PAESAGGIO AI MARGINI l’agricoltura urbana come riattivazione di spazi nella città
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Politecnico di Milano Facoltà di Architettura e Società Tesi di laurea triennale in Scienze dell’Architettura Anno Accademico 2012/2013 Studente
Relatore
Francesca Cazzaniga Prof.ssa Francesca Cognetti matr. 746344 3
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ringraziamenti al sostegno della Professoressa Cognetti alla pazienza di Filippo alla solidarietà delle mie amiche all’incoraggiamento della mia famiglia 5
indice
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MOTIVAZIONI
pag.11
METODOLOGIA
pag.13
Capitolo I - INTRODUZIONE
pag.15
1.1_ Il cambiamento della città contemporanea 1.2_ Una nuova creatività ai margini della città 1.3_ Riappropriazione dello spazio urbano 1.4_ Appropriazione informale o bottom up?
pag.16 pag.17 pag.18 pag.19
MAPPATURA orti urbani, giardini condivisi
pag.20
ELENCO orti urbani
pag.22
ELENCO giardini condivisi
pag.23
Capitolo II - ORTI URBANI
pag.25
2.1_ Cosa significa “Agricoltura Urbana”? 2.2_Come nascono gli “orti urbani” 2.3_ Orti Urbani moderni e Agricivismo 2.4_ Orti sociali
pag.26 pag.28 pag.32 pag.34
2.5_ Orti ed identità
pag.36
Capitolo III - GIARDINI CONDIVISI
pag.39
3.1_Giardino condiviso o orto urbano? 3.2_Terra e web 3.3_ Quando e come sono nati i giardini condivisi 3.4_ Panorami “da riciclo” 3.5_ Giardini condivisi generano socialità
pag.40 pag.41 pag.43 pag.44 pag.45
MAPPATURA mercati a chilometro 0, cascine milanesi
pag.48
ELENCO mercati a chilometro 0
pag.50
ELENCO cascine milanesi
pag.51
Capitolo IV - MERCATI A CHILOMETRO 0
pag.55
4.1_ Cosa significa mercato a chilometro 0 4.2_ Una nuova idea di cibo 4.3_ Associazioni e mercati a “km 0”
pag.56 pag.57 pag.58
Capitolo V - CASCINE MILANESI
pag.61
5.1_ Significato ed etimologie
pag.62 7
8
5.2_ La cascina lombarda 5.3_ Breve excursus storico 5.4_Tipologia edilizia 5.5_ Riavvicinamento alla campagna
pag.63 pag.64 pag.67 pag.69
ITINERARI
pag.72
MORFOLOGIA
pag.74
PROPRIETÀ
pag.76
Capitolo VI - RIFLESSIONI
pag.79
6.1_ Desideri di condivisione 6.2_ Modalità di appropriazione 6.3_ Rapporto con l’istituzione 6.4_ Lo spazio pubblico in relazione alla città contemporanea 6.5_ Nascita di nuovi spazi pubblici? 6.6_ Orto urbano un servizio pubblico 6.7_ Giardino condiviso come contemporanea agorà
pag.80 pag.81 pag.82 pag.83 pag.85 pag.86 pag.87
BIBLIOGRAFIA
pag.88
SITOGRAFIA
pag.91
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motivazioni La tesi si configura come un diario nella campagna milanese, ai limiti del paesaggio urbano, cercando di descrivere la realtà dell’Agricoltura Urbana e i fenomeni a questa connessi, non solo attraverso dati e nozioni concrete e tangibili ma raccontando inprima persona le esperienze, i colori, i profumi, il contatto con le persone ed in generale le sfumature che sarebbero inafferrabili attraverso una sterile analisi di informazioni tecnico-oggettive. L’obiettivo è quello di fornire un panorama di queste esperienze nella città di Milano, approfondendo, con casi studio, i fenomeni di forte attualità quali orti urbani, community gardens, cascine e mercati a chilometro 0. Bisogna ricordare inoltre che la città di Milano sarà trasformata in questa direzione con l’Esposizione Universale EXPO 2015, il cui tema è “nutrire il pianeta, energia per la vita”, dove saranno progettati luoghi dedicati al paesaggio e all’agricoltura. Ho trovato quindi di grande interesse ed attualità questi temi, racchiusi nell’ insieme più grande dell’ Agricoltura Urbana, perché potrebbero cambiare l’aspetto ed “influenzare il paesaggio contemporaneo con ripercussioni sulle convenzioni visive dell’ambiente urbano e periurbano ed agire sui comportamenti e stili di vita dei cittadini qualora si sviluppassero a scala maggiore”1.
P. Nicolin, editoriale Lotus International, n.149, 2012 1
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osservazione diretta
ricerca
elaborazione rappresentazioni
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interviste
sopralluoghi
metodologia Il metodo con cui ho pensato, studiato e scritto la tesi è riassumibile in cinque fasi. La prima parte del lavoro è stata una ricerca dei temi che avrei dovuto analizzare e la conseguente scelta consapevole degli itinerari scelti. Una volta decisi i casi studio, ho effettuato sopralluoghi per Milano, osservando le realtà che trovano diverse di volta in volta. Ho parlato con le persone che quotidianamente fruiscono questi luoghi e con professionisti che si occupano di questi temi. Dopo aver così ottenuto il materiale sufficiente, ho rielaborato i dati appresi, compilando delle “schede”, per ogni itinerario di viaggio scelto, in modo da ottenere una serie di schede che presentino un paio di esempi per i quattro campi di indagine: orti urbani, giardini condivisi, mercati a chilometro 0, cascine.
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cittĂ contemporanea
riappropriazione
nuove relazioni
opposizione
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capitolo i
INTRODUZIONE 15
1.1_ Il cambiamento della città contemporanea “Le città sono diventate delle discariche per i problemi causati dalla globalizzazione. I cittadini e coloro che sono stati eletti come loro rappresentanti, vengono messi di fronte a un compito: il compito di trovare soluzioni locali alle contraddizioni globali”1. La citazione di Zygmund Bauman, indica come il contesto cittadino identifichi emblematicamente “i problemi causati dalla globalizzazione”, riunendo in sé vari ed eterogenei aspetti di cultura, religione, alimentazione e storia. Oggi la città assume,infatti, un significato e delle dinamiche urbane e sociali sempre più complesse, dovute ad una continua mutevolezza e instabilità di interazioni da parte di soggetti, risorse, capacità e culture differenti. Questo “problema” si rispecchia ovviamente anche nell’organizzazione dello spazio cittadino, nella sua fruibilità e gestione. L’ambiente urbano contemporaneo è caratterizzato da nuovi modi di rapportarsi al territorio e nuove vie per usufruire della risorsa Città; proprio per questo motivo i dibattiti e conflitti circa un nuovo utilizzo degli spazi, spesso in zone limite dell’ universo urbano, devono essere interpretate non come un “problema” ma piuttosto come una risorsa, ossia “come indicatore del cambiamento sociale in corso”2 . Molte pratiche di coesione ed interazione sociale nascono spontaneamente dal basso, quindi da parte della cittadinanza stessa, e generalmente in zoneperiferiche della città spesso a causa della mancanza dell’istituzione statale. Zigmund Bauman, “Fiducia e paura nella città”, 2005 2 Paolo Cottino, “La città imprevista”, 2003 1
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1.2_ Una nuova creatività ai margini della città Si sta costituendo un nucleo sempre crescente di persone che vivono nelle periferie cittadine e che “costituiscono un enorme potenziale creativo”3. Non è possibile infatti paragonare questo genere di esperienze alle tradizionali misure di intervento adottatedall’ordine pubblico, che dovrebbe accettare queste divergenze dalla norma e premiare l’eterogeneità, la mescolanza e la vivacità culturale. Partendo da questa rottura con la tradizione dell’urbanistica, si discostano fenomeni come orti urbani, community gardens, commercio ambulante, mercati informali e centri sociali che proprio “per questa loro caratteristica di spontaneità vengono intesi dall’ordine pubblico come problema di disordine urbano”4. Tali realtà impreviste nascono in contrapposizione a questa logica della città fruita attraverso spazi spersonalizzati e impersonali, con l’intenzione di dare una maggiore elasticità e nuova vita alla città.
3 4
Ibidem Ibidem
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1.3_ Riappropriazione dello spazio urbano Questo “disordine”, inteso così dalla cultura dominante per paura della complessità e della diversità, cerca di aprire uno spiraglio di riappropriazione da parte dei cittadini dello spazio urbano. Questo genere di spazio pubblico, categoria molto difficile da classificare in una città moderna, prende vita dall’appropriazione informale di luoghi precedentemente abbandonati e dimenticati con lo scopo di praticare interazione sociale. Il fine ultimo è quello di mettere in contatto culture e realtà differenti che hanno la necessità di dialogare fra loro essendo in strettissimo contatto fisico l’una con l’altra. L’esigenza di spazi che siano veramente pubblici, aperti a tutta la cittadinanza e che abbiano il valore aggiunto di creare partecipazione attiva tra i suoi fruitori, dovrebbero essere nelle prospettive future il nuovo volto delle città moderne. La cittadinanza deve essere sensibilizzata a nuove funzioni sociali del contesto urbano in cui gli spazi pubblici e le iniziative spingano ad un sentimento di “mixoflia”, quindi l’arte di vivere pacificamente e felicemente con le differenze5, anziché chiudersi nel proprio recinto privato di fronte a problemi propri della città e quindi comuni.
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1.4_ Appropriazione informale o bottom up? Le iniziative volte all’aggregazione e coesione sociale sono spesso di natura diversa, a volte promosse dal Comune, raramente private e molte altre invece di iniziativa locale. Quest’ultima categoria spesso etichettata come “abusiva” è in realtà un fenomeno sfac- cettato. L’appropriazione illegittima di porzioni di terra da parte degli abitanti per la creazione di un orto urbano, per esempio, è sì da un lato impropria in quanto intesa come uso individuale di uno spazio pubblico, ma dall’altra parte permette il riutilizzo e la rinascita di spazi fino ad allora abbandonati, degradati e soprattutto dimenticati. Il nodo cruciale della questione è quindi questo: queste forme “abusive” fino a che punto sono da considerarsi degrado del contesto urbano? Oppure queste iniziative, di approccio bottom up, migliorano e stimolano i cittadini rendendoli partecipi nel progetti di creazio- ne di orti e giardini condivisi?
