L´oro dei ricordi Poesie scelte e tradotte da Kerstin Andersson Gandini
L`oro dei ricordi Poesie scelte e tradotte da Kerstin Andersson Gandini
Spero che tu che stai leggendo possa trovare in qualche poesia il riflesso di ciò che stai vivendo.
a Nino
Kerstin Andersson Gandini
L´ oro dei ricordi © Kerstin Andersson Gandini Informazioni: k_gandini@yahoo.it Layout: Karin Gandini Immagine copertina: Francesco Faina Illustrazioni e foto: Sergio Alessio, Hans Arén, Anita Christoffersson, Franesco Faina, Monica, Karin e Erik Gandini, Eva e Peter Moritz, Alfa Pietta, Maria Clara Quarenghi Stampa: Grafo srl, (Palazzago) Bergamo ISBN: 978 887766 707 6 Anno: 2019 Editore: Lubrina Bramani editore
L’oro dei ricordi
Peter Moritz
Due parole che aiutano a capire il titolo di questa antologia. Kintsugi è il nome di un’antica arte giapponese per riparare un prezioso vaso rotto saldando i cocci con oro e evidenziandone le fratture. L’oggetto riparato diventa unico, irripetibile e aumenta la sua preziosità. Non conoscevo la parola e l’arte a cui si riferisce, me ne parlò un’amica che a pochi mesi di distanza ha perso suo marito e il loro unico figlio. – “Ecco per me l’oro con cui tenere insieme i cocci rotti della mia vita sono i ricordi, ma questo oro costa carissimo. Lo scorgi all’improvviso in un volto, in una voce, in un oggetto ed ogni volta è come una trafittura. I ricordi non sono consolatori, non leniscono. Sono come il sale su ferite aperte. Ti parlano di qualcosa che è esistito ma non tornerà più. Certificano il non ritorno, l’irrimediabile, l’irreparabile. Eppure sono preziosi e prezioso è il dolore che li accompagna, come un tributo da pagare per essere a loro sopravvissuti. I ricordi sono quel che ti rimane e vuoi che resistano, vuoi che non svaniscano, vuoi che ti stiano vicini, costi quel che costi. Forse, dicono, il tempo … non so.”
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Monica Gandini
Introduzione Perché una raccolta di poesie sul lutto, sui ricordi? Cominciò molti anni fa: in una busta marrone mettevo da parte le poesie sul lutto che mi capitava di leggere in varie lingue, ‘forse un giorno potrà servire’. La raccolta nella busta aumentava ed è stato allora che mi sono accorta di quanta straordinaria poesia della letteratura mondiale parla proprio del distacco, dell’addio. Eppure, antologie sul lutto non sono frequenti e nemmeno le antologie di poesie d’amore contengono molti esempi di poesia sulla separazione dall’amato, nonostante quella sia una esperienza sofferta da molti. Anche quel distacco è una specie di morte; l’amato continuerà a vivere, ma per me sarà morto. E io sarò morta per lui. Così, coinvolta da quel tema, qualche anno fa, ho tradotto in svedese alcune di quelle poesie che parlano di addio e lutto, pubblicandole in una piccola edizione da tempo esaurita. In questa nuova raccolta ho scelto alcune poesie, per la maggior parte di scrittori svedesi, traducendole in italiano. Qualche testo, ad esempio quello di Scott Holland, l’ho trovato in internet già tradotto. Sapevo che il dolore rinchiude e ammutolisce, in un silenzio che accresce il senso di solitudine. Ma penso che riconoscere nelle parole scritte il proprio dolore e il proprio smarrimento può essere, e lo spero, come una mano amica che ci raggiunge. Ciò che crediamo il nostro più personale segreto di noi stessi, in realtà è ciò che abbiamo più in comune con gli altri. Le molte facce del dolore si rispecchiano nei testi: solitudine, disperazione, rabbia, senso di colpa, rassegnazione. “La tragedia non sta nel fatto che una esistenza senza quella persona non è immaginabile, ma nel fatto che è immaginabile.” (Brodskij) 10
