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Questa è la città di Adriano, e non di Teseo

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Introduzione

Introduzione

Al termine della terza guerra macedonica (171-168 a.C.) in cui il console romano Lucio Emilio Paolo, su consiglio dell’alleato Eumene II, re di Pergamo, sconfisse nella battaglia di Pidna (168 a.C.) i Macedoni guidati dal propio re Perseo, l’antico regno di Macedonia fu diviso, su proposta di Catone, in quattro repubbliche autonome ed indipendenti senza possibilità di intrattenere rapporti commerciali e civili tra loro, deportando a Roma cittadini e uomini di governo e applicando così in maniera rigorosa il principio del divide et impera. Roma trasformò la Macedonia in provincia nel 148 a.C. a seguito della rivolta scoppiata nel 149 a.C. guidata da Andrisco a cui pose fine il console Lucio Mummio che sconfisse anche la Lega Achea distruggendone la città di Corinto, centro della ribellione anti-romana, e istituendo la provincia di Macedonia e il protettorato di Acaia e da cui rimasero libere la Lega etolica, Atene e Sparta.

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«Gli eserciti del popolo romano non portavano la schiavitù a chi era libero, ma, al contrario, la libertà a chi era in condizione di servitù».

(Livio, Ab Urbe condita, XLV, 18)

La libertà di cui parla lo storico Tito Livio era solamente formale e le poleis più rappresentative della Grecia classica, private dell’indipendenza e del diritto, furono ridotte in una condizione quasi museale da cui molte città, tra cui Atene governata dal tiranno Aristione, tentarono di ribellarsi nel corso della prima guerra mitridatica (89-85 a.C.) vedendo in Mitridate VI, re del Ponto, il liberatore dei Greci dal dominio romano. Nonostante la guerra civile scoppiata a Roma e la contrapposizione con Gaio Mario, Lucio Cornelio Silla intraprese nel 87 a.C. la campagna militare contro Mitridate e le città ribelli dell’Acaia, sconfiggendo a più riprese il re del Ponto che costrinse a firmare la pace (85 a.C.) e annettendo a Roma le città greche che avevano cooperato al massacro di 80.000 civili romani e italici e riservando ad Atene

Nella pagine precedenti: Vista dell’Agorà Romana e della Biblioteca di Adriano dall’Acropoli.

«Seguì ad Atene un grande e spietata strage. Gli abitanti erano troppo deboli per scappare, per mancanza di nutrimento. Silla ordinò un massacro indiscriminato, non risparmiando donne o bambini.[…]. La maggior parte degli Ateniesi, quando sentirono l’ordine dato, si scagliarono contro le spade dei loro aggressori volontariamente. Alcuni presero la via che sale per l’Acropoli, tra i quali lo stesso tiranno Aristione, il quale aveva bruciato l’Odeon, in modo che Silla non potesse avere il legname a portata di mano per bruciare l’Acropoli».

(Appiano, Guerre mitridatiche, 38)

Silla, pur avendo concesso ai suoi soldati di saccheggiare la città e avendo preteso un risarcimento del danno di guerra prelevato direttamente dal tesoro dell’Acropoli, proibì l’incendio della città salvaguardando gli edifici monumentali ad eccezione dell’Odeon di Pericle che, incendiato dagli stessi ateniesi per timore che il suo legname venisse utilizzato nell’assedio della città, fu ricostruito nel trentennio successivo da Ariobarzane II59, re di Cappadocia.

«io non sono stato inviato qui ad Atene dai Romani per imparare la sua storia, ma per domare i ribelli.»

(Plutarco, Vita di Silla, 13)

Le battaglie decisive delle successive guerre civili romane furono combattute tra Grecia e Macedonia: durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo a Farsalo (48 a.C.); durante quella combattuta tra triumviri e cesaricidi a Filippi (42 a.C.); e infine tra Ottaviano e Antonio ad Azio (31 a.C.) a seguito della quale venne istituito il Principato. A questa fase (circa 50 a.C.) è ascrivibile la costruzione della Torre dei Venti60, su progetto dell’astronomo siriano Andronico di Cirro, e un primo progetto della nuova agorà 61. Il primo imperatore, Ottaviano Augusto, nel 27 a.C., istituì la provicia romana di Acaia rendendola indipendente da quella di Macedonia, perseguendo così una politica di benevolenza e disponibilità verso il mondo greco, adottata anche dal suo successore Tiberio, e di cui furono testimonianza la costruzione tra il 19 e l’11 a.C. dell’agorà di Cesare e Augusto quale nuovo centro del commercio e delle riunioni della città e tra il 16 e il 14 a.C. dell’Odeon di Agrippa nella vecchia agorà quale dono di Agrippa alla polis. Gli ateniesi, in segno di riconoscenza, dedicarono al politico romano il pilastro monumentale con quadriga bronzea, già di Eumene II, collocato di fronte ai Propilei dell’Acropoli.