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mappatura orti urbani e giardini condivisi Questa prima mappa intende individuare le colonie ortive ed i vari casi di giardini condivisi o di quartiere esistenti nel Comune di Milano. La scelta di accorpare questi due fenomeni, diversi per alcuni aspetti ma molto simili per altri, permette di osservare quanto siano diffusi e praticati in una città dove gli spazi verdi dedicati alla partecipazione attiva da parte dei fruitori sono spesso reclamati a gran voce dalla cittadinanza. La scelta cartografica evidenzia lo spazio costruito ad una scala urbana e localizza simbolicamente i casi esistenti in modo da rappresentare meglio la loro diffusione edespansione nelle varie zone della città. Le colonie ortive rilevate sono 184 per un’area complessiva di 1.220.000 mq. I giardini di quartiere mappati sono 23 per un’area totale di 21.900 mq (esclusi balconi ed aiuole). L’individuazione dei soggetti è stata possibile grazie ad uno studio comparato tra le immagini satellitari di Google Earth e la ricerca “La terra delle città”di F. Cognetti, S.Conti, V.Fedeli, D.Lamanna, C.Mattioli ( marzo 2012).
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orti urbani giardini condivisi 21
ZONA 1
ZONA 6
ORTI
ZONA 2
Via di Rudinì, Casa di Riposo, 651 mq
ORTI
Via Alghero/Nuoro 30 parcelle, 2125 mq
ORTI
ZONA 3
ORTI
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ORTO
ORTO
Cimitero di Lambrate 76 parcelle, 4083 mq
ZONA 4
ORTO
Parco Alessandrini Via Monte Cimone
Via Danusso 94 parcelle, 5451 mq Via Chiodi 25.000 mq
Via Cardinal Tosi 58.000 mq Parco delle Cave 188 parcelle, 18.000 mq
ORTI
Via Budrio 27 parcelle, 1429 mq
ORTI
Bosco in Città
ZONA 8 ORTI
ZONA 7
ORTI
Via V Maggio
Via Calchi Taeggi 60 parcelle, 3088 mq
ZONA 9
ORTI AEM
ORTI CASCINA GUASCONA
ORTI
Cascina dei Prati 20 parcelle, 2460 mq
ORTI
Cascina Guascona 10 parcelle, 986 mq
ORTI
ORTI
Cascina Albana
ZONA 5
Via Valla
Via de Missaglia
ORTI
Via Chiampazzino
ORTI CASCINA BASMETTO
Via Della Chiesa Rossa 265 22
ORTI
Via Mosca 63 parcelle, 3500 mq
ORTI
Via Valsesia/Via Nitti Parco del Deviatore Olona
ORTI
Parco Nord
ORTI
Via Lanfranco della Pilla
ZONA 1
ZONA 4
Via dei Marchi 9
Viale Molise 68
ORTO DELLA FEDE ORTI IN CONCA
quartiere Conca del Naviglio
ORTO DI MACAO
ORTI CASCINA CUCCAGNA Via Muratori
GIARDINI IN TRANSITO
PIANO TERRA
ZONA 2
PIANO TERRA
Viale Montello
orto di quartiere Corvetto, Via Oglio 20
ZONA 5
ZONA 7
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ZONA 8
ORTO COMUNITARIO DI CASCINA TORCHIERA
Via Cimitero Maggiore 18
ZONA 9
GIARDINO DEGLI AROMI
Via Don Roberto Bigiogera
orto scuola media, Via Vallarsa
GIARDINI DEL SOLE
PLAYGROUND
giardino terapeutico, ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini, Via Ippocrate 45
COOPERATIVA PERCORSI
orto collettivo, Via Luigi Pastro
PAPAVERI ROSSI Parco Trotter Via Padova 69
ZONA 3
ORTO DIDATTICO
orto metropolitano, Via Torricelli angolo Via Conchetta orto terapeutico, Via Della Chiesa Rossa
ZONA 6
Via Clericetti
ORTOFFICINA CORDATA
ORTO SINERGICO DI CASCINA ROSA
GIARDINO NASCOSTO
Via Valvasssori Peroni
CSOA LAMBRETTA
Via GianBattista Tiepolo
FACOLTĂ€ DI AGRARIA Via Celoria
Residence Zumbini 6 giardino comunitario, Via Dionigi Bussola
COMMUNITY HUB
Giambellingarden, giardino comunitario, Via Odazio 7
PARCO DELLE FAVOLE COLTIVANDO
orto comunitario, Politecnico di Milano, Campus Durando Bovisa, Via Candiani 72
PASSPARVERD
Via Butti angolo Via Guerzoni
ISOLA PEPE
giardino partecipato quartiere Isola, Via Gugliemo Pepe
IL GIARDINO DELLE ERBE SPONTANEE
Green Island, Cavalcavia Bussa 23
identitĂ territoriale
ricerca
attivitĂ ricreative
socialitĂ
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capitolo ii
orti urbani 25
2.1_ Cosa significa “Agricoltura Urbana”?
Gilles Clèment, “Manifesto del Terzo Paesaggio”, 2004 1
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L’espressione “Agricoltura Urbana” indica il fenomeno di diffusione all’interno della città, quindi in contesti urbani e peri-urbani, di aree coltivate da parte dei city farmer. Questa pratica si è radicata ed estesa da circa un secolo in numerose metropoli a livello internazionale ed anche il caso italiano, con particolare attenzione alla città di Milano è in crescita in questi ultimi anni. Questo fenomeno, oltre alla semplice produzione alimentare, sperimenta nuove forme di convivenza e si pone come fertilizzante dei rapporti umani. Può essere inteso come un atto di rivendicazione rurale, ossia come pratica anti-urbana che critica l’organizzazione propria della città, anche se dall’altro lato non può prescindere dal contesto urbano che l’ha vista nascere. Si crea così un interessante ossimoro racchiuso nella sua stessa definizione di “AGRICOLTURA URBANA”, in quanto necessita della forma e degli spazi della città per affermare la sua esistenza. È possibile riferire il concetto di agricoltura urbana a quello di Terzo Paesaggio di Gilles Clément; infatti questa realtà prende forma per lo più in zone margine, in spazi residuali della città, intesi “in ambito urbano” come spazi che “corrispondono a terreni in attesa di una destinazione o in attesa dell’esecuzione di progetti sospesi per ragioni finanziarie o di decisioni politiche”1 . Perché si pratica l’agricoltura urbana? Il dibattito è vasto ed ancora aperto. Da un lato propone un nuovo sistema alimentare, contrasta il consumo di suolo e supporta la coesione sociale. Interessando più ambiti ha quindi la capacità e la forza di raccogliere consensi. Esistono infatti diversi e molteplici motivi che possono esserne le cause, le conseguenze, gli effetti collaterali o gli sviluppi positivi di questo vasto tema. Si può affermare che la sua caratteristica di eterogeneità, polifunzionalità e multidisciplinarietà, la capacità quindi di incorporare in sé più e diverse tema- tiche, dall’alimentazione, al paesaggio, all’aspetto sociale, è
senz’altro il suo punto di forza2. Dal punto di vista architettonico molti sono i risvolti che questa possiede nei confronti dello spazio urbano. Può essere intesa come forma insediativa capace di delineare “precise conformazioni territoriali”3, per salvaguardare la compattezza della città e strutturare la diffusione peri-urbana; oppure può essere relazionata al contesto intendendo la riqualificazione dell’assetto ecologico e il suo uso come riscatto sociale mettendo l’accento sulle dinamiche relazionali e di conseguenza territoriali nello spazio del costruito cittadino in cui il rapporto tra agricoltura e terra sembra ormai scardinato. In questa tesi verranno evidenziati in modo particolare i risvolti e i benefici sociali che questo fenomeno produce.
Maddalena Falletti, “Agricoltura Urbana: un dibattito indisciplinato”, in «Territorio» n. 60, 2012 3 Ibidem 2
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2.2_Come nascono gli “orti urbani”
Tesi di Lorenzo Cioni, “Orti-culture: Riflessioni antropologiche sull’orticultura urbana”, 2012 5 Mariella Bussolati, “L’Orto diffuso”, 2012 4
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Il rapporto tra città e campagna è progressivamente cambiato nel corso del tempo. Nell’antichità le coltivazione nascono in prossimità dei centri abitati delle mura della città. Negli ultimi due secoli si è verificata un’estensione e un dominio sempre più schiacciante della città a discapito del contesto rurale, processo che si è accentuato con l’avvento della Rivoluzione industriale. Le mura della città furono abbattute, i confini si ampliarono e i centri urbani cominciarono a cresce a dismisura mentre i piani urbanistici dell’epoca non lasciarono spazio ad aree agricole destinate alla coltivazione. L’antica netta divisione fra città e campagna oggi non esiste più e le due realtà si sono fuse insieme in un continuum ruraleurbano, processo in cui la campagna è stata lentamente erosa dalla dispersione insediativa. Questo “processo di urbanizzazione della campagna è dovuto in parte ad una progressiva urbanizzazione della popolazione agricola”4 ed ha stravolto l’odierno panorama sia agricolo che urbano. Gli spazi verdi destinati all’agricoltura si sono progressivamente allontanati dal centro cittadino, posizionandosi ai margini dello spazio costruito. All’interno della città si lascia posto solamente ad aree verdi di tipo ornamentale, come parchi e aree gioco per bambini. Gli stessi urbanisti hanno incentivato questo tipo di crescita a partire dal pensiero dominante del razionalismo sempre contrario al decentramento urbano basato sull’idea della città-giardino. In queste città, diventate ormai “cancri di cemento” dove “la vita si alterna esclusivamente tra casa e lavoro, quasi a riprodurre il sistema di produzione della catena di montaggio”5 , gli orti continuano a sopravvivere grazie alla loro pratica nei pressi delle fabbriche, intesi come momenti di svago e tempo libere per gli operai. Anche “la Chiesa ed altri enti governativi fecero la loro parte,
favorendo la diffusione degli orti per ridurre così eventuali situazioni di conflitto sociale fra immigrati e locali”6 . La vera svolta nella pratica di questo fenomeno fu di importazione d’oltre oceano; negli U.S.A., a partire dall’Ottocento, gli orti urbani nacquero in aree abbandonate e degradate come occasione di lavoro per disoccupati, favorendo l’integrazione sociale. In Italia invece la pratica degli orti fu rilanciata ed affianca alla propaganda della “Battaglia del grano”, durante il ventennio del regime fascista, promossi dall’Opera Nazionale del Dopolavoro, per perseguire l’autosufficienza produttiva di frumento della penisola. Infatti l’idea dell’ “orto di guerra” è promossa in molti paesi europei per far fronte alla necessità di auto-alimentazione delle nazioni. Per citare un esempio nel 1922 in Inghilterra venne promulgato l’Allotment Act, che prevedeva la creazione di orti urbani, sociali quasi fossero una vera e propria politica di welfare. In generale quello della seconda guerra mondiale è il momento storico in cui questo fenomeno raggiunge un’ampia diffusione per motivi però strettamente legati alla crisi economica e all’approvvigionamento alimentare, figurativamente legati alle classe sociali meno abbienti. Rimaneva, invece, in secondo piano il vantaggio del benessere psicologico. In generale in Italia non esiste una tradizione associativa degli orti bensì abusiva. Probabilmente questa caratteristica è dovuta ad un aspetto sociale radicato nella mentalità comune per cui l’ortista urbano è mal tollerato se non apertamente disprezzato ed osteggiato. Questo risvolto psicologico unito alla tradizione abusiva ha portato all’errata convinzione che gli orti causassero degrado urbano e rendessero ancora più brutto il paesaggio periferico. Pur rimanendo per molto tempo legato ad un concetto di povertà, e per questo allontanato dalla curiosità dei media, risultò difficile sradicare completamente questa pratica dalla città, che
