SOMMARIO
EDITORIALI Giorgio Calabrese, Silvio Garattini, Gianfranco Prada, Raffaele Costa.......................... pag. 13 ONCOLOGIA Umberto Veronesi, Carmelo Iacono..................... pag. 20 SPESA FARMACEUTICA Annarosa Racca, Eugenia Roccella, Aifa............... pag. 34 BIOTECNOLOGIE Sergio Dompé...................................................... pag. 42 SANITÀ LOMBARDA Luciano Bresciani, Renato Botti........................... pag. 44 ORGANIZZAZIONE SANITARIA Sante Tura, Ferruccio Fazio, Stefano Zingoni Francesco De Lorenzo, Franco Pannuti................ pag. 49 MALATTIE RARE Mariella Bocciardo............................................... pag. 62 CHIRURGIA ROBOTICA Vito Pansadoro..................................................... pag. 66
TRICOLOGIA ED ESTETICA Marina Cerri ....................................................... pag. 90 RINOPLASTICA Renato Zacheddu, Angelo Trivisonno................... pag. 92 LO SPECIALISTA RISPONDE Gaetano Calesini.................................................. pag. 96 EPIGENETICA Barry M. Lester................................................... pag. 102 PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI Antonio Colombo, Carlo Di Mario..................... pag. 106 FIBROSI CISTICA Alessandra Polissi, Matteo Marzotto..................... pag. 112 PATOLOGIE TUMORALI Francesco Schittulli.............................................. pag. 118 BRONCOPNEUMOPATIA Filiberto Dalmasso.............................................. pag. 120 CURARE LA DISFAGIA Barbara Ramella.......,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,....... pag. 122
TROMBOSI Anna Falanga, Giovanni de Gaetano.................... pag. 70
CHIRURGIA UROLOGICA Ugo Ferrando.........,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,..... pag. 124
ONCOLOGIA SPERIMENTALE Maria Rescigno.................................................... pag. 77
DISFUNZIONI RENALI Simonetta Vastano............................................... pag. 128
TERAPIA DEL DOLORE Maria Adele Giamberardino................................. pag. 78
PSICOTERAPIA Maria Luisa Monticelli.......................................... pag. 130 SALUTE PSICO-EMOZIONALE Gabriella Niort.................................................... pag. 132
PROTESI MAMMARIE Marco Klinger...................................................... pag. 84 CHIRURGIA DELLA MANO Giorgio Rafanelli.................................................. pag. 86
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI Tecnologia Pet-Ct e Spect Prevenire i tumori................................................ pag. 136
MEDICINA ESTETICA Anadela Serra Visconti......................................... pag. 88
PRESIDI MEDICO CHIRURGICI Massimo Riem.................................................... pag. 140
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SOMMARIO
MEDICINA DEL LAVORO Roberto Grillo..................................................... pag. 142
MALATTIE PARODONTALI Francesco Battisti................................................. pag. 166
MEDICINA LEGALE Stefano Zilia........................................................ pag. 144
PATOLOGIE STOMATOGNATICHE Carlo Pizzamiglio................................................ pag. 168
PROTESI E COMPLICAZIONI Mario Mazza....................................................... pag. 146
PATOLOGIE DEL CAVO ORALE Stefano Roveglia.................................................. pag. 170
PROTESI AL GINOCCHIO Roberto Ventura.................................................. pag. 148
ORTODONZIA Monica Prampolini.............................................. pag. 172
TECNICHE FISIOTERAPICHE Oriano Casamenti............................................... pag. 150
MALFORMAZIONI CONGENITE Maria Costanza Meazzini..................................... pag. 174
IL LASER CONTRO L’ERNIA Filippo Albertini.................................................. pag. 152
IMPLANTOLOGIA Luigi Borreo, Fabio Linda de Walderstei.................................... pag. 178
CHIRURGIA DEL FORO MACULARE Vincenzo Petitti................................................... pag. 154 CHIRURGIA MININVASIVA Stefano Zenoni................................................... pag. 156 CHIRURGIA RIFRATTIVA Andrea Ascari...................................................... pag. 158
RIALZO DEL SENO MASCELLARE Michele Solaro..................................................... pag. 182 ODONTOIATRIA Valter Gallo, Gianluca Cicardi, Paolo Caccioli Rosario Marangolo.............................................. pag. 184
DIAGNOSTICA OFTALMOLOGICA Patrizia Catellino................................................. pag. 160 OFTALMOLOGIA Carlo Orione...................................................... pag. 162 CHIRURGIA PARODONTALE Aldo Casti........................................................... pag. 164
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Le buone regole per l’alimentazione dei più piccoli di Giorgio Calabrese Dietologo e nutrizionista
n tempo le malattie del cuore, il diabete, la pressione alta arrivavano solo a una certa età, ora invece interessano anche i più giovani. Se ad esempio si fa un dosaggio di colesterolo nel sangue e trigliceridi a un ragazzino di sei o sette anni, si trovano spesso dei valori molto alti. Ciò deriva dal fatto che si preferiscono panini, salumi, insaccati, formaggi, uova e condimenti grassi come il burro a frutta e verdura. La logica di fondo è che se noi facciamo una dieta errata, abbiamo la certezza di ammalarci prima in fase acuta con mal di stomaco, gastrite, colecistite e quant’altro e dopo un po’ di anni avremo malattie più croniche. Tutto questo nasce da un’errata condizione alimentare che è la base delle malattie. Un bambino per sua norma mangia pochissima frutta e verdura, non ama i legumi, gradisce i cereali legati al cioccolato, non il cereale semplice; alcuni mangiano molta pasta. Questo quadro dimostra come, in certi casi, ci sia una carenza di ortaggi e legumi e, in altri, un eccesso di carboidrati. Inoltre, il bambino, occupato davanti alla playstation o al computer, si muove poco, e questo determina un eccesso di sostanze ricche di grassi e si arriva prima al sovrappeso e poi all’obesità. Il valore nutrizionale nasce da una regola banale: ogni giorno bisogna cambiare almeno due dei cinque o sei alimenti che si mangiano di solito, il che significa essere onnivori. Fare la dieta funziona, ma farla diversificata funziona molto di più e
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muoversi aiuta tantissimo. I metodi di cottura da utilizzare perché il bambino stia meglio sono la cottura al forno, alla griglia, oppure si può optare per cibi lessati o crudi, evitando di friggere. Se invece questo discorso non viene atteso si diventa obesi perché aumenta l’insulina che risente molto delle tecniche di cucina sbagliate. Sono cinque i pasti che i minori dovrebbe assumere durante la giornata: una colazione, un pranzo, una cena e due break, nella mattinata e nel pomeriggio. Questi ultimi due devono essere molto leggeri, il 10% delle calorie totali, il 15% a colazione, il 35% a pranzo e il restante a cena. Infine, sì ai ristoratori che vogliono fare un menù dietetico pediatrico, specifico per i bambini, ma che non preveda solo la milanese e le patate fritte perché così risparmia solo il ristoratore, ma il bambino si ammala lo stesso.
EDITORIALE
Una vita per la ricerca di Silvio Garattini Fondatore e direttore dell’Istituto Mario Negri
Istituto Mario Negri è stato uno dei pionieri nell’aprire la strada della ricerca sulle malattie rare e sui farmaci orfani, sia a livello nazionale che a livello europeo. La struttura è dotata di un centro in cui operano professionisti specializzati, che forniscono gratuitamente spiegazioni a medici o pazienti che vogliono informazioni su una determinata malattia e sui centri che hanno più esperienza in Italia o all’estero sulle malattie rare. Effettuiamo ricerca sperimentale nei laboratori di ricerca a Ranica, vicino Bergamo, nel Centro per le malattie rare “Aldo e Cele Daccò”. A Bergamo l’attività di laboratorio si articola nel campo delle malattie rare renali e cardiovascolari; a Milano, invece, sulle malattie del sistema nervoso centrale e nel campo dei tumori. L’Istituto collabora con le associazioni dei malati, cercando di metterli in contatto tra loro. Questo è importante perché nessuno meglio dei parenti del malato conosce la malattia. Per quanto concerne la ricerca, risultati importanti si possono individuare nel campo della sindrome emolitico-uremica e la porpora trombotica trombocitopenica, che fanno parte delle malattie chiamate microangiopatie trombotiche. Abbiamo provato che il farmaco Tuximab si è dimostrato efficace nei pazienti affetti dalla porpora trombotica trombocitopenica. Abbiamo studiato le mutazioni genetiche utili per spiegare queste patologie e abbiamo scoperto le condizioni in cui si
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può definire la prognosi. Oltre agli studi appena citati, stiamo lavorando anche per migliorare il trapianto renale e diminuire le possibilità di rigetto, migliorando la tolleranza. Per quanto riguarda invece il campo delle malattie del sistema nervoso centrale abbiamo in corso uno studio clinico a livello europeo che consiste nell’utilizzo di una tetraciclina per le malattie da prioni, quindi le malattie della “mucca pazza”. Abbiamo studiato molti prodotti che riguardano la sclerosi laterale amiotrofica e qui abbiamo in corso oltre a studi sperimentali anche studi a livello clinico testando nuovi farmaci nella speranza di avere risultati positivi. Nel campo dei tumori rari abbiamo messo a punto un farmaco, estratto da un organismo marino che si chiama trabectedina, attivo in tumori e sarcomi rari. Infine, stiamo studiando una forma rara di leucemia, chiamata “leucemia promielocitica” per cui abbiamo sviluppato dei nuovi farmaci.
EDITORIALE
Rapporto fiduciario e cultura della prevenzione di Gianfranco Prada Presidente nazionale dell’Andi
l modello fino a oggi vincente dello studio monoprofessionale va guidato verso un’evoluzione, imposta della crescente crisi economica e di valori che costringe il ceto medio, sempre più impoverito, a rivolgersi a realtà professionali diverse come le strutture più grandi, i franchising e il turismo odontoiatrico, dimenticando l’importanza della cultura della prevenzione odontoiatrica e del rapporto fiduciario col proprio dentista. In questo quadro, le istituzioni politiche dovranno dimostrare una maggior attenzione all’odontoiatria. Il Sistema sanitario nazionale copre meno del 10% delle prestazioni odontoiatriche effettuate in Italia e, visto il costo dell’odontoiatria, sempre più cittadini non potranno essere lasciati soli. I fondi sanitari integrativi voluti da entrambi gli schieramenti politici - che preoccupano molti odontoiatri per la possibile ingerenza nella professione - possono costituire solo una minima e parziale risposta al problema. Sarà quindi necessaria un’azione sinergica da parte di tutte le componenti del settore dentale: produttori di macchinari e attrezzature, distributori, operatori sanitari e odontotecnici per sensibilizzare il paziente sull’importanza della prevenzione e della cura odontoiatrica e per contenere al massimo i costi, purché ciò non vada a scapito della qualità delle prestazioni. Su richiesta del ministero della Salute, la nostra associazione ha sottoscritto un accordo per l’odontoiatria sociale. Scopo
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dell’iniziativa è quello di consentire l’accesso agli studi odontoiatrici privati a quelle fasce di popolazione, con reddito ridotto, che attualmente non riescono, principalmente per motivi economici e per le carenze dell’offerta pubblica, a ottenere le cure odontoiatriche necessarie. L’Andi, con senso di responsabilità, ha deciso di aderire a quanto proposto dal Ministero, consapevole del fatto che lo stesso sia un progetto con una precisa connotazione sociale e che consentirà all’intero settore dentale di presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica, ma anche delle istituzioni, sotto una luce diversa da quelle dei soliti stereotipi e luoghi comuni. Infine, la ricerca. In campo scentifico, la prospettiva più importante per il futuro è quella legata all’utilizzo delle cellule staminali, ma si tratta ancora di una fase di ricerca che non è applicabile alle attuali terapie.
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EDITORIALE
Come comprendere i segnali di possibili malattie di Raffaele Costa
el corso della campagna elettorale per le regionali si è dato, giustamente, non poco spazio ai problemi della Sanità: ciò soprattutto perché la gestione della stessa è principalmente affidata alle Regioni. Ci sono state forti polemiche a proposito di ciò che è stato omesso. Si è tenuto conto di tante materie legate alla medicina: a comportamenti corretti, e talvolta non, da parte di amministratori ma anche di medici e di altri professionisti. Sono stati esaminati criteri idonei a far sì che il comportamento sanitario continui a sviluppare una sua azione efficace ai diversi livelli. Vi è stato, in non pochi casi, un approfondimento relativo alle attività ospedaliere ma anche, e forse soprattutto, alla medicina sul territorio. L’esperienza ha fatto scuola e così le regole che costituiscono uno dei criteri fondamentali per l’applicazione corretta e utile della scienza. Un tema sul quale è mancata l’attenzione, è quello, a mio giudizio fondamentale, dell’informazione, della preparazione e della cultura in materia sanitaria da parte del cittadino, paziente o meno, soprattutto se giovane. La preparazione volta a consentire una conoscenza di se stessi nonché delle possibili cadute ovvero degenerazioni è da considerarsi se non fondamentale almeno molto utile. Il primo “medico” di se stesso è rappresentato proprio da se stesso. Ci sono informazioni correnti possedute da tante persone, ma vi sono anche terreni fragili, aspetti semplicistici, informazioni generiche e talvolta infondate e non facilmente comprensibili che non contribuiscono, come potrebbe e dovrebbe essere, a favorire la difesa del soggetto nonché la sua tutela sanitaria, preventiva e non, nei confronti di malattie gravi o non gravi. L’infor-
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mazione sanitaria è affidata, semplicemente o quasi esclusivamente, a sanitari illustri, docenti universitari, talvolta di scienziati, ma molto spesso a operatori idonei a funzioni prevalentemente giornalistiche, capaci di illustrare malattie e cure in modo soltanto in qualche caso idoneo e informativo con funzioni di prevenzione. Mi permetto di suggerire una risposta a quanti, cittadini sani o ammalati, avrebbero bisogno di prevedere, in qualche modo, l’ipotesi di un aggravamento di sintomi di per sé non idonei a dare indicazioni circa il possibile sviluppo di una malattia. Ovviamente la materia dell’informazione (o, meglio, della preparazione) viene affrontata in maniera adeguata nell’ambito universitario, per quanto riguarda i corsi normali o specialisti, ma ciò non avviene neppure minimamente per quanto riguarda la scuola in generale dalle medie alle superiori: ed è proprio lì che si potrà intervenire costruttivamente con notizie, informazioni, descrizioni di esperienze approfondite, segnalazioni, ricerche. L’argomento non può ovviamente essere affrontato in modo semplicistico, come potrebbe essere inteso da questo mio suggerimento. Lo stesso va approfondito in maniera adeguata e capace di far sì che i soggetti interessati possano, in qualche misura, affrontare tempestivamente (e quanto più possibile preparati) i pericoli e le prospettive di una cattiva salute. Dalle informazioni alla preparazione può esservi un terreno utile a evitare di correre pericoli attraverso segnali precoci, comprensibili più agevolmente da chi ha una preparazione (anche solo scolastica) e da approfondire tramite medici e strumenti idonei volti ad accertare l’esistenza e i possibili sviluppi di una malattia.
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Umberto Veronesi • ONCOLOGIA
DIAGNOSTICA E DNA LE ARMI ANTI TUMORE di Francesca Druidi
NEI PROSSIMI ANNI PER RIDURRE LA MORTALITÀ BISOGNERÀ SOPRATTUTTO ANTICIPARE LA DIAGNOSI. RICORRENDO SEMPRE PIÙ ALLO STUDIO DEL DNA. LO SOTTOLINEA L’ONCOLOGO UMBERTO VERONESI
a mortalità per cancro ha iniziato a diminuire negli anni 90 grazie alla prevenzione e alla diagnosi precoce. Un trend che sta continuando dal 2000, come dimostrano in modo pressoché concorde tutte le statistiche mondiali. Per questo, l’anticipazione diagnostica è stata la parola d’ordine lanciata il 7 giugno scorso all’edizione 2010 dello Ieo Day, l’appuntamento annuale promosso dall’Istituto europeo di oncologia che aggiorna le nuove prospettive sulla cura dei tumori. «Sono convinto – dichiara il direttore scientifico dello Ieo, Umberto Veronesi – che per il tumore del seno siamo vicini a un traguardo di mortalità zero. Questo grazie all’anticipazione diagnostica: abbiamo calcolato che a ogni millimetro in meno di diametro del tumore corrisponde un aumento della possibilità di guarigione dell’1%».
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Quali sono i progressi più significativi che stanno modificando il concetto di cura del cancro? «Le evoluzioni ottenute nella cura del cancro sono state determinate da due fondamentali rivoluzioni, che hanno cambiato il volto di tutta la medicina. Innanzitutto, la diagnostica per immagini, che ci ha condotto a esplorare virtualmente e con estrema precisione ogni millimetro del nostro corpo per visualizzare le lesioni microscopiche che, solo pochi anni fa, neppure immaginavamo esistessero. Intervenire su queste forme iniziali o addirittura precancerose, consentendo interventi sempre più mirati e meno invasivi, equivale a guarire la malattia nella grande maggioranza dei casi. L’ultima frontiera è oggi costituita dall’imaging molecolare o biomolecolare, la tec-
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nologia radiologica che permette di “vedere” l’attività delle singole cellule e addirittura dei loro geni, e dunque di studiare non solo la morfologia ma anche le funzioni o disfunzioni di un organo o di un tessuto del nostro corpo e la sua reazione a farmaci o radiazioni. L’imaging molecolare consente, infatti, di valutare la risposta alla terapia, farmacologica o radiante, e quindi di sapere se una cura serve veramente per quel tipo di tumore, evitando trattamenti inutili». La seconda rivoluzione, invece? «È quella derivata dallo studio del Dna. La conoscenza genomica ci sta infatti permettendo di capire meglio a livello molecolare la malattia. Grazie a queste informazioni, stiamo ottenendo una conoscenza sempre più approfondita del singolo tumore che, in molti casi, già oggi ci consente di utilizzare al meglio l’arsenale terapeutico contro le sue unicità e specificità nel singolo organismo. Attraverso il perfezionamento della conoscenza del profilo genetico individuale possiamo anche definire in modo più preciso la popolazione a rischio e dare un nuovo impulso alla farmacoprevenzione. Parallelamente alla possibilità di anticipare la diagnosi, si sta affermando anche una chirurgia sempre meno invasiva e in grado di guarire di più, intervenendo a stadi iniziali e con grande precisione. Questo in particolare grazie ai recenti sviluppi della chirurgia robotica, che riduce il peso sia fisico che psicologico degli interventi, consentendo il trattamento mini invasivo di alcuni tumori urologici, ginecologici, gastrointestinali e polmonari. Allo stesso modo, si sono sviluppate una radioterapia sempre più
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ONCOLOGIA • Umberto Veronesi
discutere con la paziente».
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mirata e con nuove particelle, come gli adroni, capaci di curare tumori situati in profondità, e tecniche di medicina nucleare per portare isotopi radioattivi direttamente sull’area malata». Lo studio condotto dallo Ieo sui tumori al seno di diametro inferiore al centimetro ha individuato il collegamento tra l’insorgere di recidive e la presenza del recettore Her2. Cosa cambia con questa ricerca? «I risultati dello studio, che dimostrano come il rischio di recidiva locale sia superiore se sulla membrana delle cellule tumorali è presente il recettore Her2, forniscono due informazioni fondamentali: la sopravvivenza non cambia sostanzialmente tra chi ha e chi non ha Her2 espresso. Le donne che hanno Her2 espresso mostrano, invece, un rischio maggiore di recidiva locale, un evento comunque curabile. Per loro, infatti, la ricerca ha messo recentemente a disposizione un farmaco intelligente, l’Herceptin, in grado di dimezzare il rischio di recidiva. Questo farmaco era riservato finora ai casi di tumore superiori al centimetro. Si tratta ora di scegliere fra due strade: o si somministra l’Herceptin in tutti i casi di tumore Her2 positivo e superiore ai 5 mm, una soluzione proposta dagli americani dell’istituto MD Anderson Cancer Center che ha realizzato uno studio analogo a quello dello Ieo, oppure si decide caso per caso, in base alla situazione di ogni paziente e traendo un bilancio fra rischio e beneficio individuale, che è la strategia per cui propendiamo noi italiani. Abbiamo comunque un’opzione terapeutica in più da offrire e
La vaccinazione contro il papillomavirus (Hpv) rappresenta una svolta nella lotta ai tumori. Qual è la sua efficacia allo stato attuale? «Si tratta di una grandissima innovazione nella prevenzione dei tumori, anche se la verifica dei suoi effetti su larga scala richiede almeno il tempo di una generazione. Tutti i dati e l’esperienza clinica ci inducono però a pensare che il vaccino contro l’Hpv sia veramente una rivoluzione che permetterà in futuro di ridurre al minimo il tumore del collo dell’utero. L’età a rischio per contrarre il virus dell’Hpv si colloca all’inizio dell’attività sessuale e, sulla base delle stime, raggiunge il suo picco tra i 20 e i 30 anni, dopodiché diminuisce. Il massimo del beneficio del vaccino, che protegge dal tumore in una percentuale valutata intorno all’80%,
Tutti i dati e l’esperienza clinica ci inducono a pensare che il vaccino contro il papillomavirus sia veramente una rivoluzione che permetterà in futuro di ridurre il tumore del collo dell’utero
A destra, un momento della vaccinazione contro il papillomavirus
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Umberto Veronesi • ONCOLOGIA
Le nuove frontiere della diagnostica di Umberto Veronesi
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a mortalità per cancro ha iniziato a diminuire negli anni Novanta grazie alla prevenzione e alla diagnosi precoce e il trend sta continuando negli anni Duemila, come dimostrano tutte le statistiche mondiali. Con l’anticipazione diagnostica otteniamo un doppio risultato: salviamo più vite e offriamo una migliore qualità di vita durante la malattia. Per questo nei prossimi anni per ridurre la mortalità per cancro bisognerà soprattutto anticipare la diagnosi. Oggi le nuove tecnologie ci permettono di decodificare molti più dati, che ci forniscono informazioni sempre più “anticipate” sullo stato di salute della persona. Sono in grado, infatti, di rilevare le modifiche indotte dall’inizio della proliferazione tumorale, quando le cellule cominciano a dividersi in modo anarchico modificando la struttura normale del tessuto, e di individuare dunque i tumori prima che diventino una “massa”, seppure piccolissima. Per esempio, all’Istituto Europeo di Oncologia stiamo speriSopra, un’immagine di Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0 di Venter mentando apparecchi di Risonanza magnetica di ultima generaottenuta mediante microscopio elettronico a trasmissione (ph: Tom zione, che permettono di produrre immagini di tutto il corpo in Deerinck e Mark Ellisman del National Center for Microscopy and Imaging Research) circa 15-20 minuti, per verificare l’accuratezza di uno screening per l’anticipazione diagnostica dei tumori. Questa tecnologia è affiancata poi dall’Analisi di diffusione, una tecnica che, senza bisoquindi pressoché totale, è dunque per gno di radiazioni ionizzanti né di mezzi di contrasto, consente di vedere le giovani che non hanno ancora avuto l”affastellamento” cellulare che può precedere il formarsi di una massa rapporti e di conseguenza non sono vera e propria. state esposte al rischio di contagio. Inoltre, grazie a un nuovo uso dei raggi X, anch’esso in sperimentazione all’Istituto, sembra possibile ottenere nella pratica clinica l’analisi della Ecco perché il ministero ha disposto trama del tessuto, basata sulla misura della densità di volumi piccolissimi, che il vaccino possa essere distribuito inferiori al millimetro. Per esempio, nella colonscopia virtuale, è possialle ragazze fino ai 26 anni. Se è vero bile vedere il tipo di tessuto che compone un piccolo rilievo della mucosa, che nelle donne che hanno già avuto per capire immediatamente qual è la sua natura. rapporti l’efficacia del vaccino è miAnche la diagnostica con ultrasuoni sembra offrire nuove possibilità. In nore, non esiste tuttavia alcuna conparticolare, stiamo sperimentando l’analisi spettrale ottenuta con l’ecotroindicazione assoluta. Inoltre, la grafia per studiare l’architettura dei tessuti: si tratta di scomporre l’eco vaccinazione Hpv permette di preveriflesso dai tessuti in modo da rilevare immediatamente le strutture che nire la comparsa di tumori o anche non sono “rotonde”, ma che iniziano a presentare irregolarità sulla susolo di Pap-test falsamente positivi in perficie. Le ricerche si concentrano su quegli organi che sono meglio inuna grossa percentuale di donne, laddagabili con l’ecografia, come la mammella, l’ovaio e la tiroide. dove né il Pap test né l’Hpv test posVedere le sedi di malattia prima e più in dettaglio ci permette di utilizzare le immagini non solo come diagnosi, ma anche come guida a tesono garantire l’assoluta certezza». rapie più mirate ed efficaci. Oggi, anzi, possiamo utilizzare la diagnosi insieme al trattamento, vale a dire usare l’imaging non solo per vedere, ma Sono previsti effetti collaterali di anche per curare, utilizzando metodiche estremamente precise, meno rilievo per questo vaccino? invasive e quindi più rispettose della qualità di vita del malato, a parità «No, i dati finora raccolti depongono di efficacia con le tecniche tradizionali. Ne è un esempio la nuova tecper un’estrema sicurezza del vaccino; nologia Hifu, un tipo di terapia imaging-guidata che utilizza onde acunel mondo si è arrivati a circa 40 mistiche, proprio come quelle sonore, ad altissima frequenza (gli ultralioni di dosi effettuate. L’unica limitasuoni), convogliandole in un’area precisa, in modo che quando zione al suo utilizzo è l’età, oltre alla raggiungono il bersaglio si trasformano naturalmente in calore, che a sua gravidanza o l’allergia alle sue compovolta determina la distruzione del tessuto malato. Allo Ieo stiamo ricernenti. Se sull’efficacia della vaccinacando le possibili applicazioni per il trattamento dei tumori in fase iniziale zione in sé non ci sono dubbi, ciò che (piccole dimensioni) di alcuni organi visualizzabili con l’ecografia, come quello del fegato, della mammella, del rene e del pancreas. non si conosce ancora bene, perché
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ONCOLOGIA • Umberto Veronesi
La diagnostica per immagini ci ha condotto a esplorare virtualmente e con estrema precisione ogni millimetro del nostro corpo per visualizzare lesioni microscopiche che, solo pochi anni fa, neppure immaginavamo esistessero ¬
manca la necessaria esperienza vista la novità assoluta, è l’effetto a lungo termine, cioè se l’effetto protettivo di una vaccinazione eseguita nell’adolescenza può protrarsi fino a 30-40 anni o più. È possibile che si debbano fare dei richiami». Quali sono gli scenari più concreti aperti dal lavoro di Venter sulla vita artificiale? «Senza dubbio il Dna sintetico creato da Venter rappresenta una grande conquista per l’intelletto umano, tuttavia nel concreto gli effetti non saranno né immediati né rivoluzionari. Il perché ce lo spiega la scienza stessa, che ci ha svelato che il Dna è all’origine della vita, ogni forma di vita, ma da solo è impotente. Per questo il cromosoma sintetico di Venter è inserito in una cellula vivente. Ma il trasferimento di Dna da un organismo all’altro non è una novità. Oggi già trasferiamo geni da un organismo all’altro, scomponiamo e rimettiamo insieme frammenti di Dna e già possiamo ottenere nuove sostanze e organismi, farmaci e vaccini. Nella nuova
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impresa di Venter, la particolarità è che è stato tolto il Dna originario di una cellula per metterne uno costruito in laboratorio grazie all’applicazione dei sistemi informatici. La grande implicazione immediata sarà quindi un’esplosione della ricerca sul Dna in grado di ampliarne enormemente le sue possibilità. I primi nuovi risultati si vedranno probabilmente sull’ambiente. Per esempio, si può immaginare la costruzione in laboratorio di un organismo in grado di “ripulire” l’oceano dal petrolio, come è stato prospettato. Il grande tema della vita artificiale è, oltre che scientifico, soprattutto filosofico e ideologico: stiamo parlando, per la prima volta nella storia, della possibilità di costruire la vita umana e questo ci impone di meditare sui nostri valori e di riflettere su come l’umanità può utilizzare i risultati della scienza a suo pieno vantaggio. La scienza avanza velocemente e la cultura resta indietro. La prima cosa da fare è dunque combattere la mistificazione e l’ignoranza che crea false paure e false euforie».
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ONCOLOGIA • Congresso Aiom
LA SVOLTA DEL BIOMOLECOLARE di Michela Evangelisti L’ONCOLOGIA È A UN PASSAGGIO CRUCIALE. LA NUOVA ERA DELLA RICERCA IN CAMPO BIOMOLECOLARE RICHIEDE, COME MAI PRIMA, AGLI ONCOLOGI CAPACITÀ CRITICA E ABILITÀ NELLA SCELTA
ono tanti gli obiettivi di Aiom, l’associazione italiana oncologia medica: promuovere il progresso nel campo clinico, sperimentale e socio-assistenziale, favorire i rapporti tra gli oncologi medici, i medici di medicina generale e gli specialisti di altre discipline, stabilire relazioni scientifiche, collaborazioni con analoghe associazioni italiane ed estere e con organismi istituzionali, garantire la qualità delle cure oncologiche e la continuità terapeutica al paziente oncologico (mediante linee guida elaborate anche in collaborazione con l’Agenzia per i servizi sanitari regionali e con la Federazione delle società medico-scientifiche italiane) e infine sostenere campagne di educazione e prevenzione rivolte alla popolazione. Tra le forme utilizzate da Aiom per promuovere il progresso in campo oncologico anche manifestazioni di alto profilo scientifico, come il congresso nazionale che si terrà tra pochi giorni a Roma. Come spiega nel suo invito all’evento il presidente Aiom, Carmelo Iacono, il convegno sarà occasione per favorire il confronto tra diverse opinioni e nuove tendenze nel campo
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Sopra, i professori Bajetta, Monfardini e Labianca a una precedente edizione del congresso nazionale Aiom
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Congresso Aiom • ONCOLOGIA
dell'oncologia medica, fondamentale soprattutto in un momento delicato come questo, in cui l’oncologia è a un passaggio cruciale. La nuova era dell'oncologia è infatti caratterizzata dalla ricerca in campo biomolecolare; i nuovi farmaci a bersaglio molecolare disponibili nella farmacopea stanno portando a una revisione di schemi classificativi che si basano su fattori prognostici e predittivi di risposta, e tale svolta comporta il sommarsi di nuove conoscenze e di acquisizioni scientifiche che richiedono all'oncologo capacità critica e abilità nella scelta di strategie terapeutiche personalizzate, che tengano conto della stretta connessione degli aspetti clinico-scientifici con quelli etico-umanitari e con quelli gestionali. Il comitato scientifico sta approntando un ricco e completo programma, che comprenderà tutti i temi più rilevanti e più at-
Il convegno prevede anche il dialogo con le altre discipline scientifiche, le istituzioni, i pazienti, il volontariato e i media tuali dell'oncologia medica. Come nella tradizione Aiom, il convegno prevede anche la possibilità di incontro e dialogo con le altre discipline scientifiche, le istituzioni, il mondo dei pazienti e del volontariato e i media. Ampio spazio nel programma del convegno sarà dedicato ad alcuni tumori purtroppo molto diffusi sul territorio nazionale, il tumore alla mammella, quello al polmone e il melanoma. In Italia circa 40mila donne ogni anno sono colpite dal tumore della mammella, che risulta così il secondo carcinoma più diffuso e ancora, purtroppo, il primo per mortalità nel sesso femminile sotto i 55 anni. L’avvento delle terapie target, unito alla diffusione degli screening e al miglioramento delle tecnologie per la diagnosi, ha modificato in questi anni lo scenario della lotta alla patologia. Tra i protagonisti del cambiamento gli anticorpi monoclonali, farmaci innovativi che hanno la capacità di colpire con precisione le cel-
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lule malate, senza danneggiare quelle sane. «Oggi assistiamo a un’ulteriore rivoluzione con i cosiddetti anticorpi armati – spiega il professor Luca Gianni –, di cui T-DM1 rappresenta il capostipite. Nel T-DM1 il DM1, impossibile da somministrare da solo per i gravissimi effetti collaterali, si fa portare all’obiettivo del tumore dal trastuzumab senza quasi lasciare traccia sui tessuti sani». L’incidenza invece del melanoma è cresciuta a un ritmo superiore a qualsiasi altro tipo di tumore, ad eccezione di quello al polmone nelle donne, con un aumento di 10 volte nell’ultimo mezzo secolo e un incremento annuo del 6% dagli anni Settanta. Il cancro del polmone rappresenta il 20% di tutti i tumori maligni e la prima causa di morte oncologica negli uomini, la seconda nelle pazienti di sesso femminile, e il numero di decessi supera la somma di quelli di mammella, colon e cervice. «Il fumo di sigaretta è responsabile dell’87% dei casi – spiega il professor Marco Venturini –. Un maschio che fuma ha 23 volte più probabilità di ammalarsi, mentre per le donne il pericolo è 13 volte maggiore. Ma il messaggio che dobbiamo trasmettere è che non è mai troppo tardi per smettere: se un tabagista smette di fumare, dopo 10-15 anni le possibilità che si ammali sono identiche a quelle di una persona che non ha mai fumato. La prevenzione è centrale anche per i tumori della pelle: se il ruolo del sole è controverso, non vi sono invece più dubbi sugli effetti dannosi delle lampade solari. Abbiamo volutamente accostato queste apparecchiature al fumo, per sottolinearne il pericolo».
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ONCOLOGIA • Carmelo Iacono
CONTRO IL TUMORE PREVENZIONE E RICERCA di Michela Evangelisti DIAGNOSI PRECOCE, TERAPIE A BERSAGLIO MOLECOLARE E NUOVE APPARECCHIATURE RADIOTERAPICHE. CARMELO IACONO, PRESIDENTE AIOM, SPIEGA COME SI AFFRONTA IL CANCRO OGGI
n Italia, negli ultimi trent'anni, il numero di nuovi casi di tumore è andato progressivamente aumentando. Dallo studio dei dati emerge che questo forte incremento è dovuto principalmente all'invecchiamento della popolazione piuttosto che all'aumento del rischio di ammalarsi. L’Italia per l’insieme dei tumori maligni presenta valori di sopravvivenza simili a quelli medi in Europa, mentre vanta esiti migliori della media europea per il tumore della mammella, della laringe e dello stomaco. Complessivamente si sono verificati consistenti miglioramenti nella prognosi per tumore durante gli scorsi decenni, anche grazie alla pratica dello screening, che consiste nel testare persone sane che non hanno manifestato sintomi riguardo determinate malattie.
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Carmelo Iacono, presidente Aiom
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Carmelo Iacono • ONCOLOGIA
Lo studio della cellula neoplastica e delle sue alterazioni biomolecolari rappresenta la nuova frontiera della ricerca Lo screening permette di individuare i tumori a uno stadio precoce, prima che diventino invasivi, per questo il professor Iacono ne sottolinea l’importanza. In Italia tra i tumori più frequenti ci sono quello al colon-retto, alla mammella e al polmone. Quali passi avanti sono stati fatti e quale evoluzione prevede per queste tipologie di tumore? «Per queste tipologie di tumore l’arma più efficace è sempre rappresentata dalla diagnosi precoce, pertanto l’adesione ai programmi di screening costituisce una priorità del nostro sistema sanitario. La ricerca ha fatto passi da gigante e per tutti e tre i tipi di tumore sono state individuate delle alterazioni biomolecolari, delle particolari mutazioni genetiche o espressione di recettori di membrana che hanno consentito terapie mirate e indirizzate al bersaglio, con incremento di sopravvivenza raddoppiato o addirittura triplicato in pazienti diagnosticati in fase anche avanzata». La nuova era dell’oncologia è caratterizzata dalla ricerca in campo biomolecolare. Quali obiettivi si prefigge? «L’obiettivo della terapia a bersaglio molecolare è
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quello di andare a correggere l’errore a livello del Dna o della cascata enzimatica che porta alla duplicazione cellulare che la cellula neoplastica ha compiuto e che la rende immortale. Oggi siamo in grado, con degli esami di biologia molecolare, di individuare e caratterizzare questi errori e quindi di poter scegliere il farmaco più adatto e più efficace per quel determinato tipo di tumore, possiamo dire la terapia più giusta per quel tumore e per quel paziente. Ciò ovviamente ha ricadute importanti sulla pratica clinica, in quanto non vengono trattati pazienti che non trarrebbero beneficio da quella determinata terapia mentre vengono selezionati i pazienti che trarranno sicuramente giovamento dal trattamento. Si tratta di un ovvio risparmio in termini di tossicità inutili per i pazienti non rispondenti e di un risparmio importante di risorse economiche, visto l’altissimo costo delle terapie biologiche». Quali sono le ultime frontiere nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore? «Le nuove frontiere nel campo delle cure palliative sono rappresentate dalla contestualizzazione assistenziale del paziente oncologico, che vede oggi l’attivazione delle cure palliative, sin dalla fase acuta, in parallelo alla cura specifica e attiva della malattia, e il concetto di continuità assistenziale che mette il paziente al centro del sistema in un percorso ben determinato con l’intervento di più specialisti. Il contesto organizzato in senso dipartimentale evita traumi di passaggio in cura da uno specialista a un altro. Nel campo del trattamento del dolore, l’uso sempre più diffuso degli analgesici maggiori oppiacei nelle varie forme farmaceutiche e l’attenzione del legislatore alla problematica dolore ha fatto sì che il paziente oncologico potesse ricevere trattamenti adeguati per un sintomo così importante e rilevante nella determinazione della sua qualità di vita». Nuove tecniche radioterapiche e radio metaboliche: che progressi stanno portando? «La radioterapia evolve parallelamente alla terapia medica. Nuove apparecchiature radioterapiche con radiazioni sempre più collimate e indirizzate al bersaglio reale, con maggiore rispetto dei tessuti sani circostanti, rappresentano
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ONCOLOGIA • Carmelo Iacono
modelli assistenziali adeguati, ma anche nei progetti formativi rivolti in particolar modo ai giovani oncologici. Un buon oncologo deve partecipare alla ricerca scientifica, deve conoscere ed essere aggiornato sui risultati della ricerca, deve saperne traslare i risultati nella pratica clinica, ma deve anche saper assistere e comunicare con il paziente in tutte le fasi della malattia».
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nuove possibilità nel trattamento dei tumori radiosensibili, molto spesso con l’associazione di farmaci chemioterapici o biologici in concomitanza al trattamento radiante o in sequenza temporale. I tumori della testa e del collo e i tumori del retto sono quelli più studiati in questo senso. La somministrazione di sostanze “caricate con particelle radioattive” che si vanno a localizzare in determinati siti del nostro corpo per affinità costituiscono la base della terapia radiometabolica, attualmente utilizzata in modo preminente per il trattamento del dolore da metastasi ossee». Si parla ultimamente della necessità di una visione più moderna e impegnata dell’oncologo medico, non solo coinvolto nella terapia farmacologia ma anche in problematiche come la tutela dell’ambiente, la prevenzione, il follow up dei pazienti guariti, la riabilitazione. Come si evolverà questa figura nel prossimo futuro? «Per la nostra società scientifica Aiom il clinico oncologo ha la responsabilità di essere il garante per il paziente oncologico della migliore diagnosi e del miglior trattamento. L’oncologia medica è una disciplina che copre a 360 gradi le necessità del paziente oncologico, dall’educazione sanitaria alla terminalità, nel rispetto della continuità di cura. Questo trova riscontro sia nella ricerca in campo oncologico, che vede allo studio anche
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Quali sono le prospettive di ricerca nel campo per i prossimi 10 anni? «Lo studio della cellula neoplastica e delle sue alterazioni biomolecolari rappresenta la nuova frontiera della ricerca. Probabilmente in un prossimo futuro potremo assemblare in laboratorio il giusto farmaco per ciascun paziente». Quali saranno le prossime campagne e iniziative promosse dalla fondazione Aiom? «L’Aiom è impegnata nella ricerca e in particolar modo la fondazione è stata creata e pensata per
L’arma più efficace è la diagnosi precoce> l’adesione ai programmi di screening è una priorità del nostro sistema sanitario promuovere la ricerca clinica indipendente. Oggi la ricerca è sponsorizzata quasi esclusivamente dalle aziende del farmaco; una ricerca clinica indipendente, a nostro avviso, rappresenta un’esigenza del sistema e un’esigenza molto sentita da noi oncologi. Altro aspetto importante è quello della collaborazione con le associazioni dei pazienti, nella comune ricerca di soddisfare le necessità cliniche e assistenziali di chi è affetto da una così grave patologia».
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SPESA FARMACEUTICA • Annarosa Racca
PIÙ TRASPARENZA SUI FARMACI EROGATI DAI PRESIDI PUBBLICI di Francesca Druidi DISTRIBUIRE MEDICINE INNOVATIVE IN FARMACIA PER UN MAGGIORE CONTROLLO DELLA SPESA. È LA PROPOSTA DI FEDERFARMA, PRESIEDUTA DA ANNAROSA RACCA
el 2009, ogni italiano ha speso circa 420 euro per acquistare farmaci. Rispetto al 2008 si tratta di un aumento di circa 10 euro, ma il dato più significativo emerge se si considerano gli ultimi dieci anni, durante i quali l’incremento della spesa ha raggiunto il 60 per cento. Il mercato farmaceutico totale, comprensivo sia della prescrizione territoriale sia di quella erogata attraverso le strutture pubbliche, si attesta a oltre 25 miliardi di euro, di cui il 75 per cento a carico del Servizio sanitario nazionale. A riportare numeri e tendenze è il rapporto Osmed 2009 (Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali), curato dall’Agenzia Italiana per il Farmaco e dall’Istituto Superiore di Sanità. In questo scenario, «il servizio farmaceutico italiano si conferma uno dei migliori, anche nel confronto con
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Sopra, Annarosa Racca, presidente di Federfarma
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gli altri Paesi», dichiara Annarosa Racca, presidente di Federfarma, la Federazione nazionale che rappresenta le oltre 16mila farmacie private convenzionate con il Ssn che «assicurano una dispensazione del farmaco altamente professionale, danno consigli e seguono il malato». In base al rapporto Osmed 2009, la spesa farmaceutica territoriale complessiva risulta in leggera crescita rispetto all’anno precedente (+1,4%), mentre quella a carico del Ssn diminuisce dell’1,7%. Da quali fattori dipende questo risultato? «In questi anni si sono registrate continue riduzioni di prezzo dei farmaci e continue misure di tagli ai margini delle farmacie, anche attraverso l’aumento delle trattenute che il Ssn impone alle farmacie quando rimborsa loro i medici-
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Annarosa Racca • SPESA FARMACEUTICA
VERSO LA FARMACIA DEL FUTURO: PREVISTE NUOVE PRESTAZIONI iamo a una svolta sul versante delle farmacie italiane. «La farmacia del futuro – spiega la presidente di Federfarma, Annarosa Racca – è la farmacia dei servizi individuati per rispondere appieno alle esigenze di salute espresse dai cittadini e dalla collettività, come previsto dalla legge 69/2009». Del resto, da tutte le indagini risulta che i cittadini apprezzano la possibilità di ottenere alcuni servizi. «Basti pensare alla prenotazione di analisi e visite specialistiche, in modo che il cittadino non debba fare la trottola tra le diverse strutture sanitarie». Tra gli altri servizi indicati da Annarosa Racca, le autoanalisi per lo screening di patologie diffuse o il coinvolgimento della farmacia nell’assistenza domiciliare, «che consente al malato di essere curato a casa grazie alla collaborazione di farmacista, medico e altri operatori sanitari che lavorano in sinergia. Tutte attività previste dalla legge e attualmente in fase di attuazione». Infine, come anticipa la presidente, Federfarma conta a breve di individuare, nell’ambito del rinnovo della Convenzione esistente tra farmacie e Servizio sanitario nazionale, le modalità per garantire a tutti i cittadini l’accesso ai nuovi servizi.
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nali forniti agli assistiti. L’aumento della spesa sostenuta dai cittadini dipende in buona parte dai farmaci acquistati direttamente, dall’incremento dei ticket, soprattutto nelle regioni che presentano un forte deficit e sono costrette ad adottare misure di contenimento della spesa, e dalle quote di partecipazione pagate dal cittadino che preferisce l’equivalente di marca più costoso al generico fornito gratuitamente dal Ssn». Quali misure individua per razionalizzare la spesa farmaceutica, in particolare quella prodotta dalle strutture sanitarie pubbliche? «L’importante in sanità è spendere bene, senza sprechi, e cu-
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rare i cittadini utilizzando le risorse disponibili nel modo migliore. Sapere in cosa si spende e quanto si spende. Questo è l’obiettivo a cui oggi tendono tutti gli economisti che si occupano di sanità. Non in tutti i settori si è raggiunta la stessa trasparenza. Per esempio, mentre spesa e consumi dei medicinali distribuiti dalle farmacie sono strettamente monitorati dall’istituzione sanitaria, grazie ai dati forniti dalle farmacie stesse, non altrettanto avviene in altri settori come la spesa farmaceutica ospedaliera, in costante crescita. La proposta di Federfarma è quella di riportare nelle farmacie la distribuzione delle medicine innovative, permettendo al cittadino che oggi si deve recare nella struttura
pubblica, in determinati giorni e a determinate ore, di prelevare direttamente il farmaco di cui ha bisogno in farmacia. Un sistema di distribuzione di questo tipo, oltre a evitare disagi ai cittadini, permetterebbe al Ssn di monitorare con puntualità e tempestività la spesa e i consumi di tutti i medicinali, con la stessa trasparenza esistente oggi per i farmaci distribuiti in farmacia». Un altro elemento importante sottolineato dal rapporto Osmed è la notevole variabilità dei consumi di farmaci tra le regioni. Lei cosa ne pensa? «Sicuramente la spesa farmaceutica è maggiormente elevata nelle zone d’Italia dove i servizi
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SPESA FARMACEUTICA • Annarosa Racca
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ospedalieri sono più carenti o dove, per tradizioni culturali, la famiglia preferisce tenere il più possibile a casa il malato. Inoltre, in alcune regioni, la percentuale di anziani è più elevata che in altre. E gli anziani sono i maggiori consumatori di farmaci: gli ultrasessantacinquenni, che costituiscono il 20% della popolazione, determinano quasi il 60 per cento della spesa per farmaci». Il trend individuato dal rapporto Osmed è la costante crescita dei consumi, soprattutto di farmaci che servono a curare patologie del sistema cardiovascolare. In questo contesto, quale dovrebbe essere il ruolo svolto dalle farmacie? «L’età media in Italia è aumentata molto negli ultimi anni e
continua a crescere ancora. Si vive più a lungo e in migliori condizioni, grazie a più salutari stili di vita, ma soprattutto grazie a cure più efficaci e ai farmaci di cui gli anziani possono disporre. I cardiovascolari sono tra i medicinali maggiormente necessari e questo spiega i consumi elevati. Inoltre, la farmacia è al centro della quotidianità degli anziani». In che misura è diventata un punto di riferimento importante per la loro salute? «Dall’indagine sul rapporto tra anziani e farmacia, promossa recentemente dal ministero della Salute, risulta che per gli over 65 la farmacia è un luogo familiare, che si frequenta assiduamente, anche più volte in una settimana, e con cui spesso si instaura un rapporto fidelizzato.
