IL DADO È TRATTO

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IL DADO Ăˆ TRATTO Arte contemporanea italiana oltre la tradizione

a cura di / edited by Sergio Risaliti


PROGETTO EDITORIALE / EDITORIAL PROJECT Forma Edizioni srl, Firenze, Italia redazione@formaedizioni.it www.formaedizioni.it REALIZZAZIONE EDITORIALE / EDITORIAL PRODUCTION Archea Associati COORDINAMENTO EDITORIALE E REDAZIONALE / PUBLISHING AND EDITORIAL COORDINATION Laura Andreini SUPERVISIONE REDAZIONALE / TEXTUAL SUPERVISION Riccardo Bruscagli REDAZIONE / EDITORIAL STAFF Valentina Muscedra Maria Giulia Caliri Beatrice Papucci Elena Ronchi GRAFICA / GRAPHIC DESIGN Elisa Balducci Sara Castelluccio Vitoria Muzi Isabella Peruzzi Mauro Sampaolesi FOTOLITOGRAFIA / PHOTOLITHOGRAPHY ColorLab Trz, Firenze, Italia STAMPA / PRINTING Lito Terrazzi Srl, Firenze, Italia TRADUZIONI / TRANSLATIONS Katy Hannan Maureen Fay Young © 2015 Sergio Risaliti, Eva Francioli, Elena Magini per i testi / for the texts © Afro by SIAE 2015 © Alighiero Boetti by SIAE 2015 © Agostino Bonalumi by SIAE 2015 Fondazione Palazzo Albizzini-Collezione Burri, Città di Castello © by SIAE 2015 © Pier Paolo Calzolari by SIAE 2015 © Giuseppe Capogrossi by SIAE 2015 © Enrico Castellani by SIAE 2015 © Elisabetta Catalano by SIAE 2015 © Gino De Dominicis by SIAE 2015 © Piero Dorazio by SIAE 2015 © Luciano Aldo Foffa by SIAE 2015 © Fondazione Lucio Fontana, Milano by SIAE 2015 © Jannis Kounellis by SIAE 2015 © Osvaldo Licini by SIAE 2015 © Fondazione Piero Manzoni, Milano by SIAE 2015 © Mario Merz by SIAE 2015 © Paolo Scheggi by SIAE 2015 © Giulio Turcato by SIAE 2015 © Gilberto Zorio by SIAE 2015 L’editore è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche non individuate. / The editor is available to copyright holders for any questions about unidentified iconographic sources.

© 2015 Forma Edizioni srl, Firenze, Italy Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. / All rights reserved, no part of this publication may be reproduced in any form or by any means without the prior permission in writing of the publisher. Prima edizione: settembre 2015 First edition: September 2015 ISBN: 978-88-99534-00-4

IL DADO È TRATTO Arte contemporanea italiana oltre la tradizione

a cura di / curated by Sergio Risaliti

Tornabuoni Arte Lungarno Benvenuto Cellini 3, Firenze 24 settembre / 28 novembre 2015 Coordinamento editoriale / EDITORIAL COORDINATION Roberto Casamonti Sergio Risaliti SCHEDE BIOGRAFICHE / BIOGRAPHICAL NOTES Elena Magini, Eva Francioli Organizzazione / ORGANIZATION Tornabuoni Arte, Firenze Catalogo / CATALOGUE Forma Edizioni Si ringraziano i prestatori delle opere e tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione del catalogo / We would like to thank the lenders and everyone who has contributed to the making of the catalogue Roberto Casamonti Tornabuoni Arte: Isabella Lastrucci, Valentina Grandini IF Industrial Foto, Firenze Elena Magini e Eva Francioli Antonella Nicola Comunicazione e ufficio stampa / COMMUNICATIONS AND PRESS OFFICE Lea Codognato, Davis & Franceschini


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IL DADO Ăˆ TRATTO Arte contemporanea oltre la tradizione Sergio Risaliti