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“Mai credersi soli,” scrive Elie Wiesel, “mai pensare che la nostra tragedia sia esclusivamente nostra: altri hanno conosciuto lo stesso dolore e sofferto lo stesso smarrimento.” “Da un punto di vista psicologico la poesia è una forma di scongiuro,” scrive il poeta svedese Werner Aspenström. “È se stesso che il poeta scongiura, la propria inafferrabile realtà che vuole rendere afferrabile. Chi scongiura è di per sé privo di potere, oggi come nel passato, la forza sta nello scongiuro. Scongiurare vuole dire trattenere, riuscire anche solo per un attimo a dominare il caos. (….) La poesia diventa un mezzo per scongiurare una insopportabile realtà.” Trattenere la presenza della persona perduta, anche solo pronunciando il suo nome, è un mezzo per dominare il dolore della separazione. Dante richiama il nome di Beatrice anche dopo la morte di lei in giovane età, moglie di un altro; a lei egli dedica la sua Divina Commedia come una invocazione, uno scongiuro. Laura nel Canzoniere forse non è mai esistita nella realtà; secondo la tradizione Petrarca la incontrò la prima volta nell’aprile 1327 ad Avignone e non la dimenticò mai. In centinaia di poesie egli canta il suo amore, anche dopo la sua scomparsa, vittima della peste nera. Le persone scomparse esistono in quanto le ricordiamo. La presenza della loro assenza. Il ricordo diventa insieme dolorosa costrizione e consolazione, e molte poesie parlano del ricordare. “Il dolore di pietra non era ancora iniziato, il dolore era ancora mobile, pronto alle lacrime, ma anche al sorriso se qualcuno evocava ricordi gioiosi di lei” (Anna Rydstedt): il ricordo, insopportabile oppure conciliante, il ricordo che si vuole proteggere per conservarne la nitidezza - la rosa che fiorisce dopo la morte di chi l’ha donata. Ai nostri giorni molti non credono in una risurrezione e una vita eterna in senso religioso. La morte è una rottura definitiva. “La sua morte ci 12
separa. La mia morte non ci riunirà,” così termina il libro di Simone de Beauvoir sull’ultimo periodo di vita con Sartre. Vacilla la consolazione che era possibile trarre dalla certezza del ricongiungimento dopo la morte e chi soffre il lutto è forse oggi più solo. Il lutto è diventato una questione privata. Tradizioni e rituali radicati davano nel passato parola e veste all’addio, e l’appartenenza a una stretta comunità sociale avvolgeva la persona rimasta come una rete protettiva. Nell’Archivio Diaristico di Pieve S. Stefano (Arezzo) è conservato un documento inusuale scritto da una donna che aveva perso suo marito dopo una lunga vita insieme, di povertà e duro lavoro. Per far passare le ore di insonnia Clelia Marchi cominciò a scrivere della sua vita. Una sera, rimasta senza carta, prese a scrivere sopra un lenzuolo matrimoniale. Riga dopo riga ricoprì il grande tessuto con i suoi ricordi, ‘Gnanca na busia’. A volte è più facile scrivere ciò che è difficile dire. Marina Cvetaeva temeva che qualcosa diventasse più vera se espressa a parole, e quando la sua bambina morì di stenti in un asilo di Mosca nell’inverno di carestia del 1920, per settimane non riuscì a parlare con nessuno della morte della piccola. Ma riusciva a scriverne.
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S’ à de tegn ol balì S’ à de tegn ol balì, ma se l’iscapa, l’é miga öna resù de perd la crapa. A l’è compagn di robe dè sto mònd: cósa cünta vèss prim o vèss segònd? Chel che l’impórta, quando l’è finìda, l’è de i facc con onùr la so partida. Bortolo Belotti (1877-1944)
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1 Peter Moritz
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Orme sulla sabbia Questa notte ho fatto un sogno, ho sognato che camminavo sulla sabbia accompagnato dal Signore, e sullo schermo della notte erano proiettati tutti i giorni della mia vita. Ho guardato indietro e ho visto che ad ogni giorno della mia vita apparivano due orme sulla sabbia: una mia e una del Signore. Così sono andato avanti, finché tutti i miei giorni si esaurirono. Allora mi fermai guardando indietro, notando che in certi posti c’era solo un’orma... Questi posti coincidevano con i giorni più difficili della mia vita;
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i giorni di maggior angustia, di maggior paura e di maggior dolore. Ho domandato allora: ‘Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con te, ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?’ Ed il Signore rispose: ‘Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato con te durante tutto il tuo cammino e che non ti avrei lasciato solo neppure un attimo, e non ti ho lasciato.... I giorni in cui tu hai visto solo un’orma sulla sabbia, sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio’. Il testo era attribuito per molti anni ad un anonimo brasiliano. Oggi si ritiene che sia di Margaret Fishback Powers. Traduttore ignoto. 19
