Il Fatto Quotidiano - 13 ottobre 2010

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Il premier che offende le donne offre alla Marcegaglia una poltrona di governo. Speriamo che lei non ci caschi

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Martedì 13 ottobre 2009 – Anno 1 – n° 18 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

IMMORAL SUASION di Marco Travaglio

er la terza volta in quattro giorni il presidente della Repubblica ha dovuto spiegare pubblicamente la sua condotta.Evidentemente non era ben chiara. E non lo era a causa di un peccato originale che risale all’estate 2008. Il Berlusconi III, appena insediato, infilò nel decreto sicurezza già firmato da Napolitano un emendamento che bloccava 100 mila processi per bloccarne due: quelli in corso a carico del premier e di alcuni suoi complici per gli affari Mills e Mediaset. Il Quirinale – come ha ricordato ieri - avvertì di essere contrario all’emendamento, mentre era favorevole a una legge ordinaria che bloccasse i processi alle alte cariche dello Stato: alle tre che non avevano processi e a quella che ne aveva un bel po’. Nacque così il cosiddetto Lodo Alfano, che non era un lodo e che un imbarazzato Pd lasciò passare senza un nanosecondo di ostruzionismo per non dispiacere al Colle ed evitare che, nel frattempo, il processo Mills-Berlusconi arrivasse a sentenza. Quando poi Napolitano firmò quella porcheria, fece sapere che superava le censure avanzate dalla Consulta nel 2004 bocciando l’altro scudo incostituzionale: il Maccanico-Schifani. In realtà non le superava tutte, ma solo alcune. I turiferari quirinalizi esaltarono la “moral suasion”, cioè la prassi di anticipare il giudizio sulle leggi in via di preparazione o di approvazione, suggerendo come cambiarle per evitare bocciature. Ma di questa prassi non c’è traccia nella Costituzione. Articolo 74:“Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”. Non c’è scritto che la legge dev’essere “manifestamente incostituzionale”. Nè che il presidente possa intervenire prima che la legge diventi tale, cioè venga approvata dal Parlamento (ddl) o dal governo (dl). Altrimenti - come fanno notare diversi costituzionalisti - il presidente diventa coautore della legge e, al momento di promulgarla o respingerla, si ritrova in mano un testo che ha collaborato a scrivere. Il che non rientra fra i suoi poteri. Stessa scena per il decreto Englaro, quando Napolitano spedì una lettera di contrarietà al Consiglio dei ministri mentre questo stava deliberando; e per la legge sulle intercettazioni, quest’estate, quando il ministro Alfano salì al Colle e si sentì preavvertire – raccontò la Repubblica, mai smentita - che il testo così com’era non sarebbe passato. Così la maggioranza rinviò tutto all’autunno. Le buone intenzioni della moral suasion sono fuori discussione: si tenta, come direbbero i pompieri del Corriere, di “evitare lo scontro”. Ma di buone intenzioni è lastricato l’inferno. Soprattutto se, al tavolo della moral suasion, siede un immoral tipetto come Berlusconi. Il quale conosce due sole categorie di interlocutori: i servi e i nemici. E, quando si siede al tavolo, serve regolarmente al suo ospite un piatto di letame fumante, prendere o lasciare. Al massimo, bontà sua, concede di togliere un cucchiaino di letame: il resto va ingurgitato tutto, con la faccia radiosa e i complimenti al cuoco. Chi non mangia diventa un nemico, comunista, golpista, nemico del popolo. Ora si spera che, avendo assaggiato anche lui il menu, il presidente ne prenda atto. E, al prossimo piatto di letame che gli servono, lo respinga al mittente tutto intero, con un bel messaggio motivato alle Camere per spiegare che il Parlamento non è un optional e che lui, quella roba lì, non la digerisce.

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Caccia a Mesiano, autore della sentenza Mondadori

DISTRUGGETE QUEL GIUDICE B. SCATENA I SUOI “CRONISTI” Il premier minaccia : su quella toga ne sentirete delle belle. Indagine a tappeto di “Chi” e del “Giornale”

Udi Marco Lillo CONTRO MASI COMPLOTTI E CRISI DI NERVI cacciare MicheDdalloleoveva Santoro per sempre schermo. Ed è riusci-

Fierro e Mascali pag. 2 z

to a confezionargli una serie di spot gratuiti che lo hanno portato al record di ascolto. Doveva cacciare Marco Travaglio. pag. 3 z

Udi Bruno Tinti PERCHÉ GRIDANO AL GOLPE

Udi Francesco Bonazzi

facevo il pm i miei Qno uando amici avvocati mi dicevasempre: “hai ragione tu,

MANUALE DEL BRAVO RICICLATORE

questo è colpevole; ma lo tireremo fuori in procedura”. Intendevano dire che l’assoluzione nel merito era impossibile. pag. 18 z

che ormai non fa più il Sti inarà fiscalista da anni e di cliencarne e ossa ne vede po-

CITTÀ PIÙ SICURE x Nella capitale ancora aggressioni contro i gay

SINDACO ALEMANNO, ADESSO BASTA CON LA TEPPAGLIA NERA A ROMA Il sindaco di Roma Gianni Alemanno

di Luca Telese

n questo giornale non abbiamo nostalgie per l’antifascismo militante, che negli anni di piombo si faceva spappolando a colpi di chiave inglese i crani dei ragazzini come Ramelli. In questo giornale siamo convinti che Gianni Alemanno sia un leader eletto democraticamente, che non abbia portato manipoli di squadristi ad abbeverarsi nelle acquasantiere della Capitale. E’ uno stupido gioco ideologico esercitarsi negli esami del sangue al sindaco di Roma o additarlo come il figlio di un dio minore in virtù della sua storia. Al contrario: per noi c’è più affidabilità nella sua biografia post-missina, che nei vacui curriculum televisivi delle veline azzurrine con cui Silvio Berlusconi ha avvelenato il Pdl. Se si parla di violenza, questo giornale non conosce doppiopesismi: ci ripugnano tanto le coltellate a Dino (il giovane gay aggredito al Colosseo) quanto le ignobili molotov tirate ad Acca

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Larentia (potevano far strage di bambini, solo pochi giorni fa). Premesso tutto questo, chiediamo al sindaco di Roma: non crede che sia (anche) necessario, con una punta di coraggio autocritico, aggiungere un epigramma di verità, al rosario delle solidarietà dovute e delle “vicinanze” istituzionali? Ci chiediamo se anche Alemanno, al pari di noi, si sia convinto che a Roma stia accadendo qualcosa di grave. Se non creda che questo incredibile rigurgito di violenza para-politica, pseudo-ideologica o semplicemente razzista, meriti una riflessione più complessa di quella che le cronache di questi giorni, i sermoni delle autorità e i discorsi di circostanza ci offrono. Ai tempi del delitto Reggiani, parte del centrodestra prosperò sull’idea balorda che l’escalation della violenza di alcuni extracomunitari dovesse essere at-

chi, ma il ministro Giulio Tremonti ignora di certo che succede là fuori, oltre le mura del palazzo di Via XX Settembre. pag. 8 z

CATTIVERIE Emanuele Filiberto: “Ho provato la droga, mi ha salvato la famiglia”. Conoscendo i Savoia, pensavamo il contrario.

tribuita alla giunta Veltroni. Alemanno sa, che ribaltando quel gioco, la sua giunta diventerebbe “oggettivamente” responsabile delle aggressioni omofobe e violente di questo anno (e non ci passa per la testa). Per questo vogliamo chiedere ad Alemanno se sia consapevole che a tutte le parole di condanna che ha pronunciato, ne manchi ancora almeno una, di analisi vera. Una riflessione che rompa l’inutilità del rito. Nelle bastonate ai diversi, nelle coltellate e nelle aggressioni infami agli omosessuali, nelle teste scolpite dei teppisti che pestano i bengalesi e poi si sentono degli eroi, c’è traccia di un antico veleno. Si riconoscono una malintesa e grottesca ebrezza superomistica, una sottocultura della violenza che è (anche) figlia dello squadrismo fascista. Se Alemanno riuscisse a dirla, questa verità, le sue parole sarebbero più pesanti e utili. Ci dica anche come la vuole combattere questa violenza. Solo esorcizzando lo spettro di Svastichella, infatti, può provare a diventare il sindaco di tutti.

luigi irdi

il capo non è un santo Un libro esilarante, nel quale la fantasia supera la realtà. Al momento di andare in stampa, beninteso. (Ma chi è il Capo?) sergio rizzo coautore de La casta

fazi editore


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Martedì 13 ottobre 2009

Nato a Reggio Calabria, è da 30 anni in magistratura

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PERSECUZIONI

ualcuno potrebbe vederci lo zampino del diavolo, ma lui, Raimondo Mesiano - in magistratura da 30 anni, da 10 consigliere di Cassazione, giudice istruttore prima di passare al civile alla decima sezione del tribunale di Milano - in realtà è un grande umanista, con predilezione addirittura per

quel filosofo che risponde al nome di Carlo Marx. Nato a Reggio Calabria, 57 anni fa, parlano di lui come di una persona schiva, molto schiva. Amante della cultura germanica - oltre al tedesco padroneggia perfettamente anche la lingua inglese e il francese - nel suo curriculum registra anche attestati di studi

internazionali. È finito nel mirino del premier, Silvio Berlusconi, dopo per aver scritto la sentenza Mondadori, che ha condannato la Fininvest al maxi risarcimento di 750 milioni di euro nei confronti della Cir (Compagnie Industriali Riunite) guidata dall’ingegner Carlo De Benedetti.

IL DOSSIER ANTI-GIUDICE Mondadori, Berlusconi scatena “Chi” e “Giornale” contro il magistrato che ha deciso il risarcimento Cir

di Enrico Fierro

e Antonella Mascali u di lui ne sentiremo venir fuori delle belle”. L’aveva detto e l’ha fatto. Anzi lo sta facendo. Silvio Berlusconi furioso per la bocciatura del lodo Alfano e per aver visto la sua Fininvest condannata a risarcire la Cir di Carlo De Benedetti con 750 milioni di euro, ha messo in moto la macchina dei dossier. Ormai da una settimana Raimondo Mesiano, 57 anni, il giudice che in sede civile ha deciso le sorti del gruppo di Segrate, è finito nel mirino di “Chi”: il settimanale di gossip della Mondadori diretto da Alfonso Signorini, il giornalista scelto dal Cavaliere come suo nuovo spin doctor. Su Mesiano vengono cercate notizie di ogni tipo: da quelle relative alla sua carriera professionale, fino a quelle sulla sua vita privata. Ciò che salterà fuori non è nemmeno troppo importante. Il messaggio che deve essere lanciato, intanto, è un altro: chi tocca il premier rischia di farsi male. Molto male. E Mesiano il capo del governo lo ha toccato davvero. Per sua sfortuna si è trovato a dove quantificare il danno subito

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Sono sulle tracce di Raimondo Mesiano in cerca di uno scoop scandalistico SENZA VELI

dall'Ingegnere dopo che la giustizia penale aveva condannato Cesare Previti e altri due avvocati di Berlusconi ( prescritto) per aver corrotto uno dei magistrati autori della sentenza con cui, nel 1991, la Mondadori fu soffiata a De Benedetti. Così, come in un'apoteosi del conflitto d'interessi tra il Berlusconi politico e il Berlusconi editore, fino a domenica si trovava a Reggio Calabria, la città di origine di Mesiano, il braccio destro operativo di Signorini a “Chi”, Gabriele Parpiglia, un coriaceo cronista che si è fatto le ossa prima alla corte di Fabrizio Corona (era il responsabile dell’ufficio stampa della sua agenzia), e poi a Star Tv, per arrivare infine a firmare, di tanto in tanto, su “Il Giornale”. Specie quando i suoi presunti scoop servono a dare una mano a Berlusconi. Parpiglia, secondo quanto risulta a “Il Fatto”, ha condotto ricerche all’anagrafe, forse nella speranza di trovare parentele imbarazzanti del magistrato, e ha battuto i luoghi dove Mesiano è vissuto e cresciuto chiedendo notizie sul suo stato di salute. Siamo insomma a una replica di quanto accaduto prima dell’estate quando il braccio destro di Signorini aveva organizzato a Napoli una trappola fotografica per tentare d’incastrare prima Gino Flaminio (l’ex fidanzato dei Noemi Letizia, la diciassettenne frequentata dal premier) e poi due cronisti del settimanale “L’espresso”. Allora Parpiglia aveva invitato Gino - colpevole di aver rivelato a “Repubblica” come Berlusconi avesse telefonato alla minorenne Noemi dopo averla vista su un book fotografico - al ristorante “La Scialuppa”. Qui, il giornalista aveva of-

di Elisa Battistini

Carfagna: “A scuola senza il burqa”

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i dice allarmata per la condizione delle immigrate. Perciò Mara Carfagna abbraccia la proposta di legge per proibire il burqa e dice che è necessario vietarlo nelle scuole. E non bisogna vietare solo il burqa, ma anche il niqab, il velo nero che lascia scoperti gli occhi. Per il Ministro sono “simboli di sottomissione” e non vanno portati nelle aule. “Sono troppe le donne che nel nostro Paese girano coperte da veli integrali”, dice la Carfagna. Il fenomeno, aggiunge, è sintomo di scarsa istruzione. Inoltre, bisogna vietare l’espressione di “tradizioni, culture e modi di trattare le donne incompatibili con i nostri”. Una battaglia giusta, quella dell’emancipazione femminile. Che il velo diventi il suo simbolo è però una semplificazione. Come lo è giudicare una cultura pensando alle donne che si spogliano per fare un calendario.

E adesso vuole Emma Emma, vieni a fare il vice presidente del Consiglio”. Nuovo show di Berlusconi ieri all’assemblea degli industriali monzesi: il premier è tornato a corteggiare la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e ad attaccare i giudici. “Il governo non attacca nessuno, c’è invece una frangia militarizzata della magistratura che mi attacca da quindici anni. Il governo ha la maggior legittimazione di tutti i governo occidentali”. Poi si è rivolto agli imprenditori: “Ribellatevi contro l’agire ‘anti-italiano’; pensate al benessere, a libertà e democrazia ghe pensi mi”. Silvio Berlusconi (FOTO ANSA)

ferto del denaro al ragazzo e, memore degli insegnamenti di Corona, lo aveva fotografato mentre intascava la somma. Gino, durante il colloquio con Parpiglia, aveva spiegato di aver parlato con “Repubblica” gratuitamente. Ma l’obbiettivo dell’operazione era un altro: avere delle immagini da pubblicare in prima pagina su “Il Giornale” che facessero passare per fasulle le rivelazioni dell’ex findanzato di Noemi. Più o meno lo stesso era poi

successo a due cronisti de “L’Espresso”. I due erano stati invitati da un’agenzia fotografica vicina a Signorini sempre al ristorante “La Scialuppa” dove un’ex concorrente del Grande Fratello aveva detto di avere notizie sul giro di ragazze che frequentavano Berlusconi, ma di volere 50mila euro per parlarne. Il risultato? Due giorni dopo “Il Giornale” riparte all’attacco. Questa volta a firmare non è Parpiglia, ma un’altro cronista.. “L’Espresso pron-

to a pagare per incastrare Silvio”, titola il quotidiano, venendo subito smentito dal settimanale che mette on line una registrazione da cui risulta inequivocabilmente come le cose non fossero andate così. Adesso però si sale di livello. Dai giornalisti si passa ai magistrati. E Berlusconi non ne fa mistero. Pubblicamente sostiene “la sentenza (civile) ha le impronti digitali della Cir, che il giudice (Raimondo Mesiano, ndr) è un estremista di

sinistra condizionato fortemente dall’esterno”. E aggiunge: “stiamo raccogliendo elementi seri contro di lui”. Dichiarazioni che fanno il paio con quelle di sua figlia Marina, la numero uno della Mondadori, e del suo entourage. Tutti infatti a Segrate sono convinti che intorno alla decisione di Meisiano sono accadute dute cose “ strane”; che la sentenza doveva essere emessa a gennaio e invece è arrivata a ottobre, a ridosso della decisione della Corte costituzionale sul lodo Alfano; che ad emetterla è stato un giudice “ comunista”; che “ non è un caso che la causa sia stata assegnata a lui”; che non è spiegabile perché l’abbia depositata di sabato quando si è dovuto trovare un cancelliere disposto a recarsi a palazzo di giustizia. Una verifica sul campo, basta però per smontare buona parte delle voci. Sabato scorso, Michele De Marco, il capo della cancelleria civile, ha spiegato di essere sempre al lavoro nel giorno prefestivo. “Non capisco la polemica”, dice, “siamo sempre aperti sei giorni su sette. Ho visto poi che ci si è meravigliati perché la notifica è arrivata via mail. Ma la verità è che noi, dal primo giugno, siamo uno dei pochi tribunali a utilizzare la telematica. Guardi qui: alle ore 9.29 e 14” la sentenza è stata notificata allo studio Saletti( gruppo Fininvest) e 5 secondi dopo, ore 9.29 e 19”, allo studio Rubini( gruppo Cir)”.

Il kamikaze della porta accanto Milano, libico stava per farsi esplodere in caserma. Due feriti di Davide Milosa

colpo sordo. Questo hanno sentito i Unellanmilitari che ieri stavano per entrare caserma “Santa Barbara” di piazzale Perrucchetti a Milano. Chi, invece, si trovava all’interno e non distante dal posto di guardia ha vissuto attimi terribili. “Poteva essere una strage”, dice un maresciallo. Questo l’intento di Mohamed Game, 34enne libico di Bengasi, regolare in Italia. Un attacco kamikaze, il primo in assoluto contro una caserma. E non una qualunque visto che una compagnia della “Santa Barbara” si trova in Afghanistan. Di questa fa parte anche il caporale Guido Lo Veneziano, 20 anni di Brindisi, colpito ieri da una scheggia. Il militare è uno dei due feriti, l’altro è lo stesso Game che, oltre alla mano, ha perso l’uso degli occhi. In realtà, il libico, avrebbe dovuto morire nell’esplosione. Questo si deduce dal potenziale della bomba: circa due chili di nitrato allo stato solido. La strage è stata evitata solo perché è esplosa una decima parte dell’ordigno. Tutto è avvenuto in pochi minuti attorno alle 7,45. Un momento in cui davanti alla caserma c’è sempre confusione con i mi-

litari che vanno al lavoro. Game ha agito, facendosi scudo di una macchina che stava varcando il passo carraio. Pochi secondi e ha azionato il detonatore. In quel momento nella zona c’erano quattro militari. Ora le indagini si concentrano sui rapporti milanesi di Game. Il giovane libico, con precedenti per furto, è sposato con una italiana e abita in via Civitali 30 vicino alla caserma. Qui gli investigatori hanno sequestrato diversi scatoloni e un computer. “La religione non gli interessava – dice Imad, un suo amico – prima di sposarsi aveva molte donne, gli piaceva bere”. Alla camera di commercio risulta titolare di un’impresa di lavori edili. Fino a due anni fa, a libro paga aveva cinquanta operai. Poi il mancato incasso di un subappalto lo ha mandato sull’astrico. Dal settembre del 2008 non ha più lavorato. “E’ in quel periodo – dice Imad - che ha iniziato a frequentare siti sulla jihad”. Il suo profilo coincide con ciò che gli 007 definiscono “lone terrorist”, ovvero un lupo solitario in grado di compiere autonomamente attentati. Particolare tanto più vero se si pensa che Game è un ingegnere elettronico. Con Imad, il libico ha parlato anche dei nostri militari uccisi in Afghanistan. “Mi ha detto: ‘Se non

ci fossero andati sarebbero vivi’”. Dato che confermerebbe la frase urlata poco prima dell’esplosione: “I militari italiani fuori dall’Afghanistan”. Parole che il procuratore aggiunto Armando Spataro ha smentito, sottolineando come “il nome della Santa Barabra non è mai entrato nelle inchieste milanesi”. Posizione opposta a quella espressa da Francesco Rutelli, presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza per il quale “il nome è emerso in precedenti indagini”. Ciò che resta nei fatti è l’arresto, a Milano, di due presunti terroristi marocchini. Tra i loro obiettivi, si apprese lo scorso dicembre, c’era la caserma di piazzale Perrucchetti. Di più: fonti investigative venete confermano che la scorsa settimana un warning dei Servizi è partito da Treviso per essere diramato in tutta Italia. Alla Santa Barbara è arrivato giusto venerdì.

L’attentatore è regolarizzato in Italia dal 2003


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Tutti i fronti aperti tra Quirinale e Palazzo Chigi

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LITI ISTITUZIONALI

l primo conflitto istituzionale della legislatura ci fu nell’estate del 2008 proprio sul Lodo Alfano. Ma il rapporto tra Berlusconi e Napolitano è stato caratterizzato da molti momenti di tensione o di veri e propri scontri. Nello scorso febbraio, il Capo dello Stato si rifiuta di firmare il decreto governativo fatto appositamente per “salvare” Eluana Englaro, che obbliga alimentazione e idratazione

NAPOLITANO: NESSUN ACCORDO SUL LODO ALFANO Il Presidente al premier: con la Consulta limpida collaborazione di Vincenzo

Vasile

atti, accordi sotterranei, scambi occulti? Macché, tutto inventato. Il Quirinale, assediato anche nel fine settimana dalle venefiche “rivelazioni” del Giornale berlusconiano fa passare la domenica, e replica ieri mattina con la seconda nota ufficiale in cinque giorni: "È del tutto falsa l'affermazione che al Quirinale si siano stipulati patti su leggi, la cui iniziativa, com'è noto, spetta al Governo, e tanto meno sul superamento del vaglio di costituzionalità affidato alla Consulta". Il fatto è che il giornale-guastatore domenica ha sparato in prima pagina la notizia di un retroscena sapido e, se fosse vero, davvero imbarazzante: e cioè il background dietro il

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lodo Alfano del lavoro di identificabili sherpa quirinalizi al fianco dei colleghi del ministero della Giustizia per redigere “intere parti” del provvedimento, a titolo di favore in contraccambio della bocciatura da parte di Napolitano dell’emendamento blocca processi inserito in Senato dalla maggioranza nella legge di conversione del decreto sicurezza del 23 maggio 2008. Ritirato quell’emendamento per il “niet” di

Napolitano, funzionari del Colle e uomini di Alfano si sarebbero, insomma, messi al lavoro per concordare il “lodo”, garantendo non solo la promulgazione del Presidente, che in effetti avvenne,

Alfano la dichiarazione che la legge è modificabile. E anche in occasione del ddl sulla sicurezza, il Presidente della Repubblica, pur promulgando la legge, esprime in una lettera a Berlusconi, Maroni e Alfano tutti i dubbi su un provvedimento contenente numerose norme tra loro eterogenee, alcune delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità.

per soggetti non autosufficienti. Altro intervento Napolitano lo fa a luglio a proposito della legge sulle intercettazioni, che definisce irragionevole, incostituzionale, gravemente dannosa per le indagini, foriera di scontri con la stampa. Napolitano in questo caso invece di rinviarla alle Camere nel tentativo di evitare strappi tra le istituzioni la ferma prima del suo ultimo passaggio al Senato. Ottenendo da parte di

ma anche – secondo Feltri – il futuro sì della Consulta, che invece non si verificò: “un patto calpestato”. essun accordo, replica con toni indignati Napolitano, attraverso il suo ufficio stampa. Semmai, come di consueto, si trattò di una normale collaborazione tra gli uffici della presidenza e dei ministeri competenti: "Prassi da lungo tempo consolidata di semplice consultazione e leale cooperazione, che lascia intatta la netta distinzione dei ruoli e delle responsabilità", si afferma. Anche se tale prassi per l’esattezza della ricostruzione storica, risultò operante soprattutto nel settennato di Carlo Azeglio Ciampi, che si richiamò a sua volta al lontano precedente dello “Scrittoio del presidente”, Luigi Einaudi, che sin dagli albori della Repubblica – si fa ancor oggi rilevare dalle parti del Colle - era ingombro di disegni di legge governativi, emendamenti e provvedimenti suggeriti o corretti dal capo dello Stato. Mentre non risulta una consuetudine di questo tipo ai tempi di Scalfaro, e andando a ritroso nel tempo, Cossiga picconava senza perdersi in trattative, e Segni, Saragat e Gronchi furono semmai messi variamente sotto scopa per accuse di indebite interferenze sul Parlamento e sugli equilibri politici. Nel merito, la nota del Colle ricostruisce così la vicenda. A partire dalla "palese incostituzionalità dell'emendamento 'blocca processi'", decretata da Na-

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SVOLTE

Di Pietro va alla pace col Quirinale

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opo mesi di attacchi a Napolitano, ieri Di Pietro sceglie di seppellire l’ascia di guerra. "Mettiamo da parte ogni critica al capo dello Stato perché in questo momento c'è un’aberrazione dello stato di diritto e di un presidente del Consiglio come Berlusconi. Tutto questo ci impone un’unità nazionale tra tutte le persone di buona volontà prima che il fascismo ritorni". Il leader dell’Idv sostiene che "Berlusconi si comporta oggi come si comportava ieri Mussolini. Si arrabbia con coloro che lo criticano per mantenere il suo potere intatto, con la differenza che Mussolini lo faceva solo per un problema esistenziale e mentale, Berlusconi lo fa scientificamente per portare avanti interessi suoi, personali, giudiziari, imprenditoriali, e di controllo dell’informazione, che sono ancora più gravi del ventennio fascista".

politano. Il governo si adegua. Successivamente, nel giugno 2008, il Consiglio dei ministri adottò il disegno di legge Alfano in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato. Napolitano ne autorizzò la presentazione al Parlamento, e successivamente, dopo l'approvazione da parte delle Camere, promulgò la legge. Un via libera che, però, "non poteva in nessun modo costituire 'garanzia' di giudizio favorevole della corte in caso di ricorso". E ancora: "Il rispetto dell'indipendenza della Cor-