«La Grecia vinta conquistò il fiero vincitore romano»

(Orazio, Epistulae, II, 156)

L’atteggiamento di Roma verso il mondo greco ed ellenistico, ritenuto un modello di civiltà indiscutibile ed ineguagliabile a cui molti cittadini romani aspiravano, venne sintetizzato alla fine del I secolo a.C. da Orazio che riconobbe nell’influenza greca, e in particolare di Livio Andronico, il momento di passaggio dall’età pre-letteraria a quella letteraria sancendo la nascita della letteratura latina, ma anche di un filellenismo a cui si contrappose una tendenza tradizionalista, rispettosa del mos maiorum, di cui Marco Porcio Catone fu il più strenuo difensore.

«Già siamo passati in Grecia e in Asia dove abbonda tutto ciò che può suscitare ogni tipo di passione, già allunghiamo le mani sulla ricchezza dei monarchi. Forse non siamo noi a impadronirci di queste ricchezze, ma sono loro a impadronì iris di noi.[…].E già sento troppe persone lodare e ammirare le opere d’arte di Corinto e Atene, mentre disprezzano le raffigurazioni di terracotta degli dei romani».

(Livio, Ab Urbe condita, XXXIV, 4)

Tuttavia sul finire del I secolo a.C., e ancor più in età adrianea quando l’Impero raggiunse la sua massima espansione, il sentimento espresso nel discorso pronunciato da Catone in Senato in difesa della Legge Oppia e riportato da Livio, poco si addiceva a una società i cui costumi erano cambiati radicalmente. Fu proprio l’imperatore Adriano, soprannominato «Graeculus» per via del suo filellenismo ispirato anche da Gaio Giulio Antioco Epifane Filopappo62, il principale patrono e benefattore di Atene che, sotto il suo principato e durante i suoi quattro viaggi, rifiorì, offrendo molto agli ateniesi e presentandosi come un novello Teseo. Adriano, che si reputava anche architetto e che aveva una grande passione per l’architettura oltre che per i viaggi, in quasi tutte le città che visitò costruì almeno qualcosa e ad Atene, attraverso ingenti somme di denaro pubblico e imperiale, avviò cantieri, come non si vedeva dai tempi di Pericle nel V secolo a.C., costruendo su una superficie di circa sei ettari una nuova parte di città che venne chiamata Hadrianopolis. Adriano nelle architetture pubbliche da lui sovvenzionate o a lui dedicate dai cittadini ateniesi o dai Panhellenes introdusse nuove forme e decorazioni, ma anche materiali che venivano da oltremare come nel caso della biblioteca che fece costruire nel 132 d.C., in prossimità dell’agorà di Cesare e Augusto e che Pausania nella sua descrizione di Atene definisce «la più splendida di tutte le

fabbriche». L’altro grande cantiere concluso sotto Adriano che l’imperatore inaugurò con una grande cerimonia63 nel 132 d.C. , in occasione del suo quarto ed ultimo viaggio ad Atene durante il quale fondò il Panhellenion, fu quello del tempio di Zeus Olympios nell’area della Valle dell’Ilisso i cui lavori erano iniziati sotto i tiranni Pisistratidi alla fine del VI secolo a.C.. Accanto all’Olympieion, come ingresso monumentale all’area, fu costruito dai cittadini ateniesi l’Arco (132 d.C.) che l’imperatore attraversò durante l’inaugurazione del tempio e che costituisce l’opera adrianea meglio conservata in città. Altri edifici di cui rimangono pochi resti archeologici e poche descrizioni nelle fonti sono gli interventi nell’antica Agorà (ninfeo, basilica, terme, monumento degli eroi eponimi) lungo la pendice sud dell’Acropoli (Tempio di Iside, scena del teatro di Dioniso), a sud dell’Olympieion (peristilio meridionale, ginnasio di Cinosarge) e l’edificio di odùs Adrianou; inoltre in tutta la città erano presenti raffigurazioni e iscrizioni commemorative dell’imperatore. L’unico intervento sull’Acropoli fu la costruzione, accanto alla statua di Fidia, di una statua di Adriano ad indicare la natura divina dell’imperatore, ma anche l’unione della civiltà greca e di quella romana, mentre l’ultima significativa costruzione romana prima dell’invasione degli Eruli del 267 d.C. fu quella dell’Odeon di Erode Attico (161-174 d.C.), eretto dal console romano trent’anni dopo la morte dell’imperatore Adriano. Proprio per la sua importanza nella storia di Atene e dei suoi sviluppi urbanistici e architettonici nella toponomastica moderna l’imperatore filo-ateniese è dedicatario di una delle vie più lunghe e principali, che costeggia la pendice settentrionale dell’Acropoli nel quartiere della Plaka.