Spesa e consumi dei medicinali distribuiti dalle farmacie sono strettamente monitorati dall’istituzione sanitaria
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Alla farmacia gli anziani chiedono un ulteriore ampliamento del ruolo di presidio pubblico, vicino e accessibile, del Servizio sanitario sul territorio. Per gli anziani è, infatti, importante che in farmacia, oltre al farmaco e al consiglio sul suo utilizzo, si possa ottenere anche una prestazione di primo soccorso, controllare una ferita o un’ustione non grave o rinnovare una medicazione, ottenere un’indicazione accreditata nel caso in cui si abbia bisogno di fare una cura che prevede iniezioni e, infine, ottenere un consiglio esperto per scegliere e gestire l’accesso a un servizio sanitario o socio-assistenziale. La recente normativa che prevede nuovi servizi procede, infatti, nella direzione di una maggior soddisfazione delle esigenze degli utenti, soprattutto degli anziani, e di un coinvolgimento delle farmacie nel monitoraggio e nel controllo delle terapie croniche».
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Eugenia Roccella • SPESA FARMACEUTICA
RU486, MAI AL DI FUORI DELLA LEGGE 194 «SI INTERROMPE UNA GRAVIDANZA CON METODO FARMACOLOGICO SOLO IN REGIME DI RICOVERO». LO RICORDA IL SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE, EUGENIA ROCCELLA di Francesca Druidi
Sopra, Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute
ei prossimi giorni saranno resi noti i dati che le Regioni stanno trasmettendo al Ministero della Salute sui primi mesi di utilizzo della pillola abortiva Ru486 in Italia: un monitoraggio necessario per verificare se effettivamente la procedura abortiva farmacologica venga praticata nel rispetto della legge 194». Lo annuncia Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute. Il Ministero ha, infatti, emanato apposite linee di indirizzo sull’interruzione volontaria di gravidanza attra-
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verso il metodo farmacologico: una procedura medica basata sull’assunzione di almeno due principi attivi diversi, mifepristone e prostaglandine. «Perché la Ru486 sia usata conformemente alla normativa italiana – spiega Eugenia Roccella – è necessario che l’intera procedura abortiva avvenga in regime di ricovero ordinario: una condizione emersa con chiarezza da ben tre pareri espressi dal Consiglio Superiore di Sanità, massima autorità scientifica istituzionale in ambito medico». Come ricorda il sottosegretario, nel suo primo parere del 2004, il Css dichiarò che “i rischi connessi all’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti a quella chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero”. «Le complicazioni, che con la Ru486 risultano sicuramente maggiori di quelle di un aborto chirurgico, si affrontano meglio se si è ricoverati in ospedale con un medico vicino, anziché a casa, dove le donne devono tra l’altro valutare da sole la gravità dei sintomi». La
posizione del sottosegretario è chiara: «se nei fatti l’uso della pillola abortiva risultasse al di fuori della 194, mettendo a rischio anche la salute delle donne, il governo potrebbe riconsiderare l’autorizzazione alla sua commercializzazione, come abbiamo anche spiegato nell’agenda bioetica», il quadro di riferimento del governo in materia di bioetica, presentato il 5 agosto scorso e declinato in base a cinque grandi principi guida. All’orizzonte si staglia, inoltre, la questione legata a EllaOne, la cosiddetta “pillola dei cinque giorni dopo”, efficace entro cinque giorni da un rapporto non protetto, che nel 2009 ha ricevuto l’autorizzazione europea per l’immissione sul mercato. «Non è ancora concluso l’iter di autorizzazione al commercio presso l’Aifa, l’agenzia di Farmacovigilanza. Sarà comunque il Consiglio Superiore di Sanità a pronunciarsi sul carattere abortivo o meno del meccanismo di azione di questo farmaco. Dai contenuti di questo parere dipenderanno eventuali iniziative del Ministero al riguardo».
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SPESA FARMACEUTICA • Aifa
FANNO BENE I FARMACI EQUIVALENTI di Francesca Druidi SONO ANCORA DIVERSE LE CRITICITÀ CHE FRENANO UNA MAGGIORE DIFFUSIONE IN ITALIA DEI FARMACI EQUIVALENTI. INCIDONO DIFFIDENZA E POCA INFORMAZIONE. LO SPIEGA PAOLO SIVIERO DELL’AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO
Nella foto, Paolo Siviero, coordinatore dell’Area strategia e politiche del farmaco e direttore dell’Ufficio centro studi dell’Agenzia Italiana del Farmaco
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n base al Rapporto Osmed 2009 (Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali), curato dall’Agenzia Italiana per il Farmaco e dall’Istituto Superiore di Sanità, i farmaci equivalenti rappresentano quasi la metà del consumo territoriale e identificano circa il 28% della spesa farmaceutica, anche se la maggiore prescrizione si concentra ancora sui prodotti branded. Negli ultimi quattro anni, come rileva l’indagine, si è registrata la scadenza brevettuale di numerosi principi attivi, con un’alta incidenza sui consumi, che ha determinato un aumento consistente delle specialità equivalenti. A questo non è seguito un corrispondente incremento delle dosi di farmaci “unbranded”, probabilmente per una scarsa disponibilità iniziale di generici sul mercato. Paolo Siviero, coordinatore dell’Area strategie e politiche del farmaco e direttore dell’Ufficio centro studi dell’Agenzia Italiana del Farmaco, illustra i vantaggi legati all’impiego di questi medicinali e le iniziative promosse dall’Agenzia per aumentarne la penetrazione nel nostro Paese.
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In uno scenario caratterizzato dall’aumento della spesa farmaceutica procapite degli italiani,
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Aifa • SPESA FARMACEUTICA
qual è il ruolo svolto dai farmaci generici? «La politica di incentivo all’utilizzo del farmaco generico costituisce per Aifa una delle strategie di politica farmaceutica necessarie a mantenere i livelli della spesa territoriale e ospedaliera al di sotto del tetto programmato, così come previsto dalla normativa. Scegliere il medicinale equivalente in sostituzione di quello “firmato”, inoltre, consente non solo di sgravare sensibilmente il Servizio sanitario nazionale, ma allo stesso tempo di reinvestire i risparmi così ottenuti in ricerca e innovazione». Perché in Italia questi farmaci non sono ancora apprezzati quanto all’estero? «Presso i cittadini persiste ancora una percezione distorta in merito ai generici, dei quali erroneamente non si ha piena fiducia, e per questo l’Aifa da sempre ne verifica qualità ed efficacia e ha ulteriormente intensificato tale attività con un apposito progetto. Inoltre, per favorire una maggiore trasparenza l’Agenzia sta completando un “Orange Book”, sul modello statunitense, contenente una lista aggiornata dei farmaci che è possibile sostituire con i corrispettivi equivalenti». Quanto è importante incrementare l’impiego dei farmaci equivalenti per contenere la spesa farmaceutica in Italia? Quali misure andrebbero ulteriormente adottate per favorire questo aumento? «È fondamentale un maggior coinvolgimento dei medici di famiglia per diffondere la cultura sull’uso del farmaco generico-equivalente quale farmaco efficace e di qualità. Da parte di questi ultimi, peraltro, è sentita l’esigenza di maggiori rassicurazioni in merito alla completa sovrapponibilità in termini di bioequivalenza dei medicinali firmati con i rispettivi generici. Proprio per questo l’Aifa intende rivedere le caratteristiche tecni-
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È fondamentale un maggior coinvolgimento dei medici di famiglia per diffondere la cultura sull’uso del farmaco equivalente che di autorizzazione anche di quei vecchi farmaci introdotti nel mercato anni fa, secondo norme legislative meno severe e valutazioni tecniche basate sulle conoscenze allora disponibili, per renderli conformi agli attuali. Ulteriori iniziative di comunicazione dovranno, inoltre, concentrarsi sul rafforzamento del ruolo degli operatori sanitari nel processo di intermediazione con il paziente, per trasferire a quest’ultimo la corretta informazione e conoscenza dei generici e promuoverne l’utilizzo a partire dallo studio medico». Come si sta muovendo l’Agenzia Italiana del Farmaco su questo fronte? «Uno dei pregiudizi alla base della resistenza verso i farmaci generici-equivalenti riguarda la loro presunta minore affidabilità rispetto a quelli griffati, con particolare riferimento non tanto ai principi attivi ma agli eccipienti in essi contenuti, ovvero gli ingredienti non farmacologici aggiunti alla sostanza attiva per renderla gradevole nel gusto e nella forma. Come già accennato, l’Agenzia ha avviato un progetto dedicato alla verifica della qualità degli equivalenti – così come dei biosimilari – che, tramite l’utilizzo delle più moderne tecnologie, consente la simulazione di processi clinici in grado di prevedere l’efficacia sull’uomo di un farmaco, i suoi effetti e le eventuali reazioni avverse di tutti i suoi componenti, eccipienti compresi».
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BIOTECNOLOGIE • Sergio Dompé
LA CRESCITA DEL BIOTECH NEL CAMPO DELLA SALUTE di Nike Giurlani «È IN ATTO UNA TRASFORMAZIONE DELLA RICERCA FARMACEUTICA» SPIEGA IL PRESIDENTE DI FARMINDUSTRIA, SERGIO DOMPÉ. E SU QUESTO «IL BIOTECH, PROPRIO PERCHÉ PIATTAFORMA TECNOLOGICA O DI META-SETTORE, PUÒ GIOCARE UN RUOLO CHIAVE»
l biotech italiano è giovane ma in forte crescita. È un valore sia per le potenzialità terapeutiche, sia come settore industriale d’alto profilo innovativo», mette in evidenza il presidente di Farmindustria, Sergio Dompé. Se si parla della difficile congiuntura economica, Sergio Dompé fa presente che le imprese del settore devono puntare su «investimenti, internazionalizzazione e innovazione e – continua – solo chi ha pianificato gli investimenti ha maggiori chance di “riprendere la crescita”». Buoni segnali emergono dall’industria del biotech, ma resta aperto il problema del reperimento delle risorse finanziarie sia nella fase di costituzione che di sviluppo. «Per rafforzare la loro capacità di produrre valore e investire nella ricerca è quindi importante intensificare il legame con l’industria del farmaco, attraverso partnership e aumento della capitalizzazione» sottolinea il presidente di Farmindustria.
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Quali sono le potenzialità e
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le possibili applicazioni del biotech italiano nell’area della salute? «I farmaci biotech curano già oltre 350 milioni di pazienti in tutto il mondo per patologie come l’anemia, la fibrosi cistica, il deficit della crescita corporea, l’emofilia, la leucemia, il rigetto dei trapianti e alcune forme di tumore. Inoltre, rappresentano anche le principali risposte alle malattie rare, per l’80% d’origine genetica. È in atto una trasformazione della ricerca farmaceutica, sempre più dedicata a cure mirate e specifiche per le esigenze degli individui. E su questo, il biotech, proprio perché piattaforma tecnologica o di metasettore, può giocare un ruolo chiave. L’Italia conta 197 aziende, per lo più nate tra la fine degli anni 90 e l’inizio del 2000, che investono in R&S il 19% del fatturato, con una pipeline di 233 progetti in sviluppo (144 in fase clinica e 89 in pre-clinica) oltre a 69 molecole in fase discovery. Queste imprese sono localizzate soprattutto in Lombardia, Lazio,
Il presidente di Farmindustria, Sergio Dompé
Toscana, Piemonte e Sardegna». Cosa rende attrattivo il biotech italiano a livello internazionale? «Risorse umane, altamente qualificate, sono la base per un network d’avanguardia con capacità progettuali diffuse e innovative. Un’area quindi di notevole interesse a livello internazionale.
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Sergio Dompé • BIOTECNOLOGIE
Anche il fatto che gli studi clinici in Italia siano raddoppiati dal 2000 al 2008, in particolare nelle prime fasi di sperimentazione, rappresenta un elemento d’attrattività del sistema nel suo complesso. Il nostro Paese, inoltre, secondo uno studio del Cerm, ha la più alta incidenza di pubblicazioni sulle malattie rare sul totale delle Scienze della Vita (10,4% tra il 2000 e il 2008) rispetto a Giappone (9%), Francia (8,6%) e Germania (8,3%). Nonostante una partenza in ritardo rispetto ad altri Paesi, emerge, quindi, che, per le imprese il cui core business è il biotech, l’Italia ha per addetto un fatturato e investimenti in R&S superiori alla media di Danimarca, Francia, Olanda, Regno Unito e Svezia». Quali sono le strategie anticrisi adottate dalle aziende biotech? «Investimenti, internazionalizzazione e innovazione: su questo le imprese devono puntare per sostenere la crisi globale. Obiettivi che trovano conferma anche nell’ultima relazione annuale della Banca d’Italia sull’andamento dell’economia italiana. Solo chi ha pianificato gli investimenti ha maggiori chance di “riprendere la crescita”. Le imprese biotech, negli ultimi dieci anni, sono andate proprio in questa direzione. Una spinta all’eccellenza che ha generato un network di “conoscenze”. Come dimostra un’indagine sui principali Gruppi farmaceutici, pubblicata su una rivista scientifica internazionale, tra le fonti più efficienti d’innovazione per il futuro ci sono l’outsourcing tramite partnership di ricerca (41%), le acquisizioni d’imprese biotech (39%) e la ri-
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cerca svolta internamente (20%)». Quali sono le criticità per l’industria biotech? «Il reperimento di risorse finanziarie è uno dei problemi principali per le aziende del settore, sia nella fase di costituzione sia nella fase di sviluppo, soprattutto in Italia dove il capitale di rischio e il venture capital sono merce rara. Per rafforzare la loro capacità di produrre valore e investire nella ricerca è quindi importante intensificare il legame con l’industria del farmaco, attraverso partnership e aumento della capitalizzazione». C’è quindi uno stretto legame con le imprese del farmaco? «Certamente. Le tecnologie permettono di esplorare percorsi scientifici d’avanguardia, mentre le aziende offrono competenze, risorse e strutture necessarie per lo sviluppo delle molecole e il knowhow in grado di rendere disponibili nuove terapie. L’aumento degli investimenti richiesti e della complessità dei progetti di R&S
ha determinato una maggiore specializzazione del lavoro innovativo e sono cresciuti così gli accordi tra le imprese delle due aree. Una tendenza confermata anche da uno studio Ernst & Young sulle biotecnologie condotto a livello mondiale. Dal 2000 al 2008 si è quadruplicato il valore potenziale delle alleanze fra le aziende farmaceutiche e quelle biotech». L’opinione pubblica europea e italiana vede ancora con sospetto le applicazioni delle biotech nell’area salute e nell’agroalimentare. Quanto i pregiudizi condizionano lo sviluppo di questo settore? «Il biotech è un’opportunità di sviluppo e crescita nell’area della salute, per nuove possibilità di cura, e dell’industria agroalimentare, per migliorare le prospettive nutrizionali. Un confronto costruttivo in favore dell’innovazione e del progresso è possibile. È necessario però accantonare filtri ideologici “liberando” la capacità competitiva dell’Italia a livello internazionale. È tempo di guardare al futuro».
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LA SANITÀ LOMBARDA • Renato Botti
UNA FILIERA ANCORA PIÙ EFFICIENTE PER RENATO BOTTI, A CAPO DI CONFINDUSTRIA SANITÀ E SERVIZI, UNA MAGGIORE COOPERAZIONE TRA SANITÀ PUBBLICA E PRIVATA È POSSIBILE di Nicolò Mulas Marcello econdo i dati Anisap su tutto il territorio lombardo sono 405 le strutture private accreditate che erogano esclusivamente prestazioni ambulatoriali come centri polispecialistici, di radiologia, di fisiochinesiterapia, di medicina dello sport, di odontostomatologia, laboratori e punti prelievo. Se a queste si aggiungono le strutture di ricovero come case di cura e Irccs, che erogano anche servizi ambulatoriali, si arriva ad un totale di 500 strutture private, a fronte delle 600 pubbliche. «Il nostro obiettivo – sostiene Renato Botti, presidente di Confindustria Sanità e Servizi – è quello di interagire sia con i nostri colleghi del mondo pubblico sia con la Regione per far sì che su
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Renato Botti, presidente di Confindustria Sanità e Servizi
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tematiche decisive per il sistema, si possa avere una partecipazione e una crescita». Grazie all’istituzione di Confindustria Sanità e Servizi in Lombardia è la prima volta in Italia che la sanità privata si muove come un soggetto unico e unitario. Quali sono gli obiettivi? «L’esigenza nasce per costruire in una regione che ha adottato politiche abbastanza avanzate in termini di coinvolgimento del settore privato, una regia e un coordinamento unitario proprio per poter avere una migliore interlocuzione con le istituzioni e in modo particolare con il governo regionale. Fino ad ora sostanzialmente erano presenti associazioni che raccoglievano specificità di erogazioni come l’Aiop che è l’associazione italiana ospedalità privata, l’Anisap, l’Associazione nazionale istituzioni sanitarie ambulatoriali private, l’Anaste, l’Associazione nazionale strutture terza età. Si è voluto creare un momento di raccordo complessivo di tutti gli erogatori in modo tale da potere interagire con i livelli istituzionali sia a livello nazionale che a livello regionale in
modo compiuto e unitario. Ma anche per dare una maggiore armonia alle posizioni che assumiamo di volta in volta su tematiche di questo genere. L’altro obiettivo era quello che già il mondo confindustriale si stava dando e cioè di cercare di aprire un tavolo più autorevole dove poter parlare della cosiddetta “filiera della salute” al quale possano sedere non solo gli erogatori ma anche gli altri grandi settori che si occupano di sanità e che sono dentro al mondo confindustriale come Farmindustria, Assobiomedica e Assobiotec per poter esprimere su certi argomenti delle posizioni comuni». Lei ha affermato che «Le imprese di questo settore hanno contribuito e vogliono continuare a contribuire alla costruzione del sistema sanitario regionale». In che modo? «La Regione Lombardia sicuramente ha costruito un servizio sanitario con delle regole che hanno favorito la partecipazione del mondo privato ai vari livelli di erogazione. Noi vorremmo crescere insieme al settore pubblico perché crediamo che esista un privato forte dove c’è un go-
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Renato Botti • LA SANITÀ LOMBARDA
di fondo sono convinto che togliere o ripensare questi processi di selezione per una serie di figure importanti per la vita delle organizzazioni sanitarie è molto importante nella logica di risultato e non nella logica di controllo del processo. Non credo che avere tutta una serie di procedure concorsuali favorisca poi la scelta dei migliori. Bisognerebbe davvero passare ad una cultura del risultato».
La Regione deve continuare a puntare sulla innovazione intesa non solo come tecnologica ma anche di processo verno regionale forte e dove c’è una sanità pubblica forte. Quindi il nostro obiettivo è quello di interagire sia con i nostri colleghi del mondo pubblico, sia con la Regione per far sì che su tematiche decisive per il sistema, come l’integrazione con il territorio o il nuovo progetto dei sistemi informativi della carta regionale dei servizi e tutte le politiche di qualità, appropriatezza, controllo e finanziamento, si possa avere una partecipazione e una crescita. Abbiamo proposto a questo proposito anche recentemente di attivare dei benchmark pubblico-privato per capire quali modelli organizzativi sottostanti ci sono a queste organizzazioni e quali possono essere le migliori pratiche da individuare e eventualmente da diffondere. Quindi una logica di confronto e di miglioramento per tutti». Per superare i problemi tipici del settore pubblico lei ha OTTOBRE 2010
avanzato alcune proposte tra cui eliminare il numero chiuso al test di medicina, assumere i medici in ospedale senza concorso e cambiare le regole anche per le nomine dei direttori generali, svincolandoli totalmente dalla politica. Quali vantaggi apporterebbero queste modifiche? «L’abolizione del numero chiuso ai test di medicina è sicuramente una provocazione perché mi rendo conto che una necessità di programmare esista a tutti i livelli. Certamente quello a cui ormai assistiamo è che il numero di posti sia nel corso di laurea sia nelle scuole di specializzazione è ormai inadeguato e insufficiente in relazione alla domanda che ospedali e territorio, sia nel pubblico che nel privato, pongono alle università. Quindi occorre modificare il sistema, proprio perché altrimenti a breve ci troveremo con grandi problemi di mantenimento di certi livelli di servizio. Certamente in termini
Quali sono le proposte di Confindustria Sanità e Servizi per affrontare il contenimento dei costi e i tagli imposti dalla manovra Tremonti? «Indubbiamente la Lombardia da questo punto di vista è un benchmark. Penso che nel decreto sul federalismo sarà sicuramente una delle regioni da prendere ad esempio, in quanto ha raggiunto risultati, confrontati alle risorse impiegate, assolutamente tra i migliori del nostro paese. Quello che credo che la Regione debba continuare a fare è puntare sulla innovazione intesa non solo come tecnologica ma anche di processo, ovvero studiare sempre nuove modalità di offerta dei servizi che è un mondo in continua evoluzione. Un aspetto che la Regione ha affrontato in termini di modifica degli assetti organizzativi degli ospedali, potenziamento dell’attività ambulatoriale, potenziamento delle strutture per anziani. In questo ambito ci sarà sempre da fare in termini di reti, comunicazioni o telemedicina. Credo che la Regione sia chiamata a uno sforzo programmatico ancora importante in termini di innovazione di processo».
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LA SANITÀ LOMBARDA • Luciano Bresciani
LE SCELTE VINCENTI DELLA SANITÀ LOMBARDA UNA SERIE DI POLITICHE MIRATE HANNO RESO LA LOMBARDIA UNA DELLE REGIONI PIÙ VIRTUOSE IN AMBITO SANITARIO. LUCIANO BRESCIANI SPIEGA IL PERCHÈ di Nicolò Mulas Marcello n Lombardia sono state adottate scelte in campo sanitario che hanno permesso di tenere sotto controllo i bilanci migliorando l’utilizzo delle risorse e garantendo l’alta qualità a costi minori. Un modello che viene preso spesso come benchmark a livello nazionale. «La Regione Lombardia – spiega Luciano Bresciani, assessore alla sanità - ha da anni avviato una serie di confronti costruttivi con i professionisti al fine di condividere sempre più con loro la programmazione, i percorsi e le conoscenze che portano a “fare sistema”».
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La sanità della Regione Lombardia è tra le più efficienti d’Italia. Come funziona? Quali sono i principi generali che rimangono allo Stato? «I principi su cui si fonda il sistema sanitario lombardo sono
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la centralità della persona, la libertà di scelta e la sussidiarietà. Sulla base di questi principi il sistema lombardo si è dato un’organizzazione che divide il momento della programmazione, acquisto e controllo delle prestazioni rispetto al momento dell’erogazione. In conseguenza di questa organizzazione anche i soggetti sono stati ben definiti: la Asl è l’ente che programma, acquista e controlla le prestazioni mentre l’ospedale è l’erogatore. Questo significa che nel sistema lombardo c’è un soggetto, l’Asl, che è garante delle prestazioni erogate da tutti gli erogatori, siano essi pubblici o privati accreditati. Proprio l’accreditamento è stata la chiave di attuazione effettiva della libertà di scelta: infatti tutti gli erogatori in Lombardia sottostanno alle stesse regole e godono degli stessi diritti. In tal modo le persone non sono vincolate ma possono, in totale autonomia, scegliere la struttura a cui rivolgersi. Come si può ben vedere, il sistema lombardo è un sistema complesso, ma ormai collaudato. Anche le altre regioni si sono dotate di sistemi regionali in ambito sanitario e, in un modello che lascia all’autonomia
Luciano Bresciani, assessore alla sanità della Regione Lombardia
regionale le modalità di organizzazione, allo Stato resta invece la competenza di stabilire i principi generali e quali siano i livelli essenziali di assistenza che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Come si concilia il decentramento del sistema di governo della sanità con il principio universalistico? «Questo principio non è minimamente in discussione: tutti i cittadini devono poter accedere in modo egualitario alle prestazioni erogate dal sistema sanitario. Questo però non contrasta con una attenta gestione delle risorse a disposizione che, non può essere dimenticato, sono limitate anche per l’ambito sanitario. Molti, infatti, non tengono conto che un non corretto utilizzo delle risorse desti-
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Luciano Bresciani • LA SANITÀ LOMBARDA
La prevenzione rappresenta uno dei punti cardine del sistema lombardo che si snoda attraverso le differenti aree che la compongono nate alla sanità comporta sacrifici anche negli altri ambiti poiché, come noto, la sanità rappresenta la grossa parte dei bilanci delle regioni e un minimo scostamento rispetto alle previsioni si ripercuote sulle altre azioni che, ovviamente, non possono essere portate avanti a meno di non voler ricorrere a ripiani che costringono i cittadini a contribuire (con ticket o tasse). È ovvio che una miglior stima dei bisogni delle persone e delle conseguenti risorse necessarie a soddisfare tali bisogni è possibile da un livello che conosce meglio le peculiarità del territorio: infatti un modello che funziona in una Regione non è detto che sia il migliore anche per altre». Si può migliorare ancora il sistema? Ad esempio come è possibile migliorare la scelta delle risorse umane e l’assegnazione dei fondi di ricerca? «Ogni sistema, per quanto buono possa essere, è sempre migliorabile. Le risorse umane sono la base di un buon sistema sanitario e ritengo che le sinergie che debbono essere profuse, affinché il sistema goda di professionalità di alto livello, siano quelle che fanno interagire
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mondo sanitario e mondo universitario. A tal fine la Regione Lombardia ha da tempo avviato un grande lavoro di confronto, condivisione, collaborazione e sinergia con tutta la rete delle Università lombarde, ai fini di essere leva per la produzione di risorse e sviluppo tecnologico, anche in alleanze operative con l’industria. Per quanto attiene poi alla scelta è chiaro che ci sono procedure e percorsi già ampiamente normati che devono essere seguiti». Prevenzione è spesso una parola chiave di molte politiche sanitarie. Qual è l’attuale situazione in Lombardia? «Rappresenta uno dei punti cardine del sistema lombardo che si snoda attraverso le differenti aree che la compongono: prevenzione diagnostica, promozione di corretti stili di vita, sicurezza e salubrità negli ambienti di vita e lavoro, prevenzione malattie infettive ecc. La Regione Lombardia, prima in Italia, ha innovato la modalità di pensare alla prevenzione, soprattutto in ambiti particolari, quali la sicurezza sul lavoro o l’accesso all’imprenditorialità: dai concetti di controllo preventivo esclusivamente docu-
mentale e di penalizzazione si è passati a concetti totalmente nuovi di controllo reale e di premialità, fondati sul consenso con il mondo che rappresenta il tessuto produttivo. In quest’ottica sono stati sviluppati diversi interventi di semplificazione normativa e procedurale che hanno portato, in un momento di forte crisi economica, ad un miglioramento nell’accesso all’imprenditorialità e ad una maggior sicurezza sul lavoro. Cito di seguito alcuni dei risultati ottenuti: Diminuzione marcata di infortuni sul lavoro (anno 2009 vs anno 2006): meno 16% totale con punte del -30% nell’ambito delle costruzioni e meno 23% nell’ambito dell’agricoltura (che sono due tra i settori più a rischio); Prevenzione primaria/screening: dal 2009 lo screening mammografico e quello del colon retto evidenziano una copertura degli inviti pari al 100% con adesioni del 65% delle donne per la mammografia e del 40% di donne e uomini per il colon retto. Per lo screening della cervice uterina sono previste due modalità: screening programmato e accesso spontaneo. I dati evidenziano che l’80% delle donne effettua regolarmente tale screening».
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EDITORIALE
La medicina nel territorio di Sante Tura iene comunemente considerata medicina nel territorio quella esercitata al di fuori degli ospedali pubblici e privati. Un ottimale rapporto tra medicina nel territorio e quella negli ospedali, che vede riservata agli ospedali gli interventi che richiedono il supporto di una maggiore tecnologia, potrebbe essere considerato il modello ideale di assistenza sanitaria. Fotografando la situazione attuale emerge un enorme affollamento dei Pronto Soccorso che va al di là di quello previsto per la traumatologia della strada e una incessante richiesta di amplificazione degli spazi per ambulatori, day hospital e degenza ordinaria. Questo percepito scompenso tra medicina nel territorio e quella ospedaliera giustifica alcuni tentativi per ridurre la pressione, che genera insoddisfazione e rischio, sull’assistenza ospedaliera. Molti tentativi, coronati o meno da successo, sono stati praticati da strutture pubbliche e private per rafforzare l’assistenza nel territorio. In Emilia Romagna va riconosciuto al professor Franco Pannuti di aver organizzato negli anni 80 una soddisfacente assistenza territoriale (o domiciliare) ai pazienti terminali affetti da tumore. Egli coniò il termine di Ospedale senza muri, perché il suo progetto aveva, ed ha, come obiettivo un’organizzazione, costituita da medici, infermieri, tecnici, in tutto simile a quella ospedaliera. Nel decennio successivo BolognAil ha impostato un servizio di assistenza domiciliare (territoriale) per i pazienti ematologici terminali e non terminali i quali per età o per entità della loro malattia non potevano recarsi al Policlinico: alcuni pazienti sono stati seguiti per anni a domicilio, trattati con ci-
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totossici, antibiotici, trasfusioni di sangue, senza che venissero né ricoverati né avessero bisogno di controllo specialistico ospedaliero. Questi risultati portano a una conclusione: è possibile curare a domicilio pazienti con patologie severe, senza che questi abbiano qualità e quantità di vita minore rispetto a coloro i quali vengono curati nelle strutture ospedaliere. L’esperienza accumulata nell’assistenza territoriale ad alcuni pazienti continua con la soddisfazione della nostra comunità e fa emergere la domanda se si possa estendere questo tipo di assistenza a tutti i pazienti anziani con patologia cardio-respiratoria di tipo cronico, i quali costituiscono una rilevante componente dei malati ricoverati più volte durante l’intero anno e, in particolare, durante il periodo invernale. Ovviamente, la medicina nel territorio, come è strutturata oggi non può esaudire la richiesta dei pazienti i quali finiscono per affollare Pronto Soccorso e reparti ospedalieri. La medicina nel territorio dovrebbe essere organizzata come le equipe ospedaliere. Non mi dilungo sui particolari organizzativi che vanno discussi e condivisi. Ugualmente l’attrezzatura degli ambulatori dei medici “associati” deve essere decisa dagli operatori, i quali debbono poter fruire di un colloquio continuo, nelle forme tecniche più appropriate, con medici che operano negli ospedali. Vorrei concludere che questa possibile mini riforma assistenziale non può e non deve essere calata dall’alto e imposta. È invece auspicabile che, su base volontaristica, con il supporto di Comune, Provincia e Regione, si possa programmare una sperimentazione, qualora non sia già in atto un’analoga proposta: in tal caso sarà utile valutarne i risultati.
ORGANIZZAZIONE SANITARIA • Ferruccio Fazio
L’ORGANIZZAZIONE DELLA SANITÀ IL MINISTRO FAZIO ILLUSTRA LE INIZIATIVE VOLTE A RIORGANIZZARE L’ASSISTENZA SANITARIA TERRITORIALE di Nike Giurlani organizzazione della sanità sui singoli territori vede sempre più spesso presidi di Pronto Soccorso e ospedalieri troppo affollati. Per questo motivo risulta necessario «adottare azioni di riorganizzazione del servizio di Pronto Soccorso e, contemporaneamente, dell’assistenza sanitaria territoriale attraverso modelli organizzativi diversificati ed elevata flessibilità, con ulteriore sviluppo delle integrazioni multi-professionali adattabili ai diversi contesti territoriali, che consentano la rimodulazione dell’offerta assistenziale» fa presente il ministro della Salute, Ferruccio Fazio. Tale discorso è valido «sia in termini quantitativi, con ampliamento degli orari di apertura degli ambulatori e prolunga-
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In alto, il ministro della Salute Ferruccio Fazio
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mento dell’orario nei giorni festivi, sia in termini qualitativi con modalità di facilitazione dell’accesso e diffusione dell’assistenza domiciliare integrata per rispondere ai nuovi bisogni di salute dei cittadini per 24 ore su 24 e 7 giorni alla settimana». A tale proposito il ministero «ha emanato indirizzi in tema di assistenza in h24 che prevedono lo sviluppo di modalità organizzative volte alla riduzione degli accessi impropri al Pronto Soccorso», continua il ministro. Quale dovrebbe essere la sinergia da attuare tra ospedali e strutture territoriali? «La continuità delle cure nel nostro Paese è uno dei principali obiettivi del Sistema sanitaro nazionale intesa sia come conti-
nuità tra i diversi professionisti integrati, in un quadro unitario (lavoro in team, elaborazione e implementazione di percorsi diagnostico terapeutici condivisi) che come continuità tra i diversi livelli di assistenza soprattutto nel delicato confine tra ospedale e territorio. Ciò diviene possibile migliorando in particolare le modalità di comunicazione tra l’ospedale e i medici di medicina generale in relazione al ricovero dei pazienti, alla dimissione protetta, all’attuazione di percorsi assistenziali condivisi, grazie anche alla disponibilità di strumenti informatici e telematici per lo scambio di informazioni cliniche e per l’attuazione di procedure di teleconsulto e telemedicina».
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Ferruccio Fazio • ORGANIZZAZIONE SANITARIA
Il volontariato contribuisce a dar voce ai bisogni dei soggetti svantaggiati
In questo contesto che ruolo possono svolgere le associazioni di volontariato per una soddisfacente assistenza territoriale o domiciliare ai pazienti? «Il loro ruolo è di straordinaria importanza, in particolare per l’umanizzazione del servizio e per le istanze etiche che lo caratterizzano. Il volontariato contribuisce a dar voce ai bisogni dei soggetti svantaggiati e svolge un ruolo fondamentale nella valutazione partecipata della qualità dell’assistenza che diviene fondamentale nell’attuale contesto epidemiologico caratterizzato da uno spiccato invecchiamento della popolazione e correlate caratteristiche di fragilità, cronicità e non autosufficienza». Quali le iniziative per quanto concerne il processo di riconversione e riorganizzazione della rete ospedaliera regionale? «Gli indirizzi di programmazione sanitaria attualmente in atto, che hanno in sé l’obiettivo del contenimento della spesa sanitaria, comportano l’esigenza di
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una riprogettazione organizzativa assistenziale, finalizzata allo sviluppo progressivo di risposte che privilegino specifici livelli assistenziali sia presso l’ospedale (l’osservazione breve, il day service, i percorsi ambulatoriali complessi nei day service, le prestazioni ambulatoriali), sia in sede territoriale (strutture residenziali e semiresidenziali, case della salute, ospedali di comunità); inoltre, presso il domicilio del paziente con l’attivazione delle cure domiciliari di complessità appropriata al bisogno espresso». Quanto si potrebbe risparmiare a livello di spesa sanitaria? «Riguardo questo aspetto, bisogna prendere in considerazione due componenti. La prima si riferisce a costi evitabili o a economie conseguibili combattendo un cattivo utilizzo dei fattori produttivi attraverso i quali si garantisce l’assistenza ospedaliera (gestione del personale ed acquisto di beni e servizi): questa componente va semplicemente, rapidamente e completamente abbattuta ed economizzata. La seconda si riferisce all’inappropriato ricorso all’ambiente ospedaliero per trattare casistica che potrebbe meglio essere seguita nelle strutture territoriali: questa componente va non economizzata, ma riconvertita. Se le due azioni si conducono sinergica-
mente potrebbe essere recuperato tutto l’eccesso di spesa nazionale rispetto al finanziamento, cioè circa 4-5 miliardi di euro, prevalentemente riferiti alle Regioni impegnate nei Piani di rientro». Un altro tema da affrontare è il ruolo del medico di medicina generale che rappresenta il primo filtro tra il paziente e il sistema sanitario, la cui figura oggi sembra anacronistica al sistema. Come rivalutare il ruolo del medico di famiglia nell’ambito di un progetto moderno, al passo con i nuovi tempi e con le nuove esigenze sanitarie? «Nella realizzazione di modelli assistenziali basati su percorsi di cura, sulla continuità ospedaleterritorio, sull’integrazione sociosanitaria, nonché sulla presa in carico e sulla gestione integrata dei bisogni del paziente, il medico di medicina generale diviene il vero protagonista e ciò comporta necessariamente il bisogno di porre l’attenzione sul suo processo formativo che deve vedere impegnati tutti gli attori coinvolti a vario titolo nel percorso formativo stesso (Atenei, Regioni, Ministeri). In questo quadro occorrerà anche rivedere i contenuti dell’Accordo nazionale per la medicina generale e la pediatria di libera scelta per dare maggiore spessore alle forme di lavoro coordinato dei medici di famiglia tra di loro e con la realtà distrettuale».
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ORGANIZZAZIONE SANITARIA • Valeria Tozzi
LA CRISI DELLE PROFESSIONI MEDICHE IL PERSONALE DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE VERSO UN NUOVO MODELLO DI ORGANIZZAZIONE. IL PUNTO DI VALERIA TOZZI di Nike Giurlani uando si affronta il tema della crisi demografica della classe medica è importante evidenziare che questo aspetto è strettamente legato al fenomeno dell’invecchiamento del personale del Sistema sanitario nazionale» spiega Valeria D. Tozzi, responsabile area di ricerca percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali al Cergas Bocconi e vicedirettore del master in Management per la sanità della Sda Bocconi. Tale aspetto è ben delineato nell’Osservatorio sull’aziendalizzazione della sanità in Italia - Rapporto Oasi 2009 dal quale emerge che «se nel 2001 i medici dipendenti Ssn avevano in media 47 anni di età, nel 2007 l’età media era di 50 anni e che la percentuale di professionisti over 55, nello stesso arco temporale, è cresciuta dal 12 al 27% del totale». La realtà che ne emerge è che l’invecchiamento del personale, non solo medico, del Ssn «è il risultato di una serie di dinamiche innescate nel passato», sostiene l’esperta. «Le riforme del sistema previdenziale hanno orientato verso il prolungamento del lavoro per alcuni dipendenti e ad esse si sono associate le contrazioni di nuove assunzioni (il personale Ssn si è contratto dello 0,9% dal 2001 al 2007 pari a circa
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5.500 persone); inoltre, il crescente fabbisogno di personale sempre più qualificato ha comportato percorsi formativi più lunghi e complessi». Più in generale, le implicazioni e le conseguenze di queste tendenze conducono a delle importanti riflessioni. «In primo luogo, i policy makers dovrebbero porsi la questione del ricambio generazionale dell’intero personale Ssn», tiene a precisare. Inoltre, se da una parte «l’assistenza ospedaliera sta vivendo un profondo restyling sia relativamente ai modelli di assistenza, come nel caso dell’organizzazione per intensità delle cure, sia alla tipologia e natura dei servizi da erogare, dall’altro però le Asl stanno dilatando i loro confini, sviluppando le cure intermedie e integrando, attraverso opportuni progetti, la medicina generale con l’intera filiera dei servizi territoriali». Questo profondo ridisegno
della rete d’offerta «non può non essere accompagnato dalla riflessione sulla dotazione di personale a disposizione e su quello fruibile nel medio lungo termine» sottolinea l’esperta. Infatti, bisogna tener conto che «stanno per andare in pensione i cosiddetti baby boomers, coloro che sono nati tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni 60, e che i nuovi “ingressi” tra breve saranno inferiori ai pensionamenti». In secondo luogo, le comunità professionali e tutte le organizzazioni che le rappresentano sono chiamate a riflettere sui «saperi distintivi che le rappresentano e a far fronte ad una domanda crescente di servizi in presenza di risorse professionali decrescenti». È per questo motivo che Valeria Tozzi auspica che «le società scientifiche diventino presto il luogo in cui formulare precise scelte sull’evoluzione della comunità professionale».
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ORGANIZZAZIONE SANITARIA • Stefano Zingoni
IL MEDICO DI FAMIGLIA VA IN RETE DALLA MANCATA CENTRALITÀ ALL’INFORMATIZZAZIONE> LE PROSPETTIVE DELLA PROFESSIONE SECONDO STEFANO ZINGONI, NUOVO PRESIDENTE FIMMG di Riccardo Casini igura di riferimento nel sistema sanitario locale o fonte indiretta di maggior lavoro per le strutture ospedaliere e di Pronto Soccorso? Negli anni il ruolo del medico di famiglia è stato anche oggetto di critiche, ma continua a rappresentare un punto fermo per numerose persone, soprattutto nelle località lontane dai presidi ospedalieri. Stefano Zingoni, da poco eletto presidente della Federazione italiana medici di famiglia, analizza la situazione attuale. «La medicina generale vive un disagio profondo, dovuto all’aumento progressivo del carico di lavoro per l’incremento delle esigenze assistenziali di una popolazione
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Stefano Zingoni, presidente della Federazione italiana medici di famiglia
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sempre più anziana, malati cronici e non autosufficienti, e per la progressiva riduzione dei posti letto e lo spostamento sul territorio, senza una preventiva riorganizzazione, di attività assistenziali prima sostenute a livello ospedaliero. Un carico che ci troviamo a fronteggiare con le nostre sole risorse. C’è delusione per una sempre dichiarata e mai realizzata “centralità” della nostra figura professionale nel sistema di tutela della salute». Quali misure ritiene necessarie per uscire da questa situazione?
«Rimuovere la concorrenza sulle scelte, ristrutturare il compenso in modo da distinguere l’onorario del professionista dal finanziamento dei fattori di produzione, dare piena e continuativa occupazione al medico in tutta la sua vita professionale, eliminando la distinzione in settori e introducendo l’accesso unico alla convenzione, aiutando il medico a sviluppare una adeguata rendicontazione delle attività svolte e facilitando la sua partecipazione alle attività di programmazione e gestione dell’assistenza. Per il futuro la medicina di attesa resterà per-
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Stefano Zingoni • ORGANIZZAZIONE SANITARIA
L’integrazione tra i vari servizi del Sistema sanitario nazionale attraverso l’information technology è ancora insufficiente fetta per l’approccio specialistico e per affrontare le malattie acute e continuerà ad attagliarsi benissimo al modello ospedaliero. Al contrario la medicina di iniziativa è una metodica volta all’intercettazione del bisogno al di là della sua espressa formulazione. È quella che meglio si adatta alla gestione dell’assistenza primaria in generale e delle malattie croniche in particolare, dove l’assistenza è per la gran parte “estensiva” e caratterizzata dalla presa in carico a lungo termine, dove esiste un medico di riferimento della persona e di una data popolazione. È in questo senso che dovrà evolvere la medicina generale». In cosa consistono oggi i compiti del medico di famiglia? «Oltre al tradizionale ruolo sanitario e sociale che storicamente ha caratterizzato questa figura professionale, oggi deve aiutare i propri assistiti ad affrontare le molteplici carenze del welfare nazionale. In questo non è certamente favorito dai vincoli burocratici che lo limitano sempre più. Ma è bello notare come tutte le indagini condotte e affidate a società di rilevazioni terze,
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e perciò indipendenti, concordino nel definire gravoso il suo carico di lavoro ed elevatissimo il suo gradimento presso la popolazione, con differenze non significative di questo apprezzamento in base a età, ceto, grado d’istruzione o stato di salute degli intervistati». Qual è invece il ruolo del medico di guardia? Come potrebbe essere integrata la sua attività con quella del medico di famiglia? «Il suo ruolo è quello di garantire la continuità dell’assistenza. Proprio per questo il medico di guardia dovrà trovare piena integrazione imbricandosi con l’assistenza primaria per condividerne la conoscenza della popolazione e fornirle un riferimento costante». Recentemente il Centro studi Fimmg da lei presieduto ha realizzato una ricerca sull’informatizzazione dei medici di famiglia, riscontrando da parte loro un elevato uso di strumenti informatici (il 92% ha un collegamento internet in studio). In Italia però esistono ancora barriere alla diffusione dell’E-health. Quali sono e come è possibile superarle per offrire
un servizio migliore? «Ancora insufficiente risulta l’integrazione tra i vari servizi del Sistema sanitario nazionale attraverso l’information technology. Quando, al di là della scelta convinta dei medici di famiglia per lo strumento informatico, scelta fatta dai professionisti investendo risorse proprie, occorre una programmazione coerente del gestore pubblico, tutto diventa più difficile. Studi come quello recentemente fatto da Fimmg sono il presupposto conoscitivo indispensabile per chi ha compiti d’indirizzo, amministrativi e di controllo in modo da poterli svolgere consultando i professionisti e non contro di essi, col rischio di contraccolpi assistenziali devastanti». In generale, come è possibile raggiungere una maggiore integrazione tra medici di famiglia e sistema sanitario locale? «Innanzitutto credendoci, poi confrontandosi nel rispetto dei ruoli, partendo dalla consapevolezza che integrazione deve significare miglioramento assistenziale e non deleghe improprie e fuorvianti il ruolo sanitario a favore di uno snellimento della pubblica amministrazione».
