Relatore / Romeo Farinella Secondo relatore / Marco Cenacchi
Francesca Fini Nicole Salice
UniversitĂ degli Studi di Ferrara Corso di Laurea magistrale in Architettura Anno Accademico 2013 / 2014
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infra, avv. E prep., 1 avv., a di sotto, in basso, nella parte inferiore: mare quod adluit infra, il mare che bagna l’Italia in basso = il Tirreno (mare inferum), VERG. Georg. 2,158; infra scripsi, l’ho scritto qui sotto, in calce alla lettera, CIC.; paulo infra, un po’ più in basso = un po’ più a sud, CAES. B. G. 4, 36, 4; con valore comp. Con quam: partes ae quae sunt infra quam is quod devoratur, le parti che sono più in basso del cibo che è inghiottito, CIC. Nat. Deor. 2, 135; b di sotto = sotto terra, nel mondo di là: non seges est infra, non ci sono messi sotto terra, TIB. 1, 10, 35; c di tempo, dopo, più tardi: Ciceronis temporibus paulumque infra, ai tempo di Cicerone e anche un po’ dopo, QUINT.; d fig. rispetto al grado, in basso: nec fere umquam infra ita descenderunt ut…, quasi mai scesero così in basso (di classe in classe) da…, LIV.; aliquem, ut multum infra, despectare, guardare uno con disprezzo come come persona molto inferiore a sé, TAC. Ann. 2, 43, 3; comp. inferius, vd. 1. inferius; 2 prep. Con l’acc., a di luogo con verbi di stato e di modo, sotto, in basso a, al di sotto di: infra oppidum, sotto la città, ai piedi delle mura, CIC.; a tavola: accumbere infra aliquem, mettersi a tavola occupando il posto che sta più in basso rispetto a uno = a destra di uno, CIC. Fam. 9,26, 1; b di grandezza o di numero, al di sotto, più piccolo, meno: uri sunt magnitudine paulo infra elephantes, gli uri sono per grossezza un poco più piccoli degli elefanti, CAES. B. G. 6, 28, 1; infra duo iugera, meno di due iugeri, PLIN.; c di tempo, dopo, più tardi di, posteriormente a: non infra Lycurgum fuit, non fu posteriore a Licurgo, CIC. Br. 40; d di valore, grado e sim., al di sotto, inferiormente a: res humanas infra se positas arbitrari, considerare le cose umane come inferiori a se stesso, CIC. Tusc. 3, 15; haud multum infra magnitudinis tuae fastigium positus, posto non molto al di sotto del rango della tua grandezza, CURT.; nihil infra se putabat nisi quod infra consulem esset, nulla considerava al di sotto di sé, se non ciò che fosse al di sotto di sé, se non ciò che fosse al di sotto di un console, PLIN. Pan. 76, 6; infra rem dicere, parlare stando al di sotto di quanto l’argomento richiede = trattare una causa con eccessiva brevità, PLIN. Ep.; aliquid infra alicus officium est, qualcosa è al di sotto del compito di uno, QUINT. [cf. inferus]. “ I n f r a . ”
I L
Vo c a b o l a r i o
d e l l a
l i n g u a
l a t i n a .
2 0 0 3 .
S t a m p a t o .
margine nm 1 (=parte estrema) margin, limit, edge, borde, verge, rim, brink, periphery, (=lato) side, (di marciapiede) kerb; (di strada) verge, wayside, roadside · una foglia coi margini dentellati a leaf with denticuleted edge; note a m. marginal notes, marginalia; ai margini (fig) on the sidelines; a m. marginal (attr); vivere ai margini della società to live on the fringes of society; ci fermammo al m. del cratere e guardammo giù we stopped at the edge of the crater and looked down; è al m. della resistenza he is at the limit of his resistance; il chirurgo unì con cinque punti i margini della ferita the surgeon joined the edges of the wound with five stitches; parcheggiammo sul m. della strada e continuammo a piedi we parked on the verge and continued on foot 2 (di foglio scritto o stampato) margin · m. davanti/esterno/di taglio fore (edge) margin, outside margin; m. di cucitura/di dorso/di costola/interno back/inside margin, gutter; m.inferiore/di piede tail/foot margin, tail, foot; m. superiore/di testa head/ upper margin; fare rientrare il m. to intend; a m. della lettera c’era un appunto there was a note in the margin of the letter 3 (tipog) piece of forniture 4 (fig, anche econ) margin · m. ampio (bor) wide price range; m. corrente running margin; m. di arbitraggio arbitrage margin; m. di coltivazione margin of cultivation; m. di errore marging of/for error; m. di garanzia margin of safety; (bor) margin, margin requirement, security margin; m. di garanzia collaterale collateral security margin; m. di guadagno/profitto profit margin, margin of gain, margin; m. di interesse interest margin/spread; m. di sicurezza safety margin; m. estensivo di coltivazione extensive margin of cultivation; m. intensivo di coltivazione intensive margin of cultivation; un m. stretto a fine margin; considerare un m. di errore to allow a margin for error; lasciar m. alla fantasia to *leave room for immagination; ridurre i margini di profitto to squeeze profit margins; stiamo riducendo al minimo i nostri margini di guadagno we are cutting our margins very fine; non c’è più m. per una trattativa there is no room for a negotiation 5 (=caricamento, assic) loading, loading charge 6 (tra piano stradale e parte inferiore di un ponte e simili) headroom, clearance 7 (=differenza di voti) majority, margin. “ m a r g i n e . ”
G r a n d e
d i z i o n a r i o
d i
i n g l e s e ,
2 0 0 2 .
S t a m p a t o .
Il margine urbano può acquisire molteplici significati: barriera materiale, contrapposizione fra opposti, ricchezza di relazioni, scambio tra ecosistemi, opportunità di trasformazione, frammentazione fisica. Approcciare la tematica del margine nell’ambito della progettazione urbana, non significa lavorare su aree incontaminate, ma lavorare su territori della contemporaneità, interessati da processi dinamici di sviluppo e da un ricco substrato di tracce antropiche in attesa di una risignificazione. Il tessuto urbano di Ferrara si è sviluppato in funzione dell’anello delle mura cittadine: a partire da questo limite tracciabile e continuo che racchiude il centro storico, la città si è espansa verso l’esterno seguendo gli assi principali della mobilità. Il tema del lavoro di ricerca è quello di indagare il rapporto tra tessuto urbano periferico e suo intorno. Le infrastrutture come barriera, il periurbano come paesaggio e il vuoto urbano come residuo, sono i presupposti analitici di partenza. L’approccio metodologico proposto indaga il margine urbano in una città di medio-piccola dimensione, partendo dal principio della sua indeterminatezza 10
abstract intrinseca. Non è tracciabile, non è univoco, assume diversi spessori, si genera da contrapposizioni, non si trova solo sull’esterno. Da mappare con sopralluoghi percettivi. Il progetto urbano Linea Sud Ovest propone un’inversione di prospettiva, individuando le aree marginali come spina portante di un nuovo sistema connettivo cittadino che abbraccia il sistema delle mura, traccia per i futuri progetti di trasformazione urbana. L’ambito sud ovest di Ferrara rappresenta un caso studio per una proposta di ridefinizione di un’area compromessa di 3,2 km, disgregata lungo il suo bordo, parallela alla linea ferroviaria Ferrara-Bologna. In alternativa a previsioni di saturazione dei vuoti residui, la proposta progettuale definisce un sistema lineare di infra-strutture integrate, fluviali, ciclo-pedonali, agricole, paesaggistiche e immateriali, che ha come Capo Linea il baluardo della Fortezza. 11
indice
lettura tematica
Quale significato assume il termine margine urbano?
00
[Il margine urbano] TAV00 27 28 35
Il margine urbano 00.1 Indagare i sinonimi di margine
00.1.1
Il margine urbano nel dibattito contemporaneo
00.1.2
Limite – Confine – Bordo - Frangia - Periurbano
Margine come contemporaneità - Margine come barriera o come sutura – Margine come frammentazione - Margine come trasformazione – Margine come contrapposizione – Margine come scambio – Margine come compensazione - Margine come ricchezza – Margine come progettualità
[lettura localizzata]
Perché approcciarsi oggi alla città di Ferrara affrontando il tema del margine urbano?
13
01
[Il margine consolidato] TAV01 49 50
58
Il margine progettato 01.1 Il limite nelle città murate
01.1.1
Le cinture verdi come limite all’espansione: dibattito novecentesco
01.1.2
Limite e nascita delle città – Le mura difensive - Esempi di città murate italiane - L’unicità delle mura ferraresi
01.1.3
Spazi agricoli di cintura: trasposizione contemporanea
Agricoltura e paesaggio italiano - L’agricoltura nel periurbano – Gli orti sociali - Parchi agricoli e buone pratiche
01.2 Il margine storico a Ferrara 01.2.1
60
71
Cronologia: Evoluzione del margine storico di Ferrara
72
01.2.2
Mura cittadine e sistemi verdi consolidati: Ferrara - città paesaggio
78
01.2.3
Mura cittadine e centro storico
83
01.2.4
Attorno alle mura cittadine: cultura e imprese creative
86
02
Dal VII secolo: la città lineare - 1386 Prima addizione - 1450 Seconda addizione - 1492 Addizione erculea - 1512/1597 La fortificazione 1598/1800 La gestione pontificia - 1800/1861 Verso l’Unità
[lettura critica] Con quali tematiche di analisi approcciare il margine urbano?
14 TAV02 [Il paesaggio ai margini] TAV03 [Oltre il margine consolidato] TAV04 [Margini in trasformazione] 02.1 Il paesaggio ferrarese: nascita, tracce e valorizzazione 02.1.1
91
Cronologia: Ferrara e la pianificazione del paesaggio
93
02.1.2
Il paesaggio oltre la cinta muraria
96
02.1.3
La capillarità del sistema idrico
101
02.1.4
La diffusione del patrimonio storico-culturale nell’extraurbano
107
1945 Parchi e giardini – 1960 Vincolo di verde agricolo – 1968/1972 Tutela dei verdi urbani – 1977 Parco Nord – 1985/1987 Progetto Mura – 1995 Parco Sud
Cenni storici sul sistema idrografico ferrarese - L’importanza del sistema idrico
111
Ferrara e la cintura agricola
02.1.5
Cenni storici sul paesaggio ferrarese – Agricoltura ferrarese oggi
119
Espansione urbana e quartieri periferici 02.2 Cronologia: Ferrara e l’espansione oltre le mura
02.2.1
131
I quartieri periferici: popolazione e servizi
02.2.2
136
La rete della viabilità pubblica e privata
02.2.3
137
Le tipologie di tessuto dei quartieri periferici
02.2.4
122
145
Al 1923 Epoca Contini – 1945/1955 Il dopoguerra – 1960/1968 I piani comunali – 1972/1985 I PEEP – 1987 Verso la contemporaneità - 1995 L’ultimo PRG
Progetti in corso e previsioni di sviluppo 02.3 Cronologia: Ferrara e le principali trasformazioni urbane
02.3.1
I progetti in corso e in attuazione
02.3.2
157
Trasformazioni previste nella rete di spazi aperti
02.3.3
160
Trasformazioni previste negli spazi costruiti
02.3.4
146
150
1862-66/1911-13 La prima pianificazione – 1936/1949 Sviluppo industriale e ricostruzione – 1960-68 Espansione est – 1990/1997 I centri commerciali – 1998 I PRU –2012 Trasferimento del polo ospedaliero
Aree di nuova espansione – Progetto “Tangenziale Ovest” – Progetto “Infrastruttura ferroviaria” – Progetto “Idrovia ferrarese”
[lettura strategica] Come andare a definire oggi il margine urbano della città?
03
[Il margine contemporaneo] TAV05 TAV06 167 171
Esiste un margine contemporaneo? 03.1 Le infrastrutture come barriera
03.1.1
15
03.1.2
Il periurbano come paesaggio
173
03.1.3
Il vuoto urbano come residuo
188
Riscoperta di paesaggi – Paesaggio e territorio – Sistemi nei paesaggi Azioni comunitarie – Paesaggi ordinari
03.2 Ambiti urbani di margine
16
193
03.2.1
Sopraluoghi e fotografia
199
03.2.2
Elementi di margine
201
03.2.3
5 ambiti urbani
217
Orti urbani - Campagna interclusa - Aree verdi – Tracciati ferroviari - Ponti e sottopassi - Piste ciclabili - Tracciati spontanei - Aree in trasformazione
01 Lungo il canale Boicelli – 02 Lungo la Ferrara-Bologna – 03 Attorno al Parco Sud – 04 Lungo il Po di Volano – 05 L’ultima espansione
03.3 Il margine di Ferrara oggi 03.3.1
03.3.2
231
La definizione come indeterminatezza
232
7 situazioni di margine urbano
239
Non è univoco - Non è tracciabile – Assume diversi spessori – Si genera da contrapposizioni – Non si trova solo sull’esterno
01 Recinto – 02 In-between – 03 Colonizzazione – 04 Opposti – 05 Gradiente – 06 Distanza – 07 Corridoio
04
[strategia urbana] Con quale strategia urbana approcciarsi al margine di Ferrara?
TAV07 [Margini a sistema] TAV08 04.1 Visione per Ferrara
255
04.1.1
Il bordo come trama verde
257
04.1.2
Il margine come ricucitura
261
265
Il vuoto urbano come opportunità
04.1.3
272
La fruizione come consapevolezza
04.1.4
Casi studio
04.1.5
280
Parco Henri-Matisse – Ville nouvelle Melun-Senart – La “cintura verde” di Reggio Emilia – TOKYO2050fibercity - Euralens
285
Programma urbano 04.2
286
Lungo il margine
04.2.1
288
Sul margine verso le mura storiche
04.2.2
292
Dal margine
04.2.3
295
Punti nel margine
04.2.4
295
Per il margine
04.2.5
303
7 azioni al margine
01 Spezzare il Recinto – 02 Stare In-between – 03 Colonizzazione dinamica – 04 Dialogo tra gli Opposti – 05 Gradiente di compensazione – 06 Accorciare la Distanza – 07 Corridoio al servizio
[progetto urbano] Con quali strumenti progettuali è possibile intervenire sul margine urbano?
04.2.6 17
05
[Il margine Sud Ovest] TAV09 TAV10 TAV11 TAV12 TAV13 TAV14 313 316
Il margine Sud Ovest 05.1 Lettura alla microscala
05.1.1
05.1.2
Tracce di una storia recente
320
05.1.3
Analisi SWOT
327
05.1.4
Previsioni di saturazione
329
05.2 Linea Sud Ovest
335
05.2.1
Struttura puntuale
342
05.2.2
Struttura lineare
345
05.3 Infra-struttura urbana 05.3.1
Prima e dopo
347 350
Rete ciclo-pedonale – Rete stradale – Rete ferroviaria
05.3.2
Trasformazioni urbane
358
05.3.3
Cronoprogramma
369
18
Darsena City – Darsena fluviale – Ex Amga – Foro Boario – Palazzo degli Specchi – Zona Fiera – Consolidamenti puntuali
Azioni bandiera per il margine – Nuove prospettive lungo il margine – Consolidamento progressivo del margine
05.4 Infra-struttura verde 05.4.1 05.4.2
373
Bande attrezzate
378
Macro Parchi
379
Parco Fortezza – Parco Tecnologico – Parco Ortofrutticolo – Parco Sociale – Parco Produttivo – Fiera all’aperto – Bosco lineare
05.5 Capo Linea
387
05.5.1
Il Lungofiume
388
05.5.2
Flussi strutturanti
389
394
Riutilizzi puntuali
405
bibliografia [a/z]
409
documentazione [a/z]
410
cartografia [a/z]
411
sitografia
05.5.3
tavole [00/14] 19
20
Quale significato assume il termine margine urbano?
Perchè approcciarsi oggi alla città di Ferrara affrontando il tema del margine urbano?
Con quali tematiche di analisi approcciare il margine urbano?
00
01
02
21
Come andare a definire oggi il margine urbano della cittĂ ?
Con quale strategia urbana approcciarsi al margine di Ferrara?
Con quali strumenti progettuali è possibile intervenire sul margine urbano?
03
04
05
All’entusiasmo, fino alle lacrime
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lettura tematica 00 Quale significato assume il termine margine urbano?
[Il margine urbano] TAV00
25
26
«O deserta bellezza di Ferrara, ti loderò come si loda il volto di colei che sul nostro cuor s’inclina per aver pace di sue felicità lontane: e loderò la chiara sfera d’aere e d’acque ove si chiude la tua melanconia divina musicalmente. E loderò quella che più mi piacque delle tue donne morte e il tenue riso ond’ella mi delude e l’alta immagine ond’io mi consolo nella mia mente. Loderò i tuoi chiostri dove tacque l’uman dolore avvolto nelle lane placide e cantò l’usignolo ebro furente. Loderò le tue vie piane grandi come fiumane che conducono all’infinito chi va solo col suo pensiero ardente e quel lor silenzio ove stanno in ascolto tutte le porte se il fabbro occulto batta su l’incude, e il sogno di voluttà che sta sepolto sotto le pietre nude con la tua sorte.» Gabriele d’Annunzio, Il silenzio di Ferrara, 1899
Il margine urbano 00.1
27
Il lavoro di ricerca inizia dalla volontà di indagare il possibile significato del termine margine nell’ambito dell’analisi e della pianificazione urbana. Si tratta di un termine oggi molto utilizzato e dibattuto. Allo stesso tempo di difficile traduzione nella lingua inglese, la quale ne distingue le varie sfaccettature: spaziale, figurativa, sociale, specialistica. Anche volendo relegare il termine a questioni di pianificazione urbana, non è possibile trascurare comunque una vastità di ambiti a cui il termine può fare riferimento. Il primo capitolo della sezione riguarda il significato spaziale del termine, indagato alle varie scale: da quella più piccola, della percezione di un limite o di un confine, alla grande scala dei territori della diffusione urbana, dove i termini frangia e periurbano divengono realtà con le quali ci si deve inevitabilmente confrontare. Il secondo capitolo indaga le diverse sfumature percettive di un ambito di margine urbano, ciascuna delle quali permette a suo modo di definire i connotati spaziali di un’entità ancora indefinita.
00.1.1 Indagare i sinonimi di margine
Limite – Confine – Bordo - Frangia – Periurbano
Limite La parola limite è stata originariamente attribuiti alla delimitazione fisica di entità geopolitiche o territori controllati e gestiti sotto un unico potere. In particolare, in francese il termine marche (marca) veniva tradizionalmente attribuito alle regioni situate ai confini di un territorio, lungo le sue frontiere. Questo probabilmente è derivato dall’atto del segnare un limite attraverso il tracciato individuato da una marcia militare. Infatti, lo stesso termine marche (in questo caso, nell’accezione di “marcia”) designa un limite in movimento, che di fatto altro non è se non quello che viene chiamato una “frontiera”. La frontiera ha quindi un’origine di per sé indefinita, essendo stabilita da qualcosa in movimento: coincide sempre con gli sfrangiamenti, con gli spazi intermedi dai contorni incerti e che si possono vedere davvero solo percorrendoli. Per questo motivo, si può immaginare che “sia lo stesso atto del camminare che manifesta i limiti interni della città, che svela una zona accessibile, nella quale si può abitare, identificandola”. (Careri, 2006) 28
La stessa origine delle città si può pensare come legata al concetto di limite spaziale. In particolare il termine paese rimanda al verbo latino pangere, conficcare paletti, da cui, il cippo confitto nel terreno per segnare un limite (del campo, dell’abitato, una strada, ecc.), che genera a sua volta l’aggettivo pagensis, da cui, appunto, paese. Si rimanda quindi a un’idea di articolazione spaziale che genera territorialità, appartenenza, istituisce riconoscibilità e differenze, consente, attraverso l’attività di imporre limiti, di strutturare forme e leggibilità, simbolicità e possibilità operative, distinzioni, legami, separazioni, rimandi. I caratteri che contrassegnano il pagus e il locus sono del tutto analoghi: delimitazione, riconoscibilità e individualità, qualificazione spaziale, intervento umano, appartenenza, differenzialità. Come si evince da questi significati, almeno a livello concettuale, il significato della parola limite è legato alla volontà di definizione “di una forma, che può assumere grandezze e funzioni diverse, che, in quanto tale, è de-finita da limiti che la individuano e perciò ne consentono riconoscibilità e articolabilità rispetto ad altre”. (Bonesio, 2007) G. Clément, tra le definizioni della sua teoria sul Terzo paesaggio, non si
dimentica di precisare che la rappresentazione di un ecosistema naturale non può prescindere dalla possibilità di stabilirne i limiti geografici: “I limiti – interfacce, canopee, limitari, margini, bordure – costituiscono, in sé, spessori biologici e la loro ricchezza è spesso superiore a quella degli ambienti che separano”. (Clément, 2004) Infine, è importante soffermarsi sul significato che il termine può assumere nei territori contemporanei della dimensione urbana, laddove i limiti percepibili tra una città ed un’altra si perdono, lasciando spazio al solo confine amministrativo. Oggi “sembra che non ci sia centro che ci possa calamitare; non si danno trame certe sulle quali trovare un orientamento, nemmeno da trasgredire: l’illimite diviene la dimensione propria del nostro operare, la dismisura è il nostro orizzonte. Dismisura intesa non tanto in senso di ampiezza infinita, ma di non limite.” (Giammarco, Isola, 1993) Confine Il dizionario definisce il confine in continuità con il concetto di limite, come una “linea costituita naturalmente o artificialmente a delimitare l’estensione di un territorio o di una proprietà, o la sovranità di uno stato. […] Pietra, sbarra, steccato, che delimita una proprietà da quella attigua. Limite, termine (talvolta con sfumatura di incertezza o lontananza): sterminato, illimitato”. Due sono le due possibili lettura del termine, che ne danno un accezione leggermente diversa da quella del termine precedente: la prima, che considera la contrapposizione tra un qualcosa che rimane interno e il suo esterno; la seconda, che parte dalla volontà di separazione di entità distinte, materiali e immateriali. In riferimento alla prima lettura, “l’esperienza del confine parte, dunque, sempre dall’interno (nostro?); limitare significa, contenere qualcosa dentro un insieme di punti, un’estensione controllata, sorvegliata; un segno più o meno visibile, una sorta di orizzonte che imponiamo o ci viene imposto culturalmente. Limitare ha anche in sé il significato di soglia. Raffigura lo stare al limite, al margine di qualcosa.” (Zanini, 1997) Di conseguenza, una delle prime conseguenze naturali connesse alla costruzione di un confine è il buttar fuori, l’espellere dall’ambito che si è cercato ciò che viene considerato intruso. Sempre in riferimento all’esperienza dell’abitare, il confine assume un significato di protezione, tra ciò che ci appartiene e ciò che sfugge al nostro controllo. Infatti, l’uomo tende a vivere all’interno di uno spazio chiuso, limitato. Ha
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bisogno di avere attorno a sé una barriera che delimiti lo spazio che ha occupato, lo separi e lo protegga da qualcosa che nel momento stesso in cui viene tracciato il confine diventa “altro”, “diverso”.
30
In riferimento alla seconda lettura, il confine è proprio il luogo dove queste “giustapposizioni”, queste antinomie, si manifestano concretamente e si rivelano completamente. In questo senso, il confine assume il significato di uno spazio, e non solo alla “linea” che lo istituisce: “andare verso il margine, vivere la liminarità, stare sul confine, richiede a ciascuno di noi la disponibilità e la volontà di compiere un’esperienza di apprendimento oltre le abitudini, al di là delle convenzioni e dei preconcetti che ciascuno di noi può avere”. (Zanini, 1997) Per ciascuno di noi un confine può essere in tempi diversi il simbolo di una chiusura, ma anche quello di un’apertura; può significare l’inclusione o l’esclusione da un ambito particolare. Insomma, un confine racchiude in sé tutte e il contrario di tutto a seconda di come, e soprattutto da che punto, lo guardiamo. Piuttosto potremmo dire che un confine si delinea in modo chiaro nel momento preciso in cui si rivela un’incomprensione, tanto da poter essere definito come “spazio del malinteso”. (Zanini, 1997) Volendo immaginare i confini in senso figurativo, essi rappresentano “le cerniere di articolazione degli spazi tra loro, la ripartizione in luoghi distinti e complementari ma non sovrapponibili”. (Bonesio, 2007) Il confine indica un limite comune, una separazione tra spazi contigui. La frontiera rappresenta invece la fine della terra, il limite ultimo oltre il quale avventurarsi. Dopo queste considerazioni, non appare troppo idelistica la frase di R. Koolhaas: “In ogni Città Generica c’è un waterfron, non necessariamente provvisto d’acqua (può anche essere un deserto, per esempio) ma comunque un confine sul quale si incontra una condizione altra, come se una comoda via di fuga fosse la migliore garanzia per poterne godere”. (Koolhaas, 2006) Bordo In continuità con il termine precedente, il termine che meglio di tutti esprime il concetto di uno spazio con uno spessore e dei propri meccanismi di funzionamento, è il termine di bordo, molto simile come significato al termine soglia. In questo caso, il concetto di contrasto tra due entità diverse, ma allo stesso
tempo di scambio dinamico tra elementi contrapposto, è ulteriormente enfatizzato. All’opposto di questa concezione, esiste anche chi rifiuta quest’opposizione, ritenendola falsa come “quella che concepisse un’isola come limitata dall’acqua e da questa circoscritta: modo di pensare tipico di chi abita la terraferma e privo di senso per un pescatore, il cui incessante va e vieni dalla terra al mare usa la soglia fra gli elementi per creare, partendo da due domini all’apparenza incompatibili, un’unità necessaria”. (Corboz, 1985) Analizzando le abitudini delle popolazioni nomadi, agricoltori e pastori hanno sempre avuto bisogno di un continuo scambio dei loro prodotti e di uno spazio ibrido, o meglio neutro, in cui lo scambio sia possibile. Il Sahel ha esattamente questa funzione: è il bordo del deserto dove si integrano pastorizia nomade e agricoltura sedentaria, e forma un margine instabile tra la città sedentaria e la città nomade, tra il pieno e il vuoto. Allo stesso modo, le cosiddette buffer zones (aree cuscinetto), sono “vere e proprie soglie che garantiscono, una volta entrati, la possibilità di provare qualcosa di diverso senza il timore di mettere a repentaglio la propria identità”. (Zanini, 1997) Frangia Il termine frangia ha un significato più specialistico e viene utilizzato in riferimento al territorio urbanizzato. Questa corona presenta ampiezze variabili, si protende lungo le direttrici viarie di fuoriuscita dalla città; assume forme diverse a seconda della città; ma non perde la sua connotazione di fondo che è appunto che è appunto quella di tessuto costruito che si sgretola, disperdendosi in mezzo alla campagna. Il problema è appunto rappresentato da questo fenomeno dello sfrangiamento della città che è causa di un duplice e complesso impatto negativo: il deterioramento del paesaggio agro-naturale con la perdita irreversibile del suo patrimonio di natura e storia; la disseminazione edilizia lungo le arterie stradali, con la conseguente formazione di tessuti residenziali di scadente qualità ambientale e con la perdita di efficienza funzionale ed economica delle vie di comunicazione intercomunale. I principali caratteri che accomunano gli ambiti di frangia urbana sono individuati in: una generale carenza di organizzazione del tessuto urbano, la velocità dei processi di trasformazione, un contrasto elevato tra gli elementi che costituiscono le aree di frangia, un alto grado di frammentazione e
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eterogeneità paesistica del tessuto, l’incompiutezza di quanto pianificato. Nella molteplicità dei paesaggi quello che è andato formandosi nell’ultimo secolo attorno alle nostre città è sicuramente il paesaggio della frangia urbana, esterno all’area densa, conclusa nei suoi rapporti interni, ben oltre l’insediamento storico. Un paesaggio quello della frangia urbana spesso disarticolato, banalizzato nei rapporti tra spazio edificato e non, nella perenne attesa di future modificazioni, alle volte improvvise, senza un disegno formale che dia riconoscibilità al paesaggio urbano in maniera positiva, forte ed espressiva, o mitigata da elementi in grado di porsi in relazione con lo spazio aperto in un corretto ed equilibrato rapporto tra paesaggio agricolo e paesaggio urbano.
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In riferimento ai processi evolutivi e trasformativi di una città, le aree di frangia sono aree di espansione a ridosso del nucleo urbano consolidato e sono interpretate come soglie significative della mutazione di un territorio, e ne scandiscono la trasformazione: “sono la risultante dell’integrazione o del conflitto tra assetti locali e configurazioni globali, non legate ai soli aspetti quantitativi o all’estensione dei luoghi, ma ai requisiti qualitativi emergenti dall’introduzione di nuove scale relazionali”. (Gibelli, 2003) In riferimento alla proprietà della trasformabilità, le frange possono dividersi in due categorie: quelle in via di consolidamento che tendono a costituire un margine netto con effetto barriera nei confronti dello spazio aperto; e quelle più giovani, con forti dinamismi che si sviluppano in modo piuttosto caotico frammentando il paesaggio agrario. Queste sono caratterizzate da un alto grado di porosità. Nel primo caso le possibilità di intervento sono prevalentemente sui margini, spesso sulla strada di bordo o sulle aree residuali. Nel secondo caso le opportunità di intervento sono decisamente più ampie, legate alla maggiore disponibilità di spazi. Un paesaggio quello della frangia urbana a volte riconoscibile come periferia, se legata a fattori sociali di degrado urbano, che necessita di affermarsi come parte di città e quindi di recuperare nei suoi rapporti con il centro urbano, alle volte confusa tra varie forme ed usi, poche le volte con cui si esprime con elementi riconoscibili per le loro architetture o con uno skyline in grado di esprimere la capacità dell’uomo di costruire un paesaggio ben progettato. Ma allo stesso tempo, le aree di frangia tendono a definirsi sempre come nuovi soggetti territoriali, diversi dalle “periferie urbane” intese in senso storico-geografico, che sono state completamente rimesse in gioco dalle nuove valenze di centralità portate all’esterno della città dai nuovi interventi
terziari e residenziali. Esse si connotano soprattutto per la crisi degli spazi aperti, per gli effetti indotti da una loro progressiva frammentazione, per assoluta mancanza di principi riconoscibili in grado di regolare i rapporti tra i nuovi e antichi elementi del paesaggio senza degradarlo o impoverirlo. È proprio la mancanza di qualità e identità degli spazi aperti ad esprimere la nuova condizione di frangia di una parte del territorio, precedentemente agricolo o naturale. Nella prospettiva di una trasformazione, “esse costituiscono proprio i luoghi di “cerniera” tra i tessuti urbani compiuti e gli spazi aperti esterni, dove il raggiungimento degli obiettivi di valorizzazione appare tanto fondamentale quando estremamente difficoltoso.” (Regione Lombardia, 2011) Infine, la frangia periurbana ha una peculiarità che la distingue dal resto del territorio e che la rende assimilabile ad uno “scarto dell’urbanizzazione”. Essa è il luogo dove la città riversa attività ad essa indispensabili ma ambientalmente incompatibili con lo spazio residenziale urbano. In quanto indispensabili queste attività devono localizzarsi il più vicino possibile alla città, in quanto incompatibili devono localizzarsi al di fuori di essa. In tal modo però la frangia periurbana “diviene il luogo non urbano dove la città genera il più elevato impatto ambientale cumulativo”. (Socco, Cavaliere, Guarini, Montrucchio, 2005) Periurbano Passando dalla scala dell’agglomerato urbano ad una scala territoriale, è necessario definire il significato che sta assumendo il termine periurbano all’interno del dibattito contemporaneo. Intorno alla parte densa della città esiste una zona ambigua dove la città si disgrega, inglobando nelle propria rete infrastrutturale e costruita spazi agricoli, dapprima più ridotti e poi, di mano in mano che si procede verso l’esterno, sempre più ampi, fino a che il paesaggio della campagna diventa dominante. Il termine “periurbano” identifica sia un ambito spaziale che quell’intreccio di tensioni funzionali che lo determinano come uno spazio di transizione fra ciò che riconosciamo come interamente urbano ed i territori pienamente rurali. Questo spazio ha assunto, nel corso della storia, differenti connotazioni: al tempo delle città fortificate ad esempio, con l’introduzione dei sistemi d’artiglieria, il periurbano era uno spazio particolarmente definito ed immediatamente percepibile: un’area essenziale per la difesa militare tra la città murate e le campagne coltivate, dove era impossibile edificare o interferire con la funzione specifica assegnatagli.
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Oggi registriamo una diffusione insediativa senza precedenti ed una conseguente perdita della percezione del confine tra la dimensione urbana e quella rurale: non può certo sfuggire al ricercatore il fatto che è in atto una radicale trasformazione di quelle che sono state in passato le tradizionali dicotomie città/campagna, centro/periferia, poli dominanti e aree subalterne, e che comunque va affermandosi una diversa gerarchizzazione delle situazioni spaziali. In effetti negli ultimi vent’anni, ricorrendo a termini come campagna urbanizzata, spazio periurbano, nuova città periurbana, urbanizzazione periferica, urbanizzazione e città diffusa, si è generalmente sottolineato uno dei principali aspetti delle trasformazioni insediative e paesistiche del nostro paese: una diffusione di nuovi insediamenti in ampie porzioni di territorio precedentemente assai meno abitate ed edificate e comunque con una connotazione di tipo rurale, nonché l’imporsi al loro interno di un “paesaggio” e di un ambiente “socio-economico” che presenta alcuni tratti originali e specifici rispetto alla città consolidata. (Lanzani, 2000)
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I territori rurali periurbani, si presentano come luoghi instabili, facilmente investiti da processi di trasformazione, suoli di future periferie, vuoti in attesa di processi di valorizzazione immobiliare, spazi che diventeranno sede di svincoli autostradali; si tratta di aree interstiziali di difficile interpretazione, che ospitano usi del suolo che oppongono debole resistenza al cambiamento. Sono spazi chiusi, interclusi, semiaperti, non spazi portatori di una propria forma, ma spazi che risultano da ciò che gli sta intorno. Data l’ampiezza della loro scala vengono denominati vuoti territoriali e la loro dispersione permette il formarsi di un vero e proprio sistema territoriale, “la città diffusa”. I sociologi, evidenziano un ulteriore questione, che vede il periurbano come luogo nel quale si vanno sviluppando “nuove modalità residenziali con il coinvolgimento specifico di immigrati extracomunitari, di nuove e vecchie categorie di singles, di residenti espulsi dal Centro Storico, di nuclei familiari di recente costruzione”. (Guidicini, 2000) La contemporaneità del fenomeno viene fortemente espressa da R. Koolhaas, con il concetto di Città Generica: “La definitiva fuga dalle campagne, dall’agricoltura, verso la città non è un movimento verso la città come la intendevamo: è un movimento verso la Città Generica, la città tanto pervasiva da arrivare alla campagna. […] La Città Generica viene sempre fondata da gente in movimento, sempre pronta a spostarsi”. (Koolhass, 2006)
Come più ampia considerazione, è necessario ricordare il fenomeno dello sprawl americano. Per indicare le nuove estensioni della città fisica la cultura anglosassone ha fatto generalmente ricorso al termine suburb. Oggi però tale parola non è più considerata adeguata per descrivere i nuovi fenomeni di urbanizzazione. A essa si affiancano termini come sprawl, no town, slurb, riferendosi alla dimensione fisica. Anche in Europa termini usati fin da ora, come periferia o banlieue, ci offrono concetti e strumenti di comprensione inadeguati. La parola sprawl, introdotta negli USA negli anni Sessanta per indicare la crescita urbana senza forma, letteralmente significa “sdraiato”. “Non c’è parola equivalente nelle lingue europee. Periferia, periurbano, conurbazione, nebulosi urbana, exurbia, ovvero città diffusa, sono tutti termini per descrivere un fatto geografico che si è ripetuto in tanti modi diversi, come lo sprawl americano”. (Ingersoll, 2004)
Il margine urbano nel dibattito contemporaneo 00.1.2
Margine come contemporaneità - Margine come barriera o come sutura – Margine come frammentazione - Margine come trasformazione – Margine come contrapposizione – Margine come scambio – Margine come compensazione Margine come ricchezza – Margine come progettualità
Margine come contemporaneità Iniziando a delineare le varie sfaccettature che il margine urbano può assumere è sembrato opportuno iniziare con quella che identifica il margine come condizione della contemporaneità e, allo stesso tempo, peculiarità spaziale delle città del ventunesimo secolo. Prima di tutto, il vivere ai margini della città viene identificato con l’esclusione del centro, con la mancanza di convenzionalità. L’esclusione porta qualcuno o qualcosa verso il margine di un territorio, lontano dal centro: è da qui che viene l’emarginato. Talvolta questo può venire spinto anche oltre il margine (è il caso dell’esiliato) fino a farlo diventare straniero, quindi altro rispetto a ciò che si vuole contenere con il confine. È saldamente radicata ancora oggi l’immagine, non solo spaziale, per cui il centro racchiude in sé tutti i caratteri positivi di una società, mentre la periferia, il margine, diviene il ricettacolo delle negatività, di tutti quegli elementi che creano disturbo all’armonia del centro stesso. Malfattori,
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dissidenti e contestatori, sradicati e diversi sono, nei nostri luoghi comuni, gli abituali frequentatori delle zone marginali. Eppure non è sempre così. A volte, infatti, lo stare al margine può essere una scelta pienamente consapevole. La marginalità diviene allora un modo di manifestare la propria identità. Un modo per “non stare né dentro né fuori, sempre pronti, se si presenta l’occasione e in base alle proprie necessità, a entrare o uscire da qualcosa. È anche un modo per guardare con un certo distacco le cose che stanno da una parte del confine e quelle che stanno dall’altra”. (Zanini, 1997)
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La sensazione di spaesamento è ulteriormente rafforzata da un’urbanistica ripetitiva, interamente costituita da parallelepipedi identici e giustapposti, senza assi che mirino a un edificio importante, cioè senza gerarchia. Corboz definisce questo nuovo tipo di spazialità, spazio utopiano e afferma come l’ascendente di una simile concezione è lo spazio assoluto quale Newton lo definì nel 1687 nei suoi Principia mathematica: “Lo spazio assoluto, che non ha alcun tipo di rapporto con l’esterno, per sua natura rimane sempre uguale a sé stesso e immobile”. Una tale mutazione del nostro rapporto con lo spazio è tanto più necessaria in quanto i problemi della “città-che-si-sta-costituendo-sotto-i-nostri-occhi” (Corboz, 1993) non sono più quelli dei centri, ma quelli delle zone, delle appendici, dei margini e delle enclave coestensivi a questa città, cioè in ciò che chiamiamo periferia. Queste considerazioni portano A. Corboz a definire un vero e proprio slogan: “perché se il tempo della tabula rasa è finito, lo è anche quello del ritorno al centro, che si tratti di “salvaguardalo” (perché storico) o di ricostruirlo (perché lacerato dalla guerra o dal rinnovamento urbano)”. (Corboz, 1993) Al concetto dello spazio utopiano, si affianca un concetto nuovo di paesaggio, corrispondente a un’idea di città che privilegia la molteplicità, l’eterogeneità, il contrasto, l’accostamento di elementi diversi tra loro: “non si tratta di paesaggi omogenei, ma di “paesaggi ibridi”, concepiti a partire da una nuovo idea dello spazio”. (Zardini, 1999) Quelli che fino a oggi abbiamo considerato elementi negativi della città contemporanea, ovvero l’eterogeneità, la varietà eccessiva, il disordine, la disarmonia, l’accostamento incongruo di pezzi diversi costituiscono ora una risorsa, una qualità per la definizione di un nuovo paesaggio. Margine come barriera o come sutura Questa definizione è presa in prestito da una catalogazione che K. Lynch
espone nel famoso libro L’immagine della città. L’autore si occupa di descrivere i cinque elementi che costituiscono le immagini urbane e ne permettono la percezione. Il margine è l’elemento numero 2. Quello che è importante considerare, è che l’autore non attribuisce al margine soltanto caratteristiche negative, bensì sottolinea l’importanza che questo elemento può rivestire in quanto elemento riconoscibile. Vista l’importanza del testo in questione, si preferisce riportare la definizione per intero: “Margini. Margini sono gli elementi lineari che non vengono usati o considerati dall’osservatore. Essi sono confini tra due diverse fasi, interruzioni lineari di continuità: rive, linee ferroviarie infossate, margini di sviluppo edilizio, mura. Piuttosto che coordinate assiali, essi sono riferimenti esterni. Margini di questa natura possono costituire barriere, più o meno penetrabili, che dividono una zona dall’altra, o possono essere suture, linee secondo le quali due zone sono messe in relazione ed unite l’una all’altra. Questi elementi di margine benché meno dominanti dei percorsi, per molti costituiscono importanti caratteristiche nell’organizzazione, particolarmente per il ruolo di tenere assieme aree generalizzate, come fanno l’acqua o le mura che circondano una città. […] Se continuità e visibilità sono fondamentali, i margini forti non sono necessariamente impenetrabili. Molti margini sono strutture unificanti piuttosto che isolanti barriere, ed è interessante constatarne il diverso effetto”. (Lynch, 1964) Per l’autore, i margini sono spesso anche percorsi, che potrebbero in futuro divenire elementi molto efficaci per l’orientamento in una città. Come i percorsi quindi, anche i margini possono avere “qualità direzionali”. (Lynch, 1964) A scala territoriale, rivolgendo l’attenzione al confine fra paesaggio agrario e paesaggio urbano, questo può identificarsi con un elemento fisico – che chiamiamo elemento lineare – e che nella maggioranza dei casi è costituito da strade, asfaltate o sterrate, recinzioni, fiumi o canali. La permeabilità o meno del manufatto a margine, deriva dalla constatazione del suo essere una barriera o sutura, permettendo un’accessibilità più o meno ampia tra i due paesaggi. In particolare, la porosità è una categoria che descrive l’esistenza o meno di aree libere tra i due sistemi, che possono essere “occasioni strategiche per un progetto di rafforzamento, di conferma o di riforma di un tessuto”. (Gibelli, 2003)
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Margine come frammentazione La frammentazione è stata sopra descritta come condizione delle aree di frangia urbana: man mano che ci si avvicina alla città, il fenomeno di frammentazione degli elementi del paesaggio si fa sempre più consistente. È dimostrabile infatti che “l’incoerenza” formale, il contrasto, la banalizzazione, la mancanza di caratterizzazione e di riconoscibilità dei margini urbani, sono spesso l’aspetto esteriore di altrettanti problemi derivanti proprio dalla mancanza o carenza di organizzazione del territorio, spesso indice, oltre che di difficoltà funzionali, di un aumento della vulnerabilità del sistema paesistico. Ma l’uniformità di impianto fa scomparire ogni riferimento pregnante di significato, la “globalizzazione” delle tipologie edilizie e dei materiali, accompagnata alla mancanza di riferimenti simbolici e visivi, rende la città molto più simile ad un labirinto dove è facile perdersi. Da questo tipo di lettura si deduce in modo molto chiaro che i danni più gravi al paesaggio non derivano dalla grande opera, ma dalla somma dei piccoli e medi interventi che singolarmente sono accettabilissimi, ma nel loro insieme distruggono una struttura paesistica, portando ad una frammentazione dell’organizzazione paesistica di partenza. 38
In tali ambiti urbani si nota la presenza decontestualizzata e spesso di notevole impatto di capannoni industriali/commerciali/artigianali localizzati creando una grave frammentazione del paesaggio agrario/periurbano, con la compromissione delle unità di paesaggio e l’alterazione dei caratteri strutturali e percettivi, oltre che dei valori naturali residui. In particolare, dove la costruzione delle città avviene in modo estensivo, vaste aree aperte agricole o naturali vengono fagocitate e racchiuse all’interno dell’area urbana. Infatti, nel calcolo del consumo di suolo di un’area urbana, è necessario considerata anche tutte quelle aree che, frammentate, intercluse, o di risulta diventano di fatto aree urbane. In tali circostanze l’impronta ecologica lasciata sul territorio da ogni edificio ha una maggiore dimensione ed è fortemente collegata al concetto di inutilizzabilità. Margine come trasformazione Nessuna frase può essere più rappresentativa della condizione di trasformabilità, impermanenza e temporaneità del margine urbano: “Cantiere continuo e sensazione del non finito: periferie urbane che stavano ne margine più incerto (quel confine tristissimo in cui la città confina con i campi, continuamente spostabile e incerto)”. (Turri, 1979)
Mentre il centro originario ha meno probabilità di svilupparsi e muta lentamente, ai margini del sistema le trasformazioni sono più probabili e più veloci. Ai margini si trovano cioè quei paesaggi che Levì-Strauss definirebbe caldi e che Robert Smithson definirebbe entropici. Quasi come se lo spazio-tempo urbano avesse diverse velocità: dalla stasi dei centri alla trasformazione continua dei margini. Nei margini troviamo un certo dinamismo e possiamo osservare il divenire di un organismo vitale che si trasforma lasciando intorno a sé e al suo interno intere parti di territorio in abbandono e più difficilmente controllabili. Careri definisce questi spazi amnesie urbane, un complesso sistema di spazi pubblici che si possono attraversare senza soluzione di continuità. I vuoti rappresentano un luogo in cui è possibile perdersi all’interno della città, in cui ci si può sentire fuori dal controllo, “uno spazio pubblico a vocazione nomade che vive e si trasforma tanto velocemente da superare di fatto i tempi di progettazione delle amministrazioni”. (Careri, 2006) Margine come contrapposizione 39 La condizione primordiale della contrapposizione è quella che esiste nel rapporto tra i pieni e i vuoti. Condizione facilmente riproponibile anche nella lettura di un territorio urbano, proprio laddove il “pieno” della città che si espande viene a scontrarsi con il “vuoto” della campagna circostante. Che il vuoto sia un termine dialettico impensabile senza il riferimento al suo opposto complementare, al pieno, non è una forzatura interpretativa ma un fatto ben presente agli stessi antichi teorici dell’arte cinese: “In effetti il vuoto, come la luce, non può mai esistere allo stato puro, assoluto, irrelato. La dialettica taoista relativa al rapporto pieno/vuoto sembra aver anticipato di quasi duemila anni alcune acquisizioni della scienza fisica a noi contemporanea. (Pasqualotto, 1992) In continuità con la definizione di confine e partendo dalla definizione di K. Lynch, i margini sono gli elementi lineari non considerati percorsi: generalmente, ma non sempre, sono confini tra due aree diverse. Essi funzionano come “riferimenti laterali”. L’autore coglie in maniera efficace come il margine sia un elemento che non si distingue in modo assoluto, ma che emerge qualora due aree fortemente contrastanti sono messe in stretta giustapposizione. In questo modo il loro margine d’incontro è esposto alla vista e l’attenzione visiva si concentra
facilmente. (Lynch, 1964) La scuola ecologica classica vede la città come luogo di conflittualità in relazione alla campagna: sociologia rurale e sociologia urbana (i due settori nei quali si divide la sociologia dei fenomeni spaziali) nascono come discipline separate, la prima nel 1911 e la seconda nel 1925. La transizione spaziale e sociale tra la città e la campagna, si genera inevitabilmente dal sovrapporsi di opposizioni svariate, “dove si intrecciano le reti infrastrutturali con quelle ecologiche, la pressione delle attività antropiche con la capacità di risposta del territorio, la velocità di trasformazione con la lentezza dei ritmi naturali, il rumore e il silenzio, il fumo con le nuvole, masse immobili di materiali inerti con esseri vivi che pulsano e si spostano, forme rigidamente geometriche con la sinuosità e l’irregolarità di un disordine apparente, antiche e non apprezzate ricchezze con le nuove povertà”. (Gibelli, 2003)
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In un’ottica di classificazione delle diverse tipologie di contrapposizione, risulta interessante l’articolo Nuovi spazi senza nome, su Casabella 597-598. Gli autori parlano di otto prime opposizioni binarie, primo abbozzo di una tipologia degli spazi innovativi nel territorio “a bassa densità”: 1. collettivo vs pubblico (privato vs individuale). Gli spazi delle relazioni sociali costituiscono un insieme disomogeneo rispetto a quello disegnato dai regimi di proprietà. 2. democratico vs oligopolistico. Ad un estremo troviamo pratiche di occupazione “democratica”, che tendono ad approcciarsi di condizioni ambientali sedimentatesi nella lunga durata, modificandone il valore attraverso un consumo estensivo e affollato. All’altro estremo incontriamo pratiche di appropriazione “oligopolistica”, che tendono a costituire fatti urbani introversi e con un’accessibilità normata. 3. aperto vs univoco. L’effetto di eterotopia che incontriamo nei paesaggi della città diffusa, è dato dal frequente accostamento di luoghi “chiusi”, riconducibili ad un insieme statico e ridotto di pratiche e di sistemi in attesa. Luoghi chiusi in uno spazio aperto, tra loro non comunicanti. 4. introverso vs senza soluzione di continuità tra interno ed esterno. A volte, al contrario, l’estensione univoca di alcune pratiche abitative sembra quasi annullare a nozione di esterno entro sequenze di spazi uniformi che producono un effetto di diluizione della complessità sociale e morfologica. 5. paesaggio come orizzonte vs territorio come addizione di luoghi. Lo sfondo del paesaggio della campagna urbanizzata, sep-
pur colto nel campo lungo di una percezione distratta e abitudinaria, può assumere due opposti effetti di “cornice” per la vita quotidiana: divenire orizzonte verso il quale stagliare le figure emergenti del paesaggio; ovvero mostrarsi come uno spazio anonimo, privo di gerarchie tra gli oggetti che abbraccia, incapace di prestarsi a qualsiasi focalizzazione. 6. disordine dello spazio vs orientamento nello spazio. Analogamente uno steso paesaggio può essere percepito come una configurazione labirintica (entro la quale si rinuncia a qualsivoglia orientamento), ovvero essere vissuto come ambiente strutturato. Il disordine non è tuttavia prerogativa di un osservatore esterno, così come l’ordine non nasce solo dalla frequentazione abituale di uno spazio. 7. locale vs puntuale. Nei territori della città diffusa, spesso non vi è più corrispondenza tra la dimensione fisica dell’insediamento e la sua radice locale. 8. periferico vs strutturato. Non solo piccoli miscrocosmi e estese periferie, ma anche periferie puntuali poste al “centro” di un’area urbana e vaste aree centrali “diffuse” ai suoi bordi. Porzioni del tessuto residenziale storico sono abitata e da popolazioni “marginali”, mentre la campagna si offre ad ospitare nuclei “forti” di residenza e di servizi. La periferia non è più una variabile geometrica della distanza da un centro, ma l’esito di uno scollamento tra evidenza figurale, identità simbolica e organizzazione dello spazio. (Boeri, Lanzani, Marini, 1993) Margine come scambio A seconda del grado di contrasto che si viene a creare tra due ambiti di margine, si può innescare con velocità diverse un processo di scambio, proprio come avviene nell’analisi degli ecosistemi naturali. I margini si possono comportare come barriere, questo caso bloccando le interazioni tra gli elementi che dividono) o come ecotoni, in grado di moltiplicare le interazioni tra elementi. In ecologia, un ecotono è un ambiente di transizione tra due ecosistemi, e più in generale tra due ambienti omogenei. Il “contrasto”, in particolare, risulta alto se gli elementi adiacenti del paesaggio considerato sono molto diversi e la transizione tra loro è breve se non addirittura assente. È basso se gli elementi adiacenti sono relativamente simili l’uno all’altro e se la transizione tra gli elementi è dolce. L’aumento del contrasto è una della prime conseguenze delle attività
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antropiche ed è proprio la caratteristica che rende le zone di conflitto, come zone di alta dinamicità e di concentrazione di attività proprio per la funzione di luogo di scambio. Un ulteriore considerazione del margine come scambio può essere fatta analizzando i due termini inglesi border e boundary: “Edges come in two forms, as border or as boundaries. This is an important distinction in the natural world. In natural ecologies, borders are the zones in a habitat where organisms become more interactive, due to the meeting of different species or physicall conditions. The boundary is a limit, a territory beyond which a particular species does not stray.” (Sennet, 2012) Il margine come scambio è maggiormente rappresentabile dal termine border, che indica la zone di maggior intensità delle attività biologiche. Questa distinzione spaziale delle relazioni biologica, si ripropone a scala microscopica, nella differente struttura tra una parete cellulare (cell wall) e una membrana cellulare (cell membrane).
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La distinzione in ecologia tra border e boundary si applica anche nell’ambito della sociologia urbana e della progettazione urbanistica: “In the twentieth century, planning tended to define and enshrine boundaries; it created static territories in cities, which diminished exchange between social, economic, religious and ethnic groups. The technologies of transport, the gated communities, the articulation of vertical buildings, all tended to seal off and isolate difference. The planning of the last century was hopeless at creating or promoting borderlands”. (Sennet, 2012) Il concetto di scambio, sia in ambito ecologico che non, è strettamente legato ai concetti di dinamismo, di temporalità e di flessibilità. Lo stesso G. Clément afferma che “il Terzo paesaggio, teatro di forti dinamiche, cambia la propria configurazione nel corso del tempo: attraverso il gioco degli scambi interni, attraverso il gioco degli scambi con l’ambente circostante, attraverso il gioco del mercato, gioco politico”. (Clément, 2004) Interessante osservare come l’autore faccia riferimento alle dinamiche economiche e di mercato (intendendo in maniera molto esplicita: scambi di aree edificabili, costruzioni abusive, speculazioni edilizie) come se si trattasse di dinamiche naturali, regolate da leggi scientifiche. Margine come compensazione La tematica della compensazione, considera il margine come ambito urbano nel quale andare a smorzare tutte le dinamiche accentratrici generate dal
centro città. R. Koolhaas tenta di rappresentare spazialmente il concetto dell’identità scatenato da un centro: “L’identità è accentratrice; insiste su un’esperienza, su un punto. La sua tragedia si realizza in semplici termini geometrici. Quando la sfera d’influenza si espande, l’area caratterizzata dal centro si fa sempre più grande, diluendo senza speranza la forza e l’autorità del nucleo; inevitabilmente la distanza tra il centro e la circonferenza aumenta fino al punto di rottura”. (Koolhaas, 2006) Ma, per l’autore, la recente e tardiva scoperta della periferia come zona potenzialmente di valore è soltanto una riaffermazione mascherata della preminenza del centro e della dipendenza da esso: “senza centro non c’è periferia; l’interesse del primo probabilmente compensa la vacuità della seconda. […] La Città Generica è la città liberata dalla schiavitù del centro, dalla camicia di forza dell’identità”. (Koolhaas, 2006) Margine come ricchezza All’opposto della visione di R. Koolhaas vi è anche chi ritiene che il concetto di centralità delle città, come entità egemone e monopolizzatrice è oggi messo in a favore della ideologia della “marginalità creativa” (Guidicini, 1977): da una ipotesi di marginalità vista come residualità si è portati oggi a parlare di marginalità in quanto spazio di potenziale creatività. La ricchezza si colloca laddove vi è una diversità: spesso in campagna la diversità è molto debole mentre, al contrario, nelle città si può trovare un indice di diversità molto elevato. Per questo motivo, la città, o meglio gli spazi a contatto tra campagna e città, rappresentano spazi ideali nei quali esercitare la “marginalità crativa”. Infine, la ricchezza biologica diviene il principio sul quale G. Clément fonda la sua teoria sul Terzo Paesaggio e sul Giardino in movimento. Tutti gli spazi indecisi che si trovano ai margini, divengono occasione per il proliferarsi di attività inedite. L’inutilizzazione diviene il fondamento per il proliferarsi di processi spontanei di appropriazione, e la diversità una delle caratteristiche principali della ricchezza. “Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana subito si scopre (sarà una dimenticanza del cartografo, una negligenza del politico?) una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini. Dove i boschi si sfrangiano, lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati delle coltivazioni, à dove le macchine
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non passano. […] Tra questi frammenti di paesaggio nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità”. (Clément, 2004) Margine come progettualità Infine, lo slogan “margine come progettualità” rappresenta una speranza per questo lavoro di ricerca: il margine urbano può rappresentare lo spazio per strategie urbane che riguardano lo sviluppo futuro di una città? È possibile un cambio di prospettiva, che non direzioni più l’interesse dell’urbanistica verso il centro, bensì si sposti verso l’esterno di una città, laddove questa si relaziona con la complessità circostante? Nell’articolo Boundaries and borders, l’autore critica l’atteggiamento di chi crede che le problematiche di una città si risolvano soltanto intervenendo al centro. “When we imagine where the life of a community is to be found, we usually look for in the center of a community; when we want to strengthen community life, we try to intensify life at the center. Emphasis of the center, however, may lead the designer to neglet the edge condition, treating ita s inert, lifeless – as a version of the boundary. (Sennett, 2012)
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Si tratta di aree tanto interessanti quanto fragili, in relazione alle pressioni insediative cui sono esposte. Anche – e forse soprattutto – i territori privi di emergenze paesaggistiche eccezionali ed i luoghi degradati, che spesso costituiscono i paesaggi ordinari in cui vive la maggior parte della popolazione, a lungo concepiti quasi come “non luoghi” sacrificabili devono essere oggetto di un’attenta cura progettuale e pianificatoria, “anche in ragione del riconoscimento del paesaggio come vera e propria risorsa economica”. (Poli, 1999) Non è un caso che la cultura progettuale contemporanea si stia interessando sempre di più ai contesti eterogenei e discontinui della periferia e della città diffusa, nei quali abbondano enormi distese di spazi aperti privi di una chiara identità formale e simbolica. Ciò che si dimostra l’aspetto più stimolante per l’azione progettuale è proprio il fatto che “questa apparente assenza di identità fa percepire questi contesti come i possibili terreni di un’autentica, radicale sperimentazione. Nati quasi sempre come spazi di risulta, gli spazi aperti della città diffusa non possono venir interpretati secondo le categorie tradizionali della morfologia urbana, ma necessitano l’elaborazione di nuovi strumenti descrittivi come operazione preliminare ad ogni azione di riqualificazione”. (Boeri, Lanzani, Marini, 1993) Per chiudere, si espone una riflessione riguardo ai confini tra architettura e urbanistica del paesaggio. La considerazione del margine urbano come spazio da progettare, permette di creare un ponte interdisciplinare, un terreno comune. La fine dell’antico antagonismo tra campagna e città ha permesso di eliminare la distinzione tra le due discipline: “Its replacement by the gradual merging of town and countryside into urbanised territory of different kinds ha salso weakened the boundaries between traditional disciplines, causing them to share a common frame
of reference�. (Smets, 2002)
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lettura localizzata 01 PerchĂŠ approcciarsi oggi alla cittĂ di Ferrara affrontando il tema del margine urbano?
[Il margine consolidato] TAV01
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«Ferrara – perché? […] Ma Ferrara sembra offrire il laboratorio meglio attrezzato. E se poi esercita un fascino divorante, forse non è per caso: fu concepita come immagine globale di passato medievale, presente rinascimentale e futuro plurivalente. Registra il variare degli eventi con lo spessore della memoria e la temperie simultanea e talora spasmodica dell’imprevedibile, del nonfinito.» Bruno Zevi, Saper vedere la città, 1960
Il margine progettato 01.1
Nell’ambito della definizione del significato originario del margine urbano si è visto come esso sia un concetto legato ad una delimitazione primordiale dello spazio. In una forma più evoluta, questa materializzazione del limite tra città e “esterno della città” è rappresentata dalla costruzione di mura cittadine a partire dall’epoca medievale. Il tema del rapporto tra tracciato storico delle mura e sviluppo moderno delle città ha sollevato un dibattito su come la necessità di espansione si potesse coniugare con la conservazione di tracce culturali così importanti, non solo come monumento a sé isolato, ma come forma strutturante tutta la morfologia urbana. In questo caso, Ferrara rappresenta un esempio unico della complessa e allo stesso tipo ben riuscita relazione tra cinta muraria e tessuto edilizio, tra conservazione della memoria storica e sviluppo della contemporaneità. Nei paragrafi successivi, si è cercato si seguire tre fasi cronologiche della materializzazione del rapporto tra margine e spazio urbano. Il tema della progettazione, ossia dell’attenzione che l’uomo ha affidato alla definizione di questi spazi, assieme alla definizione della città stessa, è un tema portante. La prima fase tratta dell’evoluzione del limite, dalla fondazione della città alla costruzione delle mura difensive; la seconda si colloca nell’epoca moderna, quando lo sviluppo industriale ha spinto la città a dilatarsi oltre i propri confini storici, e il verde urbano delle grandi circonvallazioni urbani e quello a cintura delle periferie erano pensati utopicamente come elementi di accrescimento della qualità della vita; e infine, la terza: quando il confine delle città si è espanso tanto da farsi un tutt’uno con il paesaggio agricolo, il margine urbano ha assunto la scala della progettazione territoriale, grazie ai grandi progetti di campagne suburbane e di parchi agricoli.
