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Questa è Atene, l’antica città di Teseo

«Questa è l’esposizione della ricerca di Erodoto di Alicarnasso, perché gli eventi umani non svaniscano con il tempo e le imprese grandi e meravigliose, compiute sia dai Greci sia dai barbari, non restino senza fama; in particolare, per quale causa essi si fecero guerra».

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(Erodoto, Storie, I, I)

Pochi eventi hanno caratterizzato in maniera così determinante gli sviluppi sociali e culturali non solo di una città, Atene, ma di un intero continente, l’Europa, quali le Guerre Persiane. Prima che uno scontro tra eserciti, il conflitto con la Persia è uno scontro tra due modelli di organizzazione civile e politica, profondamente contrastanti, che ha comportato conquiste culturali di notevole importanza e la visione, nell’immaginario collettivo, di un occidente costituito da città autonome che aspirano alla libertà a cui si contrappone un oriente dispotico e imperialista. Si pensi che l’importanza del conflitto greco-persiano è testimoniata dalla più antica, forse la prima, opera storiografica giuntaci integralmente, le Storie di Erodoto di Alicarnasso1, e dalla più antica tragedia di Eschilo2 , I Persiani, messa in scena in occasione delle Grandi Dionisie del 472 a.C.. Il dramma eschileo costituisce un inedito quanto sublime racconto della disfatta persiana dal punto di vista dei vinti e allo stesso tempo esalta l’impresa greca, in particolare ateniese, capace di aver fermato la completa realizzazione della monarchia universale di Dario e Serse. Se a seguito della vittoria greca il conflitto divenne un argomento privilegiato della letteratura, la memoria fu tenuta viva nelle successive generazioni soprattutto dai segni tangibili della distruzione metodica dei principali edifici civili e di culto perpetrata dai persiani durante il duplice assedio di Atene nel 480 e nel 479 a.C.. I persiani durante l’occupazione di Atene e dei demi dell’Attica distrussero le fortificazioni pretemistoclee3, incendiarono l’Acropoli e sottrassero statue e beni di culto, che verranno restituiti solo molto tempo dopo, in seguito alla conquista macedone dell’Impero

Nelle pagine precedenti: Vista dell’Acropoli dalla collina di Filopappo.

Achemenide. Inoltre un giuramento secondo il quale i Greci, e gli ateniesi in particolare, si sarebbero occupati della ricostruzione dei luoghi distrutti solo dopo la sconfitta definitiva del nemico barbaro fece si che la ricostruzione monumentale della città e dell’Acropoli non iniziasse prima della metà del secolo. La prima guerra Persiana il cui casus belli fu la rivolta delle città della Ionia (499-494 a.C) si concluse con la vittoria ateniese a Maratona (490 a.C.) ad opera di Milziade che a fronte di piccolissime perdite impedì la presa della città. Nel decennio tra le due guerre (490-481 a.C.) Temistocle si impose quale fautore dell’imperialismo marittimo ateniese e promotore della realizzazione del nuovo porto del Pireo e del suo centro abitato, progettato da Ippodamo da Mileto, grazie ad un uso attento e consapevole dei proventi delle miniere d’argento del Laurio. Entrambi gli schieramenti si prepararono allo scontro: Atene e altre trenta poleis greche si riunirono nella lega panellenica per far fronte all’imponente esercito di Serse. Dopo le battaglie di Capo Artemision e delle Termopili fu a Salamina (480 a.C.) che i Greci sconfissero i nemici in una battaglia che fu decisiva nell’esito del conflitto: Serse assistette alla disfatta del suo esercito dal Monte Egaleo dove aveva collocato il suo trono al di sotto di una grande tenda dalla forma piramidale. Eschilo racconta così l’episodio:

«Serse allora pianse: davanti agli occhi aveva un abisso di sciagure. Il suo trono era posto in vista dell’intero campo di battaglia, su di un’altura elevata sopra la distesa del mare; si strappò le lunghe vesti, alto si levò il suo lamento».

(Eschilo, I Persiani)

Le successive sconfitte a Platea e Micale (479 a.C.) costrinsero l’esercito persiano alla ritirata, mentre Atene divenne il simbolo della vittoria dei Greci contro i barbari elaborando un sistema di alleanze conosciute con il nome di lega Delio-attica4 e valorizzando la dimensione panellenica del suo impegno bellico. Il patrimonio urbanistico e architettonico della città era gravemente danneggiato e Temistocle si impegnò nella costruzione del poderoso circuito murario che cingeva la città in ogni sua parte e per la cui realizzazione vennero utilizzati materiali di edifici pubblici e privati distrutti durante l’invasione. Nelle fortificazioni dell’Acropoli lungo il versante Nord furono reimpiegati elementi architettonici provenienti dal pre-Partenone5 e dal vecchio tempio di Athena Polias: rocchi di colonna marmorei incompleti, tratti di trabeazione con architravi, fregi e cornici. Cimone, stratego e principale esponente del partito aristocratico, ampliò l’opera mediante la creazione delle Lunghe Mura che collegavano la città ai due porti del Pireo e del Falero, tra le quali sotto Pericle venne aggiunto un ulteriore settore

diretto al Pireo. Sempre a Cimone si deve la realizzazione delle murature isodome, in blocchi di poros, del settore sud dell’Acropoli con la creazione del terrazzamento su cui sorgerà il Partenone. I diversi interventi architettonici e urbanistici sono quindi collegati alle figure più note della scena politica del periodo; Temistocle, Cimone e Pericle. Questo consente di associare programmi edilizi a scelte determinate dall’impegno politico, dalla base di consenso o dalla propaganda del complesso sistema elettivo ateniese. In seguito all’ostracizzazione di Cimone (461-451 a.C.) l’orientamento della politica interna ed estera cambiò drasticamente; Pericle si pose alla guida dello schieramento democratico e per oltre trent’anni fino alla sua morte (429 a.C.) fu il massimo esponente della democrazia ateniese ricoprendo per quindici volte consecutive dal 444 a.C. la carica di stratego. Lo storico ateniese Tucidide, autore della Guerra del Peloponneso6, a proposito di Pericle scrive:

«Per tutto il tempo a cui fu a capo della città in periodo di pace, tenne una politica moderata e garantì la sicurezza dello Stato, che con lui raggiunge la massima grandezza».

