Adolfo Natalini "QUATTRO QUADERNI" Dal Superstudio ai Natalini Architetti

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in copertina: Adolfo Natalini, dai Quaderni Neri

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Quaderni Cinesi Piccoli quaderni a righe con copertina nera e angoli rossi prodotti in Cina. Quaderni Estivi Quaderni per acquerelli, tempere e acrilici “fatti d’estate”. Quaderni Neri Quaderni da schizzi con copertina rigida nera. Le opere in corso riportano il segno “–” dopo la data di inizio lavori

First edition: Novembre 2015 ISBN: 978-88-96780-92-3


Dai Quaderni Neri: 5 giugno 2015 Per questo libro ho raccolto una serie di disegni dal 1959 al 2013, confrontandoli con le immagini degli edifici e dei pezzi di città che hanno generato. Non tutti i disegni sono disegni di architettura, ma per vie più o meno misteriose vi si avvicinano. Nell’ultima serie di immagini a colori riaffiora la nostalgia per la pittura e forse si chiude il cerchio aperto quasi sessant’anni prima.

27.08.15 Nel mettere insieme le immagini, le costruzioni per questo libro, mi sembra di vederle da distanza. Sono diventate paesaggi che posso dipingere come un dilettante appassionato. Ho utilizzato fogli di carta pesante (260 gr/mq, 75x55 cm) uso le tempere che avevo comprato per mio nipote Arno (da piccolo) per invogliarlo a dipingere; spesso le diluisco troppo trasformandole in acquerelli. La qualità dei miei paesaggi è molto scarsa, ma avevo pensato di sovrapporci altri segni: piante, sezioni, assonometrie, dettagli... segni presi dallo strumentario (dal disegnatoio) dell’architetto ma anche altre figure: ritratti, cose, persone prese dallo strumentario del pittore. Dopo vani tentativi di sovrapposizioni ed ibridazioni ho lasciato perdere e i paesaggi sono rimasti vuoti, come spesso succede nelle foto di architetture. Eppure le architetture sono piene di cose, persone, giorni e notti, anni, ricordi e speranze.

28.08.15 Mi ero dato un compito per l’agosto al mare, un progetto di pitture estive fatto in 14 fogli (tutti quelli che mi erano rimasti dal pacco che mi aveva regalato Gabriele Bertocci da Fabriano) e avevo selezionato i soggetti come avevo selezionato i progetti per il libro. Poi ho deviato dal progetto: non ho dipinto Manetstrasse, gli Uffizi, il Museo dell’Opera e li ho sostituiti con Calenzano, San Casciano e un Monumento Continuo volante sul lago alpino in cui stava radicato e questo ha dato il via ad altre rivisitazioni. Ho ripensato al Monumento Continuo, un progetto dei tempi eroici del Superstudio, alle sue immagini diventate icone dell’Avanguardia e ho provato ad immaginarne altre. Ho anche messo insieme immagini di una Città degli Istogrammi, dove volumi senza dimensione, né uso si confrontavano con paesaggi naturali.


Adolfo Natalini/Superstudio, 1969-2015, Monumento Continuo e Niagara Falls


9

Lemmario 1

25

Quaderno di scuola

65

Lemmario 2

81

Quaderno italiano

161

Lemmario 3

177

Quaderno tedesco

217

Lemmario 4

249

Quaderno olandese

329 Apparati


Adolfo Natalini/Superstudio con Arno Bonaiuti, 1969-2015, CittĂ degli Istogrammi sul mare


Lemmario 1 10 Presentazione 10 Autobiografia patetica 13 Superstudio 17 Superstudio a Middelburg 19 Autobiografia architettonica


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Lemmario 1

Presentazione

Autobiografia patetica

01. Cos’è questo libro? Potrei cavarmela citando Sant’Agostino: “cos’è il tempo? Cosa sia lo so ma se me lo chiedono, non lo so più”. Le monografie degli architetti raccolgono progetti e costruzioni organizzate secondo un ordine (cronologico, tipologico, geografico – volevo scriver topologico ma mi sono frenato – ) e testi descrittivi, teorici, critici. Gli architetti cercano di spiegare le loro intenzioni (quello che volevano fare) e raccontano quello che hanno fatto (che raramente coincide con le intenzioni). Non volevo né potevo fare un libro. Così ho pensato di limitarmi a scegliere immagini e progetti dai miei archivi, dagli anni ‘60 a oggi, e testi sparsi (appunti, scritti d’occasione, interviste) e metterli insieme. I progetti sono stati divisi in quattro quaderni: quaderno di scuola, quaderno italiano, quaderno tedesco, quaderno olandese. I testi sono in ordine alfabetico, come un glossario o lemmario. Naturalmente come in tutte le regole ci sono delle eccezioni. [08.09.14]