Tesi di Lorenzo Cioni, “Orti-culture: Riflessioni antropologiche sull’orticultura urbana”, 2012 6
29
Mariella Bussolati, “L’Orto diffuso”, 2012 7
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fu per lungo tempo semplicemente ignorata nella sua diffusione e si sviluppò così “lungo i canali di scolo o gli argini dei fiumi, o in altri posti decisamente improbabili”7. Tuttavia in questi ultimi anni la tendenza è cambiata, l’accettazione degli orti urbani può coincidere con una più generale riqualificazione ecologica ed urbanistica della città nell’immaginario comune. Molte sono le associazioni e fondazioni che hanno sensibilizzato l’opinione pubblica a questo tema e soprattutto il fenomeno di coltivazione urbana è oggi incoraggiato da molte amministrazioni pubbliche. Negli anni Ottanta dello scorso secolo, alcuni fra istituzioni governative internazionali, Ong, enti di ricerca e governi locali cominciano ad interessarsi al fenomeno dell’Agricoltura Urbana. Ciò portò nel 1996, al Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo che pubblicò il volume “ Urban Agriculture: food jobs and sustainable cities” in occasione della Seconda Conferenza sugli Insediamenti Urbani. Questo fatto indica la presa di volontà dell’analisi e comprensione di questo crescente fenomeno. La prima importante iniziativa italiana fu la creazione del progetto “ Orti Urbani” sottoscritto da Itali Nostra, ANCI e il Ministero delle Politiche Agricole, del Febbraio 2013. Il progetto prevede la riqualificazione di spazi abbandonati o degradati entro le città metropolitane per destinarli alla creazione di orti col fine della socializzazione tra i cittadini orticoltori, di consumo a Km zero di prodotti delle terra con innegabili vantaggi anche di risparmi economici specie in tempi di crisi come questi. Con il protocollo d’intesa si prevedono, tra l’altro, nuove attività di censimento dei terreni in aree urbane e periurbane inutilizzate o disponibile per l’iniziativa e la creazione di un sito WEB informativo e gestionale nella convinzione di poter favorire in modo più incisivo la diffusione di una agricoltura “di qualità” a servizio delle comunità e degli abitanti delle città e con l’intento di una migliore tu-
tela del paesaggio agrario in modo attivo e propositivo contro la cementificazione e la speculazione edilizia8. La vera minaccia dell’agricoltura urbana rimane infatti l’interesse immobiliare, anche se la nuova sensibilizzazione ed il particolare momento di crisi potrebbe invertirne la tendenza.
8
www.italianostra.org
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2.3_ Orti Urbani moderni e Agricivismo
Mariella Bussolati, “L’Orto Diffuso”, 2012 10 Ibidem 9
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Quella dell’orto è una pratica, sì antica e tradizionale, ma allo stesso tempo diffusasi con caratteristiche di modernità. Fare oggi un “orto urbano” significa “tornare alla terra da cittadini, e non da contadini produttori” e permette di “rintracciare le proprie radici, mettere alla prova le proprie abilità e sentirsi parte di una rete più grande”9 . Molte sono le novità rispetto al passato. Una di queste è che la creazione e la dedica all’orto non è più destinata alle classi più basse e povere della società ma sta lentamente coinvolgendo ed affascinando persone di ogni età e fascia di reddito. Oggi coloro che vivono le città hanno perso il vero e genuino contatto con la natura che può essere recuperato grazie alla possibilità di coltivare un orto in uno spazio urbano oppure prendere parte alla cura di un giardino condiviso. A conferma di questo, secondo un’indagine promossa da Coldiretti nel 2011, un italiano su quattro si dedica alla coltivazione dell’orto ( il 37% della popolazione) e oltre un milione e mezzo di orti “ai piani alti” si trovano in Lombardia 10. La differenza consiste anche nelle tecniche e pratiche di coltivazione. Si fa innanzitutto riferimento a coltivazioni di tipo non intensivo, ciò significa lasciare alla terra la possibilità di rigenerarsi. Tutto il processo è inteso in termini biologici o comunque non interventisti, ossia evitando pesticidi e utilizzando fertilizzanti naturali. Altre tecniche innovative sono l’agricoltura sinergica e la permacoltura. Entrambe credono nella necessità di mantenere l’organismo-suolo autonomo e permettergli di auto-rigenerarsi, mettendo in relazione i diversi elementi in modo che possano essere equilibrati e protetti. A livello più teorico la natura è stata progressivamente allontanata dall’universo urbano ed in questi ultimi tempi si riscontra un bisogno di “tornare alle origini”, di poter avere con la natura un contatto ed una familiarità
quotidiana. A sostegno di questa tesi ricordo il neologismo “Agricivismo” coniato da Richard Ingersoll nella pubblicazione “Sprawl- town”, che indica il “miglioramento della vita civica e della qualità ambientale e paesaggi stica della città, attraverso l’utilizzo dell’attività agricola”11 . La pratica dell’Agricoltura Urbana diventa quindi promotrice e sostenitrice di valori ambientali e culturali. Dal punto di vista ambientale si concretizza la possibilità di gestire spazi di verde pubblico, recuperarne altri residuali, limitare l’inquinamento, ridurre il consumo di suolo e svolgere un’attività di educazione ambientale. Tra i valori culturali e sociali è, invece, da sottolineare la sua valenza didattica e terapeutica; sia per la funzione pedagogica attuata nelle scuole volta all’insegnamento ai più piccoli della cura della natura, sia per la ricostruzione di una “memoria rurale” delle nuove generazioni; la cura dell’orto trova riscontro anche nella cura della salute fisica e psichica, infatti il lavoro manuale con la terra aumenta l’autostima degli individui e contribuisce al loro inserimento sociale. La realizzazione di queste pratiche, inoltre, porta alla “riscoperta della lentezza che i tempi biologici del ciclo naturale ci propongono”12 e che oramai sono dimenticati e confinati in un passato bucolico e lontano. L’intervento orticolo urbano attinge infatti dal passato con la capacità di integrare in maniera innovativa le singole pratiche tradizionali con le esigenze attuali. Sicuramente a secondo del luogo in cui è praticata, l’Agricoltura Urbana risponde ad esigenze diverse, nei paesi in via di sviluppo sicuramente è più accentuato il tema della produzione di cibo e del sostentamento alimentare, mentre nei paesi più ricchi è rivolta per lo più alla coesione ed interazione come rimedio spaziale a problemi sociali. In entrambi i casi si configura come uno strumento capace di riqualificare le periferie cittadine e migliorare la qualità paesaggistica.
Caterina Attiani, “L’agricoltura Urbana”, in «Sociologia Urbana e Rurale. Nuove Frontiere dello spazio pubblico: orti urbani e condivisi», n.98, 2012 12 Ibidem 11
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2.4_ Orti sociali La qualità aggiunta rispetto alla tradizione passata è che oggi l’orto si configura come uno spazio di coesione dove sono molti gli elementi di scambio: informazioni di botanica, modi di coltivazione e fermentazione e soprattutto si coltivano relazioni sociali. Da non sottovalutare è la dimensione psicologica e l’effetto benefico che gli orti producono su chi li coltiva. È necessario qui fare una precisazione e una distinzione fra gli orti di coltivazione personale e quelli didattici e terapeutici. Questi ultimi due esempi sono oggi di grande importanza. Quelli didattici, quindi annessi agli istituti scolastici mirano ad educare le future generazioni rispetto ai temi di alimentazione, ambiente e tutela del territorio. Attraverso attività ludiche i bambini sviluppano interesse, creatività e manualità ed imparano ad amare la terra e rispettarla. È importante, fin dalla prima età, formare le future generazioni circa queste tematiche che avranno nel corso del tempo un peso sempre maggiore. Questo genere di iniziative è promosso da varie associazioni tra le più importanti Slow Food e Coldiretti. Altro aspetto interessante nella pratica degli orti è “l’orto-terapia” ossia la cura di persone che soffrono di malesseri psichici e disturbi mentali attraverso la cura di vegetali e fiori. È scientificamente provato che curare una pianta “fa bene alla mente”; riduce lo stress, diminuisce la tensione fisica e mentale e combatte la depressione. La cura dell’orto richiede un impegno fisico e mentale, dando la possibilità, oltre che di stare all’aria aperta, di veder crescere grazie ai propri sacrifici qualcosa di concreto, il frutto, e allontanare per quel momento i cattivi pensieri. Occuparsi delle piante e lavorare con la terra mette in gioco tutti i nostri sensi, rilassa la vista, stimola l’olfatto, armonizza l’udito e rende esperto il tatto. Numerosi sono gli esempi di questa terapia in tutto 34
il mondo, concentrandosi sul caso di Milano: l’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini e il carcere di Bollate. “Negli orti si colgono momenti di interiorità”13 , questo ci è stato tramandato dal passato. Molti sono stati fra scrittori, poeti, filosofi che si sono dedicati agli orti per poi citarli nelle loro opere ed anche i monaci utilizzavano gli orti non solo come spazi di coltivazione bensì di meditazione. Anche nella celebre frase di Voltaire “dobbiamo coltivare il nostro orto” nell’opera “Candido” è possibile trovare una relazione con la recente diffusione dell’agricoltura urbana. Il filosofo francese invita l’uomo a non lasciarsi illudere da sogni impossibili o realtà inesistenti, ma incita a prendersi cura delle semplici realtà quotidiane, concetto contemporaneo oggi più che mai a causa del particolare periodo storico di crisi che stiamo vivendo 14.