15 THE DIE IS CAST Contemporary Italian art beyond tradition Sergio Risaliti 26

OPERE / WORKS

28 Afro 34 Alighiero Boetti 44 Agostino Bonalumi 52 Alberto Burri 60 Pier Paolo Calzolari 66 Giuseppe Capogrossi 74 Enrico Castellani 80 Ettore Colla 86 Gino De Dominicis 92 Piero Dorazio 102 Lucio Fontana 112 Piero Gilardi 118 Jannis Kounellis 124 Osvaldo Licini 134 Francesco Lo Savio 142 Piero Manzoni 148 Fausto Melotti 154 Mario Merz 160 Mario Nigro 166 Giulio Paolini 172 Claudio Parmiggiani 178 Pino Pascali 184 Michelangelo Pistoletto 192 Manlio Rho 198 Paolo Scheggi 206 Atanasio Soldati 212 Giulio Turcato 220 Giuseppe Uncini 226 Emilio Vedova 232 Gilberto Zorio


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IL DADO È TRATTO Arte contemporanea italiana oltre la tradizione

Sergio Risaliti

La deformazione grottesca e volgare dell’oggetto, assunta come valore assoluto, è una menzogna che ripugna a coloro che si sentono figli di questo secolo. Gli elementi della nostra età sono tutti nell’ordine: la chiarezza ne è il risultato”1. In Picasso e Braque, “nella loro produzione astratta – che è la migliore, e come tale quella che sola rimarrà”2, si trova la soluzione al dilemma “cui si riduce tutta l’arte moderna: o rappresentazione del ‘vero’, di quello convenzionale che appare agli occhi di tutti; o ricreazione di questo ‘vero’ secondo il capriccio individuale dell’artista”. Pittori e scultori, a detta di Belli, devono rifiutare le sirene dell’Accademia (“il materialismo presocratico, l’infantilità del pensiero”), così come l’intimismo e l’inganno del sublime romantico (la “goffa superbia romantica, il pressappochismo dilettantesco, ossia il Novecento, l’umanesimo e simili mascherature del nulla”3). Ai pittori astratti viene richiesta intuizione logicamatematica, chiarezza di intenzioni, precisione di metodo per esecuzioni limpide e coerenti, soprattutto quando è in gioco la sopravvivenza della poesia – quella riconosciuta “mediterraneità” che sarà peculiare dell’arte italiana anche in quegli anni di rivoluzioni e aggiornamenti. Carlo Belli, che è propulsore e aggregatore, dissimula ogni incertezza, ogni titubanza: “Soldati ha saltato il trampolino e per tagliarsi dietro i ponti, si compromette oggi con questa mostra. I suoi quadri, le sue tempere, i suoi disegni, per quello che contengono, hanno dato l’addio al vero, alla deformazione, a tutto ciò che si riferisce ad un interesse psicologico (al solito piccolo affare di cuore) per entrare in un nuovo mondo,

Nel secolo scorso, nel tempo sospeso tra le due guerre, la storia dell’arte italiana (una storia fin qui rispettosa della tradizione: Giotto, Paolo Uccello, Piero della Francesca) è sottoposta alla prova del modernismo. Ad esempio, nella Milano degli anni Trenta l’artista è libero di comporre opere che non devono necessariamente imitare la realtà, se non in termini di pura geometria. A rileggere gli scritti dell’epoca l’incrinatura è profonda e innegabile. Usando un’espressione forte: “il dado è tratto”. L’imitazione non è più un problema; non è soprattutto un vincolo accademico cui sottostare, un’ideologia cui aderire. Il distacco dalla tradizione figurativa, preparato con le avanguardie nei primi due decenni del XX secolo, si compie rapidamente. Tra Como e Milano, oltre a collaborazioni tra architetti, pittori e scultori, vengono attivati scambi internazionali prodighi di novità, incontri utili alle ricerche artistiche non figurative. La prima avvisaglia di un cambiamento di rotta – teso a rafforzare le premesse astratte riconoscibili in Picasso e Braque, in Kandinskij e Klee – si ha nel 1933, quando Anton Atanasio Soldati appende alle pareti della Galleria Il Milione un gruppo di lavori in cui il vocabolario figurativo si è rarefatto, stilizzato, in cui “i raccordi, di atmosfera metafisica, seguivano moduli sospesi fra primitivismo e soluzioni da cubismo analitico”. Carlo Belli, che della compagine degli astrattisti sarà il mentore teorizzatore, annuncia la svolta e nella prefazione in catalogo sentenzia: “La posizione di questo artista è chiarissima: ordine contro Babele. Il Novecento, estremo punto di arrivo del romanticismo, è responsabile della immane confusione prodotta nella pittura e nella scultura.