«Ho ricostruito molto: e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti».

(Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano)

L’Agorà romana, collocata un centinaio di metri a est rispetto all’Agorà del Ceramico, è un grande complesso architettonico che a partire dal I secolo a.C. per molti secoli ha rappresentato il fulcro delle attività commerciali di Atene. Fino all’età ellenistica l’area in cui sorse l’edificio era occupata da abitazioni e magazzini, forse alcuni dei quali già con vani destinati al commercio, ma è solo in età romana che fu avviato un vero e proprio processo di monumentalizzazione. Una lunga iscrizione incisa sull’architrave del propileo occidentale ricorda la costruzione del complesso grazie ai fondi stanziati da Gaio Giulio Cesare prima e da Augusto poi. Probabilmente i lavori ebbero inizio nel 47 a.C. in occasione della visita di Cesare ad Atene e furono portati a termine grazie alle elargizioni di Augusto nel biennio tra l’11 e il 9 a.C.. Il complesso si presentava come una vasta piazza quadrangolare (111 x 104 metri) racchiusa da portici sui quattro lati, con due ingressi principali in posizione asimmetrica disposti sui lati est e ovest; un terzo ingresso, dotato di una scala, si trovava sul lato meridionale. Ciascun segmento del portico aveva una conformazione specifica definita in base alle attività che vi si svolgevano. A sud si trovava un portico a doppia navata, interrotto nella parte centrale dalla presenza di alcuni ambienti di servizio e dall’ingresso secondario, a ovest due ampie sale si aprivano dietro il portico e si sviluppavano ai lati del propylon, a est una serie di vani quadrangolari, probabilmente botteghe, si affacciavano verso il portico. I portici erano sopraelevati rispetto al piano della corte interna grazie ad uno stilobate di due gradini. Le colonne del quadriportico, monolitiche, non scanalate e di ordine ionico, poggiavano su basi attiche e sostenevano un’architrave a tre fasce, decorata superiormente da doccioni con protomi leonine, mentre quelle dei colonnati interni, di ordine dorico, erano prive di base ma rialzate di un gradino rispetto al portico affacciato sulla corte. Il propylon occidentale, termine visivo e fisico della strada di collegamento con l’Agorà del Ceramico, presentava una fronte dorica tetrastila ispirata ai Propilei dell’Acropoli. I due intercolumni laterali fungevano da accesso

Nella pagina accanto: Vista della Torre dei Venti dal peristilio dell’Agorà Romana.