L’imbarazzo degli ambasciatori Da Madrid a Londra, ancora difese d’ufficio del governo: rischiamo di essere di parte di Stefano Citati

ome da circolare gli ambasciatori Cdifendere d'Italia continuano a impegnarsi a il governo dagli attacchi, sempre più pressanti e continui, della stampa estera. Ennesimo caso l'altro giorno quello del rappresentante della Repubblica italiana a Londra, Giancarlo Aragona che ha risposto all'articolo del Times (proprietà del magnate australiano Ruperth Murdoch) dal titolo: “Berlusconi si deve dimettere”, considerandolo un'ingerenza agli affari interni del Paese. Un mese fa toccò a Giovanni Caracciolo di Vietri, ambasciatore a Parigi, mandare una lettera – titolata “smettetela di calunniare l'Italia!” - al quotidiano di sinistra Libération per controbattere alle critiche mosse contro lo strapotere mediatico del presidente del Consiglio. Ancora prima era stato Ganni Castellaneta, il primo dei nostri ambasciatori (sede Washington) a rispondere agli attacchi della stampa americana. Poi era toccato a Pasquale Terracciano a prendersela con i media spagnoli per la loro copertura delle vicende italiane. Insomma, sono finora state coinvolte le principali sedi diplomatiche: Washington, Parigi, Londra, Madrid. Difese d'ufficio, perché prima una lettera del ministro degli Esteri Frattini e poi una circolare interna – datata luglio 2008 - spronavano i titolari delle ambasciate a una maggiore reattività nella promozione dell'immagine dell'Italia e a un puntiglioso

controllo delle notizie pubblicate sì anche dentro la Farnesina ci sareb- sk-force al ministero del Turismo sui media per eventuali risposte e be chi crede in questa linea ed è (coma ai tempi della crisi dei rifiuti puntualizzazioni. pronto a una difesa a oltranza, chi in- campani e composta da giornalisti Ma ora la difesa a oltranza del gover- vece si limita (o trova il caso) di se- ed esperti di comunicazione, tutti no italiano mostra piccole crepe, guire appieno alla direttiva tecnica under-trenta ) per monitorare i meche si rivelano nel linguaggio diplo- diramata l'estate scorsa e chi invece dia e ribattere colpo su colpo al dematico e nelle gesta misurate pro- è critico e si ritrova sempre meno nel terioramento dell'immagine del Belprie degli ambasciatori (ovvero nul- gran lavoro diplomatico di conteni- paese, in modo da limitare i danni la di ufficiale, solo un ragionamento mento dei media internazionali. sull'industria del turismo. Operaziosottovoce): “Rappresentiamo il pae- È forse anche per questo che la Far- ne in due fasi: prima la difesa indise, l'intero Stato italiano e non solo nesina potrebbe non essere più l'u- viduando le testate e gli articoli deuna parte; nel caso difendiamo le isti- nico ministero a occuparsi della stra- nigratori; poi l'attacco, mandando in tuzioni, tutte le istituzioni e non solo tegia di risposta e Michela Vittoria risposta “comunicazioni veritiere e il governo; se per caso si verificasse Brambilla starebbe creando una ta- positive” del nostro paese. uno scontro tra due cariche istituzionali, chi dovremmo difendere? Se finissimo con l'appiattirci su Newsweek Observer Sunday Times una parte, non saremmo più rappreBerlusconi, Nerone Candidato al Nobel Mills dovrebbe sentativi dell'intero paese e capaci di apprezzato per la Pace 2010 languire in prigione difenderne un'altra”, questo il penilvio, è teml domenicale l Sunday Times siero di esponenti po di andadel Guardian se la prende della Farnesina. La re”, titola l’inin un editoriale con l’avvocato indifesa della reputachiesta di Chriha collegato iroglese David Mills. zione e del buon stopher Dickey, nicamente il preIl domenicale sonome dell'Italia è mio Nobel per la Pace assestiene che Mills “non dovrebcerto fra i primi secondo cui “l’Italia non gnato al presidente Usa Obabe essere languidamente secompiti dei diplo- può permettersi le buffoma e la decisione della Conduto sul sofà”, ma “languire matici, ma non può nerie dei suo playboy al in una prigione italiana”. In divenire un impe- governo”. In difesa del pre- sulta sul Lodo Alfano. “Berlusconi ha anche detto che un altro articolo, il giornale gno a tempo pieno mier, l’articolo di William 'non c’é nessuno nella Storia sottolinea che “le sfortune e sempre per un so- Wars, che analizza i meriti verso cui io mi debba sentire politiche del solitamente esulo motivo, rintuz- del politico “attento ai detinferiore’. Un candidato per berante premier sembra lo zare gli attacchi an- tagli, dello stratega elettoil Nobel 2010, forse?”. stiano trascinando a fondo”. ti-governativi. E co- rale, che ha lavorato solo”.

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te Costituzionale e dei suoi giudici, doveroso per tutti, ha rappresentato una costante linea di condotta per qualsiasi Presidente della Repubblica". ircola la sensazione che, tuttavia, le scintille dello scontro istituzionale e delle polemiche si stiano in qualche modo dissipando. Antonio Di Pietro, per esempio, a sorpresa sotterra l’ascia di guerra finora brandita contro il Colle: “Mettiamo da parte ogni critica al capo dello Stato perché in questo momento in pericolo è lo stato di diritto e c’è il problema di un presidente del Consiglio come Berlusconi”. E la stessa Corte Costituzionale ha fatto trapelare un’anticipazione dei motivi di prossima pubblicazione della sua sentenza sul lodo, che sembra offrire una qualche soluzione, almeno sul piano tecnico. Salta fuori un paradosso. Tra i precedenti che hanno ispirato il "no" al lodo salva-Berlusconi c'è una sentenza favorevole a Cesare Previti: a sentenza 451 del 2005, che aveva, infatti, stabilito un modo per trovare un equilibrio tra le esigenze pubbliche da parte delle alte cariche dello Stato e quelle di un corretto svolgimento di un eventuale processo penale. Allora la Corte Costituzionale scrisse che, nel caso che un imputato sia anche parlamentare, il giudice ha "l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari". Seguendo questa indicazione, da tradurre in legge, anche i processi a Berlusconi andrebbero avanti, ma i giudici avrebbero l'obbligo di fissare, d'intesa con il premier, un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del presidente del Consiglio. Il tutto, per l’appunto, con legge ordinaria, senza modificare la Costituzione, e favorendo ovviamente - ma questo la Consulta non lo dice – i tentativi degli avvocati del premier di tirare la corda dei rinvii fino alla prescrizione.

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Da Tor Bella Monaca a Campo de’ Fiori l‘intolleranza è ovunque

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ROMA NERA

novembre 2007: tre romeni vengono aggrediti nel quartiere periferico di Tor Bella Monaca. 17 aprile 2008: aggressione squadrista al circolo di cultura omosessuale Mario Mieli. 29 luglio 2008: raid al quartiere Ostiense contro un gruppo di ragazzi di sinistra. 9 settembre 2008: presa di mira una coppia omosessuale nella Gay Street. 3 ottobre 2008: un

35enne cinese viene picchiato da 7 ragazzi minorenni a Tor Bella Monaca. 22 novembre 2008: identificata una banda che compie aggressioni razziste nel quartiere del Trullo (alcuni del fermati sono minorenni). 10 marzo 2009: due albanesi aggrediti a Tor Bella Monaca. Stesso luogo, 23 marzo 2009: aggredito un commerciante pakistano. La violenza si ripete un mese dopo, ai danni di un senegalese. 22 maggio 2009: raid razzista al

capodanno bengalese a Villa Gordiani. 6 giugno 2009: coppia gay aggredita a Campo de’ Fiori. 17 giugno 2009: distrutto un bar gestito da bengalesi al Pigneto. 5 agosto 2009: tre ragazzi italiani (il più giovane ha 12 anni) vengono fermati per aver aggredito un bengalese a Tor Bella Monaca. 21 agosto 2009: coppia omosessuale aggredita al Gay Village. 9 ottobre 2009: coppia gay aggredita in via del Corso.

LA CRONACA

CANI SCIOLTI LIBERI DI AGIRE Dall’aggressione ai danni di tre cittadini romeni nella ex borgata di Tor Bella Monaca, il 2 novembre 2007, a quella nei confronti di una coppia di omosessuali in via del Corso, l’altra sera: in meno di due anni a Roma sono almeno venti gli episodi finiti sui giornali perchè riconducibili all’intolleranza nei confronti delle minoranze. Spesso, episodi di matrice squadrista e razzista. Sono cani sciolti, fa sapere la polizia, non c’è nessuna regia politica. Eppure l’incremento della violenza è un dato di fatto, come se gruppetti di criminali improvvisati si sentano autorizzati a colpire le fasce più deboli della popolazione. Con la convinzione, spesso purtroppo reale, di farla franca. Rispetto a tutto ciò le istituzioni tacciono. In ogni occasione il sindaco Alemanno spende parole di solidarietà nei confronti delle vittime. O partecipa a manifestazioni contro l’omofobia. Risposte politiche, finora, neanche una. E le vittime rimangono sole a chiedersi che fine abbiano fatto le promesse di aiuto. pagina a cura di Silvia D’Onghia

Dino, vittima dell’omofobia

PICCHIATI E ABBANDONATI Sabato l’ultima aggressione fascista a una coppia gay Il Comune promette aiuti, ma poi le tv si spengono

23 marzo 2009 Aggressione ai danni di un cittadino pakistano a Tor Bella Monaca Nessun colpevole

“La mia vita è distrutta. Le mie condizioni di salute sono ancora gravissime. Tutti coloro che mi avevano promesso aiuto, il giorno dopo la violenza sono spariti”. Basharat Ali è un 36enne pakistano. La sua colpa, lo scorso 23 marzo, è stata quella di essere fermo ad un semaforo di Tor Bella Monaca. “Ignoti”, come scrive la Questura, lo hanno picchiato selvaggiamente e sono fuggiti. Senza un motivo apparente. Quattro mesi e mezzo di ospedale (di cui uno in coma), una serie di interventi chirurgici, ancora oggi ferite aperte e l’impossibilità di lavorare. “Il medico mi ha detto che ho bisogno di un altro anno per guarire; ciò significa che per altri 12 mesi non potrò lavorare”. Subito dopo l’aggressione, sua moglie perse il bimbo che aveva

in grembo; adesso sta male anche lei, ha bisogno di un urgente ricovero in ospedale. Non si è mai più ripresa. La settimana scorsa Basharat è stato accompagnato a Regina Coeli, ma non ha riconosciuto l’uomo che gli hanno mostrato. “Io vidi quelle persone mentre si avvicinavano e mi trascinavano fuori dall’auto. Poi, pensai solo a difendermi dalle botte”. Il giorno dopo davanti al suo negozio di alimentari c’erano le telecamere, i poliziotti e, soprattutto, i politici. Dopo qualche settimane si spensero le telecamere e nessuno parlò più di Basharat. L’unica dimostrazione di solidarietà vera in questi mesi è stata l’iniziativa dell’assessore regionale al Bilancio, Luigi Nieri, che ha invitato la popolazione a far la spesa nel negozio di Basharat. Tutti gli altri (ad eccezione della coordinatrice del circolo del Pd di Tor Bella Monaca, Paola Aversa, che rimane accanto a lui e alla sua famiglia ), si sono dimenticati di lui.

ALEMANNO

uale che sia il movente, è un fatto inaccettabile e intollerabile, soprattutto per la giovanissima età degli aggressori”. Sono le ultime, in ordine di tempo, parole di solidarietà (nei confronti della coppia gay aggredita sabato scorso) del sindaco di Roma Gianni Alemanno, che negli ultimi mesi si è speso per chiunque. Destra e sinistra, immigrati e omosessuali: il primo cittadino ha una parola buona per tutti. “Ai ragazzi di Azione Giovani, la solidarietà mia e

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21 agosto 2009 Aggressione ai danni di una coppia omosessuale in via del Corso Nessun colpevole

Alessandro Sardelli, detto Svastichella (FOTO ANSA)

21 agosto 2009 Aggressione ai danni di una coppia omosessuale al Gay Village Fermato Alessandro Sardelli, detto Svastichella

“Voglio camminare per strada sicuro e avere una vita normale”. Ha ancora paura Dino, uno dei due ragazzi aggrediti a fine agosto all’uscita dal Gay Village. Alessandro Sardelli, 40 anni, conosciuto a Roma come Svastichella, lo ha accoltellato all’addome e ha ferito con una bottigliata alla testa il suo compagno. Dino porterà per sempre addosso i segni dell’aggressione: una lunga cicatrice in mezzo al torace. Svastichella, invece, è stato visto in giro la sera per i ristoranti del quartiere Prati, insieme ad un gruppo di amici. Dino, che ha ricevuto l’assistenza dell’Arcigay, ha chiesto alle autorità di istituire un fondo per risarcire le vittime, così come si fa in Piemonte per le donne che hanno subito violenza.

di s.d.

SINDACO EQUO E SOLIDALE della Giunta”, aveva detto il primo ottobre dopo un attentato incendiario. “Solidarietà per il vile attacco alla Croce Rossa”, il 21 settembre. Persino il capitano della Roma viene gratificato: “Esprimo la mia solidarietà a Francesco Totti -aveva dichiarato a luglio- dire che è la rovina della Roma non è solo un’offesa personale al calciatore e alla società, a tutto il calcio italiano”. Equidistante.

Gianni Alemanno (FOTO GUARDARCHIVIO) In alto, un’immagine della manifestazione del 25 settembre contro l’omofobia (FOTO ANSA)

Francesco e Massimo stavano passeggiando in via del Collegio Romano, dopo aver visto una mostra a piazza Venezia. Un sabato sera come tanti. All’improvviso, sei ragazzi a bordo di tre scooter li hanno raggiunti e hanno cominciato a picchiare. Avevano le teste rasate e gridavano “Camerati!”. Francesco, 25 anni, il più giovane dei due, è stato aggredito con un colpo di casco alla testa e un calcio all’inguine. Immediate, naturalmente, le manifestazioni di solidarietà, a partire dal sindaco Alemanno. Ma Francesco e Massimo sono “fortunati”: Arcigay Roma e Gay Help Line hanno subito offerto loro la consulenza legale gratuita. Ieri pomeriggio l’avvocato Daniele Stoppello ha formalizzato la denuncia. Proprio l’Arcigay ha chiesto al Comune di ampliare il servizio Help Line. La risposta? Forse a fine ottobre.

22 maggio 2009 Raid al capodanno bengalese a Villa Gordiani Nessun colpevole

“Il sindaco ci aveva promesso di aiutarci almeno a comprare il furgone nuovo, abbiamo presentato anche un preventivo da tremila euro. Non ne abbiamo saputo più nulla”. Siddique Nur Alam, detto, Bacchu, il presidente dell’associazione Dhuumcatu, ce l’ha con le istituzioni. Il 22 maggio una ventina di uomini armati di mazze e bastoni fece irruzione nel parco di Villa Gordiani, dove si stava celebrando il capodanno bengalese, picchiò un ragazzo, distrusse stand, gazebo e, appunto, un furgone. Poi fuggì senza essere rintracciato. Il giorno dopo tutta Roma espresse vicinanza alla comunità, si spesero parole di sdegno per l’accaduto. E il sindaco, racconta Bacchu, promise aiuti. “Il problema è politico. L’escalation di violenza ai danni degli immigrati si combatte col dialogo e non con le volanti“.

5 agosto 2009 Aggressione ai danni di un cittadino bengalese a Tor Bella Monaca Fermati tre ragazzi italiani (12, 18 e 19 anni)

Adesso ha paura Abdul, Tor Bella Monaca non gli piace più. Da quando, il 5 agosto, è stato aggredito da tre ragazzi italiani, il più giovane dei quali appena 12 anni. Spranga e cacciavite, una spedizione punitiva per aver detto a due ragazzine “basta alle spese proletarie”. Abdul a Tor Bella vive da 6 anni, ma adesso non si fida più tanto ad uscire di casa. Ad aiutarlo, quando ancora aveva i punti in testa, ci ha pensato la Comunità di Sant’Egidio, che in via dell’Archeologia (il supermarket dello spaccio, come lo chiamano) ha una “Casa della Pace”. Qui vengono gli stranieri aggrediti, ma anche gli italiani aggressori: alcuni dei 7 minorenni che un anno fa picchiarono un cinese di 35 anni, per esempio. Anche in questi casi, la politica è scomparsa.


Martedì 13 ottobre 2009

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Viale Mazzini: arriva il repulisti per i corrispondenti esteri

A

TV NEL CAOS

desso tocca alle scrivanie oltre confine. Sistemate le testate giornalistiche, appena i direttori “in concerto” proporranno i colleghi più graditi, il direttore generale Mauro Masi dovrà ratificare le nuove nomine dei corrispondenti all’estero. Gran parte delle 15 sedi Rai saranno riorganizzate e, a chi ha i contratti triennali in

scadenza, sono già pervenute le lettere di “rimozione preventiva”. “Come quando si è in affitto, ti comunico con brutalità che presto dovrai andartene”, denuncia Ennio Remondino, fiduciario dell’Usigrai. In bilico, per il momento, ci sono 5 giornalisti europei che, anche per opportunità politiche, presto saranno rimossi. Il posto non sarà vacante a lungo perché in Rai,

dopo un ampio repulisti, dovranno reperire un’occupazione ai numerosi big sfaccendati. Da Antonio Caprarica (ex Giornale Radio) a Piero Badaloni (ex Rai International). E per creare una scrivania abbastanza ampia a un vecchio direttore, e non soltanto per ridurre i costi abnormi, si profila una fusione di Rai News 24 e Televideo.

Tangenti sanità, l’accusa: processare Fitto e Rai, fallita la missione di epuratore: pronto un uomo di Previti Angelucci

L’IRA DEL PREMIER E LE LITI IN CASA I GIORNI NERI DEL SOLDATO MASI

di Antonio Massari

di Marco Lillo

oveva cacciare Michele Santoro dallo schermo. Ed è riuscito a confezionargli uno spot gratuito che lo ha portato al record di ascolto. Doveva cacciare Marco Travaglio con la sponda dell’Autorità Garante ed è riuscito solo a irritare il presidente dell’Agcom con una manfrina inutile visto che poi il contratto è stato chiuso. Doveva confezionare un “Porta a porta” lucente attorno alle case di L’Aquila e non è riuscito a battere nemmeno Gabriel Garko. Ora basta. Il Cavaliere non ne può più di Mauro Masi. Questo ex paracadutista del Tuscania ha fallito la sua missione. Ed è inutile spiegare che si trattava di missione (oltre che sporca) impossibile, che Santoro è lì in forza di una sentenza e che l’Autorità non stabilisce i palinsesti. Re Silvio non ascolta ragioni. Come un capo azienda stabilisce i target per i manager e se

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Sulla terrazza del Vittoriano 300 persone erano accorse per il compleanno della sua compagna, l’acerba attrice caprese Susanna Smit. C’erano tutti: da Rutelli a Bonaiuti, da Geronzi a Caltagirone, da Vespa a Minzolini. E c’era soprattutto Silvio Berlusconi, felicissimo di parlare per un’ora con un giornalista di sinistra più sorridente e più basso di lui: il presidente della Rai Paolo Garimberti. Già allora si rincorrevano le voci sulla tumultuosa coppia Masi-Smit. Ma il muIl direttore generale della Rai Mauro Masi ( ro di protezione per questo monumento quelli falliscono, li fa fuori. Pun- al trasversalismo (Masi è stato a to. Palazzo Chigi sia con Berlusconi Ora dietro Masi si prepara il nuo- che con D’Alema) ha subito una vo, cioé il vecchio più vecchio: crepa solo il 10 ottobre scorso. Gianfranco Comanducci, ami- Un quotidiano vicino al centroco fraterno di Cesare Previti, destra, “Italia oggi”, ha rotto la vecchia volpe Rai, amato dai di- congiura del silenzio. Marco Capendenti per la gestione muni- storo, uno dei giornalisti più infica del circolo interno. “Er Co- formati sulla RAI, ha raccontato, manda”, come lo chiamano sul senza fare i nomi, la lite furiboncampo da tennis, scalda i mu- da che ha coinvolto una coppia scoli. E’ lui la voce di Berlusconi “in pieno centro, tra Campo de' in Rai e ha sostituito Saccà, che Fiori e piazza Navona”. Secondo infatti non lo ama più. In questo la ricostruzione di Castoro, un quadro si moltiplicano le soffia- “uomo in pigiama” cercava di te sempre più velenose contro calmare la compagna infuriata Masi. Il grand commis villoso, che era scesa in strada gridando: che fa vanto del master e del ta- “E’ finita”. Chi erano? Lui “è un tuaggio, è stato finora vittima dirigente Rai, di quelli che consolo di voci, chiuse nel recinto tano” mentre lei “è una shodegli addetti ai lavori. Per esem- wgirl, di quelle che si fidanzano pio, quando il 29 luglio ha sal- con gli uomini che contano”. tato un consiglio per un improvffettivamente a “Il Fatto Quoviso intervento all’occhio, nelle tidiano” risulta che il 27 setredazioni si raccontava nel dettaglio la dinamica del colpo su- tembre scorso alle 23 i vicini di bito. Ma nessuno ha scritto una casa di Masi hanno chiamato la Polizia preoccupati dalle urla e riga. Masi era all’apice: il 24 giugno dai rumori. A sentire i vicini, c’era stata la sua celebrazione. sembra che non fosse nemme-

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di Marco Lillo

LE IENE E LA CASTA

CARLUCCI CONDANNATA hi l’ha detto che i convegni politici sono noiosi. Ieri mattina, per esempio, l’onorevole Carlucci ha presentato nella sede della Provincia di Roma la sua proposta di legge sullo spettacolo sotto il cartello: “Investire sui talenti, investire sul futuro”. Un titolo premonitore per lo spettacolo vero che è seguito. Al termine dell’intervento, l’onorevole stava incamminandosi verso la Smart parcheggiata sulle striscie pedonali, quando è stata fermata dalla “Iena” Filippo Roma. La scena era davvero imperdibile: lei cerca disperatamente di svicolare ma non trova la porta. La Iena la incalza. Non per la sosta vietata, come accaduto in passato. Nè per le assenze in parlamento, come nel celebre servizio finito in zuffa con il Trio Medusa che voleva multarla per finta. Stavolta la Iena contesta una sentenza vera. Il tribunale l’ha condannata a pagare 14 mila euro alla sua ex assistente. La domanda è netta: “Un deputato che fa le leggi non è tenuto a rispettarle?”. La risposta è la fuga. Peccato. Il caso Carlucci non è isolato. I parlamentari sono strapagati anche per i loro portaborse. Ma su 516 assistenti solo 194 hanno un contratto regolare. La condanna alla Carlucci è solo la prima di una lunga serie.

C

Da Annozero ancora in onda alle continue baruffe con la fidanzata che allarmano anche la polizia no la prima volta. La lite con Susanna Smit era davvero furibonda. Sembra che l’attrice fosse infuriata per il comportamento del compagno e che il direttore generale, sceso giù per le scale in pigiama, non riuscisse a calmarla con le sue parole. La chiamata alla sala operativa era talmente preoccupata che sono arrivate due volanti di due commissariati diversi. Alla fine

sono rimasti solo gli agenti del Commissariato Trevi, diretto dal vicequestore Michele Laratta, che hanno verbalizzato l’accaduto come “lite animata”. Non ci sono state troppe carte per evitare ricadute eccessive sull’immagine dei due illustri litiganti, né conseguenze penali. Nessuno dei due partecipanti ha presentato querela ma la storia è finita sulla scrivania dei nemici di Masi. E da lì sui giornali. Chissà se l’ennesimo tentativo di defenestrarlo riuscirà. Masi vanta 21 lanci e se ci fosse il ventiduesimo dal settimo piano di viale Mazzini, saprà cadere in piedi.

