Pubblicato il 08/03/2017 N. 00339/2017 REG.PROV.COLL. N. 00982/2016 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 982 del 2016, proposto da: Lotto Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Luisa Torchia e Giulia Fortuna, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio Carlo Capretti, corso Zanardelli, 32;
contro Comune di Bergamo, rappresentato e difeso dagli avvocati Silvia Mangili e Vito Gritti, domiciliato in Brescia, ex art. 25 cpa, presso la Segreteria del T.A.R., via Carlo Zima, 3;
nei confronti di Agenzia dei Monopoli e delle Dogane non costituita in giudizio;
per l'annullamento - dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Bergamo n. 7 del 13 giugno 2016, recante “disciplina degli orari di esercizio delle sale giochi, delle sale VLT, delle sale scommesse, degli orari di funzionamento degli apparecchi con vincita di denaro
nonché degli orari di vendita di lotterie istantanee su piattaforma virtuale e/o con tagliando cartaceo”; - di ogni altro atto o provvedimento, presupposto, consequenziale o comunque connesso, ivi incluso il “Regolamento per la Prevenzione e il contrasto delle patologie e delle problematiche legate al gioco d’azzardo” e la relativa deliberazione di approvazione del Consiglio comunale di Bergamo, n. 71 Reg.34 Prop. Del del 6 giugno 2016, comprensiva dei suoi allegati, tra cui il “Rapporto su intensità, costi e ricadute del Gioco pubblico d’azzardo nell’ambito della Provincia di Bergamo e del Comune di Bergamo” a cura di Valeria Carella e Maurizio Fiasco del 19 maggio 2016.
Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bergamo; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO La società Lotto Italia s.r.l. è il soggetto che, il 30 novembre 2016, è subentrato a Lottomatica s.p.a. nella gestione del gioco del Lotto e di giochi connessi, come il c.d. “10eLotto”, mediante la raccolta delle giocate presso gli appositi punti di raccolta disciplinati dall’art. 2 della Convenzione sottoscritta con il Monopolio. Come emerge da tale convenzione, il concessionario è tenuto alla manutenzione degli impianti e delle apparecchiature in dotazione nei punti di raccolta e a effettuare investimenti per l’aggiornamento tecnologico del sistema della rete
telematica e dei terminali di gioco, secondo il piano degli investimenti indicato nell’offerta tecnica, entro il quinquennio di esercizio, pena la riduzione dell’aggio (se gli investimenti non effettuati superano il 30 %) o la decadenza (se i mancati investimenti sono superiori al 60 %). Allo stesso concessionario spetta un ricavo del 6 % della raccolta delle giocate, mentre ai punti di raccolta spetta un ricavo dell’8 % della raccolta. Tutta l’attività è regolata e controllata dallo Stato, tenendo conto anche della necessità di contenere la diffusione del fenomento della c.d. ludopatia, che ha ispirato l’adozione di misure come quelle disciplinate dall’art. 1, comma 70, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, ha determinato prescrizioni per i messaggi pubblicitari relativi al gioco, ha istituito la collaborazione con l’Istituto superiore di sanità per una ricerca epidemiologica sulla dipendenza da gioco d’azzardo e ha portato all’istituzione di un apposito osservatorio nazionale (art. 7, comma 10, d.l. n. 158/2012). Anche la Regione Lombardia ha adottato apposite misure di prevenzione, disciplinate dalla legge regionale 21 ottobre 2013, n. 8, che ha posto limiti all’installazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito (senza, peraltro, disporre alcunchè né in relazione al gioco del Lotto, né del “10eLotto”) e istituito un osservatorio regionale. A sua volta, il Comune di Bergamo ha disciplinato le procedure di installazione degli apparecchi di gioco e per l’apertura di sale dedicate, introducendo regole per l’ubicazione delle sale stesse e degli apparecchi da gioco e prevedendo altre norme di contrasto con la diffusione del gioco patologico. Al Sindaco è stata rimessa la fissazione, con ordinanza, dell’orario di apertura delle sale dedicate, di funzionamento degli apparecchi con vincita di denaro, nonché degli orari di vendita di lotterie istantanee su piattaforma virtuale e/o con tagliando cartaceo,