01. Sono nato nel 1941 a Pistoia, un’antica città di provincia della Toscana (con una piazza meravigliosa di pietra e un battistero a righe bianche e nere), da una famiglia che per settecento anni aveva coltivato la terra in Valdinievole. Di mestiere faccio il professore all’Università, la mia professione è quella dell’architetto, ma la mia vocazione è quella dell’artista. Nel 1966 a Firenze, nei giorni dell’alluvione, ho fondato un gruppo d’avanguardia, il Superstudio, che ha iniziato un movimento detto Architettura Radicale e con questo ho portato avanti in anni duri e difficili, dal ’66 al ’78, un lavoro di rifondazione antropologica dell’architettura. Mi sono interessato più di umanistica (letteratura, filosofia, politica) che di scienze e tecnologia. Devo più ai pittori e ai poeti che agli architetti. Vivo e lavoro a Firenze perché amo la chiarezza di Leon Battista Alberti e del Brunelleschi ma anche il malessere e le interrogazioni del Buontalenti e del Pontormo, e perché è come abitare in una biblioteca. La città storica è La biblioteca di Babele di Borges e anche quella de Il nome della rosa. Dal 1978 progetto architetture per città storiche e lavoro più sull’eccezione che sulla regola, con la segreta speranza che l’insieme delle eccezioni serva ad additare una regola... So benissimo che non bisognerebbe indulgere alle autobiografie, ma avanzando negli anni e comprendendo sempre meno il mondo penso che scrivendo e costruendo si faccia solo autobiografia, con la segreta speranza che la nostra vita sia identica a quella dell’universo, o almeno a quella di altri esseri che riconoscendosi in noi e nelle pietre si sentano parte di un edificio. E poi dei miei maestri ricordo solo frammenti di opere e struggenti autobiografie che ho letto quando ormai era troppo tardi per amarli. Fatica, solitudine e passione sono la condizione quotidiana del mio lavoro. Se guardo indietro ai vent’anni che ho lavorato senza soste, coprendo ogni giorno e ogni notte pagine e pagine di quaderni neri, e riempiendo fogli e fogli di carta con segni di penna, di lapis, di matite colorate, e se ripenso a tutte le idee che ho inseguito coi disegni, mi prende una gran nostalgia di tutto quello che avrei potuto fare e non ho fatto. Penso a luoghi intravisti dal treno, a strade e piazze apparse nei libri e mai esplorate, penso a ore di sole racchiuse dietro le persiane, a notti d’estate sfumate dalla lampada che racchiudeva sul tavolo in un cerchio magico i disegni e gli eterei insetti che ci venivano a morire. Penso a persone amate e ai dialoghi che non ho intessuto, penso a persone care, maestri e amici, che sono morti senza che avessi trovato il tempo per iniziar discorsi che ora mi sembrano avrebbero potuto esser meravigliosi. Del mondo che ho vissuto mi restano dunque solo nostalgia e tracce sottili e quasi illeggibili. Ho pensato che il mondo fosse un libro e che a me era toccato di leggerlo e di scriverlo. Ho pensato che la costruzione indicibile del mondo avesse un progetto, e che questo era già scritto e che si dovesse quindi solo leggerlo e riscriverlo per impadronirsene. Ho disegnato oggetti piccolissimi, e stanze per contenerli e contenitori per portarmeli dietro, e stanze dove ammucchiarli e dove sostare tra le cose. Ho disegnato edifici e strade e piazze e città. A volte poi, ho allineato parole, di notte, alla macchina

02. Ho compilato una lista di lavori e per ognuno ho messo insieme schizzi, disegni, fotografie. Ogni immagine era un pezzo di un teatro della memoria. Ho rivisto luoghi, persone, giornate di lavoro e di viaggi, vie e piazze, cieli, acque, alberi. Ho ascoltato voci, telefonate, discorsi. E tutto questo non era né lontano, né vicino, ma c’era come una tenda d’aria ondulata, una sorta d’allucinazione o miraggio. Avrei voluto che tutto tornasse, avrei voluto vivere ancora quei giorni d’entusiasmi, preoccupazioni, paure. Forse avrei voluto che qualcosa fosse diverso, con altre strade da percorrere o con altre direzioni. Eppure non volevo cambiare nulla. Volevo conservare tutto così come era stato. Sapevo che i mattoni e le pietre sarebbero invecchiati (e in gran parte già lo erano) e che gli abitanti avrebbero modificato le case, chiudendo qualche loggia, aggiungendo qualche tenda, cambiando gli infissi... e nei giardini e negli spazi pubblici sarebbero cresciuti gli alberi e ci sarebbero stati gazebi, ricoveri, magari dei giochi da bambini e nanetti da giardino. [10.09.14] 03. Ho cercato tra scritti dispersi, interviste e articoli qualche frammento di un’autobiografia architettonica. Volevo mettere insieme un racconto illustrato da progetti e costruzioni. Ma come nell’annosa querelle sulla musica vien prima la musica o le parole? È il racconto che ha generato i progetti con la sua kunstwollen o sono i progetti che hanno generato i racconti nel tentativo di fissarli nel tempo? [17.09.14] 04. Ripercorro pagine di appunti e di trascrizioni. Ritrovo le stesse frasi ripetute e riscritte. Mi chiedo quanto di questo zibaldone di pensieri, scritti d‘occasione, frammenti di lezioni, possa esser recuperato in questa sorta di antologia che vorrei pubblicare. Da una parte il catalogo, dall’altra il saggio. Alla base rimane un diario, una sorta di autobiografia che ogni giorno si allunga, o almeno lo spero. [14.11.14]