CHECCO ZALONE’S VERSION

CANALE 5, LA D’ADDARIO E LE PUNTURE AL PREMIER di Carlo

Tecce

dite, udite: Patrizia D’Addario su Urealtà. Canale 5. L’impossibile che si fa Checco Zalone ha pronunciato, parodiato e persino cantato il nome della sua concittadina (sono di Bari). E a 24 ore dal programma seconda clamorosa notizia - non s’annunciano censure. Il comico ha rivisitato “La canzone di Marinella” di Fabrizio De André. Buon ritmo,

Su Mediaset le rime hard del comico di Bari: 3,5 milioni di spettatori

bella musica e Teresa Mannino un po’ imbarazzata, se non preoccupata: “Mi dissocio! Ti ammazzo”. Satira. E Checco: “Questa della D’Addario è una storia vera, che si trovò a Palazzo quella sera e il premier che la vide così bella, sul letto di Putin, la mise a pecorella”. La notte prosegue: “E furono baci e furono sospiri, sono altri mille euro se ti giri. Durò tutta la notte questa cotta, adesso fai la doccia, poi un’altra volta. Mentre Barack Obama era eletto, il nostro presidente era eretto: oh Patrizia, ti dobbiamo ringraziare, alla tua patria alzi il morale”. Il pubblico si diverte, la saga prosegue con “il Pescatore”: il mare e non più il traffico, la Sardegna e non Roma. “All’ombra di villa Certosa pensava sempre una cosa, ma era scuro e triste in viso e non faceva un sorriso. Venne da Bari

un imprenditore con delle sventole da paura, lui le guardò e chiamò il dottore: prepari subito una puntura”. E poi il tormentone: “Ti faccio fare la velina, ti faccio fare la deputata, ti faccio la fiction sulla Rai, ma solamente se me le dai”. Non manca il tariffario: “La soubrette prende di più delle altre, 500 euro o mille se si ferma”. E forza Puglia, c’è la pubblicità, i prodotti tipici sono rinomati e ora risaputi: “Puglia terra di burrate, taralli e ragazze che viaggiano anche loro in aereo così arrivano fresche”. Il nuovo repertorio è vasto, ma si può replicare la fortunata “Tarantella del centrodestra”: “Ma chi la dittu che la musica popolare è sulu di sinistra, sentite quanto è bella, uscite dalla finestra, arriva la tarantella del centrodestra. E viva il Berlusconi e il capitalismo,

viva Maroni e il federalismo, viva la Carfagna e… viva la fregna!”. Insieme a Checco e alla Mannino, in prima serata c’erano Arisa, Zero Assoluto e Marco Materazzi, a casa erano in quasi tre milioni e mezzo di spettatori (14,70% di share). Un successo senza aggettivi, non proprio strepitoso. Checco era sfrenato, era se stesso. Scherzava sornione: “La tarantella del centrodestra? La faccio, non la faccio, c’è un’interrogazione parlamentare!”. Stia tranquillo, quelli del centrodestra ignorano la sua esistenza. Sempre attento sulla Rai, il senatore Maurizio Gasparri si fa trovare impreparato: “Checco “Zanone” chi? Non lo conosco, e vivo benissimo senza”. Come? “Sul letto di Putin la mise…”. “Ah sì, l’avrò notato e ho cambiato canale”.

a procura di Bari ieri ha Lziochiesto il rinvio a giudidel ministro per gli Affari regionali Raffaele Fitto. Stessa richiesta anche per Giampaolo Angelucci, imprenditore nel settore sanitario ed editore dei quotidiani "Libero" e "il Riformista". Secondo l´accusa formulata dai pm Renato Nitti, Lorenzo Nicastro e Roberto Rossi - Fitto sarebbe colpevole di associazione per delinquere, peculato, concussione, corruzione, falso, abuso d´ufficio e finanziamento illecito del suo partito, "La Puglia prima di tutto". Reati commessi, sempre secondo l´accusa, tra il 1999 e il 2005. Il nesso tra Fitto e Angelucci - il rinvio a giudizio, in totale, riguarda 78 indagati - sarebbe emerso nei reati di corruzione e finanziamento illecito al partito, per via, in particolare, d´una provvista di 500mila euro, riconducibile ad Angelucci, e corrisposta al partito di Fitto. Una tangente che, secondo la procura, era finalizzata all´ottenimento dalla regione Puglia di un appalto, da 198 milioni di euro, per gestire undici residenze sanitarie assistite. Il procedimento "Fiorita" prende il nome dall´azienda di servizi di pulizia - alla quale Fitto avrebbe offerto il proprio appoggio politico -che lavorava nelle sanità pugliese, e avrebbe agito in una sorta di monopolio, realizzando profitti illeciti. "Gli atti documentano l'assoluta infondatezza delle accuse", ha dichiarato il difensore di Fitto, il parlamentare Francesco Paolo Sisto, che però, ieri, ha visto rigettate le sue richieste. Il dato è importante perché si lega all´ispezione che il ministro di Giustizia, Angelino Alfano, ha disposto nei riguardi dei tre pm baresi, proprio in seguito a un esposto di Fitto. Vicenda a sua volta collegata, come ha rivelato "il Fatto quotidiano", alle indagini in corso su Alfano e Fitto per abuso d´ufficio. Nell´esposto che ha causato l´ispezione ministeriale, infatti, la principale accusa mossa da Fitto, riguardava il presunto ritardo con il quale i tre pm baresi e l´ex procuratore aggiunto Marco Di Napoli avrebbero iscritto il ministro nel registro degli indagati. Il gup Rosa Calia Di Pinto ha sancito ieri che nessun ritardo v´è stato. Resta da vedere, però, se Alfano chiederà ugualmente la punizione dei pm, sulla base della relazione degli ispettori ministeriali.


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Martedì 13 ottobre 2009

“Niente sfide”: la sinistra critica Berlusconi ma fa (spesso) come lui

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IL CONGRESSO CHE NON C’È

i ricordate il grottesco faccia a faccia “indiretto” alle tribune Rai, nelle ultime elezioni? Silvio Berlusconi, negli studi di Saxa Rubra, uscì da una porta, e Walter Veltroni entrò da un’altra. Per tutte le elezioni i due non si incontrarono, il Cavaliere si rifiutava. La stessa cosa era accaduta nel 2001, quando il leader del centrodestra aveva dribblato Francesco Rutelli. Aveva timore che il

faccia a faccia gli facesse perdere voti. Un (futuro) deputato del Pd, Roberto Giachetti, si inventò una maschera da coniglietto inseguendo Berlusconi per tutta Italia con un cartello: “Perchè non rispondi alle domande di Rutelli?”. In nessun paese democratico occidentale sarebbe tollerata la diserzione di fronte all’avversario. Da noi è considerata una scelta furba. Veltroni, per dire, ale primarie rifutò il confronto con i

suoi sfidanti. Ma i faccia a faccia, quando si sono fatti, hanno sempre prodotto spettacolo: “A Bassolì!” gridava la Mussolini nel 1993, trascinando Santoro al suo record di ascolto. E il match Prodi- Berlusconi, davanti alla Confesercenti (su Rete4) fu un trionfo per il secondo (che perse le elezioni). Nel 2006 accade l’esatto contrario (a Prodi il match, a Berlusconi il governo). Vuoi vedere che il duello logora chi non lo fa?

IL GIALLO DEL “TRIELLO”

Veti incrociati, commissioni, regole: alla fine i tre sfidanti del Pd vanno solo su Youdem-tv di Luca Telese

nizia come un giallo e finisce per diventare un ennesimo pasticciaccio in casa Pd. Se provi a a capire come mai non si sia ancora celebrato il duello (anzi, il “triello” fra i candidati alla segreteria) scopri che anche una faccenda in apparenza semplice come un confronto fra tre sfidanti dello stesso partito, a via del Nazareno può diventare complicatissima. Così, a quattro mesi dall’apertura del match, il risultato è questo: Bersani, Franschini e Marino si misureranno una sola volta. E per di più su You dem tv, un canale satellitare di cui pochi conoscono l’esistenza. Possibile? Incredibilmente sì. Ecco perchè può essere istruttivo scoprire come si arrivi a questo stupefacente risultato. E dire che poteva essere un’occasione ghiotta: tutti i canali (Rai, Mediaset, La7 e Sky) chiedono di ospitare il confronto. E per i di-

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Bersani, Franceschini e Marino (FOTO MASSIMO DI VITA)

LA GUERRA DELLE PRIMARIE

FRANCESCHINI MASANIELLO FA INFURIARE D’ALEMA di Wanda Marra

Alema ha commissariato Bersani”, Stefano “D’ Ceccanti, uno dei fedelissimi di Franceschini, lo dice senza mezzi termini, commentando le critiche che il Presidente del Pd dirige verso il segretario. Non senza notare: “Questo è un punto a favore di Dario”. Il giorno dopo la Convenzione Nazionale del Pd, che non solo ha dato il via ufficialmente alle candidature di Bersani, Marino e Franceschini alla guida del partito, ma ha anche visto entrare nel vivo la battaglia per le Primarie, i toni si surriscaldano. E la battaglia se non proprio riaperta, dopo la netta vittoria di Bersani nel voto dei delegati, sembra un po’ meno scontata. L’impressione è che il segretario uscente abbia voluto giocarsi il tutto per tutto, con un discorso da trascinatore di popolo, in cui si ha messo sul tavolo le carte dell’antiberlusconismo “militante”e dello spirito delle Primarie, prima di tutto. In cui ha attaccato un D’Alema sempre più livido nella sua postazione in prima fila (“Vorrei dire a Massimo D'Alema che i primi a rispettare l’esito delle primarie saranno gli iscritti che continueranno ad amare il partito indipendentemente da chi vince"). E in cui ha cercato in maniera plateale la convergenza con Marino, con una dichiarazione nettissima sul testamento biologico ("La scelta di se e come lasciarsi morire deve essere affidata al paziente e se non può ai familiari ed ai medici. Lo Stato deve fermarsi fuori da quella stanza"). Con un cambio di toni, che assomiglia anche a un cambio di passo, premiato dagli applausi di una platea di delegati più favorevole a Bersani, almeno stando ai voti, il segretario in carica ha già delineato la sua strategia da qui al 25

L’ex ministro degli Esteri “commissaria” Bersani. E Marino andrà fino in fondo

ottobre: porsi come garante della forma-partito del Pd e dello strumento delle Primarie; puntare sui temi etici, cercando così di pescare nel bacino di Marino e mettere la lente d’ingrandimento sulla questione morale (forte del fatto che molti dei baroni delle tessere stanno con l’ex Ministro dello Sviluppo economico). Se questa strategia avrà effetto è un altro paio di maniche. Uno, intanto, ce l’ha avuto, ed è il nervosismo dei sostenitori di Bersani, ben descritto dalla sparata di D’Alema: “Franceschini mi attacca per andare sui giornali” e “semina zizzania”. E ancora: "Questo sistema per cui si vota due volte è chiaro che non funziona. Vogliamo eleggere il segretario nei gazebo? Come prima cosa, non votiamo più nelle sezioni; come seconda cosa, facciamo come in America dove prima si aderisce a una lista di elettori del Pd. Così non vota il primo che passa”. Questo mentre dice che il “suo” candidato avrà il 55% anche dei consensi popolari. frattempo, lo stesso Bersani quasi scompare Nmiael(seproposta non per qualche dichiarazione del tipo “la è chiara ma sinceramente non ho capito qual è la proposta della mozione di Franceschini”). E Marino, che ha incontrato il segretario domenica subito dopo la Convenzione? Non si ritira, né gli è stato chiesto di farlo da Franceschini, dicono gli uomini del suo staff, e lui stesso. Anzi. “Sì, Ignazio ha incontrato Dario. Ma gli ha detto che se vuole può iscriversi alla nostra mozione - spiega il coordinatore della campagna, Michele Meta - perché nei contenuti i veri oppositori a Bersani siamo noi. E corriamo per vincere”. Ma come? “Alle Primarie mica vanno a votare i delegati”. Se questo può sembrare un programma ambizioso, quel che è evidente è che il senatore chirurgo si pone da una parte come l’opposizione interna al Pd, dall’altra come l’ago della bilancia. E ai tentativi di Franceschini di far propri i temi etici risponde senza mezzi termini: “Ha recitato il mio disegno di legge sul testamento biologico. Purtroppo però era segretario del Pd quando Dorina Bianchi ha portato al voto il testamento biologico e per la sua assoluta assenza di leadership, al Senato si è votato in tre modi diversi".

rigenti del Pd, che lamentano sempre lo strapotere mediatico berlusconiano c’era davvero la possibilità di fare l’agenda politica e raggiungere milioni di italiani. In America, per dire, i duelli tra contendenti sono un valore aggiunto delle primarie. E invece? Invece se c’è di mezzo la sinistra italiana tutto si complica. La Telenovela del “triello” inizia a luglio quando Ignazio Marino si candida e chiede di confrontarsi con i suoi avversari: “Facciamo un dibattito in tv”. In quei giorni non sono d’accordo né Dario Franceschini nè Pierluigi Bersani (il primo si ritiene ancora favorito, il secondo è molto prudente). Alla vigilia dei congressi di sezione Marino torna alla carica: “Perchè non volete il confronto?”. Nessuna risposta. Dopo i primi voti degli iscritti la posizione di Franceschini cambia: “Sono disponibile”. Che cosa è successo? Semplice: anche lui deve rincorrere. Ma il sì del segretario è decisivo, fa sì che si apra un tavolo di trattative, con una commissione incaricata di stabilire le regole: ne fanno parte Carlo Rognoni (mariniani) Roberto Cuillo (franceschiniani) e Stefano Di Traglia (portavoce di Bersani). I primi risultati sono incredibili. Walter Verini (uomo della mozione Franceschini, direttore di You dem) propone un regolamento che pare scritto da uno degli avvocati di Berlusconi: le riprese vanno fatte con telecamera fissa; le re-

PREFERENZE

pliche sono vietate; il tempo è contingentato; la regìa non può inquadrare le facce dei contendenti quando a parlare è un altro. Alle obiezioni risponde: “Sono le regole dei duelli americani” (peccato che in quel caso si corra per la presidenza degli Stati Uniti). a il bello deve ancora venire. M Verini propone due confronti, Bersani (rivelano i franceschiniani) ne accetta un solo. Marino suggerisce di andare anche negli altri canali, l’ex ministro si rifiuta. Ma anche il chirurgo avrebbe i suoi pallini: “Quando si propone Maurizio Mannoni - rivela Piero Martino, portavoce del segretario - non so perchè dice no”. Bersani però rifiuta i vincoli della bozza-Verini: “Non faccio l’americano”. Così la commissione che avrebbe potuto sbrigare tutto in una sera torna a riunirsi una seconda volta (e una terza ieri). Il “protocollo Verini” è addolcito. Si difende Di Traglia: “Siamo stati noi a far cancellare dei divieti!”. Gli chiedi: “Ma perchè rinunciare alle grandi reti? E lui: “Nulla vieta se i canali vogliono, di prenderlo da You dem”. Roberto Cuillo scuote il capo: “Noi siamo disposti ad andare dappertutto”. Martino aggiunge: “E’ Bersani a dire no”. Ribatte Di Traglia: “Vi pare che Pierluigi abbia paura di discutere di economia o di nucleare? Piuttosto è Franceschini a dimenticare che lui e Veltroni rifiutarono qualsiasi faccia a faccia”. Rognoni: “Non poniamo veti sui conduttori”. Conclude Cuillo: “Il confronto si fa su You dem perchè era l’unico comune denominatore tra noi”. Amen

di Giampiero Calapà

Tutti le vogliono, nessuno le vota

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a prima battaglia in caso di vittoria alle primarie? Bersani non ha dubbi: “Voglio scegliere il mio parlamentare”, iniziativa per chiedere di ritornare alle preferenze. Curioso, perché in Toscana – dove i vertici del Pd e della giunta regionale sono quasi tutti di stretta osservanza dalemian-bersaniana – i democratici hanno rimesso mano alla legge elettorale, con i voti favorevoli del Pdl, soltanto per introdurre una soglia di sbarramento ammazza-nanetti (al 4%), con la scusa di diminuire le seggiole della casta (da 65 a 55), ma senza reintrodurre le preferenze. Peraltro nel 2005 Ds e Dl cancellarono qui le preferenze prima ancora che la destra ci pensasse per le elezioni politiche. Intanto i sinistri nanetti (insieme a Udc e Idv) raccolgono le firme contro la legge elettorale, senza i socialisti di Riccardo Nencini che si smarcano dalla defunta Sinistra e Libertà per accasarsi in liste uniche con il Pd.

Piroso: “Perché non vengono da noi a La7?” n dibattito in famiglia, a casa Youdem e per pochi intimi. Il terzetto in corsa per la segreteria del Partito Democratico può ripensarci. In fretta, però. Antonello Piroso offre una finestra, anzi una balconata su La7: “Ho messo a disposizione tutti gli spazi disponibili, specificando che non avrei accettato veti da uno dei tre contendenti su uno degli altri due. O tutti o nessuno. Questa è la correttezza di base. La proposta è sempre valida. Anche se credo che, alla fine, li avremo tutti e tre ma separatamente, probabilmente ad Omnibus”. Di mattina presto, l’orario non conta. Pierluigi Bersani, Dario Franceschini e Ignazio Marino - in rigoroso ordine di preferenze degli iscritti - potranno ricevere delle domande e alla bisogna rispondere. Non insieme, in fila. E le regole ferree stabilite da Youdem per il confronto? “Mi sembrano un po' cervellotiche. Come se – spiega il direttore del telegiornale de la 7 - inquadrare Marino che sorride ascoltando Franceschini, o Franceschini che scuote la testa alle parole di Bersani, o Bersani che si appisola alle dichiarazioni di Marino, possa orientare i possibili elettori. Rischia di essere un dibattito "in vitro", una "fusione fredda" di candidati. Io avrei cercato di garantire una regia equanime nella sostanza, non sclerotizzata dalla formula formule”. Piroso aspetta, ma il Pd interessa a qualcuno in tv? “A noi sì. Ma siamo all’evoluzione di una discussione che, purtroppo, sembra incuriosire solo la nomenklatura del partito, siamo ancora alla fusione”. Dalla crisi economia al lodo Alfano, dallo scudo fiscale a Patrizia D’Addario, le Primarie cascano male: “Si sono intrecciate con una fase particolarmente complicata della vita pubblica del Paese. Nel 2007 ci eravamo inventati un contenitore quotidiano apposito, "Cantiere democratico". Questa volta non siamo stati in presenza di una vera rottura, siamo alle solite. Hegelianamente parlando, si vede la tesi, si intravede l'antitesi, sulla sintesi è buio pesto. Noi siamo qui, ci facciano sapere. E intanto in bocca al lupo”.

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ca.te .


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La città nella valle del Belice e il critico d’arte in fuga dalla Giunta Moratti

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CRONACHE SICILIANE

letto alle amministrative 2008, Vittorio Sgarbi è Sindaco della città di Salemi, un piccolo centro di circa 12.000 abitanti nella valle del Belice in provincia di Trapani. Anche Salemi, nella notte del 15 gennaio del 1968, fu infatti colpita dal terremoto che uccise 236 persone. E la cui ricostruzione, al centro di una Commissione Parlamentare istituita nel 1996, ha visto l’erogazione

di fondi per oltre 4.000 miliardi di vecchie lire. Ancora oggi erogazione e ricostruzione non sono finiti. Anche a Salemi. E proprio Vittorio Sgarbi, a giugno, ha chiesto al Governo di sospendere i finanziamenti nel suo Comune. Perchè, a suo dire, i fondi venivano indirizzati a demolizioni di cui non c’era necessità. Sgarbi, a Salemi, è certo un Sindaco sui generis. Il critico d’arte ed ex parlamentare è

nato a Ferrara e la sua candidatura è stata concepita dopo che Letizia Moratti lo ha ‘licenziato’ dal Comune di Milano, dove Sgarbi era assessore alla Cultura. Dopo la cacciata meneghina, Sgarbi (sostenuto dall'Udc, dalla Dc e da una lista civica di centro) è stato eletto a Salemi al secondo turno con oltre il 60%. A inizio mandato, scelse Oliviero Toscani come assessore alla Creatività.

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Tra Sgarbi e Toscani finisce a schifio

MALTEMPO

Trombe d’aria su tutto il paese

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‘Divorzio’ tra il primo cittadino di Salemi e il fotografo, assessore alla Creatività di Alessandro Ferrucci

uello è di Cosa Nostra!”. “No, è solo un mafioso di campagna, non conta niente”. Poi una porta sbattuta, qualche gestaccio. Insulti di routine; altri un po’ più violenti. Insomma, l'intero repertorio di due personalità forti, spesso sopra le righe, da alcuni amate anche per questo: Vittorio Sgarbi e Oliviero Toscani. Il primo è sindaco di Salemi, paesino medioevale del trapanese; appena eletto ha chiamato il secondo e gli ha affidato l'assessorato alla Comunicazione e Creatività. Il sodalizio è durato appena un anno. Ora, invece, sono accuse e ‘stracci’, figlie di una reciproca delusione. Un fatto è certo: Toscani non è più assessore. Il Sindaco dice di averlo cacciato, l’ex assessore di essersi dimesso. “Non ne potevo più racconta il fotografo - In Sicilia la legalità non esiste, manca ogni concetto di Stato o di cosa pubblica. Le regole sono un optional, ognuno fa come vuole e chi dovrebbe far rispettare la legge si gira dall'altra parte. Un esempio? L'unica zona bella della città è la piazza principale. Ebbene, secondo una delibera comunale, è vietato il parcheggio. Ma nessuno rispetta il divieto. Così domenica scorsa ho lasciato la macchina in mezzo, proprio per bloccare il traffico: volevo suscitare una qualche reazione da vigili e polizia. Impossibile! Mi dicevano: 'assessò la sposti per favore'. E io a urlargli: 'No! Voglio la multa'. Non ci sono riuscito, non capivano le mie intenzioni”. Ma non è solo questo. Toscani parla anche di poteri forti, di situazioni incancrenite dal tempo o anche di peggio: “Tutto, a Salemi, gira attorno a un uomo,

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Pino Giammarinaro. È lui a comandare tutto e tutti, a decidere cosa si fa e chi lo fa. Una sorta di potere mafioso, causa di una situazione imbarazzante, spesso oltre la legalità. E Sgarbi non è in grado di arginare un bel niente. Anzi, ci convive. Pensi che prima del mio addio c'è stata una discussione feroce in Comune, con lo stesso Giammarinaro intento a volermi imporre i suoi diktat e io fermo nel 'no'. Risultato? Pino si è messo a piangere e Vittorio è corso ad abbracciarlo: non volevo crederci”. Questo è il lato “A”. Poi c'è il “B”, raccontato dallo stesso Vittorio Sgarbi. “Ha solo voluto fare la vittima della mafia. Gli fa comodo, lui ama stare sotto i riflettori. Ora tutti potranno dire: 'Toscani in fuga dalla Sicilia e dalla mafia'. Stupidaggini. Qui affrontiamo

ogni giorno i problemi di qualunque altra amministrazione pubblica: pochi soldi e tanta burocrazia. Tutto qua. La criminalità? Giammarinaro ha avuto dei problemi con la giustizia, ma fa parte di quella mafia agricola sconfitta dai tempi: non sa neanche parlare, non lo ascolta nessuno, è uno che ama solo farsi vedere. Conta come il truccatore di Annozero quando parla Travaglio”. E se “Toscani vuole insinuare che io sono un colluso, lui è un cretino. Io, qui, ho ricevuto e ricevo minacce quotidiane, intimidazioni. Ho fatto arrestare tredici pregiudicati e se qualcuno mi parla di Matteo Messina Denaro con un tono basso e remissivo, gli rispondo che è solo uno stronzo che vive in una fogna”. Al contrario “stiamo facendo cose incredibili come la mostra

Oliviero Toscani (FOTO ANSA)

di Caravaggio o il Festival del cinema religioso. Di noi hanno parlato tutte le più grandi testate giornalistiche straniere come un caso unico. Quindi...”. Quindi “la realtà è che Sgarbi e Toscani sono solo due personalità forti, innamorate di loro stessi, e poco pratiche - racconta un consigliere comunale - Due personalità che hanno dato una vetrina, ma qui i problemi sono altri”. “I problemi sono quelli di

Sgarbi - risponde il fotografo Si distrae facilmente: ogni qual volta che passava una bella ragazza, interrompeva la riunione o la discussione per andare ad abbracciarla”. “Sì, mentre Toscani - chiosa Sgarbi - continua a di parlare di Giammarinaro, dovrebbe spiegarci perché non ha mai attaccato politici di spessore come Lombardo. Gente che in Sicilia fa realmente sentire il suo potere”. Una volta erano amici.

Lombardo indagato per mafia I Pm avanzano l’archiviazione, il Gip chiede di proseguire l’indagine di Giuseppe Giustolisi

scicolo delle indagini preliminari ancora aperte in Procura. Lo scorso anno infatti, i l Presidente della Regione siciliana Pm al termine delle indagini di rito avevaRaffaele Lombardo è sotto inchiesta no avanzato richiesta di archiviazione, riper mafia a Catania. La notizia è trapelata tenendo le dichiarazioni di Avola credibili solo di recente ma Lombardo risulta ma prive dei necessari riscontri per sosteiscritto nel registro degli indagati della nere l’accusa in dibattimento. Agli inizi di Procura fin dal giugno del 2007. Il pro- quest’anno, però, il Gip Antonio Caruso cedimento nasce dalle dichiarazioni del non ha accolto la richiesta della Procura pentito Maurizio Avola, che ha raccon- ed è questa la novità dell’inchiesta - contato ai pm che Lombardo partecipava, cedendo ai Pm 120 giorni di tempo per negli anni ‘80, alle attività del boss di ca- svolgere altre indagini. Sono passati più di tanese Nitto Santapaola. Ma c’è di più. duecento giorni e il procedimento risulta Secondo le parole di Avola pare che il go- ancora pendente senza che sia stata formuvernatore siciliano si sarebbe anche in- lata né richiesta di archiviazione né richiecontrato con il boss nel corso della sua sta di rinvio a giudizio. E alla luce del contrasto fra Gip e Procura non è semplice latitanza. Il resto delle rivelazioni sono contenute in prevedere come si evolverà la faccenda. un verbale riservatissimo, inserito nel fa- Ma chi è il pentito che accusa Lombardo? Maurizio Avola è stato uno dei più spietati killer della mafia cataneNUOVE TANGENTOPOLI se, tra i fedelissimi del boss Santapaola che avevano accesso nei rifugi dove il capo indiscusso di Cosa Noa ‘tangentopoli del Sannio’ è arrivata speculazione. Le accuse dei 15 arresti stra catanese si naal punto di svolta. Ieri mattina il (oltre al Sindaco, impiegati del Comune e scondeva. Avola fu arSindaco di Telese Terme, Giuseppe imprenditori della zona) non a caso vanno restato nel febbraio 1993 dalla Polizia di D’Occhio (Pdl) è stato arrestato assieme dall’associazione a delinquere alla truffa Catania e un anno doad altre quattordici persone. Nel comune ai danni dell’ente pubblico. Ma po vuotò il sacco. Grain provincia di Benevento, D’Occhio è un nell’indagine, partita nel 2002 e guidata zie alla sue dichiarapotente di lunga data: dal 1985 ha dalla Procura e dalla Guardia di Finanza, zioni fu fatta luce sul ricoperto la carica di assessore ai Lavori le persone coinvolte sono un’ottantina. delitto eccellente del Pubblici e di primo cittadino. Tratto Dall’inchiesta emerge l’esistenza di un giornalista catanese dominante della ventennale gestione, ‘car tello’ tra amministratori, impiegati e Pippo Fava, per il qual’espansione edilizia del Comune. Nichi imprenditori per la gestione degli appalti. le da anni non si riusciva a trovare la pista Vendola, allora parlamentare di Prc, nel Sistema in cui, ovviamente, gli giusta. Avola accusò 2002 presentò su Telese Terme imprenditori ricambiavano in denaro i se stesso ed altri affiliaun’interrogazione in cui si parlava anche favori di alcuni rappresentanti della ti del clan dell’omici(E. B.) di infiltrazioni camorristiche e di pubblica amministrazione. dio, e indicò il boss Santapaola quale man-

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TELESE TERME PERDE IL SINDACO: ARRESTATO L

dante. Per il pentito scattò la condanna con giudizio abbreviato, per gli altri esecutori invece, dopo la condanna in primo grado, arrivò l’assoluzione in via definitiva. Mentre Santapaola fu riconosciuto colpevole, con sentenza passata in giudicato, di avere ordinato la morte del giornalista. vola adesso sta finendo di scontare la Adi Catania pena di trent’anni inflittagli dai giudici e alcuni anni fa gli è stato tolto il programma di protezione, per via di alcune rapine commesse nel Lazio. C’è da dire però che al pentito è stata sempre riconosciuta l’attenuante speciale prevista dalle legge per i collaboratori attendibili. Dopo un lungo silenzio, il pentito torna alla ribalta con queste nuove dichiarazioni. Per il Presidente Lombardo si tratta della terza disavventura giudiziaria, dopo le due precedenti che gli costarono anche due arresti: agli inizi degli anni ‘90 dovette difendersi dall’accusa di aver ricevuto parte delle tangenti versate dall’ex Presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini per mettere le mani sulle forniture all’Usl 35. Lombardo respinse le accuse e disse solo “di essersi limitato a chiedere assunzioni”. I giudici gli credettero e Lombardo fu assolto, anche perché il manager di Pellegrini, che aveva dichiarato di avergli versato 200 milioni, in aula, si avvalse della facoltà di non rispondere. E due anni fa Lombardo ricevette 33.000 euro di risarcimento per ingiusta detenzione. Nell’altro procedimento, in cui Lombardo era imputato di abuso d’ufficio con l’accusa di avere anticipato ad alcuni candidati i temi di un concorso bandito dalla stessa Usl 35, dopo la condanna in primo grado arrivò l’assoluzione in appello. Ma stavolta c’è di mezzo la mafia e l’affare per il governatore siciliano si complica non poco.

na ragazza di 19 anni è morta a San Vittorino Romano, dopo essere stata travolta da un albero che si è schiantato sulla sua auto. Un uomo è morto vicino a Narni colpito da un silos caduto. E la causa è il maltempo. O per meglio dire le trombe d’aria che si sono abbattute da Milano alla capitale provocando feriti, alcuni dei quali gravi, e l’affondamento di un peschereccio a Giulianova. Il cui bilancio è di due feriti e di un disperso in mare. Un aereo, inoltre, risulta disperso a largo della Corsica. Solo in provincia di Roma, gli infortunati sono centinaia. A L’Aquila, la tromba d’aria ha scoperchiato le tende nel campo di Coppito.

