentata lo scorso anno al 26,3%, rispetto al 24,7% del 2012, anche se tale dato continua a essere significativamente inferiore rispetto al 2007, anno precedente alla crisi, in cui si attestava al 38%. Il trend positivo si conferma anche nel 2014. A spingere i risparmiatori verso queste tipologie d’investimento, sono stati soprattutto il minor interesse verso il mattone e i rendimenti più magri sui titoli di Stato italiani, che continuano comunque a registrare il maggior tasso di adesione tra le famiglie, grazie soprattutto alla serenità che queste forme di investimento trasmettono». Ci sono segnali che indicano una nuova propensione a investire? «Complice la crisi, oggi il risparmiatore è molto più attento rispetto al passato alla gestione di quanto ha accumulato nel corso degli anni e di quanto, con sacrificio, continua ad accantonare. La propensione a investire può aumentare solo se il mercato si adeguerà offrendo prodotti semplici, flessibili e innovativi, adatti alle esigenze del cliente, alla sua quotidianità, alla propensione al rischio, ai suoi obiettivi di rendimento, tenendo conto anche dei continui cambiamenti di scenario, anche legislativo e fiscale». Nicolò Mulas Marcello
Consulenza
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Una nuova gestione del risparmio La crisi economica ha cambiato il volto degli investitori e le loro abitudini. Antonella Lambri spiega come si è evoluto il loro atteggiamento nei confronti dell’advisor
li Italiani oggi non si accontentano più degli annunci. Dopo 5 anni di crisi, finanziaria, politica ed economica, le grandi presentazioni e le promesse non bastano per risolvere i problemi e non cancellano né attenuano le preoccupazioni legate all’incertezza dello scenario, alla tassazione dei piccoli e medi patrimoni, al bisogno di tornare a consolidare il risparmio rispetto all’aumento dei consumi, almeno nel breve periodo. «Il nuovo cittadino-investitore – spiega Antonella Lambri, promotore finanziario San Paolo Invest - è un consumatore attento che, dopo 5 anni di crisi, si pone di fronte a ogni soggetto, pubblico o privato, istituzione o attore finanziario, in maniera molto critica. Non nega la fiducia ma non la concede con facilità. Per conquistare questi nuovi cittadini-consumatori è necessario mostrarsi molto concreti e in grado di eseguire e mantenere le promesse fatte; occorre un neo-realismo degli investimenti, capace di non mentire e quindi di non deludere». In questo contesto, allora, anche la sua figura professionale si è evoluta?
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«Certo, stiamo ancora e sempre cambiando. Siamo sicuramente più evoluti dal punto di vista tecnologico, più attenti alla formazione, disposti anche a viaggiare per trarre spunti interessanti da culture diverse dalla nostra, ma rimane una costante: la vicinanza ai clienti, soprattutto private (con patrimoni consistenti), per fornire supporto su tematiche importanti e attuali». Oggi come si presenta il panorama del risparmio in Italia? «Riflettiamo su questi dati: 180 miliardi nelle mani di 2075 italiani. Una fetta consistente di cittadini italiani che, in questi anni complicati, è riuscita non solo a consolidare e difendere il proprio patrimonio, ma addirittura a farlo crescere. Accade così che nell’Italia della recessione è cresciuto il numero dei super-ricchi, tanto da fare salire il nostro paese all’onorevole quinto posto in Europa per numero di “ultra high net Worth”, dietro Germania, Gran Bretagna Svizzera e Francia. Ma c’è un altro lato da osservare: la ricchezza nel Belpaese è composta sempre più dal patrimonio accumulato in passato e sem-
La ricchezza nel Belpaese è composta sempre più dal patrimonio accumulato in passato e sempre meno dal reddito
Antonella Lambri, promotore finanziario San Paolo Invest
Per 8 italiani su 10 il testamento è ancora tabù
pre meno dal reddito». Qual è il vero motore dell’economia italiana? «È un fatto risaputo che la ricchezza italiana si basa e si è basata, dal dopoguerra a oggi, su 4 pilastri: piccola e media impresa, vocazione imprenditoriale, tradizione familiare e prevalenza del settore manifatturiero. Il consulente finanziario si muove soprattutto al fianco di questi clienti». Quali sono i principali problemi e le criticità dell’Impresa di famiglia? «Ogni anno, 80.000 imprenditori sono coinvolti nel passaggio generazionale. Ebbene, solo il 15 per cento delle società familiari supera la terza generazione. I dati ci confermano dunque la rilevanza del passaggio di testimone, la cui gestione diventa ottimale se la si pianifica scegliendo attentamente tempi e fasi individuando, soprattutto, i consulenti in grado di assicurare il successo dell’azienda nel lungo periodo». Per affrontare il passaggio generazionale a chi si rivolgono generalmente gli imprenditori italiani? «Al momento, gli imprenditori faticano a percepire la loro banca di fiducia come un interlocutore affidabile per pianificare questo processo, quindi tendono a rivolgersi ancora ai propri consiglieri tradizionali; ovvero i commercialisti da un lato e gli avvocati dall’altro. Entrambe queste categorie di professionisti lavorano sugli strumenti da utilizzare nel passaggio generazionale, noi consulenti finanziari, grazie alla conoscenza approfondita che abbiamo del contesto familiare del cliente, possiamo porre l’accento sui processi da seguire. La difficoltà che si incontra quando si decide di affrontare questo passo è rappresentata dal fatto che non ven-
Goethe sosteneva che “la scaramanzia fa parte della natura dell’uomo” e sicuramente il comportamento degli italiani sembra dar ragione allo scrittore tedesco. Non siamo infatti solo un popolo di santi, navigatori e poeti, ma anche e soprattutto di superstiziosi. Pensiamo al testamento. Se nel resto delle economie avanzate redigere le disposizioni testamentarie è una pratica abbastanza comune per prevenire eventuali litigi tra eredi e consentire un risparmio fiscale, nel nostro paese fare testamento non sembra rientrare nella priorità. L’Italia ha una bassa incidenza del prelievo sui trasferimenti a titolo gratuito (successione e donazione): 4 per cento per trasferimenti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta con franchigia di 1milione di euro per ogni erede. Ma il legislatore potrebbe a breve intervenire e alzarle uniformandole al resto dell’Europa, con l’obiettivo di distribuire il gettito in maniera uniforme ed evitare le fughe da un paese all’altro per avvantaggiarsi di aliquote maggiormente favorevoli.
ga percepito come un percorso da compiere in maniera consapevole e preparata». Quali sono gli strumenti che possono aiutare l’imprenditore ad affrontare al meglio il passaggio generazionale? «La priorità resta senza dubbio il testamento: strumento semplice che permette all’imprenditore di compiere scelte responsabili. Poi occorre puntare, nelle situazioni meno complesse, su prodotti assicurativi, patti di famiglia e donazioni. La combinazione efficiente di questi strumenti risolve anche l’80 per cento delle successioni. Per casi più intricati, occorrono soluzioni più articolate, come trust e holding». Paolo Biondi
Consulenza
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Una mission di valore per il terzo settore Indirizzare le imprese negli investimenti sociali più redditizi e supportare il non profit nella ricerca di nuove logiche di sviluppo. Ecco la Mission di Paola Palmerini ntervenire dove la strategia fatica a tradursi in piani operativi coerenti, e dove questi devono essere coordinati per essere efficaci. Dove la gestione delle risorse umane e i sistemi di responsabilità limitano la crescita. Dove c’è scarsa pianificazione e scarsa valorizzazione del capitale umano-relazionale-
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sociale come leva di sviluppo. È così che mi muovo per la continuità della missione sociale dell’impresa e dell’ente non profit». Con queste parole Paola Palmerini presenta Mission Continuity, nata per la realizzazione di progetti di cooperazione e partnership tra profit e non profit. «Indirizziamo le imprese negli investimenti sociali più redditizi e supportiamo le organizzazioni non profit nella ricerca di nuove logiche di sviluppo a fianco delle aziende». Un lavoro che si è rivelato ancora più prezioso a seguito della crisi economica. «La scarsità di risorse comporta ovviamente la revisione delle priorità e la necessità di far Paola Palmerini è titolare di Mission Continuity di Milano www.missioncontinuity.it
leva su innovazione e gestione efficiente per creare valore in un contesto altamente competitivo anche nel terzo settore. Le organizzazioni non profit sono costrette a ideare i loro piani di raccolta fondi su nuove basi di partnership e di capital raising, nel professionalizzare i loro servizi e i loro processi». Tutto ciò, senza mai perdere di vista il contesto circostante. «Missione e identità sociale delle imprese devono fare i conti con il contesto, sempre, senza abdicare. Certamente questo richiede strategia, coraggio, organizzazione, lungimiranza e per tutte quelle realtà i cui servizi e la cui sostenibilità dipende necessariamente dal settore pubblico, il discorso diventa ancora più complesso e articolato. Il nostro compito è
Missione e identità sociale delle imprese devono fare i conti con il contesto anche quello di accompagnare e convertire le attività di questi soggetti, guidandoli in questa transizione». Tra gli aspetti fondamentali del progetto ci sono le strategie che portano a legare realtà profit con altre non profit. «Sotto questo punto di vista – prosegue Palmerini – gli investimenti sono fondamentali. Investimenti che si conquistano identificando ciò che interessa a ciascun stakehol-
der. Un esempio concreto di come si possa creare valore condiviso riguarda le iniziative di welfare che possono essere messe in campo da qualsiasi tipologia di organizzazione a favore di chi lavora al suo interno. È possibile infatti andare oltre l’ottica interna, costruendo interventi in grado di rispondere ai bisogni di lavoratrici e lavoratori, ma anche delle loro famiglie, allargando in tal modo la platea
dei destinatari. Ma non solo: è anche possibile costruire un’offerta di attività capaci di “portare in azienda” competenze e servizi del terzo settore con il duplice risultato di ampliare l’offerta di welfare per lavoratori e famiglie, ma anche di veicolare opportunità di lavoro per imprese sociali e Terzo settore in genere, in una dimensione di valorizzazione del territorio». Matteo Grandi
Verso una mentalità manageriale
Un intento allo stile dell’essere
Erika Leonardi svela le strategie di impresa e self control nel mondo manageriale. Le chiavi vincenti? Un’attenta gestione del tempo e cura della comunicazione interna
Elena Fiorani realizza un empowerment fra spirito, mente e corpo, dal quale sgorgano soluzioni nuove e opportunità concrete. Per una comunicazione trasformante
a capacità di gestire un’azienda e l’autocontrollo in situazioni stressanti è semplicemente una questione di metodo. Parola di Erika Leonardi, consulente, formatore e scrittrice che da vent’anni opera nel campo della gestione aziendale e dei servizi. Attraverso i suoi libri, la Leonardi promuove progetti e strategie d’impresa per aiutare ad affrontare al meglio le situazioni delicate che possono presentarsi in campo lavorativo. Il suo studio verte specialmente sulla persona che, sia nel mondo del lavoro sia in
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quello della vita privata, rischia di cadere in un labirinto causato da una superficiale gestione del tempo. Come una sorta di “yes, we can”, attraverso la sua attività la Leonardi sensibilizza le persone a una mentalità manageriale. «Si sottovaluta che il tempo è un bene prezioso – sottolinea - e che, se mal utilizzato, è fonte di sprechi nella gestione delle attività e di demotivazione. Un primo passo per migliorare è non sentirsi più vittime e mettersi nelle condizioni di usarlo al meglio». Un modo per valorizzare il tempo è coltivare relazioni con i colleghi. «Potente sostegno per una buona gestione del tempo è la comunicazione interna. Essa valorizza l’impegno delle persone e crea un forte spirito di squadra». Occorre avere un approccio critico e costruttivo: essere consapevoli che il tempo usato male non è più recuperabile. Su questa base si può poi “costruire un metodo per riconoscere i punti di forza degli esiti positivi e le fonti degli insuccessi”». Ilaria de Lillo
Erika Leonardi, scrittrice poliedrica di strategia di impresa per www.limpresaonline.it www.erikaleonardi.it http://it.wikipedia.org/wiki/Erika_Leonardi
na nuova cultura, personale e aziendale, portatrice di valori umani, scientifici, intellettuali, spirituali, unitari e globali. A portare questa comunicazione all’interno dell’impresa è Elena Fiorani, con l’artigianato educativo olistico. «La mia missione è ispirare e facilitare la crescita personale e lo sviluppo del potenziale umano nell’arte del benessere globale. Lo esprimo con strumenti imprenditoriali, multidisciplinari, artistico-creativi. Con fiducia e comprensione, per ciò che è e vive, nell’arte della relazione trasformativa, alla pari, nelle dinamiche di relazione-comunicazione intra e interpersonali aziendali». L’approccio di Elena Fiorani, che ha nel suo bagaglio una matrice aziendale, realizza un empowerment fra spirito, mente e corpo, dal quale sgorgano soluzioni nuove e opportunità concrete. «Credo nel progetto evolutivo dell’unità dell’essere come conoscenza e consapevolezza di sé. Tutto ciò nobilita, con cura e dedizione amorevole, e contribuisce a restituire e portare fuori l’uni-
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cità e il valore di ogni persona, in tutta la sua dimensione umana, portandola a raggiungere un senso più alto a un significato nuovo». Un altro dei percorsi possibili che propone Elena Fiorani è quello della leadership spiritualmente consapevole. «Nel cuore di ogni imprenditore c’è l’anima della sua verità, anima della leadership, con a cuore la medesima. L’essenza del bello è la possibilità di interiorizzare le competenze esistenziali e spirituali. La centratura, e il focusing nel cuore, tra sentimenti e corpo, fa emergere il tesoro dei nostri doni interiori nel ritrovare il filo pregnante aziendale. Scelte più armoniose con la propria identità offrono la possibilità di una più autentica relazione con noi stessi, con gli altri, per la nuova arte di cristallina bellezza». Vittoria Divaro
Elena Fiorani, counselor olistico professional ha il proprio studio a Corsico (MI) www.elenafiorani.com elena@elenafiorani.com
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Donna Leader Maggio 2014 - pag. 18
Serve un fronte comune tra le Pmi Investimenti in chiave tecnologica e unione tra le piccole realtà industriali del Paese. Sono questi i suggerimenti di Silvana Zambon per far ripartire l’economia delle Pmi
Diverse tradizioni imprenditoriali La boutique e l’officina. Due dimensioni di lavoro agli antipodi attraverso cui si snodano la quotidianità e la storia imprenditoriale di Maria Immacolata Basciu a volontà di non disperdere il patrimonio di valori e di conoscenze costruito dalla famiglia ha portato Maria Immacolata Basciu ad accettare, e vincere, una sfida personale e professionale impegnativa. Alla pluriennale attività di vendita nel settore della moda, la donna ha, infatti, da alcuni anni affiancato la guida dell’azienda di attuatori oleodinamici rotativi, la Hico Oleodinamica, fondata nel 1969 dal suocero, l’ingegner Enrico Leoncavallo, e condotta poi dal marito Roberto Leoncavallo. Il ritiro forzato dell’uomo e la crisi economica che ha indebolito i partner di mercato dell’impresa di Cerro al Lambro, avevano portato alla chiusura della
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Maria Immacolata Basciu, titolare dell’omonima azienda, già Hico Oleodinamica, produttrice di attuatori dinamici rotativi basciuoleodinamica@libero.it
Hico. La qualità dei prodotti – cilindri impiegati con successo nell’edilizia pesante così come nel settore petrolifero, meccanico, siderurgico e idroelettrico – non è però mai stata messa in discussione dalla clientela. Contando su questo importante know-how, Maria Immacolata Basciu non si è persa d’animo e ha rilevato l’azienda, risorta come Basciu Oleodinamica, portando avanti la tradizione imprenditoriale di Enrico Leoncavallo, l’abnegazione del marito Roberto verso l’attività e la reputazione di un prodotto apprezzato in Italia e all’estero. «Solo in questi ultimi anni, nei quali ho familiarizzato con le dinamiche del lavoro in azienda, ho potuto comprendere pienamente il valore dei nostri attuatori, la loro versatilità di utilizzo, la loro solidità, la loro funzionalità strategica in comparti produttivi che impiegano macchinari da milioni di euro», rileva Maria Immacolata Basciu. L’impresa oggi è in attivo e ha ottenuto commesse dall’Europa, dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti. «Abbiamo acquisito nuovi clienti con specifiche esigenze. Stiamo perciò adattando i nostri prodotti ai loro profili. Non possiamo ancora dirci totalmente fuori dal tunnel della congiuntura economica negativa ed è difficile poter fare previsioni a media o lunga scadenza, ma la fiducia nei confronti dei nostri attuatori è forte. L’obiettivo è non abbassare gli standard di qualità dei prodotti, come voleva mio marito, e poter investire nel prossimo futuro maggiori risorse nella promozione internazionale». Leonardo Testi
ncrementare l’innovazione. È questo il suggerimento che arriva direttamente dall’altra sponda dell’oceano. È il Fondo Monetario Internazionale, infatti, in un paper dell’economista Andrew Tiffin, a illustrare le linee guida che permetterebbero all’Italia di dare una spinta significativa alla propria economia. Il Bel Paese invece sembra avere il freno a mano tirato sotto il capitolo innovazione, che continua a far registrare performance decisamente negative. Un quadro aggravato anche dalla mancanza di “riforme strutturali”, più volte annunciate e mai veramente realizzate. A fare le spese di questa situazione, oltre a essere parte in causa della scarsa competitività del nostro Paese a livello mondiale, sono le aziende, troppo piccole e con troppo poco appeal internazionale per traghettare l’espansione dell’export italiano. Eppure, molte delle aziende italiane che hanno continuato a crescere ed espandersi anche durante gli ultimi anni di crisi, hanno trovato proprio nell’innovazione tecnologica il giro di vite per ampliare il proprio business. «Ponendoci sul mercato come specialisti della pressofusione con lavorazione di getti d’alluminio – spiega Silvana Zambon che con il marito Gianfranco Bollini, la sorella Antonella e l’aiuto della nonna ha fondato la Sapre – investire in impianti e tecnologie innovative è stato fondamentale per il miglioramento del processo produttivo». Cosa hanno comportato questi investimenti? «Innanzitutto la possibilità per l’azienda di crescere e di spostarsi su altri mercati come quello tedesco e svizzero. Oggi l’azienda è in ascesa continua e vuole essere d’esempio per molte altre. L’Italia, negli ultimi anni, ha perso tesori inestimabili in molti settori
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Silvana Zambon è a capo della Sapre di Gorla Minore (VA) www.sapre-srl.com
L’importanza di fare squadra Nel periodo di crisi che il Paese sta attraversando, molte aziende hanno scoperto l’importanza del poter contare l’una sull’altra. Un principio sottolineato anche da Silvana Zambon, a capo della Sapre. «La mia idea – afferma Silvana Zambon – è quella che i vari settori industriali che hanno fatto grande il nostro Paese si uniscano e facciano fronte comune nelle richieste. Sia a livello politico che amministrativo, ambito in cui le riforme sono ormai necessarie».
imprenditoriali; per questo è fondamentale condividere i saperi e fare squadra per riuscire a risolvere i numerosi problemi burocratici ed evitare così ulteriori “stragi”». Quali sono state le fasi della vostra crescita? «Essendo terzisti, inizialmente abbiamo lavorato nel mercato automobilistico. Poi, con la crisi, il mercato dell'auto è calato notevolmente. Avendo però lavorato bene e investito internamente, abbiamo avuto la possibilità di espanderci nel settore della pressofusione. In tutto ciò si sono dimostrate fondamentali la serietà aziendale, la puntualità nelle consegne e gli investimenti tecnologici». Quali sono stati gli investimenti maggiori? «Macchine di pressofusione, forni e investimenti sul personale. Sono questi i fattori su cui le aziende devono sempre puntare. Un altro fattore fondamentale si è rivelato inoltre la capacità di sapersi adeguare ai cambiamenti in base alle situazioni che ci si trova davanti». Marco Tedeschi
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Donna Leader Maggio 2014 - pag. 19
Il lavoro flessibile durante la maternità Carriera o famiglia? Simona Mauri, Cfo della filiale italiana della TDK- EPC, risponde «entrambe». A patto che vi siano validi strumenti di supporto e donne che tengono, insieme, le redini della famiglia e del lavoro affrontano una doppia fatica che richiede energie, impegno, efficienza, senso del dovere. A volte tutto ciò sembra non bastare. Perché si aggiunge la fatica di farsi strada in un mondo ancora troppo maschile nelle sue richieste e pretese, che chiede ancora alle donne di “portare i pantaloni”. Come si pone rispetto a questi temi una donna che ha raggiunto importati ruoli in un gruppo multinazionale? Risponde Simona Mauri, Cfo presso la TDK-EPC Italy, società facente parte della TDK Corporation. «Così come manca equità nella retribuzione fra i due sessi, l’Italia è ancora lontana dal fornire effettiva sostanza al principio delle pari opportunità. Da parte dei datori di lavoro la maternità è vista come un vero e proprio handicap per l’azienda, oltre che
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come un costo aggiuntivo a causa della minore disponibilità della madre lavoratrice. Dall’altra parte, i costi troppo alti di asili nido e baby sitter e l’assenza di una solida rete parentale spingono molte donne a lasciare un lavoro poco redditizio per dedicarsi completamente alla cura dei figli». Questi, secondo Mauri, i motivi per cui molte donne escono dal mercato del lavoro in maniera temporanea o definitiva dopo la nascita di un figlio, soprattutto se manca anche il supporto del partner e di servizi di welfare. «Tuttavia le soluzioni alternative esistono. Nella nostra azienda, nel caso di una neo mamma, abbiamo utilizzato il telelavoro. In questo modo le abbiamo concesso più spazio e la possibilità di ottimizzare il suo tempo. Questa e altre forme di lavoro flessibile potrebbero essere già un primo passo per aiutare le donne che lavorano e che hanno un figlio».
L’esperienza di Simona Mauri nel mondo produttivo inizia nel 1999 presso un’azienda del settore petrolchimico, come stagista collocata nella divisione customer care. «In questa prima esperienza ho approfondito il rapporto con il cliente e la gestione dei complain. In seguito, dal 2000 al 2008, ho lavorato presso la Siemens di Milano come Business Administration, esperienza che mi ha permesso di inserirmi nell’area amministrativa e di consolidare le mie competenze nell’attività di controlling e reporting di aziende multinazionali. Ho inoltre avuto modo di es-
sere inserita in gruppi di lavoro relativi alla compliance e all’export control. Avvicinandoci agli anni recenti, dopo aver lavorato sempre come Business Administration della multinazionale Infineon Technologies Italia, nel 2010, insieme all’attuale Managing Director, ho fondato la filiale italiana della TDK-EPC. Qui la mia carica di CFO si può riassumere in attività di controlling e reporting, credit management, responsabile dell’accounting e del payroll, responsabile treasury e varie attività di gestione delle risorse umane». Luca Càvera
Un settore ad alta intensità lavorativa Malgrado le incertezze legate agli incentivi, l’energia rinnovabile continua a essere un comparto sul quale conviene investire. Ne parliamo con Debora e Roberta De Masi el 2013 le fonti energetiche rinnovabili hanno garantito sei milioni e mezzo di posti di lavoro in tutto il mondo. Il rapporto annuale di Irena rivela, rispetto al 2012, una crescita pari al 14 per cento. Secondo uno studio dell'Università di Sidney inoltre, le fonti rinnovabili sono a più alta intensità lavorativa rispetto a quelle fossili per unità di potenza installata: il fotovoltaico garantisce 40 posti di lavoro per MW, l'eolico 15 e l'idroelettrico 11, mentre il carbone ne fornisce 8 e il petrolio appena uno e mezzo. Tra alti e bassi dovuti alle incertezze degli incentivi, anche in Italia questo settore ha dato spazio a grandi investimenti e continua a permettere il consolidamento di molte realtà industriali. Ne è un esempio Neos, azienda nata alla fine degli anni Novanta con lo scopo di fornire alcuni servizi quali la ricerca, l'acquisizione e la contrattualizzazione dei siti per l'installazione degli apparati di telefonia mobile dei gestori operanti in Italia. «Successivamente – spiega Debora De Masi che insieme alla sorella Roberta gestisce l’attività - nell'ottica della differenziazione delle attività abbiamo deciso di puntare anche sull’energia rinnovabile, intraprendendo l'attività di fornitura chiavi in mano di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico)». Neos realizza oggi impianti destinati a soddisfare le esigenze di una clientela sia pubblica che privata grazie a delle partnership commerciali che la vedono protagonista nel settore.
