L'intervento di Giorgio Gori al convegno ANCI sulla rigenerazione delle periferie

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Intervento di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo

Le periferie sono oggi una sfida per le nostre città, e lo saranno ancora per molti anni. Saranno anzi il “centro” della nostra attenzione perché rappresentano il futuro, sia in ragione di alcuni aspetti positivi, come gli insediamenti delle nuove famiglie con la connessa dinamica demografica, sia per aspetti critici quali il possibile concentrarsi di varie forme di marginalità. E' un fatto che il destino delle nostre comunità transiterà, in larga misura, dalla riqualificazione e dalla sicurezza delle “periferie”. Nel pensiero diffuso “la periferia raffigura l’assenza della comunicazione e dello scambio sociale”. “Qui - scrive Andrea Iacomoni dell’Università di Firenze - il cittadino non condivide la vita pubblica ed accresce la tensione ed il divario fra individualismo e collettività. Diversi fattori hanno determinato questi aspetti negativi: l’estensione delle città contemporanee ha causato in primo luogo la perdita della qualità architettonica e urbana che influenza anche la qualità civile”. Questa definizione per così dire “classica” identifica solo parzialmente ciò che oggi è “periferia” delle nostre città. I nostri strumenti di analisi, e quindi di azione, sono fermi, mentre la situazione si è modificata. E' cambiato il modo di lavorare, il modo di abitare, il modo di spostarsi, il modo di comunicare. Sono cambiate le dinamiche familiari, sono mutate le componenti demografiche e di provenienza delle persone. Insomma lo spazio e il tempo non sono quelli che hanno fatto nascere le periferie dagli anni '60 del secolo scorso. E' quindi oggi necessario ripensare le periferie e individuare nuove azioni finalizzate al loro sviluppo.


Anzi, proprio la riflessione sulle periferie ci costringe ad un ripensamento di tutto il sistema di welfare e di coesione sociale che abbiamo costruito negli ultimi 50 anni. La scelta del Parlamento (con la legge di stabilità del 2016) e del Governo di istituire il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città” è in questa prospettiva una scelta rilevante, che pone le premesse per dare una risposta originale a questi cambiamenti. Il programma è infatti - leggo - “finalizzato ad interventi per la rigenerazione delle aree urbane degradate attraverso progetti di miglioramento della qualità del decoro urbano, di manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione delle aree pubbliche e delle strutture edilizie esistenti, rivolti all'accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana, al potenziamento delle prestazioni urbane, alla mobilità sostenibile, allo sviluppo di pratiche, come quelle del terzo settore e del servizio civile, per l'inclusione sociale e per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, all'adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati.” Molto opportunamente il bando periferie parla di riqualificazione e sicurezza. Quest’ultimo tema è da affrontare prioritariamente, sia per migliorare la qualità della vita nelle periferie sia per la prevenzione di quel clima che, i fatti internazionali lo dimostrano, può diventare brodo di coltura per la progressiva marginalizzazione e lo sviluppo di pericolosi fondamentalismi. Sono forti nella nostra società i rischi di marginalizzazione. Sono legati ad una lunga crisi il cui aspetto economico (oggi in fase di