LAVORO E TRAGEDIE

Due morti e un ustionato grave

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ue giovani operai sono morti sul lavoro, folgorati da un cavo dell’alta tensione ad Aprilia, una cittadina vicino a Latina. Le vittime stavano spostando un ponteggio, in un cantiere edile, quando sono rimasti folgorati dal cavo dell’alta tensione. Solo due giorni fa, durante la Giornata per le vittime degli incidenti sul lavoro, il Capo dello Stato aveva denunciato queste tragedie come “inaccettabili in una società civile”. E solo ieri, oltre alla morte dei due ragazzi, una terribile esplosione si è verificata alla “Sabino Esplodenti” di Casalbordino, in provincia di Chieti. Nella mattina, un tecnico chimico di 44 anni è stato travolto da una deflagrazione mentre, assieme a un collega, stava lavorando su materiale esplosivo. Trasferito nel Centro di Pisa, l’uomo ora è in prognosi riservata con ustioni sull’85% del corpo. Il collega che stava lavorando al suo fianco ne è uscito illeso. Su entrambi i casi, quello irreparabile di Latina e il grave incidente a Chieti, i carabinieri hanno aperto le indagini. Negli ultimi 5 anni, i morti sul lavoro sono stati 7.000 e oltre 5 milioni gli infortunati.


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SUPERCONDONO

Un doppio Nobel economico per guardare oltre la crisi

IL MANUALE DEL BRAVO RICICLATORE A COSA SERVE DAVVERO LO SCUDO La vera pacchia nelle banche italiane dove gli evasori sono molto più protetti del previsto di Francesco Bonazzi

INTERVISTA

arà che ormai non fa più il fiscalista da anni e di clienti in carne e ossa ne vede pochi, ma il ministro Giulio Tremonti ignora di certo che succede là fuori, oltre le mura umbertine del palazzo di Via XX settembre. Eppure qualunque commercialista vi spiegherebbe che se in una legge si lasciano abbastanza spazi indefiniti, questa forse sembra innocua, ma poi in realtà provoca effetti devastanti. E se il tutto viene peggiorato dalle “Istruzioni definitive dell’Agenzia delle Entrate”, ufficializzate sabato, l’apertura delle stalle per il rientro dei famosi buoi-evasori raggiunge estensioni mai viste. Direttamente da prateria. Ecco allora che cosa sta realmente accadendo nelle banche italiane, secondo quanto raccontano al “Fatto Quotidiano” alcuni dirigenti che hanno la responsabilità di gestire lo scudo. Ne esce la prima collezione “Total Recycling”, autunno-inverno 2009. Oppure il nuovo manuale del Bravo Riciclatore, se vogliamo girare la faccenda dal punto di vista della “dottrina dominante”. Che oggi è quella di chi rimpatria denari e fino a ieri aveva il problema di evitare la contestazione di reati. OCCHIO ALLE SPROPORZIONI. Se il Bravo Riciclatore ha dei soldi depositati su un conto estero a nome di una società fittizia o di un prestanome, il suo denaro può essere “scudato” in Italia su un conto intestato a una persona diversa da lui e dal “mittente” estero. La banca può effettuare segnalazioni anti-riciclaggio solo se il tizio che le viene mandato avanti vuole affidarle importi “notevolmente sproporzionati al profilo economico-professionale del cliente”. Ma anche nel caso in cui la banca trovi strano che un signore che guadagna cinquantamila euro l'anno voglia rimpatriare dieci milioni, ecco che la legge aiuta il Bravo Riciclatore. Come? Da oggi non è più necessario far partire la segnalazione anti-riciclaggio se la regolarizzazione ha come “reati sottostanti” quelli tributari o il falso in bilancio. In pratica, per non essere segnalati, basta avere una qualsiasi attività economica, dalla tintoria all’autosalone alla scuola di guida (per fare esempi tratti dalle inchieste di mafia) e non dichiarare espressamente che si stanno facendo rientrare i soldi dei Corleonesi. In più, non essendoci obbligo di corrispondenza fra chi effettua il bonifico e chi lo riceve, si può finalmente riciclare su scala mondiale e non più solo da padrino a ragioniere della “mala”. Per ipotesi, se la mafia italiana volesse offrire il suo know-how a quella cinese, da oggi è tutto più facile. RIPULIRE SOLDI MAI ESPATRIATI. Se il denaro si trova in contanti in Europa, non c'è problema. Il Bravo Riciclatore deve solo compilare un modulo di rimpatrio e consegnarlo alla banca entro 48 ore dal deposito dei soldi sul conto scudato. Il trattato di Schengen non era stato pensato per questo, ma pazienza. Se invece i soldi si trovano in un paese extra-Ue, la dichiarazione viene consegnata all'ufficio doganale al momento del passaggio della frontiera. É

UN BANCHIERE RACCONTA: “SIAMO ALLIBITI, PRENDIAMO SOLDI DA CHIUNQUE”

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no spettacolo che fa venire i brividi a chiunque abbia un minimo senso della legalità. E il fatto più sconvolgente è che la legge sul nuovo scudo fiscale sta scatenando gli appetiti meno nobili delle banche”. R.A. ha cinquant’anni, ha girato mezza Europa come gestore di patrimoni e oggi è il responsabile “Clientela Privata” di una media banca del Nord. Con il “Fatto Quotidiano” ha tanta voglia di sfogarsi e chiede solo l’anonimato, “perchè come banchiere sono tenuto alla riservatezza”. Innanzitutto, avete capito come funziona il nuovo scudo? Abbiamo fatto vari corsi con fiscalisti esterni e società di gestione del risparmio. Siamo allibiti dalla quantità di cose che si possono fare. Per esempio? A me, che ho vent’anni di banca sulle spalle, fa una certa impressione vedere un bonifico che arriva dall’estero su un conto che non è neppure intestato al cliente, ma a una fiduciaria. Ma se fiutate qualcosa di strano, potete sempre fare una segnalazione anti-riciclaggio. Va bene. Ammettiamo che si abbia voglia di fare gli antipatici con un tizio che ti sta portando milioni freschi. Lo posso fare solo se vedo una sproporzione enorme tra il suo “profilo” e il cash che mi versa. Ma nessun delinquente serio manderà mai in banca un manovale a versare 10 milioni. Magari ci spedisce un imprenditore a cui chiedeva il pizzo, o che gli fa da prestanome. E poi sa qual è la cosa più incredibile?” Ce la racconti Che senso ha parlare di sproporzioni nel Paese in cui il 90% degli imprenditori dichiara meno dei suoi dipendenti? E la famosa “conoscenza del cliente”, tanto cara alle

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inutile dire che se il denaro si trova già in Italia perché magari è frutto di estorsione, traffico di droga e affini, e non si è avuto tempo o modo di farlo uscire prima, basta che il Bravo Riciclatore si presenti in banca con l’autocertificazione che i milioni provengono da un paese Ue e il gioco è fatto. Anche se i soldi non si sono mai mossi da Gela, per dire. LO SCUDO PER I POLITICI. Se il Bravo Riciclatore è casualmente un politico corrotto che vuole scudare le tangenti, la nuova legge viene incontro anche a lui. Che, vogliamo mica discriminarlo? La circolare sancisce espressamente che le persone “politicamente esposte” residenti in Italia possono usufruire dello scudo fiscale nello stesso regime di segretezza di tutti gli altri. All’estero, almeno in Occidente, non funziona così. Anzi! Una volta scudate le somme, per il Bravo Riciclatore i rischi sono bassissimi perchè il conto è “secretato”. All'Amministrazione finanziaria è impossibile sapere se un individuo ha un conto corrente presso una certa banca. Le imposte infatti non sono pagate dalla persona che scuda (altrimenti ne rimarrebbe traccia e addio “Bella Italy”), ma dalla banca in qualità di sostituto. E in caso di verifica fiscale sul Bravo Riciclatore, la banca non deve rilasciare informazioni né sull'esistenza né sull’entità del conto scudato. Quindi, se non si è individuati espressamente come mafiosi o riciclatori, non si può essere beccati neanche da un controllo casuale sui redditi. SI TORNA ALLE CAYMAN! Si possono usare i soldi scudati come meglio si crede e anche questa è una bella notizia per la “libertà di intraprendere” del Bravo Riciclatore. I milioni rimpatriati più o meno fittiziamen-

Con lo scudo l’Italia è sempre più simile al paradiso fiscale delle isole Cayman

te si possono investire in titoli, azioni e strumenti finanziari. Il bello è che a questo punto si può nuovamente mandarli all’estero. Se questa meraviglia la scoprissero in Germania, dove la ‘Ndrangheta ha già dato bella prova di sè, non ne sarebbero entusiasti. Insomma, il Festival internazionale del riciclaggio all’italiana è appena iniziato. Le porte delle banche non sono aperte. Sono spalancate per legge. E se il Bravo Riciclatore avesse ancora dubbi, alcuni istituti hanno anche messo a disposizione appositi call center. Neanche la Panama del mitico Manuel Noriega era arrivata a tanto.

Dice l’agenzia delle Entrate nella circolare che lo scudo vale anche per le persone “politicamente esposte” APPELLO

banche che dicono di privilegiare il merito di credito? Una favola che forse vale ancora nelle banche di credito cooperativo. Ma da me vengono avvocati e commercialisti che hanno studiato le circolari alla perfezione e lavorano per gente che manco conosciamo. Significa che state prendendo soldi da non si sa bene chi? Se vuole, la possiamo mettere così. Quello che trovo fantastico sono gli scenari che si aprono per la vigilanza. Ma vi immaginate che numeri da circo alla prossima ispezione di Bankitalia? Arrivano gli ispettori di Via Nazionale e se ci chiedono di chi è un certo conto dalla movimentazione sospetta, noi gli si dice che è tutta roba scudata. Si dedicheranno ai mutui dei poveri cristi. Però la Banca d’Italia ha assunto con la Bce compiti di anti-riciclaggio. Certo, ma sui capitali scudati salta tutto. Possiamo respingere anche la Guardia di Finanza se non viene con un mandato della magistratura. E il mandato dev’essere nominativo. Beh, questo è lo stato di diritto... Sarà, ma quando le autorità Usa bussano alle banche svizzere, come stanno facendo da mesi, mica chiedono se per caso Mister Paul Smith ha un conto alla tal banca di Zurigo. Vogliono i nomi di tutti i cittadini americani e basta. Vogliamo dire che non sanno che negli Usa non sanno cos’è la democrazia? Vi sentite tra banche quando avete un sospetto? Ma per carità! Lo scudo è mica una pratica di co-finanziamento. Se arriva gente che vuole versare una decina di milioni li si prende e basta. Il fatto è che con una legge fatta così, in un periodo in cui manca il contante, si spingono le banche a farsi la concorrenza più spietata sui soldi che rientrano. (fra. bon.)

di Superbonus

CARO DRAGHI, CI SALVI LEI uesta mattina Mario Draghi terrà una lezione al Collegio Carlo Alberto di Moncalieri in ricordo di Onorato Castellino, un economista serio e per bene. Non sappiamo se qualche ragazzo chiederà al governatore di Bankitalia che cosa pensi dello scudo fiscale. Sarebbe bello, però, che in Via Nazionale si riflettesse sui danni sostanziali e reputazionali che questa legge, e soprattutto la circolare dell’Agenzia delle Entrate, creano al nostro Paese. Il manuale del Bravo Riciclatore “scudato” che leggete in questa pagina è purtroppo frutto della prassi bancaria dell’ultima settimana. Ogni

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giorno, arrivano clienti che chiedono di far rimpatriare soldi mai usciti; oppure svuotano cassette di sicurezza e pretendono di ripulirne il contenuto. E’ uno spettacolo indecoroso. Noi banchieri non siamo quei mezzi gangster che molti dipingono e a non tutti piace trasformare le filiali in dépendance delle Bermuda. Spesso diciamo “no” ai clienti, ma certo, se la Banca d’Italia emettesse una circolare capace di stringere le maglie che l’agenzia delle Entrate ha aperto, saremmo più orgogliosi di essere italiani. E di avere un galantuomo come Draghi alla guida del Financial Stability Forum.

il Nobel per Qre uest’anno l’economia poteva andaal molti economisti che avevano previsto la crisi o, almeno, ne avevano colto la natura più profonda. Da Robert Shiller a Kenneth Rogoff a Nouriel Roubini. Invece l’accademia di Stoccolma ha diviso a metà la medaglia e l’ha assegnata a due professori le cui idee saranno utili quando il dibattito economico tornerà a occuparsi del mondo dopo la grande recessione e di temi diversi dai mutui subprime e dai credit default swap. Il Nobel all’Economia va per la prima volta a una donna (quello degli economisti è un club molto maschile), Elinor Ostrom, 76 anni dell’Univeristà dell’Indiana. La Ostrom si occupa di risorse comuni (soprattutto quelle naturali) cui è difficile associare un prezzo perché sfuggono ai diritti di proprietà individuale. Il contributo della Ostrom è stato dimostrare come il modello più efficiente non sia per forza l’accentramento burocratico, in cui le decisioni le prende un’autorità dall’alto, oppure l’altro estremo, la privatizzazione. Applicando le scienze cognitive all’economia, la Ostrom ha dimostrato come i soggetti che devono gestire un bene comune spesso sviluppino meccanismi di auto-organizzazione più efficienti di quelli imposti dall’esterno. Un segnale così l’ha letto anche Robert Shiller - che anche all’accademia di Stoccolma è finita l’egemonia culturale dell’econometria che aveva ridotto l’economia a una branca della statistica. Tornano a essere importanti le interazioni e le caratteristiche dei singoli e delle comunità, non solo la razionalità e la massimizzazione dell’utilità alla base dei modelli neoclassici. L’altra metà del Nobel è andata a Oliver Williamson, 77 anni, un professore dell’Università dell’Indiana, che ha studiato un problema decisivo in questi anni di globalizzazione: perché esistono le imprese conglomerate? Quanto e come bisogna esternalizzare e quanto produrre all’interno? Williamson si è occupato di temi simili a quelli che hanno fruttato il Nobel a Paul Krugman lo scorso anno. Come la geografia e il contesto determinano l’assetto dei gruppi industriali. In pillole: quando il contesto per il business è favorevole e tutto funziona, è meglio comprare beni e servizi sul mercato. Quando l’ambiente è più ostile e le relazioni con l’esterno più difficili, allora meglio produrre tutto dentro le mura della stessa fabbrica. Anche questa metà del premio serve a dimostrare che Stoccolma ha imparato la lezione della crisi: il mondo è più complesso di quello che risulta dagli eleganti modelli matematici popolari negli atenei anglosassoni (e pure alla Bocconi). (Ste. Fel.)


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IMPRESE E POLITICA

Un’azienda veneta di abbigliamento

Così si ferma la locomotiva del Nord-Est

L’AGONIA SILENZIOSA DEL VENETO di Erminia

Della Frattina Padova

er tutta l’estate la domanda è stata se le aziende del Veneto – considerato fino a ieri la locomotiva del Paese assieme alla Lombardia - avrebbero riaperto i cancelli. La risposta ora è: si, li hanno riaperti, ma a metà. Con ordinativi in caduta libera, export a -20 per cento nel secondo trimestre 2009 rispetto allo stesso periodo 2008, e produzione industriale diminuita del 19 per cento nel primo semestre 2009. Il tutto, pur facendo ricorso in massa agli ammortizzatori sociali. Con un picco vertiginoso a settembre, mese in cui la cassa integrazione in Veneto ha sfiorato davvero valori record, mai raggiunti finora: oltre 9 milioni di ore (9.259.406 per l’esattezza) di cassa integrazione, con una progressione impressionante delle ore di cassa straordinaria, passate dalle 270mila di gennaio ai 4 milioni e 913.634 di agosto. In tutto, le ore di cassa integrazione autorizzate da inizio anno a oggi hanno toccato quota 51.160.805. «Sono dati veramente impres-

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sionanti – è il commento a caldo del segretario generale della Cgil del Veneto Emilio Viafora – e soprattutto emerge l’evidenza di un fenomeno grave, il fatto che molte aziende del territorio una volta che hanno esaurito le ore di cassa integrazione ordinaria, invece che tornare alla normalità in ambito lavorativo sono passate alla cassa straordinaria, dovendo dichiarare ovviamente lo stato di crisi». Una situazione pesante, che rischia di far crescere in maniera esponenziale da qui alla fine dell’anno, e nei prossimi mesi del 2010, il numero dei dipendenti in mobilità. Sembra però che in Veneto questo rimanga un problema un po’ “sommerso”: aldilà dei monitoraggi e delle rilevazioni ufficiali (e sconosciuti ai più) redatti dalla Regione Veneto e da qualche centro studi, se ne parla molto poco. Se ne occupano relativamente poco gli organi di stampa nazionali, se non nella solita lettura che coinvolge banche e difficoltà di accesso al credito. Se ne occupano poco le associazioni di categoria (impegnate anzi a cercare al microscopio tracce minime di fenomeni

incoraggianti), mentre la Regione rincorre a fatica i (pochi) fondi messi a disposizione dall’Unione europea (le cosiddette “misure anticrisi”) distribuendole agli enti formatori locali, talvolta un po’ a braccio. «La crisi c’è eccome ed è pesante – insiste invece il segretario Viafora e ci vede pagare lo scotto dell’inadeguatezza delle misure adottate fin qui dal governo. Nei prossimi mesi dobbiamo attenderci pesanti difficoltà, soprattutto nei comparti della piccola e piccolissima impresa, con il pericolo di vedere vanificati gli sforzi di tanti imprenditori che hanno usato tutti gli strumenti possibili per mantenere in vita i rapporti di lavoro». A chi accusa i sindacati di fare spesso la parte delle Cassandre, replicano i numeri di un Pil regionale 2009 in calo del 5,1 per cento rispetto all’anno precedente (proiezioni Prometeia), o delle 682 aziende che nel solo mese di agosto

hanno aperto le procedure di crisi, coinvolgendo 16.438 lavoratori. A metà anno, il numero delle aziende che hanno avviato procedure di crisi è già raddoppiato rispetto all’intero 2008. Insomma, i cancelli delle aziende venete si sono riaperti, è vero, ma pagando prezzi altissimi alla crisi in

A metà del 2009 le aziende che hanno avviato procedure di crisi erano già il doppio che nell’intero 2008

corso, con un calo degli occupati di 115mila unità rispetto al giugno 2008, e una contrazione netta delle assunzioni, scese del 24,8 per cento (tradotto in cifre sono 105.182 assunzioni in meno rispetto al 2008). Oggi in Veneto le persone in cerca di occupazione sono 107mila (ben 28mila in più rispetto al giugno 2008). E davvero sembrano passati millenni da quando, fuori dai cancelli di capannoni, aziende e aziendine costruite “alla selvaggia” nelle zone industriali dei paesi veneti, c’erano appesi un’infinità di cartelli con scritto: cercasi operai, offro lavoro, cercasi manodopera. Eppure, era soltanto qualche anno fa.

LA LEGGE CHE HA INNESCATO LA GUERRA TRA IMPRENDITORI E ARTIGIANI Venezia

adania is not Italy”, “Secessione “P subito” e molto altro ancora. Oltre 30.000 leghisti hanno invaso Riva degli Schiavoni a Venezia il mese scorso, per l'annuale appuntamento con la Festa dei Popoli (padani). Ma il Veneto, terra di partite Iva, piccole e micro-imprese e solido bacino elettorale leghista, non ci sta proprio a veder intaccato il marchio “Made in Italy” per le proprie produzioni, di design e alta qualità. E nel Consiglio dei ministri la battaglia (per ora vittoriosa) a difesa del marchio 100 per cento italiano è stata condotta proprio dalla Lega Nord, con Roberto Calderoli e Luca Zaia. I piccoli imprenditori si sono così imposti sul ministro dello Sviluppo Claudio Scajola, più sensibile alle esigenze delle grandi imprese. Tutto inizia in estate con l'approvazione della legge 99/2009, che rivede una norma contenuta nella Finanziaria 2004 e impone di scrivere il luogo di fabbricazione dei prodotti. I grandi marchi si sono subito opposti, preoccupati che l'obbligo di indicare il luogo di fabbricazione (spesso “Made in China”) potesse danneggiare le vendite. E hanno preso di mira il principio contenuto nell’art. 17 della norma perché in presunto contrasto con la normativa europea. Per un po' il governo è sembrato assecondare le richieste dei grandi,

rimandando più volte il nuovo decreto. Poi la linea della Lega Nord è passata e la scorsa settimana è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale: “Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come Made in Italy, quando il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano”. I piccoli hanno vinto. “Dietro il nuovo articolo della legge 99 si intravede il focolaio di una guerra fra piccola e media impresa, fra artigiani e imprese industriali, come se i due modelli fossero antagonisti e non complementari – ha commentato Stefano Micelli, professore di Economia e gestione delle imprese alla Ca’ Foscari di Venezia – ma ha davvero un senso fomentare questa opposizione? Io credo di no. Immaginare che le nostre aziende di moda siano in contrapposizione con gli artigiani che mettono a punto campionari e prime serie è sbagliato. Le medie imprese hanno bisogno di artigiani all’altezza della tradizione italiana e gli artigiani guadagnano dal confronto con la media impresa”. Una vittoria della Lega Nord dunque, con buona pace dei gran-

di marchi e dei loro referenti politici. Per ora. Il governo ha deciso infatti di intervenire sulla materia con un decreto, che deve essere riconvertito in legge entro 60 giorni dal parlamento. In questi giorni l'iter prosegue nelle commissioni del Senato. Le aziende del sistema moda chiedono che il ministro Claudio Scajola “non stravolga la legge”. “Siamo pronti a lottare per difendere il nostro sistema produttivo basato sulla qualità - dichiara Franco Brunello, bellunese, neo eletto vice-presidente nazionale di Federmoda - combattendo le contraffazioni e valorizzando l'elevata qualità delle nostre aziende”. Oltre alla moda (tessile, abbigliamento, concia e calzature che raggruppano nella regione circa 8.000 aziende) sono coinvolti dalla normativa sul “Made in” anche i settori legno e mobili (10.334 aziende), gomma e plastica (666), lavorazione minerali non metalliferi (1.966), meccanica (14.518), apparecchi medicali e occhialerie (2.104). Si sono fatti sentire anche i presidenti di Confartigianato Veneto, Claudio Miot-

Se passa questo provvedimento, i grandi marchi italiani dovranno scrivere “made in China”

dc

La vera secessione di Stefano Feltri

ministro Giulio IierilTremonti ha fatto sapere al “Mattino” che giovedì si discuterà sul serio della Banca del Sud (o del Mezzogiorno) in Consiglio dei ministri. Eppure il ministro sembra un po’ fuori sincrono rispetto ai problemi del Pdl: in questo momento il Partito del Sud è mansueto, mentre è quello del Nord che dovrebbe inquietare la maggioranza. Non stiamo osservando la ciclica riemersione della “questione settentrionale” che di solito si risolve con qualche promessa sugli studi di settore, un po’ di mano libera sull’evasione e qualche rigurgito identitario. La recessione sta creando una frattura tra la classe dirigente del centrodestra e il suo popolo: le ripetute negazioni della crisi da parte di Berlusconi - e Tremonti - funzionano in televisione, ma scavano un solco nel territorio tra gli imprenditori che scoprono la cassa integrazione e un governo che dice “l’Italia sta meglio degli altri e si sta già riprendendo”. la questione stia per Cfattoheesplodere lo dimostra il che anche “Il

MADE IN ITALY

di Nicola Brillo

IL FATTO POLITICO

to, e Cna del Veneto, Oreste Parisato: “Se si vuole ridiscutere la legge sul Made in Italy siamo pronti al dialogo purché non sia un modo per tornare al Far West sulle indicazioni di origine e agli inganni nei confronti dei consumatori”. A battersi anche il presidente di Confartigianato di Venezia, Giuseppe Molin: “Apporre il marchio Made in Italy a prodotti non fabbricati in Italia ha un solo nome: contraffazione”. La crisi batte duro sul settore orafo: -45 per cento di fatturato nel primo semestre dell'anno, molte le chiusure. L'orafo artigiano è a “rischio estinzione e il Made in Italy garantito è l'unica àncora di salvezza”. Onorio Zen, presidente veneto delle aziende orafe di Confartigianato: “Occorre tutelare quel Made in Italy che lo è davvero, non come certi prodotti che arrivano dall’Oriente”. Situazione grave anche per la meccanica veneta: ogni giorno chiudono cinque aziende artigiane. “Il nostro lavoro merita un'identificazione chiara e la nuova legge sul Made in Italy va in questo senso”, conclude Loris Gasparini, presidente di Cna Produzione-Meccanica Veneto. Da queste parti il “Made in Padania” non interessa a nessuno.