(Tucidide, Storie, II, 65)

La pace con il Gran Re (449 a.C.) e la pace trentennale con Sparta (445 a.C.) che nei fatti durò solo quindici anni consentirono ad Atene di accrescere il proprio splendore in patria e il proprio prestigio all’estero. Il progetto di ricostruzione dell’Acropoli, associato preminentemente alla figura di Pericle, ebbe inizio a seguito della pace con la Persia portando a compimento il giuramento di quarant’anni prima e a tal fine furono impiegati i tributi7 degli alleati della lega Delio-attica. Le delibere di approvazione in merito ai programmi edilizi pubblici e dei singoli progetti erano prerogativa dell’ekklesìa, tuttavia Pericle seppe avvalersi di una cerchia di artisti di impareggiabile livello, Ictino, Callicrate, Mnesicle supervisionati da Fidia per l’elaborazione di un progetto di ricostruzione a cui appartengono il Partenone e i nuovi Propilei. Un’immagine del fervore edilizio e del messaggio che si voleva esprimere attraverso la nuova sistemazione della rocca è raccontato da Plutarco nelle Vite parallele8:

«Gli edifici salivano superbi di mole, impareggiabili in grazia di linee, poiché gli artigiani andavano a gara a superarsi l’un l’altro nella perfezione del lavoro».

(Plutarco, Vita di Pericle, 13)

Lo scoppio della guerra archidamica nel 431 a.C., i ripetuti saccheggi dell’Attica e la terribile epidemia di peste che colpì Atene nel 429 a.C. e di cui anche Pericle morì costituirono una battuta d’arresto per i cantieri cittadini e comportarono drammatiche conseguenze per la polis. Tra i cantieri sospesi e poi completati nel corso della guerra figurava anche quello del tempio di Athena Nike. La guerra proseguì fino al 421 a.C., quando tra Atene e Sparta venne stipulato un trattato di pace di cui l’artefice fu Nicia, che ponendosi in continuità con la politica conservatrice di Cimone e riprendendo le antiche tradizioni religiose intraprese la costruzione dell’Eretteo quale tempio dedicato ai culti poliadici. Il cantiere portato avanti a più riprese venne terminato nel 407 a.C.. La pace di Nicia costituì un periodo di illusoria tranquillità; Alcibiade fece la propria comparsa sulla scena politica opponendosi al rivale conservatore e nel 415 a.C. convinse l’ekklesìa ad intraprendere la spedizione in Sicilia contro Siracusa. Questa era vista da Alcibiade come l’occasione di risolvere il conflitto con Sparta e di affermare la propria figura di statista, tuttavia un episodio previo la partenza noto come «scandalo delle erme» comportò l’allontanamento dalla spedizione dello stesso Alcibiade che si recò a Sparta, ma soprattutto portò l’intera spedizione all’insuccesso. Nicia e Demostene vennero giustiziati dai siracusani e gran parte degli opliti ateniesi furono rinchiusi nelle latomie9 dove morirono di malattia e di stenti. Al disastro di Siracusa seguì l’ultima fase del conflitto nota come guerra deceleica (413-404 a.C.) che si combatté tra la Ionia e l’Ellesponto e che ancora una volta fu caratterizzata dall’inesauribile intraprendenza di Alcibiade che, rientrato ad Atene dopo il crollo del governo dei Quattrocento, la abbandonò di nuovo a seguito della sconfitta di Nozio (407 a.C.). L’ultimo grande successo ateniese fu la vittoria alle isole Arginuse (406 a.C.) a cui però seguì un autolesionistico processo nei confronti dei generali vincitori accusati di omissione di soccorso, mentre gli spartani guidati da Lisandro e forti del sostegno della Persia ricostruirono la loro flotta con cui sbaragliarono quella ateniese ad Egospotami10 (405 a.C.). Solo a seguito del processo contro il demagogo Cleofonte e ormai stremata dal lungo assedio, Atene accettò le dure condizioni di pace (404 a.C.): la città non fu distrutta e i suoi abitanti non vennero deportati, tuttavia dovette abbandonare ogni suo possedimento, cedere la flotta superstite, abbattere le Lunghe Mura e accogliere gli esuli oligarchici che instaurarono un regime noto come «regime dei trenta tiranni» sancendo così la fine del primato marittimo ateniese e lo scioglimento della lega Delio-attica.

Nelle pagine successive: Tavola (I) con inquadramento territoriale di Atene, V secolo a.C.. In evidenza le Lunghe Mura, i Porti del Pireo e del Falero, il Golfo Saronico, i fiumi Ilisso e Cefiso.