Amore Chiedeva se poteva carezzare il morto. L’infermiera disse che poteva. Non si rischiava un’infezione? Non si rischiava. Stavano guardando la tivù, lui aveva dato un respiro profondo e poi... era successo. Meglio andarsene insieme, avevano detto tante volte. Adesso era lì, sola, come una fetta dimenticata nel tostapane. L’infermiera capiva? Capiva, sì. Dopo ci si poteva lavare le mani? Sì, si poteva. Ma era necessario? No, non era necessario. Allora lo accarezzo, il morto. Werner Aspenström (1918-1997)
Hans Arén
(Sorl, 1983)
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Obiettività è la parola che più per me conta Obiettività è la parola che più per me conta Occorre essere pratici e sensati vedere le cose come stanno Presto tu sarai morta Non c’è spazio per sentimentalismi Ma ho spesso paura che obiettività sia solo indossare una maschera una protezione vuota, una difesa fragile Quando sarai morta dovrò pagare per tutto il pianto che ho mancato Il tuo viso ritornerà Lo vedrò dappertutto nella tazza del té, dentro lo specchio, nel vetro della finestra e scomparirà solo quando non riuscirò più a sfuggirlo
Lennart Carlsson
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Peter Moritz
(I rummet där du låg, 1986)
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da: Requiem per un bambino Agnus Dei - Recitativo
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Su una sedia c’è una bara, è piccola e bianca. Ci rechiamo lì, c’è vento, un forte vento.
Chi è colui, che mi cammina accanto? Un bambino, perché sono i bambini che ci camminano accanto. Nell’età seguente correrà saltando lontano davanti a me, oppure resterà indietro, battendo con un bastone il bordo della strada. Più tardi forse camminerà di nuovo accanto a me ma pensando ad altro. Io non ne conoscerò nessuno di loro. Racchiusi nel corpicino di un bimbo di tre mesi sono morti tutti. Anche quel vecchio che sta seduto accanto alla bara con occhi annebbiati e che il tempo mai mi avrebbe concesso d’incontrare, anche lui, il vecchio, con la sua gamba malata e i suoi incubi, giace morto là, dentro il suo cuore muto. Il tempo, non lo si può mai sostituire, il tempo è sempre. Il mio sale ancora, come una voluta di fumo di candele bruciate a metà. Ma il suo, il tempo del mio nipote morto, è scaduto e non potrà mai essere sostituito. Nessuno gli può dare nemmeno un secondo del proprio tempo stabilito, un solo istante, perché possa un’ultima volta alzare la mano, afferrare il sonaglio rosso che pende da un elastico sulla sua testa. Nessuno. Perché nessuno è più implacabile della falce sibilante nelle mani del mietitore. Guadagna tempo chi rompe il vetro della clessidra? Il medico adesso stacca il respiratore. Fede e mancanza di fede,
ugualmente perplesse. Il dubbio resta stupito, come un bambino che vede spezzarsi il filo del suo aquilone. Piangi, o tuba! Piangete, pietre. Piangete. Piangete, muri, corridoi. Piangete, nuvole e stelle. Piangi, brandello di strada, per l’uomo che mai ti ha percorso verso un incontro amoroso e mai, nemmeno in un sogno, ha dormito con l’amata, lei, che un giorno per un altro piangerà e non per lui. Piangete il ragazzo che una fresca notte di agosto non ha potuto pescare il salmone, che resta ad attendere invano sotto il ponte. Piangete il bambino che non ha mai riso davvero. Piangete il vecchio, dimentico della sua gamba dolente, che con occhi lacrimosi guarda il sole salire come un’arancia dal mare e sente la felicità di vivere per sfida. Piangete coloro che camminano invisibili accanto a me, il bambino, il ragazzo, l’adolescente, il vecchio con passi silenziosi privi di respiro. Hanno un nome in comune, hanno vissuto. Non sono più fra gli uomini. Eppure ci camminano accanto di nascosto. Ci sono stati. Spensierati, avvertono forse il lutto come un soffio di vento che gonfia la vela maestra della nave della Morte. E allontanandosi, si avvicinano. La loro assenza ci sta accanto, la sento. Lazzaro li ha visto sorridere. Lars Forssell
(Förtroenden, 2000)
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Euridice rapita Le sue lacrime erano piene di occhi – Mentre lei si allontanava sull’alto ponticello verso un’oscurità o forse una luce, lui vide muoversi le pieghe della sua veste intravvide il piede, ne scorse l’impronta.