Evaristo Petrocchi, "Orti urbani: una realtà nazionale", 2012 14 P.Nicolin, editoriale Lotus International, n. 149, 2012 13
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2.5_ Orti ed identità Se quindi il legame tra territorio, luogo, e comunità è imprescindibile, lo “spazio orto” torna a dare un nuovo significato al senso di appartenenza, dando la possibilità di potersi identificare con il territorio in cui si abita, intervenendo in luoghi degradati con tradizione da una parte ed innovazione dall’altra. Dal tipo di collocazione in cui trovano posto queste realtà se ne deduce che siano pensati come luoghi di riappropriazione di spazi e relazioni. Molto spesso infatti la storia della nascita e sviluppo di giardini ed orti urbani si intreccia con il sentimento di radicamento locale. Bisogna però specificare che il concetto di identità territoriale non è facilmente definibile e descrivere un insieme in cui è difficile collocarsi. Infatti “l’identità ha perso in gran parte i suoi ancoraggi sociali e i suoi quadri di riferimento tradizionali”15. Nel caso delle coltivazioni urbane il soggetto entra a far parte di una comunità, che vive ed esprime determinati valori. Come già detto i soggetti che partecipano a questo tipo di pratiche hanno spesso background culturali differenti e per questo il gesto comunitario porta alla creazione di nuovi sentimenti di identità con il territorio.
F. Cognetti, S.Conti, V.Fedeli, D.Lamanna, C.Mattioli, "La terra della città", 2012 15
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scambio di idee
ricerca
web
socialitĂ
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uso ricreativo del suolo
capitolo iii
giardini condivisi 39
3.1_Giardino condiviso o orto urbano? È sottile la differenza tra orto urbano o periurbano e giardino comunitario. Innanzitutto la collocazione è decisiva: gli orti urbani, per quanto molto spesso all’interno del confine comunale, si trovano per lo più in zone limite e periferiche della città e inizialmente sono nati dalla necessità dell’appropriazione di uno spazio individuale. I giardini condivisi o community gardens invece, nati in tempi più recenti, si trovano in zone più centrali della città, più densamente cementificate. Nascono comunque in contesti sociali delicati, in cui però questa volta il fine ultimo è comunitario e non più individuale. Rispetto agli orti urbani che assumono nature più variegate e diverse fra loro, i giardini comunitari pongono l’accento sulla dimensione corale e collettiva. La coltura di vegetali nei giardini condivisi è finalizzata alla condivisione di uno spazio comune, dove persone di età, cultura, religione e tradizioni diverse si incontrano e si scambiano saperi, a partire anche dal semplice confronto culinario. Altra differenza rispetto all’orto è la tecnica di coltivazione praticata; dato che nei giardini vengono sperimentate nuovi metodi di coltivazione come quella idroponica o in contenitori.
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3.2_Terra e web La creazione e l’utilizzo di giardini permette la diffusione di conoscenze e saperi su due piani differenti: uno è quello più universale della rete, ossia la possibilità di conoscere e farsi conoscere attraverso il web, l’altro rimanda ad una dimensione reale di contatto effettivo fra persone e il conseguente scambio di conoscenze e informazioni fra i soggetti. In questo modo le conoscenze si mescolano all’integrazione sociale nel momento in cui effettivamente le persone si incontrano fra loro e lì a contatto con la terra, con zappe e badili, fanno amicizia, stringono relazioni e in generale impiegano costruttivamente il loro tempo libero. Sono propri questi i connotati moderni del concetto di Agricoltura Urbana odierna: la tradizione e la terra uniti alla tecnologia e alla navigazione internet. Il contatto con la terra promosso e diffuso a livello globale tramite il web consente ai cittadini del mondo di esprimere in modo pacifico una sorta di ribellione a questo difficile momento storico che stiamo affrontando. Non è un caso, infatti che questo fenomeno stia avendo molto successo in questo momento di crisi finanziaria. La dimensione virtuale del web, quasi fosse una contraddizione, avvicina a queste prati- che del tutto manuali. Infatti attraverso la diffusione tramite internet di esperienze simili, è stato effettuato uno scambio di informazioni maggiore e la possibilità di mettersi insieme per creare e diffondere con maggiore forza il messaggio di coltivazione urbana. Incentivare la comunicazione fra le diverse esperienze di ortisti e giardinieri attraverso il web, in particolare grazie all’uso dei social network come facebook, è un ottimo strumento per “diffondere appuntamenti, creare gruppi e addirittura far nascere nuovi giardini e programmare azioni“1. Tra gli strumenti più importanti si ricorda il progetto Libere Rape Metropolitane e Orto Diffuso nato nel 2009, che
Anna Uttaro, "Dove di coltiva la città. Community gardening e riattivazione di spazi urbani", in «Sociologia Urbana e Rurale. Nuove Frontiere dello spazio pubblico: orti urbani e giardini condivisi», n.98, 2012 1
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attraverso il proprio sito web ha creato una mappa editabile da chiunque in modo da osservare la diffusione di questi fenomeni. È importante infatti mettere in relazione, attraverso in grande potenziale della rete, le varie e singole esperienze in modo che non rimangano isolate2 . Questo è l’aspetto della grande famiglia dell’Agricoltura Urbana più contemporaneo. Infatti questa dei giardini condivisi non è solo una moda del momento ma si ha ormai la chiara certezza che questo tipo di pratiche fanno bene alla mente e più in generale hanno un risvolto positivo sulla dimensione psicologica e collettiva della comunità.
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www.ortodiffuso.it www.rape.noblogs.org
3.3_ Quando e come sono nati i giardini condivisi L’ideazione e la messa in pratica dei Community gardens o giardini condivisi proviene dall’America degli anni Settanta, periodo di forte fermento culturale. Le città statunitensi incontrarono già il problema della vivibilità della città, della necessità del verde all’interno del denso contesto costruito e urbanizzato al fine di una migliore qualità della vita. Non solo. I giardini, che includevano anche la pratica di coltivazioni orticole, erano interpretati ma soprattutto utilizzati come risposta a problemi di carattere sociale e di degrado urbano nelle zone periferiche della città. Queste iniziative nascono in concomitanza con la nascita di filosofie di pensiero ecologiste, tra le più famose quelli dei guerriglieri del verde, movimento diffusosi poi a livello internazionale del Guerrilla Gardening, primo esempio di “giardinaggio politico, non violento ma non per questo legale”3. Questo esperimento nacque a New York ideato da un gruppo chiamato Green Guerrilla che diffuse poi velocemente il suo pensiero, tanto semplice quanto forte, in molti altri paesi. Anche in Italia è attiva da alcuni anni l’azione dei guerriglieri verdi, che fanno riferimento ad un proprio sito web; come nel caso di orti e giardini è importante e necessario coordinarsi e mettere in relazione le singole esperienze in modo da non sentirsi soli e unire efficacemente le forze. “In questa prospettiva gli attacchi verdi sono atti di denuncia attivi, che intendono avviare concretamente l’inversione di tendenza che auspicano di fronte ad usi della città che privilegiano lo spazio costruito”4. Mariella Bussolati, "L'Orto diffuso", 2012 4 F.Cognetti, S.Conti, V.Fedeli,D.Lamanna, C.Mattioli, "La terra della città", 2012 3
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3.4_ Panorami “da riciclo” In particolare orti urbani e giardini condivisi ridisegnano lo spazio urbano e “la morfologia e l’immagine delle nostre città ”5. Queste pratiche sono conosciute per lo più in zone margine della città, in luoghi che sono in attesa di cambiamenti di destinazioni d’uso o di operazioni di rinnovo urbano e proprio per questo necessitano una riqualificazione e rigenerazione territoriale seppur breve ed effimera, generando così “nuove geografie urbane”6. Il paesaggio muta notevolmente nel momento in cui questo fenomeno vi si insinua anche per l’aspetto molto più pratico delle effettive tecniche adottate per disegnare, progettare e realizzare concretamente questi luoghi. In questo senso da sottolineare è senza dubbio l’utilizzo di materiali di recupero e riciclo, sia per decorazioni che per esigenze funzionali. Questa particolare caratteristica è imputabile non solo “alla povertà di risorse economiche”, ma soprattutto alla sottesa “critica di una società altamente energivora e orientata al consumo”7.
Maurizio Bergamaschi, "Coltivare in città.Orti e giardini condivisi", in «Sociologia Urbana e Rurale: Nuove Frontiere dello spazio pubblico urbano: orti e giardini condivisi», n.198, 2012 6 Ibidem 7 Ibidem 5
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3.5_ Giardini condivisi generano socialità “I giardini comunitari non sono semplici giardini”8. Una parte è destinata all’orto, e la coltivazione non si ferma a quella di verdura e fiori, ma si coltivano soprattutto relazioni sociali. È questo il punto chiave e la forza che sprigionano queste iniziative. Nella maggior parte dei casi partono dalla volontà di cittadini del quartiere che decidono di unire le loro forze verso un bene altro, comune. Spesso la loro nascita è dettata da situazioni di difficoltà di interazioni sociali oppure semplicemente dalla mancanza di un verde pubblico che migliori la qualità della vita di quartiere. Il concetto di “comune” , diverso da “pubblico” gioca un ruolo fondamentale in queste realtà. La passione e la cura con cui i cittadini e gli aderenti al giardino svolgono questa attività è dettata dal fatto che le fatiche del loro lavoro producono benessere, non pubblico, quindi destinato a chi lo utilizzerà, bensì collettivo. In questo caso il termine “comune” assume l’accezione di coralità che pervade anche la parola “pubblico” ma con la sottile e fondamentale differenza che i benefici sono indirizzati a sé stessi ed alla propria comunità e non ad altri utenti. Altra caratteristica sociale molto interessante è il tipo di coordinamento condotto nei community gardens. Non esiste un leader, tutto è gestito in modo assolutamente meritocratico ed orizzontale, “le relazioni sono basate sullo scambio”9 e non su un compenso monetario. L’altro aspetto di forza è la responsabilità di ognuno nel portare e creare qualcosa che sia al servizio di altre persone che condividono insieme questo progetto. I singoli individui non si trovano più soli nella fredda e asettica realtà della città ma si sento parte integrante del territorio in cui stanno operando e di un gruppo di persone che condivide lo stesso desiderio. L’utilità sociale del giardino comunitario è la su forza più grande. Infatti attraverso il sem-
Mariella Bussolati, "L'Orto Diffuso", 2012 9 Ibidem 8
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Ibidem Ibidem 12 Anna Uttaro, "Dove si coltiva la città. Community gardening e riattivazioni di spazi urbani", in «Sociologia Urbana e Rurale. Nuove Frontiere dello spazio pubblico: orti e giardini condivisi», n.98, 2012 10 11
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plice e genuino gesto della coltivazione spesso si mettono in contatto persone che fra loro avrebbero poco in comune, si stringono relazioni facilmente, cosa ormai difficile a farsi in grandi città, frenetiche e veloci che lasciano poco spazio alla coltivazione di relazioni sociali e conoscenze. Il giardino è simbolo del superamento di pregiudizi etnici e razziali, dell’avvicinamento di culture diverse e che spesso riescono poco a dialogare fra loro. Importante è anche il superamento della logica di “competizione fra generazioni, caratteristica delle società post-industriali, che confinano i vecchi in una sorta di limbo improduttivo, mentre al loro posto devono procedere giovani perennemente in cerca di lavoro”10. Anche dal punto di vista architettonico e di pianificazione della città la creazione e la concessione da parte degli enti pubblici di spazi dedicati all’agricoltura e in modo particolare ai community gardens, sarebbe un vantaggio. Attraverso queste pratiche urbane innovative, è sperimentata una forma di nuova “convivenza collettiva”11 che risulta in molti casi necessaria per agevolare la vita di quartiere in particolari aree periferiche della città. Il punto di forza di queste pratiche, che lasciano spazio all’azione attiva e libera da parte dei partecipanti, è la loro capacità ci creare una collettività unita attorno alla semplice pratica del giardinaggio, riducendo ed assottigliando le differenze sociali. Spesso questi fenomeni sono legati ad una sottile e sottesa critica alla società che tuttavia, pur essendo il motore di nascita di tali esperienze, non investe necessariamente tutti i partecipanti.I giardini condivisi si insinuerebbero nelle crepe del cemento cittadine contribuendo a creare una “maggiore carattererizzazione degli spazi a seconda della gente che li anima e della loro diversità”12. Se le amministrazioni pubbliche incentivassero questa pratica forse un giorno i giardini condivisi saranno comuni e diffusi quanto oggi gli spazi gioco per bambi- ni
nelle aree di verde pubblico.
