3 città (im) possibili

Page 1


In copertina / On the cover Carlo Terpolilli, Sui trampoli, 2012. Disegno a matita e pennarello su carta / Crayon and fibre-tip on paper.

Progetto editoriale / Editorial project Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI) redazione@formaedizioni.it www.formaedizioni.it Realizzazione editoriale / Editorial production Archea Associati Redazione / Editorial staff Valentina Muscedra Maria Giulia Caliri Collaborazione alla redazione e impaginazione / Editorial collaboration and page layout Ilaria Brogi Grafica /Grafic design Elisa Balducci Sara Castelluccio Vitoria Muzi Mauro Sampaolesi Relazioni esterne / Public relations Vittoria Bacci Traduzioni / Translation David Graham, Jorunn Monrad Fotolitografia e stampa / Photolithography and printer Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI) © Mario Sironi by SIAE 2012 © 2012 Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI) Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore / All rights reserved, no part of this publication may be reproduced in any form or by any means without the prior permission in writing of the publisher Prima edizione: ottobre 2012 First edition: october 2012 ISBN: 978-88-96780-34-3


Carlo Terpolilli

3 città (im)possibili A Vittoria, mia madre.

6

prefazione / foreword Lucia Celle

8 15

3 città (im)possibili / 3 (im)possible cities neverland borghi galleggianti nella laguna / villages floating in the lagoon

45

babel un grattacielo a propria immagine e somiglianza / a skyscraper to one’s own image and likeness

75

traincity infrastruttura, architettura / infrastructure, architecture

103

apparati / appendices Mariagiulia Bennicelli Pasqualis il valore didattico dei workshop e la loro organizzazione / the didactic value of workshops and their organization l’isola che non c’è - un grattacielo a propria immagine e somiglianza - infrastruttura, architettura


3 città (im)possibili Preambolo A pensar bene tutte le città sono impossibili. A prima vista è impossibile immaginare che ogni giorno centinaia, migliaia, a volte milioni di persone, tutte assieme, in modo convulso, si muovono con ogni mezzo, vanno al lavoro nei luoghi più disparati, i più giovani si recano a scuola, altri fanno la spesa, preparano il cibo, per sé e per gli altri, lo consumano fuori e dentro le proprie case, si curano e curano altri, si divertono; migliaia di loro la sera escono, vanno al cinema, al teatro o anche da nessuna parte. Vagano nella città. A migliaia ogni anno nascono e muoiono, i più vivono, bene o male, ma vivono. A prima vista è impossibile pensare che, per quanto caotiche, convulse, a volte lì lì per esplodere (forse un giorno accadrà), le città funzionano. Nel bene e nel male. è un miracolo eppure sono lì davanti a noi, e noi ne facciamo parte e le rendiamo possibili. A guardar bene ci sembra impossibile che lì dove quel grumo di case, di chiese, di ospedali, di edifici di varia natura e di epoca si stratificano l’uno accanto all’altro, un tempo non c’era che natura. Un giorno qualcuno, o meglio più d’uno, decise che quello era un buon posto per fermarsi e costruire una dimora, o meglio più dimore, e qualcuno, più d’uno, pensò e agì, e fondarono una città. A pensar bene sembra impossibile; eppure è stato possibile. È stato possibile immaginare e costruire città nei posti più disparati: in cima a monti, vicino ai fiumi, ai mari, nei boschi, nelle paludi, tra le sabbie o nei pascoli, ovunque; ed è stato possibile attuarli nei modi i più diversi, con regole e forme contemporaneamente tutte diverse e tutte uguali. Un centro, dei monumenti, degli edifici religiosi, quelli del potere e case, case povere e dimore ricche e periferia e strade, ferrovie, porti, aeroporti. Spesso fatti della materia su cui poggiano, fatto di pietre, di legno, di argilla, ognuna con proprio specifico carattere, con una propria identità come gli uomini che la abitano: tutti diversi eppure tutti uguali. Per parlare di città, raccontare di città, descrivere delle città, città reali o ideali, immaginate o concrete comunque la pensiamo, non possiamo prescindere dal dialogo tra Kublai Khan e Marco Polo ne’ “Le città invisibili” di Italo Calvino. “D’ora in avanti sarò io a descrivere le città, – aveva detto il Kan – Tu nei tuoi viaggi verificherai se esistono.” Ma le città visitate da Marco Polo erano sempre diverse da quelle pensate dall’imperatore. “Eppure io ho costruito nella mia mente un modello di città da cui dedurre tutte le città possibili, disse Kublai. – Esso racchiude tutto quello che risponde alla norma. Siccome le città che esistono s’allontanano in vario grado alla norma, mi basta prevedere le eccezioni alla norma e calcolarne le combinazioni più probabili”. “Anch’io ho pensato un modello di città da cui deduco tutte le altre, – rispose Marco – è una città fatta solo da eccezioni, preclusioni, contraddizioni, incongruenze, controsensi. Se una città così è quanto c’è più di improbabile diminuendo il numero degli elementi abnormi si accrescono le probabilità che la città ci sia veramente.” Tre sono le città di cui voglio parlare e che mi accingo a descrivere. Una è Neverland, l’altra è Babel e l’ultima Traincity.