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ORGANIZZAZIONE SANITARIA • Francesco De Lorenzo
LA GRANDE RETE DEL VOLONTARIATO «UNA BUONA INFORMAZIONE INSERITA IN UN PROCESSO DI COMUNICAZIONE EFFICACE, RISULTA ESSERE SEMPRE PIÙ UNO STRUMENTO DI LAVORO PER IL SISTEMA SALUTE». L’IMPEGNO DI FRANCESCO DE LORENZO, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA MALATI DI CANCRO, PER GARANTIRE AI MALATI UNA BUONA “TERAPIA INFORMATIVA” E UGUALI TRATTAMENTI NELLA CURA di Nike Giurlani
el piano oncologico nazionale per il biennio 2010-2012 è stata riconosciuta l’importanza dell’informazione in ambito oncologico. Per i malati di cancro, anche secondo recenti studi europei, l’informazione rappresenta la prima medicina. La conferma viene da uno studio condotto da Aimac e Aiom, in cui si evidenzia che gli strumenti informativi (libretti, dvd, opuscoli) migliorano il rapporto medico-paziente nel 90% dei casi. «La sempre più ampia diffusione dei mezzi di comunicazione di massa – sottolinea Francesco De Lorenzo, presidente di Aimac – ha accresciuto i bisogni di informazione sia da parte dei malati che dei loro familiari». Inoltre, con l’introduzione del consenso informato «si è di fatto rivoluzionato il rapporto medico/paziente – prosegue l’ex ministro – mettendo il malato di fronte alla responsabilità di conoscere la propria malattia per partecipare alle decisioni». La possibilità di compiere ricer-
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che autonome, all’interno di una sovrabbondante disponibilità di risorse «espone, tuttavia, il cittadino anche abile e provvisto di buona cultura generale, al rischio di disorientarsi rispetto alla mole di informazioni “accessibili”, tra l’altro non sempre affidabili sotto il profilo clinico-scientifico». Una buona informazione, quindi, inserita in un processo di
comunicazione efficace, «risulta essere sempre più uno strumento di lavoro per il sistema salute», ribadisce De Lorenzo. Tutto ciò rientra negli obiettivi del Piano oncologico nazionale 2010-2012 laddove viene sottolineato che l’informazione sulle cure oncologiche deve essere sempre ancorata a parametri di elevata scientificità, rifuggendo dalla divulgazione di messaggi che
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Francesco De Lorenzo • ORGANIZZAZIONE SANITARIA
promettono risultati terapeutici non avallati dalla comunità scientifica e che è necessario garantire una comunicazione equilibrata in grado, tra l’altro, di evidenziare benefici e rischi delle nuove tecnologie. Help-line è uno dei servizi offerti da Aimac. Quali sono le richieste più frequenti fatte dai malati di cancro o dal loro familiari? «L’Help-line ha sede presso Aimac ed è un servizio telefonico e telematico nazionale di accoglienza e informazione in oncologia. Un’équipe di operatori Il professor Francesco de Lorenzo, presidente dell’Aimac; nella pagina a fianco, una postazione dell’Help-Line
appositamente formati all’accoglienza, all’ascolto e alla rilevazione del bisogno informativo avvalendosi della consulenza di varie professionalità fornisce risposte alle specifiche necessità espresse dagli utenti, che nel 2009 sono stati circa 2.500. Le richieste inoltrate all’Help-line di Aimac riguardano soprattutto i benefici socio-previdenziali cui si ha diritto durante le fasi delle
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terapie e del follow-up; informazioni sull’iter diagnostico terapeutico (26%); informazioni sulle associazioni di volontariato (23%) e sulle possibilità esistenti sul territorio di ricevere supporto psicologico (38%) e sugli aspetti nutrizionali». Quanto è importante partire dalle reti contro un’emergenza planetaria come il cancro? «Sono talmente convinto che le reti siano fondamentali che nel 2003 ho fondato Favo, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia, l’associazione delle associazioni di volontariato a servizio dei malati di cancro e delle loro famiglie che contribuisce a creare sinergie fra le diverse associazioni e ad assicurare una rappresentanza unitaria dei malati nei confronti delle istituzioni. È costituita da oltre 500 realtà, molte delle quali diffuse su tutto il territorio nazionale attraverso rappresentanze in tutte le province, per un totale di circa 25.000 volontari (nella maggior parte dei casi malati o ex malati) e 700.000 iscritti a vario titolo. Le associazioni federate si diversificano tra quelle che operano presso i centri di cura e i presidi sanitari, quelle che operano nelle proprie sedi, quelle che assistono malati affetti da particolari neoplasie e anche da alcune che si occupano di oncologia pediatrica». Come si possono tutelare i diritti e gli interessi dei malati di cancro? «La norma del part time contenuta nella Legge Biagi del 2003, come è noto, riguardava solo i dipendenti del settore privato. Ma in occasione dell’iter che ha por-
Un’équipe di operatori appositamente formati all’accoglienza, all’ascolto e alla rilevazione del bisogno informativo, avvalendosi della consulenza di varie professionalità fornisce risposte alle specifiche necessità tato all’approvazione della Finanziaria 2008, è stato possibile estenderla anche ai dipendenti del pubblico impiego e, in diversa misura, ai familiari o conviventi che assistono il malato. Così oggi tutti i lavoratori dipendenti con posto fisso hanno in mano un valido strumento per non essere espulsi dal processo produttivo, mentre i loro familiari, se lavoratori, acquisiscono un titolo preferenziale rispetto ai colleghi nel mutare l’orario di lavoro (da tempo pieno a tempo parziale) e potersi prendere cura del congiunto affetto da neoplasia. È inoltre in corso di realizzazione anche il progetto sperimentale, finanziato dal ministero del Lavoro, insieme a Eni, Inps, Sodalitas e Consiglio provinciale dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Milano chiamato “Una rete solidale per attuare le norme a tutela dei lavoratori malati di cancro sui luoghi di lavoro”. L’attività di lobbying svolta da Aimac a partire dai primi anni del XXI secolo ha indotto le autorità politiche a recepire e concretizzare innovative azioni per dare risposte ai nuovi bisogni dei malati di cancro che sono sempre più ma-
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ORGANIZZAZIONE SANITARIA • Francesco De Lorenzo
lati cronici. Il sostegno socio-assistenziale e la tutela del lavoro sono aspetti riabilitativi di fondamentale importanza per il miglioramento della qualità della vita, per il ritorno alla vita dopo una diagnosi di cancro. Si possono tutelare i diritti e gli interessi dei malati di cancro sicuramente facendoli conoscere ai malati e ai loro familiari. A tale scopo abbiamo creato anche il libretto informativo “I diritti dei malati di cancro”, scaricabile dal nostro sito». Cosa è stato fatto in questi anni? «Nei 5 anni di attività di Favo tutto è cambiato, l’associazione ha promosso studi e indagini con tutti gli Istituti nazionali tumori Irccs (Milano, Aviano, Genova, Roma, Napoli, Bari) e con molte università; ha documentato inaccettabili disparità nell’accesso ai trattamenti terapeutici e assistenziali tra le regioni italiane; ha richiesto e ottenuto nuove leggi per garantire le tutele ai malati di cancro che vogliono lavorare, come pure per il tempestivo riconoscimento della disabilità anche transitoria - che affligge i malati nel momento in cui iniziano il trattamento chemioterapico; ha chiesto e ottenuto l’approvazione del Piano oncologico nazionale, nel quale al volontariato è riconosciuto un ruolo centrale». Quali le prossime sfide? «Per quanta riguarda l’Aimac potenziare il servizio informativo nazionale che abbiamo creato, ampliarlo e fare in modo che tutti gli ospedali che hanno un rilevante accesso di malati oncologici possano dotarsi di un
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Il sostegno socio-assistenziale e la tutela del lavoro sono aspetti riabilitativi importanti per il miglioramento della qualità della vita dopo una diagnosi di cancro punto informativo. L’altra grande sfida, che riguarda tutto il volontariato oncologico, è quella di garantire a tutti i malati in Italia uguali trattamenti perché ci sono delle disparità tra le varie regioni che rendono il trattamento dei malati di cancro in alcuni casi inaccettabile e penalizzante. Poi c’è la grande disparità di accesso ai nuovi farmaci in ben 14 regioni, dove
la presenza di prontuari regionali rallenta e a volte nega l’accesso ai medicinali che sono salva-vita. Questo non succede in regioni come la Lombardia e il Piemonte dove il farmaco innovativo appena approvato viene immediatamente erogato. La vera sfida del volontariato è dunque evitare che con il federalismo fiscale queste disparità si accentuino».
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Franco Pannuti • ORGANIZZAZIONE SANITARIA
L’OSPEDALE CHE VA A CASA DEL PAZIENTE ASSISTENZA DOMICILIARE, PREVENZIONE, DIFESA DELLA DIGNITÀ DELLA VITA. QUESTO È IL MODELLO VINCENTE DELL’ANT DALLE PAROLE DEL PRESIDENTE FRANCO PANNUTI di Renata Gualtieri a Fondazione Ant Italia Onlus costituisce la più grande esperienza di assistenza domiciliare gratuita per i sofferenti di tumore in Italia e in Europa. Dal 1985 ha assistito quasi 78.000 persone, in modo completamente gratuito, nei 20 Ospedali domiciliari oncologici presenti in Italia. «Si tratta di un’assistenza specialistica effettuata da un’équipe composta da 366 medici, infermieri, psicologi, nutrizionisti, fisioterapisti, operatori socio-sanitari e farmacisti che portano al domicilio del malato e alla sua famiglia tutte le cure necessarie 24 ore su 24». Al professor Franco Pannuti, presidente
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della Fondazione Ant, va il merito di aver organizzato un’ottima assistenza domiciliare ai pazienti terminali affetti da tumore. Qual è il ruolo e l’importanza del volontariato nella medicina del territorio? «Il volontariato è l’anima e il punto di riferimento ma di per sé non è in grado di affrontare in maniera sistematica il problema organizzativo, strutturale e non sostituisce i funzionari e gli specialisti del settore. Basta fare l’esempio della nostra Fondazione. Noi abbiamo molti volontari e per loro organizziamo anche dei corsi. Io stesso sono volonta-
Qui sopra, il professor Franco Pannuti, presidente della Fondazione Ant
rio, ma ho sempre creduto poco nel volontariato in termini di copertura strutturale, cioè per fare qualcosa all’Ant, ho avuto bisogno dei professionisti. I volontari sono presenti, anche nel consiglio di amministrazione, nelle varie delegazioni e rappresentano il controllo, la verifica continua del lavoro dei professionisti che, però, non possono essere sostituiti dai volontari». L’Ospedale domiciliare oncologico dell’Ant, va a casa del malato. Quali sono le differenze rispetto alle presta-
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ORGANIZZAZIONE SANITARIA • Franco Pannuti
A destra un'asta realizzata a Bologna a favore della Fondazione Ant nell'aprile 2008 in collaborazione con Sotheby; in basso una raccolta alimentare a favoredelle famiglie che Ant aiuta. Nella pagina a fianco una formica di legno di cirmolo interamente realizzata a mano e donata alla Fondazione Ant dal Comune di Ortisei (Valgardena) nella seconda metà degli anni 90, posta nella sede dell'Istituto Ant diBologna
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zioni di un reparto ospedaliero tradizionale? «Si può parlare di Odo perché quando ho fondato l’Ant e ho dato vita al primo dei venti ospedali domiciliari oncologici che abbiamo realizzato in Italia, ho fatto una cosa molto semplice, ho cercato di fare quelle cose che facevo in ospedale quando ero primario. Se sul piano ideativo è stata una cosa molto semplice, perché ho trasferito l’idea dell’ospedale al domicilio del sofferente, sul piano pratico la cosa non è così agevole come può sembrare perché significa trasferire anche gli specialisti, gli psicologi, i tecnici, le apparecchiature che sono necessarie». Durante questi anni di attività dell’Ant qual è stato il sostegno registrato dalle istituzioni e quali interventi auspica per il futuro? «Quando ho avviato il mio progetto ho chiesto l’aiuto del Comune, della Provincia e della Regione e non ho ricevuto alcun sostegno. Con il tempo si sono accorti che nel momento in cui noi funzioniamo, la gente preferisce stare a casa negli ultimi 100 giorni
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di vita piuttosto che andare in ospedale. Questo vuol dire avere meno necessità degli ospedali e un grande risparmio perché il costo della assistenza a domicilio è nettamente inferiore a quello dell’ospedale tradizionale. Un posto letto al giorno in un ospedale tradizionale in media, stando ai dati ufficiali del 2004, costa 770 euro, un giorno di assistenza domiciliare Ant, di tipo ospedaliero, per questo tipo di sofferenti, costa meno di 30». Come si pratica l’“Eubiosia” e in quali terapie palliative e di supporto al paziente si traduce concretamente? «La parola Eubiosia è stata inventata da me al momento della fondazione dell’Ant, nel 1978, il primo ospedale poi è stato quello di Bologna nel 1985, con l’obiettivo di combattere l’eutanasia intesa come morte anticipata. Riteniamo che si può combattere la sofferenza senza dover uccidere le persone. Sulla base di questo abbiamo confezionato un progetto chiamato “Eubiosia” che mira a combattere la sofferenza e a mantenere la dignità
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Franco Pannuti • ORGANIZZAZIONE SANITARIA
delle persone fino al’ultimo momento, anche perché chi ha solo 100 giorni di sopravvivenza ha bisogno di avere una persona che gli stia vicino e lo guardi negli occhi con amore. Se questo si realizza la gente ha meno voglia di passare a miglior vita e si affida al suo destino». Qual è attualmente il radicamento nel territorio dell’associazione? «Abbiamo 140 delegazioni in Italia, ci sono anche una quarantina di “amici dell’Ant”, cioè delegazioni più leggere afferenti all’Ant e siamo presenti in 10 regioni. Noi siamo andati dovunque, la gente stessa spesso ci ha chiamato, ma in alcuni posti non è stato facile né andarci, né rimanerci. Siamo stati in Albania 6 anni e anche a Nuova Delhi. Siamo disposti ad andare dovunque ci siano le condizioni operative anche perché per fare questo occorrono gli operatori sanitari, gli infermieri, tecnici e psicologici». Quale sarà lo sforzo per incrementare l’assistenza domiciliare? OTTOBRE 2010
Il volontariato è l’anima della medicina del territorio, ma non sostituisce i funzionari e gli specialisti del settore
«Noi siamo impegnati nell’assistenza domiciliare ma anche nella prevenzione, cioè ci occupiamo della malattia tumorale prima ancora che questa si verifichi, fino alla fase terminale. Ant attua campagne di informazione e controllo delle neoplasie che possono essere prevenute e diagnosticate per tempo come il melanoma, i tumori della tiroide e i tumori ginecologici. Sono state effettuate più di 28.000 visite dermatologiche gratuite, indirizzando dal chirurgo circa il 10% delle persone visitate per lesioni sospette. In questi giorni stiamo realizzando un ambulatorio mobile, un autobus, con un dermatoscopio, un ecografo e un mammografo di ultima generazione. Lo facciamo perché, è vero che la prevenzione del tumore alla mammella lo fa lo Stato, ma, anche nella ci-
vilissima Bologna in certi momenti per fare una mammografia ci vogliono 7 o 8 mesi, a Bolzano circa di 150 giorni. Questa è una cosa che a noi non va a genio e quindi, nei limiti del possibile cercheremo di coprire anche questa mancanza». Sono necessarie campagne di sensibilizzazione per sostenere e difendere la dignità della vita in tutte le sue espressioni? «Viviamo in un mondo dove la vita ha un senso bassissimo. Noi impieghiamo molti mezzi e persone a salvare la dignità della vita quando intorno succede tutto e il contrario di tutto. È molto difficile far vivere le persone dignitosamente perché costa molti soldi e impegno, tecnica e scienza e anche la terapia palliativa non può essere affidata a chiunque».
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MALATTIE RARE • Mariella Bocciardo
UNA LEGGE QUADRO PER LE MALATTIE RARE SENSIBILIZZARE SOCIETÀ E POLITICA SULL’IMPORTANZA DI UNA LEGGE QUADRO PER LE MALATTIE RARE. ISTITUIRE LA FIGURA DEL CHIRURGO SENOLOGO SPECIALIZZATO NELLA CURA DEL TUMORE AL SENO. SONO ALCUNE DELLE ISTANZE PORTATE AVANTI DALLA DEPUTATA MARIELLA BOCCIARDO di Elena Castelli n Italia sono oltre 400 le malattie rare censite, ma in realtà si parla almeno di diverse migliaia di patologie esistenti, che colpiscono nel nostro Paese circa un milione e mezzo di persone. Facile rimarcare il fatto che si tratti di un dramma umano e sanitario per chi ne soffre e per i familiari. Meno semplice è, invece, mantenere alto l’interesse, e l’ammontare degli investimenti, attorno alla questione. Prima firmataria di una proposta di legge in favore della ricerca sulle malattie rare e della loro cura è la deputata del Pdl Mariella Bocciardo.
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Quali sono i punti cardine della sua proposta di legge?
Mariella Bocciardo, deputata del Popolo della Libertà
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«Si tratta di focalizzare l’attenzione su alcuni punti che riguardano le reti di assistenza, la formazione, il ruolo delle regioni e l’istituzione del Piano nazionale delle malattie rare che l’Europa ci chiede come impegno entro il 2013». Quante sono le persone affette da malattie rare in Italia? «Almeno due milioni di malati rari, cui vanno aggiunti i gruppi familiari fino a una realistica stima di sei milioni di persone coinvolte. In Europa sono 36 milioni i malati rari. Sono cifre importanti, che non
tutti conoscono». Quali patologie avrebbero maggiormente bisogno di investimenti in ricerca? «Il numero delle malattie è valutato dall’Organizzazione mondiale della Sanità tra 6mila e 8mila. E purtroppo stanno aumentando. Ogni settimana, grazie ai progressi della ricerca e della diagnostica, vengono scoperte cinque nuove malattie rare. Nella maggioranza dei casi sono patologie croniche e invalidanti ad alta complessità, per l’80 per cento di origine genetica. In un quadro così articolato, tuttavia,
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Mariella Bocciardo • MALATTIE RARE
molte malattie rare possono essere unite in gruppi di patologie: così la ricerca potrebbe concentrarsi proprio su queste “famiglie” di patologie». Per quale motivo non si è sviluppato nel tempo un sistema di ricerca, tutela e assistenza per i malati affetti da malattie rare? «I centri specialistici di riferimento sono pochi, manca un’approfondita formazione sugli operatori sanitari, dai medici agli infermieri. In alcune situazioni passano anni prima che si arrivi a una diagnosi e intanto la vita dei malati è piena di sofferenze e purtroppo si spegne prima ancora di sapere perché». Lei ha vissuto in prima persona il problema, a causa dell’Epidermolisi Bollosa che ha colpito lei, sua figlia e sua nipote. Cosa le ha insegnato questa esperienza? «Grazie al cielo sono stata colpita dalla forma semplice di questa malattia. Nonostante ciò, questa esperienza mi ha fatto capire, dal vivo, cosa vuol dire soffrire. E quanto sia importante agire, non arrendersi, combattere. Mi ha dato una fortuna rara: vivere giorno dopo giorno l’amore per le persone che soffrono». Cosa può fare concretamente la politica per sostenere e rinforzare la rete familiare, OTTOBRE 2010
così importante nell’aiutare il malato nella sua battaglia quotidiana? «Una legge è buona se è capace di rispondere ai bisogni concreti delle persone alle quali si rivolge. Bisogna prima saper ascoltare, poi comprendere e infine tradurre le istanze in strumenti efficaci». Su alcune patologie c’è ormai grande sensibilizzazione nell’opinione pubblica. Ma delle malattie rare si parla inevitabilmente meno. Cosa si dovrebbe fare, a livello informativo, per aumentare l’attenzione su questo tema? «Eventi, convegni, conferenze, divulgazione, forte coinvolgimento dei mass media. È una battaglia a tutto campo. Un primo passo è rappresentato dall’istituzione della Giornata europea delle malattie rare. È un appuntamento che si ripete ogni anno: un evento da portare nelle università, nelle scuole e sui media per far crescere a livello sociale la sensibilità sul tema. Mi auguro che l’Italia sia in prima fila su questo fronte». Ha depositato un ddl per istituire la figura del chirurgo senologo. Quali vantaggi porterebbe alla lotta contro il tumore al seno? «Il tumore al seno rappresenta la forma più diffusa di carcinoma femminile. Ogni anno nel mondo si registrano più di un
Il numero delle malattie rare è valutato dall’Oms tra 6mila e 8mila. E purtroppo sta aumentando milione di nuovi casi diagnosticati e 400 mila vittime. In Italia, si ammalano di tumore al seno 40 mila donne. La mortalità è di 10 mila donne all’anno. E negli ultimi sei anni il tumore al seno nelle giovani donne tra i 35 e i 45 anni è aumentato del 28,7%. Ecco perché ho presentato la proposta di legge. Il chirurgo senologo nel nostro ordinamento non esiste come specializzazione, opera all’interno di chirurgia generale. È una specie di fantasma, quando invece dovrebbe essere un protagonista. Tutti invocano l’unione in un fronte comune contro il tumore al seno. Di fronte a questo schieramento di forze, prendo atto con rammarico che nel nostro sistema universitario non esiste alcuna specialità in senologia, tanto meno in chirurgia senologica, che c’è una carenza strutturale di spazi chirurgici e di degenza dedicati, tranne che in alcune regioni virtuose, e che sono ancora rare le strutture che si prendono cura della paziente dal primo sospetto fino alla conclusione dell’iter diagnostico-terapeutico coordinando i vari interventi».
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CHIRURGIA ROBOTICA • Vito Pansadoro
INTERVENTI PIÙ PRECISI CON IL CHIRURGO ROBOT GRAZIE ALLA VISIONE 3D, LA CHIRURGIA ROBOTICA OFFRE TECNICHE DI MASSIMA PRECISIONE. VITO PANSADORO SPIEGA I RISULTATI RAGGIUNTI di Nicolò Mulas Marcello l primo intervento effettuato con il robot “da Vinci” risale ormai al 1999. Da allora i risultati raggiunti dalla chirurgia robotica hanno consolidato il valore di questa tecnica in vari ambiti della medicina. La Robotic Assisted Surgery consente all’operatore di praticare un intervento chirurgico manovrando a distanza un robot non completamente autonomo ma capace di eseguire manovre comandate. Grazie all’aiuto del robot, il chirurgo opera su un campo operatorio ripreso dall’interno degli organi attraverso una telecamera che proietta le immagini su un monitor. «Oltre a limitare il rischio
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Vito Pansadoro è specialista in Urologia, Chirurgia pediatrica e Chirurgia dell’apparato digerente
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di emorragie – sottolinea il professor Vito Pansadoro – col ricorso al robot si riduce la risposta infiammatoria». In cosa consiste essenzialmente l’intervento di chirurgia con il robot “da Vinci”e quali vantaggi comporta la nuova tecnica rispetto alle tecniche convenzionali? «Il robot “da Vinci” è un sistema operativo che permette al chirurgo di operare in condizioni ideali cioè con una visione ottimale a 3D e con un ingrandimento da 10 a 15 volte. Ne risulta che la visione perfetta si traduce automaticamente in una esecuzione nettamente superiore a quella che è possibile ottenere a cielo aperto o anche in laparoscopia classica. I vantaggi offerti dalla macchina non si limitano a una visione migliore ma, fatto ancora più importante, gli strumenti hanno dei movimenti demoltiplicati da 6 ad 1. Questa tecnologia, unita alla possibilità di orientare gli strumenti in 7 direzioni, dà al chirurgo la possibilità di effettuare tutta una serie di movimenti altrimenti impossibili. Il chirurgo si trova in camera operatoria ma, dopo aver introdotto gli strumenti e
applicato il robot al paziente, lavora a una consolle che gli permette di operare in una posizione ergonomica ideale, seduto e appoggiando la fronte e i gomiti. In questo modo l’eventuale stanchezza non può giocare alcun ruolo nell’esecuzione dell’intervento e la necessaria concentrazione è massima». Di quanto viene ridotto, in un intervento di laparoscopia, il sanguinamento del paziente rispetto a un intervento tradizionale a cielo aperto? «Operando con il robot il sanguinamento è minimo (100-300 ml). In laparoscopia abbiamo trasfuso il 4% dei nostri pazienti. Con il robot, per lo stesso intervento, non abbiamo trasfuso nessun paziente. L’assenza del dolore e delle perdite ematiche sono i due motivi per cui il paziente ha un post-operatorio e una convalescenza nettamente diversa da quella che seguiva un intervento a cielo aperto». Chi è “realmente” e non virtualmente, a contatto fisico col paziente? «Il chirurgo, dopo aver visitato ancora una volta il paziente, questa volta in anestesia, procede
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Vito Pansadoro • CHIRURGIA ROBOTICA
I vantaggi offerti dalla macchina non si limitano a una visione migliore ma gli strumenti hanno dei movimenti demoltiplicati da 6 ad 1
all’introduzione delle porte e al “docking”, cioè al posizionamento e collegamento del robot sul paziente. Il termine robot nel nostro caso è stato utilizzato per semplicità. In realtà si tratta di un sofisticatissimo braccio articolato che segue esattamente i comandi che gli derivano dai movimenti delle mani del chirurgo. Infatti, il chirurgo ha le dita dentro degli anellini e muovendo le dita trasmette il movimento agli strumenti che si trovano nell’addome del paziente. Questo con una demoltiplica da 6 ad 1 e con la possibilità di ben 7 movimenti». Quali risultati si stanno riscontrando con questa tecnica per i tanti pazienti affetti da gravi disturbi e malattie di tipo urologico? «Dal 1999 ormai abbiamo un
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follow up più che sufficiente. I due fattori che ne hanno giovato in particolare sono la continenza precoce e la potenza sessuale. La maggior precisione permette il risparmio ottimale delle strutture nervose deputate alla funzione sessuale e alle strutture sfinteriche che garantiscono la continenza dopo l’intervento. Oggi l’intervento di prostatectomia radicale può essere affrontato con una serenità ben diversa rispetto a 10-20 anni or sono. In particolare per gli effetti sulla potenza sessuale e sulla continenza precoce». Quanto costa il robot? E la formazione? Che tipo di impegno esige e qual è stata, in particolare, la sua esperienza di training che l’ha portata a diventare un chirurgo esperto nell’applicazione di questo tipo
di tecnica? «L’ultimo modello del robot da Vinci, con doppia consolle, si aggira sui tre milioni di euro. La manutenzione sui 150.000 euro l’anno e il costo degli strumenti è di 2.000 euro a intervento. Per la formazione esiste un centro apposito presso l’ospedale di Grosseto. Quando ho iniziato a lavorare con il robot avevo già una solida esperienza di laparoscopia maturata in circa 15 anni. Per me quindi è stato molto facile adattarmi alla nuova tecnologia. È stato come se mi avessero chiesto di guidare una macchina più grande e più veloce. All’inizio si va un po’ più piano ma già dopo una diecina di interventi i tempi erano sovrapponibili. Oggi forse sono anche più brevi che con la laparoscopia, e il “docking” non prende più di 10 minnuti».
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TROMBOSI • Anna Falanga
TERAPIA DELLA TROMBOSI LE NUOVE RICERCHE LE COMPLICANZE TROMBOTICHE ED EMORRAGICHE NEI PAZIENTI ONCOLOGICI ILLUSTRATE DALLA DOTTORESSA ANNA FALANGA di Nike Giurlani li studi sulla trombosi e sulle complicanze della coagulazione nei pazienti oncologici sono molto antichi. «Più di un secolo e mezzo fa, il primo a notare la relazione fra trombosi e cancro fu un medico francese, Armand Trousseau, che si diagnosticò un tumore proprio sulla base dell’evento trombotico che l’aveva colpito e, infatti, morì di cancro allo stomaco sei mesi dopo», racconta la dottoressa Anna Falanga, primario del Centro trasfusionale e responsabile del Centro emostasi e trombosi degli Ospedali Riuniti di Bergamo. Pur essendo un’osservazione antica, gli studi di ricerca sono iniziati molto tempo dopo. «Dagli anni 60 del secolo scorso, sono stati condotti studi di biologia sulle cellule tumorali dai quali è emerso che queste producono sostanze che attivano la coagulazione e determinano la formazione di coaguli, causando la generazione di trombi nei vasi periferici». Più tardi, studi epidemiologici hanno definito in maniera più chiara questo problema, indicando che le complicanze trombotiche erano un problema molto rilevante
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nei pazienti oncologici. «Tra coloro che si presentano in clinica con una prima diagnosi di trombosi venosa profonda, il 20% sono pazienti oncologici – continua l’esperta – ed è diventato, quindi, fondamentale approfondire il legame tra trombosi e tumori, definendo per questi pazienti nuove direttive nella pratica clinica per la prevenzione e la terapia di queste complicanze». Quali sono gli aspetti emersi dai primi studi? «Dagli studi pubblicati agli inizi del 2000 è emerso che la terapia anticoagulante standard della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare era meno efficace e sicura nei
In alto, la dottoressa Anna Falanga, primario del Centro trasfusionale e responsabile del Centro emostasi e trombosi degli Ospedali Riuniti di Bergamo
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Anna Falanga • TROMBOSI
soggetti neoplastici rispetto alla restante popolazione. Infatti, anche in presenza di adeguati livelli di anticoagulazione, questi pazienti andavano incontro a recidive della trombosi. Inoltre erano anche maggiormente soggetti alle emorragie, dimostrando di avere un equilibrio molto fragile del sistema coagulativo». Alla luce della Conferenza internazionale dedicata alle complicanze trombotiche ed emorragiche nei pazienti oncologici e ai complessi rapporti biologici tra cancro e sistema della coagulazione, che si è svolta a Stresa lo scorso aprile, quali le linee guida condivise? «Dal dibattito che anima varie società scientifiche oncologiche, come la Società americana di Oncologia medica, la Federazione nazionale francese della Lega dei centri contro il cancro, il National comprehensive cancer network statunitense, l’European society for Medical oncology e l’Associazione italiana di Oncologia medica, sono emersi aspetti interessanti che fanno sperare che in un prossimo futuro si potrà raggiungere un consenso comune sulla profilassi e terapia della trombosi in questi pazienti. Ciò permetterà all’oncologo di orientarsi con maggiore sicurezza nella prevenzione della trombosi, a tutto beneficio dei suoi pazienti. Alcuni punti, tuttavia, rimangono ancora molto controversi, come ad esempio la necessità o meno della profilassi antitrombotica primaria nei pazienti ambulatoriali con cancro in corso di chemioterapia. Seb-
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bene siano ancora pochi gli studi ampi pubblicati, tuttavia dati recenti suggeriscono che, in alcune categorie di pazienti, la profilassi antitrombotica può essere efficace nel ridurre l’incidenza di eventi tromboembolici venosi (Tev) in corso di chemioterapia».
tiva, il che spesso vuol dire per sempre. Sono in corso nuovi studi per individuare il miglior trattamento anticoagulante da adottare dopo i primi sei mesi di terapia. Al momento, quindi, non vi sono linee guida al riguardo e la decisione viene rimandata al singolo medico».
A che punto è, invece, la ricerca per quanto concerne le nuove terapie farmacologiche? «Per quanto riguarda i nuovi farmaci antitrombotici non sono ancora stati eseguiti studi specifici per i pazienti oncologici; attualmente lo schema che viene raccomandato da tutte le linee guida sia nazionali che internazionali è quello di utilizzare per i primi sei mesi l’eparina a basso peso molecolare. Vi è indicazione a proseguire il trattamento della trombosi a lungo termine, o almeno fino a quando la malattia neoplastica di base è ancora at-
Quali sono le prossime sfide della ricerca scientifica in questo campo? «Prima di tutto, comprendere e identificare molecolarmente le caratteristiche biologiche del tumore che determinano l’attivazione della coagulazione. Ciò può consentire di disegnare farmaci che colpiscano in modo specifico queste proprietà delle cellule tumorali. Importanti da approfondire sono anche i meccanismi con cui le terapie tumorali determinano l’insorgenza della trombosi. Ulteriori studi sono, inoltre, necessari per prevenire in modo ottimale
Occorre comprendere e identificare molecolarmente le caratteristiche biologiche del tumore che determinano l’attivazione della coagulazione il rischio di trombosi in questi pazienti, oltre che per trovare terapie ancora più efficaci per la trombosi, una volta che questa si è manifestata. La sfida maggiore è, però, confermare l’ipotesi che i farmaci anticoagulanti, associati alla chemioterapia, possano avere un ruolo nella cura del tumore. Al momento ci sono degli studi randomizzati che stanno procedendo verso questa direzione e attendiamo i risultati».
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TROMBOSI • Giovanni de Gaetano
VERSO UNA MEDICINA PERSONALIZZATA RICERCA FARMACOLOGICA E NUOVI STUDI SULLE MALATTIE TROMBOTICHE. IL PUNTO DEL PROFESSOR GIOVANNI DE GAETANO di Nike Giurlani e malattie trombotiche, in questo momento sono al centro d’interesse della ricerca, perché per fortuna le emorragie sono più rare e sono in generale meglio controllabili» spiega Giovanni de Gaetano, direttore dei Laboratori di ricerca dell’Università Cattolica di Campobasso. Alla luce di questa situazione, grazie ai progressi costanti «nella diagnostica e terapia dell’emofilia o della malattia di von Willebrand gli sforzi maggiori della ricerca tendono a “pronosticare” il rischio di eventi trombotici con molti anni d’anticipo, in modo da poter sviluppare strategie preventive efficaci». Fino a questo momento «si è puntato molto sui farmaci - tiene a precisare l’esperto - ma oggi anche gli stili di vita sono presi in maggiore considerazione, così come le possibili interazioni tra geni e ambiente». Infatti, proprio per questo motivo, è importante rilevare che «né i
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In alto, Giovanni de Gaetano, direttore dei Laboratori di ricerca dell’Università Cattolica di Campobasso
fattori genetici, né quelli ambientali potranno spiegare da soli i meccanismi che sottendono ad un infarto del cuore o del cervello, ma quello che si sta lentamente cercando di attuare è una medicina “personalizzata”, ben diversa dalla notte epidemiologica dove, parafrasando Hegel, tutti i pazienti sono neri», evidenzia de Gaetano. L’obiettivo è quello di arrivare a un tipo di terapia basata non più su un farmaco adatto “per tutte le stagioni”, «ma interventi preventivi e cure ritagliate il più possibile sul singolo paziente». Diversi i cambiamenti auspicati dal professor de Gaetano. Prima di tutto nel Sistema sanitario nazionale, in quanto «non potrà assolutamente sopravvivere in assenza di un coraggioso e imponente investimento in programmi di prevenzione». Inoltre, è importante prestare più attenzione alle malattie cardiovascolari che interessano le donne perché sempre più spesso rap-
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Giovanni de Gaetano • TROMBOSI
presentano per loro la principale causa di morte, fa presente il direttore dei Laboratori di ricerca della Cattolica di Campobasso. Quali sono stati i risultati più importanti raggiunti nelle ricerche farmacologiche e a livello di biologia cellulare e molecolare? «Negli ultimi anni sono stati sviluppati nuovi farmaci che inibiscono la funzione delle piastrine, cellule del sangue preziose nel difenderci dalle emorragie, ma anche capaci di formare pericolosi tappi ostruttivi nei vasi arteriosi. Queste nuove molecole sono ora in corso di valutazione clinica, associate alla classica aspirina a basse dosi. Molte speranze sono anche riposte su nuovi farmaci anticoagulanti, dal meccanismo d’azione innovativo rispetto ai farmaci tradizionali: da loro ci si aspetta che siano almeno altrettanto efficaci, ma sprovvisti d’effetti collaterali di tipo emorragico. E dal punto di vista della ricerca di base? «Qui i progressi sono quotidiani, ma la loro applicazione clinica è ovviamente più lenta. Stiamo acquisendo molte informazioni sul controllo genetico dei meccanismi dell’emostasi e della trombosi, anche se l’idea ingenua di qualche anno fa, che la genetica avrebbe risolto molti enigmi, trova oggi meno seguaci, o comunque più tiepidi. Resta invece da esplorare meglio il ruolo dei fattori ambientali, incluse le abitudini alimentari e gli stili di vita, sui meccanismi di danno o di protezione della parte vascolare e dei fattori cellulari e plasmatici che giocano ruoli importanti nel processo atero-trombotico».
studiosi e i ricercatori nazionali e internazionali? «La scienza è l’attività umana che ha più bisogno della condivisione. È una necessità primaria perché il suo avanzamento dipende fortemente dal reciproco confronto di persone e informazioni. Immaginiamo che gli scienziati smettessero di confrontarsi e di comunicare. Ognuno per la sua strada, senza mai vedere cosa combinano gli altri. È chiaro che il rischio di imboccare una strada sbagliata sarebbe alto e lo sarebbe ancora di più il persistervi, ignari di essere dalla parte del torto. L’anima della ricerca è lo scambio di idee e informazioni. Congressi e meeting servono proprio a questo, a tenere vivo il fuoco della ricerca che altrimenti potrebbe spegnersi sotto il peso di convinzioni infondate. L’European Thrombosis Research Organization è da 40 anni un momento importante per i giovani ricercatori ai quali viene data la possibilità di parlare del proprio lavoro con “mostri sacri” della ricerca internazionale sulla trombosi. Per un giovane studioso sono tappe fondamentali e indispensabili per la crescita professionale.
La European Thrombosis Research Organization si riunirà a Termoli nel 2011. Qual è la forza di questi momenti d’incontro e confronto tra gli
Le malattie trombotiche, in questo momento, sono al centro d’interesse della ricerca perché per fortuna le emorragie sono più rare e sono in generale meglio controllabili OTTOBRE 2010
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TROMBOSI • Giovanni de Gaetano
Occorre esplorare meglio il ruolo dei fattori ambientali, incluse le abitudini alimentari e gli stili di vita
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Quale, in particolare la funzione svolta dall’Etro? «L’Etro ha un fascino particolare perché è nato con un grande spirito europeo agli inizi degli anni 70, un periodo in cui la divisione politica e culturale era il principio guida degli Stati, ed ha creato, di fatto, un’Europa scientifica “allargata” con un anticipo di molti anni rispetto alla politica. La Polonia, l’Ungheria ed altri Paesi dell’Est, ad esempio, facevano parte a pieno titolo dell’organizzazione già molto prima che cadesse il muro di Berlino. L’Etro sta contribuendo ad attirare l’attenzione dei governi e dell’Unione europea sulle malattie cardiovascolari su base trombotica, spesso relegate in secondo piano rispetto a malattie serie, ma per fortuna di scarso impatto sulla popolazione europea, come l’Aids o le varie influenze che si susseguono di anno in anno». Trombosi nella donna. È sufficiente preve-
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nire il rischio del tromboembolismo venoso nella donna in gravidanza? Quali sono gli altri aspetti da prendere in esame? «Nei confronti della popolazione femminile l’attenzione è stata quasi esclusivamente rivolta in passato ai tumori del seno o dell’utero o ai problemi della gravidanza. Senza negare tutto ciò, è opportuno oggi insistere sul fatto che le donne si ammalano e muoiono anche - se non di più di malattie cardiovascolari, soprattutto perché moltissime di loro raggiungono felicemente gli anni della post-menopausa. Nel nostro studio epidemiologico “Moli-sani” - che ha raccolto dati su 25.000 persone adulte residenti in Molise - circa metà delle 13.000 donne studiate sono risultate in sovrappeso o francamente obese. Ciò comporterà nei prossimi anni lo sviluppo di diabete, sindrome metabolica, ipertensione ed un numero crescente di eventi trombotici cardiovascolari. Aggiungiamo a questo che le donne più giovani oggi fumano di più degli uomini, un fatto sociologico e comportamentale nuovo anche nel nostro Paese, che sta avendo ed avrà conseguenze devastanti sulla salute delle donne dei prossimi decenni».
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ONCOLOGIA SPERIMENTALE • Maria Rescigno
MELANOMA, UN AIUTO DALLA SALMONELLA di Riccardo Casini GLI SVILUPPI FUTURI DEL PROGETTO AVVIATO DALL’ISTITUTO EUROPEO DI ONCOLOGIA, GRAZIE ALLE RICERCHE DI MARIA RESCIGNO
a salmonella può diventare un nostro possibile alleato nella lotta al melanoma? Pare di sì, almeno secondo l’Istituto europeo di Oncologia, che nel 2006 ha dato il via alla sperimentazione sull’uomo di un vaccino contro una forma tumorale che, secondo i dati dell’Associazione italiana registri tumori del 2006, è la quarta per ordine di frequenza nella popolazione under 44, con 6mila nuovi casi all’anno. Un vaccino che si basa sul batterio della salmonella, in grado una volta iniettato di rendere riconoscibili le cellule malate al nostro sistema immunitario, suo ambiente prediletto a causa della mancanza di ossigeno. La salmonella, insomma, allerterebbe le nostre difese che interverrebbero sulle cellule impedendo al contempo il diffondersi del batterio nell’organismo. Dopo 4 anni dall’inizio della sperimentazione è il momento di fare il punto con la coordinatrice del progetto, la dottoressa Maria Rescigno del dipartimento di Oncologia sperimentale. «La sperimentazione – spiega – sta procedendo, anche se molto lentamente. Nei primi anni abbiamo cercato di arruolare una tipologia di paziente che presentava al massimo metastasi linfonodali e cutanee. Si tratta però di una tipologia troppo rara, ma quando ce ne siamo accorti avevamo già perso i primi tre anni. Ora abbiamo
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Sopra, la dottoressa Maria Rescigno del dipartimento di Oncologia sperimentale dello Ieo; in basso a sinistra, un batterio della salmonella
chiesto un emendamento al comitato etico e stiamo preparando le carte da inoltrare al ministero della Salute per ottenere l’approvazione e ripartire con una nuova sperimentazione che si concentrerà sul melanoma metastatico in stadio avanzato». Quali sono i risultati finora raggiunti? «Nella prima sperimentazione abbiamo arruolato 15 pazienti. Nel protocollo trattavamo metastasi direttamente in situ con i batteri (due per paziente) e controllavamo la crescita di metastasi non trattate. Purtroppo, mentre l’effetto sulle metastasi trattate era simile a quello osservato nell’animale, non abbiamo riscontrato nessun effetto sulle metastasi non trattate. Questo probabilmente è dovuto alla tipologia dei pazienti, ormai in stadio molto avanzato». In tutti i casi analizzati l’iniezione dei batteri riattiva la proteina connexin 43, rendendo nuovamente riconoscibili al sistema immunitario le cellule malate? «Sì. Il problema però è di avere un sistema immunitario competente. Cosa che purtroppo non si verifica nei pazienti in stadio avanzato, dove le cellule dendritiche si trovano in un ambiente immunodepresso, non certo favorevole».
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Maria Rescigno • ONCOLOGIA SPERIMENTALE
PROTOCOLLO DI IMMUNOTERAPIA BASATO SU CELLULE DENDRITICHE Le cellule tumorali vengono infettate in vitro
Le cellule tumorali sono coincubate con le cellule dendritiche
Le cellule dendritiche vengono purificate dalle cellule tumorali e vengono reinfuse
A. Le cellule tumorali vengono infettate in vitro con una varietà attenuata di salmonella. Le cellule tumorali infettate regolano connexin 43 e giunzioni comunicanti. B. Ventiquattro ore dopo, le cellule tumorali sono coincubate con le cellule dendritiche per permettere il trasferimento dei peptidi antigenici che vengono esposti sulla superficie delle cellule dendritiche. C. Le cellule dendritiche vengono purificate dalle cellule tumorali e vengono usate a scopo terapeutico per indurre una risposta immunitaria al tumore.
Legenda
Avete riscontrato effetti collaterali sull’uomo o comunque reazioni inaspettate o diverse rispetto ai topi? «Direi di no. I pazienti hanno avuto effetti collaterali abbastanza prevedibili, con febbre e dolori muscolari, tipici di un’infezione batterica, che però potevamo alleviare grazie al pretrattamento con tachipirina». Quali sono le prospettive della ricerca? A quali risultati concreti è possibile giungere in breve tempo? «Con il nuovo protocollo, stimoliamo le cellule del sistema immunitario in vitro con cellule tumorali pretrattate con la salmonella, in modo da avere una stimolazione più efficace nel paziente. In questo modo, infatti, dovremmo ottenere un maggior numero di cellule dendritiche e, di conseguenza, scatenare con maggiore efficienza una risposta immunitaria. Non dimentichiamo mai che stiamo agendo su pazienti immunodepressi». La sperimentazione è stata ristretta ad alcuni tipi di melanoma. Cosa è possibile fare negli altri casi? «Ora partiremo di nuovo con il melanoma in stadio avanzato perché non c’è cura ed è più facile entrare in clinica con nuovi protocolli. Se la sperimentazione si dimostrerà valida potremo applicarla al melanoma in
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Cellula tumorale
Canale della giunzione comunicante
Cellula dendritica
MHC di classe I
Salmonella
Peptide tumorale
Con il nuovo protocollo dovremmo ottenere un maggior numero di cellule dendritiche e scatenare con maggior efficienza una risposta immunitaria adiuvante, ovvero il caso in cui i linfonodi sono interessati, ma non ci sono altre metastasi». Basandosi sui dati sinora raccolti, pensa che il batterio della salmonella potrebbe avere altre applicazioni? Può insomma realisticamente rivelarsi utile nella lotta ad altre forme tumorali, oltre al melanoma? «Penso di sì, perché scatena una risposta contro le infezioni che i tumori non hanno spento per pressione selettiva. Altre applicazioni potrebbero riguardare il carcinoma del colon e, in generale, tutti i carcinomi per i quali l’aspettativa di vita è molto bassa e le terapie che funzionano sono poche. Ma preferirei non creare troppe aspettative. La nostra ricerca si è incentrata sul melanoma metastatico perché è un tumore per il quale non esistono terapie che funzionino. Inoltre, il melanoma è la forma tumorale in cui si registra la più alta attivazione del sistema immunitario».
