JEFF KOONS IN FLORENCE - Edizione in italiano

Page 1



a cura di Sergio Risaliti


L’arte di Koons può essere molto affascinante. Sono rimasto sbalordito dalla potenza del suo cucciolo rivestito di piante, sia osservandolo dal basso che da un balcone, a Bilbao. La dolcezza di questo cane di razza Westie, il suo essere letteralmente un essere organico e vivente, la follia pura di riunire fauna e flora in un’unica opera, le grandi dimensioni che ricordano quelle di Alice nel Paese delle Meraviglie divenuta gigante, il tutto è divertente e tenero, proprio come i brillanti cuori in acciaio, sempre dell’artista. Scendendo da una barca sul Canal Grande e dirigendomi verso Palazzo Grassi a Venezia, ricordo di essere rimasto colpito dalla leggerezza e dal rosso, che più rosso non c’è, dei suoi cuori. Sembrava di trovarsi di fronte a decorazioni natalizie sottili, fragili e leggere, quando, in realtà, si trattava di cuori realizzati in metallo, di un certo spessore, pesanti ed enormi. Mi ha fatto sorridere e sperare. Come riesce Koons ad ottenere tali effetti? Ci riesce utilizzando mezzi semplici, a mio parere, concentrandosi, ad esempio, su oggetti e figure che sono parte del mondo infantile, innocente, divertente; un divertimento che deriva da qualcosa di incongruo nelle dimensioni, nella superficie, o nella giustapposizione con un altro oggetto o figura. L’opera è virtualmente sprovvista di ogni commento sociale, benché si crogioli nel significato sociale di alcuni oggetti (es. i palloni da basket) o personaggi (si pensi a Michael Jackson). Riporta alla mente Andy Warhol, di cui manca tuttavia il lato palesemente oscuro niente Jackie in lutto, niente sedia elettrica, niente incidenti stradali. Eppure, nell’opera nel suo insieme si avverte una certo presentimento, è come se un universo così puro e magico, dovesse in realtà nascondere rischi e pericoli non detti. Antonio Damasio, Designs for living, in Jeff Koons. A Retrospective, a cura di Scott Rothkopf, Whitney Museum of American Art, New York, Yale University Press, New Haven e London 2014, p. 242.

p. 2 /3



p. 6 /7



p. 20 /21




p. 34

Dario Nardella

p. 35

Fabrizio Moretti

p. 36

Jeff Koons in florence

p. 48

con Jeff Koons le stelle non sono mai nate

p. 56 p. 60 p. 62

Sergio Risaliti

Norman Rosenthal

il poema epico di Jeff Koons Joachim Pissarro

la ringhiera, ovvero il mutevole fronte di palazzo vecchio

Carlo Francini

la sala dei gigli e la giuditta di donatello Francesco Vossilla

p. 66

parole antiche in discorsi nuovi

p. 72

“figura di fiamma di fuoco”: la figura serpentinata nella scultura fiorentina fra Quattro e cinQuecento