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deificata che sfocerà poi nell’esaltazione della visione macchinica, verso “un’arte rigida e metallica”, comunque “classica” come era apparso nel Manifesto dell’Arte Meccanica del 1922. E così ancora figurativi restarono gli esponenti del secondo futurismo, muovendosi “nell’ordine di una esplorazione tutta interiore, psicologica, estremamente soggettiva”20 della realtà. Sia Prampolini, per il quale le forme rispondono per analogia a visioni arcane e di natura primordiale; sia Fillia, che restituisce in proiezioni informi la sua peregrinazione cosmica. E figurativa restò pur sempre la pittura Metafisica, benché, in questo caso, si debba parlare di realtà fantasmatica che si palesa e si determina attraverso l’architettura, e che assume, per via di questa spazializzazione controllata, qualcosa di teatrale, dove i rapporti tra cose e figure sono voluti e coscienti, perché se ne è considerato e fissato solo il lato metafisico. Ovvero, per dirla con Paolo Fossati “la teatralità del quadro esalta e spinge più convincentemente verso lo spettatore la metafisicità di quello che si configura come un vero e proprio contenuto, che viene perciò a qualificarsi in una aura di oggettività in cui, per usare il linguaggio teatrale, scenografia ed attore si integrano nel tutto, fino a un’assoluta continuità”21. Poi dall’immobilità fantasmatica, quella della visione sub specie aeternitatis, si passerà all’esaltazione di quei valori plastici che impongono assieme a forme stabili d’aspetto e gusto metafisico, la natura persistente ed evidente del genio italico in arte, ovvero la restaurazione figurativa di cui si fece promotore il gruppo Novecento.

‘la tesaurizzazione e l’archiviazione’”16. Gli astrattisti subiscono emarginazione politica e culturale. Eppure le loro ambizioni, la scoperta di un linguaggio creativo autonomo, “della psichicità come medium tra mentalismo e fisicità”, la spinta a oltrepassare il limite imposto dalla tela e dalla cornice – come ha fatto notare Fossati17 – per affermare una specificità del luogo di azione, sono tutti dati di cui cui tener conto per il futuro imminente dell’arte italiana moderna e contemporanea dopo la fine del conflitto mondiale e la liberazione dalla dittatura fascista. Da queste sollecitazioni, ad esempio, nasceranno attorno agli anni cinquanta, le ‘camere spaziali’, gli Ambienti spaziali di Fontana. E poi, a ben vedere, è chiaro che “il preteso dominio della forma non è che la copertura di qualcosa che non vuole essere ancora accettato come tale; che è ormai la forma a dominare il pittore”. Il che significa essere già pronti all’irruzione dell’informale18. Come si è capito, la pittura e scultura astratta hanno tracciato un vulnus nel rapporto mai risolto e mai pacifico tra tradizione figurativa e avanguardia. Con Melotti, Fontana, Licini e Soldati, si assiste a un superamento di quelle istanze figurative che ancora sopravvivevano nel Futurismo e nella pittura Metafisica, il cui credo artistico restava ambiguamente sospeso tra intensificazione spiritualistica dell’astrazione e stratificazione psicologicamente più duttile e ragionevole dell’idealizzazione. Perché, a ben vedere Carrà e Boccioni, de Chirico e Morandi, erano ancora desiderosi di rappresentare il mondo in aspetti e forme riconoscibili, anche quando la realtà usciva dalla loro fantasia riprodotta in termini distorti e scomposti, onirici e surreali, e lo spirituale o lo psichico tendevano ad allontanare nelle profondità dell’io, o nella sfera dell’idealità atemporale, la percezione oggettiva, la presa positivistica del mondo. Prima di ogni frattura tra astrazione e riproduzione figurativa, Boccioni aveva, infatti, negato “la possibilità di un cifrario astratto, d’una specie di concettualismo plastico” totalizzante; e Severini aveva preso le distanze da una pittura astratta negatrice la realtà figurativa, sul “Mercure de France” nel 1916: “Pertanto, il nostro realismo, pur essendo il risultato dell’elemento idea e dell’elemento esperienza sensoriale, e pur essendo spesso espresso attraverso delle forme geometriche, non è un’astrazione […]. L’analogia non è una generalizzazione fondata sull’astrazione ma un elemento d’intensificazione realista e specifica.”19 per poi dire che il suo è un realismo ideista. Un desiderio di presenza