Κηφισός

(Ce so)

(Pireo)

Σαρωνικός κόλπος

(Golfo Saronico)

 (Lunghe Mura Settentrionali) (Lunghe Mura Meridionali) (Atene)

Iλισός

(Ilisso)

(Falero)

«Stupiscono le opere di Pericle, create in breve e durate lungo spazio di tempo. Ciascuna per la sua bellezza allora era immediatamente antica; oggi, dopo molto tempo, è recente, nuova e rigogliosa. Sulle opere di Pericle fiorisce come una giovinezza perenne; esse si conservano allo sguardo indenni dal tempo, quasi posseggano infuso un respiro sempre fresco e un’anima che non conosce vecchiezza».

(Plutarco, Vita di Pericle, 13)

L’Acropoli di Atene è, nella cultura occidentale ed europea, l’immagine per eccellenza, trasposizione architettonica e sistemazione urbanistica legata alla particolare orografia del colle che domina la polis, della civiltà che va dalla fine delle guerre persiane (479 a.C.) alla fine della guerra del Peloponneso (404 a.C.) e che corrisponde alla fase più alta dell’età Classica. Questo periodo storico si è caratterizzato come un fenomeno di lunga durata di cui l’architettura ateniese classica è un aspetto visibile e tangibile accanto a cui altri aspetti altrettanto importanti, ma non visibili, hanno trovato compimento: la nascita e l’affermazione della tragedia e della storiografia, la sistematizzazione della filosofia, di nuovi organismi politici e istituzioni, la rappresentazione naturalistica della figura umana. Conseguentemente una comprensione piena e profonda dell’architettura di quel periodo è possibile solamente considerandola come una parte del tutto e quindi in stretta relazione con il contesto culturale e politico in cui viene costruita e che è caratterizzato dall’affermazione sulla scena della vita pubblica di eminenti figure di cui quella di Pericle è la più legata agli interventi sull’Acropoli. Lo stesso Pericle vide nella ricostruzione monumentale dell’Acropoli un’iniziativa politica altamente simbolica tanto da chiamare a sé i migliori artisti del suo tempo per la realizzazione degli edifici a cui volle legare il suo nome: il Partenone e i Propilei. Dalla fortuna

Nelle pagine precedenti: Vista del Partenone dalla collina di Filopappo.

Nella pagina accanto: Vista di Atene attraverso i Propilei.

e dall’influenza che questi ebbero e hanno ancor oggi, sembrerebbe che la figura di Pericle si sia legata all’intera sistemazione del complesso e alla sua considerazione quale città ideale come racconta lo storico romano Plutarco nella biografia dello stratega ateniese, scritta tra il I e il II secolo d.C.. Erano passati cinque secoli, molti interventi furono portati avanti eppure la forza e la bellezza delle opere periclee apparivano giovani, capaci di incarnare lo spirito (zeitgeist) del V secolo a.C. senza per questo invecchiare. Per quanto risulti affascinante pensare che l’intera sistemazione dell’Acropoli sia volontà di un uomo solo in nome di tutto il popolo, gli scavi delle diverse campagne archeologiche intraprese a partire dall’unificazione dello stato greco nel 1829, i successivi restauri e lo studio delle fonti antiche si oppongono a questa visione romantica che trovò nell’architetto tedesco Karl Friedrich Schinkel il principale sostenitore. Schinkel progettò nel 1832 per il principe bavarese Otto von Wittelsbach, divenuto Re di Grecia, il Palazzo Reale nella capitale del nuovo stato proprio sull’Acropoli subordinando la sua architettura ai Propilei, all’Eretteo e al Partenone, ovvero ai principali edifici periclei che si presentavano nella loro veste di rovine. Il progetto, altamente simbolico, non fu mai realizzato soprattutto per l’indigenza economica in cui versava il neonato stato greco, ma l’intenzione di costruire la sede del potere statale nel luogo più emblematico della città non fu una prerogativa esclusiva di Schinkel. Infatti in almeno due occasioni precedenti la collina dell’Acropoli fu sede del potere politico: nel XIII secolo a.C quando alla fine dell’età del bronzo fu costruito il mégaron, edificio simbolo della cultura micenea, e il primo muro di fortificazione costituito da un doppio paramento in opera ciclopica con emplekton e tra il XII e il XV secolo d.C. quando sotto il ducato di Atene11 i Propilei furono trasformati nel Palazzo Ducale e il Partenone in una chiesa dedicata alla Vergine Maria. Nel 1436 una ventina d’anni prima della conquista ottomana Ciriaco d’Ancona12 visitò il palazzo dei Duchi di Atene che chiamò correttamente Acropoli e riconobbe nella chiesa di Santa Maria «il meraviglioso tempio marmoreo della dea Athena, opera divina di Fidia». A Ciriaco d’Ancona, padre dell’archeologia, si deve inoltre il primo disegno del Partenone (Codice Hamilton 254, fol. 85r, 1442-1443, Staatsbibliothek Berlin) e la prima descrizione dell’Acropoli e dello stato in cui versavano gli edifici antichi.

«Giunsi ad Atene. Ho visto delle enormi mura distrutte dal tempo e, sia in città sia nelle campagne circostanti, edifici in marmo di straordinaria bellezza, case, templi e numerose statue eseguite da artisti di prim’ordine e grandiose colonne, ma tutte queste cose non formavano che un vasto ammasso di rovine».