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«Siamo in grado di fornire – racconta Roberta - le attività di progettazione, consulenza finanziaria e realizzazione. Nella fase di progettazione svolgiamo sopralluoghi e analisi di fattibilità, elaboriamo i progetti di massima ed esecutivi, ci occupiamo dell’ottenimento permessi, della direzione e assistenza lavori, del coordinamento della sicurezza in fase di progettazione e dell’esecuzione dei lavori. Dedichiamo soprattutto particolare attenzione all’ottimizzazione della produttività dell’impianto, anche allo scopo di valutarne la bontà in termini di mancata immissione in atmosfera di anidride carbonica». In questo periodo, anche la consulenza finanziaria si sta rivelando un servizio fondamentale. «Per agevolare i clienti che ritengono opportuno usufruire di un finanziamento per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico – sottolinea Debora – ci occupiamo delle pratiche necessarie al finanziamento, parziale o totale, grazie a partner finanziari, di caratura nazionale e internazionale, sensibili a queste tematiche». Segue poi la fase fondamentale, ovvero la realizzazione degli impianti. «La nostra realtà – conclude Roberta – è in grado di fornire impianti fotovoltaici chiavi in mano per la produzione di energia da fonti rinnovabili. I lavori di realizzazione sono eseguiti conformemente a quanto predisposto dalle normative vigenti e dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas». Matteo Grandi
Debora e Roberta De Masi sono a capo della Neos di Casarano (LE) www.neossrl.it
I principali risultati e le iniziative più significative concretizzate da Simona Mauri finora sono state la fondazione della società TDK-EPC, garantendone il funzionamento in tutte le sue parti e ottimizzando i costi della struttura e l’avvio di una collaborazione costante con le università Cattolica e Bocconi per la formazione di laureandi attraverso percorsi di stage. Simona Mauri, Cfo della TDK-EPC Italy di Milano, insieme alle sue colleghe www.epcos.com
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Donna Leader Maggio 2014 - pag. 20
Azienda e dipendenti, un benessere condiviso Per Antonella Zonetti l’etica paga, soprattutto in un contesto imprenditoriale. L’attuale Presidente di Federlazio Latina sull’importanza delle risorse umane. «E del loro coinvolgimento»
iducia reciproca, al di là del mero contratto di lavoro. Nella relazione impresa-collaboratore raramente si trova una connotazione di questo tipo. Per alcuni imprenditori è una mancanza inaccettabile: denota una filosofia aziendale che non mette al centro la persona. «Eppure al benessere dell’uomo corrisponde il benessere dell’azienda». A parlare è Antonella Zonetti, titolare insieme al fratello Sandro e responsabile delle risorse umane del Gruppo Ansa Compositi, con base ad Aprilia (LT). Il gruppo è composto da Ansa Compositi, FuturPlast e Ansa Borima, aziende che operano nel settore della progettazione e produzione stampi, stampaggio dei termoindurenti, dei termoplastici , stratificazione fino all’assemblaggio e nella carpenteria industriale con un’esperienza di oltre 50 anni. Oltre al successo aziendale, per Zonetti è stata proprio l’etica applicata alla sua visione imprenditoriale a portarla fino alla carica di Presidente di Federlazio Latina. «In particolare – dice Zonetti –, il valore delle risorse umane è altissimo, perché tutto il nostro lavoro dipende da questo. Ne ho avuto conferma quando ho dovuto ristrutturare l’azienda a causa di una crisi del settore, circa quindici anni fa. Perché non riusciamo ad abbattere gli scarti e ad aumentare la produzione? A questa domanda i responsabili riferivano l’incapacità dei nostri collaboratori di ottimizzare la loro routine lavorativa. L’ottimizzazione dei processi, unica soluzione per essere competitivi, significa operare dei cambiamenti. E sappiamo tutti quanto ciò sia difficile, a quel punto ho capito che dovevo stare vicino agli operatori, coinvolgerli, spiegargli che rischiavamo la stessa fine dei dinosauri se non ci fossimo evoluti, li ho intervistati tutti e l’ascolto delle loro problematiche ha permesso ai responsabili di reparto di trovare le giuste soluzioni. Abbiamo poi fatto una lista di valori da condividere, il più importante che da sempre contraddistingue la nostra azienda è il “win to win”, applicato nei confronti di tutti, tra di noi,
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Il Gruppo Ansa Compositi ha sede ad Aprilia (LT) www.compositi.it
con i clienti, con i fornitori. A noi titolari lo ha trasmesso nostro padre, fondatore dell’azienda, Guerrino Zonetti». Il coinvolgimento del personale insieme alla continua innovazione tecnologica sono stati le strategie vincenti che hanno portato il Gruppo Ansa Compositi a superare indenne le crisi degli ultimi anni. «Nello specifico – analizza Zonetti – i nostri articoli hanno caratteristiche tecniche intrinseche molto spesso decisive. Per esempio un contatore elettrico potrebbe essere soggetto a esplosione e, per evitare tali rischi, l’operatore durante il processo di stampaggio deve rispettare dei precisi parametri. Per essere sicuri che ciò avvenga, l’operatore deve essere preparato tecnicamente e responsabilizzato. Per questo motivo lo affianchiamo a esperti nell’ottimizzazione dei cicli di lavoro. Così otteniamo non solo la loro fiducia, ma la volontà che permette all’azienda nel complesso di ottenere gli obiettivi che si è prefissa». Anche nel processo di internazionalizzazione compiuto dal gruppo, la collaborazione di tutto il personale, anche tecnico, è stata molto importante. «Ci siamo avventurati in questo progetto – continua Zonetti –, sollecitati da clienti storici: avevano bisogno dei loro fornitori di fiducia anche presso i siti di produzione nei paesi low cost. In realtà è stato un processo molto complesso, perché dovevamo avere la stessa qualità che raggiungiamo in Italia, tutt’altro che scontato in un paese sconosciuto. Abbiamo girato molto e ci siamo fermati in Bulgaria, dove abbiamo finalmente trovato un partner straniero con cui condividere una certa visione, in particolare la nostra stessa attenzione alle risorse umane, sempre più rara. Il contributo del personale italiano nella formazione all’interno del sito all’estero è stato decisivo, quindi sono stati coinvolti anche in questo senso. Bisogna sottolineare come questo sia stato possibile perché i nostri collaboratori in patria sanno che non stiamo delocalizzando per chiudere in Italia, ma per continuare a seguire i clienti all’estero e magari trovarne altri che siano attratti dalla qualità italiana con costi bulgari. Quello della qualità made in Italy è un dato interessante. Per i nostri clienti stranieri sapere che la testa è in Italia è importante». Renato Ferretti
Stampaggio dalla A alla Z «Il cliente può recarsi in azienda anche solo con un’idea: noi pensiamo a tutto quello che serve al prodotto finito, compreso il materiale più adatto». Così Antonella Zonetti, titolare del Gruppo Ansa Compositi, riassume l’attività delle sue aziende. «Grazie all'esperienza cinquantennale – dice Zonetti –, e a un parco macchine che va da 10 a 1500 tons, siamo in grado di trasformare ogni famiglia di tecnopolimeri termoplastici e compositi termoindurenti, ne sviluppiamo di nuovi ad hoc a seconda dell’esigenza del cliente in collaborazione con i centri di ricerca delle università e dei nostri fornitori. Tra le ultime innovazioni tecnologiche c’è senza dubbio la sostituzione dell’alluminio con il più vantaggioso e performante termoindurente; questa soluzione ancora poco conosciuta consente di ottimizzare i costi di realizzazione e migliorare la performance dei prodotti. Il processo di creazione degli stampi e dei manufatti nasce negli uffici dei nostri tecnici che si occupano della progettazione con sistemi CAD/CAM Visi e CAD Catia.
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Donna Leader Maggio 2014 - pag. 21
Estremo Oriente non è solo grande concorrenza. L’industria italiana che è riuscita a mantenere inalterati tutti gli aspetti di una produzione qualitativamente elevata comincia ora a guardare in quella direzione non solo con il timore di plagi e guerra sui prezzi: paesi come India e Cina sono un’opportunità. Ne parla Stefania Maffeo, amminstratore unico della leccese Ilmea, con un’esperienza cinquantennale in carpenteria metallica, timonerie e verricelli oleodinamici per la pesca. Maffeo descrive il mercato interno come preoccupante per l’immobilità riscontrata negli ultimi anni. «A fare la differenza finora – spiega Maffeo – è stato l’export nei paesi del bacino del Mediterraneo, per quanto riguarda il settore pesca. L’altra nostra linea di produzione che potremmo definire core business è relativa al lavoro che svolgiamo per Fiat». Sì, perché nonostante la delocalizzazione dell’era Marchionne, la storica azienda di Torino continua ad affidarsi agli stabilimenti pugliesi della ditta Ilmea Srl dal 1973. «È una collaborazione che ormai ha quasi quarant’anni – dice Maffeo – e dura non solo per i contratti a lungo termine, intorno ai cinque anni. Penso non sia facile trovare imprese con il nostro grado di flessibilità e qualità garantita: per esempio, possiamo vantare uno scarto bassissimo, intorno allo 0,01 per mille. Per Fiat realizziamo le carrozzerie delle macchine movimento terra, tutti i componenti esterni escono da qui». Per la titolare dell’Ilmea il 2014 però non promette bene. «L’incertezza sull’andamento
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La qualità industriale e la chance dell’export Stefania Maffeo racconta la sua esperienza di imprenditrice del Sud, che divide la produzione della sua carpenteria tra una quarantennale collaborazione con Fiat e attrezzature per la pesca. «L’Italia è ferma, ma ci sono mercati che possono risultare molto interessanti» dei mercati internazionali – continua Maffeo – scoraggia gli investimenti. O almeno è così in Italia, che soffre della concorrenza nel metalmeccanico e nell’abbigliamento da parte dei colossi cinesi. Eppure ci stiamo affacciando al mercato indiano da poco e le cose sembrano prendere piede. È ancora presto per dire quello che sarà, ma abbiamo avuto degli ottimi feedback dopo una fiera fatta in loco». Il nuovo mercato che ora l’Ilmea comincia ad esplorare si riferisce al settore della pesca. «in particolare – precisa Maffeo – progettiamo e costruiamo attrezzature per il settore della pesca, che fornisce a cantieri navali, ad armatori e cooperative. Produce timonerie e sistemi di governo, verricelli salparete e salpapalamiti, verricelli salpatramagli e salpasciabica, verricelli per strascico e cianciolo, verricelli salpancore e salpacavi, verricelli power- block e per alaggio imbarcazioni, il tutto realizzato con idraulica di aziende primarie e in acciaio inox. Inoltre disponiamo di macchine e di impianti idonei alla costruzione di particolari di carpenteria piccola e media, sia in acciaio normale
Sopra, un’immagine di Shanghai. Cina e India rappresentano un’ottima opportunità per la Ilmea Srl che ha sede a Boncore (LE) api@ilmea.it
che in inox, tubazioni rigide per bassa pressione, serbatoi olio e combustibile, attacchi rapidi, benne, cestelli porta persona, supporti motore, canopy, tettucci protezione, portaforche, cofanature anteriori – posteriori, parafanghi, e tanto altro. Il tutto realizzato su disegno del cliente. In alcuni casi la progettazione è realizzata da noi in co-design con il cliente. Infine, il reparto controllo qualità, oltre ai
tradizionali strumenti di controllo (micrometri, durometro, spettofotometro, dinamometro digitale, spessimetro digitale, glossimetro, pettine, raggi X, tamponi e calibri alisametri) è stato dotato di un braccio di controllo elettronico che consente non solo la misurazione micrometrica dei particolari ma anche formalizzazione su carta delle rilevazioni». Remo Monreale
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Maggio 2014 - pag. 24
Puntare sull’economia sostenibile Investire nella Green Economy non rappresenta soltanto un’impresa sotto il profilo imprenditoriale. Racchiude infatti una serie di fattori che portano a credere in valori importanti, che possono convertirsi in scelte di successo. «La mia – specifica Lella Miccolis - è una testimonianza d’imprenditoria che ha investito nella Green Economy. Io però, preferisco dire che ho creduto in questo settore, a prescindere dagli obblighi di legge, dagli incentivi economici, dai bombardamenti mediatici, dalle agevolazioni fiscali, dai numeri ottimistici comunicati dagli economisti, dalla consi-
Lella Miccolis è amministratore unico di Progeva Srl e socia fondatrice di Fertileva e di Partfin di Laterza (TA)
derazione più o meno condivisibile che l’economia verde possa rappresentare una chiave strategica per superare questa lunga crisi. Quando ho deciso di intraprendere questa strada mi sono mossa seguendo un’unica convinzione “quando una cosa è buona e giusta conviene anche”». Da questa convinzione sono nate delle vere e proprie realtà imprenditoriali come Progeva e Fertileva, che abbracciano vari settori della Green Economy. «In
ogni caso, se un imprenditore crede veramente nella Green Economy non è sufficiente che entri in uno dei settori che ne fanno parte, come nel mio caso il compostaggio, la produzione di fertilizzanti biologici ed ecologici o l’agricoltura biologica. Deve sforzarsi di alimentare questo tipo di economia impostando in chiave ecosostenibile l’intera gestione aziendale». www.progeva.it
Perché credere nella Green Economy Impostare in chiave ecosostenibile l’intera produzione industriale. È questa la strada che le imprese dell’economia verde devono seguire. Ne parliamo con Lella Miccolis econdo i dati raccolti nell’ultima edizione del rapporto di Legambiente “Ambiente in Europa” – presentato alla stampa agli inizi di Maggio - l’Italia vanta una leadership relativamente recente in molti settori green, grazie a un’economia verde “inconsapevole” che le ha permesso di superare il campione europeo per eccellenza della green economy, la Germania. In realtà il merito non va solo all’inconsapevole anima green del Paese, ma anche a quelle realtà che con il loro lavoro hanno fatto propria questa missione. Ne è un caso esemplare la Progeva di Laterza, azienda specializzatasi nel compostaggio, uno dei sistemi più efficaci per contribuire in modo significativo all’uso sostenibile delle risorse sia agricole che ambientali. «La mia prima idea – racconta Lella Miccolis, amministratore unico di Progeva Srl, e socia fondatrice di
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Fertileva e di Partfin - è nata tra i banchi di un corso di formazione sulla gestione integrata dei rifiuti, organizzato dall’Ordine dei Biologi, in cui si è parlato anche di compostaggio. Questo progetto negli anni
è diventato un’impresa concreta, sana e innovativa, che ha saputo crescere e rigenerarsi». Un’intuizione trasformatasi in un successo per due motivi. «Da un lato la legislazione si stava muovendo sempre più a favore delle attività di recupero rifiuti, dall’altro il territorio di riferimento era comunque piuttosto sprovvisto d’impianti di compostaggio. Per questo Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, decise di credere al progetto». L’attività, forte di tecniche produttive all’avanguardia, si è conquistata un posizionamento di tutto rispetto nel territorio del centro-sud Italia. «Da una costola di Progeva è nata dopo qualche anno Fertileva, attiva nella produzione e commercializzazione di mezzi tecnici per la coltivazione rivolti all’ortoflorovivaismo professionale e al giardinaggio hobbistico, all’agricoltura convenzionale e biologica, alla paesaggistica e recupero ambientale». Una scelta, quella di investire nella green economy, che si è rivelata la migliore dal punto di vista economico e, soprattutto, come valore e qualità. «Possiamo registrare eccellenze “green” sotto diversi punti di vista: dalla raccolta differenziata praticata presso tutti i nostri siti aziendali, alla produzione di acqua calda riscaldamento e illuminazione con energie rinnovabili; dall’efficienza nei consumi di risorse energetiche e idriche, all’utilizzo di manufatti cellulosici e bioplastiche. Dagli interventi di autosufficienza energetica con produ-
Occorre impostare in chiave ecosostenibile l’intera gestione aziendale
zione in sito di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili, all’impiego come materie prime di materiali riciclati e recuperati. Fino alla sensibilizzazione alle tematiche ambientali delle nuove generazioni attraverso collaborazioni con il mondo della formazione e ricerca a vario titolo». Successi e realtà avviate grazie a collaborazioni fondamentali. «La Progeva prima e la Fertileva dopo sono state avviate anche grazie alla complicità e al lavoro qualificato di mio marito, il mio più grande alleato che mi ha dato l’opportunità di far parte di vari contesti istituzionali come il Consorzio Italiano Compostatori, la Sezione Energia, Chimica e Ambiente di Confindustria Taranto, il Comitato Regionale Piccola Industria, il Comitato Ambiente di Confindustria nazionale, il Comitato di distretto del Dipar, la Cciaa di Taranto e l’Associazione Nazionale Produttori Rifiuti». Risale inoltre a un anno fa la fondazione di Partfin Spa. «Si tratta – conclude Miccolis – di una società finanziaria che raggruppa molti soci come me, accumunati dalla voglia di scommettere su nuove e brillanti idee imprenditoriali ampliando di volta in volta anche la compagine sociale». Marco Tedeschi
Agroalimentare
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La Opem Spa ha sede a Parma www.opem.it
Tecnologie per l’industria del caffè Da una lunga esperienza nel settore dei pastifici, al mercato globale degli impianti per capsule di caffè, solubili e bevande calde. Opem Spa, da Parma al mondo intero. Nelle parole di Ombretta Sarassi l settore del caffè è in continuo fermento. L’estro dei torrefattori impone alle aziende manifatturiere di investire in ricerca per concretizzare i loro progetti. A questa domanda di sistemi sempre tecnologicamente diversi e innovativi risponde efficacemente la Opem di Parma, specializzata nella produzione di impianti per l’industria del caffè. «Quello che ci chiede il mercato – spiega Ombretta Sarassi di Opem – sono soluzioni che esprimano il massimo in termini di produttività e affidabilità nelle grandi produzioni. Per rispondere a queste esigenze e selezionare e impiegare al meglio le più recenti tecnologie presenti sul mercato, investiamo nella ricerca ed eseguiamo test prestazionali all’interno dei nostri laboratori meccanici ed elettronici. A fianco a tanta tecnologia, tuttavia, continuiamo a tenere viva la cura artigiana per i dettagli e i particolari, che è spesso il fattore che fa la vera differenza». Cura artigiana mutuata da una lunga esperienza nel mondo degli impianti per pa-
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stifici, a partire dalla quale Opem è cresciuta puntando esclusivamente sulle proprie idee. «Quando il nostro target erano i pastifici, lavoravamo per le più grandi imprese del territorio. In seguito, il riposizionamento nel mercato del caffè ci ha portato al mercato globale. Questo incontro è avvenuto negli anni Ottanta, all’inizio con gli impianti per il confezionamento – che sfruttavano diverse tipologie di packaging: bobine di film, sottovuoto, brick pack. In seguito, la vera svolta è arrivata con i sistemi per la produzione delle cialde. Parlo di svolta perché il nostro primo committente era un’importante multinazionale americana, che ci chiedeva di produrre impianti ad alta produzione di cialde di caffè». Il confronto con realtà dal respiro globale impose così a Opem un ripensamento della propria organizzazione, che il management dell’azienda è stato in grado di trasformare in evoluzione competitiva. «È stato un momento decisivo per capire noi stessi, ci rendevamo conto che non erava-
L’oro rosso di Puglia è un presidio Slow Food L’intento ambizioso di riproporre un metodo di coltivazione antico. Per conservare la cultura della terra pugliese. Il pomodoro Regina di Torre Canne di Luisa Pantaleo l pomodoro Regina di Torre Canne è recentemente diventato un presidio Slow Food. Pianta tipica dell’Alto Salento, si coltiva fra Fasano e Ostuni, nei terreni salmastri litoranei del parco delle Dune Costiere, precisamente da Torre Canne a Torre San Leonardo fino a Egnazia, lungo l’antica via Traiana. A presentarne le caratteristiche e il metodo di produzione e trasformazione è l’agronoma Luisa Pantaleo dell’azienda Pantaleo Agricoltura di Fasano: «Questo è un pomodoro da serbo, coltivato con acqua salmastra, che offre al palato un sapore unico. Ha una buccia consistente, che ne permette la lunga conservazione. La nostra è un’azienda che ha abbracciato l’agricoltura biologica, oltretutto collocata all’interno di una zona protetta in quanto ospitata in un parco». L’intento ambizioso di riproporre un metodo di coltivazione sviluppato e utilizzato per se-
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coli ha come scopo un’opera di conservazione e tutela della cultura della terra pugliese. «Secondo una tradizione che risale agli inizi dell’Ottocento – racconta Luisa Pantaleo –, tramite una selezione massale fatta dagli stessi produttori, i semi del pomodoro Regina di Torre vengono posti a germinare a febbraio. Alla successiva fase del trapianto – da aprile a maggio –, si irrigano le piante con acqua dolce. Durante l’ingrossamento del frutto, però, si irriga con acqua salmastra che gli conferisce quel tipico sapore acidulo-salmastro e che ne aumenta la conservabilità. Lo si raccoglie da luglio a settembre e lo si vende fresco. La sovrapproduzione, invece, ancora come avveniva un tempo, viene conservata nella caratteristica “ramasola”, ovvero grappoli di pomodori legati fra loro con filo di cotone. Questa è poi consumata fino all’aprile suc-
mo ancora sufficientemente strutturati e formati. Però anche in quel caso siamo stati capaci e coraggiosi, abbiamo capito che era un’opportunità da cogliere, per crescere. Investimmo in formazione, riuscendo così a collocarci all’altezza della situazione. Tanto che quando i concorrenti iniziarono ad alzare la testa, ormai noi eravamo i protagonisti e il mercato era nostro, soprattutto in Germania, dove esistono le più grandi torrefazioni europee». Proseguendo questo percorso che porta ai giorni nostri, Opem ha dimostrato di saper interpretare i cambiamenti del mercato. «All’inizio degli anni Novanta abbiamo iniziato a studiare impianti per capsule di caffè, solubili e bevande calde, ripetendo lo stesso successo avuto con le cialde. Anche in questo caso fu una grande azienda americana a darci fiducia e a farci entrare a pieno titolo negli Stati Uniti con degli impianti per la produzione di capsule K cup, in grado di realizzare 750 pezzi al minuto». Vittoria Divaro
cessivo e grazie alle sue caratteristiche, il pomodoro mantiene le sue peculiarità organolettiche anche dopo questi molti mesi. Anticamente la coltivazione si faceva insieme a una varietà locale di cotone: in questo modo era possibile individuare eventuali malattie sul pomodoro prima che esse si manifestassero». L’azienda Pantaleo ogni anno trapianta 150mila piante di pomodoro Regina, provenienti da semente selezionata. E inoltre produce, sempre nel rispetto della tradizione locale, una passata di pomodoro 100 per cento Regina o con 30 per cento Regina e 70 per cento Fiaschetto. E prosegue Luisa Pantaleo: «Dalla selezione di queste due varietà (Regina e Fiaschetta) si produce una passata dal gusto deciso ma equilibrato, senza conservanti, additivi o coloranti e senza aggiunta di acqua – ha il gusto della salsa di una volta, come la facevano le nostre nonne. Per ottenere questa qualità per un periodo il più prolungato possibile – ma sempre secondo il ritmo naturale delle stagioni –, dalla fine di aprile, ogni anno, sono trapiantate le piantine dei pomodori a scalare, a distanza di quindici giorni fra una coltivazione e l’altra. Questo permette di avere pomodori Regina freschi fino a settembre». Da quest’anno l’azienda è nel circuito delle masserie didattiche di Terra di Brindisi. «Per questo – conclude l’agronoma –, organizziamo visite per famiglie, scolaresche o gruppi interessati a conoscere le tradizioni locali. Proprio pensando ai più piccoli, va sottoli-
neato che il pomodoro Regina ha un frutto fra i più ricchi di vitamine A-B1-B2-C-E-PP-K, così preziose per tutti e specialmente per i bambini – ai quali la loro carenza dà come risultato uno scarso sviluppo e una scarsa resistenza alle malattie infettive». Vittoria Divaro
La Pantaleo Agricoltura si trova a Fasano (BR) www.pantaleoagricoltura.it
Agroalimentare
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Elita Legati, responsabile dell'area finanziaria della Indal Srl con sede a Montichiari (BS) www.indalsrl.com
In collaborazione per la qualità na filiera che inizia con la selezione delle migliori razze di bovini. Questi vengono poi allevati, ingrassati e, conseguentemente, avviati alla macellazione. È la catena che, attraverso la linea di macellazione,le cinque linee di disosso e sezionamento, una linea di congelamento, una tripperia, un salumificio e due reparti spedizione, gestisce e garantisce l’intera produzione di Indal, come spiega la responsabile dell'area finanziaria dell’azienda bresciana Elita Legati. «Già impresa di primo piano nel suo settore – dice Legati –, con l’apertura di Indal France, la nostra impresa zootecnica, si garantisce l’approvvigionamento dei vitelli di migliore qualità, da dislocare poi nei vari allevamenti italiani per l’ingrasso. La nostra controllata francese si trova in Borgogna, nel parco naturale del Morvan, patria della migliore genetica bovina da carne. Da qui importiamo ogni anno circa 35mila capi, che contribuiscono all’approvvigionamento della nostra filiera terminando, a seguito delle successive lavorazioni, con l’offerta di un’ampia gamma di prodotti. Tutte le fasi dell’allevamento e della macellazione di Indal sono curate direttamente dalla mia famiglia, che controlla l’azienda». Quali sono gli aspetti più importanti con cui descriverebbe la vostra attività?
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Nel pieno controllo della filiera Con Elita Legati in uno degli ambiti più delicati del settore agroalimentare: gli allevamenti di bovini. Ecco la strategia e l’attenzione che permettono di garantire la sicurezza e la qualità delle carni «Al primo posto poniamo il benessere degli animali, che crescono in un regime di alimentazione controllata, con continue verifiche sui foraggi e sull’ambiente. La successiva lavorazione avviene all’interno di cinque linee di disosso, dotate di impianti anche per il sottovuoto, la pesatura, il confezionamento, mentre la produzione dei salumi ha un reparto dedicato. Abbiamo delle sale ad hoc anche per le macellazioni rituali kasher (ebraica) e halal (islamica). Tutto il processo è controllato da un software di ultima generazione che gestisce la tracciabilità e che permette di ricondurre ogni singolo taglio e prodotto all’animale e all’allevamento di provenienza. A questo abbiamo affiancato un altro sistema infor-
matico per il monitoraggio dei mezzi utilizzati per le consegne. La qualità è la nostra prima priorità. Per questa ragione, abbiamo scelto di dotarci di una flotta di veicoli aziendali: il nostro obiettivo è di acquisire flessibilità assoluta e la possibilità di trasportare i nostri prodotti non appena sono pronti per essere consegnati al cliente». A garanzia della produzione, che importanza rivestono le certificazioni? «Oltre alla certificazione Uni En Iso 9001, abbiamo un nostro disciplinare per l’etichettatura delle carni rilasciato dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Nel 2010 siamo stati la prima azienda italiana a essere certificata da Halal Italia per la macellazione rituale islamica, affiancando questo nuovo importante risultato alla certificazione Vitop Filiera – solo carne di vitello di qualità superiore e costante nel tempo– per i rigorosi controlli effettuati dalla fase di selezione e allevamento sino a quella di macellazione e distribuzione». Insomma, l’esperienza maturata nel corso degli anni, ha indotto la famiglia Legati a convogliare in Indal sempre maggiori energie nella ricerca della qualità. «Per noi qualità non è solo una parola, che rischia di risultare vuota a causa della sua continua ripetizione e auto attribuzione
«Uno degli elementi per un prodotto sicuro e di alta qualità sta nella professionalità dei nostri clienti, coloro che finalizzano i nostri sforzi offrendo al consumatore finale il nostro prodotto». È uno degli elementi che Elita Legati, responsabile dell'area finanziaria della bresciana Indal, sottolinea. «I nostri principali clienti – dice Legati – operano nella grande distribuzione. Sono clienti storici e affidabili e Indal presta la massima cura e attenzione per offrire loro sempre i migliori prodotti. Questo ci distingue e garantisce sempre i massimi standard di qualità. Siamo un’azienda a conduzione familiare, molto tradizionale, che vuole rimanere fedele ai propri valori e alla tradizione».