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mappatura mercati km 0 e cascine Questa mappa rappresenta ed individua le cascine di proprietà comunale del territorio milanese e i punti della città dove settimanalmente sono allestiti mercati biologici. Le cascine, diffuse a raggiera su tutto il territorio, costituiscono un vasto panorama e sopratutto un importante patrimonio ambientale culturale e storico per la città. I mercati a chilometro 0, intesi come punti vendita di prodotti provenienti dalle aziende agricole dell’hinterland milanese, sono invece numericamente carenti. Il numero complessivo delle cascine all’interno del confine comunale è 59, tra aziende agricole, residenze, sedi di associazioni o di uffici e servizi pubblici comunali, anche se molte di queste sono ora in stato di degrado o abbandono. I mercati sono invece 9 gestiti per lo più da associazioni. La mappatura è stata possibile grazie ad uno studio comparato tra Google Earth e il volume “ Le cascine di Milano verso e oltre Expo 2015” a cura di multiplicity.lab, laboratorio di ricerca del DiAP Politecnico di Milano.
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cascine milanesi mercati a chilometro 0 49
ZONA 1
_
ZONA 4
ZONA 7
Via Muratori
Mercatino Solare Solidale, Residence San Vittore 49
MERCATO CUCCAGNA
LA CORDATA
ORTO IN CITTÀ
vendita a domicilio di prodotti agricoli, Via Sacco
MERCATO AGRICOLO Campagna Amica, Via Dolci 5
ZONA 2
_
ZONA 5
ZONA 8
Campagna Amica, Via Ripamonti 35
Mercatino della Terra di Milano, Via Procaccini
MERCATO AGRICOLO
SLOW FOOD
MERCATO AGRICOLO Campagna Amica, Via Linneo 2
ZONA 6
LA CORDATA
ZONA 3
Mercatino Dei Legami, Via Zumbini 6
Campagna Amica, Via Arbe 50
DI
MERCATO AGRICOLO
50
MERCATINO BIOLOGICO CORSICO Via Cavour
ZONA 9
MERCATINO BIOLOGICO
Parco Bassi, Via Livigno 7
ZONA 1
_
ZONA 2
CASCINA CATTEMBRA Via Trasimeno 49
CASCINA SAN GIUSEPPE
CASCINA ROSA
CASCINA MONLUÈ
CASCINA SAN GREGORIO
CASCINA NOSEDO
CASCINA SAN GREGORIO VECCHIO
CASCINA SANT’AMBROGIO
Via Vanzetti 3 Via Marotta 8
V.le Turchia 44
Via Sottocorno angolo Via Adriano CASCINA VILLA LANDA Via Corelli 142
Via Monluè 70
Via S. Dionigi 78 Via Cavriana 38
CASCINA TAVERNA V.le Forlanini 85
CASCINA SAN PAOLO Via Trasimeno 41
CASCINA TURRO
P.le Governo Provvisorio 9
ZONA 4
ZONA 5
CASCINA CASANOVA
CASCINA BASMETTO
CASCINA BIBLIOTECA
CASCINA CAVRIANA
CASCINA CAMPAZZINO
CASCINA CASE NUOVE
CASCINA COLMBÈ
CASCINA CHIESA ROSSA
CASCINA MELGHERA
CASCINA CORTE SAN GIACOMO
CASCINA SAN BERNARDO
CASCINA MOLINO CODOVERO
CASCINA CUCCAGNA
CASCINA RONCHETTINO
CASCINA MOLINO SAN GREGORIO
CASCINA GRANDE DI CHIARAVALLE
CASCINA TRE RONCHETTI
CASCINA MOLINO TORRETTE
CASCINA MEREZZATE
CASCINA VAIANO VALLE
ZONA 3
Via Casoria 50
Via Corelli 124
Via Crescenzago 56 V.le Forlanini 59
Via Van Gogh 10
Via Marotta 8/10
Via Taverna 72
Via Cavriana 51
Via Bonfandini 15 Via S. Dionigi 77
Via Cuccagna 2/4 Via S. Dionigi 110 Via Bonfandini 52
Via Chiesa Rossa 265 Via Campazzino 90
Via Chiesa Rossa 55 Via S. Arialdo 133 Via Lelio Basso 7
Via Pescara 40/44
Via Vaiano Valle 45
51
ZONA 6
ZONA 7
CASCINA CANTALUPA
CASCINA BASCIANA
CASCINA CARLIONA
CASCINA BELLARIA
CASCINA CORBA
CASCINA BRUSADA
CASCINA GAREGNANO
CASCINA CALDERA Via Caldera 65 CASCINA CASSINAZZA
Via De Finetti 6
Via Boffalora 75 Via dei Gigli 14
Via Bisceglie 83
CASCINA MONCUCCO Via Moncucco 31
CASCINA MONTEROBBIO Via Moncucco 51
CASCINA SAN MARCO Via Bardolino 90
CASCINA TORRETTE DI TRENNO Via Cenni di Quinto 11
Via Boldini 10
Via Bellaria 90 Via Caprilli 15
Via Ferruccio Parri
ZONA 8
CASCINA BOLDINASCO
Via De Lemene 48/50
CASCINA COTICA
CASCINA CASE NUOVE
Via Giulio Natta 19
CASCINA LINTERNO
Via Rizzardi 15
Via Fratelli Zoia 194
CASCINA TORCHIERA
CASCINA MADONNA DELLA PROVVIDENZA
Via Cimitero Maggiore 18
CASCINETTA DI TRENNO
CASCINA MOLINELLO
ZONA 9
Via Paravia 22
P.za Madonna della Provvidenza 1 Via Mosca 82
CASCINA RIZZARDI
Via Giordi 31
CASCINA MONASTERO
CASSINA ANNA
CASCINA SAN ROMANO
CASCINA ISOLA NUOVA VILLA ZOCCHI
Via da Baggio 55 Via Novara 340
CASCINA SELLA NUOVA Via Sella Nuova 34
Via Sant’ Arnaldo 19 Via Comboni 7
CASCINA VILLA LONATI PIAZZI Via Zubiani
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53
associazionismo
nuova idea di cibo
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luogo pubblico
capitolo iv
mercati a chilometro 0 55
4.1_ Cosa significa mercato a chilometro 0
www.coldiretti.it www.gasmilano.org 3 Mariella Bussolati, "L'Orto Diffuso", 2012 1 2
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Con la definizione “mercati a chilometro 0” si intende la riduzione dei trasporti legata alla distribuzione degli alimenti. La volontà è infatti quella di accorciare la filiera della vendita di prodotti agricoli, in modo che il produttore stesso sia anche venditore in prima persona dei propri prodotti, eliminando in questo modo il ruolo dei terziari come rivenditori all’ingrosso di prodotti agricoli. Attraverso questo tipo di commercio se ne traggono diversi profitti: la riduzione dei costi per il consumatore in conseguenza all’abolizione dell’intermediario fra produttore e consumatore, il risparmio energetico di acqua e corrente e la riduzione di inquinamento dovuta al trasporto. Inoltre offre la possibilità di consumare prodotti freschi e di stagione, incentivando così l’economia agricola italiana1. L’iniziativa Km 0 fa riferimento al panorama economico dei GAS, gruppi di acquisto solidale, nati in Italia agli inizi degli anni ’90, che organizzati spontaneamente, partono da un approccio critico al consumo e in contrapposizione ai prodotti alimentari delle multinazionali. L’intento è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica in modo da riconoscere responsabilità nei confronti dell’ambiente e il territorio in cui si abita e favorire la relazione fra persone. I GAS nascono quindi dalla riflessione di un cambiamento profondo nel nostro stile di vita, proponendosi di mettere al centro del commercio e del mercato le persone e le relazioni. Il gruppo di acquisto dunque, diventa solidale perché da un alto mette in contatto diretto produttori e consumatori e dall’altro perché il concetto di solidarietà è esteso anche all'interno del gruppo solidale stesso. Il gruppo aiuta a non sentirsi soli nella critica al consumismo, a scambiarsi esperienze ed appog- gio e a verificare le proprie scelte2. I gruppi di acquisto nascono spontanei in realtà spesso diverse e sono messi in contatto grazie ad un rete che serve ad aiutarli e diffondere informazioni. Il censimento dei gas in Italia è di oltre 600 esperienze3.