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TERAPIA DEL DOLORE • Maria Adele Giamberardino
IL DOLORE CRONICO È UNA MALATTIA NELLA MALATTIA di Renata Gualtieri «È IMPORTANTE FORMARE GLI OPERATORI MA ANCHE DIFFONDERE LA CULTURA DEL DOLORE NELLA POPOLAZIONE GENERALE». LE ATTESE DELLA PRESIDENTE DELL’AISD, MARIA ADELE GIAMBERARDINO
Italia con la legge 38/ 2010 è il primo Paese europeo a legiferare sulla terapia del dolore, anche in età pediatrica. La promulgazione della legge è un grande segno di civiltà ed un progresso importantissimo nell’approccio al paziente con dolore. Ma è solo il primo passo. «L’applicazione completa e capillare della normativa richiederà qualche tempo, ma – sottolinea la presidente dell’Aisd Maria Adele Giamberardino – sono convinta che le eventuali residue resistenze, non solo fra gli addetti ai lavori, gradualmente scompariranno di pari passo con l’aumento dell’informazione. E a questo proposito si ribadisce il ruolo chiave delle società scientifiche. «L’Associazione italiana per lo studio
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del dolore si è fatta promotrice, tramite i suoi rappresentanti regionali, di un’iniziativa volta proprio a indagare gli effetti dell’applicazione della legge nei principali presidi ospedalieri nazionali nel corso del primo anno di promulgazione. Abbiamo destinato uno specifico spazio del nostro prossimo congresso nazionale, che si svolgerà a Riccione a maggio 2011, alla discussione dei primi dati ed al dibattito su eventuali criticità in tema di operatività della legge. Sarà un appuntamento importante per tutti coloro che sono interessati al tema dolore e un’occasione di aggiornamento e confronto sul tema». Un italiano su quattro sa cos’è il dolore cronico. Si può definire una “malattia
Maria Adele Giamberardino presidente dell’Aisd, direttore del Centro per lo Studio delle cefalee, fibromialgia e dolore musculoscheletrico e del Laboratorio di fisiopatologia del dolore Università di Chieti; nella pagina seguente, il congresso dell’Associazione italiana per lo studio del dolore
nella malattia”? «Assolutamente si. Mentre il dolore acuto è più spesso un sintomo, un segnale di allarme che spinge a indagarne la causa e quindi possibilmente a rimuoverla, il dolore che si protrae per mesi diventa “inutile”, unicamente fonte di sofferenza per il paziente e come tale una malattia a se stante. Il dolore cronico affligge non soltanto i malati oncologici terminali ma, anche una vasta percentuale della popolazione non oncolo-
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Maria Adele Giamberardino • TERAPIA DEL DOLORE
Per migliorare la qualità della vita di chi soffre si deve assicurare tempestività nella diagnosi e nell’istituzione di un trattamento adeguato
gica: pensiamo a cefalee, mal di schiena, dolori articolari da artrosi o altre malattie reumatiche, nevralgie, dolori pelvici persistenti nelle donne. E l’elenco potrebbe continuare. Il paziente ha difficoltà sul lavoro, nella vita sociale e familiare ed è talora limitato anche nelle semplici attività quotidiane, come vestirsi o lavarsi, con conseguenze spesso devastanti per il suo equilibrio psichico. Se pensiamo inoltre alla perdita di ore lavorative e ai costi diretti e indiretti legati
alle cure mediche, il dolore cronico può essere considerato anche una vera e propria “malattia sociale”». Qual è in merito la posizione del Sistema sanitario nazionale? «Grazie alla recente legge sulle cure palliative e la terapia del dolore il nostro Ssn viene posto a rivestire un ruolo chiave in materia. Tale legge riconosce piena dignità al paziente che soffre e il diritto di accesso alle cure ed alle strut-
ture disponibili per il dolore cronico sul territorio nazionale al pari di qualsiasi altra malattia. Con la legge è stata inoltre semplificata anche la prescrizione dei farmaci analgesici da parte dei sanitari del Sistema sanitario nazionale rendendo più agevole l’accesso agli oppiacei per il dolore cronico benigno, tradizionalmente difficile nel nostro Paese. Viene infine sancito l’obbligo per tutti i sanitari di misurare con strumenti adeguati e registrare il livello di dolore dei pazienti, annotando il risultato dei trattamenti. Un notevole progresso, che però rappresenta soltanto il primo passo di un lungo cammino; ancora moltissimo, infatti, resta da fare perché la “malattia dolore” abbia nella pratica clinica quotidiana un riconoscimento tempestivo ed un trattamento ottimale nel nostro Paese». Quali sono i nuovi obiettivi della medicina del do-
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TERAPIA DEL DOLORE • Maria Adele Giamberardino
RICONOSCERE AFFRONTARE E CONTROLLARE IL DOLORE a campagna, promossa da Pfizer in collaborazione con Cittadinanzattiva, la Società Italiana di Medicina Generale (Simg), la Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale (Fimmg) e l’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore (Aisd), mira a favorire la diagnosi precoce del dolore neuropatico che colpisce circa il 5% degli italiani. Alla luce della nuova legge 38 ‘Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore’ approvata il 15 Marzo 2010, anche il neuropatico, come gli altri dolori cronici, verrà curato dal medico di medicina generale con il supporto di centri di terapia del dolore dislocati sul territorio. «Fimmg ha promosso questa campagna – spiega la dottoressa Donatella Alesso, responsabile Divisione formazione Fimmg-Metis – poiché potrà aiutare sia il paziente che il medico a stabilire un dialogo costruttivo riguardo alla diagnosi e cura delle diverse forme di dolore. Descrivere il dolore può infatti essere difficile e stabilire una terminologia comune potrà velocizzare l’identificazione del disturbo, e, di conseguenza, la cura appropriata. A questo proposito non si può dimenticare che il medico di medicina generale è diventato l’interlocutore fondamentale per la gestione della maggior parte delle forme di dolore cronico, tra cui quello nevralgico, come previsto dalla recente legge, fortemente improntata sull’assistenza nel territorio. Solo i casi che necessitano di terapie specialistiche o invasive saranno dirottati, a seconda del grado di severità del disturbo, presso ambulatori di terapia antalgica (spoke) o centri di riferimento di terapia del dolore (hub)». Nel corso della campagna, verranno anche sviluppati materiali specifici studiati per i pazienti che soffrono di diabete, lombo sciatalgia o herpes zoster, o di dolore cronico. Le brochure contengono indicazioni per affrontare la malattia, spiegando come tenere sotto controllo il dolore nevralgico spesso associato a tali disturbi, e come parlarne al proprio medico per trovare il trattamento più adeguato. «Con questa campagna – spiega Marina Panfilo, direttore Affari Istituzionali Pfizer Italia – vogliamo fornire al paziente e al medico un nuovo strumento di dialogo per riconoscere, affrontare e controllare il dolore cronico neuropatico. Alla luce della nuova legge 38 il medico di medicina generale avrà infatti un ruolo sempre più centrale nella gestione del dolore cronico».
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lore? «Innanzitutto bisogna sostenere la ricerca perché solo una migliore comprensione dei meccanismi del dolore potrà far individuare trattamenti progressivamente più mirati; occorrono maggiori risorse economiche e strutturali per mettere gli eccellenti ricercatori italiani in condizione di operare adeguatamente. È poi importante non solo formare ed aggiornare efficacemente gli operatori sanitari - attraverso insegnamento e corsi di aggiornamento - ma anche diffondere maggiormente “la cultura del dolore” nella popolazione generale, con adeguate campagne di sensibilizzazione su tutto il territorio. Infine, è necessario potenziare la rete applicativa, promuovendo la nascita e sostenendo l’attività di centri sempre più specializzati nel trattamento del dolore cronico, che recepiscano e mettano in pratica tempestivamente le ultime novità in materia di terapia. Obiettivi di sempre, ma da sostenere con rinnovata forza e determinazione». Quanto è importante la cooperazione tra medici, pazienti e istituzioni per una ricerca e una cura più efficaci e quale è il contributo dell’Aisd per i giovani che desiderano occuparsi di medicina del dolore? «La cooperazione è fondamentale. Per rendere i pazienti più consapevoli dei propri diritti e possibilità di cura, i medici più informati sulle necessità dei pazienti, le istituzioni più sensibili alle esigenze di en-
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Maria Adele Giamberardino • TERAPIA DEL DOLORE
Mentre il dolore acuto è più spesso un sintomo, il dolore che si protrae per mesi diventa “inutile”, fonte di sofferenza per il paziente e una malattia a se stante
trambi. L’Associazione italiana per lo studio del dolore, insieme alla Fondazione Paolo Procacci che da alcuni anni ne affianca l’azione, è da sempre molto attiva nella campagna di sensibilizzazione sia del grande pubblico che del personale medico, con numerosissimi eventi di informazione e formazione organizzati ogni anno sul territorio nazionale, come è attiva nel relazionarsi con le istituzioni competenti per sollecitare iniziative e decisioni volte alla cura del dolore cronico. Ai giovani che desiderano occuparsi di medicina del dolore l’Aisd riserva una notevole attenzione; da anni ne promuove concretamente l’attività, destinando premi e borse di studio ai più meritevoli, per finanziarne la ricerca, la partecipazione ad eventi formativi - il nostro congresso annuale, la Scuola Europea del Dolore, i congressi delle società europea (Efic) e mondiale (Iasp) del dolore nonché l’accesso alla consultazione gratuita di prestigiose riviste come l’European Journal of Pain». I cittadini italiani conoscono realmente i loro diritti in OTTOBRE 2010
fase di trattamento del dolore? «I cittadini italiani sono oggi certamente più informati di qualche anno fa, ma c’è ancora molto lavoro da compiere in questo ambito. Come medico impegnato quotidianamente nella battaglia contro il dolore constato infatti che molti pazienti sono ancora troppo spesso disorientati e non pienamente consapevoli dei loro diritti e delle opzioni di trattamento che hanno a disposizione. A volte dispongono di informazioni parziali se non addirittura distorte, perché captate autonomamente tramite un passaparola fra amici e conoscenti più che acquisite da fonti attendibili. Credo che ogni medico abbia il compito ed il dovere morale non soltanto di esercitare la propria attività in scienza e coscienza, ma anche di fornire informazioni esaustive a tutti i pazienti che giungono alla sua osservazione, anche se questo comporta di necessità un maggiore impiego di tempo durante la visita». Cosa si deve fare per migliorare la qualità di vita di chi soffre? Esistono negli
ospedali italiani dei centri multidisciplinari per la medicina del dolore? «Per migliorare la qualità della vita di chi soffre si deve assicurare tempestività nella diagnosi e nell’istituzione di un trattamento adeguato, evitando le lunghe – spesso infruttuose - peregrinazioni fra una struttura e l’altra che troppo spesso costituiscono il vissuto dei pazienti con dolore cronico. In molti ospedali italiani esistono centri all’avanguardia nel trattamento di diverse condizioni dolorose, che si avvalgono dell’attività e della consulenza di specialisti di varie discipline. La rete operativa è però purtroppo ancora largamente insufficiente a coprire le necessità dei pazienti, bisogna quindi lavorare per estenderla, affinché il centro multidisciplinare del dolore diventi una presenza in ogni realtà territoriale piuttosto che rappresentare il polo di attrazione di soltanto alcune fra le strutture ospedaliere più avanzate del territorio».
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PROTESI MAMMARIE • Marco Klinger
LA CHIRURGIA DEL SENO GUARDA A NUOVI SVILUPPI di Ezio Petrillo LE OPERAZIONI “RICOSTRUTTIVE” OGGI VENGONO EFFETTUATE DI ROUTINE. CIÒ È DOVUTO A UN AUMENTO CONSIDEREVOLE DELLE RICHIESTE. NE ANALIZZIAMO LE CAUSE CON MARCO KLINGER
Marco Klinger, professore di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica presso l'Università degli Studi di Milano. Esercita la sua professione medica presso l’istituto clinico Humanitas di Rozzano m.klinger@tiscali.it
li interventi di impianto di protesi mammarie oggi sono decisamente in aumento. Contribuiscono a questo aspetto fattori non soltanto funzionali, legati alla presenza di patologie oncologiche, ma soprattutto estetici legati anche a un’immagine femminile influenzata dai media, che presenta modelli di un certo tipo. «Si affrontano, inoltre, molto più che in passato casi di anomalie mammarie. Fino a pochi decenni fa, le donne che soffrivano di questi problemi si limitavano a nasconderli, con evidenti danni per l'autostima e la vita di relazione». A parlare è il professor Marco Klinger.
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Con quali necessità, in genere, le pazienti si sottopongono a un intervento di installazione di protesi mammarie? «Possiamo distinguere tre categorie di pazienti. La prima è rappresentata dalle cosiddette pazienti ipoplasiche, tendenzialmente le più giovani, con
mammelle praticamente assenti o comunque giudicate troppo piccole. Nella seconda ci sono donne di età superiore, in cui le mammelle presentano uno svuotamento, in seguito a gravidanza e allattamento o a una considerevole perdita di peso. In questo caso (di mammelle cosiddette ipotrofiche) all'inserimento di protesi di solito si accompagna un intervento di rimodellamento, la mastopessi, con cui si riposiziona anche il complesso areola capezzolo, in modo da ricreare la forma rotonda e gradevole della giovinezza. Infine, ci sono le donne affette da malformazioni e anomalie mammarie. La più comune di queste è il seno tuberoso, o "seno costretto", in cui entrambe le mammelle, di solito con gravità differenti, hanno una forma simile a un tubo. La correzione delle due mammelle avviene con l'inserimento di protesi, di forma e dimensione differenti, per dar luogo a un risultato il più possibile simmetrico e naturale». Negli ultimi anni, ha registrato un aumento delle richieste di protesi mammarie? OTTOBRE 2010
Marco Klinger • PROTESI MAMMARIE
«Decisamente sì. Per quanto mi riguarda, direi che si tratta di un aumento stimabile attorno al 30% in 10 anni. Il dato tiene conto dell'aumento delle mastoplastiche additive a scopo estetico e degli interventi ricostruttivi, cioè di quelli che seguono una mastectomia o quadrantectomia. Per quanto riguarda gli interventi ricostruttivi, registriamo un incremento addirittura del 100%. Fortunatamente, infatti, l'intervento viene ora proposto di routine dai senologi, con grande beneficio per la paziente. Affrontato il dramma di un tumore, la donna non deve confrontarsi con quello di una mutilazione, in quanto spesso esce dalla sala operatoria già ricostruita, o comunque con un intervento ricostruttivo già programmato». In quale fascia d'età si intende di solito effettuare questo tipo di intervento? «Quella compresa tra i 25 e i 40 anni, anche se non mancano casi in età più avanzata e più giovane. A proposito di queste ultime, tengo a sottolineare che non riscontro il vertiginoso aumento di mastoplastiche additive spesso evidenziato dai mezzi di informazione».
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A suo avviso, quali evoluzioni ci saranno in futuro dal punto di vista dei materiali con cui vengono prodotte le protesi mammarie? «I materiali utilizzati oggi sono estremamente raffinati in termini di biocompatibilità, per cui è difficile immaginare grandi evoluzioni. In sostanza, la “convivenza” con le protesi è già eccellente e non penso che la si possa migliorare di molto. Lo stesso vale per la resistenza (le protesi si rompono molto, molto meno di quanto accadeva in passato) e per la grande diversità del prodotto. Infatti, se le protesi si distinguono in due grandi categorie, tonde e anatomiche, cioè a "goccia", ognuna poi comprende un'infinità di varianti per quanto riguarda dimensioni, forme e rapporti. A proposito di evoluzione, recentemente abbiamo assistito a quella delle dimensioni. In 25 anni, le protesi sono aumentate in volume del 50%. Se nel 1985 si impiantavano protesi di 200 cc, oggi sono normali quelle da 300 cc». Quanto è importante la ricerca e quali sono stati i passi avanti più rilevanti in questi anni? «Siamo già al massimo del livello ingegneristico. Credo che una trasformazione epocale verrà solo dalla produzione di protesi non più in silicone, ma realizzate con il grasso della paziente. Oggi questa possibilità è praticata in piccola parte con il lipofilling, una tecnica che comporta un'aspirazione di grasso, che viene poi opportunamente lavorato e trasferito laddove si vuole aumentare il volume. Recentemente, ho contribuito a studiare gli effetti del lipofilling con uno studio clinico eseguito che ha mostrato i prodigiosi effetti del grasso e delle cellule staminali in esso presenti sulle cicatrici di gravi ustionati. Tuttavia, per quanto riguarda il seno, questa tecnica è praticabile oggi solo in pazienti con grandi depositi di grasso».
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CHIRURGIA DELLA MANO • Giorgio Rafanelli
PATOLOGIE DELLA MANO TRA CHIRURGIA E RIABILITAZIONE di Eugenia Campo di Costa LA MANO NECESSITA DI UNA CHIRURGIA ESTREMAMENTE DELICATA, PERCHÉ È UN ORGANO ALTAMENTE COMPLESSO, CHE COINVOLGE TESSUTI DI DIVERSA ORIGINE E FISIOLOGIA. IL PUNTO DEL DOTTOR GIORGIO RAFANELLI
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a mano è un organo complesso che comprende tessuti diversi: ossa, muscoli, tendini, nervi, articolazioni. La complessità della mano si ripercuote sulla quantità di patologie che la possono colpire. Dai manuali esse risultano soprattutto di carattere degenerativo, traumatico e malformativo. In realtà, spiega il dottor Giorgio Rafanelli, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica: «le principali patologie sono quelle che riguardano la compressione dei nervi, in testa la sindrome del canale carpale, caratterizzata dalla compressione del nervo mediano che provoca formicolii e dolori, soprattutto di notte, alle mani». Seguono quelle riguardanti i tendini, cioè tendiniti come le dita a scatto e quelle che riguardano le articolazioni, come la rizoartrosi della base del pollice. «Anche i traumi occupano una parte importante, pensiamo a quelli domestici o sul lavoro, semplici come le distorsioni o complessi come la perdita di uno o più dita o le ustioni: tutti richiedono uguale attenzione, ma sicuramente diversi trattamenti».
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Giorgio Rafanelli • CHIRURGIA DELLA MANO
Il progresso della tecnologia ha favorito l’introduzione di tecniche chirurgiche mini invasive? «La miniaturizzazione degli strumenti ci permette di utilizzare procedure mini invasive: l’artroscopia di polso o la decompressione del nervo mediano in endoscopia prime tra tutte. La tecnologia è applicata ai sempre più sofisticati biomateriali utilizzati in chirurgia della mano, da quelli usati come “rimpiazzi” di parti mancanti, ai presidi che permettono una migliore guarigione senza eccessiva formazione di tessuto cicatriziale che inevitabilmente è destinato a imbrigliare tendini, nervi, legamenti operati». È necessaria la riabilitazione postoperatoria? «La risposta è il punto cardine su cui ruota la moderna chirurgia della mano. Il chirurgo opera con giudizio ed esperienza, ma un organo come questo deve essere seguito da un esperto terapista che abbia una formazione professionale specifica per il trattamento della mano. Per ogni atto chirurgico esiste un protocollo riabilitativo che il terapista adatta alle esigenze del paziente». Come avviene la riabilitazione? «Per le patologie più semplici la riabilitazione consiste essenzialmente in due o tre sedute informative su ciò che il paziente deve o non deve fare. Per quelle che hanno richiesto un intervento complesso, oltre a un periodo di
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CHIRURGIA DELLA MANO: CONCILIARE ESTETICA E FUNZIONALITÀ l chirurgo plastico, per forma mentis, può aggiungere agli aspetti ricostruttivi della mano un’attenzione particolare all’estetica, per quanto concerne le incisioni cutanee, le suture, la guarigione delle ferite senza ipertrofie o aderenze. Ma la chirurgia della mano sta trovando sempre più spazio anche nell’ambito prettamente estetico. «Posso dare un aspetto più giovane al volto, più rilassato allo sguardo, ma se non correggo anche le mani, queste saranno una nota stonata» afferma il dottor Rafanelli. Una cute della mano non più idratata con tendini, ossa e vasi sanguigni in evidenza, con la presenza di macchie scure, non può che denunciare l’età. «Se le macchie vengono eliminate dai laser, gli aspetti dell’invecchiamento vengono camuffati con un innesto di tessuto adiposo opportunamente trattato, prelevato dall’addome, dalle cosce, dalle braccia del paziente. L’intervento si può fare in anestesia locale e solitamente in un paio di sedute si ottiene un risultato duraturo». Si possono utilizzare anche filler. «Personalmente preferisco quelli riassorbibili che richiedono un trattamento all’anno e sono privi di gravi complicanze rispetto a quelli permanenti».
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relativa immobilizzazione con gesso, si devono preventivare diverse settimane di riabilitazione, che prevedono anche l’utilizzo di tutori statici o dinamici, confezionati appositamente sulla mano del paziente da terapisti specializzati, e utilizzati in modo personalizzato secondo le problematiche di ognuno. È doveroso sottolineare che la ripresa dell’utilizzo della mano e l’inizio della terapia devono essere immediati, dal giorno successivo all’intervento. Ciò è necessario per la prevenzione delle complicanze come l’edema, le rigidità, le aderenze, che spesso inficiano il recupero della funzione anche in presenza di un intervento perfettamente eseguito. Il ruolo del terapista è fondamentale anche nelle fasi iniziali di alcune patologie, come ad esempio tenosinoviti, compressioni nervose, rizoartrosi, perché il precoce confezionamento di un tutore dedicato, può portare alla risoluzione del problema senza arrivare all'intervento chirurgico».
In apertura il dottor Giorgio Rafanelli. Riceve a Ravenna e a Milano. In questa pagina, una fase di riabilitazione post operatoria grafanelli@tin.it
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MEDICINA ESTETICA • Anadela Serra Visconti
I TRATTAMENTI ESTETICI NON DEVONO ESSERE STAGIONALI di Ezio Petrillo PROPONIAMO UNA NUOVA FILOSOFIA DI BENESSERE. LA CURA DI SÉ COME REGOLA E NON COME ECCEZIONE VALIDA SOLO PER ALCUNI PERIODI DELL’ANNO. ECCO LE LINEE GUIDA DELLA MEDICINA ESTETICA DI OGGI. L’APPROCCIO DI ANADELA SERRA VISCONTI
urare il corpo come regola di vita. Oggi i trattamenti estetici non possono essere una sorta di “bacchetta magica” di cui usufruire in qualsiasi momento, ma devono costituire un’opportunità di benessere con delle regole molto precise da seguire. Sottoporsi a un check-up medico prima di iniziare qualsiasi trattamento estetico è una di queste. Ne discutiamo con Anadela Serra Visconti, chirurgo e direttore sanitario del Beauty Management
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La dottoressa Anadela Serra Visconti, medico chirurgo della Società italiana di medicina estetica, direttore sanitario del Beauty Management Medical Institute, coordinato dalla dottoressa Ester Marchesano info@beautymanagement.it
Medical Institute. La medicina estetica non è una medicina per l’estate ma un’opportunità per prendersi cura di sé e di prevenire e curare gli inestetismi. Questo messaggio, a suo
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avviso, è stato recepito dai pazienti? «È stato recepito solo in parte. C’è ancora chi vuole “tutto e subito” all’ultimo minuto, come ad esempio cancellare la cellulite a luglio per essere in forma ad agosto, mentre chi è più informato inizia per tempo i trattamenti. Certamente i pazienti che frequentano il mio studio, sono stati educati alla cura di sé e conoscono i tempi giusti per iniziare i trattamenti. Ma il compito del medico estetico responsabile è innanzitutto informare bene i “nuovi arrivati” sulla filosofia della medicina estetica: l’estate arriva ogni anno ma il nostro corpo, per essere in forma, deve essere curato e seguito sempre. La cura del corpo deve diventare una regola di vita e non un’operazione da fare “una tantum”». Come avviene il check-up medico-estetico? «Il medico accoglie il paziente e lo valuta nel suo insieme, ponendo particolare attenzione allo stato di salute generale, elemento indispensabile per ogni programma sia per il viso che per il corpo. Il check-up inizia quindi con una visita medica approfondita, corredata da anamnesi e richiesta di una serie di analisi del sangue, per valutare i parametri
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Anadela Serra Visconti • MEDICINA ESTETICA
ELIMINIAMO LE MACCHIE DAL VISO IN UNA SOLA SEDUTA l “fiore all’occhiello” tra le tecniche non invasive della Beauty Management è una particolare maschera depigmentante che, in una sola seduta, cancella tutte le macchie dal viso. Si applica nello studio medico e va tenuta per 10 ore, poi si risciacqua e in circa 20-30 giorni, seguendo un protocollo personalizzato, si ottiene la scomparsa delle macchie con un viso roseo, quasi senza rughe. «Pensiamo non solo alle piccole macchiette da eccesso di sole o al foto-invecchiamento, ma anche a quelle enormi macchie scure presenti in donne giovani – spiega la Visconti -. Compaiono spesso dopo una gravidanza, su fronte, guance e baffetti, e limitano molto la vita sociale, creando notevoli problemi psicologici. Questa maschera ha effetti straordinari, e restituisce alle pazienti la voglia di vivere». Del resto la medicina estetica, oltre ad educare deve dare anche soluzioni concrete ai problemi.
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più comuni e quelli ormonali. In sostanza si effettua una visita medica completa. A queste valutazioni di laboratorio, si aggiunge, tramite apposite apparecchiature, il vero e proprio check-up della pelle, che ci permette di stabilire l’età biologica della cute e le cure cosmetologiche più opportune». Quali sono i metodi e le apparecchiature più innovative in campo medico estetico? «Per il viso, decisamente il “plasma care” o flusso di elettroni e la radiofrequenza: metodiche che aiutano a ringiovanire e tonificare la pelle stimolando la produzione di collagene ed elastina, le proteine che mantengono giovane la pelle. Tra le novità c’è il cosiddetto “liquid lift”, una sorta di ringiovanimento ad alto impatto estetico, che si ottiene senza bisturi, ma solo iniettando liquidi nel viso, in particolare, acido ialuronico NASHA (di origine non
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animale) attraverso particolari micro- cannule. Il risultato è istantaneo e non necessita neppure di anestesia locale. Per il corpo direi che la tecnica più innovativa è la terapia diamagnetica: si tratta di un apparecchio CTU MEGA18 dotato di un potente magnete (drena i tessuti eliminando la stasi dei liquidi) e la Cavitazione. Ogni trattamento necessita di una prescrizione dietologica personalizzata». Oggi è in crescita il numero di uomini che si rivolgono alla medicina estetica? «Decisamente sì. Gli uomini sono molto attenti al loro aspetto e ci tengono a rimanere giovani: vengono per riempire le rughe, per cancellare le macchie del viso e delle mani, per fare la tossina botulinica che distende la fronte e rialza le sopracciglia. Richiedono spesso anche una cosmesi personalizzata che li aiuti a mantenere giovane la pelle».
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RINOPLASTICA • Renato Zaccheddu
VERSO UN PROFILO PIÙ ARMONICO
INTERVENIRE SUL NASO. NON SOLO PER MIGLIORARNE L’ESTETICA MA, IN CERTI CASI, ANCHE LA FUNZIONALITÀ. IL DOTTOR RENATO ZACCHEDDU ILLUSTRA LE ULTIME NOVITÀ IN TEMA DI RINOPLASTICA
di Eugenia Campo di Costa uno tra gli interventi di chirurgia estetica più richiesti. E anche uno dei più antichi. Oggi la rinoplastica, effettuata con tecnologie sempre più evolute e sempre meno invasive, coinvolge un numero crescente di persone, uomini e donne. «La rinoplastica non interessa una tipologia specifica di pazienti – afferma il dottor Renato Zaccheddu-, essendo abbastanza distribuita nei due sessi e nelle varie fasce d’età. Prevale forse il sesso femminile in un’età compresa tra i 18 e i 40 anni. Tuttavia sono in crescita i pazienti che richiedono l’intervento dopo i 50 anni». Le ragioni si relazionano a un modo sempre più attento di vedere e percepire il proprio corpo, anche nella seconda parte della vita, nonché a una disponibilità economica che magari non può essere raggiunta in età più
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Il dottor Renato Zaccheddu nel suo studio di Milano renato@renatozaccheddu.com - www.renatozaccheddu.com
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giovane. Inoltre, «la rinoplastica, insieme alla liposuzione, è al top delle richieste di chirurgia estetica anche da parte degli uomini, sempre più attenti al loro aspetto fisico». Quali parametri devono essere considerati per ottenere un effetto naturale? «Bisogna rispettare le proporzioni con il resto del viso. Non alzare eccessivamente la punta. Non dare alla punta un aspetto “pinzato”. Non restringerlo troppo né incurvare eccessivamente il dorso nel suo profilo». Quali sono le ultime innovazioni tecniche in questo tipo di intervento? «Si può dire che la tendenza degli ultimi anni è quella di usare sempre più innesti di cartilagine. In altre parole, la parte della struttura cartilaginosa che viene rimossa per ridurre la dimensione del naso, viene immediatamente riutilizzata per rinforzare alcune zone che tendono ad indebolirsi col tempo. Non è, in realtà, una cosa nuova ma sta tornando in auge con decisione. Un altro aspetto consiste nel ricorrere sempre più di frequente alla rinoplastica aperta, che prevede una piccola incisione alla base del naso. Incisione che diventa impercettibile dopo qualche settimana. Questa tecnica permette di lavorare molto più precisamente sulla punta e quando si devono applicare i sopracitati innesti di cartilagine». Si può ricorrere all’intervento di rinoplastica anche per migliorare la funzione OTTOBRE 2010
Renato Zaccheddu • RINOPLASTICA
respiratoria. Su quali aspetti si interviene in questi casi? «Talvolta la respirazione nasale è resa difficile da una deviazione settale. Oppure dall’ipertrofia dei turbinati o “cornetti”. In questo caso non si esegue una semplice rinoplastica ma una rinosettoplastica dove, oltre a migliorare la parte esterna del naso, si correggono le deformità appena citate».
Bisogna rispettare le proporzioni del viso. Non alzare eccessivamente la punta. Non restringere né incurvare troppo il dorso minciare dopo 4 settimane».
Quale l’“iter” da seguire, prima, durante e dopo l’intervento? «Dopo la visita preliminare col chirurgo, si fanno degli esami del sangue e un elettrocardiogramma di routine. Nel caso della rinoplastica possono essere necessarie anche delle radiografie o una Tac. L’intervento viene eseguito di solito in regime di ‘day surgery’ e il paziente viene dimesso il giorno stesso. Raramente si richiede la degenza in clinica per una notte. Prima della dimissione vengono rimossi i tamponi che sono, nella mia pratica, delle semplici garze imbevute con vaselina in modo da non aderire alle mucose nasali. Questo fa sì che la rimozione sia indolore. Una settimana dopo l’intervento viene rimosso il gessetto sul dorso del naso. Il ritorno all’attività lavorativa avviene dopo 1 o 2 settimane. L’attività fisica può invece rico-
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Quali i possibili effetti collaterali? «Difficoltà respiratorie se si è ridotta troppo la struttura nasale. Spesso però l’eventuale difficoltà respiratoria è riferibile a un gonfiore interno delle mucose che si risolve nel giro di qualche settimana o qualche mese. Retrazioni cicatriziali sul dorso o sulla punta nasale possono portare a una irregolarità del contorno o della forma nel tempo. Altri possibili effetti collaterali sono l’indurimento temporaneo della punta, l’aumentata sensibilità della pelle o, al contrario, iposensibilità. Per qualche periodo può manifestarsi la sensazione di sentire odori che in realtà non ci sono. In generale sono comunque effetti collaterali non permanenti, che pertanto non dovrebbero destare particolare preoccupazione».
Alcuni esempi di prima e dopo l’intervento di rinoplastica effettuato dal dottor Renato Zaccheddu
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LO SPECIALISTA RISPONDE
Ustioni e interventi chirurgici
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Qualche anno fa ho avuto un incidente che mi ha comportato ustioni di terzo grado sul volto, sulle mani e sulle braccia. Oggi le cicatrici persistono, nonostante abbia già provato a sottopormi a un intervento chirurgico per mimetizzarle. Non riesco ad accettare il mio aspetto in queste condizioni. Crede che potrei fare qualcosa per migliorare? Crede che nuove tecniche chirurgiche potranno aiutarmi se non subito, almeno in futuro? Andrea (Napoli)
i dispiace, ma mi trovo costretto a dirle che purtroppo le ustioni causano ai tessuti dei danni irreversibili. Gli interventi che si eseguono sono solo funzionali, per rimuovere ad esempio eventuali briglie cicatriziali che coinvolgono le articolazioni come le mani, i gomiti, le ascelle. In nessun caso è possibile resti-
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tuire al paziente un normale aspetto estetico. Per far comprendere ai pazienti questa durissima verità porto sempre l’esempio Niki Lauda. Lei ricorderà che il pilota della Ferrari subì un terribile incidente il primo agosto 1976 sul circuito del Nürburgring, nel Gran premio di Germania, quando uscì di strada con la sua Ferrari. In seguito all’incidente riportò gravissimi ustioni al volto. Bene, Lauda è sicuramente sufficientemente facoltoso da poter scegliere il centro migliore al mondo, ovunque esso sia, e pagare il più bravo chirurgo esistente sulla piazza per cancellare i suoi terribili esiti cicatriziali. Perché allora il suo volto risulta ancora sfigurato? Certo non perché sia indifferente al problema. Semplicemente perché purtroppo non esiste posto al mondo dove sia possibile cancellare i segni di un’ustione. Bisogna imparare a convivere con questa realtà che, anche se dura da accettare, non è così invalidante nell’affrontare la quotidianità.
Roy de Vita Specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva
LO SPECIALISTA RISPONDE
> Un palloncino
per la sinusite Soffro spesso di un forte mal di testa causato da sinusite. Inoltre, questa mi crea spesso problemi respiratori. Sono però titubante circa il risolvere tutto per via chirurgica. Erika (Roma) Esistono soluzioni meno invasive? ggi disponiamo di nuovi farmaci e vaccini desensibilizzanti che, dopo attente e avanzate indagini diagnostiche, vengono assunti dai pazienti per bocca o per spray nasale. Sono prodotti di grande efficacia nella risoluzione dei problemi respiratori. Anche qui, tuttavia, nei casi in cui è necessario un trattamento chirurgico, è sempre preferibile intervenire per via endoscopica, con le radiofrequenze e i micro-debrider. Tale strumento consente per esempio l’asportazione dei polipi senza sanguinamenti o traumi alla mucosa nasale sana, consentendo una rapida guarigione ed evitando soprattutto i fastidiosi tamponamenti nasali. Possiamo anche correggere deviazioni del setto in modo mini-invasivo, limitando gli scollamenti e i traumatismi a minime aree di restringimento del flusso aereo. Molto recentemente è stata messa a punto una tecnologia rivoluzionaria, introdotta a integrazione della chirurgia endoscopica per il trattamento delle rinosinusiti croniche con ristagno di muco all’interno dei seni paranasali. Si tratta della sinuplastica dilatativa. La tecnica ruota attorno all’utilizzo di un palloncino che viene gonfiato all’interno del seno coinvolto dall’infiammazione, consentendo il rapido drenaggio e la guarigione della sinusite stessa. La metodica è indolore,
O Il professor Lino Di Rienzo Businco, specialista in Otorinolaringoiatria e Audiologia, esercita a Roma ldirienzo@businco.net www.businco.net
minimamente invasiva e non prevede l’applicazione di tamponi nasali né perdita di sangue, riducendo in tal modo al minimo i disagi per il paziente. La sinuplastica può essere eseguita su tutti i pazienti, anche in concomitanza con terapie mediche nasali o generali in corso per la sinusite stessa. Il sistema innovativo è basato su una tecnica a catetere importata dalle metodiche di emodinamica interventistica, pensiamo all’angioplastica vascolare coronarica e periferica. Grazie a questa pratica siamo in grado di eseguire una dilatazione, attraverso il gonfiaggio a pressione di un palloncino specifico, delle aperture naturali dei seni paranasali. Tale apertura funzionale degli osti dei seni consente il rispetto della mucosa circostante, che non viene in alcun modo tagliata o strappata. In tal modo si ripristina il corretto drenaggio fisiologico sinusale e la sua ventilazione, con guarigione della sinusite stessa. Inoltre, la stessa tecnologia consente il posizionamento di un palloncino “spacer” all’interno del seno malato, contenente una riserva di farmaco antinfiammatorio ad azione locale. Questo viene rilasciato in maniera ritardata e graduale per 28 giorni. Si tratta di un ulteriore prezioso strumento mini-invasivo per la guarigione del paziente affetto da sinusite.
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LO SPECIALISTA RISPONDE
> Quando aumentano
le allergie Sono allergico alla polvere e questo ovviamente mi crea diversi problemi. Quali sono le terapie più indicate? È vero che le allergie sono in costante aumento? Gianni (Torino)
difficile dire se le allergie siano o no in aumento. Sicuramente tale patologia è sempre esistita, ma soprattutto in passato misconosciuta. Quante terapie antibiotiche sono state “sprecate” per curare pazienti con rinite e asma da polline, pensando a forme settiche da aria condizionata? O, come lamentavano molti pazienti, perché “avevano sudato stando in corrente”? Sicuramente il numero degli allergeni è aumentato. Pensiamo a quante nuove sostanze vengono impiegate nelle moderne lavorazioni industriali, a quanti conservanti, coloranti e additivi ingeriamo con i cibi. A quanti nuovi farmaci sono utilizzati oggi. Addirittura respiriamo anche nuovi tipi di polline, di specie vegetali che in passato in Italia non esistevano e che ora, provenienti dall’estero, sono endemiche. Tipico esempio è l’ambrosia, il cui polline è crescente fonte di sensibilizzazione. L’inquinamento urbano poi, irritando le vie aeree e in tal modo favorendo la penetrazione dell’allergene e livello delle mucose infiammate, è ulteriore causa di sensibilizzazioni allergiche. Per contro, anche la perfetta igiene, ormai tipica, delle nostre case, favorisce, sembra assurdo, la sensibilizzazione agli acari della polvere. Questo avviene in virtù della “legge” immunologica la quale ci dice che l’esposizione a basse dosi di allergene favorisce la sensibilizzazione, mentre il contatto massiccio e continuo a una determinata sostanza ben difficilmente causerà allergia. Il contadino, ad esempio, normalmente non si
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Il dottor Francesco Furno, allergologo, esercita a Torino dott_furno@tin.it
allergizza al polline. Inoltre, sempre per rispondere alla sua domanda un ulteriore difficoltà deriva dal fatto che ben pochi allergici arrivano dallo specialista, preferendo, nella maggior parte dei casi, curarsi in modo estemporaneo, con sintomatici da banco, o addirittura con blandi rimedi omeopatici. Purtroppo i farmaci non curano l’allergia, ma rendono solo il sintomo più sopportabile, perdendo, tra l’altro, con il tempo, la loro efficacia. In realtà sovente la malattia, se non curata, tende ad aggravarsi. Ecco quindi che molte riniti evolvono in asma. L’unico presidio che veramente cura una sensibilizzazione allergica, laddove è possibile praticarlo, è il vaccino. Questo blocca l’avanzare della malattia e la fa gradualmente regredire, attutendone in maniera considerevole i sintomi. Oggi come oggi esistono vaccini efficaci e privi di rischi, da quelli per via orale, a uno ancora più comodo, che comporta una o due somministrazioni all’anno per via intradermica.
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EPIGENETICA • Barry M. Lester
QUEL LEGAME INESTRICABILE TRA GENI E AMBIENTE di Riccardo Casini L’EPIGENETICA COMPORTAMENTALE COSTITUISCE LA BRANCA PIÙ RECENTE DI UN CAMPO DI STUDI IN NETTA ASCESA, COME SPIEGA BARRY M. LESTER, PROFESSORE DI PSICHIATRIA E PEDIATRIA ALLA WARREN ALPERT MEDICAL SCHOOL DELLA BROWN UNIVERSITY
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l primo a parlare di epigenesi fu Aristotele, tre secoli prima di Cristo, poi negli anni Settanta sono iniziati i primi studi sull’argomento. Ma è solo nell’ultimo decennio che l’epigenetica ha iniziato a essere presa in seria considerazione come materia di studio e ricerca. Fino a diventare in questi giorni protagonista di un convegno a Boston organizzato, tra gli altri, da Barry M. Lester, professore di Psichiatria e Pediatria alla Warren Alpert Medical School della Brown University di Providence (Rhode Island), dove Lester presiede anche il Centro per lo studio dei bambini a rischio. «L’emergere del campo dell’epigenetica – spiega – ha cambiato per sempre il modo in cui pensiamo a come siamo influenzati dal nostro patrimonio genetico. L’epigenetica è lo studio di come la funzione dei geni o dell’espressione genica può essere cambiata senza di fatto influire sulla struttura di base del gene. I processi epigenetici sono parte di un normale processo di sviluppo, per esempio durante la divisione cellulare. Inoltre, ora sappiamo che i singoli nutrienti, tossine ed esposizioni ambientali pre- e post-parto possono mettere a tacere o attivare un gene senza alterare il suo codice genetico». Le applicazioni possono facilmente essere immaginate: «la maggior parte dei lavori in materia – prosegue Lester – ha cercato di capire come i fattori ambientali possono ripercuotersi su malattie del genere umano come il cancro. Ad esempio, i meccanismi dell’epigenetica sono pensati per spiegare come le carenze a livello di dieta nella donna incinta aumentino nei figli il rischio di diabete, collasso e malattie cardiache durante la loro vita. Ciò significa che possiamo smettere di discutere su cosa, tra geni e ambiente, abbia un impatto maggiore, dal momento che questi sono inestricabilmente legati. E gli eventi ambientali possono manifestarsi attraverso cambiamenti biochimici sia alla nascita che dopo 40 anni». Il focus del convegno riguarda però in particolare l’epigenetica comportamentale, una nuova disciplina «che
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Barry M. Lester • EPIGENETICA
deriva dall’applicazione dei cambiamenti chimici studiati in cellule staminali e tumorali (come la metilazione del Dna) al campo comportamentale, prima negli animali e oggi nell’uomo. Personalmente – spiega Lester – la definisco come l’applicazione dei principi dell’epigenetica allo studio dei meccanismi di comportamento a livello fisiologico, genetico, ambientale e di sviluppo, negli animali e nell’uomo. L’epigenetica comportamentale solitamente svolge indagini a livello di cambiamenti
Alcune droghe psicoattive, come la cocaina, causano cambiamenti in alcuni dei cofattori coinvolti nel sistema regolatorio genetico chimici, espressione genica e processi biologici, tutti alla base di comportamenti normali e anormali. Questo include il modo in cui il comportamento influenza e viene influenzato dai processi epigenetici. Si tratta di una materia dall’approccio interdisciplinare, che attinge da settori come neuroscienza, psicologia e psichiatria, genetica, biochimica e psicofarmacologia». Anche lo studio di Lester sui processi di sviluppo nei bambini a rischio muove in questa direzione. I fattori di rischio possono essere di tipo biologico (prematurità ma anche esposizione pre-parto a alcol, tabacco o droghe illegali) o sociale, come povertà e ambiente domestico. E lo studio dell’interazione tra i due può fornire una comprensione dei meccanismi che determinano il risultato dello sviluppo.
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Nel frattempo gli effetti dell’epigenetica sono stati studiati in modelli animali di depressione, dipendenza, schizofrenia e disordini neuro-evolutivi, ma la ricerca prosegue sull’uomo. Secondo Lester infatti «alcune droghe psicoattive come cocaina o antipsicotici causano cambiamenti in alcuni dei cofattori coinvolti nel sistema regolatorio genetico. Con una comprensione dei meccanismi molecolari coinvolti nella modulazione epigenetica, potrebbe essere possibile sviluppare terapie mirate per quegli individui nei quali questa funziona male». D’altra parte, come si chiede Lester, «se l’epigenetica fornisce il collegamento mancante tra l’ambiente e lo sviluppo di malattie, un collegamento che va oltre i cambiamenti nel Dna (i quali spiegano solamente una parte delle malattie che l’uomo sviluppa), questo non può accadere anche per le alterazioni comportamentali?».
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PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI • Antonio Colombo
CURE E PREVENZIONE PER LE ARTERIE CORONARICHE di Nike Giurlani LE NUOVE FRONTIERE PER LA CURA DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI. IL PROFESSOR ANTONIO COLOMBO RICORDA, PERÒ, ANCHE L’IMPORTANZA RICOPERTA DALLA PREVENZIONE olte le novità nel campo della diagnosi e nella cura delle malattie cardiovascolari, e, in particolare, rilevanti progressi sono stati raggiunti per quanto riguarda le sindromi coronariche acute, come spiega il professor Antonio Colombo, primario dell’Unità di Emodinamica e Cardiologia interventistica presso l’Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano e direttore del laboratorio di Emodinamica presso la Casa di cura Columbus di Milano. Buone performance vengono anche dal mondo degli stent di seconda generazione i quali «appaiono più sicuri in termine di ridotto rischio di trombosi sia recente che tardiva», rileva Colombo. Se da una parte si stanno registrando notevoli passi in avanti per quanto concerne la cura delle malattie cardiovascolari, non bisogna sottovalutare l’importanza ricoperta dalla prevenzione che rappresenta sempre un’arma vincente per mantenere in forma le arterie coronariche.