Le ricerche dei pittori e scultori astratti si sono svolte in un clima sperimentale favorevole, che ha coinvolto numerosi architetti riuniti attorno alla Galleria Il Milione. Il rapporto con la tradizione e con la storia dell’arte ha subito modifiche sostanziali; ad un nostalgica esaltazione o evocazione dei valori classici, alle diverse retoriche esaltanti i miti figurativi della terra italica – come quelli evocati dal gruppo di accoliti intorno a Margherita Sarfatti – è opposta un’arte moderna capace di fare il salto, di rischiare nuove forme, nuove immagini e materiali, senza rinunciare a quanto di fondamentale e originario, d’immutabile, necessitasse all’operare artistico. Rinunciare alla riproduzione figurativa della natura o della realtà è e rimane il passo decisivo e dovuto per avventurarsi in un mondo di nuove invenzioni e creazioni, in cui, oltre la tradizione figurativa, si è data la possibilità di partorire un linguaggio dell’arte più autonomo e assoluto. Un linguaggio più internazionale

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“Bollettino” n° 17, 16 novembre 1936. Mostra personale di Atanasio Soldati alla Galleria Il Milione / Bollettino no. 17, 16 November 1936. Atanasio Soldati solo show, Galleria Il Milione

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OPERE WORKS


Afro [Udine 1912 - Zürich 1976] -

“La mia pittura è sempre stata soggettiva, ha sempre cercato uno spazio fatto di memoria e ritrovato sentimento e intuizione. [...] Certi elementi figurativi, anche filtrati al massimo o ridotti ad abbreviazioni ideologiche, ora mi apparivano detriti malinconici, familiari come cifre, ma non veri. [...] Sentivo il mio lavoro lontano da me perché non mi bastava rappresentare una realtà di fantasia, di sogno o di memoria, ma volevo che quella realtà si identificasse con la pittura e la pittura divenisse la realtà stessa del sentimento, non la sua rappresentazione.” / “My painting has always been subjective; it has always pursued a space composed of memory rediscovered, emotion and intuition. [...] Certain figurative elements, even when extremely filtered or reduced to ideological abbreviations, began to seem melancholy, familiar as stylistic features, but not true. [...] I felt my work was distant from me because it was not enough to represent a reality of fantasy, dream or memory. I wanted that reality to be identical to the painting, and the painting to become the actual reality of that emotion, not just its representation.”

Afro nel suo studio al Castello di Prampero (UD), 1963. Foto Italo Zannier / Afro in his studio in Castello di Prampero (UD), 1963. Photo Italo Zannier

Lettera di Afro a Lionello Venturi in Pittori italiani d’oggi, De Luca, Roma 1958 / Afro to Lionello Venturi, in Pittori italiani d’oggi, De Luca, Roma 1958