Presentazione - Autobiografia patetica

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Palazzo dell’Arte di Firenze, Tesi di laurea di Adolfo Natalini, 1965-66 Mostra “Superarchitettura”, manifesto, Pistoia, 1966 Il Superstudio e Hidden Architecture, Piazza di Bellosguardo, 1971


36

Il quaderno di scuola

1966-1986


Superstudio

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Il quaderno italiano

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2003-2011

La Scala di Ponente degli Uffizi, Firenze 2003-2011

Note in margine ad alcuni contributi al progetto Nuovi Uffizi Vorrei iniziare con una considerazione sul ‘nuovo’ citando John Donne, poeta metafisico del 600 inglese che ha lasciato scritto “Novelty is but oblivion” (la novità non è altro che dimenticanza) e nell’Ecclesiaste troviamo “Nihil sub sole novi”. Ma anche senza aspirare alla novità questo è un progetto difficilissimo perché la mia generazione ha avuto grandi maestri, così terribili da non riuscire né ad amarli né a dimenticarli: da giovane architetto ho incontrato Le Corbusier e Louis Kahn, poco dopo sono andato in pellegrinaggio al Castelvecchio di Scarpa, al Tesoro di San Lorenzo di Albini e al Castello Sforzesco dei BBPR. Da fiorentino ho frequentato le Sale dei Primitivi agli Uffizi di Scarpa, Gardella e Michelucci e per anni mi sono chiesto come mai fosse stato possibile non metter mano alla Galleria degli Uffizi così bisognosa di cure. Certo ci sarebbe voluta un’altra mano simile a quella dei magnifici tre o forse solo un’altra distruzione come quella bellica avrebbe potuto convincere gli Uffizi a rinnovarsi... e così parzialmente è stato, con l’attentato criminale ai Georgofili del 1993, che ha rimesso in moto la macchina dei Grandi Uffizi che sembrava da anni ferma. Ma Firenze, scriveva il Buontalenti al suo principe in occasione dei lavori di rinnovamento del Battistero, “è città che ha buon occhio e cattiva lingua, e se quel che si fa e si scuopre di sopra non sarà meglio di quel che si disfa e ricopre di sotto, ne andrà delle novelle attorno...” Scriveva il Vasari a proposito della fabbrica degli Uffizi: “Non ho mai fatto murare altra cosa più difficile né più pericolosa, per esser fondata sul fiume, e quasi in aria...” Come nota Claudia Conforti, “la scommessa è vinta e, come accade alla conclusione delle grandi imprese, il vincitore è sfiorato dall’ala della malinconia” e scriveva il Vasari: “Io non ho da dirvi altro se non che mi sto molto malinconico”. [C. Conforti, Vasari architetto, Electa, Milano 1993]

A distanza di secoli, una nuova scommessa è ora iniziata col progetto dei Nuovi Uffizi. Come ogni intervento su un manufatto antico, i progettisti si sono trovati difronte il dilemma tra conservazione e rinnovamento, dove quest’ultimo termine si biforcava ulteriormente tra adeguamento ed addizione. Ma gli Uffizi sono un palinsesto su cui così tante mani eccellenti hanno vergato la loro storia da indurre alla massima modestia i nuovi scrittori, facendo loro lasciar perdere ogni velleità di aggiunger firma a firma. Così la filosofia del progetto è stata in ogni sua parte quella dello stretto ‘necessario e sufficiente’. Ma questo non vuol dire un presunto, mimetico ‘dov’era