esplicitamente individuate in “Gratta e vinci” e “10eLotto” ed escludendo, invece, il gioco del Lotto tradizionale, del bingo, del totocalcio e altro. Ne è derivata l’adozione del provvedimento in questione, che esclude l’attività di gioco nelle fasce orarie che vanno dalle 7.30 alle 9,30, dalle 12 alle 14 e dalle 19 alle 21. Tale provvedimento sarebbe illegittimo perché affetto, secondo quanto dedotto in ricorso, dai seguenti vizi: 1. eccesso di potere per erronea riconduzione del gioco del “10eLotto” alla categoria delle lotterie istantanee. Il gioco c.d. “10eLotto” si baserebbe, secondo quanto dedotto in ricorso, su meccanismi analoghi a quelli del gioco del Lotto, permettendo di giocare da un minimo di 1 ad un massimo di 10 numeri compresi tra 1 e 90 e di scegliere se abbinare tali numeri ad un’estrazione ogni cinque minuti, all’estrazione del lotto o all’estrazione immediata. Si tratterebbe, dunque, di un’evoluzione del Lotto tradizionale, tant’è che il suo esercizio accede alla stessa concessione e proprio in ragione di ciò non è stata mai interessata da alcun provvedimento restrittivo nel resto d’Italia, anche in considerazione del fatto che non si tratta di attività soggetta alle autorizzazioni previste dagli artt. 86 e ss. del Testo unico di pubblica sicurezza, al pari del Lotto. In ogni caso non sarebbe stata dimostrata l’incidenza e le dimensioni del fenomeno della ludopatia e, dunque, sia il Regolamento, che il provvedimento attuativo sarebbero stati adottati in assenza di un’adeguata istruttoria, sulla base dell’allegato Rapporto, ma senza che emerga chiaramente il percorso metodologico seguito e, quindi, sulla base di tabelle riportanti dati che non possono essere, per ciò stesso, verificati. Essi sarebbero, secondo parte ricorrente, talvolta risalenti, talaltra del tutto generici (cfr gli esiti dell’indagine clinico-epidemiologica condotta dalla ASL di Bergamo, espressi in termini del tutto generici, come “diversi casi” o “numerosi casi”) o basati su segnalazioni di enti e associazioni privi di autorità
scientifica. Essi, inoltre, sarebbero stati indicati senza operare alcuna distinzione tra dati relativi alla c.d. “incidenza” dei presunti fenomeni patologici (e cioè il numero di nuovi casi registrati nell’anno) e la c.d. prevalenza dei fenomeni stessi (il numero complessivo di casi registrati nell’anno), il che renderebbe impossibile comprendere se vi sia stato un aumento di casi patologici. Anche il dato relativo all’importo complessivo speso per l’attività di gioco sarebbe fuorviante, perché indicato senza riportare l’ammontare delle somme che vengono “restituite” ai giocatori in vincite. Secondo la ricorrente, dei 13.840 milioni di euro spesi in attività di gioco in Lombardia nel 2013, 10.722 sarebbero stati restituiti in vincite: somme rispettivamente passate, nel 2015, a 14.065 e 10.944. In particolare, per quanto riguarda il gioco del Lotto, le cifre giocate sono state nel 2013, 2014 e 2015, rispettivamente di 988, 1004 e 1090 milioni di euro, mentre le vincite sono state di 634, 668, 726 milioni di euro. Infine, il rapporto non dimostrerebbe che la diminuzione dell’orario di apertura degli esercizi potrebbe determinare un decremento dei casi di ludopatia; 2. eccesso di potere per inidoneità e inadeguatezza della misura, violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, anche in ragione della mancata apposizione di un termine finale. Il Comune non avrebbe in alcun modo dimostrato l’efficacia della misura adottata rispetto all’obiettivo di contrastare il fenomeno ludopatico. Secondo la ricorrente, l’adozione del provvedimento non determinerebbe altro effetto che lo spostamento dei giocatori in luoghi limitrofi, non soggetti alla limitazione (in senso analogo, TAR Brescia, 31 agosto 2012, n. 1484). Ne risulterebbe una limitazione della libertà di iniziativa economica senza il raggiungimento di alcun obiettivo concreto; 3. eccesso di potere per sviamento, in quanto le finalità sottese sarebbero estranee alle finalità tipiche previste dal paradigma normativo e cioè l’art. 50 del d. lgs. 267/2000, ai sensi del quale è stata adottata la regolamentazione censurata.