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Afro

Figlio del pittore e decoratore Leo e fratello minore degli scultori Dino e Mirko, Afro Libio Basaldella nasce nel 1912 a Udine. Avvicinatosi alla pittura da giovanissimo, la sua produzione si caratterizza inizialmente per il ricorso a scene di vita familiare e ai generi tradizionali del paesaggio e della natura morta. Dopo aver esposto alla “Prima mostra della scuola friulana d’avanguardia” (1928), si reca a Venezia e a Firenze per completare la sua formazione e nel 1932, grazie ad una borsa di studio messa a disposizione dalla Fondazione Marangoni, compie due importanti viaggi a Roma e a Milano. I due soggiorni costituiscono un momento fondamentale nella formazione dell’artista, che ha l’opportunità di entrare in contatto con i membri della cosiddetta “Scuola di via Cavour” (Mario Mafai e Scipione) e con Corrado Cagli, oltre che con i rappresentanti del gruppo di Corrente, in particolare Renato Birolli e Ennio Morlotti, e con Arturo Martini, conosciuto tramite il fratello Mirko. Un primo significativo aggiornamento della pittura di Afro risale quindi ai primi anni trenta, quando l’artista rinnova la sua produzione giovanile infondendo nuova linfa al tonalismo di matrice veneta, grazie agli influssi dell’espressionismo di marca lombarda e alle suggestioni del cromatismo barocco e decadente, tipico della pittura di Mafai e dei suoi compagni. Anche nei decenni successivi, tuttavia, l’artista non smetterà di condurre una continua ricerca sulle possibilità espressive del medium pittorico, dando origine ad un originale percorso creativo caratterizzato da ripetuti rinnovamenti dello stile e della pratica compositiva. Una prima, importane, svolta può essere fatta risalire già alla prima metà degli anni quaranta, quando, abbandonato l’influsso dell’opera di Corrado Cagli, Afro si apre alle suggestioni esercitate dalle ricerche cubiste e postcubiste, che rielabora in chiave del tutto personale. Le indagini di Picasso e Braque, conosciute anche direttamente nel corso di un viaggio a Parigi compiuto nel 1938, e in particolare l’esempio di Guernica colpiscono profondamente l’immaginario dell’artista, che imprime una nuova svolta alla propria indagine sul linguaggio pittorico

in opere in cui la ricerca dell’effetto tonale viene coniugato ad una nuova riflessione sulla valenza plastica delle forme. Al 1947 risale l’avvicinamento alle istanze e agli artisti del Fronte Nuovo delle Arti, con i quali condivide l’esigenza di un rinnovamento del linguaggio pittorico, finalmente svincolato dalla necessità di restituire il dato fenomenico nell’opera. Alle suggestioni provenienti dagli scambi con gli artisti che avevano cercato di aggiornare la propria ricerca sulle sperimentazioni più recenti dell’arte internazionale, si uniscono quelle derivate dall’espressionismo astratto americano, conosciuto direttamente all’inizio degli anni cinquanta. Durante un importante viaggio negli Stati Uniti, compiuto nel 1950 in occasione di una collettiva di artisti italiani alla Catherine Viviano Gallery di New York, galleria presso la quale terrà la sua prima personale negli USA, Afro ha la possibilità di confrontarsi direttamente con le esperienze dell’espressionismo astratto e di ammirare, in particolare, l’opera di Arshile Gorky. Di rientro in Italia, nel 1952 l’artista espone alla Biennale di Venezia insieme a Renato Birolli, Antonio Corpora, Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato e Emilio Vedova, con i quali aveva dato vita al Gruppo degli Otto, ispirato ai temi della difesa della libertà creativa. Presente, accanto a Burri e Capogrossi, alla mostra “The New Decade: 22 European Painters and Sculptors”, organizzata al MoMA nel 1955, Afro torna l’anno successivo alla Biennale di Venezia, dove espone in una sala personale, ottenendo il premio come miglior pittore italiano. L’influsso della pittura astratta statunitense appare particolarmente evidente nei lavori di quel periodo, che vibrano di una ricerca esistenziale, fondata sull’introspezione e volta alla restituzione delle “origini oscure” delle immagini, garanzia della loro “sincerità inconsapevole”. Negli anni sessanta Afro si avvicina sempre di più alle poetiche dell’Informale, come rivelano la dichiarata gestualità della sua pennellata e il ricorso a materiali eterogenei, tratti dalla vita quotidiana, che denunciano nell’opera la propria evidente deteriorabilità. Il dipinto non