La propria morte, quella si muore soltanto, ma con la morte degli altri bisogna vivere.
Mascha Kaléko
(da: Verse für Zeitgenossen, 1974)
E guardava con molti occhi il suo camminare nell’aria: diritta, verso l’inevitabile, oscuro o chiaro, scomparve nella spirale dove vento e aria s’intrecciavano avvitati Sulla scala vorticosa fu portata via in un gorgo
con tutto il suo riverbero
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Folke Isaksson (Terra Magica, 1963)
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Mia madre Sul mio tavolo arde la candela per mia madre, tutta la notte per mia madre..... Il mio cuore brucia sotto la scapola tutta la notte per mia madre.....
Else Lasker-Schßler (Helles Schlafen – Dunkles Wachen, 1962)
Maria Clara Quareghi
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Da: Three Friends of Mine
Buona notte Buona notte! Buona notte - come tante volte ci siamo detti a mezzanotte sotto questo tetto nei giorni che non sono piĂš e piĂš non torneranno. Tu hai soltanto preso la tua lampada e sei andata a dormire. Io rimango un altro poco, cosĂŹ come si rimane per coprire la brace che ancora arde.
Henry W. Longfellow (A Book of Sonnets, 1875)
Erik Gandini
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Lamento Ascoltate, bambini, il vostro papà è morto. Dei suoi vecchi giacconi vi farò dei giubbini, vi farò dei calzoncini dei suoi pantaloni. Ci saranno nelle tasche cose che metteva lì, chiavi e soldini coperti di tabacco. Dan avrà i soldini da mettere in banca, Ann avrà le chiavi per fare un bel rumore. La vita deve andare avanti e i morti bisogna dimenticarli; la vita deve andare avanti anche se muoiono uomini buoni; Ann, mangia la colazione, Dan, prendi la tua medicina; la vita deve andare avanti non ricordo perché.
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Il lutto Il lutto non rimane dolce e mite a piangere nel fazzoletto è selvaggio e brutto, e si dibatte ti scava fino a diventare uno spauracchio Non è del futuro che ho paura ma dei minuti che incombono
Marie Louise Ramnefalk (Adam i Paradiset, 1984)
Edna St. Vincent Millay (Collected Lyrics, 1959)
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Il lutto Cammino con uno specchio nero nella luce del sole LA SEGALE ร ROSSA E GIALLA LE ONDE SCINTILLANO SULLA MIA PELLE ma io cammino con uno specchio nero al sole
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Monica Gandini
Peter Sandelin (De lysande och de dรถda, 1983)
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Scura màie Scura màie scura màie tu se morte e chinda faccie mo’ me straccie treccie ‘n faccie mo’ mi iette ‘n cuozze a taglie scura màie scura màie
Scura m’hai fatta scura m’hai fatta tu sei morto e io che faccio? adesso mi straccio le trecce in viso adesso mi getto sopra di te Scura m’hai fatta scura m’hai fatta.
M’hai lasciate ‘na famiglia Scalze niude appititause chind’ appena si risveglia vuole ‘l pane e i ni ll’aie scura màie scura màie.
Mi hai lasciato una famiglia scalza, nuda, affamata che appena si risveglia vuole pane e io non ne ho scura m’hai fatta scura m’hai fatta
Quando a casa i riette ci truvette ddui usciere e ci andenne lu prucesse me sequestrette la roba màie scura màie scura màie.
Quando sono tornata a casa ho trovato due uscieri e ci fu il processo e mi sequestrarono la mia roba scura m’hai fatta scura m’hai fatta
La teneva na caserelle mo no tiengi chiù ricette senza pane e senza liette la cacciuna semp’abbàie scura màie scura màie.
Avevo una casetta ora non ho più rifugio senza pane e senza letto la cagnetta abbaia sempre scura m’hai fatta scura m’hai fatta Lamento funebre dell’Abruzzo che esiste in varie versioni. Questa è la versione cantata da Giovanna Marini.