e com’era’ (che già tanti danni ha fatto a Firenze nelle zone limitrofe agli Uffizi), né un minimalismo moderno radical-chic. Di volta in volta si sono ricercate le soluzioni più appropriate: il progetto, nato dalle occasioni, aspira sempre alla necessità. All’interno del gruppo di lavoro della SINTER, coordinato dall’ing. Alessandro Chimenti, mi sono in particolare, occupato dei due nuovi spazi di collegamento verticale, situati agli estremi dei due bracci degli Uffizi. La Scala di Ponente, oggi completata, ha trovato posto in una piccola corte prossima alla Loggia dei Lanzi. Ha preso la forma di una torre in pietra con grandi aperture da cui affiora il volume delle rampe rivestito in ottone brunito. Una copertura in parte vetrata e un sistema di finestre danno alla corte protezione e luce, trasformandola in un nuovo ambiente interno, dove il nuovo dialoga sommessamente con l’antico. La Scala di Levante sorgerà in posizione simmetrica alla prima, nell’area compresa tra i resti di San Pier Scheraggio e lo scalone vasariano, in un grande spazio illuminato anch’esso dall’alto e prolungato in una torre protesa verso l’antica Piazza del Grano. Osservazioni elementari sul lessico. Nel dizionario dei luoghi comuni di Flaubert, Le Dictionnaire des idèes reçues, alla voce ‘Architetti’ si legge: “Tutti imbecilli. Dimenticano inevitabilmente le scale delle case”. Agli Uffizi non ce le siamo dimenticate. La Scala di Levante e la Scala di Ponente ce le imponevano logiche distributive e di percorso e norme di sicurezza: non potevamo farle antiche e non volevamo farle nuove. La Scala di Ponente si configura come una torre dove le rampe si susseguono con andamenti diversi tra due volumi chiusi (uno per gli ascensori, l’altro per gli impianti) e due strutture angolari. La torre è inserita in una piccola corte trapezoidale, ancorata al lato più corto. Nei dizionari italiani ‘la tromba delle scale’ o il ‘pozzo delle scale’ è il vuoto tra le rampe e ‘l’anima’ è il setto che divide due rampe. Nella nostra non c’è né il pozzo né la tromba né l’anima, ma è una solida torre di scale, una via di mezzo tra la stairs tower degli inglesi e la Treppenhaus (la casa delle scale) dei tedeschi. La Scala di Levante sarà una fuga di scale inserita in una sorta di intercapedine tra i resti di San Pier Scheraggio e le nuove opere del Vasari.

Progetto esecutivo SINTER s.r.l. Alessandro Chimenti; strutture e restauro Alessandro Chimenti, A. Moroni; progetto esecutivo impianti Enzo Giusti; consulenza architettonica Adolfo Natalini; progettazione illuminazione Piero Castiglioni; consulenza archeologica Riccardo Francovich; committente Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per i Beni Architettonici e del Paesaggio. Foto: Mario Ciampi



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Lemmario 3


Luogo/Contesto

Ricostruzione di un isolato sulla Manetstrasse a Lipsia, schema assonometrico, dai Quaderni Neri, 1994 Ricostruzione di un isolato sulla Manetstrasse a Lipsia, 1993-1994, vista modello di Franco Gizdulich, foto Mario Ciampi

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176

Ricostruzione di un isolato sulla Hofmeisterstrasse a Lipsia, schizzo, dai Quaderni Neri, 1993

Lemmario 3


Il quaderno tedesco 178 Progetto per la ricostruzione del Rรถmerberg a Francoforte 188 Casa in Saalgasse, Francoforte 198 Ricostruzione di un isolato sulla Hofmeisterstrasse a Lipsia 202 Ricostruzione di un isolato sulla Manetstrasse a Lipsia 210 Concorso a inviti per la Breitestrasse, Berlino


188

Il quaderno tedesco

1980-1989

Casa in Saalgasse, Francoforte 1980-1989

Prima descrizione

La casa è situata sull’angolo tra la Saalgasse e il passaggio con scale adiacente all’edificio centrale. La pianta è quasi quadrata ed è divisa in due rettangoli: il maggiore contiene cinque appartamenti sovrapposti (o due maison-nettes e un appartamento), e il minore contiene le scale e i condotti di ventilazione del sottostante garage pubblico. I condotti sono stati portati sull’angolo di facciata e sono contenuti in due cilindri che si compenetrano parzialmente. I due cilindri, rivestiti in rame, portano elementi a forma di rami e foglie, visibili dal pozzo scale e dall’esterno attraverso aperture nelle facciate. Le facciate sono risolte come superfici omogenee in cemento armato faccia a vista gettato in casseforme metalliche. Sull’angolo le due superfici sono interrotte, mettendo in mostra la struttura ad albero dei condotti di ventilazione. La griglia risultante dalle casseforme metalliche porta agli incroci dei rametti in bronzo, aggettanti 90 centimetri dalla facciata, con foglie e frutti di quercia e limone. Le finestre sono aperture regolari, quadrate, con bordo modanato in rame. Elementi in rame coprono e sottolineano tutti gli spigoli della costruzione. Seconda descrizione

Un albero cresce su un angolo tra due strade: un albero che si divide in due o due alberi che si fondono in uno? I rami portano due tipi di foglie e frutti, come per uno strano innesto. L’albero doppio è un albero di due culture: è l’albero delle due culture (italiana e tedesca, rappresentate dal limone e dalla quercia di tante poesie) che appare attraverso la casa che sorge sull’angolo. Alcuni rami spuntano attraverso finestre senza vetri, altri spuntano dal cemento della facciata. La griglia geometrica della facciata e quella organica dei rami si sovrappongono. Il naturale si innesta e si ricompone con l’artificiale. I rami che fuoriescono suggeriscono un’ambigua fioritura dell’architettura. Suggeriscono anche misteri vegetali all’interno della casa... La casa ritorna così ad essere l’archetipo della capanna vegetale (la casa di Adamo in paradiso), e richiama l’archetipo dell’albero e della foresta. Terza descrizione