da parte del mercato. Al contrario, è tale solo se comprovata dalle certificazioni. Proprio per questo tutti i nostri capi rispettano il disciplinare della Filiera Ita, una certificazione che risponde alla norma Uni En Iso 22005 e riguarda la rintracciabilità di filiera: un’esperienza assolutamente positiva che ci ha aiutato a consolidare i rapporti con la clientela storica». Renato Ferretti
Energia
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Un modello di sviluppo industriale per il Sud Le aziende della Val d’Agri che hanno saputo crescere e adattarsi alle richieste delle compagnie petrolifere presenti in Lucania. E il gruppo Criscuolo, partendo da una dimensione locale, oggi punta all’estero
n un Meridione spesso dipinto come poco industrializzato, il gruppo Criscuolo ha concretizzato importanti risultati, in particolare nel settore petrolifero. Abbiamo chiesto a Carmela Criscuolo, manager del gruppo, se ritiene che questo modello di sviluppo sia replicabile e trasferibile anche in altre aree del Sud Italia. La sua risposta è stata «assolutamente sì. Il segreto per ottenere risultati importanti risiede nella creazione di un team di figure professionali competenti, dinamiche e motivate, sempre in grado di affrontare i problemi e le sfide che un settore complesso come quello dell’oil & gas pone quotidianamente». Il gruppo Criscuolo, infatti, ha consolidato i propri risultati attraverso un costante processo di sensibilizzazione del personale rispetto ai temi dell’innovazione, della qualità dei servizi erogati, della sostenibilità ambientale e della salute e sicurezza sul lavoro. Le aziende del gruppo sono presenti in Campania e Basilicata, nella zona industriale di Viggiano – territorio che costituisce il cuore del distretto petrolifero Eni della Val d’Agri e si trova a pochi chilometri di distanza dal giacimento di Tempa Rossa (Total). Siete un gruppo composito per specializzazioni e know how. Può fare un quadro delle vostre aree di interesse? «I settori nei quali il gruppo è impegnato non si limitano a quello petrolifero e del gas e alla commercializzazione di prodotti petroliferi (Criscuolo Petroli). Ci occupiamo anche di ambiente e logistica (Criscuolo Eco Petrol Service), di indagini analitiche (Cori) e servizi alle imprese (Tesal e Fratelli Criscuolo)». Gli ultimi anni sono stati contrassegnati da un’involuzione dell’economia italiana. Come ha reagito il vostro gruppo, collocato in un territorio già tradizionalmente penalizzato? «I risultati raggiunti dal gruppo Criscuolo nel 2013 sono stati soddisfacenti. Nonostante il periodo di crisi economica che ha interessato anche il settore dei servizi legati al comparto oil & gas, il fatturato complessivo del gruppo è cresciuto
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Possiamo contare su un team di professionisti in grado di affrontare le complesse sfide del settore oil & gas
Carmela Criscuolo, manager del Criscuolo Group, che ha due sedi: Polla (SA) e Viggiano (PZ) www.ecopetrol.it
dell’11,5 per cento rispetto all’anno precedente. Una crescita frenata soltanto dall’eccessiva lentezza burocratica degli enti pubblici, che si sono fatti attendere nel prendere decisioni relative ad alcuni importanti progetti di investimento e di ammodernamento. E questo ha inevitabilmente causato dei ritardi, a volte anche consistenti, nell’avanzamento dei nostri progetti di sviluppo». Quali sono i progetti sui quali avete scelto di puntare? «Si tratta di investimenti in innovazione e tecnologia, funzionali già al presente e soprattutto al futuro delle imprese del gruppo. Quello che abbiamo già portato a termine è stato il completo rinnovamento del parco macchine. Invece, attualmente, stiamo portando avanti un ambizioso progetto di ammodernamento dei nostri impianti di gestione rifiuti, con l’obiettivo di fornire servizi sempre più all’avanguardia con accresciuti livelli di ecosostenibilità e sicurezza». Qual è il vostro rapporto con Eni? «Collaboriamo stabilmente con Eni fin dal suo insediamento qui in Val d’Agri. Nel corso degli anni, abbiamo cercato di sfruttare al massimo questa collaborazione, mutuando l’approccio alla gestione aziendale adottato dalla compagnia. Nel corso degli anni ci siamo dotati di sistemi di gestione aziendali certificati, abbiamo accresciuto le nostre competenze e il livello di specializzazione del personale, richiedendo il rispetto degli stessi standard anche ai fornitori». Guardando al futuro, oltre agli investimenti nell’innovazione, cosa prevedono i piani del gruppo? «Ora che il gruppo ha acquisito una certa stabilità nel territorio, stiamo puntando all’estero, in particolare al Mozambico. Nel paese africano, infatti, l’Eni ha scoperto un importante giacimento di idrocarburi e anche in questo caso intendiamo seguire il nostro committente per offrirgli l’esperienza e il know how acquisito in tanti anni di collaborazione qui in Val d’Agri». Valerio Maggioriano
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Gestione rifiuti
Il valore dei rifiuti, un’occasione di crescita su cui puntare Loredana Lezoche spiega gli ambiti più interessanti di un settore ancora da esplorare. Compreso smaltimento e deassemblaggio dei rifiuti elettrici ed elettronici i sa, i rifiuti sono una risorsa. La cosa che più spesso s’ignora, è quanto può essere complesso e stimolante lavorare in questo campo. Ne parla in questi termini Loredana Lezoche, alla guida della GlobEco di Molfetta (BA). Per la titolare dell’azienda barese una delle possibilità più interessanti sta nel riuscire a dare un servizio a realtà anche molto diverse tra loro in modo trasversale. In particolare certi ambiti, che sembrano promettenti, sono ora una nicchia di mercato che in pochi al momento sono in grado di soddisfare. Un’avanguardia, dunque. «Grazie al corposo parco automezzi – dice Lezoche – e alle iscrizioni all’Albo Gestori Ambientali 1 – 4 – 5 – 8, siamo in grado di offrire specifici servizi di raccolta e trattamento rifiuti dedicati alle diverse esigenze su tutto il territorio nazionale: grazie ai nostri cicli di recupero GlobEco consente il riutilizzo e il recupero del materiale raccolto per oltre il 90 per cento. E questi sforzi, ci hanno garantito anche l’accreditamento del Wwf. Ma in realtà c’è da dire che il calo delle produzioni in Italia è stato piuttosto drastico e nulla fa pensare a una ripresa. Per questo abbiamo tagliato i rami che non possono portare valore aggiunto e cerchiamo di occuparci di quello che per il momento è “insolito”». Per esempio? «Abbiamo appena preso un impianto che pochissimi hanno in Italia, con cui miglioreremo le nostre possibilità di smaltimento e deassemblaggio dei rifiuti elettrici ed elettronici. Questo impianto ci permetterà di selezionare automaticamente materia prima e seconda pronta per la fonderia: rame, alluminio,
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Analizziamo le certificazioni che le aziende devono avere riguardo alla propria produzione di rifiuti
Loredana Lezoche, titolare della GlobEco con sede a Molfetta (BA) www.globeco.info
acciaio, già selezionate. Le parti preziose vengono selezionate a mano. Il servizio può spaziare dalla semplice raccolta di un personal computer allo smantellamento di un centro elaborazione dati di notevoli dimensioni. Al termine delle operazioni viene rilasciata al cliente idonea dichiarazione di avvenuto smaltimento che consente la cancellazione del macchinario dal libro dei beni ammortizzabili. Questo tipo di rifiuto non mancherà mai, anzi. Nell’ultimo periodo aumentano le quantità». Ci sono altri tipi di rifiuti su cui punterebbe nel prossimo futuro? «Il futuro è relativo alle terre rare, che si possono trovare in scarti di alcune lavorazioni industriali speciali. Le terre rare sono utilizzate in molti apparecchi tecnologici come superconduttori, magneti, catalizzatori, componenti di veicoli ibridi e molto altro. Ma anche questo è un ambito per lo più ignorato, come molti altri aspetti più generali del nostro settore». A cosa si riferisce? «Per esempio alla burocrazia. Tra i nostri servizi, non a caso, forniamo consulenza ambientale e quindi ci possiamo dire burocraticamente attivi: più si offre conoscenza di cose che in molti ignorano, più si hanno i requisiti per operare. In particolare, analizziamo ogni certificazione che le aziende devono avere riguardo alla propria produzione di rifiuti ed eseguiamo la predisposizione del campionamento dei rifiuti finalizzato all’elaborazione delle analisi chimiche di laboratorio». Quali altri servizi offrite nello specifico? «Facciamo raccolta, trasporto e trattamento ecologico dei rifiuti speciali da ufficio, quali cartucce toner e ink jet, nastri per stampanti, floppy disk, nastri e supporti magnetici in genere, Cd-Rom, telefoni, pile, e altro. Il servizio prevede un programma di ritiri in funzione delle esigenze del cliente. Poi operiamo bonifiche, cioè messa in sicurezza, caratterizzazione, progettazione preliminare e definitiva, attuazione dell’intervento, trasporto e recupero/smaltimento dei rifiuti. Inoltre siamo in grado di eseguire demolizioni di impianti industriali di qualsiasi tipo e dimensione, e ci occupiamo dello smontaggio e rottamazione di macchinari ob-
La cultura dello smaltimento
Il vero obiettivo di un’azienda che si occupa di smaltimento rifiuti non sta nel sollevare da un compito le aziende o i privati. Per Loredana Lezoche, alla guida della GlobEco, «è il miglioramento costante dei processi produttivi. La nostra mission, infatti, è di creare con i clienti uno stretto legame, anche culturale e formativo, mirato alla raccolta del rifiuto prodotto, differenziandolo per ricavare la sua valorizzazione massima, che alla fine si traduce in risparmi economici, oltre ad un’educazione ambientale».
soleti e strutture. E poi ancora, demolizione di strutture navali, industriali e metalliche residuate con lavorazione e trasformazione delle stesse mediante operazioni di taglio e impacchettamento. Infine, grazie alla nostra struttura logistica, offriamo servizi di Macro e Micro raccolta di qualsiasi rifiuto speciale pericoloso e non pericoloso di qualsiasi forma, dimensione e natura. Ma la lista potrebbe essere ancora più lunga. In definitiva, si pensi a ciò che può interessare lo smaltimento dei rifiuti: noi ce ne occupiamo». Renato Ferretti
Giornalismo
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Il web è una risorsa, ma bisogna saperlo leggere: ecco la nuova mission dei tg Dal taccuino al tablet. Dal dispaccio di agenzia al tweet. Le nuove tecnologie hanno invaso il mondo dell’informazione e il telegiornalismo deve adeguarsi al cambio di passo. Ad esempio, ponendosi come sentinella nella giungla di notizie che brulicano in rete
hanno chiamata era post-stampa. O dell’informazione liquida. Una cosa è certa: il mondo del giornalismo è più quello di una volta. L’avvento del web lo ha cambiato, per certi versi stravolto, segnando un cambio di rotta epocale nel modo di dare e apprendere notizie. Alla rapida ascesa di blog, social e notiziari online, i lettori rispondono con una crescente propensione a documentarsi in rete: dai 3 su 10 del 2005, oggi siamo quasi al 48 per cento, secondo l’ultima indagine di Demos Coop. Un trend che fa il paio con la perdita di fiducia nei confronti della tv, per quanto rimanga ancora il mezzo più utilizzato per informarsi. Tuttavia il pubblico le chiede di aggiornarsi, di darsi una cifra più multimediale per riacquistare credibilità. E le redazioni televisive, a piccoli passi, ci stanno provando. Come? Lo abbiamo chiesto a tre volti noti dell’informazione del piccolo schermo. Un tempo l’armamentario del cronista era composto da taccuino, penna e buone scarpe. Oggi tutto il mondo è racchiuso in uno smartphone o tablet. Com’è cambiato il mestiere del giornalista nell’era del web? Cesara Buonamici: «Innanzitutto non dimenticherei il telefono. Da sempre il compagno fedele del giornalista, anche se con le mutazioni tecnologiche che si sono susseguite. E ancor oggi lo resta per chiunque, tanto più per un giornalista che ha sempre bisogno del contatto diretto, dell’indiscrezione, della battuta. Certo che in quanto a strumenti a disposizione non c’è paragone, ma la sostanza del mestiere è sempre la stessa: curiosità, onestà intellettuale e buona volontà. Il rischio è di avventurarsi a parlare e scrivere anche di ciò che non si conosce o non si è verificato personalmente. A chi si avvicina a questa professione consiglio sempre di non cedere alla pigrizia». Domitilla Savignoni: «Il nostro mestiere nell’era del web è cambiato già molte volte. E sta nuovamente cambiando: ormai siamo al cronista 3.0. All’inizio il lavoro sembrava facilitato. Poi si è capito che per quanto internet permetta un vastissimo accesso alle informazioni, capire l’attendibilità delle fonti è molto più difficile. Specie per chi, come me, si occupa di notizie internazionali. Implica un lavoro su notizie, foto e video a volte molto complicato. Non ci sono filtri, tutto può esser vero come falso: per questo credo che nulla possa sostituire il giornalista sul posto dove si svolge un fatto. Occhi e taccuino non tradiscono mai e lo dice una “malata” di nuove tecnologie». Maria Concetta Mattei: «La tecnologia ci ha cambiato la vita, era inevitabile che modificasse anche il modo di raccontare le notizie. Appena vinto il concorso per la sede regionale Rai di Trento, 34 anni fa, passavo le mattine a “fare il giro” di giudiziaria e nera fra tribunale, stazione di Carabinieri, commissariato e Polizia presso l’ospedale regionale. Il taccuino si riempiva pian piano fra tanti incontri e fiumi di caffè. Oggi trascorro la maggior parte del tempo davanti al pc fra mail, agenzie e contatti spesso mediati dall’uso della tecnologia. Tutto è diventato molto veloce: dalla raccolta e verifica delle fonti alla realizzazione del servizio, sino alla sua messa in onda».
L’
Il volto delle Storie che raccontano l’Italia Uno stile garbato e composto, molto apprezzato dal pubblico. Maria Concetta Mattei, trentina e giornalista professionista dal 1981, è uno dei volti di punta del Tg2. Entrata in Rai tramite un concorso vinto nel 1979, viene assegnata alla sede regionale di Trento, dove si occupa in particolare di cronaca nera e di vicende giudiziarie. Curatrice negli anni Ot-
tanta di inchieste come quella sulla medicina alternativa e sulle adozioni internazionali, nel 1991 arriva al Tg2, di cui oggi conduce le edizioni serali e le rubriche Tg2 Storie e Tg2 Insieme. Vincitrice di tre edizioni de “La giornalista dell’anno”, nel palmares della Mattei c’è un’altra curiosità: la partecipazione nel 2010 allo show Ballando con le stelle.
Il web è una miniera tendente all’infinito di notizie più o meno fondate. Quali passaggi segue una redazione che opera secondo schemi tradizionali per verificarne l’attendibilità? C.B. «Il guaio del web è proprio quello di divulgare migliaia di notizie non verificate, spesso persino inventate. Una redazione seria fa sempre riscontri incrociati tra le fonti o, più semplicemente, sente tutte le campane: un buon vecchio sistema per evitare di non far brutta figura e, nel peggiore dei casi, di far danno a qualcuno. Il fatto curioso è che molti parlano del web come la tomba del giornalismo, ma è proprio qui l’errore: la rete è un magazzino alla rinfusa, senza capo né coda. L’attività giornalistica serve a dare ordine, priorità e, soprattutto, credito a ciò che si racconta, perché quel luogo è anche fonte di strafalcioni, invenzioni maligne e altro». D.S. «Proprio gli errori madornali fatti dai reporter nei primi tempi dell’avvento di internet e la superficialità con cui venivano trattate alcune notizie arrivate dalla rete, hanno spinto i giornalisti a ripassare codici deontologici e regole del mestiere. Controlli incrociati di fonti, telefonate, e-mail, avere una rete di contatti, un network solido nel settore di com-
Giornalismo
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La veterana del tg ammiraglio Quando 22 anni fa il Tg5 aprì i battenti, lei c’era. Voluta in redazione su richiesta dell’allora direttore Enrico Mentana, Cesara Buonamici è una delle fondatrici del telegiornale ammiraglio delle reti Mediaset. Professionista dal 1987, ha mosso i primi
Dal rettangolo al piccolo schermo Romana e professionista dal 1998, Domitilla Savignoni approda al giornalismo dopo una carriera da atleta. Più volte campionessa italiana di ginnastica ritmica, matura espe-
rienza giornalistica collaborando con alcune agenzie di stampa, come Ansa e Adnkronos, e con i quotidiani Il Giorno, L’Avanti e L’Indipendente. Nella redazione esteri del Tg5 dal 1994, al momento conduce l’edizione delle 13 del notiziario, dopo diversi anni da inviata. Appassionata di new media, cura il blog domitillasavignoni.com
passi da giornalista in una tv locale di Firenze, poi assorbita da Retequattro, passaggio chiave per il successivo approdo a Canale 5. Impostasi al gradimento del pubblico grazie alla sua conduzione sobria ed elegante, Buonamici può appuntarsi al-
l’occhiello anche un “colpo giornalistico” messo a segno nel 1999, quando per prima annunciò il mancato raggiungimento del quorum nel referendum sul maggioritario. Caporedattrice del Tg5 all’epoca dell’addio di Mentana, oggi è vicedirettore.
petenza è la prima, vecchia regola di ogni buon giornalista. La velocità del web e la necessità di fare lo scoop non devono far dimenticare che ogni errore può costare molto caro, al giornalista e alla testata per cui lavora. Il web ti aiuta molto, ma ti può anche rapidamente distruggere». M.C.M. «La rete è anche per noi una fonte straordinaria di informazioni, che però valutiamo di volta in volta con scrupolo. La regola base rimane quella del controllo incrociato delle informazioni, cercando la conferma da più fonti e verificando che siano tutte attendibili. Le agenzie di stampa rimangono uno strumento prezioso, ma un vero reporter cerca comunque di parlare in prima persona coi protagonisti o i testimoni dell’evento da raccontare. Inoltre, in Rai abbiamo la grande fortuna di poter contare sulle sedi regionali, in cui lavorano ottimi colleghi, che conoscono il territorio e sanno muoversi per ottenere interviste e filmati in tempi rapidi». I social network sono entrati anche nei palinsesti dei tg o di rubriche di approfondimento. Ad esempio, secondo quali criteri tweet e commenti Facebook vengono inseriti nelle vostre scalette? C.B. «I tweet vengono comunemente usati dai capi di governo così come dal Papa, il nostro attuale premier ne fa largo uso e per un giornale sono di grande utilità. Spesso già ci offrono un titolo. Il “cinguettio” è una mini dichiarazione firmata quindi, strumento a parte, è una cosa che esiste da sempre. Alla luce di molti casi drammatici invece, gli scambi su Facebook impongono grande cautela, specie se coinvolgono giovani. I social network sono sì luoghi virtuali di socializzazione, ma anche di cattiveria, di ignoranza, di vendette. Lì serve molta prudenza prima di dare credito a qualcosa, altrimenti si diventa servi stupidi di chi vuole sfruttare lo strumento a proprio vantaggio». D.S. «I social network hanno già cambiato profondamente il nostro modo di raccogliere informazioni. Twitter e Facebook sono fonti preziose di notizie, ma non si sono ancora sostituiti alle agenzie di stampa. Il motivo è semplice: abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nella nostra fonte. E i social non godono ancora di fiducia. È vero però che gli uffici stampa li usano come prima usavano fax o e-mail. Dunque, spesso tweet di politici vengono citati dai tg anche come titoli delle edizioni principali. Così come le pagine Facebook delle vittime di fatti di cronaca vengono, ahimè, cannibalizzati dai media». M.C.M. «Un tempo erano le lettere al direttore. Oggi sono le mail, i tweet o le valutazioni su Facebook. Ogni messaggio va interpretato e riportato in un contesto di comunicazione più ampio quando si vuole che la notizia non cessi di avere risonanza con un clic. C’è chi fa denunce sociali e chi cerca autopromozione. Ma c’è pure chi invia proposte, suggerimenti o brevi racconti. L’interazione col pubblico è una cartina di tornasole immediata del nostro lavoro: dalla quantità e dal tono delle recensioni capiamo quali temi sono più attesi e seguiti». Il giornalismo online ha il vantaggio della news di primissima mano, che si aggiorna minuto per minuto. Quali contromosse può adottare un prodotto d’informazione televisivo per evitare che il pubblico gli preferisca la rete? C.B. «Contro la velocità delle notizie online i tg possono fare poco e in più ogni notizia risulta “bruciata” in tempi brevissimi. In ogni caso, lo spazio per un approfondimento resta sempre perché di grande aiuto per comprendere. Innanzitutto chi fa notiziari e giornali è presente anche sulla rete,
quindi la lotta sarebbe “in famiglia”. Ma il notiziario è diverso: è passivo, riposante. Ci si mette lì e si ascolta, si commenta con chi è presente. È un prodotto diverso, che cambierà forse, ma prevedo non subirà torti gravi dalla rete». D.S. «Io credo che abbiamo bisogno dell’immediatezza del giornalismo online, ma anche dei servizi curati e ragionati dei tg tradizionali. La tv era data per spacciata, invece è ancora l’unica a catalizzare il grande pubblico in occasione degli eventi più importanti. Il giornalista televisivo fa uno sforzo enorme di comprensione e semplificazione delle notizie perché a differenza di altri ha la “gabbia” del tempo, in media un minuto e mezzo, in cui riassumere il racconto e renderlo comprensibile a tutti. E per farlo non dispone di giorni, ma di poche ore e muovendosi spesso in posti sconosciuti o pericolosi. Il pubblico tradisce solo se lo deludi». M.C.M. «Dobbiamo essere sempre migliori, completi e accattivanti, ma soprattutto moderni, anche nel linguaggio. Per attrarre i giovani, i primi fruitori della rete, dobbiamo capire i loro gusti, gli argomenti, i protagonisti capaci di suscitare il loro interesse. Quindi dobbiamo eleggerli a nostri interlocutori. Anche in questo il web ci aiuta perché è il luogo dove loro si esprimono con facilità. Vedo la rete come una risorsa, non come rivale del giornalismo tradizionale. Ormai anche la carta stampata utilizza i siti per comunicare online e i maggiori quotidiani producono filmati e dibattiti che mettono in rete, in parallelo al lavoro che va in tipografia». Internet ha cambiato anche il ruolo del pubblico dell’informazione, che ora può commentare, criticare e talvolta persino correggere le notizie. Come si declina questo fenomeno nella vostra redazione? C.B. «Il Tg5 dialoga da sempre col pubblico accogliendo critiche e suggerimenti. Ma non siamo i soli. Considero un bene l’apertura all’opinione pubblica, perché il più delle volte restituisce il vero senso delle vicende, specie in questi anni di crisi. Testimonianze, sguardi di operai che hanno perso il lavoro o di mamme che tremano per le loro famiglie valgono più di tante parole. Ma anche qui occorre prudenza: non c’è scientificità ma solo arricchimento, spazio alle opinioni, un po’ quello che facevamo negli anni Settanta quando nei primi canali che nascevano, mettemmo il telefono in tv. Fu una rivoluzione che è rimasta». D.S. «I commenti e le critiche arrivano via e-mail ma anche tramite i social network. In passato i giornalisti che sbagliavano, a meno di errori clamorosi, spesso la facevano franca. Adesso è più difficile. Sapere che il pubblico può raggiungerti con le sue critiche rende il giornalista più scrupoloso. Capita che un telespettatore individui l’errore, lo segnali e il Tg rettifichi: noi ad esempio lo facciamo sempre, nella stessa edizione del giorno successivo. Trovo che l’interazione col pubblico sia la vera novità del reporter 3.0. Su questo punto siamo all’anno zero, c’è un mondo tutto da esplorare». M.C.M. «Leggiamo tutto quello che i telespettatori scrivono: nel caso di Twitter, ad esempio, anche 140 caratteri possono bastare per lanciare una provocazione o esprimere un commento. Penso che ricchezza e varietà dei mezzi di informazione siano garanzia di pluralità e democrazia. Del resto anche i nostri programmi tv e le nostre trasmissioni possono essere rivisti grazie a internet. Quello che è certo è che il mondo dell’informazione è sottoposto a valutazioni sempre più critiche ed esigenti. In questo scenario, sono convinta che la qualità resti la carta vincente, tanto più nei confronti del pubblico più giovane». Giacomo Govoni
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Quando la sostenibilità è di moda È possibile mettere al servizio di cause giuste creatività e tecnica. Ne è convinta la stilista Marina Spadafora. Nei suoi capi infatti convivono estetica ed etica
Il progetto Auteurs du Monde Una collezione di abiti sostenibili confezionata dai La stilista Paola Frani
tanti artigiani, per lo più donne che popolano i villaggi di Asia, Africa e America Latina, che raccontano le tradizioni di quei luoghi aggiungendo innovazione e modernità. Gruppi di donne che lavorano insieme, per contribuire al reddito familiare
al 2007 si occupa di moda sostenibile, unendo professionalità e coscienza. Ama definire la sua attività “fashion with a mission”, la missione è quella di creare opportunità di lavoro in paesi in via di sviluppo attraverso le sue creazioni. «La mia coscienza - spiega la stilista Marina Spadafora, direttore della linea moda e accessori “Auteurs du monde” di Altromercato - mi ha portata in giovane età a realizzare che siamo tutti profondamente interconnessi e che ogni nostra azione impatta su molte persone. Ho sempre pensato che chi è più fortunato ha la possibilità di aiutare il prossimo, in particolar modo, chi ha visibilità può comunicare con efficacia mes-
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La stilista Marina Spadafora
saggi importanti». Ha dichiarato che «la strada della sostenibilità non è più un’opzione ma una necessità». Perché è proprio questa la via da percorrere e cosa dovrebbe tornare più di moda oggi? «La responsabilità civile dovrebbe tornare di moda. Dopo l’abbuffata di materialismo e profitto senza scrupoli, è il momento di capire che questo pianeta e i suoi abitanti stanno correndo a folle velocità contro un muro a meno che tutti noi non ci impegniamo a fare tutto ciò che possiamo per deviare la rotta e continuare a vivere in armonia su questo splendido pianeta». In che misura i viaggi che ha fatto nella sua vita hanno condizionato la sua idea di moda, la maniera di produrre i capi e la scelta di materiali e colori? «Viaggiare è una condizione per me di totale felicità, soprattutto quando mi trovo a entrare in contatto con le realtà degli artigiani, degli artisti e delle maestranze tessili con cui lavoro. È un viaggiare diverso da quello che si può fare come turisti, mi trovo a essere parte delle comunità in cui lavoro, a condividere la loro quotidianità, i loro problemi, i loro sogni e questo per me è impagabile. In ogni paese lavoro con le materie prime del
luogo, è un bello scambio di creatività tra me e gli artigiani, io do i miei disegni e loro mi danno le idee, la collezione è un risultato equilibrato di questo scambio». Diventare direttore creativo di “Auteurs du monde” che svolta ha rappresentato nella sua vita? A cosa è ispirata la sua ultima collezione e quali parametri segue del fair trade? «Essere direttore della linea moda e accessori di “Auteurs du monde” è prima di tutto un grande onore, è quello che volevo fare da piccola, godo di ogni aspetto del mio lavoro e in particolare adoro il rapporto che ho con i nostri produttori e la possibilità che ho di visitarli regolarmente. Tutti i nostri gruppi di artigiani appartengono al “World fair trade organization”, un’associazione internazionale che ha dieci regole auree tra le quali: la giusta paga, condizioni di lavoro sicure e la salvaguardia dell’ambiente. Altromercato s’impegna finanziando le produzioni, quindi pagando il 50 per cento al momento dell’ordine e 50 per cento alla consegna, dando la possibilità agli artigiani di acquistare la materia prima. E produrre in tranquillità. Si assicura anche la continuità e un minimo d’ordine garantito». Renata Gualtieri
e tessere relazioni sociali, come le lavoratrici del Nepal, che ottengono reddito dalla lavorazione manuale di lana e feltro, e rendono ogni abito «una lettera da recapitare a chi l’acquista». La stilista Marina Spadafora definisce
Creatività a portata di click Una donna consapevole della sua eleganza innata e della sua intelligenza, che veste capi raffinati e moderni e, soprattutto, di qualità. È la donna Paola Frani
la sua collezione come antropologica perché «ogni capo ha una sua storia e identità, ed è rifinito a mano da artigiani provenienti dal sud del mondo» e viene realizzato nel rispetto delle persone e dell’ambiente
utilizzando
solo fibre naturali e green oriented.