progressivo superamento grazie alla ripresa che va consolidandosi) non è il solo e forse non il principale. L'attenzione allo sviluppo economico resta la leva più importante per garantire lo sviluppo nelle nostre periferie. Pochi giorni fa ci è stato ricordato che il lavoro è fonte di dignità e di identità prima ancora che fonte di giusto e necessario guadagno. Ma la dimensione economica da sola non basta a cogliere la natura dei fenomeni sociali e il rischio di progressiva marginalizzazione di ampie fasce di popolazione. Prendiamo ad esempio fenomeni come il forte aumento della ludopatia legata al gioco d’azzardo o il vandalismo di spazi pubblici e privati. E’ evidente che si manifestano maggiormente in contesti di precarietà economica, di degrado delle relazioni territoriali e di difficile integrazione tra vecchi e nuovi residenti. Per questo le azioni che puntano sulla repressione, pur necessarie, non sono sufficienti a risolvere i problemi. L’impegno che le deve accompagnare ha come obiettivo il miglioramento complessivo della qualità della vita e delle relazioni tra le persone. Dobbiamo puntare alla costruzione di un rinnovato senso di comunità, di cui la riqualificazione degli spazi fisici, il rammendo dei luoghi, è componente decisiva. Gli investimenti quindi dovranno puntare a rendere le periferie più “belle”. Il concetto di bellezza nel suo senso più completo non può essere infatti esclusivo appannaggio dei centri storici, ma deve penetrare in profondità il tessuto urbano delle nostre periferie. Tradizionalmente gli investimenti, soprattutto se “straordinari”, sono trattati separatamente dal contesto dei servizi e della valutazione di impatto. Questo schema ha caratterizzato nel passato finanziamenti


anche di grandi dimensioni – pensate a quelli per i mondiali di calcio o per il Giubileo -, portando come risultato, quando tutto è filato liscio, alla realizzazione di importanti immobili, a grandi opere, poco o per nulla utilizzate dopo la conclusione di quegli eventi. Con il bando periferie questo rischio va superato. In criterio cui ispirare le scelte di investimento e la misurazione dell’impatto sulla comunità sta nel dare risposta a semplici domande: Questo investimento produrrà relazioni positive e permanenti nel territorio? Nel rispetto del principio di sussidiarietà e di partecipazione, l'investimento favorirà in quel territorio la crescita della responsabilità personale e del senso di comunità? E’ questa, crediamo, l’intuizione che ha fatto scegliere al Governo di fare un grande, enorme, investimento a favore delle periferie. In un momento di forte crisi della finanza pubblica il bando periferie è una scelta coraggiosa accompagnata da una dotazione economica molto rilevante. Tutti i capoluoghi del Paese e le Città metropolitane hanno risposto partecipando al bando periferie nonostante i tempi fossero strettissimi, venisse richiesta grande tempestività nella realizzazione dei progetti e la scadenza fosse fissata a fine agosto. Ricordo a Bergamo il grande impegno e la velocità messa in campo per raggiungere il risultato. Un impegno che ha coinvolto sia la parte politica, gli assessori con la giunta, che la macchina amministrativa, i dirigenti e i loro collaboratori. A fronte di questa vivacità, indice di un bisogno fortemente sentito da tutte le città, bene ha fatto il Governo a portare il finanziamento dai 500 milioni iniziali ai 2,1 miliardi con l’obiettivo, centrato, di permettere a tutte le città di realizzare le loro proposte.


Eppure la disponibilità delle risorse economiche, ingenti, pur ovviamente necessaria, non è sufficiente a garantire che le azioni intraprese siano efficaci. Con coraggio dobbiamo riconoscere che la rigenerazione dei luoghi e dei legami, nelle nostre periferie, degli spazi ma anche delle relazioni tra le persone, è un traguardo relativamente facile da dichiarare ma difficile da conseguire. Non è facile conciliare le idee di “bellezza”, di “comunità”, di “coesione sociale” con la percezione e le istanze di chi abita questi quartieri. Non è facile spiegare che la bellezza è nelle relazioni. Le persone hanno in mente una gerarchia ed alcuni requisiti tradizionali, se volete persino uno stereotipo. Il tema delle risorse sociali, e valoriali, che le nostre comunità possiedono e che possono fare la differenza, fatica spesso ad essere riconosciuto. Lo stesso concetto di periferia – in tempi in cui molto avviene in uno spazio virtuale, la rete, che per definizione supera la dimensione fisica – andrebbe invece rivisto. Con un aspetto paradossale: poiché se da un lato la rete permette di essere sempre “al centro”, dall’altro nasconde o annulla l’identificazione in un luogo fisico, che è fattore decisivo per la costruzione dell’identità. Non a caso molti progetti elaborati per il bando periferie contengono interventi sulla tecnologia che provano a superare questo paradosso, mitigandone gli effetti potenzialmente negativi e utilizzandola invece a rinforzo della capacità attrattiva dei luoghi. Questo ad esempio è il senso del dotare di collegamenti WI-fi le zone periferiche e di attrezzare “piazze tecnologiche” nei quartieri. L’obiettivo è chiaro: sostenere le dinamiche di aggregazione spontanea, in primo luogo giovanile, sapendo che luoghi più vissuti, più