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è più una base su cui rappresentare il proprio inconscio, ma diviene esso stesso luogo di un’azione ruvida, non meditata. Dopo aver svincolato la pittura da stringenti riferimenti tematici o concettuali, Afro perviene, negli anni settanta, ad una distensione del tratto e della composizione, ormai liberata da ogni costrizione di tipo formale. Eva Francioli


Son of the painter and decorator Leo and younger brother of the sculptors, Dino and Mirko, Afro Libio Basaldella was born in Udine in 1912. He began painting at a very young age and his early works were mainly scenes of family life, traditional landscapes and still life works. After showing at the Prima mostra della scuola friulana d’avanguardia (1928), he travelled to Venice and Florence to complete his training, and in 1932, having won a scholarship awarded by the Fondazione Marangoni, he spent two important periods in Rome and Milan. These constituted a fundamental moment in the artist’s education, as he was able to meet the members of the so-called “Scuola di via Cavour” (Mario Mafai and Scipione) as well as Corrado Cagli, and representatives of the Corrente movement, in particular Renato Birolli and Ennio Morlotti, as well as Arturo Martini, whom he met through his brother Mirko. The first significant change in Afro’s painting dates back to the early Thirties when the artist renewed his early production instilling new life into the Tonalism of the Venetian school, influenced by Lombard Expressionism and some inspiration from the Baroque and Decadent movements, typical of the work of Mafai and his companions. However, even in the following decades, the artist never ceased his constant research into the expressive possibilities of painting, which led to an original creative route that featured repeated changes in style and compositional techniques. An early decisive moment can be traced to the first half of the 1940s when, having abandoned the influence of Corrado Cagli’s work, Afro became receptive to theories put forward in Cubist and Postcubist research that he re-interpreted in a completely personal style. Explorations by Picasso and Braque, whom he had met personally during a trip to Paris in 1938, and especially the example of Guernica, made a strong impression on the artist; this led to a new turning point in his own research into pictorial language in works where the search for a tonal effect was combined with a new reflection on the plastic

value of different forms. In 1947, he began to embrace the trends and artists of the Fronte Nuovo delle Arti, with whom he shared the need for a renewal of artistic expression, finally released from the necessity to reinstate phenomenal data in his works. His exchanges with artists, who had sought to renew their personal research in the latest experiments in international art, were combined with those derived from American abstract expressionism, after his direct contact at the beginning of the 1950s. During a strongly influential voyage in the United States in 1950, during a collective exhibition of Italian artists at the Catherine Viviano Gallery in New York, (where he was to hold his first solo exhibition in the USA), Afro was able to experience abstract expressionism at first hand, and in particular, he came to admire the work of Arshile Gorky. On his return to Italy in 1952, Afro exhibited at the Biennale di Venezia together with Renato Birolli, Antonio Corpora, Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato and Emilio Vedova. These artists had established the Gruppo degli Otto, inspired by the defence of creative freedom. Alongside Burri and Capogrossi, at the exhibition The New Decade: 22 European Painters and Sculptors, organised at the MoMA in 1955, Afro returned to the Biennale di Venezia the following year where his work was shown in a personal solo exhibition space, during which he was awarded the prize for best Italian painter. The influence of American abstract painting appears especially obvious in Afro’s work during this period; his work vibrates with his research into the existential, based on introspection and directed towards a restitution of the “dark origins” of images, a guarantee of their “unconscious sincerity”. In the 1960s, Afro moved even closer to the poetics of the Art Informel movement, as can be seen in his strong brush strokes and his choice of miscellaneous materials taken from everyday life – a statement of the obvious and inevitable nature of deterioration in works of art. A painting was no longer the basis on which the artist’s subconscious was depicted,