Ciriaco descrisse un paesaggio con antiche rovine classiche e sono proprio le rovine dell’antichità classica a delineare la modernità e il suo immaginario architettonico al fine di ricostruire nella contemporaneità il mito dell’antico e di riproporre i suoi valori eterni. Era questo l’obiettivo del progetto di Schinkel per il Palazzo di Ottone di Grecia o del suo contemporaneo Leo von Klenze negli edifici di Monaco di Baviera per Ludovico I, re di Baviera e padre di Ottone. Sempre a Leo von Klenze si deve un dipinto (olio su tela; 102,8x147,7 centimetri) del 1846 e conservato nella Neue Pinakothek di Monaco raffigurante la ricostruzione dell’Acropoli e dell’Areopago secondo una visione romantica che porta alla concezione di quel luogo come città ideale, traslitterazione in chiave architettonica della città degli dei. L’Acropoli è quindi lo spazio sacro della città legato al culto di Atena, dea eponima e protettrice della polis, e dei miti e degli eroi fondatori, ma divenne tale a partire dal VII secolo a.C. in età arcaica segnando così il passaggio dalla civiltà micenea a quella greca. Nel corso del VI secolo a.C (560 ca.) il tiranno Pisistrato costruì il primo tempio periptero esastilo dorico, in poros del Pireo, in onore di Atena e che per via della sua lunghezza di cento piedi assunse il nome di Hekatompedon e di cui si conservano nel Museo dell’Acropoli i gruppi frontonali. Sulla collocazione del tempio gli studiosi sono divisi: secondo alcuni (Dörpfeld tra tutti, 1919) il tempio potrebbe aver sostituito il tempio geometrico di Athena Polias, per essere poi smantellato per far posto al tempio pisistratide di Athena Polias; secondo altri (Dinsmoor, 1947; Travlos, 1971; Korres, 1997) sarebbe sorto nell’area del futuro Partenone e sarebbe stato demolito sul finire del VI secolo a.C. per far posto al podio di fondazione del pre-Partenone e proprio questa seconda ipotesi è quella che convince maggiormente. A Pisistrato si deve anche il tempio periptero esastilo dorico di Athena Polias che si ergeva sulle fondazioni scoperte da Wilhelm Dörpfeld nel 1885 e che portano il suo nome. Il tempio venne distrutto nel 480 a.C. durante l’assedio dei Persiani. Sempre a Pisistrato o molto più plausibilmente ai suoi successori, Ippia e Ipparco, è attribuibile la costruzione del primo accesso monumentale all’Acropoli, il Propylon, la cui struttura riparata dopo la distruzione del 480 a.C. fu obliterata dai successivi Propilei mnesiclei. Negli ultimi anni del VI secolo a.C. (505 ca.) il tempio pisistratide apparve agli occhi della nuova democrazia di Clistene una testimonianza troppo ingombrante del vecchio regime tirannico; per questo si decise di costruire al suo posto un nuovo tempio in poros di cui fu realizzato solo il basamento. A seguito della vittoria a Maratona per onorare la promessa fatta ad Atena, dea protettrice della città, la costruzione in poros venne interrotta per una struttura monumentale interamente in marmo del Pentelico. Il nuovo tempio, noto come pre-Partenone, sorse dunque sul basamento del tempio mai ultimato, ma anch’esso non fu completato a causa dell’occupazione

persiana della città nel 480 a.C. e poi rinnovata nel 479 a.C.. Ciò che si salvò dall’incendio e dalla distruzione perpetrata dai persiani fu impiegato da Temistocle nella realizzazione delle mura settentrionali dell’Acropoli al fine di lasciare ben visibili le tracce del sacrilegio persiano. Inoltre il seppellimento rituale, noto come colmata persiana, di oggetti votivi, statue e frammenti architettonici reimpiegiati come fondamenta per le nuove fortificazioni costituì un momento di scarto fondamentale nella storia dell’arte greca e dell’Acropoli. Il loro rinvenimento negli scavi del 1863 e del 1884-1888 offrì agli storici un quadro singolarmente completo dell’arte greca nell’Attica dal primo terzo del VI ai primi decenni del V secolo a.C. Oggi questi oggetti costituiscono il principale nucleo di opere del Museo dell’Acropoli e sono esposte al primo piano dell’edificio nell’allestimento di Bernard Tschumi13 . Dell’importanza delle guerre persiane si è scritto nel capitolo precedente, ma è bene ricordare come esse sancirono la fine dell’età arcaica e l’inizio dell’età classica e di come, secondo un giuramento fatto dagli ateniesi, la ricostruzione monumentale della città dovesse iniziare solo a seguito della sconfitta definitiva del nemico barbaro. Questa fu sancita nel 449 a.C. con la pace del Gran Re e i trent’anni che separarono la fine della seconda guerra persiana dalla pace con l’impero costituirono per la sorte monumentale dell’Acropoli una lunga battuta d’arresto. Infatti l’opera di Temistocle e di Cimone fu rivolta soprattutto alla costruzione del poderoso circuito murario che cingeva la città, e alla creazione delle Lunghe Mura che la collegavano ai due porti del Falero e del Pireo e del suo nuovo centro abitato progettato da Ippodamo da Mileto. Cimone realizzò anche le murature isodome in blocchi di poros del settore meridionale dell’Acropoli con lunghi tratti rettilinei e la creazione di un terrazzamento che diverrà lo spazio adeguato per la costruzione del Partenone. Fu con Pericle che iniziarono i lavori degli edifici monumentali; infatti lo stratega ateniese fece approvare dall’ekklesìa i progetti degli artisti, supervisionati da Fidia, che aveva coinvolto nella ricostruzione e che appartenevano al suo circolo intellettuale. Plutarco raccontò nella vita di Pericle del fervore edilizio e della superba maestria degli artigiani che lavoravano sull’Acropoli e della rapidità come prima di allora non si era mai vista con cui venivano portati avanti i lavori, grazie anche all’uso dei fondi del tesoro della lega Delio-attica. Il primo dei monumenti realizzati fu il Partenone, i cui lavori durarono dal 447 al 437 a.C. per l’architettura, mentre i gruppi frontonali furono conclusi nel 432 a.C.. Il ruolo di Fidia nel progetto fu centrale e fu affiancato da due architetti, Ictino e Callicrate. Il tempio periptero ottastilo di ordine dorico, è realizzato interamente in marmo pentelico e nella sua costruzione si è fatto largo uso di