p. 78 p. 81 p. 82 p. 84

Cristina Acidini

Elena Capretti

una palla di magia Edoardo Nesi Biografia

Bibliografia selezionata Mostre personali


Jeff Koons in florence / Sergio Risaliti

Un Fauno a Palazzo Vecchio Palazzo Vecchio o della Signoria è uno scrigno di pietraforte nella cui mole incombente si custodiscono preziose testimonianze della magnificenza fiorentina nei secoli. La costruzione dell’edificio, simbolo della vita politica comunale, si rese necessaria per la difesa dei Priori delle Arti e del Gonfaloniere della Giustizia. Progettato da Arnolfo di Cambio nel 1299 ha subito sostanziali modifiche nel Quattrocento e nel Cinquecento. Quale sede delle massime cariche repubblicane, aprì le sue porte al potere oscuro di Savonarola, poi con il governo del Gonfaloniere Soderini diventò la “scuola del mondo” quando l’arte sublime di Leonardo e di Michelangelo divenne ambito strumento di propaganda governativa. Caduta la Repubblica fiorentina, Cosimo I, duca e granduca di Firenze, trasferitosi da Palazzo de’ Medici, residenza di famiglia fin dall’epoca di Cosimo il Vecchio, prese possesso di Palazzo della Signoria per trasformare la “casa dei fiorentini” in reggia ducale nel 1539. L’ampliamento e le decorazioni pittoriche del Salone dei Cinquecento sono opera di Giorgio Vasari e bottega, cui si deve pure la sistemazione del Quartiere degli Elementi e di quello di Eleonora. La cosiddetta Sala delle Udienze o della Giustizia, abbellita con gli affreschi eseguiti da Francesco Salviati nel 1543-1545, precede la Sala dei Gigli, cui si accede superando una bella porta lignea con i ritratti di Dante e Petrarca. L’ambiente assai fastoso fu concepito dai fratelli Benedetto e Giuliano da Maiano autori sia dello splendido soffitto ligneo a cassettoni, sia del San Giovanni Battista e dei putti in marmo sistemati sul portale d’ingresso. Di Domenico Ghirlandaio sono invece gli affreschi che decorano la parete opposta. Esempio di colto umanesimo, queste pitture raffigurano l’Apoteosi di San Zanobi con i diaconi Eugenio e Crescenzio al centro, mentre ai lati troneggiano eroi e personaggi esemplari della repubblica romana: Bruto, Muzio Scevola e Camillo a sinistra, Decio, Scipione e Cicerone, pater patriae, a destra. Nella Sala dei Gigli è esposta dal 1988 anche la statua originale in bronzo di Giuditta e Oloferne tarda opera di Donatello (1386-1466); il gruppo comprensivo del suo basamento con bassorilievi bronzei è presentato su un alto piedistallo colonnare in granito e marmo, concepito nella bottega rinascimentale di Donato de’ Bardi a immagine degli antichi candelabri. Qui, in quest’aula tempestata di fleurs de lys, incontriamo una celebre scultura dell’antichità romana, il cui aspetto però si mostra radicalmente mutato per via di una sfera scintillante che è stata aggiunta alla figura originale. Si tratta di Gazing Ball (Barberini Faun) di Jeff Koons, una scultura composta di gesso e vetro realizzata nel 2013, appartenente all’omonima serie Gazing Ball, che incrocia oggetti di decoro popolare americano e gloriosa arte antiquaria. Koons ha utilizzato una perfetta riproduzione del Fauno Barberini, marmo d’epoca romana conservato alla Gliptoteca di Monaco. Il calco in gesso è fedele all’originale non restaurato: quello privo del braccio e del piede sinistro, e con parte della mano destra e dei genitali mozzati. Il satiro dorme semi-disteso come appoggiato a un tronco; il nudo sprigiona una potenza sessuale indubbia, anche nel riposo delle membra. La sfera riflette con effetto panottico e anamorfico il pubblico in sala, gli affreschi figurativi alle pareti, le sculture rinascimentali in bronzo e in marmo, la punteggiatura dei gigli francesi. La serie Gazing Ball è stata presentata nel 2013 negli spazi della galleria David Zwirner a New York. Per quella mostra Koons aveva selezionato alcune delle opere più lodate nel passato: l’Ercole Farnese, l’Arianna, il Torso del Belvedere, l’Apollo Lykeios, il Centauro e la donna Lapita, la Venere Esquilina. L’insieme