8


Hugh Ferriss, illustrazione sulle conseguenze architettoniche dello Zoning Code di New York, 1916.

9


neverland

Neverland appartiene all’acqua. A prima vista essa ci appare come un’isola, una città fondata su di un’isola in mezzo all’acqua. Per arrivarci bisogna prendere un battello o un altro mezzo acquatico, ma quando ci avviciniamo a Lei scopriamo che la città è l’isola stessa, un’isola galleggiante. Non è mai ferma, una città alla deriva. A seconda delle correnti si sposta, accelera, rallenta e qualche volta si ferma e si accosta alla terra. Questo accade raramente, ma quando accade Neverland diventa un promontorio, una penisola: per qualche tempo ritorna alla terra. Una città galleggiante, non di barche accostate l’una all’altra, ma case, giardini. Lì una chiesa, lì una scuola, dei campi per giocare, un albergo, una palestra; insomma una città, una città come tante altre con una sola differenza: che tutto questo galleggia. A guardar bene si distinguono le singole case l’una dall’altra: sono tante cellule autonome, tanti lotti accostati l’uno all’altro in un rapporto simbiotico, che formano dei nuclei aggregati costituiti da un numero limitato di cellule, delle piccole isole a loro volta connesse ad un’altra aggregazione con ponti o passerelle. Questo insieme di isole distanziate tra loro formano dei canali dove gli abitanti si possono muovere con le barche o i battelli. Per il resto a Nerverland ci si sposta a piedi: ogni cellula garantisce una porzione di passaggio tale da realizzare nella connessione con le altre dei vicoli e dei percorsi. Neverland è un sistema le cui componenti sono delle cellule galleggianti specializzate e dimensionate a secondo del loro ruolo. Non sono molto diverse dai lotti di una città, ma la differenza sta nel modo come essi si aggregano e si mettono assieme a far sistema. La regola è quella dell’accostamento, a volte seriale, altre volte casuale, ma sempre sfruttando o il lato corto o quello lungo del lotto galleggiante. La cellula elementare del tessuto di base che forma la città è all’incirca di 12m per 6m; la regola vuole che una fascia nel lato corto e nel lato lungo di circa 1,80m sia lasciata come pubblica via, il resto può essere edificato per una superficie coperta, come recita il Regolamento Edilizio, di circa il 60%. Neverland è una città a bassa densità fatta per la maggior parte di case con giardino. Se fosse sulla terra ferma diremmo che è una piccola città giardino, e in parte la è, anche se la terra per il giardino è uno strato di circa un metro portato dal cassone galleggiante su cui è fondata la casa e il giardino. Un pezzo di terra galleggiante, sufficiente però a coltivare qualche alberello, arbusti, fiori e anche un piccolo orto: di una cosa siamo sicuri, di problemi d’innaffiamento proprio non ce n’é. Di cosa poi viva la città è facile immaginarlo. Praticamente di quello di cui vivono le altre città, in particolare le città sui fiumi, sui laghi e dunque di pesca, di commercio, ma anche di turismo: un turismo particolare di chi vuole per un certo tempo sparire, come scompare la città.

16


Kisho Kurokawa, Movimento Metabolista, progetto per una cittĂ galleggiante sul lago Kasumigaura, 1961.

17


32


A

B

Schemi indicativi: passerella fissata (A) a terra (B) al galleggiante.