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01.1.1 Il limite nelle città murate
Limite e nascita delle città – Le mura difensive - Esempi di città murate italiane L’unicità delle mura ferraresi
Limite e nascita delle città
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Partendo dalle considerazioni di cui sopra, fin dalla sua prima apparizione, il confine mostra quello che sembra essere il suo carattere fondamentale: segnalare il luogo di una differenza, reale o presunta che sia. Il confine è radicato fortemente alla terra. Questo legame originario è testimoniato in molte lingue indoeuropee, dal greco al latino, all’avestico, all’inglese antico fino alle lingue slave, da molti termini che raccontano una storia comune. Per il mondo latino la traccia del vomere è il solco originario, primigenio, quello che fondava lo spazio cittadino, che disegnava l’orizzonte della città; è anche la linea che separa la città dalla campagna, l’interno dall’esterno. Pensare un confine e costruire un recinto sono pratiche omologhe, per questo si può pensare che abbiano origine all’atto di fondazione primordiale degli insediamenti. Entrambe sono azioni che rispondono a un medesimo desiderio, quello di generare uno spazio cercando allo stesso tempo di controllarlo in qualche modo. Il confine diventa completamente visibile solo mediante la presenza dei segni che lo individuano: cippi, pietre di confine, hòroi, termini, ma anche alberi, elementi del paesaggio, architetture. Anche se può esistere, e spesso esiste, indipendentemente dalla presenza dei segni stessi. Il recinto diventa allora una delle forme archetipe dell’architettura e dell’organizzazione di un territorio. Ma diventa anche uno dei “primi e più costruttivi segni di confine”. (Zanini, 1997) I paesaggisti francesi, fanno invece riferimento al recinto come primitiva delimitazione di un giardino: “Il giardino, ovunque nel mondo, significa al contempo il recinto e il paradiso. Il recinto protegge. Dentro il recinto si trova il “meglio”: ciò che si ritiene più prezioso, più bello, più utile e più equilibrante”. (Clément, 2013) Questa immagine, il recinto, ci porta al primo vocabolo dello spazio del giardino: lo spazio chiuso e custodito che ne ha caratterizzato la storia, dall’antichità fino alle soglie dell’epoca moderna. La costruzione di un recinto, quindi è l’atto fondativo della città, ma anche l’atto fondativo del giardino. Le mura difensive
Noi oggi abbiamo bisogno di ripensare gli elementi morfologici che marcano il margine urbano: l’elemento più importante è rappresentato dal muro. Dal punto di vista della tecnica costruttiva, il muro diventa un limes, un vallo, una muraglia. La sua costruzione può durare secoli e occupare migliaia di uomini, architetti, capimastri, muratori, scalpellini, giunti da paesi lontani e diversi tra loro. Più il confine si irrobustisce più sembra divenire sicuro, attirando a sé anche contadini, mercanti, soldati, genti diverse che ne popolano le terre vicine e vis costruiscono villaggi, paesi. Fino a prima dell’invenzione dell’artiglieria, i cittadini si proteggevano all’interno della cinta muraria quando erano attaccati; le aperture, nelle mura, servivano a regolamentare i flussi commerciali in entrata e in uscita, e spesso rappresentavano una dogana fisica per la riscossione dei dazi. Attorno alla sua costruzione si costituisce lentamente una comunità che vive su di esso e grazie a esso, al margine, lontana dal centro. Le zone attorno alle mura erano il luogo dove gli eretici, gli stranieri, gli esiliati e altri malfattori erano confinati, lontano dal controllo che veniva esercitato sul centro città. Dal punto di vista sociologico, quindi, il muro funziona come una membrana, allo stesso tempo porosa e resistente. Dal punto di vista dell’analisi paesaggistica, le stesse mura, assunte dall’iconografia tradizionale a simbolo della città medievale, sembrano quasi voler evidenziare una suddivisione del territorio in “due aree ben distinte, quella urbana, all’interno delle mura, luogo del potere politico e della guida religiosa, centro di scambi commerciali e culturali, meta di mercanti e di visitatori, e quella esterna, dei campi coltivati e dei boschi, dei prati e degli acquitrini, luogo di attraversamento tra una città e l’altra, misurato in giornate di faticoso e noioso cammino”. (Zaffagnini, 1997) Esempi di città murate italiane Le mura cittadine sono un elemento storico con il quale le città si sono dovute confrontare non solo nei secoli passati, ma anche in epoca moderna, quando le dinamiche di sviluppo hanno spinto verso un’espansione delle aree urbanizzate e si è dovuto adattare il vecchio reticolo viario alle esigenze infrastrutturali della città in trasformazione. Con i seguenti esempi di città murate italiane, senza la pretesa di essere esaustivi, si sono voluti mostrare diversi approcci di relazione tra città moderna e cinta muraria storica, mostrando scelte che coniugano ambiti di studio come l’urbanistica, il restauro conservativo e il marketing urbano. Le città sono state scelte per rappresentare diverse configurazioni spaziali
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che possono essere assunte dalla cinta muraria. I parametri spaziali analizzati, il perimetro della cinta muraria, l’ampiezza massima e la minima e l’area interna sono necessari a definire la forma e la scala degli elementi in considerazione e a relazionare le città scelte l’una con l’altra.
abitanti
km km max
oggi
km
ha
min
00
Ferrara
FE
133.959
9
3,1
2,4
45.000
01
Palmanova
UD
5.396
3
1,1
1,1
8.200
02
Lucca
LU
87.373
4,1
1,7
0,8
12.000
03
Urbino
PU
15.346
2,4
1,0
0,3
3.000
04
Bergamo
BG
115.532
3,6
1,4
0,2
13.000
05
L’Aquila
AQ
70.609
5,1
1,6
1,9
35.000
06
Bologna
BO
384.377
7,2
2,7
1,9
35.000
52 peculiarità Città-fortezza costruita dai veneziani nel 1593, è chiamata città stellata per la sua pianta poligonale a stella con nevo punte; sono presenti soltanto tre porte per accedere alla città 01 (Porta Udine, Porta Cividale, Porta Aquileia). Maggior esempio in Europa di mura costruite secondo i principi della fortificazione alla 02 moderna che si sia conservata completamente integra in una grande città. 03 Le espansioni della città al di fuori della cinta muraria sono pressoché assenti. La cinta muraria, delimita la Bergamo Alta (detta anche Città Alta o, in passato, la città, in contrapposizione ai borghi), una città medioevale, circondata da bastioni eretti nel XVI 04 secolo, durante la dominazione veneziana. La cinta muraria costituisce l’antica cerchia della città, ma poco è rimasto della continuità originale a causa di crolli e sventramenti urbanistici. La costruzione può essere quindi 05 suddivisa in quattro tronconi principali. La cinta muraria cinse la città fino all’inizio del XX secolo, quando fu quasi completamente demolita per far posto agli attuali viali di circonvallazione, seguendo le direttive del piano 06 regolatore del 1889. Sono state mantenute solo le dodici porte.
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L’unicità delle mura ferraresi Parlando delle mura di Ferrara, se da una parte è vero che le mura sono pur sempre dei limiti dell’espansione della città, è anche vero che nel nostro caso sono soprattutto prolungamento e, a un tempo, espansione dell’ambente naturale o agricolo circostante. Il cosiddetto “sistema delle mura” è un sistema ottimamente integrato nel contesto urbano. Come si legge dalla relazione dell’UNESCO, “nella Ferrara rinascimentale il rapporto simmetrico tra la città e il suo territorio rivestì infatti un’estrema importanza: le due zone, l’interno mura (il reticolo viario) e l’esterno (la pianura agraria) dovevano collaborare con il sistema difensivo”. (UNESCO, 2009)
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Le mura che cingono la città di Ferrara quasi interamente, si identificano come uno tra i circuiti tra i più completi e vari che esistano nel nostro Paese, nel senso che vi sono rappresentati i periodi più significativi dell’architettura militare italiana nella storia della fortificazione. Non lo si può considerare un sistema omogeneo in quanto è composto da costruzioni tipologicamente differenti, ma certamente costituisce l’unica versione completa del “sistema delle fortificazioni difensive italiane”, proponendo lungo il proprio perimetro il passaggio dalle mura medievali alla difesa dalle moderne armi da fuoco. Per quanto riguarda il tratto di mura rossettiano a nord di Ferrara, esso è uno dei più interessanti esempi di quell’architettura militare che gli studiosi definiscono “di transizione”. Come funzione principale, il terrapieno contribuiva in maniera preponderante a smorzare la forza dirompente del proiettile che veniva sparato dal vallo in poi, ma allo stesso vi si potevano piantare alberi ad alto fusto (si prediligono i pioppi che, oltre ad irrobustire il fronte bastionato con le loro radici, offrivano un ulteriore ostacolo al tiro di eventuali assalitori). Per spiegare l’unicità delle mura ferraresi, il testo più significativo è quello che B. Zevi ha scritto nel 1960, dedicato alla città di Ferrara, all’architetto e urbanista Biagio Rossetti e alla grande operazione urbanistica dell’Addizione Erculea. Egli ritiene che “l’Addizione erculea costituisce un evento fenomenologicamente diverso, che segna appunto la distinzione tra l’urbanistica antica e moderna”. (Zevi, 1960) Della dichiarazione di intenti che B. Zevi fa nel primo capitolo dell’opera, rimane valido per il lavoro di ricerca in questione il principio metodologico che porta l’autore ad individuare Ferrara come caso studio per un libro/ lavoro di ricerca di urbanistica.
Il famoso binomio: “Ferrara – perché?” rappresenta la chiave di una scelta pensata. Diverse sono le motivazioni per le quali B. Zevi “sceglie” Ferrara, ciascuna delle quali riguarda il legame tra le mura della città, le scelte architettoniche e la pianificazione urbanistica della città: 1. L’addizione, rispetto al nucleo medievale, ha una dimensione così lungimirante da non essere stata saturata per quattro secoli. La tesi secondo la quale l’organismo del passato va tutelato nella sua integrità, mentre il linguaggio moderno andrebbe relegato alle zone di espansione, trova una clamorosa smentita a Ferrara. Dunque, anziché parlare di tentativo non riuscito, va riconosciuto che il piano fu così lungimirante da proporsi ancora oggi attualissimo. La sua elasticità, la sua adattabilità a condizioni politiche e demografiche che diverse ne attesta l’intelligenza polivalente. Lo stesso C. Contini, nella relazione relativa alla prima versione dello studio del piano del 1911, dichiara: “Quasi tutti gli studi congeneri, eseguiti per altre grandi città sono basati sull’abbattimento delle mura, entro le quali non potevano più essere contenute, sulla costituzione di nuovi quartieri che a strati concentrici circondano la vecchia città, fondendo i sobborghi man mano creatisi lungo le linee radiali di accesso alle porte daziarie; sui raccordi dei detti quartieri col nucleo centrale della città, dove, per le aumentate esigenze del transito, occorreva lasciar passo a nuove grandiose arterie … Nel caso nostro invece, lo studio affacciandosi in condizioni essenzialmente diverse per effetto del considerevole sviluppo periferico delle mura della città e della grande quantità di area scoperta fra esse ancora raccolta, la soluzione raggiunta doveva risultare, in ispecie per i piani di ampliamento, di apparenza frammentaria”. 2. Percezione di una scala umana. Pur trattandosi di un’opera di grandi dimensioni, percorrendo i viali dell’Addizione, anche nei tratti non racchiusi da edifici, nessuno ha mai provato un senso di smarrimento, di agorafobia, di solitudine infastidita. Al contrario, la “misura” dell’Addizione è parsa così suggestiva da indirne la totale salvaguardia. 3. Architettura di adattamento. Rossetti deve la sua immortalità al gran rifiuto di adottare una delle città ideali teorizzate nel suo tempo, e all’impegno di inventarne una reale. L’Addizione erculea non può essere riportata nei manuali di urbanistica come esempio di una “forma-tipo”: per intenderne le ragioni, occorre studiare la storia dello sviluppo di Ferrara e individuare l’aderenza
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del nuovo all’antico; capire un processo, e non solo un bel disegno. Stabilire una saldatura con il tessuto della città medievale divenne così l’immediato impegno di Rossetti: ovunque possibile, ogni vecchia via doveva sfociare in una delle nuove, con un perfetto sistema di ricambio mediante il quale il nucleo antico avrebbe comunicato con l’insediamento moderno. Qui importa notare che essa non fu dettata da considerazioni formalistiche, non volle designare una figura geometrica semplice, ma seguì organicamente il perimetro delle località che occorreva aggregare e i conseguenti suggerimenti topografici. 4. Architettura organica. Percorrendo anche le strade più lunghe dell’Addizione, si giunge sempre ad un punto in cui si è costretti a fermarsi, a voltare a sinistra o a destra, a seguire nuove direttrici. Questo carattere di pluridirezionalità è proprio delle città organiche, e si esalta negli aggregati medievali densi di sinuosità, di scarti prospettici, di sorprese. 5. Il cordone fortificato non è più una minacciosa barriera che traina il nucleo urbano del contesto paesistico. Media il passaggio tra scienza militare e urbanistica l’invenzione del cosiddetto “fronte bastionato italiano”. Anzitutto le mura si abbassano e, per facilitare l’appostamento dei fucilieri e dell’artiglieria leggera, vengono terrapienate all’interno addossandovi il cosiddetto “ramparo”. Anche le torri riducono l’altezza conformandola a quella delle mura. Invero, queste cinte murarie basse antimonumentalistiche sembrano nate per segnare una decorosa cornice alla misura della città. Le vecchie mura determinavano una chiusura; le nuove suggeriscono un lieve contenimento dell’invaso urbano e non impediscono ai cittadini di scrutare le campagne fino agli estremi orizzonti. 6. Le mura rossettiane hanno saputo invecchiare. “Oggi, col passare dei secoli, perduta da tempo immemorabile l’origine della funzione, le mura sono tornate alla terra, fattore di un’immagine paesistica. Si ammirano le cortine colorate di cotto sbrecciato, i frammenti del cordone marginale, le nude porte e le scarpate, i torrioni a invaso sporgente: da una lato, sono elementi umanizzatori della natura; dall’altro contengono la città e ne attestano l’antica misura. In realtà, difendono ancora Ferrara, non dai nemici esterni ma da un’espansione edilizia vorace e pronta, senza quelle mura, a distruggere il piano di Biagio Rossetti. Sono decantate a sommesse presenze prospettiche, a pennellate di cinabro nel verde, a tenui suggestioni figurative. Ma, nel custodire la città, hanno la stessa forza che le rese illustri nel Cinquecento”. (Zevi, 1960)
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01.1.2 Le cinture verdi come limite all’espansione: dibattito novecentesco
Scrive R. Unwin, nel 1909, in Town Planning in Practice: “La maggior parte delle città antiche devono la loro eccezionale bellezza al recinto di bastioni o di mura che le rinserra. […] Non c’è ragione per delimitare oggi le città alla stessa maniera; tuttavia, se le si lascia estendere liberamente, è importante il limitare in qualche modo il loro insediamento […] Bisogna precisare i limiti delle città, delle periferie e delle nuove agglomerazioni in generale, e ciò può essere fatto in svariate maniere.” All’inizio del XX secolo, i pionieri della nascente disciplina urbanistica, iniziano a domandarsi quale limite possa essere progettato per le città in espansione, una volta venuto meno il limite segnato dalle mura storiche, che delimitano un’area urbana non più soddisfacente a coprire i bisogni delle dinamiche demografiche in atto. Si tratta anche di un’epoca importante per quanto riguarda la definizione dell’importanza del “verde urbano”, standard urbanistico fondamentale per garantire una maggiore qualità della vita, in città con scarsi standard igienici e di abitabilità. 58
Rispetto alla millenaria storia del giardino, il giardino pubblico ha una storia molto più breve. La sua nascita viene generalmente individuata nei primi decenni del XVII secolo, ed è il ritardo di un processo che vede tra i suoi principali fattori: la crescita delle città che, con l’ampliamento delle mura, avevano progressivamente incluso nel proprio perimetro un numero sempre maggiore di giardini di villa; la realizzazione nelle città capitali dei giardini di corte, legati alle residenze urbane dei sovrani e dei principi; la formazione di nuove classi benestanti che andavano progressivamente ampliando il loro peso politico oltre che economico e che rivendicavano una più adeguata scena urbana e la realizzazione di spazi pubblici che fossero rappresentativi di un nuovo modo di vivere la città. Sarà solo verso l’inizio del ‘600 che i primi esempi significativi di spazi verdi formalmente organizzati e aperti al pubblico, cominceranno ad essere realizzati all’interno delle città europee. I primi spazi di questo tipo saranno i grandi viali alberati destinati al passeggio: una tipologia fino ad allora caratteristica dei viali, esterni alle mura, che collegavano le porte della città alle residenze aristocratiche suburbane e che ora – riprendendo la regolarità dei tracciati che attraversavano le riserve di caccia nobiliari – entra a far parte dello spazio urbano. Quello di fine Ottocento e inizio Novecento fu un periodo devoto all’idea
di un naturalismo urbano, e numerosi furono gli artefici del rinnovamento delle città che non ebbe confini o proprietà nazionalistiche. Molto si deve a William Morris (1834-1896), Jhon Ruskin (1819-1900), Ebenezer Howard e il movimento delle Garden Cities Association (1899), a Camillo Sitte con il suo Der Stadtebau (Vienna, 1889), o ai principi della ville verte enunciati dall’architetto Charles-Edouard Jeanneret (meglio noto con lo pseudonimo di Le Corbusier). Il primo modello sperimentato è stato quello del movimento per la città giardino. Il movimento, propugnando un’interazione tra città e campagna – che unisca “tutti i vantaggi della più energetica e attiva vita della città, con tutto il piacere della campagna – contribuisce alla formazione, sul piano culturale, di una nuova visione del rapporto tra verde e città: il verde come elemento all’interno del quale diluire l’edificazione urbana”. (Spinelli, 2008) La città giardino non è un surrogato periferico, bensì il modello al quale tutte le comunità dovranno fare riferimento. È un insieme di parti urbanizzate e di parti agricole, quindi è una società integrata, autosufficiente, equilibrata al suo interno. L’urbanista inglese Ebenezer Howard pubblicò Garden Cities of Tomorrow e passò all’azione con la costruzione di Letchworth nel 1903 e Welwyn nel 1920. Il progetto di Howard si fondava su un’utopia rurale: “Ricondurre il popola alla terra, […] alla campagna simbolo dell’amore di Dio e della sua sollecitudine verso gli uomini”. Secondo il modello da lui proposto, che suscitò per lungo tempo una grande attenzione pubblica, l’agricoltura avrebbe dovuto assolvere il compito di contenimento esterno di un sistema urbano rappresentato con un diagramma a forma di stella a sei punte, composto da un nucleo centrale circondato da sei tipologie di città giardino. L’idea della città giardino entrerà in stallo verso la fine degli anni trenta, ma, sotto la spinta di architetti urbanisti quali Le Corbusier, Raymond Unwin e Lewis Munford, ritorna in auge, arrivando ad avere modelli di città-giardino di seconda generazione, le New Towns. Il piano della città di Londra del 1944, il piano della ricostruzione post bellica, sembra riflettere tutte le considerazioni che erano state fatte riguardo al rapporto tra espansione urbana e cinture verdi. Il piano prevede infatti la pianificazione dell’espansione della città creando quattro fasce concentriche: la prima era quella della città più densamente urbanizzata, la seconda includeva i sobborghi urbani, la terza quello dei territori agricoli da tutelare dall’espansione edilizia, la quarta della campagna satellite alla città dove insediare i nuovi quartieri.
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Alla terza cerchia, quella delle Green Belt, il piano prevedeva l’inedificabilità dei terreni e la conservazione del paesaggio agrario e forestale, riuscendo così a bloccare parzialmente l’espansione di Londra e mantenere una fascia agricola e ricreativa a ridosso dell’abitato.
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L’esperienza americana di Friedrick Law Olmsted, il progettista del Central Park di New York, rappresenta una vicenda, per certi versi, a sé stante e pioniera del modello inglese. Negli ultimi venti anni del XIX secolo egli si spinge fino alla teorizzazione e alla progettazione di sistemi di parchi extraurbani che hanno l’esplicito intento di definire la connessione fisica e simbolica tra gli spazi urbani e gli ampi territori esterni all’urbanizzato; il tutto nel quadro di un vero progetto sociale e politico. Il tema della riqualificazione urbana mediante lo spazio verde in America del Nord precede di decenni l’Europa: l’American Park Mouvement, movimento legato all’opera di Olmsted, e che ha il suo manifesto nell’ideazione di Central park, sancisce un modo di fare verde urbano articolato tra parchi urbani, considerati come “sistema catalogo di paesaggi” posti all’interno di un parco urbano, a cui si aggiungono i park ways e park system, così da collegare le emergenze naturalistiche alle zone verdi della città. Dall’idea di parco per il popolo si passò in breve all’idea di parco territorio, passando per le nuove idee urbanistiche di razionalizzazione dell’ambiente urbano.
01.1.3 Spazi agricoli di cintura: trasposizione contemporanea
Agricoltura e paesaggio italiano - L’agricoltura nel periurbano – Gli orti sociali - Parchi agricoli e buone pratiche
Agricoltura e paesaggio italiano Osservando il paesaggio agrario contemporaneo con attenzione, si può scorgere ancora “una certa Italia di ieri, con le sue successioni poderali, gli spazi agricoli che fanno capo, nelle diverse zone e regioni, a paesi, a case isolate, a cascine, a nuclei più o meno grossi”. (Turri, 1979) Pochi paesaggi come quello dell’Italia sono stati così costruiti dall’uomo: un paesaggio che riflette il lavoro di generazioni. La natura e la storia, in Italia, sono così tanto apparentate fra loro che sarebbe impossibile separarle. Il territorio nella sua configurazione naturale
è praticamente inesistente: nel tempo, in tutto il Paese, la natura è stata rimodellata o quanto meno segnata dal lavoro dell’uomo. Questa “fusione della natura e dell’intervento umano è evidente in tutta la sua bellezza, varietà e coerenza”. (Bassani, 2005) Una ricerca del Touring Club Italiano del 2011 dimostra che l’attività agricola è l’azione dell’uomo che, nel tempo, ha connotato più di ogni altra il nostro territorio. In confronto alla superficie utilizzata a scopo agricolo, l’urbanizzazione del nostro Paese, cioè gli insediamenti abitativi belli o brutti, le vie di comunicazione, le autostrade, le ferrovie, porti e aeroporti, tutto quanto nei secoli è stato costruito dall’uomo, non supera il 7% della superficie italiana. Quando si parla di mondo rurale in Italia bisogna intendersi. La ruralità, almeno in gran parte del paese, non è mai stata chiusa in sé stessa, come fatto autonomo, ma sempre legata alla città, sin dall’epoca comunale, quando si costituì il tessuto urbano del paese. Un tempo il contado, o la fascia agricola attorno alla città, esaltava la differenza tra urbano e rurale. Fino all’inizio del XIX secolo, l’agricoltura veniva praticata in prossimità delle città. Fuori e dentro le mura, si era instaurato un forte legame fra i contadini e i mercati urbani; fra gli orti, i frutteti, le vigne e i greggi da un lato, e quello che le società urbane apportavano in cambio ai contadini dall’altro. La città “si alimentava grazie alla sue periferia agricola, che era in grado di procurare ricchezza ai suoi abitanti”. (Donadieu, 2013) Insomma, all’inizio degli anni Cinquanta è ancora possibile leggere il paesaggio italiano facendo riferimento ad una consolidata idea di città compatta, spesso circondata da mura. Fino al termine del secondo conflitto mondiale, in Italia l’agricoltura aveva un ruolo primario per l’economia della nazione. Ingenti modifiche avvengono già dagli anni ’60 con un forte decremento degli impiegati in agricoltura e una loro migrazione verso settori diversi quali l’industria e il commercio. Il fenomeno è accompagnato dall’esodo degli abitanti delle campagne nelle periferie: si propone dunque il problema dell’integrazione, ma soprattutto, in particolare nella società italiana, di come salvare il concetto di specificità culturale. Verso la fine degli anni settanta i movimenti migratori, la caduta del vecchio modello di famiglia e di azienda contadina raggiungono il loro massimo apice. Ai cambiamenti di tipo sociale si affiancano modificazioni dello spazio
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urbanizzato. A partire dagli anni Sessanta, le residenze dei lavoratori agricoli assumono connotati tipicamente urbani, suburbani o propri dell’urbanizzazione diffusa, risultando comunque autonomi dagli spazi della produzione. Il bestiame, i nuovi attrezzi meccanizzati, il magazzino dei prodotti trova invece ospitalità in edifici autonomi sempre più simili a quelli della produzione artigianale e industriale. Nella nuova edilizia residenziale o produttiva viene meno ogni legame con l’orografia del luogo, con l’orditura dei campi e con la stessa copertura vegetazionale, che i materiali e le tecniche costruttive dell’architettura rurale avevano precedentemente garantito. L’agricoltura nel periurbano
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Il concetto di rural – urban continuum consiste in un momento storico nel quale l’ipotesi di una cultura rurale autonoma entra in declino e la linea vincente appare quella dell’urbano indifferenziato, dove il modello è quello di un graduale avanzare del processo di penetrazione della città nel mondo agricolo: “si ricorre indistintamente ai termini “campagna urbanizzata” o “città diffusa”, a seconda che vengano privilegiati, in fase di lettura, i principi organizzativi del contesto urbano o rurale”. (Zaffagnini, 1997) Nelle aree periurbane – più che altrove – si nota oggi una considerevole perdita di qualità del paesaggio agrario che nella maggior parte dei casi non conserva i suoi caratteri costruttivi storici. Si osserva quindi una mancanza di reti e sistemi in grado di mantenere riconoscibili la tessitura costruttiva e le diverse unità di paesaggio, con particolare riferimento al paesaggio agrario, connesse al paesaggio periurbano. In adeguamento con la modernizzazione della produzione, l’agricoltura, anche quella periurbana, viene praticata spesso con al monocoltura, nell’intento di migliorare il reddito. La monocoltura comporta la riduzione della biodiversità che si manifesta non soltanto nell’abbandono della diversità di colture a favore della monocoltura, ma anche, all’interno della stessa coltura, nell’uso di poche varietà, quelle selezionate per la maggior produttività. La monocoltura inoltre modifica il paesaggio storico italiano facendolo evolvere verso uno scenario di più alta monotonia. I cambiamenti a livello di produzione, generano delle trasformazioni anche a livello di paesaggio: “il dilatarsi delle dimensioni dei campi che rispondono ai nuovi crescenti livelli di meccanizzazione; la forte riduzione della presenza di siepi e filari, le cui funzioni di frangivento, di corridoio ecologico, di fascia
tampone, di riserva della biodiversità, non vengono più apprezzate; l’allentarsi dello storico legame tra produzione foraggera aziendale e allevamento; un cambiamento nelle tecniche; un epocale processo di abbandono e di lenta trasformazione in ruderi dello straordinario patrimonio di cascine a corte che punteggiavano la pianura, a cui talora si affianca la costruzione di villette e capannoni che ripropone, nei materiali e nelle modalità costruttive, i tratti di una periferia urbana”. (Touring Club Italiano, 2011) Per molto tempo i geografi hanno interpretato l’influenza della città sulla periferia agricola secondo il modello elaborato da Von Thunen nel 1826. In esso, la successione delle cinture periferiche coltivate viene descritta in funzione dei costi per il trasporto dei prodotti: dalle coltivazioni di verdura vicine alla città, ai più lontani allevamenti e campi coltivati a cereali. La relazione tra aree coltivate e centro urbano è quindi fortemente condizionata dalla distanza spaziale tra i due poli. A seguito di queste considerazioni, l’agricoltura periurbana presenta il vantaggio della cosiddetta “prossimità” (a condizione però che vengano privilegiati la qualità, il prodotto raro o particolare, per potersi collocare in una nuova “nicchia” commerciale, dove il prezzo più elevato compenserà a quantità limitata), ma allo stesso tempo risente delle problematiche date dalla frammentazione delle aree sottoposte ad un vincolo di interclusione. Sono questi veri luoghi di contrasto dove i terreni rurali possono perdere di valore economico e produttivo, poiché facilmente sono disattese le regole base della pianificazione dei fondi rurali. In economia agraria, ai fini di ottenere utili dalle attività agricole, sono considerati essenziali il conseguimento di fondi accorpati, una viabilità inter e intrapoderale efficace, un’ottimale regimentazione idraulica e una disponibilità illimitata dei corpi irrigui. I terreni, perdendo in questo modo di valore, facilmente diventano campi abbandonati. Ciò procura un progressivo disinteresse nei confronti dell’agricoltura che si perde come attività economica sul territorio e lascia lo spazio ad aree di risulta di scarso valore urbanistico e ambientale: si tratta di aree prive di identità funzionale e morfologica, che restano tali fino a quando il successivo incalzare della città non dà il colpo di grazia alla campagna e sposta nella fascia più esterna gli stessi problemi di erosione delle attività agricole e di identità. La campagna così, con tutte le sue risorse, la sua cultura e le sue svariate funzioni, viene sempre più marginalizzata a un ruolo subalterno rispetto alla città e alle sue esigenze. La regressione delle terre coltivabili a causa della periurbanizzazione va avanti da quindici anni in tutto il mondo. La conseguenza nota è la perdita di terreni agricoli e ambienti naturali i cui
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benefici di prossimità, alimentari e ambientali, non sono riconosciuti dalle amministrazioni locali. Il problema quindi è sia quello di aumentare la resistenza degli spazi agricoli all’urbanizzazione, di territorializzare i circuiti commerciali, sia quello di aiutare i produttori ad adeguarsi alle agricolture urbane e ai mercati urbani. In questo senso, appare profetica la frase di P. Donadieu: “Fino a che le differenze fra la remunerazione del lavoro agricolo e la realizzazione del capitale fondiario non saranno bilanciate, bisognerà ammettere, insieme agli economisti, che l’agricoltura periurbana non sopravvivrà all’urbanizzazione”. (Donadieu, 2013) Gli orti sociali
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Una delle prime forme in cui si materializza il rapporto tra città e lavoro agricolo è la forma dell’orto urbano. L’idea di introdurre nel tessuto urbano una zona che traesse configurazione, scopo e significato dalla campagna risale almeno agli antichi romani, con il concetto rus in urbe. L’orto/giardino come spazio ben delimitato, a segnare una zona d’ordine e vitalità insieme libera e misurata, ha conosciuto in Europa il suo massimo splendore nel Medioevo. A quell’epoca, inoltre, si usava il termine “brolo” per indicare un orto recintato con funzione di spazio pubblico per discutere questioni della collettività. Dal Medioevo alla prima Età moderna gli ordini religiosi crearono, nei monasteri e nei conventi, gli orti urbani più formali e in genere più produttivi. A partire dal tipo dell’hortus conclusus, un giardino circondato da muri e in genere diviso in quattro settori da un sentiero cruciforme, i monaci e i loro aiutanti coltivavano filari di alberi da frutta e ortaggi disposti secondo regolari figure geometriche. Benché le immagini che ci trasmettono i dipinti raramente lo mostrino, sappiamo che il verde era certamente presente all’interno delle mura della città medievale: si tratta degli orti e dei giardini privati che erano spesso localizzati nella fascia tra l’edificato compatto e gli ampliamenti delle mura ed erano destinati, soprattutto, all’assicurazione di un approvvigionamento di sussistenza in caso di guerra e di assedio. Tuttavia nella società industriale anche l’orto tende a specializzarsi, separando fiori e verdure, sfera estetica e sfera produttiva, riconosciuta positivamente la prima, marginalizzata, nascosta dietro recinti e vista come pertinenza delle classi popolari la seconda.
È proprio sul finire del secolo XIX che con le politiche di risanamento urbano prende piede la teoria, tra le possibili soluzioni in discussione, relativa all’introduzione della campagna in città. Per favorire l’ingresso della campagna in città, ci si rifà principalmente allo sviluppo del tema degli orti urbani come soluzione compositiva facilmente gestibile e adottata per le aree condominiali. La tipologia degli orti sociali, dati ufficialmente in concessione da un organismo pubblico o benefico, come forma di welfare, ha origine nel Regno Unito nel XIX secolo, quando erano destinati a indigenti e disoccupati. Essi sono comunque collocati, in genere, in luoghi marginali non urbani. Allotments è il termine con cui nel Regno Unito si indicano gli orti sociali, Schrebergarten nei paesi di lingua tedesca. La nascita dei primi orti sociali si rifà all’Allotment Act, legge del 1922. Oltre alle associazioni locali esiste un’organizzazione nazionale, la National Society of Allotment and Leisure Gardeners. Gli orti urbani (allotment gardens), spesso chiamati iniziarono ad apparire nei margini delle città dei paesi industrializzati alla fine del XVIII secolo. Il lotto di una famiglia tipo era circondato da una siepe, aveva un viottolo con una bordura vegetale e, sul lato a nord, un piccolo ricovero per gli attrezzi. Un precedente interessante è rappresentato dalla legge degli “orticelli di guerra “promulgata in Italia durante la seconda guerra mondiale. Con un accordo di enfiteusi [l’enfiteusi è diritto reale di godimento su una proprietà altrui], era permesso coltivare qualsiasi terreno, giardino o spazio vuoto che fosse rimasto incolto, con la sola eccezione dei giardini storici. Oggi, in Italia, la categoria di orti più diffusa è riservata agli anziani, ossia alle persone al di sopra di 60 anni. Gli orti sociali sono gestiti dagli utenti, che possono essere singoli o associazioni, attraverso l’assunzione formale di un impegno nei confronti della comunità. I Comuni predispongono dei bandi pubblici e promuovono l’associazionismo tra ortolani. Raramente però i progetti degli orti sociali sono coordinati con progetti paesaggistici. L’immagine più diffusa che abbiamo dell’agricoltura urbana nelle nostre città è generalmente limitata ai soli orti urbani che, in Italia, sono “marginali” in tutti i sensi: spesso abusivi, “non voluti” e collocati in luoghi come i bordi delle ferrovie, i retri dei cimiteri o aree periferiche degradate dove “non è più città e non è ancora campagna”. La tipica organizzazione degli orti urbani spesso sembra semplicemente utilitaristica: “una noiosa scacchiera di lotti tutti uguali, attrezzata con ricoveri improvvisati e contenitori blu per la raccolta dell’acqua”. (Ingersoll, 2012)
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Se è vero che storicamente gli orti urbani sono stati emarginati dalla spinta dell’urbanizzazione, la crisi economica, con la conseguente battuta d’arresto dello sviluppo edilizio, potrebbe invertire la tendenza, facendo sì che gli orti diventino elementi portanti nella progettazione degli spazi verdi della nostre città. Come neo-brolo, i nuovi orti rappresentano spazi di socialità che stimolano educazione, terapia, ricreazione e salute, se non addirittura un punto di partenza per le politiche sull’ambiente. Le funzioni possono essere quindi le più svariate: ecologica, sociale, didattica, ricreativa, produttiva, esteticoornamentale, terapeutica, presidio territoriale, culturale-economica. Oggi la parola chiave relativa agli orti, e più in generale all’agricoltura periurbana, è polifunzionalità.
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Con il termine agricivismo, proposto da R. Ingersoll, si intende “l’utilizzo delle attività agricole in zone urbane per migliorare la vita civica e la qualità ambientale/paesaggistica”. Infatti, in un’ottica di socialità, l’agricoltura urbana può essere occasione di integrazione intergenerazionale e interetnica, dal punto di vista ambientale può essere integrata con la rete ecologica, e dalla prospettiva culturale, mezzo per la riscoperta dei tempi biologici. L’agricivismo si propone come un metodo per recuperare il contado, utilizzando gli elementi del paesaggio rurale che tocca la città, per ingentilire l’urbanizzazione dispersa. Invece dell’isolamento degli orti e dei campi, si prevede l’integrazione della aree coltivate come parte costitutiva di parchi e giardini, cercando di instaurare corridoi continui e di renderle accessibili a tutti con sentieri e piste ciclabili. Un progetto di agricivismo dovrebbe essere coordinato a scale diverse per includere varie componenti: parchi agricoli, fattorie tangenti al tessuto urbano, orti per gli anziani, childrens farms, orti terapeutici, orti didattici, mercati di prodotti tipici, parchi fluviali, aree di fitodepurazione, fattorie di energia alternative, zone di conservazione naturale, sistemi di rigenerazione dell’acqua, programmi di riciclaggio, il compostaggio organico, la biomassa, e la copertura di edifici pubblici (scuole, palazzi dello sport, ospedali) e capannoni industriali con tetti verdi. È auspicabile quindi l’utilizzo della “trans-scalarità, per l’analisi delle relazioni esistenti fra le diverse scale di riferimento e quindi del rapporto localeglobale”. (Ingersoll, Fucci, Sassatelli, 2008) Parchi agricoli e buone pratiche L’espressione “agricoltura urbana” designa il diffondersi in molte città di aree
coltivate da city farmer che distribuiscono i frutti della terra da loro lavorata nella vicinanza delle zone di produzione. Il movimento dell’urban farming con la sua produzione di cibo, i suoi interventi educativi, l’idea di costruire situazioni sostenibili ha trovato stimoli per attecchire in tante città e metropoli essendo strettamente integrato con l’ecosistema urbano. Per parte sua l’agricoltura urbana potrebbe avere anche delle conseguenze estetiche oltre che terapeutiche sulle città, e produrre un riequilibrio nei confronti degli aspetti meramente decorativi del verde urbano. Si definisce urbana quell’attività agricola le cui risorse, prodotti e servizi, sono o possono essere oggetto di un’utilizzazione urbana diretta. Quest’analisi si inquadra nel concetto di foodshed (bacino alimentare), inteso come il territorio circostante le grandi aree urbane necessario e sufficiente a produrre gli alimenti consumati dalla popolazione delle aree considerate. A tal proposito, si chiarisce il termine di filiere, ossia gli “itinerari” che i prodotti agroalimentari seguono dalle imprese agricole ai consumatori finali. Attualmente stanno acquistando un crescente interesse nell’agroalimentare le cosiddette “filiere corte”, cioè le iniziative messe in atto dalle imprese agricole per trasformare e commercializzare i prodotti rivolgendosi direttamente al consumatore finale. I farmers’ markets o mercati contadini, in crescente diffusione, sono un primo strumento che ha il co-produttore per riavvicinarsi alla terra e a chi la coltiva. È innegabile che nelle aree di frangia urbana, l’attività agricola debba assumere delle specificità dettate dal particolare contesto nel quale essa si svolge. Va quindi affermata decisamente la multifunzionalità delle aree agricole di frangia, sottolineando il servizio che queste aree possono esercitare nei confronti della realtà urbana limitrofa. L’attività produttiva diventa allora una delle tante attività che insistono su un medesimo luogo, tra cui fondamentale sono quella culturale e didattica, di riequilibrio ecologico, oltre a quella ricreativa. In quanto forma di produzione multifunzionale, crea prodotti differenziati (i prodotti del territorio), bene e servizi che hanno le caratteristiche di beni pubblici (come il paesaggio) o di beni comuni (come i parchi, i reperti artistici, gli elementi culturali, le tradizioni) e beni e servizi materiali assicurati da attività collegate e collegabili all’agricoltura come l’artigianato, le strutture sportive e, appunto, il turismo. L’Unione Europea, in una logica territoriale, definisce come turismo rurale
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qualsiasi attività turistica svolta in ambiente rurale, compreso il turismo nelle aziende agricole. In Italia, invece, si opera una distinzione tra turismo rurale e agriturismo. A livello normativo, l’agriturismo nasce come una forma di integrazione del reddito agricolo e viene considerato, in una logica settoriale, un’attività connessa con quelle di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali. La definizione che l’Organizzazione Mondiale del Turismo dà di turismo verde o di natura comprende: “Tutte le tipologie di turismo basato sulla natura per il quale la motivazione principale dei turisti è l’osservazione e l’apprezzamento della natura e delle colture tradizionali”.
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Le aree agricole periurbane rappresentano quindi una notevole potenzialità come parchi agricoli urbani, ossia modelli di parco che intrecciano la salvaguardia e la tutela del territorio con la difesa della funzione economica dell’agricoltura e che, congiuntamente, rispondono alla domanda sempre più pressante della comunità urbana in termini di spazi aperti, fruibili e ricchi di valori culturali e di nuove forme di consumo. In Italia alcune esperienze di riferimento (a diverso livello di implementazione) sono il Parco agricolo Sud di Milano, il Parco agricolo di Asti, il Parco agricolo della piana in Toscana. L’idea fu lanciata per la prima volta a Milano negli anni Settanta, quando gruppi di studio del Politecnico analizzarono le risorse geografiche e idriche di sessanta comuni della cintura urbana e ne catalogarono collocazioni e dimensioni delle aziende agricole. Anche se il parco agricolo di Milano non ha un riconoscimento legale, è stato promosso da vari enti e gruppi di attivisti indipendenti hanno riconvertito a parco diverse aree. Italia Nostra negli anni Settanta ha messo insieme diversi ettari di proprietà marginali per preservare una foresta urbana, il BoscoinCittà. Grazie al lavoro dei volontari è stata piantumata la flora tipica, aiutata la formazione delle zone umide e rimessi in funzione i sistemi di drenaggio naturali. In una zona adiacente, il Parco delle Cave, le cave abbandonate sono state recuperate come laghi, dove ora prospera la fauna ittica, mentre le are a margine sono state sviluppate come orti urbani. Da un punto di vista più simbolico, l’idea dei parchi agricoli discende dalla volontà dell’agricoltura urbana di coniugarsi con il concetto di “giardino”, mantenendo il carattere di un luogo di compensazione “pur con l’aggiunta di un pathos particolare dovuto alla scoperta che l’orto oltre ad avere una forma produce anche dei frutti”. (Nicolin, 2012) Anche P. Donadieu insiste sull’importanza della definizione di parchi, che definisce “parchi di campagna”: “Un parco di campagna è un pezzo di
campagna urbana, un’isola o un arcipelago agricolo e boschivo all’interno del tessuto urbano, aperto agli abitanti, a chi ama passeggiare, agli sportivi, ai bambini. Grande come un parco pubblico – 10, 100, 1.000 o più ettari – è soprattutto uno spazio concepito secondo le logiche delle agricolture di tipo urbano: rurale, periurbana, cittadina o hobbistica”. (Donadieu, 2013) All’interno di quella che egli definisce “utopia dei parchi di campagna”, egli prevede il coordinamento tra quattro modelli di agricoltura, diversi tra loro, ma tutti con l’unico obiettivo di collaborare per il bene comune del parco pubblico. L’agricoltura rurale sarà condotta da imprenditori agricoli, occupati a tempo pieno in aziende moderne, redditizie e competitive. L’agricoltura periurbana interesserà gli eredi delle vecchie fasce ad orti: orticoltori, arboricoltori e giardinieri, che lavorano prevalentemente a tempo pieno in piccole aziende spesso tutte il periferia. L’agricoltura cittadina sarà un’attività agricola generalmente part-time, dove potranno essere prevalenti i servizi forniti alla città e ai cittadini, e pagati da questi ultimi. L’agricoltura hobbistica, infine, riguarderà che continuerà a valorizzare terreni attraverso l’agricoltura, ma senza che questa sia la loro fonte principale di reddito. 69
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Il margine storico a Ferrara 01.2
Ferrara è indubbiamente una delle città capitali antiche ad avere un impianto urbanistico tra i più importanti in Italia ed in Europa; forse l’unica, delle grandi città italiane, ad aver avuto come innesco alla sua genesi non un nucleo radiocentrico derivato dalla città romana, ma un insediamento urbano lineare, impostato su di un asse determinato dagli argini del Po, con un impianto a spina di pesce focalizzato su due elementi emergenti, il Castello di Cortesi e il Castello dei Tebaldo. Ma l’importanza di Ferrara risiede nel fatto che fin dal XIV secolo intraprende una genesi di accrescimento per ripetute operazioni di pianificazione urbanistica, le prime in Europa, configurate in veri e propri piani regolatori.
L’importanza e l’unicità della relazione tra la città di Ferrara e i margini progettati si esplica alle varie scale sopra analizzate: dalla fondazione della città, considerando il rapporto con il fiume e le prime fortificazioni, al suo sviluppo moderno, con il completamento della cinta muraria alla configurazione nella quale la ritroviamo ancora oggi, fino ad un più moderno riconoscimento del “sistema mura” come sistema verde urbano, in continuità con il paesaggio agricolo circostante, del quale il Parco Urbano Bassani rappresenta il maggiore esempio. Come si legge dalla relazione UNESCO del 2009, Ferrara è stata e resta tuttora “una città medievale e rinascimentale alla quale sono state aggiunte una zona suburbana e spazi verdi nel rispetto del progetto cinquecentesco originario”. (UNESCO, 2009) Lo stesso concetto, era stato trattato da Bassani, qualche anno prima: “Ferrara è stupenda anche perché è divisa in due parti. C’è la parte più antica, quella nata per caso lungo il Po come città di pescatori, di trafficanti, di mercanti, ecc. tutta viscerale, contorta, interna, tutta legata alla vita e a ciò che la vita significa. E c’è l’altra parte, quella dedicata alla bellezza e alla morte, nata dopo che il Po, a metà del XV secolo, ha abbandonato per sempre la città”. (Bassani, 2005)
Nei capitoli seguenti, si è cercato di ripercorrere tutte queste tappe, cha hanno portato Ferrara ad essere identificata come una città fortemente legata al paesaggio e alla sua circuito murario.
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01.2.1 Cronologia: Evoluzione del margine storico di Ferrara
Dal VII secolo: la città lineare - 1386 Prima addizione - 1450 Seconda addizione - 1492 Addizione erculea - 1512/1597 La fortificazione - 1598/1800 La gestione pontificia - 1800/1861 Verso l’Unità
Dal VII secolo: la città lineare
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Caratteri generatori. Il corso del Po passava molto più a sud, ovvero in prossimità delle attuali vie Ripagrande – Carlo Mayr e parallelamente a queste. La portata del grande corso d’acqua era imponente ed il suo alveo si presentava piuttosto articolato; in particolare, nel tratto che a noi interessa, il fiume formava due isole di forma allungata, l’una ad ovest e l’altra ad est che in seguito verranno denominate rispettivamente isole di Belvedere e di Sant’Antonio. È bene notare subito che in questa zona or ora descritta risultava estremamente facilitato il guado del Po, il cui alveo, ancora in età medievale, si presentava molto largo. L’antica via romana, che congiungeva Ostiglia a Ravenna, molto probabilmente attraversava il Po di Ferrara nei pressi dell’isola fluviale (detta poi di Sant’Antonio), perché in questo punto le acque dovevano essere certamente meno profonde. Attorno al guado sul Po della strada romana per Padum sorge nel VII secolo un nucleo dove nel 657 venne costruita la sede vescovile di San Giorgio. Ma poco distante da quest’ultimo punto doveva esserci un’altra area leggermente più alta (localizzata nella zona di via Porta San Pietro) sulla quale verrà costruito il castrum bizantino, nel 694, a protezione dell’abitato. In questo paesaggio – contrassegnato dalle acque, da punti elevati a nord del grande fiume e dalla depressione valliva della Sammartina a sud ad un certo momento della storia è sorta Ferrara. La città portuale. Nel 960 Tebaldo di Canossa, ottenuta dal papa l’investitura del dominio di Ferrara, costruisce un castello sul guado occidentale (Casteltebaldo). Agli inizi del XIII secolo, Ferrara risulta un insediamento sviluppato in lunghezza per circa un chilometro tra i due castelli, Castrum e Casteltebaldo, e profondo quasi la metà. Fuori dal nucleo principale rimanevano a ponente l’isola del Belvedere, a levante il polesine di Sant’Antonio e la punta di San Giorgio stratta dai rami del Po di Volano e del Po di Primaro. La città era attraversata da due arterie nel senso della lunghezza: via Ripagrande, scorrente lungo il fiume, la definiva a sud e via delle Volte fungeva da completamento a via Ripagrande. L’aggregato, che si suppone
di circa 15000 abitanti, era seghettato da corsi d’acqua il maggiore dei quali, il canale di Santo Stefano, lo tagliava in due parti. La città murata. Mentre la riva destra è stretta tra il fiume e le valli, quella sinistra è favorita da molte terre emerse e da dossi. Così su questa riva la città va rapidamente espandendosi prolungandosi oltre i poli. Diventa libero comune e, travagliata dalle lotte tra papato e impero, vede la necessità di asserragliarsi entro le mura. Nello stesso tempo sposta l’asse commerciale dalla riva del fiume all’interno su una nuova via, antica linea difensiva a nord (via dei Sabbioni, ora via Garibaldi e via Mazzini), spina per i nuovi borghi esterni cresciuti paralleli alla città. Il raddoppio della città determina una rete stradale normale al fiume. L’espansione verso ovest. Solo tra il IX e il X secolo l’urbanizzazione si sviluppò verso Ovest, fino all’attuale zona dell’acquedotto di corso Piave, in modo parallelo al Po di Ferrara, come viene confermato dall’ubicazione delle chiese altomedievali. Contribuisce a dare quest’immagine urbanistica di città lineare un altro caposaldo militare che sul finire del X secolo viene edificato nei pressi dell’attuale acquedotto: il Castel Tebaldo, fatto costruire da Tebaldo di Canossa, conte di Ferrara tra il 99 e il 1012. La via Boccacanale di Santo Stefano, via d’acqua, almeno per un certo tempo rappresentò un vero e proprio limite all’espansione della città verso Ovest. Solo nel 1316, infatti, il fiorentino Pino della Tosa eresse una cinta muraria ad oriente compresa tra la chiesa di San Tommaso ed il grande fiume ormai in declino. La perdita dei caratteri fluviali. Con il trasferimento della cattedrale da San Giorgio a nord della città cominciava una nuova fase dell’evoluzione urbanistica che faceva perdere gradualmente quelle caratteristiche preminentemente parafluviali a Ferrara, a tutto beneficio di una nuova dinamica di sviluppo. Nel 1135 quindi si innalza, su committenza di Guglielmo II degli Adelardi e nei terreni del monastero di San Romano, il Duomo attorno a cui si espande subito un borgo detto Borgo Nuovo che fa spostare a nord le fortificazioni, sul canale del Giovamento (Giovecca). A fianco al Duomo si forma una piazza che diventa quella del Mercato. La rotta del 1152, detta di Ficarolo e Siccarda sulla sinistra del Po, realizzata per difendersi dai veneti, fu la più importante causa dello sconvolgimento idraulico di tutto il territorio ferrarese. Al di fuori della città fortificata nel 1249 viene costruito Sant’Antonio sull’isola del Sole (attuale Sant’Antonio in Polesine), mentre nel 1260 Sorgono i
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conventi di San Guglielmo e santa Lucia oltre il canale del Giovamento. Addizione adelarda. Nel 1316 viene incluso entro mura anche il Borgo di Sopra, durante le lotte tra il papa e gli Estensi: per proteggere il nuovo centro di potere si creò un terraglio con fossa e 18 torri inglobando il Borgo Nuovo, per una lunghezza di 1.000 passi e con andamento Ovest – Nord Est. La nuova urbanizzazione viene incentrata su via Cairoli. Si formano varie strade convergenti verso la Cattedrale: l’attuale via Porta Reno, via di San Romano, via Vittoria, via Vignatagliata, ed altre. Si può ipotizzare che a quell’epoca vi fossero a Ferrara più di 17.000 abitanti i quali risiedevano in quattro quartieri (San Romano, Santa Maria in Vado, San Nicolò, Castel Tebaldo). L’aggregato medievale di Ferrara acquistò allora l’aspetto che fondamentalmente conserva. Il nuovo centro della città assunse presto funzioni, oltre che religiose, politiche e commerciali. Di fronte alla Cattedrale fu edificato il Palazzo del Signore che, compiuto nel 1283, rimarrà dimora degli estensi. 1386 Prima addizione 74
Nel XIV secolo avviene a Ferrara un fatto rilevante sul piano urbanistico: per la prima volta non si amplia la città per annessioni di borghi extra mura, ma recintando uno spazio libero ed urbanizzandolo con strade rettilinee. L’area oggetto di questo intervento ebbe come asse longitudinale la via San Francesco (attuali via Voltapaletto - Savonarola) e per assi perpendicolari le attuali via Madama e via Terranuova. Questa zone veniva denominata Pratum Bestiarium proprio ad indicare che si trattava di un mercato di bovini fuori dalla cinta urbana. Questa prima addizione, nata in occasione della costruzione del castello fortezza a nord, a partire dal 1385, ad opera di Bartolino da Novara, si configura come un quartiere nobiliare, ove il principe va ad insediare la classe di corte a lui fedele nelle lotte politiche locali. Nel 1375 Bartolino da Novara rileva il perimetro delle mura e, a partire dal 1386, per ordine del principe, rettifica le mura lungo il canale di Giovecca. Ora la linea difensiva a nord era quasi definita: dalla porta di San Marco (ad ovest) giungeva sino al Canton del Follo (all’estremità orientale). Le mura della città, esternamente protette da un fossato, erano internamente servite da una strada cosiddetta “d’arroccamento”. 1450 Seconda addizione
Il graduale prosciugamento del Po di Ferrara a sud, come accennavo in precedenza, cominciava davvero a diventare un problema all’inizio del XV secolo; il marchese Nicolò III ordinava quindi nel 1401 all’Architetto militare Bartolino da Novara di compiere una rettifica delle mura a meridione – già approntate nella prima metà del XVI secolo – facendovi aprire anche “una porta attorno alla chiesa di Sant’Agnese”. Grazie all’impoverimento idrico di quella parte dell’alveo del fiume, compresa tra l’isola di Sant’Antonio e le mura medievali, che si riuscì ad inserire (verso la metà del XV secolo) ancora una nuova area entro fortificazioni più sicure approntate per l’occasione. L’intervento fu svolto dal marchese (poi duca) Borso, al potere dal 1450 al 1471, il quale affidò innanzitutto la costruzione delle nuove mura a sud all’architetto Pietro Bono Brasavola, cui succedettero nell’incarico Pietro Benvenuti dagli Ordini e Cristoforo della Carradora. Nel tratto di fiume interrato venne tracciata infatti una strada (secondo alcuni già esistente) che fu denominata via della Ghiara; la strada, ampia e rettilinea, divenne così l’asse longitudinale portante della nuova zona, che poté essere unita al contesto urbano più antico attraverso connessioni viarie (a spina di pesce) perpendicolari all’asse citato. L’area interessata dall’addizione è l’antica isola del Po di Sant’Antonio, unitasi alla riva sinistra per l’inaridimento dell’alveo del fiume dopo la rotta di Ficarolo. Nel 1451 Borso d’Este ordina all’architetto Brasavola di includere il Polesine di Sant’Antonio entro una cinta murata. Nel 1464 Borso bonifica il Polesine di Ferrara, a sud della città. 1492 Addizione erculea L’ampliamento della città di Ferrara, noto come Addizione Erculea, fu iniziato dall’architetto ducale Biagio Rossetti nell’agosto 1492. La nuova area su cui il Rossetti (1447-1516) intervenne a partire dal 1492 fu denominata, a tempi di questa grande operazione urbanistica, Terranova. L’ampliamento a nord si avvaleva di una cinta muraria irregolare a protezione della nuova urbanizzazione e di due assi principali quasi ortogonali fra loro: la via degli Angeli (che univa il Castello con la Porta degli Angeli), quindi la via dei Prioni), quindi la via dei Prioni (attuale Corso Porta Po – Biagio Rossetti –Porta Mare) che univa invece due porte (quella di San Giovanni ad est e quella di San Benedetto ad ovest). (Farinelli, Scafuri, 1991) Sotto il profilo militare, l’impresa fu dettata dall’urgenza di costruire a settentrione una linea difensiva più lontana dal centro urbano. I motivi politici ed economici si riassumono nell’ambiziosa prospettiva di un
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forte incremento demografico. Nel 1495/1497 vengono gettati i ponti sul Giovecca ed aperta la via dei Prioni (l’attuale Porta Po). Nel 1499 la nuova cinta fortificata era compiuta e si potevano demolire le vecchie mura che correvano parallelamente al canale della Giovecca. 1512/1597 La fortificazione
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A seguito dell’adozione delle armi da fuoco viene riveduto tutto il sistema difensivo: le vecchie mura vengono munite di bastioni e i borghi esterni demoliti per le nuove fortificazioni: vengono distrutti il Borgo della Pioppa, uno dei più antichi, ad est, e i borghi di San Giacomo e San Luca nella riva destra. La città si racchiude così definitivamente entro le mura, mentre i borghi rimasti esterni vengono abbandonati a sé stessi. Guradando ai baluardi, riconosciamo chiaramente a Ferrara due momenti di applicazione delle nuove teorie dell’arte del fortificare a “la moderna”. Il primo è contraddistinto dal genio militare di Alfonso I d’Este (al potere dal 1505 al 1534) che pensa di difendere meglio in particolare la parte orientale della città, facendo costruire (a partire dal 1512) il baluardo triangolare della Montagna e del Montagnone che venne sormontato da una piattaforma in terra detta “cavaliere”, punto alto e privilegiato dal quale si poteva sparare con le famose armi pesanti del duca anche a grandi distanze. Nel 1518 la fortezza della Montagna verrà unita alla cinta muraria con i due barbacani di San Tommaso e di San Giorgio, allo scopo di appoggiare e di difendere il baluardo principale. Lo stesso anno, infine, Alfonso I fortificò ulteriormente la parte est con la costruzione del baluardo di San Rocco (demolito nel 1868). Il secondo momento è quello forse più interessante, poiché riguarda i baluardi della linea difensiva meridionale. Infatti, in particolare i bastioni di San Lorenzo, di San Pietro, di San Antonio e dell’Amore furono costruiti in un arco di tempo relativamente breve (1575-1585). Nel comparto ovest della città, intanto, veniva ultimato anche il baluardo di San Benedetto (1582), uno dei più grandi e meglio organizzati, purtroppo demolito a partire dal 1846. Inoltre, dall’osservazione della pianta dell’Aleotti – che è del 1605 ma probabilmente i riferisce ad una situazione di qualche anno precedente – si nota un canale navigabile, il canale dei Giardini (poi canale Panfilio) che, partendo dal castello, “rendeva possibile alla corte raggiungere diversi luoghi di “delizia”; dall’imbarcadero presso il castello, il corso d’acqua, i cui bordi erano
adorni di giardini e schermati alla vista da siepi, si dirigeva verso ovest fino alla porta di San Benedetto, per poi piegare a nord”. 1598/1800 La gestione pontificia Nel 1598 entra in Ferrara il cardinale Aldobrandini e prende possesso della città. Le prime demolizioni, quelle per far posto alla Spianata della Fortezza, furono realizzate nel 1599, ma non si elevò nulla delle nuove strutture: tornava a presentarsi come determinante il problema dell’assetto idraulico, al quale l’Aleotti e il Farnese avevano progettato di far dipendere la forma della Fortezza papale. Ritornando alle strade dell’Addizione è bene sottolineare subito che la via degli Angeli verrà collegata direttamente alla maglia viaria della città vecchia solo nel 1633, quando si aprirà il varco nel giardino estense del Padiglione, immediatamente a nord del Castello. 1800/1861 Verso l’Unità A partire dal 1800 Ferrara entra sotto la dominazione austriaca. In genere si tende a smantellare ovunque le mura e Ferrara non fa eccezione: si abbattono le mura della Fortezza alla porta di San Benedetto e da quella fino all’antica porta della grotta, creando un isolamento fisico della cittadella che viene minata in alcuni bastioni, che saranno riparati alla meglio dagli Austriaci, entrati ad occuparla (1814). Verrà definitivamente demolita dopo l’ingresso della città nel Regno d’Italia a metà del secolo (1859). Demolita dunque la Fortezza, la Spianata, che rimane come toponimo nella memoria, è trasformata in Piazza d’Armi per esercitazioni militari e nel ‘900 sarà oggetto del Piano Regolatore, noto come Quartiere Giardino. Contemporaneamente si sistema il verde, i pubblici passeggi, i giardini pubblici. E anche i terrapieni delle mura, perduta per sempre la loro connotazione militare, diventano pubblici passeggi sull’esempio dei parchi di Torino, Roma o di Francia. Cade sotto i colpi del piccone il Baluardo di San Rocco (1868) e si assicura la statica dei terrapieni con la costruzione degli arconi ancora oggi visibili. Alla fine dell’’800 anche le fosse della città non sono più che un ricordo. Il loro essiccamento fu un’opera veramente pubblica, che sanava il perdurante stagnare dell’acqua che creava una situazione di putrido costante. Nel 1859 si apre la tratta ferroviaria Ferrara-Bologna.
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Nel 1861 si apre la strada da San Martino a Ferrara, in alternativa a quella detta della Fortezza, abbandonata, congiungente Ferrara con Bologna.
01.2.2 Mura cittadine e sistemi verdi consolidati: Ferrara - città paesaggio
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Prima del XX secolo, l’estensione degli spazi verdi liberi o coltivati all’interno delle mura urbane in genere superava l’estensione del terreno dedicata ai fabbricati. A partire dal XX secolo, tuttavia, la maggior parte degli orti e dei frutteti urbani era stata trasformata in terreni edificati, dove in genere un nuovo blocco edilizio coincideva con l’area di un appezzamento. Ferrara resta in qualche modo un’eccezione. La porzione a nord della città, quella della famosa Addizione Erculea, infatti, non raggiunse la densità edilizia prevista e lasciò liberi spazi di estensione considerevole per le coltivazioni dentro le mura. Quello che colpisce di Ferrara ai visitatori esterni, e di cui i cittadini quasi non si accorgono, è che all’interno delle mura si possono tuttora trovare una fattoria biodinamica e un agriturismo. Inoltre, appena fuori dalle mura orientali si estendono ancora i grandi campi di grano del contado cittadino e, verso nord, un parco agricolo urbano comprende un lago per la pesca e 200 orti curati da anziani e giardinieri. Nel caso di Ferrara, appare quindi adeguata questa affermazione: “Una piccola città da cui è possibile andare a piedi sin nell’ambiente rurale in mezz’ora, avrà della campagna una visione diverse da quella d’una grande città che mantiene quel territorio, a una distanza ben maggiore, talvolta oltre una cinta di mura”. (Hunt, 1993) Quello che ad un ferrarese potrebbe quasi apparire scontato, ma che difficilmente sfugge agli occhi di un visitatore attento, è in realtà il frutto di anni di battaglie intrapresi da associazioni culturali e personaggi illustri: “Togliere a Ferrara l’ossigeno del suo verde, significa, tra l’altro, snaturare irrimediabilmente il carattere della nostra città”. (Bassani, 2005) Italia Nostra è nata nell’ottobre 1955, per iniziativa di un ristretto gruppo di persone, Umberto Zanotti-Bianco, Elena Croce, Desideria Pasolini Dall’Onda, Luigi magnani Rocca, Hubert Howard, Pietro Paolo Trompeo, e del ferrarese Giorgio Bassani, che ricorda: “Come presidente di Italia Nostra, debbo ricordarvi che l’Associazione è nata proprio all’epoca in cui
sorgeva, in fondo al viale Cavour, il grattacielo”. (Bassani, 2005) Come ricorda F. Erbani in un articolo, “nel 1978 due amici schizzano un disegnino su una mappa della città. Sono Antonio Cederna e Paolo Ravenna. La loro attenzione, su quella piantina, è catturata dall’immensa area che si stende fino al Po e che i duchi estensi chiamavano il Barco. È un lembo di pianura padana, luogo di delizie per gli antichi signori della città, che vi cacciavano lepri e cinghiali e organizzavano giochi a cavallo. L’area sembra sconfinata, misura milleduecento ettari che d’inverno sono solcati da filari di pioppi coperti da una nebbia leggera, ma in estate si colorano del giallo intenso del grano. Secondo Cederna e Ravenna deve diventare un grande parco urbano-agricolo, il luogo del naturale sviluppo di Ferrara, dalla forma ben definita, agganciato alla città e a disposizione del loisir dei suoi abitanti. Il progetto si sedimenta nel corso del tempo. Intanto acquista un nome, Addizione verde, che recupera termini e concetti dall’Addizione erculea ideata da Biagio Rossetti”. (Erbani, 2004) Il termine battezzato al Symposium internazionale di architetti e urbanisti del 1978, Addizione Verde, apre un dibattito, a ogni livello, sulla modernità di riallacciare, nella pianificazione della città del futuro, le strategie urbanistiche che caratterizzarono al mondo l’età estense, addizionando una porzione verde della città alle storiche addizioni estensi. Grazie a questa idea, la “città pentagona”, dentro le cui mura gli architetti legano le parti medievali con quelle rinascimentali, si spande, si orienta, si diffonde, che diventa, in un’immagine riportata ora nelle indicazioni dei PRG successivi, parco - campagna. Ovvero un laboratorio, fra i pochissimi in Italia, di integrazione fra l’ambiente, inteso come preservazione e uso pubblico, ed attività sociali, turistiche, soprattutto agricole. Dopo anni di battaglie, nel caso di Ferrara, la scommessa può dirsi vinta. Ferrara rappresenta un modello alternativo. La sensazione è quella di aver dato vita a un’opera unica: il ripristino dei nove chilometri della cinta muraria, il collegamento, seppur ancora imperfetto, con il parco nella sua accezione più ampia, con la rete di poderi, percorsi, case coloniche, boschi, prati, canalette e scoli che conducono sino alle sponde del Po. Che inglobano impianti sportivi esistenti, una discarica in fase di chiusura, addirittura un inceneritore di rifiuti solidi del quale si reclama il rapido smantellamento: “là dove lo sguardo lanciato dal Torrione incrocia la prima sensazione del fiume; là dove il tormento del traffico in pochi istanti diventa quiete e offre occasione al pensiero. Dentro il primo margine di un giardino che sfugge all›arcadia, di un parco che non è rifugio ma prospettiva,
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di una Memoria che non si barrica nel passato”. (Lolli, 2003) La scelta del nome ufficiale del parco, il Parco Bassani, è stata semplice, quasi istintiva. Poco dopo la morte del grande scrittore del Giardino dei Finzi Contini, è stata avanzata da Dario Franceschini, e immediatamente accolta da sindaco e giunta, la “proposta di archiviare la vecchia sigla, burocratica, che dalla metà degli anni 1970 lo protocollava nelle mappe del Piano Regolatore come Parco Territoriale Urbano, per scavarne invece l’anima più autentica, per rivelarne le vene pulsanti, appunto nell’opera di Giorgio Bassani”. (Lolli, 2003)
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Un altro aspetto importante riguardo alla definizione dei confini del Parco Bassani, è che si tratta di un’area in gran parte libera che ricongiunge il sistema delle mura fino al Po, e che permette di ricucire il legame che la città ha avuto con il fiume Po fin dalle sue origini e che con il passare dei secoli è venuto a mancare. A questo proposito si riportano le parole di Bassani: “Quanto al progetto del Barco, sento con piacere enorme che esso è stato impostato per garantire a Ferrara il contatto con il Po, con il suo Po, assumendo il valore di una risposta ferrarese, morale ed estetica, al cambiamento di letto del grande fiume. Benissimo, perciò, il Barco, purché resti in qualche modo legato per sempre alla città. Il Barco dovrà essere per sempre unito alla città, e insieme da essa distinto. Essere Ferrara e al tempo stesso un’altra cosa. Noi ferraresi abbiamo sempre avuto un doppio rapporto con il Po: di affetto e di timore insieme. Si va al Po, si va a vedere il Po e non è soltanto una passeggiata, è un po’ di più. Ci si va appunto, molte volte per trovare quella speranza, per ritrovare la speranza; per vincere anche la noia; andare lì, di fronte ad uno spettacolo di una violenza, di una maestà e di una pace, al tempo stesso, straordinaria, dà ad ogni ferrarese il senso di questo rapporto unico, oserei dire quasi necessario”. (Bassani, 2005) Infine, sembra necessario ripercorrere quelle che sono stati i riconoscimenti ufficiali del patrimonio culturale della città di Ferrara. In particolare, il riconoscimento UNESCO. Il Sito “Ferrara, Città del Rinascimento e il suo Delta del Po” è stato incluso nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO in due momenti successivi. Al Centro storico di Ferrara il prestigioso riconoscimento è stato conferito nel corso della XIX sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale, svoltasi a Berlino dal 4 al 9 dicembre 1995, quale “mirabile esempio di città progettata nel Rinascimento, che conserva il suo centro storico intatto e che esprime canoni di pianificazione urbana che hanno avuto una profonda influenza per lo sviluppo dell’urbanistica nei secoli seguenti”.