p. 36 /37

avrebbe potuto costituire una gipsoteca, oppure una nobile galleria antiquaria. Anche in Gazing Ball, come già nei dipinti della serie Antiquity, Koons si è compiaciuto di scombinare le carte, facendo saltare le categorie di alto e basso, di popolare e nobile, di antico e contemporaneo per ottenere trascendenza. Lo spettatore è incoraggiato ad apprezzare e perfino ammirare forme e immagini diverse per grado e valore, per epoca e provenienza, abbracciandole in senso orizzontale per poi riconoscerle ed esaminarle separatamente. L’allestimento delle opere consentiva di ammirare le statue antiche in compagnia di un pupazzo di neve, di una fila di cassette postali, di una fontana da giardino. Tutti oggetti con “un senso interno del ready-made”, come dichiarato da Koons. A proposito di questo, Arthur Danto ha stilato un elenco di oggetti, ninnoli e cianfrusaglie prediletti dalla borghesia consumistica cui Koons ha restituito nobiltà e unicità: trofei di plastica, topi di marzapane, gnomi e cervi che a Natale appaiono nei grandi magazzini, giocattoli per la vasca da bagno, santi di plastica o di porcellana, sorprese kitschissime come quelle che si trovano nelle uova di Pasqua, ornamenti per acquari e testoline attaccate ai tappi delle bottiglie in salotto. Una lista eclettica che sembra somigliare a quella evocata da Arthur Rimbaud in Una stagione all’inferno-Alchimia del verbo: “Da lungo tempo io mi vantavo di possedere tutti i possibili paesaggi, e trovavo ridicole le celebrità della pittura e della poesia moderna. Amavo i dipinti idioti, sovrapporte, scenari, tele da circo, insegne, miniature popolari; la letteratura fuori moda, latino di chiesa, libri erotici senza ortografia, romanzi di bisnonne, racconti di fate, libretti per l’infanzia, stantii melodrammi, sciocchi ritornelli, ingenui ritmi”. Le sculture della serie Gazing Ball – tutte bianche, perfettamente realizzate in gesso – erano presentate su piedistalli bianchi. Rispetto agli originali, sparsi per il mondo, i calchi di Gazing Ball hanno subito una modifica sostanziale. Koons ha fissato su ogni statua una sfera azzurra di vetro riflettente. Quella aggiunta al Fauno Barberini, ad esempio, è appoggiata sulla coscia sinistra del giovane satiro dormiente. La sfera è immobile e il Fauno non si muove. Eppure, tutto vibra per una strana indefinibile tensione. La perfezione dei due oggetti – il calco e la sfera – appare disturbata da un rumore sottile di fondo, che è provocato dal contrasto tra categorie, stili e forme: tra la quieta immobilità dell’ideale classico e la perturbante manifestazione del surreale, tra l’imperturbabile fiducia nella bellezza rinascimentale e la sconcertante invasione del contemporaneo. Ambiguità e gradevolezza, contemplazione e seduzione, tranquillità ed eccitazione, sono effetti, sintomi, sensazioni e comportamenti stimolati in abbondanza da Koons per strutturare un dialogo consocio o meno con lo spettatore qualunque sia la sua cultura. Le “gazing ball”, da cui Koons ha derivato il titolo, o sfere decorative da giardino, sono oggetti d’affezione tipici della middle class americana, amati sia dagli adulti che dai bambini; solitamente vengono acquistate per decorare prati e giardini. Koons ha più volte sottolineato come e quanto le “gazing ball” lo affascinassero fin da ragazzino. Sono un ricordo della sua infanzia in Pennsylvania. Il lavoro di Koons è, infatti, costantemente pervaso da una certa nostalgia, quel genere di sensazione che gli adulti avvertono, ad esempio, guardando le bambole, le giostre, le marionette, oppure le bolle di sapone, giochi e passatempi carichi di ricordi e di magia. L’arte per Koons è uno strumento di seduzione e di sublimazione, ma anche un modo per tornare a provare le emozioni dell’infanzia, con la stessa intensità e spregiudicata



la sala dei gigli e la giuditta di donatello / Francesco Vossilla

I pensieri utili, quando sono ricchi e robusti, ci pongono problemi e ostacoli. Il vizio, la morte, la povertà e le malattie pesano sulle nostre spalle. La nostra anima dev’essere edotta su quali strumenti ha a disposizione per farsene carico e combatterli. Bisogna risvegliarla spesso e ricordarle di dedicarsi a questi pensieri. M. de Montaigne, Su alcuni versi di Virgilio