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but in itself, it became the stage for rough, immediate, spontaneous, action. Having released his painting from stringent thematic or conceptual references, in the 1970s, Afro managed to achieve a certain distension in line and composition, totally free of any type of formal constraint. Eva Francioli


Afro

Senza titolo, 1948 tecnica mista su tela / mixed media on canvas 100x70 cm in 39.37x27.56

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Piero Dorazio [Roma 1927 - Todi, Perugia 2005] -

“Il quadro moderno deve [...] rivolgersi ai sensi e trasmettere una emozione primordiale: il colore, la forma, il peso, le dimensioni, la forza di gravità... far sentire la distanza neltempo fra le percezioni di un colore, di una forma dall’altra. Questa capacità di rispondere, questa ricettività dei sensi è molto importante, non bisogna assolutamente perderla, come la nostra civiltà tenderebbe a fare. La funzione dell’arte è anche quella di risvegliare, di mantenere costantemente vigili i sensi, adoperando le forme più aggiornate, in grado di star dietro al processo tecnologico che invece li vorrebbe addormentare.” / “Modern painting must [...] address the senses and transmit a primeval emotion: colour, shape, weight, dimensions, force of gravity... it must feel the distance in the time between the perception of a colour, between one shape and another. This capacity to respond, this receptivity of the senses is very important; it must absolutely not be lost, as our civilisation has a tendency to do. The function of art is also that of awakening, of maintaining the senses constantly alert, adopting the latest forms able to keep up with the technological process that would prefer to anaesthetise them.”

Piero Dorazio al lavoro nel suo studio di Canonica (PG), 24 novembre 1992. Foto Sandro Vannini / Piero Dorazio in his studio in Canonica (PG), 24 November, 1992. Photo Sandro Vannini

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Due passi indietro e tre avanti, colloquio con Piero Dorazio di Dario Dupré e Maurizio Fagiolo dell’Arco, in Dorazio, catalogo della mostra, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Electa, Roma 1983, pp. 9-18 (15) / ‘Due passi indietro e tre avanti’, conversation with Piero Dorazio by Dario Dupré and Maurizio Fagiolo dell’Arco, in Dorazio, exhibition catalogue, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Electa, Rome 1983, pp. 9-18 (15)


Piero Dorazio

Roman archeology, 1953-56 rilievo in bronzo / bronze relief 17x19x4 cm in 6.69x7.48x1.57

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Osvaldo Licini [Monte Vidon Corrado, Fermo 1894 - 1958] -

“L’arte è per noi di natura misteriosa e non si definisce. Confessiamo pure che la bellezza sfuggirà sempre ai nostri calcoli. Ed è bene che sia così. Come tutte le cose della natura, enigmatica, menzognera, bella ma con fronde. [...] Siamo astrattisti per la legge psicologica di compensazione, cioè per reazione dell’eccessivo naturalismo e materialismo del secolo decimonono. Siamo astrattisti perché riteniamo che classicismo, romanticismo, realismo ecc. siano cicli chiusi ed ozioso è ritornarci sopra. L’arte si trasforma e si rinnova seguendo rigorosamente gli sviluppi irresistibili dello spirito, che non torna indietro.” / “For us, art is of a mysterious nature and cannot be defined. We must admit that beauty will always escape our calculations. That is a good thing. Like everything in nature, enigmatic, untrue, beautiful but headstrong. [...] We are abstractionists due to the psychological law of compensation, as a reaction against the excessive naturalism and materialism of the 19th century. We are abstractionists because we believe that classicism, romanticism, realism, etc. are closed cycles and that it is lazy to go back to them again. Art is transformed and renewed by rigorously following the irresistible developments of the spirit, which does not turn back.”