re mesi fa ha fatto notizia la sua scelta coraggiosa di non sfilare alla fashion week milanese. Un gesto senza dubbio significativo in tempo di crisi, ma quando si è vive un periodo di difficoltà economica si trova un modo nuovo per tutelare e vendere il made in Italy. «Lo scorso febbraio - spiega Paola Frani, la stilista di Cesena che da anni è protagonista delle passerelle del capoluogo meneghino - ho deciso di non sfilare a Milano per difendere il made in Italy in tempo di crisi abbassando i prezzi, restando competitivi sul mercato e continuando così a produrre in Italia». La sfilata però resta sempre l’evento di punta per chi fa moda e così la presentazione della sua collezione autunnoinverno 2014-2015 è stata ospitata all’interno dello showroom di via Carlo Botta a Milano, senza nulla togliere alla qualità, tagliando solo i costi legati allo show. Per sei giorni, tanto quanto dura la settimana dedicata alla moda, i suoi clienti, tra cui giapponesi, russi e quelli dei paesi del Far East, sono stati accolti nell’atelier per ammirare le creazioni di Paola Frani in mostra assieme ai prodotti gastronomici della Romagna. Si è definita imprenditrice di se stessa. Quali sono state le tappe fondamentali che le hanno permesso di trasformare una realtà artigiana in un’azienda conosciuta a livello internazionale? E quali i prossimi obiettivi? «Nel mio percorso da imprenditrice sono stati fondamentali i premi e i riconoscimenti da parte del settore moda e collaborazioni con brand esterni. Il passaggio da una realtà artigiana ad azienda internazionale ha comportato una riorganizzazione del processo creativo che deve convivere con la sistematizzazione di tempi e metodi produttivi. Tra
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Travel chic, l’eleganza a prova di valigia Sono le donne americane quelle che più apprezzano La Petite Robe e lo dimostrano attraverso i social. La stilista Chiara Boni racconta il suo percorso nel campo della moda el 2007 è nata La Petite Robe. Alla base di questo concept c’è l’idea del travel chic, per chi da viaggiatrice, come la stilista Chiara Boni, si trova ad affrontare il problema di sistemare i vestiti in poco spazio o non farli arrivare sgualciti a destinazione. Abiti semplici e morbidi, venduti in una bustina, che possono essere lavati in lavatrice, non vanno stirati e si adattano perfettamente alle esigenze delle donne attive e dinamiche. Chiara Boni ha fatto tappa, dopo qualche anno di assenza, anche al Pitti, a Firenze - «città senza la quale non sarei quella che sono» ha affermato la stilista - in una sfilata che ha lasciato il segno ed è stata protagonista delle vetrine della Rinascente di Milano. Una scelta vincente da ripetere, comprovata dal consenso degli operatori del settore e gli amanti dello shopping. C’è una donna che racchiude il suo ideale di ele-
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ganza e che vorrebbe vestire con le sue creazioni? «Ogni donna interpreta a suo modo i capi ed è proprio per questo che i miei sono molto semplici. Vestire donne molto conosciute in campo internazionale è importante per la ricaduta sul piano della comunicazione». Ha dichiarato di aver ricercato per tutta la vita la flessibilità nei tessuti. Come ci è riuscita e cosa le garantisce nel prêt-àporter? «Quando ho iniziato a fare il prêt-à-porter ho avuto l’esigenza di forme minute per
La stilista Chiara Boni
realizzare un abito che accompagnasse il corpo e, quindi, ho ricercato la flessibilità nei tessuti. Con il tessuto che utilizzo oggi, posso dire che la mia ricerca è arrivata quasi al termine, perché dà grandissimi risultati su qualsiasi taglia, anche su fisici importanti come quello di Oprah Winfrey». A proposito di America, il mercato statunitense è uno di quelli che apprezza di più le sue creazioni. Come è riuscita negli anni a conquistare le americane? «Le americane sono straordinarie e davvero innamorate dei nostri capi, anche le star, e quando li comprano condividono la loro soddisfazione attraverso Twitter, dimostrando così anche il loro stretto legame con i social network. Così fanno anche le nostre clienti russe e arabe, anche loro pubblicano continuamente foto in cui indossano i nostri vestiti su Instagram. Con le italiane ciò non avviene, probabilmente perché hanno paura
di legarsi esclusivamente a un marchio, ma sbagliano perché fare commenti precisi sulla scelta del proprio look è un modo per essere seguite e avvicinarsi al pubblico. Sul nostro sito abbiamo una rubrica che si chiama “Le donne in petite”, ricco di foto di pubblicate dalle nostre clienti, e anche lì notiamo che sono le americane quelle che più amano essere protagoniste delle loro scelte». La moda e il made in Italy al femminile che contributo possono dare al futuro del nostro Paese? «La moda può dare senz’altro un grande aiuto al Paese. Noi esportiamo 27 miliardi e ne importiamo 9, quindi il saldo commerciale della moda italiana è molto importante rispetto all’economia italiana. Ci sono più donne che uomini che lavorano in questo settore, ma il contributo può venire in maniera indistinta da entrambi i sessi». Renata Gualtieri
i prossimi obiettivi c’è quello di consolidare i marchi aziendali, con una linea Paola Frani accessori, metalli preziosi, orologi di classe e con l’apertura di negozi monomarca con un nuovo concetto: “Paola Frani ti cerca…”. La sua azienda si distingue anche per avere un personale quasi totalmente al femminile. Da dove deriva questa scelta e quali i vantaggi che ne scaturiscono? «È insito nella tradizione di questo settore l’abilità artigianale da “mani di fata” delle donne; quindi anche nella mia azienda non poteva essere diverso. Farsi carico di un progetto e portarlo poi a buon fine è uno dei vantaggi e dei punti di forza dell’avere collaboratrici quasi totalmente femminile». L’e-commerce che importanza ha come canale di vendita alternativo a quello tradizionale? E che legame c’è tra internet e il mondo della moda? «L’azienda Paola Frani sta lavorando sull’e-commerce per renderlo più appetibile ai consumatori con un prodotto più accessibile e comunque sempre di qualità. Ci sarà un legame sempre più avvincente e inscindibile tra internet e la moda per il prossimo futuro». Quali sono le sue principali fonti d’ispirazione, cos’è per lei l’eleganza e com’è la donna Paola Frani? «L’ispirazione è nell’arte, nel cinema, nella musica, nell’architettura e nel design: tutto questo è ciò che amo e continua fonte di riferimento per quello che faccio, la mia moda. L’eleganza è innata e la si trova nel Dna; come stilista posso solo dare uno strumento per affinarla. La donna Paola Frani è consapevole di questo dono, usando la propria intelligenza, femminilità e modernità per migliorare il proprio essere e la propria bellezza». Renata Gualtieri
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Abiti su misura. Non esistono le mode, ma solo le giuste proporzioni Nicoletta Caraceni, ingegnere dell’abito e ricercatrice di stile, custodisce i segreti dell’artigianato italiano, ormai in declino. I clienti? Sempre più stranieri
Giovani, tornate nelle sartorie Essendo oggi un lavoro meno ricercato, sono sempre meno le persone che decidono di dedicarsi all’artigianato, col rischio che secoli di tradizione di genio e creatività italiana vengano persi. «Nel mio atelier – nota Nicoletta Caraceni - lavoro solo con persone adulte ed esperte, fra l’altro poche, proprio perché non ci sono più giovani disposti a fare questo lavoro. È un mestiere che non viene abbastanza valorizzato e incentivato». A partire dalla scuola, dove nei pochi laboratori ancora attivi vengono rilasciati attestati senza verificare le competenze dei ragazzi all’atto pratico, spesso la vera carenza della formazione degli studenti in Italia. «Non possiamo pretendere che questi ragazzi in soli sei mesi imparino a cucire. In sei mesi a stento si può imparare a tenere un ago in mano». Mentre in Italia «quello artigianale è un prodotto di nicchia, in Francia, ad esempio, gli artigiani sono patrimonio nazionale, si rispettano e le politiche del lavoro li incentivano». Infatti, secondo i dati della Confartigianato (www.fanpage.it) tra il 2012 e il 2013 le assunzioni di apprendisti nell’artigianato sono crollate del 33,8 per cento, di cui 6,8 per cento nel settore della sartoria. Servono formazione, laboratori e passione per far tornare i giovani negli atelier di piccola e media impresa.
iacche, tight, cappotti e gilet. Abiti per tutte le stagioni dell’anno e della moda. Ma, nonostante i periodi della moda cambino con un susseguirsi repentino di stili, a volte diversi e a volte remake di annate precedenti, non tutti i vestiti si lasciano indossare. Dunque, per non penalizzare la fisicità e la personalità di ognuno, oltre che la qualità e la persistenza del vestito, a ognuno il suo. Nicoletta Caraceni, titolare della sartoria ereditata da Ferdinando Caraceni, suo padre e maestro, critica le tendenze e il vestito di fabbrica, in favore di abiti fatti su misura, di alto artigianato, realizzati interamente a mano, che esaltano la figura e, è il caso di dirlo, calzano a pennello. «Non faccio di tutto – afferma – ma solo capi spalla: giacche, tight, gilet ecc. e non seguo mai la moda, il nostro è un abito classico che può durare 20-25 anni perché viene privilegiata la qualità del tessuto e della lavorazione. Quindi non è un prodotto di moda, ma di qualità e di stile intramontabile». I tessuti sono tutti pregiati e selezionati, da quelli inglesi, al cachemire di Scozia, al lino d’Irlanda. E per produrre un capo di valore che possa durare nel tempo la lavorazione ha un procedimento lungo e complesso: «Innanzitutto si guarda la corporatura della persona. Si prendono le dovute misure della spalla, della vita, del torace; si osservano anche la postura e l’altezza per costruire il rever. Servono poi tre prove a distanza di giorni e si continuano a notare elementi che vanno migliorati». Fino a che l’abito non diventa un elemento di esaltazione del corpo mascherandone i piccoli difetti. Seguire un compromesso tra la moda instabile del momento per sentirsi cool da una parte, e
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Nicoletta Caraceni www.caracenisartoria.net
assecondare le misure del proprio corpo dall’altra contando sui capi di fabbrica, sembra quindi difficile, e lo stesso pensiero che un abito possa andare di moda, secondo la Caraceni, è un concetto erroneo. «Purtroppo siamo tutti diversi e asimmetrici. La moda deve essere ciò che è su misura, non deve decidere cosa bisogna indossare. I capi in serie non possono rispondere a pieno alle esigenze del cliente». La ricerca della perfezione, della vera “Bellezza”, ovvero del prodotto che può esaltare una e una sola forma perché unico, è quello che si studia nel laboratorio della sartoria di Nicoletta Caraceni, che custodisce gelosamente le nozioni tramandatale dal padre, ma non nasconde la passione e la precisione maniacale in questa sua ricerca. «Mio padre diceva che un uomo può indossare semplicemente una giacca a un petto o due petti e un pantalone. Allora perché si dice di un uomo che è più elegante? Il segreto dello chic di una giacca è che innanzitutto è stata fatta per quella persona, su quella persona. Si può addirittura migliorare la corporatura esistente col vestito. Una volta un cliente mi ha detto: “sto meglio con la
La moda è ciò che è su misura, non ciò che è di tendenza
giacca che senza”. Per un artigiano questa è la soddisfazione più grande». La cura per il singolo capo fa sì che la produzione sia limitata rispetto alle catene, ma a vantaggio del prodotto e del cliente, soddisfatto per il risultato ottenuto con attenzione maniacale dallo staff della Caraceni. «Riusciamo a soddisfare massimo 400 richieste l’anno. Non possiamo ingrandirci, sia perché non ci sono validi sarti in giro, sia perché non riuscirei a seguire bene tutti. È un lavoro lento e complesso che ha bisogno di estrema attenzione». Un mestiere che si sta dimenticando, quello dell’artigiano oggi risulta apprezzato più all’estero che in Italia, segno che il made in Italy continua ad essere forte e rispettato per la lunga tradizione oltre frontiera. «Quest’anno abbiamo registrato una leggera ripresa del lavoro. Comunque il nostro è un target alto che non dovrebbe risentire della crisi, come tutti i beni di lusso; ma il mercato si è spostato dall’Italia». E dunque, chi è l’artigiano? «È il contrario della moda, è colui che ricerca la bellezza come quel qualcosa che ti colpisce. E per questo produce solo determinate cose e non mette la firma in vista. La bellezza del vestito non è la firma. Infatti, il logo della sartoria lo mettiamo nell’interno del taschino». Ed è colui che in questo lavoro è chiamato alla ricerca della perfezione, come Ferdinando Caraceni esigeva dal suo staff: “voglio che i miei operai imparino a memoria la mia spalla”. Ilaria de Lillo
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Il mio impegno per la moda e per i giovani Nell’atelier di Annamaria Buoncristiani futuri stilisti crescono. Per salvare l’artigianato porte aperte a scuole e laboratori alla riscoperta del bello nvestire nell’educazione al bello partendo da nuove politiche economiche. È quello che occorre per promuovere gli atelier di media e alta moda che, lavorando all’ombra delle grandi griffe, rischiano di chiudere bottega. Annamaria Buoncristiani, da 30 anni titolare dell’Ab Haute Couture dopo la formazione a Torino, esperienze da Dior e Guyl La Roche, nonché presso le migliori griffe romane, sostiene con tenacia la creatività del lavoro prodotto dalle sartorie tradizionali, parte integrante della storia del made in Italy da sempre distinto-
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si per l’eccellenza nel settore della moda. «In Italia sta scomparendo la clientela medio alta – nota la Buoncristiani –. Questo fenomeno è un problema innanzitutto politico perché la gente ha paura di spendere, teme le tasse elevate, il lavoro è carente e non c’è più certezza sul domani». I cambiamenti sociali hanno modificato anche il sistema di lavoro nel mondo della moda, per cui «i grandi lavorano solo per l’estero, dove c’è una richiesta sempre maggiore. Le piccole sartorie, invece, sono penalizzate». All’abito unico e su misura sono preferite le marche più conosciute, il vestito diventa un’etichetta da mettere in evidenza, sono preferite sempre più le catene internazionali a discapito della qualità e dell’esclusività. «Sono pochi i clienti che ancora passano dalle sartorie, lo fanno solo per le occasioni importanti». Secondo Annamaria Buoncristiani il problema del fallimento della piccola azienda di moda italiana è collettivo: «Le nuove generazioni non conoscono l’alta moda, non possono comprenderla, dunque com-
prano vestiti economici che dopo poco tempo non potranno più utilizzare; preferiscono il risparmio. Coloro che conoscono l’alta moda al contrario, hanno paura di spendere. C’è stato un cambiamento sociale e culturale negli ultimi anni, oggi conta l’immagine che dai di te, non la sostanza». Come possono sopravvivere gli atelier di moda, dunque? «È necessaria una scossa, bisogna educare al bello le nuove generazioni e investire su di loro». Come la Buoncristiani fa nel suo atelier a Roma, organizzando per i giovani diplomati e neolaureati tirocini per permettere loro di fare esperienze dirette sul campo. «Con me ho giovani volenterose, colte, laureate che amano la moda. Prima quella della sarta era una figura che imparava il mestiere e basta, oggi c’è una formazione anche teorica, giustamente; ci sono scuole che danno un’infarinatura generale, ma in laboratorio è diverso. Le ragazze – continua la Buoncristiani – amano questo mestiere, sono appassionate del vestito di alta moda, dunque perché non concedere loro la possibilità di fare tirocinio? Bisogna riaprire i laboratori altrimenti si perde un patrimonio di conoscenze e futuri stilisti». Per questo la politica ha una posizione chiave. «Se non si investe nei giovani, allora l’artigianato morirà, e non solo quello della moda, ma di tutti i settori». Ilaria de Lillo
A sinistra, Annamaria Buoncristiani, con lo staff del suo atelier di Roma ab-hautecouturesrl@tiscali.it
La passione per le “macchine del tempo” Come vengono percepiti attualmente dal mercato gli orologi di lusso? Secondo Valeria Verga: «Malgrado le difficoltà e gli aspetti fiscali, gli italiani percepiscono l’orologio top di gamma come un investimento». E cresce l’interesse da parte di acquirenti stranieri li italiani, nonostante la crisi economica, apprezzano ancora il bello e il lusso, come dimostra la sostanziale tenuta del settore degli orologi di alta gamma. Come spiega Valeria Verga, che a Milano gestisce l’orologeria su corso Vercelli, sotto l’insegna Luigi Verga: «Gli italiani, malgrado le difficoltà economiche e gli aspetti fiscali, percepiscono l’orologio top di gamma come un investimento a lungo termine, un modo piacevole e appassionante per difendere, in parte, il proprio capitale. Tuttavia, la capacità di spesa, per la classe media, è notevolmente diminuita negli ultimi anni, anche a causa dei provvedimenti di legge e agli interventi per l’emersione dell’evasione fiscale. Una maggior sicurezza per il nostro settore, invece, sono gli acquirenti stranieri, soprattutto quelli provenienti da paesi di recente sviluppo economico, che hanno ingenti disponibilità di spesa e sostengono la percezione positiva degli orologi di lusso». Se si registra una tendenza allo scambio di ruolo fra acquirenti italiani e stranieri, a vantaggio di questi ultimi, immutate restano le attese di chi si appresta a concretizzare un investimento così importante. «Professionalità, servizio post vendita, una proposta di marche frutto di una scelta accurata. Il cliente va guidato e consigliato. Il denaro che può spendere per un segnatempo prezioso è diminuito, per cui la rosa di marche che troverà nei nostri negozi deve esse-
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re selezionatissima, in maniera tale da riuscire ad assecondare esigenze che, rispetto al passato, sono in parte nuove. Inoltre, sin dalla fondazione, l’azienda possiede un proprio laboratorio di assistenza interno, i cui tecnici qualificati – che seguono aggiornamenti periodici presso le case di orologeria distribuite – sono in grado di riparare orologi sia antichi sia moderni». L’assistenza e l’attività commerciale sono garantite dalla certificazione di qualità Uni En Iso 9001:2008. La passione per le “macchine del tempo” è una tradizione della famiglia Verga e Valeria, insieme al fratello Umberto, rappresenta la terza generazione nell’orologeria, entrata nel settore con il grande maestro orologiaio Luigi Verga, che nel 1947 inaugurò il primo punto vendita in via Mazzini, sempre a Milano, oggi gestito da Umberto. «I due negozi – prosegue Valeria Verga – hanno lo stesso comune denominatore: tradizione, alta professionalità, servizio post vendita eccellente. Se questo è quello che ci accomuna per tradizione, le differenze riguardano soprattutto il tipo di clientela che i due punti vendita attraggono. Quello di corso Vercelli – anche grazie al prestigio del nostro nome – ha una clientela prevalentemente locale e milanese. Il punto vendita di via Mazzini, invece, alla vocazione per la clientela milanese unisce anche quella per il pubblico internazionale». Valerio Maggioriano
Valeria Verga delle Orologerie Luigi Verga di Milano, di cui gestisce il punto vendita di corso Vercelli www.luigiverga.it
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L’artigianalità su misura veste gli interni Alla maison Gentili Mosconi si coltiva la fantasia di stili, tessuti e colori in nome dell’artigianalità e del made in Italy per le creazioni di lusso. Un settore che non conosce la crisi uando il making of di un capo si basa sull’idea di “sarto su misura”, professionista attento alla forma, al tessuto, ai colori e alla tradizione, il risultato di esclusività del prodotto è garantito. In tutto questo affonda le radici la Gentili Mosconi Spa, impegnata dagli anni 80 nella produzione elitaria di tessuti per prestigiose maison del mondo. I suoi fondatori, Patrizia Mosconi e Francesco Gentili, continuano a investire nel valore dell’artigianalità e della flessibilità produttiva, preservando il valore del made in Italy anche all’estero. Specializzata in biancheria di lusso, lenzuola, trapunte, copriletto, tovaglie, tende, cuscini, spugne e teli, la divisione Home della Gentili Mosconi Spa realizza prodotti unici e personalizzati con la stampa a mano per campionature di tessuto o serie limitate. «La realizzazione di prodotti artigianali è possibile sono nella fascia alta – commentano -: creatività, ingegno e artigianato sono alla base dei prodotti di
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lusso. E lo stato di salute del mercato si può definire molto buono. A livello mondiale infatti i prodotti italiani pregiati sono apprezzati da un numero sempre maggiore di persone. Il mercato del lusso è in espansione e costantemente in movimento, alla ricerca continua di nuovi stimoli». E facendo un bilancio dal 2012 al 2013 l’andamento della produzione della maison risulta in crescita grazie a investimenti in ricerca e sviluppo, e all’esportazione del marchio all’estero, prevalentemente in Russia e nei paesi Arabi. Tutto ciò è un chiaro segnale del fatto che il lavoro manuale non è indice di lentezza, bensì garante di qualità e creatività: «Grazie alla competenza delle collaboratrici (staff rigorosamente al femminile) è possibile ottenere flessibilità produttiva e risultati elevati allo stesso tempo». Infatti, dopo la fase di ricerca e sviluppo di trame e disegni particolari, segue un processo di affinamento in cui gli stilisti rivedono e personalizzano il modello, rendendolo unico al mon-
Tessuti dal 1600 do. In questa fase sono impegnati architetti, arredatori, interior designer che controllano l’intero sviluppo produttivo. Che si tratti di una casa o degli interni di una barca il prodotto viene esaltato e da semplice complemento di arredo diventa elemento protagonista dell’ambiente, per renderlo sempre più confortevole e piacevolmente vissuto. «Il Made in Italy è qualità, prestigio, ricercatezza del particolare – sottolineano Patrizia Mosconi e Francesco Gentili -. La creatività è un patrimonio genetico di noi italiani e offre il vantaggio di realizzare prodotti originali e differenti dalla concorrenza. Un patrimonio che dovremmo valorizzare e che invece in molti casi rischia di essere disperso». Ilaria de Lillo
A disposizione dello staff Gentili Mosconi c’è la biblioteca storica di tessuti in cui sono custoditi antichi volumi di moda con campioni dal XVII secolo a oggi, provenienti da tutto il mondo. Considerando i cambiamenti e il susseguirsi delle varie mode anche oltreoceano, gli stilisti tagliano e cuciono idee per poi rinnovare i capi e metterli a disposizione di nuovi utilizzi, come centri benessere e barche. Vi è infatti la Collezione dedicata agli Yachts che annovera tra i clienti prestigiosi marchi (Riva, Ferretti Yachts, Custom Line, Pershing) e armatori privati di piccoli e grandi imbarcazioni dei maggiori cantieri nautici mondiali. E c’è non solo un’attenzione speciale alla qualità e all’unicità estetica del capo, ma anche alla sua funzionalità: gli esterni ad esempio, vengono prodotti con spalmature anti-macchia per resistere alla salsedine.
Biancheria per la casa: completo letto matrimoniale - copriletto con cuscini d’arredo e coperta coordinati
Alcune realizzazioni della Gentili Mosconi Home di Casnate con Bernate (CO) www.gentilimosconihome.it
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Il settore tessile
Donna Leader Maggio 2014 - pag. 39
Lo sviluppo secondo il modello di rete Il caso della rete Tex Net inaugurata da tre imprese brianzole nel settore dei nastri per abbigliamento e tecnici. Ne parla Federica De Bernardi se le Pmi di un singolo settore condividessero le proprie risorse invece di competere tra loro? Aumenta il numero degli imprenditori che si sono posti la domanda, la risposta difficilmente presenta conseguenze negative. Moltiplicare le possibilità di innovazione grazie alla condivisione di know how e capacità produttiva di tutte le aziende unite in una rete è una prospettiva allettante. È della stessa idea Federica De Bernardi, dell’omonimo nastrificio brianzolo, che insieme ad altre due imprese del comparto ha dato vita a Tex Net. «Da una parte – spiega De Bernardi – è importante incentivare lo sviluppo tecnologico delle imprese partecipanti, accrescendo così la loro competitività nel mercato dei nastri per abbigliamento e tecnici, con riguardo particolare ai nuovi materiali e processi di tintura. Dall’altra è altrettanto decisivo favorire la penetrazione di mercato, anche tramite certificazioni di qualità rilasciate da organismi indipendenti sia nazionali sia internazionali. Nello specifico si tratterà di sviluppare nuovi nastri tecnici, per applicazioni particolari e a basso impatto ambientale, come oggi sempre più richiesto». Secondo il programma stabilito, sono tre i filoni di ricerca che coinvolgeranno le imprese: innovazione del prodotto, minore impatto ambientale e uno sviluppo commerciale. «Per raggiungere questi obiettivi – dice De Bernardi – le conoscenze maturate all’interno dei tre nastrifici saranno condivise. Riguardo al primo filone di ricerca nella rete l’obiettivo è di progettare e realizzare nuovi telai in grado di produrre nastri elastici a jacquard di maggiori dimensioni rispetto a quelle possibili oggi,
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nuovi nastri ignifughi e nastri con ogni tipo di finissaggio richiesto dal cliente. Per il secondo filone di ricerca si svilupperanno articoli in fibre naturali, come cotone, lana, lino e seta, oltre a nuove tecniche di tintura maggiormente ecocompatibili. Per lo sviluppo commerciale è stata individuata una figura esterna con esperienza. Inoltre è prevista la realizzazione di un marchio comune per tre nastrifici e per la partecipazione alle fiere, oltre a uno spazio web dedicato e una campagna pubblicitaria su alcune riviste specializzate». Renato Ferretti
La Isacco Srl ha sede a Grumello del Monte (BG) www.isacco.it
Vestire la professione L’importanza del know how Il nastrificio De Bernardi viene fondato nel 1946 a Concorezzo (MI), dove tuttora ha sede. Nasce come produttore di nastri di velluto tinti in filo. Uno dei fattori peculiari che distingue il nastrificio è il reparto di tintoria. «Oggi – dice la titolare Federica De Bernardi – sono pochi i nastrifici che possono vantare un reparto di tessitura interno e un know how specifico di livello comparabile. In generale, rispetto al passato, attualmente l’incidenza del costo della materia prima dei nastri è molto alta. Pertanto la nostra strategia di rete è volta ad aumentare la marginalità da una parte e, dall’altra, contrastare la minaccia dei prodotti provenienti dalla Cina».