Giornale” stia dando grande spazio alla rabbia dei padroncini, mascherata da adesione all’appello “contro l’Italia di ‘Repubblica’ e dei furbi”. Ma, nonostante le grandi foto di Carlo De Bendetti che corredano gli articoli, il bersaglio ultimo è Berlusconi. Sono critiche tanto più pericolose perché si tratta di fuoco amico, attacchi che trovano ampio spazio anche sul “Corriere della Sera”, di cui hanno scalato il sommario conquistando la prima pagina (e si può immaginare il disappunto di Tremonti, che al “Corriere” è sempre molto sensibile). É passata quasi inosservata, ma l’intervista al “Piccolo” (Trieste) di sabato di Emma Marcegaglia, assai meno filogovernativa che sulla stampa nazionale, dimostra che anche in Confindustria c’è la consapevolezza di quello che non è più un malessere diffuso ma un’emergenza di categoria. “Ci sentiamo abbandonati”, diceva la Marcegaglia. utto questo precipita Tprossime politicamente nelle elezioni regionali del Veneto: il Pdl e Berlusconi continuano a dire che il candidato di destra è Giancarlo Galan, ex Forza Italia. Ma corrono un grosso rischio: secondo attenti osservatori degli equilibri di potere veneti, sta cadendo la pregiudiziale a un’alleanza tra Lega e Pd. E i leghisti sono pronti a tutto pur di avere la guida di una regione che sentono spettare loro di diritto. Se i piccoli imprenditori si staccano dal Pdl, finiscono tra le braccia di Bossi. Ed è questa la vera secessione di cui deve (pre)occuparsi il governo.


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Martedì 13 ottobre 2009

PIAZZA FONTANA

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PERCHÈ I COLPEVOLI NON VERRANNO MAI PUNITI Depistaggi, testimoni sottratti, prove cancellate. E una certezza: la pista che porta al terrorismo nero

Quarant’anni dopo la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) e vent’anni dopo la caduta del Muro, la verità sulla guerra politica segreta combattuta in Italia tra gli anni Sessanta e gli Ottanta resta ancora indicibile. Chi sa, dentro la politica e dentro gli apparati della Stato, tace. Chi è stato coinvolto nega. I processi sulla stagione dell’eversione nera non hanno quasi mai portato a condanne definitive. Ma davvero restano insoluti i cosiddetti “misteri d’Italia”? No, risponde il libro “Il grande vecchio”, scritto da Gianni Barbacetto e appena uscito per la Bur Rizzoli. Malgrado non siano state dimostrate processualmente le responsabilità individuali, la strategia delle stragi è ormai chiara, si sa quali sono i gruppi eversivi responsabili degli attentati, quali gli apparati dello Stato coinvolti nei depistaggi. Come dice nel libro Libero Mancuso, ex magistrato a Bologna, «ci avete sconfitti, ma adesso sappiamo chi siete». Ecco una parte del capitolo dedicato all’ultimo processo sulla strage di piazza Fontana. di Gianni

Barbacetto

L’ L’AUTORE

I MISTERI D’ITALIA Nato a Milano nel 1952, è un giornalista e scrittore italiano. Laureato in Filosofia, ha lavorato a Radio Rai, poi ha collaborato al quotidiano Bresciaoggi, a Linus e a tante altre testate. Ha coordinato la redazione del programma di Michele Santoro, "Annozero" (Raidue). Ha collaborato con Carlo Lucarelli per la realizzazione di "Blu notte" (Raitre). Ha pubblicato diversi libri-inchiesta. Si ricordano: “Milano degli scandali” (1991) ; “Mani pulite - La vera storia” (2002); "B. Tutte le carte del Presidente" (2004); “Compagni che sbagliano. La sinistra al governo e altre storie della nuova Italia”.

ENORME MOLE di materiali raccolti dal giudice Guido Salvini nella sua inchiesta dei primi anni Novanta passa ai sostituti procuratori Grazia Pradella e Massimo Meroni che portano le prove raccolte al nuovo processo per piazza Fontana: l’ottavo. Sono passati trent’anni dai fatti, è difficile che la verità si possa affermare in un tribunale. Freda e Ventura sono ormai improcessabili, perché già assolti in via definitiva. Assolto in precedenza anche Massimiliano Fachini, esponente veneto di Ordine nuovo, organizzatore nel 1973 di un viaggio che portò una trentina di neofascisti ad addestrarsi per un mese in un campo dei cristiano-maroniti in Libano. Assolti definitivamente, e dunque improcessabili, anche i romani di Avanguardia nazionale Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino. Eppure la Corte d’assise di Milano cerca di ricostruire il tessuto strappato che tre decenni dopo viene portato davanti ai giudici. Nel luglio 2001, la sentenza: condanna all’ergastolo per Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni. Zorzi è in Giappone, imprendibile. Il suo avvocato, Pecorella, è a sua volta indagato con l’accusa di aver aiutato il suo cliente a tentare di corrompere un testimone, Martino Siciliano, a cui sono promessi 150 mila dollari per convincerlo a ritrattare le sue accuse. «In Italia non c’è la volontà politica di ottenere davvero l’estradizione di Zorzi» denuncia in un’intervista dopo la sentenza il pubblico ministero Massimo Meroni. «Dal nostro governo non è partito alcun segnale verso il Giappone». Come mai questo disinteresse? «Posso fare alcune ipotesi», risponde Meroni, «l’avvocato di Zorzi è lo stesso di Berlusconi». Sì: nel 2001 dentro il governo italiano e nella maggioranza che lo sostiene ci sono ben due difensori di condannati in primo grado nel processo per piazza Fontana. Gaetano Pecorella, avvocato di Zorzi, è consigliere di Berlusconi, suo legale, nonché presidente della Commissione giustizia della Camera. Carlo Taormina, avvocato di Maggi, è

uy IL 12 DICEMBRE 1969 SCOPPIA LA BOMBA DI MILANO xvy 17 MORTI E 88 FERITI INIZIA LA STRATEGIA DELLA TENSIONE xwy NELLO STESSO GIORNO SI CONTANO CINQUE ATTENTATI xxy GLI INQUIRENTI PENSANO SUBITO ALLA PISTA ANARCHICA x

deputato di Forza Italia ed è stato sottosegretario all’Interno, fino alla sua burrascosa uscita di scena nel dicembre 2001. Le dichiarazioni di Meroni non smuovono il governo. In compenso Mario Serio, membro del Consiglio superiore della magistratura ed esponente di Forza Italia, chiede al Csm di aprire un procedimento disciplinare contro Meroni.

IN APPELLO IL VERDETTO È RIBALTATO La sentenza d’appello, il 12 marzo 2004, ribalta la situazione. Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni sono assolti, malgrado l’impegno dell’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore generale Laura Bertolè Viale. Poi la Corte di cassazione, il 3 maggio 2005, conferma le assoluzioni chiudendo per sempre la speranza di riuscire a stabilire una verità processuale. Dopo 36 anni, quattro inchieste e 12 processi, la strage di piazza Fontana non ha colpevoli. Quella bomba, la sera del 12 dicembre 1969, strappò l’innocenza all’Italia e la gettò dentro una storia di stragi e depistaggi, tentati golpe e misteri insoluti. Finiti i processi, pronunciate le sentenze, esaurite le indagini, smarriti i fili delle spiegazioni. I morti seppelliscano i morti. L’unica finestra che resta aperta è quella da cui cadde Pino Pinelli, ferroviere anarchico. Per il resto, si rinunci a conoscere la verità, in nome del popolo italiano. Ma è proprio così? Attenzione: delle sentenze è bene non leggere solo l’ultima parolina («assol-

andare fino in fondo: ha frenato, anche se nel contempo ha coperto gli eversori. Ai volonterosi funzionari del partito del golpe ha garantito impunità, però li ha bloccati: ha approfittato di chi voleva destabilizzare per, al contrario, stabilizzare. L’avventura non ha potuto diventare tragedia assoluta. Anche perché il Paese ha reagito: non ha creduto alla pista nera, è sceso in piazza a difendere la sua democrazia. Fin dal giorno dei tremendi funerali delle vittime del 12 dicembre, con piazza Duomo silenziosa e gremita di operai dell’Alfa e di mille altre fabbriche, con il sindaco di Milano Aldo Aniasi, il partigiano Iso, che indicava la linea di una nuova Resistenza al rinnovato, oscuro attacco. Trentasei anni dopo, le assoluzioni hanno chiuso la possibilità di raggiungere una spiegazione definitiva di quell’attacco. Eppure con le ultime sentenze non è arrivata alcuna pista alternativa. Nessuna spiegazione diversa è stata fornita per la strategia delle bombe. «In nessuna sentenza si ipotizza che le responsabilità possano essere individuate altrove», constata il giudice Salvini, il principale protagonista dell’ultima stagione processuale. «Questo altrove poteva essere il gruppo anarchico di Pietro Valpreda, obiettivo probabilmente predestinato delle prime indagini. Oppure il Kgb o il gruppo di Giangiacomo Feltrinelli, solo per citare ipotesi fantasiose che ogni tanto qualcuno sulla stampa ha ancora il coraggio di riesumare, fingendo di non vedere le migliaia di atti che hanno dato una paternità politica definitiva a quegli eventi. No: la destra eversiva è il luogo politico e operativo di maturazione delle stragi. Nessuna sentenza, nemmeno per motivare l’assoluzione dei singoli imputati, indica – neppure come solo plausibili – piste alternative». Non è alternativa, almeno per quanto riguarda il progetto complessivo all’origine della strage, neppure l’ipotesi presentata, nel 2009, dal libro-inchiesta di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di piazza Fontana (Ponte alle Grazie). Cucchiarelli, sulla base di una minuziosa e preziosissima analisi dell’esplosivo, dei timer, delle borse, arriva alla conclusione che le bombe nella Banca nazionale dell’agricoltura fossero due: una, innocua e dimostrativa, messa da Pietro Valpreda, e una, mortale, portata dai fascisti di Ordine nuovo. Questo spiegherebbe anche alcune dichiarazioni di Digilio, che vede con i suoi occhi in Veneto, prima della strage, esplosivo diverso dalla gelignite, posto in cassette metalliche di tipo militare. Spiegherebbe anche un foglietto trovato a Giovanni Ventura su cui era scritto «Vitezit 30»: è il nome di un esplosivo plastico di origine jugoslava, ben più potente e forse usato

La regia è nelle mani degli apparati di Stato; gli esecutori sono Ordine nuovo e Avanguardia nazionale to»). Così, anche nelle sentenze che mandano assolti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e i loro camerati, prima dell’ultima parolina ci sono decine e decine di pagine che spiegano, collegano, confermano. La Cassazione nel 2005 assolve, ma richiamando il secondo comma dell’articolo 530 del Codice di procedura penale, quello che impone di prosciogliere gli imputati in presenza di prove incomplete o insufficienti. Incomplete, ma non prive di valore. Non solo. La sentenza conferma che la strage del 12 dicembre 1969 e molti degli attentati che la prepararono hanno inequivocabilmente la firma di Ordine nuovo: il gruppo neofascista fondato da Pino Rauti aveva progettato una campagna d’attentati per creare un clima di tensione, per gettare il Paese nella paura e nel caos. Le bombe dovevano risultare rosse, figlie di quello stesso variegato movimento che stava mettendo sottosopra le scuole, le università, le fabbriche, i quartieri, perfino le chiese... Quelle bombe avrebbero innescato e reso inevitabili una svolta autoritaria, una virata politica, un intervento militare. In nome della democrazia, dell’Occidente, della lotta al comunismo. Poi però qualcosa si è inceppato: il golpe, più volte tentato dal 1969 al ’74, non si è mai realizzato. Una parte dello Stato ha avuto paura di

per la seconda bomba, quella micidiale.

IL COINVOLGIOMENTO DEGLI UOMINI D’ORDINE NUOVO Anche l’eventuale coinvolgimento di Valpreda e del suo gruppo, pesantemente infiltrato dai fascisti e dai servizi, non cambia il quadro complessivo dell’operazione 12 dicembre 1969, con ben tre bombe (e forse più) preparate per esplodere a Milano e tre per Roma: la regia resta saldamente nelle mani degli apparati di Stato, gli esecutori restano gli uomini di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale. In verità, anche dopo le assoluzioni, per piazza Fontana un colpevole c’è. Si chiama Carlo Digilio, detto zio Otto. La sentenza di primo grado dichiara Digilio colpevole della strage e, come stabilisce la legge, fa scattare in suo favore la prescrizione, poiché ha confessato le sue responsabilità e collaborato con la giustizia. Né la sentenza d’appello, né quella della Cassazione riformano quella condanna: dunque Digilio non è un pazzo che si è autoaccusato. Il suo racconto non è una favola. «E Carlo Digilio non era un anarchico, né un agente del Kgb, né un seguace di Feltrinelli», commenta Salvini. «Era il “quadro coperto” di Ordine nuovo che si occupava della logistica e per questo era già stato condannato in passato per il reato di banda armata». Certo, la sentenza d’appello stabilisce che le accuse di Digilio ai suoi camerati non sono sufficientemente riscontrate. Osserva che in alcuni casi lo zio Otto (ormai vecchio e malato) si è contraddetto. Ritiene in particolare di non poter considerare del tutto provati gli incontri tra Digilio e tre camerati, Zorzi, Ventura e Marco Pozzan, in un casolare di Paese, in provincia di Treviso; né l’incontro tra Digilio e Zorzi a Venezia, in Canal Salso, la sera del 7 dicembre 1969. Dunque assolve i singoli imputati (tranne Digilio), pur ritenendo storicamente solida la spiegazione della strage.

NUOVE PROVE PER OGGETTIVE RESPONSABILITÀ C’è di più. C’è un’altra «virtù segreta» di un «lavoro inutile» che inutile non è stato: «Le stesse sentenze d’assoluzione per gli ultimi imputati» dice Salvini «scrivono che nei confronti di Franco Freda e Giovanni Ventura sono emerse con le nuove indagini prove che, se fossero state disponibili vent’anni prima, avrebbero portato

L’interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura dopo l’esplosione della bomba. Sono le 16.37 del 12 dicembre 1969

all’affermazione della loro responsabilità». Freda e Ventura sono i neri del gruppo padovano di Ordine nuovo, in stretto contatto con il gruppo veneziano di Maggi e Zorzi. Sono loro che comprano, in un negozio di Padova, le borse usate per l’esplosivo degli attentati del 12 dicembre a Milano e Roma. Sono loro che acquistano, a Bologna, i timer delle bombe. Dopo Valpreda, sono portati a giudizio e processati per la strage di piazza Fontana. Ma sono infine assolti, seppur per insufficienza di prove. Così oggi non sono più processabili. Eppure la loro colpevolezza è ora storicamente provata, anche se non è più traducibile in una sentenza di condanna. Curiosa situazione: in Italia circolano persone che sono come i centauri, né pienamente uomini, né interamente cavalli: dentro la storia delle stragi, ma innocenti per sentenza di Stato.

terventi dall’alto. Autori: gli apparati dello Stato, che come abbiamo visto covavano le nidiate di giovani nazisti, li utilizzavano, li proteggevano. Solo un paio di ulteriori esempi. Marco Pozzan era un semplice bidello di una scuola di Padova, eppure per lui si scomodano i vertici dei servizi segreti. Per aver frequentato i neofascisti padovani, era venuto a conoscenza di qualche segreto che non aveva saputo mantenere. Interrogato dal primo giudice che rivolge le indagini verso i neofascisti, il giudice istruttore di Treviso Giancarlo Stiz, Pozzan si era lasciato andare. Aveva coinvolto nella storia perfino Pino Rauti, che era appena tornato a ripararsi sotto l’ombrello del Msi di Giorgio Almirante. Così il 15 gennaio 1973 il bidello Pozzan viene caricato su un aereo con un passaporto falso e mandato all’estero. Biglietto e passaporto sono gentilmente offerti dagli uomini del Sid, il servizio segreto militare: il capitano Antonio Labruna e il generale Gian Adelio Maletti. Lo stesso Sid aveva, tra i suoi informatori, la «fonte Turco». Era un neofascista di Padova, senza nome. Nel 1975 stava cominciando a raccontare le gesta dei suoi camerati. Subito il generale Maletti, in un rapporto scritto a mano e sepolto negli archivi del Sid, annota che la «fonte Turco» voleva «scaricarsi la coscienza». E conclude: «Bisogna subito chiudere la fonte». Vent’anni dopo, Salvini trova le conferme: scopre il rapporto di Maletti, dà un nome a «Turco» (Gianni Casalini) e lo interroga. Casalini conferma: faceva parte della cellula padovana di Ordine nuovo; aveva partecipato personalmente, inviato dal gruppo Freda, ad alcuni degli attentati preparatori della strage di piazza Fontana, quelli dell’8 agosto 1969 alla stazione centrale di Milano; sapeva che il gruppo padovano si riforniva di armi ed esplosivo da quello veneziano; si era deciso a riferire agli uomini del Sid, ma questi erano spariti. «Aveva sbagliato porta» commenta Salvini.

“Gli apparati istituzionali cercarono solo all’ultimo momento di ridurne gli effetti” Accertata la responsabilità di Freda e Ventura, i giudici hanno poi analizzato il ruolo di Maggi e Zorzi e i loro rapporti con i padovani. «Ritiene il Collegio dimostrato che: Delfo Zorzi fu a capo di un gruppo eversivo costituito a Venezia-Mestre; tra il gruppo di Padova, rappresentato da Freda e che comunque aveva come ulteriori figure di riferimento Giovanni Ventura e Massimiliano Fachini, e quello di Venezia-Mestre, di cui erano esponenti sia Maggi che, particolarmente, Zorzi Delfo, vi furono rapporti protratti nel tempo; la datazione di questi rapporti risale sicuramente agli anni 1967-68, prolungata sino ai primi anni Settanta; la qualificazione dei medesimi rapporti nel senso eversivo.» Dunque la verità era quella scritta sui muri, fin dagli anni Settanta: la strage è nera. I responsabili sono dentro le cellule di Ordine nuovo di Padova e Venezia. «È certo che l’attentato fu opera dei gruppi neonazisti,» dice Salvini «come la maggior parte della società civile aveva compreso già all’indomani della strage, superando, in termini di consapevolezza, le ambiguità del mondo politico». Ma è anche «strage di Stato», come quei muri indicavano? Qui il percorso si fa più difficile. Non c’è alcuna prova di un mandato dei politici. Ma ci sono, e provati, i depistaggi: una serie infinita di testimoni sottratti, di prove cancellate, di in-

IL MINISTRO TAVIANI RICORDA Fuori dai processi, poi, c’è la testimonianza di Paolo Emilio Taviani, ex ministro dell’Interno, l’unico politico, tra quelli che sanno, ad aver parlato, ad aver detto almeno qualcosa. Nel 2000 rivela di aver saputo nel 1973 che la bomba di piazza Fontana non doveva fare vittime:

«Avrebbe dovuto essere un atto intimidatorio come lo furono quelli contemporanei di Roma» cioè le bombe che il 12 dicembre 1969 scoppiano nella capitale, all’Altare della patria e alla Banca nazionale del lavoro. «Non posso credere che un colonnello abbia potuto dare l’ordine di uccidere tanti italiani» aggiunge Taviani davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi. Ma qualcosa quel giorno non funziona. Racconta Taviani: «La sera del 12 dicembre 1969 il dottor Fusco, un agente di tutto rispetto del Sid, defunto negli anni Ottanta, stava per partire per Milano con l’ordine di impedire gli attentati. A Fiumicino seppe dalla radio che una bomba era scoppiata. Da Padova a Milano si mosse, per depistare le colpe verso la sinistra, un ufficiale del Sid, Del Gaudio. Questi due dati sono indizi, se non prove, di atteggiamenti contrastanti nello stesso Sid. In alcuni settori del Sid e dell’Arma di Milano e di Padova vi furono deviazioni». Dunque, secondo Taviani, da Roma si era mosso l’agente del Sid Matteo Fusco di Ravello, che doveva portare a Milano «l’ordine di impedire attentati terroristici». Ma troppo tardi: la bomba collocata nel salone della Banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana scoppia prima che Fusco riesca a prendere l’aereo a Fiumicino. L’ordine non arriva in tempo. Ordine? Ma questo è un termine militare che si può usare propriamente solo quando esistono catene di comando e disciplina politico-militare. Quando c’è, appunto, un «colonnello» in grado di dare «l’ordine di uccidere tanti italiani». O almeno di avere ai suoi ordini un gruppo d’azione poi andato fuori controllo, un gruppo che, come accenna Taviani, «disattende gli ordini ricevuti»... Commenta Salvini: «Questa “missione” non riuscita, confermata dalla testimonianza della figlia di Fusco, prova ancora una volta che la campagna di terrore non fu solo il parto di un gruppetto di fanatici, ma che a Roma almeno una parte degli apparati istituzionali era a conoscenza della preparazione degli attentati, cercò solo all’ultimo momento di ridurne gli effetti e dopo il loro esito tragico si adoperò comunque per far calare il silenzio su quanto era successo». Nei suoi diari postumi (Politica a memoria d’uomo, Il Mulino, 2002), Tavani aggiunge che «la responsabilità della strage è interamente dell’estrema destra e in particolare di Ordine nuovo: uomini tecnicamente seri, collegati con settori deviati dei servizi segreti». Ma se erano «collegati», la «responsabilità della strage» non può essere «interamente» loro. Resta aperto il giallo dell’esplosivo: da dove proviene? È la gelignite procurata in Veneto di cui parla Digilio o nell’operazione c’è anche il plastico di cui scrive Cucchiarelli? Secondo il ministro Taviani, l’esplosivo sarebbe stato fornito ai neofascisti da un agente Usa proveniente dalla Germania e appartenente al servizio segreto dell’esercito, «assai più efficiente della Cia».

STRATEGHI E PROTAGONISTI DELLE ISTITUZIONI Vincenzo Vinciguerra, in carcere per scelta dopo aver rivendicato «l’atto di guerra» della strage di Peteano, non ha dubbi: dietro i manovali delle stragi, si muovono gli strateghi, gli uomini delle istituzioni, i politici italiani, gli alleati internazionali. E rilancia: sopra Maggi c’era Pino Rauti, c’era Giulio Maceratini, che erano i superiori gerarchici di Maggi. E poi si chiede: perché gli investigatori non si sono occupati (come suggerito anche da Aldo Giannuli, il consulente del giudice Salvini) della riunione del Consiglio atlantico avvenuta proprio il 12 dicembre 1969? Alla fine e malgrado tutto, ribadisce Salvini, «un preciso giudizio si è radicato comunque nelle carte dei processi. La strage di piazza Fontana non è un mistero senza padri, paradigma dell’insondabile o, peggio, evento attribuibile a piacimento a chiunque, che può essere dipinto con qualsiasi colore se ciò serve per qualche contingente polemica politica. La strage fu opera della destra eversiva, anello finale di una serie di cerchi concentrici uniti – come disse nel 1995 alla Commissione stragi Corrado Guerzoni, stretto collaboratore di Aldo Moro – se non da un progetto, almeno da un clima comune». «La giustizia vuole più dolore che collera» scriveva Hannah Arendt nel 1961, all’apertura del processo al nazista Adolf Eichmann a Gerusalemme. Alla chiusura dei processi per le stragi, la banalità del male si presenta sotto forma di tentazione a dimenticare per sempre una vicenda con tanti morti, un’insanabile ferita alla democrazia che ha colpevoli, ma non condannati. La verità, nella sua interezza, è affidata ora agli storici. O consegnata ai capricci della memoria: che custodisce i ricordi nel tempo dell’indignazione, e poi li abbandona nel tempo della smemoratezza.


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Martedì 13 ottobre 2009

Oltre quaranta i morti del kamikaze nella regione di Swat

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DAL MONDO

n suicida si è lanciato contro un convoglio militare in transito vicino all'affollato mercato di Alpuri, capoluogo del distretto di Shangla confinante con la Valle dello Swat, facendosi esplodere e provocando almeno 41 morti, di cui 35 civili e sei militari, e decine di feriti. All'azione terroristica è seguita una sparatoria fra un gruppo di Taliban che appoggiavano il kamikaze

e un reparto delle forze di sicurezza operante nei paraggi, mentre i soccorritori facevano fatica ad aprirsi un varco per prestare aiuto alle vittime. Il maggiore Mushtaq Khan, portavoce dello Swat Media Center, ha spiegato che il bilancio delle vittime è stato aggravato dal fatto che parte delle munizioni trasportate dai camion militari sono esplose dopo l'attentato.

Prendere in ostaggio alcuni ufficiali dell'esercito pakistano per poi chiedere la scarcerazione di oltre 100 ribelli in cambio della loro liberazione. Questo l'obiettivo dell'attacco dei miliziani Taliban avvenuto sabato al quartier generale dell'esercito a Rawalpindi, vicino Islamabad. Lo ha riferito oggi il portavoce delle truppe pachistane, il generale Athar Abbas.