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Quali sono le principali terapie farmacologiche consigliate nel caso A sinistra, il professor Antonio Colombo, primario dell’Unità di Emodinamica e Cardiologia interventistica presso l’Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano
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di malattie cardiovascolari? «In questi casi si utilizzano antiaggreganti piastrinici, quali aspirina e clopidogrel e statine per ridurre il colesterolo. In alcuni casi, se necessario, è opportuno includere nella terapia anche farmaci anti ipertensivi». Qual è lo stato della ricerca per quanto riguarda le sindromi coronariche acute? «In questo campo sono stati fatti molti progressi. Sono stati, infatti, introdotti nuovi farmaci antipiastrinici più potenti del clopidogrel come il prasugrel, farmaci antitrombotici quali la bivalirudina, che in molti casi possono sostituire gli inibitori 2b/3° riducendo il rischio di sanguinamento e di mortalità. È stato inoltre riaffermato il ruolo dell’angioplastica primaria e la sicurezza degli stent medicati». Per quanto riguarda invece la rivascolarizzazione miocardica, quali importanti passi in avanti sono stati compiuti? «Gli stent medicati di seconda generazione appaiono più sicuri in termini di ridotto rischio di trombosi sia recente che tardiva. In molti casi di malattia coronarica del tronco comune, l’angioplastica con stent medicato, appare una buona alternativa alla cardiochirurgia. È stato inoltre introdotto il Syntax score, che valuta in
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Antonio Colombo • PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI
maniera numerica la complessità della malattia coronarica. Pazienti con numerose stenosis coronariche, definite come multiple e complesse, includendo anche vasi coronarici completamente occlusi che si dimostrano avere un Syntax score alto, superiore a 33, sembra che attualmente beneficino di più del by-pass aortocoronarico rispetto all’angioplastica con stent. Non sappiamo se tale affermazione sia valida anche per gli stent medicati di seconda generazione in quanto lo studio Syntax è stato effettuato con stent medicati di prima generazione». Dal confronto con la comunità scientifica internazionale quali sono i principali successi raggiunti? Quali le prossime sfide? «Il principale successo raggiunto dalla cardiologia interventistica è la possibilità di sostituire la valvola aortica per via percutanea senza la necessità d’intervento chirurgico. Pazienti considerati ad alto rischio per intervento chirurgico tradizionale ora possono essere trattati con successo con impianto di valvola aortica per via percutanea, senza necessità di apertura del torace e senza anestesia generale. Sono stati portati a termine anche progressi nel trattamento dell’insufficienza mitralica. Ora è possibile riparare la valvola mitralica con un intervento eseguito per via percutanea. Inoltre, come già sottolineato, l’introduzione di stent medicati di seconda generazione sembra avere risolto il problema
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È importante che i pazienti ipertesi controllino costantemente la pressione arteriosa e in generale è fondamentale praticare attività fisica e monitorare il livello di colesterolo della trombosi tardiva o, perlomeno, è stato molto ridimensionato». Portare avanti anche una terapia di prevenzione e combattere le cattive abitudini rappresentano dei passaggi fondamentali per mantenere in forma le arterie coronariche. Quali i principali consigli? «Come sempre la prevenzione è l’arma migliore. Attualmente si può affermare che smettere di fumare è il passo più importante, ma ci sono altri aspetti che non vanno sottovalutati. È importante che i pazienti ipertesi controllino costantemente la pressione arteriosa, mentre quelli diabetici devono mantenere sotto controllo lo stato del diabete. È fondamentale praticare attività fisica e tenere monitorato il livello di colesterolo con una dieta opportuna e, se necessario, anche attraverso l’assunzione di farmaci».
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PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI • Carlo Di Mario
CHIRURGHI E CARDIOLOGI MAI COSÌ UNITI PER AIUTARE I PAZIENTI I NUOVI STUDI E GLI IMPORTANTI TRAGUARDI RAGGIUNTI NEL CAMPO DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI ILLUSTRATI DAL PROFESSOR CARLO DI MARIO di Nike Giurlani I grandi studi d’intervento condotti in questi anni hanno dimostrato che è possibile ridurre, mediante l’impiego di opportune terapie, la mortalità e la morbilità legate alle malattie cardiovascolari. «L’ultimissima novità è uno studio riportato al Tct di Washington e pubblicato sul New England Journal of Medicine il 22 settembre» rileva Carlo Di Mario, primario cardiologo presso il Royal Brompton Hospital a Chelsea, Londra, e professore di cardiologia presso l’Imperial College di Londra. «Si tratta di uno studio sulla
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In alto, Carlo Di Mario, primario cardiologo presso il Royal Brompton Hospital a Chelsea, Londra, e professore di Cardiologia presso l’Imperial College di Londra
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Carlo Di Mario • PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI
malattia della valvola aortica in crescente diffusione, la stenosi degenerativa calcifica, che ha molte cause in comune con l’aterosclerosi delle coronarie e di altri vasi». In questo caso tre lembi valvolari, normalmente sottili e molto mobili, «si ispessiscono e si riempiono di precipitazioni di colesterolo e calcio che formano grossi noduli e ostruiscono l’efflusso di sangue dal ventricolo sinistro». Quando compaiono sintomi e sforzi progressivamente minori «che inducono mancanza di respiro, dolore al petto o perdita di coscienza, la prognosi è grave, a meno che non si intervenga chirurgicamente», sottolinea Di Mario. «Quasi un terzo dei pazienti sono però troppo debilitati dall’età o da altre malattie concomitanti per affrontare un intervento chirurgico tradizionale con sternotomia e bypass cardiopolmonare» conclude il professore Di Mario. Quali quindi le soluzioni adottate? «Un cardiologo francese di Rouen, Alan Cribier, ha suggerito un metodo alternativo: cucire una valvola fatta di pericardio di bue su un grosso stent, stringendola intorno ad un pallone che la rilascia al posto della valvola stenotica. Quindici anni fa, alcuni dei più famosi chirurghi d’Europa avevano stroncato l’idea con giudizi trancianti, ora sono proprio gli stessi chirurghi che ci chiedono di collaborare per riuscire ad aiutare pazienti altrimenti inoperabili. I cateteri per impiantare queste valvole sono ancora molto grandi, 6 mm e più, e solo nella metà dei casi le val-
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I pazienti debilitati dall’età o da altre malattie concomitanti hanno difficoltà ad affrontare un intervento chirurgico tradizionale vole si inseriscono come gli stent coronarici, cioè attraverso una puntura all’inguine». Che cosa avviene nell’altra metà dei casi? «Il chirurgo deve isolare l’arteria succlavia sotto la clavicola sinistra o fare una finestra all’apice del cuore o sull’aorta ascendente tagliando sotto la clavicola destra. Anche queste sono operazioni minime e ben tollerate e la valvola si rilascia sempre a cuore battente». Quali i vantaggi offerti a questi pazienti altrimenti inoperabili? «La metà dei pazienti lasciati in terapia medica (randomizzati) morivano nel 50% dei casi entro un anno, l’altra metà trattata con una valvola attraverso un catetere aveva una mortalità, ad un anno, del 40% inferiore. In altre parole, bastava trattare cinque pazienti con queste valvole per essere sicuri di avere salvato la vita a uno di loro che altrimenti sarebbe morto entro l’anno. Lo studio è stato denominato “partners” perchè i risultati sono ottenibili solo attraverso la collaborazione tra chirurghi e
cardiologi, superando le polemiche sterili del passato». Quali sono le ultime novità sulla rivascolarizzazione con angioplastica? «La terapia con angioplastica è ormai una realtà consolidata, sono già stati presentati i risultati di vari studi che hanno paragonato il risultato di stent medicati (“drug eluting”, a rilascio di farmaci antiproliferativi) di prima e seconda generazione. Questi ultimi hanno ridotto le già basse percentuali di pazienti che richiedono una nuova angioplastica nei primi mesi dopo lo stent e hanno confermato la sicurezza nella prevenzione della trombosi dello stent, che si verifica, a un anno, in un caso su 200, quasi solo per errori del medico, che ha impiantato lo stent male, o del paziente, che ha dimenticato le medicine antipiastriniche. Il nuovo clima di collaborazione con i colleghi cardiochirurghi si è tradotto in un importantissimo documento congiunto della Società europea di cardiologia (Esc) e dell’Associazione dei chirurghi cardiotoracici (Eacts), pubblicato ad agosto sui due giornali delle società».
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PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI • Carlo Di Mario
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Qual è l’aspetto principale delle nuove linee guida? «Risulta fondamentale affrontare, in modo dettagliato, le varie condizioni anatomiche e cliniche che richiedono un intervento meccanico con angioplastica o chirurgico per portare più sangue al muscolo del cuore. In breve, l’angioplastica con i nuovi stent medicati va applicata liberalmente in tutti i casi, come, per esempio, l’infarto acuto o l’angina instabile, a riposo o con attacchi ingravescenti. Se il problema è più sfumato e il dolore al petto compare solo sotto sforzo o non ci sono sintomi, ma l’elettrocardiogramma o altre metodiche di valutazione della funzione cardiaca mostrano una sofferenza del muscolo legata ad ischemia, vi è indicazione ad aprire le coronarie con stent o chirurgicamente, se la malattia coinvolge arterie principali, compresa quella fondamentale per la parete anteriore del cuore (Lad)».
ragonato stent medicati e chirurgia tradizionale? «Questi dati ci hanno permesso di confermare che la chirurgia è da preferire quando in tutte le arterie principali vi sono lunghi segmenti malati e restringimenti molto complessi che coinvolgono vari rami di biforcazione. Negli altri casi, comprese alcune lesioni dell’origine della coronaria sinistra, che un tempo erano solo appannaggio della chirurgia, l’angioplastica con stent a eluzione di farmaco ha dato prova di offrire risultati paragonabili alla chirurgia. Quando la decisione non è ovvia la cosa migliore è discutere il caso in un gruppo di cardiologi clinici, interventisti e cardiochirurghi per raggiungere una conclusione personalizzata che consideri il rischio operatorio e la probabilità di successo con angioplastica su tutte le arterie interessate. Se le aspettative in termini di mortalità sono simili, è importante fare conoscere con onestà al paziente i risultati a lungo termine. Quali i risultati a tre anni L’angioplastica può richiedere dello studio Syntax, che ha pa- più frequentemente una nuova correzione o trattamento a distanza di mesi rispetto alla chirurgia che richiede però un più
La nuova epidemia di malattia coronarica è dovuta all’obesità che porta con sé diabete, ipertensione, ipercolesterolemia
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lungo periodo di riabilitazione e si associa ad un moderato incremento del rischio». Quali sono gli studi e le innovazioni che premono particolarmente la comunità scientifica internazionale che si interessa delle malattie cardiovascolari? «Due importanti studi sono in fase di avanzata preparazione e forniranno tra 2-3 anni informazioni importanti per decidere le migliori modalità di trattamento sia nella malattia coronarica che valvolare aortica. Lo studio Syntax ha usato stent medicati di prima generazione senza avvantaggiarsi di tecniche sofisticate per garantire un buon impianto come l’ecografia intravascolare. Ora, un nuovo studio chiamato Excel, che partirà nelle prossime settimane nei cinque continenti, dovrà stabilire se l’angioplastica, con questi nuovi presidi e tecniche, può essere equivalente alla chirurgia anche in situazioni più complesse». Che cosa caratterizzerà lo studio chiamato Surtavi? «Tale studio userà le valvole aortiche su catetere come alternativa alla terapia chirurgica convenzionale in pazienti che hanno un rischio operatorio medio-elevato ma non sono totalmente inoperabili. Questi studi sono indispensabili perché la comunità medica, i pazienti e il ministero della Salute dei vari Paesi europei non accettano più nuove terapie, specie se costose, in assenza di prove inequivocabili». Quali sono le principali sfide che intendete portare avanti? «Due gli obiettivi che la cardio-
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Carlo Di Mario • PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI
A sinistra, uno stent
logia interventistica deve raggiungere. Il primo è la creazione di una rete d’intervento rapido per il trattamento di pazienti con occlusione coronarica acuta (infarto miocardico acuto). La miglior terapia è la disostruzione meccanica dell’arteria occlusa con aspirazione del trombo e impianto di stent (angioplastica primaria), ma questa deve essere eseguita il prima possibile, idealmente entro le prime 2-3 ore dall’esordio del dolore acuto. È quindi importante che chiunque abbia un dolore toracico acuto chiami immediatamente il 118, richiedendo un’ambulanza attrezzata con sistemi per registrare e trasmettere un elettrocardiogramma e allertando il personale dei centri dove l’angioplastica può essere eseguita al più presto. La Società interventistica europea (Eapci) ha promosso un’iniziativa chiamata “Stent for life”, che vuole promuovere l’applicazione dell’angioplastica primaria in Europa. Il presidente della Società interventistica italiana (Gise), il dottore Giulio Guagliumi di Bergamo, ha ufficialmente aderito al programma per facilitare la diffusione di questa pratica in tutto il territorio italiano, anche
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se in realtà è già frequentemente usata al Nord e nelle grandi città». Qual è, invece, il secondo obiettivo? «Lo sviluppo di tecniche per aprire occlusioni coronariche totali croniche, presenti in quasi un quarto dei pazienti e spesso conseguenti ad episodi di attacco coronarico acuto misconosciuto o passato silente. Gruppi dedicati con materiale adeguato sono in grado di aprire l’80% di queste occlusioni ma spesso questi malati continuano ancora a soffrire di angina mal controllata dai farmaci o sono avviati a bypass aortocoronarico». Che ruolo deve giocare la prevenzione, per quanto riguarda le malattie cardiovascolari? «La prevenzione è fondamentale.
C’è stato, per esempio, un significativo miglioramento per quanto riguarda la lotta al fumo, che causa seri problemi vascolari e coronarici, e può portare alla morte. La nuova epidemia di malattia coronarica è dovuta all’obesità che porta con sé diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, problemi divenuti frequenti anche in paesi tradizionalmente esonerati come India e Cina. Purtroppo molti genitori non controllano adeguatamente la dieta dei bambini, che assumono spesso snack ipercalorici. Dopo angioplastica o bypass coronarico è importante, inoltre, tenere sottocontrollo i fattori per prevenire recidive. Quando è possibile, è utile praticare del regolare esercizio aerobico, in quanto contribuisce ad allungare l’aspettativa di vita e la sua qualità».
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FIBROSI CISTICA • Alessandra Polissi
UN BATTERIO DA SCONFIGGERE I MALATI DI FIBROSI CISTICA SONO PARTICOLARMENTE SOGGETTI AGLI ATTACCHI DELLO “PSEUDOMONAS AERUGINOSA”. ALESSANDRA POLISSI, RICERCATRICE ALL’UNIVERSITÀ MILANO BICOCCA, STA STUDIANDO IL MODO DI COMBATTERLO di Michela Evangelisti a fibrosi cistica è la malattia congenita, cronica, evolutiva, trasmessa con meccanismo autosomico recessivo più frequente nella popolazione caucasica: ne è affetto un neonato ogni 2.500-2.700 nati vivi. Quando in una coppia
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Alessandra Polissi, ricercatrice all’Università Milano Bicocca; in alto, a destra, il gruppo di ricerca
«Si tratta di un progetto di ricerca che ha individuato dei nuovi bersagli di Pseudomonas aeruginosa, ovvero delle proteine che servono per trasportare un’importante struttura di superficie del batterio, essenziale per la sua vitalità. Queste proteine, quindi, sono a loro volta indispensabili per la vita del batterio stesso. Le abbiamo identificate in origine in Escherichia coli e ci siamo detti che valeva la pena approfondire con uno studio il loro funzionamento. Possono, infatti, rappresentare un eccellente bersaglio per disegnare delle molecole che possano funzionare da inibitori di questo sistema di trasporto nello Pseudomonas, e che potrebbero essere sviluppate come antibiotici. Si tratterebbe di una classe di antibiotici completamente nuova, perché agirebbe su proteine che non sono mai state utilizzate prima d’ora come bersagli; stiamo parlando infatti di funzioni identificate da pochissimo tempo nei batteri».
entrambi i partner sono portatori sani, vi è una proCom’è nata l’idea di questo studio? babilità su quattro che ad ogni gravidanza nasca un «Abbiamo scoperto la funzione di questi geni in collaborafiglio fibrocistico. In Italia ogni settimana nascono zione con altri laboratori di ricerca nel mondo ai quali quattro persone malate di fibrosi cistica e ne muore una. Per ora non esiste una cura definitiva, ma è possibile agire sui sintomi della malattia e sulle cause che ne aggravano le manifestazioni. Questo lo spirito che guida la ricerca di Alessandra Polissi, che nei laboratori dell’Università Bicocca di Milano sta cercando il modo di neutralizzare il batterio Pseudomanas aeruginosa, nemico numero uno dei malati di fibrosi cistica, grazie anche al sostegno dei fondi raccolti durante la campagna 2010 dalla Fondazione fibrosi cistica. Lei sta conducendo un progetto di ricerca cui sono destinati i fondi raccolti durante la campagna solidale 2010 della Fondazione per la fibrosi cistica. Di cosa si tratta?
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Alessandra Polissi • FIBROSI CISTICA
Eliminando questo batterio attraverso nuove molecole daremo un contributo importante ai malati di fibrosi cistica
siamo collegati; ad esempio sono attivi due gruppi negli Stati Uniti che fanno ricerca sullo stesso sistema in Escherichia coli. Uno è presso l’Università di Harvard, dove si trova attualmente anche un ricercatore del nostro laboratorio. Il punto fondamentale per questi tipi di ricerca, in cui le proteine devono essere utilizzate come bersaglio per identificare delle molecole, è capire perfettamente come queste proteine funzionano, conoscerne a fondo la struttura. Abbiamo una buona conoscenza di quello che succede in Escherichia coli, e ora stiamo cercando di capire se queste proteine funzionano allo stesso modo in Pseudomonas aeruginosa, come noi speriamo. Il progetto per cui la Fondazione fibrosi cistica sta raccogliendo fondi in realtà è all’inizio, è stato avviato a settembre; però abbiamo già delle informazioni ricavate dallo studio di un altro batterio e confidiamo di poterle traslare sullo Pseudomonas aeruginosa per evitare tutti gli studi preliminari e arrivare presto all’obiettivo». Quali difficoltà state incontrando? «Penso che ci imbatteremo nelle normali difficoltà che incontra un progetto di ricerca: banali problemi tecnici, risolvibili con un po’ di lavoro aggiuntivo. Non ci aspettiamo invece di trovare difficoltà di tipo concettuale, cioè di scoprire che il sistema non funziona. Per quanto riguarda i fondi, la Fondazione per la fibrosi cistica è molto attiva, e le siamo davvero grati per l'attenzione con la quale segue i gruppi di ricerca che lavorano nel settore. Purtroppo i fondi che servono per questo tipo di ricerca sono molti di più di quelli che ci può fornire la Fondazione. Quando presentiamo i progetti di ricerca e loro ci concedono il finanziamento noi, con un patto implicito, ci impegniamo a cercare altri finanziamenti, perché ci sentiamo in dovere di svolgere il progetto nella sua totalità».
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In che maniera trovare un farmaco che consenta di debellare questo batterio aiuterebbe i malati di fibrosi? «Uno dei problemi dei pazienti affetti da fibrosi cistica è che sono molto più esposti dei soggetti sani a infezioni da parte di questo patogeno opportunista. L’infezione da Pseudomonas aeruginosa ha l’effetto di esacerbare ancora di più la malattia, la cui manifestazione principale consiste in un’infiammazione cronica del tessuto polmonare. Eliminando parzialmente o completamente questo batterio attraverso nuove molecole daremo un contributo importante ai malati di fibrosi cistica». L’aspettativa di vita delle persone affette da fibrosi cistica è andata sempre aumentando negli ultimi 50 anni. Quali sono i sistemi più innovativi per tenere sotto controllo la malattia? Si può sperare di trovare prima o poi una cura definitiva? «Pur non essendo io esperta in questo settore, perché sono una microbiologa, l’unica strada che vedo è la terapia genica. La cura definitiva sarebbe quella di riuscire a correggere il difetto alla base. Tutti gli altri tipi di cure agiscono sui sintomi ma non sulla causa. Di terapia genica si parla da tempo, è possibile che prima o poi ci si arrivi. Per ora quello che possiamo fare è cercare di limitare gli effetti della malattia, rimuovendo con antibiotici le cause che li esasperano, come ad esempio lo Pseudomonas aeruginosa, o avere delle altre molecole che limitino l’infiammazione cronica agendo sui mediatori cellulari umani. La struttura il cui trasporto noi vogliamo inibire è una struttura di Pseudomonas che è uno degli attivatori più importanti della risposta infiammatoria. Bloccare il trasporto di questa struttura alla superficie del batterio dovrebbe riuscire a uccidere il batterio, ma, in ogni caso, dovrebbe avere degli effetti sulla riduzione dell'infiammazione cronica».
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FIBROSI CISTICA • Matteo Marzotto
UN INVESTIMENTO CHE VALE UNA MALATTIA DALLA QUALE È ANCORA IMPOSSIBILE GUARIRE. ECCO PERCHÈ È IMPORTANTE ADERIRE ALLE CAMPAGNE PROMOSSE DA MATTEO MARZOTTO, TESTIMONIAL DELLA FONDAZIONE PER LA FIBROSI CISTICA di Michela Evangelisti ibrosi cistica. Interrogati sulle cause e le manifestazioni di questa malattia forse tanti italiani si farebbero trovare impreparati. Eppure ci interessa molto più di quanto crediamo. Nel nostro Paese oltre il 4% della popolazione è portatore sano del gene difettoso chiamato Cftr, che causa la malattia. Ciò vuol dire che in un cinema potrebbero esserci una quindicina di portatori, nella maggior parte dei casi ignari del rischio di poter generare un figlio malato. Al momento non esiste una cura definitiva, ma grazie ai progressi degli studi clinici la speranza di vita ha continuato a crescere e oggi si attesta attorno ai qua-
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rant’anni. Fino a uno stadio avanzato la fibrosi cistica non manifesta sintomi evidenti, ma chi ne è affetto deve combattere ogni giorno, sottoponendosi a molteplici ed estenuanti trattamenti. Per tutti, con l’avanzare dell’età, si sviluppano danni polmonari irreversibili, che portano all’insufficienza respiratoria e ad altre complicanze che compromettono progressivamente la qualità della vita. La fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica dal gennaio 1997 promuove e finanzia progetti innovativi di ricerca e diffonde informazioni e aggiornamenti sui problemi legati alla fibrosi cistica. Testimonial d’eccezione della fondazione è l'imprenditore Matteo Marzotto.
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Matteo Marzotto • FIBROSI CISTICA
Quali sono gli obiettivi e la mission della fondazione? «La fondazione è stata in grado di fare sistema, creando una rete di 124 laboratori e oltre 400 professionisti che, a oggi, hanno permesso di finanziare 163 progetti di ricerca. È inoltre un organismo “a catena corta”: un comitato scientifico composto dai maggiori esperti internazionali garantisce l’eccellenza dei progetti, mentre la parte decisionale dell’impiego dei fondi è un processo agile e la trasparenza facilmente verificabile. I risultati che abbiamo ottenuto in questi anni, in termini di aspettativa di vita, sono sotto gli occhi di tutti. In tempi come questi non dobbiamo rinunciare a fare del bene, ma è giusto che i nostri sforzi, economici o di impegno, siano ben riposti. Mi piacerebbe che nei prossimi anni la fondazione riuscisse a promuovere la conoscenza della fibrosi cistica non solo attraverso i media ma anche ad altri livelli, per esempio in ambito scolastico, magari a partire dal triennio della scuola superiore, dove si studiano biologia e chimica». Quanto è importante aderire alle campagne che la fondazione promuove e sensibilizzare su questi temi? «La strategia di ricerca scientifica messa a punto dalla Ffc ha dato in questi anni grandi risultati ma richiede sempre nuove energie. Sta anche a noi imprenditori fare opera di sensibilizzazione, parlarne di più, osare di più, per convincere il mondo economico italiano che si tratta di investire e non di disperdere: una scelta socialmente utile finalizzata alla guarigione di una malattia che alla comunità costa molto. Ritengo che un imprenditore, una volta creata ricchezza per la propria attività, non debba venire meno al ruolo sociale che un’azienda ricopre e debba quindi creare un diverso tipo di benessere, in un certo senso “allargato”. Inoltre posso assicurare che avere un ruolo attivo nell’alleviare le sofferenze del prossimo fa stare meglio come esseri umani, nutre l'anima. Una cosa bella che ho imparato dalla fondazione è che l’Italia è un paese generoso e gli italiani hanno una propensione al volontariato molto spiccata».
Nella pagina a fianco, in alto, Matteo Marzotto; a sinistra “Amici della fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica”
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Come è iniziato il suo coinvolgimento nella fondazione? «Quando, nel 1997, il professor Gianni Mastella, che aveva dato vita e diretto per molti anni il centro regionale Veneto fibrosi cistica, mi propose, insieme all’imprenditore milanese Vittoriano Faganelli, di
Sta a noi imprenditori fare opera di sensibilizzazione, per convincere il mondo economico italiano che si tratta di investire e non di disperdere istituire una fondazione scientifica, la fibrosi cistica era una malattia genetica ancora poco conosciuta, nonostante la sua gravità, e in Italia quasi completamente orfana di ricerca. Io venivo coinvolto nell’avventura perché sapevo benissimo quanto crudele fosse questa malattia, avendo perso mia sorella Annalisa, che lo stesso professor Mastella aveva curato negli anni. Era urgente coprire il vuoto scientifico e mettere le basi anche in Italia per una ricerca avanzata che ottenesse progressi rapidi per arrivare dal banco di laboratorio al letto del malato il prima possibile. Questa sfida mi piacque da subito: avevo dentro di me tutta l’energia, la voglia di vincere il male che mi aveva lasciato in eredità Annalisa. Ora, a distanza di anni, posso dire che la fondazione per la ricerca sulla fibrosi è l’unica realtà italiana che ha avviato e svolge sistematicamente e in maniera eccellente questo compito, stimolando e coinvolgendo numerosi centri di ricerca, distribuiti su tutta l’area nazionale, con significativi contributi di gruppi stranieri». Ha anche scritto un libro sulla fibrosi, Volare alto. «È la mia ulteriore scommessa per dare visibilità alla malattia. Tante domande senza risposta scandiscono la giornata dei giovani malati, la più importante delle quali, “quanto tempo mi rimane da vivere?”. È quella che il più delle volte dà loro una carica speciale. I malati di fibrosi cistica sono tutti un po’ speciali. Ed è a questi “grandi bambini” che io mi sono ispirato nel libro che ho scritto».
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VERSO LA RICERCA FARMACOGENETICA di Adriana Zuccaro
orretta informazione, prevenzione, ricerca e assistenza a largo raggio. Sono i pilastri su cui si fonda l’impegno della LILT, la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, l’unico ente pubblico in Italia per risposte concrete a chi soffre e combatte la malattia tumorale. Da sempre partecipe alla “mission” della Lilt, con un’encomiabile carriera oncologica e oltre 24.000 interventi chirurgici per patologia mammaria al suo attivo, il presidente Francesco Schittulli alla domanda “a quali altri traguardi spera di partecipare?” ha affermato deciso «vorrei non essere più oncologo perché se così fosse il cancro apparterrebbe ormai alla storia».
C Dal 2000, il professor Francesco Schittulli, senologo-chirurgooncologo, è presidente nazionale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori www.schittulli.it
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PER TRASFORMARE IL TUMORE IN UNA MALATTIA CON LA QUALE POTER CONVIVERE, SECONDO IL PRESIDENTE DELLA LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI, FRANCESCO SCHITTULLI, LA RICERCA DOVRÀ ATTINGERE DALLA FARMACOGENETICA
In quali casi il tumore è curabile e guaribile? «Tutte le malattie sono curabili e quindi anche il tumore. Per il cancro occorre considerare che le prospettive di vita dipendono dallo stadio del tumore, perché in fase iniziale il cancro è una malattia guaribile. All’inizio del suo sviluppo, il tumore presenta un indice di aggressività e grado di malignità molto basso e un processo di metastatizzazione, cioè di diffusione, pressoché nullo. Quindi tutti quei tumori nei
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Francesco Schittulli • PATOLOGIE TUMORALI
confronti dei quali possiamo agire sia attraverso la prevenzione primaria, sia secondaria, sono curabili e da considerare guaribili». Contro quale patologia tumorale la scienza ha raggiunto i più alti traguardi curativi? «Vi sono forme tumorali che si sviluppano in determinati organi nei confronti dei quali, dal punto di vista scientifico, siamo ancora perdenti (es. pancreas). Per quanto riguarda i tumori femminili e in particolare i tumori della mammella, possiamo dire di aver capovolto totalmente la situazione rispetto a trent’anni fa, quando guariva appena il 35% delle donne colpite da questa la malattia. Oggi su 100 donne che sviluppano questo tipo di cancro, più di 80 vanno incontro a una guarigione certa. Se mettessimo in atto tutte le disponibilità che abbiamo a livello di prevenzione e di diagnosi precoce potremmo arrivare oggi a garantire il 90-95 per cento di guaribilità». A cosa va incontro oggi la donna con il tumore alla mammella? «Oggi è possibile scoprire un tumore alla mammella di pochi millimetri e non averne più paura perché è brillantemente curabile e del tutto guaribile, con benefici sia fisici che psicologici. L’intervento chirurgico è infatti sempre più conservativo, meno demolitivo. Grazie ai traguardi raggiunti dalla scienza medica l’organo non viene deturpato, con ottimi risultati estetici, essendo rispettata l’integrità stessa della mammella». Come si esegue la chirurgia senologica? «Possiamo rimuovere la lesione tumorale di pochi millimetri addirittura con interventi microinvasivi». In quali direzioni si muovono le principali attività di ricerca contro il tumore? «Preso atto che occorreranno ancora anni prima che la ricerca possa dare i suoi risultati, oggi abbiamo già l’opportunità di poter diagnosticare in tempo e quindi par-
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LEGA ITALIANA LOTTA TUMORI E LA CAMPAGNA NASTRO ROSA ttobre è il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno. Per questo la LILT promuove la Campagna Nazionale Nastro Rosa con l’obiettivo di sensibilizzare un numero sempre più ampio di donne sull’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce; informare sugli stili di vita correttamente sani da adottare e sui controlli diagnostici da effettuare. Negli oltre 390 ambulatori LILT si possono eseguire visite senologiche (molte volte a carattere gratuito); si può ritirare materiale informativo scientifico relativo a questa patologia neoplastica per imparare a riconoscere i fattori di rischio e i campanelli d’allarme a cui fare attenzione per diagnosticare precocemente il tumore del seno.
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www.legatumori.it
lare di guaribilità per la maggior parte dei tumori. La ricerca, attraverso la farmacogenetica, dovrà fornirci quegli elementi attraverso i quali si interverrà bloccando la mutazione di quei geni che a lungo termine inducono lo sviluppo del cancro. L’obiettivo è l’individuazione di fasce di popolazioni a rischio per determinate patologie tumorali, e poter arrivare un domani a somministrare una sostanza che impedisca lo sviluppo della patologia tumorale. Lavoriamo inoltre per riuscire anche a bloccare il processo di metastatizzazione e far sì che la malattia si cronicizzi alla stregua del diabete, ipertensione, artrosi, malattie con le quali la persona può ben convivere».
Il professor Schittulli con la giornalista e conduttrice televisiva Francesca Senette, testimonial dell’edizione 2010 della campagna nazionale Nastro Rosa
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BRONCOPNEUMOPATIA • Filiberto Dalmasso
CONTRO LE PATOLOGIE RESPIRATORIE LE PATOLOGIE PIÙ GRAVI DELL’APPARTO RESPIRATORIO POSSONO ESSERE PREVENUTE SOLO ATTRAVERSO UNO STILE DI VITA SANO. SMETTERE DI FUMARE È L’IMPERATIVO CATEGORICO. I CONSIGLI DEL PROFESSOR FILIBERTO DALMASSO di Ezio Petrillo ncoraggiare l’attività fisica indirizzata ad uno stile di vita salutare. Coinvolgere attivamente il paziente nella cessazione del fumo di sigaretta. Sono soltanto due degli aspetti più importanti che riguardano la prevenzione della broncopneumopatia cronica istruttiva (BPCO), una patologia progressiva che coinvolge le vie aeree, associata a uno stato di infiammazione cronica del tessuto polmonare. La conseguenza a lungo termine è un vero e proprio rimodellamento dei bronchi, che provoca una riduzione consistente della capacità respiratoria globale. Ad aggravare il quadro clinico può
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Il professor Filiberto Dalmasso, specializzato nella cura di malattie dell’apparato respiratorio e cardiovascolare, svolge attività specialistica presso il suo studio di Torino fdegiorgi@mauriziano.it
essere l’aumento della predisposizione alle infezioni respiratorie di origine virale, batterica o fungina. Non esiste al momento una cura efficace, ma sono disponibili diversi trattamenti per controllare i sintomi e per evitare pericolose complicanze. Ne discutiamo con il professor Filiberto Dalmasso. La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia dell'apparato respiratorio caratterizzata da un'ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità variabile a seconda della gravità. Quali sono i sintomi principali? «Tra i sintomi principali della BPCO figurano in primis la “tosse” con frequenza variabile secondo la stagione e le riacutizzazioni infiammatorie delle alte e basse vie aeree; l’”Escreato” che può essere liquido-salivare e diventare denso giallastro nelle riacutizzazioni flogistiche rino-sinusali e bronchitiche. Infine la “Dispnea”, che può insorgere dopo sforzo fisico anche lieve o più spesso dopo una riacutizzazione infiammatoria da freddo o da infezioni batteriche o virali». Può descriverci le conseguenze più gravi di questa malattia? «Principalmente l’insufficienza respiratoria derivante da una pressione ridotta dell’Ossigeno che necessita di un’O2-terapia poten-
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Filiberto Dalmasso • BRONCOPNEUMOPATIA
ziata o, sulla base della valutazione dei valori di ossigeno e anidride carbonica, di una protesi ventilatoria che può consentire di superare la fase critica ed essere dismessa con il ritorno ai valori precedenti la riacutizzazione. Talora si rende necessaria l’intubazione del paziente o una ventilazione meccanica non invasiva. A malattia in atto è necessaria una valutazione della distribuzione territoriale delle UTIR (Unità di Terapia Intensiva Respiratoria), la presenza di attrezzature per la ventilazione meccanica non invasiva e la disponibilità in tutti i pronti soccorsi e negli ospedali di pulsossimetri che misurano rapidamente l’ossigenazione del sangue per i provvedimenti più opportuni e urgenti e di emogasanalisi arteriosa». Quali sono i fattori di rischio e le cause di questa patologia? «Bisogna intervenire a monte sull’aspetto della prevenzione. I fattori di rischio sono in primis derivanti dal fumo di sigaretta. I trattamenti disponibili oggi consentono di alleviare i sintomi, prevenire le complicanze e le riacutizzazioni nonché di intervenire nel più breve tempo possibile per prevenire l’evoluzione della malattia, e la mortalità che ne consegue. La BPCO consiste in un’ostruzione irreversibile delle piccole vie aeree con distruzione di aree polmonari causate principalmente dal fumo di sigaretta. Oggi costituisce la quarta più importante causa di morte a livello mondiale ed è una malattia evolutiva con ostruzione irreversibile e dispnea al minimo sforzo, tosse e catarro cronici. La causa più importante di BPCO è il fumo di sigaretta o esposizioni agli irritanti domestici, l’aria atmosferica ricca di particolato, tipica delle grandi città». Quali oggi le cure più efficaci per il trattamento della bronco pneumopatia che consentono di ripristinare la funzionalità respiratoria perduta? «L’esame spirometrico e quello gasanalitico sono necessari per valutare la gravità della malattia e seguirne l’evoluzione. Oggi sono disponibili i pulsossimetri che consentono la misura dell’ossigeno non invasivamente. Le
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UNA VITA DEDICATA ALLA MEDICINA l Professor Filiberto Dalmasso si laurea in Medicina e Chirurgia a Torino nel 1966. Effettua il servizio militare come ufficiale medico di complemento ove consegue il diploma d’Igiene. Consegue in ordine di tempo le specialità in malattie dell’Apparato respiratorio, malattie dell’apparato cardiovascolare, Geriatria e Gerontologia, Fisiopatologia Respiratoria, Allergologia e Immunologia, Malattie del lavoro, attività di ricerca e di corsia nella clinica medica dell’Università di Torino. È coautore di quattro
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testi sull’inquinamento acustico ambientale e con società private. Membro di sette Società scientifiche nazionali ed internazionali, autore di 150 lavori scientifici e coautore di tre testi specialistici (Acustica Respiratoria, ERS, Tabagismo Tosse). Ha partecipato a tre corsi di Fisiopatologia Respiratoria presso l’Università di Nancy. Da alcuni anni è “Active Member of the New York Academy of Sciences”. Attualmente svolge attività specialistica presso il suo studio medico a Torino.
infezioni che contribuiscono alle riacutizzazioni sono trattate con broncodilatatori, inalatori e le riacutizzazioni con cortisonici e antibiotici». Quali possono essere le complicanze della malattia se non viene curata in tempo? «L’aggravamento è progressivo. Questo è valutabile con i test di funzionalità respiratoria e con emogasanalisi arteriosa con e senza ossigenoterapia arteriosa in corso». In questo senso quanto è importante la prevenzione? «La BPCO è una malattia auto inflitta dovuta, nella quasi totalità dei casi al fumo di sigaretta. L’unica reale prevenzione consiste nel non fumare né attivamente né passivamente. È stato rilevato che la sospensione del fumo a ogni età rallenta la progressione della BPCO e modifica l’evoluzione della malattia».
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CURARE LA DISFAGIA • Barbara Ramella
DISFAGIA SINTOMI E CURE LA DIFFICOLTÀ A DEGLUTIRE PUÒ NASCONDERE UN DISTURBO PATOLOGICO, LA DISFAGIA, CHE PUÒ COMPROMETTERE LE DIVERSE FUNZIONI ORALI. BARBARA RAMELLA NE SPIEGA LE CAUSE E LE TERAPIE di Adriana Zuccaro
apparato deglutitorio può essere compromesso da patologie che ne riducono le funzioni. Tra queste, il disturbo della capacità a deglutire correttamente è chiamato disfagia. «Questa difficoltà richiede il coinvolgimento di diverse figure professionali quali il medico di base, il foniatra, l’otorinolaringoiatra, il dietologo, il gastroenterologo, il logopedista. L’intervento di un logopedista esperto in fisiopatologia della deglutizione può aiutare la persona che ne è affetta e i suoi familiari a gestire in modo più efficace e sicuro il momento del pasto». Barbara Ramella, logopedista e deglutologa specializzata in Oral Motor Therapy, descrive le dinamiche fisiologiche attraverso cui è percepibile la comparsa della disfagia e i percorsi riabilitativi più efficaci.
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Barbara Ramella è logopedista presso lo studio Ri.Lò, studio di riabilitazione logopedica di Orbassano (TO) e presso gli ambulatori dell’ospedale San Raffaele di Milano www.rilo-logopedia.it
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Quali sono le cause della disfagia? «La disfagia può essere causata principalmente da problematiche neurologiche – paralisi cerebrali infantili, morbo di Parkinson, sclerosi multipla, ictus cerebro-vascolare, trauma cranico – o chirurgiche, ad esempio dopo complessi interventi, in genere oncologici, del capo e del collo. Può anche essere causata da malattie infettive, metaboliche, psichiatriche-psicogene e da tumori orofaringei. La disfagia può provocare conse-
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Barbara Ramella • CURARE LA DISFAGIA
guenze importantissime quali malnutrizione, disidratazione o altre conseguenze che possono risultare mortali come per esempio la polmonite ab ingestis, l’infiammazione seguita da infezione polmonare dovuta a passaggio di cibo nei polmoni». Quali sono i campanelli d’allarme? «La disfagia può manifestarsi mediante dolore o fastidio durante l’atto deglutitorio, con tosse mentre si mangia o si beve o subito dopo, quando si percepire un senso di corpo estraneo in gola o quando si impiega più tempo per mangiare. La disfagia talvolta provoca febbre o polmoniti ricorrenti. Un altro campanello d’allarme può essere rappresentato dalla perdita di peso corporeo senza causa apparente o dal cambiamento delle abitudini alimentari con tentativi inconsapevoli per bilanciare la difficoltà a deglutire». Quali sono i soggetti più a rischio? «La disfagia è un disturbo molto diffuso che colpisce migliaia di individui. Interessa in vario modo circa il 20% della popolazione generale con una particolare prevalenza nell’età infantile e senile; tale percentuale può essere superiore, come per esempio nel caso di soggetti anziani nelle case di riposo, nei traumatizzati cranici, in soggetti con accidenti vascolari, nei soggetti affetti da morbo di Parkinson, nei pazienti oncologici cervico-facciali». È possibile guarire definitivamente? «In molti casi vi può essere la remissione completa, mentre, in altri è necessario modificare il tipo di dieta o mantenere delle posture di compenso, ovvero, delle posizioni della testa e del busto che facilitino l’atto deglutitorio in “sicurezza”. Vi possono essere inoltre, delle situazioni in cui non è più possibile riprendere un’alimentazione per bocca». Quanto incide l’alimentazione per la cura delle disfunzioni dell’apparato deglutitorio? «Incide molto. Spesso, infatti, modificando
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OMT: ORAL MOTOR THERAPY UN’ ESPERIENZA RIABILITATIVA a Oral Motor Therapy o terapia oro-motoria (OMT) è un percorso riabilitativo progressivo per il rinforzo dei muscoli del distretto orale; è infatti appropriata per chiunque mostri una ridotta mobilità, agilità, precisione e resistenza delle strutture orali e muscolari. La complessità del fenomeno vocale, che richiede la partecipazione coordinata di gruppi muscolari diversi quali diaframma, laringe, palato molle, masseteri, lingua e labbra, viene scorporata in sottocomponenti muscolari e ogni gruppo può essere attivato in modo specifico con appositi esercizi. La competenza anatomo-fisiologica oltre a essere il presupposto scientifico a fondamento del metodo, è l’elemento chiave per distinguere sia i compensi posturali, sia un affaticamento eccessivo del distretto muscolare che viene stimolato. Dall’analisi dell’azione muscolare presente nella patologia si arriva a dedurre qual è il deficit muscolare e di conseguenza è possibile impostare un trattamento di recupero.
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il tipo di dieta, ad esempio rendendo il cibo più omogeneo e scivoloso o evitando alcuni cibi tipo la minestrina in brodo o la zuppa di verdura a pezzi, la persona che soffre di disfagia riesce a riprendere l’alimentazione senza il rischio che qualcosa gli vada “di traverso”». Qual è il ruolo del logopedista in casi di disfagia? «Il logopedista può effettuare una valutazione clinica della modalità alimentare e deglutitoria e programmare il trattamento, se necessario. Il trattamento tiene conto della causa, dei sintomi e delle caratteristiche della disfagia e raccomanderà esercizi, posture o strategie per rendere la deglutizione più efficace, facile e sicura attraverso l’assunzione di cibi e liquidi di consistenza modificata. Inoltre il logopedista collabora in equipe con altri specialisti per approfondire la valutazione e gestire i problemi nutrizionali e deglutitori».
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CHIRURGIA UROLOGICA • Ugo Ferrando
È SEMPRE MENO INVASIVA LA CHIRURGIA UROLOGICA L’ACCESSO PERINEALE PERMETTE LA CURA DELLA PATOLOGIA MALIGNA PROSTATICA SENZA AGGREDIRE LE STRUTTURE ANATOMICHE ADDOMINALI. UNA NOVITÀ CHE MIGLIORA CONSIDEREVOLMENTE LA QUALITÀ DELLA VITA DEI PAZIENTI, COME SPIEGA UGO FERRANDO di Carlo Sergi
a patologia neoplastica è al centro delle ricerche e dell’interesse della comunità scientifica internazionale. Molti i passi in avanti compiuti. Prevenzione, diagnosi e cure poco invasive devono essere gli obiettivi su cui concentrarsi.« In particolare, in ambito urologico emergono nuovi importanti strumenti diagnostici». A parlarne è il dottor Ugo Ferrando, responsabile dell’Unità Funzionale di Urologia Clinica Cellini per il Gruppo Humanitas e direttore fino al 2008 dell’Unità Ospedaliera di Urologia dell’Ospedale S.G. Battista della città di Torino, il quale presenta una nuova tecnica che permette un intervento chirurgico sui carcinomi prostatici più sostenibile rispetto agli interventi tradizionali.
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Il dottor Ugo Ferrando, assieme al suo staff, ha insegnato presso la scuola di specializzazione in Urologia dell’Università degli Studi di Torino u.ferr@libero.it
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Partiamo dalla diagnosi. Quali sono attualmente gli strumenti più utili? «Il Psa, antigene prostato specifico, il Pca3, cioè il test urinario basato sui geni, e la risonanza magnetica con bobina endorettale, attraverso l’esame spettrofotometrico, stanno dando risultati importanti. Anche grazie alla Tc Pet con colina, vale a dire esami radiologici che aiutano a identificare foci tumorali che ipercaptano il mezzo di contrasto, è più semplice diagnosticare il carcinoma prostatico in fasi assolutamente iniziali, iden-
tificandone precocemente anche l’aggressività». La persone prestano, rispetto al passato, una maggiore attenzione all’incidenza della patologia prostatica maligna? «Il panorama è mutato grazie alla diagnosi precoce. Questa patologia risulta essere, attualmente, al secondo posto dopo quella del polmone. Questi risultati ci consentono di effettuare tempestivamente una terapia di asportazione radicale della ghiandola prostatica, e quindi del tumore, sfociando inevitabilmente in una riduzione della mortalità cancro specifica. La
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Ugo Ferrando • CHIRURGIA UROLOGICA
malattia neoplastica, se tempestivamente diagnosticata e ancora confinata all’organo, è suscettibile di terapia ablativa radicale con intento guaritivo. In tal modo si ottiene un ottimo controllo della malattia insieme alla preservazione di strutture anatomiche vascolari, nervose e muscolari adiacenti all’organo, ma non ancora interessate dalla neoplasia. Alcune di queste strutture sono responsabili del mantenimento di importanti funzioni quali l’erezione e la continenza urinaria. Sempre maggiore attenzione viene dedicata, inoltre, alla qualità di vita del paziente». In quali termini? «Innanzitutto si ha un approccio chirurgico di tipo mini invasivo, con rispetto dell’immagine corporea. Gli accessi chirurgici sono limitati, la durata della degenza è breve. Anche il post operatorio è più confortevole e permette una rapida ripresa delle normali attività lavorative, sociali e di relazione». Dunque l’urologia moderna è sempre meno invasiva. «La nostra esigenza è quella di adottare le tecniche chirurgiche meno aggressive possibili, nell’assoluto rispetto della radicalità oncologica, con attenzione massima alla qualità di vita. In tale ambito trovano spazio tecniche che prevedono accessi chirurgici minimi anche grazie all’utilizzo di
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strumentazioni tecnologiche molto avanzate ad altissima precisione. Si riescono a eseguire interventi di alta complessità con precisione “microscopica”, come trattamento d’elezione per pazienti con carcinoma prostatico localizzato. Ciò ha reso quanto mai attuale la tecnica chirurgica da noi adottata di asportazione radicale della ghiandola prostatica per via perineale con microscopio da testa Leica». In cosa consiste? «La via perineale non prevede l’accesso attraverso l’addome. Grazie a un’incisione cutanea sottoscrotale di pochi centimetri arriviamo immediatamente e direttamente sulla prostata. Da sempre il perineo è la via d’accesso d’elezione per la ghiandola prostatica. L’occhio umano non può zoomare e quindi per osservare e preservare strutture anatomiche particolarmente piccole ha bisogno di un ausilio. Con il microscopio chirurgico da testa Leica è possibile variare in continuo l’ingrandimento, il campo visivo e la messa a fuoco, ottenendo un attento riconoscimento e la conservazione delle strutture anatomiche. Tale metodologia riconosce esattamente gli stessi tempi dell’intervento tradizionale, ma tutto viene osservato e amplificato in tridimensione». Quali parti vengono preservate? «Apice prostatico, margini uretrali, bun- ¬ SANISSIMI
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CHIRURGIA UROLOGICA • Ugo Ferrando
La via perineale non prevede l’accesso attraverso l’addome. Grazie a un’incisione cutanea sottoscrotale di pochi centimetri arriviamo immediatamente e direttamente sulla prostata si ottiene la preservazione della potenza sessuale e della continenza urinaria, rese possibili solo dal riconoscimento e dal rispetto di strutture anatomiche neuro vascolari, i bundels, e muscolari».