Il nastrificio De Bernardi Srl si trova a Concorezzo (MB) www.nastrificiodebernardi.com
Macchina in continuo della tintoria, che permette di tingere da piccole campionature a grosse quantità di produzione
Ogni lavoro ha caratteristiche proprie che impongono esigenze anche molto diverse tra loro. Simona Monteleone spiega come si pensa e si produce una divisa abito non fa il monaco, ma di sicuro lo aiuta. Se il mestiere impone di indossare una divisa, infatti, chi le ha cucite deve conoscere tutte le esigenze che quel lavoro impone: la divisa sbagliata può risultare fastidiosa, inappropriata a livello estetico ma anche non sicura. Dunque non è banale la scelta di questa fornitura, come spiega Simona Monteleone, alla guida della bergamasca Isacco, azienda che produce ed esporta in tutta Europa abiti professionali. «Realizziamo moltissimi abiti – spiega Monteleone – dalle giacche da cuoco ai camici per medici. Ognuno dei settori in cui siamo presenti, tutti se si esclude quello industriale, ha specifiche proprie di cui bisogna tenere conto in modo molto attento». La Isacco è riuscita a superare le aspettative di crescita nel 2013 e Monteleone cerca di indicare gli aspetti più importanti che hanno portato a questo apprezzamento. «Abbiamo effettuato una serie lunghissima di cambiamenti – dice l’amministratrice – miglioramenti, si può dire, che hanno permesso un incremento superiore al 10 per cento. Al di là del catalogo, che varia di continuo ed è per noi uno strumento di vendita eccezionale, abbiamo rifatto il sito internet, abbiamo creato un blog, una pagina facebook, per non parlare dell’innovazione tecnologica di gestione interna tra ufficio e magazzino. Quest’ultimo, in particolare è molto importante perché facciamo un servizio di pronto-magazzino che in pochi possono vantare. Sicuramente ora offriamo una gamma di prodotti che è la più ampia d’Europa». Ma per Monteleone la ricerca della qualità va al di là del suo intrinseco valore aziendale. «In una società frenetica come la nostra – continua Monteleone – in cui tutti si è oberati dagli impegni, in cui talvolta per la fretta si trascura la qualità, si fa fatica a trovare il fornitore che dia un buon prodotto a un buon prezzo e che offra anche un servizio d’eccellenza. Ai miei collaboratori cerco di trasmettere ogni giorno il valore del lavoro svolto alla perfezione: chi lavora bene lavora meno e torna a casa soddisfatto. Non solo. Oltre ad essere un’occasione di crescita, un’opportunità per mettersi sempre in gioco dando il meglio sé, il lavoro votato all’eccellenza è una forma superiore di rispetto verso gli altri». Come per molte donne inserite nel mondo imprenditoriale anche per la titolare della Isacco non è stato facile conciliare casa e lavoro. «Da imprenditrice di un’azienda in espansione, il lavoro di mamma è stata una sfida impegnativa, con le scarse infrastrutture di sostegno a genitori con un lavoro full-time: una sfida che alla fine ho superato, cercando di trasmettere alle mie figlie l’importanza dei piccoli dettagli: nulla va trascurato se si vuole ottenere un grande risultato». Renato Ferretti
L’
Turismo
Donna Leader Maggio 2014 - pag. 40
È necessario un cambio di passo Perché l’Italia ritorni a essere la meta preferita dai turisti stranieri occorre agire su più fronti, partendo dalla digitalizzazione. Il punto di Dario Franceschini
urante la presentazione del rapporto “Il Gran tour del XXI secolo: l’Italia e i suoi territori” di Italiadecide, associazione di ricerca per la qualità delle politiche pubbliche, sono state avanzate diverse proposte affinché l’Italia ritorni tra i big del turismo, puntando al cambiamento a partire dalle tecnologie. I dati dimostrano, infatti, che il nostro Paese accusa un forte ritardo nella vendita dei servizi turistici tramite il web. «Premesso che il sistema ricettivo italiano - precisa il ministro per i Beni e attività culturali e turismo, Dario Franceschini - è caratterizzato per circa il 70 per cento da imprese con meno di 30 camere e che la gran parte di loro ha affidato la loro commercializzazione alle Ota (Booking, Venere, Expedia). Il 43 per cento delle imprese ricettive non va oltre la vendita del 5 per cento dei propri servizi sul web, mentre nell’area Euro la media è del 57 per cento». Basterebbero questi due dati per dare una idea di quanto dobbiamo fare per colmare il nostro ritardo. «Sì. Oggi oltre l’80 per cento dei viaggiatori usa internet, quasi il 30 per cento si avvale del proprio smartphone per individuare e acquistare un viaggio, nel mondo sono 2 miliardi gli utenti connessi e nel 2050 saranno 50 miliardi. Considerato questi numeri, non ci può sfuggire l’urgenza di promuovere e sostenere la digitalizzazione del turismo. Il primo passo per vincere questa sfida è stata la creazione del Laboratorio per il turismo digitale (Tdlab)». Se 30 anni fa l’Italia era la prima scelta del turismo mondiale, ora è al quinto, dopo Francia, Usa, Cina e Spagna. Quali le proposte perché l’Italia torni a essere la prima destinazione scelta dagli stranieri e quali i passi necessari verso il cambiamento? «Dobbiamo agire su cinque fondamentali punti per il rilancio della nostra economia turistica e culturale: irrobustire il tessuto imprenditoriale fa-
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Nel mondo sono 2 miliardi gli utenti connessi e nel 2050 saranno 50 miliardi vorendo l’aggregazione e la fusione d’imprese turistiche ricettive per migliorarne la qualità e la competitività sui mercati internazionali; favorire la raggiungibilità e la fruibilità dell’immenso patrimonio culturale e naturalistico-ambientale, attraverso un piano nazionale della mobilità e dell’intermodalità dei servizi di trasporto; sostenere la digitalizzazione del settore turistico-culturale intervenendo a favore delle imprese, ma anche lavorando sull’interoperabilità dei dati e delle informazioni pubbliche; riorganizzare e accorpare gli enti, rendendo efficiente il rapporto con le regioni e le destinazioni nella logica d’integrare turismo, cultura, prodotti tipici e artigianali; investire nell’alta formazione specializzata per la gestione e promozione dei servizi turistici e culturali delle destinazioni. L’Italia ha bisogno di una nuova generazione di destination manager capaci di organizzare, gestire e promuovere i territori». Cosa occorre fare sul versante della politica fiscale e quale la sfida da lanciare agli imprenditori italiani? «Occorre agire per incentivare gli imprenditori ad ammodernare le strutture, renderle efficienti dal punto di vista energetico e in linea con gli standard qualitativi internazionali, per questo ritengo opportuno agire attraverso sgravi fiscali e consentire ammortamenti brevi sugli investimenti. Allo stesso tempo dobbiamo definire politiche fiscali di stimolo alla crescita dimensionale delle imprese turistiche riconoscendo benefici economici alle imprese che si aggregano. Per accelerare Dario Franceschini, ministro dei Beni e delle attività culturali e del Turismo
Il Laboratorio per il turismo digitale Tra i suoi compiti ci sono attività e progetti per il sostegno alla digitalizzazione delle pmi e delle destinazioni, nasce per favorire la crescita della competitività degli operatori pubblici e privati del settore turistico, culturale e delle produzioni di prodotti tipici e artigianali. Sarà impegnato anche sul versante della promozione per definire un piano di azione, oltre che per la creazione di un ambiente cooperativo fra operatori pubblici e privati anche attraverso l’adozione di standard digitali internazionali che favoriscano l’interoperabilità e l’integrazione dell’offerta informativa e ricettiva. «Ci muoveremo – ha ribadito il ministro Dario Franceschini - a partire dalle best practice nazionali e coinvolgeremo le Regioni e le imprese».
il processo di digitalizzazione intendo poi proporre il tax credit a favore delle pmi del turismo e della cultura. Infine, dobbiamo semplificare, semplificare, semplificare. Il caos normativo non ci permette di attrarre capitali e limita fortemente l’attività imprenditoriale». Come lavorerà la politica italiana, anche in vista della semestre di presidenza dell’Unione, per porre il turismo al centro del dibattito europeo? «Gli obiettivi della presidenza italiana in materia di turismo e cultura riguardano, in particolare, la necessità d’integrare le politiche di tutela e valorizzazione dei beni e delle attività culturali con quelle turistiche anche in campo europeo. Del resto, il patrimonio culturale, naturalistico, enogastronomico e artigianale è costitutivo dell’economia turistica e ne rappresenta il principale fattore di produzione. Il turismo deriva dalla valorizzazione economica di questo immenso patrimonio costantemente rigenerato dalla capacità degli italiani di saperlo vivere, interpretare e narrare, accogliendo chi intende goderne. Siamo pertanto convinti che l’ospitalità di qualità e la cura del buon vivere siano premessa strategica e, al tempo stesso, motore per il rilancio economico del Paese». Renata Gualtieri
Turismo
Donna Leader Maggio 2014 - pag. 41
La Puglia riparte dal turismo
Un soggiorno in Salento Le spiagge di Porto Cesareo: fra le più rinomate del Salento. Rosalea Calderalo invita a un soggiorno nella masseria Tenuta Quintino di Porto Cesareo. Punto di appoggio per visitare il tacco d’Italia
Settore in ascesa attraverso la cooperazione tra pubblico e privato. Rachele Barra descrive le politiche commerciali per soddisfare il turista e valorizzare il territorio al Nord al Sud del tacco italiano, passando da un versante all’altro del mare, è svariato il patrimonio di bontà enogastronomiche e di bellezze artistiche e paesaggistiche che la regione può offrire. Ponendo il turismo come settore cardine per la crescita della regione, l’unione di forze tra pubblici e privati sta pian piano portando a traguardi importanti. La conferma arriva da Rachele Barra, hotel manager del raffinato albergo Nicotel Bisceglie, nella provincia della triade BarlettaAndria-Trani. «Questo è un territorio che ha grande potenzialità da mettere in evidenza. Per esaltare l’identità della zona è importante che privati e pubblici cooperino. E per me che sono imprenditrice del settore turistico questa sinergia è fondamentale». Per tenere alta la dignità della Puglia, molte sono state le campagne di comunicazione e di valorizzazione del territorio, a cominciare dal suo punto di forza: il settore enogastronomico e culturale. «In ogni stagione vengono organizzati tour alla scoperta dei sapori della Puglia. – racconta la Barra – Dal percorso sull’olio con visite guidate nei frantoi, spiegazione e degustazione finale; al percorso sui sospiri, dolci tipici
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In alto, Rachele Barra, hotel manager dell’albergo Nicotel Bisceglie www.nicotelhotels.com
di questa zona, per non parlare poi delle mozzarelle. Inoltre ci sono vari festival e manifestazioni che attirano periodicamente molti turisti, come le Notti di poesia al Dolmen, in cui si svolgono letture di poeti contemporanei in una location suggestiva; o la Festa dei casali per riscoprire l’agrobiscegliese, o ancora il Festival del cinema emergente». La zona di Bisceglie, punto di congiunzione tra i due poli maggiori del turismo pugliese, Gargano e Salento, per la posizione favorevole permette inoltre di raggiungere altre località in breve tempo e dà al turista la possibilità di notare anche le differenze tra zona e zona di una stessa regione. «Seppur con difficoltà, (da un lato c’è una tradizione da conservare, dall’altro zone meramente industriali inglobate nella grande provincia), questo è un territorio che sta cambiando aprendo le porte ora anche al turismo balneare. Si è capito che va difeso arricchendo l’offerta culturale ed enogastronomica con manifestazioni di interesse». E anche nella gestione del suo hotel Rachele Barra ha applicato migliorie nella politica commerciale e tariffaria improntata sulle esigenze di mercato. «Insieme a uno staff di eccellenza, servizi e tariffe dinamiche sono i nostri punti di forza. Diamo al cliente risposte in termini di servizi: le esigenze sono cambiate e si sono moltiplicate, così anche noi abbiamo moltiplicato e differenziato i servizi, dalla tariffa stagionale diversificata in mezzo alla settimana al menù personalizzato per vegani, ciliaci, intolleranti. Mettiamo a disposizione maggiori servizi e risposte veloci». Ma, se aumenta l’offerta, non necessariamente aumentano i costi. «Cerchiamo di proporre servizi che ci permettono di contenere le spese mantenendo alta la qualità di quello che offriamo, qualcosa di sostitutivo ma qualitativamente eccellente». Ilaria de Lillo
na tipica dimora salentina, con le sue caratteristiche volte a stella e a botte e le tipiche pietre di “tufo” di colore giallo. È la masseria Tenuta Quintino di Porto Cesareo, in provincia di Lecce. Leggenda vuole che sia stata utilizzata da Papa Clemente XI come stazione di posta. «Certamente, la nostra struttura – spiega Rosalea Calderalo, amministratore della masseria – anche in passato era considerata un luogo di ristoro, dove si fermavano i viandanti per riposare insieme ai loro cavalli. Le origini risalgono molto probabilmente all’inizio del XV secolo, anche se le prime notizie sono state ritrovate nel 1699 e confermate nel 1740 dal Catasto onciario, che ne attribuisce la proprietà al principe Vincenzo Imperiale. Oggi la masseria, ha una nuova e doppia anima, infatti ci dedichiamo tanto agli eventi quando alla ricezione turistica. Naturalmente quest’ultima si concentra soprattutto nei mesi estivi e in particolare in agosto, periodo in cui, per scelta, la celebrazione di eventi viene ridotta, proprio per consentire ai nostri ospiti di trascorrere un periodo di tranquillità». La masseria Tenuta Quintino ha una sala ricevimenti e ristorante, da 250 coperti, che propone le tipiche ricette salentine reinterpretate e accostate a intuizioni contemporanee. «Per chi visita la nostra terra e ha
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La masseria Tenuta Quintino si trova a Porto Cesareo (LE) www.masseriatenutaquintino.it
la necessità di un pernottamento, poi, mettiamo a disposizione quattordici camere e quattro appartamenti. Riceviamo soprattutto turisti milanesi e fiorentini. Poi, per quanto riguarda i visitatori esteri, registriamo una prevalenza di turisti francofoni, soprattutto da Lussemburgo e Francia». Oltre alle spiagge di Porto Cesareo, fra le più rinomate del Salento, ciò che fa della masseria Tenuta Quintino un punto importante per il turismo regionale è il fatto che costituisce un punto di riferimento per chi vuole visitare l’intero tacco d’Italia. «Va sottolineato che nonostante un periodo di riscoperta della Puglia e del Salento che dura da oltre una decina di anni, nelle ultime stagioni la crisi economica ha penalizzato il turismo nella regione e nel nostro territorio. Nel 2013, per esempio, le visite sono calate del 50 per cento rispetto all’anno precedente. Quest’anno, a causa di una primavera caratterizzata da condizioni meteorologiche avverse, le prenotazioni tardano ad arrivare. Tuttavia, le previsioni indicano una stagione in ripresa e speriamo che siano confermate dai fatti». Vittoria Divaro
In origine era la masseria Colarizzo Nel Catasto onciario viene definita “Torrione Cola Rizzo”, composta da “casa, capanne e curti con terra agreste e macchinosa di oltre 1300 tomoli (ovvero 0,60 ettari)”. Data l’estensione territoriale era considerata, insieme a masseria Vantaggiani, fra le più estese del territorio salentino. Tutte queste strutture, oltre ai territori di pertinenza, comprendevano anche i fabbricati per la residenza del proprietario e dei suoi dipendenti e i servizi per lo svolgimento delle attività agricole. Proprio per la sua vasta estensione, nel 1927 fu frazionata in 37 poderi e 131 quote. La più estesa era quella di Torre Lapillo, dove oggi sorgono le spiagge più belle del Salento.
Turismo
Donna Leader Maggio 2014 - pag. 42
I segreti della Capitale Alle spalle del Colosseo molti sono i luoghi suggestivi misconosciuti di Roma. Nel loro B&B le cugine Ferrini offrono agli ospiti accoglienza e disponibilità. Un modello di struttura a gestione familiare che ripaga sempre nfiniti sono gli eventi e le bellezze artistiche che attraggono i turisti nella capitale a spasso per le meraviglie di Roma città aperta, o quasi. L’offerta delle strutture ricettive e i servizi della città a volte non sono soddisfacenti eppure, in piazza Sidney Sonnino, nel cuore dell'antico rione Trastevere, c’è una Guest House speciale, tutta al femminile che propone soggiorni personalizzati per godere al meglio delle bellezze della città: “A Trastevere da M. E.”. La struttura è gestita dalle cugine Elisa e Michaela Ferrini, giovanissime imprenditrici che dopo alcune esperienze in diversi ambiti lavorativi hanno deciso di impegnarsi insieme per avviare un’attività familiare, valorizzando un appartamento nell’antico palazzo costruito dal bisnonno come dimora per i suoi figli nei primi del Novecento. Contro i punti deboli della capitale, dal traffico ai trasporti pubblici scarsi, dai monumenti non curati alla mancanza di pulizia, le cugine Ferrini hanno deciso di investire nella cura del turista e nel valorizzare a pieno zone meno conosciute, ma altrettanto suggestive di Roma. A che punto è la situazione del turismo nella capitale? Elisa: «Il mese di aprile è stato molto proficuo grazie anche agli eventi speciali che si sono susseguiti. In generale a Roma c’è sempre movimento in questo periodo; pur avendo aperto solo da un anno e mezzo
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abbiamo avuto una bella crescita. Lavoriamo tanto con gli stranieri, ma in bassa stagione anche con gli italiani. Circa il 70-80 per cento sono turisti stranieri, prevalentemente provenienti da America, Australia e nord Europa, Inghilterra, Germania in testa. E sono in aumento anche i turisti provenienti dall’Asia». Cosa si aspetta dalla nuova stagione dopo la proposta del sindaco di aumentare la tassa di soggiorno? Elisa: «Secondo me la proposta di Marino avrà effetti negativi sul turismo romano. I dati confermano che c’è stato un calo del turismo in Italia (secondo Eurostat - 4,6 per cento, circa 28 milioni di visitatori stranieri nel 2013), rispetto ad altri paesi che hanno investito di più sull’offerta. E alzare la tassa di soggiorno a 3.50 euro è una mossa rischiosa, a fronte di un’offerta scarsa e poco soddisfacente: la città è sporca, i monumenti in degrado, i servizi pubblici penosi. Non credo che i soldi chiesti al turista servano a migliorare i servizi». Quale potrebbe essere la soluzione? Elisa: «Dovremmo fare come i paesi europei che sfruttano finanziamenti dai privati per investire nel turismo e recuperano quelle cifre dalle tasse. Così cittadini e visitatori ne guadagnano. Roma è bella, ricca di paesaggi e luoghi suggestivi, ma si deve fare di più. Se venissero attuate politiche rigorose per il turismo Roma sarebbe la meta più visitata nel mondo».
Roma è ricca di paesaggi e luoghi suggestivi, ma si deve fare di più per valorizzarli
Elisa e Michaela Ferrini, titolari della guest house “A Trastevere da M.E.” info@atrasteveredame.it www.atrasteveredame.it
Voi che tipo di servizi mettete a disposizione del turista? Elisa: «Questa struttura offre all’ospite un soggiorno con un valore aggiunto: la nostra completa disposizione al suo servizio. Stampiamo brochure informative e prenotazioni per tour, diamo suggerimenti, prenotiamo ristoranti. Tutto questo con il vantaggio di essere romane. Grazie alla nostra romanità conosciamo bene l’ambiente, quei posti che non sono sulle guide ma che consigliamo per rendere il soggiorno più personale possibile. Abbiamo anche un tour operator col quale riserviamo guide speciali per agevolare i clienti nella ricerca». Dove si trova la Guest House? Michaela: «La posizione è caratteristica, alle spalle delle antiche rovine dell'Excubitorium della VII Coorte dei Vigili (che risalgono al II secolo d.C.), visibili dal balcone dell’unica camera che affaccia sull’interno della via. Le altre tre camere affacciano tutte su viale Trastevere, di fronte all’antica Basilica di San Crisogono (1600 d.C.). Una vista esclusiva». Come giudica questa esperienza? Elisa: «Estremamente gratificante. Questo lavoro ci arricchisce ogni giorno grazie allo scambio con gli ospiti, sia giovani che maturi. La nostra volontà era proprio quella di gestire una piccola attività insieme e in un posto in cui sentissimo forti le nostre radici, come il palazzo del nostro bisnonno». Ilaria de Lillo
Professioni
Donna Leader
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L’avvocatura ritrovi il suo ruolo Avanti con modernizzazione, formazione e modifiche alla riforma forense, come suggerisce Ester Perifano, per aumentare le occasioni di crescita della categoria i è registrato un cambio di passo e un’apertura al dialogo con i tavoli di confronto sull’avvocatura istituiti con il ministro della giustizia, Andrea Orlando. «Come è nello stile di questo governo - assicura il segretario generale dell’Associazione nazionale forense Ester Perifano - i tempi saranno rapidissimi. Le convocazioni sono già arrivate e probabilmente addirittura entro metà giugno potrebbero esserci le linee guida da consegnare all’ufficio legislativo del ministero». Si parlerà di riforma dell’accesso, di società professionali, di specializzazioni, del contributo dell’avvocatura alla giurisdizione, difesa d’ufficio e patrocinio a spese dello Stato, rapporti con la pubblica amministrazione. È stata messa in moto la macchina che si occuperà della predisposizione dei regolamenti attuativi della riforma forense. Ora a cosa occorre fare attenzione? E quali sono i punti da chiarire? «Sì, la macchina attuativa è in moto, anche se è già trascorso oltre un anno dall’entrata in vigore della riforma e il lavoro è ancora tantissimo. Il Consiglio nazionale forense ha già varato molti dei regolamenti di sua competenza, alcuni dei quali potranno essere sottoposti al vaglio giudiziario. Il ministero, invece, è nettamente in ritardo, ma sembra intenzionato a recuperare il tempo perduto. La riforma forense non è certo la migliore che potessimo augurarci, e lo stesso ministro ha riconosciuto che necessita di modifiche. Sicuramente il capitolo governance merita di essere rivisto perché è necessario iniettare nel sistema una dose maggiore di democrazia. Così come occorre un intervento serio sull’accesso e sul tirocinio. La riforma ha posto innumerevoli problemi, su tutti l’iscrizione obbligatoria alla Cassa forense per tutti gli iscritti all’albo». Società tra professionisti. Cosa chiede l’Anf soprattutto nell’interesse dei giovani? «Le società tra professionisti sono un’occasione che gli avvocati, soprattutto in tempi di crisi come questi, non possono perdere. Dopo la legge 183/2011 e il decreto attuativo dello scorso anno, le altre professioni si stanno attrezzando e gli avvocati non possono rimanere indietro. La normativa complessiva presenta qualche criticità che rende lo strumento societario meno appetibile
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di quanto potrebbe essere, ma con la collaborazione di tutti si può migliorare. Il Governo e il Parlamento dovranno intervenire a chiarire i punti oscuri e gli avvocati potranno dare il loro contributo. Soprattutto se sarà dismesso l’approccio ideologico che ha contraddistinto la questione sin dall’inizio. Gli avvocati sono professionisti come tutti gli altri e sono soggetti come tutti gli altri alle leggi dell’economia. Continuare a illudersi che non sia così finirà per ghettizzarci sempre di più. Riconoscere la realtà è il primo passo verso il recupero del ruolo che ci spetta». Come segretario generale dell’Anf, quali crede siano i nodi da sciogliere e come vede il futuro dell’avvocatura? «Sicuramente la categoria deve fare uno sforzo verso la modernizzazione. Il 30 giugno ci sarà un appuntamento importante: l’entrata in vigore del processo civile telematico. Tutti sono consapevoli che senza gli avvocati questo passo in avanti non si potrà fare. E anche in questo Anf è in prima linea: con il ministro Andrea Orlando è stata appena istituita una task force, composta da avvocati, magistrati, funzionari ministeriali e personale di cancelleria, che avrà il compito di fare una rapida ricognizione di quello che c’è sui territori, in modo da approntare i rimedi indispensabili. È del tutto evidente che è in atto una mutazione quasi genetica della categoria». Con che obiettivo nasce la piattaforma elearning e a quali esigenze risponde? «L’obbligo della formazione continua vige ormai da tempo. La riforma del 2012 l’ha confermato e a breve avremo il nuovo regolamento. La piattaforma e-learning nasce nell’ottica dei servizi che un’associazione sindacale come la nostra si propone di assicurare ai colleghi. L’Italia è lunga e quello che, ad esempio, al sud è gratuito al nord ha un costo. Così Anf mette a disposizione, a costi davvero politici, eventi di grande qualità. L’ambizione è quella di consolidare la presenza di Anf in un settore fondamentale come la formazione e di partecipare, a pieno titolo e con le nostre indiscusse competenze, anche al settore delle specializzazioni. Patrimonio e occasione di crescita per tutti gli avvocati». Renata Gualtieri
La riforma forense non è certo la migliore che potessimo augurarci. Sicuramente il capitolo governance merita di essere rivisto
Pronti per il processo civile telematico? Il Pct, nato per assicurare una giustizia più veloce, implica che una serie di attività processuali finora realizzate in forma cartacea dovranno compiersi in via telematica. Ciò richiede il possesso di alcuni di strumenti informatici, come un indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), una firma digitale, un programma software, chiamato Redattori atti, e un punto di accesso (Pda).
I dati emersi da un report recentemente diffuso dall’Associazione italiana giovani avvocati mostrano però una diffusione non omogenea del Pct nel nostro Paese e ancora più critica dei servizi da questo previsti che fa considerare impossibile l’avvio alla data del 30 giugno 2014 dell’obbligo del deposito telematico degli atti in sede civile. «Il Pct - sottolinea la presidente dell’Aiga Nicoletta Giorgi -
può rappresentare un cambiamento epocale nel sistema giustizia capace d’incidere nell’impostazione culturale degli operatori di diritto e proprio la grande portata di questo cambiamento sta incidendo sulle tempistiche di avvio e di evoluzione. Crediamo fortemente nella necessità di vincere questa sfida: il processo civile telematico porterà maggiore produttività, minori costi e più trasparenza».
Professioni
Donna Leader Maggio 2014 - pag. 45
Cambiamo la giustizia italiana Risolvere le problematiche interne all’avvocatura e le disfunzioni del sistema giudiziario. Gli obiettivi dei giovani avvocati italiani guidati da Nicoletta Giorgi
il primo presidente donna nella storia dell’Aiga, associazione che riunisce i giovani avvocati, imponendosi lo scorso ottobre sull’altra candidata Claudia Pizzurro. L’elezione di Nicoletta Giorgi è un segnale che testimonia l’esigenza di cambiamento tra i giovani professionisti. Formazione, precariato, accesso alla professione. Dove occorre intervenire? «Aiga è in prima linea nell’ammodernamento della professione. È necessario far cambiare pelle all’avvocatura affinché renda un servizio al cittadino e alle imprese, mostrandosi al passo con i tempi. Il cambiamento deve però partire dall’interno: i giovani devono essere preparati per accedere alla professione nel modo più competitivo possibile. Perciò puntiamo alla riforma della formazione universitaria, con la creazione di percorsi di studi multidisciplinari dove si propongono materie come inglese giuridico, diritto industriale, informatica e ogni altra materia che tenga conto dell’evoluzione del mercato e dei rapporti sociali. È altrettanto importante che il giovane praticante prima, e il collaboratore poi,
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riacquisti quella dignità che con il tempo gli è stata tolta». In che modo? «I grandi numeri della categoria hanno viziato anche il rapporto tra dominus e praticante e il coinvolgimento dei giovani colleghi. Aiga punta a un’auto-riforma dell’avvocatura riconoscendo le realtà che si verificano all’interno degli studi che ormai sono più simili alla parasubordinazione che non alla libera professione. Chiediamo che vengano riconosciute almeno le tutele minime spettanti a chi lavora in strutture non proprie. Solo così potremmo far crescere giovani professionisti responsabili e preparati, non ingrossando le fila dei precari e degli insoddisfatti». Da quali elementi passa il miglior funzionamento della giustizia? «Semplificazione del processo, digitalizzazione della giustizia, riorganizzazione delle piante organiche dei magistrati e del personale amministrativo. È arrivato il momento di attuare svolte epocali: una di queste è il processo civile telematico. Un’altra riguarda la riorganizzazione degli uffici e l’introduzione di una gestione manageriale dei tribunali. Si devono avere obiettivi di efficienza e con-
trollare affinché questi possano essere raggiunti, eliminando gli ostacoli». Quali obiettivi in vista del congresso dell’avvocatura che si terrà a Venezia il prossimo ottobre? «Da anni, la nostra categoria sconta il prezzo della divisione interna e della mancanza di una voce forte e rappresentativa che interagisca con le altre istituzioni politiche. Aiga è riunita attorno a un tavolo, insieme alle altre associazioni e componenti ordinistiche, per elaborare un nuovo modello da sottoporre all’approvazione del congresso. Se da Venezia uscirà una categoria unita, sarà più semplice creare un professionista che possa contribuire fattivamente agli interessi dei cittadini». Francesca Druidi
Dei delitti e delle pene La legge 67 del 2014 promuove le misure alternative al carcere, anche nel tentativo di arginare il sovraffollamento. L’avvocato Antonietta Martino solleva un problema di discrezionalità l sistema penitenziario italiano e le sue pene sono stati concepiti per la rieducazione del condannato. Quanto, ciò, è ancora vero? Secondo l’avvocato e giudice onorario Antonietta Martino: «La pena, per dettato costituzionale, deve tendere alla rieducazione del condannato e per far sì che l’opera di risocializzazione sia più efficace è stato introdotto nel nostro ordinamento il sistema delle misure alternative alla detenzione. Ma nella realtà la rieducazione non è mai totale, così come la pena non funge da deterrente. Si pensi alla magistratura di sorveglianza quale organo al quale è assegnata la competenza all’applicazione delle misure alternative alla detenzione. Se essa stessa non crede nella rieducazione del condannato, difficilmente concederà la misura alternativa, aggravando non solo le condizioni psicologiche del condannato (che si vede respinta un’istanza seppure abbia i requisiti per ottenerla e da qui la sfiducia) e della sua famiglia, ma anche degli operatori penitenziari che hanno lavorato insieme al condannato. A ciò si aggiunga che le decisioni della magistratura di sorveglianza sono discrezionali. C’è comunque un dato certo: le misure alternative alla detenzione da sempre sono escluse per i condannati a reati gravi, esclusione che andrebbe estesa fino a ricomprendere il reato di omicidio stradale quale causa della guida sotto l’uso di sostanze stupefacenti e alcoliche». Da quanto detto dall’avvocato Martino dipende parte del problema del sovraffollamento delle carceri. Ma non solo. «La prima causa è l’uso smodato delle misure cautelari car-
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cerarie, cui segue la discrezionalità nella concessione delle misure alternative alla detenzione. Periodicamente sono state prese iniziative, mai risolutive e che hanno solo creato allarme sociale – l’indulto – e sicuramente la soluzione non arriverà con la legge 67 del 28 aprile 2014, Svuota Carceri, perché prevede che le deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio avvengano in un arco temporale di 18 mesi per cui unica immediata applicazione riguarderà la sospensione del processo per messa alla prova e per gli irreperibili». La discrezionalità nella concessione di misure alternative diventa allarme sociale quando la si ritrova in determinate fattispecie di reato, come lo stalking. «Negli ultimi anni il reato di stalking, per la sua recrudescenza, è stato oggetto di grande attenzione da parte dei media, della magistratura e degli organi legislativi, al punto che la legge 94 del 2013 ne ha aggravato le pene ed è stata esclusa, per i condannati, la sospensione dell’esecuzione della pena. Astrattamente, sono favorevole all’applicazione della misura cautelare, sia carceraria sia domiciliare, per lo stalker, però solo se il comportamento integra realmente gli estremi della fattispecie, al contrario si tradurrebbe in un’ingiusta privazione della libertà. Tuttavia è opportuno sottolineare che non tutti i casi di minacce, ingiurie, molestie o maltrattamenti oggetto di querela sono qualificabili come atti persecutori». Luca Càvera
L’impegno per il diritto L’avvocato Antonietta Martino svolge la professione fra Potenza e Perugia. Svolge l’attività forense nella propria città natale, occupandosi soprattutto di diritto penale e di famiglia, mentre nella città umbra ricopre le funzioni di giudice onorario presso il tribunale di Perugia. Qui è stata assegnata alla sezione penale, con un giorno a settimana dedicato alle funzioni di giudice tutelare. Dal 2001 è iscritta all’albo degli avvocati di Potenza e dal 2013 all’albo dei cassazionisti e delle magistrature superiori. Fra il 2000 e il 2012 ha assunto le funzioni di vice procuratore onorario presso la procura della Repubblica di Melfi. E, conseguiti gli attestati richiesti, da un decennio, ha affiancato all’attività in toga anche la docenza presso corsi di formazione.