Il circolo vizioso del Pakistan Guerra aperta con i Taliban nelle aree tribali: è la sindrome afgana di Alessandro

Cisilin

n Pakistan non si tenta più nemmeno la retorica della quasi-normalità. È guerra, guerra dichiarata dalle autorità e dai loro avversari, con bilanci di morte che si aggravano a ritmo quotidiano allineandosi ai bollettini embedded in arrivo dall’Afganistan. E in effetti la differenza è poca, con la medesima, confusa, categoria di nemico dichiarato: i cosiddetti Taliban, o la cosiddetta Al Qaeda, o ancora i cosiddetti leader pashtun in appoggio degli uni o degli altri. Una situazione ambigua, cui fa riscontro l’identica ambiguità nella risposta della Nato, che da anni varca i confini anche geografici del suo mandato afgano. In questo quadro si attende a breve l’annuncio della nuova strategia militare del premio Nobel per la Pace Obama, senza aver ancora accertato contro chi si stia combattendo e men che meno dove si trovi. Questa la cronaca pachistana delle ultime ore. L’ennesimo kamikaze si è fatto esplodere nei pressi della valle dello Swat. L’obiettivo era militare, un convoglio dell’esercito, ma il luogo prescelto era un affollato mercato locale. Contemporaneamente, i Taliban hanno rivendicato la clamorosa irruzione dello scorso fine settimana nel quartier generale dell’esercito a Rawalpindi, alle porte di Islamabad, costata la vita a una decina di persone. “È solo il primo attacco per vendicare la morte del nostro leader Baitullah Mehsud”, ucciso due mesi fa da un dro-

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ne americano, avverte inoltre il portavoce talebano Azam Tariq. L’aviazione pachistana non è peraltro rimasta a guardare, con una catena di bombardamenti sulle zone tribali del Bajaur e del Sud Waziristan, nelle vicinanze proprio del confine con l’Afganistan, uccidendo una cinquantina di ribelli. L’obiettivo era quello di aprire la strada a una massiccia avanzata di terra. Un attacco “imminente”, spiega il ministro dell’Interno Malik, aggiungendo che “li spazzeremo via, lo prometto”. Parole ferme e feroci, del resto le stesse già usate parecchie volte nell’ultimo anno alla vigilia di copiose offensive dell’artiglieria che hanno consentito tutt’al più di riacquisire qualche frazione dei vasti territori conquistati dai Taliban. La priorità nell’azione di ter-

ra è non a caso la stessa del comandante delle forze della Nato in Afganistan Mc Chrystal, avendo parzialmente compreso, dopo otto anni di insuccessi, che i raid aerei seminano perlopiù morte, anche tra i civili, consolidando la presa dei Taliban sulle popolazioni colpite. Il piano viene quantificato in

L’esercito di Karachi e gli americani si preparano all’offensiva nei territori di confine

Il luogo dell’attentato. Sotto un’immagine di Claudina Nunez in Municipio a Genova (FOTO ANSA)

altri quarantamila uomini chiesti alla Casa Bianca. Obama però tituba, e non solo per gli ulteriori fantasiliardi richiesti in tempo di crisi. Non ha chiaro, e probabilmente non c'è più l’ha nessuno, quale sia l’oggetto del contendere, avendo tra l’altro spiegato nei giorni scorsi che “dobbiamo combattere Al Qaeda, non i Taliban”, smentendo di fatto l’equazione che ha motivato l’intera missione internazionale. La realtà è che Al Qaeda è una rete labile, e lo è altrettanto

l’universo dei Taliban, come ha dimostrato la loro partecipazione in ordine sparso alla recente farsa elettorale afgana, chi boicottandola, chi optando per un candidato o per l’altro, incluso il presidente Karzai. Di più, è del tutto inconsistente la categoria dei pashtun, coniata dagli antropologi del periodo coloniale per i loro vertici militari, che accorperebbe l’intero territorio frontaliero tra Pakistan e Afganistan, omettendo le enormi differenze sociali, lin-

guistiche e addirittura religiose, che includono, oltre alla maggioranza sunnita, anche componenti sciite e perfino ebraiche. Sono territori governati da capiclan che hanno in comune una cosa sola, ovvero il boom in questi anni di guerra – come sempre avviene in guerra - nella detenzione e nel traffico illecito di ciò che uccide, ovvero armi e droga. È un circolo vizioso, alimentato ogni giorno di più da un conflitto strutturalmente privo di soluzione.

Claudina, filo rosso tra Genova e Cile di Nando

Dalla Chiesa

enti classi di quattro scuole genovesi. Che si gemelleranno con le scuole Vstoria di Pedro Aiguirre Cerda, municipio di Santiago del Cile. Sembra una d’altri tempi, ma non lo è. Anche se in altri tempi affonda le sue origini. Quelli del golpe di Pinochet, l’altro 11 settembre di tragedia. Un’ infernale vicenda di assassinii, di torture, di lotta clandestina, di esilio per decine di migliaia di persone. E di dittatura per un popolo che si era permesso di votare come non piaceva alle multinazionali del rame. Una vicenda che toccò cuore e storia di Genova, medaglia d’oro della Resistenza. La quale offrì in solidarietà il suo porto. Lì, nascosti nelle navi, giungevano gli esuli cileni. Lì i camalli li ricevevano, li travestivano e li portavano in libertà, compreso il medico personale di Allende, preso in carico da un portuale leggendario, Luciano Sossai. Lì, per ritorsione politica, in quello stesso settembre vennero boicottate le navi del rame. Giordano Bruschi quella storia la sa a memoria. Ha 84 anni “e un mese”, come dice con civetteria. In clandestinità sin dal ’42, fece la Resistenza a Genova e Torino, combattendo con il comandante Barba, che era Gillo Pontecorvo. Una storia intera nel Pci, fino al ’91. Impiegato metalmeccanico, fu licenziato due volte. La prima dai fascisti, la seconda nel dopoguerra, sempre con la stessa colpa: agitatore sindacale. Ora abita in una casetta con l’orto nella campagna verso l’appennino, nell’alta Val Bisagno, uno dei punti di forza della sinistra in città. Una casa stracolma di libri, che ebbe a lungo come ospite Danilo Dolci. Gli occhiali spessi, la camicia bianca (ma non bianco billionaire), appassionato di storia, quando inizia a raccontare farebbe notte. Sono stati lui e sua moglie Giusy, una nuvola di capelli neri, già consigliera provinciale (Pci, ovviamente) a promuovere il gemellaggio di questi giorni, ma anche, con i loro amici, a gettarne le premesse. Che hanno il nome di una donna: Claudina Nunez, eroina della resistenza cilena, battezzata alla lotta a quattro anni, quando nel ’57 venne portata a occupare le terre alla periferia di Santiago dai suoi genitori, andati lì a costruire le prime baraccopoli con migliaia di altri diseredati. Quando Pinochet va al potere Claudina è già dirigente popolare. Si batte per i diritti dei più poveri nel nuovo quartiere che prende il nome di Victoria, di cui assume la ca-

La città ligure che aiutò gli esuli del regime, omaggia una nazione e la donna che lottò per liberarla

rica di “sindaco clandestino”. E in quella veste, nel ’79 ,viene invitata a Genova alla festa nazionale dell’Unità. Stringe rapporti di amicizia con molti militanti genovesi, tra cui i coniugi Bruschi. Nell’occasione, su suggerimento di Isabel Allende, nasce un gemellaggio tra due quartieri di Genova e Santiago. Di qua Molassana (val Bisagno, appunto) di là Victoria, bastione della lotta contro rastrellamenti e desaparecidos. Per il regime è troppo. Al ritorno in Cile, Claudina viene arrestata per “comportamento sovversivo”. Ma è troppo anche per Genova, dove parte a razzo la mobilitazione in sua difesa. Migliaia di firme e telegrammi, addirittura un comitato per la sua liberazione presieduto dal sindaco Campart, fino a ottenerne la scarcerazione. E l’impennata di solidarietà militante il giorno in cui, nel 1989, Claudina Nunez si candida alle prime elezioni libere nello schieramento democratico di Alwin. Nei quartieri della Val Bisagno, e in particolare a Molassana dove Giusy è presidente di circoscrizione, si raccolgono soldi per aiutarla. In due settimane vengono messi insieme 35 milioni che la stessa Giusy porta a Santiago. Oggi Claudina è sindaco non clandestino del municipio di Pedro Aiguirre Cerda, di cui Victoria è un barrio. E la sede della Junta de vecinos de la poblaciòn si chiama Casa Genova.

vent’anni di distanza, Genova ha voluto ricordare quella storia di soAgenua, lidarietà. Bruschi ha organizzato una mostra in Comune. Sobria, insenza costi, d’altri tempi: ci sono le firme dei genovesi con i loro versamenti, le immagini di un viaggio. L’11 settembre, la data indimenticabile, è venuto a visitarla Luis Sepulveda, che ha cercato i propri amici in quelle immagini. Si è ritrovata sua moglie Carmen Yanez, scrittrice, torturata dal regime, che si è commossa e ha scritto su un suo libro una dedica particolare a Bruschi, che ora la custodisce come un gioiello. Pochi giorni dopo è tornata a Genova proprio Claudina, ormai donna matura e importante per la democrazia di Michelle Bachelet, ricevuta per due ore in municipio dalla sindaco Marta Vincenzi. Claudina ha incontrato come in un rito del ringraziamento la circoscrizione di Molassana e i portuali e ha parlato ai ragazzi di una scuola della sua lotta per la libertà. Ora Giordano e Giusy lavorano con amici e compagni alla grande scommessa: raccogliere soldi per dare “un quaderno e una matita” agli alunni di Victoria e per mandar loro libri in spagnolo, da Cervantes a Garcia Lorca. E a Sepulveda, naturalmente. Gli stessi libri con traduzione a fronte li daranno anche agli alunni genovesi. “Sai, ora ci sono migliaia di bambini che parlano spagnolo in casa”. Così capita. Senti odor di Intillimani, e ti ritrovi sulle nuove frontiere della storia.


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N GERMANIA

Il saluto nazista degli gnomi

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e mini sculture dell’artista Ottmar Hoerl, che rappresentano gnomi da giardino mentre fanno il saluto nazista, tornano in Baviera (sud) nonostante le proteste che le avevano accolte; lo ha stabilito la procura di Norimberga.

FAO

Fame nel mondo ”Serve più cibo”

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a fame nel mondo continua a essere una piaga difficile da debellare e la produzione dovrà aumentare del 70% nei prossimi quarant'anni adottando le giuste misure di promozione dello sviluppo rurale, altrimenti il rischio è di trovarsi "una credenza vuota". Il monito giunge dal direttore generale della Fao, Jacques Diouf (nella foto), in occasione dell’apertura del Forum su “Come nutrire il mondo nel 2050”.

CINA

Sei condanne a morte

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ei condanne a morte per "omicidi e saccheggi" sono state comminate in Cina in merito agli scontri che avvennero nello Xinijang nel luglio scorso. Il tribunale, convocato per il primo processo per quei fatti, ha stabilito anche una sentenza di ergastolo. Nella regione la violenza esplose il 5 luglio, quando gruppi di uiguri assaltarono i membri dell'etnia Han, accusandoli di aver ucciso due uiguri in una fabbrica. Due giorni piu' tardi esplose la reazione Han: alla fine degli scontri il conteggio ufficiale arrivò alla cifra di 197 morti, la maggior parte Han, e oltre 1.600 feriti.

COREA DEL NORD

Test missilistici cinque lanci

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a Corea del Nord ha testato ieri cinque missili a corto raggio. I vettori balistici sono stati lanciati verso sud dalla base di Musudan-ri, nella provincia di North Hamgyeong, e, secondo la tv sudcoreana Mbc, sono all’apparenza di un nuovo tipo con una gittata di circa 100 chilometri.

IRAN

NEDA, LA MADRE IN PIAZZA CONTRO UN’ESECUZIONE a madre di Neda Aqa-Soltan, Ldiventata la giovane che morendo è il simbolo delle proteste dopo le elezioni presidenziali in Iran, ha cercato invano, insieme a 200 dimostranti, di fermare l’esecuzione di Behnud Shojai, un giovane impiccato per un omicidio

commesso quando aveva 17 anni. Tutto inutile: sono stati come tradizione - i genitori del ragazzo ucciso da Behnud a togliere la sedia su cui il condannato si trovava con la corda al collo.La Corte rivoluzionaria di Teheran ha intanto emesso una quarta condanna a morte, dopo per le proteste seguite alle elezioni presidenziali. L'ex candidato moderato, Mussavi, parlando delle repressioni ha detto: “Sembra che alcuni cerchino di riportarci all’epoca dell’Inquisizione", parlando in un incontro con l'ex candidato riformista Mehdi Karrubi.

FATTO O STRAFATTO

di Stefano Citati

ordon Brown completa ciò che la Thatcher aveva iniziato: la vendita ai privati dei gioielli britannici, tra i quali il Tunnel della Manica. Un laburista di ferro (molto più del suo odiato predecessore a Downing Street Tony Blair) si trova a che fare con un formidabile buco di bilancio – 17 miliardi di sterline, circa 20 miliardi di euro, da recuperare in due anni - e poco tempo (economico e politico) per ripianarlo; già soprannominato da un suo parlamentare “Dead man

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IL TUNNEL DI BROWN walking”, adesso il premier si vedrà paragonato ironicamente anche alla Lady di Ferro che spezzò la resistenza dei minatori britannici e da lì la sua politica di privatizzazioni dilagò, facendo proseliti anche tra i laburisti. Il soprannome della premier del recente passato almeno dovrebbe piacere a Brown, la cui immagine versa in tali condizioni di debolezza che l'appellativo metallico dovrebbe dargli l'impressione di rafforzarlo, se non fosse del tutto fuori luogo nel suo caso.


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

Jackson Il primo inedito di Jacko sbarca in radio: “This is it”

Morgan Odio l'appiattimento Come quello della tv: non la guardo

Davis Una mostra a Parigi celebra i 50 anni di A Kind of blue

Cannavaro “Dopato per una puntura d’ape. Ma quanto mi girano ...”

TEATR O/ IL DEBUTTO

LUTTAZZI L’Italia del clito Nuovo spettacolo, antichi vizietti di Carlo Tecce

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n giorno riceverà un premio alla carriera, una statua alle varie ed eventuali censure. La collezione è lunga. Chissenefrega. Daniele Luttazzi lamenta una finta pigrizia, ma corre più veloce degli altri. “Sono sempre stato un po’ lento a capire come va il mondo. Quando da piccoli si giocava al dottore, io facevo l'ottico”. L’hanno spento in televisione: tasto del telecomando, buio. Non l’hanno spento in sala: ci provano, a volte ci riescono. Stasera debutta al teatro Olimpico di Roma (fino a domenica). Un nuovo spettacolo per un vecchio successo. “Va’ di ti porta il clito”, dove andremo stavolta? “Nella parodia pornografia e blasfema. Satira su un mondo di valori decrepiti che sono diventati programma di governo e incubo esistenziale. Sono passati dodici anni, era necessario riproporlo”. Perché proprio ora? “I tour teatrali vengono decisi a

gennaio. I promoter, sentito il titolo, scossero la testa: “A chi può interessare un monologo del genere?” Poi a maggio è scoppiato lo scandalo Noemi-D’Addario. Il titolo adesso è azzeccatissimo: quindi esiste una divinità che protegge i comici. E non è Geronzi”. È un inno ironico alla “mignottocrazia”? “Non ci avevo pensato”. Clito, non cuore. “L’autrice di “Va’ dove ti porta il cuore”, Susanna Tamaro, adesso scrive su Famiglia Cristiana. Il mio percorso è stato un po’ diverso. Ho fatto sei monologhi satirici sull’attualità: politica, religione, economia. Bocciato il Lodo Alfano, il Regno “Birbonico” è finito. Occorre occuparsi di chi lo ha votato”. I nipotini di Benito Mussolini o gli orfani di Baffone? “Gli italiani sono di due tipi: o “arcitaliani” alla Giuliano Ferrara (“L’andazzo è questo, non facciamo i moralisti.”) o “antitaliani” alla Giorgio Bocca (“Democrazia parlamentare, stato di diritto, antifascismo.”) Berlusconi ha allargato il solco: ha sdoganato i primi e ci ha sguazzato. Dai e dai, siamo alla “guerra civile fredda” (sarà il titolo del suo prossimo libro, in uscita il 4 novembre per Feltrinelli). Giorgio Gaber: “Non temo Berlusconi in sé, bensì Berlusconi in me”. “Quindici o vent’anni di berlusconismo non si cancellano in un pomeriggio. Come diceva Ettore Petrolini allo spettatore

che lo importunava dal loggione: Nun ce l'ho con te. Ce l'ho con quello accanto a te che nun te butta de sotto”. Hanno buttato lei de sotto. “In Rai l’editto bulgaro su di me è ancora in vigore. Santoro è rientrato per una sentenza. I dirigenti Rai sono succubi”. Rimpianti? “Satyricon era un programma moderno, quasi atipico per la realtà italiana, poteva continuare all’infinito. Berlusconi ti azzera vent’anni di gavetta e ti riduce sul lastrico intentandoti cause miliardarie, solo perché hai osato raccontare cose vere sui suoi molteplici reati. Poi le cause le perde tutte, ma intanto, mentre lui tiene allegro Topolanek, tu ti sei svenato in processi”. Cerchiamo un repellente.

“Proposi a Enzo Biagi l’idea del “comma Luttazzi”: il potente di turno può anche farti causa per 20 milioni di euro, ma se perde la causa i 20 milioni li deve dare lui a te, così smette di fare il vigliacco”. Sul palco non ci sono paletti. “Il grosso è arrivarci, a teatro. In certe regioni non riesco neppure a mettere piede. In certe città, mille ostacoli, oppure il veto. Gli organizzatori devono accettare i vari ordini. L’anno scorso, lo spettacolo di Parma venne fatto spostare all’ultimo momento a venti chilometri dalla città: c’erano le elezioni”. A La 7 l’hanno sospesa alla quinta puntata di “Decameron”. Parzialmente liberi? “Non potevano farlo, per contratto. C’è una causa in corso. Come mai all’estero la satira

esplicita e corrosiva è in prima serata tv, mentre qui da noi non è possibile? E’ questo il problema. Farei un Tg satirico. “Ghedini smentisce: quello sulla testa di Berlusconi non è il pelo pubico della Carfagna”. E poi c’è Sky. “Mi hanno cercato tre anni fa. Ho proposto un Tg satirico quotidiano. Mi dissero: “Come reagirebbe se tagliassimo delle battute al montaggio?” Risposi che il contratto glielo avrebbe impedito. Sono spariti”. Ci si sente soli? “Per niente. So cosa sto facendo e anche il pubblico. La satira che fa nomi e cognomi non è ammessa nella tv italiana, caso unico in occidente. Ringrazio chi mi è vicino”. I suoi colleghi? “Alcuni. I rapporti migliori, per

Fondazione Pomodoro

UNA BAMBINA CHE BRILLA NEL SOLE IL TEMPO DELLE NUVOLE DI TABUCCHI conversazione a due voci per Ufretnaparlare de “Il tempo invecchia in ta”. Antonio Tabucchi autore dell’opera e Furio Colombo, entrambi ospiti ieri della fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano. ”Un libro dolce, gentile e consolatorio ma che nel corso della narrazione è come un bisturi tagliente che l’autore affonda in modo inesorabile e con mano ferma”. E’ lo stesso Colombo a condurre il pubblico attraverso le immagini, nei percorsi dei

racconti, nei frammenti di sogno e di aspra realtà raccolti nelle pagine del nuovo libro di Antonio Tabucchi. Nove storie che intrecciano il tempo reale, il tempo della storia e il tempo interiore. Il testo come un copione di un film: episodi tanto apparentemente diversi tra loro eppure uniti. “Una raccolta di racconti perfetti mentre ciascuno contiene il seme dell’altro” afferma Colombo. Il racconto “Nuvole” che Colombo definisce “splendido e cifrato”, nel quale

far presto e non elencare, sono con Dario Fo, Sergio Staino, Paolo Hendel”. Nessun comico televisivo. “In tv guardo solo film, documentari e il Tg di Rai News 24”. Sfortunato. S’è perso l’ultimo Augusto Minzolini. “Oh, leggo i giornali, non mi perdo una puntata: Minzolini è meglio di “Lie to me”. Siamo messi male. “No. Siamo solo la periferia dell’impero”. Chi ci porterà fuori dalla palude? Dario Franceschini o Pierluigi Bersani? “Qualcuno che non ancora non c’è. Ci vorrà tempo”. Lei è pieno di speranze. “Peggio di così non può andare. Berlusconi è finito. Godiamocela”.

l’adulto insegna alla bambina a capire le cose guardando le cose e la bambina insegna all’adulto a guardare le nuvole. “Una bambina che brilla nel sole”. Dialoghi bellissimi e poetici che scandiscono il corso della vita e della Storia raccontati da Tabucchi, che sottolinea come “alcune di queste storie prima di trovare esistenza nel mio libro sono esistite nella realtà: mi sono limitato ad ascoltarle e raccontarle a modo mio”. La struttura narrativa di Tabucchi è scandita da una forte musicalità. Mentre tutti i personaggi del libro sembrano impegnati a confrontarsi con il tempo: il tempo delle vicende che hanno vissuto o stanno vivendo e quello che della memoria e della coscienza. Elisabetta Reguitti


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SECONDO TEMPO

PAR ABOLE/ CALCIO

L’UOMO CHE VOLEVA ESSERE SILVIO Urbano Cairo, presidente di un Toro minore

di Malcom Pagani

gni tanto Urbanetto ci ripensa. Riflette su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Sullo iato e sulle differenze. Mentre aspetta di uscire da uno stadio che, negli anni, è diventato una gabbia. I tifosi che lo osannarono, lo hanno rinnegato. I cori ostili invitano alla vergogna collettiva e il palco presidenziale, pare troppo stretto per contenere i sogni finiti in fuorigioco. Aveva promesso l’Europa, si ritrova in serie B. Aveva garantito di riedificare il Filadelfia. Nulla di nulla. L’ascensore tra le categorie è continuo e lui ha l’aria dell’usciere scontento. Tra Crotone e Gallipoli, non c’è neanche Ilaria D’Amico. Il reiterato teatrino che ne sublima l’ego, la finestra che lo ha reso dopo mezzo secolo trascorso da anonimo travet nelle sfere dell’alta finanza e della pubblicità- un volto noto dei pomeriggi domenicali. Adesso a trionfare è l’oblìo. Se deve dire una parola, Cairo preferisce gli affettati convenevoli che confinano con la gentilezza. I colleghi? Tutti bravi. Gli allenatori? Da difendere, fino all’inevitabile licenziamento. Negli anni ‘80, quando tutto era ancora da fare e Milano, uno spot da bere senza domande, Cairo utilizzava parole moderne. Termini che lasciavano sul terreno promesse di futuro. Sottoinsiemi di un unico, platinoso concetto. Il mercato. Contava solo quello. Lo capì presto, nel Luglio del 1981, data del primo incontro con Silvio Berlusconi. Assestò i capelli, mise in ordine la cravatta, si specchiò. All'epoca, in quell'estate scossa dai tremiti della P2, l'ovale burroso del 24enne Urbano Cairo, non conosceva rotondità. Era un bel fijòl, di quelli che sublimavano il senso estetico “ a schiera” del nuovo datore di lavoro. Cairo ne divenne l’assistente personale. Si piacquero subito, l'allievo e il maestro. Prima, molto prima del termine dell'apprendistato trienna-

titolo di una società in fallimento, poteva permettere al club di ricominciare dalla serie immediatamente inferiore. Mentre Luciano Moggi intratteneva i giornalisti: “A Torino non c'è spazio per due squadre di calcio” e Cairo il Messia ragionava sull'operazione, sulle spoglie del Toro si avventò l'importatore di badanti Luca Giovannone. Ciociaro, iscritto ad An, amicizie più millantate che solide con Lo-

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Quando le grida dei tifosi coprono ogni voce, Cairo forse si pente dell’azzardo e si chiede: “Che ci faccio qui?” Urbano Cairo in meditazione allo stadio Olimpico di Torino (FOTO ANSA)

le. L'amicizia tra Cairo e il signor B. si cementò e resistette anche alle accuse del Pool di Milano che 10 anni dopo l'incontro primigeneo, quando Cairo già da tempo aveva assunto l'incarico di Ad di Mondadori pubblicità, indagò a lungo su una concessionaria che nel suo Cda, annoverava anche Franz Tatò e Marcello Dell'Utri. Cairo si muoveva leggero tra gli azzardi, accarezzato dall'onda soave dell'approvazione. “Ragazzo prodigio”. Un'etichetta. E aveva fretta, Urbano. Salutò il gruppo Mondadori il 4 dicembre del ‘95. Il 12 dello stesso mese, mentre mezza Milano, sotto la pioggia, ricordava l'eccidio di Piazza Fontana, fondava Cairo Pubblicità. L’anno dopo, 33 miliardi di lire di utili. Non si arrabbia mai, avvampa ma si contiene, riesce a dire cose sgradevolissime con il sorriso scintillante, delega ma al contempo,

ascolta altre 40 persone del settore, non tutte disinteressate. Fatalmente, fatto sbollire il telefono, le idee si confondono. Da ragazzo, inseguiva un pallone a Sesto San Giovanni. Fabbriche, grigio, lotte operaie. Dietro alle acciaierie, Urbano dribblava il rischio di rimanere in periferia. “Ero un'ala destra, mi ispiravo a Claudio Sala. La palla non la passavo mai”. Adesso come allora. Il calcio manageriale arrivò nella seconda vita. Quando i guadagni degli inizi erano cresciuti di almeno 10 volte e nella raccolta pubblicitaria per Rcs e Tele +, ormai non temeva rivali. All'inizio del millennio, provò a rilevare il Genoa. Poi si avvicinò al Bologna. Con Giuseppe Gazzoni, si conoscevano dal 1987. “Ero a Publitalia e lui lanciava la campagna delle Dietorelle”. Il Dall’Ara rendeva moltissimo. Cairo produceva denaro con i

cartelloni dell'Olimpico e pretendeva il suo avamposto emiliano. Ma era il circo ad attrarlo. “Non ha senso che un prodotto come il calcio abbia bilanci così disastrati”. Non se ne fece nulla. Urbano seppe aspettare. E il giorno arrivò. Estate del 2005. Torino promosso in serie A. La diarchia presidenziale di Cimminelli e Romero, (che nell’ottobre ‘67, aveva investito Gigi Meroni) aveva finito la benzina. Debiti ovunque. Fidejussioni false vagheggiate da pataccari di professione. Un disastro. Nelle situazioni difficili, gli uomini si esaltano. Il Deus del Coni Gianni Petrucci inventò l'omonimo Lodo. Comprare il

tito e Mezzaroma, titolare di una sala Bingo a Supino. In tasca, l'opzione per il 51% delle quote. Intorno scetticismo e silenzio. A chi tra i sabaudi gli rinfacciava accento e pedigree, Giovannone sventolava la laurea: “Con 110 e lode in psicologia” e l’intuizione di chi immaginava come sarebbe andata a finire: “Forse ai torinesi fanno schifo i soldi della capitale?”. La risposta non tardò a manifestarsi. Il comune si schierò a fianco di Cairo, convinse gli altri lodisti (Pierluigi Marengo di Forza Italia e Sergio Rodda) a farsi da parte. “Traghettatori? A me più che altro sembrano scafisti”, infierì con dubbi eleganza l'ex Rampanti. La scel-