La Sala dei Gigli collega fisicamente due porzioni principesche di Palazzo Vecchio, configurate cioè quando l’edificio repubblicano era stato trasformato in sontuosa residenza dei Medici nel Cinquecento1. Mi riferisco alla Sala della Udienza con le belle scene dipinte da Francesco Salviati, e alla Sala delle Carte Geografiche con i suoi particolati armadi dalle ante che raccontano i paesi del mondo visti dall’angolo degli italiani del XVI secolo, in particolare Cosimo I de’ Medici. Invece la Sala dei Gigli ci riporta in una specie di centro simbolico della cultura repubblicana, grazie alla riattazione (1472-1476) dell’ambiente da parte di Benedetto e Giuliano da Maiano, e soprattutto grazie alle decorazioni volute negli anni ottanta del Quattrocento, che prevedevano un ciclo di Uomini Illustri affidati ad artisti ben conosciuti in Firenze e sperimentati a Roma (Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli, Piero Perugino, Biagio d’Antonio, Piero del Pollaiolo). Queste star del genere dell’affresco non potevano mancare a Firenze, dopo il successo delle stesse maestranze “toscane” nella Cappella Sistina. Così nel 1482 la Signoria pensò a un tema – giustappunto gli Uomini Illustri – che rendesse gloria attuale ad alcuni archetipi di virtù pubbliche ed eroismo latino. Tuttavia, solo Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio condusse a termine la commissione (1485) affrescando la parete est con una sorta di arco trionfale o meglio di loggia di una città antica, popolata di busti imperiali e personaggi della storia romana: Decio, Scipione, Cicerone a destra, Bruto, Muzio Scevola, Furio Camillo a sinistra. Domenico lasciò il centro di questa composizione neo-classica alle figure sacre dei santi Zanobi, Stefano e Lorenzo per esprimere con “i temi della religiosità e della storia antica, i cardini su cui si fondava l’ideale politico della Repubblica”2. Gli altri tre lati dell’ambiente vennero decorati da Bernardo Rosselli con il giglio d’oro di Francia in campo d’azzurro sormontato da un rastrello rosso. Anche il soffitto, realizzato a scomparti esagonali da Francesco di Giovanni detto il Francione e Giuliano del Tasso, reca il nostro giglio dorato e rosoni, mentre il fregio presenta come simboli repubblicani coppie di leoni che reggono lo stemma di Firenze e le armi della Repubblica. Risale all’epoca del lavoro di Benedetto e Giuliano da Maiano il portale in marmo: esempio di sofisticato classicismo, quale si nota nelle svelte paraste scanalate e nell’architrave con festoni, giglio e croce: simboli della città e del popolo di Firenze. Per questo, sopra la porta si vede un’elegante e quasi elegiaca statua del santo patrono Giovanni Battista, scolpita da Benedetto da Maiano. Coerenti con codesta glorificazione della Repubblica e del suo spirito alla romana, sono pure i battenti a tarsia ornati delle figure di Dante Alighieri e Francesco Petrarca. Dalla sala si può accedere alla Cancelleria, arricchita del busto cinquecentesco di Niccolò Machiavelli, che ricorda il ruolo pubblico del grande intellettuale fiorentino. Ma la Sala dei Gigli da qualche decennio è dominata dalla monumentale presenza della Giuditta e Oloferne di Donato de’ Bardi detto Donatello (Firenze 1386 circa – 1466): vero capolavoro del bronzo rinascimentale italiano. Il gruppo, realizzato ragionevolmente tra il 1457 e il 1464 per i Medici di via Larga3, non è la prima opera di Donatello ad essere qui collocata. Difatti vi venne sistemato quell’innovativo David in marmo, che l’artista aveva scolpito per i contrafforti del Duomo e che invece fu trasferito nel Palazzo della Signoria nel 14164. Doveroso allora rileggere la storia biblica dell’eroina. Nel Libro di Giuditta si impara come il superbo e tirannico re Nabucodonosor – presentato altresì