La casa è molto semplice come struttura e organizzazione ma presenta un’immagine complessa e ambigua: la complessità e l’ambiguità vogliono indicare livelli più profondi di meditazione sull’architettura. Uno dei problemi dell’architettura moderna è la sua perdita di senso: la povertà dell’architettura cosiddetta moderna consiste nel suo rimandare soltanto ai parametri tecnici ed economici. L’architettura, come ogni linguaggio, può usare la metafora e l’allegoria per ricostruire

la rete di relazioni che uniscono l’individuo alla società (il personale al collettivo), e per superare i limiti del tempo... La decorazione può aggiungere informazioni alla struttura e far diventare l’architettura ‘architettura parlante’. In Luca della Robbia, nel Ghiberti, nel Crivelli, la decorazione naturalistica costituisce l’elemento di passaggio tra architettura, scultura e figurazione dipinta, costituendo un’unità analoga a quella ritrovabile nel gotico o in Gaudì, o in Carlo Scarpa. Quarta descrizione

II progetto della casa risponde all’esigenza di trovare l’individualità della costruzione come espressione dei diversi fattori che l’hanno generata (Matisse sosteneva che un buon ritratto è quello che coglie la “diversità” del soggetto). Le strade della città antica, a Francoforte per esempio, sembravano ritratti di famiglia con le case identificate da un nome di battesimo. Judengasse, Ostseite des Römerbergs con il Grosser Engel, Weiland ecc., la Fahrgasse con le facciate barocche Neue Falkenstein, Zum Wolf, Roter Ochs, la casa d’angolo con la Schnurgasse Würzburger Eck, o la Goldene Waage col braccio che regge la bilancia... La casa del macellaio di Goethe all’angolo della Saalgasse con Heiliggeistplàtzchen... Nelle strade della città moderna non si ritrova un ritratto di famiglia, ma solo l’identikit dell’assassino fuggito nella notte: un identikit approssimativo e generico della brutalità e dell’alienazione. (Nella “Strada novissima” a Venezia appare solo l’immagine dei vizi privati e delle pubbliche virtù degli architetti.) Il progetto della casa vuole rappresentare l’incrocio tra due culture diverse: quella (tedesca) del luogo e quella (italiana) del progettista. La prima idea era una semplice casa di pietra rossa che portava su un angolo un bassorilievo di un albero che si divideva in due: da una parte una quercia e dall’altra un limone con foglie e frutti in bronzo dorato. II secondo progetto

II progetto della casa con i rami non è stato accettato dalla municipalità, poiché troppo ermetico e troppo poco moderno. Il secondo progetto mantiene l’albero sull’angolo, sotto forma di una grande colonna, volume quasi cilindrico che contiene i condotti di ventilazione. Griglie di bronzo per l’immissione dell’aria sono coperte da rami, sempre in bronzo, di quercia e di limone. I rami e le foglie (e i frutti in bronzo dorato) rimangono immobili sotto il flusso dell’aria. La casa è un volume compatto, tagliato da due fessure longitudinali che concentrano tutte le finestre. Tutta la costruzione è in blocchetti di cemento con cornici in pietra (Buntstein) e con sottili marcapiano in fasce di mosaico vetroso nero-oro-rosso-bianco-verde.

p. 189 Casa in Saalgasse, 1° progetto p. 190 Casa in Saalgasse, quercia e limone, dai Quaderni Neri p. 191 Casa in Saalgasse, crescita dell’albero, dai Quaderni Neri p. 192 Casa in Saalgasse, 1° progetto prospetto pp. 193- 195 Casa in Saalgasse, modello azzurro, modello d’oro modello verde, modelli in bronzo di David Palterer p. 196 Casa in Saalgasse, la casa del macellaio di Goethe p. 196 Casa in Saalgasse, Friederich Overbeck Italia e Germania p. 197 Casa in Saalgasse, il 2° progetto (costruito con mancanze) Progetto Adolfo Natalini; collaboratori Fabrizio Natalini, Aldo Roda, PAS Frankfurt am Main. Foto: Mario Ciampi


Casa in Saalgasse, Francoforte

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Il quaderno olandese

1993-2000

Le piazze Muzenplein e Clioplein a L’Aia 1993-2000

Nel 1993 lo studio Natalini è stato chiamato a progettare una parte del De Resident (un quartiere centrale de L’Aia, distrutto dagli eventi bellici), secondo il piano elaborato da Rob Krier. L’isolato sorge al margine sud-est del centro storico; la sua forma trapezoidale, delimitata da strade con facce diverse, è stata generata da un canale. Posto sul confine tra la città storica dagli spazi misurati (il Palazzo Reale non è molto distante) e i grandi edifici della città nuova, è lambito a sud dall’asse su cui si allineano i progetti per il nuovo centro urbano. A Natalini è stata affidata la Muzenplein (La piazza delle Muse) dalla forma a ferro di cavallo, con una piazzetta esagonale adiacente e una corte rotonda (Clioplein). Le piazze erano come scavate in un fitto blocco di residenze, alte tra sette e tredici piani. Nel progetto vi è stata un’adesione al piano di Krier, che prevedeva un’immagine di città estremamente articolata in cui le varie tipologie, dalla casa bassa al grattacielo, s’intrecciavano insieme ai diversi linguaggi. Data la situazione di complessità, si sono scartati arricchimenti e diversificazioni dei corpi di fabbrica, sottolineando invece la plasticità dell’insieme con un trattamento semplice e uniforme. Si è pensato a una serie di edifici che fossero unificati dalle facciate sullo spazio pubblico, suddivise secondo la loro tradizionale ripartizione in fascia basamentale, ‘piano nobile’ (o zona intermedia) e piano attico. La differenziazione fra le tre zone è stata affidata a un portico a doppia altezza nel basamento, e a una serie di arretramenti dell’attico. Nel punto in cui la