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Il mio amico è morto Il mio amico è morto – quale sciagura… Come farò – non mi so capacitare. Non pensavo, non credevo, mai avrei immaginato di dover vivere senza questo amico. Ero lontano nel giorno del suo funerale, il giorno dell’addio non ero accanto alla bara e quando arrivo - non c’è niente. Lui non c’é. È del tutto assente. Non c’è più. In nessun luogo. Vado a casa sua – non c’è. C’è la strada, la casa, la scala e l’ingresso, c’è la targa sulla porta con il suo nome – anche adesso. Sull’attaccapanni il suo bastone e il cappotto, a sinistra il suo studio, dietro la porta… Tutto questo c’è ancora, soltanto non è più lo stesso perché lui c’era ma ora non c’è più. Prima, come parlavamo tra noi? Si diceva ‘cantiamo’, ‘sediamoci un po’, ‘chiamami’, si diceva ‘dimmi’ e ‘leggi un po’ qua’, si diceva ‘passa da me domani, verso le cinque’. Adesso mi devo abituare alla parola ‘era’, a dire di lui ‘diceva’, diceva, veniva, aiutava e dava.
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Per farmi piacere prometteva di vivere a lungo. I tuoi tratti sono ancora nitidi nella memoria ma già non posso più dirti ‘tu’. Mi dicono che sei morto, che è la legge della vita – al posto di ‘te’ devo dire ‘lui’, invece di dire che ti voglio bene devo dire ‘volevo’. Invece di ‘ho un amico’ devo dire ‘avevo’. Ma è davvero così? Non so – io penso di no! La luce di una stella estinta ci giunge ancora per migliaia di anni. Che vuol dire, cosa significa una stella per noi? Tu eri più buono di lei, più caldo e più luminoso e la vita che m’aspetta non è tanto lunga – mille anni non vivrò. Per il tempo che ancora mi resta tu mi basti – il riverbero dell’amicizia.
Konstantin M. Simonov (1915-1979)
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Frammento di uno stato d’animo
Io e il morto siamo tutt’uno. Il sapore di narcisi amari sulla mia lingua ripete addio, addio, addio, addio… Riempio la mano di cenere dell’urna e la tengo contro il cielo: che cosa ho qui? Candide nubi, posatevi sopra abissi celesti: testimoniate, testimoniate che è cenere colui che fu la luce del sole.
Edith Södergran (Rosenaltaret, 1919)
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Anita Christoffersson, ’Pietà’
Vento, vento, vento, spargi rose e narcisi dal giardino dei miei ricordi dove vagano i miei giovani sogni. Alto s’innalza il muro delle montagne, il sole dell’altopiano splende furioso sui miei capelli. Vuoto giardino, non rispondi? - - -
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Casa vuota
Sulla morte di un bambino
Poi, quando il bambino se ne andò, restai solo nella casa improvvisamente vasta. Ogni rumore rivelava la sua origine - animale, vegetale, minerale, chiodo, tavola che scricchiola, o topo. Ma soprattutto si sentiva il silenzio del dopo-battaglia nella stanza dove giacevano i soldatini e la scatola dei colori e tutti i giochi. Poi, quando andai a metterli via le mie mani si rifiutarono di obbedire: Il mio corpo era questa casa, ogni giocattolo toccato da lui, un nervo scoperto.
Sei venuto camminando con passi lievi, un ospite fugace nel regno della terra. Da dove? Per dove? Sappiamo soltanto: dalla mano di Dio alla mano di Dio.
Ludwig Uhland (Gedichte, 1817)
Stephen Spender
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Peter Moritz
(Collected Poems 1928-1953)
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L’ultimo degli ultimi giorni L’ultimo degli ultimi giorni quello estremo in cui la morte inizia a mescolare il suo odore con quello di farmaci inutili – quello è il tempo del dolore per te che vegli. È il momento per il rosso raggio del dolore di spaccare il bianco controllo da ospedale e salvare te, il vivo, alla vita. A cosa servono carezze, parole gentili, mite rassegnazione e bei ricordi? ’Senti’ dice il dolore. ‘Senti. Adesso fa male. Questo è dolore. Questo è vivere. E se ti sei allontanato nel sogno della morte ora io ti sveglio. Non cercare consolazione, ma cerca di vivere, vivere! L’ultima parola che scavalca il muro della morte è comunque della vita.’
Anna Greta Wide
Peter Moritz
(Dikter i juli, 1955)
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Karin Gandini
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La sera Temo la notte Temo i sogni i sogni maligni. Addentrarsi nella notte è addentrarsi in un altro mondo che non obbedisce a nessuna legge dove tutto succede che non può succedere o non deve succedere, dove si è condotti da poteri ignoti senza sapere per dove
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Natanael Beskow
Monica Gandini
Temo la notte. Dio, ti prego di mandare un angelo a vegliare stanotte con me a sedersi accanto al mio letto, parlarmi sottovoce e mostrarmi belle immagini: bambini che giocano su prati fioriti vecchi che camminano sereni, mano nella mano, aspettando un quieto tramonto. Ti chiedo immagini ancora più belle: una visione fugace sebbene velata del tuo paradiso e lì, in mezzo a giovani angeli mio figlio.