Nella pagina accanto: Vista del muro della cella e delle colonne della peristasi del lato nord del Partenone.

correzioni ottiche: dall’entasis alla curvatura dello stilobate, all’inclinazione delle colonne della peristasi e della trabeazione, all’ingrossamento della colonna angolare. L’adozione di un’insolita soluzione ottastila periptera, con una conseguente larghezza della cella pari a cinque interassi, permise di disporre di uno spazio eccezionalmente largo, accessibile mediante un portale ai lati del quale si aprivano ampie finestre. La cella venne articolata all’interno da un colonnato di ordine dorico su due livelli con dieci colonne sui lati lunghi e cinque intorno alla statua crisoelefantina, alta 12 metri, di Athena Parthenos di Fidia, autore anche della statua in bronzo di Athena Promachos14 che sorgeva tra i Propilei e il Partenone. Dall’Opistodomo si aveva accesso alla cella occidentale, che dalle iscrizioni viene identificata come thesauros15, e in cui quattro colonne forse ioniche, sostenevano la copertura. Proprio per via di queste iscrizioni, unite al fatto che non fosse testimoniata in alcun modo la presenza né di un altare né di un sacerdote del culto di Athena Parthenos, si ipotizza che la destinazione del Partenone fosse quella di un tempio-tesoro in cui accogliere le dediche e i doni più pregiati del santuario di Atena. L’apparato scultoreo e decorativo del tempio, un tempo sottolineato da una vivace policromia, comprendeva, oltre alla statua, le metope del fregio dorico esterno16, del fregio ionico interno17 e i gruppi scultorei frontonali conosciuti come marmi di Elgin18 e oggi conservati al British Museum19 . Nel 437 a.C., finiti i lavori relativi all’architettura del Partenone, venne aperto il cantiere dei nuovi Propilei su progetto di Mnesicle, volto a dotare l’area di un accesso adeguato alla nuova immagine del sito. Il complesso, orientato come il Partenone, è una struttura articolata, realizzata in marmo pentelico con inserti in pietra nera di Eleusi, che per la prima volta affronta l’integrazione di elementi a scala diversa in un unico organismo risolvendo anche le difficoltà dovute all’orografia del versante occidentale su cui sorge. La planimetria comprendeva un nucleo centrale, anfiprostilo esastilo dorico, articolato in due vani separati da un muro nel quale si aprivano cinque passaggi di altezza decrescente di cui quello centrale più ampio attraversato dalla rampa che conduceva dal peripatos all’area sacra e lungo cui venivano portati gli animali per i sacrifici. Al corpo centrale erano legate le ali nord e sud, entrambe rivolte verso la rampa e caratterizzate da un prospetto tristilo in antis, e che fungevano rispettivamente da «pinacoteca» e da vestibolo d’accesso al tempio di Athena Nike. Il progetto prevedeva altri ambienti al di là di quelli sopra menzionati, ma a seguito dei Decreti di Callia venne ridimensionato; la costruzione fu interrotta e aspetti di non-finito sono presenti in tutto l’edificio (metope e frontone non scolpiti, bugne di

Nella pagina accanto: Vista del Tempio di Athena Nike dai Propilei

sollevamento dei blocchi). Contestualmente alla realizzazione dei Propilei vennero intraprese trasformazioni anche nei santuari di Artemide Brauronia e di Athena Nike per cui un’iscrizione del 449-448 a.C. prevedeva la sistemazione mediante la costruzione di un altare in pietra e di un tempio anfiprostilo tetrastilo ionico interamente in marmo pentelico. Il progetto, attribuito a Callicrate, non iniziò prima del 432 a.C. e venne interrotto a causa dello scoppio della guerra archidamica per essere poi ripreso e concluso nel 425 a.C.. Il tempio che sorge su un bastione di blocchi isodomici in poros del Pireo, è sollevato su una crepidine di tre gradini ed è caratterizzato da un unico ambiente fondente pronao e cella il cui accesso era delimitato da pilastri a sezione rettangolare e da cancellate bronzee. Per via della sua particolare soluzione planimetrica si è ritenuto il tempio di Athena Nike un caso relativamente isolato nel panorama dell’architettura attica del V secolo a.C. il cui unico raffronto sarebbe stato il tempio sull’Ilisso, probabilmente ascrivibile allo stesso architetto. Studi recenti (Korres, 1996) sulla base del confronto dei materiali sporadici rinvenuti ad Atene con il Tempio di Athena Nike mostrano come l’architettura ionica del V secolo a.C. si sia resa indipendente dai modelli cicladici iniziali producendo soluzioni riconoscibili come propriamente attiche. Lo scoppio della guerra archidamica, i continui saccheggi dell’Attica da parte degli Spartani e soprattutto la peste che colpì Atene nel 429 a.C. ebbero conseguenze tragiche per la polis e i cantieri dell’Acropoli che vennero bruscamente interrotti. Nel 429 a.C. sempre a causa della peste morì anche Pericle, il principale fautore della ricostruzione monumentale dell’Acropoli e di un lungo periodo di pace per la polis, non prima di essere stato accusato di malversazioni e condannato. La guerra proseguì fino al 421 a.C., quando tra Atene e Sparta venne stipulato un trattato di pace di cui l’artefice fu Nicia, che ponendosi in continuità con la politica conservatrice di Cimone e riprendendo le antiche tradizioni religiose intraprese la costruzione, affidata a Filocle di Acarne, dell’Eretteo, tempio dedicato al culto di Athena Polias e Poseidone-Eretteo, ma anche ai miti originari della storia della polis. Il cantiere venne aperto immediatamente nel 421 a.C. per proseguire fino al 415-413 a.C. quando venne interrotto a causa dell’esito funesto della spedizione in Sicilia per essere infine concluso nel 409-407 a.C.. La complessa e irregolare organizzazione planimetrica dell’edificio, memore del tempio pisistratide di Athena Polias, risponde, oltre che alla difficile orografia del sito, alla concentrazione di culti e di attestazioni sacre costituendo un complesso di strutture più che un singolo edificio. Il tempio,