4.2_ Una nuova idea di cibo Questa inversione di rotta nella produzione agricola è stata causata anche in parte da una nuova cultura del cibo; ora il consumatore è mosso “dal desiderio di sapere cosa si mangia”, di conoscere il processo produttivo fin dalla sua origine: “ci si nutre con consapevolezza sia alimentare che politica”. Si assiste ad una nuova cultura dell’alimentazione che si discosta sempre più da un “processo di omologazione degli alimenti, ribadito da un uso massiccio della pubblicità”4, prediligendo invece cibi di origine agricola nota o biologici. La sensibilità rispetto alla provenienza e alla salubrietà dei prodotti è accresciuta, il consumatore si pone in una logica di maggiore consapevolezza di quello che acquista e mangia. “Il mercato torna ad essere luogo di incontro e scambio di idee e non più luogo astratto delle transizioni monetarie”5. Il fenomeno degli orti riguarda da vicino i bambini, che attraverso workshop e laboratori in cui vengono messi a contatto con la natura e la terra cresceranno con l’idea di un corretto rapporto con l’ambiente e con il cibo. La sensibilizzazione a questi temi delle future generazione è un tema delicato ed importante attuato con la consapevolezza e la speranza che siano proprio loro un domani a compiere scelte responsabili ed informate per un futuro diverso per la sopravvivenza del pianeta. È proprio Slow Food a farsi promotrice di iniziative riguardanti i più piccoli in modo da educarli il prima possibile ad una corretta alimentazione, al gusto e più in generale a problemi ambientali che ci riguardano da molto vicino. Ibidem Tesi di Lorenzo Cioni, "Orti-culture: Riflessioni antropologiche sull'orticultura urbana", 2012 4 5
57
4.3_ Associazioni e mercati a “km 0” Il progetto chilometro 0 è stato in particolare appoggiato dall’Organizzazione Coldiretti e l’Associazione no-profit Slow Food. L’obiettivo è quello di impegnarsi a promuovere la valorizzazione delle produzioni agricole regionali, favorendo il consumo e la commercia- lizzazione dei prodotti provenienti dalle aziende agricole ubicate nel territorio regionale, garantendo ai consumatori una maggiore trasparenza dei prezzi e assicurando un’adeguata informazione ai consumatori sull’origine e le specificità di tali prodotti6. La “teoria km 0” si propone quindi come una risposta, seppur parziale, alla necessità di trovare una nuova e diversa via di sviluppo in relazione alla crescente domanda di produzione alimentare. Nello specifico Slow Food promuove l’iniziativa i “Mercati della Terra” dove i consumatori hanno la possibilità di conoscere i produttori e farsi raccontare la storia del loro lavoro e dei loro prodotti entrando in una dinamica differente rispetto al mero acquisto e consumo ma diventando parte importante del processo produttivo stesso. A Milano, il Mercato della Terra si svolge mensilmente e trova sede alla Fabbrica del Vapore. Sempre in linea con questa filosofia sono le iniziative di Coldiretti, che promuove nel 2008 la Fondazione Campagna Amica, con il compito di fare rete fra i produttori locali e organizzare settimanalmente mercati agricoli nelle varie regioni italiane. In particolare nel territorio milanese sono molti i mercati gestiti dalla fondazione, organizzati fra agricoltori e produttori che hanno aderito a Coldiretti.
6
58
www.slowfood.it
59
tipologia edilizia
rivalutazione cascine
riavvicinamento alla campagna
ricerca
60
capitolo v
cascine milanesi 61
5.1_ Significato ed etimologie Con il termine “cascina” si intende: “ un tipo di insediamento agricolo caratteristico dell’Italia settentrionale, costituito da fabbricati raccolti intorno ad un grande cortile, comprendenti stalle e locali per la lavorazione del latte” (Devoto, Oli, 1990). L’etimologia del termine deriva dal latino capsus, recinto o steccato per contenere animali, da cui il latino volgare capsia, al lombardo cassina, fino al nostro cascina. Il sostantivo, di tradizione lombarda, è intriso di un significato economico perché la cascina prima di essere la dimora contadina è azienda agricola. Il termine fattoria,invece, dal latino factor-factoris, l’artefice, l’autore, designa meglio il rapporto socio-economico nella conduzione delle aziende agricole. L’opposizione città-campagna è espressa dai termini urbano, da urbs-urbis, e da rus-rursis, da cui rustico.
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5.2_ La cascina lombarda Le cascine lombarde rappresentano i “caratteri di un architettura regionalista rurale, che viene anche definita Spontanea proprio perché è generata direttamente in un luogo in cui sorge”1. Proprio per questo motivo è da considerasi non solo come esempio architettonico ma anche e soprattutto come forma di capitale strettamente connesso alla terra e alla produzione agraria. Infatti “la casa contadina è espressione fisica e funzionale del complesso rapporto uomo/natura”2. La forma e di conseguenza lo sviluppo della tipologia cascina devono essere relazionati secondo l’assetto delle aree produttive e dei fondi agricoli. A partire invece dalla seconda metà del XIX secolo inizia lo sviluppo industriale lombardo che porterà ad una modifica permanente del territorio provocando la netta divisione fra i territori a Nord (pianura asciutta3) industrializzati, e quelli a Sud (campi irrigui4) per la maggior parte agricoli. Nella zona a Sud, infatti, quella della “bassa milanese” infatti la maggiore fertilità del suolo di origine alluvionale ha permesso la coltivazione di aree più ampie; da ciò ne è conseguita una diverse evoluzione tipologica delle cascine in questa area. Questa peculiarità del territorio unita “allo sviluppo di colture e allevamenti ad alto reddito hanno dato origine ad una tipologia di insediamento generalmente isolata”, che si configura a volte “come aggregazione di più unità produttive”5.
a cura di S. Agostini, O.Failla, P.Godano, "Recupero e valorizzazione del patrimonio edilizio: le cascine lombarde", 1998 2 Comune di Milano, Assessorato demanio e patrimonio, "Cascine a Milano: insediamenti rurali di proprietà comunale", 1986 3 Carlo Perogallo, "Cascine del territorio di Milano", 1975 4 Ibidem 5 a cura di S. Agostini, O.Failla, P.Godano, "Recupero e valorizzazione del patrimonio edilizio: le cascine lombarde", 1998 1
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5.3_ Breve excursus storico
Comune di Milano, Assessorato demanio e patrimonio, "Cascine a Milano: insediamenti rurali di proprietà comunale", 1986 7 Ibidem 8 Ibidem 6
64
A partire dal X secolo la presenza delle cascine è attestata nella campagna milanese o addirittura in città, come descritto da Bovesin de la riva, nel 1288 nel “De magnalibus Mediolani”; è questa la prima testimonianza di cascine nel territorio milanese, sia in campagna che in” città. “Si trattava per lo più di depositi o fienili, presumibilmente costruiti con materiali deperibili, paglia o argilla, talvolta annessi alle abitazioni cittadine”6. Grazie al documento fiscale “Compartizione delle faglie” del 1345 è possibile attestare la presenza di cascine nelle aree suburbane. La testimonianza, come molte altre successive, risulta lacunosa per quanto riguarda la parte settentrionale rispetto a Milano, ad eccezione della zona tra Milano e Monza. Tramite questa fonte è possibile affermare che i primi insediamenti, che si trovavano a ridosso delle mura, disponevano di una modesta porzione di terra ( quattro cinque ettari al massimo) e la loro produzione era rivolta per lo più all’auto-consumo; quelli posizionati in aperta campagna, invece, possedevano lotti di terreno più ampi ( 50-20 pertiche) e la coltivazione era senz’altro maggiore e più varia ( frumento, segale e miglio). “In generale è bene definire che la storia della cascine è strettamente legata alle caratteristiche geo-morfologiche del territorio nel quale si è insediata”7. A nord il tipo di coltura è più eterogenea, da cereali al gelso e vite; a sud invece “prevale l’insediamento sparso, con notevoli caratteristiche di omogeneità legate alla maggior uniformità delle colture”8. In generale La fascia della bassa milanese è tipica dell’ “agricoltura idraulica” che prevede l’uso della marcita e dei fontanili come sistema di irrigazione dei campi, permettendo in questo modo la produ- zione di foraggio anche nelle stagioni invernali. Queste costruzioni, a partire dal XIII secolo, iniziarono a caratterizzarsi come strutture insediative composite, fatte di edifici di abitazioni e di rustici e con una diffusione
sempre maggiore. Per questo possiamo affermare che la tipologia della “cascina” sia quella tipica dell’edilizia storica milanese. Queste specifiche architetture rurali costellavano Milano e il territorio successivamente adiacente a partire dalla cinta murario fino all’aperta campagna. Sicuramente lo sviluppo di questa tipologia edilizia è legato al fatto che il territorio in questione è sempre stato particolarmente fertile e caratterizzato dall’abbondanza di corsi d’acqua e ciò ha dato la possibilità di praticare diversi tipi di colture. I possedimenti delle cascine erano per lo più ecclesiastici e quindi i terreni erano porzioni di terra contigui ai monasteri, oppure appartenevano ad enti paraecclesiastici o ancora a proprietari laici appartenenti al ceto mercantile . Uno dei proprietari più importanti tra il XVI e il XVIII secolo, fu l’Ospedale Maggiore di Milano, che previde una gestione delle terre per alcuni aspetti “moderna”. Infatti vennero nominati agenti che amministravano per conto del proprietario, capitolati, scadenze, scorte e pagamenti. Allo stesso modo mutua l’organizzazione nelle aziende agricole private, dove si afferma progressivamente la figura del fittavolo che gestisce direttamente l’azienda con lavoratori salariati e pagando a sua volta l’affitto ai proprietari. Le figure sociali presenti in cascina possono essere suddivise in tre gruppi principali: i braccianti fissi, gli obbligati ed avventizi. I braccianti fissi sono coloro che godono di una posizione di maggiore sicurezza, sono infatti operai specializzati remunerati in natura e con delle compartecipazioni sull’orto; gli obbligati sono coloro che non vivono in cascina ma in paesi limitrofi e forniscono la propria manodopera a prezzi prefissati al proprietario o affittuario. Infine gli avventizi sono coloro che, per qualche mese l’anno, si recano nelle aziende della bassa milanese da aree collinari o montuose, per cercare impieghi e tuttavia non hanno nessuna garanzia di lavoro. A partire dal XIX secolo l’ammodernamento delle colture produce maggior reddito e “fa 65
sì che la popolazione agricola sia eccedente al fabbisogno”9. Da qui in poi comincia l’esodo della classe contadina dalle campagne alle città in cerca di fortuna e lavoro che si è protratto fino ai giorni nostri.