Andando ben oltre, secondo la ricorrente, l’obiettivo di armonizzare l’espletamento del servizio di gioco con le esigenze complessive e generali degli utenti, il Consiglio comunale ha inteso, dichiaratamente “rendere difficoltoso il consumo di gioco in orari tradizionalmente e culturalmente dedicati alle relazioni familiari” (art. 5 del Regolamento) e, dunque, “inserire fra gli orari di apertura una pausa obbligatoria per consumare i pasti” e favorire “il ricongiungimento familiare e un tempo obbligatorio da dedicare al riposo”. In tal modo, il Comune, sarebbe illegittimamente intervenuto sugli usi e costumi delle famiglie, limitando la libertà di ciascuno di organizzare liberamente la propria vita personale; 4. eccesso di potere per mancata ponderazione degli interessi contrapposti e, in particolare, per la violazione del principio di affidamento nel rapporto concessorio, minando l’equilibrio economico sotteso alla concessione. Si è costituito in giudizio il Comune che, nelle proprie memorie, ha evidenziato: a) Come il potere esercitato dal Sindaco (ex art. 50, comma 7, del d. lgs. 267/2000, non interferisca con quello alla tutela dell’ordine e sicurezza demandato agli organi statali, accedendo alla tutela degli interessi della comunità locale (cfr. Cons. Stato, n. 3378 del 1 agosto 2015) e, in particolare, del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica, mediante la riorganizzazione dell’orario di esercizi quali le sale-giochi, comunque qualificabili come “pubblico esercizio” destinato all’“intrattenimento” (cfr. Cons. Stato, n. 4794 del 20 ottobre 2015); b) non corrisponderebbe al vero il fatto che la mancata vendita del “10eLotto” potrebbe incidere negativamente sul mantenimento del rapporto concessorio (per mancato raggiungimento dell’importo minimo annuale delle lotterie), in quanto, secondo il Comune, il capitolato della concessione, ancorerebbe il reddito annuo all’aggio totale della rivendita dei tabacchi;
c) nel ricorso, la paternità della relazione tecnica prodotta sarebbe stata imputata a tale prof. Vecchione (la cui qualifica non è ulteriormente precisata) e non anche al prof. Claudio Barbaranelli. Qualche perplessità deriverebbe dall’uso della carta intestata all’Università La Sapienza di Roma, quasi che vi fosse un coinvolgimento della stessa. In ogni caso, a seguito di un articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, Barbaranelli, membro anche del comitato scientifico dell’istituto superiore di Sanità, incaricato di sovrintendere ad uno studio super partes sulle patologie derivanti dal gioco d’azzardo in Italia, ha smentito di aver mai svolto alcun incarico e, dunque, redatto alcun parere per Lottomatica. Ne deriverebbe comunque una situazione di conflitto di interessi che è stata stigmatizzata con la sentenza del T.A.R. Lazio, Terza Quater, n. 11982/2015. L’esercizio del potere, peraltro, troverebbe giustificazione sia nello studio epidemiologico effettuato a livello nazionale, ma ancor più in quello condotto dall’ASL sulla particolare situazione del territorio di Bergamo, caratterizzato da un’alta incidenza dei malati di Parkinson, curati con farmaci che inducono, nel 5-8 % dei casi, all’azzardo compulsivo (effetto collaterale accertato, tanto che le case farmaceutiche sono state obbligate a indicarlo nei fogli illustrativi dei prodotti) e da un’alta incidenza di giocatori nella popolazione anziana, specie femminile; d) il regolamento è stato elaborato previo confronto con gli operatori del settore. Confronto che è destinato a ripetersi ogni anno, nell’ambito dell’attività di monitoraggio che sarà compiuta dal Comune per accertare l’efficacia delle misure adottate, confrontando i dati che potranno essere forniti dall’Azienda Monopoli; e) la riduzione di solo sei ore dell’orario di gioco sarebbe proporzionata (in quanto inciderebbe solo per un quarto del potenziale orario di apertura) e strategica perché imporrebbe, attraverso la suddivisione in tre fasi, un’interruzione forzata, indispensabile nello smantellamento di quel meccanismo innescato dai disturbi che affliggono il giocatore compulsivo;