L’avvocato Antonietta Martino, che dirige l’omonimo studio legale di Potenza martanto68@tiscali.it
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Maggio 2014 - pag. 46
Impresa, la definizione preventiva di rischi e responsabilità I reati amministrativi societari sono forme d’illecito che la crisi economica non ha certo aiutato a contenere. Clara Veneto spiega i passi da compiere per neutralizzare eventuali problemi di carattere penale iù di 245 mila attività commerciali al dettaglio dismesse negli ultimi tre anni e interi territori messi in ginocchio dall’emorragia di Pmi costrette a chiudere i battenti. Sono gli effetti che stando ai dati di SosImpresa, la crisi ha prodotto in una parte significativa del nostro tessuto economico, rendendo talvolta insostenibile la lotta per la sopravvivenza delle imprese. «Spesso – osserva Clara Veneto, con-titolare dello studio legale Veneto&Veneto - è impossibile proseguire nell’attività d’impresa per l’onerosità dei costi di gestione e del carico fiscale». L’avvocato, che da 15 anni dirige col padre lo studio che da oltre 50 anni si interessa di diritto penale classico ed è specializzato in illeciti amministrativi d’impresa, sottolinea come a complicare il quadro ci si metta anche «la crescita dei “mercati paralleli”, che favorisce l’incremento di altri reati quali usura, corruzione, estorsione e turbata libertà degli incanti». Quanto ha inciso la crisi sulla casistica penale d’impresa? «La vastità del fenomeno ha portato da un
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lato all’aumento dei reati per mancato versamento di oneri fiscali, contributivi e assistenziali; dall’altro a una sorta di riconoscimento giudiziario dello stato di necessità che giustifica l’omesso versamento dell’Iva legato a eventi eccezionali. Si tratta di un’apertura timida alla valutazione dell’equità della pressione fiscale in condizioni di illiquidità dell’impresa, che tende a circoscrivere “l’evasione da sopravvivenza” e che ha dato corso a sentenze assolutorie di giudici di merito. Un segnale incoraggiante, che finalmente sposta l’attenzione sulle precarie condizioni del contribuente». Quali sono gli errori più commessi dalle imprese e in quali emergono i gap maggiori? «Spesso i fatti penalmente rilevanti vengono iscritti tra i rischi che la moderna impresa si trova a sostenere. L’imprenditore “accetta” il rischio di una sanzione, anche pesante, nella speranza che eventuali reati commessi dai dipendenti della società ricadano esclusivamente sugli autori. Un errore prospettico in cui incorrono mag-
L’avvocato Clara Veneto all’interno del suo studio Veneto & Veneto (Roma) venetoassociatiroma@tiscali.it
L’importanza del modello organizzativo Sono trascorsi oltre 10 anni dall’introduzione del dlgs 231/01, eppure le imprese faticano a cogliere l’importanza dell’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo. «Solo quando si trovano già coinvolte in una vicenda giudiziaria – osserva ancora Clara Veneto - se ne rammaricano». Un servizio, quello di redazione e implementazione del modello, a cui lo studio Veneto&Veneto, con sedi a Roma e a Palmi (RC), rivolge un’attenzione particolare, sapendo che «la sua adozione prima dell’avvio del procedimento, può consentire alla società di rimanere esente da responsabilità penale». Tra l’altro, più volte in questi anni il legislatore ha tentato di introdurne l’obbligatorietà, ma poi «l’impossibilità di costituire un istituto che certificasse ex ante l’efficacia del modello ha reso facoltativo l’adempimento». In tutti i casi, prosegue Veneto, spesso «l’imprenditore ignora i vari strumenti che la legge prevede per consentire la detrazione fiscale e a volte anche la copertura delle spese di adozione». In questo senso, il ricorso a un penalista garantisce la massima competenza in materia. «Capita spesso – conclude Veneto - che talune imprese presentino modelli redatti da società di consulenza che non si giovano di qualificati penalisti d’impresa, adottando così un modello che non consentirà di ottenere il risultato sperato in sede processuale».
giormente le società con struttura semplificata, senza una rigida distinzione di ruoli e mansioni: le più esposte all’accertamento del giudice penale. Ma anche quelle a responsabilità limitata e per azioni li commettono, non svolgendo una previsione dei rischi adeguata e affidandosi a protocolli con efficacia solo formale ai fini dell’esclusione della responsabilità penale, destinata a naufragare dinanzi al giudice». Sul piano normativo, di quali strumenti dispongono le aziende per “tutelarsi” dagli errori dei singoli? «Superata l’idea che ‘societas delinquere non potest’, per la normativa attuale ciò che rileva è la commissione di un reato secondo uno schema di strict liability. Pesa tuttavia anche la circostanza che la corporation non faccia tutto quanto in suo potere per prevenirlo. Il tradizionale modello repressivo viene infatti integrato da un riferimento alla mancata predisposizione di strumenti di prevenzione dei fatti di rea-
to, di cui l’impresa è pertanto chiamata a dotarsi. Si tratta allora di sollecitare l’adozione di protocolli organizzativi di manleva per la responsabilità dell’azienda in caso di reati commessi dal titolare, dai vertici e dai dipendenti. E in questo l’intervento dei penalisti è essenziale». Dove risiede l’importanza del loro intervento? «Proprio perché la valutazione sulla tenuta del modello organizzativo viene svolta dal giudice penale in relazione alle fattispecie incriminatrici, è necessario che l’individuazione delle aree di rischio, dei processi rilevanti e dell’eventuale commissione dell’illecito sia affidata a un penalista, in modo da neutralizzare in tutti i processi produttivi e in tutte le attività uno degli elementi costitutivi della fattispecie penale. In sintesi, occorre poter offrire alla società la garanzia di efficacia richiesta dalla norma per l’esclusione di responsabilità». Gaetano Gemiti
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La famiglia al di là del Dna La tutela della famiglia è superiore al criterio biologico. L’analisi dell’avvocato Maria Cristiana Gambarota, che spiega com’è cambiata questa intricata materia legislativa
on è così raro che genitori abbiano chiesto il disconoscimento dei loro figli dopo decine di anni dalla nascita e dopo aver convissuto una vita. Al contrario è successo anche che figli abbiano chiesto il disconoscimento dei genitori. Anche la giurisprudenza in merito sembra essere soggetta a interpretazioni diverse. O almeno lo era finora. Come spiega l’avvocato Maria Cristiana Gambarota, cassazionista del foro di Roma, oggi la riforma del diritto di famiglia potrebbe aver chiuso la strada a qualsiasi dubbio. «Oggi – spiega Gambarota –, con la riforma del diritto di famiglia del Decreto Legislativo 28.12.2013 n.154, in vigore dal 14 febbraio 2014, la normativa sul disconoscimento dei figli è stata definitivamente modificata». In cosa consiste la modifica? «Ora la facoltà del padre di chiedere il disconoscimento di un figlio viene limitato ai primi cinque anni di vita del figlio. Anche quest’ultimo può richiederlo verso il padre, come in passato, ma ora la sua azione è imprescrittibile: una volta maggiorenne, può richiederlo senza limiti di tempo. La contestazione dello stato di figlio può avvenire per supposizione di parto (quando cioè viene dichiarata la nascita di un figlio da una donna che ha simulato la gravidanza e/o il parto), sostituzione di neonato o per iscrizione come figlio di ignoti. Anche la madre, come in passato, può proporre l'azione di disconoscimento, entro 6 mesi dalla nascita del figlio. Se poi la donna viene a conoscenza dell’impossibilità di generare un figlio, da parte del marito, i 6 mesi decorrono da tale momento».
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Per un interesse superiore L’avvocato romano Maria Cristiana Gambarota ha accumulato nel corso degli anni un’importante esperienza sul fronte del Diritto di Famiglia. Molti i casi che hanno suscitato interesse anche nell’opinione pubblica e che hanno visto il legale protagonista. Gambarota, in particolare, ricorda due dei casi più noti di disconoscimento nella storia giudiziale. «Un esempio molto famoso è quello del chirurgo Giulio Maira – dice Gambarota – che ha chiesto al Tribunale di Roma il disconoscimento della paternità della figlia dopo 40 anni dalla sua nascita. Il chirurgo ha dichiarato di averla riconosciuta fin dalla nascita della bambina pur nella consapevolezza che non era sua, per poi decidere di annullare gli effetti di quel riconoscimento al momento della separazione legale dalla madre della ragazza. Il Giudice ha respinto la richiesta. Oltre a questo, in passato vi sono state altre pronunce giudiziali che, in nome del superiore interesse alla tutela della famiglia, hanno respinto domande di soggetti che chiedevano la prevalenza, invece, del criterio biologico».
Ora qualsiasi uomo fertile può donare il proprio seme alla fecondazione A quali altri cambiamenti ha assistito la giurisprudenza in merito? «Una profonda trasformazione segnerà ora anche la recentissima sentenza della Corte Costituzionale del 9.04.2014 che ha dichiarato incostituzionale il divieto di inseminazione eterologa della legge 40/2004, con la quale il Parlamento italiano regolamentò per la prima volta nel nostro paese la fecondazione assistita. «In virtù di questa pronuncia ora le coppie sterili potranno ricorrere a donatori di spermatozoi quando il partner è sterile. Se già prima del 2004 era lecita l’ovodonazione, ora qualsiasi uomo fertile potrà donare il proprio seme alla fecondazione». A questo punto resta però aperta la problematica circa il riconoscimento del figlio nato con il seme del donatore. «Infatti. Se il partner, dopo il consenso prestato per l'inseminazione con il seme di un altro uomo, cambia idea non sarà possibile per quel figlio ottenere il cognome del
Maria Cristiana Gambarota, avvocato cassazionista con studio in Roma e Bologna
marito o compagno della madre. Infatti, la legge 40 prevede soltanto un consenso dato per una fecondazione con i propri gameti ed in tal caso è automatico lo stato giuridico di genitori della coppia che ha eseguito la fecondazione assistita. Nel caso del consenso prestato all’eterologa, occorrerà una nuova riforma legislativa che parimenti dia efficacia giuridica a tale consenso, automatizzando, anche in tal caso, lo status di figlio al neonato da fecondazione eterologa. Ma se mai sinora se ne è parlato, anche il riconoscimento della donna che ha partorito un figlio, mai discusso sino ad oggi, potrebbe non essere più scontato». In che modo? «Nel recente caso dello scambio di embrioni avvenuto al Pertini di Roma, nel corso della procedura di fecondazione assistita, l’ospedale ha impiantato a una donna embrioni non propri ed è in gestazione di 2 gemelli. Quella donna potrebbe chiederne il disconoscimento anche se li partorirà. Si apre il nuovo orizzonte della differenza tra maternità gestazionale e genetica». Remo Monreale
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Lavoro, si riparte dal Jobs Act Il decreto proposto dal governo è legge. Ma cosa cambierà nel concreto nel panorama occupazionale italiano? Il punto dell’avvocato Mariella Magnani l testo approvato in via definitiva dal Parlamento incide essenzialmente sul contratto a termine e sul contratto di apprendistato, nell’ottica di semplificare queste tipologie contrattuali e incentivare così le imprese ad assumere. I dati della disoccupazione sono da allarme rosso, se è vero che, secondo le ultime rilevazioni, siamo a un tasso di disoccupazione generale pari al 12,7% (contro la media europea del 10,5%), mentre quello giovanile è addirittura al 42,7% (in Europa è al 27%). «È vero che le norme, in mancanza di una ripresa dell’economia, non hanno il potere di creare occupazione ma, se troppo complesse e fonte di incertezze applicative, hanno il potere di ostacolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro» sottolinea Mariella Magnani, avvocato e docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali nata su iniziativa dall’Università di Pavia e dalla Bocconi. Rispetto alla precedente riforma, quali sono le differenze e quali i punti su cui ancora bisognerebbe lavorare? «Rispetto alla Legge Fornero la differenza principale è, per quanto riguarda il lavoro a termine, di sostituire il principio della causalità con quello dell’acausalità nell’assunzione
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Si tratterà soprattutto di rendere efficienti i servizi per l’impiego
a termine fino a 36 mesi: ciò significa che il datore di lavoro non deve giustificare e il giudice non può sindacare le ragioni dell’assunzione a termine, con auspicabile diminuzione del contenzioso, che sul punto era cresciuto a livelli esponenziali». E riguardo l’apprendistato? «L’idea è di semplificare le disposizioni relative all’obbligo di formazione gravante sul datore di lavoro, con l’obiettivo di incrementare il ricorso all’apprendistato professionalizzante, che non è mai veramente decollato in Italia. Questa è la risposta immediata data dal governo per far fronte all’impressionante dato della disoccupazione di cui si parlava. Ma ovviamente non basta. Si tratterà soprattutto di rendere efficienti i servizi per l’impiego, vera emergenza del nostro mercato del lavoro, di riordinare gli ammortizzatori sociali, di semplificare e flessibilizzare la normativa sul lavoro a tempo indeterminato: tutti correttivi previsti da un disegno di legge delega presentato al Senato ma che prevedibilmente avrà tempi lunghi». Secondo le nuove norme il ruolo delle Regioni sarà più definito. Questo potrebbe favorire veramente l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro? «È singolare in effetti, rispetto agli altri paesi europei coi quali ci si confronta - in particolare la Germania -, lo scarso utilizzo dell’apprendistato, nonostante gli incentivi economici per le imprese. E ciò per una serie di motivi, tra cui la complessità degli obblighi formativi, derivanti dal riparto di compe-
Mariella Magnani, avvocato e docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, in collaborazione tra l’Università di Pavia e la Bocconi di Milano
I numeri della disoccupazione in Italia La disoccupazione ha raggiungo il livello record del 13%. Secondo i dati Istat, aggiornati ad aprile 2014, sono infatti 3,3 milioni i disoccupati, con una percentuale di giovani che è arrivata a toccare il 42,3%. Ad aprile è diminuito il ricorso da parte delle aziende alla cassa integrazione ordinaria ma è aumentato quello alla straordinaria. Sono state complessivamente autorizzate 86,8 milioni di ore di cassa integrazione guadagni, tra interventi ordinari, straordinari e in deroga, con una riduzione pari al -13,2% rispetto ad aprile 2013, con 100,1 milioni di ore autorizzate.
tenze Stato/Regioni in materia di formazione professionale. Il testo della legge può, forse, aiutare nel momento in cui prevede almeno che siano le Regioni ad attivarsi per comunicare alle imprese il calendario e le modalità della formazione pubblica».
Alcuni dubbi sono stati sollevati sulla riforma. In particolare c’è chi sostiene che le norme che entreranno in vigore aumenteranno la precarietà. Lei cosa ne pensa? «Personalmente non ritengo che le nuove norme aumenteranno la precarietà, dal momento che già i dati disponibili indicano che il 68% degli ingressi nel mondo del lavoro avviene con contratti a tempo determinato e che, di questi contratti, 1 su 3 viene convertito in contratto a tempo indeterminato, mentre solo 1 disoccupato su 6 viene direttamente assunto con contratto a tempo indeterminato. Peraltro, nell’attuale situazione di grande incertezza economica, è del tutto plausibile che le imprese preferiscano ricorrere ad assunzioni a tempo determinato». Quando, a suo avviso, si potranno vedere i primi effetti di questa legge sul mercato del lavoro? «La legge prevede un monitoraggio sui suoi effetti, in modo da arrivare, decorsi dodici mesi dalla sua entrata in vigore, a una valutazione complessiva del nuovo sistema di regolazione dei rapporti di lavoro a termine e di apprendistato rispetto alle altre tipologie contrattuali. Forse un anno è un arco di tempo troppo breve per la valutazione degli effetti delle nuove norme sugli andamenti occupazionali. Ma è necessario che quest’opera di monitoraggio venga compiuta in modo serio e trasparente e che i suoi risultati vengano offerti al dibattito pubblico». Nicolò Mulas Marcello
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Donna Leader Maggio 2014 - pag. 49
Trasmettere valori positivi alle Pmi
Una consulenza del lavoro che va dall’informatizzazione delle aziende alla capacità di fornire sostegno alle Pmi. Anche attraverso un Forum televisivo. Ne parliamo con Monica Melani
ggi per competere sul mercato è indispensabile avere uno strumento informatico molto innovativo e potente e HR infinity è la risposta giusta. Permette infatti alle aziende di avere su un unico portale tutte le informazioni relative alla gestione del personale». A presentare il progetto HR Infinity è la dottoressa Monica Melani, titolare dello Studio Melani, realtà che da oltre 20 anni si occupa di consulenza del lavoro. Un’attività che va dalla fase di assunzione con la redazione del contratto di lavoro, fino alla stipula degli accordi preventivi per la liquidazione. «Il nostro studio – sottolinea la dottoressa Melani - è da sempre partner di Zucchetti e per questo abbiamo aderito con entusiasmo al loro progetto HR Infinity, il nuovo portale completamente web based. Si tratta di un servizio di amministrazione e gestione del personale e di elaborazione delle paghe e contributi completamente via web. Lo studio fornisce ai diversi clienti l’utilizzo dei singoli moduli disponibili sul portale che vengono poi appositamente personalizzati in gestione presenze e work
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flow, note spese e trasferte, budget del personale, gestione risorse umane, gestione sicurezza sul lavoro, gestione turni, gestione dei tempi delle attività manutentive e di quello delle attività lavorative. Attraverso questo portale Zucchetti può avere la possibilità di gestire ogni singolo modulo lavorativo. Anche da solo se lo desidera». Il modello HR Infinity è un servizio che potrebbe essere esportato a ogni tipo di realtà industriale. «Può essere utilizzato da aziende di tutti i settori. Tutto dipende dalla capacità di sapersi innovare dell’azienda e dal livello d’informatizzazione da parte dei responsabili». È del marzo 2012 invece la nascita del Forum delle piccole e medie imprese, trasmissione che è stata poi realizzata da Telelombardia. «Lo scopo della trasmissione – prosegue Melani - è quella di trasmettere valori positivi alle imprese, valori necessari oggi più che mai per la loro crescita. In tutte le trasmissioni, cui hanno partecipato con entusiasmo sia Zucchetti che Fondartigianato, si è così parlato dell’importanza dell’innovazione dei prodotti e dei servizi, dell’importanza dell’internazionalizzazione e del perché è necessario pensare per tempo alla successione in azienda. Abbiamo inoltre affrontato il tema delle Positive Business Company e ci siamo concentrati sull’analisi di ogni argomento di attualità con lo scopo di aiutare gli imprenditori». Attraverso la trasmissione si è data molta importanza proprio alla figura del piccolo e medio imprenditore. «Si tratta di una colonna portante per l’economia italiana che sta attraversando fasi critiche, per questo cerchiamo di analizzare ogni singolo aspetto che possa essere d’aiuto per far ripartire l’economia e sostenere le
È emersa la necessità di fare rete, di unirsi su fronti comuni per rafforzarsi
Monica Melani dello Studio Monica Melani & Partners di Milano durante una puntata del Forum di Piccole e Medie Imprese su Telelombardia www.mediapason.it/telelombardia/ www.studiomelani.info
Pmi. Tra gli argomenti più importanti è emersa anche la necessità di fare rete d’impresa, di unirsi su fronti comuni per rafforzarsi». Scopo della trasmissione è anche quello di aiutare i giovani a trovare una collocazione nel mondo del lavoro. «Noi cerchiamo di spingere i giovani verso il lavoro autonomo e fortunatamente vedo buone risposte. Con grande soddisfazione ad esempio, sul sito Facebook del Forum delle piccole e medie imprese, sono arrivate le foto dei negozi da loro aperti. Con il tempo, a Forum delle Pmi, sono arrivati ospiti sempre più importanti e siamo lieti di riscontrare come il pubblico apprezzi l’attività d’informazione sulle nuove normative del lavoro, fiscali e contributive, che, di volta in volta, forniamo sulla base dell’attualità». Marco Tedeschi
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Maggio 2014 - pag. 50
Il sistema sanitario tra appalti e malpractice Il mondo della sanità pubblica dal punto di vista della giurisprudenza. L’avvocato Vincenza Di Martino fa luce sulle novità degli ultimi anni, evidenziando alcuni aspetti spesso oggetto di pregiudizi. Ma precisa. «L’avvocato deve fornire un’opera non limitata alla difesa in giudizio» ambito giurisprudenziale che riguarda la sanità pubblica, tra i più delicati e socialmente rilevanti, negli ultimi anni è diventato se possibile ancora più fragile. Oltre i pregiudizi che aleggiano intorno agli appalti pubblici e all’omertà interna agli ospedali, riguardo medici colpevoli e cure dannose, la prospettiva restituisce uno scenario molto complesso sul quale è difficile intervenire. Ne parla l’avvocato Vincenza Di Martino, il cui studio ha sede a Roma. «La nostra specializzazione – dice l’avvocato – riguarda appalti pubblici del settore sanitario. Inoltre assistiamo gli operatori privati nelle procedure selettive e nel corso degli anni abbiamo maturato competenze in materia di responsabilità civile delle strutture pubbliche, con particolar riguardo alla “malpractice” medica» Quello degli appalti pubblici è un ambito che in Italia purtroppo gode di una pessima fama. Quanto c’è di vero? «Non vi è alcun dubbio che uno dei principali problemi del nostro Paese sia la corruzione, in particolare nel settore degli appalti pubblici, che rappresenta circa il 16-17 per cento del Pil nazionale. Non è vero che il legislatore è rimasto inerte di fronte al problema e sta andando nella direzione giusta, cioè quella di imporre la trasparenza amministrativa attraverso la pubblicazione degli atti relativi ai procedimenti di gara sui siti degli enti pubblici. Basti pensare, per esempio, alla cosiddetta legge “anticorruzione” del 2012, sulla tracciabilità dei flussi finanziari, oppure al decreto legislativo del 2013 sulla trasparenza amministrativa, che introduce l’accesso “civico” e impone alle Pa di rendere pubblici gli affidamenti di lavori, servizi e forniture». In cosa consistono gli elementi più importanti da tenere in considerazione nelle prestazioni richieste dagli enti pubblici sanitari? «Il professionista deve fornire un’opera intellettuale che non sia limitata alla mera difesa in giudizio, ma consista anche nella segnalazione di eventuali criticità o illegittimità dell’azio-
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ne amministrativa. Illegittimità non è sinonimo di illegalità ma spesso è determinata da un’assenza di tecnicismo indispensabile. Per questo sono favorevole al ruolo predominante assegnato, per l’espletamento delle gare pubbliche, alle Centrali di Committenza, purché qualificate: non sempre lo sono, come nel caso di quelle regionali per gli appalti pubblici sanitari». Come è cambiata la legislazione relativa al vostro ramo di specializzazione negli ultimi anni? «È una materia dove il legislatore interviene continuamente e non sempre in maniera organica, creando difficoltà di raccordo con le norme vigenti. Le novità sono sintetizzabili nella tutela del principio della massima partecipazione alle gare, imposto dalle direttive europee. Sarebbe auspicabile rendere più “leggere” le procedure di scelta del contraente nel settore pubblico e velocizzare l’iter procedimentale: a volte tra i tempi di definizione della gara e conclusione degli inevitabili ricorsi giudiziari passano più di tre anni prima dell’aggiudicazione». Quali sono gli aspetti più caratterizzanti della malpractice nella sua professione? «Oggi si assiste al lievitare esponenziale di cause civili avviate dai pazienti. Tale ipertrofia processuale è favorita dalla nascita delle tante associazioni a tutela del malato alcune delle quali hanno una logica commerciale a favore dei professionisti che le hanno costituite. Nella mia esperienza ho verificato che molte cause sono strumentali al mero tentativo di ottenere un risarcimento. In poche parole spesso dall’esito non positivo di un’attività medica si tende a ritenere che il risarcimento dei danni sia consequenziale. Ma perché vi sia una malpractice medica è necessaria una colpa del medico. In questo modo i medici si sentono continuamente sotto assedio con ripercussioni negative sulla loro attività, che spesso viene svolta “in difesa”, determinando un aumento di spesa per esami clinici e diagnostici non sempre necessari». Renato Ferretti
L’avvocato Vincenza Di Martino il cui studio ha sede a Roma dimartinov@tiscalinet.it
Il legislatore non è rimasto inerte e sta andando nella direzione giusta
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Donna Leader Maggio 2014 - pag. 51
Notai, quando la qualità è accreditata Con il decreto 137 del 2012, la formazione permanente per i professionisti è divenuta obbligatoria. Ma il notariato la prevede e la svolge già dal 2006 n accordo con gli enti di formazione di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, a febbraio scorso la Fondazione italiana del notariato ha siglato un protocollo per sostenere attività formative di comune interesse. È la prima volta che in Italia viene stipulata un’intesa sull’aggiornamento interdisciplinare dei professionisti del tessuto economico-giuridico. In questo scenario, teso ad affinare la qualità complessiva del comparto, s’inserisce la formazione permanente specifica dei notai, il cui nuovo regolamento è in vigore da inizio anno. «Un regolamento – precisa Lorenza Bullo, consigliere della Fondazione italiana del notariato – che contempla un periodo formativo biennale fino al 31 dicembre 2015». Come si articola nel dettaglio? «Nel biennio i notai devono conseguire 100 crediti formativi con un minimo di 40 annui: due corsi devono necessariamente riguardare la deontologia. Nonostante l’obbligo di formazione sia stato introdotto dalla riforma delle professioni del 2012, il notariato lo aveva già previsto dal 2006: ciò a garanzia dei cittadini e della qualità della prestazione. Il mancato rispetto di questo obbligo è sanzionato come illecito disciplinare». In che modo i notai possono conseguire i 100 crediti necessari? «Partecipando a corsi in aula o a sessioni e-learning, conferenze, seminari, workshop e master universitari, purché accreditati dal Consiglio nazionale del notariato. Il regolamento prevede l’attribuzione dei crediti anche per docenze tenute dal notaio presso università o scuole di notariato, nonché per pubblicazioni e relazioni su temi giuridici di interesse notarile; i crediti vengono attribuiti anche per la partecipazione agli organismi di categoria». In cosa consiste l’offerta formativa proposta dalla vostra Fondazione? «La Fondazione, costituita dal Consiglio nazionale e dalla Cassa del notariato, propone
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Dal soffitto alla scogliera di vetro Lorenza Bullo, consigliere della Fondazione italiana del notariato
ai notai eventi formativi sia attraverso convegni sul territorio, sia attraverso la formazione online, che per il notariato esiste già dal 2008. Vengono approfondite le materie tipiche dell’attività notarile, dal diritto civile e commerciale al tributario, internazionale privato e comunitario. La Fondazione promuove anche seminari cofinanziati dall’Ue in altri Paesi dell’Unione, con la collaborazione degli altri notariati europei, università e centri di ricerca stranieri». Presso quali altre strutture i notai possono ottenere il riconoscimento dei crediti? «I notai sono liberi di scegliere le loro attività formative, purché in linea coi criteri indicati nel regolamento. Oltre alla Fondazione, ci sono i consigli notarili distrettuali, i comitati regionali, le scuole riconosciute, ma anche università ed enti privati di formazione, autorizzati previo parere vincolante del Ministero della giustizia. In tal caso, l’ente promotore rilascerà l’attestato di partecipazione che il notaio invierà al proprio consiglio notarile per registrare i crediti conseguiti nella banca dati elettronica gestita dal Consiglio nazionale del notariato». Giacomo Govoni
La crescente onda femminile fa ben sperare. Ma il rischio è che si infranga contro la “glass cliff”, vera insidia sulla strada di certe missioni quasi impossibili proposte alle donne a professione del commercialista si sta decisamente femminilizzando. Infatti, circa il 31 per cento degli iscritti è donna, percentuale è costantemente in crescita. Questo è un dato di certo positivo, ma richiede qualche considerazione. Innanzitutto, come in molti altri settori, ai vertici della categoria, nei consigli degli ordini e nei consigli di disciplina locali, le donne sono ancora molto sottorappresentate rispetto alla loro incidenza sul corpo degli iscritti. Questo spiega, ad esempio, perché nell’ultimo Consiglio nazionale dei commercialisti Giulia Pusterla si è ritrovata a essere l’unica donna su un totale di ventuno consiglieri. In secondo luogo, è interessante notare come la crisi renda sempre più difficile trovare un buon posto di lavoro dipendente. A questo proposito Pusterla suggerisce una visione interessante, ma delicata. «Non vorrei che gli uomini si stessero prendendo i posti di lavoro rimasti nelle aziende e le donne diventassero professioniste non per scelta e vocazione, ma come ripiego e come auto-impiego». Quali sono i plus dell’essere donna in questa professione e quali invece le difficoltà? «La nostra grande capacità di conciliare e di mediare aiuta tantissimo nella nostra professione, dove siamo spesso chiamati a progettare soluzioni che soddisfino contemporaneamente esigenze contrapposte. Un altro importante plus è la capacità di “girare la scacchiera”, che ci permette di capire le esigenze della controparte. E poi la correttezza, l’onestà, l’incorruttibilità: tutti riconoscono che sono caratteristiche raramente assenti nelle donne e fondamentali nella nostra professione. Le difficoltà sono sempre le stesse, conciliare la vita professionale e gli impegni di cura dei figli e degli anziani non è facile. Non sono figlia d’arte e quando è nato mio figlio non
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ho voluto rinunciare né a lui né al mio studio, che avevo creato io, per questo sentivo anche lui un po’ come un figlio. Ho imparato a chiedere aiuto e tutti mi hanno aiutata. Non dobbiamo vergognarci a riconoscere che non siamo super women». È esperta in crisi d’impresa e fallimenti. Come hanno reagito le donne imprenditrici alla crisi economica? «Vari studi sostengono che la minor propensione al rischio che caratterizza le donne faccia sì che le imprese femminili falliscano meno. Personalmente credo che la crisi non guardi in faccia nessuno, e che quindi non sia il genere ma la bravura dell’imprenditore, maschio o femmina che sia, a decretare il successo o il fallimento della sua azienda sul mercato. Piuttosto sono preoccupata per un fenomeno: per anni abbiamo discusso della necessità di eliminare il glass ceiling, il soffitto di cristallo, quel vincolo, invisibile eppure così potente, che impedisce alle donne di fare carriera. Ora però dobbiamo stare attente al glass cliff, alla scogliera di cristallo, perché quando l’impresa è ardua, se non impossibile, ecco che si cerca di chiamare una donna che, non avendo magari alternative migliori, probabilmente accetterà. Ma se poi quella donna non riesce nell’intento, che non si dica “ha fallito perché era una donna”. Sarebbe davvero troppo». Teresa Bellemo
Giulia Pusterla, commercialista e unico consigliere donna nello scorso Consiglio nazionale di categoria
Politiche sanitarie
Donna Leader Maggio 2014 - pag. 52
Un nuovo modello che supera la spending review Annamaria Cristiano punta sulla deospedalizzazione. Obiettivo del Centro Rham di Matera: riduzione della spesa e massima efficienza al servizio di pazienti, bambini e anziani, per essere un riferimento sul territorio riabilitazione domiciliare sul territorio nazionale. Designata dall'Associazione imprenditrici e donne dirigenti di azienda a partecipare alla istituzione presso la Regione Basilicata del tavolo tecnico per la promozione delle pari opportunità, Annamaria Cristiano riporta nella sua azienda un’attenzione particolare, anche alla diffusione di una cultura aziendale e di un'etica aziendale improntata all'uguaglianza degli operatori e al massimo rispetto del lavoratore. Su quali aspetti, tanto il centro quanto il Sistema sanitario, devono fare leva per incentivare ulteriormente i vostri servizi, favorendo così anche la deospedalizzazione? «È necessaria una sinergia tra il Centro privato accreditato e il Sistema Sanitario Nazionale per ridurre la spesa sanitaria e l'esigenza di ricorrere ad assistenza ospedaliera. La deospedalizzazione porta il cittadino a rivolgersi a strutture valide per professionalità e qualità dei servizi offerti e il centro rham quindi focalizza la sfida sul progetto riabilitativo individuale finalizzato al recupero della patologia. Il Sistema Sanitario quindi si sta sempre più spostando sul territorio offrendo servizi integrati anche di aiuto domestico e familiare, operando sinergicamente con le strutture private accreditate». Quali iniziative portate avanti con insegnanti e operatori scolastici? «Attraverso i referenti della sua equipe (una psicologa, una logopedista e una neuropsicomotricista), il Centro Rham partecipa ai Glh o (Gruppi di Lavoro Handicap Operativo) per i minori disabili; le diverse figure professionali intervengono all'interno dei diversi percorsi che vengono attivati per sostenere il bambino a livello sanitario, terapeutico, riabilitativo, educativo, scolastico, formativo, Annamaria Cristiano, titolare assistenziale. Per una del Centro Rham con sedi a Matera, riabilitazione globale del Altamura (BA) e Ferrandina (MT) www.centrorham.it bambino collaborare con la scuola è fondamentale af-
opo 20 anni di attività il Centro Rham, istituto di riabilitazione ambulatoriale e domiciliare è diventato uno dei punti di riferimento in ambito riabilitativo non solo per operatori sanitari ma anche sociali, scolastici e associazioni. Gestito da Annamaria Cristiano, costituisce un modello per una nuova sanità su cui grava il peso della spending review, superata con servizi di assistenza produttivi e progetti mirati. Uno su tutti è la deospedalizzazione, la quale porta la
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Un’attenzione speciale per i bambini Nell’effettuare trattamenti riabilitativi in regime ambulatoriale e domiciliare, il Centro Rham è aperto a tutti i pazienti affetti da patologie complesse e che presentano deficit funzionali di più apparati e sistemi (Adulti affetti da esiti di ictus, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, morbo di Parkinson, demenza di Alzheimer o vascolare, poli neuropatie, artrite, reumatoide, esiti di poli trauma, lesioni midollari. E bambini che presentano disturbi dello sviluppo psicomotorio, del linguaggio, della capacità di relazione). Per accedere al servizio è necessaria la richiesta da parte del medico di base con allegata documentazione sanitaria. In seguito viene programmata una visita medica e con un’equipe multidisciplinare (psicologa, terapista della riabilitazione, logopedista, psicomotricista) che redige un progetto riabilitativo individuale che descrive il tipo di trattamento riabilitativo da effettuare. Per i bambini da 0 a 14 anni inoltre, è attivo il progetto Carahmbola che offre una valutazione iniziale e un intervento personalizzato in base alle differenti problematiche e offre servizi per curare dislessia, disortografia, disgrafia, discalculi, disturbi del linguaggio e della parola, deglutizioni atipiche infantili, disprassie. Sono inoltre presenti musicoterapia e doposcuola.