Progetto architettonico Adolfo Natalini / Natalini Architetti (Firenze) con Corinne Schrauwen Architectenburo (Amsterdam); progetto strutturale Arcadis (L’Aia); progetto impianti BAM-TBI (L’Aia); direzione lavori Arcadis (L’Aia); impresa costruttrice BAM-TBI (L’Aia); committente MAB BV (L’Aia). Progetto preliminare, 1993-94; progetto definitivo, 1995; progetto esecutivo, 1995-96; inizio costruzione, 1996-2001. Foto: Pietro Savorelli

Muzenplein termina contro l’esagono e incrocia la nuova strada, le case alte continuano la tipologia delle facciate con una serie di varianti e un diverso trattamento delle coperture. La tessitura delle facciate è lievemente tridimensionale, con un sistema di travi e lesene in cotto sottolineate da elementi in cemento bianco agli incroci, mentre i vuoti sono occupati da forature o logge. Il portico è retto da pilastri a tronco di cono in cemento bianco che terminano in capitelli di raccordo tra gli archi e l’intelaiatura di cotto. La facciata è modulata seguendo il ritmo dei fronti della città: una sequenza regolare di grandi finestre, di solito organizzate a gruppi di tre. Le facciate verso la Clioplein sono percorse da fasce orizzontali di gallerie intervallate da fasce di finestre, all’interno di una griglia uniforme. Sulle corti interne le facciate diventano più domestiche e irregolari per la presenza di scale, balconi e gallerie. Tutti i fronti dell’edificio sono in cotto con componenti di cemento stampato ed elementi in cotto trafilato su disegno. I pilastri del portico sono in cemento faccia a vista, quelli delle torri sono rivestiti in pietra, mentre le coperture sono in rame preossidato verde azzurro. Con lo stesso materiale sono rivestite alcune murature ai piani alti e altre sotto i portici. Gli infissi sono in legno verniciato di bianco. La pavimentazione della piazza è disegnata da una serie di linee in pietra generate dall’architettura, dai percorsi e dal deflusso delle acque. Quella dei portici e dei percorsi perimetrali è sempre in pietra, mentre le altre zone sono in cotto a spina di pesce.



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Il quaderno olandese

1999-2006

Addizione urbana Ijsselkade a Doesburg 1999-2006

Doesburg è una cittadina storica olandese sul fiume Ijssel, un tempo circondata da fortificazioni. La città ha riconquistato l’affaccio sul fiume con questo progetto vincitore di un concorso. Per chi dal centro della città si avvicina al fiume, si presenta una fila regolare di case col tetto a punta. La fila non è continua, ma si interrompe aprendo la prospettiva sul fiume per chi viene dalla città e più a nord con una nuova piazza alberata. Così l’occhio è guidato al fiume che per tanto tempo era stato separato dalla città dalle fabbriche e dai magazzini. Seguendo il canale verso nord, il visitatore trova un nuovo ponte che lo guida alla piazza alberata, uno spazio trapezioidale allungato verso il fiume con i lati lunghi costituiti da due gruppi simmetrici di case. Verso il fiume sulla sinistra si affaccia un edificio più alto, di forma affusolata (quasi una barca) e sulla destra un edificio basso con il tetto a terrazza. Una scalinata tra i due edifici fa superare il dislivello della diga e porta sul lungofiume costituito da un largo viale in parte alberato, con una grande gradonata che scende sulla riva del fiume in corrispondenza del collegamento con la città. Il piccolo porto è stato ridisegnato mantenendo la posizione originaria. Il lungofiume si sviluppa per circa 400 m. Il nuovo complesso si compone di 168 unità residenziali (42 terratetto e 126 appartamenti) e di un hotel (ancora da costruire). È divenuto il luogo privilegiato per riconquistare