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Il costante ritrovarsi
Lo straniero
Ti fermi. Nello stesso istante scompare dentro l’albero un piccolo uccello. Poco sono cambiate le nostre passeggiate, anche dopo la tua morte. Stesso vento, stesso uccello, stesso albero. Eppure, improvvisamente, il ricordo flette verso il basso, in forte dolore.
Torno dal paese della sofferenza rossa e della regina morta. Non l’ho affatto lasciato, poiché mi segue ancora e mi attende alla porta.
Bo Carpelan (Minus sju, 1952)
Non sono più di qui. Sono uno straniero che non si trattiene. Un ospite che guarda l’ora e che si appresta a ritornare laggiù. Non fatemi domande. Voi sapete che le parole si scioglierebbero in lacrime e che le trattengo nel mio cuore, dove trema un segreto che custodisco. Niente pare cambiato, poiché i miei occhi ritrovano ogni cosa al suo posto, e riconosco, dopo tanti giorni, la forma di ogni albero. Ma questo filo d’erba straniero fra le pietre nude è sufficiente a distruggere il mio sogno, evocandomi ovunque un’assenza che dura e il passaggio dove noi viviamo.
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Georges Chennevière (Poémes, 1920)
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Vorrei lasciarti alcuni fiori Vorrei lasciarti alcuni fiori, delle rose da curare; non ti devi rattristare, amore mio. Quelle rose vengono dal giardino di un re e occorre la spada per poterle avvicinare. Una è bianca, l’altra è rossa, ma è la terza che più volentieri ti dono. Non fiorisce ora: solo quando muore chi l’ha donata. È una strana rosa, amore mio. Una è bianca, l’altra è rossa, ma è la terza che più volentieri ti dono. Non fiorisce ora, solo quando muore chi l’ha donata. E allora fiorirà a lungo, amore mio.
Nils Ferlin ( Goggles, 1938)
Monica Gandini
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Peter Moritz
La morte non è niente La morte non è niente. Non conta. Io me ne sono solo andato nella stanza accanto. Non è successo nulla. Tutto resta esattamente come era. Io sono io e tu sei tu e la vita passata che abbiamo vissuto così bene insieme è immutata, intatta. Quello che siamo stati l’uno per l’altro, lo siamo ancora. Chiamami con il vecchio nome familiare. Non cambiare tono di voce. Non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che ci piacevano quando eravamo insieme.
Quando Dio viene con la morte arriva anche il diavolo con gli eredi.
Proverbio finlandese
Sorridi, pensa a me e prega per me. Lascia che il mio nome sia sempre la parola familiare di prima. Pronuncialo senza sforzo, senza che diventi un’ombra di tristezza. La vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto. È la stessa che è sempre stata. C’è una continuità che non si spezza. Che cos’è la morte se non un incidente insignificante? Perché dovrei essere fuori dai vostri pensieri solo perché sono fuori dalla vostra vista? Ti sto solo aspettando, non sono lontano, sono dietro l’angolo. Va tutto bene; nulla è perduto. Un breve istante e tutto sarà come prima. Henry Scott Holland Parte del sermone di Holland nella Cattedrale di Saint Paul a Londra nel 1910 dopo la morte del reEdoardo VII
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In ultimo
Quando muore una persona non scompare da sola. Con lei scompare quel mondo che la persona ha creato intorno a sé e che é stata la sua proiezione, quello speciale solitario unico microcosmo che esiste solamente in forza della presenza nel mondo di questa persona. Insieme alla sua morte scompare perciò qualcosa d’altro, qualcosa di più.
Ryszard Kapuściński (Lapidarium, I-VI)
Improvvisamente, poco prima del suo ottantunesimo compleanno, la sorella minore morì. La mattina seguente la sorella maggiore rimase a letto, domandando alla porta aperta perché fuori fosse giorno, perché nessuno aveva acceso il bollitore o tolto la cenere, né l’aveva aiutata a trovare l’oscura via attraverso il vestito. Questo andò avanti fin quasi all’una. Più tardi si nascose dietro la cucina a gas. ‘Amy se n’è andata, non è vero?’ ricordavano che dicesse, e ‘No’ quando la nipote le comunicò che stava venendo il furgone. Aveva il collo scuro come foglie secche. Lasciò della focaccia sopra il caminetto. Quest’ultima lunga infanzia per la quale non c’è provvidenza, cosa può fare ogni giorno se non inseguire quella porta imminente oltre la quale tutto ciò che comprendeva si è nascosto? 3 febbraio 1963
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Philip Larkin (Collected Poems, 1983)
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Dedica È il pensiero di te come volo fugace di un’ombra di nuvola sulla piana, un inatteso legame fra cielo e terra, volo di sguardo che plana verso l’aldilà degli orizzonti, scintillante, soave memento della brevità della vita.