pedonale mentre quello centrale era riservato al passaggio dei carri. Al di sopra del timpano sostenuto dalla trabeazione era collocata una statua equestre di Lucio Cesare64, ormai perduta. L’ingresso orientale, che presentava anch’esso una fronte prostila tetrastila ma di ordine ionico, risulta essere decentrato rispetto all’altro per la presenza di un tracciato viario principale antecedente alla costruzione del complesso commerciale. Ciò ha comportato la differenziazione della pavimentazione della piazza: in corrispondenza dell’asse che unisce i due propyla sono state rinvenute infatti lastre a orditura e marmo diversi rispetto al resto della pavimentazione. All’esterno del lato orientale del quadriportico erano collocati degli edifici che ospitavano attività complementari a quelle commerciali dell’agorà. Qui infatti si trovava l’Agoranomion, cioè l’edificio dove aveva sede la magistratura del mercato, una grande Forica, costruita nel I secolo d.C. per rispondere alle esigenze igieniche legate al grande afflusso di gente al mercato, e la Torre dei Venti o Horologion. Quest’ultimo, giunto a noi in ottimo stato di conservazione, è un edificio a base ottagonale con tre annessi, due protiri distili d’accesso e uno più che semicircolare, che fungeva da orologio idraulico, orologio solare e indicatore dei venti. La tipologia architettonica del quadriportico, in relazione alla sua capacità di concentrare attività della quotidianità dei cittadini, è stata impiegata più volte dai romani come strumento per favorire l’acquisizione e l’assimilazione della propria cultura da parte delle popolazioni e dei territori assoggettati. Casi esemplari sono il Tetragonos 65 di Efeso, costruito nel I secolo a.C., il Caesareum 66 di Cirene, e i tre complessi commerciali di Corinto. Il monumento subì una serie di restauri prima in età adrianea, quando nel 127-128 d.C. venne incisa sul propylon dorico, la cosiddetta legge dell’olio, voluta dall’imperatore per calmierare i prezzi del prodotto, e poi sempre nel corso del II secolo d.C. sotto l’impero di Marco Aurelio. Dopo l’invasione degli Eruli del 267 d.C. l’Agorà romana venne inclusa all’interno delle mura tardoromane cosicché divenne, assieme alla Biblioteca di Adriano, l’unico centro amministrativo e commerciale della città. La progressiva perdita del valore politico portò alla spoliazione di statue ed epigrafi commemorative dall’interno del quadriportico, poi, in periodo bizantino e ottomano vennero edificati in tutto il quartiere case, officine e luoghi di culto, tra cui la moschea di Fethiye Camii, per la cui realizzazione vennero reimpiegati molti materiali architettonici antichi.

Nella pagina accanto: Tavola (XXIV) con ipotesi ricostruttive dell’Agorà romana.

Nella pagina accanto: Tavole (XXV, XXVI) con ipotesi ricostruttive della Torre dei Venti o Horologion.

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L’imperatore Traiano67 (98-117 d.C.), sotto cui l’impero romano raggiunse la sua massima espansione territoriale, poco prima di morire, forse su intercessione della moglie Plotina68, adottò e scelse come suo successore Publio Elio Adriano (76-138 d.C.) che regnò dal 117 al 138 d.C. abbandonando la politica di espansione militare del predecessore e puntando a una strategia difensiva che lo portarono a compiere viaggi in tutte le provincie imperiali trascorrendo a Roma solo sette anni dei ventuno di regno e a fondare città, molte delle quali chiamò Hadrianopolis. Infatti la civiltà classica aveva nella polis greca o nell’urbs romana la sua espressione più piena e fondare nuove città o sviluppare quelle già esistenti era un chiaro segno della volontà di diffondere la cultura greca ed ellenica di cui Adriano era grande conoscitore e profondo estimatore al punto che le numerose raffigurazioni statuarie dell’imperatore lo ritraggono vestito e abbigliato alla greca con la barba tipica dei filosofi. Il filellenismo dell’imperatore, noto sin dalla sua giovane età quando venne educato alla letteratura e alla filosofia greche da maestri greci, divenne ancora più evidente quando Adriano si recò per la prima volta ad Atene, da privato cittadino, nel 112-113 d.C. al punto che gli fu attribuito il soprannome di «Graeculus». Il «Graeculus», come lo chiamavano soprattutto i suoi oppositori, tornò ad Atene, già da imperatore, in altre tre occasioni dal 124 al 132 d.C durante le quali rese omaggio alla tradizione greca partecipando alle Grandi Dionisie e ai Misteri Eleusini, istituendo il Panhelleion, gli Hadrianeia e intraprendendo la costruzione di edifici civili e religiosi volti alla celebrazione della Grecità e dello stesso imperatore, nuovo Teseo sotto cui la polis attica rivisse un periodo di splendore che non si vedeva dai tempi di Pericle. Proprio come Pericle, Adriano vedeva in Atene il centro per eccellenza e per tradizione della cultura e istituì un circolo di filosofi e sofisti con cui intrattenne rapporti di familiarità ed amicizia, ma anche con personaggi eccentrici e famosi del II secolo d.C. che ispirarono il suo filellenismo (Gaio Giulio Antioco Epifane Filopappo) e lo perseguirono (Erode Attico).