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edifici intra moenia
mura storiche
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Il Bene venne iscritto con la denominazione “Ferrara, Città del Rinascimento”. Nel 1999, nel corso della XXIII sessione del Comitato tenutasi a Marrakech dal 29 novembre al 4 dicembre 1999, il riconoscimento è stato esteso al territorio del Delta del Po e alle Delizie sulla base dei criteri iii (le residenze dei duchi d’Este nel Delta del Po illustrano in modo eccezionale l’influenza della cultura del Rinascimento sul paesaggio naturale) e v (il Delta del Po è un eccezionale paesaggio culturale pianificato che conserva in modo notevole la sua forma originale). Il Sito è stato così definitivamente denominato “Ferrara, Città del Rinascimento e il suo Delta del Po”. L’estensione del riconoscimento UNESCO va proprio interpretata in questo senso: “una continuità che lega la città al territorio circostante, nell’ottica di una trasformazione del paesaggio all’insegna dell’idea, sapientemente ispirata dagli Estensi, di uno spazio che si anima attraverso simboli di ordine e di bellezza, fondendo natura ed artificio per esaltare la potenza del Casato ed amplificare gli esiti del buon governo. In un territorio paludoso e mutevole furono inseriti sistemi di canali, strade e borghi, punteggiati da traguardi architettonici e paesaggistici costituiti da sontuose ville, le Delizie, circondate da boschi, parchi e giardini. In questi luoghi gli Este esercitavano il loro potere di controllo sul territorio assegnato in un quadro rappresentativo di potenza, abilità e buon governo. Concreti traguardi urbanistici ed architettonici furono raggiunti in quell’epoca, caratterizzando il territorio e seguendo un ordine e delle linee ancor oggi leggibili e insuperate. Palazzi, giardini, opere d’arte, piante rare e animali esotici ornavano la città e, attraverso la sequenza delle Delizie, replicando l’immagine della Corte nel territorio. Il territorio mantiene, non rilevabili in nessun altro sistema deltizio, le testimonianze di uno sviluppo frutto di un’antica civiltà ma soprattutto le strutture portanti dell’impianto storico realizzato dagli Estensi. L’autenticità di un patrimonio architettonico e naturale integrati tra loro e con la città rendono unico ed eccezionale un paesaggio culturale fatto di opere d’arte, architetture e giardini affiancati a siti naturali seguendo una composizione ed una organizzazione magistralmente creata dalla mano dell’uomo”. (UNESCO, 2009) Tra i vari patrimoni dei quali G. Bassani promuoveva la tutela, vi sono anche le testimonianze degli Estensi: “Da Ferrara al mare, ridotte a povere rovine, esistono ancora, a cercarle, le vestigia di quello che fu il Ducato estense. E allora: perché non invitare la Regione a occuparsi seriamente dei Belriguardi, delle Mesole, ecc. salvando, restaurando, valorizzando?” (Bassani, 2005) Il Sito si distingue in due zone: l’area protetta e la zona tampone (buffer zone). L’area riconosciuta patrimonio UNESCO include il centro storico di Ferrara, il sistema delle Delizie e il tratto emiliano del Delta del Po.
Area protetta e zona tampone comprendono i paleoalvei più importanti del fiume ancora visibili fuori terra, nonché la rete di mobilità storica (strade e vie d’acqua) che completa il disegno del territorio ferrarese costruito tra il medioevo e l’era moderna. Sono state escluse le formazioni territoriali attribuibili alle grandi bonifiche meccaniche del secondo novecento e quelle riconducibili alla presenza/azione del fiume Reno o di altri corsi d’acqua di origine appenninica (zona meridionale della Provincia di Ferrara). Lo scopo primario della zona tampone è proteggere l’area riconosciuta patrimonio UNESCO, dando particolare importanza agli interventi progettuali che le riguardano. Nel caso specifico di Ferrara, le zone tampone tutelano il centro storico della città e l’antico sistema di fortificazioni costituito dalle mura e dai baluardi.
Mura cittadine e centro storico 01.2.3
Il tema delle mura della città di Ferrara è fortemente legato ad un fenomeno di riconoscibilità. Non si tratta soltanto di un monumento storico ben restaurato e mantenuto integro fino ad oggi, bensì di un vero e proprio sistema urbano contemporaneo, che ha ritrovato una nuova funzione grazie all’operazione di recupero avviata a partire dagli anni Ottanta. La riscoperta delle Mura Estensi avviene ad opera di una ristretta cerchia di intellettuali ferraresi intorno agli anni ’70 in una fase di grande elaborazione culturale orientata alla conservazione dei patrimoni, che si sviluppa nello stesso tempo in cui si mette mano al Piano Particolareggiato per il Centro Storico (1975). Il Progetto mura, la cui attuazione si protrarrà fino agli anni ’90, è, da un lato, un concreto progetto di restauro, dall’altra un vasto e articolato progetto urbano. Si è trattato di un processo di valorizzazione lungo e articolato, ma che ha portato i suoi frutti, anche economici, grazie ad un aumento dei flussi turistici in entrata. Il sistema delle mura è stato suddiviso in dieci aree progetto, ciascuna delle quali caratterizzata da molteplici aree di intervento. Temi urbanistici come l’identificazione tra cinta muraria e riqualificazione del centro storico e parco pubblico possono vantare nella città di Ferrara uno degli esempi meglio riusciti e lungimiranti. Un intervento di G. Bassani, appare così sentito da non poter essere
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riportato con altre parole, né ulteriormente sintetizzato. Si tratta di un brano da leggere tutto d’un fiato, sia che si viva la città di Ferrara ogni giornata, sia che la si attraversi accidentalmente. “Circa Ferrara, ho sentito esprimere qualche incertezza riguardante i limiti del suo centro storico. Qual è, dopo tutto, il Centro Storico di Ferrara? – ho sentito domandare – Fin dove arriva? Ebbene, Ferrara – secondo il mio punto di vista, e potrò anche sbagliarmi – si trova in una condizione, diciamolo pure, privilegiata. Non esistono, ancora, a Ferrara (pur se ridotte, a tratti, in uno stato abbastanza precario), le mura di Biagio Rossetti? Io riterrei che proprio a Ferrara, dunque, qualsiasi incertezza circa i limiti del centro storico non abbia senso. Il centro storico di Ferrara è da identificare in tutto ciò che sta al di qua delle mura, dentro le mura rossettiane. Tutto ciò che sta dentro di esse, è centro storico. Non cominciamo a fare indagini stilistiche. Sono ormai centro storico, fanno parte di esso – me lo permetta signor sindaco -, anche quegli orrendi quartieri, che, in un momento di distrazione, le amministrazioni comunali postbelliche, tutte di sinistra, hanno lasciato proliferare negli orti dietro corso Ercole Primo. […] Ma ormai stanno dentro, fanno parte. Inutile tentare di estrapolarli, di considerarli tra parentesi. Per quanto deplorevoli, diventeranno tra breve “storici” anch’essi. Anzi, lo sono già. A questo punto, vorrei consigliare la massima severità. Occorre ripristinare le mura rossettiane, restituirle al loro antico splendore, considerando, ripeto, tutto ciò che vi sta dentro, come appartenente al Centro Storico; e suggerirei, inoltre, di estendere anche a tutte le memorie estensi al di fuori del Centro Storico propriamente detto, la cura e l’affetto che l’Amministrazione comunale, oggi, mostra riservare alle reliquie estensi all’interno delle mura. Le mura di Ferrara appartengono al centro storico della città, anzi, entro un certo limite, sono il centro della città medesima. Esse non stanno più, come all’epoca di quando io ero ragazzo, quando andare sulle mura rappresentava una specie di avventura, all’estrema periferia dell’abitato. Oggi le cose stanno diversamente. Le mura, ripeto, fanno parte del centro storico di una città immensa che, in qualche modo, arriva ormai fino al mare (lo ha affermato Bruno Zevi, ed io sono d’accordissimo con lui). […] Ho già detto che le mura di Ferrara non si trovano alla periferia della città, bensì vi stanno dentro, sono la città. Guardiamole, quindi, cominciamo a guardarle nella loro realtà attuale, che cosa siano diventate, che cosa le abbia fatte diventare la Storia”. (Bassani, Il centro storico di Ferrara, intervento al corso residenziale di Italia Nostra, Ferrara, 6-9 dicembre 1973) Gli elementi caratterizzanti il rapporto fra la cinta muraria e la città storica, permettendone al tempo stesso la fruizione, in particolare quella turistica, sono: gli edifici monumentali, all’interno dei quali spesso è collocata la
15.346 abitanti
Parco Pareschi circa 12.000 mq inverno ore 8:00/18:00 estate ore 7:30/20:00
115.532 abitanti
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70.609 abitanti
sagrati
edifici monumentali piazze aree sportive
384.377 abitanti
parchi storici parcheggi
rete dei musei, le piazze e i sagrati, come luoghi d’incontro e di socialità, i parchi storici e le aree adibite ai cosiddetti “parcheggi di attestamento”, che insieme alla rete dei luoghi visitabili, rendono le mura storiche un “sistema urbano”. In particolare, si vuole soffermare l’attenzione sull’elemento dei parchi storici, pause verdi, più o meno grandi e più o meno accessibili, all’interno del tessuto urbano. I principali parchi storici individuati sono sei.
01.2.4 Attorno alle mura cittadine: cultura e imprese creative
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In questo capitolo, si vuole analizzare le mura di Ferrara come “sistema urbano” per la cultura e il tempo libero. Oltre alla ormai consolidata funzione delle mura e del vallo come anello verde per lo sport e le passeggiate, negli ultimi anni si sta sempre si più evolvendo una tendenza: quella del riutilizzo di “contenitori” abbandonati e in disuso, collocati in prossimità del circuito murario, da parte di associazioni culturali e imprese innovative. Le mura estensi, dopo la fase eroica del loro recupero, sembrano essere ancora capaci di generare spinte progressive per la città, la sua società e la sua economia. Ancora una volta offrono lo spunto e il telaio per innescare processi virtuosi di qualificazione e innovazione urbana e culturale. La rievocazione della fase del recupero urbanistico delle mura e del centro storico e le possibilità di sviluppo futuro di questo sistema sono state le tematiche affrontate all’interno del convegno Le Mura di Ferrara a 35 anni dal progetto Mura, promosso nell’ambito del Progetto di cooperazione transfrontaliera CAMAA Italia-Slovenia, di cui sono partner sia il Comune di Ferrara, sia il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara. Il convegno si è tenuto il giorno 9 maggio 2014 ed è stato strutturato in due fasi: la prima intitolata “La questione della manutenzione e della valorizzazione dei patrimoni rari”, la seconda “Cultura e imprese creative attorno alle antiche mura”. Nella tabella seguente, si elencano le cosiddette “imprese creative”, ciascuna delle quali è intervenuta al convegno in questione, descrivendo le attività che svolge.
:00 00
FerraraOff Teatro FerraraOff, via Alfonso I d'Este, 13
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sagrati
cintura del vallo
ci
cinta muraria sopraelevata
cheggi
contenitori attrattivi
accessi
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lettura critica 02 Con quali tematiche di analisi approcciare il margine urbano?
[Il paesaggio ai margini] TAV02 [Oltre il margine consolidato] TAV03 [Margini in trasfromazione] TAV04
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«Il “mare di terra”, com’è chiamato per la sua piattezza, un tempo invaso dalle paludi e poi bonificato, senza colline e senza alberi, è un immenso granaio, orto, frutteto che arriva fino al mare. I trattori trascinano carichi inverosimili di betole o pomodori, pere possenti pendono dagli alberi. Difficile credere Che qui esista la miseria, all’epoca delle grandi proprietà terriere.» Carlo Castellaneta, “Ferrara”, da Una città per due, 1987
Il paesaggio ferrarese: nascita, tracce e valorizzazione 02.1
I valori del paesaggio sono molteplici: il valore storico, dato dalla permanenza di ciò che ci è giunto dal passato e costituisce un riferimento importante per comprendere il luogo stesso; il valore di interrelazione, le relazioni tra gli elementi sono gli aspetti più delicati e fragili del paesaggio stesso; il valore culturale e simbolico, dato da molteplici fattori tra cui, il mantenimento dell’identità locale, il mantenimento dei valori sociali e comunitari, la conservazione del senso di appartenenza ai luoghi e alla comunità; il valore scientifico-ecologico, la ricchezza della flora e della fauna, la presenza di emergenze geomorfologiche e vegetazionali, la stabilità degli ecosistemi, la buona qualità dell’acqua. (Regione Lombardia, 2011) Riconoscere il valore di un elemento che si ponga come fondamentale memoria territoriale si può solo, ovviamente, sulla base di una ricostruzione del passato, di uno studio che faccia emergere i vari momenti storici nelle loro componenti più varie. La storia del paesaggio non è solo uno strumento di attribuzione di valori ad alcuni elementi o insiemi di elementi del paesaggio, ma è anche una componente fondamentale per la comprensione del sistema paesistico attuale e delle sue tendenze evolutive. Per indagare la storia e la natura dei luoghi bisogna partire dalla terra, dall’acqua e da come l’acqua ha modellato la terra ed insieme hanno permesso alla vita di svilupparsi con modalità solo apparentemente casuali. L’analisi storica, oltre a consentire la ricostruzione delle trasformazioni nel tempo, serve per ricercare i segni o elementi caratterizzanti, sia naturali che antropici, che possono essere elementi puntuali del paesaggio, quali edifici rurali, percorsi, rogge, filari, macchie boscate residuali, ovvero elementi diffusi strutturanti il paesaggio, quali reticolo idrografico, rete stradale storica, sistemi di campi chiusi, orientamento e dimensionamento dei campi, ecc. (Gibelli, 2003) Nel caso specifico di Ferrara, il palinsesto storico del paesaggio agricolo ha un suo tessuto di base, una sua trama, una tipologia di componenti che meritano letture morfologiche-strutturali non meno complesse di quelle attraverso cui si è imparato ad analizzare il tessuto edilizio di base del centro storici. Le ortofoto storiche rivelano un’ordinata trama di campi a seminativo e a prati stabili, incorniciati dai bordi di siepi e di filari alberati che accompagnano il fitto reticolo dell’irrigazione. In questa trama geometrica si inserivano i sinuosi andamenti dei corsi d’acqua con le loro fasce boscate, oggi in parte
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perdute.
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Prima di analizzare quale paesaggio si manifesti oggi oltre le mura di Ferrara, si propone un excursus storico sulla pianificazione del paesaggio a Ferrara. Si tratta di una storia che ha potuto vantare di tappe salienti, le più importanti delle quali sono rappresentate dal riconoscimento del Parco Urbano Bassani e della valorizzazione del sistema delle mura storiche. L’analisi si spinge poi ad individuare quelli che sono gli elementi salienti del paesaggio ferrarese oltre la cinta muraria, così come sono stati individuati dagli strumenti di pianificazione in vigore: il Piano Strutturale Comunale del 2003 e il Piano Territoriale di Coordinamento provinciale del 2004. Lo scopo dell’analisi effettuata nelle tre sezioni successive, “Il paesaggio ai margini”, “Oltre il margine consolidato”, “Margini in trasformazione” ha lo scopo di tracciare un quadro il più possibile completo delle dinamiche in corso oltre le mura cittadine, al fine di tracciare una strategia urbana coerente con quanto analizzato. “Il paesaggi ai margini” analizza gli elementi caratterizzanti del paesaggio della frangia periurbana; “Oltre il margine consolidato” analizza le infrastrutture di trasporto e il tessuto morfologico della periferia ferrarese; “Margini in trasformazione” analizza le principali trasformazioni in atto e previste nella città.
Cronologia: Ferrara e la pianificazione del paesaggio 02.1.1
1945 Parchi e giardini – 1960 Vincolo di verde agricolo – 1968/1972 Tutela dei verdi urbani – 1977 Parco Nord – 1985/1987 Progetto Mura – 1995 Parco Sud
1945 Parchi e giardini Concorso per lo studio del Piano regolatore e di ricostruzione, 1945 Per la prima volta le zone esterne alle mura e comprese tra gli agglomerati esistenti e di progetto, sono state assoggettate a vincolo di verde agricolo e ad esse è stata attribuita una quota di edificazione molto modesta. A tali accorgimenti si affianca la necessità di realizzare nuove infrastrutture scolastiche e sportive, servizi pubblici e una zona verde di passeggiate e giardini attorno alle mura, delle quali si intende conservare l’integrità aprendo fornici solo laddove si presenti la necessità. In questi anni viene prevista la conservazione del verde attorno alle mura. 1960 Vincolo di verde agricolo Piano regolatore generale, 1960 (approvato) E’ il primo piano ad essere esteso a tutto il territorio comunale, e in cui si introduce il vincolo di verde agricolo. A questo proposito è un aspetto di grande interesse. L’inserimento di vincoli all’edificazione riguardante gli spazi aperti verdi pubblici e privati, interni e esterni alla cinta muraria, diviene Nello specifico, “le zone limitrofe alla città, esterne alle mura e comprese tra gli agglomerati esistenti e di progetto nelle quali il piano non prevede una particolare utilizzazione, sono soggette al vincolo di verde agricolo, e pertanto in esse è prevista una costruzione molto limitata. Zone e vincoli concorrono così a delineare un’immagine di città chiaramente delimitata, in cui gli spazi aperti verdi e soprattutto quelli posti lungo le mura sono interpretati come fattori qualificanti da tutelare. La conservazione e l’ampliamento di questa ampia fascia verde è elemento importante per i vantaggi igienici e per la valorizzazione della città non soli, ma sarà anche elemento di individuazione del vecchio nucleo cittadino nel più ampio organismo previsto dal piano. Nel settore nord, lungo la strada esterna che segue il perimetro delle mura in cui è aperto un varco per permettere un più diretto collegamento con il centro città, il piano prevede l’insediamento di una vasta area destinata “alla attrezzature sportive, alle fiere, ai mercati, e mostre a carattere temporaneo o stabile.
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1968/1972 Tutela dei verdi urbani Studio per la Variante generale al piano regolatore, 1968 (studio) Studio per la Variante generale al piano regolatore, 1972 (studio) Questi due studi di variante pongono maggior attenzione sull’acquisizione delle aree non ancora urbanizzate dell’addizione erculea e di quelle immediatamente fuori le mura, e sull’opportunità di riconoscimento del parco nord e di una fascia verde lungo il Po di Primaro come verde da salvaguardare. Sono azioni bandiera la proposta di mantenimento e acquisizione come proprietà pubblica da destinare a verde o ai servizi dell’area non ancora urbanizzata all’interno e in prossimità delle mura e della aree esterne, in particolare la fascia corrispondente all’antico fossato e la zona del Barco già destinata ad area sportiva. A nord, dalla cinta delle mura fino al Po, è previsto un grande parco urbano, mentre verso oriente si realizzeranno i servizi necessari a razionalizzare le espansioni verso est, collegandoli in un sistema che possa eventualmente congiungersi con l’altro sistema di servizi, previsto nella zona periferica meridionale, facendoli confluire entrambi nella fascia verde lungo il Po di Primaro. 94
1977 Parco Nord Variante generale al piano regolatore, 1977 (approvata) Anno di grande svolta per la cultura ferrarese, viene istituito il Parco Urbano a nord della città, inoltre vengono individuati gli ambiti fluviali di interesse ambientale. Nella zona nord della città, fra le mura e il fiume Po, viene individuato un intero quadrante urbano-territoriale da destinare a Parco Urbano, mentre nella zona sud-est viene individuata un’enorme area come Parco urbano del Volano-Burana. Inoltre risulta necessaria la salvaguardia dell’assetto paesistico, attraverso l’individuazione di ambiti di interesse ambientale quali le fasce rivierasche del Po, del Po di Volano e del Po di Primaro, e la conservazione dell’ambiente architettonico in particolare del centro storico. Nel 1979 l’Amministrazione presenta pubblicamente, in una mostra allestita tra giugno e ottobre nel Palazzo comunale, un primo progetto per il Parco Urbano, redatto dal gruppo di ricerca dell’Istituto universitario di architettura di Venezia diretto dall’architetto Carlo Aymonino. Il progetto dello IUAV propone l’articolazione in tre settori: in quello prospiciente alle mura sono concentrati impianti sportivi e attrezzature per la cultura e il tempo libero,
pubbliche e private; in quello mediano si prevedono destinazioni funzionali collegate alla produzione agricola e alla fruizione per il tempo libero della campagna; nel terzo, lungo il Po, si propone l’incremento e la localizzazione di attività connesse al turismo e alla balneazione. Il progetto non è stato realizzato. Negli anni ’80 l’Amministrazione comunale affida un nuovo incarico al professor Ippolito Pizzetti, la cui proposta viene ancora una volta bocciata. È infine del 1996 la messa a punto da parte degli uffici tecnici del Comune di un Progetto di tutela e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali del Parco Urbano di Ferrara. 1985/1987 Progetto Mura Variante al piano regolatore relativa al territorio comunale con esclusione del centro storico, 1985 (approvata) Variante relativa alla zona A del centro storico, 1987 (approvata) Tre i sostanziali progetti di questo biennio la definizione del Progetto Mura, la determinazione del sistema di verde connettivo extraurbano e l’identificazione del quartiere dell’aeroporto come area adibita ad attrezzature per il tempo libero. ll “Progetto mura”, di cui la pubblicazione porta la data del 1987, ma l’attuazione si protrarrà fino agli anni ’90, è redatto dal professor Romeo Ballardini (coordinamento e direzione del progetto) e dagli architetti Romano Carrieri e Michele Pastore, con la collaborazione degli architetti Carlo Cesari e Fernando Visser dell’Ufficio tecnico comunale. L’operazione è caratterizzata dall’essere, da un lato, un concreto progetto di restauro, dall’altra un vasto e articolato progetto urbano. Come sottolinea Romeo Ballardini, quattro sono in particolare gli obiettivi: il recupero e il restauro dall’apparato tecnico delle mura, le mura intese come armatura portante di una serie di spazi costruiti che si susseguono lungo il suo sviluppo (Sistema della mura), la definizione dei rapporti tra il Sistema delle mura e il sistema culturale e museale della città costituito da tre nuclei principali: il quadrivio rossettiano per l’arte moderna e contemporanea, il sistema costituito dai palazzi Buonacossi, Marfisa e Schifanoia per l’arte antica, il palazzo Tassoni per i servizi culturali e per la sede della nuova facoltà di Architettura, la nuova definizione del rapporto fra le mura e il parco a nord (dalle mura sino al corso del fiume Po) Oltre al restauro di manufatti architettonici, il progetto prevede l’edificazione di nuovi complessi per parcheggi e garage lungo il circuito delle mura e in
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prossimità dei complessi museali. L’attuazione del progetto finalizzato al recupero e alla valorizzazione delle mura e del sistema culturale-museale, hanno contribuito all’assetto attuale del centro storico di Ferrara. 1995 Parco Sud
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Piano regolatore generale, 1995 (approvato) Nell’ultimo piano regolatore approvato, viene riconosciuto il territorio ferrarese come addizione verde, nuova”forma urbis” della città, ed inoltre viene istituito il Parco agricolo Sud. Per l’area a nord si conferma la vocazione a Parco Urbano che connette la città al Po. Per la zona a est, come si legge nella relazione redatta dai consulenti nel 1993, i tratti di territorio agricolo che si incuneano a raggiungere la cinta muraria vanno conservati inalterati. Per il settore meridionale si opta per una soluzione “meno invasiva” di quella prospettata dal progetto preliminare. Contrariamente a quanto illustrato nella seduta programmatica del 1989, in cui si ipotizzava l’insediamento di funzioni terziarie organizzate sull’asse est-ovest, nella relazione del 1993 l’area compresa tra tale asse e la tenuta agricola Sammartina viene pensata come un secondo parco urbano, caratterizzato da funzioni dedicate allo sport e al tempo libero.
02.1.2 Il paesaggio oltre la cinta muraria
Sistemi di paesaggio. A far apparire “rugosa” la superficie del territorio di Ferrara contribuisce, oltre alla conformazione altimetrica, anche la presenza della sua vegetazione. Non si tratta di grandi boschi, di grandi masse alberate, ma piuttosto di filari di platani lungo le principali strade storiche, di boschi ripariali lungo i corsi dei fiumi, di pioppeti e frutteti, di sequenze di salici bianchi e siepi lungo alcuni canali, ed infine di grandi alberi sparsi. Al sistema della vegetazione, più minuto e filiforme, si evidenzia anche la presenza di un sistema composto da raggi più spessi che si insediano fino al centro cittadino e si diramano all’interno del paesaggio extraurbano: è il sistema delle strade panoramiche, con le visuali sul paesaggio circostante, del verde di connessione, che connette la città con il paesaggio esterno e dalla vegetazione riparia, spontanea e più consistente rispetto a quella
piantumata artificialmente, per esempio, lungo i cigli della viabilità. Infine, è possibile la definizione di un ultimo sistema, quello della cintura agricola periurbana: un sistema che si interseca con i precedenti, di forma più lineare, che deriva dall’intersezione del paesaggio agricolo con le infrastrutture di circonvallazione della città. In particolare, il sistema è delimitato a ovest e a sud dall’autostrada Bologna-Padova e dal raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi, mentre ad est, è la rete storica delle strade di collegamento tra i centri extraurbani della prima corona a dividere quelli che sono proprietà periurbane dal resto dei terreni agricoli. Dal punto di vista dei sistemi di paesaggio individuati dal PSC si rileva una grande carenza di “sistemi verdi” in corrispondenza dell’ambito di espansione della città a sud, lungo via Bologna. Unità dei paesaggio. Il paesaggio ferrarese è descritto, nel PTPR, come composto da quattro UP di livello regionale e precisamente, da ovest ad est: “pianura bolognese, modenese e reggiana”; “bonifiche estensi”; “bonifica ferrarese”; “costa nord”. La definizione del sistema insediativo a scala provinciale con particolare riferimento alla individuazione delle unità di paesaggio, e conseguente elaborazione degli indirizzi alla pianificazione comunale, costituisce la logica applicazione ad una scala più ravvicinata del Piano Territoriale Paesistico Regionale. Le Unità di paesaggio sono ambiti omogenei individuabili di paesaggio, stabiliti a partire da analisi storica, geomorfologica e funzionale. Quelle stabilite dal PTCP sono 9, delle quali quattro interessano il territorio comunale di Ferrara: Unità di paesaggio “Delle Masserie”. Area che si estende ad est ed a ovest di Ferrara. Comprende l’antico Polesine di Casaglia e l’antico Polesine di Ferrara. Confini: a nord l’alveo del Po, a sud il Paleoalveo del Po, il dosso del Volano a sud-est. Si tratta di aree soggette alle antiche bonifiche estensi di Casaglia, della Diamantina (ad est) e della Bonifica di Alfonso II (ad ovest). La trama di questi fondi agricoli presenta dimensioni maggiori e regolari “a larghe”. La tipologia edilizia predominante è “ad elementi separati o allineati”. Lungo il corso del Po predomina la tipologia ad elementi giustapposti. Unità di paesaggio “Della Valli del Reno”. Sono compresi i comuni dell’alto ferrarese da S.Agostino,
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http://www.ferrarainbici.it http://www.piste-ciclabili.com/provincia-ferrara
AA. VV. Relazione, Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, 2004
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Mirabello, a Vigarano Mainarda, Poggio Renatico, porzioni di territorio del comune di Ferrara e del comune di Argenta. Vi sono tre situazioni morfologico-insediative diverse che dipendono dalla situazione altimetrica: una zona di più antico insediamento che va dalla dorsale su cui si collocano S.Martino, Montesanto e Gallo fino al Po di Primaro: la partizione fondiaria si presenta fitta; bacino di Poggio Renatico: la partizione dei fondi è più larga, a maglie regolari di chiara natura artificiale; il Reno ed il Paleoalveo del Po di Primaro disegnano il territorio da Traghetto a S.Biagio di Argenta. Tra i due argini, dopo S.Maria Codifiume vi è un’area con insediamenti scarsi di valore naturalistico. Unità di paesaggio “Delle Terre vecchie”. Area a sud-est della città’ di Ferrara. I comuni interessati sono principalmente Ferrara, Voghiera, Argenta, Masi Torello, e in parte Copparo e Formignana, Tresigallo, Migliarino, Migliaro, Ostellato, Portomaggiore, Argenta, e Massafiscaglia. È evidente nella struttura dei centri ricadenti all’interno dell’UP il rapporto con le vie d’acqua. I fondi agricoli hanno una maglia ortogonale rispetto alla via d’acqua, e sono di dimensione medio-piccola (maglia a piantata). Unità di paesaggio “Degli ambiti fluviali”. Questa unità di paesaggio coincide col tracciato del Po grande ed al suo immediato ambito morfologico. L’area si compone dell’alveo del fiume e delle sue golene, dalla foce del Panaro fino alla foce in Adriatico. Gli insediamenti non sono molto antichi e sono legati alle zone di conca a sud del fiume. Si è perso il rapporto di questi con il fiume a causa della barriera degli argini. Rete ciclo-pedonale. Ferrara dispone di un’ampia area a ciclabilità diffusa, corrispondente alla città storica entro il perimetro della cinta muraria, quasi del tutto priva di piste ciclabili. La rete ciclabile in sede propria si sviluppa all’esterno di quest’area tramite piste ciclabili radiali e di collegamento tra le stesse. La città storica viene infatti considerata come un’unità urbanistica che privilegia l’integrazione della componente ciclistica, mentre per l’esterno-città sono state realizzate apposite piste ciclabili che consentono di raggiungere numerosi quartieri periferici. Ad oggi è possibile affermare che la lunghezza complessiva delle ciclabili interprovinciali, dalle più urbane alle più naturalistiche, raggiunge un’estensione di 442 km.
Ferrara è la “città italiana delle biciclette”, dove l’utilizzo di questo mezzo da parte dei cittadini è tra i più alti in Europa: nel 1991 la percentuale di utilizzo era del 30,7% contro il 30% di Copenhagen o il 27,8% dell’Olanda. Dal 1999 ad ogni accesso della città viene posto un cartello con la scritta “Ferrara città delle biciclette”, seguito dalla citazione dell’adesione alla rete europea (dal 1995) delle città amiche della bicicletta Cities for Cyclists e dal riconoscimento Unesco di città patrimonio dell’umanità. Dal 2005 si avvia il progetto RiCicletta, laboratori gestiti da cooperative sociali per il riciclo delle biciclette abbandonate.
La capillarità del sistema idrico 02.1.3
Cenni storici sul sistema idrografico ferrarese - L’importanza del sistema idrico
Cenni storici sul sistema idrografico ferrarese La formazione della pianura Padano-Veneta è strettamente legata alla formazione dell’arco alpino: l’erosione, infatti, di quelle montagne che via via si innalzavano e il conseguente trasporto di materiali come ciottoli, ghiaie, sabbie, argille operato dagli innumerevoli corsi d’acqua che da esse scendevano gettandosi nel grande golfo, fece sì che nell’arco di alcuni milioni di anni il bacino Padano fosse interamente colmato e sostituito da una grande regione pianeggiante interamente paludosa. Periodicamente rotte del Po provocarono sconvolgimenti della rete idrografica, mutando continuamente e sostanzialmente la situazione che si era mantenuta pressoché invariata sino all’ottavo secolo d.C.. La rotta del 1152, detta di Ficarolo e Siccarda, fu la più importante causa dello sconvolgimento idraulico di tutto il territorio ferrarese. Il Po di Ferrara fu così ridotto al grado di un canale, nel quale si immise il Canale di Cento che gli diede il nome. Il sempre minore apporto idrico e sedimentario, dovuto al progressivo interramento del Po di Primaro accentuò gli effetti del costipamento nell’antico ambiente deltizio, accelerando il processo di formazione delle valli salse di Comacchio. Col passare del tempo esse si estesero verso occidente fino ad occupare anche il Mezzano. Nel corso della seconda metà del XVI secolo cominciano i lavori di bonifica, il primo dei quali interessò il Polesine di Mesola. Tale area geografica, compresa tra il Po di Goro, il ramo dell’Abbate e il litorale adriatico, è destinata ad assumere un ruolo strategico all’interno della Grande Bonificazione
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Ferrarese, quale ingresso privilegiato del mare verso l’entroterra padano, ed in quanto tale concorrenziale rispetto al Po di Venezia, controllato dai nemici di sempre dello Stato estense. Nel 1564 Alfonso II, assicuratosi i finanziamenti dei banchieri veneziani e lucchesi, iniziò la bonifica generale del Polesine di Ferrara. Egli, superando difficoltà d’ogni genere, scavando e riscavando canali per 300 km, tra vecchi e nuovi, costruendo due chiaviche di scarico nel Po di Goro e nel Po di Volano, costruendo strade e mettendo a coltura i terreni via via prosciugati, terminò in una quindicina d’anni la “Bonificazione Estense”. Furono però sufficienti pochi decenni perché questa immane opera, a causa dell’elevamento del letto dei corsi d’acqua e il costipamento dei terreni alluvionali, fosse ricondotta alle condizioni precedenti. Tuttavia non tutto il lavoro fu perduto, soprattutto per ciò che riguarda gli scavi principali di scolo e porzioni consistenti del territorio centuriato, come risulta per esempio dalla Carta della Chiesa del 1760.
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La necessità di riaprire la questione delle bonifiche a larga scala rappresenta quindi un sentimento diffuso all’inizio del XIX secolo, e solo con l’Unità d’Italia sarà possibile dare una risposta, in questo senso, compiuta. Sul progetto dell’ingegner Del Lotto, nel 1852, venne ultimato il primo impianto meccanico di sollevamento delle acque fatto a Baura; era finalizzato allo smaltimento delle acque stagnanti della circonvallazione e della fortezza di Ferrara. In seguito fu un susseguirsi di bonifiche, prima incerte, poi quasi a ritmo frenetico che caratterizzarono e determinarono la storia di quei decenni. La classificazione dei comprensori di bonifica veniva fatta facendo riferimento a dimensioni territoriali corrispondenti, non tanto alle suddivisioni amministrative, quanto a quelle determinate dalle reali condizioni dei territori che risultavano compresi tra i bacini idrografici omogenei. Tuttavia all’interno di tali bacini coesistevano interventi che risalivano a diverse epoche di bonifica, da quella romana alla rinascimentale, passando attraverso l’esperienza dei Benedettini e dell’Ordine Cistercense. Nel 1874 entrò in funzione il grande impianto d’idrovore di Codigoro, in sostituzione di vari impianti minori previsti dai vecchi progetti prima delle rotte del Po del 1872; con esso si poté iniziare la bonifica del Polesine di S. Giovanni, terminando in modo definitivo nel 1880, ciò che gli Estensi fallirono con la “Bonificazione”. Da sottolineare come i criteri di bonifica meccanica cominciano a convivere con quelli a scolo naturale dei terreni definendo un paesaggio “spurio”, nato da una modificazione di quello preesistente. In quasi cinquant’anni furono installati ben 41 impianti idrovori che
permisero la bonifica di oltre 76.000 ettari, unitamente a complesse opere di sistemazione idraulica del territorio. Alla fine del secolo, quasi la metà delle nuove terre era in mano al capitalismo finanziario ed a società capitalistiche, Ferrara si avviava a diventare la provincia italiana più meccanizzata, necessità dovuta alla giacitura orizzontale dei terreni. Nel 1925 il predominio fascista in Italia consegnò la provincia nelle mani dei gerarchi ferraresi sostenuti e affiancati dagli imprenditori e dai grandi proprietari terrieri che avevano edificato le loro fortune con le bonifiche. Il Consiglio superiore LL. PP. approvò nel 1948 l’intervento di bonifica totale delle valli di Comacchio, programmato dal Ministero dell’Agricoltura in tre fasi. L’importanza del sistema idrico Canalizzazioni di scolo e bonifiche. Il territorio ferrarese è interamente terra di bonifica, quindi il sistema delle canalizzazioni e delle acque regimate ha una importanza vitale sia come difesa del terreno emerso che come fonte di approvvigionamento delle acque dolci necessarie allo sfruttamento agricolo dei suoli. Concentrando l’attenzione principalmente sul sistema delle acque e sulle forme di aggregazione e giustapposizione delle aree di diversa bonifica, si può descrivere il territorio ferrarese come somma di una serie di “addizioni”, progettate a tavolino e realizzate con rigoroso rispetto del progetto né più né meno di quanto si fosse fatto per la costruzione della grande città rinascimentale. Altimetria. Nonostante Ferrara disti più di 40 chilometri dal mare, una parte del suo territorio comunale, così come la metà dell’intero territorio provinciale, è collocata al di sotto del livello del mare. La pendenza generale del territorio verso est e la condizione di pensilità dei fiumi attuali e dei paleoalvei principali, assieme ad altre strutture (talora artificiali), suddividono il territorio in vari comparti altimetrici di forma concava, i quali presentano spesso difficoltà di drenaggio delle acque meteoriche. Se, a prima vista, il territorio appare interamente pianeggiante, in realtà, è un piano corrugato, ricco di “valli” e “crinali”, articolato in “terre alte” e “terre basse”, una sorta di telo non perfettamente teso, “da leggere in Braille” (PSC, 2003) nel quale proprio le scarse pendenze in gioco, per lo più inferiori allo 0,5 per mille, costituiscono un grosso ostacolo allo smaltimento delle acque meteoriche.
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Piccole pendenze e dislivelli di pochi metri, a volte di frazioni di metro, costituiscono differenze sostanziali in questo delicato equilibrio idraulico, tanto da avere fortemente condizionato la localizzazione degli insediamenti urbani che si sono concentrati lungo gli argini dei fiumi ancora esistenti o ormai scomparsi, la cui altimetria garantiva un sicuro riparo dalle acque. Ciò fa sì che molti degli elementi che caratterizzano questo paesaggio siano, quindi, fortemente legati all’acqua: rilievi, dossi, paleoalvei e arginature da un lato, localizzazione dei centri abitati, forma dei campi e vegetazione dall’altro.
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Alvei e paleoalvei. Da una tale lettura appare evidente come esista anche una rete di sistemi ambientali che si estende su tutto il territorio provinciale, sottesa ai diversi paesaggi, componente importante di essi; i due principali sistemi sono i corsi d’acqua attuali e quelli preesistenti ovvero la rete idrografica superficiale ed il sistema dei paleoalvei. Il ferrarese ospita la parte terminale di tre fiumi pensili: il Po (652 km), il Reno (212 km) ed il Panaro (148 km); essi ne delimitano quasi esattamente i confini settentrionale, meridionale ed occidentale. I tratti fluviali urbani sono i seguenti: Po di Volano, che segue la direzione ovest-est dell’ex corso del Po e costeggia le mura; Canale Boicelli, canale artificiale di collegamento tra il Po di Volano e il Po, in direzione nord-sud; il Canale di Burana, che collega il Po di Volano al Panaro e il Po di Primaro che collega il Po di Volano al Reno. La presenza di fiumi pensili è una delle caratteristiche più interessanti della media e bassa pianura emiliana, il cui letto si trova ad un livello superiore in rapporto alla media dei territori circostanti. L’azione derivante dai corsi appenninici, associata a variazioni di pendenza piuttosto marcate già rilevabili a ridosso della pianura, aveva determinato nel corso del tempo un progressivo deposito delle torbide, ed un conseguente innalzamento dei fiumi stessi. I terreni compresi all’interno di questa complessa rete idrografica, trovandosi ad un livello considerevolmente inferiore, non potevano essere drenati per scolo naturale, rimanendo così prevalentemente impaludati all’interno di bacini tra loro tendenzialmente chiusi. Inevitabilmente, le arginature naturali dei fiumi e le conoidi prodotte dalle frequenti esondazioni crearono un sistema fortemente interrelato di crinali, che venne a rappresentare la più economica rete di attraversamento e popolamento delle bassure circostanti. Un paleoalveo è un’area nella quale scorreva anticamente un corso d’acqua. In quanto sistema paesaggistico, muta profondamente la propria funzione passando da elemento evidente della altimetria e della organizzazione della partizione fondiaria sino a scomparire, “cancellato” visivamente dalle semplificazioni altimetriche e organizzative fondiarie proprie della bonifica recente e delle forme di estensivizzazione delle colture erbacee.
In prossimità del centro urbano della città e in corrispondenza dell’attuale passaggio del Po di Volano, sono rilevabili dal punto di vista altimetrico le tracce dell’antico letto del fiume Po, che come abbiamo visto ha segnato profondamente la storia di Ferrara, fin dalle sue origini. Valorizzazione e gestione delle risorse idriche. I principali elementi paesaggistici legati all’acqua e che necessitano di una valorizzazione sono i canali, gli argini, le scoline ed infine le idrovore. Inoltre, l’adesione del nostro Paese alla Convenzione di Ramsar del 1971 sulla tutela delle “zone umide”, rappresenta una delle tappe significative del riconoscimento dell’importanza di queste aree. Sono 18.500 ettari circa le zone umide nella provincia ferrarese, pari al 70% delle zone umide regionali ed al 10% di quelle nazionali. Sono aree palustri, acquitrinose e torbose, o comunque specchi d’acqua, naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua ferma o corrente, dolce, salmastra o salata, compresi i tratti di mare la cui profondità non ecceda i 6 metri con la bassa marea. Le valli salmastre, in particolare e le lagune sono notevoli serbatoi di energia che forniscono quella produzione primaria di sostanza organica vegetale che è il primo anello di catene alimentari spesso complesse. Dal 1° ottobre 2009 è nato il Consorzio di Bonifica Pianura di Ferrara, dalla fusione dei quattro Consorzi di Bonifica preesistenti. Il Consorzio di Bonifica Pianura di Ferrara è un ente di diritto pubblico, i cui principali compiti sono l’attività idraulica di irrigazione e scolo delle acque, per mezzo della complessa rete di canali e di impianti di bonifica. Ha anche una funzione di progettazione, esecuzione e gestione delle opere di irrigazione, per l’approvvigionamento idrico ad usi plurimi, tra cui, principalmente, l’acqua necessaria all’agricoltura. L’area urbana soggetta al rischio di allagamento maggiore è quella a sud della città, all’altezza della metà di via Bologna fino all’area agricola della Sammartina.
La diffusione del patrimonio storico-culturale nell’extraurbano 02.1.4
Tutele PTCP. Tra le tutele previste del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, si ricordano le seguenti: Art. 17 Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi
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d’acqua Art. 19 Zone di particolare interesse paesaggistico ambientale Art. 20 Dossi e dune di rilevanza storico documentale, paesistica e idrogeologica Art. 32 Aree di vulnerabilità idrogeologica e di particolare tutela per la pianificazione comunale
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Il Delta del Po. “Le lagune del Delta padano costituiscono un bene naturale, e quindi culturale, di immenso valore. Distruggerle, significherebbe privarci di qualcosa di essenziale. E la valle del Mezzano, qui accanto, la stupenda distesa d’acque che fino a un paio di anni fa poteva essere attraversata e contemplata percorrendo una stretta strada, malagevole, sì, ma che però dava modo, a chi si avventurava, di porsi in contatto diretto con una realtà naturale di straordinaria suggestione, oggi per metà interrata, ridotta a una landa piena di desolazione.” (Bassani, 2005) Il Parco Regionale del Delta del Po dell’Emilia-Romagna è stato istituito nel 1988 con apposita Legge Regionale (L.R. 27/88) e fa parte del sistema delle aree protette dell’Emilia-Romagna. Il Parco è articolato in sei “Stazioni” che si sviluppano intorno alla porzione meridionale del Delta del Po, la parte nord del quale appartiene alla Regione Veneto, lungo la costa ferrarese e ravennate e nei pressi di Argenta. Nel 1999 la parte nord del territorio è stata inserita nel sito Unesco come Patrimonio dell’Umanità “Ferrara, città del Rinascimento e il suo Delta del Po”. Le sei Stazioni sono: la stazione di Volano-Mesola-Goro, il centro storico di Comacchio, le Valli di Comacchio, la Pineta di San Vitale e Pialasse di Ravenna, la Pineta di Classe e Saline di Cervia, sulla costa, e le Valli di Campotto, ad Argenta, lungo le sponde del fiume Reno. La laguna di Comacchio e le Valli esterne, cioè quelle che si estendono a nord e a sud del Volano, fino al secolo scorso hanno rappresentato un’ampia fascia di transizione tra il mare aperto e la terra ferma. L’attuale comprensorio vallivo è quanto resta del più vasto specchio d’acqua un tempo compreso tra Comacchio a nord-est, Ostellato a nord-ovest, Portomaggiore e Argenta ad est ed il Reno a sud. Delle valli che circondavano il Centro Storico di Comacchio restano ora le sole valli Molino e Fattibello Spavola ed una piccola porzione della Valle Capre. Restano inoltre alcune piccole vallette al margine del comprensorio bonificato del Mezzano: le Vallette di Ostellato e le Anse di Bando. Bacini di bonifica. I bacini di bonifica prossimi all’agglomerato urbano (che interessano il territorio amministrativo comunale) di Ferrara, sono i seguenti,
in ordine cronologico: Campagne (1856-98), San Antonio (1925), Valcore (1927), S. Egidio (1929), Orientale (1938-58), Sanmartina (1948), Marrara (1955), Tormano (1968), Denore (1981). Tessuti storici e parchi. A causa della condizioni geo-morfologiche, non troppo favorevoli all’insediamento, e alla presenza delle valli del Delta, il territorio ferrarese è sempre stato condannato ad una sorta di “marginalità” (Zaffagnini, 1997): le acque del Po, per la diminuita pendenza di deflusso, si sparpagliavano originando i caratteristici quanto mutevoli apparati deltizi digitati, rendendo difficile, quasi impossibile l’insediamento. Il Delta del Po, le Valli, le lotte profonde contro le avversità naturali che intere popolazioni e civiltà, nel corso dei secoli, hanno profuso per conquistare migliori condizioni di vita e di progresso, sono gli essenziali componenti che identificano l’ambiente e la storia del paesaggio ferrarese. Le tracce di questa lotta sono numerose, ma soprattutto si tratta di tracce quasi nascoste, diffuse su tutto il territorio. Le aree urbane con la maggior presenza di tessuti ad impianto storico, sono quelle della prima corona di insediamenti extra-urbani ad est, la zona San Giorgio alla confluenza tra il Po di Volano e il Po di Primaro e la zona Arginone ad ovest, alla confluenza tra il Po di Volano e il Canale di Burana.
Ferrara e la cintura agricola 02.1.5
Cenni storici sull’agricoltura nel ferrarese – Agricoltura ferrarese oggi
Cenni storici sull’agricoltura nel ferrarese Nel II secolo a.C., quando inizia il periodo di dominazione romana su tutta la Pianura Padana, il territorio aveva già consolidato la sua caratterizzazione agricola. Successivamente, l’aumentata capacità di lavoro con l’aratro in ferro e i nuovi criteri di concimazione diedero un impulso vigoroso all’agricoltura ferrarese che poteva disporre di vasti territori pianeggianti. Al maggior profitto, proveniente dal miglior utilizzo del terreno, seguì un sempre maggior interesse per i primi tentativi di bonifica di territori vallivi con impianti meccanici. All’interno del paesaggio rurale ferrarese, sono rimaste ancora oggi, in alcuni punti, le tracce di un’attività produttiva fortemente collegata alla valorizzazione
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del paesaggio. Si tratta di tracce da individuare e da valorizzare, qualora siano giunte fino a noi. La piantata si riferisce ad un modo di sistemare le alberature, sia per quanto riguarda la loro reciproca distanza, che la loro disposizione. L’usanza di porre file di alberi d’alto fusto, soprattutto olmi, a segnare i bordi dei campi, oltre i confini, le strade, i viottoli interni, trova la sua motivazione più importante nella funzione di sostegno per la vite attribuita a questi alberi. La “piantata” è quindi contrassegnata dalla presenza della vite sui bordi degli appezzamenti di terreno dedicati alle colture cerealicole, che dovevano essere libera da ostacoli arborei per le normali lavorazioni. La scomparsa delle sistemazioni a piantata è avvenuta gradualmente e può essere messa in relazione con il mutare degli indirizzi produttivi, delle tecniche e dei consumi.
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Le larghe sono seminativi nudi che si susseguono senza soluzione di continuità, solcati solo da strade sterrate e dagli scoli di bonifica. L’ambiente che ne risulta è quasi privo di vegetazione ad alto fusto ed affida all’architettura complessiva degli insediamenti colonici, sparsi nella vasta pianura, con i loro ampi tetti rosso-bruno e le macchie verdi delle alberature che ombreggiano le corti, il ruolo di emergenze significative e di punti di riferimento. Le case sparse, le case di chi coltivava la terra, si presentano fortemente caratterizzate dal micro-cosmo nel quale sono inserite, la corte rurale, intesa come parte non coltivata del fondo. Indipendentemente dal fatto che siano organizzate in un edificio unico o in più edifici esse si configurano come unità residenziali realizzate in periodi storici caratterizzati da una minore mobilità territoriale e, quindi, attrezzate per un’autosufficienza funzionale che derivava dall’isolamento. La diffusione dell’insediamento sparso a corte aperta è così in stretta relazione con l’affermarsi della mezzadria quale forma di conduzione prevalente in gran parte della pianura emiliano-romagnola. Lo stesso può dirsi, per quanto riguarda il ferrarese, del patto colonico di “boaria”, contratto simile alla mezzadria, ma che pone l’accento su quel particolare mezzo di produzione che sono i buoi da lavoro. Ancora oggi si può cogliere come il proliferare di edifici padronali al di fuori della città, abbia determinato una ben precisa configurazione del paesaggio, condizionando tutto il sistema produttivo agrario, e creando riferimenti differenti da quelli residui dell’organizzazione romana e medievale nella struttura insediativa.
Il termine villa è applicato oggi generalmente a specifici edifici, essenzialmente strutture residenziali nella campagna, ma nel Cinquecento questo aveva un altro significato accanto all’idea di svago, quello della produzione agraria. La villa-azienda agricola era dunque una organizzazione complessa dotata di una serie di elementi destinati alla produzione, la cui presenza era ciò che la qualificava in presenza e in valore economico: il pozzo, il forno, la stalla e il fienile. Questi non erano disposti casualmente, ma organizzati dividendo la corte in due parti, una per il giardino e le coltivazioni, l’altra per gli edifici di servizio e le attività produttive. Si inizia quindi a stemperare il rigido concetto di corte di derivazione romana, a favore di una destinazione interna più libera, raramente simmetrica, ottenuta per semplice accostamento degli elementi. Agricoltura ferrarese oggi Superficie agricola. Nell’ultimo decennio si è accentuato fortemente un processo che ha visto ridurre considerevolmente non solo il numero ma anche la superficie delle aziende di dimensione più piccola, fino a 20 ettari, e aumentare l’importanza di quelle di dimensione maggiore. Dal 1982 ad oggi, la dimensione media delle aziende agricole del Comune di Ferrara è passata dai 10,92 ha a 19,07 ha nel 2010 (6° Censimento Istat dell’Agricoltura, 2010), mentre il numero delle aziende è sceso da 2.960 a 1.604. A questo processo si è affiancato il fenomeno di consumo di suolo urbanizzato, che ha ridotto la percentuale di superficie agricola comunale da un 80,0% a un 75,6%. Un ulteriore dato importante è quello relativo alla superficie dedicata ad agricoltura biologica. Le aziende di agricoltura biologica in provincia di Ferrara, sempre in riferimento all’anno 2010, sono 147 e coprono il 3,96% della superficie agricola provinciale. Dimensioni delle proprietà agricole. In base ai dati del quinto censimento generale dell’agricoltura del 2000, nel comune di Ferrara sono presenti 2.107 aziende agricole (il 20 % delle 10.935 aziende censite in Provincia). Le aziende con oltre 20 ha di superficie occupano una quota di circa il 64,1 % della superficie comunale destinata ad usi agricoli mentre quelle con superficie compresa tra i 10 ed i 20 ha occupano circa il 18,7 % del terreno agricolo e quelle con superficie compresa tra i 3 ed i 10 ha occupano solo il 11,1 % di tale terreno. D’altra parte le aziende con superficie inferiore a 3 ha pur rappresentando il 37,6 % delle aziende totali hanno un’incidenza molto bassa sulla superficie
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Comune di Ferrara, Relazione agronomico-ambientale, PSC 2003 www.istat.it, Sesto censimento dell’agricoltura, 2010
del territorio comunale, cioè il 6,1 %. Questo dato, se da un lato mostra un aspetto positivo in quanto testimonia la presenza di un’ampia fetta di agricoltura relativamente competitiva, dall’altro lascia intravedere un potenziale problema di tipo economico-sociale, legato alle micro-aziende destinate a non avere certamente un futuro roseo. Forma giuridica delle aziende agricole. Per quanto riguarda la forma giuridica delle aziende ferraresi, si rilevano tre principali forme di conduzione: la fondazione (la fondazione è comunemente definita come un ente avente personalità giuridica costituito da un complesso di beni destinato al perseguimento di uno scopo), l’impresa individuale e la società. La forma più comune è quella dell’impresa individuale, con 1.948 aziende che coprono l’88% della superficie agricola.
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Utilizzo agricolo dei suoli. Le colture più diffuse sono costituite dai cereali, con una quota pari al 38,5 %, le colture industriali (bietola, soia, girasole) con il 25,3 % e i fruttiferi con il 17,9 %. Tra i seminativi domina il granturco con il 28,3 % della SAU, superficie agricola utilizzata, (pari a 8.019 ettari) seguito dalla soia con l’12,7% della SAU (3.584 ettari) e dalla barbabietola da zucchero con il 10,5 % della SAU (pari a 2.977 ettari). Il frumento tenero si attesta intorno al 7,9% della SAU (2.240 ettari), mentre il frumento duro rappresenta il 5,8 % della SAU (pari a 1.638 ettari). Molto importanti per l’agricoltura di questo comune sono infine i frutteti che, seppur colpiti da una forte riduzione, coprono ancora il 22% della SAU (6.207 ettari), ed infine le foraggere con il 5% della SAU (1.415 ettari). In particolare, nell’ultimo ventennio si è assistito ad una forte riduzione delle frutticole (melo, pero, pesco) che dal 27,7 % del 1982 sono passati al 26,8 % del 1990 e quindi al 17,9 % del 2000. Le colture industriali invece nello stesso periodo aumentano la loro presenza, passando dal 17,5 % del 1982 al 23,0 % del 1990 e quindi al 25,3% del 2000. Trasformazioni colturali. Infine, sono state rappresentate le aree con le utilizzazioni meno diffuse, ossia i frutteti e i pioppeti, mettendo in relazione i terreni ancora interessati da questa tipologia di sfruttamento, con le superfici di pioppeti e frutteti storici, oggi scomparsi.
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Espansione urbana e quartieri periferici 02.2
Come conseguenza dello sviluppo, le città si sono espanse oltre il “centro storico”, dando vita ad un modello urbano diverso, un paesaggio fatto di infrastrutture, automobili, grandi quartieri residenziali, capannoni artigianali e centri commerciali. Lo spazio della periferia, più di altre parti della città, è spesso segnato da presenze e impatti invadenti delle attrezzature e delle reti infrastrutturali urbane e metropolitane. Nello spazio disseminato di oggetti, prodotto negli anni dell’espansione quantitativa, la città sembra aver perso contatto con il lessico che nel tempo si è costituito per raccontare e rappresentare il senso del suo impianto sul terreno e l’articolazione di segni, parti, intrecci della sua struttura morfologica. Nella periferia frammenti di paesaggio agricolo e industriale si combinano con nuclei di realtà urbana; intrecci imprevisti di funzioni e organismi diversi: laboratori per la produzione e luoghi per lo sport, grandi volumi commerciali e terziari, l’articolarsi delle residenze e i manufatti delle infrastrutture. Anche la conquista di nuovi spazi pubblici all’interno di normali piani attuativi o di più complessi programmi integrati stenta a compenetrarsi con lo spazio della residenza finendo per proporre una rigida contrapposizione tra spazi privati residenziali e uno spazio esterno fortemente indifferenziato, per taluni versi troppo pubblico e indistinto. Altrettanto frequenti sono gli interventi di fluidificazione e/o di messa a norma o in sicurezza di un complesso reticolo di strade trafficate e congestionate, con la conseguente creazione di centinaia di rotonde, corsie di accumulo, parcheggi, nuovi marciapiedi e piste ciclabili su percorsi un tempo caratterizzati dalla sola carreggiata stradale e da uno sterrato più o meno ampio tra questa e i bordi quasi totalmente edificati. È dunque l’industria a segnare e definire la periferia, attraverso le nuove funzioni che essa è chiamata a ospitare, i nuovi ceti che la abitano, le nuove infrastrutture tecnologiche che in essa e solo in essa trovano spazio. È il repertorio della società industriale a connotare per i primi sei-sette decenni di questo secolo l’armatura periferica delle città italiane, a darci un lessico per descriverla: gasometri e fabbriche, scali ferroviari e magazzini, case popolari e depositi tramviari. Tra i segni nuovi che si sono inseriti nel paesaggio il più importante è il capannone industriale: la sua distribuzione “non segue una regola, se non quella di porsi generalmente al di fuori dei vecchi nuclei abitati, al centro di aree costituenti i quartieri nuovi, le recenti espansioni di case e blocchi
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residenziali ai margini dei campi”. (Turri, 1979) Anche gli spazi del lavoro stentano a essere pensati al di fuori dei più consolidati modelli dell’edificio a uffici e con facciata in vetro e delle aree industrial-artigianali con i suoi capannoni modulari prefabbricati. Gli spazi della produzione industriale si inseriscono all’interno del tessuto urbano come tanti “recinti” (Lanzani, 2000), estese superfici della periferia, che si accostano comunque ancora agli spazi della residenza popolare. Spesso il termine recinto, oppure cinta, possono essere sostituiti con il termine enclave, che indica l’espressione fisica di questa struttura a compartimenti: “un’enclave è una porzione di territorio regolata da specifiche leggi morfologiche, di uso o di comportamento: codici limitati e pur efficaci” (Zardini, 1999). La città estesa sembra svilupparsi per giustapposizione casuale di enclaves. Inoltre, tra tutti i tipi di zone edificate, quelle industriali hanno la caratteristica di essere, dal punto di vista vegetazionale, vere e proprie isole desertiche. (Socco, Cavaliere, Guarini, Montrocchio, 2005)
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Nel flusso di queste trasformazioni l’innovazione più evidente e più segnalata è ovviamente la crescente presenza di centri commerciali che a partire dagli anni Ottanta si diffondono nel territorio, talvolta nelle periferie urbane, più spesso secondo un modello localizzativo “suburbano” a corona delle grandi città e medie città o “diffuso” sui principali assi e nodi infrastrutturali dell’urbanizzazione diffusa. Il modello del centro commerciale nasce in America negli anni Cinquanta: la tipologia di centri commerciali, o shopping mall, “nasce negli USA, dove al forma urbana dello sprawl e l’utilizzo dell’automobile sono già pratiche consuete e consolidate”. (Ingersoll, 2004) Nella realtà, pochi progetti integrano effettivamente da un punto di vista spaziale e materiale la realizzazione di nuovi centri commerciali con l’offerta di spazi pubblici e di uso collettivo, culturali, residenziali o produttivi, in qualche misura appropriati ai settori urbani o alle porzioni di urbanizzazione diffusa in cui si inseriscono. L’obiettivo di questa sezione, è quello di indagare come si sia sviluppato a Ferrara questo “paesaggio periferico” e come si configura attualmente. F. Erbani ritiene che Ferrara sia rimasta tutto sommato immune dalle problematiche della città diffusa. “A un occhio esterno, e per di più profano (come quello di chi scrive queste note), sembra che la storia di Ferrara, identificata nella sua forma urbana, funga da potente antidoto alle insolenze proposte da un meccanismo di crescita che procede per puro accatastamento di oggetti. Ferrara ha
salvaguardato questa misura durante cinquant’anni di crescita. Ha subito violenze e sfregi, di cui reca ancora le ferite (per limitarsi a quelle che cita Bruno Zevi, lo “stupro” piacentiniano al posto del distrutto Palazzo della Ragione e il grattacielo presso la stazione), ma ha salvaguardato una logica di socialità e di qualità che si trasmette dalle piazze e dalle strade del centro storico fino alla gran parte degli insediamenti di edilizia economica realizzati fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta da Vieri Quilici”. (Erbani, 2004) Di primo impatto, Ferrara sembra essersi espansa attorno alle sue mura con tre appendici: una verso nord-ovest, una verso sud e una verso est. La storia dell’espansione della città permetterà di capire come questa struttura urbana sia stata pianificata, grazie ad una successione di piani urbanistici, il primo dei quali a partire dal 1923. La struttura morfologica della città, è quindi fortemente legata alla sua storia pianificatoria, ma anche alla rete del traffico automobilistico, sugli assi della quale si sono concentrati i maggiori fenomeni edilizi di espansione.