Nella pagina accanto: Vista della loggia delle Cariatidi dell’Eretteo

realizzato in marmo pentelico con inserti in pietra nera di Eleusi, consisteva in un corpo principale suddiviso in due aree riproponendo la suddivisione spaziale della cella del tempio di Athena Polias, separate tra loro e poste a una quota differente, ma mantenendo un aspetto unitario grazie alla trabeazione che corre lungo tutto il perimetro e alla copertura unica. La cella orientale è dedicata ad Atena e vi si accede tramite un pronao esastilo ionico che introduce a un ampio portale inquadrato da finestre; mentre il fronte ovest presenta al di sopra di un alto basamento quattro semicolonne ioniche addossate a pilastri e racchiuse tra ante. Sul lato nord in corrispondenza dell’accesso del vestibolo ovest e in posizione decentrata si trova addossato un portico tetrastilo ionico, mentre sul lato opposto, a sud, si trova la loggia delle cariatidi che prende il nome dalle figure femminili, figlie di Cecrope dedite al culto di Atena, che sorreggono una semplice copertura piana. L’Eretteo le cui forme tra conservazione e decorativismo sono marcatamente diverse da quelle del classicismo ionico di età periclea, fu l’ultimo edificio costruito sull’Acropoli nel V secolo a.C.. Da allora non vennero eretti altri importanti edifici almeno fino al I secolo d.C. quando fu costruito sul lato orientale del Partenone il tempio circolare monoptero in marmo pentelico dedicato a Roma e ad Augusto20. La data di costruzione del tempio è stata fissata al 27 a.C. per via di un’iscrizione riportante la dedica all’imperatore Augusto e sulla base di raffronti stilistici dell’ordine adottato, vera e propria riproposizione dell’ordine ionico dell’Eretteo che venne restaurato l’anno precedente. L’unico intervento sull’Acropoli di età adrianea fu la costruzione, accanto alla statua di Fidia, di una statua dell’imperatore Adriano ad indicare la natura divina dell’imperatore ma anche l’unione della civiltà greca e di quella romana. In età Ellenistica gli unici interventi del periodo sono dovuti all’evergetismo dei sovrani attalidi Eumene II e Attalo II che per celebrare le proprie vittorie nelle gare delle Grandi Panatenee eressero due monumenti celebrativi, uno (pilastro monumentale con quadriga poi dedicato ad Agrippa nel corso del I secolo a.C.) in contrapposizione al tempio di Athena Nike e uno all’angolo nord-est del Partenone; mentre lungo il muro meridionale vennero collocati quattro gruppi scultorei bronzei21 noti come Piccolo Donario. I pilastri dell’Acropoli oltre che essere ricordo delle vittorie dei membri della famiglia reale pergamena rappresentavano efficacemente lo stretto legame tra le città di Atene e Pergamo. L’ultimo intervento ancora presente e di cui si fa menzione è quello della porta con due torrioni laterali che Flavio Settimio Marcellino innalzò ai piedi dei Propilei dopo l’invasione degli Eruli del 267 d.C. e che nel 1852 fu dissepolta dal francese Charles Ernest Beulé. Delle sistemazioni delle successive occupazioni (Impero Bizantino, Ducato di Atene, Impero Ottomano) infatti rimangono pochissime testimonianze archeologiche poiché a seguito dell’indipendenza dello stato greco (1829)

si decise di liberare l’Acropoli da ogni costruzione franca e turca per iniziare una serie di lunghi e minuziosi scavi archeologici a cui seguì sotto la direzione dell’architetto greco Nikolaos Balanos il restauro dei monumenti che ancora oggi prosegue sotto la soprintendenza dell’ YSMA22 .

«Ma ogni residua rovina non è solo documento di un’illustre storia; spesso e ancor più essa ci avverte, dal Partenone ai Propilei, dall’Eretteo al teatro, che qui il genio ateniese creò modelli per i secoli. E contemplandola, tanto maggiore ammirazione suscita questa sublime ascesa della civiltà e dell’arte quando si pensa che all’alba della preistoria la sacra roccia dell’Acropoli fu, come un qualsiasi luogo della terra, dimora materiale della più modesta vita umana».

(Alessandro Della Seta, Enciclopedia Italiana, 1929)

Nelle pagine successive: Vista dell’Eretteo.