33


babel

Uscendo dalla metropolitana qualcuno potrebbe pensare di essere arrivato a Manhattan, di aver sbagliato città o che, qualche strano buco spazio temporale, lo ha proiettato in un altro luogo rispetto a dove invece voleva andare. Non è solo una sensazione quella che per un attimo ti assale, ma un legittimo dubbio, tale è la quantità di grattacieli che di colpo ti circondano in ogni direzione. Una selva di edifici alti, imponenti dove il sole fa capolino tra l’uno e l’altro, e tutto intorno è avvolto da un’atmosfera fatta di ombre e luci e lo sguardo è invaso da edifici uno diverso dall’altro, ma tutti alti. A guardar bene non vi è un solo edificio basso, di qualche piano, no! L’edificio più bassocome minimo è di almeno 40 piani! Grattacieli in ogni direzione. Solo grattacieli. E certo, non vi possono essere dubbi: noi siamo a Babel, la città fatta di grattacieli; solo di grattacieli. A Babel non esistono mediazioni tutto è grande in ogni direzione, per il lungo e per il largo. L’impianto della città, però, la sua forma in pianta, la struttura delle sue strade, la presenza dei fiumi, i suoi bordi, tutto è esattamente simile e per certi versi uguali a Manhattan. A guardar bene, anche i nomi delle strade sono gli stessi: quinta strada, sesta, park avenue, la 7th Ave e Times Square. E non poteva non esserci il Central Park. Quando fu fondata Babel fu deciso che era inutile inventarsi una forma nuova, dal momento che l’idea di questa nuova città era quella di costruire grattacieli – solo grattacieli – uno diverso dall’altro, ma grattacieli. Sì perché gli abitanti si chiesero dopo dibattiti discussioni, anche accesi, che senso avesse fare lo sforzo di uno schema nuovo di città, dal momento che il modello che per loro era ideale era New York, e soprattutto Manhattan. A quel punto votarono, e decisero che anche le strade, i parchi, gli spazi esterni dovevano essere uguali al modello. Le discussioni nascevano anche dal fatto che i fondatori di Babel provenissero dai luoghi più disparati e avevano in testa modelli di città diversi l’uno dall’altro, come le lingue diverse che parlavano, e l’uno dall’altro avevano costumi ed usi diversi. Ma avevano in comune un’idea fondante. Si dice, infatti, che fossero gli eredi dei costruttori della Torre di Babele e che questa era la ragione che li univa costruire una città fatta solo di torri. Torri che però avrebbero avuto la particolarità questa volta: non volevano sfidare nessuno. Ognuno avrebbe costruito il suo grattacielo a propria immagine e somiglianza, e dunque l’altezza non poteva che essere in scala la propria. La bassezza o l’altezza degli edifici dipendeva solo dalla bassezza o l’altezza di ciascuno. Per capirci se uno era alto un 1,74m in scala il suo edificio sarebbe stato 174m così come uno di 2,00m, 200m, e ancora 1,52m, 152m. A pensar bene Babel è una città democratica: nessun edificio svetta sopra ogni altro, le differenze sono contenute, i margini tra il basso e l’alto sono proprio, più o meno, come per gli uomini.

46


“New York City, Battery to 110th Street”, 1916, da Rider’s New York City, Henry Holt and Company (originale).

47


72


73


traincity

Traincity è una città lineare, più esattamente anulare. Se Babel è verticale Traincity è orizzontale. Se Babel appartiene all’aria, Traincity alla terra, al suo radicarsi fermamente e assolutamente alla sua orizzontalità. Ed è proprio per la sua appartenenza alla terra che essa è densa e cerca di occuparla il meno possibile. Traincity è una città singolare: i suoi abitanti si muovono solo con il treno. Traincity è una città di fondazione. Fu deciso un giorno, dopo “il grande ingorgo”, che non era più possibile vivere una città in balia dei mezzi privati e del traffico caotico, dove era diventato difficile incontrarsi, spostarsi, vedersi, e lavorare. Presero allora una decisione drastica: rifondare la loro città. E l’unico sistema era di costruirne una nuova. Per questo scelsero 68 giovani architetti liberi da condizionamenti ideologici pregressi, per progettare una città dove si potesse circolare solo ed esclusivamente con i mezzi pubblici. Dopo un lungo e faticoso lavoro di ricerca, nel tentativo di individuare se ci fossero stati nel passato architetti che avessero già ipotizzato, ideato o progettato modelli urbani con caratteristiche analoghe, e dopo un impegnativo lavoro di progettazione e di discussioni feroci durato 3 settimane, arrivarono ad una conclusione. Proposero agli abitanti una città dove non vi fosse differenza tra infrastruttura ed architettura, e dove il mezzo più appropriato per gli spostamenti fosse il treno; e proposero anche il suo nome: Traincity, appunto. Dunque Traincity è un paradosso. Proprio da questo paradosso nasce la sua forma urbana: una città ad anello costruita sullo sviluppo della sua rete ferroviaria. Due anelli costituiscono le sue due linee urbane, la gialla e la nera. La linea gialla viaggia a circa trenta metri dal suolo, la nera più lenta e articolata, a dieci metri. Nelle interconnessioni tra i due tracciati ferroviari trovano luogo le strutture pubbliche: teatro, cinema, biblioteca, museo, e inoltre i servizi sanitari. Per il resto del suo sviluppo lineare trovano luogo le residenze, i luoghi di lavoro e le attività commerciali, il tutto senza soluzione di continuità. Traincity è, abbiamo detto, una città densa, dove tutta la densità è però concentrata nel suo sviluppo lineare, all’interno di lotti di una larghezza di appena 50 metri, al di fuori dei quali niente è più edificabile. Alla sua densità inoltre corrisponde un maggiore spazio alla natura, ai luoghi del relax, delle attività ludiche ed al tempo libero, dove è possibile muoversi in bicicletta o a piedi, giocare e quindi finalmente incontrarsi. Non sappiamo se a Traincity i suoi abitanti sono felici, ma una cosa certa è: sono meno stressati.