Carlo Perogallo, "Cascine del territorio di Milano", 1975 9
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5.4_Tipologia edilizia La cascina rappresenta, in quanto struttura edilizia, il modello economico tipico della zona lombarda, ossia un’azienda agricolo-zootecnica a conduzione capitalista. Infatti per raggiungere dei redditi adeguati era necessario, inizialmente, investire forti capitali e organizzare convenientemente il terreno agricolo. Proprio per questo significato economico il tipo della cascina può essere assimilabile a quello delle “ville” romane, caratterizzate anch’esse da un sistema capitalistico perché basavano le loro attività sul finanziamento di grandi capitali per il finanziamento dell’attività agricola. Gli elementi essenziali che caratterizzano la cascina sono: le abitazioni dei salariati, i rustici ( stalle, fienili, portici e pollai), i locali per la lavorazione dei prodotti e l’abitazione del fittavolo. La stalla è generalmente bassa per garantire una temperatura maggiore rispetto agli altri locali. Le abitazione dei contadini sono distinguibili da quelle del padrone perché non presentano nessun elemento decorativo. Ogni famiglia di contadini dispone di un locale con camino a piano terra e le camera al piano superiore. La casa del fittavolo è invece posta in una posizione di controllo dell’intera attività della cascina e spicca per dimensione ed elementi architettonici decorativi; la parte in cui si sviluppa la vita sociale è invece la corte centrale. La tipica forma a “corte chiusa” non è la tipologia originaria ma piuttosto la trasformazione di un processo evolutivo che coinvolge le cascine in conseguenza alla rivoluzione agricola del XVIII. Infatti queste inizialmente presentavano planimetrie dalla forma a U o ad L, successivamente gli ampliamenti, dettati da necessità lavorative e tecnologiche ( aumento del numero dei braccianti, nascita di attività artigianali specia- lizzate ecc.) accrescono i volumi dell’azienda che assume nel tempo la forma a corte, come oggi la vediamo nella maggior parte dei casi. La scelta tipologica “chiusa” può essere interpretata anche 67
per altre due ragioni di carattere funzionale e sociale: da una parte infatti si vogliono prevenire i furti campestri, dall’altra invece esiste la volontà di controllo sociale dei ritmi e tempi di lavoro. Nella maggior parte dei casi il materiale più utilizzato è il cotto e non la pietra da taglio, scarsamente disponibile in questa zona. I soffitti , anch’essi in cotto, sono realizzati a volta con tiranti in ferro o con solai di putrelle. Altro elemento tipico sono le finestre ad arco ribassato o a mezzaluna e ad apertura esterna e un’altra caratteristica è la pavimentazione in terra battuta o ciottoli. La stalla è generalmente orientata a Nord-Sud ed è costituita spesso da una sola corsia; le finestre sono ricavate nella parte alta delle mura per evitare che il sole colpisca direttamente gli animali. A volte è possibile riscontrare la presenza di logge o di un portico, questi sono elementi di epoca più recente, (‘700-‘800) costruiti per dare al fabbricato un connotato di villa di campagna.
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5.5_ Riavvicinamento alla campagna Il contesto odierno della cascina è molto diverso da un passato anche non troppo lontano; il paesaggio sia urbano che agricolo è fortemente cambiato e ciò si rilette sulla vita, i comportamenti e i consumi di chi oggi vive i cascina. Le cascine sono diventate oggi dei “reperti edilizi distribuiti in un territorio che la recente antropizzazione ha radicalmente modificato. In molti casi la cascina nel paesaggio agrario è divenuta cascina nel paesag- gio urbano”11. È necessario studiare questi manufatti architettonici da un lato per la conservazione di un patrimonio storico, come simbolo del nostro passato, e dall’altro valutare la possibilità di riusi, con diverse e nuove destinazioni d’uso, di questi fabbricati. Inoltre è da sottolineare l’importanza del riuso non solo del manufatto architettonico ma anche del manufatto urbano in quanto le cascine, sia pubbliche che private, costellano il nostro territorio e per questo è necessario porvi attenzione per l’idea di ricostruzione della città partendo da ciò che esiste che dobbiamo rivalutare.La necessità del restauro e del riuso di questo patrimonio è dettato anche dalla crescita della sua importanza per quanto riguarda il turismo e attività di tipo ricreativo. “Una riutilizzazione delle cascine a scopi agricoli è impensabile”12 è necessario quindi studiare il manufatto non solo nella sua forma ma soprattutto nella sua relazione con il territorio al fine di modificare le destinazioni funzionali preesistenti per sostituirle con funzioni attuali, creando condizioni di interesse per tornare ad utilizzarle. In generale i motivi principali del degrado dei fabbricati sono l’abbandono o la modifica dell’attività produttiva e l’obsolescenza tecnica; solitamente il fabbricato più colpito dall’abbandono risulta la casa di abitazione e il suo restauro risulta oggi particolarmente oneroso a causa delle normative vigenti e allacciamenti ai servizi tecnologici da rendere più conveniente una nuova costruzione.
Ibidem a cura di S.Agostini, O.Failla, P.Godano, "Recupero e valorizzazione del patrimonio edilizio: le cascine lombarde", 1998 11 12
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I motivi per la conservazione e il riuso del patrimonio delle cascine sono molteplici. Innanzitutto l’importanza che il patrimonio edilizio rurale riveste dal punto di vista ambientale e territoriale; la grave minaccia dell’abbandono o ristrutturazioni e destinazioni improprie; la crescente e disordinata espansione su terreni agricoli dei centri urbani con gravi ripercussioni sulle attività agro-zootecniche delle cascine, alcune di queste letteralmente inglobate nel tessuto urbano; la riconosciuta ricchezza di valori architettonici, paesaggistici e culturali che dovrebbero trovare adeguata tutela e valorizzazione13. Questa tema di rivalutazione storico-ambientale trova sostegno nel progetto EXPO 2015. Infatti “negli anni, alcune di queste cascine sono state inglobate nel tessuto urbano dallo sviluppo della città, altre si trovano invece ancora in aree agricole o all’interno di parchi”14 ; proprio per questa particolare caratteristica territoriale le cascine possono essere i nuovi centri polifunzionali che abbiano la possibilità di interfacciarsi con la città, da un lato, e con il vicino territorio agricolo dall’altro. Nell’ottica EXPO potranno rappresentare “luoghi di decentramento per ospitare convegni, master di formazione, laboratori a stretto contatto con le università e i relativi programmi di scambio internazionale, sui temi legati alla sostenibilità, all’ambiente, alla cittadinanza”15 . Ibidem Assessorato allo Sviluppo del territorio del Comune di Milano e dal Centro Studi PIM e curato da Multiplicity. lab, laboratorio del DiAP-Polotecnico di Milano, "Le cascine di Milano verso e oltre EXPO 2015", 2009 15 Ibidem 13
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itinerari In questa mappa, dove è evidenziato lo spazio costruito della città, sono stati localizzati gli otto casi studio presi in esami ed approfonditi. ORTI URANI Bosco in città Via Chiodi GIARDINI CONDIVISI Giardino degli Aromi Giardini in Transito MERCATI A CHILOMETRO 0 Mercato Agricolo, di Campagna Amica Mercato della Terra, di Slow Food CASCINE Cascina Cuccagna Cascina San Marco
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morfologia In questa mappa sono individuati i contorni di orti urbani, giardini di quartiere e cascine, ad eccezione dei mercati (indicati con un simbolo). In questo modo è possibile riconoscere e distin- guere i vari elementi a seconda della loro morfologia e forma. La scelta di evidenziare in questo caso, non più il costruito, ma gli spazi vuoti della città, in particolare il sistema degli spazi aperti diviso fra agricolo, parchi e vuoti della città e il sistema infrastrutturale, rete ferroviaria, piste ciclabili e la rete idrografica, permette di cogliere altre e diverse informazioni. Si nota infatti che le colonie ortive si concentrano maggiormente lungo i tracciati infrastrutturali e nei pressi dei corsi d’acqua, i giardini invece negli spazi vuoti del costruito cittadino, infine le cascine costellano indifferentemente le zone periferiche della città.
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proprietà In questa mappa ad ogni gruppo preso in esame è associato un simbolo che, a seconda di forma e colore (rosso di proprietà del Comune, rosa gestito da associazioni, verde attività di quartie- re, blu di proprietà privata, grigio da verificare) indica la proprietà del terreno e più in generale a chi è attribuita la gestione e l’organizzazione dei vari casi rappresentati. La maggior parte delle colonie ortive mappate sorgono su terreni la cui proprietà è da verificare; i giardini condi- visi risultano per lo più iniziative di quartiere proposte dai cittadini sia abusivi sia con l’appoggio del Comune; i mercati a kilometro 0 sono per lo più organizzati da diverse associazioni mentre le cascine si dividono equalmente tra sedi o uffici comunali, di associazioni e aziende agricole ad uso privato.
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desideri di condivisione
nuovi spazi pubblici?
riappropriazione
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rapporto con l’istituzione
capitolo vi
riflessioni 79
6.1_ Desideri di condivisione La domanda da parte della cittadinanza di questi spazi fruibili non passivamente, come un normale parco pubblico, ma attivamente in prima persona, è sempre maggiore. Proprio questo è il loro punto di forza. La richiesta di orti e giardini condivisi da curare e crescere, a Milano, non è relazionata tanto alla necessità di soddisfare un bisogno alimentare quanto piuttosto alla co-struzione di relazioni tra i cittadini. Attraverso il riutilizzo di aree di suolo urbano dismesse, abbandonate e dimenticate, il cittadino si fa carico in prima persona del processo di riqualificazione urbana del proprio quartiere a beneficio sia della città stessa che dell’Amministrazione pubblica che “ne evita la fatiscenza e la trasformazione in discariche a cielo aperto”1. La pratica di queste espe- rienze nasce dal basso in forma cooperativa e partecipata che responsabilizza il cittadino elevandolo a “soggetto politico”2, rendendolo capace di trasformare l’aspetto del territorio attraverso “micro-processi locali che creano nuove forme di urbanità”3.
Maurizio Bergamaschi, "Coltivare in città. Orti e giardini condivisi", in «Sociologia Urbana e Rurale: Nuove Frontiere dello spazio pubblico urbano: orti e giardini condivisi», n.98, 2012 2 Ibidem 3 Ibidem 1
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6.2_ Modalità di appropriazione Sono diverse le modalità e i motivi che hanno fatto nascere queste esperienze di autogestione collettiva sul territorio. Diverse sono anche le aspettative, i desideri, i progetti di coloro che prendono parte alla creazione e gestione di un orto-giardino condiviso. Riprendendo qui la distinzione proposta da Uttaro4 , è possibile distingue tre differenti approcci. Il primo insieme, “immaginari da radicare”, raccoglie tutti i casi in cui la crea- zione di questi spazi è legata alla lotta attivista contro progetti di sviluppo immobiliare, in cui forte è l’ideologia ecologista. In questo primo gruppo il tema ricorrente è quello della gestione del potere e dell’auto-organizzazione. (Esempio: Cascina Torchiera). Il secondo caso, denominato “immaginari da seminare”, comprende tutte quelle esperienze dove professionisti, non necessariamente abitanti del quartiere, “agiscono come catalizzatori di un processo collettivo”. Con riferimento a questa tipologia ci si interroga “sulla genesi di tali pratiche” e sulla compatibilità o meno degli interessi dei promotori e dei cittadini. (Esempio: Giardini in Transito). Nel terzo ed ultimo gruppo, “immaginari da trapiantare”, sono raccolti i casi nati dalla volontà di cittadini di quartiere per far fronte ad esigenze locali come la mancanza di verde o la necessità di creare partecipazione tra le persone che vivono quel territorio. In questo insieme il tema principale è lo scontro della “domanda proveniente dal basso con le procedure istituzionali” e la conseguente capacità o incapacità pubblica ed amministrativa di andare incontro alle esigenze dei propri cittadini. (Esempio: Isola Pepe).