f) la misura ha riguardato solo giochi che, per le loro caratteristiche di velocità e ripetitività, finiscono per acutizzare i problemi dei giocatori eccessivi, in particolare con riferimento alla compulsività; g) la misura non parrebbe, inoltre, comportare particolari problematiche di riduzione delle vendite, atteso che il Comune di Bergamo ha visto, nel 2015, una spesa pro-capite, media, di 2.532,00, contro quella media provinciale di 1.637,00 euro e quella media nazionale di 1.455,00 (dato pubblicato da ADM sul “Libro blu” 2015). Al contrario, peraltro, la riduzione delle vendite sarebbe un importante obiettivo, che dimostrerebbe l’efficacia dell’atto adottato. La ricorrente ha, quindi, chiarito che il fatto stesso che il Comune abbia ammesso di non poter entrare in disponibilità se non di una minima parte dei dati relativi alle giocate effettuate, non farebbe che confermare la lamentata carenza di istruttoria nell’adozione del provvedimento. In ogni caso, il Comune non avrebbe assolto all’onere della prova dell’adeguatezza della
misura
adottata,
rispetto
alla
diminuzione
dei
casi
di
gioco
problematico/patologico. Correlazione che sarebbe esclusa dagli studi citati nella memoria della ricorrente, in quanto, secondo la ricorrente, “la disponibilità e la diffusione di nuovi giochi porta solo in un primo momento ad un aumento dei giocatori e della quantità di denaro giocato” (così l’ultimo capoverso di pag. 8 della memoria depositata il 16 gennaio 2017). La limitatezza dell’effetto riduttivo della patologia deriverebbe, altresì, dalla facilità di spostamento verso altri Comuni limitrofi e la mancanza del termine finale dell’efficacia dell’ordinanza rileverebbe a prescindere dal fatto che essa non sia un’ordinanza contingibile ed urgente, ma sia stata adottata ai sensi dell’art. 50 del TU enti locali, ancorchè incorrendo in un abuso di potere per effetto delle finalità esorbitanti perseguite.
Non vi sarebbe nemmeno contraddittorietà tra contestazione della efficacia riduttiva del gioco in relazione all’orario e, contestualmente, timore di un’eccessiva incidenza negativa sugli incassi. La tesi di parte ricorrente, infatti, sarebbe che, a prescindere dalle minori somme giocate, le limitazioni orarie all’attività di gioco non comporterebbero comunque la riduzione del numero dei casi di giocatori patologici, che sono resilienti e non desistono dall’attività nemmeno quando sono ostacolati. Esse, invece, potrebbero precludere il raggiungimento dei risultati imposti con la sottoscrizione della concessione di servizio. Infine, non sussisterebbe quel vuoto nella cura e tutela dei giocatori patologici, che il Comune ha evocato al fine di giustificare il proprio intervento in via sostitutiva. Il Comune ha replicato evidenziando che l’Osservatorio è oggi istituito presso il Ministero della salute, i dati messi a disposizione dall’Agenzia sono stati ritenuti sufficienti a supportare le conclusioni poste a base del provvedimento e la loro parzialità inciderebbe solo sull’efficacia delle misure adottate. La replica di parte ricorrente, invece, s’incentra sul fatto che il ricorso non ha censurato il potere del Comune di regolare l’orario delle sale-giochi, ma l’uso di tale potere per una finalità deviata. Alla pubblica udienza del 1 marzo 2017, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La controversia in esame ha ad oggetto il regolamento con cui il Comune di Bergamo ha introdotto una limitazione agli orari in cui è possibile il funzionamento degli apparecchi con vincita di denaro, nonché degli orari di vendita di lotterie istantanee su piattaforma virtuale e/o con tagliando cartaceo, esplicitamente individuate in “Gratta e vinci” e “10eLotto”.