76


Immagine dal film Metropolis, regia Fritz Lang, fotografia Horst Von Habou, 1927 (a destra), Future New York, “The city of skyscraper�, cartolina, 1925 (a sinistra).

77


84


85



apparati/appendices


2004 | “L’isola che non c’è”. Borghi galleggianti nella laguna

Mariagiulia Bennicelli Pasqualis Tra i partecipanti del workshop, per citarne alcuni, troviamo Alejandro

utile a restituire l’atmosfera e le condizioni fisiche caratteristiche dei

Aravena, Roberto Collovà, Pasquale Culotta, Carlos Ferrater, Mauro Ga-

luoghi di progetto, permettendo così anche un primo approccio intuitivo

lantino e Paolo Soleri. Neverland è frutto dell’esperienza del laborato-

ai problemi del galleggiamento. In una seconda fase è stata assegna-

rio di Carlo Terpolilli con Lucia Celle, affiancati da Stefano Combet, Lisa

ta a gruppi di due studenti l’elaborazione di un progetto preliminare

Casucci e Mariagiulia Bennicelli, in cui 62 studenti dei primi tre anni

di unità-cellula specializzata, da rappresentare attraverso un modello

del corso di architettura hanno ripensato l’abitare attraverso il progetto

di studio ed elaborati grafici. Per questa fase il corso si è avvalso di

di architetture galleggianti, senza fondamenta apparenti (non di house

competenze specifiche per la risoluzione degli aspetti riferiti all’opera

boats), capaci di dare forma a borghi in continua trasformazione e mo-

morta e all’opera viva di queste strutture. A partire poi da una regola

bili nella Laguna di Venezia. “L’isola che non c’è”. Borghi galleggianti

aggregativa comune, estrapolata dalla precedente fase di studio sui

nella laguna è il titolo dell’esercitazione del laboratorio.

modelli insediativi, ciascun gruppo ha potuto concentrarsi sull’orga-

Un tema progettuale che rappresenta una risposta adeguata in termini

nizzazione architettonica e tecnologica della singola unità abitativa. La

sia di contenuto che di metodo: un tema circoscritto ma non avulso da

semplicità del principio di accostamento delle varie unità ha garantito,

un contesto teorico e capace di realizzare un’esperienza progettuale in

all’interno dei singoli progetti, la possibilità di creare “paesaggi urbani

un tempo limitato (tre settimane) e, contemporaneamente, in grado di

galleggianti” estemporanei e variabili secondo configurazioni aperte e

confrontarsi con le diverse scale del progetto, da quella territoriale e

potenzialmente illimitate.

ambientale a quella urbana ed infine edilizia. Un tema capace di stabili-

I vari progetti sono pensati in maniera integrata con la relativa parte

re una connessione dialettica tra principio ideale e principio di realtà e,

galleggiante, che non è stata intesa come semplice supporto-fonda-

nello stesso tempo, un tema “divertente” (che rispondesse in maniera

zione dell’abitazione, ma come una porzione di spazio comune urbano

efficace a un altro principio essenziale: il principio di piacere) ma “se-

e naturale, di terreno, appunto, indispensabile e complementare all’al-

rio” nelle sue ricadute progettuali.