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02.2.1 Cronologia: Ferrara e l’espansione oltre le mura
Al 1923 Epoca Contini – 1945/1955 Il dopoguerra – 1960/1968 I piani comunali – 1972/1985 I PEEP – 1987 Verso la contemporaneità - 1995 L’ultimo PRG
Al 1923 Epoca Contini
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Attorno al 1672 nelle vicinanze della città, fuori Porta Paola, sorsero mulini, una cartiera, un follo per le lane, che però ebbero breve durata, perché ben presto venne meno l’equilibrio fra lo smaltimento delle acque e la loro utilizzazione industriale. Nel 1682 si era realizzata la costruzione di un nuovo ponte con fondamenti in mattone, su tre archi pure in mattoni e agli angoli le statue. Tuttavia questo intervento non produsse uno sviluppo del quartiere gravitante attorno alla chiesa e al mercato. Il primo stabilimento industriale Industria Saponiera Chiozza e Turchi era stato messo in funzione nel 1812 a Pontelagoscuro, su terreno di golena a sud del centro abitato. Oltre agli interventi studiati degli orti di Santa Maia di Mortara e della spianata dell’ex-Fortezza, assistiamo ad un proliferare di quelli spontanei, naturalmente nelle immediate vicinanze delle fabbriche. Nelle zone del Borgo di San Luca a destra e a sinistra della strada nazionale per Bologna, si sviluppano aggregati che condizioneranno scelte urbanistiche future di ampliamento. Progetto dei grandiosi lavori pubblici, 1870 (adottato) Gli obiettivi del Progetto dei grandiosi lavori pubblici sono sostanzialmente di duplice natura: da un lato, la creazione di un collegamento viario tra la nuova stazione ferroviaria e il cuore della città, in forma di grande boulevard alberato; dall’altro, la dotazione di servizi pubblici alla scala urbana da realizzarsi all’interno delle mura. Si tratta pertanto di un piano che non copre in maniera unitaria la città, ma che si occupa piuttosto della realizzazione di punti nodali e della dotazione di infrastrutture urbane e di collegamento tra la città e il territorio esterno. Piano regolatore e d’ampliamento della città e sobborghi, 1911 (studio) Altre operazioni riguardano l’estensione della città esternamente alla cinta delle fortificazioni. Nell’intento di “disciplinare l’eventuale sviluppo”, dandogli una forma che fosse relazionata all’andamento delle principali vie di comunicazione ferroviarie e stradali, il piano individua come aree di ampliamento la zona a ovest della città oltre Porta Po e in prossimità della
stazione ferroviaria, quella compresa fra la darsena lungo il Po di Volano e le mura di fronte alla piazza d’Armi. Prevedeva inoltre interventi nelle aree vicine alle porte, per migliorare gli accessi alla città e controllare l’edificazione, in particolare si occupa delle zone di San Giorgio, di San Luca e della strada Nazionale per Bologna. Nella seduta del Consiglio Comunale del 27 giugno 1911 venne proposta dalla Giunta la formazione di un ufficio speciale per lo studio del Piano Regolatore e d’Ampliamento della città. L’incremento degli abitanti negli anni fra il 1911 e il 1925 fu sensibile e portò a rivolgere una attenzione particolare al sobborgo esterno di San Luca e principalmente all’interno dell’asse di Bologna-via Arginone, interessato fra l’altro dalla realizzazione della Ferrovia Padana. Il Piano Contini organizza in modo simmetrico l’ampliamento a sud della città ponendo un elemento preordinato di grande dimensione per ciascuno dei due agglomerati in destra e in sinistra della strada Nazionale per Bologna: a sinistra, più prossimo alla Stazione ferroviaria il Foro Boario, simmetricamente a destra il Deposito Stalloni, poi Ippodromo. Una delle prime volontà che emerse da questi studi fu quello di limitare la costruzione di case nei sobborghi ed incentivare invece l’utilizzo di quelle vaste aree ancora esistenti all’interno delle mura. Lo studio Contini si concluse nel 1913 con la stesura della relazione tecnica, datata 10 luglio. Questo piano però non venne mai discusso in quegli anni, in quanto si creò una situazione di emergenza per la zona dell’ex-Fortezza. Venne chiesto pertanto all’ing. Contini di accantonare il Piano Regolatore e di dare la priorità allo studio di un piano parziale per la sistemazione della Piazza d’Armi. Questa circostanza generò un’accesa polemica fra l’ing. Contini e il nuovo Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico, Cesare Selvelli, autore di un diverso disegno, che fu quello approvato. Piano regolatore e d’ampliamento della città e sobborghi, 1923 (studio) Nella seduta dell’1 dicembre 1923 il Consiglio Comunale conferisce nuovamente a Ciro Contini l’incarico per “studiare e proporre l’aggiornamento del piano regolatore della città e dei sobborghi”. Rispetto alla versione precedente sono apportate alcune modifiche, in particolare nella relazione manca il paragrafo relativo al Piano d’ampliamento dell’ex piazza d’Armi e maggiore attenzione è assegnata allo sviluppo dei sobborghi esterni, in direzione nord e sud. A differenza del primo studio elaborato da Contini, però, il secondo copre, riferendosi a un quadro d’unione complessivo, l’intera città e le sue
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espansioni esterne. Il Piano Contini comunque, seppur mai ufficialmente approvato, diventò lo strumento che maggiormente indirizzò le scelte urbanistiche della città. Nella parte introduttiva Contini esponeva gli obiettivi che si prefiggeva di attuare con il Piano, distinguendo sempre gli interventi di Piano d’Ampliamento da quelli di Piano Regolatore e, tra questi, quelli da attuarsi entro il perimetro delle mura e quelli all’esterno. Lo studio intendeva in sostanza delineare una proposta d’insieme per lo sviluppo della città e delle sue espansioni future, non agiva più per punti, ma per parti. 1945/1955 Il dopoguerra
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Concorso per lo studio del Piano regolatore e di ricostruzione, 1945 Il 20 luglio 1945 il Comune bandisce un invito alla cittadinanza affinché tutti coloro che intendono avanzare una proposta per lo sviluppo della città prendano parte a una mostra di studi sul piano regolatore e di ricostruzione. Già nella seconda e nella terza riunione tenutesi il 23 e il 30 dicembre 1945, tuttavia, la Commissione si dichiara d’accordo nel riconoscere che nessuno dei progetti è riuscito a dare una soluzione ai problemi principali delle città, quali la ricostruzione della stazione e la deviazione delle linee ferroviarie, l’organizzazione del traffico stradale urbano ed extraurbano, la ricostruzione e lo sviluppo della città di Ferrara e la ricostruzione, altrettanto urgente, di Pontelagoscuro e della zona industriale. Piano regolatore generale, 1946 (studio) Queste ultime proposte di concorso assumono il ruolo di prima fase di elaborazione e discussione per la redazione dei successivi piani di ricostruzione relativi alla frazione di Pontelagoscuro, alla città di Ferrara, al quartiere Arianuova e alle zone del piazzale della Stazione e della caserma Palestro. In merito alle aree di espansione, lo studio si è esteso alle zone a sud di Porta Reno, ove la città si espande notevolmente, ai sobborghi di S. Luca e di Porta Mare ed a tutta la zone nord-ovest tra Porta Po e Pontelagoscuro, tra il Barco ed il Boicelli. Per quanto riguarda ancora l’espansione a sud delle mura, il piano si propone di regolamentare l’incremento naturale già verificatosi nelle zone del foro boario e dell’ippodromo. In base a essi, come limite allo sviluppo futuro riferibile all’“accrescimento della popolazione per un cinquantennio”, è assunta la linea della ferrovia per Codigoro.
Piano di ricostruzione di Ferrara, 1949 (approvato) Il piano di ricostruzione fa parte del piano regolatore della città. Il piano di ricostruzione si propose di indirizzare lo sviluppo futuro della città attorno alle mura, nella aree disponibili a contatto con l’antico nucleo, all’interno del quale, fino a pochi anni prima, era contenuto tutto l’aggregato urbano, compresi i servizi. Si verificò in quegli anni una crescita disarticolata attorno al perimetro delle mura. Alla base di tutto sta lo sviluppo delle attività extra-agricole, accompagnate da una serie di interventi atti a valorizzare la ricca rete idroviaria della provincia. La densità media entro le mura era di 140 ab/ha, di 47 nel perimetro urbano e di 16 nelle zone periferiche, tra le mura e il perimetro urbano. L’edilizia presentava una notevole percentuale di abitazioni singole, che indicava la netta preferenza per case singole con giardino e orto, invece una maggior densità era riscontrabile solo nella zona medievale della città. Il verde pubblico entro la circonvallazione ammontava a 597.000 mq di verde per una dotazione per abitante di circa 10 metri quadrati. La viabilità era assestata sulle grandi direttrici statali. Il traffico esterno giungeva da est, da sud e da ovest, perciò non si era mai sentita la necessità di potenziare la comunicazione con la parte settentrionale delle mura. I nuovi quartieri esterni si erano assestati lungo tali direttrici di traffico e la parte nord della città entro mura aveva conservato il suo carattere rurale con orti e giardini. Il Piano destinava alla residenza 380 ettari. La residenza aveva trovato una quota consistente oltre che nelle aree residenziali di espansione, anche all’interno della città; infatti in relazione all’ampliamento della zona industriale, il piano aveva previsto la creazione di quartieri operai lungo le direttrici Porotto-Mizzana, Caffè del Doro-Pontelagoscuro. Altre zone di espansione erano attestate a ridosso della nuova arteria di circonvallazione, soprattutto nella zona di via Bologna in direzione sud, sud-ovest. Gli impianti sportivi venivano localizzati a nord della città, fuori dalle Mura, per una superficie di 49 ettari corrispondenti ad uno standard di 6 mq per abitante. Piano di ricostruzione di Pontelagoscuro (frazione di Ferrara), 1949 Il Piano riceve l’approvazione ministeriale il 9 aprile 1949. Per procedere nell’attuazione, il Ministero stipula “una convenzione in virtù della quale, col concorso del Comune al quale competeranno l’onere dei lavori di terra e degli espropri, sarà possibile la realizzazione dello spostamento e rettifica della linea ferroviaria a partire dalla località Canile, sino al ponte sul Po. Il Comune, a contropartita, entrerà in possesso di tutta l’area della abbandonata sede ferroviaria. I criteri che hanno guidato il progettista possono così riassumersi: scindere
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il centro industriale dal complesso urbano vero e proprio, favorendo le possibilità di sviluppo dei due nuclei, la costruzione di attrezzature sportive e balneari di facile accesso per gli abitanti del vicino capoluogo di provincia e la separazione del traffico interno del paese da quello di transito sulla statale adriatica. Piano di ricostruzione del quartiere Arianuova, 1951 (approvato) L’annosa vicenda relativa al progetto del quartiere Arianuova giunge a una fase significativa quando il 24 novembre 1951 il Ministero dei Lavori pubblici sancisce l’approvazione del relativo Piano di ricostruzione. Nella redazione del progetto un ruolo centrale è svolto dall’architetto Giovanni Michelucci. Nell’ultima soluzione il grande viale avrebbe una spina verde, delimitata su un lato da “fabbricati a semplice schiera indipendenti dall’andamento stradale”, sull’altro da “fabbricati continui con interruzioni dissimmetriche. Alla fine di questo ampio viale è stata progettata la costruzione di una chiesa, del campanile e della casa parrocchiale posti tutti nel mezzo del viale.
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Piano di ricostruzione delle zone di piazzale della Stazione e della caserma Palestro, 1954 (approvato) Considerato che la caratteristica-tipo dell’edilizia ferrarese è la villetta o la casa binata o unifamiliare, è a questa edilizia, prettamente estensiva o semintensiva che ci si è attenuti principalmente. Eccezione è stata fatta per il piazzale della Stazione: qui ragioni soprattutto estetiche e anche di sfruttamento delle aree edificabili, imponevano un’edilizia di ben più ampio sviluppo. Per quanto riguarda la zona B della caserma Palestro, è stato previsto ivi un quartiere residenziale e costruzioni intensive, data la vicinanza con il centro cittadino. La costruzione della zona industriale di Ferrara, lungo il canale artificiale navigabile Boicelli il cui scavo inizia nel 1919 e termina nel 1932. Regolamento edilizio e programma di fabbricazione, 1955 (adottato) Il piano propone di aggiungere nuove aree di espansione di dimensioni contenute nei settori orientali e meridionale all’esterno delle mura. Per quanto riguarda la zona compresa al di fuori della cinta delle mura, si è cercato di evitare l’espansione a macchia d’olio della città, favorendo la formazione di centri satelliti autosufficienti, per poter sollevare il centro cittadino dalla crescente congestione del traffico, in cui in breve tempo l’attuale rete viaria dell’antico nucleo urbano diventerebbe inadeguata. La zona di espansione abbraccia, a grandi linee, tre quarti del perimetro urbano, mentre per l’altro quarto l’edificazione avrà carattere rurale. In tal modo verrà
conservata la caratteristica principale della città, ovvero di avere ampi spazi verdi appena fuori le mura, oltre che nell’interno, nei suoi orti e giardini. 1960/1968 I piani comunali Piano regolatore generale, 1960 (approvato) Il primo dei piani urbanistici che si ampliano a coprire anche il territorio comunale. Il 28 luglio 1953 la Giunta municipale delibera di affidare nuovamente l’incarico per la compilazione del piano regolatore generale all’Ufficio per il piano regolatore, all’ingegnere capo Carlo Savonuzzi, e al suo consulente architetto Giovanni Michelucci. Terminata la prima fase di emergenza post-bellica, si decide perciò di dare nuovo corso all’elaborazione del piano che, ai sensi della legge urbanistica n. 115/42, deve essere esteso all’intero territorio comunale. In particolare, per quanto riguarda l’espansione urbana, si rileva come “le linee del traffico di transito ed altre concomitanti condizioni abbiano avviato spontanei e notevoli sviluppi edilizi nelle zone fuori mura a sud e ad ovest, e come le zone nord-est siano favorevolmente rimaste a libero contatto con il verde della campagna. Una delle principali scelte consiste nella definizione di un’ampia arteria di circonvallazione, lungo la quale si attestano le nuove zone di espansione residenziale e l’ampliamento della zona industriale. Studio per la Variante generale al piano regolatore, 1968 (studio) Lo studio prospetta delle modifiche che, come viene rimarcato nella sessa seduta, riguardano l’applicazione al centro storico di “un rigoroso criterio di restauro conservativo”; la ristrutturazione della zona di espansione meridionale, lungo via Bologna, in rapporto alle iniziative di prossima attuazione, zone di edilizia economica e popolare-Peep, al fine di individuare, se non una città policentrica per lo meno una espansione del centro direzionale della città verso sud; la ricucitura della zona di espansione settentrionale, verso Pontelagoscuro; la realizzazione di nuovi insediamenti abitativi e di servizi est, nella direzione di naturale espansione di attrezzature cittadine di alto interesse quali l’Università degli Studi e le attrezzature ospedaliere e sanitarie; la riorganizzazione della zona di espansione occidentale, verso Porotto. Sulla base di questi assunti programmatici, nella successiva seduta consigliare dell’1 luglio 1968 l’incarico per la redazione della variante è
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assegnato a una sezione dell’Ufficio tecnico comunale con la consulenza, per la parte urbanistica, dell’architetto Leonardo. Come sottolinea Benevolo nella relazione del dicembre dello stesso anno, uno degli intenti del piano è dare nuovo equilibrio alla struttura insediativa urbana e territoriale contrastando l’idea di città lineare estesa verso nord implicitamente sottesa dal Piano regolatore generale del1960. È significativa, a questo proposito, la distribuzione delle aree scelte per il Peep. Alla figura della C aperta verso nord, verso le aree agricole e il Po, che caratterizza il piano del 1960 viene così contrapposta quella di un nuovo sviluppo lineare e policentrico a sud, parallelo all’asta del Po di VolanoCanale di Burana in direzione di Bondeno, di cui Ferrara potrà funzionare come nodo terminale di un segmento della striscia. Le infrastrutture stradali, ferroviarie e navigabili costituiscono la spina dorsale di un nuovo sistema che attraversa il territorio, innervandolo di attrezzature e servizi. Decentramento e policentrismo rappresentano così i principi su cui si fonda questa proposta. 1972/1985 I PEEP 128
Lo strumento dei Piani di zona per l’edilizia economica e popolare (Peep), promulgato dalla legge n. 167 del 1962, è tempestivamente applicato a Ferrara coprendo l’86% del fabbisogno calcolato sulla base delle nuove indicazioni di legge. Le zone individuate sono quelle di via Bologna, via Foro Boario, stazione Fs, Doro, Borgo Punta, via Frutteti, via Pomposa e via G. Fabbri. Di tutti i Peep adottati nel 1963, nel 1964 ne sono approvati solo alcuni quelli di via Bologna, via Foro Boario, stazione e via Pomposa, ai quali si dà subito attuazione. Il 3 gennaio 1978 viene approvato dalla Regione la Variante al PRG, nel successivo 1979 il Consiglio Comunale approvava l’ultima variante ai PEEP, che, coerentemente con quanto indicato nel nuovo PRG, veniva definita come decentramento dei programmi sul territorio comunale e non più solo delle lottizzazioni fuori porta. Studio per la Variante generale al piano regolatore, 1972 (studio) Senza soluzione di continuità con il primo studio, una nuova fase di lavori di revisione del piano regolatore generale prende avvio il 17 dicembre 1971. Nel corso dell’elaborazione degli studi, è subentrato a Leonardo Benevolo l’architetto Carlo Melograni. La strategia argomentativa utilizzata per illustrare le scelte urbanistiche del piano è quella di partire dal loro inquadramento nel più ampio programma di
interventi nel marzo del 1973 dalla neo-formata Regione. La ricerca di un nuovo equilibrio nella fascia cispadana è connesso con lo sviluppo delle direttrici nord-sud che ad intervalli la collegano con la via Emilia. Una delle più importanti di tali direttrici passa per Ferrara, in corrispondenza dell’autostrada Bologna-Padova. In tal senso, un ruolo centrale è assegnato alla ristrutturazione dei quartieri periferici posti a corona del centro storico: a occidente, dove la presenza degli insediamenti industriali ha contribuito al peggioramento delle condizioni abitative, ma soprattutto a sud, lungo la via Bologna, dove si prevede la localizzazione, oltre alle nuove aree di espansione, dei servizi a livello urbano preposti a ristrutturare la zona, configurandola non come periferia subalterna, ma come parte integrante della città, e a consolidare la linea di sviluppo indicata dal tronco est-ovest della grande viabilità. A nord, dalla cinta delle mura fino al Po, è previsto un grande parco urbano, mentre verso oriente si realizzeranno i servizi necessari a razionalizzare le espansioni ormai realizzate, collegandoli in un sistema che possa eventualmente congiungersi con l’altro sistema di servizi, previsto nella zona periferica meridionale, per confluire tutti e due in una fascia verde lungo il Po di Primaro”. Variante al piano regolatore relativa all’edificazione nelle zone rurali e ai centri urbani del forese, 1975 (approvata) Tra gli aspetti più dibattuti della proposta di variante parziale è l’eccessivo e indiscriminato abbassamento degli indici di edificabilità nella zone rurali che frenerà gli agricoltori dall’abitare sul proprio fondo, ai cui si affianca d’altra parte la trasformazione di alcune di tali zone in aree di espansione. Variante generale al piano regolatore, 1977 (approvata) La variante pone l’assunzione, con alcune modifiche, dello schema della grande viabilità urbana costituito da due assi tangenziali, uno in direzione nord-sud parallelo all’autostrada e l’altro in direzione est-ovest. Lo sviluppo della rete commerciale e delle attività direzionali nella fasce meridionali, occidentali e orientali esterne al centro storico, prosegue in quei punti del territorio che garantiscono il massimo di accessibilità, sia urbana sia territoriale. La concentrazione della nuova edificazione, da realizzare in gran parte con interventi Peep, ancora una volta lungo la direttrice est-ovest della grande viabilità, in particolare nell’area aeroporto e il suo utilizzo come riqualificazione degli insediamenti periferici. Intorno al centro antico, a est non è prevista alcuna espansione notevole, ma il completamento di servizi mancanti, a livello urbano e di quartiere.
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Verso nord, dalle mura al Po, il grande parco territoriale. A ovest, una fascia riorganizzata di insediamenti produttivi. A sud, infine, la parte moderna dove la funzione prevalente dell’abitare si integra, in un giusto rapporto, con altre funzioni della città.
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Variante al piano regolatore relativa al territorio comunale ad esclusione del centro storico, 1985 (approvata) La variante posiziona la maggior quantità del fabbisogno abitativo all’interno delle aree di espansione già definite dal piano del 1977, assoggettate a Peep o a piani particolareggiati quindi meglio controllabili sotto gli aspetti edilizio e urbanistico. L’intento è di non dilatare le “periferie a macchia d’olio”, ma di agire sulle aree libere interne al centro urbano, laddove appare più necessario un intervento di riqualificazione. Le principali espansioni sono così localizzate nella zona Barco-Pontelagoscuro, a est di Porta Mare e nei borghi S. Giorgio, Quacchio e Pontegradella. Per quanto riguarda il settore a sud delle mura, assumendo le disposizioni già contenute nella variante Peep del 1982, si prevede la ridistribuzione dell’ingente quota di 1.875 alloggi che il piano regolatore del 1977 aveva concentrato nell’area dell’aeroporto, area che la nuova variante adibisce ad attrezzature per il tempo libero. La variante introduce previsioni relative alle aree fieristiche e al servizio della attività produttive a ridosso della grande viabilità e del centro congressi. Venivano invece modificate le previsioni localizzative, individuando nella zona di via Bologna una cospicua area di circa 10 ettari per insediamenti artigianali, servizi e trasporti in adiacenza alla nuova tangenziale. La Variante inseriva anche due aree destinate ad attività fieristiche: una in connessione alla grande viabilità e una alle spalle del centro congressi, zona ex-Eridania per una superficie di circa 28 ettari. 1987 Verso la contemporaneità Progetto preliminare di piano regolatore, 1987 (studio) Per far fronte a questa nuova necessità, nella seduta della Giunta municipale del 20 gennaio 1987, l’Amministrazione comunale stabilisce di avvalersi per la redazione del nuovo strumento urbanistico di consulenti esterni da affiancare all’Ufficio di piano. Gli incarichi sono affidati ad alcuni professionisti, agli architetti Michele Pastore, Carlo Melograni, Carlo Bassi e all’ingegner Carlo Monti. L’aspetto più innovativo rispetto alla pianificazione precedente è la
scomposizione di tutto il tessuto urbano in parti, alle quali viene assegnato un valore insieme conoscitivo e progettuale. Vengono identificati quattro grandi quadranti, a nord il parco urbano, a ovest le grandi linee di comunicazione e gli insediamenti industriali, a sud la massiccia espansione residenziale di via Bologna, a est gli insediamenti residenziali discontinui tra città e campagna. È tuttavia il quadrante orientale quello in cui sono concentrate le maggiori ipotesi di cambiamento, legate all’insediamento di nuove residenze. 1995 L’ultimo PRG Piano regolatore generale, 1995 (approvato) Per la zona a est, pur mantenendo l’ipotesi di localizzare in questa parte le nuove espansioni residenziali si intendono limitare ulteriormente le previsioni quantitative, caratterizzando i nuovi insediamenti con una configurazione fisica che promuove la funzione di limite alla città ad essi assegnata.
I quartieri periferici: popolazione e servizi 02.2.2 131
Infrastrutture tecnologiche e della mobilità. Ai tracciati stradali esterni alle mura, sono stati aggiunti nell’analisi soltanto due strade interne al centro storico, in quanto attraversandolo completamente con dei rettilinei, assolvono anche la funzione di connessione tra le aree periferiche. Si tratta dei due assi, quello più a nord asse di sviluppo dell’Addizione erculea, attuale Porta Po-Biagio Rossetti-Porta Mare, e quello più a sud, corso Cavour-corso Giovecca. L’autostrada A13, di 113 km, collega Bologna a Padova, passando per altri due centri principali, che sono Ferrara e Rovigo. Il tracciato autostradale delimita la città ad una distanza notevole dal centro urbano. Un altro importante collegamento stradale è quello che collega Ferrara al mare, passando per il nuovo polo ospedaliero, che è stato collocato ad est della città. Il raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi delimita la città a sud e ha due importanti svincoli di raccordo con la viabilità urbana, uno a Chiesuol del Fosso, all’estremità di via Bologna, l’altro poco più a est, in corrispondenza della Strada Statale 16 Adriatica, in direzione Ravenna. A sud, l’espansione della città ha seguito l’andamento della via Bologna
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Comune di Ferrara, Annuario Statistico, 2012
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sviluppandosi attorno ad essa con una logica quasi scientifica di “distanza dal centro”. A nord, l’asse principale della mobilità è quello di via Padova in direzione nord e di via Modena in direzione ovest. In direzione est è assente un asse viario predominante. La strada principale rimane quella parallela al tracciato delle mura storiche, via Colombarola, via Caldirolo, via Gramicia e via Riccardo Bachelli: si tratta di una prima circonvallazione di tipo urbano che unisce via Ravenna (in zona San Giorgio) fino alla stazione ferroviaria. Tre strade extraurbane di attestamento raggiungono la città, portandosi dietro delle appendici residenziali, le più antiche della parte est della città: via Comacchio (attuale collegamento verso il nuovo polo ospedaliero), via Pomposa e via Copparo. A Ferrara non esiste una strada di circonvallazione continuativa, ma frammentata in più tratti: il primo a est, via Lanfranco Caretti, il secondo a sud, via Wagner- via Beethoven-via Ferraresi. Anche le aree per infrastrutture tecnologiche sono state evidenziate in quanto elementi “incongrui” all’interno del paesaggio: spesso ai confini dell’abitato o ricavati all’interno delle trame dei campi agricoli, si configurano come enclaves inaccessibili. Le aree produttive e le aree artigianali, sono aree del tessuto urbano monofunzionali, caratterizzate da tipologie edilizie omogenee. Le principali sono: la grande area dell’industria petrolchimica a nord-ovest, l’area artigianale San Giorgio ad est, e un grande comparto artigianale, con funzione mista a residenza a sud-ovest di via Bologna. Circoscrizioni e popolazione. Dalla riorganizzazione delle circoscrizioni avvenuta nel 2009, Ferrara ha raggruppato le sue circoscrizioni nel numero di quattro: Circoscrizione 1, Centro cittadino e Giardino Arianuova Doro, Circoscrizione 2, Via Bologna e Zona Sud, Circoscrizione 3, Zona Nord e Zona Nord Ovest, Circoscrizione 4, Zona Est e Zona Nord Est. Nonostante l’eliminazione delle circoscrizioni amministrative avvenute quest’anno, rimangono comunque delle suddivisioni utili per configurare spazialmente certi dati, come quelli della popolazione. Infatti, le tre espansioni della città presentano delle situazioni diversificate, oltreché a livello morfologico, anche a livello demografico e sociale. Nonostante la popolazione, sull’intero territorio comunale, si aggiri oggi attorno ai 133.959 abitanti, i dati analizzati suddivisi per circoscrizione sono aggiornati al 2012, quando la popolazione ammontava a 134.881 abitanti. Di questi, la popolazione urbana è pari a 94.564 abitanti, mentre quella che risiede nel resto del territorio comunale 40.317 abitanti (la Circoscrizione 1
01
02
03 01. aree sportive e parchi di quartiere 02. attività culturali, associative e politiche e luoghi per il culto 03. attività commerciali
è considerata interamente come “urbana”). La seconda circoscrizione con il maggior numero di popolazione urbana è quella Sud, nella percentuale del 64,4% e con 25.447 abitanti urbani. La circoscrizione con il numero maggiore di cittadini giovani (0-14 anni) è la Sud, con 4.293 abitanti tra gli 0 e i 14 anni, mentre la più giovane è la Est, con una percentuale di popolazione giovane pari all’11,1%. Per quanto riguarda gli anziani (oltre i 65 anni), il numero maggiore si riscontra nella circoscrizione Sud, con 10.780 abitanti. La più vecchia in percentuale è invece, anche se per poco, la circoscrizione centrale. Gli stranieri sono numerosi nella circoscrizione centrale (13,3%) e nella Sud (9,4%). 04
05
06 04. istruzione 05. pubblica amministrazione, sanità e servizi di assistenza 06. dotazioni di parcheggi
Circ. 1
Circ. 2
Circ. 3
Circ. 4
Abitanti
35.437
39.504
24.834 30.097
Abitanti urbani
35.437
25.447
13.611 20.069
Abitanti urbani (%)
100
64,4
54,8
57,2
Abitanti 0-14 anni
3.296
4.239
2.742
3.920
Abitanti 0-14 anni (%)
9,3
10,7
11,0
11,1
Abitanti oltre 65 anni
10.023
10.780
6.676
8.886
Abitanti oltre 65 anni (%)
28,3
27,3
26,9
25,3
Stranieri
4.961
3.709
2.081
1.441
Stranieri (%)
13,3
9,4
8,4
4,1
Concentrazione dei servizi. Tra i servizi analizzati rientrano: aree sportive e parchi di quartiere, attività culturali-associative-politiche e luoghi per il culto, attività commerciali, istruzione, pubblica amministrazione, sanità e servizi di assistenza e, in ultimo, dotazione di parcheggi. La dotazione di aree sportive, di parchi di quartiere e di parcheggi pubblici, presenta una concentrazione maggiore nei quartieri esterni alle mura rispetto al centro cittadino. Le attività culturali e politiche, sanità, pubblica amministrazione e servizi di assistenza presentano la concentrazione inversa, più presenti infra-moenia. L’istruzione si presenta diffusa in maniera omogenea, mentre le attività commerciali sono quelle che presentano la distribuzione più disomogenea, concentrandosi lungo i principali assi stradali: in particolare, l’asse che da via Bologna si addentra fino nel centro cittadino e l’asse di via Modena.
135
02.2.3 La rete della viabilità pubblica e privata
Morfologia dei tracciati e degli insediamenti. All’interno del vasto territorio comunale, gli insediamenti si caratterizzano per la loro relativa compattezza. I fenomeni di diffusione e dispersione insediativa sono relativamente ridotti e il paesaggio rurale, pur sottoposto a processi di trasformazione, si presenta ancora poco urbanizzato. Rispetto ad altre aree della valle padana, ad altri territori caratterizzati da un’industrializzazione e urbanizzazione diffusa, Ferrara presenta ancora insediamenti compatti e si differenzia dal modello insediativo che ha connotato la via Emilia, la costa adriatica, molte parti del Veneto e del nordest più in generale. Ai sistemi che caratterizzano il paesaggio, rete idrica e altimetrie, corrisponde una precisa geografia insediativa che, ancora oggi, privilegia questi lievissimi rilievi, su cui centri, nuclei e case sparse si stabiliscono. Anche il reticolo delle strade di collegamento tra i centri privilegia i paleoalvei o i dossi dei fiumi attivi, costituendo anche un’importante rete di emergenza in caso di allagamenti. 136
La rete ferroviaria provinciale. Le linee ferroviarie che collegano Ferrara al resto del territorio provinciale sono quattro: la Ferrara-Suzzara verso ovest, la Ferrara-Codigoro, verso est, la Ferrara-Rimini che collega Ferrara al mare, e la Bologna-Padova, tracciato ferroviario a scala nazionale che ospita anche la rete dell’alta velocità, che intercetta Ferrara in direzione nord-sud. Trasporto pubblico. Le linee di autobus urbani che attraversano la città di Ferrara sono otto e offrono la possibilità di raggiungere anche le frazioni della prima corona. Linea 1
Via Frutteti - Stazione F.S.
Linea 2
Viale Olanda - Barco - Indipendenza
Linea 3
Stazione F.S. - Corso Martiri - Stazione F.S.
Linea 4
Stazione F.S. - Piazza Travaglio - Stazione F.S.
Linea 5
Porotto - Stazione F.S. - Ospedale di Cona
Linea 6
Malborghetto - Viale Cavour - Via Trenti
Linea 7
Stazione F.S. - Pontegradella/Via Mongardi
Linea 9
S.M. Maddalena/Vallelunga - Stazione F.S. - Chiesuol del Fosso/Ospedale San Giorgio
Traffico veicolare. Da dati del 2003, la percentuale di strade urbane che raggiungono la saturazione è pari al 7,8%, con una lunghezza di 17,7 km. In particolare, le carreggiate stradali più congestionate sono quelle che consentono l’ingresso al centro storico: il nodo via Bologna-piazzale Kennedy, via Riccardo Bachelli, tra le mura e il Parco Urbano, via ModenaStazione F.S., via Ferraresi-viadotto di via Aroldo Bonzagni, via Ravennaarea San Giorgio. I mezzi più utilizzati per gli spostamenti quotidiani sono l’automobile al 39,9% e la bicicletta al 26,7%. Il 13,9% della popolazione si sposta a piedi. Il 15,8% della popolazione si sposta utilizzando i mezzi pubblici: l’autobus al 13,0% e il treno soltanto al 2,8%. In totale, la percentuale di popolazione che utilizza mezzi di spostamento sostenibili, a piedi, in bici o con i mezzi di trasporto pubblici, si aggira attorno al 56,4%. La durata media di ogni spostamento è di 15 minuti. La maggioranza della popolazione, il 39,9%, compie spostamenti quotidiani che non superano i 2 km, mentre solo il 2,7% della popolazione compie degli spostamenti che superano i 50 km. 137 Le tipologie di tessuto dei quartieri periferici 02.2.4 Centri a rete provinciale. Tra i centri del territorio provinciale, Ferrara è l’unico che può vantare di una rilevanza a scala regionale. Altri centri di maggiore importanza per dimensioni e popolazione sono: Cento, Copparo, Codigoro, Portomaggiore e Argenta. Unioni e fusioni tra Comuni. I Comuni del territorio provinciale di Ferrara sono 22, compreso quello del capoluogo. Soltanto uno è il risultato recente di una fusione: il comune è stato istituito a partire dal 1 Gennaio 2014, è un comune di 9.390 abitanti nato dalla fusione dei Comuni di Massa Fiscaglia, Migliarino e Migliaro. Partendo da est, le unioni dei comuni già ufficializzate si registrano: Unione del Delta Ferrarese, che comprende i comuni di Codigoro, Goro, Lagosanto, Mesola e Fiscaglia; Unione Terre e Fiumi, che comprende i comuni di Copparo, Berra, Jolanda di Savoia, Tresigallo, Formignana e Ro, Unione Valli e Delizie, che comprende i comuni di Ostellato, Portomaggiore
138
139
140
Ami, Indagine sulla mobilitĂ locale a Ferrara, settembre 2013
e Argenta. Infine, l’Unione Alto Ferrarese in attesa di ufficializzazione, che comprende i comuni di Bondeno, Vigarano Mainarda, Mirabello, Sant’Agostino, Poggio Renatico e Cento. Frazioni limitrofe. Le frazioni limitrofe, che è possibile definire come frazioni della prima cintura a Ferrara fanno parte a tutti gli effetti dell’agglomerato urbano. Le frazioni ad est sono: Malborghetto di Boara (1,6 km), Pontegradella (1 km) e Aguscello (2 km). Troviamo poi Pontelagoscuro a nord, a 1,7 km da Ferrara, Porotto-Cassana a ovest, a 1,7 km, e Chiesuol del Fosso a sud, a 0,5 km di distanza. Tessuti periferici. Nell’urbanizzato periferico gli edifici non risultano più disposti lungo la strada che si definisce come uno spazio scavato nel volume del costruito, ma al centro dei lotti, o talvolta di macrolotti composti da più edifici (residenziali o produttivi). All’interno dell’area extra-moenia ferrarese è possibile distinguere 6 tessuti insediativi che si distinguono tipologicamente dal tessuto del centro storico. Griglia regolare
Gli edifici si dispongono in isolati di forma regolare generati dalla griglia stradale regolare.
Griglia irregolare Gli edifici si dispongono in isolati di forma generalmente rettangolare, ma la griglia stradale in cui si inseriscono non è di tipo regolare, bensì irregolare, pur mantenendo una certa ortogonalità. Questo comporta che gli isolati abbiano tutte delle dimensioni diverse tra loro. Aggregati liberi
Gli edifici sono grandi aggregati, come stecche, torri, schiere, disposti irregolarmente all’interno di isolati che seguono la forma della rete stradale, spesso con andamento non ortogonale.
Grandi oggetti
Si tratta di grandi contenitori inseriti all’interno di aree urbane libere, occupate nella maggior parte dei casi da parcheggi.
Lottizzazione
Conformazione tipologica tipica delle aree urbanizzate più di recente e caratterizzate dalla disposizione di edifici residenziali di tipo unifamiliare o a schiera, collocati ai bordi di una rete stradale di quartiere molto fitta, che si spinge a collegare ogni edificio, che generalmente dispone di un’area verde esterna privata, filtro tra questo e la strada.
Ambiti isolati
Gli edifici sono le case isolate del territorio rurale, collocate ai bordi delle strade di campagna, generalmente residenza dei proprietari dei terreni limitrofi.
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griglia regolare
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Progetti in corso e previsioni di sviluppo 02.3
La periferia rappresenta, in organismi urbani caratterizzati da cuori densi, costosi e relativamente statici, il contesto spaziale e lo strumento attraverso cui si svolge continuamente e incrementalmente la ricerca di nuove piste di sviluppo della città. La periferia è in questo senso la porzione di città più ricettiva al cambiamento imposto alle forme urbane dall’evolversi dei modi di produrre, distribuire e consumare; ma è anche, di conseguenza, la più inerme nei confronti dei costi che questo processo impone: “luogo dove resta, incarnata in vuoti e rovine, una lunga scia di fallimenti, di progetti incompiuti, di relitti lasciati da fasi precedenti di sviluppo (luogo privilegiato del cambiamento e sua vittima sacrificale)”. (Giammarco, Isola, 1993) Analizzare il margine urbano significa analizzare qualcosa di dinamico, in continua trasformazione, senza una forma stabile. La città presenta oggi una forma che domani potrà essere già mutata. Tra le grandi trasformazioni che Ferrara ha vissuto nel corso della sua storia, si propongono quelle ritenute più importanti, come lo sviluppo dell’età moderna (adeguamento del tessuto urbano, costruzione delle reti ferroviarie, ecc.), lo sviluppo industriale, la pianificazione dei PRU e il recente trasferimento del polo ospedaliero fuori dal centro cittadino. Le trasformazioni di oggi, altro non sono che progetti a lungo termine non ancora terminati e cantieri in corso. Progettare in un ambito in trasformazione, è operazione rischiosa, perché non esiste un vero e proprio stato di fatto cristallizzato, ma allo stesso tempo è l’unica possibilità d i “lavori in corso” in una visione unitaria del cambiamento e di limitarne gli impatti negativi.
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02.3.1 Cronologia: Ferrara e le principali trasformazioni urbane
1859/1911-13 La prima pianificazione – 1936/1949 Sviluppo industriale e ricostruzione – 1960-68 Espansione est – 1990/1997 I centri commerciali – 1998 I PRU –2012 Trasferimento del polo ospedaliero
1859/1911-13 La prima pianificazione
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Nel 1859 è realizzata la stazione ferroviaria nel settore occidentale della città appena fuori le mura, lo stesso anno ha inizio la demolizione, conclusasi nel 1865 della fortezza pontificia situata nel vertice sud-ovest della cinta muraria. Nel 1862 viene inaugurata la linea Ferrara-Bologna, in quanto rientrante nel progetto regio di unire non solo fisicamente ma anche culturalmente e amministrativamente i nuovi territori del Regno, successivamente vengono inaugurate le linee Suzzara-Ferrara e Ferrara-Rimini nel 1888. Nel 1862 viene terminata anche la stazione ferroviaria e il relativo viale Cavour, con conseguente tombamento del canale Panfilio. L’abbattimento della fortezza pontificia nel 1859 consente di liberare una vasta area a sud-ovest della città, la quale assumerà notevole importanza soprattutto nel campo della pianificazione territoriale agli inizi del Novecento, grazie anche alla presenza di opere importanti per la città sorte nelle vicinanze come la stazione ferroviaria, terminata nel 1862, e il rifacimento di Viale Cavour insieme alla costruzione di numerosi villini borghesi. Sul piano urbanistico assumono rilevante importanza i piani redatti da Ciro Contini fra il 1911 e il 1913. Mai ufficialmente adottato approvato, questo piano di fatto guiderà la crescita urbana successiva. 1936/1949 Sviluppo industriale e ricostruzione La decisione di creare una zona industriale a Ferrara è presente nel decreto legislativo n. 2455 del 26 dicembre 1936, vengono dichiarate di pubblica utilità le opere occorrenti per l’impianto e l’esercizio di una zona industriale nel territorio del Comune di Ferrara, compresa tra il Po, la strada nazionale Ferrara - Bologna, la linea delle vecchie mura cittadine, il viale Battisti e la strada comunale di San Giacomo. Sono inoltre dichiarate di pubblica utilità le opere occorrenti per l’ampliamento della darsena fluviale di San Paolo sul Volano in Ferrara. Dopo questi primi tentativi di insediamento industriale, per tutta la seconda metà dell’Ottocento e principalmente dopo l’inaugurazione della ferrovia, la
zona sud-occidentale della città fuori le mura divenne luogo preferenziale per l’erezione delle industrie. Nel 1886 in occasione dei lavori di sistemazione del Canale Volano ad emissario della bonifica del Burana e in sostituzione del vecchio scalo presso Porta Reno venne costruita l’attuale Darsena sul Canale di Burana. Dopo gli impianti di Codigoro e di Pontelagoscuro, a Ferrara si impiantano lo Zuccherificio Agricolo Ferrarese e il Bonora nell’immediato fuori mura. Lo Zuccherificio Agricolo Ferrarese, a tutti noto con il nome che assunse nel 1930 di Eridania, sulla strada dell’Arginone, fu inaugurato nel settembre del 1900. Nel 1940 allo sbocco di Corso Isonzo, sul nuovo piazzale della Darsena, si costruiscono con progetto dell’Ing. Carlo Savonuzzi i Magazzini Generali e il Mercato Ortofrutticolo, il più avanzato architettonicamente e distributivamente del tempo. Le industrie di trasformazione come canapifici, zuccherifici, distillerie e fabbriche di sapone, trovarono a Pontelagoscuro, per la vicinanza del Po, la prima idonea e conveniente localizzazione, perlomeno fino a quando non fu inaugurato il nuovo collegamento fluviale con la città attraverso il canale Boicelli, che andava a sostituire l’ormai inadeguato canale Panfilio. La costruzione della zona industriale Boicelli è voluta dal regime fascista per offrire un incentivo all’insediamento di alcune grandi industrie del settore chimico, cartario e della gomma. Ferrara è una delle prime città che si è dotata di un’area industriale pianificata, addirittura per decreto. Oggi non possiamo non sottolineare la grande razionalità urbanistica di quell’impresa, ideata dall’Ingegnere Capo Girolamo Savonuzzi, con la supervisione di Coen Cagli, già artefice della Zona Industriale di Marghera, che fondeva in un unico insieme la rete infrastrutturale della strada, della ferrovia, della idrovia con la maglia lineare della zonizzazione, della partizione in lotti per l’industria lontana dalle abitazioni, il grande senso di ordine e di unitarietà che permeava gli oggetti edilizi delle fabbriche, dei magazzini, degli scali, e la minuzia della ricerca formale applicata al singolo oggetto. La Zona Industriale in quegli anni era ancora vista come parte integrante della città e non venne mai meno una concezione pianificata della stessa, così si impedì quella deleteria diffusione a “macchia d’olio” che aveva caratterizzato tante altre realtà. Per la realizzazione del “Piano Generale di massima per il Risanamento del Rione San Romano ed il piano di sistemazione del rione Arianuova” si utilizzarono quelli che Contini definì “mezzi per l’attuazione del Piano
147
Regolatore”, vale a dire la dichiarazione di pubblica utilità, approvata a Ferrara nel 1936. Il Piano di Ricostruzione della città di Ferrara venne approvato nel 1949. All’inclusione del quartiere Arianuova nel P.d.R. doveva seguire quella di altre due zone urbane: quella attorno alla stazione ferroviaria, e quella attorno alla caserma di via Palestro. Gli studi particolareggiati del quartiere Arianuova furono approvati il 5 giugno del 1950, anche in virtù della eccezionale consulenza dell’architetto Giovanni Michelucci; i piani degli altri due quartieri, incentrati sulla sistemazione viaria ed edilizia per meglio sfruttare le aree edificabili, vennero approvati il 14 dicembre del 1954. Il piano si occupò in particolare della frazione di Pontelagoscuro, in quanto questa era stata fortemente sollecitata dagli industriali. 1960-68 Espansione est
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La città di Ferra con la promulgazione della legge n.167 del 1962 avvia un consistente e tempestivo programma per soddisfare il fabbisogno calcolato sulla base delle nuove indicazioni di legge. Tra le zone individuate ci sono anche il quartiere Borgo Punta, via Frutteti e via Pomposa. Nel 1963 e nel 1964 ne sono approvati solo alcuni fra cui quello di via Pomposa, verranno messi subito in attuazione. Nel 1968 Benevolo nella sua relazione afferma che uno degli intenti del piano è dare nuovo equilibrio alla struttura insediativa urbana e territoriale contrastando l’idea di città lineare estesa verso nord implicitamente sottesa dal Piano regolatore generale del1960. È significativa, a questo proposito, la distribuzione delle aree scelte per il Peep. In particolare nella parte orientale verranno costruiti gli insediamenti residenziali discontinui tra città e campagna, e verranno realizzati i servizi necessari a razionalizzare le espansioni ormai realizzate, collegandoli in un sistema che possa eventualmente congiungersi con l’altro sistema di servizi, previsto nella zona periferica meridionale, per confluire tutti e due in una fascia verde lungo il Po di Primaro”. Nel 1987 sarà proprio il quadrante orientale quello in cui sono concentrate le maggiori ipotesi di cambiamento, legate all’insediamento di nuove residenze. Il Piano Regolatore del 1995 prevede per la zona a est di mantenere l’ipotesi di localizzare in questa parte le nuove espansioni residenziali, ma al tempo stesso di limitare ulteriormente le previsioni quantitative, caratterizzando i
nuovi insediamenti con una configurazione fisica che promuove la funzione di limite alla città ad essi assegnata. 1990/1997 I centri commerciali A Ferrara sono presenti due centri commerciali costruiti nei primi anni ‘90, sono stati grossi promotori delle aree a loro adiacenti. Nel 1990 viene inaugurato il centro commerciale “il Castello” sito in via Richard Wagner nella parte meridionale della città. Il complesso commerciale è collocato in un’ottima posizione, all’incrocio dell’asse principale estovest della strada statale 16 adriatica con l’asse nord-sud di via Bologna, attualmente la statale 16 è interessata dalla costruzione del nuovo svincolo della nuova circonvallazione ovest. Nel 1997 viene aperto il secondo centro commerciale “Le Mura”, sito in via Copparo nella parte nord-est fuori le mura della città. Entrambi i centri commerciali sono situati vicino ai grandi quartieri residenziali, il primo nei pressi del quartiere cresciuto ai lati dell’asse viario di via Bologna, mentre il secondo a nord dell’espansione residenziale ad est della città. 1998 I PRU I PRU, programmi di riqualificazione urbana promossi nella Regione EmiliaRomagna con la legge 19/1998, sono finalizzati a incidere sulla qualità urbana dei quartieri a più forte disagio abitativo al fine di eliminare le condizioni di abbandono e di degrado edilizio ambientale e sociale e provvedere ad una più equilibrata distribuzione dei servizi all’interno dell’ambito in cui è localizzato l’intervento abitativo. I Programmi contengono azioni ed interventi tra loro integrati per il raggiungimento di alcuni obiettivi prioritari: incrementare la disponibilità di alloggi da offrire in locazione a canone sostenibile, privilegiando gli interventi di recupero del patrimonio esistente, e incentivando forme di cooperazione tra pubblico e privato; migliorare la dotazione infrastrutturale del quartiere e/o ambito urbano interessato dal programma; accrescere la qualità degli spazi pubblici; incrementare la pluralità delle funzioni insediate per migliorare la vitalità all’interno del quartiere e l’integrazione del quartiere con il contesto urbano; perseguire più elevati standard di sostenibilità ambientale sia mediante il risparmio di suolo non urbanizzato, sia attraverso il miglioramento dell’efficienza energetica, il contenimento delle emissioni climalteranti e l’utilizzo di sistemi innovativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
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A Ferrara sono stati individuati sei principali ambiti. Le Mura. La cinta muraria e le aree verdi ad essa adiacenti come cerniera tra il centro storico e il resto della città. Il Po di Volano. Ambito urbano compreso tra le mura e il fiume con particolare attenzione alle zone in cui sono dislocate le aree industriali dimesse quelle dell’ex mercato ortofrutticolo, dell’ex carcere e dell’ex rimessa dei tram, e i terminali del trasporto pubblico come la ferrovia metropolitana, i bus urbani ed extraurbani. San Rocco. Ambito urbano centrale comprendente l’ex caserma Pozzuolo del Friuli e il complesso dell’Arcispedale Sant’Anna. Via Bologna. Ambito urbano compreso tra le linee ferroviarie Ferrara Codigoro e Ferrara Rimini caratterizzato da un degrado edilizio e funzionale e dall’esigenza di ridefinire la viabilità locale e di attraversamento. Zona industriale Boicelli. Zona compresa tra l’ambito del Po di Volano e il quartiere Barco, caratterizzato dalla presenza di numerose aree industriali dimesse come l’ex Toselli, il Consorzio Agrario Provinciale e il Solvay. Quartiere Barco. Ambito situato a nord del centro storico, in prossimità delle zona industriale del petrolchimico, caratterizzato dalla presenza di un quartiere IACP. 2012 Trasferimento del polo ospedaliero Nel 2012 il polo ospedaliero Sant’Anna viene trasferito a Cona, piccolo nucleo urbano sito nella parte orientale del territorio comunale. Questo cambiamento ha comportato non poche modifiche all’assetto urbano della città, il vecchio polo ospedaliero deve ritrovare una sua identità funzionale, mentre la parte orientale della città ha dovuto fare i conti con l’aumento dei flussi negli accessi orientali alla città e il maggior appeal dei quartieri attestati sugli assi di via Comacchio e di via Pomposa. Per il momento i collegamenti pubblici vengono forniti dall’autobus n.6 e dalla tratta ferroviaria Ferrara-Codigoro.
02.3.2 I progetti in corso e in attuazione
Aree di nuova espansione – Progetto “Tangenziale Ovest” – Progetto “Infrastruttura ferroviaria” – Progetto “Idrovia ferrarese”
Aree di nuova espansione Comparti di attuazione POC. Le principali aree di trasformazione in campo edilizio della città di Ferrara sono localizzate proprio lungo il margine urbano. Per avere un quadro delle dinamiche di espansione che interesseranno le aree periferiche è necessario analizzare il Piano Operativo Comunale, approvato nel 2013, che definisce i comparti di attuazione, con valenza di permesso di costruire fino all’approvazione del POC successivo. sul territorio comunale, il percorso ad evidenza pubblica e competitivo attivato dall’Amministrazione e la successiva fase negoziale hanno condotto alla sottoscrizione di 40 accordi che complessivamente coinvolgono le seguenti capacità edificatorie: una capacità edificatoria a destinazione residenziale 151.000 mq di su per complessivi, 1.754 alloggi articolati tra alloggi privati e alloggi destinati all’edilizia sociale; una capacità edificatoria terziaria e commerciale pari a 63.000 mq di sul; una superficie territoriale ad uso produttivo pari a 308.000 mq. Di questi, solo quelli rappresentati si trovano in prossimità dell’agglomerato urbano. Costruzione e mercato della residenza. La costruzione di nuovi fabbricati residenziali ha avuto un calo dal 2007 al 2012. Le circoscrizioni nelle quali sono stati costruiti i volumi maggiori sono la circoscrizione 4 con un picco nel 2008 (67.087 mc) e la circoscrizione 2 con un picco nel 2007 (110.419 mc) e nel 2008 (38.199). In totale, si è passati dalla costruzione di 243.672 mc nel 2007 a 35.664 volumi nel 2012. L’indice di intensità del mercato immobiliare (IMI), che indica la quantità di volumi compravenduti in relazione allo stock di unità immobiliari oggetto di compravendita, si è quasi dimezzato scendendo dal 3,12% nel 2007 al 1,45% nel 2012 sempre in riferimento al mercato delle compravendite residenziali). Progetto “Tangenziale Ovest” La finalità dell’opera è il completamento della strada S.S. n° 64 “Porettana”, infrastruttura di collegamento fra via Ferraresi, via Modena, e la bretella di raccordo con la Superstrada Ferrara - Porto Garibaldi. Gli elementi fondamentali sono lo studio del tracciato, e l’adeguamento delle sezioni stradali, l’integrazione nel progetto delle opere d’arte già realizzate, l’adeguamento impiantistico, sotto il profilo illuminotecnico ed idraulico.
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Comune di Ferrara, Annuario Statistico, 2012
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http://www.progettoidroviaferrarese.it
http://www.fer-online.it/it
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Il tracciato prevede le seguenti fasi l’innesto con cavalcavia e svincolo del tipo “a trombetta” con la citata Superstrada Ferrara-Mare; lo svincolo con opera di scavalco del raccordo autostradale Ferrara Porto Garibaldi; lo scavalco della linea ferroviaria Bologna-Padova; lo svincolo a rotatoria fra l’asse tangenziale Est-Ovest e la bretella di collegamento al raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi; l’attraversamento in viadotto della Via Ferraresi con scavalco della linea ferroviaria Bologna-Padova; lo scavalco della linea ferroviaria Ferrara-Suzzara, del Canale Di Cento, e della Via Arginane; lo svincolo con innesto a rotatoria con la Strada Statale s.s. 496 “Virgiliana”. Il progetto è attualmente in fase di realizzazione e si prevede l’apertura prossima della nuova bretella stradale di circonvallazione della città. Progetto “Infrastruttura ferroviaria”
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Tre i punti salienti di questo progetto: la realizzazione di un passante ferroviario delle merci che colleghi direttamente la linea Ferrara Rimini con la linea Ferrara Suzzara sottopassando la linea Bologna Padova. Detto passante è già stato realizzato a meno del collegamento con le linee da interrare; l’interramento delle linee Rimini-Ferrara e Ferrara-Codigoro in ambito urbano ed eliminazione di tutti i passaggi a livello. In particolare il passaggio a livello di via Bologna che da sempre si connota come l’interferenza più problematica per la città ferrarese; la realizzazione di tre fermate urbane quella dell’Aleotti, di via Bologna e della zona Rivana. Da febbraio 2011 è in funzione il raccordo provvisorio collegante la linea Ferrara-Rimini alla Ferrara-Codigoro, sul quale è quindi stato deviato il traffico ferroviario da/per Rimini, in modo da liberare il sedime della linea Ferrara-Rimini in modo da poter procedere con lo scavo della galleria. Lotto 1. Si occupa della realizzazione delle nuove infrastrutture della viabilità stradale e ferroviaria in corrispondenza del nuovo polo ospedaliero di Cona, della progettazione e realizzazione delle nuove fermate suburbane come ad esempio quelle della Stazione Ferrara Centrale, del polo scientificotecnologico, di via Boschetto, di San Bartolo, della Città del ragazzo e del polo ospedaliero di Cona, delle modifiche agli impianti di segnalamento ed armamento ferroviario e dell’eliminazione dei passaggi a livello ad esempio quelli di Via Ravenna, Via Boschetto, Via San Bartolo, Via Ricciarelli, Via Fiaschetta e della conseguente realizzazione di opere sostitutive per la viabilità.
Ad oggi tutti questi interventi sono stati per lo più completati, solo alcune nuove stazioni non sono ancora del tutto utilizzate. Importo totale intervento (euro)
16,4 mln
80,21%
Ministero dei Trasporti, finanziamento ex L. 211/92 “Interventi nel settore del trasporto rapido di massa”
11,93%
Comune di Ferrara
7,86%
FER srl, finanziamento ex L. 297/78
Lotto 2. Si occupa della realizzazione delle nuove fermate suburbane nel tratto Rivana-Aleotti, in particolare quella dell’Aleotti, di via Bologna e della Rivana, dell’interramento del tratto di ferrovia urbano, della realizzazione del raccordo provvisiorio in zona Rivana per poter spostare il traffico della linea Rimini-Ferrara sulla infrastruttura della linea Ferrara-Codigoro e del collegamento diretto tra la Ferrara-Suzzara e la Ferrara-Rimini, l’eliminazione dei passaggi a livello di Via Bologna e di via Boldrini. A seguito del terremoto che ha interessato la provincia ferrarese nel maggio 2012 il progetto originario autorizzato, per quanto riguarda il tratto interrato, necessita per il suo completamento di un adeguamento normativo alle nuove disposizioni in materia antisismica ed in tema sicurezza di gallerie ferroviarie emanate successivamente alla redazione del progetto esecutivo. Attualmente il progetto è al vaglio di RFI Bologna, tenuta ad esprimersi ufficialmente in quanto futura proprietaria della galleria ferroviaria, ed in esito alla formalizzazione del parere il progetto potrà essere inviato a Roma presso il citato Ministero. Per questo motivo, la realizzazione del progetto è oggi bloccata e le aree interessate dai lavori sono recintate ed inaccessibili. Importo totale intervento (euro)
41,8 mln
60%
Ministero dei Trasporti, finanziamento ex L. 211/92 “Interventi nel settore del trasporto rapido di massa”
18,51%
RFI spa
8,24%
FER srl, finanziamento ex L. 611/96
7,40%
Comune di Ferrara
5,85%
Comune di Ferrara e FER srl
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Progetto “Idrovia ferrarese” Il Progetto Idrovia Ferrarese consiste in una serie di interventi di riqualificazione e valorizzazione dell’asta navigabile che collega Pontelagoscuro a Portogaribaldi, al fine di trasformare il territorio circostante in una vera e propria risorsa culturale, turistica ed economica. A contraddistinguerne gli intenti è una visione che mette la comunità e la cittadinanza al centro della riqualificazione territoriale per innescare un modello di sviluppo economico e produttivo sostenibile e duraturo. Si tratta di un progetto promosso dalla Regione Emilia-Romagna, coordinato dalla Provincia di Ferrara e finanziato con fondi statali. Coinvolge 8 Comuni compresi nel territorio tra Ferrara e Comacchio e prevede oltre all’adeguamento delle vie d’acqua alla navigazione di navi di classe V ridotta europea anche la dotazione di nuove piste ciclabili e aree verdi e la realizzazione di nuove darsene e banchine d’attracco.
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Il tracciato del progetto generale dell’Idrovia Ferrarese, per un totale di opere finanziate pari a circa 145 milioni di euro, attraversa la Pianura ferrarese fino al mare, in un ambito di ricche tradizioni culturali e gastronomiche e di grande pregio naturalistico. Il corso dell’asta fluviale interessato dai lavori ha inizio dalla Conca di Pontelagoscuro nei pressi di Ferrara, oltrepassa poi la città estense e si immette, attraverso la pianura e le Valli di Comacchio, nel Mare Adriatico che bagna Porto Garibaldi e Lido degli Estensi, per un percorso totale di percorso fluviale di circa 70 Km. L’unione Europea ha inserito il sistema idroviario Padano-Veneto, a cui appartiene l’Idrovia Ferrarese, tra i grandi progetti d’interesse per lo sviluppo della rete trans-europea dei trasporti. Ispirandosi alle linee guida dettate dall’unione Europea l’Idrovia Ferrarese si impegna nella creazione di infrastrutture di gestione del traffico e nella creazione di un sistema interoperabile e intelligente di trasporto fluviale: l’obiettivo primario è quello di ridurre il traffico su gomma sollecitato dalla mobilità commerciale e incentivare una tipologia di mobilità fluviale sostenibile perfettamente integrata all’ambiente circostante. Il trasporto idroviario è il più proficuo e competitivo, rispetto ai trasporti merce stradali e ferroviari, sia in riferimento all’efficienza energetica sia alle ridotte emissioni inquinanti. I principali interventi riguardano: l’adeguamento e il risanamento del canale Boicelli a Ferrara, la riqualificazione delle sponde del Volano nel tratto
cittadino, l’adeguamento di altezza a 6.80 m dei ponti rispettiva della classe V di navigazione e l’adeguamento della luce fra le campate a 24 metri, il rifacimento dei ponti di Final di Rero, Migliarino, Ostellato e Valle Lepri ed infine la realizzazione di due porti fluviali, un porto fluviale marittimo e 14 ponti e opere complementari. Tutto il progetto si divide in cinque macro lotti: lotto 01 Ferrara suddiviso in tratto rurale, tratto urbano e tratto industriale, lotto 02 ponti del copparese, lotto 03 Final di Rero/Tresigallo, lotto 04 Arni/Ostellato e lotto 05 Valle Lepri/ Porto Garibaldi. I principali ponti sul Po di Volano da adeguare all’interno della città di Ferrara sono il ponte FS della linea Padova-Bologna, il ponte San giacomo, il ponte della Pace, il ponte di Porta Reno, il ponte Martiri della Libertà, mentre sul Canale Boicelli sono modificare il ponte Mizzana, il ponte FS merci e il ponte della Resistenza. Attualmente, per quanto riguarda i lotti urbani, la progettazione è ancora ferma alla fase definitiva.
Trasformazioni previste nella rete di spazi aperti 02.3.3 157
Si riportano nella tabella di seguito le principali azioni previste nella rete degli spazi aperti dagli strumenti di pianificazione vigenti, sia per quanto riguarda le reti della viabilità ciclo-pedonale che per quanto riguarda l’acquisizione di nuove aree da destinare a parco urbano o ad area di compensazione ambientale-ecologica. Le potenzialità individuate sono le seguenti: dal punto di vista dei sistema lineari, l’individuazione dell’asse della linea ferroviaria Bologna-Padova come infrastruttura verde di compensazione ecologico-ambientale, l’individuazione della corona agricola ad est della città come importante infrastruttura di paesaggio da riqualificare e potenziare; dal punto di vista degli interventi puntuali, la valorizzazione della relazione PontelagoscuroParco Urbano Bassani, la creazione di due nuovi parchi urbani ad est della città, il potenziamento della rete di parchi a sud della città con la creazione di una grande area attrezzata in corrispondenza dell’area dell’attuale aeroporto (del quale si prevede uno spostamento più a sud) e di un nuovo parco
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nell’area della Rivana. Le criticità riguardano principalmente la mancata individuazione del tratto urbano del Po di Volano come elemento strutturante del sistema del verde cittadino e la mancanza una connessione trasversale tra il verde di compensazione ambientale in corrispondenza della Bologna-Padova e l’area attrezzata a parco urbano a sud est e la mancanza della definizione unitaria di un sistema di Parco sud, che dall’area Sammartina si addentri fin nel centro storico passando per l’area Rivana.