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dels neurovascolari, anastomosi vescicouretrale sono solo alcuni dei punti ai quali facciamo riferimento. Il preciso riconoscimento di queste importanti strutture, grazie alla loro magnificazione con il microscopio, ne rende possibile l’accurata preparazione e preservazione, consentendo il mantenimento di importanti funzioni da esse dipendenti». Quali sono i risultati più significativi ottenibili tramite l’accesso per via perineale? «I risultati sono assolutamente gratificanti per il chirurgo e per il paziente. Tanto per cominciare si riesce ad asportare completamente l’organo malato esercitando, quindi, un ottimo controllo sulla neoplasia. Vi sono poi minime perdite ematiche. Infatti, l’accurato riconoscimento dei vasi sanguigni permette un’agevole emostasi riducendo al minimo il sanguinamento e, di conseguenza, la necessità di emotrasfusioni. In aggiunta, come ho già accennato,
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Perché questo intervento richiede tempi ridotti rispetto alla metodica tradizionale? «Perché la via d’accesso più breve e anatomica per la prostata è il perineo. Utilizzando questo canale vi è un minimo accesso chirurgico e una preservazione della cavità addominale. Tutte le altre tecniche chirurgiche prevedono l’inevitabile “sacrificio” di strutture anatomiche addominali, come la parete muscolare o il peritoneo. Questo può comportare successivi problemi chirurgici in caso di interventi su altri organi endo-addominali. Con l’accesso perineale viene preservata la “sacralità” della cavità addominale». E dunque la degenza ospedaliera si riduce. «Si può essere dimessi già due o tre giorni dopo l’intervento. Nel giro di breve tempo il paziente può riprendere la sua vita in tutte le sue funzioni lavorative e sociali. Questo comporta anche minori costi per la spesa sanitaria. E oggi come oggi si tratta di un aspetto che non possiamo sottovalutare».
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DISFUNZIONI RENALI • Simonetta Vastano
CONTRO L’INSUFFICIENZA RENALE CRONICA di Adriana Zuccaro LE DISFUNZIONI RENALI CONDUCONO ALLA NECESSITÀ DEL TRATTAMENTO DIALITICO O AL TRAPIANTO. SIMONETTA VASTANO DEL CENTRO EMODIALISI PIGRECO SOTTOLINEA L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE E DELLA DIAGNOSTICA PRECOCE ltre alla nota attività filtrante, che consente l’eliminazione di sostanze estranee, inutili o dannose, i reni regolano gli equilibri idro-salini e acido-base nel sangue. Per mantenere la regolare funzionalità del corpo, prevenire ogni possibile forma di disfunzione renale è quindi imprescindibile. Per questo, la dottoressa Simonetta Vastano, direttore sanitario del centro emodialisi Pigreco Omnia Salus di Roma, dimostra preoccupazione quando conferma che «per contrastare il costante aumento del numero dei soggetti affetti da insufficienza renale cronica con necessità di un trattamento dialitico, l’azione di prevenzione e diagnostica precoce do-
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vrebbe effettuarsi sul territorio in maniera capillare». Cosa accade nei soggetti affetti da una riduzione patologica della funzionalità renale? «L’insufficienza renale cronica terminale, Esrd (End stage renal disease), è lo stadio ultimo nel quale i reni hanno perso progressivamente la capacità di svolgere il delicato e complesso lavoro di regolazione dell’equilibrio dell’organismo, di eliminazione delle sostanze tossiche prodotte dallo stesso e di controllo della quantità di liquidi e di sali. In sintesi, i reni sono gli organi escretori deputati alla produzione dell’urina». Quali sono le principali cause dell’insufficienza renale? «Molteplici malattie evolvono verso la Esrd e quindi alla dialisi o al trapianto. Negli ultimi anni si è assistito a una riduzione delle cause infettive come glomerulonefriti e pielonefriti, ma a una esponenziale e preoccupante ascesa di altre patologie tra cui le più frequenti sono il diabete e l’ipertensione arteriosa».
La dottoressa Simonetta Vastano è direttore sanitario al centro emodialisi Pigreco Omnia Salus di Roma pigrecoo@pigrecoomniasalussrl.191.it
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Come va affrontata allora la patologia? «Quando la funzione renale scende al di sotto di un valore minimo compatibile con
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Simonetta Vastano • DISFUNZIONI RENALI
CENTRO EMODIALISI PIGRECO OMNIA SALUS oma, periferia Nord, IV Municipio. I quartieri si chiamano Fidene, Nuovo Salario, Bufalotta, Porta di Roma. Si tratta di aree già attualmente ad alta densità abitativa e con numerosi cantieri edili aperti o appena completati. Dalle ultime stime risulta che il IV Municipio conta più di 200.000 abitanti, primo della città. Gli ospedali più vicini, policlinico Umberto I, ospedale Sandro Pertini e ospedale Sant’Andrea, distano non meno di 10 km, che con il traffico di Roma può significare più di un’ora. Da anni infatti, periodicamente, viene riproposta l’idea della realizzazione del polo ospedaliero, proprio nel quartiere della Bufalotta nell’ambito del IV municipio e della Asl RMA. Nel frattempo, proprio per quanto riguarda l’attività sanitaria, un ruolo importante hanno i servizi ambulatoriali, siano essi erogati direttamente dalla ASL o da strutture private accreditate. Da cinque anni è attivo il centro emodialisi Pigreco Omnia Salus, proprio al centro di Fidene. Si tratta di un ambulatorio privato, convenzionato con il SSN, all’avanguardia nella prevenzione delle patologie renali e nella terapia dialitica per i portatori di insufficienza renale cronica terminale.
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la vita, essa può essere sostituita dal trattamento dialitico che, con una frequenza di tre volte a settimana, depura il sangue dalle sostanze tossiche ed elimina i liquidi in eccesso. È per questo che lo staff medico del centro Pigreco assicura prima di tutto assistenza sanitaria ai soggetti portatori di una malattia renale cronica: visite ambulatoriali periodiche con controllo degli esami di laboratorio e prescrizioni terapeutiche, al fine di scongiurare o ritardare il ricorso alla terapia dialitica. Quando questa diventa inevitabile, il centro cerca di offrire il massimo conforto, sotto ogni punto di vista, per aiutare i pazienti a meglio accettarne il necessario ricorso alla dialisi». Cosa comporta il trattamento dialitico? «La terapia dialitica ha particolari caratteristiche come la frequenza, la durata per ogni singola seduta e la durata nel tempo che può raggiungere anche i trenta anni e più. Per tale motivo un ambulatorio di emodialisi deve avere, oltre che un’assi-
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stenza sanitaria efficiente e di qualità, anche un elevato senso di umanità e uno spiccato comfort». Quali caratteristiche deve possedere un ambulatorio specializzato in terapie renali come Pigreco? «Il centro Pigreco è situato in posizione favorevole, facilmente raggiungibile sia dalle aree più interne che da quelle più periferiche, anche grazie alla sua particolare vicinanza al grande raccordo anulare della città. Il trasferimento da e per il centro, inoltre, assicurato da cooperative di trasporto per disabili, allevia i pazienti e i loro familiari dall’onere del raggiungimento della sede. La struttura è collocata all’interno di uno stabile con ampie superfici a vetri e questo gli conferisce una luminosità non frequente e particolarmente apprezzata dai pazienti. Gli operatori sanitari del centro, dal canto loro, si adoperano quotidianamente per offrire ai pazienti assistenza sanitaria ai massimi livelli».
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PSICOTERAPIA • Maria Luisa Monticelli
L’AIUTO ALLA PSICHE VIENE DALLA NATURA di Ezio Petrillo ESPLORARE LA PSICHE CON L’AIUTO DELLA NATURA. PASSEGGIARE IN UN GIARDINO ALL’ARIA APERTA COLTIVANDO LA PROPRIA ANIMA ALLA RICERCA DI UN BENESSERE ASSOLUTO. LO SCOPO È QUELLO DI MIGLIORARE IL PROPRIO STILE DI VITA. SCOPRIAMO UN NUOVO METODO PSICOTERAPEUTICO CON MARIA LUISA MONTICELLI
In alto a destra la dottoressa Maria Luisa Monticelli, psicologa psicoterapeuta con specializzazione quadriennale MURST post-lauream in Psicoterapia Cognitiva, autrice di vari articoli e testi scientifici e divulgativi informa@marialuisamonticelli.it - www.marialuisamonticelli.it
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na metafora dell’anima umana e un’esplorazione topografica della psiche. Coltivare un giardino è un po’ come coltivare la propria crescita interiore. Le basi scientifiche di tali teorie sono state studiate dall’Human Health Laboratory dell’Università degli Studi dell’Illinois al fine di verificare l’influenza degli spazi verdi sull’apprendimento dei bambini. «Nelle case circondate dal verde diminuiscono i litigi familiari, i bambini aumentano i loro tempi di attenzione e gli adulti migliorano la capacità mnestica di memorizzazione». A parlare è Maria Luisa Monticelli, psicologa e psicoterapeuta con specializzazione quadriennale MURST post-lauream in psicoterapia cognitiva. «Negli Stati Uniti e in Giappone si sono sviluppati nell’ultimo ventennio studi sperimentali sulle modificazioni degli stati liquidi in base a parole e musiche inviate alle particelle. Il nostro organismo è composto prevalentemente di acqua e tali esperimenti vengono evidenziati dalla Psyche-garden therapy© che ho fondato e sperimentato, suffragata dagli ultimi studi scientifici sulla fisica quantistica». In Italia, studi scientifici basati sulla psico-neuro-endocrinoimmunologia hanno dimostrato come la natura possa favorire il benessere e diminuire i sintomi somatici e psicopatologici. Inoltre, anche gli studi che suffragano la teoria dei neuroni specchio, fanno da supporto sostanziale alla Psyche-garden. «In un mondo in continua e frenetica evoluzione – illustra la Monticelli - , gli individui vivono profondi disagi psicologici per la mancanza di un ruolo adatto a se stessi sul lavoro e in famiglia. Mancano i riconoscimenti dei propri operati e spesso si perde il lavoro e l’identità fittizia a esso connesso. La coppia va in crisi, la famiglia d’origine spesso interferisce senza vedere le possibili risorse, i
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Maria Luisa Monticelli • PSICOTERAPIA
UNA VITA DEDICATA ALL’ ASCOLTO a dottoressa Maria Luisa Monticelli è psicologa psicoterapeuta, specialista in Psicoterapia Cognitiva e Psicologia dello Sport. È docente universitaria a contratto presso l’Istituto di Psicologia Generale e Clinica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Siena. Fondatrice e titolare dei centri di scienze cognitive, atletiche e di interazione in Torino e in San Giorgio Canavese e di S. A. Fontecuore in San Giorgio Canavese. Socia ordinaria di prestigiose società scientifiche nazionali e internazionali (SITCC; AIRIPA, EMDR, AIPS, CDVM, ISSA, e altre). È autrice di articoli e testi scientifici e divulgativi, partecipa attivamente in qualità di relatrice a convegni e congressi scientifici nazionali e internazionali, progetta e dirige corsi formativi per enti e aziende.
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(www.marialuisamonticelli.it )
figli manifestano disturbi somatoformi e psicopatologie. In questo scenario socio-economico, la Psyche-garden therapy© permette di riappropriarci della consapevolezza di noi stessi attraverso un percorso metaforico di ascolto della natura, sia individuale, sia in coppia o in piccolo gruppo a seconda delle esigenze degli individui. Il benessere e la salute si conquistano con spazi di relazione consapevoli e percorsi naturalistici». In tal senso gli ambienti aperti sono il luogo ideale dove potersi sottoporre a questa terapia. «Nei 110.000 metri quadri della tenuta e nelle sale della dimora seicentesca tra fiori, erbe aromatiche, vigneti, alberi secolari della tenuta Fontecuore di San Giorgio Canavese (TO) si riconquista il proprio equilibrio interiore tra frutteti, boschi, bio-laghi e stagni, tutti pensati come giardino dell’anima e percorso evolutivo. Ovviamente l’esperienza visiva deve essere accompagnata dalle pa-
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role dello psicoterapeuta. Per i bambini e gli adolescenti esiste un percorso di salute pensato esclusivamente per loro. La Psyche-garden therapy© si snoda in questo caso lungo il giardino delle fate e attraverso la pet-therapy con gli animali». Nel corso degli incontri di gruppo out-door previsti dalla terapia, verranno messi in atto giochi ed esercizi psicologici individuali, di coppia e in gruppo. «Lo scopo – spiega la Monticelli – è quello di modificare le attribuzioni di significato e aumentare il grado di consapevolezza e le risorse psicologiche dei partecipanti. I temi affrontati saranno diversi e coinvolgeranno vari aspetti della nostra personalità. Saper riconoscere il proprio stile psicologico e il valore del contatto con la natura, voler migliorare il proprio stile di vita; trarre motivazione dai piccoli risultati quotidiani del lavoro rappresentano gli snodi chiave della psicoterapia proposta».
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SALUTE PSICO-EMOZIONALE • Gabriella Niort
L’APPROCCIO OLISTICO di Luciana Fante
ome si fa a stare bene? Come posso avere delle buone difese immunitarie e un sistema ormonale che funzioni? Come dimagrire stabilmente? Come ottenere una pelle bella, luminosa e compatta? In che modo si può rimanere in piena forma nonostante il passare degli anni? Sono queste le domande che più frequentemente i pazienti rivolgono a Gabriella Niort, specialista in medicina interna ed endocrinologia. «Le conosco bene, perché sono le stesse che mi sono posta io, all’inizio di questa “storia”, la mia, improntata sulla ricerca della salute fisica e psico-emozionale. La risposta non è affatto immediata e banale». Infatti, la dottoressa Niort precisa che «essere sani non significa semplicemente non avere malattie. E non soffrire di malattie spesso non corrisponde a essere sani». Il concetto è composito. Cos’è allora la salute? «È uno stato di completo benessere fisico, ma anche mentale e sociale. È la capacità di “scorrere” nella vita in modo adattabile rispetto alle interferenze dell’esistenza. Questo dipende dal nostro “dentro”, non solo fisicobiologico, ma anche psico-emozionale. Infatti portare maschere, negare parti di sé o emozioni sgradite, mentendo a se stessi e agli altri costa moltissima energia e necessita di strutture di compenso che ci allontanano dal punto di equilibrio. Mentre
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Gabriella Niort, specialista in medicina interna ed endocrinologia studio.niort@libero.it
PER GABRIELLA NIORT LA MALATTIA È UN SEGNALE SIMBOLICO. E «PIÙ CHE DEBELLARE LA PATOLOGIA SOLTANTO A COLPI DI FARMACI BISOGNA AFFRONTARLA E COMPRENDERLA ALLA RADICE»
quando siamo “in centro” tutto funziona al meglio: pelle, peso, vitalità, bellezza, difese immunitarie e funzioni fisiologiche dell’organismo». Gabriella Niort si riferisce a un’energie che fin dalla notte dei tempi abita tutto ciò che esiste e che gli antichi chiamavano “forza vitale”. «È quell’intrinseca capacità di guarire se stessi. Nell’individuo agisce a livello mentale, emozionale, fisico e, infine, spirituale. Da professionista ho imparato a rimettere in gioco questa vis medicatrix naturae». La sintomatologia del paziente nasconde qualcos’altro: ha un significato simbolico, che per la dottoressa Niort racchiude la parabola esistenziale di quell’essere umano. Bisogna quindi ribaltare le prospettive, pensare «alla malattia come a un’occasione per prendersi cura della propria persona e guardarsi dentro con sincerità. Il sintomo è solo l’evidenza di una tensione che deve essere riconosciuta e rimossa». Pian piano si mette a fuoco il percorso che porta alla salute. Una strada fatta da un corollario di aspetti che non riguardano solo le strette terapie, ma che toccano le corde più profonde dell’interiorità di ciascuno. «Quel mondo influenza il corpo e le sue funzioni nello stesso modo in cui il corpo lo influenza a sua volta. Questo processo di conoscenza porta a un maggior grado di libertà del soggetto, che può scegliere finalmente e osare di essere sano e felice, oltre che serio e responsabile. Conoscere e accettare se stessi è il presupposto per essere liberi e poter guarire. La chiave della propria guarigione è in mano a cia-
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Gabriella Niort • SALUTE PSICO-EMOZIONALE
SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO e intolleranze alimentari, come spiega Gabriella Niort «rappresentano un fenomeno di ipersensibilità agli alimenti mediato da una reazione immunologica lenta, che porta all’accumulo degli stessi cibi in modo tossico progressivo e che, giorno dopo giorno, provoca alterazioni funzionali metaboliche e immunitarie nell’organismo. Fino a sostenere malesseri e malattie impegnative». Per fortuna i test per valutare le intolleranze alimentari sono molto diffusi, e questo non è un caso. «Ciò che mangiamo ci influenza a ogni livello. Imparare come avviene è un modo significativo per conoscersi, per distinguere quello che ci nutre da quello che ci danneggia, togliendoci pian piano energie. Quando conosciamo, possiamo scegliere». Gabriella Niort parla da paziente, prima che da medico. «Io per prima ho seguito una dieta priva di questi alimenti e ho visto migliorare in modo importante e inaspettato il mio quadro “generale” e patologico. Il risultato? Sono dimagrita, mi sono sentita più sana e leggera. E non solo, questa sensazione si è ripercossa sul mio umore, che è notevolmente migliorato».
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scuno». Dopo questo excursus olistico, viene spontaneo chiedere in cosa si differenzi la strategia professionale. «A parte le tecniche classiche, utilizzo l’ascolto e la lettura del soggetto decidendo ogni volta la migliore strategia possibile, condividendola con il paziente. Mi occupo prima di tutto dell’alimentazione e di quei cibi a cui il soggetto è intollerante e del suo stile di vita (attività fisica, sonno, alcool, fumo). Inoltre aiuto agli organi sotto carico funzionale a liberarsi delle tossine, usando prodotti prevalentemente naturali. Quindi rilevo quali sono i “temi”, le caratteristiche del paziente, le credenze, le espe-
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rienze, le memorie che hanno creato e creano tensione e dolore e che si riflettono sul suo stato di salute. Per ciascuno ci sarà una terapia del tutto personale». E gli strumenti terapeutici? «Si va dall’omotossicologia alla medicina cinese, dall’agopuntura alla floriterapia di Bach, dall’omeopatia classica all’utilizzo degli oligoelementi, dalla medicina ayurvedica fino all’alchimia e alla fitoterapia. Poi ci sono le tecniche fisiche che utilizzano i movimenti del corpo e il respiro, e tecniche “mentali” che usano la parola come portatrice di benessere. Tra queste le affermazioni, le visualizzazioni, gli atti e i gesti simbolici».
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DIAGNOSTICA PER IMMAGINI • Tecnologia Pet-Ct e Spect
LA LOTTA ALLE PATOLOGIE PARTEDALLADIAGNOSTICA di Ezio Petrillo el corso dell’ultimo trentennio, la rivoluzione delle tecnologie e delle conoscenze in campo medico ha modificato in maniera sostanziale la possibilità di utilizzare le tecniche di diagnostica per immagini quali necessari e indispensabili supporti alla diagnosi, alla prognosi, al monitoraggio della patologia in esame e alla realizzazione di procedure interventistiche sia diagnostiche che terapeutiche. Per individuare molte disfunzioni fisiologiche, la Irmet Spa ha avviato un centro di eccellenza di diagnostica per immagini con tecnologia Pet-Ct e Spect. A coordinare le varie aree operative del centro con responsabilità di direttore sanitario, il dottor Maurizio Mancini, che ci illustra le dotazioni tecnologiche. «Le risorse professionali della Irmet sono specificamente coadiuvate dall’efficienza tecnologica di tre tomografi Pet-Ct, (Positron Emission Tomography-Computerized Tomography) modello Discovery ST di ultima generazione General Electric, e di una Gamma Camera Spect (Single Photon Emission Computerized Tomography) biplanare con collimatori
N In basso, la Spect, strumentazione tomografica di imaging medico della medicina nucleare che adopera la radiazione ionizzante nota come raggi gamma
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ONCOLOGIA, CARDIOLOGIA, NEUROLOGIA. QUESTI I CAMPI D’APPLICAZIONE DELL’IMAGING DIAGNOSTICO AL CENTRO IRMET. A DESCRIVERNE LE DINAMICHE OPERATIVE, IL DIRETTORE SANITARIO, MAURIZIO MANCINI
indipendenti, supportata Tc, General Electric, principalmente orientata all’esecuzione di indagini di scintigrafia miocardica. Le PetCt sono macchine di diagnostica per immagini costituite dalla fusione di un tomografo Pet e da un tomografo Tac (Tomografia Assiale Computerizzata). Quest’ultima fornisce un’accurata visualizzazione anatomica di sezioni trasversali del corpo umano e consente di individuare, ad esempio, neoplasie responsabili di alterazioni morfologiche di un tessuto o di un organo; la Pet, invece, rende possibile l’individuazione di alterazioni di tipo
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Tecnologia Pet-Ct e Spect • DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
metabolico, caratteristiche dei tumori, e fornisce informazioni per le quali il percorso terapeutico di un paziente diviene modificabile». La Pet-Ct sta riscuotendo sempre maggiori consensi relativamente alle diverse procedure diagnostiche di interesse oncologico, neurologico e cardiologico. «Mentre Tac e risonanza magnetica forniscono immagini morfologiche non sempre sufficienti a chiarire la natura di una lesione, la PetCt , indagando i processi metabolici, è in grado di aumentare la specificità dell’analisi a valori superiori al 90%. In oncologia, quindi, oltre a differenziare lesioni tumorali da lesioni di altra natura, con la Pet-Ct è possibile valutare l’evoluzione della malattia e monitorare l’efficacia di una terapia chirurgica, radioterapica o farmacologica». Nella diagnostica di malattie delle coronarie, un’indagine assai utile è quella che utilizza la SPECT. «La sigla SPECT – illustra Mancini - sta per tomografia a emissione di fotone singolo. Tale esame trova specifico impiego nella valutazione dell’infarto e dell’opportunità terapeutica, ma anche della demenza, dell’epilessia e nel riconoscimento di varie cardiopatie ischemiche e affezioni del fegato. Con la SPECT è possibile accertare l’irrorazione sanguigna del muscolo cardiaco. Per ottenere questa informazione è necessario iniettare per via endovenosa una particolare sostanza chiamata “tracciante radioattivo” e successivamente misurare come questa sostanza si distribuisce nelle varie regioni del cuore». L’esame SPECT avviene in tempi e giorni diversi. «Si prevedono tre fasi. La prima consiste nella valutazione di appropriatezza nonché di praticabilità esecutiva dell’esame. Durante la seconda fase si esegue la scintigrafia miocardica dopo sforzo: si posizionano gli elettrodi per l’elettrocardiogramma sul torace del paziente, a cui viene fatto compiere uno sforzo fino al raggiungimento del livello massimale valutato con i parametri della pressione e della frequenza cardiaca; quindi viene iniettato in vena il tracciante radioattivo. Dopo una breve pausa che favorisce la cattura del tracciante da parte del cuore, il paziente è pronto per l’acquisizione delle immagini. Viene introdotto nella sala macchina e coricato sul lettino su-
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IRMET a Irmet Spa nasce nel giugno 2003 su iniziativa della Fondazione De Benedetti - Cherasco 1547 (ONLUS) da un’idea di Maurizio Mancini, Benedetto De Benedetti ed Elisabetta Salza. La Irmet eroga servizi diagnostici di medicina nucleare, utilizza tre tomografi di ultima generazione ed è principalmente orientata all’esecuzione di indagini di scintigrafia miocardica. Nel mese di ottobre 2007 la Irmet, riconosciuta come uno dei principali centri PET in Europa, si è associato al Network di Euromedic International. La società è stata costituita nel 2003 e rappresenta l’unico centro diagnostico nel suo genere nell’area metropolitana torinese e ciò la rende assai apprezzata. Il centro è stato progettato per erogare prestazione ambulatoriali di medicina nucleare al più alto livello di eccellenza clinica. La Irmet è anche uno dei soci di riferimento della società Advanced Accelerator Application (AAA), uno dei principali produttori europei di radiofarmaci. Ad oggi il centro ha raggiunto il numero di circa 41mila prestazioni erogate.
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pino, mentre gli elettrodi vengono ricollegati con la macchina che capta e analizza il segnale del tracciante in modo sincronizzato con le pulsazioni del cuore. La captazione, preceduta da una TAC a bassa intensità, si esegue utilizzando due grossi pannelli, contenenti fotomoltiplicatori, posizionati in prossimità del torace con un angolo adatto a ricostruire un’immagine tridimensionale del cuore. Infine, la terza fase consiste nella scintigrafia a riposo. Dal confronto dei risultati della seconda e dell’ultima fase emergono le più importanti informazioni sullo stato di salute del muscolo cardiaco».
Visione frontale della Pet-Ct, tomografo prevalentemente utilizzato per la diagnosi di patologie di natura oncologica m.mancini@irmet.com
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DIAGNOSTICA PER IMMAGINI • Prevenire i tumori
LA TECNOLOGIA SOSTIENE LA PREVENZIONE LE ATTREZZATURE RADIOLOGICHE ED ECOGRAFICHE DI ULTIMA GENERAZIONE RAPPRESENTANO UN SIGNIFICATIVO PASSO AVANTI NELLA LOTTA CONTRO IL CANCRO. SI VA VERSO UNA MINORE INVASIVITÀ E MAGGIORI BENEFICI PER I PAZIENTI. ECCO I METODI DELLA CURIE di Ezio Petrillo
Un momento della refertazione della mammografia digitale all’interno della Curie Srl, struttura specializzata nella diagnostica per Immagini e Terapia, con due sedi operative in Cologno Monzese (MI) info@curie.it
a prevenzione nella lotta ai tumori passa anche attraverso strumenti all’avanguardia nel campo della diagnostica per immagini. «Nell’anno 2010 ci siamo impegnati a fondo nella prevenzione dei tumori della mammella, dotandoci tra i primi in Lombardia di attrezzature radiologiche ed ecografiche di ultimissima generazione, appena uscite dalla fase sperimentale, che ci hanno permesso un significativo salto di qualità». A parlare è Dr. Gianfranco Bracchi, direttore sanitario della Curie Srl. «Parliamo di un sistema di mammografia digitale 3D Lorad Hologic Company, modello
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Selenia Dimensions con tomosintesi, arrivato, tra i primi in Italia, direttamente dagli Usa. È una metodica di mammografia elettronica digitale assimilabile alla stratigrafia, che permette lo studio del tessuto mammario in strati sottilissimi, che sovrapposti, ricostruiscono la figura della mammella nella sua completezza volumetrica in 3D, svelando lesioni che risulterebbero invisibili con l’esame tradizionale o individuandone altre che nell’immagine d’insieme, sarebbero mascherate. Ciò consente un sostanziale miglioramento nel rilevamento e nell’analisi delle lesioni tumorali, influendo tanto nel convincimento della loro presenza
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Prevenire i tumori • DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
quanto nella certezza della loro assenza». La metodica non è invasiva, non incrementa significativamente l’irradiazione e riduce il numero di falsi negativi e falsi positivi, con minor richiesta di indagini supplementari quali ecografie, biopsie, Rm. «Questo tipo di indagine è gratuita in quanto supportata economicamente dalla nostra struttura senza aiuti o ulteriori addebiti al Ssn. In campo ecografico, inoltre, ci siamo dotati di un’arma in più, per la caratterizzazione (maligna o benigna) dei noduli mammari riscontrati con la mammografia o con l’ecografia: l’elastosonografia. Si tratta di una tecnica ultrasonografica che valuta il diverso comportamento elastico tra il tessuto ghiandolare normale della mammella e le lesioni benigne o maligne. Tale metodica ci ha permesso di rafforzare l’ipotesi radiologica di benignità o malignità con conseguente minor ricorso al prelievo agobioptico». Lo sguardo della diagnostica per immagini deve essere però sempre rivolto al futuro. «Le prospettive future che riguardano la nostra struttura sono l’acquisizione di una Tac volumetrica a 64-128 slice che ci permetta di eseguire agevolmente la coronaro-TC e la Colonscopia Virtuale. La prima costituisce una delle maggiori innovazioni in campo medicodiagnostico degli ultimi 10 anni e si prospetta metodica ottimale come primo approccio diagnostico alla malattia coronarica nel paziente a basso rischio o a rischio intermedio, basandosi sulla capacità della stessa di rilevare la presenza di malattia coronarica non ostruttiva. Tale tecnica permette, inoltre, di dividere i pazienti tra coloro che hanno coronarie indenni, quelli che sono portatori di ateromasia non significativa (riduzione del lume inferiore al 50%), coloro che sono portatori di ateromasia attorno al 50% e infine i portatori di ateromasia francamente ostruttiva, con potenziali ricadute di tipo terapeutico o prognostico». La colonscopia virtuale, metodica in continuo progresso, sostituirà completamente il clisma opaco a doppio contrasto e si integrerà con la colonscopia ottica avendo un ruolo centrale nella diagnostica del colon. «È una tecnica che consente di esplorare il lume del colon in modo simile ad una colonscopia ottica tradizionale senza che però venga utiliz-
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Ci siamo impegnati a fondo nella prevenzione dei tumori della mammella, dotandoci di attrezzature radiologiche ed ecografiche di ultimissima generazione zata alcuna sonda endoscopica. È una tecnica molto meno invasiva, meno fastidiosa, meno dolorosa della colonscopia con sonde e non necessita di sedazione con farmaci per via endo-venosa. A tale riguardo nel 2008 l’American Cancer Society ha inserito la colonscopia virtuale tra le metodiche per lo screening del cancro colon-rettale, tanto che nello scorso Marzo anche il Presidente Obama si è sottoposto a questo esame, a scopo preventivo senza sedazione mantenendo perciò i suoi pieni poteri, mentre qualche anno prima l’allora Presidente Bush essendosi sottoposto per prevenzione ad una colonscopia tradizionale, dovette cedere per alcune ore i propri poteri di Presidente USA al suo Vice». La possibilità di effettuare più indagini nella stessa seduta, infine, è un aspetto che incide molto sulla soddisfazione dei pazienti. «Abbiamo considerato i pazienti con disagi nei trasferimenti – conclude il dottor Bracchi – . Il nostro bacino di utenza include aree che vanno dalla provincia di Bergamo, a nord, alla provincia di Lodi, a sud».
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DENTRO LE SALE OPERATORIE di Adriana Zuccaro DIETRO IL GRANDE VOLTO DELLA SANITÀ, I PRESIDI MEDICO CHIRURGICI CONTRIBUISCONO ALL’EFFICACE SVOLGIMENTO OPERATORIO. COME GLI ARTICOLI IN TESSUTO NON TESSUTO DISTRIBUITI DALLA BETAMED. MASSIMO RIEM FA APPELLO ALLA LORO PRATICITÀ E SICUREZZA PER MEDICI E PAZIENTI a scelta delle materie prime è il principale fattore di qualità che garantisce il successo in ogni settore di produzione, «tanto più lo deve essere nella realizzazione dei prodotti medicali dove sicurezza ed efficacia incidono direttamente sulla cura dei pazienti che si rivolgono al Sistema sanitario nazionale». Per Massimo Riem, amministratore unico della Betamed, società di produzione e distribuzione di presidi medico chirurgici, «tutti gli attori che prendono parte al mondo sanitario devono tenersi costantemente aggiornati su metodologie, tecnologie e prodotti. Bisogna trovare le soluzioni più efficaci e innovative al fine di migliorare continuamente la qualità dei servizi e offrire al paziente la migliore garanzia nella cura e nella qualità della vita».
L La Betamed produce e distribuisce presidi medico chirurgici in tutta Italia. Nella pagina a fianco, l’amministratore unico, Massimo Riem www.betamed.it
Attraverso quali fasi di ricerca viene studiato il design dei prodotti Betamed?
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«Nel progettare un articolo partiamo sempre dalle esigenze espresse dai clienti, appartenenti principalmente al mondo ospedaliero-sanitario, ma non solo. L’input progettuale si fonda innanzitutto su un accurato studio della procedura chirurgica e dell’utilizzo del prodotto in sala operatoria, al fine di soddisfare le necessità dell’equipe medica e garantire la sicurezza e soddisfazione del paziente». Quali vantaggi, in termini di sicurezza e praticità, rappresentano gli articoli Betamed? «Grazie, ad esempio, all’impiego in produzione di materiale Tessuto non tessuto, gli articoli Betamed garantiscono maggiore igiene e praticità di utilizzo evitando possibili casi di sepsi. I prodotti in Tessuto non tessuto possono essere inoltre personalizzati e customizzati secondo le esigenze velocizzando i tempi della procedura e standardizzando la stessa in
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Massimo Riem • PRESIDI MEDICO CHIRURGICI
modo da ridurre il margine di errore. Per i medici, inoltre, i custom pack permettono di avere già pronto tutto il necessario per l’intervento senza dover di volta in volta ricercare i singoli componenti, e di pianificare al meglio l’attività chirurgica. Ciò significa per le strutture sanitarie razionalizzare la logistica, recuperare tempi di procedura e, gestendo attraverso un unico fornitore ogni esigenza ospedaliera, diminuire i costi. Il valore aggiunto della Betamed consiste di fatto nell’immediata risposta alle necessità dei clienti senza dover a questi imporre un determinato prodotto. La nostra forza e mission è quindi la versatilità e duttilità». Quali sono gli elementi che conferiscono praticità ai dispositivi medicali? «Qualità, sicurezza, igiene e facilità di utilizzo sono senza dubbio gli elementi imprescindibili e caratterizzanti. Studiando il più possibile le esigenze degli utilizzatori finali si riescono a creare prodotti sempre più definiti per ogni tipo di procedura e di esigenza specifica». Come garantite l’ermeticità ai liquidi? «Gestendo l’acquisizione di materie prime sicure e certificate per l’uso medicale e rispettando tutte le norme di qualità in fase di produzione. Verificando e convalidando periodicamente il complessivo ciclo di produzione. Cerchiamo sempre di avvalerci di macchinari e tecnologie all’avanguardia attraverso una costante ricerca e monitoraggio delle migliori aziende fornitrici sul mercato medicale. Il nostro target di riferimento è principalmente rappresentato dagli operatori del Servizio sanitario nazionale. Per questo i prodotti sono studiati per essere utilizzati nelle camere operatorie di ospedali pubblici e cliniche private». Quali sono i mercati cui si rivolge la Betamed? «Betamed nasce 20 anni fa principalmente per la distribuzione di dispositivi medico chirurgici di importanti aziende nel settore medicale, consolidando negli anni la vendita diretta dei prodotti rappresentati e di conseguenza
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Grazie all’impiego in produzione di materiali in Tessuto non tessuto, gli articoli Betamed garantiscono maggiore igiene e praticità di utilizzo evitando possibili casi di sepsi
anche dei prodotti a nostro marchio. Operiamo principalmente nel settore pubblico, presso tutte le aziende sanitarie del Lazio tramite l’attività di esperti tecnici e di vendita radicati nel territorio». Quale normativa disciplina il vostro settore? «In ambito medicale le normative sono tantissime e variano sensibilmente a seconda della classe di appartenenza del prodotto. Si tratta di norme recepite dalla Comunità Europea, quindi equiparabili a livello internazionale. La Betamed tiene un costante aggiornamento sulle leggi riguardanti il proprio settore in quanto la crescente attenzione verso il paziente porta a una continua e costante evoluzione della normativa in materia. Inoltre la Betamed ha sempre sostenuto l’importanza della Certificazione di Qualità ISO, certificandosi già nel 2002».
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MEDICINA DEL LAVORO • Roberto Grillo
SICUREZZA E SALUTE DEI LAVORATORI di Luciana Fante
l lavoro allontana tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno». Sono parole di Voltaire, per molti condivisibili e persino sacrosante. Ma lo spessore filosofico da solo non basta a tutelare la salute psicofisica del lavoratore. Che spesso opera in condizioni usuranti e pericolose. Servono leggi chiare e professionalità mediche. Secondo Roberto Grillo i decreti legislativi in tema di salute e sicurezza in ambito lavorativo sono un po’ la cartina tornasole della società. Per questo è importante conoscerli. E pensare che già nel lontanissimo 82 a.C. Lucio Cornelio sanciva le prime leggi a “difesa” dei lavoratori e che oggi suonano obsolete: vietavano al padrone di uccidere i propri schiavi e imponeva di prestare cure in caso di malattia grave.
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Roberto Grillo, specialista in medicina del lavoro ro.grillo@libero.it
Sicurezza e salute: diritti imprescindibili per ogni lavoratore. Ma come si possono garantire? «Attraverso una stretta collaborazione tra medico, datore di lavoro e il servizio di prevenzione e protezione aziendale». Nella pratica? «Tutti i lavoratori vengono “schedati”, e a ognuno corrisponde una cartella sanitaria e di rischio, che tiene sotto controllo l’esito delle visite e degli esami clinici. Il medico è tenuto a trasmettere annualmente ai servizi competenti le informazioni relative ai dati aggregati sanitari e di rischio. Non secondari sono il sopralluogo negli am-
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SATURNISMO, ALLERGIE CRONICHE, DANNI ALL'UDITO. ALCUNE PATOLOGIE SONO SPESSO CORRELATE A PARTICOLARI CATEGORIE PROFESSIONALI. LE SOLUZIONI DI ROBERTO GRILLO, SPECIALISTA IN MEDICINA DEL LAVORO
bienti di lavoro e le attività di formazione e informazione, tra cui lo svolgimento di corsi di primo soccorso. Preventive o periodiche, le visite sono mirate a esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. Il lavoratore può fare ricorso avverso il giudizio di idoneità entro trenta giorni all’organo di vigilanza competente per il territorio». Che ambiti tocca il decreto legislativo del 2008? «I campi di applicazione della legge sono vasti. Si va dalla movimentazione manuale dei carichi al rischio biologico, dalla protezione da agenti chimici al videoterminale, dall’esposizione ad agenti fisici (vibrazioni e rumore), ai i campi elettromagnetici, alle radiazioni ottiche artificiali, all’esposizione ad amianto. Naturalmente è compresa l’attività in edilizia, in cui particolari provvedimenti mirano a far emergere il lavoro irregolare, così frequente in questo settore. Norme specifiche riguardano poi gli agenti cancerogeni e mutageni. Dopo la cessazione della attività che comporta l’esposizione a tali agenti sono previsti accertamenti sanitari. È stato istituito il cosiddetto registro degli esposti».
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MEDICINA LEGALE • Stefano Zilia
MEDICINA E LEGGE di Andrea Costanza
all’ultimo rapporto Ania, l’Associazione nazionale imprese assicuratrici, relativo ai sinistri occorsi in area sanitaria, emerge che «negli ultimi quindici anni il numero annuo di vertenze nei confronti dei medici è pressoché triplicato passando dai 6 mila del 1994 agli attuali 18 mila; il dato comprende anche l’ambito odontoiatrico dove, tuttavia, le controversie accertate riguardano principalmente lavori effettuati da professionisti privati che restano, rispetto ai pubblici, gli erogatori prevalenti di tali prestazioni». E l’impegno offerto da Stefano Zilia Bonamini Pepoli, odontoiatra e perito del tribunale civile di Roma, consiste proprio nell’assistenza odontoiatrica per la valutazione di traumi e infortuni a eziologia varia nonché nella consulenza odontoiatrico-medico-legale prestata al paziente, in fase stragiudiziale e in quella processuale, in contraddittorio con il sanitario o la struttura presso i quali è stata espletata la contestata prestazione. È implicito che «la consulenza possa essere svolta anche a sostegno della professionalità di medici che ritengano di essere stati ingiustamente denunciati con l’accusa di non avere ottemperato ai doveri di scienza e di coscienza che connotano l’attività sanitaria», precisa il dottor Zilia. L’attività consulenziale di odontoiatra legale comporta innanzitutto una visita specialistica con l’indagine sul paziente attraverso l’esame della sua storia clinica. «La valutazione degli interventi effettuati sul paziente hanno lo scopo di individuare la reale necessità e idoneità della terapia as-
PER VERIFICARE LA VALIDITÀ DELLE ACCUSE ESPOSTE NEI CONFRONTI DEI MEDICI, LA MEDICINA LEGALE FA SPESSO APPELLO ALLA CONSULENZA ODONTOIATRICA. L’ESPERIENZA DI STEFANO ZILIA
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Il dottor Stefano Zilia Bonamini Pepoli è odontoiatra e consulente tecnico d’ufficio al tribunale di Roma www.zilia.it
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segnata, la sua aderenza alle linee guida nazionali o internazionali, la possibilità di soluzioni alternative, l’efficacia dei risultati terapici ottenuti e l’adeguatezza dei costi». Il medico legale ha quindi il dovere di valutare gli eventuali disagi o danni occorsi. «Siamo chiamati a redigere la quantificazione del danno biologico, della inabilità o invalidità assolute e temporanee – spiega Zilia –, e a valutare i livelli di qualità e conformità alle leggi vigenti circa i materiali impiegati durante le cure ricevute dal paziente o per le protesi a lui applicate». L’importanza della consulenza medico-legale risiede inoltre nella necessaria valutazione dei postumi di un trauma conseguente a un incidente stradale o di altra natura, di malattie professionali e di infortuni sul lavoro.
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PROTESI E COMPLICAZIONI • Mario Mazza
PROTESI ALL'ANCA RISOLVERE LE COMPLICANZE di Ezio Petrillo SPESSO DOPO INTERVENTI DI INSTALLAZIONE DELLA PROTESI ALL'ANCA I PAZIENTI AVVERTONO DOLORI E DISTURBI CHE POSSONO NASCONDERE COMPLICANZE ANCHE GRAVI. SOPRATTUTTO SE NON TRATTATE IN TEMPO E IN STRUTTURE ADEGUATE. I CONSIGLI DI MARIO MAZZA
l numero di protesi all'anca impiantate ogni anno è aumentato progressivamente, a partire dagli anni '70, e comporta frequentemente la presenza di pazienti che, dopo un periodo più o meno lungo di benessere, iniziano ad avvertire dolori nella sede dell'operazione chirurgica. Questo è ciò che emerge all'osservazione di chi si occupa di questa particolare e difficile branca dell'ortopedia. Le cause sono diverse e attribuibili a vari fattori: infezioni, mobilizzazioni meccaniche e usura sono le ragioni più frequenti degli episodi dolorosi. Ne discutiamo
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Il professor Mario Mazza, specialista in ortopedia e traumatologia, docente a contratto della Scuola di Specialità in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Milano mario.mazza@fastwebnet.it
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con il professor Mario Mazza. Quali sono le possibili cause dei disturbi avvertiti dai pazienti che hanno impiantato protesi all'anca? «Le indagini radiologiche come radiografie o scintigrafie, possono evidenziare una mobilizzazione della protesi in una delle due componenti o in entrambe (stelo e cotile). Le mobilizzazioni possono essere legate a cause meccaniche o settiche derivanti da possibili infezioni». Come si interviene in questo caso? «Il comportamento chirurgico è differente a seconda del problema riscontrato. In caso di infezione si è costretti, dopo
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Mario Mazza • PROTESI E COMPLICAZIONI
aver rimosso la protesi, a sottoporre il paziente a terapia antibiotica per due-tre mesi prima di poterla re-impiantare. Quando invece riscontriamo una sorta di mobilizzazione meccanica dovuta a distacco della protesi dall'osso ospite, si deve rimuovere la componente mobilizzata e sostituirla con una nuova. Esiste poi una terza situazione che interessa le protesi con una delle superfici di scorrimento in polietilene: l'usura produce delle particelle di materiale che possono nel tempo scollare la protesi ed è importante accorgersene dalle radiografie in modo tale da poter sostituire il polietilene prima che procuri danni maggiori. La sostituzione è molto più semplice è meno gravosa per il paziente che intervenire quando la protesi è irrimediabilmente scollata».
Le indagini radiologiche come radiografie o scintigrafie, possono evidenziare una mobilizzazione della protesi in una delle due componenti o in entrambe
Come si deve affrontare questo particolare tipo di chirurgia? «È indispensabile la coesistenza di diversi elementi. L'esperienza del chirurgo in primis che deve essere capace di affrontare le tante possibili complicanze che possono derivare da questo particolare intervento. La struttura in cui si opera, poi, deve garantire la massima sterilità della sala operatoria, la presenza di strumentari avanzati e di protesi da revisione differenti per poter affrontare le possibili difficoltà intra-operatorie. Nel corso dell'intervento è importante avere la possibilità di operare con gli scafandri che isolino l'equipe chirurgica dal malato diminuendo il rischio di infezioni. La presenza della "banca dell'osso", inoltre, è decisiva nel momento in cui, nel corso delle mobilizzazioni, spesso avvengono perdite di sostanza ossea a cui occorre rimediare con ossa tritate
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o stecche intere. Non è da sottovalutare, infine, la possibilità di utilizzare fattori di crescita o cellule staminali se necessario, per aumentare la risposta dell'osso nell'integrazione con la protesi». Quanto è importante il piano pre-operatorio? «Nella struttura che dirigo affrontiamo spesso questo tipo di operazioni. Esse richiedono un'attenzione particolare nel piano pre-operatorio, personale di sala operatoria avvezzo a questa chirurgia, anestesisti preparati a interventi che possono durare ben più di una semplice protesi e con perdite di sangue maggiori. Ci vuole insomma personale medico e paramedico preparato nel trattare adeguatamente questi pazienti, per poter loro permettere un reintegro rapido e qualitativamente buono».