Nella pagina accanto: Testa di Adriano con corona civica (130 d.C.), marmo pentelico, Museo Archeologico Nazionale, Atene.

Atene nel V secolo a.C., dopo le guerre persiane, visse quella che è considerata la fase più alta e simbolica della sua storia e della sua cultura, di cui la sistemazione monumentale dell’Acropoli ne costituisce la permanenza archeologica più viva e importante dal momento che risulta visibile da ogni punto della città. In ogni punto della città nel II secolo d.C., oltre al Partenone, erano visibili statue in pietra e in bronzo e iscrizioni commemorative dell’imperatore Adriano che, vestito e abbigliato alla greca, si presentava come un nuovo Teseo, rifondatore di Atene e promotore di un nuovo sviluppo urbanistico e architettonico come non si assisteva dai tempi di Pericle. Adriano e i cittadini ateniesi, grati del suo filellenismo, intrapresero già a partire dal primo viaggio dell’imperatore quando era ancora privato cittadino nel 112-113 d.C., la costruzione di monumenti ed edifici civili e religiosi che portò alla realizzazione su una superficie di sei ettari di una nuova città o parte di città denominata Hadrianopolis per cui si può parlare di un vero e proprio progetto edilizio adrianeo come testimoniato dalle fonti (Pausania il Periegeta, Flegonte di Tralles). Sui due lati dell’architrave inferiore dell’arco che i Panhellenes gli dedicarono nel 131-132 d.C. e che funge da propileo di accesso all’area dell’Olympieion, sono incise due iscrizioni : ΑΙΔ’ ΕIΣΙΝ ΑΘΗΝΑΙ ΘΗΣΕΩΣ Η ΠΡΙΝ ΠΟΛΙΣ «Questa è Atene, l’antica città di Teseo» e ΑΙΔ’ ΕIΣΙΝ ΑΔΡΙΑΝΟΥ ΚΟΥΧI ΘΗΣΕΩΣ ΠΟΛΙΣ «Questa è la città di Adriano, e non di Teseo» che indicherebbero come la porta dividesse l’antica Atene di Teseo, da cercare attorno all’Acropoli, dalla nuova Atene fondata da Adriano nell’area della valle dell’Ilisso. Tuttavia dai dati riscontrabili sull’archeologia gli edifici adrianei sorsero non solo nell’immediate vicinanze dell’Olympieion, dove pure si concentrarono i maggiori interventi (Ginnasio si Cinosarge, Peristilio meridionale), ma anche nel resto della città nell’area dell’antica Agorà (Monumento degli eroi eponimi, statue dei Giganti, ninfeo, basilica, terme,), dell’Agorà romana (Biblioteca di Adriano, edificio di odùs Adrianou) e lungo la pendice meridionale dell’Acropoli (Tempio di Iside, nuova scena del teatro di Dioniso). Inoltre l’area della valle dell’Ilisso, era un settore cruciale già della città mitica, e teseica in particolare, in cui si trovava la residenza di Egeo, e venne inglobata all’interno delle mura temistoclee il cui tracciato passava ben più a oriente.