Il principio compositivo di alcuni dei più noti complessi architettonici della Grecia antica dal VII al II secolo a.C., tra cui l’Acropoli di Atene, apparentemente casuale e non riconducibile allo schema ortogonale di Ippodamo di Mileto, fu oggetto di ricerca di Constantinos Doxiadis che dedicò all’argomento la propria tesi di dottorato, presso l’università politecnica di Berlino, dal titolo Architectural Space in Ancient Greece (1937) che diverrà parte integrante nei suoi studi relativi «alla città greca e antica e alla città del presente»23. Doxiadis sosteneva che la disposizione nello spazio degli edifici fosse basata sulla percezione umana e che il fattore decisivo della pianificazione fosse proprio il punto di vista umano, che percepisce la sequenza e la presenza degli edifici nel mentre questi vengono attraversati.

«L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono».

(Platone, Teeteto)

La città non è un organismo statico, ma dinamico che risente dei mutamenti e degli sviluppi che le condizioni temporali comportano, e in cui gli edifici non sono oggetti isolati, ma parti di un paesaggio urbano in continuo progredire. Doxiadis analizzando le planimetrie, le fotografie e i disegni di trenta città, mediante il confronto delle tipologie e facendo ricorso alla matematica, giunse alla determinazione del principio compositivo denominato polare/ radiale, per cui da un unico punto di vista, corrispondente all’ingresso del sito, lo spettatore avrebbe potuto esercitare il controllo visuale sull’intera composizione con la definizione di una vera e propria equazione che si sarebbe potuta applicare nella progettazione contemporanea in aperta critica con l’approccio del movimento moderno e in particolare della Ville contemporaine di Le Corbusier.

Nella pagina accanto: Tavola (II) degli studi compositivi sull’Acropoli di Constantinos Doxiadis.

I. Planimetria Acropoli di Atene, circa 530 a.C.

II. Planimetria Acropoli di Atene, circa 480 a.C.

II. Planimetria Acropoli di Atene, post 450 a.C.

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L’analisi di Doxiadis è incentrata soprattutto sui recinti sacri e i templi in quanto sono gli edifici meglio conservati della Grecia antica e che applicano al meglio il principio compositivo di cui si vogliono rintracciare le leggi; tuttavia non mancano studi riferiti ad altri spazi della città, agli edifici secolari (agorà di Magnesia, Mileto e Pergamo) in quanto tale principio compositivo, per l’autore, si porrebbe alla base dell’intera pianificazione urbana. Degli studi planimetrici rivelatori del principio compositivo, quello dell’Acropoli ateniese, è senza dubbio il più noto e il più articolato dal momento che l’organizzazione dello spazio architettonico dell’Acropoli si sviluppa in tre fasi, dall’età di Pisistrato e dei suoi successori all’età di Pericle quando si intraprese la ricostruzione monumentale del complesso concepito come un’organismo unitario. Un’analisi matematica mostra le relazioni tra gli angoli di visione e le distanze tra gli edifici le cui misurazioni vengono prese dai Propilei che si configurano come la prima e più importante posizione dalla quale l’intero sito può essere osservato. Gli archi di un cerchio sono descritti da questo punto agli angoli degli edifici e la loro posizione è determinata da una divisione dello spazio in sei o dodici parti, oppure dagli angoli e dai lati di un triangolo equilatero, forma geometrica che i pitagorici associavano ad Athena. Gli edifici così disposti possono essere visti di tre quarti nella loro interezza; qualora ciò non fosse stato possibile l’edificio sarebbe stato nascosto da un altro e proprio poiché il sistema era totale anche i vuoti, di cui quello centrale identificava la Via Sacra, unitamente alle masse costituivano uno spazio architettonico razionale e immediatamente compreso sin dall’ingresso.

Nella pagina accanto: Dettaglio delle colonne dei Propilei.

«[Atene] ha fatto si che il nome di Greci non indichi più la razza, ma la cultura, e siano chiamati Elleni gli uomini che partecipano della nostra educazione più di quelli che condividono la nostra stessa origine culturale».

(Isocrate, Panegirico)

Il passo tratto dal Panegirico di Isocrate, retore ateniese filo-macedone, è passibile di una duplice lettura che farebbe pensare a una possibile integrazione culturale dei barbari; in quanto identificare la Grecità con la cultura, e quindi con qualcosa di acquisibile, piuttosto che con l’elemento etnico, sembrerebbe anticipare il concetto di Ellenismo, termine coniato nell’Ottocento da Johann Gustav Droysen24 per indicare quella civiltà che va dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla battaglia di Azio25 (31 a.C.) o addirittura sino all’affermazione del cristianesimo nel III-IV secolo d.C. in cui la cultura e la lingua greca, fuse con quelle dell’Oriente e dell’Occidente, sono l’elemento unificante di un mondo la cui organizzazione politicoterritoriale e culturale è estremamente diversa da quella del V secolo a.C.. D’altra parte il passo isocrateo sembra sottolineare il fondamentale contributo ateniese all’elaborazione del concetto di Grecità, proprio grazie al livello raggiunto dalla cultura ateniese nel V-IV secolo a.C., che viene così percepito più come un fatto culturale che un fatto etnico. Proprio in virtù di questa considerazione Isocrate, al contrario di Demostene26, si rivolse a Filippo II di Macedonia27, appartenente alla dinastia degli Argeadi28 che si vantavano discendenti di Ercole e sostenevano di trarre origine dalla città di Argo, come «benefattore dei Greci, re dei Macedoni e signore dei barbari» vedendo in lui il solo capace di istituire una lega Panellenica per liberare le città greche d’Asia minore dal dominio persiano. Il regno di Macedonia fu, almeno fino alla III guerra sacra (356-346 a.C.), marginale nel mondo greco, ma la politica espansionistica e il rafforzamento economico e militare intrapreso da Filippo II, attraverso un redditizio sfruttamento delle miniere d’oro del territorio, lo portarono, a seguito della