02.3.4 Trasformazioni previste negli spazi costruiti
Si riportano nella tabella di seguito le principali azioni previste nella rete degli spazi costruiti dagli strumenti di pianificazione vigenti, sia per quanto riguarda i comparti residenziali e di servizio alla residenza, sia per i comparti produttivi. 160
Le potenzialità individuate sono le seguenti: la giusta indicazione di comparti da sottoporre a riqualificazione nelle aree della darsena cittadina, nei tessuti che si attestano su via Bologna e nell’area residenziale di via Wagner; l’individuazione delle aree intra-moenia della ex-caserma Palestro e dell’exSant’Anna come aree da destinare al soddisfacimento del fabbisogno residenziale; la previsione di incrementare le aree produttive all’interno del comparto già esistente a nord della città. Mentre tra le criticità, si rilevano quelle che sono aree di espansione, sia produttiva che residenziale e attinenti, incongrue con l’assetto paesaggistico individuato nella città, in particolare nella parte sud della città e lungo via della Canapa.
Rappresentano gli spazi pubblici o di uso pubblico destinati a parco e comunque attrezzati per lo svolgimento di attività Parchi urbani all’aperto.
Aree di compensazione boschiva
Rappresentano le aree destinate a formazione boschiva finalizzate alla mitigazione ambientale (riduzione dell’inquinamento dell’aria e acustico). La gestione e la realizzazione di tali aree secondo il disegno previsto possono avvenire, attraverso lo strumento dell’incentivazione, anche direttamente dai proprietari delle aree.
Aree boscate finalizzate alla mitigazione ambientale e alla costruzione di fasce di continuità ecologica e aree destinate a contenere i volumi d’acqua eccedenti le capacità di raccolta della rete di scolo esistente. Si prevede il ricorso a formazioni arboree miste con elevato grado di copertura (70-80%). Le aree non potranno consentire la fruizione libera. Le aree per la compensazione idraulica vanno realizzate come aree ribassate e gli invasi vanno adeguatamente Aree di compensazione collegati alla rete idrografica esistente. idraulica
Assi di connessione
Individuano gli spazi e i varchi destinati a favorire le relazioni funzionali e visive tra le diverse parti dei tessuti urbani. A tal fine, gli Assi di connessione dovranno essere realizzati come assi alberati, percorsi pedonali, ciclabili, o semplici varchi visivi.
Aree di riqualificazione paesaggistica e ambientale
Spazi agricoli ai quali il PSC affida il ruolo di recuperare il rapporto tra l’ambito urbano e quello rurale. Sono aree collocate prevalentemente ai margini degli ambiti urbani (aree agricole periurbane). All’interno di tali aree vanno garantite la conservazione e la valorizzazione dell’uso agricolo e il mantenimento degli elementi del paesaggio rurale.
Aree per attrezzature collettive
Aree destinate ad ospitare i principali impianti e opere destinati a servizi di interesse collettivo, necessari per favorire il migliore sviluppo della comunità e per elevare la qualità della vita individuale e collettiva.
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Nuovi tessuti per la residenza e le attività compatibili
Rappresentano le aree residenziali di nuova edificazione previste, in funzione del consolidamento dei tessuti urbani esistenti.
Tessuti da riqualificare per la residenza e le attività compatibili
Individuano le aree attualmente già edificate e per le quali si prevede la ristrutturazione urbanistica al fine di una loro sostanziale trasformazione.
Nuovi tessuti produttivi
Rappresentano le aree produttive di nuova edificazione previste, in funzione del consolidamento dei tessuti produttivi esistenti.
Tessuti da riqualificare per le attività produttive
Rappresentano principalmente l’area del Petrolchimico per la quale si prevede la ristrutturazione ambientale e produttiva prevista dall’Accordo di Programma.
Tessuti consolidati da riqualificare
Tessuti composti di case, villini e palazzine dove si registra l’assenza di un legame fra i tessuti urbani e i tipi edilizi, prevedendo, quindi, una decisa politica di ristrutturazione urbanistica.
Tessuti da sottoporre a riqualificazione urbanistica
Si considerano la fascia di insediamenti lungo il Volano, l’asse di via Bologna e la grande area dismessa dell’Eridania, che emergono come i nuovi condensatori, aree da assoggettare a ristrutturazione urbanistica e fondiaria, dove possono localizzarsi soprattutto le funzioni proprie di una nuova economia postindustriale.
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lettura strategica 03 Come andare a definire oggi il margine urbano della cittĂ ?
[Il margine contemporaneo] TAV05 TAV06
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«Il Po di Volano appartiene al paesaggio della mia infanzia. Il Po a quello della mia giovinezza. Laggiù vive una ragazza… non è nemmeno innamorata di me. Dove ho letto questa frase? Potrei farne il simbolo della nostra, mia e dei miei coetanei, giovinezza a Ferrara.» Michelangelo Antonioni, 1964
Esiste un margine contemporaneo? 03.1
La terza sezione del lavoro di ricerca nasce dalla volontà di voler indentificare il margine contemporaneo della città di Ferrara in quanto spazio urbano di progetto possibile per le strategie sullo sviluppo futuro della città. Gli strumenti di analisi sopra illustrati, hanno permesso di spostare lo sguardo al di là dei margini consolidati, sia in senso spaziale che nell’immaginario, della città. Si apre così un vasto territorio di ricerca, che ha lo scopo di individuare da cosa è delimitato il margine di oggi, per poi poter individuare scenari progettuali possibili per una sua valorizzazione, laddove necessaria. Il caso studio scelto, come più volte precisato, è quello della città di Ferrara. Si tratta di una città del nord Italia di medio-piccole dimensioni, che nonostante le appendici periferiche, è ancora possibile definire compatta, o mediamente compatta. Lo scopo di questa sezione, è quello di individuare un metodo di definizione del margine contemporaneo di una città, che, nonostante si consideri come “caso studio” Ferrara, possa essere replicabile in altre realtà urbane che presentano problematiche medesime o simili. Il capitolo successivo si occupa di definire problematiche e prospettive delle aree marginali e le teorie che hanno considerato il margine urbano come ambito interessante di studio. Le infrastrutture come barriera fisica tra l’agglomerato urbano e il paesaggio circostante, la riscoperta del paesaggio periurbano come paesaggio da valorizzare e la presenza di un sistema sconnesso di vuoti residuali, sono tre tematiche fondamentali per inquadrare le problematiche che riguardano il margine contemporaneo della città. Prima di passare a definirle, è necessario ricordarsi che una curiosità sorge nel momento in cui vi sia ancora qualcosa di indefinito. E che cosa sia il margine contemporaneo della città è ancora da definire. Si tratta quindi di un elemento caratterizzato da una indeterminatezza intrinseca. Abbiamo visto come la frontiera non sia rappresentabile come una linea: è piuttosto una fascia, una vaga zona dove molte volte tutto si confonde, si mescola. Una striscia in cui non è possibile distinguere ciò che appartiene al suo interno e ciò che sta al suo esterno. I suoi bordi non sono mai netti, né perfettamente definibili, né in assoluto permeabili. In maniera analoga, la terra di nessuno è ciò che sta tra le due sponde, tra
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i margini di due paesi, di due spazi differenti. È il luogo dove la norma, la regola che il confine stabilisce non vale più, la terra selvaggia dove ognuno deve badare a sé stesso e tutto diventa possibile. Quando si vuole tracciare una linea, un confine, ecco che ci si trova difronte ad una mancanza di regole già stabilità, ossia si pone un problema di ambiguità: “L’ambiguità dei contorni è tutta qui, e l’imprevedibilità dei nostri comportamenti davanti a essi ci richiede, forse, di giocare con loro: il contorno c’è, ma non si vede. Almeno fino a quando ci siamo in mezzo. È da questa incapacità di riuscire a classificare tramite le nostre categorie culturali gli elementi marginali, comunque visti come devianti, estranei, pericolosi, che scatta il meccanismo (anche quello legale) dell’esclusione”. (Zanini, 1997)
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Le infrastrutture come barriera 03.1.1
Il diffondersi di ambiti antropizzati e la dimensione “estesa” della città contemporanea accentuano il problema di realizzare efficaci relazioni tra le parti e di provvedere al funzionamento complessivo dell’insieme. L’infrastruttura diventa necessaria protagonista dei territori della dispersione, senza aver tuttavia la capacità di proporsi come “luogo”. Questi manufatti sono stati a lungo, salvo qualche eccezione, “traduzione in opera costruita di dati numerici – raggi di curvatura, sezioni preformate, flussi di traffico – prodotti esclusivamente calibrati su quantità, funzionalità e prestazioni, pensati con la logica del più breve collegamento tra punti, privati delle potenzialità di trasformazione del territorio attraversato”. (Pelzel, 2005) Questo modo di concepire il progetto di infrastruttura ha sedimentato nel tempo una generale sfiducia nelle effettive possibilità di pensarlo come occasione di disegno del paesaggio. Oltre alla mancanza di una progettazione integrata tra infrastrutture e paesaggio, un’ulteriore problema è dato dalla frammentazione che le infrastrutture determinano all’interno dei paesaggio: frammentazione fisica, visiva, ma anche biologica. La frammentazione e l’elevato aumento di eterogeneità paesistica sono infatti tra i fenomeni maggiormente responsabili della destrutturazione del paesaggio. Uno dei fattori più problematici che riguardano gli ecosistemi è la destrutturazione fisica, cioè la frammentazione, la perdita di matrice, la creazione di barriere, la riduzione della dimensione delle macchie che non riescono più a essere vitali. In questo senso, le infrastrutture rappresentano dei fattori di pressione che provocano un peggioramento delle condizioni del sistema urbano. I fattori di pressione sono fattori di contesto che possono produrre varie forme di inquinamento, quali quelli derivanti dal traffico o da altre forme di attività (strade di traffico, ferrovie, elettrodotti, industrie e depositi). L. Bonesio introduce, in relazione alle infrastrutture territoriali, il concetto di paesaggio politico, ossia, in senso dispregiativo, di un paesaggio che tende a diventare uniformemente quello della disposizione tecnica su vasta scale dei territori, un’esasperazione dell’indifferenza verso le “specificità idiomatiche locali”. (Bonesio, 2007) Inoltre, questa inserzione di tracciati e di segni violentemente estranei alla
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configurazione dei territori attraversati, produce tutta una serie di spazi liminari, di terreni vaghi, scarpate-discariche, terre di nessuno, che rendono visibili gli effetti di delocalizzazione, anarchia, ingovernabilità connessi alla rottura della continuità territoriale: tanto che “la potenza, la grandezza e la visibilità dei segni del paesaggio di pianificazione attuato mediante il titanismo tecnico risultano quasi sempre fuori scala rispetto all’esistente, storicamente sedimentato, o appaiono come una violenta infrazione degli ordini naturali”. (Bonesio, 2007) Tutti questi spazi di risulta che si generano dal dispiegarsi delle infrastrutture nel territorio, derivano spesso da rigide adesioni dei progettisti a delle imposizioni normative. Il caso delle cosiddette “fasce di rispetto” è emblematico: “Chi potrà coltivare o beneficiare degli spazi interclusi tra svincoli autostradali?”. (Poli, 1999) La condizione dei vuoti che affiancano strade, circonvallazioni, autostrade, ferrovie, potrebbero quasi venire assimilate alla condizione di barriera generata da mura difensive invalicabili: “Solid walls are replaced in the modern city by spaces, by voids, which tend much more to the boundary condition. Motorways cut thorough cities are the obvious example: crossing thorough six or eight lanes of traffici is perilous; the sides of motorways in cities tend to become withered spaces. Put as a general rule, in the twentieth century planning motion has served as the instrument for making boundaries rather than borders”. (Sennett, 2012)
Il periurbano come paesaggio 03.1.2
Riscoperta di paesaggi – Paesaggio e territorio – Sistemi nei paesaggi - Azioni comunitarie – Paesaggi ordinari
Riscoperta di paesaggi Di là dalle numerose ricostruzioni di questa vicenda nella storia dell’arte, da un punto di vista etico e filosofico è da sottolineare come anche il termine italiano “paesaggio”, ricalcato sul neologismo francese “paysage” (registrato per la prima volta nel 1549), sarà chiamato a desinare, per moltissimo tempo, solo la veduta pittorica. Dunque il concetto di paesaggio, come ancora lo intendiamo, ha un’origine
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precisamente artistica: significa la messa in forma, attraverso la scatola prospettica, di uno spazio esterno rappresentato nel quadro. Sarà l’approccio geofilosofico (o geografico) che, tematizzando la Terra come luogo della vita del pianeta – umana e non -, consentirà di andare oltre l’incomunicabilità paradigmatica dell’approccio ecologico e di quello paesaggistico. È stato Jhon Brinckerhoff Jackson a tematizzare, accanto alla tipologia del paesaggio “vernacolare”, un paesaggio politico, in cui si traduce un archetipo di ideale sociale, religioso o etico, concentrandosi in luoghi specifici di manifestazione, ed esplicandosi su grande scala, attraverso una geometrizzazione del territorio, la realizzazione di un sistema di grandi vie di comunicazione, nodi di interscambio o grandi opere infrastrutturali.
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Sotto un diverso aspetto, che riguarda il rapporto tra paesaggio naturale e paesaggio artificiale, G. Clement dà la sua proposta di distinzione tra paesaggio e ambiente. “Paesaggio, secondo me, indica ciò che si trova alla portata del nostro sguardo. Per i non vedenti, si tratta di ciò che si trova alla portata di tutti gli altri sensi. Non c’è scala, nel paesaggio, può presentarsi nell’immenso e nel minuscolo, si presta a ogni tipo di materia – vivente o inerte -, a tutti i luoghi, illimitati o privi di orizzonte. Ambiente è l’esatto opposto di paesaggio, nella misura in cui tenta di dare una lettura oggettiva di quanto ci circonda”. (Clément, 2013) A tal proposito, è emblematica anche la definizione di A. Corboz di “paesaggio come palinsesto” ossia come insieme di stratificazioni che derivano dalla storia dell’uomo in un territorio. Secondo A. Corboz, il territorio non è un dato, ma il risultato di diversi processi: da un lato, si modifica spontaneamente, mentre dall’altro lato, subisce interventi umani. Irrigazione, costruzione di strade, ponti, dighe, sbarramenti idrotecnici, scavo di canali, apertura di tunnel, terrazzamenti, dissodamenti, rimboschimenti, arricchimento di terreni, gli atti stessi dell’agricoltura fanno del territorio uno spazio necessariamente modellato. All’atto in cui una popolazione occupa il suolo (vuoi attraverso un rapporto leggero, come il raccolto, o pesante, come l’estrazione mineraria), essa stabilisce con lui un rapporto di tipo organizzativo, pianificatore, e si possono osservare gli effetti reciproci di questa coesistenza. In altri termini, il territorio è oggetto di costruzione. È una sorta di artefatto. E da allora costituisce anche un prodotto, un prodotto dell’attività umana: “di conseguenza, il territorio è un progetto”. (Corboz, 1985) Gli umanisti del Rinascimento italiano chiamarono infatti i giardini urbani
“terza natura”. In De rerum natura deorum, di cui apparvero numerose edizioni nella prima metà del Cinquecento, Cicerone descrive come “seconda natura” ciò che un moderno geografo chiamerebbe paesaggio culturale: strade, canali, ponti, sistemi agricoli e così via. Il suo uso della frase alteram naturam implica logicamente una prima natura: oggi potremmo identificare questa prima natura con la natura incontaminata, o wilderness, anche se – mutatis mutandis – probabilmente Cicerone intendeva il mondo o la natura degli dei. (Hunt, 1993) Questa necessità di un rapporto collettivo vissuto fra una superficie topografica e la popolazione insediata nelle sue pieghe permette di concludere che non vi è territorio senza l’immaginario del territorio. Ciò che conta, nel paesaggio, non è tanto la sua “obiettività” (che lo rende diverso da un fantasma) quanto il valore attribuito alla sua configurazione. Questo valore è e non potrebbe che essere culturale: “Il territorio, sovraccarico com’è di tracce e di letture passate, assomiglia piuttosto a un palinsesto”. (Corboz, 1985) Il paesaggio come una “sfera che avvolge la vita quotidiana, luogo di coabitazione o separazione, di metamorfosi o di irrigidimenti. I diversi paesaggi diventano qualcosa di “avvolgente”, “sfere” costitutive della vita quotidiana, si misurano e si definiscono in rapporto ad alcune pratiche abitative”. (Lanzani, 2000) A prima vista il problema delle periferie urbane, che nel nostro caso può essere ricondotto a ciò che della città di Ferrara è stato urbanizzato “fuori dalle mura”, sembra specularmente opposto a quello del paesaggio: se qui c’è una ricchezza da salvaguardare, là c’è una povertà da riscattare, se qui occorre conservare, là occorre inventare. Ma a ben vedere le due problematiche sono riconducibili – e in pratica vengono ricondotte – a un’unica matrice concettuale: “Ciò che manca alle periferie è ciò che vorremmo conservare nel paesaggio, ma la povertà delle periferie è stata prodotta dalle stesse categorie con cui finiamo per impoverire il paesaggio quando ci proponiamo di salvarlo”. (Giammarco, Isola, 1993) Perciò l’aspetto esterno delle nostre periferie va visto come “paesaggio”, come insieme di segni rivelatori di principi organizzativi specifici, locali, diversi da quelli globali: il tracciato della metropolitana e i luoghi dell’accesso, il percorso del teleriscaldamento, la grande viabilità in superficie e nel sottosuolo con i possibili germi della città sotterranea, insieme ai cantieri ordinari degli insediamenti abitativi possono essere intesi e giocati come elementi portanti nella definizione del paesaggio. Infatti, circa dalla metà degli anni Cinquanta, si consolida il passaggio da
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un approccio per punti (monumenti, emergenze) a uno per “contesti” e soprattutto si passa dalla volontà di conservare una “scena”, a quella di salvaguardare una complessa espressione di cultura, di civiltà materiale, anche in riferimento ai paesaggi periferici. Lo studio mette in evidenza come nel tessuto di frangia, seppure disarticolato, contraddittorio e spesso banalizzato, si possono rintracciare in misura variabile testimonianze e sistemi di segni, anche rilevanti sotto il profilo ambientale e culturale, di una precedente strutturazione del territorio. Tali elementi, se opportunamente valorizzati, possono costituire i potenziali valori cardine per la costruzione di un nuovo rapporto con la città esistente e con gli spazi aperti. In questo senso compito della tutela paesistica è appunto il recupero di una configurazione riconoscibile dei luoghi attraverso l’individuazione delle permanenze come elementi irrinunciabili nel rapporto tra nuovo e esistente.
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Ad avvalorare questa posizione, si va ad aggiungere il fatto che l’alta qualità del paesaggio, intesa come patrimonio identitario, storico-culturale e ambientale dei luoghi, è stata ritenuta una risorsa fondamentale per la promozione della crescita economica e della competitività delle aree urbane, per il miglioramento della coesione territoriale e della sostenibilità ambientale: “elementi in grado di incrementare sia il potenziale attrattivo verso nuove forme di turismo ed attività per il tempo libero, che di contenere l’espansione di zone residenziali o l’insediamento di zone appartenenti ai settori della new-economy”. (Poli, 1999) Paesaggio e territorio L’intensità significativa ed espressiva che ne deriva al paesaggio è stata, fin dai tempi antichi, chiamata “genius loci”, per sottolinearne la particolarità inconfondibilmente singolare, il tratto fisiognomicamente irrepetibile e identificante, “ciò che permane nel mutamento”. (Bonesio, 2007) Si può quasi ritenere come l’insieme di quegli elementi caratterizzanti che collegano ogni paesaggio al suo territorio. Politiche di sviluppo locali e politiche del paesaggio sono chiamate a intrecciarsi, quasi a confondersi, come è avvenuto in alcune politiche per lo sviluppo delle aree agricole e in alcune politiche agricole per le regioni marginali. Il concetto di paesaggio tende così a dissolversi in quello di territorio. Nel nuovo contesto modificato e trasformato la qualità del paesaggio
indicherà essenzialmente la qualità del vivere in un certo territorio. La tutela del paesaggio non è dunque riconducibile a vincoli passivi e neppure a un’azione attiva di salvaguardia, ma diventa reinvenzione del territorio, riorganizzazione pianificata e progettata dello stesso. Il triangolo ecosistema-territorio-paesaggio sostituisce oggi il tradizionale modello ambiente-economia-società, all’interno delle politiche di sostenibilità territoriale. Gli strumenti con i quali è possibile agire operativamente sul territorio sono quelli della pianificazione. Le differenze tra piano del paesaggio e piano del verde nascono soprattutto dagli indirizzi di piani che questi devono saper rappresentare. Al piano del paesaggio spetta, ad esempio, analizzare i quadri conoscitivi dei sistemi e degli ambiti di paesaggio, dei caratteri ambientali e climatici del luogo e individuare gli eventuali scompensi; individuare le criticità e i termini di percezione e panoramicità, ricercare i criteri per selezionare le zone costruibili e per mitigare l’impatto sul territorio delle infrastrutture e delle opere di urbanizzazione, per ridurre la frammentazione del paesaggio e porre freno alla contrazione delle falde freatiche; come favorire l’ingressione della spazio rurale e armonizzare il rapporto tra le cortine urbane con quelle rurali, individuare e codificare le azioni che concorrono alla riduzione dei costi energetici e sul come favorire una mobilità dolce in relazione tra il dentro e il fuori. Il piano del paesaggio comunale, applicato su una città, consente di rappresentare le varie identità paesaggistiche che il territorio urbano e periurbano possiedono e di limitare al minimo i danni inferti dalle trasformazioni, valorizzando le ampie visuali e introducendo linee guida di salvaguardia da cui promuovere usi consapevoli e sostenibili del territorio. Il piano del verde si occupa di come fare e gestire il verde urbano (quello pubblico) anche dal punto di vista economico-finanziario, di come monitorare quello privato definendone una funzione collettiva, di come governare densità, distribuzione, tipologia e funzione degli spazi verdi; di favorire l’ingressione del verde territoriale; di definire modelli di tipi di spazi verdi, di dettare le ergonomie delle componenti minerali e vegetali in funzione dei rapporti di scala e per favorire l’alternanza di aree esposte alla luce con aree chiuse e ombreggiate; di individuare, nei termini fitogeografici, le piante idonee per i giardini e per rappresentare la flora urbana; di come favorire la permeabilità dello spazio urbano; di definire modalità e tempi per la manutenzione, la riabilitazione degli spazi, e la riduzione dei costi energetici e ambientali. Il piano del verde è sostanzialmente un piano-programma che opera come progettare il recupero del sistema del verde urbano di una città: è
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paragonabile ai piani attuativi ma da questi si differenzia perché il focus dell’indagine comporta una discesa di scala. Sistemi nei paesaggi
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L’ecologia del paesaggio (in inglese, Landscape Ecology) è una branca scientifica nata in origine come interfaccia tra geografia ed ecologia, dove il concetto di paesaggio è definito come “sistema complesso di ecosistemi”, in cui si integrano gli eventi della natura e le azioni della cultura umana. In particolare il paesaggio è inteso come sistema biologico, come tale è dotato di una struttura propria, di funzioni o processi in continua trasformazione. Secondo questo modello, la parte strutturale del paesaggio è costituita dai caratteri geomorfologici, dagli elementi che si evolvono nel territorio (gli ecosistemi) dalle loro dimensioni e forme e dalle loro modalità di aggregazione e distribuzione nel paesaggio ed è pertanto oggettivamente rilevabile. La parte funzionale del paesaggio è data dai flussi energetici e di informazione, dai movimenti delle specie, dalle interazioni tra ecosistemi e dai processi che avvengono grazie ai movimenti citati e allo scorrere del tempo. I processi a loro volta determinano modifiche alla struttura: le azioni antropiche possono trasformare un mosaico ambientale in tempi brevi, per esempio aumentandone la frammentazione. Ogni tipo di paesaggio ha un modello (pattern), la cui composizione e legata alla presenza di forme semplici: lineari (corridoi), strade, filari, corsi d’acqua, insediamenti lineari, ecc.; areali (macchie), isolati caratterizzati dalla omogeneità o eterogeneità delle tipologie edilizie, piazze, elementi emergenti monumentali e non, ecc. inseriti in un tessuto più o meno eterogeneo (matrice). La forma dei signoli pattern riflette il processo che l’ha creata o mantenuta: in generale le forme regolari sono di natura antropica, mentre al contrario le patches generate da processi ecodinamici sono di forma irregolare. Le aree di contatto tra patches differenti sono rappresentate degli “econtoni”; sono queste strutture che condizionano i processi ecologici in ragione della diversità biologica, del flusso e dell’accumulo di materiali, dello scambio di energia e della propagazione de disturbo. Nel caso specifico del paesaggio periurbano, le caratteristiche che in modo più macroscopico concorrono a definirne le varie unità, sono date dal fatto che tali unità vengono delimitate dal costruito. L’indice complessivo dell’impronta urbanistica, a sua volta, su sette indici:
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l’indice di estensione dell’impronta, cui si accompagnano sei indici che ne forniscono l’intensità e che riguardano: il grado di insularizzazione, il grado di naturalità, il valore storico, la qualità percettiva, le pressioni relative ai fattori d’impatto e di potenziale rischio e il consumo di suolo dovuto alla dispersione insediativa e infrastrutturale. Il grado di insularizzazione può essere assunto come l’indicatore delle caratteristiche morfologico-strutturali dell’unità di paesaggio periurbano, poiché esso ha effetti plurimi che incidono sul valore di naturalità, sui fattori di pressione che generano impatti ambientali, sulla qualità percettiva e persino sul valore storico che è tanto più alto quanto più l’unità si paesaggio custodisce in sé ampie porzioni di tessuto agricolo. Dal punto di vista della conformazione spaziale, questa corona di spazi verdi insularizzati nella maglia della diramazione infrastrutturale e costruita, può essere definita come una successione di anelli di paesaggio concentrici, dove i cunei delle aree agricole penetrano tra le diramazioni del costruito e dove possono essere distinte tre corone successive: “quella più interna, costituita da unità di paesaggio ad alto grado di interclusione e generalmente di più ridotta dimensione; quella intermedia, costituita da unità a medio grado di interclusione e di maggiore dimensione; quella più esterna, delle unità più ampie, che, sebbene ancora delimitate dalle infrastrutture, confinano con i paesaggi dell’aperta campagna”. (Socco, Cavaliere, Guarini Montrucchio, 2005) I più importanti tipi di alterazione dei sistemi paesaggistici sono: l’Intrusione (inserimento in un sistema paesaggistico di elementi estranei ed incongrui ai suoi caratteri peculiari compositivi, percettivi o simbolici); la Suddivisione (la divisione di un sistema); la Frammentazione (divisione in parti non più comunicanti); la Riduzione (la progressiva diminuzione, eliminazione, alterazione, sostituzione di parti o elementi strutturanti di un sistema); l’Eliminazione (la progressiva sparizione delle relazioni visive, storicoculturali, simboliche di elementi con il contesto paesaggistico e con l’area); la Concentrazione (l’eccessiva densità di interventi a particolare incidenza paesaggistica in un ambito territoriale ristretto); la Deconnotazione (quando si interviene su un sistema paesaggistico alterando completamente i caratteri degli elementi costitutivi). (Mengoli, 2013) Azioni comunitarie Il futuro del mondo rurale è il primo documento, redato dalla Commissione Europea nel 1988, che traccia, organicamente, le linee di una politica di sviluppo ispirata a una logica territoriale.
I punti salienti del documento vengono riassunti nella successiva Carta Rurale Europea del Consiglio d’Europa che individua le tre principali funzioni dello spazio rurale: la funzione economica, che deve garantire prodotti e servizi alla popolazione e favorire l’insediamento di differenti tipi di impresa (comprese quelle legate al turismo); la funzione ecologica, che deve tutelare il patrimonio naturale; la funzione sociale, che vede lo spazio rurale come luogo di relazione tra abitanti attraverso lo sviluppo di realtà associative aventi la finalità di valorizzare le risorse locali ai fini economici, sociali e culturali. Nel 2000, con la Convenzione Europea, si evolve il concetto di paesaggio e riconoscendo l’importanza ricoperta dal ruolo dell’azione umana, si includono negli ambiti paesaggistici anche territori maggiormente antropizzati come ad esempio le aree periurbane. (Poli, 1999) Con il presupposto di aumentare la fruizione dello spazio verde periurbano da parte dei cittadini, l’Unione Europea nel 2003 ha varato una riforma della Politica Agricola Comune (PAC), puntando a sviluppare una nuova forma di agricoltura di tipo multifunzionale, includendo tra le attività delle aziende agricole anche quelle di trasformazione e vendita del cibo. Le politiche della PAC, sono state assimilate dall’ordinamento italiano, con il DDL 228/01, noto come Legge di Orientamento. Paesaggi ordinari L’apprezzamento e la conseguente protezione dei paesaggi ordinari, ossia di quei contesti paesaggistici che non possiedono eccezionalità naturalistiche o culturali, ma cui vivono quotidianamente la maggioranza delle persone, è ancora un fenomeno ben più recente e ancora in fase di crescita. Il paesaggio periurbano rientra in tali paesaggi. Infatti, diversamente dal passato, oggi l’attenzione si dirige principalmente al tessuto complessivo: se la prima focalizzazione del patrimonio individuava essenzialmente testimonianze alte (paesaggi d’eccellenza, monumenti importanti, ecc.), oggi, anche a causa degli effetti di una sensibilizzazione, l’attenzione si rivolge anche agli aspetti sociali. Questa direzione di estensione del concetto di paesaggio all’insieme territoriale, che supera l’accezione vedutistica e viabilistica di certo riduzionismo estetico verso un concetto di paesaggio come luogo ed espressione insopprimibile di identità culturale, espressa a chiare lettere nella Convenzione europea del paesaggio (2000) del Consiglio d’Europa che, distinguendo tre categorie di paesaggio (i paesaggi “eccezionali”, i paesaggi “degradati”, i paesaggi “del quotidiano”), attua il passaggio da una
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concezione puramente vincolistica, adottata normalmente per la tutela dei paesaggi “eccezionali”, ma problematicamente applicabile ad altri, ad una progettuale, di miglioramento o di gestione di tutti i luoghi, compresi quelli della quotidianità e della produzione. (Bonesio, 2007)
03.1.3 Il vuoto urbano come residuo
Il tema del vuoto urbano è connesso a due altre tematiche importante di analisi: la progettazione e la qualità degli spazi aperti urbani, e l’abbondono degli spazi aperti inutilizzati. Spesso, quella che potrebbe essere definita come città compatta, si rivela piena di “buchi”.
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Riguardo al primo tema, sono tanti gli autori che lo trattano con una vena nostalgica, facendo un confronto con la qualità che gli spazi aperti avevano nella società rurale italiana prima che l’urbanizzazione si diffondesse in modo incontrollato. Il primo è E. Turri: “Per le società agricole è importante vivere fuori, perché fuori c’è il campo, la terra, cioè il mezzo di produzione fondamentale, mentre il “dentro” serve per dormire e poco altro. Nella società urbana e industriale, si vive dentro, si lavora dentro, e il “fuori” ha perso ogni necessità”. (Turri, 1979) Il “fuori di cui parla è un “fuori” pubblico, la cui sistemazione sempre di più dipende dalle volontà delle amministrazioni pubbliche. Il problema è diventato che oggi la gente si interessa poco al “fuori”, e di conseguenza viene trascurato anche a livello di progettazione. Lo spazio aperto è divenuto attrezzatura o, ancor più elusivamente, “verde”, standard, area di rispetto, limite: “Abbandonato dalla riflessione e dal disegno del progettista, dall’azione del costruttore pubblico come all’investimento dello speculatore privato, dalla cura dell’amministrazione e del cittadino, è divenuto spesso luogo di pratiche sociali marginali ed emarginate”. (Secchi, 1993) Più dure sono le considerazioni di R. Koolhaas, che a partire dalla contrapposizione tra architettura degli interni e “architettura degli esterni” assume dimensioni territoriali, riproponendosi in un conflitto a più grande scala, quello tra urbanistica e architettura. Architettura degli interni e architettura degli esterni divengono progetti
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separati: una confrontandosi con l’instabilità delle esigenze programmatiche ed iconografiche, l’altra – portatrice di disinformazione – offrendo alla città l’apparente stabilità di un oggetto. “Lo spazio aperto della città non è più teatro collettivo dove “qualcosa” accade: non resta più nessun “qualcosa” collettivo. La strada diventa un residuo. Bigness = urbanistica contro architettura.” (Koolhaas, 2006) Famosa è anche la sua definizione di junk-space, ossia lo spazio-rifiuto: “Se lo space-junk (spazzatura spaziale) sono i detriti umani che ingombrano l’universo, il junk-space (spazio spazzatura) è il residuo che l’umanità lascia sul pianeta. Il Junkspace è ciò che resta dopo la modernizzazione ha fatto il suo corso. […] Tutti i prototipi del Junkspace sono urbani”. (Koolhaas, 2006)
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Secondo il modello delineato dalla legge urbanistica vigente, la dotazione minima di spazi pubblici riservati alle attività collettive è di 18mq/abitante, di cui la metà deve essere destinata a spazio pubblico attrezzato (ivi incluse le attrezzature sportive) e parco urbano. Ma l’adesione a questi standard normativi ha fatto sì che le potenzialità delle aree destinate alla vita pubblica e collettiva sono distrutte dalla loro frammentazione in parti diverse. Alcune di quelle aree con destinazione “a standard” rimarranno a lungo vuote, in attesa di una loro effettiva utilizzazione. Di nuovo, le aree più problematiche sono quelle delle periferie urbane. È nelle periferie che, a volte, si contrappongono in modo singolare due skyline: “un paesaggio urbano fatto di case, fabbriche, tetti, molte antenne, pochi campanili e un paesaggio agricolo in cui si alternano campi e prati, boschi e colline. Tra i due si vedono sovente spazi di risulta invasi da detriti e scarti sia della città che della campagna”. (Giammarco, Isola, 1993) Questi vuoti indefiniti, sul confine tra campagna e città, sono stati identificati in modi diversi. Una delle denominazioni più famose, è quella di terrain vague. Si tratta di un luogo vissuto senza colture né costruzioni, uno spazio indeterminato senza limiti precisi. È anche un luogo estraneo, improduttivo e spesso pericoloso. È lì che gli abitanti della città “vanno a coltivare l’orto abusivo, a portare il cane, a fare un picnic, a fare l’amore e a cercare scorciatoie per passare da una struttura urbana all’altra. È lì che i loro figli vanno a cercare spazi di libertà e di socializzazione. Oltre ai sistemi insediativi, ai tracciati, alle strade e alle case, esiste cioè un’enorme quantità di spazi vuoti che formano lo sfondo sul quale la città si autodefinisce”. (Careri, 2006) Sono diversi da quegli spazi vuoti tradizionalmente intesi come spazi, piazze, viali, giardini, parchi, e formano un’enorme porzione di territorio non
costruito che viene utilizzata e vissuta in infiniti modi diversi e che a volte risulta assolutamente impenetrabile. Il termine utilizzato da G. Clémenti all’interno della sua teoria del Terzo Paesaggio per definire il terrain vague è friche, da fractus, spezzato, traducibile con il termine “incolto” o “terreno abbandonato”. Per l’autore, il residuo deriva dall’abbandono di un terreno precedentemente sfruttato. La sua origine è molteplice: agricola, industriale, urbana, turistica, ecc. Il residuo è tributario di un modo di gestione ma deriva più in generale dal principio di organizzazione razionale del territorio, in quanto spazio abbandonato. La crescita delle città e degli assi di comunicazione induce una crescita del numero di residui. Ogni organizzazione razionale di un territorio produce un residuo. Contrariamente agli spazi detti “naturali”, il residuo “non beneficia di uno statuto riconosciuto. Non è una riserva naturale, non è più un terreno a maggese, non corrisponde a nessun sistema di gestione dichiarato tale. Il peso delle più grandi incertezze grava sul suo avvenire, il suo stato di friche non soddisfa nessuno” (Clément, 2011): è un terreno in attesa dell’esecuzione di progetti sospesi per ragioni finanziarie o di decisioni politiche. Il concetto di friche rappresenta quindi il fondamento della sua teoria. Il Terzo Paesaggio è costituito dalla somma di tutti gli spazi trascurati urbani o rurali, terreni incolti, agricoli, industriali o turistici. Ma anche dell’insieme degli spazi sui quali, storicamente, non è mai esistita una gestione competente.
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Ambiti urbani di margine 03.2
Una volta definiti i macro-elementi che caratterizzano il margine urbano della città, infrastrutture, periurbano e vuoti, e averli contestualizzati all’interno della città di Ferrara nelle loro relazioni più generali, è necessario un salto di scala. Un’analisi più specifica, effettuata grazie a sopraluoghi progressivi nelle diverse aree marginali della città, ha portato alla definizione, in primo luogo, di una serie di elementi che caratterizzano il margine urbano (orti, campagna interclusa, aree verdi, tracciati ferroviari, ponti e sottopassi, piste ciclabili, tracciati spontanei, aree in trasformazione). La combinazione di questi con i macro-elementi del sistema urbano ha permesso di suddividere la città in cinque ambiti. Questa suddivisione può essere letta come una delimitazione di macroambiti di margine, ciascuno dei quali è caratterizzato da barriere infrastrutturali dominanti, da uno specifico rapporto tra pieni e vuoti, e da funzioni prevalenti, e per ciascuno dei quali è possibile stilare una lista di obiettivi strategici possibili. 1. Gli assi infrastrutturali delimitano e attraversano i macro-ambiti di progetto, rappresentando nel primo caso degli elementi di barriera, nel secondo caso degli elementi di frattura interna della città. 2. I macro-ambiti di progetto sono stati determinati a partire da strutture urbane consolidate, che si sono sviluppate all’esterno della cinta muraria. 3. I vuoti urbani si collocano ai margini dei macro-ambiti di progetto. Ciascun ambito è caratterizzato da una diversa configurazione di vuoti residuali. Non si tratta di ambiti stagni, ma le relazioni e le ricuciture tra gli ambiti stessi devono essere obiettivo primario di una strategia a scala urbana. Allo stesso modo, si precisa che non si tratta di ambiti da progettare in una sequenza temporale e spaziale statica. Si tratta più che altro di macro-ambiti analitici, risultato di una lettura soggettiva delle dinamiche in atto nella città. Lo sviluppo di progetti all’interno di questi non deve essere frammentato, ma portato avanti in maniera continuativa e flessibile, passando da un ambito all’altro di intervento. Senza seguire logiche temporali, bensì strategiche.
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Infrastruttura idroviaria Diagramma delle linee d’acqua che attraversano il tessuto urbano 01.01 Infrastruttura ferroviaria Diagramma dei tracciati ferroviari in uso o dismessi 01.02 Infrastruttura ferroviaria Diagramma dei tracciati ferroviari in uso o dismessi 01.03 Edifici extra-moenia La tracciabilità del confine storico definito dalla cinta muraria permette di compiere una distinzione a livello morfologico e distributivo dell’edificato, tra quelli che sono gli edifici dentro le mura (infra-moenia) e fuori le mura (extra-moenia) 02.01 Limite dell’edificato Tentativo di definire il limite dell’attuale fase di espansione dell’agglomerato urbano 02.02 Frammentazione dell’edificato Il limite dell’agglomerato urbano non è continuativo, ma sfrangiato: la rete infrastrutturale, suddivide le aree urbanizzate in nuclei tra loro non comunicanti. Dal punto di vista concettuale è stata fatta un’intersezione tra i diagrammi 02.02 e 01.01/01.02/01.03 02.03 Campagna periurbana Cintura più esterna di vuoti urbani, composta dalle aree agricole di cintura. Si tratta della corona più esterna di vuoti interclusi, in quanto il loro limite esterno ovest e sud è segnato dalla rete autostradale; ad est sono invece strade extra-urbane di insediamenti storico a frammentare il tessuto dei campi agricoli 03.01 Vuoti urbani Diagramma della seconda corona di vuoti urbani, individuata dall’intersezione tra l’agglomerato urbano, la rete ferroviarie e le circonvallazioni stradali 03.02 Vuoti urbani Diagramma dei vuoti che si insediano all’interno del tessuto urbano. Si tratta del diagramma speculare del diagramma 02.03 03.03
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7449 7452 8584 7441 8522 7437 8619 7419 8539 7403 8529 7405 7394 7249 7409 8596 7257 7234 7233 7210 7207 7205 7104
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Sopraluoghi e fotografia 03.2.1
Durante il periodo dei sopraluoghi, iniziato e mai finito, è stato realizzato, finora, un numero di fotografie che vanno dalla numero 6933 alla 7731, dalla 7893 alla 7953 e dalla 8507 alla 8657. La scelta è stata quella di contrassegnare le fotografie con il loro codice originario. Lo strumento conoscitivo del sopraluogo, strumento che permette un approccio diretto, è stato importante per realizzare delle “mappe percettive” dei quartieri periferici della città. La volontà era quella di conoscere quelle parti di Ferrara che, in quanto lontane dal centro, non vengono nemmeno ritenute urbane dai più. In realtà, quello che è stato trovato, è stato un terreno ricco di segni, alcuni più materiali alcuni meno, testimonianza di una vita attiva che è presente anche nelle aree meno convenzionali della città. Vagare alla scoperta dell’inesplorato ha permesso di riempire con segni decisi, delicati, a colori, a matita un foglio bianco ancora in attesa. Lo strumento della fotografia, in aggiunta a quello della “mappa”, è stato scelto come più idoneo per completare l’immagine di una città, per vaste porzioni non ancora conosciuta. La scelta delle fotografie pubblicate non è avvenuta seguendo un criterio descrittivo, bensì con la volontà di riportare delle sensazioni, di mostrare solo dei frammenti, di un urbanità che deve essere ricomposta.
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Elementi di margine 03.2.2
Orti urbani - Campagna interclusa - Aree verdi – Tracciati ferroviari - Ponti e sottopassi - Piste ciclabili - Tracciati spontanei - Aree in trasformazione
6988. via del Melo / orto comunale ai limiti del quartiere Borgo Punta, nei pressi della sede della contrada borgo San Giovanni e Centro Sociale Il Melo 7026. via Gaetano Pesci / orto comunale in zona Rivana, adiacente al centro sociale ricreativo culturale Rivana Garden 7257. via San Giacomo / orto abusivo all’interno dello svincolo di via A. Bonzagni 7419. via Arginone / orto intercluso tra lungofiume e viadotto 7497. via Gustavo Bianchi / orto abusivo in prossimità della recinzione ferroviaria 7511. via della Canapa / orto all’interno del Parco Urbano 7560. via Magenta / Rione Case Popolari-orto abusivo lungo l’asse ferroviario Ferrara-Padova 7679. via Digione / Pontelagoscuro-orto comunale lungo l’asse ferroviario FerraraPadova 7684. via Digione / Pontelagoscuro-abusivo lungo l’asse ferroviario Ferrara-Padova 7951. via Poretti / orto Hernanos Latinos adiacente ad un parchetto pubblico
Orti urbani Nella città di Ferrara si possono trovare tre macro tipologie di orti urbani, quelli gestiti dal Comune, quelli affidati a delle associazioni ed altri nati spontaneamente. I primi sono aree di forma regolare suddivisi in piccoli appezzamenti dotati di impianto d’irrigazione, dati in gestione ai residenti del quartiere in cui possono coltivare piccoli ortaggi, fiori e piante aromatiche o da confettura. A Ferrara ne sono presenti quattro. Per quanto riguarda le forme associative, in seguito al percorso formativo “La città degli Orti”, due associazioni hanno preso in gestione due aree verdi da destinare ad orti urbani. “Ge.Po.Ro.Sa.” nata ad hoc come associazione di cittadini ferraresi, ha adottato un’area di 3200 mq nell’area verde di via Natale Mosconi, nella zona Rivana. “Hernanos Latinos”, associazione di volontariato attiva da alcuni anni a Ferrara, operante principalmente nel settore integrazione dei cittadini latino-americani in Italia, ha adottato un’area di circa 1800 mq nell’area verde di via Poretti, nella zona Ippodromo. L’ultima tipologia è caratterizzata da una forma spontanea, piccole aree pubbliche recintate e coltivate da qualche residente senza approvazione comunale, queste aree sono prive di allaccio all’acqua, solitamente situate ai margini delle linee ferroviarie oppure all’interno di alcune recinzioni comunali.
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6942. via Caldirolo / frutteto privato intercluso tra cimitero e quartiere residenziale 6963. via Gaetano Turchi / frutteto privato intercluso tra infrastruttura e abitazioni 6968. via Caldirolo / campo arato intercluso tra infrastruttura e abitazioni 7138. via Aeroporto / Aeroclub Ferrara-Parco Sud 7315. via Veneziani / campo di colza intercluso tra infrastrutture e quartiere artigianale 7321. via Mario Dotti / campagna del Parco Sud da strada interna alla zona aeroporto
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7325. via Giuseppe Fabbri / campagna del Parco Sud dalle rive del Panaro 7403. via XVI Marzo / campo arato intercluso tra linea ferroviaria Ferrara-Suzzara e abitazioni 7409. via XVI Marzo / campagna appena fuori il centro urbano 7486. via della Canapa / campagna del Parco Urbano 7662. via Digione / campo arato intercluso tra linea ferroviaria Ferrara-Padova e abitazioni 7726. via Miles Davis / frutteto privato lungo l’asse ferroviario Ferrara-Codigoro 7901. Messidoro / frutteto privato presso Ospedale di Riabilitazione San Giorgio
Campagna interclusa Per campagna interclusa si intendono quelle porzioni di terreno coltivato rimaste imprigionate all’interno dell’urbanizzato. Le aree possono essere perimetrate da infrastrutture come tracciati ferroviari o strade ad alto scorrimento, da edificato di vario genere e funzione, da corsi d’acqua o dalla cinta muraria. Ad esempio, a Ferrara è possibile trovare frutteti privati incastonati tra abitazioni, un cimitero e una strada di quartiere, oppure un campo di colza situato tra la circonvallazione e il quartiere artigianale. Rientrano in questa categoria anche il primo anello agricolo al margine dell’urbanizzato, di più ampia estensione, come quelle aldilà dei tracciati ferroviari oppure quelle all’interno del Parco Urbano.
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7054. via Alfredo Pitteri / area degradata interclusa tra edificato e linea ferroviaria Ferrara-Codigoro 7205. via Ippolito Nievo / zona Krasnodar-Parco dell’amicizia 7437. via M. L. Maverna / cantiere abbandonato all’incrocio tra il Po di Volano e il canale Boicelli 7441. via Aroldo Bonzagni / flora all’incrocio tra il Po di Volano e il canale Boicelli 7456. via Luigi Guinelli / flora del canale Boicelli dietro al quartiere Doro 7459. via Modena / canale Boicelli da ponte pedonale 7484. via della Canapa / Parco Urbano 7579. via Martiri del Lavoro / parco di quartiere zona Barco 7917. via della Fiera / canale tra Centro Fiere Congresse e Ospedale di Riabilitazione San Giorgio 7933. via Messidoro / Canale della Fortezza 7948. via Ippodromo / verde all’interno del circuito dell’Ippodromo 8539. via San Giacomo / Po di Volano dal ponte stradale e ciclopedonale
205 Aree verdi A Ferrara come in molte altre città, si possono individuare molteplici aree verdi declinate singolarmente per funzione, parco pubblico, area gioco, area pic-nic, sgambamento per cani, aree sportive, verde incolto, aree fluviali ecc. Oltre a queste aree funzionali si trovano anche aree verdi prive di specifica funzione, spesso semplicemente aree ben curate di compensazione, mentre altre lasciate incolte e in disuso. Nella consapevolezza che le aree verdi comunali e gli arredi urbani appartengono alla collettività e che il loro mantenimento e la loro conservazione rappresentano attività di pubblico interesse, appare innovativa la proposta dell’Amministrazione Comunale indetta il 12.07.2010 del “Regolamento per l’adozione di aree verdi pubbliche della città di Ferrara”, che intende normare l’adozione di aree e spazi verdi. Le aree possono essere affidate a: cittadini costituiti in forma associata, organizzazioni di volontariato, istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, parrocchie, enti religiose e soggetti giuridici ed operatori commerciali. Le tipologie di intervento ammesse possono comprendere: manutenzione ordinaria, riconversione e manutenzione oppure creazione di orti urbani.
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7043. via Gaetano Pesci / linea Ferrara-Rimini che taglia gli orti urbani nella zona Rivana 7233. via Giuseppe Saragat / linea Ferrara-Bologna di fronte al Polo Scientifico Tecnologico
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7405. via XVI Marzo / passaggio a livello lungo la linea FerraraSuzzara 7471. via Luigi Turchi / tratto ferroviario dismesso di collegamento all’ex distilleria 7502. via Gustavo Bianchi / linea Ferrara-Padova e vista dello scalo merci 7552. via Magenta / linea FerraraPadova recinzione ferroviaria 7641. via della Ricostruzione / linea Ferrara-Padova ponte ferroviario sul fiume Po 7651. via Venezia / tratto ferroviario dismesso proveniente dalla Chiusa di Pontelagoscuro 7719. via Mario Capuzzo / linea Ferrara-Codigoro in zona villa Fulvia
Tracciati ferroviari La visione dei tracciati ferroviari nel paesaggio urbano ferrarese è spesso nota positiva: i binari e tutti gli elementi costituenti ne creano lo sfondo. Ponti ferroviari, passaggi a livello e sottopassaggi ferroviari sono elementi di riconoscibilità per il passante. Le rotaie spesso poste su terreni rialzati creano il perimetro di molti campi e aree verdi. Le tipiche recinzioni ferroviarie creano al loro fianco lunghi corridoi percorribili, promettendo un sicuro orientamento. I binari in disuso, testimonianza di un passato industriale piÚ produttivo, i alcuni casi divengono nuovi espedienti di arredo urbano.
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7071. via della Rivana / sottopassaggio ciclo-pedonale 7151. via Aeroporto / viadotto carrabile di via R. Wagner 7207. via Ippolito Nievo / via dello Zucchero-sottopassaggio ciclopedonale 7394. via San Giacomo / via Arginone-sottopassaggio ciclopedonale 7457. via Modena / passerella ciclo-pedonale sul Boicelli 7485. via Stefano Battara / via della Canapa-sottopassaggio ciclo-pedonale 7567. via dell’Indipendenza / sottopassaggio carrabile
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7710. via Bentivoglio / passerella ciclo-pedonale sul canale Bianco di collegamento tra il quartiere Barco e Ponteloagoscuro 7715. via Boschetto / sottopassaggio ciclo-pedonale per futura stazione metropolitana suburbana 8522. via San Giacomo / viadotto carrabile di via Aroldo Bonzagni 8584. via San Giacomo / passerella ciclo-pedonale sul Po di Volano 8596. via Giuseppe Saragat / viadotto carrabile di via A. Ferraresi 8619. via San Giacomo / ponte ferroviario e ponte carrabile di via M. L. Maverna sul Po di Volano
Ponti e sottopassi Sottopassaggi e passerelle ciclo-pedonali, viadotti e sottopassi carrabili sono il simbolo delle nuove infrastrutture. Spesso identificati come elementi negativi da tenere distanti, possono in realtĂ rappresentare spazi che accolgono percorsi alternativi, primo passo per una riqualificazione dei tracciati ciclo-pedonali. Particelle infrastrutturali che permettono il passaggio di grossi assi viari prima invalicabili. Elementi con un alto grado di riconoscibilitĂ e orientamento per il passante, sempre piĂš utilizzati come simboli di landmark.
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6992. via del Melo-via Borgo Punta / pista ciclo-pedonale attorno agli orti comunali di via del Melo 7009. via dell’Ippogrifo-via Gaetano Pesci / passaggio ciclopedonale 7081. via della Rivana / pista ciclo-pedonale 7210. via dello Zucchero / pista ciclo-pedonale ad uso promiscuo 7234. via Giuseppe Saragat / pista ciclo-pedonale attorno al Polo Scientifico-Tecnologico 7249. via del Mulinetto / pista ciclo-pedonale ad uso promiscuo 7299. piazzale Atleti Azzurri d’Italia-complesso sportivo di via Beethoven / passaggio ciclopedonale 7478. via della Canapa / pista ciclo-pedonale ad uso promiscuo 7527. via S. Allende-Piazzale Alberto Savonuzzi / pista ciclopedonale all’interno di un parco giochi 7919. via della Fiera / pista ciclo-pedonale del Ferrara Fiere Congressi 7941. via Ippodromo / circuito ciclo-pedonale dell’Ippodromo
211 Piste ciclabili Ferrara, “città delle biciclette”, sigla conosciuta anche fuori dall’Emilia Romagna, in centro e anche in periferia può vantare parecchie piste ciclabili. Alcune soprattutto nel centro stoico sono asfaltate o pavimentate. Appena fuori le mura invece troviamo i primi percorsi sterrati, un forte esempio sono alcuni tratti del circuito del sottomura. Non tutti sono ad uso strettamente ciclo-pedonale alcuni tratti sono ad uso promiscuo, biciclette e mezzi a motore percorrono le stesse vie: alcuni esempi di coesistenza li possiamo trovare in via dello Zucchero o in via della Canapa. Inoltre, nelle vicinanze della cinta muraria e nella parte più agricola verso l’esterno della periferia possiamo trovare tracciati immersi nel verde. Ad oggi molti tratti ciclo-pedonali sono da rimettere a nuovo, altri come il tratto di via Bologna non sono più adeguati per dimensioni, visto l’alto flusso che lo percorre servirebbe un ampliamento della carreggiata, inoltre parecchi sono discontinui e quindi necessitano di interventi per creare un percorso unitario e senza tratti mancanti o obbligati ad attraversamenti pericolosi.
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6933. via Caldirolo / collegamento pista ciclopedonale del sottomura al quartiere est
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6996. viale degli Angeli / percorso spontaneo nel sottomura interno del tratto Rampari di Belfiore 7063. via Monsignor N. Mosconi / collegamento con la pista ciclopedonale di via della Rivana 7452. via Massimo Girotti / percorso di un cantiere interrotto 7530. via S. Allende / percorso all’interno di un parco giochi 7578. via Martiri del Lavoro / collegamento con il percorso ciclo-pedonale 7591. via Domenico Panetti / collegamento con il percorso ciclo-pedonale 8529. via San Giacomo / collegamento sotto al ponte carrabile sul lungofiume
Tracciati spontanei Possono essere individuati anche da un occhio non esperto: sono quelle strisce di prato che a forza di essere calpestati diventano solo terra, perdendo quasi tutto il manto erboso. Spesso per mancata attenzione del progettista, si creano tracciati ciclopedonali piÚ lunghi o scomodi di quelli che i passanti desidererebbero. A lungo andare si crea una specie di solco senza erba o di colore diverso dal resto che testimonia il continuo andirivieni in quel piccolo tratto. Se ne possono individuare parecchi nel circuito del sottomura ma non solo. Sono tracciati spontanei che portano verso un buon punto per l’attraversamento oppure verso destinazioni pubbliche, come supermercati, cimiteri, luoghi di culto, edifici di ristorazione o semplicemente a volte portano ad una radura con qualche panchina.
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7031. via G. Pesci / cantiere della nuova bretella ferroviaria per le linee da Codigoro e da Ravenna 7104. via G. Pesci / cantiere di dismissione dei binari e futuro interramento delle linee ferroviarie 7127. via dell’Aeroporto / Aeroclub Ferrara futura testata del Parco sud 7369. via A. Sacharov / futuri percorsi del nuovo Parco Sud 7449. via Massimo Girotti / cantiere interrotto nel quartiere Doro 7524. via S. Allende / scalo merci ferroviario 7898. via Messidoro / nuovi percorsi pedonali del parco dell’Ospedale di Riabilitazione San Giorgio 7908. via Messidoro / cantiere della nuova circonvallazione ovest 7925. via Bologna / nuovo edificio dell’Arpa in costruzione
215 Aree in trasformazione Nella città di Ferrara sono presenti molte aree in trasformazione, cantieri edili ancora in corso, opere di infrastrutturazione, cantieri di dismissione e smantellamento, creazione di nuovi percorsi alternativi e progetti per nuove aree verdi. Per lo più possiamo trovarli nella prima periferia della città, in particolare nell’ambito sud, dove possiamo osservare ad esempio il cantiere infrastrutturale per la creazione del snodo ferroviario delle tratte FerraraCodigoro e Ferrara-Rimini, e loro parziale interramento, oppure il cantiere per la costruzione della nuova circonvallazione ovest. Nell’area dell’aeroporto, che verte in stato di degrado, si prevede la creazione e salvaguardia di un Parco Agricolo Sud. Esistono inoltre piccoli cantieri per la creazione o riqualificazione di parecchi tracciati ciclo-pedonali e relativi spazi pubblici verdi. Purtroppo molti di questi ad oggi sono bloccati, fermi, rendendo molte aree o perfino interi quartieri degradati, privi di percorsi alternativi e spazi per il tempo libero, poiché i recinti dei cantieri impediscono il passaggio essendo loro inaccessibili.
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Individuazione del nodo Facoltà di Ingegneria-Darsena City come nuovo accesso alle mura cittadine
5 ambiti urbani 03.2.3
Potenziamento dell'asse nord-sud
02
Vuoti urbani
01 Lungo il canale Boicelli – 02 Lungo la Ferrara-Bologna – 03 che va dalla zona fiere allaAttorno stazione al Parco Sud – 04 ferroviaria Lungo il Po di Volano – 05 L’ultima espansione Riqualificazione dell'asse ferroviario Bologna-Padova
Realizzazione e integrazione
Potenziamento dell'asse nord-sud
che va dalla stazione ferroviaria al Po
dell'asse est-ovest della metropolitana suburbana Incremento delle attività del quartiere fieristico
Riqualificazione dell'asse ferroviario Bologna-Padova
Creazione di nuovi punti di accesso da ovest al Parco urbano e valorizzazione di quelli esistenti Valorizzazione per punti dell'asse del canale Boicelli
01 Lungo il canale Boicelli Ambito urbano stretto e lungo, imperniato fra l’asse ferroviario BolognaPadova e il canale Boicelli, dal quale prende la direzione nord sud. A nord è delimitato dal corso del Po, mentre a sud dal corso fluviale del Po di Volano. Questa parte di città è prettamente volta alla funzione industriale: si è formata grazie alla presenza di un grosso impianto d’industria chimica, che ha reso necessaria la costruzione dei quartieri operai limitrofi, ancora oggi parte attiva della città. La maggior parte dell’edificato si attesta su via Padova, mantenendo tra questo e la strada, un corridoio di aree verdi con funzione di protezione visiva, sonora e dall’inquinamento. Un’altra tipologia di vuoti urbani, utilizzati a fini agricoli o incolti, si trova lungo il margine ferroviario a est, allineata al tracciato. via Sam ma rtin Dal punto di vista a degli obiettivi di progetto, il settore “Lungo il canale Boicelli” necessita: di un potenziamento dell’asse di mobilità ciclo-pedonale Ferrara mare in direzione nord-sud, permettendo il collegamento tra la stazione ferroviaria Individuazione del nodo Facoltà di City come e il Po, diIngegneria-Darsena una rifunzionalizzazione degli spazi verdi lungo l’asse ferroviario nuovo accesso alle mura cittadine Potenziamentodella dell'asse nord-sud Bologna-Padova, creazione di nuovi punti di accesso al Parco urbano che va dalla zona fiere alla stazione dal lato ovest ferroviariae valorizzazione di quelli esistenti e infine, ma non meno Riqualificazione dell'asse ferroviario importante, di una valorizzazione per punti dell’asse del canale Boicelli. Bologna-Padova via
Bo
log
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Vuoti di frammentazione
02
Realizzazione e integrazione dell'asse est-ovest della metropolitana suburbana
Potenziamento dell'asse nord-sud
che va dalla stazione ferroviaria al
Incremento delle attività del quartiere fieristico
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Individuazione del nodo Facoltà di Ingegneria-Darsena City come nuovo accesso alle mura cittadine
Potenziamento dell'asse nord-sud
che va dalla zona fiere alla stazione ferroviaria
Riqualificazione dell'asse ferroviario Bologna-Padova
Realizzazione e integrazione
Potenziamento dell'asse nord-sud
che va dalla stazione ferroviaria al Po Riqualificazione dell'asse ferroviario Bologna-Padova Creazione di nuovi punti di accesso da ovest al Parco urbano e valorizzazione di quelli esistenti Valorizzazione per punti dell'asse del canale Boicelli
dell'asse est-ovest della metropolitana suburbana Incremento delle attività del quartiere fieristico
via
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02 Lungo la Ferrara-Bologna
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a Ferrara mare
Individuazione del nodo Facoltà di Ingegneria-Darsena City come nuovo accesso alle mura cittadine Potenziamento dell'asse nord-sud
Quest’ambito urbano assume una forma pseudo rettangolare con il lato lungo che va da nord a sud. Il margine ovest è facilmente identificabile dalla presenza dell’asse ferroviario Ferrara-Bologna, il lato est è delimitato dall’asse viario di via Bologna, a nord termina con il corso fluviale del Po di Volano mentre a sud con la prima cinta agricola. Il settore è diviso a metà, in due grossi comparti funzionali: la parte nord, oltre al Polo Scientifico Tecnologico, è maggiormente di carattere residenziale con un tessuto morfologico composto da grandi palazzi, mentre a sud è presente un ampio quartiere artigianale e il complesso Fiere Congressi Ferrara. Di grande importanza nel tessuto viario è la via Foro Boario. L’edificato si attesta per lo più su via Bologna. Alcuni corridoi verdi, spesso affiancati alle strade di grande scorrimento, si trovano perpendicolari ad essa tra i vari complessi residenziali. Altri spazi incolti li troviamo ad ovest fra l’asse viario di via Ferraresi e quello ferroviario. L’intero comparto è una sorta di cantiere a cielo scoperto. Infatti, negli ultimi anni è stato interessato dalle maggiori trasformazioni infrastrutturali. Dal punto di vista degli obiettivi di progetto, cogliendo l’occasione dei cantieri ancora in fase di attuazione, si potrebbero apportare ulteriori miglioramenti specialmente ai tracciati riservati ad una mobilità lenta. Ad esempio: la creazione di un asse ciclo-pedonale continuativo nord-sud, che vada dalla zona fiera alla stazione ferroviaria, la riqualificazione degli vuoti residuali adiacenti all’asse ferroviario Bologna-Padova, la realizzazione e integrazione dell’asse est-ovest della metropolitana suburbana. Altri interventi necessari sono l’individuazione del nodo Facoltà di IngegneriaDarsena City come nuovo accesso alle mura cittadine e valorizzazione del quartiere fieristico e suo parco con conseguente incremento delle attività legate al tempo libero.