(Sviter, 1947)
Alfa Pietta ”Dedica”
Erik Lindegren
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Nana Duérmete, mi niño, duerme, que tu madre no está en casa, que se la llevó la Virgen de compañera a su casa.
Ogni ricordo è il presente. Novalis (Friedrich von Hardenberg)
(da: Memento)
Citata da Federico Garcia Lorca in Las nanas infantiles, Conferencias 1922-1928
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Calore riflesso - è questo che adesso mi conforta? Il sole è tramontato, ma a lungo rimane calda la lastra di pietra.
Sergio Alessio, penna a inchiostro
Calore riflesso
Ulla Olin (Eftervärme, 1990)
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Monica Gandini
da Kindertotenlieder Su ogni tomba cresce infine l’erba, il tempo rimargina ogni ferita, questo è conforto, sebbene il peggiore che tu possa avere. Povero cuore, tu non vuoi che si rimargini la ferita, qualcosa ti rimane ancora finché il dolore brucia; staccato e morto è solo ciò che più non duole. Friedrich Rückert
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(Kindertotenlieder, 1882)
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Il geranio Un giorno verso la fine di giugno 1966 porto fuori da casa tutte le piante, più di cento, tutte appassite. Eppure Rut, Vivan, Lisa, Aina e Ingrid se n’erano portate via più di cinquanta, credo. Ora porto fuori al sole nel cortile tutti i gerani, le begonie, le violette africane dalle foglie marroni raggrinzite, i filodendri, i gigli, i cactus di natale e tutti gli altri cactus curiosi, alcuni aceri, e una piccola gypsophilia, tutta appassita. È rimasta la vite Frankenthaler, rinsecchita. Ti avrei dovuto portare con me. Ma nella fretta della partenza il giorno dopo il funerale non mi ero portata via nessun vaso. Metto le piante in un secchio che vuoto più volte sotto gli abeti e sotto i cespugli preferiti della mamma: viburni, peonie, rubus e forsythie. Il terriccio dei vasi lo metto in un altro secchio che vuoto a più riprese intorno alle piante perenni preferite della mamma .
Sistemo i vasi in due grosse vasche, una di plastica bianca e una zincata, e riempio le vasche con secchi di acqua fredda. Metto i sottovasi in una piccola bacinella gialla di plastica e verso sopra dell’acqua fredda. Raccolgo alcuni vasi ornamentali traforati a griglia in un secchio bianco di plastica e verso sopra dell’acqua fredda. Ora che ho fatto tutto questo non posso più fare niente. Ora sei rimasto solo tu, geranio più grande di tutti con antiche cicatrici di foglie e fiori. Come risplendi, geranio, con i petali secchi ancora rosso sangue come inspiegabilmente risplendi nel tuo appassire!
Anna Rydstedt (Ett ansikte,1983)
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Si dice che quando muore una persona cara essa lasci un grande vuoto in chi rimane. Quando te ne sei andata tu hai lasciato un pieno cosĂŹ saturo da riempire per sempre la nostra vita.
Francesco Faina
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Lo so, non ho alcuna colpa
Tenui fili ci legano ai morti
Lo so, non ho alcuna colpa se altri non tornarono dalla guerra; che essi – più anziani e più giovani – siano rimasti là, non di questo si tratta; che io avrei potuto salvarli ma non potei non di questo si tratta, eppure, eppure, eppure…
Tenui fili ci legano ai morti. Loro li tengono con le mani, lentamente li tirano ... un improvviso strappo e un dolore nel cuore, attenuano forse nel sonno la pena - qualche volta ... di rado. Consolazione giace nel profondo dello strappo e del dolore – sola, segreta consolazione che dice: questa è verità. Questo è più vero del sole e del mare, di bianche montagne e uccelli che gridano - questo: la radice che unica raggiunge la fonte aspra lo strumento che ultimo suona l’assolo ardito, alto sopra l’orchestra - questo è quasi tutto ciò che sai della vita e della morte.