il fiume alla città, ospitando una serie di attività piacevoli, il passeggio, la sosta e l’osservazione del fiume e della sua vita, la pesca, la nautica... Una piazza ortogonale al fiume divide il progetto in due isole: l’isola a sud è divisa in tre da un passaggio ortogonale al fiume e da un altro sull’asse della via. Quella a nord da una strada minore parallela al fiume che termina sulla piazza. Si hanno così cinque isolati, tre a sud e due a nord. Gli isolati hanno fronti diversi per rispondere alle diverse situazioni ambientali e al loro interno hanno giardini e corti. Si è cercata una certa varietà col disegno urbano, attraverso la curvatura e l’inclinazione dei fronti, la loro interruzione e con l’inserimento di tipologie diverse. Il fronte del fiume dà un’immagine di bordo di città, quasi una fortificazione costruita da fronti di case aperte sul fiume con logge e vetrate variamente orientate per favorire la vista migliore. Il fronte verso la città si presenta più calmo e domestico con una serie di case più basse coi tetti a punta. I fronti sulla piazza hanno un’immagine più urbana ospitando anche attività pubbliche. Altri fronti sulle strade hanno una diversa immagine, più regolare e severa. La torre sulla diga ha una forma affusolata in pianta, quasi come una barca, e la sua altezza maggiore (12 piani) la fa diventare un Landmark sul fiume. A seguito di un concorso internazionale con un centinaio di partecipanti, la scultura Passi d’oro di Roberto Barni è stata installata sul lungo fiume nel marzo 2006.

Progetto Natalini Architetti (Firenze) con Corinne Schrauwen Architectenburo (Amsterdam) (Selezionato per Gelderse Prijs 2006); collaboratori Nazario Scelsi, Adrian Blanchard, Damiano Pica (Firenze), Jaëla van Tijn, Flavia Bindo (Amsterdam); piano urbanistico Teun Koohlaas Architecten (Almere); progetto paesaggistico Okra Landscapsarchitecten (Utrecht) (Betonprijs 2001 per lo spazio pubblico); progetto strutturale Corsmit Raadgevend Ingenieursbureau BV (Rijswijk); progetto impianti Cauberg-Huygen Raadgevend Ingenieurs (Zwolle); impresa costruttrice Moes Bouwbedrijf Ost BV (Zwolle); committente Amministrazione Comunale Doesburg e Johan Matser Projectonwikkeling (Hilversum). Concorso Internazionale a inviti I° premio, 1998. Progetto preliminare, 1998-99; progetto definitivo, 2000-01; progetto esecutivo, 2001-02; costruzione, 2003-05; fine costruzione con installazione opere d’arte, 2006. foto: Raoul Suermondt



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Il quaderno olandese

Adolfo Natalini - Quaderni olandesi

Vive a Firenze fin da studente, più in studio che in casa, non è mai emigrato. Viaggia, certo, e molto, come chi è curioso. Ma le sue architetture hanno trovato patria elettiva nei Paesi Bassi. Adolfo Natalini ne ha esplorato paesaggi, città, palazzi, fino a sentirsi erede di Ludovico Guicciardini, che cinque secoli fa ebbe un’analoga attrazione per quei paesi, lasciandocene una minuta descrizione. Ma qui pare che sia piuttosto l’Olanda ad essere stata conquistata dall’architettura di Natalini. Dapprima, con altri e come altri, ha dovuto compiere l’opera di demolizione della modernità. La modernità che intendeva dettar legge e già per questo reclamava una radicale rivoluzione. Un classico parricidio, che riconosce il ruolo genitoriale e insieme la necessità di oltrepassarlo spedendolo nel passato. Per poi riconquistare l’architettura, che Natalini stesso ama chiamare “normale”, più che “tradizionale”, ossia ciò che del passato, dei padri più lontani, in altre parole del “patrimonio”, è traducibile in ogni tempo. La cultura architettonica olandese, sembra aver compiuto, anche con l’opera di Natalini, il medesimo percorso. Mentre le mirabolanti e soprendenti provocazioni del Superstudio vanno viaggiando in mostre e depositandosi in musei nei vari angoli del mondo. Sono adesso oggetto mitologico, come ogni altra cosa che il culto del patriminio del nostro tempo trasforma in traccia mnemonica. L’architettura “normale” dona l’abitare quaotidiano e vive la sua vita serena in Olanda e altrove. Quella “radicale” di quarant’anni fa è già monumento di se stessa. [F. Ventura allo Spazio-A, Firenze 24.10.2014]


Apparati 330 Adolfo Natalini - Curriculum 332 Opere 335 Bibliografia 338 Mostre


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Apparati

Adolfo Natalini - Curriculum — La scuola di Pistoia. Natura e oggetto, Museo di Arte Contemporanea e del Novecento, Monsummano Terme 2010 Superstudio. Storie con Figure 1966-1973, Quaderni Bianchi, 1979

Superstudio & Radicals, Japan Interior Inc., Tokyo 1982 A. Natalini, L. Netti, A. Poli, C. Toraldo di Francia, Cultura Materiale Extraurbana, Alinea, Firenze 1979

Figure di pietra, Electa, Milano 1984 Adolfo Natalini. Architetture raccontate, Electa, Milano 1989

Adolfo Natalini architettore, Fondazione Centro Ragghianti, Lucca 2002 Adolfo Natalini, Album Olandese, Aión Edizioni, Firenze 2004