Tale disposizione generale, limitativa, sarebbe illegittima, secondo quanto dedotto in ricorso, in quanto sarebbe stata erroneamente operata una riconduzione del gioco del “10eLotto” alla categoria delle lotterie istantanee. Innanzitutto, essa si fonderebbe su di un’erronea riconduzione del gioco del “10eLotto” alla categoria delle lotterie istantanee. La questione, posta in tali termini, appare essere del tutto irrilevante, atteso che lo scopo della norma regolamentare è quello di disporre, in determinate fasce orarie, il blocco di tutte quelle apparecchiature e la vendita di quei tagliandi che garantiscono la possibilità di gioco in continuo e cioè di effettuare la giocata e verificare la vincita in ogni momento. Come dalla stessa ricorrente ammesso, anche il gioco del “10eLotto” consente di abbinare i numeri prescelti ad un’estrazione istantanea e, quindi, con riferimento a tale profilo, vi è un’uniformità con gli altri giochi la cui pratica il Comune ha ritenuto di assoggettare a fasce orarie. Ciò chiarito, con riferimento alla lamentata incompletezza dell’istruttoria, appare opportuno precisare, in premessa, che, come evidenziato nella replica del Comune, con legge 23 dicembre 2014, n. 190, l’Osservatorio sul gioco d’azzardo precedentemente costituito presso l’Agenza delle dogane e dei monopoli, è stato sostituito con un nuovo Osservatorio presso il Ministero della Salute, Direzione generale di prevenzione, quale organo consultivo per l’Autorità Nazionale di Salute Pubblica in materia di conseguenze del gioco d’azzardo per la salute, così da escludere qualsiasi possibilità del configurarsi dell’adombrato, nelle memorie della ricorrente, conflitto di interesse tra il controllore e l’ente affidatario della concessione. Invero, i dati che il Comune ha potuto acquisire, nonostante la limitata esibizione di essi da parte dell’Agenzia del Demanio e, in particolare, gli studi epidemiologici elaborati non solo con riferimento all’intero territorio nazionale, ma anche con
specifica attenzione al territorio comunale, appaiono sufficienti a integrare le condizioni per l’esercizio del potere che il Comune ha utilizzato in un’ottica cautelativa, di tutela della salute pubblica, per rispondere a un’esigenza di risposta resasi più pressante per l’impressionante dato relativo alla spesa pro-capite per il gioco d’azzardo nella città di Bergamo, non contestato, nella sostanza, da parte ricorrente. L’adozione del regolamento risulta, dunque, essere una scelta ponderata e maturata, operata sulla scorta dei preoccupanti dati reperiti, pur con i limiti propri di ogni indagine statistica, ma, di fatto, non smentiti dalla documentazione prodotta in atti. Non appare, peraltro, irrazionale, illogica o in contrasto con i risultati degli studi citati da parte ricorrente, il convincimento che una riduzione dell’orario di apertura delle sale giochi, in particolare attuato introducendo delle fasce orarie per il gioco, possa avere una particolare efficacia proprio in quanto impedisce, quantomeno temporaneamente, la possibilità di continuare a giocare, interrompendo un circolo vizioso e lo spasmodico ripetersi del “solo una ancora” che caratterizza la dipendenza. Sul piano della proporzionalità, la mancata fissazione del termine di durata della previsione regolamentare, connaturale alla stessa, peraltro, non appare incidere sull’adeguatezza della misura, che, al contrario, il Collegio ritiene dimostrata anche in funzione della previsione di un continuo monitoraggio da parte del Comune, con verifica annuale degli effetti della disposizione. Quest’ultima assicura, prevedendo la partecipazione anche degli operatori, la possibilità di eventuali modifiche che emergessero come opportune per una maggiore efficacia della misura nella sperimentazione della sua efficacia. Del tutto proporzionale appare, altresì, la preclusione del gioco per solo un quarto della giornata.