Nelle pagine precedenti: Archi delle sostruzioni della parete di fondo della Stoà di Eumene II.

pace di Filocrate (346 a.C.), a sottomettere le poleis sulla costa dell’Egeo e della Grecia continentale. La minaccia costituita da Filippo II per l’indipendenza delle città greche, denunciata a più riprese da Demostene nelle quattro Filippiche, si concretizzò nella IV guerra sacra (339-338 a.C.) in cui l’esercito macedone sconfisse nella battaglia di Cheronea (338 a.C.) l’alleanza anti-macedone formata da Atene e Tebe costringendole alla resa. Filippo II morì nel 336 a.C. e il comando generale della Lega Panellenica passò a suo figlio Alessandro III, meglio noto come Alessandro Magno, che educato alla greca da Aristotele, si lanciò alla conquista dell’Impero persiano che sconfisse a Isso nel 333 a.C. e a Gaugamela nel 331 a.C. costringendo alla fuga il Gran Re Dario III poi ucciso dal satrapo di Battriana e riconsegnando, in segno di vittoria, ad Atene il gruppo scultoreo dei Tirannicidi, trafugato da Serse durante la seconda guerra persiana e trecento tra le armature nemiche più belle da esporre sull’Acropoli in onore dei caduti alle Termopili. Alessandro Magno, sottomesso l’Impero achemenide e conquistati i territori della valle dell’Indo, fondò un nuovo impero basato sulla fusione della cultura greca e macedone con quella persiana e si presentò ai suoi sudditi come legittimo successore del Gran Re e come monarca universale, ispirato dalla divinità, a cui tributare onori e rendere omaggio alla maniera orientale (proskýnesis), causando così tra i Greci e i Macedoni grande insoddisfazione e diversi tentativi di insurrezione e rivolta, che, a seguito della sua morte (323 a.C.), avvenuta in maniera del tutto improvvisa nel pieno dei preparativi della spedizione per la conquista dell’Arabia, sfociarono in un periodo di oltre cinquant’anni (323-281 a.C.) segnato dai conflitti tra i Diadochi29 e gli Epigoni per la spartizione dei territori dell’Impero. La situazione si stabilizzò solo attorno al 270 a.C. quando le conquiste di Alessandro furono spartite tra quattro regni detti «ellenistici» e retti da dinastie fondate da generali dell’imperatore; il regno di Macedonia, il regno di Siria, il regno d’Egitto e il regno di Pergamo che assurse alla dignità di regno nel 238 a.C. dopo la sconfitta inflitta ai Galati, celebrata dai gruppi scultorei eretti sull’Acropoli di Pergamo da Attalo I e dall’altare dedicato a Zeus Sotér e Athena Nikephoros30 voluto dal successore Eumene II. I sovrani Attalidi si presentarono come difensori della grecità nel quadro della lotta anti-macedone e legarono i propri progetti di ascesa ed espansione a quelli imperialistici di Roma che stava allora affermando la propria supremazia nel Mediterraneo; tanto che alla sua morte (133 a.C.) l’ultimo re di Pergamo, Attalo III, lasciò in eredità alla Repubblica Romana il regno che divenne la prima provincia romana d’Asia (129 a.C.). A rimarcare il legame tra Atene e Pergamo e la continuità nella lotta contro i barbari (persiani e galati), gli Attalidi, nel II secolo a.C. nell’arco cronologico coperto da tre re (Attalo I, Eumene II, Attalo II) intrapresero un progetto di

esaltazione politica onorando in Atene il centro tradizionale della cultura greca, e attraverso la costruzione di edifici monumentali e la donazione di opere d’arte (stoà e pilastri monumentali con quadrighe), manifestarono la volontà di abbellire l’antica polis, che durante gli anni del regno di Alessandro Magno aveva perso la propria centralità, negli spazi più rilevanti e significativi della città; l’Acropoli e l’Agorà. Lungo la pendice sud dell’Acropoli a sud-ovest del teatro di Dioniso fu costruita la Stoà di Eumene II di fronte alla quale si innalzava un pilastro con la statua del re, mentre nell’agorà lungo la via delle Panatenee quella di Attalo II con il relativo pilastro che conferì alla piazza una forma più regolare. Al termine della via delle Panatenee, l’ingresso ai Propilei, già dominato dal tempio di Athena Nike, venne arricchito dal pilastro monumentale con quadriga in bronzo di Eumene II, poi dedicato ad Agrippa nel corso del I secolo a.C., eretto per celebrare le vittorie della famiglia reale pergamena nei giochi delle Grandi Panatenee e commemorare l’Athena Nikephoros di Pergamo in chiaro rapporto di corrispondenza con Athena Nike. Questa politica venne intrapresa anche all’interno del recinto sacro del Partenone con la collocazione del pilastro monumentale (forse di Attalo II) all’angolo nord-est del tempio sotto una Nike che fungeva da acroterio della facciata principale. I gruppi scultorei bronzei, noti come Piccolo Donario, allineati lungo il muro sud dell’Acropoli e visibili anche dal basso, raffiguravano le tribù di Galati sconfitte, riproponendo alcune scene delle metope di Fidia, e riportando così all’immagine di Pergamo quale erede dell’Atene del V secolo a.C..

Nella pagina accanto: Vista del pilastro monumentale di Agrippa (già di Eumene II) dai Propilei.

Nelle pagine successive: Tavola (III) di inquadramento territoriale in cui vengono messi in evidenza i principali edifici sino alla metà del II secolo a.C..

Atene, età ellenistica, 150 a.C. circa

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