È quindi plausibile pensare che le due iscrizioni, invece che indicare una divisione fisica della città in vecchia e nuova, intendessero piuttosto una distinzione temporale tra due grandi età della storia ateniese, quella teseica e quella adrianea, sottolineando così il ruolo ecistico dell’imperatore. La descrizione dei principali edifici e interventi architettonici e monumentali compiuti sotto Adriano è oggetto di trattazione approfondita nei relativi capitoli, tuttavia vale la pena menzionare un’opera di ingegneria di grande importanza, commissionata dall’imperatore nel 125 d.C. e inaugurata post mortem da Antonino Pio, che servì la città per secoli: l’acquedotto che dalle sorgenti del monte Parnete, per oltre venti chilometri, portava acqua in città fino a una cisterna opportunamente costruita sulla collina di Licabetto ad imitazione della grotta delle Ninfe. Il nuovo afflusso di acqua corrente in città favorì la costruzione di impianti termali pubblici e privati, su modello delle grandi terme di Roma, dotati di spogliatoi, latrine e ambienti per i bagni freddi, tiepidi e caldi, riscaldati attraverso fornaci. Nel corso del suo quarto ed ultimo viaggio ad Atene nel 131-132 d.C. a cui assistette alla consacrazione del tempio di Zeus Olympios, Adriano fondò il Panhellenion, una confederazione esclusiva di trentatré città elleniche69 appartenenti alle provincie di Macedonia, Acaia, Tracia, Creta e Cirene e Asia, avente come capitale Atene, e cercando così di perseguire l’unione tra le città di fondazione greca in un consesso che, presieduto da un arconte e governato da un consiglio, non aveva funzioni politiche, ma di propaganda della cultura greca, gestendo le feste con concorsi atletici e musicali (i Panhellenia), il culto dell’imperatore e i Misteri Eleusini. Il Panhellenion necessitava di una propria sede di rappresentanza per le adunanze solenni e plenarie e per le cerimonie religiose, ma soprattutto di un culto comune in cui tutti i membri si potessero riconoscere e che venne identificato con l’imperatore Adriano stesso (e poi con Antonino Pio) che condivideva con Zeus gli epiteti di «Olympios» e «Panhellenios». Atene era stata scelta come capitale in virtù del suo primato storico e culturale, tuttavia gli storici e gli archeologi hanno ipotesi diverse sull’edificio del Pahnellenion, che serviva anche al culto dell’imperatore, nessuna delle quali ha dati decisivi per un’identificazione sicura. John Travlos (1970) lo ha identificato nel peristilio con tempio da lui scoperto a sud dell’Olympieion e inteso come santuario unico di Adriano e di Hera e Zeus Panhellenios, mentre Anthony Spawforth e Susan Walker (1985) lo hanno identificato nell’edficio ad impianto basilicale, in parte scavato, di odùs Adrianou. Altri studiosi lo hanno identificato nell’Olympieon e nel suo recinto sacro in cui erano presenti una serie di statue denominate «città colonie», interpretate come personificazione delle colonie greche o delle poleis appartenenti al Panhellenion. Altri ipotizzano che fosse la biblioteca o una costruzione a Eleusi presso il santuario di Demetra e Kore, dove l’attività dei Panhellenes è

attestata dai due archi gemelli, repliche di quello di Adriano ad Atene. Adriano istituì i Panhellenia, giochi a cadenza quadriennale, fondò ex novo gli Hadrianeia, riorganizzò le Panatenee e gli Olympieia dotandoli tutti dello statuto di «agone sacro» per cui ai vincitori erano offerti una serie di privilegi eccezionali e onori. Come il progetto si sia tradotto a livello di infrastrutture rimane oggetto di ipotesi, di cui la più plausibile è quella che vede nello stadio, finanziato da Erode Attico e realizzato dopo la morte di Adriano tra il 139 e il 144 d.C., il luogo preposto alla celebrazioni degli eventi agonistici voluti dall’imperatore filelleno. L’attività del sinedrio è attestata dalle iscrizioni fino al primo decennio del III secolo d.C, mentre quella dei giochi connessi si ferma al regno di Gallieno (circa 250 d.C.).

Nella pagina accanto: Vista delle gradinate dello Stadio Panatenaico, noto anche come Kallimarmaron ovvero “dei bei marmi”, finanziato da Erode Attico dopo la morte dell’imperatore Adriano (138 d.C.) e costruito fra il 139 d.C. e il 144 d.C.. Lo Stadio è stato oggetto di ingenti lavori di ricostruzione alla fine dell’800.

La Biblioteca di Adriano, «la più splendida di tutte le fabbriche»

«Ma più insigni di ogni altro monumento sono le cento colonne di marmo frigio; e le pareti sono costruite con lo stesso materiale dei portici. Ci son poi ambienti adorni di un tetto dorato, e di alabastro, e inoltre di statue e pitture; questi ambienti servono da biblioteca».