Come chiarito nella sentenza del Consiglio di Stato, n. 2519/2016: “Insussistente, anzitutto, è, invero, la violazione del Regolamento comunale, posto che il sindaco, esercitando poteri che senza dubbio l’art.50, comma 7, del d.lgs. 267/2000 gli attribuisce, non altro ha adottato che un’ordinanza finalizzata alla tutela della salute dei suoi cittadini e dei minori in particolare, essendo quest’ultimi i soggetti maggiormente attratti dagli apparecchi che consentono vincite in danaro, e quindi a rischio di dipendenza da tale tipo di gioco. Finalità di contrasto del gioco d’azzardo patologico che lo stesso Regolamento comunale fa proprie, con la quale il nuovo e contestato orario di apertura e gestione delle sale giochi non è certamente in contrasto, non travalicando l’introdotta riduzione complessiva dell’orario il limite regolamentare di apertura già previsto, essendo quest’ultimo un limite massimo, con il quale tale riduzione è ex sé compatibile.”. Analoghe considerazioni possono ripetersi, mutatis mutandis, per la fattispecie in esame, dove il regolamento prima e l’ordinanza sindacale poi, hanno inteso proprio perseguire l’obiettivo di garantire salute e serenità alla popolazione locale, mediante la riduzione dell’orario in cui è possibile esercitare il gioco, a tutela di fasce della popolazione più deboli, come i malati di Parkinson e la popolazione anziana, ma anche quella giovane, precludendo il gioco in orari in buona parte non coperti dalla frequenza scolastica e in cui il controllo è difficilmente esercitabile. Riprendendo, dunque, in un’ottica di valutazione di adeguatezza e proporzionalità del mezzo, le considerazioni sull’efficacia del provvedimento in esame rispetto alla finalità di contrasto della ludopatia che affligge la popolazione, si deve osservare che le critiche e le alternative prospettate dalla parte ricorrente si risolvono in generiche affermazioni, non essendo supportate da alcuna analisi seria sulla ludopatia con specifico riferimento alla situazione ravvisabile sul territorio comunale. L’incipit della relazione tecnica allegata al ricorso, chiarisce che la stessa è stata basata solo su approfondimenti scientifici sulla prevalenza e i fattori di
protezione e di rischio del gioco problematico implementati dal Centro Interuniversitario per la Ricerca sulla genesi e sullo sviluppo delle motivazioni prosociali e antisociali (CIRMPA), il cui responsabile scientifico è stato il prof. Claudio Barbaranelli. Con essa vengono contestate le affermazioni sulla maggiore incidenza della ludopatia sulle persone anziane e di sesso femminile, adducendo, però, a tal fine, risultanze condotte sul territorio italiano e non anche su quello specifico di Bergamo, come, invece, accaduto per la redazione della relazione posta a base dei provvedimenti censurati. Si tratta, dunque di affermazioni inidonee a porre in discussione tanto la proporzionalità quanto la ragionevolezza del mezzo (rimodulazione dell’orario) rispetto al fine ( contrasto alla ludopatia), soprattutto se si argomenta in termini di obiettivo da raggiungere che è quello del disincentivo piuttosto che quello della eliminazione del fenomeno che viene affrontato, la cui complessità non è revocabile in dubbio, e per il quale non esistono soluzioni di sicuro effetto (in tal senso anche il Consiglio di Stato nella sentenza citata). Così respinta anche la seconda doglianza, deve essere rigettata anche la terza, in quanto non appare ravvisabile alcun sviamento del potere ex art. 50 del TUEL esercitato, nella fattispecie, dal Sindaco. In relazione a tale profilo il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dalla sentenza del TAR Veneto, n. 1346 del 2016, che ha ritenuto legittimo il potere regolamentare esercitato dal Comune per disciplinare gli orari di gioco, salvo affermare, in quello specifico caso, l’eccessiva onerosità delle limitazioni e quindi, la non proporzionalità della riduzione dell’orario di apertura a sole sei ore giornaliere. Poiché, nel caso di specie, come visto, al contrario, è la limitazione del gioco ad essere pari a sei ore giornaliere, la proporzionalità della misura appare garantita, il