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PROTESI AL GINOCCHIO • Roberto Ventura
QUANDO INSTALLARE LA PROTESI di Ezio Petrillo
SCOPRIAMO QUANDO È NECESSARIA L’INSTALLAZIONE DI UNA PROTESI AL GINOCCHIO. TEMPISTICHE DI RECUPERO E MODALITÀ DI INTERVENTO NELLE PAROLE DI ROBERTO VENTURA
estremità inferiore del femore e la parte superiore della tibia che formano l’articolazione del ginocchio sono normalmente ricoperti di uno strato di cartilagine. Quando questa è danneggiata da infortuni o da processi degenerativi, si osserva una sua usura fino alla scomparsa totale. Le due superfici ossee fanno attrito direttamente tra di loro provocando dolori e diminuzione della mobilità. È in questo caso che viene indicata la sostituzione dell’articolazione con una protesi. L’indicazione all’intervento viene però valutata da paziente a paziente, secondo l’età, il grado di attività, lo stato di salute generale.«Quando c’è un’artrosi abbastanza rilevante con una sintomatologia clinica che impedisce al paziente una vita normale, bisogna assolutamente intervenire chirurgicamente». A parlare è Roberto Ventura, specialista in ortopedia e traumatologia.
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Roberto Ventura, specialista in ortopedia e traumatologia rober.ventura@yahoo.it
Quali sono i diversi tipi di protesi che si possono impiantare? «Si tratta di protesi mono o totali. Le prime sono indicate nelle persone più giovani con una sofferenza solo di un comparto del ginoc-
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chio. Nelle persone più anziane, invece, è meglio impiantare una protesi totale che copre tutto il ginocchio». Quali possono essere le complicanze derivanti dall’intervento? «Le complicanze sono molto rare al giorno d’oggi. Possono essere costituite da un mal posizionamento della protesi o da infezioni. Al massimo si può determinare una instabilità derivante da una tecnica chirurgica non corretta». Passando invece alla fase post-operatoria, quali accorgimenti bisogna avere? «Non ci sono accorgimenti particolari per queste tipologie di intervento. Se il movimento del ginocchio è buono, il paziente può fare la sua vita normalmente e non ci sono grossi problemi di limitazione. È evidente che più il paziente è giovane, più si usura la protesi, in quanto questa componente è legata all’attività maggiore che può avere un individuo giovane rispetto a uno anziano». Quali le tempistiche di recupero per ri-ottenere una funzionalità completa del ginocchio? «In genere passano dai due ai tre mesi. Dipende comunque dal paziente e dalla sua motivazione nel recupero. La procedura consiste in 20-30 giorni di fisioterapia e qualche accorgimento fisioterapico successivo. Le stampelle vengono utilizzate per 15-20 giorni ma dipende molto anche dall’aspetto psicologico del paziente».
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TECNICHE FISIOTERAPICHE • Oriano Casamenti
LA FISIOTERAPIA PER CURARE E PER PREVENIRE di Ezio Petrillo idurre i dolori e i tempi di recupero post-trauma grazie a moderni macchinari e alle sapienti tecniche manuali. Parliamo dei fini e degli usi della fisioterapia, oggi metodo indispensabile per curare, ma anche per prevenire problemi motori. «Il nostro studio non si è fermato solo al momento riabilitativo e fisioterapico, ma, ampliando il concetto di prevenzione dei problemi motori ha creato un reparto di benessere psico-fisico». A parlare è Oriano Casamenti, fisioterapista dell’omonimo studio e titolare dello studio Ronefor di Torino, all’avanguardia per le tecniche terapeutiche utilizzate.
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Parliamo della magnetoterapia. Possiamo spiegarne nei dettagli le caratteristiche? «È una terapia fisica che struttura l’azione di un campo magnetico a scopi terapeutici. La sorgente del campo magnetico è rappresentata da un solenoide percorso da corrente elettrica con onde elettriche a forma sinusoidale o rettangolare a bassa frequenza; che può essere fissa o variabile da 1 a 100 HZ ma generalmente è di circa 50 Hz. L’intensità del campo magnetico varia da 1 a 100 gauss. Gli impulsi elettromagnetici, eccitando le cellule, aiutano la rigenerazione dei tessuti ossei e cutanei, migliorano la circolazione sanguigna e stimolano Oriano Casamenti, all’interno dello studio la produzione di endorfine da parte Ronefor di Torino che è del sistema neurovegetativo, ridula prima “endermo Spa” cendo in tal modo il dolore che può del Piemonte o.casamenti@studioronefor.it essere provocato, ad esempio, da www.studioronefor.it uno stato infiammatorio».
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LE PIÙ AVANZATE TECNOLOGIE FISIOTERAPICHE. OGGI, ACCANTO A MODERNI MACCHINARI È IMPORTANTE IL LAVORO DI MANI SAPIENTI, SPECIE PER QUEL CHE RIGUARDA L’ASPETTO DELLA PREVENZIONE. I METODI DI ORIANO CASAMENTI
Quali sono invece i vantaggi della Tecarterapia? «Oggi la Tecarterapia è riconosciuta come uno dei trattamenti di maggiore rapidità ed efficacia nella cura di molte patologia articolari, osteoarticolari e muscolari sia acute che croniche. Ricorrere alla Tecarterapia significa sfruttare una tecnologia avanzata, scientificamente sperimentata e rigorosamente brevettata che ha cambiato il mondo della fisioterapia. Il metodo è costituito da un principio rivoluzionario che agisce nei tessuti biologici profondi in modo naturale
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Oriano Casamenti • TECNICHE FISIOTERAPICHE
e non invasivo attivando dall’interno i processi riparativi e anti-infiammatori. La Tecarterapia ha già dato brillanti risultati nel trattamento e nella prevenzione di postumi di fratture, artropatie, deficit autoimmuni, riartrosi. Determinante per la messa a punto del metodo è stata l’esperienza nello sport agonistico dove accelerare i tempi di ripresa è un aspetto fondamentale. Grazie alla potenza e alla velocità di questo metodo, il sollievo dal dolore sarà immediato e i tempi di guarigione ridotti». L’efficacia della fisioterapia è data anche dalla tecnologia e da apparecchi moderni che consentono un benessere senza precedenti. Tra essi c’è l’Hydrofor. Quali sono i benefici forniti da questo macchinario? «Tra le nostre metodiche terapeutiche, andiamo particolarmente orgogliosi dell’hydroelectrophoresis. Una tecnica che trasporta le molecole dei vari medicinali tradizionali, fitoterapici o omeopatici oltre la barriera dermica, permettendo così l’introduzione dei principi attivi a profondità differenti nei tessuti, a seconda della cura da effettuare. Il macchinario che sfrutta questa tecnica, ossia l’Hydrofor, rappresenta l’avanguardia della biotecnologia moderna. L’efficacia è data dalla penetrazione dei principi attivi sotto pelle ed è decisamente maggiore rispetto alle terapie classiche come la ionoforesi, dato che raggiunge una profondità che fino a ieri era riservata alle iniezioni sotto cute o alla mesoterapia». Non solo fisioterapia. Chi si rivolge a
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L’EFFICACIA DELLE ONDE D’URTO e onde d’urto (EMS), ad alta energia acustica, vengono trasmesse attraverso la superficie della pelle e diffuse in tutto il corpo. Esso risponde con un aumento dell’attività metabolica attorno all’area del dolore. Questa tecnica stimola e accelera il processo di guarigione più frequentemente e in particolare nei casi come tendinosi calcifica, gomito del tennista, sperone calcaneare, achillodinia, tendiniti patellari, sindrome della cresta tibiale e borsite trocanterica.
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strutture come la vostra vuole ottenere anche benefici estetici. Come combaciano questi due aspetti? «Senza dubbio attraverso l’endermologie. Questa tecnica tratta il tessuto cutaneo e sottocutaneo, grazie a un perfetto adattamento ai problemi riscontrati. I risultati saranno di ordine sia estetico che funzionale con un'azione anti cellulite a livello connettivoadiposo ipodermico dove disintasa, vascolarizza e favorisce l’eliminazione delle tossine e gli scambi cellulari. Sulla base di principi fisiologici similari, l’endermologie tratta l’eventuale ritenzione idrica combinata a una stimolazione dei tessuti con impatto linfatico e venoso. Grazie a delle manovre scelte aiuta a combattere l’invecchiamento attraverso delle sollecitazioni cellulari specifiche. Con il rilancio della lipolisi a livello dell’adipe profondo, l’endermologie rimodella il corpo e riduce i volumi. A livello dell’epidermide, essa effettua un peeling meccanico che elimina le cellule morte e ridona splendore alla pelle».
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IL LASER CONTRO L’ERNIA • Filippo Albertini
LA CURA DELL’ERNIA È MENO INVASIVA di Giulio Conti STUDI SCIENTIFICI INTERNAZIONALI EVIDENZIANO UN SUCCESSO PARI ALL’80% DELLE TECNICHE MININVASIVE CHE UTILIZZANO IL LASER PER LA CURA DELL’ERNIA DEL DISCO. QUESTE TECNICHE, SECONDO IL DOTTOR FILIPPO ALBERTINI, RIDUCONO LE COMPLICANZE DOVUTE ALLA CHIRURGIA TRADIZIONALE
In alto, il Dottor Filippo Albertini www.santanna-gsd.it
o sviluppo delle moderne tecniche alternative alla chirurgia classica sulla colonna vertebrale, ha favorito i neuroradiologi, e oggi «l’utilizzo degli strumenti radiologici per la centratura dei trattamenti consente un intervento accurato. Le procedure più attuali utilizzano la fluoroscopia o la TAC per arrivare con precisione nel punto da trattare». E tutte le terapie curative del mal di schiena oggi condividono un principio comune: la minor invasività. Ipotesi condivisa da Filippo Albertini, neuroradiologo, responsabile del Servizio di Neuroradiologia dell’Istituto Clinico S. Anna di Brescia.
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Tenuto conto delle evoluzioni effettuate, quale metodologia guida il suo approccio personale? «Mi avvalgo di un criterio multidisciplinare, che mi ha indotto, dieci anni or sono, a trattamenti mininvasivi sulla colonna vertebrale, utilizzando l’ozonoterapia». Quali fasi prevede questo intervento? «Le tecniche percutane utilizzano sottili aghi guidati sino al punto di origine del dolore per rilasciare farmaci, ozono o, come nel caso del laser, per veicolare una
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fibra ottica. Di recente è comparsa una nuova area applicativa della chirurgia laser: la discectomia laser percutanea, PLDD. Da circa tre anni all’Istituto Clinico S. Anna utilizziamo la PLDD che è una procedura chirurgica miniinvasiva per il trattamento dell'ernia del disco. Negli ultimi cinque anni sono stati introdotti laser chirurgici all’avanguardia e altamente specializzati». In che modo vengono applicati i laser chirurgici sul paziente? «L’azione del laser sul disco intervertebrale consiste in una sua parziale vaporizzazione con retrazione della massa erniata e liberazione del nervo interessato dalla compressione. Il raggio laser è immesso attraverso sottilissime fibre ottiche sotto guida fluoroscopica o sotto guida TAC, all'interno di un ago-guida di calibro molto piccolo. L'energia laser erogata vaporizza il tessuto che costituisce l’ernia discale. La procedura viene eseguita in regime di Day-Hospital, in anestesia locale o leggera sedoanalgesia, non richiede incisioni chirurgiche né rimozione di punti e permette un recupero veloce di circa una settimana».
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CHIRURGIA DEL FORO MACULARE • Vincenzo Petitti
L’APPROCCIO DIAGNOSTICO ALLA PATOLOGIA MACULARE LA VISIONE DISTORTA PUÒ ESSERE PROVOCATA DALLA COMPARSA DEL FORO MACULARE. VINCENZO PETITTI, DIRETTORE DELL’UNITÀ DI OCULISTICA DEL SAN CAMILLO-FORLANINI DI ROMA, SPIEGA I SINTOMI E IL PERCORSO DIAGNOSTICO di Adriana Zuccaro
Da destra il professor Vincenzo Petitti, la dottoressa Antonella De Martiis e il dottor Gianfranco Pietravalle dell’unità di oculistica del San Camillo-Forlanini di Roma vpetitti@scamilloforlanini.rm.it
ra le diverse e specialistiche pratiche oculistiche, la chirurgia del foro maculare e del puker fornisce buoni risultati consentendo un adeguato recupero visivo nella maggioranza dei casi. «Si tratta di una chirurgia, della durata media di 60-90 minuti circa, che può essere eseguita anche in regime di day hospital, ma che richiede una diagnosi mirata, un’accurata scelta del momento dell’intervento e un’attenta valutazione del post-operatorio». Da circa 10 anni questi interventi vengono regolarmente eseguiti presso l’unità operativa di oculistica dell’azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma diretta dal professore Vincenzo Petitti che descrive le principali patologie della macula e le strumentazioni
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diagnostiche più idonee. Cosa si intende per foro maculare? «Il foro maculare è un’apertura a tutto spessore del tessuto che si verifica a livello della fovea anatomica ovvero in quella parte della retina che è responsabile della visione nitida. I pazienti sintomatici affetti da foro maculare lamentano generalmente riduzione visiva centrale e metamorfopsia (visione distorta)». Attraverso quali disturbi si intercetta? «Di frequente, i pazienti affetti da foro maculare notano soltanto una lieve riduzione visiva, più evidente alla lettura o alla guida. Spesso trascorre qualche tempo prima che si rendano conto della riduzione visiva specie quando questa riguarda un solo occhio.
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Vincenzo Petitti • CHIRURGIA DEL FORO MACULARE
Talvolta i pazienti sono in grado di descrivere con esattezza il momento in cui il foro maculare si manifesta, più spesso riferiscono invece sintomi che evolvono gradualmente. Vi sono poi pazienti completamente asintomatici, e in questo caso il foro viene diagnosticato soltanto in un esame di routine, oppure al rinnovo della patente di guida». Che tipo di connessione esiste tra la comparsa del pucker maculare e del foro? «Assieme al pucker maculare il foro maculare rientra in quella serie di patologie cosiddette “dell’interfaccia vitreo-retinica”, cioè del confine fra la retina e il vitreo. Il pucker maculare (o membrana epiretinica) è una sottile membrana che si sviluppa sulla macula provocandone la progressiva distorsione a causa delle trazioni esercitate sulla superficie retinica. Questa trazione può favorire lo sviluppo di un foro maculare». Qual è il livello di incidenza di questa patologia? «Le donne sono colpite più spesso degli uomini in un rapporto di 2 a 1. Il rischio di un coinvolgimento bilaterale è di 10-20% ma raramente la comparsa è simultanea. Oltre i 60 anni di età l’incidenza mondiale è di 3 casi su 1000. Fino a pochi anni fa il foro maculare era considerata una patologia non trattabile. Oggi l’evoluzione delle tecniche chirurgiche ha fatto sì che la chiusura del foro possa essere ottenuta nella maggior parte dei casi con un intervento eseguito in anestesia locale e, in casi selezionati, anche in regime di day hospital. I risultati visivi migliori si ottengono nei pazienti con sintomi recenti (6 mesi)». Attraverso quale iter diagnostico è possibile stabilire la gravità del foro maculare? «Dopo una visita oculistica completa e un esame biomicroscopico alla lampada a fessura dell’area maculare, l’esame più indicato per selezionare i casi di foro maculare e di sindrome dell’interfaccia vitro-retinica
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CENTRO DI ECCELLENZA SAN CAMILLO-FORLANINI
all’aprile 2008 l’unità operativa di oculistica dell’azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma è diretta dal professore Vincenzo Petitti. «Presso la nostra struttura è possibile eseguire una visita oculistica di base o essere seguiti presso gli ambulatori speciali di oftalmologia pediatrica, glaucoma e neuroftalmologia. Disponiamo di una sofisticata diagnostica strumentale che ci consente di approfondire le patologie oculari del segmento anteriore (cataratta, glaucoma) e posteriore (foro maculare, pucker, distacco di retina)». Annualmente vengono eseguite 45.000 prestazioni ambulatoriali e 3.000 interventi chirurgici. Il San Camillo-Forlanini è l’unico riferimento italiano e centro di eccellenza europeo per l’intervento di cornea artificiale, osteo-odonto-cheratoprotesi.
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www.scamilloforlanini.rm.it
potenzialmente suscettibili di trattamento chirurgico (vitrectomia) è l’OCT, tomografia a coerenza ottica. È una recente tecnica di imaging, non invasiva, che fornisce immagini ad alta risoluzione di sezioni della retina umana in vivo. Attualmente l’OCT è considerato un esame strumentale complementare alla fluorangiografia e alla fotografia del fondo oculare per lo studio delle patologie retiniche, ma si sta sempre più sostituendo a essi soprattutto per quanto riguarda la stadiazione e il foll-up delle alterazioni dell’interfaccia vitreo-retinica e dei fori maculari».
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CHIRURGIA MININVASIVA • Stefano Zenoni
LA VITRECTOMIA MININVASIVA di Giulio Conti egli ultimi anni tutta la chirurgia ha cercato di affinare le tecniche per renderle sempre meno traumatizzanti per il paziente permettendo un migliore decorso postoperatorio e un recupero più rapido. Anche l’oculistica ha perseguito questi obiettivi. «Nella chirurgia della cataratta, ad esempio, si è pervenuti a incisioni sempre più piccole con l’inserimento di lentine intraoculari prepiegate e quindi a un recupero anatomico e funzionale più rapido utilizzando l’anestesia topica corneale con i colliri, quale metodica più standardizzata». Stefano Zenoni, primario dell’unità operativa complessa di oculistica degli Ospedali Riuniti di Bergamo, spiega come la chirurgia vitreoretinica, con la tecnica chiamata appunto vitrectomia, abbia registrato notevoli progressi soprattutto grazie all’introduzione di strumentazioni di calibro ridotto.
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Stefano Zenoni è primario dell’unità operativa di oculistica degli Ospedali Riuniti di Bergamo fedezen2008@libero.it
Quali sono le caratteristiche del corpo vitreo? «Il vitreo rappresenta uno dei principali tessuti connettivi del corpo umano. È una struttura trasparente, semisolida, gelatinosa che occupa l’intero bulbo oculare, a diretto contatto anteriormente con il cristallino e posteriormente con la retina. Il gel vitreale, per le caratteristiche fisiche di alta percentuale di acqua e proteine, rappresenta una delicata rete che conferisce trasparenza, permettendo quindi il passaggio della luce, omogeneità del bulbo oculare ed elasticità perché ammortizza gli urti». Cos’è la vitrectomia? «La vitrectomia, cioè l’asportazione chirurgica del vitreo, è la procedura d’elezione nelle patologie vitreoretiniche. Si effettua in molte forme di distacco di retina in cui la contra-
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LE DISFUNZIONI DEL CORPO VITREO POSSONO ESSERE RIPRISTINATE ATTRAVERSO LA CHIRURGIA MININVASIVA. TRA LE TECNICHE PIÙ EFFICACI, STEFANO ZENONI ANNOVERA LA VITRECTOMIA zione del corpo vitreo è alla base del distacco stesso; nelle endoftalmiti, cioè nelle infezioni endoculari in cui il vitreo può costituire un vero e proprio terreno di coltura per germi e parassiti. In tutte le patologie dell’interfacie vitreo-retinica come ad esempio in casi di fori o di pucker maculari, la vitrectomia rappresenta l’atto chirurgico che precede la chirurgia retinica. Viene inoltre eseguita per contrastare gli eventi proliferativi, tipici della patologia diabetica, ed emorragici da trazione vitrale; nelle forme traumatiche e/o penetranti, con corpi estranei endobulbari; in casi di patologie iatrogene, in cui si verifica la lussazione di frammenti di cristallino, infiammatorie o vascolari». In che modo viene eseguita la chirurgia vitreoretinica? «Quale recente acquisizione della terapia oculistica, la chirurgia vitreoretinica permette di affrontare tutte le patologie che interessano il segmento posteriore dell’occhio. La vitrectomia consiste nell’asportare parte o tutto il corpo vitreo attraverso 3 piccole brecce sclerali (sclerotomie) eseguita in circa 4 millimetri dal margine della cornea. L’intervento viene eseguito mediante 3 microsonde: una per infondere liquidi a pressione costante predeterminata, una per illuminare il campo
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Stefano Zenoni • CHIRURGIA MININVASIVA
operatorio, una per aspirare il vitreo. Quest’ultima ha un meccanismo di taglio a ghigliottina che permette di rimuovere il gel vitreale senza dare trazioni alla retina». Quali caratteristiche tecniche presentano le sonde chirurgiche? «Le sonde sono collegate a un’apparecchiatura, unità di chirurgia vitreoretinica, che fornisce la luce di illuminazione, la pressione di infusione dei liquidi, controlla il livello di vuoto della aspirazione e comanda la velocità di taglio del vitrectomo, produce luce e reattività algica e quindi un migliore comfort per il paziente. L’intervento viene eseguito al microscopio operatorio. Il vitreo asportato viene sostituito con soluzione salina bilanciata che ha una composizione simile all’umor acqueo e quindi non è tossica per le strutture endoculari». Quali sono i margini di rischio? «Per la rimozione del gel vitreale patologico, utilizzando taglienti automatizzati da 3000 tagli/minuto, si ha la garanzia di una maggiore precisione chirurgica con minori complicanze trazionali per la retina. Lo sviluppo di strumentari di calibro ridotto, anche a 0,5 millimetri, che passano attraverso delle guide per ridurre al minimo il traumatismo chirurgico nella loro introduzione all’interno dell’occhio, associato all’utilizzo di fonti luminose dedicate che riducono la fototossicità per la struttura retinica, hanno permesso di trattare in maniera soddisfacente patologie complesse». Su quali aspetti si concentra l’efficacia della chirurgia mininvasiva? «L’approccio ab- interno delle strutture oculari era consentito fino a qualche anno fa a strumenti di calibro 20 G (gauge) (0.9 mm) che richiedevano l’apertura della congiuntiva. Oggi è permesso mediante calibri di 23 G (0.72 mm) e addirittura 25 G (0.5 mm) utilizzando un accesso trancongiuntivale. Soprattutto le patologie che interessano la zona nobile della retina, cioè la macula deputata alla visione distinta, possono essere operate in
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IL FORO MACULARE nche il foro maculare trova la sua indicazione principe nell’utilizzo della chirurgia mininvasiva. La patologia è determinata da un progressivo assottigliamento della zona deputata alla visione distinta (macula) che, nelle forme idiopatiche senili, va incontro a processi di atrofizzazione. Sui bordi del foro maculare si possono verificare fenomeni di retrazione con il conseguente sollevamento dei bordi stessi e della retina circostante. In questo caso lo scopo della chirurgia è quello di liberare i bordi del foro della macula da ogni trazione e permettere quindi al paziente di utilizzare parte dei sistemi sensoriali (fotorecettori-coni) rimasti sul bordo del foro maculare stesso e nei casi più favorevoli, ottenere un recupero funzionale.
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sicurezza. Oltre alla chirurgia pediatrica che trova essenziale l’uso di questi calibri strumentali ridotti (25 G) nella sua esecuzione, anche il trattamento chirurgico per la rimozione di membrane patologiche che si formano al davanti della zona della visione distinta (la macula) trova una delle indicazioni principali per l’utilizzo della chirurgia mini invasiva. In casi di sindrome dell’interfacie vitreo-retinica, pucker maculari, edemi secondari a membrane epiretiniche, mediante questo tipo di tecnica si possono rimuovere membrane che, pur avendo uno spessore di pochi μ, determinano dei danni di tipo trazionale spesso importanti».
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CHIRURGIA RIFRATTIVA • Andrea Ascari
SEQUENZA LASER IL GOLD STANDARD DELLA CORREZIONE DEI DIFETTI REFRATTIVI OGGI È RAGGIUNGIBILE, GRAZIE ALLA TLCT, UNA TECNICA LASER COMBINATA. IL DOTTOR ANDREA ASCARI DESCRIVE LE TECNOLOGIE CHIRURGICHE PIÙ AVANZATE PER IL RECUPERO DELLA VISTA di Andrea Costanza
li alti livelli di sicurezza delle moderne tecniche di chirurgia rifrattiva sono scaturiti dalla disponibilità di tecnologie sempre più avanzate. «L’efficacia delle tradizionali tecniche chirurgiche come la Prk o la Lasik oggi può essere migliorata da strumenti computerizzati all’avanguardia; grazie, ad esempio, al nuovissimo Intralase, adatto alla correzione di miopie, astigmastismi e soprattutto di ipermetropie, è possibile eseguire l’intero intervento tramite laser». Il dottor Andrea Ascari, chirurgo oculista oftalmologo, spiega quanto in chirurgia sia importante la disponibilità di strumentazioni di ultima generazione.
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Il dottor Andrea Ascari opera presso il Poliambulatorio Chirurgico Modenese www.andreaascari.it
Quali vantaggi clinici derivano da tecniche come l’Intralase? «Lo strumento ci consente di intervenire chirurgicamente con maggiore sicurezza e riproducibilità di risultato e di ridurre i tempi di recupero postoperatorio. Ma la scelta della tecnica è comunque sempre legata al professionista perché va studiata sulle caratteristiche del singolo occhio. Sulla base di sofisticati esami strumentali si valutano le caratteristiche strutturali dell’occhio come la superficie corneale, lo spessore corneale e l’integrità della retina e su questi
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dati si decide qual è la tecnica più opportuna per il singolo paziente affetto da un determinato difetto visivo». Quali sono i margini di rischio chirurgico? «Dipende dalle tecniche. Ad esempio, se usiamo una Prk, cioè una tecnica solo di superficie, il rischio di avere dei danni permanenti all’occhio è oggi praticamente inesistente. Se invece applichiamo altre tecniche eseguite nello spessore della cornea, come la Lasik o l’Intralase, (completamente computerizzata), i rischi possono essere dello 0,5% circa. Il margine di sicurezza è dunque eccellente, sempre che l’occhio abbia una struttura che ci consenta intervenire chirurgicamente». Quale è l’ultima novità? «Presso il Poliambulatorio Chirurgico Modenese, oltre a disporre di tre tipi di laser a eccimeri e dell’Intralase, abbiamo messo a punto della Tlct, Two Laser Combined Technique, una tecnica combinata atta a correggere le ametropie. È l’utilizzazione, praticamente in sequenza, di un laser a spot e uno a scansione per ottenere, ad esempio sugli astigmatismi elevati, il gold standard della correzione».
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DIAGNOSTICA OFTALMOLOGICA • Patrizia Catellino
PERCORSI DIAGNOSTICI di Adriana Zuccaro SOTTOPORRE I NOSTRI OCCHI AGLI ESAMI OCULISTICI AIUTA A PREVENIRE ANCHE LE PATOLOGIE PIÙ GRAVI. LA DOTTORESSA PATRIZIA CATELLINO DESCRIVE LE METODICHE DIAGNOSTICHE PIÙ EFFICACI
oftalmologia è la branca medica che ha beneficiato, forse più di altre discipline, delle numerose scoperte e applicazioni diagnostiche e terapeutiche cui la scienza è pervenuta negli ultimi vent’anni. Ma, per la dottoressa Patrizia Catellino, medico generico e specialista oftalmologo, «a dispetto della fervida produzione scientifica e tecnologica, in campo medico si assiste ancora all’eterna diatriba tra la prevenzione e la mancanza di fondi economici». L’impegno della comunità medica rimane dunque imprescindibile. La dottoressa Catellino descrive i percorsi diagnostici all’avanguardia per il trattamento delle principali patologie della vista e le terminologie oftalmologiche che partecipano alla diffusione di una sana cultura della prevenzione.
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Patrizia Catellino è specialista in oftalmologia ed è consulente presso l’Ospedale Valdese di Torino e anche presso i centri Eidomed di Torino e San Luca di Rivoli doc.pat@tiscali.it
Quanto ha inciso il progresso tecnologico nella prevenzione oculistica? «In aiuto della pratica oftalmologica sono arrivate tecnologie, anche di tipo informatico, che permettono di meglio interpretare, dimostrare e quantificare ciò che in passato poteva solo essere descritto. Ed ecco allora che alla visita oculistica, primo
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e fondamentale passo di una buona prevenzione, può far seguito la richiesta di altri accertamenti. Per tali ragioni è bene che sia i medici generici prescrittori a livello del Servizio Sanitario, sia i loro pazienti, conoscano alcune terminologie ormai pressoché di uso comune come l’esame del fondo dell’occhio in midriasi, ciò che con terminologia tecnica indica l’esame della retina in modo più approfondito, con l’aiuto di farmaci che permettono la midriasi, cioè la dilatazione della pupilla degli occhi, per meglio vedere la retina in tutti i suoi particolari». Con quali esami si può accertare la salute della retina? «Con questa metodica non invasiva rileviamo una sezione fotografica senza uso di mezzi di contrasto, computerizzata e virtuale della retina, che come tutti i tessuti del corpo umano è composta da strati. Un tempo ciò era possibile solo in un laboratorio dopo asportazione dell’occhio per
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Patrizia Catellino • DIAGNOSTICA OFTALMOLOGICA
PATOLOGIA GLAUCOMATOSA TERMINOLOGIA DIAGNOSTICA er glaucoma si intende una sindrome in cui sono presenti, non necessariamente assieme, alcuni sintomi, tra cui l’alta pressione oculare, danni del nervo ottico o, meglio, della sua emergenza sulla retina detta papilla ottica e alterazioni del campo visivo. Tra gli esami a disposizione per ottenere questi dati, la tonometria permette all’oculista di misurare la pressione degli occhi; la retinografia e l’O.C.T. fotografano l’immagine della papilla ottica: parte importante della retina, situata nelle immediate vicinanze della macula, corrisponde alla struttura da cui prende origine il nervo ottico che ha il compito di portare informazioni al cervello, di condurvi le immagini del mondo esterno. Il glaucoma è una patologia ancora molto controversa poiché gli studi su di essa sono assidui e continuamente portano a scoprire nuovi meccanismi patogenetici e nuove terapie mediche e chirurgiche.
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gravissime patologie, sottoponendo l’organo espiantato a una dissezione anatomica e poi istologica con l’utilizzo di idonee colorazioni, preparazioni di vetrini su cui il tessuto espiantato veniva disposto e successive osservazioni al microscopio. Ora mediante questa dissezione virtuale della retina, possiamo vedere in vivo, con occhio perfettamente funzionante, se gli strati di cui è composta la retina sono sani o se presentano anomalie». Perché è importante il controllo della papilla ottica? «Fermare l’immagine di tale struttura anatomica in tempi diversi del decorso della patologia glaucomatosa permette di vedere, e non solo di descrivere, l’eventuale peggioramento del danno e di quantificarlo per meglio calibrare le terapie. Il campo visivo manuale (C.V.M.) e soprattutto il campo visivo computerizzato (C.V.C.) hanno anch’essi il compito di permettere una quantificazione dell’even-
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tuale danno causato dal glaucoma. Rappresentano una metodica diagnostica che ricorda i video games; il paziente risponde a uno stimolo luminoso schiacciando un tasto. Il risultato è un grafico che assomiglia a una mappa geografica la cui interpretazione permette all’oculista di capire se già esiste danno e se nel tempo questo progredisce o si riduce grazie alle terapie, permettendo una miglior gestione delle stesse in base alle esigenze del singolo paziente. La pachimetria, infine, permette di studiare lo spessore della parte anteriore e trasparente dei nostri occhi. La sua conoscenza permette di prevedere approssimativamente quanto una pressione oculare può danneggiare l’occhio».
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OFTALMOLOGIA • Carlo Orione
IL LASER A FEMTOSECONDI di Giulio Conti
e tecniche per la correzione della miopia, dell’ipermetropia e dell’astigmatismo sono ormai sicure e collaudate. Per ottenere i migliori risultati, però, bisogna effettuare una visita oculistica approfondita». Perché per Carlo Orione, medico chirurgo specializzato in oftalmologia, «le possibilità curative sono molteplici, ma vanno adattate a ogni singolo paziente in base all’età, al difetto refrattivo e alla conformazione anatomica dell’occhio».
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Carlo Orione, oftalmologo, esercita la professione a Nizza, Monferrato e Genova www.orioneye.com info@orioneye.com
Quali sono le tecniche più utilizzate? «Quando la cornea è molto sottile oppure quando il difetto refrattivo è molto alto, il laser è controindicato. Con un piccolo intervento in anestesia topica, cioè con poche gocce di collirio, inseriamo una lente intraoculare così che il paziente potrà vedere senza occhiali in maniera definitiva. Ma se gli esami lo consentono, la tecnica oggi più efficace è quella che usa il laser a eccimeri abbinato al laser a femtosecondi: indolore e minimamente invasiva, consente un recupero della capacità visiva immediato». Perché il laser a femtosecondi rappresenta una delle tecniche più sicure? «Questo laser, che utilizza luce infrarossa con spots della grandezza di pochi micron, determina un tratta-
L’UTILIZZO DEL LASER A FEMTOSECONDI NON PROVOCA NESSUN TIPO DI FASTIDIO POSTOPERATORIO. E IL GIORNO SEGUENTE L’INTERVENTO SI RIESCE GIÀ A VEDERE SENZA OCCHIALI. CARLO ORIONE NE SPIEGA LA TECNICA mento poco invasivo con la massima sicurezza legata all’azione non meccanica dell’incisione. Il taglio, infatti, viene effettuato tramite la produzione di microbolle di gas che consentono un’elevata precisione e un’altissima riproducibilità dei risultati. In passato si utilizzava una lama che esponeva l’occhio a maggiori rischi». La presbiopia è contemplata tra i difetti correggibili con il laser a femtosecondi? «Al momento non abbiamo ancora una casistica standardizzata che ci permetta di assicurare ai pazienti un risultato duraturo per questo fastidioso difetto fisiologico che, dopo i 45 anni, obbliga a dover utilizzare gli occhiali per la lettura. Ma in un futuro ormai vicino, ci sono ottime prospettive per poter risolvere il problema in sicurezza e in modo definitivo». Quale differenza esiste tra la Prk e la Lasik? «La Prk è una tecnica ormai obsoleta che si utilizza solo in rari casi in cui è controindicata la Lasik o l’introduzione di una lentina in camera anteriore. I pazienti non accettano più di avere un recupero visivo lungo e doloroso. Con il laser a femtosecondi non accusano alcun tipo di fastidio nelle ore dopo l’intervento e il giorno seguente riescono a vedere senza occhiali anche i “dodici decimi”».
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CHIRURGIA PARODONTALE • Aldo Casti
LA RIGENERAZIONE “BIOMATERIALE” di Andrea Moscariello IL DOTTOR ALDO CASTI SPIEGA PERCHÉ L’UTILIZZO DEI BIOMATERIALI «HA RIVOLUZIONATO LA CHIRURGIA PARODONTALE». UNA TECNICA CHE CONSENTE DI MANTENERE ELEMENTI DENTALI ALTRIMENTI NON RECUPERABILI utilizzo di alcuni biomateriali che permettono la rigenerazione ossea di vario grado rappresentano un’importante novità nel campo delle tecniche chirurgiche maxillofacciali. A testimoniarlo è anche il dottor Aldo Casti, medico chirurgo della struttura sanitaria AIP Accademia di Implantologia e Parodontologia, esperto in rigenerazione ossea. Le nuove tecniche, che permettono di sostituire il più invasivo prelievo di osso autologo, hanno da poco superato i vent’anni di sperimentazione. «Abbiamo ottenuto ottime percentuali
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di successo - afferma Casti -. Studiate e confermata nella sua validità scientifica dalla facoltà di anatomia patologica dell’Università La Sapienza di Roma e dalla Universita’ di Nantes, queste tecniche sono state applicate per anni negli studi privati di molti miei colleghi, oltre che nel mio. Per circa un decennio ho avuto il piacere di introdurle presso alcune strutture sanitarie di Roma, dove è stato possibile affinarle attraverso l’alto numero di interventi che abbiamo effettuato. Grazie ai successi ottenuti, queste strutture sono divenute un importante punto di rife-
Il dottor Aldo Casti esercita presso la struttura sanitaria AIP di Roma e presso il suo studio privato aldocasti@hotmail.com
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Aldo Casti • CHIRURGIA PARODONTALE
Inoltre, grazie alla proprietà tessuto-stimolante, che conferisce all’innesto capacità rigenerative adducendo una certa osteo-induzione, si stimolano le capacità emostatiche della fibrina attiva. Tutto questo è associato al fatto che la miscelazione dei vari elementi porta alla formazione di una pasta gommosa che determina, da parte dell’innesto, una notevole plasticità e un’altrettanto importante maneggevolezza chirurgica. Negli ultimi tempi sono comunque allo studio ulteriori biomateriali sulla scia dei nuovi metodi di ricerca, che sto personalmente sperimentando».
rimento per molti pazienti». Su cosa si basa questa metodica? «Sulla miscelazione di due biomateriali: i fosfati di calcio in forma granulare e la colla di fibrina. Per quanto riguarda i fosfati di calcio si è cominciato molti anni fa con una idrossilapatite cristallina non riassorbibile derivata da una particolare varietà di corallo presente in natura, che si presenta in forma di granuli con porosità naturale intorno ai 200 micron. Ora, a distanza di anni, è ben nota l’importanza strutturale della porosità dei biomateriali fosfatici allo scopo di migliorare la loro capacità osteoconduttiva, ma la peculiarità della non riassorbibilità garantiva un’impalcatura permanente trabecolare per la crescita degli osteoblasti». Con il tempo, però, l’idrossilapatite corallina è stata in buona parte sostituita. «È vero. Oggi si utilizzano prevalentemente altri biomateriali quali idrossilapatiti riassorbibili e granuli di tricalcio fosfato, che da soli o miscelati insieme hanno garantito sempre un ottimo successo. La miscelazione di tutti questi fosfati con la colla di fibrina, noto emoderivato usato da molti anni in numerose specialità chirurgiche, ha determinato più fattori». Quali? «L’effetto della colla di fibrina impedisce la tipica migrazione dei granuli dal sito chirurgico.
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Ho avuto il piacere di introdurre le nuove tecniche presso alcune strutture sanitarie romane. E grazie ai successi ottenuti, queste sono diventate un importante punto di riferimento nazionale La novità, al di là dei biomateriali, consiste nella tecnica chirurgica. Quali risultati ha ottenuto in tal senso? «Allo scopo di migliorare la validità di questo genere di innesti, ho avuto l’opportunità di mettere a punto e sperimentare con successo una nuova tecnica che rivoluziona completamente il concetto di chirurgia parodontale e migliora di molto la chirurgia di aumento della struttura ossea. Ciò ha permesso di alzare di un buon 20 per cento il dato di successo su elementi dentali che comunemente sono destinati alla perdita precoce». Ma soprattutto su quali patologie agiscono tali interventi? «Servono sia per salvare denti parodontali, affeti cioe’ dalla cosiddetta “piorrea”, altrimenti destinati all’estrazione, sia per ricostruire parti del mascellare e del mandibolare, onde poter inserire degli impianti osteointegrati. Tali interventi chirurgici sono ora a disposizione anche dei pazienti che si rivolgono all’AIP, tra l’altro a costi molto contenuti. Negli ultimi sei anni sono stati effettuati circa 8mila interventi in ambiente ospedaliero».
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MALATTIE PARODONTALI • Francesco Battisti
NELLA CURA DELLE MALATTIE PARODONTALI SPESSO LE TECNICHE TRADIZIONALI NON SI RIVELANO SUFFICIENTI. IL DOTTOR FRANCESCO BATTISTI SPIEGA PERCHÉ SCEGLIE DI INTEGRARLE CON METODI CHE IN ITALIA a complessità dei meccanismi paVENGONO ANCORA RITENUTI togenici spesso incide nella difficile risoluzione della malattia “NON CONVENZIONALI”
COLPIRE LE TOSSINE di Andrea Moscariello
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Il dottor Francesco Battisti, specialista in odontostomatologia, esercita a Roma battisti.fr@tiscali.it
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parodontale. «Fattori cui si aggiungono le ridotte potenzialità della medicina tradizionale per una migliore prognosi della patologia». Questa l’opinione del dottor Francesco Battisti, da anni sostenitore della ricerca nell’ambito delle medicine non convenzionali per la cura di questa patologia. In particolare, l’interesse e l’impegno di Battisti si concentrano nella terapia omotossicologica. «Nella maggior parte dei casi, la sola terapia chirurgico-meccanica non è sufficiente. Al contrario, l’omotossicologia affronta la malattia in maniera più estesa, integrando il trattamento tradizionale con una terapia mirata alla rimozione, o per lo meno alla modulazione, dei diversi moventi causali». In quali casi la terapia omotossicologica è indicata? «L’omotossicologia si fonda sul presupposto che la malattia è una reazione del nostro organismo, il quale cerca di difendersi dall'aggressione di un agente tossico. Quando questi soggetti tossici entrano in circolo nel nostro corpo, a volte il sistema immunitario riesce a neutralizzarli e, successivamente, a eliminarli. Se, invece, la tossina riesce a “sopravvivere”, origina una malattia vera e
propria. E così si manifestano febbre, dolori, tosse, che sono appunto i tentativi naturali messi in atto dall’organismo per liberarsi dall’intossicazione. I farmaci omotossicologici hanno lo scopo di pulirci, disintossicarci, potenziando nel contempo anche le nostre difese naturali. Ciò avviene utilizzando uno o più rimedi, ciascuno finalizzato a colpire una particolare di tossina. Proprio per questi suoi meccanismi la terapia omotossicologica può essere applicata su ogni tipo di malattia, anche se si hanno i risultati più veloci sulle patologie più acute». Si tratta quindi di una terapia facilmente sostenibile? «Parliamo di una terapia per niente invasiva. Il problema è che, non essendo sovvenzionata in Italia, al contrario che in altri paesi europei, rappresenta una soluzione economicamente impegnativa». I pazienti si dimostrano fiduciosi verso le terapie non convenzionali o dimostrano reticenza? «I pazienti che accettano questo tipo di terapia si rivelano molto fiduciosi. Al contrario, poco si può fare su quei soggetti che arrivano in studio con preconcetti formatisi grazie a una cattiva informazione mediatica e “simil-scientifica”». E quali riscontri ottiene? «Nella mia pratica medica ho constatato
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Francesco Battisti • MALATTIE PARODONTALI
DAL CENZYME AL LEDUM, ECCO I FARMACI OMOTOSSICOLOGICI ono questi alcuni dei medicinali omotossicologici impiegati nella terapia illustrata dal dottor Francesco Battisti:
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Arnica Compositum-Heel: farmaco ad alta attività anti-infiammatoria, anti-edemigena,analgesica e anti-essudativa sui diversi tessuti Echinacea Compositum S: farmaco di elezione per la stimolazione delle difese immunitarie Parodontium Compositum: farmaco specifico per il trattamento delle lesioni parodontali Mucosa Compositum: farmaco scelto in relazione alle patologie più frequentemente repertate nell'anamnesi di paziente Parodontali Cenzyme Compositum: farmaco con azione di
stimolo e sblocco dei complessi meccanismi biochimici per un corretto metabolismo cellulare. In caso di blocco si avvia un processo che riduce la cellula a morte. Questo ricostituente cellulare omotossicologico permette ai tessuti di reagire e rigenerarsi Ledum Compositum: farmaco che stimola la funzione connettivale a vari livelli, con azione di stimolo trofico generale e di prevenzione della degenerazione delle strutture ossee Tre ml. del cocktail di questi farmaci viene iniettato nella mucosa orale, a livello del fornice gengivale, in diversi punti di entrambe le arcate, utilizzando aghi da intradermo terapia
foto di Nicoletta Diamanti
quenza bisettimanale».
come, con questa terapia, si è reso possibile agire sulla malattia parodontale portandola a un più o meno accentuato regresso. Ma la cosa più importante, specialmente per i pazienti, è aver salvato elementi dentali senza sottoporli a strazianti interventi di chirurgia». Quali tempistiche prevede la terapia? «Il protocollo terapeutico da me applicato è ripartito nell'arco di 10-12 sedute, a fre-
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Possiamo attenderci in futuro ulteriori sviluppi nell'ambito delle medicine non convenzionali applicate alla cura delle malattie parodontali? «Gli sviluppi della cura delle malattie parodontali attraverso l’utilizzo dei farmaci non omeopatici potranno essere sempre più rosei. Ma ciò avverrà se si accettano le potenzialità terapeutiche di tali farmaci senza preconcetti e fondamentalismi». In Italia riscontra un sufficiente livello di ricerca e investimento verso questo settore? «Purtroppo siamo molto indietro rispetto alle altre nazioni come la Francia e la Germania. Nel nostro mondo accademico c'è ancora molta diffidenza verso queste nuove forme di cura terapeutica. Non si accetta l'idea che possano coesistere varie metodologie, anche non tradizionali, atte a garantire un benessere ottimale per l’individuo».