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Potenziamen
direzione est periferici e le
Valorizzazion
parti edificate campagna in
Incremento d
libero lungo l esterna
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Ferrara mare
Potenziamento dell'asse nord-sud
che va dalla stazione ferroviaria al Po
ferroviaria
Riqualificazione dell'asse ferroviario Bologna-Padova Realizzazione e integrazione dell'asse est-ovest della metropolitana suburbana Incremento delle attività del quartiere fieristico
Riqualificazione dell'asse ferroviario Bologna-Padova
Creazione di nuovi punti di accesso da ovest al Parco urbano e valorizzazione di quelli esistenti Valorizzazione per punti dell'asse del canale Boicelli
Tutela del vuoto agricolo e
valorizzazione dei punti attraverso i quali si interfaccia alla città
Realizzazione e integrazione dell'asse est-ovest della metropolitana suburbana
Riqualificazione del quartiere Rivana
Individuazione dell'Ippodromo come
via
Bo
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presidio centrale di un sistema di spazi pubblici aperti più periferici
via
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a Ferrara mare
Tutela del vuoto agricolo e
valorizzazione dei punti attraverso i quali si interfaccia alla città
Realizzazione e integrazione
03 Attorno al Parco Sud Si tratta di un comparto molto ampio, di forma più allargata, che ingloba in sé l’area di un possibile Parco Agricolo Sud. Il parco, delimitato a sud dalla strada Sammartina e dalla superstrada diretta ai lidi ferraresi, a ovest arriva fino alle sponde del Po di Primaro. La punta nord dell’ambito è prevalentemente residenziale con la per lo più abitazioni medio-piccole. Dal punto di vista della struttura viaria, rilevante è la presenza dell’Ippodromo: grande vuoto urbano chiuso in sé stesso, condiziona fortemente la mobilità e la percezione degli spazi verdi di quartiere. Ad ovest è delimitato dall’asse viario di via Bologna, mentre a nord e ad est termina con il corso fluviale del Po di Volano e del Po di Primaro. La maggior parte dell’edificato si attesta su via Bologna. Scarsi spazi ricreativi possiamo individuarli nelle zone attorno all’Ippodromo, mentre un nucleo consistente di terreni non urbanizzati adibiti a funzione agricola lo troviamo nella parte sud dell’ambito. Un importante problema da risolvere in questo ambito è la riqualificazione del quartiere Rivana, reso oggi maggiormente allettante dalla realizzazione e integrazione dell’asse est-ovest della metropolitana suburbana. L’area dell’Ippodromo oggi non è sfruttata al massimo, individuando in esso un presidio centrale del sistema di spazi pubblici aperti più periferici si potrebbe migliorare tale situazione. Ultimo punto ma non meno importante, la tutela del vuoto agricolo e la valorizzazione dei punti attraverso i quali si interfaccia alla città, possono essere un ulteriore opportunità per questo comparto.
221
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Identificazione del Po di Volano Potenziamento dei collegamenti in
direzione est-ovest tra i quartieri periferici e le mura cittadine Valorizzazione della relazione tra le parti edificate e le fasce di campagna interclusa Incremento dei servizi per il tempo libero lungo la circonvallazione esterna
Aree in trasformazione
04 Lungo il Po di Volano
e
via Colombarola
arola
i in i
come corridoio verde di interconnessione tra gli ambiti 01, 02 e 04 e come impulso per la riqualificazione dell'intera fascia compresa tra il fiume e le mura cittadine a sud Aumento della fruibilità del tratto urbano del Po di Primaro Miglioramento della fruibilità delle mura cittadine da parte dei residenti dei quartieri periferici attraverso il nodo Po di Volano-area San Giorgio
Identificazione del Po di Volano
come corridoio verde di interconnessione tra gli ambiti 01, 02 e 04 e come impulso per la
Comparto più lungo e stretto rispetto agli altri, segue l’andamento con direzione ovest-est della cinta muraria e del corso d’acqua del Po di Volano, che lo delimitano a nord e sud. Aree in trasformazione Quest’ambito comprende i primi insediamenti storici della città, che sono leggibili come trama ancora oggi. In particolare, la parte più a est è caratterizzata da un consolidato quartiere residenziale prevalentemente formato da abitazione medio-piccole, attestato lungo le sponde del Volano. Le aree verdi, quasi tutte di natura privata, si attestano lungo il corso d’acqua. Sentieri verso le mura La parte ovest, al contrario, è un’area urbana caratterizzata da forti buchi, a causa della attuale dismissione di alcune archeologie industriali, primo nucleo produttivo sorto in città. Si tratta della zone della darsena cittadina e dell’ex-mercato ortofrutticolo, attualmente oggetto di proposte di riqualificazione urbana. Vista l’importanza storica di questi primi insediamenti lungo il Po di Volano, ciclo-pedonali risulta necessaria l’identificazione del fiume come corridoioPercorsi verde di interconnessione tra gli altri ambiti, in particolare come collegamento tra la città dentro le mura e la prima periferia, azione che rende la riqualificazione dell’intera fascia compresa tra il fiume e le mura cittadine a sud molto allettante. Necessario risulta anche l’incremento dei tracciati ciclo-pedonali passanti il Ponti e sottopassi nodo Po di Volano-quartiere San Giorgio. Tutti questi accorgimenti potrebbero migliorare la fruibilità delle mura cittadine anche da parte dei residenti dei quartieri periferici. Infine anche il tratto urbano del Po di Primaro richiede maggior valorizzazione e un aumento della sua fruibilità. Campagna interclusa
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circonvallazione
via Colombarola
via Colombarola
Identificazione del Po di Volano Potenziamento dei collegamenti in
direzione est-ovest tra i quartieri periferici e le mura cittadine Valorizzazione della relazione tra le parti edificate e le fasce di campagna interclusa Incremento dei servizi per il tempo libero lungo la circonvallazione esterna
come corridoio verde di interconnessione tra gli ambiti 01, 02 e 04 e come impulso per la riqualificazione dell'intera fascia compresa tra il fiume e le mura cittadine a sud Aumento della fruibilità del tratto urbano del Po di Primaro Miglioramento della fruibilità delle mura cittadine da parte dei residenti dei quartieri periferici attraverso il nodo Po di Volano-area San Giorgio
225 05 L’ultima espansione
circonvallazione
via Colombarola
Potenziamento dei collegamenti in
direzione est-ovest tra i quartieri periferici e le mura cittadine Valorizzazione della relazione tra le parti edificate e le fasce di
Sentieri verso le mura
Ambito di più recente costruzione, presenta un’urbanizzazione più estensiva rispetto ai comparti meridionali. Si attesta lungo il circuito orientale delle mura, creando un cuscinetto fra il centro storico dentro le mura e la prima cintura agricola. A sud è delimitato dalle sponde del Po di Volano. In questo comparto l’edificato è formato da complessi residenziali ben distinti, realizzati con aggiunte progressive, con la presenza di aree verdi fra di essi. Una buona percentuale degli spazi per il tempo libero si attestano via Colombarola nel sottomura, mentre aree più incolte penetrano fra l’edificato, come i campi coltivati rimasti all’interno della città dopo la costruzione della nuova circonvallazione stradale. Ponti e sottopassi In tale settore è evidente la necessità del potenziamento dei collegamenti ciclo-pedonali in direzione est-ovest tra i quartieri periferici e le mura cittadine, per rendere maggiormente accessibili e fruibili gli spazi del sottomura. Inoltre, la relazione tra le parti edificate e le fasce di campagna interclusa necessita di essere valorizzata e incrementata con tracciati ciclo-pedonali che possono anche proseguire verso la campagna agricola, e la realizzazione diIdentificazione Po di Volano aree perdelservizi legati al tempo libero lungo la circonvallazione esterna. come corridoio verde di interconnessione tra gli ambiti 01, 02 e 04 e come impulso per la riqualificazione dell'intera fascia compresa tra il fiume e le mura cittadine a sud
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L’ultima espansione Lungo il Po di Volano Attorno al Parco Sud Lungo la Ferrara-Bologna Lungo il canale Boicelli
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Il margine di Ferrara oggi 03.3
Scendendo ulteriormente di scala, la volontà è stata quella di combinare tutti gli elementi di analisi per ottenere una “mappa” soggettiva del margine urbano di Ferrara. La prima considerazione fatta è che, nel momento in cui lo scopo è ottenere una mappa, è necessario capire come un elemento possa essere rappresentabile. Da qui la volontà di iniziare a mappare degli elementi che combinati tra loro permettessero di configurare l’oggetto di studio. In primo luogo, sono stati definiti quegli elementi che godevano di una indiscutibile tracciabilità: barriere e fratture sono i primi segni che delimitano gli spazi urbani. Le barriere, sono elementi di cesura collocati sull’esterno dell’agglomerato urbano stesso, come per esempio le linee ferroviarie, le strade di circonvallazione ad alto scorrimento e i recinti delle enclave monofunzionali. In questo modo, l’agglomerato urbano di Ferrara è delimitato lungo il suo bordo dai seguenti elementi: la linea ferroviaria di collegamento Bologna-Padova, tratta a binario doppio che ospita anche le linee ad alta velocità, le linee ferroviarie a binario unico Ferrara-Suzzara e Ferrara-Codigoro, la circonvallazione urbana ad est e via Wagner, che collega via Bologna al raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi. Le fratture sono elementi di cesura allo stesso modo delle barriere, ma diversamente da queste, esse dividono il tessuto della città a partire dal suo interno. Le fratture sono categorie di elementi maggiormente eterogeni tra loro e di definizione meno oggettiva rispetto alle barriere. In ogni caso, si tratta di elementi tipicamente lineari, come strade, linee ferroviarie, vie d’acqua, cinte murarie, accomunati dalla caratteristica di essere difficilmente attraversabili e quindi poco permeabili. Sono quindi elementi lineari che generano dei tagli all’interno del tessuto urbano, barriere sia fisiche che percettive/visuali. Gli unici punti della città che non sono delimitati da uno di questi elementi, sono caratterizzati da una situazione di margine molto permeabile e non definibile con una linea precisa. Si tratta di brani di città nel quale il tessuto edificato si estende fino a mimetizzarsi
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nel paesaggio agricolo che lo circonda. Come vedremo successivamente, questa situazione di margine è identificata in una situazione precisa, che definiremo Gradiente. Successivamente, sono state identificate le enclave monofunzionali, ossia porzioni omogenee del tessuto urbano, quasi sempre inaccessibili e quindi nelle quali è assente in partenza una delle caratteristiche necessarie ad un margine urbano, ossia la possibilità di uno scambio. Queste aree, come per esempio distretti produttivi, artigianali, impianti tecnologici, aree militari, sono state idealmente “spente” in quanto non significative per la nostra analisi, presentando delle caratteristiche di fruizione troppo specializzate (essere in possesso di permessi, apertura soltanto in orario lavorativo, ecc.).
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Gli ultimi due elementi messi in evidenza sono: gli edifici che si trovano sul margine, ossia in contatto con vuoti urbani o con situazioni di barriera e di frattura, e i vuoti urbani residuali che rappresentano una discontinuità nel tessuto della città.
03.3.1 La definizione come indeterminatezza
Non è univoco - Non è tracciabile – Assume diversi spessori – Si genera da contrapposizioni – Non si trova solo sull’esterno
Non è univoco Il margine urbano non è un elemento univocamente definibile. Esso è infatti caratterizzato da tipologie, o meglio, si esplica in diverse situazioni. Ecco quindi che la descrizione di queste diverse situazioni, nelle loro diversità, negli elementi in comune, nei punti di forza e di debolezza, diviene uno strumento necessario per comprendere fino in fondo la complessità del fenomeno della marginalità. Sono state individuate nella città di Ferrara 7 diverse situazioni di margine urbano, in certi casi suddivise ulteriormente in sotto-situazioni. Non si tratta di situazioni oggettive e replicabili: in un’altra città il margine potrebbe mostrarsi in situazioni diverse in tutto o solo in parte.
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Non è tracciabile Il margine urbano non è tracciabile con una linea in modo continuativo, partendo da un punto e terminando in un altro. Si tratta di un elemento frammentato, in alcuni casi generatore di frammentazione. Dal punto di vista spaziale e percettivo, non presenta quindi una caratteristica che è tipica delle cinte murarie antiche. Assume diversi spessori Il margine urbano non è un elemento con uno spessore univoco, né con una forma definita. Spesso si insinua all’interno della città, o può essere semplicemente espresso da una rete di punti sconnessi tra di loro. Allo stesso tempo, è individuabile a più scale, assumendo spessori diversi anche nello stesso punto, a seconda della scala di riferimento e di indagine considerata. Situazioni diverse di margine, caratterizzate da spessori diversi, sono quindi sovrapponibili a livello spaziale.
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Si genera da contrapposizioni Il margine urbano non è un elemento assoluto. Non esiste in sé stesso, ma è il risultato di rapporti e di contrasti tra elementi diversi. In questo modo, possono essere definite diverse situazioni di margine a seconda degli elementi che si prendono in considerazione per definirlo. Alcune contrapposizioni già teorizzate, che rappresentano quindi punti più sicuri partire per la definizione del margine, sono: la contrapposizione pieno-vuoto, la contrapposizione interno-esterno e la contrapposizione città-campagna. Non si trova solo sull’esterno Il margine urbano non è spazialmente individuabile solo all’esterno si una realtà. Esso è individuabile ovunque esistano delle situazioni di contrapposizione. Le dinamiche contemporanee che stanno interessando le città, sono dinamiche che minano le città anche nelle loro parti più consolidate, come i centri storici. Il crollo delle certezze storiche e i processi di trasformazione sono elementi favorevoli alla migrazione della marginalità verso le aree interne più suscettibili.
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7 situazioni di margine urbano 03.3.2
01 Recinto – 02 In-between – 03 Colonizzazione – 04 Opposti – 05 Gradiente – 06 Distanza – 07 Corridoio
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01 Recinto
forza. espansione controllata debolezza. mancata integrazione con il contesto tendenza all’espansione. 1/7 grado di permeabilità. 1/7 tipologia. margine esterno
La situazione Recinto è caratterizzata da un alto tasso di chiusura verso le aree adiacenti e un limite dell’area in considerazione ben definito. Queste aree edificate sono enclave monofunzionali, spesso recintate e quindi non accessibili, non cercano un dialogo con le aree rurali adiacenti. La mancata integrazione di queste aree col paesaggio circostante è molto evidente. Un aspetto positivo molto importante è il quasi completo controllo di espansione di quell’area, di quella particella di margine. Questa tipologia è stata individuata principalmente sul margine esterno, ad esempio nelle aree industriali, nei quartieri artigianali, nel complesso carcerario e nelle più piccole aree dei cimiteri.
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241 02.2. barriera infrastrutturale: strada ad alto scorrimento 02.1. barriera infrastrutturale: linea ferroviaria
sotto-situazioni
forza. continuità lineare dei vuoti di risulta debolezza. mancata integrazione con lo spazio agricolo circostante tendenza all’espansione. 4/7 grado di permeabilità. 2/7 tipologia. margine esterno
02 In-between Linearità e separazione sono le principali caratteristiche della situazione In-between. Tali aree sono vuoti interclusi rimasti inglobati dall’urbanizzato, spesso tra aree edificate e barriere infrastrutturali, tanto da poter essere identificate con le cosiddette “fasce di rispetto”. Presentano una morfologia lineare, nella maggior parte di casi, dovuta all’andamento continuo delle infrastrutture. Al di là della delimitazione infrastrutturale, il paesaggio agricolo ha mantenuto la sua configurazione e integrità. Uno degli aspetti negativi è la mancata relazione con la cinta agricola esterna, mentre la continuità lineare dei vuoti di risulta appare come un’ottima opportunità per la creazione di spazi ricreativi e percorsi ciclo-pedonali. Tale tipologia è stata principalmente individuata sui margini esterni lungo gli assi viari ad alto scorrimento, lungo i tracciati ferroviari e lungo i corsi fluviali.
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03.3. barriera infrastrutturale: mura cittadine
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03.2. barriera infrastrutturale: strada ad alto scorrimento 03.1. barriera infrastrutturale: fiume
sotto-situazioni
forza. eterogeneità del rapporto tra spazio verde e spazio costruito debolezza. mancanza di un sistema definito di spazi verdi tendenza all’espansione. 6/7 grado di permeabilità. 4/7 tipologia. margine esterno
03 Colonizzazione Filtro ed eterogeneità sono i principali termini che identificano la situazione Colonizzazione. Queste aree sono caratterizzate dalla presenza di ampie colonie di spazi verdi che, insinuandosi tra la città e gli assi infrastrutturali, generano un filtro tra il paesaggio urbano e il paesaggio agricolo al di là degli assi viari. Purtroppo questi spazi non sono riconducibili ad un sistema definito, e quindi appaiono come disconnessi e casuali. Aspetto positivo è la loro eterogeneità nel rapporto tra spazio verde e spazio costruito: vengono così a crearsi importanti opportunità per la progettazione degli spazi ricreativi. Questa tipologia la possiamo ritrovare nelle parti di città in cui una infrastruttura ha intercluso delle porzioni di campagna agricola, come ad esempio nei quartieri della nuova espansione est oppure in prossimità delle mura cittadine in particolare nella parte settentrionale della città.
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04 Opposti
forza. porosità del tessuto edificato debolezza. mancanza di una relazione morfologica tra pieni e vuoti tendenza all’espansione. 7/7 grado di permeabilità. 5/7 tipologia. margine esterno
La situazione Opposti è caratterizzata da una forte compattezza dell’edificato e una netta cesura fra i due diversi tipi di spazi. Lo spazio edificato, composto dalla reiterazione di edifici della medesima tipologia, disposti in maniera piuttosto fitta ed omogenea, fronteggia il paesaggio agricolo adiacente. Purtroppo però appare evidente una mancata relazione tra pieni e vuoti, gli edifici non dialogano tra loro e ancor meno con il paesaggio circostante. Al tempo stesso si identifica un’alta porosità dell’edificato, e quindi un ampio margine di miglioramento e progettazione degli spazi ricreativi pubblici fra gli edifici, valorizzando e aumentando anche il dialogo con la campagna agricola adiacente.
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05 Gradiente
forza. permeabilità nei confronti del paesaggio rurale circostante debolezza. pericolo di un’espansione incontrollata tendenza all’espansione. 5/7 grado di permeabilità. 7/7 tipologia. margine esterno
Alto tasso di permeabilità e un espansione fuori controllo sono i principali caratteri della situazione Gradiente. Le aree sono molto frammentate, riconoscibili dalla coesistenza di edifici con spazi molto aperti. Il passaggio dalla città al paesaggio agricolo avviene in modo graduale, sia a livello di densità morfologica che di altezze degli edifici. Avendo, quasi sempre, ancora parecchi diritti edificatori, questi spazi sono in continua evoluzione. Ciò purtroppo provoca l’inesistenza di un possibile controllo all’espansione in questi tipi di margine. Data la situazione si dovrebbe attuare un’inversione di prospettiva: anziché utilizzare tali aree per aumentare la mole di edificato, si dovrebbe interpretare come opportunità per instaurare un dialogo con il paesaggio rurale, e renderlo quindi più permeabile. Questa situazione la troviamo ai margini della periferia, in particolare a sud dopo il complesso fieristico oppure ad est al termine di un quartiere residenziale di ville e villini.
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06.4. barriera infrastrutturale: nodo infrastrutturato 06.3. barriera infrastrutturale: strada ad alto scorrimento
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06.2. barriera infrastrutturale: ferrovia 06.1. barriera infrastrutturale: fiume
sotto-situazioni
forza. continuità lineare dei vuoti di risulta debolezza. formazione di una frattura all’interno della città tendenza all’espansione. 3/7 grado di permeabilità. 3/7 tipologia. margine interno
06 Distanza Linearità e bidirezionalità sono le principali caratteristiche della situazione Distanza. Le aree sono identificate come vuoti interclusi tra edificato e una barriera o un nodo infrastrutturale, per questo la loro configurazione è tendenzialmente lineare. Questa situazione può apparire simile a quella di in-between, ma invece presenta una sostanziale differenza. Questi vuoti lineari sono specchiati dall’altro lato dell’asse infrastrutturale e si identificano come una frattura nell’urbanizzato La sequenza appare: edificato, vuoto lineare, asse infrastrutturale, vuoto lineare, edificato. Per questo motivo possiamo affermare che la situazione distanza è una frattura all’interno della città, che da un certo punto di vista può essere interpretata come aspetto negativo, vista l’invalicabilità degli assi infrastrutturali, ma al tempo stesso potrebbe rappresentare una possibilità per creare un percorso ciclo-pedonale lineare e bidirezionale in specifici punti, sfruttando i vuoti di risulta.
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251 07.2. barriera infrastrutturale: fiume 07.1. barriera infrastrutturale: mura cittadine
sotto-situazioni
forza. linearità del sistema dei vuoti di risulta debolezza. mancanza di un sistema definito di spazi verdi tendenza all’espansione. 2/7 grado di permeabilità. 6/7 tipologia. margine interno
07 Corridoio La situazione Corridoio è caratterizzata da una forte linearità degli spazi e una buona permeabilità fra di essi. Le aree verdi, assimilabili a “corridoi ecologici”, sono continue e lineari, accessibili in specifici punti di risalita o attraversamento. I tracciati di questi grandi corridoi paesaggistici vengono enfatizzati dalla presenza di spazi verdi di diversa natura lungo i loro bordi, utilizzati a scopo ricreativo e a volte lasciati in stato di abbandono. Attualmente queste aree sono prive di un sistema definito di percorsi e aree funzionali, per questo si suggerisce la creazione di tracciati ciclo-pedonali e la definizione di spazi legati al tempo libero. Questa tipologia di margine la possiamo troviamo all’interno dell’urbanizzato, come ad esempio ai lati della cinta muraria o sulle sponde dei corsi d’acqua.
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strategia urbana 04 Con quale strategia urbana approcciarsi al margine di Ferrara?
[Margini a sistema] TAV07 TAV08
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«Le mura di Ferrara appartengono al centro storico della città, anzi, entro un certo limite, sono il centro della città medesima. Esse non stanno più, come all’epoca di quando io ero ragazzo, quando andare sulle mura rappresentava una specie di avventura, all’estrema periferia dell’abitato. Oggi le cose stanno diversamente. Le mura, ripeto, fanno parte del centro storico di una città immensa che, in qualche modo, arriva ormai fino al mare.» Giorgio Bassani, Ferrara e le sue mura, 1979
Visione per Ferrara 04.1
La definizione di macro-ambiti urbani ha permesso di suddividere l’agglomerato urbano esterno alla cinta muraria in cinque comparti caratterizzati e di individuarne le problematiche specifiche. In una città così fortemente condizionata dalla presenza delle mura, è necessario un cambio di prospettiva, pur non dimenticandosi del ruolo centrale che il sistema delle mura ha rivestito e continua a rivestire, per il futuro della città. In primo luogo, è necessario voltare lo sguardo, rivolgendosi verso l’esterno della città, e in secondo luogo, partire da una conversione dei vuoti urbani residui in vuoti connettivi da progettare, nuova spina per le future trasformazioni della città. Partire dal progetto dei margini di Ferrara come strategia possibile per ricucire la città con il paesaggio che la circonda e sfruttare i nodi infrastrutturali compromessi come opportunità per ricreare dei collegamenti alternativi, materiali e immateriali, fra i quartieri periferici e il centro storico. Allo stesso tempo, progettare il margine come uno spazio con un suo spessore, nel quale possano essere sviluppate attività multifunzionali. Come se il margine urbano potesse idealmente rappresentare un circuito concentrico a quello delle mura, più ampio sia dal punto di vista della dimensione spaziale che dal punto di vista delle opportunità di fruizione e di valorizzazione, occasione per il potenziamento del “sistema mura” stesso. Il progetto di paesaggio urbano che viene proposto, si basa su quattro linee strategiche principali: il bordo come trama verde, il margine come ricucitura, il vuoto urbano come opportunità e la fruizione come consapevolezza. Si tratta di quattro principi che hanno come proprietà una trans-scalarità, ossia la possibilità di essere applicati su più scale. La scala dell’agglomerato urbano diviene quella di riferimento per la proposta di una visione strategica per il territorio ferrarese. Tale scala può essere ritenuta una scala di pianificazione a scala intermedia, interessa un ambito territoriale intermedio, tra la scala provinciale e quella comunale, indifferente ai limiti amministrativi, ma concentrato sui limiti fisicobiologici e relazionali, caratterizzato da un intenso livello di coesione e interscambio interno. La scala intermedia è la dimensione che maggiormente deve essere indagata, anche perché maggiormente significativa per agire sui processi di frammentazione e destrutturazione, dovuti allo sganciamento tra le strutture locali e le funzioni territoriali della città. Evitare l’omogeneizzazione e puntare sul potenziamento delle caratteristiche locali, andando a cercare
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gli elementi strutturali anche residuali che hanno prodotto il paesaggio precedente. La scelta della scala di riferimento rappresenta la prima scelta metodologica del progetto in questione. Una scelta che consapevolmente porta con sé il rischio del dover affrontare una scala così grande. Il concetto che sta alla base è quello del presupposto della continuità di un progetto di ridefinizione del margine urbano, nel quale le barriere e le fratture sono gli elementi individuati come problematici, mentre sistemi, corridoi ecologici e coni visuali, sono individuati come base di partenza per il nuovo disegno.
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Il paesaggista M. Desvigne, afferma che percepire la scala e fornire la risposta giusta alla giusta dimensione è, a suo avviso, la chiave di riuscita di un progetto di ricomposizione di un territorio. Egli afferma che, “in termini metodologici, è necessaria una taratura permanente, alla stregua delle regolazioni sistematiche effettuate sulle antiche reflex prima di scattare una foto. Tarare costringe ad affrontare tutte le scale simultaneamente: implementare una strategia di organizzazione su tempi lunghi, condurre delle riflessioni su scale più piccole (dell’ordine di 250 ettari), per luoghi in cui effettivamente si costruiranno dei pezzi di città, ed effettuare sperimentazioni su scale ancora più piccole (grossomodo di una decina di ettari)”. (Desvigne, 2012) La visione per Ferrara ha per oggetto il margine urbano, precedentemente definito a livello analitico con una metodologia sperimentale. Il progetto per Ferrara è un progetto di ridefinizione del margine urbano, ossia un progetto che parte dalle tracce già esistenti sul territorio per arrivare a determinare nuovi sistemi di paesaggio nella città, attualmente, alcuni più e altri meno, nascosti. Le parole di M. Desvigne, sono importanti per riassumere gli intenti progettuali: “Non progetto una città ma credo nella potenzialità della ricomposizione dei nostri territori urbani nella loro geografia. Credo nella realizzazione degli spazi pubblici mancanti alla scala delle grandi espansioni urbane del secolo scorso. La mia città ideale non è un modello. La mia città ideale è una qualsiasi città della quale si disegni il bordo. Questo modesto limite allo sviluppo vertiginoso che delimita le lottizzazioni e le aree produttive. Riserva formidabile per uno spazio pubblico da inventare”. (Desvigne, 2012)
Il bordo come trama verde 04.1.1
Il bordo delle città, dove sono insediati i primi terreni non urbanizzati utilizzati a scopo agricolo, è il terreno ideale per un progetto che coniughi la ricucitura del rapporto tra città e campagna urbana e la definizione di un parco urbano. Si tratta di progetto di bordo, ossia di uno spazio con uno spessore e una valenza suoi propri, che possa relazionare tra loro il sistema del verde urbano già esistente e il sistema del paesaggio rurale. Occorre una progettazione che tenga conto per esempio, che il verde va sicuramente pensato come sistema unitario e continuo, ma anche da cogliere nelle specifiche differenziazioni: “si potrà allora, forse, in queste zone di bordo insinuare il verde agricolo nell’urbano mediante una sequenza che dal campo e dal bosco trascorra nel parco, nel viale, nel giardino, o, all’opposto, protendere il costruito con terrazzi, giardini, viali verso gli ampi spazi agricoli?”. (Giammarco, Isola, 1993) La rete degli spazi verdi interni alla città e la rete degli spazi verdi della frangia periurbana devono essere viste come parti inscindibili del sistema ecologico della città: bisogna pervenire ad un piano strategico unitario della rete verde urbana e periurbana. Si conferma qui il fatto che la città non va vista solo come una rete costruita, ma anche come una rete verde opportunamente intrecciata con quella costruita: un piano strategico degli spazi verdi periurbani ed urbani diviene il luogo di riferimento per progettare e gestire questa rete con una visione sistemica, che consente di integrare la variegata gamma di interventi settoriali incidenti direttamente o indirettamente sul patrimonio naturale. Nella frangia periurbana, “la rete verde non si innerva solo là dove trova elementi lineari di alta valenza ecologica come i corsi d’acqua, ma deve collegare frammenti agricoli, deve attecchire lungo infrastrutture di grande impatto, deve incunearsi tra il costruito, portando la vegetazione là dove la normale prassi urbanistica si aspetterebbe case e capannoni”. (Socco, Carlo, Guarini, Montrucchio, 2005) Come afferma P. Donadieu, “il paesaggista non fornisce al suo cliente un progetto chiuso e definitivo, ma un processo di elaborazione di un territorio, che influenza lentamente, impercettibilmente o più segnatamente, le evoluzioni in corso”. (Donadieu, 2013) Con il termine “riedificazione del paesaggio” si intende perciò una serie di interventi volti a modificare lo stato di fatto degradato degli elementi territoriali (corsi d’acqua, sponde fluviali, lacustri e marine, pendii soggetti a erosione, aree degradate, etc.), rimettendone in moto gli equilibri e aprendone la via
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all’utilizzo ricreativo, ambientale e culturale. Risulta quindi importante tutelare quei sistemi che P.Donadieu definisce ecosimboli: l’assetto morfologico, composto da, (conformazione del terreno, suddivisione dei lotti agricoli, tracciati poderali, canali di scolo e irrigazione, filari alberati, gli elementi storico-testimoniali riconducibili alla partizione agraria o alle tecniche di impianto storiche, …) e idrografico (rete irrigua e corsi d’acqua naturali) del paesaggio, tutelare e valorizzare la vegetazione (alberate, siepi, ripe boscate, fontanili), orientare la riqualificazione edilizia e funzionale di cascine e rustici alla conservazione dei caratteri storico tradizionali, architettonici e materici, dei manufatti edilizi e alla salvaguardia delle relazioni fisiche e percettive con il contesto. Si può riprendere così l’abitudine “dei sentieri rurali”, dove gli alberi intervengono come assi ordinatori capaci nel guidare le vedute lungo una nuova passeggiata urbana, fino a divenire una nuova “linea di riferimento” per orientarsi nella città. La creazione di una nuova viabilità, pedonale, ciclistica e veicolare, tra boschi, fiume, quartieri residenziali e lottizzazione agricola, permette lo svolgimento delle attività sia agricole che ricreative, e inserisce il nuovo edificato in una cornice agreste. Lungi dal risentire negativamente della mancanza di animali di case coloniche, questo paesaggio agricolo di siepi e aree erbose condensa, nella sua stessa stilizzazione, l’essenza di una campagna ideale: uno spazio aperto e accessibile ridotto alla trama dei propri campi. Spazio che tuttavia non è più una campagna rurale, ma un parco, e può essere capito soltanto attraverso i riferimenti culturali del giardino. L’urbanistica verde (tradotta dal termine anglofono green urbanism) lavora, analizza, elabora modelli di città che rivisitando quelli del passato pongono maggiore attenzione al tema dell’impatto del traffico, dell’inquinamento e della densità abitativa, sugli stili di vita. La ricerca attuale di nuove forme di verde nasce proprio come risposta per mitigare l’eccessiva antropizzazione e come applicazione di ecomimesi in quelle parti di territorio urbano particolarmente compromesso, e dove il verde tradizionale è stato ormai epurato o non ha più capacità di esistere. In questo territorio la lettura delle componenti ecologiche dell’ambiente si deve integrare con la lettura delle componenti urbanistiche e infrastrutturali e con i loro impatti. Le cortine edilizie di case, di capannoni industriali, i centri commerciali, le barriere invalicabili costituite da autostrade e ferrovie, la centrali elettriche e le linee aeree degli elettrodotti, le cave, le discariche, i piazzali di deposito, sono solo alcuni esempi di ciò che la città riverse sulla sua periferia e che è causa di pressioni ambientali.
Una città che miri ad accrescere complessivamente il proprio grado di sostenibilità locale dovrebbe dar luogo ad un assetto territoriale, in cui la frangia periurbana assolve al ruolo di area di compensazione degli impatti che la città costruita genera sull’ambiente agro naturale. A questo proposito, è utile tenere in debito conto di alcune eguaglianze e considerazioni: 1 ettaro di alberi (ca 1000 piante) produce ossigeno per 30 persone (180 kg/anno) e riduce di 60 t la quantità di CO2; se una città prevede nuovi alloggi per 15.000 persone (8.000 nuove auto) sono necessarie 2.700 t di O2 e saranno prodotte 4.080 t di CO2. (Mengoli, 2013) Oltre ad essere graditi alla popolazione, gli spazi verdi e i parchi di buon livello qualitativo producono un’ampia serie di benefici sociali, economici e d ambientali di lunga durata: migliorano il microclima della città, accrescono il valore ecologico e di biodiversità dell’ambiente urbano, sono componenti fondamentali del paesaggio costruito, del suo valore culturale e dell’immaginario collettivo; rendono possibile uno stile di vita sano, favoriscono le relazioni sociali e la coesione della comunità. Alla semplice funzione estetica di un “parco urbano”, se ne affiancano le altre. Si può parlare quindi di una vera e propria multifuznionalità. Quella Ecologico-Ambientale, dato che la vegetazione produce ossigeno e contribuisce alla biodiversità delle comunità biotiche. Quella Sanitaria, data dall’effettiva capacità del verde di disinquinare i siti urbani e quelli contaminati, tramite vocazioni e capacità specifiche dei vegetali. Quella Protettiva verso l’erosione dei suoli e per l’abbattimento del rumore. Quella Sociale, Ricreativa, Culturale, dove lo spazio verde è il vero luogo urbano aperto deputato alla socializzazione, allo svago, allo sport, alla didattica, e che pertanto “gioca” un ruolo fondamentale nell’integrazione delle etnie e delle diverse classi sociali. Infine quella Terapeutica, perché la prossimità con la natura aiuta a superare o attenuare handicap legati a stati temporanei e permanenti di malattia nelle persone.
Il margine come ricucitura 04.1.2
Una trama verde di bordo non è semplicemente un luogo di passeggiate ai confini tra città e mondo rurale. essa implica anche il ripensamento delle relazioni fra la città e la campagna, fra la cultura urbana e il mondo agricolo. Bisogna mettere fine a una diversificazione fra politiche per le città e politiche
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per gli spazi agricoli. Ma l’importante è non eliminare le differenze che caratterizzano i due mondi, anche a rischio di vivere degli scenari surreali: “Inventare una campagna urbana accessibili, produttiva e fiera di apparire uno spazio al tempo stesso agricolo e di svago? O una stazione delle metropolitana che si affaccia sugli orti domestici e i prati? Un centro commerciale racchiuso dentro uno scrigno d frutteti aperti alla raccolta? Uno stabile di uffici in mezzo alle piante di ribes e di lamponi? Utopia? No, questi esempi sono reali. L’innovazione consiste nell’associare il vuoto agricolo e il pieno costruito in un progetto che li unisca per sempre”. (Donadieu, 2013)
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Fare un progetto di margine urbano non significa come in qualche esperienza passata imporre il segno di improbabili megastrutture urbane che chiudono la città al loro interno, né innalzare altri muri di separazione, in aggiunta ai recinti esistenti nella periferia: significa invece rafforzare l’immagine con “un segno ordinatore che fa da riferimento per le integrazioni e i riallacciamenti nel disordine esistente”. (Giammarco, Isola, 1993) Il lavoro sui bordi “creerebbe dei legami aperti, introdurrebbe una porosità piuttosto che una cintura che, anche se verde, non corrisponderebbe che alla dilatazione di una rete”. (Desvigne, 2012) Sul lato della città, il lavoro sui bordi si propone di creare un’apertura e di eliminazione un limite. Sul lato della campagna, si propone di creare una rete di vie, di fossati (un tempo presenti, oggi scomparsi, che permetterebbero di controllare lo scolo delle acque), ai quali si potrebbero aggiungere alcuni usi del suolo a scopo produttivo e non (prati, frutteti, aree per lo sport e per il tempo libero), per costruire a poco a poco dei veri e propri spazi comuni. L’interferenza creata tra la città e la campagna riconcilierebbe i due mondi, consentendo loro delle attività di scambio, anche economico.” Per quanto riguarda nello specifico gli scenari periurbani, risulta importante tenere in considerazione i caratteri percettivi, le viste e le vedute che dall’esterno, ossia dal paesaggio, anche se trasformato e degradato, si hanno nei confronti dell’ambito urbano, per quanto diffuso e sfrangiato esso sia. Anche il miglioramento di tali viste e vedute, con specifici progetti di riqualificazione e mitigazione paesistica dovrà essere uno degli obiettivi degli interventi da definire sia a scala urbana che territoriale. Lo stesso K. Lynch, quando descrive i cinque elementi che costituiscono le immagini urbane, come elemento numero cinque introduce i Riferimenti. Questi, sono costituiti da un oggetto fisico piuttosto semplicemente definito: edificio, insegna, negozio o montagna. Qualche riferimento è lontano, visibile di solito da una pluralità di angolazioni e di distanze, al di sopra degli elementi più piccoli, e viene impiegato come “riferimento radiale”. I riferimenti
possono essere interni alla città o ad una distanza tale da simbolizzare in pratica una direzione costante. La definizione di una serie di riferimenti, è un’occasione per creare una ricucitura tra ciò che viene percepito come centrale e ciò che viene percepito come marginale, permette di definire delle relazioni: “un margine può essere più che una semplice barriera dominante, se attraverso di esso è possibile qualche penetrazione di visuale o di movimento, se cioè esso è strutturato per qualche profondità nelle aree laterali. In tal caso esso diviene una sutura piuttosto che una barriera, una linea di scambio lungo la quale due aree sono unite insieme. Se un margine importante è dotato di molte connessioni visive e circolatorie con il resto della struttura urbana, esso diviene allora una caratteristica a cui tutto il resto è facilmente allineato”. (Lynch, 1964) La realizzazione della ricucitura avviene attraverso l’individuazione e la valorizzazione di connessioni, fisiche o visive. Senza la pretese di voler eliminare una distinzione tra ciò che è agglomerato urbano e ciò che vi è esterno, si cerca di “oltrepassare il confine senza rimuoverlo”. Ciò è possibile passandoci attraverso realizzando dei varchi, oppure costruire qualcosa sopra di esso (o scavare qualcosa al di sotto), un ponte (una galleria), “progettare un’architettura che ci permetta lo sconfinamento”. (Zanini, 1997)
Il vuoto urbano come opportunità 04.1.3
L’importanza del vuoto come concetto spaziale e filosofico si radica nelle culture orientali. Il nucleo centrale del taoismo e del buddhismo chan e zen, anche dal punto di vista dell’esperienza estetica è dato dal vuoto. Non solo dal concetto di vuoto, ma dall’esperienza del vuoto. Per le culture orientali, il vuoto è importate in quanto indispensabile per la materializzazione delle altre forme materiali. Il vuoto è ciò che fa sì che ciascuna forma materiale sia quella che è in rapporto ad altre forme materiali. Il vuoto si pone quindi come un “campo” fisico in cui interagiscono delle forze che, senza di esso, non esisterebbero e non sarebbero nemmeno percepibili: ovvero, il vuoto può essere inteso come equivalente di uno sfondo a figure che manifestano i loro rapporti solo grazie all’interazione reciproca tra di esse, interazione garantita e resa possibile dallo sfondo
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stesso. Esso infatti “non può vantare alcuno statuto di realtà autonoma, di autoconsistenza”. (Pasqualotto, 1992) Inoltre, una serie di esperienze che stanno alla base della cultura orientale appaiono realizzabili solo mediante la pratica della meditazione che trasforma il vuoto, da semplice concetto, in energia produttiva. Queste sono: la cerimonia del tè (chanoyu), la pittura ad inchiostro (sumie), la forma poetica haiku, l’arte delle disposizione dei fiori (ikebana), i giardini a “paesaggio secco” (karesansui), e il teatro no. La cerimonia del tè è la forma estetica che più riguarda un’esperienza spaziale. La stanza del tè (sukika) non vuole essere niente di più che un semplice cottage o una capanna. I caratteri originari per sukika significano Dimora della Fantasia. “Il termine sukika può anche significare Dimora del Vuoto oppure Dimora dell’Asimmetrico. È Dimora della Fantasia in quanto struttura effimera costruita per ospitare un impulso poetico. È Dimora del Vuoto in quanto priva di ornamenti, a eccezione di quel che vi può essere collocato per appagare un’esigenza estetica contingente. È Dimora dell’Asimmetrico in quanto consacrata al culto dell’Imperfetto; si lascia volutamente qualcosa di incompiuto affinché sia l’immaginazione a completarlo”. (Okakura, 1997) La versione cinese del gioco degli scacchi, che ha origine nel gioco indiano chuaturanga, quella cinese ha alcune particolarità che la rendono unica, tanto negli spazi disegnati dalla scacchiera quanto nel modo in cui le pedine occupano quegli spazi. La scacchiera, che è già in sé la rappresentazione di uno spazio limitato, è divisa al centro da una fascia vuota, chiamata “il fiume”. Inoltre i pezzi, a differenza di quelli della tradizione indoeuropea, non occupano un campo, ma si dispongono su un nodo, cioè sull’intersezione delle linee lungo le quali si spostano; individuano un percorso, non una posizione. Anche nel gioco degli scacchi, l’attenzione resta sullo “spazio che si trova “tra” le cose, quello che mettendo in contatto separa, o, forse, separando mette in contatto, persone, cose, culture, identità, spazi tra loro differenti”. (Zanini, 1997) Una volta analizzata l’origine concettuale della parola vuoto, sembra opportuno sostituire la parola “vuoto” con la parola “interstizio”; con tale parola si indica il vuoto “tra le cose”, o dentro le cose. Un interstizio è uno spazio non isolabile in sé stesso: esso acquista significato proprio per il suo essere intervallo tra elementi diversi, da cui deriva le sue qualità. È il concetto di “interstizio” che oggi esprime, più che quello di edificio o di spazio aperto, le relazioni, i significati e le tensioni della città contemporanea. L’obiettivo diventa quindi quello di cercare di dare un significato nuovo a
questo spazio “tra le cose”, di cercarne una chiave di lettura contemporanea. Le popolazioni nomadi, grazie alla loro erranza nei territori vuoti, incontaminati, hanno acquisito la capacità di individuare all’interno degli spazi vuoti delle tracce, che ai più restavano invisibili: “ogni difformità è un evento, è un luogo utile per orientarsi e con cui costruire una mappa mentale disegnata da punti (luoghi particolari), linee (percorsi), e superfici (territori omogenei) che si trasformano nel tempo. La capacità di saper vedere nel vuoto dei luoghi e quindi di saper dare i nomi a questi luoghi è una facoltà appresa nei millenni che precedono la nascita del nomadismo”. (Careri, 2006) Anche storicamente, la presenza di vuoti urbani all’interno dell’agglomerato urbano, è stato un elemento caratterizzate la sua morfologia. Come già esposto infatti, nei primi anni del Novecento Ferrara si presentava, rispetto a tante altre città italiane, con una enorme disponibilità di aree ancora libere antro le mura. La valorizzazione e la messa in rete di questi vuoti ha permesso una loro quasi totale conservazione fino ad oggi. Il progetto urbano in oggetto, propone una medesima operazione di valorizzazione e di messa a sistema dei vuoti residuali individuati che circondano a corona la città, dalla cintura agricola periurbana, ai vuoti di risulta affiancati alle infrastrutture, fino ai vuoti che si insinuano in modo frammentato all’interno dei tessuti periferici. In quest’ottica un progetto complessivo di paesaggio, che non consideri il non costruito come uno spazio residuale, ma come elemento capace di una relazione attiva con il contesto urbano, ha le potenzialità per contribuire alla coesione sociale, alle sensibilizzazione ai temi ambientali, al miglioramento dell’offerta dei luoghi di ritrovo, all’aumento della sicurezza urbana. Può essere considerata, nella determinazione del campo di intervento, l’opportunità di ridisegnare l’architettura dei luoghi della periferia a partire dal controllo progettuale dello spazio pubblico e collettivo. Una delle più importanti strategie di riutilizzo delle aree verdi abbandonate, è quella di G. Clement: il Manifesto del Terzo Paesaggio si basa sull’idea che i lotti abbandonati o frammenti non curati del giardino planetario siano il rifugio della biodiversità terrestre, e che in questo si trovi il nostro avvenire biologico. Ciascuna specie vegetale ha una sua maniera ingegnosa, unica, talvolta complicata, di svilupparsi nello spazio e nel tempo, di assicurare la propria perennità, di resistere alle intemperie, alle catastrofi, ai predatori, alle malattie, ai parassiti. Ciascuno inventava la sua vita. Si adattava alle condizioni mutevoli dell’ambiente. Per natura, il Terzo paesaggio costituisce un territorio per le molte specie che
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non trovano spazio altrove. Un territorio chiamato “riserva” (per esempio una riserva naturale) da un punto di vista amministrativo è oggetto di protezione, sorveglianza, sanzioni. Un bordo di una strada, un residuo urbano non sono oggetto di alcuna protezione. Sono luoghi che si cerca di ridurre o di sopprimere. Eppure, tutti costituiscono riserve della diversità biologica. L’abbandono di un suolo a se stesso, infatti, è la condizione essenziale perché si inneschi il processo che porta questa terra, prima destinata a una sola specie, a ricevere progressivamente decine e decine di specie diverse. Il concetto di Giardino Planetario, dello stesso autore, si basa sul principio di tutela di questi spazi dell’incolto, proponendosi di guardare alla diversità come garanzia di futuro per l’umanità: “Occorre conoscere, recensire e proteggere la diversità”. (Clément, 2008)
04.1.4 La fruizione come consapevolezza
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La strategia per far sì che il margine diventi un luogo di vita all’interno della città, che i cittadini percepiscono come parte della città stessa e non come qualcosa di estraneo, è quella di garantire la fruizione di questi spazi, da parte di tutte le categoria di utenza e in tutte le fasce orarie. Per chi sta oppure viene tenuto al margine occupare diventa lo strumento per rivendicare non solo uno spazio, ma anche un’identità, che allo spazio è strettamente legata. E molte volte l’occupazione di questi spazi, fortunatamente, va oltre il progetto dell’architetto o il piano dell’urbanista. Alle porte della città, nei parchi naturali regionali e nelle foreste aperte al pubblico, i loisir dell’itineranza si stanno sviluppando, insieme alle attrezzature necessarie. Possiamo a questo punto ipotizzare che la nuova città dei margini urbani si organizzi proprio attorno al “progetto di abitabilità, o meglio, di abitabilità sostenibile, dal momento che si tratta di un’utopia”. (Donadieu, 2013) La fruizione di uno spazio, permette di formarsi un’immagine mentale di quello spazio, di farlo proprio. L’immagine ambientale è il “risultato di un processo reciproco tra l’osservatore ed il suo ambiente. L’ambiente suggerisce distinzioni e relazioni, l’osservatore – con grande adattabilità e per specifici propositi – seleziona, organizza, ad attribuisce significati a ciò che vede”. (Lynch, 1964)
La fruizione, può essere possibile in due modi: o spontaneamente, avventurandosi anche negli spazi della città “non progettati”, o servendosi di appositi tracciati che la rendono possibile. Seguendo la definizione di K. Lynch, i percorsi sono i canali lungo i quali l’osservatore si muove abitualmente, occasionalmente o potenzialmente. Essi possono essere strade, vie pedonali, linee di trasporti pubblici, canali, ferrovie. Per molte persone, questi costituiscono gli elementi preminenti dell’immagine di ciò che li circonda. La gente osserva le città mentre si muove lungo di essi, e gli altri elementi ambientali sono disposti e relazionati lungo questi percorsi. Contemporaneamente, i nodi sono i punti, luoghi strategici in una città, nei quali un osservatore può entrare, e che sono i fuochi intensivi verso i quali e dai quali egli si muove. Essi possono essere anzitutto congiunzioni, luoghi di un’interruzione nei trasporti, un attraversamento o una convergenza di percorsi, momenti di scambio da una struttura ad un’altra, o i nodi possono essere semplicemente delle concentrazioni, che ricavano la loro importanza dal condensarsi di qualche uso o di qualche caratteristica fisica. Il concetto di nodo è legato a quello di percorso, poiché le congiunzioni sono tipicamente i fuochi di intensità dei quartieri e il loro centro polarizzatore. Una tematica importante per la progettazione urbanistica contemporanea, che lega fruizione di spazi marginali, valorizzazione del paesaggio e tempo libero, è quella della mobilità sostenibile, o mobilità lenta, che più comunemente può essere definita ciclo-pedonale. Le green ways, o strade del paesaggio, sono un chiaro esempio di come queste rappresentino un sistema infrastrutturale alternativo a quello fondato sull’uso dei veicoli a motore, e fondato su una diversa dimensione culturale ed etica della presenza del verde. Strategicamente le green ways sono un modo di divulgare, di comunicare, di utilizzare un concetto dello spostarsi attraverso un paesaggio, “ma sono al tempo stesso strumenti idonei per il merchandising di un nuovo modo di trattare lo spazio urbano, che pone il centro dell’interesse sull’uomo come individuo, e su un individuo che si muove come pedone o come ciclista”. (Mengoli, 2013) L’importanza dell’azione del camminare all’interno della definizione degli spazi è il tema centrale del libro Walkscapes di F. Careri, nel quale vengono riportati anche aneddoti storici riguardo questa azione, chiamata pratica estetica. Secondo F. Careri, con il termine percorso si indicano allo stesso tempo l’atto di attraversamento (il percorso come azione del camminare), la linea che attraversa lo spazio (il percorso come oggetto architettonico) e il racconto dello spazio attraversato (il percorso come struttura narrativa): “Noi intendiamo proporre il percorso come forma estetica a disposizione
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dell’architettura e del paesaggio. Ma si vuole indicare il camminare come uno strumento estetico che è in grado di descrivere e modificare quegli spazi metropolitani che presentano spesso una natura che deve ancora essere compresa e riempita di significati, piuttosto che progettata e riempita di cose”. (Careri, 2006) L’unica architettura che attraversava il mondo paleolitico era il percorso, il primo segno antropico capace di insinuare un ordine artificiale nei territori del caos naturale. Il walkabout, parola introducibile se non nel senso letterario di “camminaresopra” o “camminarecirca”, è il sistema di percorsi attraverso cui le popolazioni dell’Australia hanno mappato l’intero continente. Il camminare, pur non essendo la costruzione fisica di uno spazio, implica una trasformazione del luogo e dei suoi significati. Il camminare produce luoghi. Il camminare è un’arte che porta in grembo il menhir, la scultura, l’architettura e il paesaggio. Da questa semplice azione si sono sviluppate le più importanti relazioni che l’uomo intesse con il territorio.
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È solo nell’ultimo secolo che il percorso, svincolandosi dalla religione e dalla letteratura, ha assunto lo statuto di puro atto estetico. Il 14 aprile 1921 a Parigi, alle tre del pomeriggio e sotto un diluvio torrenziale, Dada si dà appuntamento di fronte alla chiesa di Saint-Julien-le-Pauvre. Con questa azione intende inaugurare una serie di escursioni urbane nei luoghi banali della città. È attraverso Dada che si attua il passaggio dal rappresentare la città del futuro all’abitare la città del banale. Tre anni dopo la visita di Dada, nel maggio 1924, il gruppo dadaista parigino organizza un altro intervento nello spazio reale. Questa volta non si tratta di un incontrarsi in città in un luogo prescelto, ma di compiere un percorso erratico in un vasto territorio naturale. Anche nelle immagini è Debord che opera la sintesi: la prima vera mappa psicogeografica situazioni sta è La Guide psychogeographique de Paris. È concepita come una mappa pieghevole da distribuire ai turisti, ma è una mappa che invita a perdersi. È attraverso la New Babylon di Constant che la teoria della deriva acquista contemporaneamente una base storica e una tridimensionalità architettonica. Nel 1967, l’anno seguente alla pubblicazione del viaggio di Tony Smith, dall’altra parte dell’Atlantico, Richard Long realizza A Line Made by Walking, una linea retta “scolpita” sul terreno semplicemente calpestando l’erba. Nello stesso anno Robert Smithson compie A Tour of the Monuments
of Passaic: è il primo viaggio attraverso gli spazi vuoti della periferia contemporanea, quegli spazi che i Dada definirono banali e i surrealisti come l’inconscio della città . (Careri, 2006)
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04.1.5 Casi studio
Parco Henri-Matisse – Ville nouvelle Melun-Senart – La “cintura verde” di Reggio Emilia – TOKYO2050fibercity - Euralens
Gilles Clément, Parco Henri Matisse: l’isola sopra la stazione di Euralille (8 ha), Lilla, 1989-1992, con Agence Empreinte
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Il parco ha un’estensione di 8 ettari e si trova a contatto della stazione del Tgv. Il progetto, selezionato attraverso un concorso internazionale, ha il suo epicentro nell’isola Derborence, un altopiano artificiale di 3.500 mq su cui si trova una vegetazione generata dal brassage (mescolanza) planetario, definita dalle caratteristiche del bioma boreale europeo integrato da specie provenienti dall’Asia e dall’America. Sulla sommità dell’isola, che non è accessibile, dopo una piantumazione iniziale la vegetazione si è sviluppata in modo spontaneo. L’isola è un altopiano in miniatura, sopraelevata di sette metri, che riscopre i residui del cantiere di Eurallille. Gli spalti sono di cemento gettato direttamente nella terra, usata come cassaforma. La sommità dell’sola non è accessibile al pubblico ed è visitata due volte all’anno dal giardiniere responsabile che registra ogni mutamento e limita i propri interventi al minimo indispensabile.
Scala. parco urbano Tipologia. progetto urbano Anno. 1989-1992
OMA – Rem Koolhaas, Ville nouvelle Melun-Senart, France, Melun, 1987 L’ideogramma cinese che individua gli spazi aperti di Melun-Senart è finalizzato a determinare in ultimo i caratteri specifici delle parti di città. R. Koolhaas lo descrive come un “arcipelago di residui” per esprimere un metafora: il mare e la variazione della riva determinano la qualità e la struttura della piccole isole in modo più forte rispetto a ciò che viene costruito su di loro. R. Koolhaas afferma che il sito di Melun Senart, l’ultima delle Villes Nouvelles che circondano Parigi, è troppo bello per immaginare una nuova città in quel luogo con innocenza. La vastità del paesaggio, la bellezza dei boschi e la tranquillità delle aziende agricole costituiscono una presenza scoraggiante, ostile a qualsiasi nozione di sviluppo. Costruire potrebbe apparire come un’operazione fortemente sospetta. Il non costruito è verde, ecologico, popolare. Se il costruito, il pieno, ora
Scala. scala urbana Tipologia. progetto urbano Anno. 1987
è fuori controllo, in quanto oggetto di politico, di turbolenze finanziarie permanenti, lo stesso non è ancora vero per il non costruito. In un momento di complessità per qualunque operazione edificatoria, la conservazione del vuoto è relativamente facile. Il progetto per Melun-Senart altro non è che una manovra tattica di inversione di prospettiva, che considera la debolezza dell’urbanistica contemporanea come premessa. La “Cintura verde” di Reggio Emilia, PSCre, 2010
Scala. scala urbana Tipologia. Piano Strutturale Anno. 210
Tra le istanze espresse dagli abitanti del Comune di Reggio Emilia all’interno del percorso di costruzione del Piano Strutturale Comunale PSCre, approvato in aprile 2010, è emersa con particolare intensità l’esigenza di una maggiore qualità degli spazi di vita, che si concretizza nella richiesta di un nuovo rapporto tra la comunità ed il proprio territorio, di occasioni di socialità e di una maggiore attenzione ai valori ecologici e ambientali. Questi elementi possono essere sintetizzati nel concetto di “domanda sociale di paesaggio”. A tale domanda l’Amministrazione ha provato a dare risposta attraverso la Cintura verde. La Cintura verde è la strategia del PSC per incrementare la qualità ambientale, ecologica e sociale del territorio periurbano ed è strutturata sulla definizione di due sistemi di paesaggio: i cunei verdi, con una vocazione maggiormente agricola, e i parchi degli ambiti fluviali, dei fiumi Crostolo, Rodano, Modolena. Mentre i cunei verdi costituiscono la componente agricola, e si caratterizzano per il permanere del paesaggio rurale all’interno del territorio urbanizzato, gli ambiti fluviali rappresentano corridoi di naturalità che attraversano da sud a nord il territorio comunale, costituendo elementi portanti della rete ecologica comunale. Il piano si estende un’area di 50.000.000 mq, composta rispettivamente da 20.200.000 mq di cunei verdi e 29.800.000 mq dei tre parchi fluviali. Il Comune di Reggio Emilia ha da tempo attivato degli interventi per raggiungere tali obiettivi all’interno del Parco del Crostolo, che ad oggi si presenta come la maggiore area verde del Comune, meta privilegiata per il tempo libero e il passeggio. Più recentemente sono stati attivati degli interventi per ampliare proseguire in quella direzione, mediante lo studio paesaggistico “Lungo i bordi” (2009), che interessa il cuneo di via Settembrini, e mediante il Programma di
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Rigenerazione del Parco del Rodano (2011). Dal 2012 l’Amministrazione ha iniziato a lavorare sul Parco del Modolena, che chiude la Cintura Verde a sud-ovest. Hidetsohi OHNO + Ohno Laboratory, The University of Tokyo, TOKYO2050Fibercity, 2006
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La popolazione giapponese ha iniziato un declino che potrebbe portare ad una crisi demografica molto seria per il Paese. Entro 50 anni i giapponesi, che attualmente sono 127 milioni, potrebbero ridursi di 1/3; entro un secolo la popolazione prevista sarà di 42 milioni di persone. Il calo di 40 milioni di persone, previsto in Giappone nei prossimi 50 anni, equivale all’intera popolazione dell’area metropolitana di Tokyo. L’architetto giapponese Hidetoshi Ohno, titolare di uno dei più importanti e ambiti Laboratori di Progettazione alla Tokyo University, ha condotto uno studio sui riflessi che questi dati avranno sulle città del Giappone. Con la proposta TOKYO 2050 fibercity, che occupa un intero numero di “JA The Japan Architect”, Ohno propone un nuovo modello urbano che, con tutte le variazioni del caso, si può applicare a quelle parti di mondo che condividono gli stessi andamenti demografici del Giappone contemporaneo. Le questioni indagate riguardano lo spazio, la quantità di lotti liberati, l’eccedenza di strutture architettoniche, il surplus dei servizi pubblici, il calo dei trasporti privati. Il luogo della città dove maggiormente si concentrano i problemi delineati da Ohno, è la periferia. Ed è per questo che si guarda all’idea della città compatta come un modello possibile di forma urbana sostenibile. L’immagine dell’organizzazione della Fibercity è il tessuto. La proposta indaga alcune soluzioni ai problemi precedentemente descritti attraverso quattro strategie progettuali da applicare al disegno urbano: green finger, green partition, green web e urban wrinkle; che possono essere tradotte rispettivamente: diramazioni verdi, schermi verdi, reti verdi e rughe urbane. Green finger è una strategia di riorganizzazione delle aree periferiche, seriamente colpite dal calo demografico, che propone una sequenza lineare di bolle di edilizia abitativa compatta il cui raggio non supera gli 800 m (la casa più lontana dalla stazione dista al massimo 800 m); al di là solo zone verdi. Green partition è una strategia di riorganizzazione delle aree centrali di Tokyo ad alta densità, costruite in legno e per questo definite ad alto rischio di
Scala. scala metropolitana Tipologia. Piano Strategico Anno. 2006
incidente rilevante. Le separazioni verdi sono da intendersi come grandi siepi che si insinuano nel tessuto edilizio riqualificandolo e minimizzando i possibili danni causati dal fuoco dividendo le aree residenziali in piccole parti, separate da muri verdi tagliafuoco. Green web è una strategia volta a ridefinire i flussi del traffico dentro l’anello centrale della Tokyo Metropolitan Expressway e trasformare quest’ultima in una rete di strade d’emergenza (in caso di sismi) e in parchi lineari. Urban wrinkle è la strategia attraverso la quale vengono creati o rivitalizzati alcuni luoghi unici della città con una particolare atmosfera, che i giapponesi chiamano meisho. Sono luoghi nello spazio urbano che sembrano far riferimento a pieghe o rughe. MDP Michel Desvigne Paysagiste, Euralens, Lens, Liévin, LoosenGohelle, Nord-Pas-de-Calais, 2010-16 A Lens, la riqualificazione di un’area per la sistemazione dei nuovi annessi del Louvre è l’occasione per riflettere sulla struttura territoriale di un’intera area frammentata tra isole di insediamenti e un sistema infrastrutturale obsoleto legato alle industrie ormai dismesse. Il progetto è un prototipo, l’obiettivo è quello di riconnettere i centri abitati grazie alla riqualificazione del paesaggio.
Scala. scala territoriale Tipologia. progetto di paesaggio Anno. 2010-2016
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Programma urbano 04.2
285 La strategia urbana prevede una messa a sistema dei macro-ambiti di margine, al fine di creare una rete tra i possibili interventi da realizzare. I quattro punti su cui si basa la visione strategica sono stati descritti nel capitolo precedente. La messa a sistema dei margini avviene grazie alla definizione di cinque linee strategiche, che mantengono il margine come oggetto: Lungo il margine definisce il sistema dei vuoti da valorizzare come parco di connessione tra paesaggio urbano e paesaggio rurale; Sul margine verso le mura storiche permette di ricucire un sistema di fruizione del margine con il sistema verde ciclo-pedonale delle mura storiche; Dal margine individua una serie di connessione trasversali tra il margine urbano e la città e tra la città e la campagna circostante; Punti nel margine si fissa l’obiettivo di creare una rete tra le principali polarità di servizio; infine, Per il margine si fissa l’obiettivo di creare una rete delle trasformazioni urbane, connettendo in un sistema tutte le possibili aree da riqualificare e le aree attualmente in trasformazione. Alle linee strategiche di messa a sistema, si affiancano delle linee guida puntuali, di risistemazione e di mitigazione paesaggistica. Si tratta di linee guida specifiche per ogni situazione di margine individuata.