TUTTI SULL’ISOLA DI ROATAN L’avamposto ideale per i non famosi

A

mezz’ora di barca c’è l’arcipelago di Cayo Cochinos con Cayo Paloma, passato alla storia della tivù italiana come l’isola dei famosi. Ma è qui, a sull’isola di Roatan, dotata di aeroporto internazionale con tanto di volo settimanale diretto da Milano, che atterrano vip, ex-vip, vip in odore di riesumazione, vip disperati, e disperati semplici senza stellette. «Solo dieci anni fa era un posto di frontiera» raccontano i nostalgici della prima canna. Poi, una canna oggi una domani, sono arrivati i cannati e basta, in charter. Italiani di Roatan. L’isola dei non famosi. Sono leghisti, forzisti, nei casi più intellettuali solamente liberisti, che qui si traduce «che rottura di coglioni pagare le tasse, in Italia non si può lavorare». Aprono e chiudono pittoreschi ristoranti, gestiscono resort più o meno fricchettoni, edificano straccamente la foresta, e da quando c’è vivono di indotto dell’isola dei famosi, curandone i supporti organizzativi. Il tutto con i

ritmi lenti dell’Honduras, che in spagnolo vuol dire profondità e si riferisce dai tempi di Cristoforo Colombo solo alle acque, non agli animi umani. Scordatevi il mito del buon selvaggio: «Negro di merda» è il commento più diffuso incrociando alla guida esponenti della popolazione autoctona, crudamente invisi a parole («Ladri, bugiardi, approfittatori» e pure un esotico «fannulloni») salvo poi esercitare una certa melanofilia in ambito sessuale, ma solo lì, e solo quando ci si ritiene erroneamente al sicuro da occhi indiscreti. Per il resto vige l’apartheid con i neri confinati a Coxen Hole (in nomine, omen: un buco di città) e gli italiani a occupare i posti fichi dell’isola, West End e West Bay. C’è l’industrialotto di periferia che viveva copiando le griffes per le boutiques del centro, sfuggito alla morsa della crisi in tempo per riciclarsi arrostitore di aragoste e poi, perché no, ha aperto pure qui un laboratorio di falsi di stilisti italiani, che la manodopera costa

meno e la clientela c’è, e qualcosa adesso lo porto anche in Italia, i contatti li ho sempre. Figli che inseguendo padri fuggiaschi hanno trovato il paradiso della canna e della coca, padri che dimentichi dei figli diventano guru tardivi del reggae, gente che affronta sei mesi di piogge e sei di rischio uragani solo per vivere in ville con la servitù che in Italia non potrebbe permettersi. Girano armati, hanno cassaforti murate, si guardano dai domestici di colore come fossero serpi in seno. Quelli che hanno mogli locali sviluppano un’attitudine al comando che la dice lunga sulla natura del rapporto. La domenica vanno alla messa che ha ripristinato la funzione chiave esercitata nell’Italia degli Anni Cinquanta: vedere, farsi vedere, rimorchiare. Stretti in un’enclave autarchica e xenofoba danno gran

voce a un rancore diffuso e qualunquista tanto per il luogo da cui vengono quanto per quello in cui hanno liberamente scelto di vivere. Sembra di sentire Costantino Kavafis: «Non troverai altro luogo, non troverai altro mare, la città ti verrà dietro, andrai in vecchiando per queste stesse strade altrove non sperare non c’è nave non c’è luogo per te. Perché sprecando la tua vita su questo angolo discreto, tu l’hai sprecata su tutta la terra». Ma a guardarli con occhi ottimisti resta comunque un certo gusto: dato che i non famosi giurano di non voler rimettere piede in patria, li abbiamo definitivamente esportati. Se solo il mercato honduregno fosse in grado di smaltirci le scorte. Roberta Corradin

ta del sindaco Chiamparino aizzò inconsapevolmente le brame dei tifosi che in Cairo, d'accordo con lo stesso sindaco, scorgevano la panacea a un male che partiva da lontano. “Un'occasione così al Toro non capiterà più”. Detto fatto. La rabbia esondò: “Giovannone al cimitero”. L'ipotetico neo-proprietario, conobbe il volto rude di Torino. Lo scoprirono in relax all'Hotel “Campanile” DI Moncalieri. Trecento invasati. Cariche, scontri, fumogeni, elicotteri della Ps. Scovato e ridotto, insieme all'hotel semidistrutto dalla furia ultras, a più miti consigli. Insieme all'infarto, gli venne diagnosticata la morte certa della sua Mercedes, aggredita e fatta a pezzi da un livore così vicino all'epopea stessa di un’entità tormentata. Così Giovannone uscì di scena. Il nuovo monarca e il suo crescente consenso: “No Cairo, no Toro”, ebbero il proscenio. Una volta al comando, Urbano tracimò. In un amen, si trasformò in torinista sentimentale: “Era l'ottobre del '49. Gli orfani di Superga persero per 7-1 con il Milan. I miei piansero tutto il giorno. Il Toro, l'ho comprato anche per loro”. Come Emilio Fede, pronto a cambiare casacca calcistica, Urbano si adeguò. Pronto a tutto. Era sicuro, Cairo: “Incontro un sacco di gente che mi dice: 'presidente, non ci deluda anche lei'. Non succederà”. E' avvenuto, inevitabilmente, dopo una teoria di allenatori blanditi e poi eliminati in serie. E' accaduto e per uno come lui, che ama ricevere applausi e della vanità fa la propria corazza, ha rappresentato un complesso. De Biasi, Zaccheroni, Novellino, Camolese, poi ancora Novellino. “rimarremo insieme”. Macchè. Via, uno dopo l'altro. Caducità del mestiere e imbuto inevitabile in cui precipitare, quando i punti non vengono e il piccolo cabotaggio sembra l'unico orizzonte possibile. L'anno scorso si presentò Raffaele Ciuccariello da Foggia. Ex proprietario della pizzeria d'asporto “Il paradiso dei regnanti”, monarchico osservante. Voleva subentrargli. Vantava crediti infiniti e risorse inestinguibili. Si rivelò un bluff. Fu allora che Urbano ebbe un suussulto d'orgoglio. “Lo giuro sui miei figli. Il Torino non lo cederò mai”. Salvo poi doversi difendere dalle ironie moggiane: “Deve capire che non può continuare ad essere presidente, attaccante e portiere”. Ma Cairo non può comprenderlo. Fermo non sa stare. Violenterebbe l’indole, squarcerebbe il quadro. Il gramo incasso degli abbonamenti rinnovati, racconta qualcosa in più. Meno di un migliaio. Anno di B e costante nemesi, respirata in apnea, osservando il Frosinone dominare. Ma Urbano non perde denaro. Ha acquistato a zero, può sempre rivendere un pezzo di Storia. Se temesse la povertà, si libererebbe del fardello in un minuto. Abdicare significherebbe essere ricordato come l'uomo che tentò di essere Silvio e rimase Urbanetto. I diminutivi sviliscono. Lui si sente come Chatwin. “Che ci faccio qui?”


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TELE COMANDO TG PAPI

Il notiziario metafisico di Paolo

Ojetti

g1 T Questo telegiornale, edizione delle 13,30, non è classificabile, nemmeno criticabile: è, molto più semplicemente, metafisico. Allora, una giornalista del Tg1 va a intervistare Michela Vittoria Brambilla, casualmente ministro del Turismo e il servizio è nei primi posti della scaletta. La ministra rossa, capelli al vento sul Lungotevere, annuncia di aver organizzato una task force antidetrattori. Perché? Chiaro spiega la ministra fulva, perché c’è qualcuno che, attaccando l’immagine del premier, sta danneggiando l’immagine dell’Italia intera. Domanda della giornalista: “E quanto la sta danneggiando?” Uhh, una cifra, tantissimo, un sacco e una sporta, ha replicato la ministra Brambil-

la. Dunque, soldi spesi bene. A far coppia con questo inedito, è passata anche la cronaca politica di Simona Sala, l’eco di Quagliarello e Bocchino: la riforma della giustizia che ha in mente Berlusconi non ha intenzioni ritorsive. Sicuro, gentile collega: lo fa per sport. Chiusura folle con interviste folli ad autorevoli colleghi che si sono prestati a questa follia: chi vuole più male a Ferruccio De Bortoli, Berlusconi o Scalfari? g2 T La prima smentita passa sul Tg2: il Quirinale fa sapere all’Italia tutta e a Vittorio Feltri in particolare che Napolitano non ha mai stretto un patto con Berlusconi per salvare il Lodo Alfano. A raccontare questa vicenda che rimette Capo dello Stato e governo ai ferri corti, Daniela Vergara, la quirinalista.

Ma il servizio è asciutto e solitario. Nessuno che si prenda la briga di spiegare che il Quirinale non può denunciare Feltri per calunnia, nessuno che avanzi il sospetto che Feltri abbia portato il cavallo in questo caso la notizia dove voleva il padrone. OItretutto, senza un po’ di amplificazione televisiva, nei telespettatori resterà indenne l’impressione che nessuno dica la verità e che tutti abbiano voglia di chiuderla qui. g3 T E perché uno è costretto a parlare bene del Tg3? Perché qui le parole hanno un senso. Giubilei parla di attacchi e insinuazioni di Berlusconi e di veleni di Feltri. Luciano Fraschetti, quirinalista di lungo corso, sottolinea l’inusitato tono del Presidente verso il premier che dice il falso e avverte che dal Colle hanno deciso di dire basta e se qualcuno andrà oltre, allora sarà scontro istituzionale, ma quello vero. Il Berlusconi avvisato, intanto se ne stava a Monza a inventare di sana pianta una storia politica e personale di pura fantasia, dove Lui è stato l’unico eroe, l’unica vittima, l’unico vincitore, insomma l’unico tutto. Applausi perplessi.

di Fulvio Abbate

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Ospiti poco cortesi

ortesie per gli ospiti” è la trasmissione dove, masochisticamente, tu inviti a pranzo i conduttori del programma in questione, e quelli, d’improvviso come sicari, vengono a giudicare la tua tavola, la tua casa, anzi, come tu sei, quanto fai eventualmente pena, quanto rischi di risultare inadeguato, se non proprio truzzo, tarro, trucido. Siccome, per ragioni di scaletta, i conduttori non possono sputarti direttamente in faccia quanto tu sia effettivamente impresentabile, proprio per questa ragione i partecipanti sono in qualche modo selezionati, scremati in partenza. Comunque sufficientemente esibizionisti da accettare lo sguardo-scanner dei tre “giudici”, due signori e una signora. C’è lo chef, Alessandro Borghese (per inciso, è il simpatico figlio con pizzetto di Barbara Bouchet, altrove presente negli spot di prodotti, va da sé, culinari), c’è l’esperto di bon ton, il pizzuto Roberto Ruspoli, puzzetta sotto il naso ostentata come fosse un metaldetector, e c’è infine la “interior designer” Chiara Tonelli, impeccabile nell’accavallare le gambe e, dita sul mento, guardarsi intorno in cerca di pecche, ed è proprio lei la cassazione cui affidare l’ulAlessandro Borghese, tima parola, preposta il cuoco tv nello show com’è a decidere “Cortesie per gli ospiti” quanto il tuo modo d’arredare sia discutibile, se non disgustoso. Anche semplicemente sbirciando dentro casa dallo zerbino, in una sorta di preventivo: mio dio, che orrore, dove siamo finiti, speriamo bene! Il suddetto tri-

“C

SECONDO TEMPO

bunale del gusto va in onda in prima serata su Discovery Real Time (Sky, canale 118), senza contare le inesauribili repliche. Per farla breve, se solo ti provi a cavalcare lungo i canali dell’intero bouquet, non c’è davvero modo di non imbattersi nel prodigio di questa trasmissione che, senza tema d’essere smentiti, va ritenuto uno dei manifesti dei nuovi ceti riflessivi. Soprattutto quando c’è da decidere che genere di centro tavola adottare, escogitare, ordire: contorno floreale o di candele? Ora, se è vero che, sociologicamente parlando, i quartieri devono essere divisi per tre: quelli dove abitano i primari, quelli dove abitano i medici, quelli dove abitano gli infermieri (e i portantini), star pur sicuri che i partecipanti al gioco-ispezione dei tre appartengono alla categoria intermedia. Il ricco, infatti, il vero ricco, non accetterebbe mai di ospitare certe facce che ti giungono sull’uscio di casa, protervi come agenti dell’Ovra, e un istante dopo eccoli lì che, sia pure in filigrana, sembrano ironizzare sui tuoi più cari souvenir, su quello che hai portato da Salvador de Bahia, così come dalla, non meno prosaica, Maiori o addirittura da Monte Livata. Ragionando di antecedenti illustri di “Cortesie per gli ospiti”, è il caso di ricordare un pezzo unico dell’editoria glamour dei primissimi anni Ottanta, un mensile intitolato, o almeno così ci sembra di ricordare, “La tavola”, sorta di bibbia abilitata a fare di te un maestro dell’ospitalità con gusto, anche se poi la domanda legittima riguardava quanti numeri potesse resistere, assodato che il primo era dedicato alle posate e il terzo ai tovaglioli. Erano i primordi, nessuno allora avrebbe consentito all’estraneo di censurare il nobile gesto del mignolo alzato al momento dei brindisi. Ah, l’aristocrazia di una volta! ww.teledurruti.it

MONDO Boom di contatti per Antefatto.it di Paola Porciello

ercoledì Il Fatto Quotidiano festeggia la sua terza settimana di vita. L'Antefatto aveva preceduto la nascita del giornale sulla rete. Da subito i lettori hanno mostrato grande interesse per le anticipazioni pubblicate sul blog, ma dall'uscita in edicola del Fatto, le visite sono più che raddoppiate. Prima del 23 settembre antefatto.it si attestava in media intorno alle 50-60mila visite al giorno. Nei primi giorni dell'uscita in edicola siamo passati a quasi 400mila contatti quotidiani. In seguito ci siamo stabilizzati su una media di 150mila visite. Mettiamo a confronto in una tabella le tre settimane che hanno preceduto l'uscita in edicola con quelle che l'hanno succeduta, per darvi un'idea del traffico totale generato: dal 1 settembre al 22 settembre le visite sono state 1.450.000, con due milioni e mezzo di pagine visualizzate. Dal 23 settembre al 12 ottobre 3.100.000 le visite e 5 mi-

M

è PIAZZA TIENANMEN PUBBLICATE FOTO INEDITE

WEB

a cura di Federico

Mello

è ATTACCO AL SITO DELLE POSTE SOSTITUITA L’HOME PAGE: DATI AL SICURO?

Ha fatto molto scalpore l'attacco di sabato sera al sito delle poste italiane. Degli hacker hanno sostituito l’home page di Poste con la scritta “Hacked” e una denuncia: “la sicurezza nei servizi di e-commerce è solo apparente”. Per Poste la situazione è sotto controllo: “non c'è pericolo né per il soldi né per i dati degli utenti, gli attacchi di questo tipo sono comuni, almeno mille al mese per i siti italiani”. Eppure, l’attacco ha sicuramente ”bucato” i server del sito: anche se non sono stati rubati dati, quanto meno le Poste hanno rimediato una brutta figura.

Sono state diffuse sul sito 64mem.com, e pubblicate in Italia da L'Unità e dall'Unione Sarda, alcune foto inedite del massacro di piazza Tienanmen. “Un fatto positivo” il commento di Zhang Xianling, una delle animatrici delle Madri di piazza Tienanmen, alla notizia della pubblicazione delle foto (anche se il sito non è accessibile in Cina). Questi scatti sono un'ulteriore conferma della terribile violenze del regime cinese contro gli studenti che chiedevano democrazia.

lioni e mezzo le pagine visualizzate. Il Fatto è presente anche su Facebook, su Twitter e su Friendfeed con migliaia di “followers”, di “amici” e di “fan”. Nei prossimi mesi, inoltre, il blog del Fatto Quotidiano si trasformerà in un vero e proprio portale. Continuate a seguirci.

è IL PIL DELLA FELICITÀ REALIZZATO GRAZIE A FACEBOOK

Ci giorni felici e giorni tristi, e questo lo abbiamo sempre saputo. Con una nuova applicazione Facebook, ora è possibile sapere quali giorni possono considerasi felici o tristi “per tutti” (o almeno per i cittadini americani). L’applicazione analizza milioni di parole pubblicate dagli utenti sul loro status. In alcune giornate (come Halloween) prevalgono le parole “happy”, in altri le parole “bad”. L’applicazione è “Gross National Happiness Index”: una sorta di Pil della “felicità”.

GRILLO DOCET

L’INFORMAZIONE IN EUROPA 1) Sonia Alfano, Luigi De Magistris e altri deputati dell'Italia dei valori hanno fatto mettere all'ordine del giorno al Parlamento europeo la mancanza di libertà di informazione in Italia. Il Pdl, che trasmette a reti unificate, ha prontamente replicato in aula. Sono stati elencati i tanti, troppi, giornali italiani cattivi che parlano male dello psiconano. Dal “Manifesto” al “Fatto”. E' stata dimenticata però tutta la stampa internazionale. Dal “Wall Street Journal” al “Financial Times” al “New York Times”, da “El Pais” a “Le Monde”. Tutti pericolosi comunisti. Ho una domanda. In questa difesa a oltranza, gli europarlamentari ci sono, ci fanno, o sono fatti? 2) Chiude la Caterpillar. Dopo Anagni, 50 dipendenti, è il turno del sito della controllata Rapisarda di Cernusco sul Naviglio con 109. Un'azienda con 90 anni di vita. Una notizia da nulla, infatti quasi nessuno se ne è occupato. La chiusura segue la cassa integrazione ordinaria iniziata lo scorso marzo. Un percorso obbligato. Prima blocchi la produzione per alcuni mesi, poi, se la crisi non passa, chiudi. I bisonti stanno lucidando gli zoccoli. meglio non trovarsi sul loro percorso.

Una schermata di Antefatto.it, D’Alema e Zoro, l’indice della felicità, l’attacco al sito delle Poste

DAGOSPIA

I SILURI DEL N.Y. TIMES

I giornalisti americani che lavorano nel grattacielo del "New York Times" costruito da Renzo Piano sulla 52esima strada, ieri pomeriggio si sono rotti la testa a decifrare le parole usate da Berlusconi a Benevento. Il direttore Bill Keller e i suoi redattori non riuscivano a capire il senso della frase: "la stampa estera sputtana il Paese", perché il verbo "sputtanare" è difficile da tradurre in inglese. Dopo molte discussioni si è capito che il Premier italiano accusava la testata di compromettere la "reputation" del Cavaliere dopo l'attacco di venerdì in cui il quotidiano americano ha dedicato un pesante editoriale sulla sentenza della Corte Costituzionale, che suonava come un preciso avvertimento. E forse non è sbagliato pensare che nella valanga di critiche che la stampa estera sta rivolgendo da settimane al suo comportamento negli affari pubblici e privati, papi-Silvio abbia considerato quella del "New York Times" la freccia più avvelenata. D'altra parte il giornale che l'anno scorso ha tirato la volata ad Obama contro McCain, quando scende in campo pesa nell'establishment internazionale ben più dei tabloid inglesi della domenica che fanno titoloni sui pettegolezzi. (...) A Palazzo Chigi nessuno tra i collaboratori del premier è in grado di tenere a bada la stampa estera, ma tutti hanno visto il missile del "New York Times" e l'ha visto è SINDACATO OPEN SOURCE anche il Cavaliere che non a LA CGIL SI CONVERTE caso ha usato l'intraduAL SOFTWARE LIBERO cibile Dopo il lancio di un’applicazione per verbo "sputta- Iphone, la Cgil prosegue sulla strada è IL RAGAZZO dell’innovazione. Il sindacato ha nare". DEL SECOLO SCORSO annunciato che convertirà all’open D’ALEMA E INTERNET, source tutti i software in uso. UN AMORE MAI NATO Vengono detti “open source” i Pier Luigi Bersani ha definito Internet un programmi non proprietari (come il “ambaradan”. Berlusconi ha detto che il suo sistema operativo Linux) che Internet “è Gianni Letta”. Ieri è arrivato anche vengono distribuiti gratuitamente e “Internet secondo D’Alema” durante che l’utente può modificare in base un’intervista al blogger Zoro (volto anche di alle sue necessità. Da tempo in Italia “Parla con me”) che conduce la trasmissione numerose associazione si battono Orzo. “Sono un uomo del Novecento - le parole affinché anche la pubblica di D’Alema - sui blog si massacrano i dirigenti amministrazione adotti software politici dicendo che sono dei terribili traditori, liberi: lo Stato risparmierebbe così i dei venduti”. “Internet è utile per le ricerche - ha soldi delle licenze e anche i soldi aggiunto - ma non riesco a diventare parte della degli “antivisus” (i software open comunità del web. Sono un uomo all’antica”. Da source non sono “infettabili”). notare che La trasmissione di Zoro, giunta alla ventesima puntata, va in onda solo online sul portale Excite.

feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “I fatti del Fatto”

Caro Direttore, i lettori di FQ possono sembrare ipercritici, in realtà sono iperprotettivi. Sappiamo che un giornale unico in Italia come FQ (il primo giornale libero da decenni in italia, il primo giornale con abbonamenti pdf superiori alla carta per la gioia anche di Beppe Grillo che non ama la carta :-) ) ha mille ostacoli di diversa natura, che certi bollettini aziendali che si spacciano per giornali liberi non avranno mai. Noi lettori di FQ ci sentiamo quasi in dovere non solo di sostenervi moralmente ma anche di criticarvi quando serve affinchè la qualità di FQ rimanga a livelli stratosferici. Direttore dica la verità, quanti altri suoi colleghi di testate possono vantarsi di dirigere un giornale con una "community"(per dirla con un termine trendy) di lettori cosi appassionati, attenti, svegli, attrezzati come la nostra? Non so che sarà del futuro, ma so che se le cose cambieranno in questo tragicomico paese sarà anche per merito vostro e un po' nostro :-) E per citare il sommo Poeta: W l'Italia W il Fatto Quotidiano! (Jon "farabutto" Stewart) ciau io sono luca (quello ottimista) , quello che ride per non piangere , quello che il giorno della decisione della cconsulta sul lodo stava impazzendo mentre mi rendo conto che la maggior parte degli italiani sia disinformata o forse nn gli freghi nulla poichè non incide sul proprio budget la questione , in quindici giorni ho avuto modo di conoscere qua dentro personaggi davvrero ingamba (almeno da qurllo che scrivono) spero che anche nella vita siano così . E della redazione del FAtto ch dire...siete ...siete...semplicemente fantastici...articoli sempre coinvolgenti ..ogni giorno la lettura del vostro giornale mi porta fuori da qualsiasi cosa io stia facendo perchè gli articoli sono completi ma soprattutto scritti davvero bene .continuate così e non cambiate mai ...NOI TUTTI SIAMO SEMPRE QUA' E VI VOGLIAMO BENE E SAREMO SEMPRE DI PIU . (Luca) Io vi leggo via internet, un po' perché le mie tasche di studente sono un po' in crisi e un po' perché vivo in campagna e le poste a volte non sono troppo affidabili. Vi stimo, continuate così. Lo *dovete* fare. Perché se quella di Berlusconi è una dittatura "soft" perché subdola e basata sulla comunicazione, ebbene voi giornalisti siete una delle poche vere forme di "resistenza" efficaci. Dovete indicare a noi cittadini l'obiettivo, darci i mezzi per capire e per stanare il lupo dalla tana. (Giordano B.) quando ho deciso di sottoscrivere l'abbonamento sostenitore l'estate scorsa mi sono anche chiesta come avrei potuto sostenervi ulteriormente. allora se avete bisogno di aiuto per correggere le bozze, mi metto a vostra dispozione, lo farei volentieri come contributo volontario alla vostra iniziativa che ci rende tutti piu' felici. (Simona)


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PIAZZA GRANDE Leggi ad personam: non bastano di Bruno

Tinti

uando facevo il pm i miei amici avvocati mi dicevano sempre: “hai ragione tu, questo è colpevole; ma non ci sono problemi, lo tireremo fuori in procedura”. Intendevano dire che l’assoluzione nel merito era impossibile; ma che ci sono così tanti inghippi procedurali che l’insufficienza di prove (art. 530 secondo comma codice procedura penale) o la prescrizione sono garantite. E in effetti, quando l’imputato non era uno dei tanti disperati per cui la legge è brutalmente efficiente, finiva quasi sempre così. Motivo per cui adesso faccio un altro mestiere. Come ho detto, finisce quasi sempre così; quasi. E infatti oggi Berlusconi si trova nei guai perché gli esecutori dei suoi ordini sono stati condannati e il giudice civile gli ha imposto di risarcire i danni alle parti offese dai reati che lui aveva commissionato. Qui, con la procedura non riesce a tirarsene fuori. E la prescrizione, in questo processo civile, non è una soluzione possibile. Gli resta la menzogna, la disinformazione, l’intimidazione: “le sentenze preannunciano un golpe; italiani armatevi e resistete”. Provo a spiegare perché si tratta di bufale solenni. Nel 2007 la Cassazione confermò la condanna di Previti, Acampora, Pacifico e Metta “perché…in concorso tra loro...promettevano e versavano somme di denaro a Metta – magistrato... - affinché violasse i propri doveri di imparzialità...allo scopo di favorire la famiglia Mondadori/Formenton (e in conseguenza Silvio Berlusconi) nel giudizio che la vedeva opposta…alla Cir di Carlo De Benedetti...e segnatamente Berlusconi (posizione definita con sentenza…di non doversi procedere per interve-

Q

Cosa avrebbe dovuto fare il giudice civile cui Cir (De Benedetti) aveva chiesto di condannare Fininvest (Berlusconi) al risarcimento dei danni derivanti da un reato? nuta prescrizione…), attraverso articolate operazioni finanziarie…utilizzando società e/o conti bancari riconducibili al comparto estero della Fininvest e allo scopo di metterle a disposizione di Metta, bonificava nel 1991 a favore del conto "Mercier" di Ginevra di Previti la somma di $ 2.732.862…” osa avrebbe dovuto fare il CBenedetti) giudice civile cui Cir (De aveva chiesto di condannare Fininvest (Berlusconi) al risarcimento dei danni derivanti da questo reato? Dire che non era vero niente? Che Berlusconi (assolto per prescrizione ma colpevole) era innocente? E, d’altra parte, che non potesse fare questo lo dice anche l’art. 651 del codice di procedura civile: “la sentenza penale definitiva fa stato nel processo civile”. Dunque sul fatto che Berlusconi aveva

LA STECCA di INDRO l «Io, al posto di Berlusconi, non potrei licenziare Fede. Perché non l’avrei mai assunto» Controcorrente, il Giornale 14 dicembre 1993

E se fosse un golpe bianco? di Oliviero Beha

hi non si occupa di politica se non “calcisticamente” o comunque in modo superficiale, può pensare che Berlusconi l’abbia combinata grossa, favorendo l’intrigo istituzionale di cui si parla a proposito del Lodo Alfano bocciato e dei suoi risvolti. Naturalmente i “tifosi” del Premier la pensano “calcisticamente” nel modo opposto: sarebbe Silvio, poverino, a essere oggetto di una congiura di palazzo o dei Palazzi (del potere). Entrambe le ipotesi sono insufficienti a spiegare fino in fondo che cosa sta accadendo: chiamiamolo con il suo nome, ossia un tentativo o ancora di più un percorso verso un “golpe bianco”. Senza truppe, certo, e senza approfondimento, nel frastuono che circonda il Lodo Alfano e nel suo rovescio, il silenzio appunto sul “golpe bianco” o giallino che avremmo sotto gli occhi se solo li tenessimo spalancati ma tutti e due (metafora!).