potere esercitato deve ritenersi rientrare tra quello riconosciuto dall’art. 50 del T.U.E.L.. Infine, nemmeno la quarta censura, incentrata sugli effetti negativi della disposizione sul rispetto degli obblighi e sui diritti del concessionario, può trovare positivo apprezzamento. In una vicenda del tutto analoga, il TAR Liguria, con la sentenza n. 1230/2016, ha ritenuto legittimo l’esercizio del potere regolamentare, richiamando la “sentenza della Corte Costituzionale n. 56 del 31 marzo 2015, che proprio in tema di rapporti di concessione di servizio pubblico, ha riconosciuto connaturata al rapporto la possibilità di un intervento pubblico modificativo delle condizioni originarie "ancor più, allorché si verta in un ambito così delicato come quello dei giochi pubblici, nel quale i valori e gli interessi coinvolti appaiono meritevoli di speciale e continua attenzione da parte del legislatore. Proprio in ragione dell'esigenza di garantire un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato e di padroneggiare i rischi connessi a questo settore, la giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all'attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purché ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali sono certamente quelli evocati dall'art. 1, comma 77, della legge n. 220 del 2010 (contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia; tutela della sicurezza, dell'ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d'età; lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore), e a condizione che esse siano proporzionate (sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08)". Analogamente, la prevalente giurisprudenza (cfr. ad es. CdS 3271/2014) ha riconosciuto che il regime di liberalizzazione degli orari dei pubblici esercizi, applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all'amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio
potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; con la precisazione, tuttavia, che ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati dall'art. 31, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011 (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute).”. Ne discende che il potere esercitato non può incontrare, come, invece, sostenuto da parte ricorrente, il limite del rispetto dei rapporti economici e dei vincoli contrattuali intercorrenti tra Amministrazione del Monopolio e concessionario, recessivi rispetto al primario interesse della tutela della salute pubblica. La possibile, ma indimostrata, incidenza negativa sulla remuneratività della “vendita” del gioco, non pare poter escludere l’intervento del Sindaco, non essendo state indicate, nel ricorso, peculiarità tali da diversificare in modo apprezzabile la situazione della ricorrente da quella di tutti gli altri operatori commerciali soggetti al potere regolamentare del Comune. Invero, a diverse conclusioni si potrebbe addivenire se, nel presente giudizio, l’illegittimo esercizio del potere fosse stato dedotto evidenziando come l’attività di vendita di “10eLotto” e “Gratta&Vinci” sia autorizzata da una concessione del Monopolio di Stato, non suscettibile, in quanto tale, di alcuna regolamentazione da parte di autorità diverse da esso. Nella fattispecie, però, non è stata dedotta l’incompetenza del Comune a incidere sulle modalità di esercizio dell’attività in concessione, con la conseguenza che tale profilo non può essere esaminato, pena la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dei limiti posti all’intervento del giudice amministrativo, che deve essere confinato entro i paletti dei profili di invalidità specificamente dedotti, nel rispetto del principio dispositivo che regola il processo amministrativo.
Così respinto il ricorso, le spese del giudizio possono, però, trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la natura prettamente interpretativa della questione dedotta. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2017 con l'intervento dei magistrati: Alessandra Farina, Presidente Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore Alessio Falferi, Primo Referendario L'ESTENSORE Mara Bertagnolli
IL PRESIDENTE Alessandra Farina
IL SEGRETARIO