p. 62 /63

come monarca assiro e non babilonese –, decida di sottomettere tutta la Terra. Il suo esercito, guidato dal capace condottiero Oloferne, si muove così alla conquista dei regni d’Occidente. Seminando morte e distruzione anche in Giudea, Oloferne infine stringe d’assedio la città di Betulia. Gli ebrei, stremati, sono sul punto di sottomettersi alla forza dello straniero, allorquando Giuditta – vedova ricca e casta nonostante la grande bellezza – si fa avanti per salvare la patria. Indignata dalla tentazione di resa dei suoi concittadini, si reca dai capi della città invitandoli ad avere più fiducia in Dio e a pregare umiliandosi: così, attraverso un’autentica e fiduciosa umiltà da parte degli anziani, la superbia degli odiosi invasori verrà castigata5. Dopo di che, Giuditta informa quei consiglieri che farà un tentativo di liberare la città, ma che essi non dovranno sapere nulla del suo piano. Prima di lasciare Betulia, ella prega il Signore di aiutarla e fare in modo che la superbia di Oloferne sia punita dalla sua stessa spada6. Riccamente agghindata e seducente, si reca dunque al campo assiro con una serva di nome Abra. Qui si presenta al pur scaltro Oloferne con la scusa di volerlo aiutare a piegare Betulia, ammaliando tutti con la sua ostentata bellezza fisica. Gli ebrei saranno sicuramente vinti, dice al generale nemico perché, presi dai morsi della fame, sono sul punto di mangiare del cibo consacrato ai sacrifici. Affinché quell’empietà nefasta si compia, sarebbe intelligente per Oloferne semplicemente rimandare l’attacco finale e bellamente continuare l’assedio. L’idea pare buona agli impigriti assiri; passano quattro giorni, e Oloferne invita Giuditta ad acconsentire spontaneamente a essere sua, giacché come egli stesso attesta al fedele eunuco Babao (o Vagao) fra gli assiri sarebbe una vergogna che una donna si burli di un vero uomo uscendo libera dalle sue mani7. Giuditta acconsente infine di cenare con Oloferne nella sua tenda, colma di trofei delle recenti campagne militari. Durante la cena, il condottiero comincia a desiderare le grazie di Giuditta8, ma completamente ebbro cade addormentato sul proprio letto9. Rimasta sola nella tenda e messa Abra a guardia dell’ingresso della camera, Giuditta prende la spada di un ubriaco e imbelle Oloferne e gli mozza il capo con due colpi al collo10. Consegnata la testa mozza alla serva, le due donne tornano a Betulia, dove Giuditta viene salutata con tutti gli onori, mentre gli Assiri, disorientati dalla perdita del loro “capo”, sono sconfitti definitivamente. Dopo la vittoria, l’eroina e gli abitanti di Betulia si recano al Tempio di Gerusalemme, dove la vedova presenta ai sacerdoti le spoglie di Oloferne. Ritornata a Betulia, Giuditta vivrà in totale e casta vedovanza. Fino al 1494 la Giuditta si trovava nel secondo cortile di Palazzo Medici, e fu confiscata dalla Repubblica assieme al David in bronzo di Donatello11 per decorare rispettivamente l’ingresso di Palazzo Vecchio e il primo cortile dell’edificio. Ne parla pure il diario del Landucci: “E a di 21 dicembre 1495 si pose sulla ringhiera del Palagio de’ Signori, a lato alla porta, quella Giuletta di bronzo, ch’era in casa Piero de’ Medici”12. La Giuditta sarebbe divenuta la prima statua a ornare piazza della Signoria, sebbene locata sull’arengario del palazzo pubblico, assumendo là un significato antimediceo. Firenze viveva allora l’euforia riformatrice dichiarata nei veementi sermoni di Girolamo Savonarola. Discorsi vivaci, duri ma accesi di speranza, colorati di locuzioni forti, magari da affiancare a simboli tangibili, dedicati ad alcuni possibili protagonisti della nuova società cristiana auspicata dal predicatore domenicano: gli adolescenti (come Davide quando sconfisse Golia) e le donne caste (come Giuditta). Così la Giuditta e Oloferne venne accomodata ai bisogni

Domenico Ghirlandaio, Bruto, Muzio Scevola e Camillo, dettaglio Palazzo Vecchio (Sala dei Gigli), Firenze



26 settembre 2015 – 21 gennaio 2016 Palazzo Vecchio, Sala dei Gigli Piazza della Signoria, Arengario di Palazzo Vecchio Progetto scientifico e mostra a cura di Sergio Risaliti Promosso dal Comune di Firenze Main sponsor Moretti Galleria d’Arte Con il contributo di Camera di Commercio Firenze In collaborazione con Biennale internazionale dell’Antiquariato di Firenze David Zwirner Organizzazione mostra, coordinamento, direzione dei lavori e allestimenti Associazione MUS.E Progetto strutturale Archea Associati AEI progetti Progetto grafico di allestimento Forma Edizioni Movimentazione opere Arteria Realizzazione piedistallo Pluto and Proserpina Studi d’Arte Cave Michelangelo Comunicazione Associazione MUS.E Ufficio stampa Opera Laboratori Fiorentini – Gruppo Civita: Salvatore La Spina, Barbara Izzo e Arianna Diana Comune di Firenze: Marco Agnoletti, Elisa Di Lupo Catalogo Forma Edizioni