loggio. Il suolo galleggiante è stato variamente caratterizzato con la

Il corso è stato articolato in tre fasi. Una prima fase, nella quale sono

presenza di segmenti di strada pubblica, giardini, alberi e vegetazione

stati analizzati gli aspetti particolari e generali del tema, che si è con-

capaci di restituire una sorta di effetto-città. Lo stretto rapporto gal-

clusa con l’individuazione di cinque aree campione da rappresentare

leggiante/abitazione è stato restituito nei modelli, tutti montati su un

con altrettanti modelli. Per questa fase sono stati costituiti cinque

reale galleggiante, e pensati per poter essere realmente calati su uno

gruppi che hanno elaborato altrettanti progetti generali di strutture ag-

specchio d’acqua. La necessità di bilanciare la maggior parte dei mo-

gregate da realizzare all’interno dei modelli individuati. Per questa fase

delli, a baricentro eccentrico, con dei pesi nascosti, per realizzare una

sono stati realizzati dei plastici in scala 1:200, che fossero in grado di ri-

condizione piana nel galleggiamento, ha posto l’attenzione ancora di

produrre le caratteristiche morfologiche essenziali delle aree campio-

più sulla peculiarità del progettare sul “suolo liquido” fronti d’acqua,

ne, tra cui anche la batimetria dei fondali, nei quali sono stati “varati” e

dove neanche la semplice condizione statica è scontata, già a partire

sperimentati i modelli insediativi in stretta relazione alle peculiarità dei

dalla simulazione in scala dei plastici. Infine una terza fase ha riguarda-

siti scelti. Gli studenti si sono serviti dei plastici per comunicare le loro

to la messa a punto del progetto generale dell’aggregato e del progetto

intenzioni progettuali, secondo un percorso dinamico e aperto, capace

dell’unità oltre al progetto della mostra finale dei lavori. L’allestimento,

di riconfigurarsi con gli apporti collettivi di tutti e di verificare eventuali

composto da una griglia di bacinelle accostate, come un reticolo rego-

errori e incongruenze, attraverso l’immediatezza che permette la terza

latore, ha visto il “varo” di ciascuna unità nell’acqua di ogni bacinella

dimensione. I modelli sono stati realizzati all’interno di cinque vasche di

resa blu dalla china, a ricreare un effetto-riflesso, come un doppio vir-

compensato impermeabilizzate per poter accogliere il volume d’acqua

tuale delle architetture d’acqua.

106


Corso intensivo in Progettazione dell’architettura, Iuav Venezia, 2004 docente Carlo Terpolilli con Lucia Celle collaboratori Lisa Casucci, Stefano Combet, Marina Mancini, Mariagiulia Bennicelli Pasqualis contributi Omar Cotza, Riccardo Sisto, Mario Spinelli, Sebastiano Pulina, Niccolò De Robertis studenti Marco Arreghini, Lucio Asta, Dimitrios Atsalis, Marco Baldassa, Lucia Barbazza, Elena Barbiero, Laura Bernardi, Matteo Berto, Ivana Blaz, Francesco Bogoni, Simone Boldrin, Leonardo Bortolami, Anna Bottecchia, Simone Brigolin, Gianluca Canovese, Giulia Cappella, Enela Carlon, Matteo Cavallaro, Marija Cekovic, Alberto Chiaffoni, Alessandra Codato, Paola Contarin, Alessandro De Tomasi, Giacomo Destefanis, Laura Falsetti, Paola Ferraresso, Paolo Maria Festi, Giada Fontana, Elisa Fornasiero, Sara Anna Forti, EnrIca Franceschi, Alberto Franco, Roberto Genna, Tea Kostantinovic, Edoardo Mazzocato Martinazzo, Patrizia Menti, Matteo Michielin, Martina Muset, Marcello Napolitano, Federico Panciera, Modesto Parison, Silvia Pellizzari, Michele Perlini, Francesca Piacenza, Laura Piatteletti, Alessio Pozzato, Anna Prosperi, Chiara Quaglia, Alberto Ragazzo, Matteo Ranzato, Raffaella Reitano, Filippo Remonato, Monica Rossi, Roberto Sarda, Daniele Scantamburlo, Antonio Salvatore Tambè, Laura Tandeddu, Nicola Todesco, Claudia TOmaselli, Andrea Turcato, Federica Varago, Daniele Vian Gli schemi sul galleggiamento sono tratti dalla tesi di Omar Cotza (relatore Carlo Terpolilli, 2005).

107



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.