04.2.1 Lungo il margine
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Il sistema definito da questa linea strategica è composto da spazi finalizzati a definire il bordo come trama verde. Si tratta quindi di definire una serie di sistemi che strutturano gli spazi verdi al margine della città e che definiscano come questi si rapportino con il tessuto edificato interno. In particolare, il punto di partenza è quello della definizione dei due parchi agricoli: al sistema di paesaggio già consolidato e tutelato del Parco Urbano viene affiancato un nuovo parco a sud. Il parco agricolo a sud può essere denominato semplicemente Parco Sud, per contrapporlo al Parco Nord già esistente. Il Parco Nord ha un’estensione di 1.200 ettari e ha la funzione di ricucire simbolicamente il rapporto tra la città di Ferrara e il fiume Po, ricollegando la parte settentrionale del circuito delle mura con il fiume, passando attraverso un sistema di canalizzazioni e di campi agricoli posti sotto tutela. Il Parco Sud, bilancerebbe il sistema a nord, con un’estensione di paesaggio agricolo da tutelare pari a 520 ettari, che si estende dall’attuale area dell’aeroporto, fino alla strada della Sammartina e permette di ricucire il nucleo urbano lungo via Bologna con il sistema fluviale e paesaggistico generato dal letto del Po di Primaro a est. Allo stesso tempo, al sistema dei paesaggi agricoli si deve sovrapporre la definizione di un’ulteriore sistema di spazi aperti che connetta le aree urbane e i quartieri residenziali ai due grandi parchi agricoli e al circuito delle mura storiche, permettendo al tempo stesso di individuare nuove aree da destinare ad attività per il tempo libero all’aperto. Lo scopo principale di questi sistemi è quello di sfruttare i vuoti lasciati liberi al bordo delle infrastrutture per creare delle nuove infrastrutture del paesaggio, che permettano di ridefinire la struttura urbana periferica partendo dal suo bordo. Inoltre, permetterebbero di eliminare la barriere generate dalle infrastrutture, permettendone l’attraversamento in senso perpendicolare al loro tracciato. In particolare, vengono definiti quattro sistemi verdi, in stretta connessione tra loro. Il primo è il corridoio, che delinea tutto il margine della città verso ovest e si affianca al tracciato della linea ferroviaria Bologna-Padova: si tratta di un corridoio di spazi aperti che ha inizio in corrispondenza dell’area del Centro Fiere e Congressi, si addentra fino a toccare il sistema verde delle mura storiche in corrispondenza dell’area della stazione ferroviaria e prosegue verso nord, affiancandosi alla via Padova e arrivando fino agli argini del Po
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01.4. Recuperare il rapporto tra città e idrografia tramite la valorizzazione del Po di Volano 01.3. Potenziare il collegamento tra i quartieri residenziali e le mura cittadine grazie ad una corona 01.2. Far penetrare la campagna all’interno della città grazie ad un cuneo 01.1. Sfruttare le infrastrutture per definire un corridoio
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in corrispondenza della località di Pontelagoscuro. Il secondo è il cuneo, a sud della città, definito in questo modo grazie alla particolare forma degli spazi aperti che lo genero. Il cuneo infatti parte dall’area dell’attuale aeroporto, a contatto con il Parco Sud, e si addentra fino quasi a toccare il fiume Volano, grazie a due capisaldi urbani: il complesso dell’Ippodromo, che in quanto area verde introspettiva potrebbe a sua volta aprirsi verso la città, e l’area verde retrostante la chiesa di San Giorgio, di valenza storica, in quanto uno dei capisaldi della fondazione della città di Ferrara, e di valenza paesaggistica, in quanto connessa con il sistema idrografico alla confluenza tra i sistemi fluviali del Po di Volano e del Po di Primaro. Il terzo è la corona, composta da una serie di cunei verdi disposti a raggera intorno alle mura storiche nella parte est della città. Questo sistema potrebbe includere al suo interno l’area attrezzata del Parco Bassani, in quanto raggio più a nord della corona, che in questo senso potrebbe essere la base per aumentare l’accessibilità del Parco Nord anche in direzione est-ovest e non soltanto dalla città verso nord. Infine, il sistema fluviale del Po di Volano, che attraversa la città in direzione est-ovest permettendo di ricollegare trasversalmente tra loro corridoio, cuneo e corona e stabilendo un legame tra questi e il sistema della mura storiche e quindi il centro città.
04.2.2 Sul margine verso le mura storiche
La fruizione delle aree marginali viene garantita grazie ad una serie di tracciati che permettono di ricucire in un unico sistema ciclo-pedonale il tracciato delle mura storiche e tutti quei frammenti di percorsi sul margine che già vengono utilizzati per lo sport e il tempo libero, ma che sono attualmente frammentati e non idonei dal punto di ista dei servizi. L’operazione che si è compiuta è stata quindi di ricucitura e di valorizzazione di un sistema di percorsi in buona parte già presenti. In particolare, si definisce un tracciato principale che dal percorso ciclopedonale sul Po abbracci tutta la città, passando per il Parco Sud e ricollegandosi al percorso ciclo-pedonale già esistente e consolidato lungo il vallo delle mura a est della città. A questo, si affiancano e si intersecano una serie di tracciati secondari che permettano di unire i quartieri residenziali al tracciato principale e che allo stesso tempo rappresentano delle possibilità di compiere dei circuiti, a piedi
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02.2. Circuito principale di connessione tra quartieri periferici, cinta muraria e fiume Po 02.1. Circuiti secondari di collegamento
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o di corsa, più a misura di “allenamento sportivo quotidiano”, comunque immersi nel verde. Infatti, per quanto il sistema delle mura sia fruito e funzionale a questo scopo, esso risulta inaccessibile per la maggior parte dei cittadini che vivono in posizione decentrata rispetto al centro storico. Questi tracciati secondari hanno quindi lo scopo di garantire ai cittadini della periferia di Ferrara gli stessi servizi di chi vive in prossimità del centro. Si cerca ora di ripercorrere questo grande tracciato ciclo-pedonale, della lunghezza complessiva di circa 23 km, partendo dal punto nel quale si innesta con il fiume Po, per individuare i tratti già esistenti e i tratti invece sui quali sarebbe necessario un intervento più cospicuo. La prima parte del tracciato collega l’argine del Po a via Modena, all’altezza dello scalo merci ferroviario e si colloca tra gli agglomerati urbani sviluppati linearmente lungo via Padova e il tracciato della linea ferroviaria verso Padova, che attualmente divide le aree urbane dal Parco Nord. Si tratta di un tracciato in parte già esistente, specialmente per quanto riguarda il tratto in prossimità di via Modena, lungo il quale è già presente una ciclabile inter-quartiere. L’attraversamento di via Modena diventerebbe possibile grazie alla realizzazione di un nuovo sottopassaggio, che permetterebbe di ricucire tutta la spina verde appena percorsa con l’area di via del Lavoro, attualmente interessata da importanti progetti di riqualificazione urbana. Il sistema andrebbe così ad intercettare il retro della stazione ferroviaria, nel quale però sono stati collocati recentemente la stazione delle linee di autobus extraurbani e un nuovo parcheggio multipiano. Da qui poi si procederebbe verso sud, passando per il nuovo ponte di via del Lavoro. In questo modo si rende possibile l’attraversamento del Po di Volano senza l’inserimento di strutture ulteriori. Raggiunto il nodo del Polo Scientifico-Tecnologico, sarebbe possibile scendere con una quasi completa linearità fino alla zone Fiere. Lungo questo tratto, esistente soltanto nella prima parte fino all’attuale tracciato della Ferrara-Codigoro, sarebbe necessaria la realizzazione di una passerella pedonale in corrispondenza dell’attraversamento di via Beethoven e di un sottopassaggio in corrispondenza di via Veneziani. In corrispondenza della zona Fiere sarebbe possibile l’attraversamento di via Bologna e il raggiungimento del Parco Sud. La circumnavigazione del parco permetterebbe di riconnettersi ad una parte di percorsi ciclo-pedonali già esistenti, attualmente chiusi a causa dei lavori in corso lungo le linee ferroviarie n zona Rivana. Questa ricucitura permetterebbe di raggiungere il tratto più urbano del Po di Primaro, esattamente dietro alla chiesa di San Giorgio, passando dal centro commerciale Il Castello, all’aeroporto, all’area Rivana, raggiungendo il tratto
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di ciclabile rettilineo che affianca il seminario. A questo punto si attraverserebbe il fiume grazie alla costruzione di una nuova passerella ciclo-pedonale, che permetterebbe di addentrarsi all’interno della zona San Giorgio e di attraversare il Po di Volano grazie al ponte storico di San Giorgio. Inizia qui, in corrispondenza del “nodo San Giorgio” il tratto più urbano del tracciato, che si raccorda al tracciato delle mura, con la possibilità di percorrerle sia dall’alto che dal vallo, e permette di raggiungere il tratto di ciclabile già esistente su via Canapa. Si proseguirebbe quindi verso nord, fino alle porte del Parco Nord, in corrispondenza dell’edificio della motorizzazione. Da qui, è possibile sia proseguire all’interno della rete ciclabile che si addentra nel parco, o sfruttare il sottopassaggio già esistente che permetterebbe di ricollegarsi alla prima parte del tracciato proprio all’altezza del quartiere Barco.
292
I circuiti secondari individuati sono otto e permettono di “girare attorno” ad alcune importanti aree, ricucendole al sistema del tracciato principale. Le aree interessate sono le seguenti: i quartieri residenziali lungo via Padova, l’area di via del Lavoro e della stazione ferroviaria, la Darsena fluviale di San paolo, il Foro Boario, l’area del nuovo ospedale di riabilitazione San Giorgio, il Parco Sud, i quartieri ed est e il Parco Urbano Bassani.
04.2.3 Dal margine
Questo sistema definisce i principali tracciati di connessione, fisica, visiva e di paesaggio tra i tracciati ciclo-pedonali e, il paesaggio urbano verso l’interno e il paesaggio rurale verso l’esterno. In particolare, risultano di grande importanza le seguenti ricuciture: a nord, tra il Parco Nord e il canale Boicelli, a sud, tra il Parco Sud e il sistema lineare ad ovest, sfruttando le possibilità offerte dalle fratture generate ai bordi delle arterie stradali, a est, tra i quartieri residenziali e il vallo delle mura. All’interno di questo sistema si individua di nuovo il sistema Po di Volano, in quanto macro-sistema urbano di connessione trasversale, affiancato alle mura meridionali e contemporaneamente ambito urbano che necessita di una riqualificazione.
293
AR01
AR02
AT01 AT02 AT03 AR03
AT08
AR04
AT04 294 AT05
AR05
AR12
AT07
AR11 AR06
AR09 AR07 AT06
AR08
AR10
Punti nel margine 04.2.4
Il sistema Punti nel margine permette di creare una rete di servizi accessibili grazie ad una mobilità di tipo sostenibile, alternativa all’utilizzo dell’automobile, ma allo stesso tempo di creare una rete immateriale di servizi e di associazioni che si sviluppino grazie al progetto di ridefinizione del margine urbano. In particolare, vengono riconnessi i principali edifici di servizio, come scuole e università, ma anche edifici sportivi e per il tempo libero, così come gli edifici delle attività commerciali. In questo modo è possibile creare una rete di fruizione multifunzionale del margine urbano, che non si infiltri soltanto negli spazi aperti, ma anche all’interno del tessuto urbano edificato. Un’altra funzione importante di questo sistema è quella di creare una rete di possibili portatori di interesse diretti e indiretti nella creazione di questa rete verde di bordo, che si possano impegnare per una sua valorizzazione e manutenzione. 295 Per il margine 04.2.5
Infine, la sovrapposizione e la collaborazione tra i sistemi finora definiti ha lo scopo di fare da propulsore dei progetti urbani previsti o già in corso, affinché gli sviluppi futuri della città siano inseriti in una strategia urbana unitaria, e non rimangano frammenti di un disegno inconcluso. In particolare, vengono definite le aree in trasformazione (AT), aree nella quali sono attualmente presenti dei canteri in corso, e le aree da riqualificare (AR), ossia aree nelle quali sarebbero necessari interventi sostanziali di recupero e di sostituzione dei tessuti edilizi ormai obsoleti o che vertono in una condizione di degrado.
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Zuccherificio Sfir di Pontelagoscuro
Si vede la ciminiera e il pennacchio bianco che per gli abitanti sono il simbolo di un secolo di reddito e di occupazione e, più di recente, anche delle proteste per i cattivi odori. Oggi restano le macerie, i vecchi fabbricati da demolire, il gigantesco silo ormai svuotato. Lo stabilimento è stato chiuso alla fine del 2007.
AR02
Ex Tre-Stelle
Esempio ferrarese di recupero di un’archeologica industriale, lo zuccherificio Eridania di via Padova verte ora in stato di abbandono dopo essere stato lo stabile del mobilificio Tre Stelle.
AR03
Area commerciale di via Modena
Tessuto urbano incongruo composto da capannoni ex-commerciali dismessi
AR04
Area Grattacielo
Area verde tra la stazione ferroviaria e via Cavour, caratterizzata dalla presenza del grattacielo
AR05
Darsena fluviale
Area caratterizzata da ex-impianti industriali che si rapportavano con la presenza del fiume, oggi dismessi e trasformati a parcheggio.
Foro Boario
Area dell’ex-mercato del bestiame, oggi deposito ferroviario e sede della stazione di Porta Reno. In parte già dismessa, perderà la sua attuale funzione a seguito della dislocazione della linea ferroviaria più a sud.
Palazzo degli Specchi
Grande complesso direzionale costruito negli anni Ottanta e mai utilizzato. Verte oggi in un forte stato di degrado. Sono già in atto ipotesi di riutilizzo di una parte, da dedicare all’edilizia sociale.
Aeroporto urbano
Il PSC del 2003 prevede lo spostamento dell’area aeroportuale più a sud, ma si propone il mantenimento dell’infrastruttura nella posizione attuale, a patto di realizzare operazioni di ripristino e di riqualificazione dei manufatti esistenti.
Area Rivana
Attualmente denominata “proprietà demaniale attrezzata per spettacoli viaggianti”, verte in stato di degrado a causa dei lavori in corso lungo la linea ferroviaria e dei campeggi abusivi.
AR01
AR06
AR07
AR08
AR09
AR10
Ex-ospedale di A seguito del trasferimento della struttura ospedaliera, l’edificio Riabilitazione San precedente non è stato né demolito né riutilizzato e si trova in stato di Giorgio abbandono.
AR11
Ex-Caserma Pozzuolo del Friuli
Interno isolato urbano inaccessibile a causa della presenza dei manufatti dell’ex-caserma, vuoti e inutilizzati.
Area dell’Exospedale Sant’Anna
A seguito del trasferimento del polo ospedaliero a Cona, l’area dell’ex-Sant’Anna sta oggi affrontando un processo di lenta conversione e riuso, ma in assenza di un progetto urbano unitario che ricolleghi il comparto alla città.
AR12
297
298
AT01
Lottizzazioni di via Canapa
Area a destinazione interamente residenziale composta da abitazioni monofamiliari e bifamiliari con giardino.
AT02
Lottizzazioni di via G. Bianchi
Area a destinazione interamente residenziale composta da abitazioni monofamiliari e bifamiliari con giardino.
AT03
Lottizzazioni di via M. Agni
Area a destinazione interamente residenziale composta da abitazioni monofamiliari e bifamiliari con giardino. Il cantiere appare momentaneamente interrotto e l’area è recintata.
Cantiere di via del Lavoro
Parte della trasformazione è già avvenuta con successo e gli appartamenti sono stati già venduti. Si tratta della parte più prossima al centro commerciale Il Doro. Una seconda parte del cantiere appare ancora recintata, verte in stato di completo abbandono e risulta completamente inaccessibile a causa della fitta vegetazione spontanea che si è sviluppata. I grandi “scheletri” incompiuti sono ben visibili dal nuovo ponte di via del Lavoro.
Darsena City
Il complesso è stato quasi interamente realizzato, ma il fallimento dell’impresa costruttrice ne rende impossibile il completamento. L’area prossima al ponte di via Foro Boario è ancora recintata ma completamente libera. Rimangono invendute le cinque torri residenziali e il basamento commerciale non ancora completato.
Quartiere direzionale AT06 Arpa
È in corso la realizzazione di un nuovo edificio per laboratori.
AT07
Lottizzazioni di via L. Caretti
Area a destinazione interamente residenziale composta da abitazioni monofamiliari e bifamiliari con giardino.
AT08
Lottizzazione di via Copparo
Area a destinazione interamente residenziale composta da abitazioni monofamiliari e bifamiliari con giardino.
AT04
AT05
299
300
301
302
7 azioni al margine 04.2.6
01 Spezzare il Recinto – 02 Stare In-between – 03 Colonizzazione dinamica – 04 Dialogo tra gli Opposti – 05 Gradiente di compensazione – 06 Accorciare la Distanza – 07 Corridoio al servizio
303
01 Spezzare il recinto Il margine Recinto dovrebbe essere oggetto di operazioni di apertura verso la città e di mitigazione verso il paesaggio nel quale è inserito.
INT2
Inserimento di piantumazioni sparse di alberi ad alto fusto e creazione di spazi attrezzati ombreggiati
MIT1
Piantumazione lineare di alberi ad alto fusto
Mitigazione
MIT2
Piantumazione a macchia boschiva di alberi ad alto fusto
Riconoscibilità
RIN1
Inserimento di elementi di landmark nei punti di accesso
Integrazione
02 Stare In-between Il margine In-between dovrebbe essere oggetto di operazioni di riuso e di riconnessione dei vuoti interclusi tra a città e le infrastrutture. 304 Accessibilità
ACC1
Aumento della fruibilità delle aree
ACC2
Individuazione di aree da destinare a spazio attrezzato
ATT1
Diffusione di tipologie di coltura non intensiva
ATT2
Individuazione di aree da cedere in gestione ai cittadini (orti, parchi di quartiere, ecc.)
Attivazione
ATT3
Individuazione di aree a vocazione flessibile da sfruttare per usi temporanei ed eventi
Mitigazione
MIT1
Piantumazione lineare di alberi ad alto fusto
RIC1
Individuazione di coni visuali significativi con funzione di orientamento all’interno della città
RIC2
Creazione di elementi di connessione ciclo-pedonale, come ponti, passerelle, sottopassaggi, banchine e valorizzazione di quelli esistenti
VAL1
Risanamento paesaggistico delle canalizzazioni di scolo
VAL2
Inserimento di specie arboree spontanee
VAL3
Piantumazione lineare di specie arboree ad alto fusto, a sottolineare le suddivisioni dei terreni agricoli e lungo le strade extraurbane ad impianto storico
Ricucitura
Valorizzazione
03 Colonizzazione dinamica Il margine Colonizzazione dovrebbe essere oggetto di operazioni di valorizzazione e ricucitura tra i quartieri residenziali e gli spazi verdi limitrofi. Accessibilità
Attivazione Mitigazione
Ricucitura
Valorizzazione
ACC1
Aumento della fruibilità delle aree
ATT1
Diffusione di tipologie di coltura non intensiva
ATT2
Individuazione di aree da cedere in gestione ai cittadini (orti, parchi di quartiere, ecc.)
MIT1
Piantumazione lineare di alberi ad alto fusto
MIT2
Piantumazione a macchia boschiva di alberi ad alto fusto
RIC1
Individuazione di coni visuali significativi con funzione di orientamento all’interno della città
RIC3
Creazione di una continuità tra specie arboree, materiali e arredo urbano su entrambi i lati delle infrastrutture
VAL1
Risanamento paesaggistico delle canalizzazioni di scolo
VAL2
Inserimento di specie arboree spontanee
VAL3
Piantumazione lineare di specie arboree ad alto fusto, a sottolineare le suddivisioni dei terreni agricoli e lungo le strade extraurbane ad impianto storico
305
04 Dialogo tra gli Opposti 306
Il margine Opposti dovrebbe essere oggetto di operazioni di ricucitura tra i tessuti edificati e le aree rurali circostanti, aumentando l’accessibilità e puntando ad una maggiore integrazione tra paesaggio urbano e paesaggio agricolo.
Accessiblità
ACC1
Aumento della fruibilità delle aree
Attivazione
ATT2
Individuazione di aree da cedere in gestione ai cittadini (orti, parchi di quartiere, ecc.)
Mitigazione
MIT2
Piantumazione a macchia boschiva di alberi ad alto fusto
Ricucitura
RIC1
Individuazione di coni visuali significativi con funzione di orientamento all’interno della città
Riconoscibiltà
RIN1
Inserimento di elementi di landmark nei punti di accesso
VAL1
Risanamento paesaggistico delle canalizzazioni di scolo
VAL2
Inserimento di specie arboree spontanee
VAL3
Piantumazione lineare di specie arboree ad alto fusto, a sottolineare le suddivisioni dei terreni agricoli e lungo le strade extraurbane ad impianto storico
Valorizzazione
307 05 Gradiente di compensazione Il margine Gradiente dovrebbe essere oggetto di operazioni di valorizzazione e di riqualificazione paesaggistica del paesaggio agricolo già esistente.
Accessibilità
ACC1
Aumento della fruibilità delle aree
Attivazione
ATT1
Diffusione di tipologie di coltura non intensiva
Ricucitura
RIC1
Individuazione di coni visuali significativi con funzione di orientamento all’interno della città
VAL1
Risanamento paesaggistico delle canalizzazioni di scolo
VAL2
Inserimento di specie arboree spontanee
VAL3
Piantumazione lineare di specie arboree ad alto fusto, a sottolineare le suddivisioni dei terreni agricoli e lungo le strade extraurbane ad impianto storico
Valorizzazione
06 Accorciare la Distanza
308
Il margine Distanza dovrebbe essere oggetto di operazioni di ricucitura dei vuoti che si trovano tra un lato e l’altro dell’infrastruttura e di mitigazione dell’impatto dell’infrastruttura stessa sulla struttura urbana.
Integrazione
Mitigazione
Ricucitura
INT1
Valorizzazione paesaggistica dei nodi infrastrutturali
INT2
Inserimento di piantumazioni sparse di alberi ad alto fusto e creazione di spazi attrezzati ombreggiati
MIT1
Piantumazione lineare di alberi ad alto fusto
MIT2
Piantumazione a macchia boschiva di alberi ad alto fusto
MIT3
Piantumazione di specie arbustive autoctone lungo i cigli infrastrutturali e le canalizzazioni di scolo
RIC1
Individuazione di coni visuali significativi con funzione di
RIC2
Creazione di elementi di connessione ciclo-pedonale, come ponti, passerelle, sottopassaggi, banchine e valorizzazione di quelli esistenti
RIC3
Creazione di una continuità tra specie arboree, materiali e arredo urbano su entrambi i lati delle infrastrutture
RIC4
Eliminazione o sostituzione degli elementi incongrui che impediscono la continuità degli spazi aperti
07 Corridoio al servizio Il margine Corridoio dovrebbe essere oggetto di operazioni di valorizzazione della situazione già esistente di corridoio ecologico, aumentando la fruizione degli spazi da parte dei cittadini, grazie ad un potenziamento della dotazione dei servizi.
Accessibilità
ACC2
Individuazione di aree da destinare a spazio attrezzato
Attivazione
ATT3
Individuazione di aree a vocazione flessibile da sfruttare per usi temporanei ed eventi
RIC1
Individuazione di coni visuali significativi con funzione di orientamento all’interno della città
RIC2
Creazione di elementi di connessione ciclo-pedonale, come ponti, passerelle, sottopassaggi, banchine e valorizzazione di quelli esistenti
RIC3
Creazione di una continuità tra specie arboree, materiali e arredo urbano su entrambi i lati delle infrastrutture
RIC4
Eliminazione o sostituzione degli elementi incongrui che impediscono la continuità degli spazi aperti
RIN1
Inserimento di elementi di landmark nei punti di accesso
RIN2
Potenziamento degli elementi orientativi per facilitare il movimento dei flussi turistici
Ricucitura
Riconoscibilità
309
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progetto urbano 05 Con quali strumenti progettuali è possibile intervenire sul margine urbano?
[Il margine Sud Ovest] TAV09 TAV10 TAV11 TAV12 TAV13 TAV14
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«È un itinerario particolare quello in cui ci si imbatte nell’avvicinarsi alla nostra Fiera, la via Ferraresi infatti non ha case, pochi grandi manufatti, svetta la torre dei Vigili del Fuoco, un’area ecologica, un grande magazzino di giallo vestito e poi l’ultimo lembo di strada che giunge ad una sorta di capolinea della città, l’ospedale di San Giorgio e finalmente la Fiera. Un che di metafisico, dunque, o per meglio dire una sorta di fortezza Bastiani, luogo magico di attesa infinita. Ferrara è una città strana […].» Nicola Zanardi, Il Quartiere della Fiera, 2011
Il margine Sud Ovest 05.1
Il lavoro di ricerca si vuole spingere ad una dimensione di scala più approfondita, individuando un’area studio tra gli ambiti urbani di margine definiti. Abbiamo scelto l’ambito sud-occidentale della città di Ferrara, in base alle motivazioni seguenti. Questo comparto ad oggi è il comparto residenziale extra-moenia a maggiore densità, ci sembra quindi doveroso ridefinire il progetto del verde urbano e delle sue funzioni di queste aree. Anche ad un occhio inesperto appare evidente la necessità di creare una relazione materiale e immateriale (eventi, attività ricreative, servizi) con la città storica, al momento completamente assenti. L’interesse per questo comparto di città scaturisce anche dall’evidente diversità morfologica e funzionale, che assieme al fattore della presenza di polarità scollegate tra loro che necessitano di essere ricollegate ad un sistema di insieme, costituiscono alcune delle maggiori difficoltà nel riprogettare il comparto, L’assenza totale di un sistema verde richiama l’attenzione sulla necessità forse più importante: la progettazione del verde e di una sottostruttura connettiva che attraversi l’intero ambito meridionale. Questo ambito presenta molte problematicità anche per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, in particolare nella parte settentrionale del comparto importanti nodi viari carrabili si incrociano con snodi ferroviari e l’asse fluviale del Po di Volano, la situazione è stazionaria ma per creare spazi adatti alla fruibilità degli spazi verdi al cittadino, è necessaria una soluzione alternativa a quella attuale. Ultimo ma non meno importante, il comparto sud presenta il maggior numero di cantieri in corso o momentaneamente interrotti rispetto a tutti gli altri comparti, i cantieri sono di tipo infrastrutturale, di riqualificazione di grandi complessi, ma anche di interventi di minor scala come la ridefinizione di alcuni spazi verdi ricreativi.
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05.1.1 Lettura alla microscala
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Il lato meridionale della città è diverso da tutti gli altri: oltre la cinta muraria e il suo sottomura la città deve relazionarsi anche con il Po di Volano. In particolare nel comparto sud occidentale, il rapporto città-mura-fiume diventa di primaria importanza e il sistema di strategia urbana che percorre l’intera città trova in questo snodo grandi opportunità per il caso studio. Il progetto intende creare una forte relazione con la periferia, che ha come testata il Polo Scientifico-Tecnologico, attualmente introspettivo e mal collegato con la città, e il Po di Volano, ora nascosto da infrastrutture, e spingersi fino aldilà delle sue sponde riconnettendo la periferia al sistema delle mura collegandosi al Baluardo della Fortezza. Ad est l’ambito è delimitato dall’asse viario di via Bologna, mentre ad ovest termina con l’asse nord-sud della tratta ferroviaria Ferrara-Bologna. Parallela all’asse ferroviario troviamo la circonvallazione ovest di via Ferraresi, che assieme all’asse ferroviario ha prodotto un lungo vuoto lineare che corre alle soglie dell’urbanizzato. Per questi motivi la situazione di margine prevalentemente presente è quella del In-between: aree con una morfologia prevalentemente lineare caratterizzate da vuoti interclusi rimasti inglobati nell’urbanizzato, spesso tra aree edificate e barriere infrastrutturali. Al di là della delimitazione infrastrutturale, si può osservare il paesaggio agricolo che ha mantenuto la sua configurazione e integrità. Appare quindi necessario un progetto per creare una relazione con la cinta agricola esterna, e per cogliere l’opportunità di creare spazi ricreativi e percorsi ciclopedonali lungo i vuoti lineari di risulta. L’ambito meridionale presenta un discreto numero di poli attrattivi come ad esempio il complesso del Darsena City, il Polo Scientifico-Tecnologico, la zona sportiva di via Beethoven, il Mercatone Uno, il complesso fieristico, l’Ospedale di Riabilitazione San Giorgio e la Stazione Centrale FS, La struttura interna del comparto sud appare molto ordinata: oltre ai due assi principali nord-sud, le strade secondarie si attestano perpendicolarmente ad essi. Si viene così a creare una maglia ordinata che divide l’intero comparto in settori più piccoli ma pur sempre funzionalmente omogenei. Questa conformazione settoriale del comparto, la sua formazione è dovuta al sommarsi di progetti di edilizia economica e popolare successivi. A causa della presenza di questi quartieri residenziali intensivi, i settori presentano un’alta percentuale di zone verdi, tanto che visti dall’alto questi quartieri sembrano immersi nella vegetazione. Tutte queste fasce funzionali sul lato ovest si attestano sul lungo vuoto
lineare intercluso fra urbanizzato e assi infrastrutturali, opportunità per creare un sistema verde ciclo-pedonale. Ai fini dell’analisi, i settori sono stati nominati con una lettera dall’A alla L. Il settore A testata dell’ambito meridionale, comprende il complesso del Darsena City, i magazzini della darsena fluviale e una quota di residenze di dimensioni medio-piccole; è attraversato con direzione ovest-est dal Po di Volano, a nord confina con il Baluardo della Fortezza e la parte meridionale della città entro le mura. Lungo il Po di Volano in adiacenza con il ponte della Pace è presente un’area recintata in attesa di essere edificata. Il settore B, uno dei più grandi del comparto meridionale, comprende il Polo Scientifico-Tecnologico, l’area del Foro Boario, il primo progetto ferrarese di PEEP il complesso edilizio di Foro Boario di via Barlaam, il Tecnopolo di via Saragat, e una elevata quota di residenze di dimensioni medio-piccole. Il settore C a sud è delimitato dalla linea ferroviaria Ferrara-Rimini attualmente dismessa. Comprende la stazione di Porta Reno, la scuola superiore Aleotti, il piazzale di Foro Boario e i suoi capannoni e un limitato numero di condomini residenziali. È attraversato in direzione est-ovest dalla linea ferroviaria Ferrara-Codigoro. Il settore D comprende la chiesa Sant’Agostino di via Mambro, il parco Uber Bacilieri, una discreta quota di residenze medio-piccole e nella parte occidentale il grande complesso di residenze condominiali di via Ippolito Nievo con annesso il grande spazio ricreativo denominato Parco dell’Amicizia. Il settore E comprende il complesso residenziale detto “Il Treno”, il complesso edilizio detto “Lo stadio”, il complesso residenziale di via Verga, la caserma dei vigili del fuoco, la casa di riposo Residenza Caterina ed una cospicua quota di condomini residenziali. A cavallo dei settori E ed F troviamo il cantiere dello svincolo per la nuova tangenziale ovest. Il settore F comprende il grande Centro polifunzionale “Palazzo degli Specchi”, ad oggi abbandonato, ma con possibilità di essere recuperato insieme alle aree adiacenti, il complesso sportivo di via Beethoven, una porzione di edifici commerciali siti di fronte al centro commerciale “Il Castello”, una piccola quota di residenze monofamiliari e una prima area di capannoni artigianali. Il settore G è prevalentemente formato da capannoni artigianali, alcuni dei quali attualmente in disuso, una piccola quota di residenze monofamiliari inserite fra i capannoni e una discreta area commerciale attestata su via Bologna. Il settore H comprende il Mercatone Uno su via Ferraresi, il BricoMan su via Bologna, altri esercizi commerciali minori e molteplici capannoni artigianali,
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ferrovia Ferrara-Rimini
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ferrovia Ferrara-Codigoro 12
Po di Volano
via Bologna stazione Porta Reno via Argine Ducale
darsena fluviale 04
via Krasnodar 08
02 via Foro Boario
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fermata Aleotti 16
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Baluardo della Fortezza
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via Ferraresi D
stazione ferroviaria
B A 14
C
Fascia A. Lungo il Po di Volano Fascia B. Attorno al Foro Boario Fascia C. A nord della FerraraCodigoro Fascia D. A sud della FerraraCodigoro Fascia E. Lungo viale Krasnodar Fascia F. Lungo via Beethoven Fascia G. Primo comparto artigianale Fascia H. Secondo comparto artigianale Fascia I. Quartiere fieristicoartigianale Fascia L. La campagna storica
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via Bologna 17
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via Veneziani
13 via Beethoven
L I
ferrovia Ferrara-Bologna
F
G
E
circonvallazione ovest
H
alcuni dei quali in disuso. Il settore I comprende il Centro Servizi Ortofrutticoli, il Centro Fiere e Congressi, una piccola quota di esercizi artigianali e una discreta quota di spazi verdi. Il settore L comprende l’Ospedale di Riabilitazione San Giorgio, il cantiere per l’ampliamento della sede Arpa di via Bologna, una piccola quota di esercizi commerciali e artigianali, alcuni dei quali in disuso, e una discreta quota di aree verdi che includono gli antichi frutteti.
05.1.2 Tracce di una storia recente
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Nel 1911 vengono effettuati interventi nelle aree vicine alle porte, per migliorare gli accessi alla città e controllare l’edificazione, fra cui quella di San Luca e della strada Nazionale per Bologna. Negli anni fra il 1911 e il 1925 ci fu un incremento della popolazione che portò a rivolgere una attenzione particolare al sobborgo esterno di San Luca e principalmente all’interno dell’asse di Bologna-via Arginone, interessato fra l’altro dalla realizzazione della Ferrovia Padana. Il Piano Contini organizza in modo simmetrico l’ampliamento a sud della città ponendo un elemento preordinato di grande dimensione per ciascuno dei due agglomerati in destra e in sinistra della strada Nazionale per Bologna: a sinistra, più prossimo alla Stazione ferroviaria il Foro Boario, simmetricamente a destra il Deposito Stalloni, poi Ippodromo. Nel 1949 il Piano di ricostruzione di Ferrara ha previsto altre zone di espansione attestate a ridosso della nuova arteria di circonvallazione, soprattutto nella zona di via Bologna in direzione sud, sud-ovest, dove viene a formarsi il grande quartiere attorno all’Ippodromo. Negli anni ‘60 le linee del traffico di transito ed altre concomitanti condizioni hanno condizionato spontanei e notevoli sviluppi edilizi nelle zone fuori mura a sud. Nel 1968 lo studio per la Variante generale al piano regolatore, ha previsto la ristrutturazione della zona di espansione meridionale, lungo via Bologna, in rapporto alle iniziative di prossima attuazione, zone di edilizia economica e popolare-Peep, al fine di individuare, se non una città policentrica per lo meno una espansione del centro direzionale della città verso sud Nel 1972 il comparto sud viene configurato come parte integrante della città, e non come periferia subalterna. Lungo la via Bologna si prevede la lo-
1814. Cartografia (www.patrimonioculturale-er.it)
1911. Cartografia IGM (www.igmi.org)
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calizzazione di nuove aree di espansione e di servizi a livello urbano preposti a ristrutturare la zona, anche per consolidare la linea di sviluppo indicata dal tronco est-ovest della grande viabilità.
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Nel 1977 lo schema della grande viabilità urbana cambia radicalmente aspetto, vengono progettati due assi tangenziali, uno in direzione nord-sud parallelo all’autostrada e l’altro in direzione est-ovest. In particolare l’asse nord-sud promuoverà lo sviluppo della rete commerciale e delle attività direzionali nella fasce meridionali della città. Inoltre viene prevista una nuova concentrazione di edificazione, da realizzare in gran parte con interventi Peep, lungo la direttrice est-ovest della grande viabilità, in particolare nell’area Rivana. L’area dell’aeroporto viene adibita ad attrezzature per il tempo libero. Nella variante del 1985 viene individuata nella zona di via Bologna una cospicua area di circa 10 ettari per insediamenti artigianali, servizi e trasporti in adiacenza alla nuova tangenziale. La nuova fiera di via Bologna sarà realizzata, su progetto dello Studio Gregotti Associati, alla fine degli anni ’80. Osservando l’aerofoto degli anni’80 possiamo notare una macro frattura a metà del comparto meridionale: un insieme di aree vuote che ospiteranno il grande complesso del Palazzo degli Specchi e l’intera area del centro commerciale “il Castello”. Il comparto sud appare così un quartiere moderno dove la funzione prevalente dell’abitare si integra, in un giusto rapporto, con le altre funzioni della città. Il comparto sud, in particolare nei primi anni del ‘900, è caratterizzato dalla costruzione dei primi impianti industriali che si attestano lungo le sponde del Po di Volano, come l’ex Zuccherifico Agricolo Ferrarese di via Saragat, i Magazzini Generali della Darsena fluviale e la palazzina dell’ex Mercato Ortofrutticolo di corso Isonzo. Quando la città di Ferrara viene stimolata ad espandersi verso la parte meridionale oltre le mura, vengono progettate le prime espansioni residenziali, come ad esempio il primo PEEP attuato dalla città di Ferrara, il complesso edilizio di Foro Boario di via Barlaam oppure il complesso edilizio detto “Il treno” di viale Krasnodar, o il complesso edilizio detto “Lo stadio” di via Carducci. Lanzani descrive così le periferie degli anni Sessanta e Settanta: “esse presentano una cesura più netta rispetto alla città compatta, esprimono ormai definitivamente un’idea di città costruita per singoli oggetti o al più per parti “morfologicamente compiute” nelle zone produttive e in quelle residenziali, in quelle private e in quelle di promozione pubblica. Lì attenzione al costruito si impone a quella dello spazio vuoto, allo spazio “tra le cose”, che risulta
1954. Aerofoto volo GAI (www.patrimonioculturale-er.it)
1980. Aerofoto IGM (www.igmi.org)
1991. Aerofoto IGM (www.igmi.org)
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sempre più privo di connotati sì distintivi, diventa quel fango, quell’incolto, quello sterrato su cui si deposita lo sguardo poetico e analitico di Pasolini o di un fotografo come Lucas. Emerge non un paesaggio di edifici dispersi in uno spazio vuoto e semi-abbandonato, ma un paesaggio dalla “grana grossa”, fatto di differenti edifici, di distinti organismi edilizi o placche fisico-funzionali tra loro confinanti, ognuna con ruoli e funzioni specifiche che intrattengono con i manufatti delle relazioni estremamente ridotti, semplificate, ma comunque differenti”. (Lanzani, 2003) È un po’ questo il paesaggio che emerge a sud di via Bologna, pur essendo un paesaggio che mantiene una riconoscibilità sua propria.
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Negli anni ‘70-’80 il comparto meridionale della città è contraddistinto dalla progettazione e costruzione di nuovi centri direzionali come il Centro Operativo Ortofrutticolo di via Bologna e il centro polifunzionale detto “Palazzo degli Specchi” sito in via Beethoven, e della prima cittadella commerciale, il centro commerciale “il Castello”. Nell’ultimo ventennio sono stati invece progettati alcuni nuovi nuclei funzionali, come ad esempio dopo il recupero del complesso dell’ex Zuccherificio Eridania oggi è un edificio per uffici pubblici e privati, o il Tecnopolo di via Saragat, oppure l’ampliamento della sede dell’Arpa ancora in fase di realizzazione. Lo stabilimento, attivo sin dal gennaio del 1900, fu restaurato dall’U.TE.CO (con la consulenza d’alcuni docenti della Facoltà di Architettura di Venezia, è stato destinato alla Facoltà di Ingegneia dell’Università di Ferrara, dopo gli ultimi adattamenti dell’Ing. Mezzadri.
Ex Zuccherificio Agricolo Ferrarese via Saragat P. Fortini, A. Mazza 1899
Nato dal trasferimento del ex mercato bovino di piazza San Giorgio, il progetto urbano riguarda un’ampia porzione del latifondo della Sammartina, in posizione strategica tra due stazioni ferroviarie.
Foro Boario piazzale Foro Boario C. Savonuzzi, G. Savonuzzi 1928 - 1930
Il progetto di recupero ha preso avvio nel 2004 ed è stato finalizzato ad ospitare all’interno dei magazzini la scuola di musica moderna e il Consorzio Wunderkammer che ha destinato gli spazi al piano terra ad eventi culturali-partecipativi e co-working.
Magazzini generali della Darsena fluviale via Darsena C. Savonuzzi 1936
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Palazzina ex-Mercato Ortofrutticolo corso Isonzo C. Savonuzzi, A. Ciaccia 1936 - 1937 Complesso edilizio di Foro Boaro via Barlaam V. Quilici, B. Bernardi 1967 - 1973 Complesso edilzio detto “Il treno” viale Krasnodar A. Lambertucci, G. Zappaterra, S. Casini, G. P. Sarti 1971 - 1972
Krasnodar è una città russa gemellata con Ferrara e, negli anni ‘60, il Comune decise di urbanizzare un’ampia zona fra via Bologna e la rete ferroviaria dedicandola alla lontana località.
Complesso edilzio detto “Lo stadio” via Carducci O. Veronese, G. Zappaterra 1972 - 1974
Nella fase di intensa urbanizzazione del quartiere attorno all’arteria di viale Krasnodar è da registrare la significativa presenza di questo blocco di 63 alloggi, eretto dall’IACP nell’ambito del piano GESCAL. Denominato “Stadio” per la particolare disposizione a gradinata dei prospetti.
Chiesa di Sant’Agostino via Mambro A. Cotti, V. Mastellari 1973 - 1978
Sorge sull’antico letto del canale Mambro, ora tombato, e adotta un interessante stile risolto nel contasto tra il blocco geometrico del corpo centrale a la sinuosa copertura del tetto. Sull’altro lato della strada è presente la scuola media “De Pisis” che ospita anche la biblioteca di quartiere.
Centro Operativo Ortofrutticolo via Bologna P. L. Giordani 1975 - 1979
Oggi di proprietà demaniale, il centro fu ideato all’epoca del boom della frutticoltura nel ferrarese, allo scopo di svolgere opera di valorizzazione dei prodotti alimentari. Spicca la parte del corpo ricoperta da una cupola tondeggiante.
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La palazzina dei servizi, che conteneva uffici, cassa, bar, appartamento del cstode e salone delle contrattazione, nel 2014 è stata oggetto di un concorso di progettazione finalizzato alla collocazione dell’Urban Center e della sede dell’Ordine degli Architetti della città di Ferrara. Esempio d’architettura “agevolata” nell’ambito della legge 167 sull’edilizia popolare, si tratta del primo PEEP attuato a Ferrara, è composto da 250 alloggi, dall’ormai ex cinema Alexander e da un centro sociale.
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Caduto in stato di degrado, è oggetto di un progetto di recupero che prevede la realizzazione di 250 - 270 appartamenti di housing sociale, grazie ad un investimento della Cassa Depositi e Prestiti e alla creazione di un fondo in cui entreranno Parsitalia, il Comune di Ferrara, Acer e la Cdp.
Centro polifunzionale detto “Palazzo degli Specchi” via Beethoven R. Mascellani (capogruppo) 1986 - 1989
Lo spazio espositivo è organizzato in una struttura semplice organizzata “a moduli”: blocchi di ampi padiglioni espositivi a pianta quadrata di circa 2.500 mq, collocati tra filari di pioppi.
Fiera via Bologna Gregotti Associati 1988 - 1989
La cittadella commerciale, che copre un’area complessiva di oltre 25.200 mq, si dispone su un monopiano e presenta prospetti in pannelli di cemento armato autoportanti, a fasce orizzontali di colori alternati.
Centro commerciale “Il Castello” via Giusti S. Susini, R. Ferrazza 1988 - 1990
Il complesso edilizio, che comprende 223 alloggi e vari negozi, è inserito nell’ormai trentennale PEEP di via Bologna. Da notare il rapporto tra le abitazioni e gli spazi pubblici, realizzato grazie a passerelle metalliche sopraelevate.
Complesso residenziale di via Verga via Verga R. Mascellani (capogruppo) 1990 - 1995
Il recupero dell’ex-Zuccherificio, con l’insediamento di uffici pubblici e privati, ha dato il via alla riqualificazione urbana dell’area retrostante la stazione ferroviaria.
Recupero Ex Zuccherificio Eridania Bonora via Del Lavoro L. Macci, G. B. Degano 1998 - 2000
Nel 1999-2000 l’area viene inquadrata come una delle quattro proposte generali di ambito presentate per la candidatura dei PRU. Nella costruzione, dei primi anni 2000, sono presenti: galleria commerciale, una multisala, residenze universitarie e cinque edfici per appartamenti.
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Darsena City via Darsena R. Mascellani, D. Pozzati 2000 15
Tecnopolo via Saragat M. Cilio, S. Lazzaro 2011 - 2012
Il progetto nasce nell’ambito del Programma regionale POR-FESR 2007-2013 con il quale la Regione Emilia-Romagna ha inteso promuovere attività e iniziative volte al consolidamento della rete regionale dell’alta tecnologia. La nuova struttura, costruita su are acomunale, contiene laboratori di ricerca industriale.
Ampliamento sede Arpa via Bologna M. Cucinella Architects (in corso di realizzazione)
Il progetto è risultato vincitore di un concorso internazionale indetto nel 2006 per la progettazione di un nuovo complesso edilizio destinato a uffici e laboratori di ricerca dell’agenzia regionale ed esteso su un’area di 5.000 mq.
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Analisi SWOT 05.1.3 327 L’analisi SWOT dell’ambito sud-ovest permette di individuare i punti di forza e quelli di debolezza, i rischi e le opportunità sui quali sarà possibile impostare un progetto urbano. Sulla base dei punti individuati si individueranno le linee strategiche progettuali, senza dimenticare gli obiettivi a grande scala definiti dalla strategia urbana.
S [forza]
1. Alta diversità morfologica e funzionale 2. Zona extra-moenia a maggiore densità abitativa 3. Presenza del polo universitario scientifico-tecnologico 4. Presenza di “parchi di quartiere” 5. Prossimità del fiume Po di Volano
6. Presenza del quartiere fieristico 7. Attivazione del servizio pubblico della metropolitana suburbana 8. Recupero del complesso “Palazzo degli Specchi” con la realizzazione di 250-270 alloggi di housing sociale
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1. Mancanza di una relazione con le mura cittadine e il nucleo storico della città 2. Presenza di polarità scollegate tra loro 3. Presenza di terreni compromessi (brownfield) lasciati in abbandono 4. Mancata definizione di un sistema verde 5. Elevata eterogeneità e sovrapposizione delle reti e dei nodi infrastrutturali 6. Interferenze tra i principali
progetti urbani, sia a livello spaziale che temporale 7. Mancata relazione con la campagna circostante 8. Presenza di enclave monofunzionali in parte o del tutto inaccessibili 9. Elevato grado di saturazione di via Bologna, sia della carreggiata stradale che della pista ciclabile 10. Bassa presenza di aree dedicate ad attività all’aperto
W [debolezza]
1. Ampliamento e sviluppo del quartiere fieristico 2. Recupero dell’area “Foro Boario” 3. Coordinamento delle aree agricole private a vocazione urbana, intercluse dalla Ferrara-Bologna 4. Incremento dell’attrattività dello studentato presente nel complesso “Darsena City” grazie alla creazione di una rete di servizi per gli studenti 5. Riduzione del flusso automobilistico interno a seguito dell’apertura della nuova Circonvallazione Ovest
6. Realizzazione e apertura del punto di vendita Decathlon 7. Sviluppo di aree commerciali “di vicinato” lungo l’asse di via Bologna 8. Creazione di due grandi corridoi ecologici in corrispondenza delle attuali due linee ferroviarie in direzione est-ovest 9. Realizzazione di un nuovo accesso al Parco Agricolo Sud in corrispondenza del quartiere fieristico 10. Creazione di accordi tra il Comune e cittadini per la gestione del verde urbano
O [opportunità]
1. Interruzioni dei cantieri in corso e mancato avvio di quelli in previsione 2. Mancata fruizione delle sponde fluviali 3. Scarsa attrattività della galleria commerciale e del complesso
residenziale “Darsena City” 4. Mancata fruizione degli spazi aperti nelle ore serali e nelle giornate non lavorative 5. Saturazione delle aree non edificate rimaste 6. Mancata integrazione della
T [rischi]
popolazione straniera residente 7. Bassa integrazione paesaggistica della nuova Circonvallazione Ovest 8. Aumento del degrado in conseguenza al momentaneo
abbandono del tratto ferroviario dismesso FerraraRimini 9. Assenza di interventi di ristrutturazione sui manufatti di edilizia popolare degli anni Sessanta e Settanta
Previsioni di saturazione 05.1.4
1954
1980
1991
2014
Tra i rischi evidenziati nell’analisi c’è né uno che va considerato con attenzione, ossia il rischio che le aree non ancora edificate vengano saturate a causa della progressiva espansione della città. Infatti, attualmente la conformazione particolare dei vuoti all’interno dell’ambito di progetto sembra non aspettare altro che essere edificata, superficie dopo superficie, fino ad arrivare al limite imposto dalla via Ferraresi. Inoltre, la funzione svolta dalla circonvallazione stradale stessa sembra essere quella di attrarre grande volumi di traffico in questo comparto urbano e, attraverso ampie superfici a parcheggio, permettere un semplice raggiungimento di attività commerciali di grandi dimensioni. La tipologia del già presente Mercatone Uno sembra la più adatta per aree di questo tipo. Sono presenti contemporaneamente ampie superfici libere e una strada ad alto scorrimento che permetta un facile raggiungimento delle strutture commerciali. Anche l’analisi dell’evoluzione storica dell’espansione della città in questo comparto aiuta a comprendere questo processo, in corso da quando la città ha iniziato ad espandersi oltre le sue mura. La Ferrara-Bologna sembra apparire come un limite naturale da porre all’edificazione. Partendo dal 1954 e arrivando al 1991, la percentuale delle aree urbanizzate è raddoppiata passando dal 23,3% al 53,0%. Oggi la percentuale di aree vuote, e quindi potenzialmente urbanizzabili, è pari al 30,6%. Si tratta della presenza strategica di un’area continua potenzialmente urbanizzabile di 126 ettari. A questa si affiancano 48 ettari di aree compromesse da riqualificare, al fronte di un’area urbana consolidata
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che copre il 63,4% dell’ambito. Considerando anche l’area compromessa limitrofa, l’ambito di progetto si considera urbanizzato al 59,9%. D’ora in poi definiremo quest’area di 174 ettari come area di interesse, in quanto area ritenuta la più idonea per una strategia che riguardi il margine sud-ovest.
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Analizzando gli strumenti urbanistici vigenti, strutturali e operativi, e individuando un papabile bacino d’utenza dell’area di interesse è possibile fare delle previsioni di saturazione, in base alle superfici edificabili che vengono previste all’interno di quest’area, con funzione residenziale, commerciale e produttiva. Il bacino d’utenza scelto per l’analisi è composto da sei sistemi insediativi tra quelli individuati dal PSC: il sistema insediativo del Centro Storico (SI1), il sistema insediativo Porta Catena, San Giacomo (SI2), il sistema insediativo Doro (SI3), il sistema insediativo via Bologna (SI4), il sistema insediativo Mizzana (SI12) e il sistema insediativo Arginone (SI13), attiguo all’area di interesse. Le tre fasi temporali considerate sono definite con le seguenti sigle: POC_1, aree interessate da comparti di attuazione previsti dal primo POC, con validità di dieci anni; POC_0, aree demandate a POC soggette a PUA previgenti (in attuazione del vecchio PRG), con validità variabile, dipendente dai singoli contratti stipulati in sede di approvazione del PUA; POC_es, aree demandate a POC che non sono attualmente oggetto di alcuna pianificazione attuativa, ma per le quali sono state fatte delle previsioni a livello di PSC, da considerarsi in una previsione temporale superiore ai 10 anni. Di seguito, si riportano i dati relativi al bacino d’utenza individuato dai sette sistemi insediativi limitrofi, considerando nelle tre fasi temporali l’aumento progressivo previsto, di abitanti, di superficie commerciale e di superficie produttiva.
2014. Presenza strategica di un’area urbanizzabile potenzialmente continua di 126 ettari e di 48 di aree compromesse da riqualificare
SI1. Centro Storico [29.254 abitanti] SI2. Porta Catena, San Giacomo [4.170 abitanti] SI3. Doro [2.910 abitanti] SI4. Via Bologna [25.984 abitanti] SI12. Mizzana [1.955 abitanti] SI13. Arginone [1.406 abitanti]
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Comune di Ferrara, Schede degli ambiti, PSC 2003 / Comune di Ferrara, Documento programmatico per la qualitĂ urbana, POC 2013 / Comune di Ferrara, Schede di comparto, POC 2013
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Comune di Ferrara, Schede degli ambiti, PSC 2003 / Comune di Ferrara, Documento programmatico per la qualitĂ urbana, POC 2013 / Comune di Ferrara, Schede di comparto, POC 2013
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Comune di Ferrara, Schede degli ambiti, PSC 2003 / Comune di Ferrara, Documento programmatico per la qualitĂ urbana, POC 2013 / Comune di Ferrara, Schede di comparto, POC 2013
Considerando le previsione effettuate dagli strumenti urbanistici, in base al soddisfacimento del fabbisogno residenziale, commerciale e produttivo, e localizzandole a livello spaziale, è possibile individuare quali di queste nuove superfici edificate si vanno ad insediare nell’area di progetto. In questo modo, l’area di interesse arriverebbe ad una saturazione dell’81,1% considerando le tre fasi temporali, mentre l’ambito di progetto si saturerebbe al 92,3%. Nelle tabelle seguenti sono rappresentate le tre fasi di previsione, con la saturazione complessiva e progressiva dell’area in oggetto.
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81,1%
Linea Sud Ovest 05.2 Preso atto delle previsioni urbanistiche e delle superfici edificabili che interessano l’area, la strategia Linea Sud Ovest si basa su un approccio diverso. Le considerazioni sull’importanza della progettazione fatta a partire dal margine urbano e da una definizione degli spazi connettivi come trame di impostazione per la sviluppo della città, e viste le potenzialità dell’area scelta come caso studio, una prospettiva di sviluppo come quella proposta non appare sostenibile. L’area presenta infatti delle potenzialità per quanto riguarda la definizione di una nuova infrastruttura urbana di paesaggio, che consenta di individuare l’area marginale a sud-ovest come nuovo spazio pubblico per la città di Ferrara e di decongestionare i percorsi ciclo-pedonali. Il tema di progetto è duplice: quello della compensazione delle trasformazioni urbane, di adattamento alle trasformazioni urbane e di propulsore delle trasformazioni urbane. All’interno di temi riveste un ruolo centrale proprio il concetto di impronta urbanistica, la quale consente di definire l’impatto delle pressioni ambientali dello sfrangiamento urbano sul paesaggio. Secondo questa visione, l’obiettivo primario della politica territoriale relativamente ai paesaggi periurbani dovrebbe essere quello di minimizzare l’impronta urbanistica. L’istituzione del parco si propone come formula di mitigazione e d’integrazione territoriale della presenza delle grandi infrastrutture e dell’eccessiva saturazione edilizia: un parco urbano può anche comprendere siti nei quali sono presenti delle enclaves o in prossimità di grandi opere infrastrutturali sul territorio (autostrade, strade di grande transito, ferrovie), anche assoggettate ad ampliamenti. L’IPCC (International Panel for Climate Change, il comitato che riunisce i più autorevoli scienziati del mondo impegnati sui cambiamenti climatici globali) riassume il “che fare” in due parole-chiave: mitigazione e adattamento. Su entrambi questi fronti il ruolo del rapporto città-campagna, tra espansione urbana e paesaggio limitrofo, diviene preponderante. L’Europa ha prodotto nel 2009 un documento molto importante sulla questione, il Libro Bianco per l’Adattamento, dove la parola chiave principale, esoterica per noi italiani, è “resilienza”. La resilienza è la capacità intrinseca di un sistema di contrastare o assorbire impatti esterni negativi. Occorre aumentare la resilienza dei sistemi, dice l’Europa: “L’adattamento è già in atto, ma in maniera frammentata. Occorre invece un approccio
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più strategico per garantire che le misure di adattamento necessarie siano adottate per tempo e siano efficaci e coerenti tra i vari settori e livelli di governo interessati. […] in quadro dell’UE sull’adattamento è finalizzato ad aumentare la resilienza dell’UE per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici”. (Unione Europea, 2009) In particolare il concetto di resilienza è stato introdotto nell’ottica della gestione sostenibile delle risorse, per creare una teoria comune e combattere il degrado del suolo. L’obiettivo del progetto è quindi quello di affiancare al paesaggio di infrastrutture presenti un sistema di strutture multifunzionali che stiano alla base delle future pianificazioni dell’ambito urbano Sud Ovest. Si sceglie il nome di Infra-strutture, ossia di una sovrapposizione di più strutture “che stanno sotto”, alla base, di sottostrutture che fanno da ossatura e da compensazione delle trasformazioni che interessano le aree marginali. Il progetto permette così di andare a ridefinire il margine sud-ovest della città e di renderlo infra-struttura principale di collegamento tra i quartieri dell’espansione sud e il centro storico, e allo stesso tempo grande parco urbano lineare per tutti i cittadini, da fruire nel tempo libero. Linea Sud Ovest, lo slogan scelto per il progetto urbano proposto nell’ambito sud-ovest della città, è stato individuato per la molteplicità di significati che racchiude. Linea come linea difensiva, rievocando il concetto di fortificazione militare e di trincea, importanti per la città di Ferrara in quanto città murata. Linea come linea di confine, concetto con il quale abbiamo iniziato la ricerca dei possibili significati di margine urbano. In questo senso, la Linea può essere vista come una volontà di spingersi oltre ai convenzionali confini della città fino a progettarne i margini. Linea come configurazione spaziale, come progetto di percorso e di tracce di fruizione di aree ancora inaccessibili. Linea come linea ferroviaria, per rievocare l’importanza della tratta ferroviaria Bologna-Padova per la morfologia del comparto e come sistema orientativo all’interno della città. Linea come linea del trasporto pubblico, metafora dell’importanza attribuita alla mobilità di tipo sostenibile e all’accessibilità delle aree. Linea come parco lineare, per definire la funzione che l’area di progetto può assumere come grande parco pubblico urbano. E, infine, Linea come linea guida: definizione e ossatura per le trasformazioni urbane previste e allo stesso tempo caso studio di una progettazione che metta al centro la ridefinizione dei margini.
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Po di Volano
Foro Boario
Ex-Amga
Darsena fluviale
Darsena City
Baluardo della Fortezza testata Polo universitario e Darsena City
via Bologna
341 Parco Sud via Bologna
testata Centro Fiere Congressi
Palazzo degli Specchi Zona Fiera
05.2.1 Struttura puntuale
Per la creazione di un sistema lineare è importante soffermare l’attenzione sui punti di testata, che permettono di calamitare i flussi da un capo all’altro dell’area. In questo caso si tratta di due polarità con caratteristiche diverse La testata a nord è caratterizzata dall’incontro di diversi nodi urbani: due elementi di paesaggio, con valenza storica e ambientale, che sono il Po di Volano e il Baluardo della Fortezza, e due elementi urbani, il Polo Scientifico Tecnologico e il complesso multifunzionale Darsena City, realizzato a partire dagli anni 2000 in sostituzione di archeologie industriali. La testata sud è caratterizzata dalla presenza del Centro Fiere e Congressi e dall’Ospedale di riabilitazione San Giorgio.
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Entrambe le testate presentano delle possibilità di stabilire delle connessioni all’interno del sistema. La testata a nord presenta la grande potenzialità di ricucire l’ambito fluviale del Po di Volano con il circuito delle mura storiche e allo stesso tempo di sfruttare gli edifici presenti, Università e Darsena City, per offrire nuovi servizi ai cittadini e agli studenti e integrare quelli esistenti nell’ottica di ottenere la massima multifunzionalità e flessibilità di fruizione agli spazi. In questo senso, una sistemazione della viabilità permettere di liberare questi spazi dalle barriere infrastrutturali attualmente presenti e di far sfociare il grande parco lineare a sud-ovest sul lungofiume riqualificato, che è anche oggetto del progetto Idrovia Ferrarese. Per la testata a sud, deve essere valorizzata la funzione di area per eventi, integrando le possibilità già presenti con l’opportunità di creare eventi all’aperto. Inoltre, l’area rappresenta un “cono verde” verso il Parco Agricolo Sud, al di là di via Bologna, importante asse connettivo e di scambio tra i diversi ambiti urbani, al fine di creare una continuità nel paesaggio. Lo stesso progetto dei padiglioni della Fiera sembra lungimirante in questo senso. Infatti, per il posizionamento dell’ingresso, non è stata fatta la scelta più semplice, ossia di rivolgerlo verso il grande asse urbano di via Bologna, bensì è stato rivolto verso quello che è considerato il retro della città, ma che si potrebbe rivelare come lo spazio più adeguato per la valorizzazione degli spazi aperti di cintura. La Fiera si rivolge quindi verso il paesaggio, apre lo sguardo verso i campi agricoli, pur essendo attualmente irraggiungibile senza l’utilizzo dell’automobile.
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01. Creazione di un Parco Urbano Lineare 02. Puntare sulla mobilitĂ sostenibile 03. Partire dallo sviluppo delle aree compromesse 04. Ricollegare la cittĂ al paesaggio di frangia
01
05. Coordinare negli spazi aperti attvitĂ multifunzionali
02
04
03
05
Struttura lineare 05.2.2
Insieme alla definizione delle due testate, si definisce il percorso che le collega in quanto sistema, composto da più strutture urbane e di paesaggio. Queste strutture, sovrapposte e in relazione l’una con l’altra, nascono dalle tracce esistenti sull’area (trasformazioni, infrastrutture, percorsi ciclopedonali, canalizzazioni irrigue, macchie di vegetazione, strade alberate, quartieri residenziali, polarità) e si sviluppano proponendo per l’ambito un programma di nuove attività, in quei vuoti residui ancora in attesa di una definizione unitaria. Le strutture individuate sono le seguenti, ciascuna della quali fa capo ad una strategia di progetto: 1. Creazione di un parco urbano lineare, nel quale la vegetazione si faccia carico della funzione compensativa degli impatti ambientali della città sul paesaggio; 2. Puntare sulla mobilità sostenibile, inserendo una serie di nuovi percorsi ciclo-pedonali che ricuciano quelli esistenti e che rendano accessibili il maggior numero di aree possibili; 3. Partire dallo sviluppo delle aree compromesse, per costruire nuove parti di città andando ad intervenire su aree urbane in abbandono e in stato di degrado, prima di occupare terreni liberi; 4. Ricollegare la città al paesaggio di frangia, attraverso l’inserimento di assi di connessione trasversale tra la città e il parco lineare (bande attrezzate); 5. Coordinare negli spazi aperti attività multifunzionali, coinvolgendo sia gli enti pubblici che i privati nel progetto di gestione e manutenzione di un’area così vasta e allo stesso tempo inserendo nel parco una serie di funzioni che favoriscano la fruizione da parte di tutte le fasce di popolazione e in tutte le fasce orarie.