Sponsor ITAF - Gruppo Zelari Con il supporto di: Silfi, Piccini Trasporti Industriali srl Matulli Mobili, Edil Bonaccorso Special thanks: Guild of the Dome Association Un ringraziamento particolare a: Jeff Koons Dario Nardella, Sindaco di Firenze Fabrizio Moretti Leonardo Bassilichi Soprintendenza Speciale per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della città di Firenze Gli uffici e il personale del Comune di Firenze Manuele Braghero, Francesca Santoro, Mario Andrea Ettorre, Rita Corsini, Tommaso Sacchi Sonia Nebbiai, Gabriella Farsi, Carmela Valdevies, Serena Pini, Claudia Bardelloni, Antonella Chiti Michele Mazzoni, Giorgio Caselli, Paolo Ferrara Matteo Spanò, Elena Arsenio, Andrea Batistini, Andrea Bianchi, Daniela Carboni, Giovanni Carta, Monica Consoli, Valentina Gensini, Roberta Masucci, Cecilia Pappaianni, Daniele Pasquini, Barbara Rapaccini, Pier Luigi Ricciardelli, Francesca Santoro, Lorenzo Valloriani, Valentina Zucchi Antonio Addari, Jamez Basora, Alberto Bianchi, Andrea Bonaccorso, Silvia Cresti, Elena Magini, Enrico Marinelli, Mara Martini, Luciano Massari, Marie Andrée Mondini, Leonardo Monti, Michelangelo Perrella, Maurizio Rossi, Stephanie Rudolph, Elvis Shkambi, Andreas Weisheit Joachim Pissarro, Almine Rech Gallery Norman Rosenthal, Gagosian Gallery Tutti i collaboratori di: Jeff Koons Studio Galleria Moretti David Zwirner


Progetto editoriale Forma Edizioni srl, Firenze, Italia redazione@formaedizioni.it www.formaedizioni.it Realizzazione editoriale Archea Associati Coordinamento editoriale e redazionale Laura Andreini Supervisione redazionale Riccardo Bruscagli Redazione Valentina Muscedra Maria Giulia Caliri Beatrice Papucci Elena Ronchi Grafica Tommaso Bovo Elisa Balducci Vitoria Muzi Isabella Peruzzi Mauro Sampaolesi Traduzioni Ilaria Ciccioni Stampa Lito Terrazzi, Firenze, Italia

per le sue opere © Jeff Koons per i testi © gli autori L’editore è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche non individuate. © 2016 Forma Edizioni srl, Firenze, Italia Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Prima edizione: febbraio 2016 ISBN: 978-88-99534-03-5

Crediti Fotografici © Pietro Savorelli, Benedetta Gori e Damiano Verdiani pp. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 20-21, 23, 24-25, 26-27, 29, 30, 40-41, 63 © Serge Domingie Rabatti & Domingie Firenze immagine in copertina, pp. 3, 10-11, 13, 14-15, 17, 18, 37, 50, 68, 73, 74, 79, 80 © 2016. Foto Scala, Firenze/Luciano Romano - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali, p. 39 © 2016. Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali, p. 45 © Per Concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali / Raffaello Bencini/Archivi Alinari, Firenze, p. 46 © Jeff Koons/Foto: Tom Powel Imaging, pp. 49, 51, 71 © Jeff Koons/Foto: Marc Domage, p. 52 © Jeff Koons/Foto: Laurent Lecat, p. 55 © Jeff Koons/Foto: Rebecca Fanuele, Courtesy Almine Rech Gallery, pp. 57, 58, 66 © Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek München/ Foto: Renate Kühling, p. 67

Pluto and Proserpina, 2010-2013 Acciaio inox lucidato a specchio con verniciatura trasparente e piante in fiore 327,7 × 167 × 143,8 cm © Jeff Koons immagine in copertina, pp. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10-11, 13, 14-15, 17, 18, 80 Gazing Ball (Barberini Faun), 2013 Gesso e vetro 177,8 × 121,9 × 139,4 cm © Jeff Koons pp. 20-21, 23, 24-25, 26-27, 29, 30, 37, 40-41, 79



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.