Aleksandr T. Tvardovskij (Sobranie Socinenii, 1966)
Anna Greta Wide (Dikter i juli, 1955)
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Ricordo Dei cari compagni di viaggio, che il nostro mondo con il loro esserci resero vivace e brillante, non dite tristemente: non ci sono piĂš ma con gratitudine: ci sono stati.
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Vasilij A. Žukovskij
Peter Moritz
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indice Introduzione BELOTTI Bortolo (1877-1944)
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S’à de tegn ol balì 15
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*(lingua orginale)
BESKOW Natanael (1865-1953)
La sera (sv.)
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Orme sulla sabbia (ing. internet) 18
CARPELAN Bo (1926-201l)
Il costante ritrovarsi (sv.)
50
ASPENSTRÖM Werner (1918-1997)
Amore (sv.)
CHENNEVIÈRE Georges (1884-1927)
Lo straniero (fr.)
51
CARLSSON Lennart (1953)
Obiettività è la parola che per me più conta (sv.) 23
FERLIN Nils (1898-1961)
Vorrei lasciarti alcuni fiori (sv.)
53
FORSSELL Lars (1928–2007)
Requiem (sv.)
HOLLAND Henry Scott (1847-1918)
La morte non è niente (ing.)
54
ISAKSSON Folke (1927-2013)
Euridice rapita (sv.) 26
Proverbio finlandese
55
KALÊKO Mascha (1907-1975)
Memento ((ted. internet) 27
KAPUŚCIŃSKI Ryszard (1932-2007)
Quando muore una persona
56
LASKER SCHÜLER Else (1869-1945)
Mia madre (ted.) 29
LARKIN Philip (1922-1985)
In ultimo (ing.)
57
LONGFELLOW Henry W. (1809-1883)
Buona notte (ing.) 30
LINDEGREN Erik (1910-1968)
Dedica (sv.)
58
MILLAY Edna St. Vincent (1892-1950)
Lamento (ing.)
32
NANA ninna nanna spagnola
60
RAMNEFALK Marie Louise(1941-2008)
Il lutto (sv.)
33
NOVALIS (1772-1801)
Ogni ricordo (ted.)
61
SANDELIN Peter (1930-2019)
Il lutto (sv.)
35
OLIN Ulla (1920-2009)
Calore riflesso (sv.)
62
Scura maie
36
RÜCKERT Friedrich (1788-1866)
Su ogni tomba cresce infine l’erba (ted.)
65
SIMONOV Konstantin (1915-1979)
Il mio amico è morto (rus.)
38
RYDSTEDT Anna (1928-1994)
Il geranio (sv.)
66
SÖDERGRAN Edith (1892-1923)
Frammento di uno stato d’animo (sv.)
40
T.F.
Si dice che quando muore una persona
68
SPENDER Stephen (1909-1995)
Casa vuota (ing.)
42
TVARDOVSKIJ Vasilij T. (1910-1971)
Lo so, non ho alcuna colpa (rus.)
70
UHLAND Ludwig (1797-1862)
Sulla morte di un bambino (ted.)
45
WIDE Anna Greta (1920-1965)
Tenui fili ci legano ai morti (sv.)
71
WIDE Anna Greta (1920-1965)
L’ultimo degli ultimi giorni (sv.)
48
ŽUKOVSKIJ Vasilij A. (1763-1852)
Ricordo (rus.)
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20 24
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Kintsugi è il nome di un’antica arte giapponese per riparare un prezioso vaso rotto saldando i cocci con oro e evidenziandone le fratture. L’oggetto riparato diventa unico, irripetibile e aumenta la sua preziosità. Non conoscevo la parola e l’arte a cui si riferisce, me ne parlò un’amica che, a pochi mesi di distanza, ha perso suo marito e il loro unico figlio. “Ecco per me l’oro con cui tenere insieme i cocci rotti della mia vita sono i ricordi, ma questo oro costa carissimo. Lo scorgi all’improvviso in un volto, in una voce, in un oggetto ed ogni volta è come una trafittura. I ricordi non sono consolatori, non leniscono. Sono come il sale su ferite aperte. Ti parlano di qualcosa che è esistito ma non tornerà più. Certificano il non ritorno, l’irrimediabile, l’irreparabile. Eppure sono preziosi e prezioso è il dolore che li accompagna, come un tributo da pagare per essere a loro sopravvissuti.”
euro 15 ,00
ISBN: 978 887766 707 6