Adolfo Natalini (Pistoia nel 1941). Dopo un’esperienza pittorica, che si rifletterà nel suo costante uso del disegno, si laurea in architettura a Firenze nel 1966 e fonda il Superstudio (con Cristiano Toraldo di Francia, Gian Piero Frassinelli, Roberto e Alessandro Magris e, tra il 1970 e il 1972, Alessandro Poli) iniziatore della cosiddetta “architettura radicale”, una delle avanguardie più significative degli anni ‘60 e ‘70. I progetti del Superstudio sono apparsi in pubblicazioni e mostre in tutto il mondo e le sue opere fanno ora parte delle collezioni di musei come il Museum of Modern Art di New York, Israel Museum Jerusalem, Deutsches Architekturtmuseum Frankfurt am Main, Centre Pompidou Paris, Maxxi Roma. Tra le pubblicazioni: Superstudio 1966-82 – Storie Figure Architettura, (Electa, Firenze 1982), Superstudio & Radicals, (Japan Interior Inc., Tokyo 1982), Superstudio: life without objects (Skira, Milano 2003) Superstudio (Laterza, Bari 2010), Superstudio-La vita segreta del Monumento Continuo (Biennale, 2014), Superstudio- Storie con Figure 1966-78 (Quodlibet, 2015). Dal 1979 Natalini ha iniziato una sua attività autonoma e si è concentrato sul progetto per i centri storici in Italia e in Europa, ricercando le tracce che il tempo lascia sui oggetti e sui luoghi e proponendo una riconciliazione tra memoria collettiva e memoria privata. Tre le sue opere: i progetti per il Römerberg a Francoforte e per il Muro del Pianto a Gerusalemme, la banca di Alzate Brianza, il Centro Elettrocontabile di Zola Predosa, la casa in Saalgasse a Francoforte, il Teatro della Compagnia a Firenze. Tra le pubblicazioni: Figure di pietra (Electa, Milano 1984), Adolfo Natalini - Architetture raccontate (Electa, Milano 1989), Il Teatro della Compagnia (Anfione Zeto 1989). Nel 1991 inizia l’attività dei Natalini Architetti con Fabrizio Natalini al Salviatino. Fabrizio Natalini, (Firenze 1953) laureato in architettura nel 1980, ha lavorato col Superstudio dal 1971 e con Adolfo Natalini (omonimo ma non parente) dal 1980 a progetti e concorsi per città storiche in Italia e all’estero. Nel 1994 inizia la collaborazione con Architectenburo C. Schrauwen (Amsterdam) e dal 2008 con Abken Schrauwen Architecten (Ijsselstein). Tra le loro opere: la ricostruzione della Waagstraat a Groningen, il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure a Firenze, la Dorotheenhof sulla Manetstrasse a Lipsia, la Muzenplein a L'Aia, il Centro Commerciale di Campi Bisenzio, il Polo Universitario a Novoli, Firenze, Boscotondo a Helmond, il Polo Universitario a Porta Tufi a Siena, Het Eiland a Zwolle, Haverleij a Den Bosch, il Museo dell’Opera del Duomo e il progetto per i Nuovi Uffizi a Firenze. Tra le pubblicazioni: Il Museo dell’Opificio a Firenze (Sillabe, Livorno 1995), V. Savi Natalini Architetti – Nuove architetture raccontate (Electa, Milano 1996), De Waagstraat (Groningen 1996), Temporanea Occupazione (Alinea, Firenze 2000), Un edificio senese. Le nuove Facoltà di giurisprudenza e scienze politiche (Gli Ori, Pistoia 2002), Adolfo Natalini Architettore (Fondazione Ragghianti, Lucca 2002), Adolfo Natalini Disegni 1976-2001 (Motta, Milano 2002), Adolfo Natalini Album Olandese (AION edizioni 2003), Natalini Architetti (Costruire in Laterizio,97, 2004), Adolfo Natalini Quaderni Olandesi (Aion Edizioni, Firenze 2005), Adolfo Natalini Linea d’ombra (Lettera 22, Siracusa 2013). Adolfo Natalini è stato professore ordinario di progettazione architettonica nella Facoltà di Architettura di Firenze. Iscritto all’Ordine degli Architetti di Firenze, membro onorario del BDA (Bund Deutscher Architekten) e del FAIA (Honorary Fellow American Institute of Architects), accademico dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, dell’Accademia di Belle Arti di Carrara e dell’Accademia di San Luca.


Adolfo Natalini - Curriculum

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Adolfo Natalini, Quaderni olandesi, Ai贸n, Firenze 2005 Unmodern Architecture, NAI Publishers, 2004 Centro Annonario di Pistoia (IT), 1982-1987

Teatro della Compagnia Firenze (IT), 1984-1987 Teatro A. Galli e piazza Malatesta, Rimini (IT), 1985-2000

Piazza a Palazzuolo sul Senio, Firenze (IT), 1984-1986 Centro Sportivo a Gorle, Bergamo (IT), 1986-1992

Centro Commerciale a Gavinana, Firenze (IT), 1988 Concorso per piazza Matteotti a Siena (IT), 1988


Adolfo Natalini “Quattro Quaderni”


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