finché possa superare le difficoltà che incontra durante l'iter scolastico». Come vengono selezionati gli operatori? «Oggi a un operatore si chiede non solo un’elevata specializzazione tecnica e percorsi formativi di eccellenza, ma anche una spiccata qualità e capacità relazionale, sensibilità e capacità di ascolto nei confronti dei pazienti e anche dei loro familiari». Quali le aspettative e i progetti per il futuro del centro? «Stiamo lavorando a un progetto di cura dei disturbi specifici dell'apprendimento e dello spettro autistico e puntiamo ad aprire strutture semiresidenziali per completare l'offerta dei servizi di cura». Come vengono affrontati nella sua regione i gap dovuti alla mancanza di fondi? «È chiaro che le risorse devono necessariamente essere produttive e diventano tali solo se impiegate in maniera mirata. Sul territorio, in forma domiciliare, erogano prestazioni di riabilitazione sia i centri privati accreditati come il Centro Rham, sia le AA.SS.LL. con il Servizio di assistenza domiciliare integrata gestito in forma diretta o attraverso cooperative. È pacifico però che le patologie ex art. 26 L. 833/78 erogate dai Centri accreditati e quelle di assistenza domiciliare integrata sono di tipologia diversa per cui l'ADI non può sostituire, come spesso accade la riabilitazione ex art. 26 pena l'inadeguatezza delle prestazioni». Come nasce e cosa prevede il suo tavolo tecnico per la promozione delle pari opportunità? «L'Associazione donne dirigenti di aziende a livello nazionale e regionale collabora con i Ministeri delle Pari Opportunità e del Lavoro per l’istituzione di una “Carta per le pari opportunità” nel mondo del lavoro e quindi nelle grandi e piccole aziende. Una dichiarazione di intenti sottoscritta volontariamente da imprese per la diffusione di una cultura aziendale e di politica delle risorse umane, libere da discriminazioni e pregiudizi, capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro diversità. Nella mia azienda ho già realizzato l'uguaglianza sul lavoro dando a ciascun genere pari diritti e opportunità». Ilaria de Lillo
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Non sottovalutiamo l’enuresi notturna L’impegno di Rita Caruso per promuovere l’informazione e la risoluzione del disturbo infantile: «È un problema frequente ma sottovalutato. Aumentano i rischi» isagio scolastico, mancanza di autostima, isolamento e ansie improvvise: sono tanti i problemi di natura psicologica che possono presentarsi nei bambini sofferenti della cosiddetta “pipì a letto”. La dottoressa Rita Caruso, dirigente medico pediatra presso l’Ospedale Bassini a Cinisello Balsamo (Milano), all’interno dell’Ambulatorio Enuresi dell'Ospedale dal 1997 si occupa di diagnosi e cura di bambini affetti da enuresi notturna. «È un problema che interessa circa il 15 per cento dei bambini all’età di 6 anni – afferma la dottoressa -; è misconosciuto e trascurato tanto che molti medici lo liquidano con la frase “tanto passerà con l’età». Ma, nonostante la maggior parte dei bambini riescano a superare il problema crescendo, si registra una persistenza del disturbo nel 5 per cento dei bambini di 10 anni, nel 2 per cento degli adolescenti tra 14-15 anni; addirittura persiste lo 0,5-1 per cento nella popolazione adulta, con gravi problemi sulla vita di relazione. Inquadrare fin da subito il disturbo e curarlo permette di risolvere problemi di natura psicologica quali depressione e disagi in luoghi pubblici, migliorando il grado di autostima dei bambini. Inoltre può prevenire il rischio di incontinenza urinaria nelle donne che in età infantile hanno sofferto di enuresi. «Oggi c’è una forte richiesta da parte dei genitori – osserva la Caruso – in considerazione anche dell’aumentata attività sociale dei bambini. L’approccio diagnostico-terapeutico coinvolge sia il bambino che la famiglia in modo da affrontare in modo globale il disagio. E i risultati in questi anni sono stati soddisfacenti: nell’80 per cento dei casi abbiamo risolto il problema». Per divulgare una conoscenza specifica dell’enuresi, la dottoressa Caruso nel 2012 ha
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Rispettare la fisiologia della pelle Rita Caruso, dirigente medico pediatra presso l’Ospedale Bassini a Cinisello Balsamo (MI) caruso.rita@tiscali.it
realizzato un sito internet (http://www.enuresi.net ) in cui medici, pediatri e genitori possono trovare le informazioni necessarie sulla problematica. Valorizzando le nuove tecnologie disponibili sul sito, in collaborazione con i pediatri della SiMPeF (Sindacato Medici Pediatri di Famiglia), la dottoressa Caruso insieme al dottor Antonio D’Alessio, chirurgo urologo pediatra, ha promosso uno studio epidemiologico in Lombardia, che ha fruttato in un anno, oltre 5 mila questionari dettagliati, i cui dati saranno presto pubblicati su riviste scientifiche. «Essi evidenziano una prevalenza dell’enuresi elevata che nella maggioranza dei casi (89 per cento), non viene trattata. Le terapie attualmente proposte (misure comportamentali, terapie farmacologiche e di condizionamento) sono sicure e validate da protocolli redatti da organismi internazionali: non appare quindi più giustificabile nei confronti dell’enuresi un atteggiamento rassegnato, in attesa di una guarigione spontanea». Ilaria de Lillo
Una linea di trattamenti cosmetici professionali viso-corpo progettata dalle donne per le donne. La parola alla dottoressa Maria Antonietta Plantone, Ad di Pdt Cosmetici all’utilizzo di principi attivi di origine naturale di provata efficacia e da prodotti formulati nel rispetto delle caratteristiche fisiologiche della pelle, è nata una linea di trattamenti per ridurre gli inestetismi della pelle di viso e corpo: Physio Natura. PDT Cosmetici, titolare del brand Physio Natura è composta all’80 per cento da donne, è azienda certificata Uni En Iso 9001:2008 e Iso 22716 (Good Manufacturing Practices). PDT Cosmetici sottopone tutte le fasi del ciclo produttivo e ciascun lotto a severissimi controlli di qualità, chimico-fisici e microbiologici, anche grazie alla collaborazione con il dipartimento di cosmetologia dell’Università di Ferrara, presso il quale sono effettuati i test di tollerabilità cutanea, di funzionalità e di determinazione del fattore di protezione solare. Come spiega Maria Antonietta Plantone, amministratore delegato dell’azienda di Putignano (BA): «Physio Natura offre una gamma completa di trattamenti cosmetici professionali viso-corpo, che danno risposte efficaci e risultati tangibili ridonando alla pelle bellezza e splendore. I vari prodotti della linea sono suddivisi in protocolli e destinati a trattamenti professionali. Ogni prodotto è accompagnato da precise indicazioni sulle operazioni da svolgere per un corretto utilizzo, mentre i trattamenti sono raggruppati in famiglie: ogni famiglia è contraddistinta da un nome, un logo, un colore. L’effetto sinergico dei prodotti, unito a un intenso programma di formazione messo a punto dalla beauty trainer di Physio Natura, prevede l’utilizzo di specifiche tecniche di massaggio, studiate appositamente per ciascun trattamento, consentendo di ottimizzare al massimo i risultati di ogni protocollo». Oltre ai formati professionali ad uso esclusivo in cabina, la linea prevede prodotti ad uso personale con funzione di mantenimento. «Accanto a questa linea, abbiamo creato anche il marchio Physio Natura Medica: prodotti cosmetici per Maria Antonietta Plantone, Ad trattamenti fisioterapici, tra i quali oli e creme ridi PDT Cosmetici Srl di Putignano (BA) scaldanti e rinfrescanti, creme all’ossido di zinco e arwww.pdtcosmetici.it nica gel. L’offerta comprende anche creme e gel conwww.physionatura.it www.physionaturamedica.it duttivi di ausilio ad apparecchiature elettromedicali, veri e propri dispositivi medici autorizzati dal Ministero della Sanità». Tutti i prodotti PDT Cosmetici sono sviluppati, progettati e realizzati nei laboratori dell’azienda a Putignano (BA). «Una parte della produzione è rivolta al conto terzi e accede al mercato con la formula della private label. I prodotti a marchio sono distribuiti solo attraverso canali specializzati in Italia e all’estero (attraverso importatori e distributori esclusivi per mercato e canale), in centri estetici, Spa e farmacie per le referenze home care – solo i prodotti di Physio Natura Medica sono distribuiti nel circuito sanitario». Vittoria Divaro
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Politiche sanitarie
Donna Leader
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Una risposta alla crisi e ai tagli dei servizi socio-sanitari Fra spending review e crescenti difficoltà dei cittadini a pagare i ticket sanitari anche per bisogni essenziali, lo sviluppo di nuovi modelli assistenziali. La proposta di Rosanna Francescato e Liana Pasin
omplice la crisi, il tema dei servizi assistenziali e del welfare si scontra con uno scenario socioeconomico sempre meno attento alle necessità della popolazione. A sentire chi si occupa in prima persona e sul campo di queste tematiche, gli effetti negativi sono molteplici, sia per chi offre servizi sia per chi li chiede. «Diminuzione delle tariffe, riduzione del personale, applicazione della spending rewiew dal 5 al 10 per cento per i servizi della pubblica amministrazione, gare d’appalto dei servizi socio-sanitari al ribasso, tutto a vantaggio del prezzo e a discapito della qualità del servizio. E se non bastasse è in crescita il numero di cittadini che si trovano in difficoltà a pagare i ticket sanitari, anche per i bisogni essenziali». A fare queste affermazioni è Rosanna Francescato, che, insieme a Liana Pasin, ha fondato la cooperativa sociale Ambrosia di Padova, un’attività autonoma di infermieristica. «Nonostante il quadro di dif-
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Rosanna Francescato e Liana Pasin, fondatrici della cooperativa sociale Ambrosia, attività autonoma di infermieristica di Padova
ficoltà – prosegue Francescato –, l’approccio ai nostri assistiti rimane quello di garantire un approccio umano e solidaristico e trattamenti sanitari di alto livello. Lo scopo è dare risultati in tempi brevi con un costo contenuto. Però, stiamo sentendo la necessità di sviluppare nuovi modelli assistenziali». Ambrosia sta già formulando delle ipotesi in collaborazioni con altri partner, anche di altri ambiti professionali. «In ambito sanitario – spiega Liana Pasin – è fondamentale avere un gruppo multidisciplinare, dove ogni figura mette a disposizione le proprie conoscenze, competenze ed esperienze per condividere insieme un percorso assistenziale integrato e non parcellizzato. Fra i modelli che abbiamo sviluppato ci sono la presa in carico del paziente chirurgico all’interno delle sale operatorie con l’introduzione della figura Oss accanto al team chirurgico (service infermieristico chirurgico); la gestione di servizi di alta complessità (come dialisi e cure intensive); la rimodulazione di percorsi assistenziali presso case di riposo e strutture residenziali per anziani; e percorsi riabili-
tativi presso ambulatori e strutture specializzate». Insomma, di fronte a un sistema assistenziale e di welfare che “fa di meno”, la cooperativa sociale Ambrosia di Padova ha scelto di “fare di più”. Come conclude Pasin: «Abbiamo attivato convenzioni con fondi sanitari, progetti con i medici di medicina generale e con le parti sociali, investito in tecnologia, competenze avanzate e aggiornamento costante dei professionisti. Inoltre, il “di più” è anche e soprattutto dare al paziente quel valore aggiunto che professionisti o aziende che rimangono statiche e non si evolvono nel tempo non sono in grado di offrire. Per esempio, le convenzioni fatte con i fondi sanitari integrativi permettono alla persona di usufruire di prestazioni sanitarie erogate da strutture private pagando piccole franchigie paragonabili ai ticket sanitari». Valerio Germanico
Mission e vision di Ambrosia Promuovere l’applicazione della multidisciplinarietà delle scienze umanistiche nel processo decisionale. Realizzare la progettazione di servizi assistenziali in ambito ambulatoriale e domiciliare, prevedendo corsi di formazione e di aggiornamento per i professionisti della salute, l’interazione con la rete socio-sanitaria territoriale per la partecipazione alle politiche sanitarie e la presa in carico della persona e della famiglia. Sono questi i primi punti della mission della cooperativa sociale Ambrosia, attività autonoma di infermieristica costituita a Padova nel 1999 dalle infermiere Rosanna Francescato e Liana Pasin. A questi si somma l’erogazione di servizi assistenziali di base e specialistici in modo appropriato, progettando e pianificando il percorso personalizzato delle cure sanitarie alla persona e al care-giver. E, sul fronte interno, il controllo di ciascun servizio assistenziale in modo sistematico, organizzato e strutturato, seguendo dei follow-up pianificati. Questo per migliorare la performance di ogni servizio e attività attraverso la revisione dei processi aziendali. La mission è poi completata da quello che Ambrosia si prefissa per il futuro: soluzioni innovative in ambito sia sociale sia sanitario, applicazione della ricerca sperimentale, prodotti innovativi all’assistenza sanitaria. E, infine, visione per nuovi partner e valore per i soci e i pazienti.
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Politiche sanitarie
Come cambia la medicina, tra formazione e tecnologia Il settore della sanità sta vivendo grandi cambiamenti. Analizziamo il miglioramento continuo del processo di erogazione della formazione medico-scientifica con Susanna Priore, amministratore unico della Formedica
Susanna Priore, responsabile scientifico e Amministratore unico della Formedica Srl di Lecce www.formedica.it
a ricerca medica, grazie anche alle costanti evoluzioni tecnologiche, sta compiendo passi da gigante. Tuttavia la ricerca da sola non basta, deve essere supportata da società di formazione che consentano alle nuove scoperte di raggiungere velocemente gli operatori della sanità. È proprio questo il compito che cerca di portare avanti Formedica, Società specializzata nel campo della progettazione Ecm con un innovativo programma di Educazione continua in medicina (Ecm). Il settore medico-sanitario sta vivendo una fase di mutamento. Quali sono gli aspetti principali che stanno vivendo questa trasformazione? «La nuova visione della formazione nel settore medico-sanitario, include necessariamente la considerazione di tre elementi che caratterizzano le necessità di un adeguamento continuo, sempre più specialistico e rapido. Questi elementi sono essenzialmente relativi alla didattica medica, ovvero alla necessità di innovare le metodologie e i processi di apprendimento, in termini di interattività e coinvolgimento. Inoltre, gli aspetti inerenti l'organizzazione dei nuovi modelli sanitari, non riguardano solo la parte organizzativa ma anche il ruolo e la funzione dei luoghi di cura e degli ospedali. Infine va raggiunta una maggiore e concreta centralità del paziente, della famiglia e dei contesti sociali in cui vive». In questo scenario come cambiano le figure professionali del settore? «Chiunque si occupi di formazione medica e nello specifico i Provider Ecm, deve prendere in considerazione che ci avviamo sempre più velocemente verso un cambiamento dei ruoli professionali, quindi, dovrà essere riconsiderata la separazione netta tra ruoli direzionali gestionali e ruoli tecnico professionali, vi sarà anche una distinzione fra le figure più generaliste con ruoli di presa in carico del paziente e figure con competenze specifiche monodisciplinari. Uno scenario che riporta alla necessità di rimodellare i processi formativi e quindi anche il ruolo e le funzioni dei Provider Ecm, per adeguarsi il più rapidamente possibile a tali cambiamenti». Le costanti innovazioni tecnologiche implicheranno un impiego di personale sempre più “tecnico”.
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Il ruolo del provider Il provider deve essere in grado di proporsi attraverso una connotazione che va ben oltre le competenze organizzative e logistiche, un ruolo che include competenze di project management e di empowerment, una funzione che sappia leggere i contesti relativi ai fabbisogni reali e proporre in piena autonomia e indipendenza i percorsi di formazione sempre più allineati alle reali esigenze di miglioramento. Dovrà essere capace di promuovere e comunicare i programmi formativi rendendoli attrattivi e interessanti, combattendo l'eventuale immobilismo formativo, o la scarsa sete di sapere medico. Tutto ciò prevede una capacità di instaurare partnership di valore con i centri di ricerca, di studio e di approfondimento scientifico, insieme ai quali elaborare adeguatamente, sia nuovi e interessanti contenuti che stimolanti e interattivi modelli di apprendimento, con l'obiettivo di rendere il più fruibile possibile la formazione utile quella che poi ricade sulla salute e il benessere dei cittadini.
«In futuro il progresso tecnologico richiederà una forza lavoro sempre più specializzata, si avrà anche un aumento della diversificazione professionale e della crescita di autonomia di numerose figure professionali un tempo più esecutive, aumenteranno le figure professionali “non sanitarie” come ingegneri o tecnici specializzati in conseguenza dell’ampia diffusione di tecnologia correlata al percorso di assistenza. Aumenteranno gli specialisti nel management sanitario con competenze organizzative, di economia e finanza e di project management». Quale sarà il ruolo di chi si occupa di formazione? «I processi formativi dovranno tenere conto che dovrà essere maggiormente garantito il collegamento tra assistenza sanitaria e sociale, dove vi sarà una maggiore domanda di lavoratori presso il domicilio, infermieri, operatori sanitari di comunità e fisioterapisti. Aumenterà l'importanza del lavoro di squadra multidisciplinare». Qual è la sfida principale per il campo della sanità? «La sfida più significativa per coloro che operano nel mondo della sanità sarà quella di saper incorporare un elevato grado di flessibilità. I più importanti cambiamenti riguardano la crescente erogazione di assistenza per anziani fuori dagli ospedali, lo sviluppo di trattamenti ambulatoriali e di riabilitazione al di fuori degli ospedali, la riabilitazione e le cure palliative fornite sempre più vicino al paziente. Saranno sempre più importanti i temi della Governance Clinica, del Risk management, gli aspetti medico legali, la centralità del paziente e tutto quanto relativo alla medicina preventiva, sia in chiave formativa che educazionale». Come evolveranno gli ospedali nei prossimi anni? «La configurazione attuale degli ospedali riflette i modelli di cura e di bisogni della popolazione in epoche passate, ma il loro ruolo sta comunque cambiando e molti servizi che erano in precedenza forniti negli ospedali vanno ricollocati nelle attività di comunità. Gli ospedali dovranno quindi fornire medicina di alta qualità garantendo al contempo elevati livelli di accesso e di stretta collaborazione con le cure primarie e diversi services situati al di fuori delle strutture». Lorenzo Brenna
Medicina estetica
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L’acido ialuronico contro l’invecchiamento I filler o riempitivi a base di acido ialuronico permettono di attenuare i segni del tempo, ripristinando gli equilibri del viso. Le ultime frontiere della medicina estetica, come illustra Annalisa Pizzetti, cercano il ringiovanimento ma nel rispetto della naturalità
on conosce tregua l’interesse, trasversale ormai a uomini e donne, verso i cosmetici a effetto filler, ossia tutte quelle sostanze tese a correggere rughe e pieghe del viso, che donano un aspetto più fresco e giovane. A fare un po’ di chiarezza nel mondo dei trattamenti anti-ageing è Annalisa Pizzetti, esperta in dermatologia e medicina estetica, ospite di diverse trasmissioni tv e parte del team di esperti di “Bella più di prima”, trasmissione Mediaset in onda a settembre. Quali sono state le tappe fondamentali dello sviluppo dei trattamenti anti-invecchiamento specifici per il viso? «La medicina estetica ha in questi anni compiuto passi da gigante, rispetto alle facce e alle labbra gonfie di silicone che circolavano negli anni 80-90. È stata superata anche quella fase in cui si usavano sostanze semipermanenti che, con l’uso prolungato, generavano in alcuni casi problemi di noduli, granulomi e cisti sottocutanee. Risale al 1993 l’acido ialuronico, completamente identico e biocompatibile con quello della nostra pelle e perciò privo di effetti collaterali. L’evoluzione delle tecniche è stata sempre più improntata alla cura e alla prevenzione dell’invecchiamento, ma nel rispetto della naturalità dell’aspetto e dei connotati della persona». Qual è il filler più sicuro? «È quello a base di acido ialuronico, sostanza fondamentale che conferisce morbidezza, consistenza e idratazione alla nostra pelle. Abbiamo a disposizione diverse concentrazioni di filler che variano per fluidità e densità a seconda dell’effetto che si vuole ottenere. Concentrazioni più basse e fluide per idratare e stimolare il derma, vengono iniettate con aghi sottilissimi in tutte le zone come viso, collo, decolleté e mani. Creano una vera e propria ristrutturazione dei tessuti, ma non hanno effetto riempitivo. Si possono completare uno o due cicli di trattamento l’anno, con 34 sedute per ogni ciclo (costo 80-150 euro)». E per concentrazioni superiori di filler? «Le concentrazioni medie risultano ancora abbastanza fluide e sono usate per correggere le rughe sottili, quelle del contorno bocca e del contorno occhi a “zampe di gallina“, oltre che per le sottili striature al centro delle guance (il prodotto dura 6-9 mesi circa, con un costo tra 200 e 300 euro). Le concentrazioni più elevate possiedono un effetto riempitivo vero e proprio e sono indicate per ripianare rughe profonde, pieghe naso-labiali e laterali del mento, oppure per dare consistenza allo zigomo e restituire tono all’ovale del viso (contour lift). Sono indicate, inoltre, per ripristinare perdite di volumi alle guance e cedimenti della struttura del volto (prodotti con effetto fino a 18 mesi;
Le cellule mesenchimali incontrano l’estetica
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La dottoressa Annalisa Pizzetti riceve a Roma www.apizzetti.com
Lipogems identifica un trattamento di nuova generazione che prevede l’impiego di cellule estratte da tessuto adiposo autologo per la cura dell’invecchiamento del volto. «Ideata dal dottor Carlo Tremolada, Lipogems è una tecnica innovativa di autotrapianto di tessuto adiposo microfratturato. Questo particolare trattamento – spiega Annalisa Pizzetti, che ha partecipato a un protocollo su Lipogems con l’Università di Miami e con Tremolada – consente di ottenere un tessuto iniettabile ricco di cellule mesenchimali adulte, le quali favoriscono il naturale processo rigenerativo dei tessuti, oltre a fornire il classico effetto volumizzante dato dal lipofilling». Una metodica che apre a orizzonti terapeutici sempre più efficaci per la rigenerazione e la riparazione dei tessuti.