frequentati, sono percepiti anche dagli altri cittadini come luoghi più sicuri e più attrattivi. Nella stessa direzione vanno tutte le azioni che portano la mobilità a divenire più “dolce” e sostenibile. L'obiettivo è rispondere in modo efficace alle accresciute esigenze di spostamenti veloci, sicuri e a basso impatto ambientale. Dentro questo schema rientrano gli interventi per le piste ciclabili, i parcheggi tecnologicamente avanzati, la messa in sicurezza di strade e attraversamenti pedonali, fino alla diffusione del Piedibus per accompagnare i bimbi a scuola in sicurezza. La risorsa del verde, a lungo sacrificata dallo sviluppo edilizio, è fonte di benessere e di socialità positiva. Gli interventi di costruzione di nuovi spazi naturali – dai parchi agli orti - attraverso il recupero di aree degradate, insieme alle iniziative che le rendano vissute e abitate dai cittadini, sono presenti in molti progetti, in molti casi accompagnati da percorsi di animazione sociale che risultano indispensabili per non pregiudicare l'efficacia degli investimenti. Altrettanto rilevanti sono i progetti che riguardano le aree industriali dismesse, un po’ il simbolo di una condizione urbana che negli scorsi decenni ha affrontato rilevanti trasformazioni in assenza di idee e strumenti che ne consentissero un’effettiva rigenerazione. In molte delle nostre città le aree dismesse sono come ferite aperte nella carne viva delle periferie, a ricordare la distanza tra il loro passato – legato a funzioni produttive spesso importanti – e il degrado che caratterizza il loro presente. Non a caso abbiamo voluto che il nostro incontro attraversasse questi ambienti simbolici, compresi anche nel progetto Legami Urbani di Bergamo. Potremmo fare le stesse riflessioni per gli interventi di messa in sicurezza attraverso l’illuminazione, la videosorveglianza e l’arredo


urbano. Oppure per l'allestimento di spazi dedicati all’attività sportiva e al tempo libero. O ancora per l'attivazione di nuovi spazi “produttivi”, all’insegna dell’innovazione tecnologica e della sostenibilità, come gli spazi di coworking e i laboratori integrati nei tessuti dei quartieri. O infine per i progetti di housing sociale. Tutti questi interventi, previsti nei progetti approvati, andranno realizzati bene, velocemente, nel rispetto norme, a garantire efficienza, trasparenza e corretta rendicontazione. Eppure, lo sappiamo, non sarà sufficiente. Stiamo cercando nuove strade, nuove risposte ai problemi, soluzioni della cui riuscita non abbiamo la certezza. La preoccupazione che condividiamo riguarda l’impatto finale di tutto questo lavoro. Impatto che dipenderà anche dalla capacità di rendere realmente partecipi i nostri cittadini: dalla fase di progettazione all’esecuzione e alla successiva gestione. La scelta che molte città hanno fatto, tra queste Bergamo, è stata quella di programmare, progettare e poi realizzare questo progetto con le persone che abitano e vivono le periferie. Da due anni le “reti sociali di quartiere” rappresentano la nostra sfida per rinnovare la rappresentanza e il protagonismo dei cittadini. Stiamo sperimentando nuove forme di partecipazione: non più un coinvolgimento legato alla sola rappresentazione di istanze e interessi verso (spesso contro) una pubblica amministrazione chiamata solo a fornire nuovi servizi.