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Infra-struttura urbana 05.3
La stessa idea di definizione flessibile di una forma, di una ricerca al tempo stesso di segni di struttura e di ampi margini di flessibilità, oggi può essere sviluppata attraverso il riordino degli spazi aperti di più ampie dimensioni interclusi nei territori urbanizzati e posti a contatto con essa, partendo dalla modificazione dell’ossatura infrastrutturale di questi territori, dalla creazione di alcune nuove connessioni, e attraverso la promozione di una rete diffusa di progetti di ristrutturazione e riqualificazione urbanistica in diverse fasi temporali che integrino al loro interno spazi differenti, mobilitino attori pubblici e privati, perseguano finalità sociali e imprenditoriali. Prima di tutto, quindi, è necessario individuare i possibili protagonisti (piccoli o grandi agricoltori, enti pubblici, imprenditori del tempo libero o del commercio, gestori delle grandi infrastrutture, ecc.) di eventuali azioni di riordino o di semplice cura di questi spazi e di prefigurare anche un sistema di incentivi e di vincoli da attivare nei loro confronti. Il sistema urbano si basa principalmente sulla definizione di due strutture: quella che si occupa del recupero e dello sviluppo delle aree urbane compromesse e quella che si occupa di definire un nuovo sistema di mobilità che punti maggiormente sulla mobilità di tipo sostenibile. Le edificabilità che sono state previste nell’area di interesse, si prevede che possano essere trasferite all’interno delle aree compromesse, in parte recuperando manufatti già esistenti e attualmente inutilizzati. Allo stesso modo si prevedono i trasferimenti di eventuali edifici incongrui presenti nell’area da destinare a parco. In particolare, sono classificati come incongrui: i capannoni artigianali antistanti il Baluardo della Fortezza (dei quali sono una parte è in disuso), i prefabbricati dell’Università e di uffici privati lungo via Saragat, le residenze in prossimità della rotatoria di via Argine Ducale, un capannone artigianale al capo di via Veneziani e un edificio ad uffici in prossimità della zona della Fiera. Nei capitoli seguenti si riportano: le trasformazioni apportate alle reti infrastrutturali, una descrizione delle aree compromesse e l’opportunità di occuparne le parti inutilizzate inserendo nuove funzioni e infine il cronoprogramma di progetto suddiviso in tre principali fasi di realizzazione.
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EA01 Ex-Amga
DF01 FB01
FB03
DF02 FB02
Foro Boario DF03
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Darsena fluviale
1500 m 1000 m 150 m Darsena City
250 m
500 m
PS01 Palazzo degli Specchi 3000 m PS02
ZF02
ZF01
Zona Fiera
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2000 m PL03 PL01
PL02
PL04
05.3.1 Prima e dopo
Rete ciclo-pedonale – Rete stradale – Rete ferroviaria
Rete ciclo-pedonale Le principali trasformazioni nella rete ciclo-pedonale sono guidate dallo scopo di voler decongestionare via Bologna, che, oltre ad essere satura dal punto di vista automobilistico, lo è anche per pedoni e ciclisti. La pista ciclabile su via Bologna si presenta congestionata e non veloce da percorrere a causa dei numerosi incroci con semafori.
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Il progetto dei nuovi tracciati ciclo-pedonali si riallaccia, quindi, a quello principale previsto a scala urbana. Il tracciato principale, della lunghezza di circa 3 km e configurato pressoché come una linea continua, si colloca ai confini dell’edificato, permettendo quindi agli abitanti dei quartieri residenziali di raggiungerlo con facilità. Verso nord attraversa il Po di Volano grazie ad una nuova passerella e verso sud raggiunge la Zona Fiera per poi dirigersi verso il Parco Sud. Il posizionamento di questo tracciato è stato scelto, oltre che per una questione di accessibilità da parte dei residenti, anche per altri motivi: presenza di piste ciclo-pedonali promiscue già esistenti, nella zone vicino ad Ingegneria e nei parchi inter-quartiere, collegamento visivo diretto con la punta del Baluardo della Fortezza, e corrispondenza con il letto di un canale di scolo, chiamato Canale Fortezza, in parte tombato e probabilmente legato al fossato che storicamente circondava le mura. A questo tracciato principale si aggiungono dei circuiti secondari, che percorrono trasversalmente i quartieri residenziali e che si spingono fino alle zone del parco più distanti dall’area urbana. Le ricuciture più importanti ottenute grazie alla realizzazione di questi percorsi sono quelli con la Darsena cittadina, con l’area del Foro Boario, con l’area del Palazzo degli Specchi e dell’area sportiva di via Beethoven e con l’Ospedale di riabilitazione di San Giorgio e i frutteti che lo circondano. Il circuito che si innesta fino al Foro Boario e più a est fino alla zona Rivana, viene realizzato sfruttando il tracciato dismesso della Ferrara-Codigoro e il tracciato della nuova linea suburbana interrata, che può essere sfruttato superiormente. Rete stradale
Delle trasformazioni effettuate sulla rete stradale, la prima considera semplicemente l’entrata in funzione del tratto di circonvallazione attualmente in costruzione. Questo tratto, permetterebbe diminuire in maniera consistente il flusso di automobili e di mezzi pesanti su via Ferraresi, convogliando su di sé parte delle auto dirette verso Porotto-Cassana e parte del flusso automobilistico di via Bologna, offrendo un’alternativa per raggiungere lo svincolo dell’autostrada. Il calo del flusso automobilistico, conseguente all’entrata in funzione della circonvallazione, renderebbe possibile qualche modifica della viabilità all’interno dell’area di progetto. In particolare, si prevede lo spostamento del viadotto di via Ferraresi sul lato del Polo Tecnologico attualmente occupato da via Saragat, la demolizione del viadotto di via Aroldo Bonzagni e la conseguente dismissione della rotatoria presente in prossimità del fiume. Via Argine Ducale si trasforma in una strada di quartiere e la continuità in direzione est-ovest verrebbe garantita soltanto da via Darsena. Il superamento della ferrovia avviene grazie alla costruzione di un nuovo sottopassaggio di collegamento con via del Lavoro, mentre il fiume rimane attraversabile grazie ai due ponti carrabili attualmente esistenti, uno in direzione della stazione ferroviaria e l’altro in direzione dello stadio. Questi interventi, permetterebbero di aprire il parco lineare verso il fiume e di tenere la automobili all’esterno dell’area, confinando tutte le reti infrastrutturali in un’area già compromessa dalla rete ferroviaria, a ovest dell’area di progetto. Rete ferroviaria Le trasformazioni previste nella rete ferroviaria sono quelle inerenti ai lavori di realizzazione della linea suburbana. Il progetto, prevede il convoglio delle linee Ferrara-Codigoro e Ferrara-Rimini su un unico tracciato interrato in corrispondenza della linea Ferrara-Rimini. Il tratto interrato, che parte dalla zona Rivana e si estende fino all’area di progetto, permette di eliminare il passaggio a livello di via Bologna e di eliminare la barriera della linea ferroviaria tra i quartieri residenziali e le aree verdi collocate su un lato e l’altro della ferrovia. In contemporanea, è in corso la realizzazione di uno svincolo finalizzato a convogliare i treni merci direttamente lungo la linea Ferrara-Suzzara senza passare dalla Stazione F.S.. Delle nuove stazioni previste dal progetto della suburbana, sono tre quelle
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che interesserebbero la nostra area: quella di via Bologna, in sostituzione dell’attuale stazione di Porta Reno, quella dell’Istituto Aleotti e quella del Polo Universitario. L’interramento della tratta ferroviaria permette si liberare completamente l’area ai pedoni e ai ciclisti. Aumento della rete della viabilità ciclo-pedonale nella darsena fluviale Creazione di due nuove passerelle pedonali sul Po di Volano in corrispondenza del complesso multifunzionale Darsena City Attraversabilità ciclo-pedonale del nodo ferroviario grazie all’interramento della linea suburbana Collegamento tra il Centro Fiere Congressi e il Parco Sud
354 Eliminazione delle barriere stradali che impedivano il contatto sia fisico che visivo con il Po di Volano Entrata in funzione della circonvallazione ovest, che dovrebbe accogliere i flussi diretti verso la zona Arginone-Cassana, alleggerendo il traffico nel nodo Polo Universitario-Darsena City Eliminazione della barriera ferroviaria tra il Foro Boario e la città Attraversabilità ciclo-pedonale del nodo ferroviario grazie all’interramento della linea suburbana Fermate della metropolitana suburbana
Rete ciclo-pedonale
Rete stradale
Rete ferroviaria
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05.3.2 Trasformazioni urbane
Darsena City – Darsena fluviale – Ex Amga – Foro Boario – Palazzo degli Specchi – Zona Fiera – Consolidamenti puntuali
Darsena City
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Il Darsena City Village è il più grande complesso residenziale e commerciale della città di Ferrara, iniziato a costruire nei primi anni del 2000 e successivamente ampliato nel 2010. È situato sulle sponde del Po di Volano, nel tratto della Darsena fluviale, e dista pochi minuti dalla Stazione Centrale FS di Ferrara e dal centro storico. Il Darsena City sorge dove nel XV secolo c’era il “Giardino degli Estensi” ovvero il principale luogo di svago, divertimento e di contemplazione del bello della famiglia del Ducato di Ferrara. Nel corso dei secoli il Giardino Estense è stato più volte modificato fino alla sua definitiva scomparsa quando negli anni ‘20 del ‘900 vennero costruite le prime attività industriali e commerciale, ed il successivo ampliamento della Darsena fluviale fino a trasformarla in un vero e proprio porto. Il progetto si disloca su un’area di 50.000 mq sulle rive della Darsena, l’imponente complesso ha previsto la costruzione di una galleria commerciale denominata “Darsena City Gallery”, cinque edifici con appartamenti full comfort, una residenza universitaria formata da 160 appartamenti bilocali e trilocali, una palestra, due aule studio da 50 posti e due terrazze panoramiche, due unità residenziali e la “Darsena City Tower” che ospita servizi di vario genere, studi professionali e uffici. La costruzione è stata avviata nei primi anni del 2000 da parte della società Sinteco Real Estate e dai Magazzini Darsena con l’ultimazione della residenza universitaria e della Darsena City Gallery, che ospita un cinema multisala composto da dieci sale gestite da United Cinemas International, un supermercato SPAr di 3700 mq, dei punti ristorazione, una sala giochi e spazi commerciali per quasi 16mila mq per un totale di 36 punti vendita. Nel piano interrato è progettato un parcheggio interrato contenente circa 900 posti auto. Successivamente sono iniziati i lavori di costruzione della Darsena City Tower e dei cinque edifici atti ad appartamenti all’avanguardia. Il complesso residenziale ospita un centinaio di alloggi per una dimensione totale di 16 mila mq di area calpestabile, è formato da cinque palazzine a ridosso della Darsena City Gallery, è costituito da sei diverse tipologie di appartamenti full comfort forniti di impianti di climatizzazione, riscaldamento geotermico, balconi e terrazze panoramiche, all’interno della costruzione è presente un giardino pensile.
Ad oggi sono in disuso le cinque palazzine residenziali, la torre per uffici e molti dei punti vendita all’interno della galleria commerciale. Il complesso è stato soggetto a problemi burocratici, attualmente non ancora del tutto risolti, problemi che hanno causato e causano ancor oggi problemi anche alla galleria commerciale, che sempre più sta andando verso una situazione di degrado. Il progetto prevede la demolizione di un comparto produttivo in prossimità del Baluardo della Fortezza e il completo riutilizzo degli spazi del complesso non ancora riutilizzati, mantenendo il mix di funzioni esistente. In particolare, alcuni spazi vengono mantenuti a vocazione commerciale, ma la maggior parte viene ceduta all’università, al fine di creare nuove aule studio e trasferire uffici e servizi, come la mensa. Un intervento di importanza rilevante per il quartiere attorno alla stazione è quello dell’inserimento di una biblioteca e di un centro di integrazione culturale.
16.000 6.200
160 bilocali studentato
12.740
3.700 5.000
Ipermercato Multisala
5.000 12.000
27.000
960 posti auto
8.640
4.500
Hotel e commercio
62.400 53
[mq] % Servizi
5.400 43.780 37
Galleria commerciale [commercio e servizi universitari] 320 bilocali 200 posti auto 120 alloggi Torre [servizi e uffici] Basamento alloggi [biblioteca e centro di integrazione culturale] [mq] % Riutilizzati
359
9.750 Produttivo
2.000 11.750 10
Servizi [mq] % Demoliti 55.530 [mq] 47 % Intervento
4875
4.875 2.000 Uso Disuso 50.655 43 % Inutilizzato
Darsena fluviale
360
Ferrara, antica città fluviale, nel ‘900 ha un po’ scordato questo stretto rapporto con l’acqua. Fortunatamente durante il periodo fascista il vecchio scalo di San Paolo fu risistemato come infrastruttura al servizio delle nuove attività commerciali. Fortemente degradata dall’incuria e dall’inquinamento, la Darsena di San Paolo è stata riprogettata negli anni ‘80 a cura degli architetti M. Bernardi e A. Guzzon per conto del Comune come originale “porto turistico-fluviale”: 250 posti-ormeggio individuali, un club nautico con diversi impianti sportivi, uno scalo di alaggio e varo, un cantiere per la manutenzione delle imbarcazioni, un centro commerciale e di ristoro, un terminal per le navi addette all’escursionismo fluviale. In realtà il progetto fu dimezzato rispetto al preventivo iniziale, che prevedeva la risistemazione di via Darsena non soltanto sul lato del fiume. Ad oggi la città di Ferrara sembra essere ricaduta nella medesima situazione di inizio ‘900, sembra essersi nuovamente dimenticata dello stretto rapporto con il fiume che aveva un tempo. Dal 2007 però l’area della Darsena fluviale e l’ex palazzina AMGA-AGEA di via Bologna, sono due dei principali obbiettivi della STU, Società di Trasformazione Urbana di Ferrara Immobiliare SpA, costituita il 12 ottobre 2007, a seguito della delibera del Consiglio Comunale di Ferrara del 16 luglio 2007, n. 17/55900. La società ha un capitale sociale di 230.000,00 Euro ed i soci sono il Comune di Ferrara con quota pari a 99.200,00 Euro e Holding Ferrara Servizi Srl con quota pari a 130.800,00 Euro. Il programma di riqualificazione per la darsena fluviale prevede la realizzazione di una vera “spiaggia urbana” fruibile lungo il fiume, e la riqualificazione degli spazi a ridosso delle mura in continuità con il parco già realizzato. Attualmente l’ex MOF è un’area in gran parte libera, di dimensione importante, quasi 10 ettari, collocata in una zona centrale di Ferrara, fra le mura e il Po di Volano, immediatamente accessibile dalla viabilità principale di ingresso al centro.
In questo ambito si prevede la realizzazione del nuovo edificio direzionale pubblico che ospiterà gli uffici amministrativi del Comune di Ferrara, per circa 11.000 mq, e la creazione di un parcheggio pubblico multipiano per circa 600 posti auto, di cui 300 aggiuntivi rispetto agli standard, inoltre si prevede anche una destinazione residenziale stimata in circa 20.000 mq. Nell mese di gennaio 2014, l’Ordine degli architetti di Ferrara ed il Comune di Ferrara, con il sostegno della Federazione degli Ordini degli Architetti dell’Emilia Romagna ed il Consiglio Nazionale degli Architetti ha bandito un concorso di progettazione per inserire all’interno dell’edificio dell’ex MOF la nuova sede dell’Ordine degli Architetti di Ferrara e dell’Urban Center del Comune di Ferrara. Per la zona Darsena si prevede l’integrazione con l’area ex MOF grazie alla riqualificazione dell’area fluviale e il parziale interramento della viabilità esistente. Il progetto si appoggia alle ipotesi fatte alla STU, prevedendo inoltre il recupero di due capannoni in disuso da destinare a commercio e servizi (mantenendo l’attuale funzione “Ricicletta”). 837 posti auto Centro 21.500 Storico 465 posti 15.000 auto ex-Mof
12.900
800
Residenza Servizi + uffici parcheggio
1.700
Magazzini savonuzzi
51.900 92
[mq] % Servizi
361
500
Palazzina Savonuzzi [urban centre]
Ricicletta [servizi] Capannone quadrato 2.200 [commercio] 3.500 [mq] 6 % Riutilizzati 800
200
Canottaggio CUS
120
Biglietteria
470 790 1
Capannone [mq] % Demoliti [mq] % Intervento
4.290 8
200 120 Uso
470 Disuso 3.970 7 % Inutilizzato
362
Foro Boario Alla fine degli anni ‘20 il mercato del bestiame fu trasferito dalla vecchi sede di piazza San Giorgio in un’area agricola fuori Porta Reno, in posizione intermedia fra i due nodi ferroviari della stazione principale e di quella della linea Ferrara-Codigoro, l’edificio venne costruito a partire dal 1926. Si tratta di una riqualificazione urbanistica di un’ampia porzione dell’ex-
latifondo della Sammartina, che riguardò anche la realizzazione di strade alberate verso l’Argine ducale e le stazioni ferroviarie. Progettata dall’ingegnere-capo G. Savonuzzi, la costruzione fu diretta e revisionata dal fratello Carlo e materialmente eseguita dall’impresa Borca. L’immobile era composto da tre fabbricati principali disposti attorno ad un nuovo piazzale curvilineo. Vi furono sistemati uffici, stalle, fienili, magazzini, tettoie per gli animali, un salone per le contrattazioni, la casa del custode e persino una banca. Inaugurato nel 1930, il nuovo Foro Boario fu completato tre anni dopo nei viali interni, ma la sua struttura esterna fu notevolmente mutata a causa della costruzione delle case popolari dedicate a T. Minniti. Recentemente la stazione di Porta Reno è stata restaurata e riaperta per servire le tratte ferroviarie Ferrara-Codigoro e Ferrara-Rimini: la funzione di stazione ferroviaria rimarrà fino alla data di dismissione della tratta, a causa del suo trasferimento sull’ex linea Ferrara-Rimini, ad oggi dismessa, che si prevede verrà presto interrata. Ad oggi l’area del Foro Boario presenta dei capannoni e tettoie da dismettere, recentemente il Comune di Ferrara ha messo l’area all’asta pubblica per le società private; una parte è stata acquistata dalla Coop Estense s.c.a.r.l la realizzazione di un supermercato di 1500 mq, che a causa del momento di crisi è rimasto momentaneamente solo sulla carta. Il progetto prevede la realizzazione di un’area urbana ad uso misto, ma prevalentemente residenziale. In particolare si prevede la demolizione di parte dei capannoni attualmente adibiti a deposito ferroviario.
800 Residenze via Porta 2.200 Reno
3.420 Residenze
5.620 30
[mq] % Servizi
1.580
2.400 4.780 25
Stazione Porta Reno [uffici] Capannone diagonale [commercio] Spazi foro [residenza e commercio] [mq] % Riutilizzati
7.300 Depositi Fer Commerciale 710 via porta reno
470 Capannone 8.480 [mq] 45 % Demoliti 13.260 [mq] 70 % Intervento
0 Uso
8.480 Disuso 13.260 70 % Inutilizzato
363
Ex Amga 364
Gli immobili dell’ex Amga-Agea in prossimità del parcheggio Kennedy, attualmente sono vuoti ed abbandonati dopo il terremoto del 20/29 maggio 2012, fino a quella data ospitavano il Comando dei Vigili Urbani. Il programma di ridefinizione dell’ambito prevede la totale ristrutturazione urbanistica dell’area, con la progettazione ed edificazione di un complesso unitario di edifici di varie altezze, affacciato su un ampio varco pedonale che mette in collegamento il parco delle mura con la rotonda di via Kennedy. In questo ambito la destinazione sarà prevalentemente residenziale, per circa 4.600 mq. Il progetto si appoggia alle ipotesi fatte dalla STU, prevedendo la demolizione dei fabbricati dismessi a favore della costruzione di nuove volumetrie.
400 6
Edificio rurale [4 alloggi] [mq] % Riutilizzati
6.650 94 7.050 100
Silla + Carabinieri [mq] % Demoliti [mq] % Intervento
3.900 Uso
2.750 Disuso 3.150 45 % Inutilizzato
Palazzo degli Specchi Progettato dall’ingegnere R. Mascellani e dal suo gruppo, costruito dalla “Coopcostruttori” di Argenta, tra il 1986 e il 1989 l’enorme fabbricato, ben 230.000 mc, fu subito denominato popolarmente il “Palazzo degli Specchi”, per l’evidente caratteristica delle superfici specchianti che ricoprono i grandi volumi. All’epoca il complesso doveva ospitare il centro-uffici per le pubbliche amministrazioni, ma per problemi burocratici non venne mai inaugurato, ad oggi è una “cattedrale in un deserto che si va gradualmente lottizzando”, mettendosi in bella mostra alle porte della città. Il complesso direzionale misura 48mila mq di area calpestabile, per una capienza di 7mila persone, ed un parcheggio di 11mila mq. Negli ultimi anni sta prendendo forma, e proprio quest’anno si avvia alla conclusione, un accordo tra Acer e Cassa Depositi e Prestiti, per la riqualificazione di una porzione del complesso direzionale. Operativamente si prevede una parziale demolizione dei fabbricati esistenti, che saranno in prevalenza ristrutturati, mentre il centro sportivo e ricreativo sarà riqualificato e adeguato alle nuove esigenze funzionali, integrando gli impianti sportivi con funzioni di carattere commerciale e di artigianato di servizio coerenti e compatibili. Si prevede anche una destinazione urbanistica per edilizia residenziale privata per circa 12.000 mq e la realizzazione di un mix di alloggi ERS (Edilizia Residenziale Sociale) per ulteriori 2.500 mq. Il progetto prevede un integrazione del progetto sopra descritto, ipotizzando, in una fase temporale successiva, che il complesso possa venire recuperato interamente. Si prevede soltanto la demolizione di un fabbricato centrale, per fare posto ad un’area da destinare a piazza del nuovo quartiere. 11.000
9.800
9.800 13
Strutture sportive
[mq] % Servizi
550 posti auto Complesso Palazzo degli Specchi [residenza, commercio, 49.250 uffici e servizi] 60.250 [mq] 83 % Riutilizzati
2.700 4 62.950 87
Complesso centrale [mq] % Demoliti [mq] % Intervento
0 Uso
2.700 Disuso 62.950 87 % Inutilizzato
365
Zona Fiera
366
La Fiera nasce a metà degli anni Ottanta, su accordi regionali, in un trinomio con Modena e Bologna alla guida. Il progetto disegnato dallo “Studio Gregotti” corrisponde a 16mila mq coperti, mentre altri 10mila mq sono distribuiti su due grandi piazze per accogliere manifestazioni all’aperto. Il complesso edilizio dell’area coperta ha una planimetria a T ed è costituito da sei padiglioni, quattro corpi servizi comprendenti da molteplici sale congressuali ed un’area parcheggi di 5.000 mq per oltre 1.000 posti auto. Tutta la superficie espositiva è disposta su un unico livello al piano terra, dove si trova anche la hall di ingresso in cui si trovano le biglietterie, il guardaroba, l’info point, il bar e lo sportello della Cassa di Risparmio di Ferrara. Il Padiglione 2 ospita una sala congressi modulare con una capienza fino a 800 posti, creata allo scopo di realizzare eventi di ampia portata nonché manifestazioni come mostre-convegno, workshop specializzati, offrendo in tal modo agli operatori l’opportunità di abbinare ad un convegno un’ampia area espositiva e aree per l’accoglienza e la ristorazione. Al primo piano sono ubicate tre sale convegni da 70, 100 e 160 posti corredate di tutte le strutture utili allo svolgimento dell’attività convegnistica. Qui si trova anche un ampio punto di ristorazione, attrezzato con cucina e sale per coffee-break, buffet, cene di gala e ricevimenti. Al secondo piano sono ubicati gli uffici permanenti amministrativi, tecnici, di direzione e presidenza oltre a quelli di manifestazione. Il complesso fieristico è posto alle spalle del “Centro Operativo Ortofrutticolo”, alle estreme propaggini meridionali di via Bologna. Con la realizzazione del quartiere fieristico si proponeva di qualificarla ulteriormente, trasformando
una periferia disarticolata in un nuovo centro commerciale della città. Gregotti ideò una struttura semplice, rigorosa ed organizzata a moduli: blocchi di ampi padiglioni espositivi a pianta quadrata di circa 2500 mq ognuno, collocati tra filari di pioppi, elemento non solo paesaggistico ma anche di richiamo, collegato ad un “unico atto fondativo” con le strutture architettoniche, mentre alle spalle della Fiera era prevista un’ulteriore area di espansione che avrebbe permesso la realizzazione di altri 5.000 mq di superficie espositiva. I corpi di servizio sono disposti trasversalmente rispetto all’andamento longitudinale dell’intero corpo di fabbrica, e contengono ai livelli superiori i locali tecnici per le parti impiantistiche necessarie per due padiglioni di volta. La Fiera appare come una presenza isolata nel quartiere, avulsa da qualsiasi contesto e collegamento, a meno di non volerla “leggere” come un nuovo ingresso, una barriera meridionale dell’ex città estense. Per concludere possiamo affermare che senza una vera vocazione territoriale, il percorso della nostra Fiera è andato avanti per tentativi, magari plausibili, ma sicuramente dispendiosi e con margini di insuccesso ovviamente più alti. Degli anni Novanta permangono, però, due felici intuizioni: la rassegna sul Restauro e la manifestazione Accadueo-H2O che tratta tematiche importanti legate all’acqua. Il progetto prevede la demolizione di un edificio ad uso uffici presente in prossimità della Fiera, in quanto incongruo riguardo alla possibilità di creare un “cono verde” rivolto verso il Parco Sud, e il recupero di un fabbricato a stecca su via Bologna, attualmente abbandonato.
6.000 3.500 20.000
16.000
16.000 77
Cso + Polizia Municipale Arpa 2000 posti auto
Fiera
[mq] % Servizi
Stecca abbandonata 1.650 [uffici] [mq] 8 % Riutilizzati
3.250
Uffici [mq] 16 % Demoliti 4.900 [mq] 23 % Intervento
3.250 Uso
Disuso 1.650 8 % Inutilizzato
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Consolidamenti puntuali Come ultima fase temporale di espansione della città, si prevede la possibilità di trasferire i diritti edificatori residui all’interno di aree definite consolidamenti puntuali, in quanto si vanno ad inserire nel tessuto minuto in prossimità delle aree compromesse. Si tratterebbe di aree dedicate ad una fase più lontana di sviluppo della città, quando le aree compromesse saranno già state riqualificate. All’interno del parco lineare si prevede la realizzazione degli interventi PL01, PL02, PL03, PL04 tra i quali soltanto dell’ultimo viene consentito l’utilizzo a scopo produttivo mentre per gli altri si prevedono della funzioni d’uso accessori e di servizio alle funzioni presenti nel parco.
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EA01
+ 16.800 mq
max 3 piani
DF01 DF02 DF03
+ 6.060 mq + 1.200 mq + 21.250 mq
max 3 piani max 2 piani max 5 piani
FB01 FB02
+ 21.300 mq + 19.400 mq
max 5 piani max 3 piani
FB03 PS01 PS02 ZF01
+13.500 mq + 6.900 mq +9.800 mq +20.900 mq
max 3 piani max 3 piani max 3 piani max 3 piani
ZF02 PL01 PL02
+17.700 mq + 3.100 mq + 11.700 mq
max 2 piani max 2 piani max 2 piani
PL03
+ 10.800 mq
max 2 piani
PL04
+10.300 mq
max 2 piani
residenziale, commerciale, attività ristorative e servizi residenziale commerciale parcheggio pubblico interrato, residenziale, commerciale, attvità ristorative e servizi residenziale residenziale, commerciale, attività ristorative e servizi commerciale e uffici commerciale e terziario residenziale, commerciale e terziario commerciale, terziario, attività ristorative e servizi produttivo servizi ristorativi, attività culturali e associative commercio, servizi ristorativi, produzione da agricoltura biologica commercio, servizi ristorativi, produzione da agricoltura biologica produttivo
Cronoprogramma 05.3.3
Azioni bandiera per il margine – Nuove prospettive lungo il margine – Consolidamento progressivo del margine
Azioni bandiera per il margine Le tre fasi del progetto sono tutte della durata di cinque anni, considerata come unità di misura per la realizzazione del progetto urbano in quanto periodo nel quale rimane in carica un’amministrazione comunale. Le prima fase di realizzazione, che va indicativamente dal 2015 al 2020, prevede l’avvio delle operazioni di partecipazione e di coinvolgimento dei cittadini e dei portatori di interesse riguardo alle finalità del progetto proposto e prevede la realizzazione dei tracciato ciclo-pedonale principale e le operazione di preparazione dei terreni e di piantumazione delle prime specie arboree. Realizzazione del tracciato ciclo-pedonale principale e passerella sul Po di Volano Entrata in funzione della Circonvallazione Ovest Infrastrutture
Realizzazione delle bande attrezzate Procedure partecipative per il coinvolgimento dei portatori di interesse Bandi per l’affidamento in gestione di spazi per orti sociali e aree verdi comuni Agevolazioni economiche per l’apertura di attività di agriturismo urbano, fattoria didattica e produzione agricola biologica (nelle aree PL) Rinaturalizzazione dei canali di scolo e opere di preparazione dei terreni
Struttura verde
Piantumazione delle specie arboree Ristrutturazione degli spazi ancora inutilizzati del Polo Universitario e trasferimento delle attività presenti lungo via Saragat
Struttura urbana
Opere di demolizione dei manufatti dismessi incongrui
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Nuove prospettive lungo il margine La seconda fase di realizzazione va indicativamente dal 2015 al 2020 e si concentra prevalentemente sulle opere di adeguamento e trasformazione della rete stradale contemporaneamente si inizia a dare in gestione le prime fasce del parco e si avviano i progetti di recupero del patrimonio edilizio inutilizzato. Adeguamento di via Giuseppe Saragat e realizzazione della nuova rotonda Realizzazione del sottopassaggio di collegamento tra via Saragat e la rotonda di via del Lavoro Costruzione del viadotto di collegamento tra via Saragat e via Ferraresi Dismissione del viadotto di via Ferraresi e del viadotto di via Aroldo Bonzagni Chiusura di via Saragat nel tratto del Tecnopolo e dell’ultimo tratto di via Argine Ducale 370
Infrastrutture Realizzazione dei tracciati ciclo-pedonali secondari Bonifica dei terreni compromessi Struttura verde
Affidamento in gestione delle prime fasce del parco Realizzazione dei progetti di recupero del patrimonio edilizio inutilizzato
Struttura urbana
Inserimento dei servizi universitari e di quartiere all’interno del complesso Darsena City
Consolidamento progressivo del margine La terza fase di realizzazione va indicativamente dal 2020 al 2050 e prevede il completamento delle grandi opere di trasformazione in corso, come l’adeguamento dei ponti per il progetto Idrovia Ferrarese, la conclusione dei lavori di interramento della ferrovia, la demolizione dei manufatti incongrui che verranno nel tempo dismessi e l’edificazione nelle aree definite Consolidamenti puntuali.
Innalzamento dei ponti sul Po di Volano (in conformitĂ al progetto Idrovia) Conclusione dei lavori di interramento della ferrovia
Infrastrutture
Realizzazione delle stazioni della metropolitana suburbana e dei nuovi percorsi ciclo-pedonali lungo gli ex tracciati ferroviari Riqualificazione del lungofiume
Struttura verde
Saturazione del parco lineare Opere di demolizione dei manufatti in dismissione
Struttura urbana
Attuazione dei programmi funzionali per le aree EA, DF, FB, PS e ZF02
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Infra-struttura verde 05.4
L’adozione del termine infrastruttura in “giardineria” non è introdotto a caso. Per definizione, questo è “un insieme di elementi strutturati in modo che uniti formino una struttura funzionante per uno scopo preciso”. (Mengoli, 2013) L’infrastruttura in giardineria, che ovviamente diventa infrastruttura verde, si adatta perfettamente alla lettura della struttura del giardino: sono infrastrutture verdi la siepe, il tappeto erboso, il prato, il tappeto fiorito, il boschetto, l’alberatura, le superficie a rampicanti e così via, fino ad arrivare al singolo tetto verde, alla singola parete vegetale o al singolo giardino verticale. Anche gli spazi agricoli di cintura possono essere considerati come uno strumento capace di organizzare durevolmente il territorio della città. Lo scopo è quindi quello di organizzare lo spazio agricolo, nel senso più vasto del termine, come una infrastruttura verde, un’infrastruttura naturale di interesse pubblico, allo stesso titolo di una strada, di una diga, o di una rete elettrica, allo stesso titolo delle foreste pubbliche e private, per ragioni sociali, economiche ed ecologiche: “Come se la vicina campagna, con i suoi campi coltivati e i suoi prati, rappresentasse un vasto parco pubblico accessibile dai sentieri, rallegrato dal canto degli uccelli e animato da scena agricole moderne o d’altri tempi”. (Donadieu, 2013) Il significato del parco urbano è però oggi profondamente diverso da quello di un tempo. Il parco non è più pensato soltanto come la trasposizione all’interno del tessuto urbano di elementi naturali, ma è sempre più un luogo di concentrazione di attività, una specie condensatore urbano. Per questo motivo la sua gestione è legata alla molteplicità di soggetti che si occupano delle attività che nel parco sono insediate. Ridefinire un sistema di spazi aperti interclusi è un esercizio innanzitutto di ridefinizione dei soggetti attivabili, non solo nella loro progettazione e realizzazione, ma soprattutto nella loro cura e gestione. In altre parole, è fondamentale individuare i diversi spazi costitutivi, parchi pubblici, zone agricolo-ambientali, spazi sportivi, orti, boschi, e i molteplici attori pubblici e privati che possono essere coinvolti nella trasformazione di questi spazi residuali. Altrettanto significativamente, alcune iniziative imprenditoriali ludico-sportive potrebbero risultare compatibili con questo disegno, coinvolgendo alcuni capitali privati nella valorizzazione di tali spazi, mentre un qualche spazio, seppur in forme controllate, dovrà essere dato alla domanda individuale di orti, di spazi del tempo libero di minute dimensioni nel quadro tuttavia di una strategia attenta a mantenere il carattere aperto e non introverso di questi
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spazi. I partenariati sono fondamentali anche nel lavoro di realizzazione, riqualificazione e gestione degli spazi verdi e dovrebbero essere introdotti come tratto costante delle politiche sul verde pubblico, potendo condurre a risultati più positivi di quelli che le autorità locali possono raggiungere operando da sole. Un’attenzione particolare nella costruzione di partenariati va posta nei confronti delle aziende agricole locali, ad esempio di quelle operanti nelle frange periurbane e inserite in programmi di agricoltura multifunzionale, e delle aziende – generalmente cooperative – operanti nel cosiddetto “terzo settore”, specialmente in quello dedito al recupero di soggetti deboli e bisognosi di reinserimento sociale. Il partenariato volontario, che si forma per la gestione dei giardini, è di tipo multifunzionale, nel senso che assolve ad una più generale funzione di carattere partecipativo, che riguarda non solo le funzioni ricreative, ma anche quelle culturali e più in generale di partecipazione democratica dei cittadini alla vita della comunità. Constatato che gli spazi verdi di alta qualità possono aiutare ad attrarre investimenti economici nelle aree circostanti, non è tuttavia così facile coinvolgere interessi economici nel sistema del partenariato. Dal punto di vista del profitto, pare infatti che alcuni parchi, come quelli in aree periferiche, siano lontani dal produrre benefici economici per eventuali investitori privati. Dal punto di vista della scelta delle specie vegetali, si ricorre a qualche piantumazione lasciando poi progredire il parco verso un’evoluzione spontanea. In questo modo, infatti, è possibile limitare la manutenzione solo ad alcune aree più frequentemente fruite. Allo stesso tempo, con un programma di sfalci diversificato, è possibile variare la “forma” del parco, falciando di anno in anno le parti del parco necessarie. G. Clément basa la progettazione dei parchi sul concetto di giardino in movimento, ossia di giardino che si evolve spontaneamente nel tempo. Il progettista del giardino futuro dovrà così accettare la formidabile collaborazione della natura quale coautrice della sua opera. Il progettista limita la sua azione al trattamento dei limiti: “uno zoccolo, una demarcazione, un dislivello, un limite – anche fitto come la bordura di un bosco – la cui forma si accordi al senso del progetto che si è proposto sia al rispetto della vita”. (Clément, 2013) Il progetto del parco cerca di adattarsi il più possibile alle condizioni del luogo in cui si inerisce, cercando di svilupparsi naturalmente da quelle zone in cui la vegetazione è già esistente. L’approccio richiede quindi un occhio attento sia per individuare le
caratteristiche del paesaggio esistente, sia per convogliare queste caratteristiche esistenti in una nuova proposta. In particolare, la vegetazione viene utilizzate per la sua funzione di schermo visivo e acustico nei confronti della infrastrutture e allo stesso tempo per integrare i tracciati di queste ultime all’interno di un disegno di paesaggio che le faccia dialogare anche con le parti costruite della città che vi si affacciano. A questo proposito, l’intento principale è quello di mitigare l’impatto della via Ferraresi e di integrare all’interno del parco i nodi infrastrutturali che la collegano ai tracciati della nuova tangenziale. Inoltre, il progetto dell’infrastruttura verde diviene occasione per disegnare le aree urbano in negativo, partendo dalla progettazione di quelle aree che rimarranno vuote, e che faranno da tessuto connettivo per le aree nella quali avverrà la futura espansione della città. Il progetto si compone quindi della definizione di una serie di aree di parco, definite Macro Parchi, ciascuna delle quali sarà gestita da soggetti diversi, ma comunque in relazione tra loro. Ciascun Macro Parco è composto da bande di terreno utilizzabili a scopo produttivo, che possono essere affidate in gestione per lo sviluppo di attività diverse, a seconda dell’area di parco in cui ci si trova. La diversificazione in Macro Parchi è stata fatta anche per intercettare il percorso ciclo-pedonale lineare con diversi tipi di paesaggio, sia urbano che naturale/agricolo. Non bisogna poi dimenticare che in realtà i diversi Macro-Parchi sono comunque inseriti in un progetto complessivo di parco. Questo lo si realizza grazie alla progettazione di elementi comuni che si ritrovano all’interno di tutta l’estensione del parco lineare: le bande attrezzate, che connettono trasversalmente i quartieri al parco, il Bosco Lineare, ossia un sistema di vegetazione che si estende lungo le infrastrutture e che ricuce tutte le bande produttive che compongono il parco.
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05.4.1 Bande attrezzate
Le bande attrezzate, assieme al sistema ciclo-pedonale formano la sottostruttura dell’intero parco, la loro principale funzione è il collegamento materiale e immateriale con i quartieri ad est del sistema verde, esse sono luogo di maggior fruizione e incontro dei residenti, sono gli spazi in cui i cittadini si appropriano e si ambientano alla Linea Sud Ovest. La fruizione di queste bande è a tutto tondo, durante il giorno vengono utilizzate attraverso le attività quotidiane del parco e come luogo di incontro, mentre una volta scesa la sera possono essere organizzati degli eventi e delle attività. L’immediata riconoscibilità data dal cambio di materiali e il facile orientamento per i passanti all’interno del parco, sono alcune delle principali caratteristiche determinate da questa bande attrezzate.
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Nelle fasce sono raggruppate molteplici attrezzature fra cui le principali sono aree parcheggio, aree gioco, posteggi biciclette. Alcune sono caratterizzate dal polo attrattivo vicino, come ad esempio la banda che corre lungo il lato nord della Fiera comprende i servizi necessari per un’area eventi, oppure quella posizionata di fronte al complesso del Palazzo degli Specchi può ospitare i servizi legati al mercato settimanale, mentre la fascia del Parco Ortofrutticolo è caratterizzata dalla presenza di attrezzature sportive vista la vicinanza dell’impianto sportivo già esistente. Nella parte settentrionale del sistema le bande ospitano gli ingressi ai poli presenti come ad esempio al Tecnopolo oppure all’Università. Nella fascia che affianca il tracciato ferroviario della tratta Ferrara-Codigoro e in quella della Fiera è presente un punto di nolo biciclette per favorire gli spostamenti dei viaggiatori. Quelle più a sud sono invece maggiormente legate alla funzione agricola e di orti sociali, per questo sono state progettate delle aree pic-nic e delle aree ricreative per organizzare piccoli workshop. La fascia del Parco Fortezza comprende delle aule all’aperto, a supporto della biblioteca e centro d’integrazione previsti nel basamento delle palazzine del Darsena City Village. Ultima ma forse la più importante è la fascia del Parco Tecnologico sul Lungofiume, essa comprende dei servizi ristorativi, la banchina del Centro di Canottaggio del CUS e delle attrezzature per effettuare degli eventi all’aperto, inoltre ospita il capolinea del bus.
Macro Parchi 05.4.2
Parco Fortezza – Parco Tecnologico – Parco Ortofrutticolo – Parco Sociale – Parco Produttivo – Fiera all’aperto – Bosco lineare
Parco Fortezza È l’area più a nord del parco, circonda il Darsena City e permette di ricucire tra loro il Baluardo della Fortezza con il lungofiume del Po di Volano. È l’area del parco pubblico per eccellenza, nel quale non sono presenti bande da destinare ad uso produttivo, ma la funzione prevalente è quella di ricucitura compiuta dalla vegetazione, testata urbana del Bosco Lineare. Il Parco Fortezza integra al suo interno la parte di “parco alto” al di sopra del baluardo e l’area di sottomura, già destinata a verde, ma attualmente nascosta dal retro dei capannoni artigianali di via Darsena. Le specie vegetali scelte per quest’area di parco, sono quelle tipiche del Giardino del delta, vista la vicinanza del fiume e del Giardino Estense, per rievocare la funzione storica dell’area e la vicinanza con le mura cittadine. In particolare, il Giardino del delta viene ricreato con la funzione di rinverdire le sponde del Po di Volano, utilizzando quelle che sono le specie arbustive tipiche delle zone umide lungo il delta del Po: biancospino, clematide, giunco palustre, ligustro, limonio, salicornia, tamerice e viburno. Il Giardino Estense invece si compone di quelle specie che venivano utilizzate per la realizzazione dei giardini ne periodo rinascimentale degli Estensi: in particolare, acero rosso, carpino bianco, gelso nero, nocciolo a cespuglio, oleandro e rosa gallica.
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Parco Tecnologico Il secondo Macro Parco è quello affidato all’Università, e ingloba al suo interno il Polo Scientifico Tecnologico e il Tecnopolo. Non sono previste per questo motivo bande di parco da dare in affidamento ai cittadini. La funzione ipotizzata è quella di parco sperimentale, nel quale far crescere specie tipiche del Prato Spontaneo, in modo da poterne controllare e studiare l’evoluzione naturale. In particolare, le specie erbacee sono state suddivise in base alle diverse altezze che possono raggiungere, in modo che le varie bande di parco generino una percezione spaziale diversa ai fruitori. Le specie erbacee scelte vanno da altezze di pochi centimetri fino a più di un metro di altezza. Alla sera, parte di quest’area necessita la chiusura, per tutelare la sicurezza degli ambienti universitari.
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Parco Ortofrutticolo Macro Parco con funzione di campagna urbana, dato in gestione ad una azienda agricola che si impegni a lavorare rispettando i criteri dell’agricoltura biologica e permettendo la fruizione delle aree da parte dei cittadini. Possono essere sperimentate anche funzioni diverse da quelle della produzione agricola, come agriturismo, orti didattici, vendita diretta, raccolta libera dei frutti da parte dei cittadini, corsi di formazione nel campo dell’ortofrutticolo, ecc. può essere prevista all’interno di quest’area di parco anche qualche banda produttiva da destinare ad orti sociali dati in gestione ai privati. Un aspetto importante da considerare è quello dell’integrazione con l’area sportiva retrostante, filtro tra l’area più urbana e quella più agricola. In particolare, si consiglia la produzione di quelle specie vegetali la coltivazione delle quali sta pian piano scomparendo fa parte della tradizione contadine del nostro territorio. Le cosiddette Essenze dimenticate sono le seguenti: sambuco, cotogno, nespolo, corbezzolo, sorbo domestico, fico, giuggiolo e melograno.
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Parco Sociale Trovandosi in prossimità di un centro sociale di quartiere, nel quale possano essere praticate attività come artigianato, corsi pomeridiani, incontri formativi e partecipativi, le aree aperte destinate a parco vengono viste in prosecuzione delle funzioni svolte negli spazi interni. In particolare, le bande dell’Orto aromatico possono essere utilizzate a scopo produttivo, per coltivare quelle specie che permettano di essere raccolte e lavorate, ad esempio per la produzione di infusi, marmellate, profumazioni e spezie.
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Parco Produttivo Anche questo Macro Parco, con funzione di produzione agricola, può integrare a questa delle attività multifunzionali, specialmente in quelle aree a contatto tra la città e la campagna sottostante. Si prevede infatti la costruzione di edifici flessibili, utilizzabili sia per le funzioni agricole, che di mercato all’aperto, ristorazione, vendita diretta e eventi serali. Le bande posso essere destinate alla funzione di Prato seminativo, nella quale si prediligono specie cerealicole, che necessita di estensioni più ampie, trattandosi della parte del parco attualmente più libera dalle costruzioni. In particolare, si ipotizza la semina di avena, orzo, mais, colza, frumento e girasole.
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Fiera all’aperto All’intero del Macro Parco in gestione del Centro Fiere e Congressi, si ipotizza una funzione che possa essere sia di evento all’aperto, che di produzione di specie collegate ad uno scopo espositivo. Un’ipotesi è quella di coltivare le Perle del ferrarese, per far sì che le diverse bande possano essere date in gestione alle aziende della provincia che si occupano di produrre e valorizzare prodotti tipici del nostro territorio, come se si trattasse di esposizioni all’aperto. Si presterebbero ad esempio la coltivazione di aglio, asparago, zucca violina, carote, cocomero, melone, pesca e pera.
Bosco lineare Il Bosco lineare è un Macro Parco di tipo lineare che si estende per tutta la lunghezza dell’area di progetto. Si compone grazie alla piantumazione di alberi ad alto fusto tipici dei boschi golenali, che vengono lasciati sviluppare in modo naturale e spontaneo. La crescita del bosco viene guidata affinché possa arrivare ad avvolgere in un unicum tutti i diversi Macro Parchi. Inoltre, la funzione di questa fascia boschiva è legata alla mitigazione della rete infrastrutturale, particolarmente impattante per l’area.
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Capo Linea 05.5
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La testata più a nord è un nodo fondamentale del sistema in quanto punto di innesto tra il parco lineare di progetto e il sistema verde della cinta muraria. Il progetto punta anche sulla riqualificazione dell’area che si attesta attorno al Po di Volano, caratterizzata da due importanti polarità urbane, il complesso multifunzionale Darsena City e il Polo Scientifico Tecnologico, che ospita le facoltà di Fisica, Scienze della Terra, Informatica e Ingegneria. La riqualificazione del lungofiume diviene il fulcro dell’intero progetto, importante elemento di connessione sia in senso trasversale tra le due sponde che in senso longitudinale, tra il sistema del parco lineare e il resto della città, funzione svolta anche dalle mura. Lo scopo del progetto è quello di creare uno spazio pubblico nel quale si possano unire funzioni universitarie a funzioni rivolte a tutti i cittadini, affinché il fiume possa tornare ad essere uno spazio centrale per Ferrara, dove vivere il tempo libero, ma anche gli spostamenti quotidiani. Lo slogan dell’intervento è Capo Linea, non intendendolo letteralmente come parte estrema di un percorso, ma in senso letterale come area di maggiore importanza, area nodale, caposaldo per la riuscita dell’intero intervento.
05.5.1 Il Lungofiume
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Il Lungofiume è una parte del parco lineare nella quale vengono inseriti il maggior numero di servizi, perché si ipotizza come area maggiormente accessibile e spazio pubblico per eccellenza del sistema. Inoltre, la vicinanza della zona universitaria è occasione per creare un mix funzionale e incrementare i servizi a giovani e studenti. In particolare, sfruttando il dislivello naturale che va verso il fiume, viene creato un sistema lineare di parcheggi interrati, a servizio dell’Università, ma anche dei fruitori del parco. Il parcheggio attualmente presente nei pressi dell’Università viene mantenuto, ma ribassato e ricoperto di vegetazione, in modo da renderlo “invisibile” o quasi dalla quota pedonale. In questo modo, si divide l’area nella quale passano le automobili, dall’area pedonale, che rimane completamente libera dalle automobili. I parcheggi vengono dotati di nuclei di risalita, per raggiungere l’area pedonale che permette di raggiungere l’Università, mentre presentano dei “tagli” direttamente verso il lungofiume. Al livello del lungofiume, la presenza della rotatoria, della strada carrabile e dei parcheggi viene mascherata, oltre che dai dislivelli di quota e dalla vegetazione, anche dall’inserimento di un edificio semiinterrato nel quale si vanno a collocare dei servizi ristorativi e il centro di canottaggio del CUS. Questo permetterebbe di aumentare l’attrattività del Lungofiume non soltanto per gli studenti e nelle mattinata, ma in tutto l’arco della giornata. Ogni attività potrebbe quindi disporre di uno spazio di pertinenza esterno sulle sponde del fiume. Dall’area pedonale a quota zero è possibile raggiungere l’area del lungofiume collocata ad una quota inferiore di quattro metri grazie ad un sistema di rampe, in parte coperte. Lo scopo del progetto è quello di mantenere una connessione trasversale fisica e visiva tra le due sponde del fiume. Per questo motivo si propone la realizzazione di un sistema di terrazzamenti e di elementi di copertura che ricreino degli spazi di sosta lungo il fiume. Inoltre, grazie alle modifiche effettate a livello di funzione e di partizione all’interno del complesso del Darsena City, se ne aumenta la permeabilità, creando un grande spazio pubblico continuo grazie al quale è possibile raggiungere il Baluardo della Fortezza. Alla passerella pedonale che affianca la strada in direzione della stazione, se ne aggiungo due: una più verso est, allineata con il tracciato ciclo-pedonale principale e che permette di collegare direttamente tutto il sistema del parco
lineare con il Baluardo della Fortezza, e un’altra di collegamento interno tra il Polo Scientifico Tecnologico e il Darsena City, che dialoga dal punto di vista compositivo e funzionale con gli altri terrazzamenti che si affacciano sull’acqua. Il Lungofiume riqualificato diventa così un panorama da ammirare, sia dalla aule universitarie, che dalle torri residenziali e dalle nuove terrazze verdi del Darsena City.
Flussi strutturanti 05.5.2
Il progetto è situato in un punto nodale sia per l’importanza dell’intero sistema che per quanto riguarda la vicinanza con i principali punti attrattivi della città: a cinque minuti a piedi dalla stazione centrale FS o dalla Darsena Fluviale, venti minuti a piedi dal centro storico e dieci minuti di bicicletta dalla Fiera. Ben due fermate della linea suburbana vengono collocate in prossimità del parco lineare. La modifica della viabilità automobilistica della rete stradale di via Ferraresi e di via A. Bonzagni, può apparire come l’intervento più impegnativo e costoso, ma al tempo stesso senza di esso l’intero progetto assumerebbe un’importanza e un aspetto diverso. L’attuale rotatoria e il cavalcavia di via A. Bonzagni saranno dismessi, e sostituiti rispettivamente da una rotatoria più a ovest mitigata da un sistema di dislivelli del terreno, e un sottopassaggio più a sud dell’attuale cavalcavia che permetta di oltrepassare i due tratti ferroviari. Tale intervento porterà molteplici benefici al comparto: in primis la restituzione del lungofiume alla città di Ferrara e la creazione di un rapporto tra il Polo Scientifico Tecnologico e il complesso del Darsena City. La più ampia e concreta fruizione del Lungofiume comporterà un considerevole aumento dei flussi lungo ed attraverso esso, tali spostamenti potranno essere effettuati a diverse quote e direzioni grazie alla molteplicità di soluzioni di percorsi ciclo-pedonali proposti. Ulteriore sostanziale modifica consiste nel trasferimento dell’ingresso principale della facoltà d’Ingegneria dal lato ovest a quello est, facendolo così affacciare verso la città. Inoltre è previsto la progettazione di due nuove passerelle ciclo-pedonali sul Po di Volano, la prima è la diretta ricucitura del sistema nord-sud proveniente dalla Fiera con il Baluardo della Fortezza, mentre la seconda è maggiormente di servizio per il collegamento diretti tra il Polo Scientifico-
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Tecnologico e il complesso del Darsena City. All’interno del complesso ospitante le varie facoltà è stato progettato anche una via d’accesso per veicoli d’emergenza. Sono state previste due fermate dell’autobus, una in prossimità del parcheggio ribassato e la seconda all’estremità di via Argine Ducale. La determinazione di tutti questi nuovi flussi crea l’opportunità di consolidare un forte rapporto tra il Polo Scientifico-Tecnologico e il complesso Darsena City, che assume così anche un carattere di maggiore permeabilità.
05.5.3 Riutilizzi puntuali
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Il complesso Darsena City ad oggi, presenta molteplici spazi non utilizzati al suo interno: la torre degli uffici, le cinque palazzine e il rispettivo basamento e molti degli spazi commerciali all’interno della galleria. Questo problema abbinato alla necessità del Polo Scientifico Tecnologico di occupare ulteriori spazi per aule studio e uffici universitari, appare come un importante opportunità per risolvere entrambe le problematiche grazie al trasferimento di alcune attività universitarie all’interno degli spazi inutilizzati del Darsena City. In particolare si prevede il trasferimento degli uffici universitari del polo all’interno della torre per uffici, alcune aule studio all’interno del basamento delle cinque palazzine residenziali e la creazione di una mensa all’interno dei punti vendita della galleria commerciale, con affaccio sul Po di Volano. Gli altri spazi al piano terra della galleria commerciale possono essere adibiti a laboratori artigianali correlati con l’area mercatale situata lungo via Darsena in sostituzione agli uffici dismessi della Camera di Commercio. Dall’altro lato della strada ai piedi del Baluardo Fortezza è prevista un’area eventi all’aperto. Al secondo piano sono previsti nuovi punti ristorazione e un’innovativa palestra che si affaccia su una terrazza verde comune. Il basamento adiacente alla galleria commerciale, oltre ad aule studio, ospiterà anche una biblioteca e un centro d’integrazione per migliorare il rapporto con il vicino quartiere residenziale ormai definibile multietnico. Al primo piano dello stesso troviamo una seconda terrazza comune. Per quanto riguarda il Polo Scientifico-Tecnologico le modifiche sono meno cospicue, alcuni spazi ora dismessi verranno riprogettati e adibiti ad aule studio, laboratori, uno spazio per eventi e un giardino d’inverno.
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spazi occupati
spazi inoccupati
1. studentato 2. ipermercato 3. ristorazione 4. attività commerciali 5. biglietteria multisala 6. sala giochi 7. multisala
8. larix 9. Facoltà di Fisica 10. Facoltà di Scienze della Terra e Facoltà di Informatica 11. area didattica comune 12. Facoltà di Ingegneria 13. bar 14. presidenza 15. biblioteca 16. deposito
funzioni consolidate
nuove funzioni
1. atrio 2. iattivitĂ commerciali 3. ristorazione 4. laboratori artigianali 5. mensa 6. portineria 7. aule studio 8. biblioteca e centro di integrazione culturale 9. uffici 10. palestra 11. terrazza comune
12. deposito CUS 13. centro di canottaggio CUS 14. parcheggi 15. aule studio 16. dspazio per eventi 17. dgiardino d’inverno 18. laboratori
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bibliografia [a/z]
bibliografia [a/z] documentazione [a/z] cartografia [a/z] sitografia
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Questo lavoro di tesi non sarebbe stato possibile senza la disponibilità di tutti i professori del Laboratorio di Sintesi Finale D di Urbanistica: Romeo Farinella, Marco Cenacchi, Elena Carlini, Francesca Leder, Gastone Ave e la dottoranda Elena Dorato. Ringraziamo la Biblioteca della Facoltà di Architettura, la Biblioteca Comunale Giorgio Bassani, la Biblioteca Comunale Ariostea e l’Archivio Storico Comunale per l’esaustiva raccolta di materiale sulla città di Ferrara. Grazie a Davide Manfredini e Davide Tumiati, del Comune di Ferrara, per aver dedicato del tempo all’ascolto delle nostre idee progettuali. E infine, ringraziamo “il custode” dello studentato del Darsena City per averci accompagnato là dove si può vedere Ferrara con occhi diversi, “dove le ragazze erasmus prendono il sole”. Francesca e Nicole
bibliografia
[a/z]
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Grazie a Matteo, perché ho deciso di iniziare con lui i miei ringraziamenti e so che anche tra un anno, cinque anni, dieci anni, vent’anni, cinquant’anni, cent’anni non me ne pentirò. Grazie a mia mamma Nicoletta, perché anche se il papà dice sempre che tutte le cose buone le ho prese da lui, forse non è vero. Grazie a mio papà Enrico, perché nella vita ci si deve appigliare a quello che di bello può riservarci il futuro. Grazie a mia nonna Anna, perché bisogna essere prima di tutto una donna se si vuole essere una donna forte. Grazie al nonno Nadir, perché io so che ha una paura folle della solitudine. Un bacio ai nonni Alberta e Armando. Grazie alla mia Mia, perché tutto ciò che è sensibile merita di essere trattato con sensibilità. Grazie alla mia adorata Poppel (versione “comfort”), per avermi insegnato che spesso ciò che capita casualmente lungo il tuo percorso non è detto che sia poi così malaccio. Grazie a Camilla, perché della mia vita non sarà il primo amore che non scorderò mai, ma la prima amicizia vera. Grazie a Donatella, perché almeno il lunedì e il giovedì mi alzavo in compagnia e mentre mi dirigevo verso l’Università mi sembrava sempre una giornata più bella. Grazie a Tommaso, perché posso dire di conoscere qualcuno su cui si può contare. Grazie a Marina, perché quel libro che “forse poteva essermi utile” in realtà è stato fondamentale. Grazie a Filippo e Alessandra, perché ho capito che avere un figlio è la più grande dimostrazione d’amore che una donna possa avere da un uomo. Grazie a Nicole, compagna di tesi, di chiacchere e di “polemiche innocue” (la peggior specie quindi), perché ho capito che lavorare in coppia significa
ringraziamenti dare sé stessi al massimo. E perché in fondo, dopo nove mesi (o forse sono stati di più?) anche noi abbiamo partorito la nostra “bimba”. Grazie alle Novembrine, Giulia, Laura e Luisa. Tre restauratrici del Novecento che hanno condiviso con un’urbanista ferrarese (perché 3 + 1 è sempre più figo di 4) ogni tappa di questo traguardo così importante. Grazie agli Amici del Liceo, quelli che sono qui oggi, ignari di che cosa sia una revisione (se non quella che si fa dal meccanico), una tavola (se non quella della cucina) e un A1 (se non la macchina). Sappiate che per essere qui oggi ho dovuto fare tante revisioni e produrre quattordici tavole in formato A1. Grazie, perché nonostante non riuscirò mai a spiegarvi tutto quello che ho imparato in questi cinque anni, non vi ho mai perduti. Grazie agli Amici della Faf, (oltre a Nicole e le Novembrine) Giulia, Laura, Matteo, Sara e Enrica, perché voi sapete che cosa sono una revisione, una tavola e un A1, ma soprattutto vi voglio bene. Grazie all’arch. Andrea Bellodi per aver creduto in me (anche se l’arch. Antonio Ravalli si starà ancora lamentando per aver avuto una certa Francesca e un certo Matteo in giro per il Gorgo). Grazie “Maria”, perché senza di te non sarei mai riuscita a stare sveglia tutte le sere fino all’una a lavorare al pc e forse avrei avuto bisogno di qualche mesetto in più prima di laurearmi. Grazie alle liste, perché anche prima di scrivere i ringraziamenti ho dovuto fare un elenco per non dimenticarmi di nessuno (e spero che abbia funzionato). E, infine, ringrazio lo sponsor Eni S.p.a per la gentile concessione dello zaino/paracadute e del tappetino per mouse. Grazie ai professori Romeo Farinella e Marco Cenacchi per avere apprezzato il nostro lavoro. Ma soprattutto perché senza di loro (e senza due loro fondamentali suggerimenti che non svelerò, ma che ho bene in testa) il progetto avrebbe preso un’altra piega. Grazie a Elena, per averci dato coraggio a proseguire per la nostra strada. Grazie all’Architettura, perché anche se cinque anni fa non sapevo che cosa fosse, forse ad oggi un po’ l’ho capito. Grazie a Ferrara, perché avrei voluto dedicare a lei questo lavoro, ma poi ho pensato di dedicarlo a quello che provo ogni volta che percorro le sue vie. Baci. Francesca
[FF]
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Grazie a nonna Anna, perchè mi ha insegnato che nonostante le difficoltà ce la si può sempre fare. Grazie alla mia mamma, perchè nella vita bisogna essere buoni. Grazie al mio papà, perchè nella vita bisogna essere cocciuti. Grazie a mio fratello, perchè è stato il mio primo committente: le casette coi lego dei suoi mille giochi, dovevo cotruirle per forza io. Grazie a nonno Aldo, nonna Francesca, nonno Mario, Zia Daniela e zio Michele, per avermi insegnato cos’è l’amore per la famiglia. Grazie a mio cugino Andrea: c’era la prima volta che ho visto Ferrara. Grazie a mio cugino Alessandro, perchè nella vita bisogna seguire le proprie passioni. Grazie ad Eljesa, che mi ha insegnato che si vive una volta sola. Grazie a Sara, che c’è sempre al momento giusto. Grazie a Jessica, con cui è stata intesa a prima vista. Grazie a Martina e Sabrina, senza di voi gli ultimi mesi non sarebbero stati gli stessi. Grazie a Fè, con lei ho iniziato a credere che Architettura a Ferrara era un opzione reale. Grazie ad Elisa, che mi conosce fin troppo bene. Grazie ad Ilaria, per essere stata una compagna del mio percorso. Grazie ad Alex, che in molti pomeriggi di crisi mi ha tirata su con un buon tè caldo.
ringraziamenti
[NS]
Grazie alla maestra Letizia, la prima a cui risposi “da grande farò l’architetto!”. Grazie al prof. Mansutti e al prof. Peres, per avermi trasmesso le prime basi per essere un buon architetto. Grazie al Friuli, terra di gente tenace e indipendente, dalla quale provo tuttora a prendere esempio. Grazie a Francesca, l’amica, perchè le vengono anche a lei le “farfalle allo stomaco” se pensa a “Linea Sud Ovest”. Grazie a Francesca, la collega, perchè insieme siamo riuscite a trasformare anche gli aspetti più banali, in idee fuori dalle righe. Grazie al gruppo “We want Fre for President” perchè senza di loro non avrei mai discusso così tanto di “architettura”. Grazie a Sara, Enrica, Michele, Zatto e a Laura, che mi hanno sopportato e supportato in cosi tanti lavori di gruppo. Grazie al mio ciclo a non-motore, senza di lui sarei stata persa. Grazie alle mura, che mi hanno permesso di sfogarmi con le mie scarpe da ginnastica. Grazie a Rtl, che mi ha tenuto compagnia in tutte le serate di “caddate”. E Grazie a Francesco, lui sa perchè. Non vorrei annoiarvi, l’elenco sarebbe troppo lungo. Grazie al prof. Romeo Farinella e al prof. Marco Cenacchi per aver creduto nel nostro progetto fino in fondo. Grazie ad Elena, per quei suggerimenti che hanno permesso l’evoluzione del lavoro. Ed infine alla Faf, solo la prima tappa di questo lungo percorso. Mandi, Nicole
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tavole [00/14]417
[Il margine urbano] [Il margine consolidato] [Il paesaggio ai margini] [Oltre il margine consolidato] [Margini in trasformazione] [Il margine contemporaneo]
TAV00 TAV01 TAV02 TAV03 TAV04 TAV05 TAV06 [Margini a sistema] TAV07 TAV08 [Il margine Sud Ovest] TAV09 TAV10 TAV11 TAV12 TAV13 TAV14
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