Si cerca di ridare un’armonia complessiva al viso, lavorando sulla naturalezza
il costo di una fiala si aggira intorno ai 300-350 euro)». Esistono prodotti che agiscono su zone specifiche del viso? «Sono stati perfezionati filler per due distretti particolari: labbra e zona perioculare. Le labbra possono essere trattate con l’obiettivo di aumentarne il volume, in caso di labbra molto sottili, o anche solo per dare consistenza al contorno, senza ingrandirle. Un prodotto di ultima generazione crea un “effetto gloss”, donando turgore e idratazione alle labbra ma senza alternarne la forma. Per quanto riguarda la regione perioculare, molto delicata, è appena uscito un filler di ultimissima generazione in grado di trattare occhiaie, occhi cerchiati e incavati e rughe perioculari che spesso conferiscono a tutto il viso un aspetto stanco. Si tratta di un acido ialuronico leggero, arricchito di sostanze che creano biostimolazione, capace di ripristinare il tono, ringiovanire lo sguardo, minimizzando aloni scuri e rughe del contorno occhi (il prodotto ha una durata di 8 mesi, è sufficiente una sola fiala del costo di 300 euro)». Qual è la principale tendenza che si riscontra oggi in medicina estetica? «Oggi si punta più alla prevenzione che non alla correzione dell’invecchiamento. Non si va più, come in passato, a riempire la singola ruga. L’obiettivo dello specialista è diventato quello di ridare un’armonia complessiva al viso, lavorando sui contorni, sull’ovale, sulla texture della pelle, sulla naturalezza del sorriso e dello sguardo, mantenendo il più possibile freschezza e aspetto disteso del viso nel rispetto delle proporzioni e della fisionomia originaria». Gaia Acerbi
Territorio
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Rigenerazione urbana Promuovere la sostenibilità ecologica ed economica delle città, riqualificando l’esistente. Il ruolo dell’architettura nel percorso verso le smart cities
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ntelligenti, sostenibili, tecnologiche e partecipate: le nostre città hanno le potenzialità per esserlo». A sostenerlo è Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, tutti soggetti impegnati nell’individuazione di tecniche, strategie e proposte per una buona architettura in grado di rispondere all’esigenza di una maggiore qualità della vita all’interno degli ecosistemi urbani. Progetto esemplificativo di questo obiettivo è Riuso, il programma per la rigenerazione urbana sostenibile, «già da tempo elaborato e lanciato dal Consiglio insieme ad Ance e a Legambiente». Nel nostro paese si registrano più resistenze che altrove nel rileggere lo spazio urbano? «Le città, nel loro complesso, si stanno evolvendo per essere pronte ad assicurare una migliore qualità della vita ai loro abitanti: perché la peculiarità della città intelligente non è solo quella di puntare all’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, ma di essere socialmente inclusive. Il problema è quello di tornare a investire in modo nuovo e finalizzato all’innovazione secondo uno schema progettuale preciso. Senza dimenticare che è nelle città che vive il 70 per cento degli italiani ed è lì che si produce l’80 per cento del Pil. Nel nostro paese non si investe nelle città da quasi mezzo secolo. Investire non significa disporre di grandi risorse economiche, ma prima di tutto avere in mente un progetto strategico chiaro. Governo e Parlamento devono essere in grado di costruire una strategia coraggiosa e realistica, avviando sperimentazioni concrete con Regioni e Comuni, anche utilizzando il know-how e l’esperienza che gli architetti italiani sono sempre pronti a mettere a disposizione della collettività». Su quali direttrici dovrebbe avvenire il processo di costruzione di una smart city? «C’è un passaggio dal quale non si può prescindere. Le città - intendo le scuole, gli edifici pubblici e le residenze - vanno innanzitutto messe in sicurezza. Per farlo non servono grandi risorse economiche o ingenti investimenti da parte dello Stato, ma servono poche,
Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori
chiare e semplici leggi, perché è proprio la burocrazia uno dei problemi che blocca la riqualificazione delle città. Quella di aprire subito i cantieri della riqualificazione energetica e antisismica è stata la richiesta avanzata al governo già all’indomani del suo insediamento. Tra i punti della proposta, l’esclusione dal Patto di stabilità degli interventi di riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio edilizio pubblico, finanziati dalle Regioni e dagli enti locali; l’istituzione di un fondo nazionale di garanzia della Cassa depositi e prestiti per favorire l’accesso al credito da parte degli enti locali, dei proprietari di abitazioni, dei condomini; lo snellimento delle procedure con l’introduzione di incentivi per interventi sui condomini. Serve liberare le energie: non si può e non si deve più consumare suolo, bisogna rendere vantaggioso dal punto di vista economico intervenire sull’esistente». Con quali soluzioni architetti e paesaggisti italiani possono migliorare sensibilmente la qualità della vita nelle città intelligenti? «Le nostre città devono essere trasformate in una miniera di cultura, formazione e bellezza, in un’inesauribile fonte di energie, anche tecniche e turistiche, affinché possano essere volano dello sviluppo economico. Il contributo degli architetti è fondamentale per raggiungere questi obiettivi se, come sta avvenendo negli ultimi tempi, l’architettura torna a svolgere la sua
Le città, nel loro complesso, si stanno evolvendo per essere pronte ad assicurare una migliore qualità della vita ai loro abitanti funzione civile, che è quella di rispondere concretamente ai bisogni dei cittadini. Dobbiamo essere capaci - come comunità professionale di suscitare l’interesse nazionale con proposte e progetti. Per fare questo, dobbiamo uscire dalla logica dell’architettura come esibizione politica nel monumento attraverso la realizza-
zione di costosissimi musei o auditori. Dobbiamo tornare a parlare delle città e del paesaggio, risolvere i problemi della condizione del patrimonio edilizio italiano, innovare i modelli e le tecniche dell’abitare, promuovere la sostenibilità ecologica ed economica». Francesca Druidi
I vantaggi dello stampaggio a freddo
Alta tecnologia nella produzione di sistemi di stampaggio. Laura Invernizzi Maggi introduce le presse cold forming a Invernizzi Presse è all’avanguardia in Europa nella progettazione e costruzione di macchine a elevato contenuto tecnologico, come presse da 30 a 3mila tonnellate. Negli ultimi anni ha sviluppato una linea di presse a stampaggio a freddo (cold forming) per la produzione di particolari metallici, un tempo prodotti solo con processi a caldo. «Con questa innovazione – afferma Laura Invernizzi Maggi – abbiamo superato gli svantaggi della lavorazione a caldo, eliminando il forte dispendio energetico e di tempo per il raffreddamento e lo spazio occupato dal forno nell’ambiente produttivo, oltre ai costi per le misure di sicurezza ne-
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La sede della Invernizzi Presse si trova a Pescate (LC) www.invernizzi.com
cessarie per le alte temperature. La tecnologia cold forming ha ridotto il prezzo degli stampi a fronte di una maggiore durata del prodotto stampato e di una qualità superficiale priva di difetti dimensionali. Inoltre abbiamo eliminato i processi di riscaldamento, sbozzatura, tranciatura, trattamento termico, bonifica, decapaggio, sabbiatura-granigliatura e finitura – e i relativi costi». La produzione della Invernizzi Presse è totalmente garantita dall’elevato know how dei tecnici interni e un altro punto di forza dell’azienda è l’assistenza offerta ai clienti. «Il rapporto di forte collaborazione con i nostri partner parte nella fase iniziale di stipula del contratto e prosegue per tutta la durata del progetto». Valerio Germanico
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imitare i consumi, risparmiare notevolmente pur avendo oggetti originali con cui arricchire il proprio arredamento. È il riciclo creativo. L’architetto Maria Luisa Franchini Provasoli, titolare dello studio a Gallarate, con le sue collaboratrici, gli architetti Silvia Donato e Roberta Leo, ha da sempre condiviso questa filosofia. Dalla progettazione architettonica, commerciale e urbanistica fino all’interior design e ai servizi di personal home shopper e home staging, la politica vincente dello studio Provasoli è stata quella del far rivivere spazi e oggetti. Tra i suoi progetti più interessanti troviamo l’Hotel Ambrosiano e il Grand Hotel et de Milan. L’intervento di recupero più significativo è stato, invece, il Maga, Museo d’Arte Moderna di Gallarate inaugurato nel 2010 con la mostra
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Architetti che guardano a un “eco futuro” Edifici ripensati, anzi riciclati. E una casa con dettagli creativi ecologici. Il design bio dello studio Provasoli omaggio ad Amedeo Modigliani. La struttura, (5000 mq) è un polo per l’arte contemporanea funzionale e propulsivo, sede di laboratori didattici, convegni ed eventi riservati a studenti per approfondire l’arte contemporanea; negli anni 30 era un fabbricato industriale che poi l’architetto Provasoli ha ristrutturato tenendo conto della struttura originaria, tanto che ancora oggi è perfettamente leggibile la tipologia industriale del vecchio edificio. Nel settore dell’eco-design e
Verso la bioarchitettura L’eco verso la bioarchitettura arriva sempre più forte dalle donne architetto. L’architetto Provasoli e le sue collaboratrici condividono in pieno questa filosofia. L’architetto Donato ha partecipato a “Io riciclo, tu ricicli” durante la settimana del Fuori Salone. L’architetto Leo ha fatto parte della Commissione Paesaggio del Comune di Vergiate.
Architettura e paesaggio Studiare il territorio per riconquistare il legame tra l’uomo e l’ambiente in cui vive: Palma Librato spiega i vantaggi di un’architettura funzionale, eccellente ed ecosostenibile
er rilanciare un modello di architettura differenziata, che tenga conto non solo del dato qualitativo, ma anche di quello paesaggistico e sostenibile, agli architetti è affida-
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ta una vera sfida: mantenere il valore estetico, cercare di vincere l’austerity e investire nella qualità e funzionalità del prodotto. Parola di Palma Librato, giovane architetto che nel barese si occupa di pro-
riuso creativo rientrano anche la linea Be Happy e la linea sCARTface degli architetti Donato e Leo. La prima è una serie di sedie pensate come traduzione dello slogan del presidente Obama “Yes we can”: realizzate con colori vivaci e caldi per allontanare la mente dallo scetticismo e infondere positività e autocontrollo nel gestire le situazioni quotidiane, queste sedie nascono, o meglio, rinascono da vecchi oggetti scartati, dimenticati e inutilizzati. «Seguiamo la legge del Ri – spiega Silvia Donato - Riciclo, Rinascita, Riuso. Qualsiasi vecchio oggetto ha sempre una nuova storia da raccontare. Da questo nasce il recupero e la rigenerazione di vecchie sedie e di altre realtà. Proviamo a far convivere il passato con il presente e dare vita a nuove parole». Gli oggetti potranno ricominciare con l’uomo una nuova storia e tornare utili. «Abbiamo scelto le sedie – continua Silvia - perché avevamo voglia di prendere un oggetto di uso quotidiano e reinterpretarlo con nuovi colori e materiali. Tutte le opere saranno realizzate utilizzando sedie riciclate e impreziosite con materiali di scarto». Elementi quotidianamente usati che in questo modo vengono anche abbelliti. Uno
gettazione architettonica, cultura architettonica e ha svolto ricerche di perfezionamento in progettazione architettonica per i paesi del Meridione. La progettazione edilizia del futuro punta oggi al rispetto del territorio di appartenenza, si parla molto di edilizia sostenibile per far sì che il prodotto sia in primis funzionale alle nostre esigenze. «Il punto è proprio questo – afferma la Librato - l’architettura non è un mero desiderio estetico, deve essere una scienza esatta secondo il concetto classico di architettura. La nostra vita si muove all’interno di strade, edifici, città che hanno una loro consistenza reale e definiscono gli spazi vitali dell’uomo. Questi spazi un tempo erano appannaggio dei migliori architetti e ingegneri perché dovevano rappresentare le persone (il potere, le famiglie, i bisogni, la società) e creavano quella bellezza che sapeva armonizzare gli ambienti e il legame tra persone e ambiente. Questo ha reso l’Italia uno dei Paesi più belli al mondo in cui il turismo architettonico e artistico dovrebbe scrivere importanti cifre sul bilancio economico complessivo dello Stato». E in questo modo si garantirebbe un risparmio di denaro pubblico e privato destinato alle manutenzioni, sempre più ordinarie e più efficienti. Tuttavia, l’architettura non è solo una questione di qualità. «Dobbiamo puntare alla riconquista dell’armonico legame tra noi e il contesto in cui viviamo già a partire dalla sostituzione del termine “edilizia” con “architettura”; –
Progetti dello studio Provasoli di Gallarate (VA) luisapro@luisaprovasoliarchitetto.it
è il set da cucina realizzato con scarti di carta recuperati da tipografie e dipinti a mano fatti con colori atossici a base di acqua. Per il futuro, l’architetto Provasoli a breve inizierà a collaborare con una società svizzero tedesca nel campo alberghiero, occupandosi degli allestimenti e degli arredi, portando avanti il made in Italy e rivolgendo un'attenzione particolare alla ricerca e alla scelta di soluzioni e prodotti ecosostenibili. Ilaria de Lillo
Lo studio dell’architetto Palma Librato si trova a Monopoli (BA) p_librato@libero.it
precisa la Librato – una progettazione con lo sguardo volto ad architetture realizzate in un territorio specifico. Il contemporaneo si misura con il dovere di partire dalla conoscenza del passato». Con la sua giovane età e l’entusiasmo con cui svolge il lavoro, nonostante l’austerity e le politiche maciste, la Librato lancia «un messaggio di speranza e passione professionale: tutti i giorni mi impegno a dimostrare che non è il genere che qualifica le persone ed introduce elementi discriminanti, ma è e deve essere la passione e l’impegno costante che diventeranno competenza e affidabilità a prescindere dal genere». Ilaria de Lillo
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La cultura del territorio, punto di partenza per la ripresa Il caso imprenditoriale e politico di Maria Grazia Guardabassi, che fonda sulla semplicità della cultura rurale i principi cui ispirarsi. «L’Italia può e deve ritornare a essere il giardino d’Europa, terra di santi ed eroi» n questo paese l’agricoltura va risvegliata». Per Maria Grazia Guardabassi, titolare di diverse imprese tra Lazio e Umbria, sono i valori della cultura contadina gli strumenti in grado di riportare l’Italia a un livello di serenità e sviluppo economico. Dunque, non solo la valorizzazione delle campagne come soluzione pratica alla flessione economica, ma anche come modello di sviluppo sociale che ritorni ai saggi insegnamenti dell'antico e semplice mondo rurale. «Tra le attività di cui mi occupo, L’azienda agraria in Umbria è un vivaio a cielo aperto di noci, ciliegi, farnie e ontani, coltivazioni cerealicole e officinali senza l’utilizzo di pesticidi né concimi chimici, nel totale rispetto della natura e dei suoi ritmi, mentre le vecchie case coloniche sono oggi agriturismi di nicchia. Nella Pianura Pontina ho un grande impianto di kiwi ed è in itinere un impianto d viti per uva da tavola, olivi, agrumi, susini, melograni ed eucalipti, nonché allevamenti di cani di razza rottweiler, pastori tedeschi e chiwawa rispettivamente per difesa, pet therapy e compagnia. Infine la Beton Black Spa di Maurizio D’Erme in Latina è
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Foto di Lara Mariani
Maria Grazia Guardabassi, imprenditrice www.mgguardabassi.it
un'impresa storica nel settore della produzione di conglomerati bituminosi con i suoi due impianti. Ma la mia nascita imprenditoriale si trova nella tenuta di famiglia con la coltivazione, dal 1973, del tabacco Bright e Kentucky, fiore all'occhiello dell'Alta Valle del Tevere». Secondo Guardabassi, «oggi che la politica agraria e industriale è latitante, la nostra capacità imprenditoriale sembra un po’ anestetizzata e scoraggiata da una pressione fiscale insopportabile e dallo strapotere delle banche che danno a chi ha già e strozzano chi ha bisogno. E pensare che la gestione del suolo e protezione dell’ambiente, unite agli attenti controlli sanitari e agli interventi fitosanitari, rendono i nostri prodotti migliori di tanti importati. Quindi, io dico, compriamo italiano! Rivogliamo un’agricoltura sostenibile: torniamo ad amare e rispettare la terra, curiamo il territorio e tuteliamo le biodiversità». Non è un caso, dunque, la scelta che Guardabassi ha fatto presentando la propria candidatura nella lista “Fratelli d’Italia Alleanza Nazionale” alle elezioni europee di maggio. «L’Italia – dice l’imprenditrice – deve tornare a essere il giardino d’Europa e per farlo deve essere guidata da
una classe politica attenta e competente. Bisogna combattere la corruzione a ogni livello così come nelle mie tenute evito tutto quello che è tossico. Abbandoniamo la cultura del superfluo e dello spreco: non buttiamo via niente, recuperiamo tutto». Inoltre l’imprenditrice umbra non dimentica le sue nobili origini. «Sono nata a Città di Castello, Perugia, - continua la Guardabassi – e mi rispecchio nella semplicità di questa piccola, splendida, orgogliosa, sincera Umbria. Mi emoziono di fronte alla bellezza di un cielo stellato e alla semplicità di un filo d'erba. Non dimentico il recente passato fatto da uomini motivati da alti ideali. Ritengo che solo così, con pazienza e tanto amore, consegneremo ai nostri figli un'Italia Nuova, per giovani italiani, sani, preparati e onesti, protagonisti vincenti nella nostra cara, vecchia Europa». Remo Monreale
Maria Grazia Guardabassi nasce a Città di Castello, storica cittadina in provincia di Perugia, dove tutt’oggi risiede. Dopo la laurea conseguita a La Sapienza di Roma, comincia la sua storia di imprenditrice. «L’educazione ricevuta e la mia formazione – dice Guardabassi – mi hanno portato una grande sensibilità nei confronti delle persone, decisiva nella gestione delle diverse attività che spaziano dall’ambito agricolo, edile stradale, immobiliare e agrituristico di nicchia.
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Etica e know how per rilanciare l’edilizia La crisi economica ha colpito duramente le imprese del settore edile, richiedendo interventi anche strutturali alle aziende. Pamela Onorati svela la sua “ricetta” per mantenere una posizione competitiva nel comparto
l settore edile è storicamente caratterizzato da una scarsa presenza femminile. Si tratta di un comparto dove le barriere all’ingresso possono risultare respingenti per le donne che vogliano accedervi. Per questo, assume ancora più rilevanza la storia imprenditoriale di Pamela Onorati, a capo della Edil O.P. Srl e della Nuova O.P. Srl, due società che si occupano di edilizia, ristrutturazioni e restauri con una marcata specializzazione nelle pitture edili e decorative per interni ed esterni. Oggi l’imprenditrice di Tivoli Terme deve fare i conti con l’andamento incerto della ripresa italiana e la flessione degli investimenti che incide sul settore (così come nelle infrastrutture e nelle opere pubbliche) e sulle sue prospettive di rilancio. Lo scenario del settore edile resta critico anche per quanto riguarda i prossimi mesi del 2014. In che modo le sue aziende hanno reagito e stanno tuttora affrontando questo difficile momento economico? «Faccio leva su un modello di fare impresa in cui è l’etica a fare la differenza, etica intesa come motore del cambiamento rispetto a un periodo di difficoltà. È ovvio che l’etica richiede maggiore dedizione e sacrificio per ottenere una produzione che pretenda sempre più qualità comparata a una giusta adeguatezza professionale delle maestranze. Ma è il giusto prezzo da pagare. Oggi, purtroppo, sono molte le aziende costrette a rinunciare a questo know how a causa dei vincoli di bilancio. Dare il miglior risultato a un prezzo eti-
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Sopra, Pamela Onorati, a capo della EDIL O.P. Srl Unipersonale e della NUOVA O.P. Srl Unipersonale. A sinistra, finitura effetto stucco antico rosso pompeiano e colonna effetto metallo. Sotto, pitture per esterni acriliche e ai silicati www.impresaedileguidoniaroma.it
Le attuali possibilità tecniche richiedono un personale altamente qualificato e aggiornato
co significa, invece, poter andare avanti e assicurare un impiego stabile ai dipendenti». Con quali strategie mira a restare competitiva sul mercato? «Le mie aziende si occupano di ristrutturazioni di immobili, di rifacimento e ripristino di facciate condominiali, di realizzazioni di opere pubbliche ma soprattutto di rifiniture interne ed esterne di pitture industriali, civili, sanitarie e decorative. Abbiamo acquisito una notevole esperienza nelle decorazio-
ni. Realizziamo marmorizzazioni, finti marmi e travertini, finte pietre e finti legni, stucco antico, cera antica, effetti moderni o metallici, laccature lucide e sanitarie, invecchiature e prestigiose finiture per esterni con silicati, silossanici o velature». Queste molteplici possibilità di intervento tecnico richiedono un personale altamente qualificato e aggiornato. «La forza di questa realtà imprenditoriale risiede proprio nel suo capitale umano, che con impegno ha abbracciato il tema della formazione in modo da mantenere una qualità sempre ottimale nelle lavorazioni. L’obiettivo è quello di tutelare la sicurezza delle persone che lavorano in ogni ambiente di lavoro, con adeguate e indispensabili misure di prevenzione e tutela della sicurezza. Il settore edile è uno dei comparti che più esige accortezza in questo senso. Altro aspetto fondamentale sul quale abbiamo investito è quello delle innovazioni tecnologiche, che consentono di risparmiare energia fisica. Mi riferisco alla recente acquisizione di nuove macchine per carteggiare, per spruzzare tinte e smalti e mezzi per il carico dei materiali». Infine ci spieghi perché ha scelto un percorso imprenditoriale in un comparto di non semplice accesso per le donne come quello edile. «È mio padre che mi ha fatto entrare in sintonia con questo mondo, insegnandomi le tecniche riguardanti il settore, nonché le modalità comportamentali da adottare. Consapevole del fatto che l’edilizia è un mondo altamente rischioso, i suoi insegnamenti mi hanno abituato alla fermezza nelle decisioni, sempre ponderate». Gaia Acerbi
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Pulizia e sanificazione verso il global service Il settore punta a una diversificazione in grado di offrire il servizio più completo sia per committenze private che pubbliche. Su questa seconda categoria si focalizza l’esperienza di Lorena Mazzoni, che vede come promettenti gli interventi dell’attuale Governo Renzi
a speranza è che la politica guardi alle aziende in modo da permettere loro di portare avanti la propria mission». Così parla Lorena Mazzoni, titolare della romana Cometa Srl. L’azienda guidata da Mazzoni è presente sul mercato dei servizi dal 1975, ed eroga presso committenti pubblici e privati. «Più precisamente – spiega Mazzoni – svolgiamo attività di pulizia e sanificazione, disinfestazione e derattizzazione, facchinaggio, trasporti e portierato, giardinaggio e manutenzione del verde, avvalendoci di tecniche e attrezzature all’avanguardia, di personale formato e specializzato, per cui siamo in grado di fornire un servizio di qualità certificato secondo i dettami della norma Uni En Iso 9001:2008». Come ha influito finora il Governo secondo la sua esperienza d’imprenditrice? «Sembra che finalmente si sia imboccata la via giusta: mi riferisco all’intervento sull’Irap, per noi un tasto molto importante, perché l’abbattimento dell’Irap anche solo di un 10 per cento è significativo. Certo si può fare sempre meglio. Sicuramente una minore pressione fiscale e finanziaria, ci permetterebbe un grande potenziamento, migliorando le nostre capacità organizzative e operative, per fornire un servizio che soddisfi a pieno le esigenze della nostra clientela. Io spero che a livello burocratico si riescano a snellire le pratiche. Per esempio, gli enti pubblici al mo-
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Una minore pressione fiscale ci permetterebbe un grande potenziamento
Lorena Mazzoni, titolare della Cometa Srl con sede a Roma cometa.mm@libero.it
mento del pagamento chiedono alle imprese il Durc, che è documento unico di regolarità contributiva, ma se gli stessi enti hanno in deposito grosse cifre impagate, per snellire le procedure potrebbero pagare senza il Durc visto che la garanzia economica è presso di loro». Su quali punti di forza avete contato finora? «La nostra azienda è costantemente rivolta, tramite i propri tecnici e il contributo di primarie società di consulenza, alla ricerca e all’impiego di nuove tecnologie strumentali e innovazioni dei prodotti chimici per conferire alle prestazioni offerte una qualità sempre maggiore pur mantenendo costi competitivi. Nell’ultimo periodo abbiamo portato avanti un grande cambiamento ovvero l’esternalizzazione della contabilità come paghe e contributi: con il consulente esterno abbiamo registrato un risparmio ma anche un controllo maggiore sulle buste paga del personale. Inoltre, a proposito di cambiamenti, da qualche tempo abbiamo esteso il nostro ambito lavorativo anche al commercio all’ingrosso di abbigliamento da lavoro, accessori e articoli antinfortunistici con buoni risultati». Che risultati vi ha garantito questa diversificazione? «La nostra azienda nonostante il periodo di crisi in cui versa il paese, ha registrato negli ultimi anni un’importante crescita del fatturato riuscendo a mantenere i livelli occupazionali, e ciò non sarebbe stato possibile se non grazie all’importante e continuo impegno profuso sia dai vertici aziendali che da tutti i nostri collaboratori. La nostra sfida per il domani sarà riuscire ad ampliare maggiormente la gamma dei servizi offerti puntando al global service, sempre più richiesto dal mercato. Rispetto al 2013 la situazione è sensibilmente migliorata soprattutto riguardo ai pagamenti da parte degli enti pubblici: rispondono alle nostre pressioni più insistenti». Remo Monreale