Noi abbiamo chiesto ai cittadini di essere contemporaneamente portatori di interessi e risorse per la vita della comunità. Abbiamo proposto loro un ingaggio basato su partecipazione e responsabilità. E’ uno schema impegnativo, nel quale vediamo però la chiave per costruire un rinnovato senso di comunità, forme di convivenza più avanzate, un più alto grado di coesione sociale, innovazione nella gestione dei servizi pubblici e garanzia – per tutti – di autentica cittadinanza. Abbiamo consapevolezza che questo richiede anche da parte nostra un cambio di marcia. Serve maggiore tempestività nella realizzazione degli interventi, più flessibilità e capacità di reagire di fronte agli imprevisti. Tutto questo in un contesto di leggi, regolamenti, interpretazioni e linee guida che tendenzialmente vanno in direzione esattamente opposta. Se vogliamo però che il bando periferie sia la leva per la trasformazione delle nostre comunità non abbiamo altra scelta: dobbiamo percorrere questa via difficile ed entusiasmante. Anzi, la gestione del bando deve diventare l’occasione per cambiare il passo dei nostri uffici, sperimentando un nuovo modo di progettare, realizzare e gestire tanto le opere pubbliche che i servizi collegati. Abbiamo scelto, come avete visto, di incontrarci nei quartieri protagonisti di questo processo. Ieri vi abbiamo portato a vedere alcune delle aree dove interverremo. Per questo non siamo nella sala più prestigiosa di Bergamo ma in uno dei luoghi simbolici della “città resiliente”. Per questo abbiamo coinvolto le reti sociali. Per questo abbiamo invitato i dirigenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e i componenti del gruppo di monitoraggio. Per questo siamo felici della


presenza del presidente ANCI Antonio Decaro e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. Sarà solo se tutti questi attori lavoreranno bene insieme, e se ognuno farà fino in fondo la sua parte, che il risultato per il nostro Paese sarà positivo. Noi, città coinvolte nella attuazione del Bando periferie, vogliamo cambiare in meglio i nostri quartieri e le nostre comunità. La realizzazione dei progetti previsti dal bando è un’opportunità per farlo, realmente. Qualcuno lo scorso anno ha giudicato Il bando “confuso” perché non definiva in maniera puntuale e inequivocabile se riguardava i soli interventi materiali o anche i servizi, le sole progettazioni pubbliche o anche le partnership con i privati. Se il volontariato e il terzo settore potevano essere coinvolti come portatori di risorse integrate… Io invece trovo che questa apertura sia una grande intuizione del bando, e certamente un elemento di ricchezza, come provano i progetti presentati, il cui spettro abbraccia tutte le possibilità prospettate. La realizzazione richiederà la massima sinergia tra Presidenza del Consiglio e territori coinvolti. Con il supporto decisivo di ANCI in questi mesi abbiamo cercato di creare una rete di relazioni – e un clima, mi verrebbe da dire – che riteniamo decisivi tanto per il risultato complessivo del progetto che per poter seguire con puntualità l’attuazione dei singoli interventi. E’ quello che stiamo sperimentando qui a Bergamo, in questi due giorni di lavoro in “periferia”, ed è ciò auspichiamo di poter continuare a fare in tutti gli altri territori che attueranno il bando. Ci riusciremo – ne sono sicuro - se manterremo aperto il confronto e se ci doteremo di strumenti efficaci per comunicare tra noi e


all'esterno. L’attuazione del bando può diventare un laboratorio permanente di management amministrativo, in grado di far emergere soluzioni innovative ed efficaci, così da giustificare anche un’attenzione costante e non episodica, da parte dei governi che verranno, nei confronti delle nostre periferie. Ci piacerebbe, insomma, che questo nostro incontro segnasse l’avvio di un’ampia prassi collaborativa fatta di innovazione e di coraggio, di partecipazione e di concretezza, da portare nei prossimi anni a vantaggio di tutto il Paese.


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