(Pausania, Periegesi della Grecia, 1, 18, 9)

Così Pausania il Periegieta nella sua descrizione delle regioni e delle città della Grecia Antica ci presenta l’edificio collocato immediatamente a nord dell’Agorà romana delineando un luogo che, e per estensione e per ricchezza decorativa, rappresenta la più imponente opera voluta ad Atene dall’imperatore Adriano, insieme al Tempio di Zeus Olimpio. Commissionato probabilmente nel 131-132 d.C. in un’area già occupata da abitazioni di età romana, il monumento (122 x 82 metri) si compone di un vasto quadriportico sul cui lato corto orientale erano collocati gli ambienti adibiti alla conservazione e alla lettura dei volumina. Chiuso esternamente da un alto recinto in blocchi di poros del Pireo con le facce del paramento lavorate a bugnato rustico secondo lo stile in auge nel periodo adrianeo, l’edificio su ciascuno dei suoi lati lunghi presentava tre esedre di cui due semicircolari e una centrale rettangolare. La facciata principale, rivolta a occidente e allineata al fronte dell’adiacente Agorà, fu realizzata con muratura isodoma in conci di marmo pentelico eretta su fondazioni cementizie con paramento in mattoni e ad opus incertum. Al centro era collocato il propylon tetrastilo, realizzato con colonne scanalate in marmo screziato viola (pavonazzetto, dalle cave di Iscehisar in Turchia) e sopraelevato rispetto alla quota stradale di sei gradini. Di fronte ad entrambi i lati dell’ingresso monumentale, furono collocate sette colonne libere corinzie monolitiche in marmo cipollino, posizionate su alti piedistalli e collegate al muro di fondo mediante lo sviluppo spezzato della trabeazione. Oltrepassando l’ingresso si aveva accesso ad un vasto peristilio, composto da cento colonne di marmo frigio 70, al centro del quale vi era un’ampia corte (82 x 60 metri) sistemata a giardino e caratterizzata dalla

Nella pagina accanto: Colonne corinzie del fronte occidentale.

presenza di una lunga vasca dal profilo mistilineo, a terminazioni circolari. Sul lato di fondo, collocato a est, si aprivano cinque ambienti di cui quello centrale, il più grande, comunicava con il portico mediante una facciata tetrastila ed era destinato, come ci testimonia la presenza di nicchie su due livelli al di sopra di un imponente podio (alto 1,60 metri e profondo 1,50) alla conservazione del patrimonio letterario del complesso. Ai lati erano disposte le sale lettura, aperte ad est, e gli auditoria, sviluppati lungo l’asse nord-sud con sedili disposti a gradinata. Circa l’uso esclusivo dell’intero complesso a biblioteca molti sono i dubbi, e per le caratteristiche planimetrico-architettoniche e per la posizione che occupa all’interno dell’impianto urbanistico ateniese. Molte sono le affinità che presenta con il Templum Pacis 71 di Vespasiano a Roma, così come analogie sono riscontrabili con i monumenti coevi di Italica e Side, il che ha condotto all’ipotesi che la biblioteca non avesse solo un carattere pubblico ma anche ufficiale e amministrativo. Oltre ad essere una biblioteca-Mouseion72 che, rifacendosi alla tradizione dei ginnasi greci, aveva prevalentemente un carattere educativo e culturale rivolto a dei fruitori accademici, o un archiviocatasto relativo alla provincia di Acaia, il vasto complesso poteva essere uno spazio polifunzionale. Così come il suo modello romano (il Templum Pacis), era veicolo della grandezza e della ricchezza dell’impero romano, è probabile che venisse impiegato per diverse funzioni; come luogo di celebrazione del culto dell’imperatore, biblioteca, polo amministrativo, galleria di opere d’arte e spazio cerimoniale. Il monumento venne in parte distrutto dall’invasione degli Eruli nella seconda metà del II secolo d.C. e abbandonato per circa due secoli fino a quando nel V secolo d.C. all’interno dell’antico peristilio venne eretta una chiesa tetraconca voluta dall’imperatrice Eudocia73. Alla chiesa tardoantica seguì nel VI secolo d.C. la costruzione di una basilica a tre navate, mentre nel XI e XII secolo d.C. vennero erette due chiese bizantine di dimensioni modeste, la seconda delle quali costruita contro la facciata occidentale del complesso. Del monumento, gli scavi archeologici condotti a partire dalla prima metà dell’800, hanno portato alla luce le nicchie della sala centrale che servivano per ospitare i volumina e un tratto della facciata occidentale, con le sette colonne che decoravano la metà destra della parete.

Nella pagina accanto: Tavola (XXVII) con ipotesi ricostruttive della pianta e del prospetto della Biblioteca di Adriano.

Nelle pagine successive: Tavola (XXVIII) di inquadramento territoriale in cui vengono messi in evidenza i principali edifici adrianei, metà del II secolo d.C..

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Atene, in età adrianea, 132 d.C.

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