Anna Uttaro, "Dove si coltiva la città. Community gandening e riattivazioni di spazi urbani", in «Sociologia Urbana e Rurale: Nuove Frontiere dello spazio pubblico: orti e giardini condivisi», n.98, 2012 1
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6.3_ Rapporto con l’istituzione
F.Cognetti, S.Conti, V.Fedeli, D.Lamanna, C.Mattioli, "La terra della città", 2012 2 Ibidem 1
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Questo fenomeno non è ancora stato completamente regolarizzato dall’istituzione pubblica e ciò lo rende interessante da monitorare poiché in continua ed incessante evoluzione. La mancata riconoscenza della capacità rigenerativa di tali fenomeni di verde urbano da parte della pubblica amministrazione diventa l’incentivo per la creazio-ne di gruppi di attivisti che operano in prima persona per riqualificare interstizi della città degradati e dimenticati. Oggi l’amministrazione pubblica segue e comincia a comprendere l’importanza di questi esperimenti di ibridazione dello spazio pubblico. A dimostrazione di ciò è preso in considerazione il caso milanese, in cui “l’intervento dell’amministrazione volto alla regolarizzazione degli orti urbani è relativamente recente”5. L’iniziale diffusione delle prime sperimentazioni di parcelle ortive, realizzate da parte del Comune, trova posto nei parchi pubblici. Per citare alcuni esempi: all’inizio degli anni Ottanta sorgono i primi 35 orti all’interno del Parco Nord; con la riqualificazione del Parco Alessandrini (1980-2003 ) esistono oggi delle aree orticole comuni; nel 2008 il Settore Periferie del Comune di Milano commissiona il progetto dell’architetto Manuela Pollastri per la riqualificazione del Parco Lambro e la creazione di 76 orti, per una superficie complessiva di 4.000 mq circa; nel 2010 con la riqualificazione del Parco Blu sono state razionalizzate parcelle ortive preesistenti e ne sono state aggiunte altre; infine l’amministrazione comunale ha dato avvio al programma “ Orti Didattici” creando orti in trenta scuole milanesi. I progetti, intrapresi dal Comune, prevedono la realizzazione di bandi di assegnazione che privilegiano “alcune categorie socio- economiche, in particolare pensionati, anziani, portatori di handicap autosufficienti e disoccupati”6. Proprio per questo motivo, pur avendo compiuto un passo avanti, il Comune non coinvolge persone più giovani, che si rivolgono invece a proprietari privati, o ad enti non comunali che assumono un criterio di assegnazione più imparziale e meno restrittivo.
6.4_ Lo spazio pubblico in relazione alla città contemporanea Secondo Olivi7 lo Spazio Pubblico “è il risultato di un doppio processo di produzione e co-struzione sociale” . Lo spazio urbano assume la propria connotazione e forma fisica in relazione alla sua vicenda storica, all’ideologia socio-politica e alle forze scioeconomiche (produzione sociale). Attraverso, invece, i significati collettivi condivisi che lo pervadono, gli usi e le pratiche sociali attuate, lo spazio urbano “assume la categoria di luogo” (costruzione sociale). Lo spazio urbano è da sempre stato gestito organizzato e creato da pianificatori e urbanisti, e, a seconda della sua particolare conformazione, è espressione e riflesso dei valori del potere dominante. In questo quadro il contesto urbano appare come “normalizzato” e quindi come fosse un vero e proprio specchio della società, dei suoi problemi e delle sue contraddizioni, si assiste alla nascita di forme di “contro-spazio, dove sovvertire i meccanismi di controllo sociale”. La città riesce quindi a dare voce non solo alle dominanti forme di potere ma anche, ed è questo i caso di giardini e orti condivisi, all’espressione del “contropotere”. La città contemporanea, investita dalle necessità di produrre ricchezza, incentivare il turismo e in generale orientata al consumismo sfrenato, genera “spazi pseudo-pubblici” che non assumo più l’antico valore della formazione di relazioni personali, proprio dell’ agorà, della piazza intesa come punto di ritrovo fisico e simbolico della collettività. Al contrario ora lo spazio pubblico è veicolato a funzioni di transitorietà e consumo e di conseguenza “concorre a regolare il comportamento degli individui nello spazio”. Queste esperienze, che remano controcorrente, si configurano come “spazi contestati” che intendono “destabilizzare il principio di ordine impresso nello spazio”, attraverso processi di rivendicazione del territorio, spinti da un sentimento di forte legame ed identità col luogo. La formazione di un gruppo o
Alessandra Olivi, "Oltre il parco e l'orto urbano. Spazio pubblico in movimento e nuovi immaginari urbani", in «Sociologia Urbana e Rurale. Nuove Frontiere dello spazio pubblico. orti urbani e giardini condivisi», n.98, 2102 7
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meglio una collettivitĂ , unita dalla volontĂ di difesa della propria terra e caratterizzata da un imprescindibile legame con lo spazio contestato, legittima la rivendicazione di spazi pubblici oramai abbandonati e si pone come una valida alternativa ad una nuova e critica fruizione degli spazi cittadini, “contribuendo a plasmare nuovi immaginari urbaniâ€? .
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6.5_ Nascita di nuovi spazi pubblici? Alla luce di queste considerazioni possiamo definire orti e giardini “Spazi Pubblici”? La risponde è affermativa. Infatti anche se la loro natura è nuova ed ancora in cerca di una propria definizione, potremmo denominarla come condivisa, collettiva e perciò pubblica. Questi spazi, formalmente di proprietà comunale, sono gestiti ed organizzati da un insieme di privati cittadini che diventano una comunità, in cui è accentrata la dimensione di co-partecipazione e di condivisione. Il loro carattere ibrido “sembra essere alla base del loro successo”9 perché innovano il significato di spazio pubblico nella città contemporanea. Questo è dovuto senz’altro alla loro capacità di far fiorire relazioni e scambi sociali, anche se spesso sono delimitati da recinti e sono provvisti di orari di apertura e chiusura. Lo spazio coltivato rimane sempre ben distinto dal resto e la recinzione è senz’altro “un requisito quasi obbligatorio, che come ogni operazione di demarcazione, corrisponde ad un’affermazione di identità nel rapporto inclusione/esclusione”10.
Anna Uttaro, "Dove si coltiva la città. Community gardening e riattivazione di spazi urbani", in «Sociologia Urbana e Rurale. Nuove Frontiere dello spazio pubblico: orti urbani e giardini condivisi», n.98, 2012 10 F.Cognetti, S.Conti, V.Fedeli, D.Lamanna, C.Mattioli, "La terra della città", 2012 9
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6.6_ Orto urbano un servizio pubblico
Mariella Bussolati, "L'Orto Diffuso", 2012 12 Ibidem 11
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La funzione svolta dagli orti urbani si identifica perfettamente nella definizione di queste nuove forme di spazi collettivi a servizio del pubblico.Secondo Paolo Cottino l’Agricoltura Urbana crea, da spazi trascurati e anonimi, ridefiniti da soggetti collettivi, una nuova fruibilità di spazio pubblico. È proprio questo il punto di forza e la ragione della recente diffusione di questo fenomeno. Il valore aggiunto delle coltivazioni urbane permette che oltre alla mera coltivazione di ortaggi sia possibile creare punti della città in cui i cittadini, di ogni età, provenienza sociale, etnia possano incontrarsi e scambiare relazioni fra loro. In questo senso l’orto, come iniziativa partecipata nata “dal basso” assume una funzione pubblica o meglio comune, in quanto capace non solo di mettere in contatto più e diverse persone ma anche di farle partecipare attivamente in un progetto collettivo. In contesti sfrangiati dove si appiattiscono e disperdono i codici relazionali, la presenza dell’orto risulta essere oggi il collante necessario per riavvicinare la natura del giardino, dello spazio agricolo a quello costruito. Attraverso il radicarsi di questa pratica vengono riprese ed intessute relazioni sociali e di vicinato, relegate ad un’idea di società che potremmo definire pre-industriale, quasi fossero la salvaguardia dell’esistenza di spazi pubblici. La presa di coscienza delle conseguenze della coltivazione urbana pone le amministrazioni nella condizione di dover trovare delle sanatorie alle situazioni di abusivismo. Infatti “molti orticoltori han-no dovuto costruire manufatti e oggetti con materiali di risulta, baracche di lamiera, vasche da bagno, reti da letto ecc.”11. I comuni devono quindi prendersi la responsabilità di promuovere iniziative al fine di regolamentare questo fenomeno. Concludendo: “Gli orti urbani contribuiscono efficacemente al miglioramento dell’ambiente urbano permettendo lo sviluppo di un paesaggio di qualità a dimensione umana, favorendo da parte degli abitanti la riappropriazione dello spazio urbano collettivo” 12.
6.7_ Giardino condiviso come contemporanea agorà Possiamo quindi definire anche i giardini condivisi come spazi pubblici? Se per spazi pubblici si intendono luoghi all’interno del contesto urbano in cui i cittadini sono a contatto fra loro e hanno la possibilità di godere ed usufruire insieme dei vantaggi dei servizi cittadini, allora ritengo che anche queste iniziative partecipate siano un nuovo genere di spazio pubblico, una nuova forma di agorà, in cui persone di ogni tipo, etnia ed età possano stare insieme e inoltre partecipare attivamente nel creare collettivamente qualcosa che porti benessere non solo al cittadino stesso ma anche al territorio in cui questo vive. Rispetto agli orti urbani, nei giardini condivisi è rimarcata maggiormente la dimensione collettiva e politico-sociale. Questi odierni fenomeni permettono di “combattere le nuove forme di povertà, di facilitare l’inserimento professionale di categorie svantaggiate e favorire l’integrazione fra immigrati”13. Soffermiamoci ancora sul concetto di spazio pubblico: alcuni spazi pubblici sono diventati, per gran parte della popolazione, dei “non-luoghi”; i giardini comunitari e gli orti urbani si sono appropriati di questi spazi, abbandonati e dimenticati dal pensiero dominante, creandone posti vivibili, piacevoli anche alla vista, per migliorare e sopravvivere nella jungla di cemento delle odierne città. Il giardino diventa così il simbolo “di una forma di dissenso, pur delicata e quasi inafferrabile”14 che si pone l’obiettivo di creare un nuovo modello di città, più verde, più partecipato, più caratteristico, in una sola parola, migliore. Ibidem F.Cognetti, S.Conti, V.Fedeli, D.Lamanna, C.Mattioli, "La terra della città", 2012 13
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