Osvaldo Licini, Natura di un discorso, in “Corriere Padano”, ottobre 1937 / Osvaldo Licini, ‘Natura di un discorso’, in Corriere Padano, October 1937

Osvaldo Licini, XXIX Esposizione Biennale, Internazionale d’Arte, Venezia, 1958. Foto Ugo Mulas / Osvaldo Licini, 29th Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venice, 1958. Photo Ugo Mulas

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Osvaldo Licini

Angelo ribelle su fondo celeste, 1952 olio su tela / oil on canvas 49x65 cm in 19.29x25.59

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Osvaldo Licini

Missile su fondo giallo, 1954 olio e matita su tela / oil and pencil on canvas 27.3x36 cm in 10.75x14.17

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Fausto Melotti [Rovereto, Trento 1901 - Milano 1986] -

“L’arte è stato d’animo angelico, geometrico. Essa si rivolge all’intelletto, non ai sensi. Per questo è priva di importanza la pennellata in pittura e in scultura la modellazione... non la modellazione ha importanza, ma la modulazione. Non è un gioco di parole: modellazione viene da modello = natura = disordine; modulazione da modulo = canone = ordine. [...] nel divertimento delle parti non piani correttamente giustapposti e palesi (modellazione) ma piani che, giocando tra loro, danno vita a piani immaginari. Un gioco che, quando riesce è poesia.” / “Art is an angelic, geometric frame of mind. It speaks to our intellect, not to our senses. For this reason, the brushstroke has no importance in painting, and in sculpture, it is not the modelling that is important, but the modulation. This is not a play on words: the term modelling comes from model= nature = disorder; modulation comes from module = canon = order. [...] in the play of the various parts, which are not planes, in correct juxtaposition and evident (modelling) but planes which, playing with one another give rise to imaginary planes. A game which, when successful, becomes poetry.”

Fausto Melotti, I sette savi, 1970. Foto Ugo Mulas / Fausto Melotti, I sette savi, 1970. Photo Ugo Mulas

Fausto Melotti, Presentazione, “Bollettino del Milione”, n. 40, Milano 1935 / Fausto Melotti, Introduction, Bollettino del Milione, no. 40, Milan 1935

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Fausto Melotti

Bassorilievo archi, 1970 acciaio inox (n째 3 esemplari + 1 p.a), esemplare 3/3 / stainless steel (3 exemplaries + 1 p.a), exemplary 3/3 90x90x3 cm in 35.43x35.43x1.18

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Michelangelo Pistoletto [Biella 1933] -

“Prima di fare i quadri specchianti guardavo all’arte con il problema di come andare avanti, dopo i quadri specchianti guardo indietro e vado avanti senza problema. Prima sentivo che c’era qualcosa in qualche posto che doveva venire fuori, ed era lo specchio (così come vedendo la pittura medioevale si capisce che allora gli artisti giravano intorno a qualcosa che c’era da qualche parte e che doveva venir fuori, ed era la prospettiva). Io sono arrivato ai quadri specchianti qualche anno prima di arrivare sulla luna. Queste cose succedevano negli anni sessanta, e così adesso stiamo andando avanti guardando indietro o, se si preferisce, all’indietro guardando avanti. E la profezia dello specchio che si avvera.” / “Before making the mirror-paintings I looked at art and wondered how to progress, now I look back and I move ahead without posing any problems. I used to feel that there was something, somewhere that had to ‘come out’ – it was the mirror. (As when looking at medieval painting, one understands that in those days artists were revolving around something, some place that had to ‘come out’. It was perspective). I came to the mirror-paintings a few years before the moon landings. These things happened in the Sixties and so now we move forward looking back, or if you prefer, move backwards looking forward. It is the prophecy of the mirror come true.”

Michelangelo Pistoletto, Torino, 1972. Foto Ugo Mulas / Michelangelo Pistoletto, Turin, 1972. Photo Ugo Mulas

Anima, pubblicato in “Tema celeste”, n. 1, novembre 1983 / ‘Anima’, published in Tema celeste, no. 1, November 1983

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Michelangelo Pistoletto

Business, 1962-79 serigrafia su acciaio inox lucidato a specchio / screen printing on mirror finish stainless steel on canvas 150x125 cm in 59.06x49.21

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Questo volume è stato stampato nel mese di settembre 2015 da Forma Edizioni, Italia This volume was printed in September 2015 by Forma Edizioni, Italy




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