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PATOLOGIE STOMATOGNATICHE • Carlo Pizzamiglio
MASTICAZIONE E PROBLEMI DI POSTURA IL DOLORE ALLA SCHIENA O ALLE GAMBE NON È SEMPRE CAUSATO DA STRESS O SFORZI POSTURALI. IL PROBLEMA PUÒ ESSERE LEGATO ALL’APPARATO MASTICATORIO. L’ANALISI DI CARLO PIZZAMIGLIO di Giulio Conti
a comparsa di una patologia orale può compromettere altre funzioni corporali non esplicitamente connesse alla bocca. «La masticazione errata, la malocclusione, la mancanza di elementi dentali fa sì che la mandibola, la colonna vertebrale, le anche e gli arti inferiori possano modificare la loro posizione instaurando delle patologie dolorose che, molto spesso, il paziente valuta erroneamente con dolori da stress, da sforzi o da postura di lavoro». Per definire i processi di diagnosi e cura delle patologie stomatognatiche connesse all’apparato posturale, l’odontoiatra Carlo Pizzamiglio ha costituito un’equipe di specialisti di varie branche della medicina che insieme collaborano nel rispetto del protocollo chiamato PPG, Programma Posturale Globale. «Medici di base, fisiatri, ortopedici, otorinolaringoiatri, medici sportivi, oculisti e, ovviamente odontoiatri, intervengono sinergicamente per pervenire a una diagnosi corretta e alla Il dottor Carlo Pizzamiglio svolge la professione di soluzione del caso». odontoiatra presso gli studi Per raggiungere un valido asset diadi Udine e Bertiolo gnostico si utilizzano a livello odontowww.pizzamiglio.org dottcarlo@pizzamiglio.org iatrico apparecchiature come il chinesiografo, l’elettromiografo e la pedana posturale. Valutato il coinvolgimento della masticazione, si interviene con un sistema ortopedico di riposizionamento mandibolare. «Si tratta di dispositivi intraorali
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provvisori che appoggiati ai denti dell’arcata inferiore o superiore riproducono una normale anatomia dentale permettendo di mantenere una buona occlusione, un equilibrio muscolo-articolare corretto e, grazie ad alte caratteristiche estetiche e di comfort, una normale vita di relazione». Perché come rilevato dal dottor Pizzamiglio «una necessità espressa sempre più di frequente riguarda infatti l’estetica dentale: un aspetto dell’odontoiatria in pieno progresso in cui la ceramica integrale, innanzitutto, ha dato una svolta notevole». Presso gli studi dentistici Pizzamiglio è dunque possibile redigere un programma di riabilitazione personalizzato che «partendo dalle foto in cui si evidenzia la forma del viso, procedendo con la ceratura diagnostica su modelli di gesso per la valutazione dei volumi dei denti, e con la costruzione delle faccette provvisorie, si giunge, insieme al paziente, alla definizione della forma e colore da applicare alle corone o alle faccette definitive». Ma oltre all’aspetto estetico prettamente dentale è molto importante valutare il volume delle labbra perché contribuisce a far sì che un lavoro odontoiatrico possa avere il giusto valore. «Per correggere la naturale asimmetria delle labbra si utilizzano i filler di acido ialuronico che vengono eseguiti al termine della riabilitazione dentale definitiva, sempre che ce ne sia bisogno».
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PATOLOGIE DEL CAVO ORALE • Stefano Roveglia
PREVENZIONE ATTIVA DEL CAVO ORALE di Lucina Fante e moderne conquiste nel campo del trattamento delle principali patologie del cavo orale hanno portato all'acquisizione di risultati soddisfacenti. Oggi l'odontoiatria è in grado di offrire risposte valide». Bilancio ottimistico per Stefano Roveglia, ma è d'obbligo una precisazione. «I progressi sono tutti indirizzati verso la risoluzione di danni alle strutture dento-parodontali in cui è già in corso l'infezione. Nel nostro ambito, a differenza che in altri come per esempio quello delle patologie cardiovascolari, si fa ancora troppo poco per prevenire l'instaurarsi delle patologie orali. E questo nonostante siano noti i fattori causali e di rischio». Non resta quindi che invertire le prospettive. Roveglia passa subito sul piano operativo. «Stiamo cercando di puntare a un orientamento sempre più attento alla prevenzione. Solo rendendo reali le misure che la moderna preventodonzia ci offre si riesce a sanare i sintomi e, soprattutto, a preservare e mantenere nel tempo le condizioni di salute. Bisogna rimuovere a monte le cause della malattia cariosa e parodontale, giacché la sola terapia chirurgica (come nel caso di un’otturazione) lascia il paziente con lo stesso livello di rischio». Restano quindi da fissare i termini della prevenzione. «Per noi non vuol dire soltanto stabilire visite di controllo periodiche e sedute di igiene orale professionale, ma piuttosto educare
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Stefano Roveglia, specialista in odontostomatologia stefanoroveglia@libero.it
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PREVENTODONZIA E STRATEGIE ALLA PORTATA DI TUTTI PER MONITORARE LO STATO DI SALUTE DEL CAVO ORALE. I CONTROLLI PERIODICI NON BASTANO. PER STEFANO ROVEGLIA BISOGNA INTERVENIRE IN ANTICIPO, CONTANDO SULLA COMPLICITÀ DEL PAZIENTE
il paziente affinché si arrivi a comprendere i meccanismi della patologia cariosa. Così si completa la diagnosi cariologica, cioè quella basata sull'identificazione documentata dei fattori di rischio specifici. A questa segue la prevenzione attiva della malattia. Nel caso in cui il danno sia già in atto, occorre attuare tecniche restaurative idonee». La parabola della prevenzione del cavo orale si conclude tenendo sempre presente un piano di controllo nel tempo, «che deve essere modulato in funzione delle evidenze dei risultati emersi nelle fasi terapeutiche precedenti. In altre parole si deve basare sulle condizioni di partenza, sui coefficienti di rischio e sulle condizioni raggiunte dopo la fase attiva del trattamento, incluse le eventuali terapie riabilitative».
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ORTODONZIA • Monica Prampolini
MOLTO PIÙ DI UN SORRISO AL DI LÀ DEI RISULTATI ESTETICI, L’ORTODONZIA SI PROPONE DI MIGLIORARE LO STATO DI SALUTE GENERALE. IL PUNTO DELLA DOTTORESSA MONICA PRAMPOLINI di Eugenia Campo di Costa na serie di benefici, non sempre percepiti dal paziente, qualificano la terapia ortodontica ben oltre il ripristino estetico del sorriso. L’ortodonzia è una disciplina dal potenziale enorme che può migliorare notevolmente l’estetica del sorriso, ma è necessario contestualizzare i denti in una visione olistica del corpo umano. La dottoressa Monica Prampolini, odontoiatra esclusivista in ortognatodonzia, insiste
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La dottoressa Monica Prampolini, odontoiatra, riceve a Modena e Carpi monica.prampolini@libero.it
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molto su questo punto. L’attenzione all’aspetto fisico, di questi tempi, è sempre più diffusa e spesso è la motivazione principale che spinge ad affrontare terapie onerose e impegnative come un trattamento ortodontico. «È di frequente riscontro la richiesta di un allineamento dentale, magari del solo settore anteriore, in cui l’obiettivo estetico è sicuramente più ambito rispetto a riscontri clinici di gran lunga più importanti - afferma la dottoressa -. Molti pazienti, anche adulti, intraprendono un trattamento ortodontico, vedendo questa terapia come corrispondente odontoiatrico della medicina estetica». Salute ed estetica hanno indubbiamente una base comune, che considera la bocca come elemento inserito in un contesto più ampio. L’ortodontista, pertanto, attribuisce un diverso valore e una diversa responsabilità alla riabilitazione occlusale, consapevole di come ad un sorriso ottimale debba corrispondere un miglioramento della salute odontoiatrica e sistemica. «Le anomalie masticatorie o malocclusioni, possono rappresentare sia un epifenomeno che un fattore scatenante di quadri patologici sistemici, quali ad esempio alterazioni funzionali e posturali dei mascellari e dell’intero sistema scheletrico, sindromi algico - disfunzionali, parafunzioni e dolori facciali, cefalee muscolo- tensive e cervicalgie, alterazioni dello sviluppo e della crescita, interferenze con la funzione respiratoria, per citarne
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Monica Prampolini • ORTODONZIA
alcune» spiega la dottoressa. «Compito dell’ortodontista è fornire un’informazione corretta, completa ed esaustiva già in fase diagnostica, tale per cui il paziente adulto o il genitore intravedano nel trattamento ortodontico una serie di benefici diversamente non percepiti, un investimento sulla salute generale e non soltanto una soluzione estetica al problema dentale». Le informazioni inerenti l’ortodonzia non sempre derivano da fonti scientifiche accreditate: non è raro pertanto che un paziente richieda di essere trattato utilizzando “quel dispositivo” pubblicizzato o proposto dal mercato, non ben identificato quando si parla di terapie cliniche. «Un apparecchio ortodontico è paragonabile ad un farmaco e deve essere valutato, proposto, “dosato” dall’esperienza medica, pur nel rispetto delle richieste, preferenze e necessità del paziente». Così esistono bracket estetici o linguali per l’adulto, mentre l’interesse del bambino verrà catturato dalla varietà dei colori o dalle immagini che potrà applicare sul proprio apparecchio. «Ma è da questi particolari di modesto interesse clinico che l’ortodontista dovrà coinvolgere il paziente in un percorso conoscitivo e diagnostico di più ampio respiro, che indaghi su segni e sintomi che non sempre questi riconduce alla malocclusione. La mal posizione dentale spesso è un sintomo, se valutato da ortodontisti esperti, per risalire a disfunzioni masticatorie caratteristiche. La diagnosi e il piano di cura, condiviso dall’interessato, dovrà comprendere un elenco di tutte le problematiche odontoiatriche e non e delle possibili soluzioni, non ultimo il raggiungimento del risultato estetico». Per i pazienti con problematiche complesse, che richiedono collaborazioni tra specialisti delle varie branche odontostomatologiche, l’ortodontista spesso rappresenta un punto di unione tra le varie discipline. «In medicina – conclude la dottoressa - esistono limiti biologici inva-
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L’ortodontista deve coinvolgere il paziente in un percorso conoscitivo e diagnostico che indaghi su sintomi che questi non riconduce alla malocclusione
licabili, a cui anche un semplice movimento dentale deve sottostare. Ciò nonostante, l’affinamento delle capacità diagnostiche e terapeutiche dell’ortodontista permette di raggiungere successi terapeutici nel rispetto sia delle richieste del paziente, sia dell’armonia estetica, occlusale e funzionale di tutte le strutture cranio –facciali».
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MALFORMAZIONI CONGENITE • Maria Costanza Meazzini
MALFORMAZIONI FACCIALI: APPROCCI E TRATTAMENTI di Paolo Lucchi È LUNGO L’ITER TERAPEUTICO DEI PAZIENTI AFFETTI DA MALFORMAZIONI FACCIALI CONGENITE. FONDAMENTALE, IN QUESTO PERCORSO, È LA COLLABORAZIONE TRA GLI SPECIALISTI COINVOLTI E L’ATTUAZIONE DEI TRATTAMENTI NELLE TEMPISTICHE CORRETTE. L’ANALISI DELLA DOTTORESSA MARIA COSTANZA MEAZZINI
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olte le malformazioni congenite del volto che possono colpire i bambini. La più frequente, riguardante il distretto maxillo-mandibolare, è senza dubbio la labio-palato-schisi, con un nuovo nato su 700. La seconda categoria di malformazioni congenite del volto per prevalenza include le sindromi del I e II arco branchiale, quali la Sindrome Otomandibolare o la Sindrome di Goldenhar (1: 5600), o la Sindrome di Franceschetti ( 1: 25000). Meno frequenti, ma più complesse dal punto di vista del trattamento, non solo chirurgico, ma anche ortopedico-ortodontico, sono le
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Maria Costanza Meazzini • MALFORMAZIONI CONGENITE
La dottoressa Maria Costanza Meazzini insegna ortodonzia pre-chirurgica e ortodonzia nelle malformazioni cranio-facciali presso l’Università degli Studi di Milano e Milano-Bicocca. Esercita presso lo studio dentistico Tintinelli Rossi di Milano tintinelli-rossi@centrodontoiatrico.it
DAI BAMBINI AGLI ADULTI: SVILUPPI E INTERVENTI DELL’ORTODONZIA ortognatodonzia è una branca della odontostomatologia che nasce verso la fine dell’800. L’obiettivo principe era il “raddrizzamento” dei denti. Oggi, questa specialità offre una vasta gamma di prestazioni mediche per pazienti di età diverse e con problematiche estremamente differenti. Ortodonzia nel bambino In questa fase l’ortognatodonzia può intervenire soprattutto per problematiche funzionali più che estetiche. Il palato può essere ortopedicamente allargato permettendo non solo di ottenere maggiore spazio per l’eruzione dentale, ma anche di risolvere, insieme allo specialista otorinolaringoiatra, problematiche croniche di tipo respiratorio, quali ipertrofia dei turbinati o ipertrofia adenoidea e spesso otiti ricorrenti associate. Persino problematiche di apnee notturne che rendono il bambino stanco e irritabile durante il giorno sono spesso risolte grazie alla collaborazione tra ortodontista e otorinolaringoiatra. Inversioni dentarie anteriori con trauma incisale possono essere risolte in fase precoce, ma vanno poi seguite nel tempo. Abitudini viziate, quali il succhiamento del ciuccio o del pollice causano deformazioni del palato importanti che devono assolutamente essere corrette in fase precoce. È importante comunque una prima visita nel bambino intorno ai 5 anni. Ortodonzia nell’adolescente In questa fase (11-12 anni) correggono in modo più definitivo malocclusioni di vario tipo. Qualora le discrepanze scheletriche fossero molto gravi esistono nuove tecniche ortopediche (tecnica di Liou) che permettono in molti casi di evitare una soluzione chirurgica, quando vi sia quella che si chiama III classe (denti superiori retro posti rispetto agli inferiori). Nella II classe (denti inferiori retro posti e mandibola piccola) è necessario maggiore cautela se i movimenti sono di grande entità, mentre è perfettamente accettabile una compensazione dento-alveolare nella maggioranza dei pazienti. Nei pazienti che presentano solo un disallineamento dentario, anche in adolescenza è possibile risolverlo con tecniche estremamente estetiche, quali l’invisalign (mascherine trasparenti) o l’ortodonzia linguale (attacchi all’interno della bocca). Ortodonzia nell’adulto Qui l’ortodonzia può nuovamente avere un ruolo eminentemente estetico per il riallineamento dentale. L’adulto più frequentemente sceglie le tecniche estetiche suddette. Spesso però può venire in aiuto al protesista o al parodontologo in pazienti che abbiano perso elementi dentari o osso di sostegno. Nelle gravi discrepanze scheletriche l’ortodonzia è indispensabile per la preparazione all’intervento chirurgico successivo per armonizzare lo scheletro facciale.
L’ craniofaciostenosi, quali le sindromi di Crouzon (1:25000) o di Apert (1:50000). A parlarne è la dottoressa Maria Costanza Meazzini, consulente presso il Centro Regionale per la Cura delle Labio Palato Schisi, presso l’Ospedale San Paolo di Milano (Direttore Prof. R. Brusati), e presso il Reparto di Chirurgia Maxillo-Facciale dell’Ospedale San Gerardo di Monza (Prof. A. Bozzetti). Dottoressa, quando si può cominciare a intervenire ortopedicamente sulle labio palato schisi? «Le labio palato schisi in molti casi necessitano di una fase ortopedica neonatale per il rimodellamento pre-chirurgico dell’alveolo, prima dell’intervento di chiusura del labbro. Questa fase è particolarmente importante nelle labio palato schisi bilaterali complete, dove l’ortopedia prechirurgica permette di rimodellare le strutture del naso e di allungare la columella in modo da ottenere una morfologia post-chirurgica del naso molto più naturale». Quale approccio va adottato nell’ affrontare il trattamento ortopedico-ortodontico su questa patologia? «È fondamentale che chi si occupa del trattamento di questi bambini abbia una preparazione specialistica, con una conoscenza approfondita dei processi di crescita che caratterizzano la patologia. Lo specialista deve mantenersi in stretto contatto con il centro di riferimento chirurgico in modo da coordinare al meglio i tempi e le modalità di trattamento. Raramente è necessario intervenire ortodonticamente prima dei 7-8 anni. A tale età è
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¬ necessaria un’espansione ortopedica del
mascellare superiore, che è generalmente collassato, per creare spazio per una fisiologica eruzione dentale, permettendo un corretto allineamento e per eliminare traumi dentali anteriori. In alcuni casi l’espansione ossea del mascellare è indicata in preparazione ad un innesto d’osso alveolare». Quanto dura questa prima fase? «Non dovrebbe superare, in genere, i 1220 mesi. Ed è importante che non sia fatta troppo presto. Interventi troppo precoci rischiano di recidivare ed essere
Fig. 1 a: paziente con labiopalatoschisi bilaterale completa Fig. 1 b: utilizzo clinico di una placca di rimodellamento naso-alveolare nella LPS bilaterali Fig 2 a: visione frontale di una paziente affetta da microsomia emifacciale in terapia ortodontica prechirurgica Fig. 2 b: dopo l’intervento di chirurgia ortognatica (eseguito dal Prof. Bozzetti e dott. Mazzoleni, Ospedale San Gerardo, Monza) e la terapia ortodontica post-chirurgica Fig. 3 a, b: paziente con esito di labiopalatoschisi monolaterale completa. Situazione pretrattamento. Fig. 3 c, d: risultato finale ottenuto posizionando il canino permanente in sede laterale
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Parlando, invece, del trattamento delle sindromi otomandibolari, quando si interviene? «Un tempo si pensava che l’asimmetria di questi pazienti fosse progressiva e che quindi si dovesse intervenire molto precocemente per “bloccare “ un presunto aggravarsi della patologia nel tempo. Mal-
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solo un inutile ulteriore carico per il bambino e la sua famiglia. I pazienti con labio palato schisi spesso presentano un deficit di crescita anche sagittale del mascellare superiore. Tali difetti, quando molto gravi, vengono risolti chirurgicamente a fine crescita, previa preparazione ortodontica pre-chirurgica». Una nuova tecnica, la tecnica di Liou, permette nei casi medio-gravi un avanzamento importante del mascellare solo ortopedico, effettivamente osseo e non dentale. Quando si può eseguire? «Intorno ai 12 anni di età, cioè quando
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vi è un picco di crescita già più vicino temporalmente alla fine della crescita mascellare. Con tale tecnica vengono svincolate tutte le suture del mascellare superiore, che in tal modo può essere spostato verso l’avanti».
grado alcuni centri ancora basino il loro trattamento su tale principio, è stato dimostrato che la sproporzione del viso di questi bambini si mantiene uguale durante tutto l’arco della crescita, e interventi chirurgici precoci, pur giustificati a volte da motivi psicologici, tendono a recidivare in pochi anni. Anche lunghi anni di trattamenti ortopedici continuativi non sono più giustificati alla luce delle attuali conoscenze. Le necessità ortopediche o ortodontiche, quindi, in queste sindromi, variano da bambino a bambino e non sono generalizzabili. Fondamentale è la preparazione ortodontica pre-chirur-
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gica a fine crescita, che permette di ottenere il miglior risultato non solo funzionale, ma anche estetico, che il giovane adulto manterrà per il resto della vita». Mentre per quanto riguarda le craniofaciostenosi, come le sindromi di Crouzon e di Apert? «In questi pazienti il trattamento chirurgico è più complesso e articolato. È importantissimo ricordare, dato sfortunatamente spesso non conosciuto da molti specialisti in ortognatodonzia, che è assolutamente controindicata qualunque forma di ortopedia facciale in fase
I bambini affetti da malformazioni congenite del viso e le loro famiglie devono affrontare un lungo iter di trattamenti medico-chirurgici da non eseguire movimenti che vadano “smontati” in un secondo tempo». Cosa si sente di suggerire a chi,
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di crescita, nei tempi e nei modi in cui tali tecniche vengono applicate a bambini non affetti da queste sindromi. Questo perché le suture della faccia in questi pazienti si saldano molto precocemente. Quindi mai devono essere utilizzate trazioni postero anteriori, come la maschera di Delaire, e solo in rarissimi casi è possibile tentare espansioni del palato. Complessa è anche l’ortodonzia in questi pazienti, che prevede in genere estrazioni e scappucciamenti. Tutta l’ortodonzia in questi pazienti deve essere già impostata in previsione dei movimenti chirurgici programmati a fine crescita in modo tale
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Fig. 4 a: occlusione di un paziente affetto da Sindrome di Apert in terapia ortodontica pre-chirurgica Fig. 4 b: immagine frontale e occlusione del paziente dopo l’intervento di chirurgia ortognatica e dopo la terapia ortodontica post-chirurgica (chirurgia Prof. Roberto Brusati, direttore UO chirurgia maxillo-facciali Osp. San Paolo Milano) Fig. 5 a, b: paziente con esito di labiopalato schisi bilaterale completa. Visione extra-orale laterale che mostra il profilo del paziente e occlusione prima del trattamento ortopedico di avanzamento del mascellare superiore con tecnica di Liou Fig. 5 c,d: i risultati dopo il trattamento ortopedico eseguito con tecnica di Liou
come lei, segue queste tipologie di pazienti? «I bambini affetti da malformazioni congenite del viso e le loro famiglie devono affrontare un lungo iter di trattamenti medico-chirurgici. Tali trattamenti coinvolgono spesso più specialisti, dal chirurgo maxillo-facciale al plastico, dal neurochirurgo all’otorino fino all’oculista e molti altri ancora. È pertanto fondamentale che lo specialista in ortognatodonzia lavori in team con tutti gli altri, con l’obiettivo di ridurre al minimo il carico già molto pesante dato dall’insieme di tante terapie».
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IMPLANTOLOGIA • Luigi Borreo
GLI ANZIANI NON DEVONO RINUNCIARE A UNA BUONA DENTATURA di Ezio Petrillo
Il dottor Luigi Borreo, medico chirurgo specializzato in odontoiatria, al lavoro nel suo studio di Roma info@studioborreo.it www.studioborreo.it
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egli ultimi vent’anni e specialmente nell’ultimo decennio, l’affermarsi dell’implantologia quale disciplina odontoiatrica con pieno valore scientifico ha radicalmente mutato il modo di ragionare e di agire del dentista. La diffusione e, soprattutto, l’efficacia della branca suddetta hanno fatto sì che all’odontoiatra non sia più concesso proporre i tradizionali ponti per sostituire
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I PROGRESSI DELL’IMPLANTOLOGIA L’HANNO RESA TOTALMENTE SICURA E AFFIDABILE. VIENE CONSIGLIATA ANCHE AGLI ANZIANI, CHE TROPPO SPESSO SONO RESTII A QUESTE TIPOLOGIE DI INTERVENTO. L’ANALISI DEL DOTTOR LUIGI BORREO protesicamente in modo fisso i denti mancanti. Ciò sacrificherebbe smalto, dentina, se non anche la vitalità, dei contigui denti naturali di appoggio. «Il dentista, invece, oggi ha l’obbligo, in questi casi in prima istanza, di consigliare al paziente di ricorrere all’implantologia che consente, quasi sempre, di evitare le protesi mobili, sia totali (le famose “dentiere”) che parziali e permette di avere solo denti fissi». A parlare è il dottor Luigi Borreo, specializzato in odontoiatria e protesi dentaria. «La limitazione, una volta frequente, all’inserimento degli impianti costituita dall’eventuale mancanza di uno spessore sufficiente dell’osso del paziente, oggi ormai non rappresenta più un ostacolo grazie alle attuali tecniche di innesto e rigenerazione ossea in grado di aumentare tale spessore. Alcuni materiali hanno reso ancora più agevole tale procedimento in quanto sono di facile applicabilità; di origine umana e quindi di grandissima efficacia. Inoltre l’intervento necessario è breve e poco traumatico per il paziente con l’uso della medesima anestesia locale che viene
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Luigi Borreo • IMPLANTOLOGIA
La limitazione, una volta frequente, all’inserimento degli impianti costituita dall’eventuale mancanza di uno spessore sufficiente dell’osso del paziente, oggi non rappresenta più un ostacolo praticata per un’otturazione. Il materiale, inoltre, è garantito nella sua sterilità e distribuito dalla Banca del tessuto muscoloscheletrico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, la quale fa riferimento al Centro Nazionale Trapianti del Ministero della Salute». È tale l’affidabilità clinica degli impianti che secondo il dottor Borreo «si ritiene preferibile e complessivamente meno traumatico per il paziente sottoporlo a estrazione dei denti con prognosi infausta, anche se a medio e lungo termine, e sostituirli con impianti. Quest’ultimo ragionamento è alla base di un discorso molto più ampio relativo all’odontoiatria rivolta agli anziani e cioè a quella “geriatrica”. È infatti soprattutto nelle persone anziane o in coloro che lo stanno per diventare, che noi riscontriamo denti naturali nelle condizioni sopra descritte. Si rivela inutile, dunque, mantenere denti che sono destinati a creare problemi in un’epoca in cui l’età ulteriormente avanzata potrebbe effettivamente costituire un ostacolo quasi insormontabile anche per la sola semplice estrazione». Non è da considerare corretta, dunque, l’obiezione che in genere viene rivolta ai dentisti da parte dei soggetti anziani che spesso lamentano come sia inutile a una certa età, sottoporsi a un intervento di inserimento di impianti. «Oggi la vita media in Italia è di circa 84 anni per la donna e 79
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per l’uomo ed è in continuo aumento». Oggi la vita sociale dell’anziano è molto intensa e una protesi mobile è estremamente limitante. «Potersi affacciare all’età avanzata con assenza di denti estremamente compromessi e avere in bocca una protesi fissa su impianti – illustra Borreo- consentirà una masticazione efficiente e confortevole. Questo comporterà un’evidente azione benefica sullo stato generale di salute, e contribuirà a una piacevole vita familiare e sociale. Determinerà l’assenza dei fenomeni infiammatori e dolorosi molto intensi causati dalle carie e dalle gengive o radici infette. Queste sono patologie orali A sinistra, esempio di aumento di spessore di osso mascellare (zona del primo premolare superiore di sinistra da sostituire con un impianto). Prima dell’intervento lo spessore è di 5 mm. Dopo l’intervento diventa di 8 mm.
che, a volte, i pazienti molto anziani, soprattutto se fisicamente o mentalmente debilitati o in regime di ricovero o di assistenza domiciliare non sono neanche in grado di indicare. Logicamente tutto ciò deve essere eseguito valutando attentamente caso per caso lo stato dei denti naturali e le condizioni cliniche generali del paziente con la collaborazione, se necessario, di un’ampia equipe medica».
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IMPLANTOLOGIA • Fabio Linda de Walderstein
I PROGRESSI DELL’IMPLANTOLOGIA di Ezio Petrillo I VANTAGGI DELL’INSERIMENTO DI IMPIANTI. LA SCIENZA ODONTOIATRICA HA COMPIUTO PASSI DA GIGANTE IN MERITO. SCOPRIAMO QUALI ATTRAVERSO LE CONSIDERAZIONI DI FABIO LINDA DE WALDERSTEIN
icostituire il patrimonio di denti perduti in modo pressoché analogo a quello naturale senza più ricorrere a fastidiose per quanto sofisticate protesi rimovibili. L' implantologia corona questo sogno comune di medici e pazienti. Grazie ai moderni metodi della scienza odontoiatrica è possibile superare gli ormai vetusti inserimenti di protesi mobili conosciuti come dentiere o scheletriti, o protesi fissate ai denti prossimi a quelli persi, con parziale demolizione di questi ultimi ad uso di pilastri, i cosiddetti ponti. Discutiamo dei progressi dell’implantologia con Fabio Linda de Walderstein. «L’implantologia dentale consiste nell’inserimento nell’osso mascellare o mandibolare (privo del dente naturale) di pilastri che, una volta integrati nell’osso stesso, potranno supportare un dente artificiale idoneo a svolgere la sua funzione. Contrariamente a una credenza tuttora comune tra i pazienti odontoiatrici in Italia, nella maggioranza dei casi, l’intervento di implantologia dentale non è difficile né doloroso e costoso, e presenta una percentuale di successo molto elevata, non comune in medicina. Viceversa in alcuni casi resi meno facili,
R Il dottor Fabio Linda de Walderstein opera a Trieste e a Santa Margherita Ligure. I suoi collaboratori di Trieste sono la dottoressa Antonella Merola per quanto riguarda l’endodonzia, la dottoressa Alessandra Neri per l’ortodonzia e la pedodonzia; e la dottoressa Astrid Fedrizzi per quanto concerne la conservativa. A Santa Margherita Ligure ha fondato un altro studio dove esplica le stesse specialità di Trieste coadiuvato dalla Dott.ssa Chiara De Angelis fabioli26@libero.it
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l’intervento sarà più complesso e per questo meritevole di un’attenta considerazione per evitare rischi d’insuccesso». Un impianto dentale ha una struttura ben precisa, costituita da pilastri in titanio per lo più cilindrici, di varia lunghezza e diametro per potersi adattare alle diverse configurazioni del segmento d’osso disponibile al loro inserimento. «L’utilizzo del titanio, metallo di larghissimo uso in chirurgia per la sua neutralità biologica – spiega De Walderstein – è dovuto in quanto assicura la totale accettazione dell’organismo. La superficie dell’impianto è trattata in modo da esaltare totalmente la possibilità di osteointegrazione (ovvero dell’incorporamento totale nella compagine ossea) che in ricerca è stata ben studiata ed accertata grazie alla microscopia elettronica». L'implantologia dentale ha superato negli ultimi anni anche la prova clinica con controlli longitudinali sui pazienti sottoposti, che ne hanno assicurato l’affidabilità. Gli impianti dentali devono essere prodotti e confezionati a norma di legge europea e devono essere pertanto accompagnati da un certificato che può essere visionato e conservato dal paziente a sua garanzia.
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RIALZO DEL SENO MASCELLARE • Michele Solaro
PRECISIONE CHIRURGICA di Luciana Fante
IMPROVVISARE DIAGNOSI SUL WEB È LA NUOVA TENDENZA DEI PAZIENTI DIGITALIZZATI. COSÌ ATTORNO A PICCOLI INTERVENTI DELLA CHIRURGIA ODONTOIATRICA CRESCONO FALSE CREDENZE. A FARE CHIAREZZA, ra i tanti motivi che spingono a ri- MICHELE SOLARO
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Michele Solaro, odontoiatra di Milano mikgor@tiscali.it
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volgersi a uno specialista della salute orale, c’è il cosiddetto grande rialzo del seno mascellare. I medici concordano sul fatto che dietro un linguaggio tecnico e a prima vista ostico si nasconda un intervento consolidato, non solo da un punto di vista tecnico. Per farsi un’idea di quanto possa essere diffuso è sufficiente digitare la frase su Google. Immediatamente compaiono centinaia di articoli e interventi, più o meno veritieri e affidabili. A dire la loro sono anche le persone. Raccontano come hanno vissuto l’intervento e che benefici ne hanno tratto. Ma, si sa, certe questioni è meglio affrontarle e chiarirle assieme a un esperto. Michele Solaro, odontoiatria milanese, parte subito con un avvertimento. «I pazienti hanno la possibilità di reperire informazioni sulla rete. E questa abitudine è un po’ un’arma a doppio taglio. Se da una parte arrivano con un bagaglio di conoscenze, altrettanto spesso la gigantesca “piazza” del web dà adito a false
credenze. Attenzione quindi a non sostituire la figura del medico, che ha uno spessore deontologico reale e certificato, con surrogati virtuali». Chi meglio di un odontoiatra che opera da anni nel settore può spiegare in cosa consista il rialzo del seno mascellare e quali strategie siano più opportune da adottare. «L’obbiettivo è riuscire a inserire impianti in condizioni di assoluta mancanza di osso nella zona dei molari superiori. L’intervento è per forza di cose invasivo: il seno mascellare deve infatti essere aperto affinché si possa inserire il materiale (osso autologo o sintetico). Questo va a costituire il letto impiantare, che fungerà da base per il successivo intervento di inserimento degli impianti stessi». Compito del buon odontoiatra è quello di ridurre disagi e i rischi, che necessariamente si legano a un intervento di tale portata. Michele Solaro suggerisce una nuova tecnica. «In pratica consiste nell’utilizzare materiali simili a quelli di cui la cardiochirurgia si avvale da circa trent’anni anni nelle angioplastiche coronariche». Cosa vuol dire? «Dopo avere creato per via crestale un’area di accesso, con uno specifico apparato viene inserito nel seno mascellare un piccolo palloncino che, opportunamente riempito di soluzione salina, crea lo spazio per l'inserimento del sostituto osseo. Nella stessa seduta vengono inseriti anche gli impianti se è presente una minima quantità d'osso da permettere il loro ancoraggio, altrimenti verranno posizionati dopo sei mesi. Così facendo, con il medesimo impegno del microrialzo, si ottengono i risultati del grande rialzo di seno».
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ODONTOIATRIA • Valter Gallo
EVOLUZIONI DELLA CHIRURGIA IMPLANTO-PROTESICA di Carlo Gherardini ell’ultimo decennio i risultati delle nuove applicazioni cliniche e dei numerosi studi pubblicati in letteratura hanno modificato molte procedure odontoiatriche, raggiungendo un’altissima predicibilità di successo e sovvertendo anche classiche concezioni dogmatiche. «Il continuo aggiornamento e un impegno costante e meticoloso caratterizzano e permettono di migliorare le cure “tradizionali”, garantendole così per diversi anni, e consentono anche di promuovere soluzioni terapeutiche più moderne, innovative e avanzate». A parlare è il dottor Valter Gallo, odontoiatra dal 1988, le cui affermazioni vengono confermate e dimostrate dallo standard dei risultati clinici e dalla corposa mole di riconoscimenti e di attestati, conseguiti fin dalla fine degli anni 80 a oggi. Le terapie eseguite dal dottor Gallo spaziano dalla semplice “sigillatura” dei solchi sui molari di pazienti, con una durata di oltre 20 anni dalla loro ese-
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DALLA CHIRURGIA IMPLANTO–PROTESICA AVANZATA ALLE TERAPIE MENO INVASIVE PER LA CURA DELLA MALATTIA PARODONTALE. VALTER GALLO ILLUSTRA LE ULTIME FRONTIERE DELL’ODONTOIATRIA cuzione, alle ricostruzioni estemporanee dei denti anteriori, distrutti dalla carie o fratturati a causa di traumi, adottando spesso soluzioni “a-protesiche”, quindi poco costose, ma con risultati estetico-funzionali di durata comunque ultradecennale.
Il dottor Valter Gallo, laureato nel 1984 in Medicina e Chirurgia, svolge la libera professione a Mappano (TO) dal 1988, occupandosi di odontoiatria generale con particolare interesse all’odontoiatria monoprofessionale di alta qualità valter.gallo@tiscali.it
Il suo studio propone anche soluzioni di chirurgia implanto-protesica avanzata, attuate nel caso di necessità eccezionali o per risolvere in tempi brevissimi alcune problematiche particolari. «Impieghiamo il plasma del paziente ottenuto, nella stessa seduta dell’intervento, mediante un banale prelievo venoso, per centrifugarlo per pochi minuti estemporaneamente in studio al fine di concentrarlo, in modo da poterlo “arricchire” dei suoi stessi “fattori di crescita”, Plasma Rich in Growth Factors o PRGF. Viene quindi applicato al fine di rigenerare i tessuti ossei e gengivali, oppure per ottenere membrane di fibrina autologa, Platelet Rich Fibrin o PRF, utilizzandole come “cerotto biologico” nelle deiescenze o nelle mancanze/carenze di tessuto gengivale,
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Valter Gallo • ODONTOIATRIA
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Fig. 1 Comparsa di una formazione ascessuale (fistola) alla gengiva del secondo premolare superiore di destra, ricoperto con una “capsula a perno” (Richmond) in metallo-ceramica
Fig. 2 La rimozione del manufatto protesico conferma la diagnosi della radiografia endorale eseguita in precedenza: frattura verticale della radice con la necessità di estrarne i frammenti
anche in associazione all’inserimento di impianti nell’alveolo del dente appena estratto, anche se “infetto”, ottenendo una più rapida guarigione transmucosa. In tal modo, senza nessun altro successivo intervento chirurgico nè anestesia, dopo un breve periodo di tempo si può finalizzare l’implanto-protesi in sole altre due sedute successive». Cosa c’è dietro i risultati clinici ottenuti con queste tecniche di chirurgia implantoprotesica avanzata? «È fondamentale un’attenta analisi clinica della problematica presentata dal paziente, per poter mettere a punto “la sua chirurgia personalizzata” impiegando di conseguenza una determinata linea implantare, quella più adeguata ad ottenere i risultati clinici desiderati. Inoltre, l’uso mirato e combinato delle tecniche di “accelerazione” dei processi di guarigione dei tessuti ossei e gengivali, emerse in quest’ultimo decennio, ha introdotto quei nuovi parametri che consentono un’ulteriore contrazione dei tempi di finalizzazione implanto-protesica con una sempre maggior predicibilità dei risultati attesi. Fornendo di
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Fig. 3 Risultato 3 giorni dopo l’estrazione e l’inserimento di impianto osseointegrato, con le tecniche di “guarigione accelerata” PRGF PRF. Sono evidenti i segni delle suture rimosse e della fistola in via di guarigione
Fig. 4 Risultato a 45 giorni dall'estrazione. Capsula in oro ceramica su impianto osseointegrato in sede del secondo premolare superiore di destra: risultato certificato e garantito per 10 anni
conseguenza, oltre a una minore invasività, maggiori speranze di possibilità di cure a tutti quei pazienti che fino a un recente passato venivano esclusi dai tradizionali protocolli implanto-protesici». Il suo atteggiamento terapeutico è sempre più orientato verso un’impostazione “scarsamente chirurgica”. È il caso ad esempio del trattamento della malattia parodontale. Ce ne può parlare? «Il fine di utilizzare una terapia “scarsamente chirurgica” per la malattia parodontale è conservare il più a lungo possibile la dentatura compromessa dalla patologia, prediligendo tecniche prevalentemente non chirurgiche. Una novità data dalla recente ricerca scientifica “evidence based” conferma proprio che, “un atteggiamento meno invasivo e meno cruento nella cura della malattia parodontale ottiene migliori risultati con le terapie non chirurgiche, che risultano essere più predicibili, più stabili, con minor perdita dell’attacco gengivale e con meno esposizione radicolare, rispetto alle terapie tradizionali indiscriminatamente chirurgiche”».
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ODONTOIATRIA • Gianluca Cicardi
IMPLANTOLOGIA HIGH TECH di Jessica Violanti CIÒ CHE DISTINGUE IL CEREC MEETS GALILEOS DAGLI ALTRI SISTEMI DI IMPLANTOLOGIA COMPUTER GUIDATA È LA TOTALE VIRTUALIZZAZIONE. GIANLUCA CICARDI NE SPIEGA IL FUNZIONAMENTO opo l’anteprima americana e tedesca dell’ottobre 2009, anche in Italia è stato presentato un nuovo approccio alle esigenze di riabilitazione implantoprotesiche dei pazienti. «È la chirurgia protesicamente guidata o meglio progettata al computer con tecnologia 3D, oggi realizzabile mediante un processo basato su piattaforme software 3D, con un sistema denominato “Cerec meets Galileos” unico al mondo». Tra i primi odontoiatri a utilizzarlo, Gianluca Cicardi ne spiega il funzionamento. «Si tratta di integrare due apparecchiature altamente tecnologiche come un radiografico volumetrico Cone Beam 3D, il Galileos appunto, capace di eseguire un’immagine in tre dimensioni del cranio, e un altro apparecchio, il Cerec3D, che tramite una telecamera Blu Cam, rileva un’impronta ottica della dentatura». In questo modo l’odontoiatra è in grado di governare in anticipo tutte le variabili che possono influenzare il risultato finale, avendo a disposizione con una ricostruzione virtuale, l’esatta riproduzione delle strutture anatomiche. «Con il Cerec si elabora un progetto protesico tridimensionale – spiega CiIn alto, Gianluca Cicardi nel suo cardi –, il file viene importato studio dentistico di Erba (CO) nella scansione radiografica del giacicar@tin.it
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Galileos e si procede a un planning implantare adeguato alla protesi, arrivando a costruire una guida chirurgica che permette di posizionare, in modo esatto, la fresa del chirurgo per l’inserimento dell’impianto». I vantaggi sono notevoli: dall’estetica alla funzionalità, dal comfort alla sicurezza e velocità di esecuzione. «Ciò che distingue questo sistema dagli altri sul mercato come implantologia computer guidata è proprio la totale virtualizzazione». Tutti gli altri hanno bisogno della collaborazione dell’odontotecnico che, da un’impronta e seguente modello in gesso, deve simulare con una modellazione in cera, i denti del paziente che saranno poi impiantati e da qui costruire una mascherina radiografica che deve poi essere indossata dal paziente al momento dell’esame radiografico. «L’innovazione tecnologica risponde, quindi, alle moderne esigenze di efficacia ed efficienza di uno studio odontoiatrico che vuole offrire, se pure con notevoli investimenti economici e di preparazione professionale, un’attenzione particolare ai propri pazienti in termini di sicurezza – sostiene il dottor Cicardi –, evitando errori diagnostici e riducendo le dosi di radiazioni, che con il Galileos 3D sono quasi trascurabili, paragonabili a un viaggio aereo di 4 ore, a differenza di una Tac che ne emette 70 volte di più».
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ODONTOIATRIA • Paolo Caccioli
TRA ESTETICA E FUNZIONE di Carlo Gherardini
SE PRIMA IL POSIZIONAMENTO DELL’IMPIANTO ERA CONDIZIONATO DALL’OSSO, ORA SI PUÒ PROCEDERE CON L’OSTEOINTEGRAZIONE. CHIRURGIA SULLA GENGIVA E TERAPIA IMPLANTARE GARANTISCONO OTTIMI RISULTATI. L’ESPERIENZA DI PAOLO CACCIOLI
gere le atrofie delle ossa mascellari, favorendo l’osteointegrazione. Tutto grazie alla chirurgia preimplantare. Chirurgia sulla gengiva e terapia implantare: il risultato è assicurato». orridere fa bene, al corpo e all’anima. È sempre vero? Forse dipende dal sorriso. Sempre più italiani se ne sono resi conto. Molte persone hanno capito l’importanza di rivolgersi a professionisti del settore, in grado di offrire competenza e aggiornamento costante sul tema dell’odontoiatria estetica. Il dottor Paolo Caccioli odontoiatra, medico chirurgo specialista in odontostomatologia e professore a contratto di Chirurgia Implantare all’Università di Parma, sottolinea l’importanza dell’utilizzo di materiali estetici di ultima generazione per ottenere un risultato ottimale. «Con lo zirconio, le faccette in porcellana e i nuovi compositi, si può ottenere un prodotto finale di alta qualità» afferma. «Un sorriso vincente, comunque, non è dato semplicemente da una bella bocca: per realizzare un lavoro a regola d’arte bisogna valutare le proporzioni del viso, l’estetica del volto, la complessità della struttura bocca-gengive-labbra».
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Paolo Caccioli con le sue collaboratrici nello studio di Parma paolocaccioli@interfree.it
Quanto è importante la tecnica implantare all’interno di questo discorso? «Se prima il posizionamento dell’impianto era condizionato dall’osso, ora si possono correg-
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La crisi economica coinvolge tutti i settori della vita: come siete venuti incontro alle esigenze dei pazienti? «Sono ormai cinque anni che ho stabilizzato i prezzi senza il minimo aumento. Inoltre è possibile dilazionare i pagamenti tramite finanziamenti a istituiti di credito convenzionati». Come deve essere costituito uno staff nel suo settore? «Specializzazione ed efficienza: ognuno deve essere cosciente del proprio compito e svolgerlo con velocità e precisione. L’assistente alla poltrona ha un ruolo essenziale: nel mio studio è svolto da Milanta Francesca che si occupa anche del processo di sterilizzazione. Indispensabile è la figura di Nicole Fouquè, implant coordinator e case manager che accompagna il paziente durante il suo percorso terapeutico. In studio lavora anche la dottoressa Colette Pelosi, specializzata nella cura dei pazienti più piccoli grazie alla sua grande esperienza maturata in anni di lavoro insieme nella clinica odontoiatrica di Parma dove si occupava di pedodonzia».
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ODONTOIATRIA • Rosario Marangolo
PREVENZIONE UNDER 14 di Rosanna Natale
PICCOLI E PERIODICI RITOCCHI PER I GIOVANISSIMI. ROSARIO MARANGOLO RIPENSA ALLA TRADIZIONALE FIGURA DEL DENTISTA E IMMAGINA ello studio torinese di Rosario Ma- L'ODONTOIATRIA rangolo si è succeduta almeno una DEL FUTURO: LEGGERA generazione di pazienti. Inizia a E PREVENTIVA
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Rosario Marangolo nel suo studio a Torino pasticciona22@hotmail.it
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prestare le primissime visite ventisei anni fa. Il suo bilancio su come sia cambiato l'approccio professionale verso la salute dentale fa quindi leva su un punto d'osservazione privilegiato: l'esperienza. «Oggi, per fortuna, l'igiene dentale è completamente sdoganata. Buona parte degli italiani hanno assunto la sacrosanta abitudine di recarsi periodicamente dal dentista. Certo, la cultura della prevenzione non è mai abbastanza, ma posso dire con fermezza che questo messaggio stia prevalendo. E sta dando ottimi risultati, soprattutto tra i più piccoli». Di conseguenza, a essersi abbassata è proprio l'età media dei pazienti. «Tra i miei – prosegue Marangolo – molti sono under 14. E più volte mi sono sorpreso nell'accorgermi di quanta importanza riservino a un sorriso ben curato. Sarà pure il riflesso incondizionato di
una società che guarda molto alle apparenze, ma almeno non si ritroveranno fra quarant'anni a dover fare i conti con situazioni odontoiatriche irreparabili. Una volta un ragazzino mi ha confidato che avrebbe persino rinunciato al motorino pur di vedere risolto il suo piccolo problema». Questa accentuata sensibilità non è paragonabile a ciò che accadeva qualche decennio fa. «Quando ho aperto lo studio, negli anni Ottanta, il tipo di odontoiatria era più invasivo. Perché a monte c'erano patologie in stato avanzato. La tendenza generalizzata era quella di trascurare e tirare avanti, fino a quando il problema non diventava insormontabile. Oggi invece mi capita di dover fare piccoli “ritocchi”. Credo si tratti di un cambiamento importante. Anche perché, non dimentichiamolo, in bocca abbiamo un patrimonio: dalla masticazione dipendono una serie di fattori di vitale importanza». Ma, per ironia della sorta, se la cultura della prevenzione dovesse prendere davvero piede non c'è il rischio che la tradizionale figura del “vecchio” dentista scompaia? «In un certo senso sì. Ed è quello che mi auguro. L'odontoiatria del futuro sarà indubbiamente più leggera e capace di sfruttare nuove tecniche e materiali. Tra questi l'avanguardia delle protesi è tutta incentrata sul nylon: resistente, adattabile e funzionale. Per chi, come me, pratica un’odontoiatria a tutto tondo, che va dall’implantologia alla chirurgia, aggiornarsi è la cosa più importante».
OTTOBRE 2010