C

che non è difficile da capire, neppure per i “calcistici” Pcheensare se solo volessero, figuriamoci per gli avveduti e i politicizzati non fossero stravolti da troppo tempo dall’andare precipitoso delle cose in questo strampalato Paese. Seguitemi nel mio percorso che porta al percorso di chi persegue un “golpe bianco”. Quasi tre secoli fa il barone di Montesquieu teorizzava la

corrotto Metta ormai c’era niente da discutere. Qui, per la verità, bisognava tener conto di uno dei soliti ostacoli procedurali, perché nel processo civile c’era Fininvest e nel processo penale c’era Berlusconi (cioè due soggetti diversi; fa un po’ ridere ma in diritto è così); e in questi casi la legge dice che la sentenza penale non ha efficacia diretta nel processo civile e che tutto deve essere esaminato di nuovo, utilizzando però le carte del processo penale. Così il giudice civile si è studiato tutto il processo penale (per la verità ha fatto anche una corposa istruttoria, interrogando testi, esaminando nuovi documenti e sciroppandosi micidiali memorie difensive) e ha ovviamente deciso quello che, prima di lui, avevano deciso altri 11 giudici e 3 pm, in 3 gradi di giudizio (nonché un numero enorme di altri giudici e pm intervenuti su tutte le eccezioni sollevate nel corso dei processi): Fininvest ha ottenuto le azioni Mondadori a seguito di una sentenza che era frutto di corruzione; quindi Cir è stata privata di un suo diritto; ne consegue un risarcimento dei danni. Proprio come succede in qualsiasi processo, dove alle parti offese di un reato il giudice civile liquida somme di danaro proporzionate al danno subito. Dunque una sentenza ineccepibile.

che, come si sa, è molto basso) e (ma non era un pregio? Quante volte è stato criticato il protagonismo dei giudici?) non è un giudice VIP, non è noto, ha sempre fatto silenziosamente il suo lavoro e nessuno lo conosce. Poi dicono anche che la sentenza è stata scritta da Cir perché lui, il giudice, non poteva capirci niente di numeri e tabelle; infatti le sentenze in materia di danno civile (che sono tutte di questo tipo) le scrivono sempre le parti offese che si auto liquidano il risarcimento: lo sanno tutti! Alla fine, se l’Appello confermerà la sentenza, scopriremo ancora una volta che, anche lì, i giudici erano di sinistra; anzi di estrema sinistra. Un’ultima riflessione. Qui si parla di soldi, tanti, ma sempre soldi sono. Cosa ci sarebbe stato da ridire se la sentenza avesse riguardato un risarcimento danni per incidente stradale? Guidatore distratto che investe un pedone sulle strisce; il guidatore è Berlusconi; e un teste falso dice che non era lui che guidava; un processo penale accerta che il teste è falso…. Ah già, ma anche questo è già successo...

Carlo De Benedetti (FOTO GUARDARCHIVIO)

ineccepibile che oggi Tnonanto Berlusconi e la sua fazione discutono del merito. Cosa potrebbero dire ai cittadini: non è vero che ho corrotto Metta e quindi non è vero che debbo dei soldi a De Benedetti? Così agitano lo spettro del golpe. E poi si rifanno ad altri argomenti di pregio: il giudice che ha scritto la sentenza è solito indossare maglioni (?), è molto alto (dunque odia Berlusconi

Montesquieu teorizzava la separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) per qualunque governo volesse funzionare Verifichiamola oggi, questa separazione

separazione dei poteri per qualunque governo avesse voglia di funzionare con giustezza ed efficienza: il potere esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario. Verifichiamola oggi, questa separazione,e hic et nunc, a casa di Berlusconi, Napolitano, Schifani, Mancino e compagnia più o meno cantante. Prendiamo una democrazia parlamentare come la nostra, e consideriamola come un tavolino a tre gambe (i tre poteri) a cui siedono ormai istituzionalmente Montesquieu e i suoi epigoni. Negli ultimi quindici anni gradualmente, sotto i nostri occhi prima politicizzati, poi spoliticizzati e adesso ripoliticizzati “resistenzialmente” contro il “regime” (virgolettature indispensabili), una di queste tre gambe è stata tarlata dall’interno, indebolendosi vieppiù fino a sbriciolarsi negli ultimi tempi.Sto parlando ovviamente del potere legislativo.Chi è il potere legislativo? I parlamentari delle due Camere. Chi li elegge? Il popolo. Come li elegge? Attraverso una serie di cambiamenti della legge elettorale mirati complessivamente sia da Berlusconi che nella sostanza da tutti gli altri a far cooptare delle persone di loro fedeltà o interesse, invece che a far scegliere dei cittadini da parte di cittadini, dei rappresentanti da parte di elettori in libertà. Risparmio “calcisticamente” tutto il discorso sulle preferenze, dottrina

noi&loro

É

di Maurizio

Chierici

VIA SOLFERINO AL CIVICO P2 F

acile capire perché Berlusconi “sente la mancanza del Corriere che fu”. Sente la mancanza del Corriere P2 in quanto numerario P2 si onorava di collaborare al grande giornale. Compilava pensierini che sfarfallavano attorno al Piano Rinascita di Gelli: giudici obbedienti al potere politico; parlamento che si sovrappone al capo dello Stato. E poi tv e pubblicità in mani fidate. Fiori del nostro autunno. Scriveva così, così, tanto che il direttore Di Bella, bravo giornalista precipitato nella rete degli incappucciati, non se l’era sentita di concedere lo spazio d’onore al fratello raccomandato. Nascondeva il Cavaliere nella seconda pagina disobbedendo ai foglietti categorici dell’ amministratore delegato, Bruno Tassandin ( P2 ): “di rigore, in evidenza, domani”. Milano stava cambiando e i protagonisti del cambiamento si preparavano a costruite l’ Italia 2000. Quale Italia lo ricorda “Il mistero Sindona”, confessioni in carcere prima del suicidio del bancarottiere P2, libro uscito 30 anni fa da un editore craxiano il quale aveva sfumato certi passaggi per non infastidire il suo primo ministro, protettore della diretta tv del Cavaliere. Dalle confessioni dei pentiti di mafia era sparito il nome di Luigi Berlusconi, procuratore della banca Raisi di Milano, associato ad una banca di Nassau nella quale (dichiarazioni dei mammasantissima) si nascondevano i soldi del riciclo. A Nassau il Berlusconi padre sedeva accanto a Sindona, Gelli, monsignor Macinkus. Oggi l’annuncio liberatorio dell’editore Alet: “versione non censurata”. om’era la Milano dove gli amici dei piduisti censuravano? La prefazione di Gianni Barbacetto avvicina il passato ai nostri giorni: “La classe dirigente di una Milano ancora ‘capitale morale’ d’Italia è distratta e già poco incline ad interrogarsi sull’odore dei soldi. La business comunity è efficiente ma sbadata. Sospettosa, invidiosa e maldicente nei confronti dei nuovi arrivati: Sindona e più tardi Salvatore Ligresti e Silvio Berlusconi. Ma basta poco a farle accettare i soldi e gli intrecci con la politica”. Spalle coperte dalla maggioranza silenziosa di De Carolis, regolarmente P2. Assedia il “Corriere”. Mele marce contro Piero Ottone colpevole di considerare ogni lettore una persona da informare, non da imbrogliare con slogan e silenzi. Rispetto per tutti e rifiuto di incensare il censo. Alberto Cavallari resuscita il giornale che le truppe craxiane provano ad impagliare quando Gelli scappa. Assemblee furibonde; portavoce degli insulti Vittorio Feltri. Cavallari se ne va e il socialismo decisionista incapsula il “Corriere” fino all’arrivo dei direttori normali: Ugo Stille, Paolo Mieli, Ferruccio de Bortoli. I quali si comportano con la chiarezza di chi interpreta la realtà rispettando tutte le notizie, proprio tutte, anche se sgradite ai maggiordomi della nuova P2.

C

da politologi meglio se illustri. Di sicuro il grado di libertà nelle scelte dei nostri rappresentanti si è ridotto al lumicino. C’è quindi una prima, profonda ferita democratica dal basso (insisto: non c’è in Italia oggi un partito davvero democratico, che rispetti l’etimo della parola, e che il Pdl sia un’azienda dichiarata mentre il Pd non lo sia non mi basta affatto). In Parlamento va dunque il cavallo di Caligola o la moglie, lo zio, il fratello, il nipote ecc.ecc. Sotto ogni sigla. Il tasso di pregiudicati e inquisiti è quello abnorme che sapete: sono nomi e fatti non smentibili, semplicemente “silenziabili” a comando quando proprio un Grillo, un Di Pietro o questo giornale non li segnala come dovrebbe fare chiunque per rispetto della democrazia. Non sto a sottilizzare su un aspetto determinante delle elezioni, affiancato alla legge elettorale modello cooptazione: la stampa è truccata, e ti dà notizie indirizzate e divise in due, pro Berlusconi o contro, quindi chi va a votare da questo punto di vista è un bambino preso a schiaffi dalla cattiva, parziale, strumentale (para)informazione esattamente mentre sta mingendo (metafora!).Cioè stiamo regredendo democraticamente in modo pauroso. l risultato è un Parlamento fantasmatico, poco presentabile e per Ivanifica nulla autonomo sul mandato popolare, che non produce leggi e quindi il potere legislativo, a sua volta sostituito dal governo che decreta in sua vece (Berlusconi nella sua commovente sincerità almeno lo ha detto: sono una manica di inutili fannulloni, datemi solo i capigruppo e l’Azienda che amministro andrà meglio…), e dalla magistratura che applica le leggi in assenza vera del legislatore. E’ ovvio che il tavolo della democrazia sia miseramente crollato, e che le due gambe rimaste duellino tra loro in uno scempio istituzionale e costituzionale, facendo credere al popolino che sia solo un “grave conflitto tra poteri”. Ma scherziamo? Qui c’è un golpe magari marroncino invece che bianco e noi facciamo finta di niente. E poi dice che uno si butta a sinistra… (Totò, metafora!).


Martedì 13 ottobre 2009

pagina 19

SECONDO TEMPO

MAIL La rabbia e l’orgoglio di un partigiano Credo di interpretare i sentimenti degli ultimi superstiti dell'antifascismo nel ventennio, sofferto col carcere e il confino, e dei combattenti nella guerra di Liberazione, esprimendo il profondo sconforto per il deterioramento della democrazia e della convivenza civile. Mai avremmo potuto immaginare un parlamento che si comporta, nella sua maggioranza, come il dipendente di un padrone il quale pretende (e ottiene) da loro la difesa dei suoi interessi privati. Interessi sconfinati, anche secondo la magistratura, nel malaffare. Mai avrei potuto immaginare che uomini della P2 ti insegnassero dal teleschermo come ci si comporta nella vita; mai avrei pensato che campioni dell'immoralità privata e -secondo la Chiesa- pubblici peccatori ( non richiedenti il perdono, ma perseveranti nel peccato) si proclamassero difensori e promotori della morale comune, religiosa e politica e della missione salvifica della religione cristiana. Mi tormenta il pensiero che tanti, donne e uomini, ma anche i giovanissimi, abbiano dato la

BOX A DOMANDA RISPONDO BERLUSCONI, MUSSOLINI E L’ITALIA SFORTUNATA

Furio Colombo

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aro Colombo, devo dire, dopo tante piazze San Giovanni e tante piazze Navona, che non mi stupisce la volgarità di Berlusconi. Penso, fra le tante prove che ci offre, agli insulti a Rosy Bindi, alla penosa, finta resistenza di Vespa (del resto messo da parte come un cameriere), al silenzio dei media che ne è seguito, quasi solo notizia, quasi niente scandalo, o indignazione, o protesta. Non posso credere che il nostro Paese sia questo: l’eloquio di Berlusconi (e di Brunetta), la faccia di Maroni e i morti in mare. Lei vede speranza? Angela

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L’INSULTO a Rosy Bindi è

esemplare, nel suo linguaggio squallido, perché sembra una sfida, tanto è estrema, da rissa stradale, da gang di teppisti. La sfida è questa: vediamo se gli italiani ci stanno, se mi seguono anche in questo. Ecco è l’unico vero aspetto di somiglianza fra Berlusconi e Mussolini. Mussolini sfida gli italiani con il delitto Matteotti. Se ne assume la responsabilità. La gente zitta. Mussolini

La vignetta

presenta le leggi razziali. Non una voce da segno di dissenso. Mussolini dichiara una guerra folle e assurda per cui non ha i mezzi e in cui la sproporzione enorme rispetto all’avversario sarebbe notata anche dai più inesperti. Applausi e ovazioni. Soltanto il crollo produce la rivolta. Ricordo, ai tempi di Papa Doc, il dittatore sanguinario di Haiti, un tassista di Port aux Prince, che mi porta in giro desolato e a un certo punto mi dice: “Signore, noi siamo un paese sfortunato”. E quello che i colleghi della stampa estera capiscono e scrivono dell’Italia. E’ ciò che motiva l’editoriale del New York Times (8 ottobre) pubblicato il 9 ottobre dallo Herald Tribune. Fa l’elenco delle imprese più note e imbarazzanti (agli occhi del mondo) di Berlusconi e si domanda: Ma perché la destra italiana accetta un simile leader? Gli italiani non meriterebbero di meglio? La risposta per ora è identica a quella del tassista di Haiti. Diremo ai nostri colleghi americani, nel giorno in cui il presidente Obama riceve il Premio Nobel per la pace: “Signori, noi siamo un paese sfortunato”. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

messaggio alle Camere, tale sua estrema determinazione, per mettere il Parlamento di fronte alla pienezza delle sue responsabilità. La questione dunque si riduce a questa penosa alternativa: o il capo dello Stato Napolitano ha giudicato la questione dello scudo fiscale non meritoria di così gravi implicazioni, oppure siamo di fronte ad un altro esempio di quel bonario giudizio espresso da Alessandro Manzoni sulla natura umana dei più (riferita a don Abbondio): se uno il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare. Avv. Alberto Panighetti

Io, discriminata perchè di sinistra vita sognando un'Italia diversa. Avrebbero mai potuto immaginare le volgarità di un ministro della Repubblica che, giurando il falso sulla Carta Costituzionale, non ammette di provare vergogna per aver paragonato il Tricolore alla carta igienica? Sono attonito e deluso davanti a questi partiti democratici rissosi e disuniti, dimentichi che fu la loro unione a dare consistenza e forza alla Resistenza. Perdonate lo sfogo di un vecchio giornalista ex partigiano. Massimo Rendina

Se Napolitano non ha coraggio Condivido in tutto l'articolo di Bruni Tinti sulla firma "pesante" del presidente Napolitano a promulgazione della conversione in legge del decreto sullo scudo fiscale. Tuttavia anche a lui, come agli altri commentatori, sfugge un'ulteriore argomentazione, che rende

quella firma e le sue motivazioni ufficiali davvero "un macigno". Il presidente infatti, per giustificare in piazza la promulgazione -già in prima battuta- del provvedimento legislativo in esame, ha detto una cosa davvero inesatta: ha affermato che, nel caso di replica del parlamento, "nella Costituzione c'è scritto che io sono obbligato a firmare". In realtà l'art. 74 della Costituzione dice solo che, come ricorda Bruni Tinti, se le Camere approvano nuovamente la legge "questa deve essere promulgata". Come spiegano tutti i costituzionalisti, in tal caso al presidente resta un'estrema prerogativa, che la saggezza dei Padri costituzionali ci ha lasciato a sommo baluardo del nostro sistema democratico: egli non è "obbligato a firmare", poichè in alternativa ha la facoltà di dimettersi! E la stessa cosa possono fare a catena i suoi successori. Non si dica che tutto ciò è puro formalismo. Anche perchè nulla impedisce al presidente, che rinvia alle Camere la legge che si rifiuta in prima battuta di firmare, di fare chiaramente intendere, nel suo apposito

Sono una giornalista e collaboro con Repubblica a Palermo. Sono il capo ufficio stampa della provincia di Enna. La mia collega, Rossella Inventinato, è capo redattore. Prima ingiustizia: fino ad oggi abbiamo lavorato con uno stipendio di capo redattore, pari a 2mila euro al mese, e ci siamo accontentate. Peggio è la seconda ingiustizia. Nel giugno 2008 la roccaforte dell’Ulivo (Enna) si è consegnata al centro destra. Risultato: la prima delibera d’insediamento della giunta provinciale, con a capo un militante dell’Msi, ci ha retrocesse ad impiegate, togliendoci il contratto e circa mille euro lordi dallo stipendio. Per non parlare della cassa previdenziale e dell’assistenza sanitaria. Enna langue, mancano i soldi, la provincia è in dissesto. La politica, con la complicità di burocrati che ci perseguitano, ci punisce perchè siamo di centro sinistra. Abbiamo fatto ricorso alla magistratura ordinaria, ma al tribunale c’è un solo giudice ch

IL FATTO QUOTIDIANO via Orazio n. 10 - 00193 Roma lettere@ilfattoquotidiano.it

ha rimandato, nonostante la richiesta di un provvedimento d’urgenza, tutto di almeno un anno! Se non mi viene un infarto questa volta, vuol dire che ho il cuore d’acciaio.

IL FATTO di ieri13 Ottobre 1962 Nel ’62 del miracolo italiano, del boom dei consumi e delle cambiali, della Milano dei “dané”, “estuario del sangue semplice dei terroni”, come la definirà Anna Maria Ortese, irrompe in libreria “La vita agra” di Luciano Bianciardi, denuncia impietosa di un’alienazione annunciata. Quasi un grido anarchico contro il nuovo abbaglio del “produci e consuma”, contro i ritmi vorticosi e ingoianti di una produttività ossessiva, contro il trionfo delle merci e del neo-aziendalismo carrieristico. Poco prima di metter mano al romanzo, così Bianciardi scriveva a un amico “…Ho in mente di buttar giù una grossa pisciata in prima persona sull’avventura milanese, sul miracolo economico, sulla diseducazione sentimentale che è la nostra sorte di oggi”. Autoreferenziale per scelta, “La vita agra”è la storia di una missione incompiuta, il racconto di un sogno rivoluzionario dissoltosi nella trappola vischiosa di una metropoli adescatrice che ingloba e disgrega ribellioni e ideali. Con grottesco sarcasmo verso la classe dirigente e verso il mito arrembante del nuovo “italiano medio”, Bianciardi, “ultimo romantico” secondo Arpino, scrive forse la favola più amara della sua trilogia ribellista. Giovanna Gabrielli

L’abbonato del giorno IVAN NICCOLAI Ivan è un ingegnere informatico, ha 26 anni e vive a Wollongong, Australia. Si definisce: "Un cervello in fuga, ormai da molti anni". E' un doppio abbonato: iil giornale di carta arriva a casa di suo padre in Italia, mentre il formato in Pdf lo legge lui. Ora che siamo in edicola da un po’, ci scrive: "Mi piace il Fatto appunto per avere notizie sui fatti Italiani. Finalmente un giornale italiano paragonabile Times e all’Herald!”.

Daniela Accurso

Dissento con De Magistris sul ruolo del magistrato Ho letto la lettera di Luigi De Magistris al presidente della Repubblica. Dissento dalle critiche fatte a Napolitano, frutto di una concezione barocca ed obsoleta della magistratura. Quello del magistrato è un lavoro professionale simile a molti altri. Comporta equilibrio, sobrietà, rigore, rispetto. Nessuna missione, invece. Nè vocazione d’infanzia. Grazie per aver ascoltato anche voci contratie, avv. Paolo Mirandola

La propaganda del ministro Brunetta Sono un pensionato, padre di un ragazzo quasi cieco. Vi scrivo perche penso sia imporatante far sapere agli italiani quanto è bravo il ministro Brunetta (come del resto tutto il governo Berlusconi) a pubblicizzare il suo modo di operare. Mi spiego: prima delle ferie estive il professor Brunetta, in una trasmissione Rai della mattina, pubblicizzava un numero telefonico: 803001. Lo esaltava spiegando che ogni cittadino poteva telefonare a questo numero nel caso avesse bisogno di risolvere dei ploblemi. Io lo digito subito, mi risponde un'operatore molto gentile al quale spiego che mio figlio, ipovedente, impiegato presso il centralino dell'ospedale di careggi-Firenze, è costretto tutti i giorni a prendere un treno e un bus per andare al lavoro in quanto abita con la sua compagna (anche lei ipovedente e in attesa di una figlia) in Cecina. La compagna di mio figlio lavora al centralino del tribunale di Cecina, quindi i due hanno casa lì. Racconto al numero di assistenza

Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

che le difficoltà per un ipovedente di viaggiare sia in treno che in bus (circa 4 ore ogni giorno) sono molteplici. Spiego inoltre che hanno fatto domanda di trasferimento da 6 mesi. A questo punto il centralinista mi risponde gentilmente che ha preso nota e che richiameranno. Dopo 24 ore squilla il telefono, cosa che mi fa pensare ad una efficienza veramente eccezionale: mi chiama una ragazza sarda e comincia a declamare leggi e contraleggi per circa 20 minuti. Alla fine chiedo consiglio su cosa fare, e la signoria mi risponde questa magnifica cosa:

“compri casa a Firenze”. Questo messaggio è stato inviato anche al professor Brunetta nel suo blog al quale sollecito risposta ogni 10 giorni. Tutto tace. Ho scritto anche a Repubblica, all'indignato di canale 5, ma nessuno mi ha sentito. Penso che questo piccolo episodio sia emblematico per capire quanto vuota sia la propagandare televisiva dei berlusconones. Camillo

Berlusconi non sta bene, è ora di fare qualcosa Penso che si debba pensare seriamente alla soluzione di un grava problema : la salute psico/fisica del capo del Governo. Come gia denunciato dalla ex moglie (chi più attendibile di lei, anche se mai interpellata in merito), Silvio Berlusconi ha bisogno di cure. E’ evidente che non si possono definire equilibrati i suoi comportamenti, pubblici ancor più che privati. Invece di perderci in tante dissetazioni, che pure hanno contenuti validi e sostanziali, perchè non si affronta questo che è i punto fondamentale: il presidente del Consiglio non sembra nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, e non è una cosiderazione di parte ma una oggettiva constatazione. Raffa Caliendo

Diritto di Replica Per un errore di battitura, nell’articolo pubblicato dal Fatto domenica 1 ottobre “161 richieste, solo 7 processi” a firma di Marco Lillo e Carlo Tecce, parlando di Salvatore Margiotta si fa riferimento alla Tamoil. In realtà si tratta della Total. Ce ne scusiamo con i lettori e con i diretti interessati.

Direttore responsabile Antonio Padellaro Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro Centro stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago , via Aldo Moro n°4 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l'estero: Poster Pubblicità & Pubbliche Relazioni S.r.l., Sede legale e Direzione commerciale: Via Angelo Bargoni n°8, 00153 Roma tel. + 39 06 68896911, fax. + 39 06 58179764, email: poster@poster-pr.it Distribuzione Italia:m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: Via Cazzaniga n°1, 20132 Milano tel. + 39 02 25821, fax. + 39 02 25825203, email: info@m-dis.it Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione ore 20.00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599


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