Intervento sole 24 ore l'incubo di petra (agosto 2011)

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L’incubo di Petra è sempre più concreto. Analizzando i report sul Mezzogiorno diffusi negli ultimi giorni – dalle anticipazioni del rapporto Svimez al Check Up di Confindustria – viene in mente la città perduta nel deserto, una delle otto meraviglie del mondo antico. Perché Petra rischia di diventare a breve l’unico modello possibile per il nostro Sud: vivere di rendita su uno splendido passato, nella certezza che lo sviluppo non tornerà più. E’ la stagione peggiore dal dopoguerra per il Mezzogiorno: niente crescita e ancor meno fiducia nel futuro, estinzione dell’industria e consumi fermi, crollo dell’occupazione e giovani a spasso. I dati descrivono un Mezzogiorno così depresso da diventare ciclico nelle recessioni e anticiclico, perché economicamente immobile, quando la ripresa fa correre le altre aree d’Europa. La “desertificazione” del Sud è un fenomeno ormai strutturale: fa impressione non tanto il modestissimo incremento dello 0,2% registrato nel 2010 dal PIL del Mezzogiorno contro il +1,7% del Centro-Nord, quanto il fatto che dal 2001 al 2010 l’indice della ricchezza meridionale abbia registrato un andamento medio annuo addirittura negativo (rispetto al +3,5% medio annuo del Centro-Nord). E’ il risultato della dissoluzione della gran parte di quei distretti industriali, che negli anni Novanta avevano alimentato la grande illusione che fosse iniziata la “rimonta” del Sud nei confronti del resto d’Italia. Il crollo della domanda italiana ed europea negli anni 2008-2010 è stato il colpo di grazia per molte imprese manifatturiere meridionali, che all’inizio degli anni Duemila - a causa del loro posizionamento prevalente sui punti più bassi delle filiere produttive di settori maturi – erano state già penalizzate ben più dei competitors del Nord dall’esplosione della globalizzazione e dallo sbarco massiccio in Italia dei prodotti low cost di fabbricazione orientale. Nasce proprio da questo fenomeno il crollo dell’occupazione meridionale, tornata oggi ai livelli di dieci anni fa: negli ultimi tre anni sono stati bruciati a Sud ben il 60% dei posti di lavoro persi in Italia, in un’area che ha solo il 30% degli occupati italiani. Così come affonda le sue radici nella de-industrializzazione del Sud anche un incredibile paradosso: oggi sono i giovani meridionali in possesso di una laurea - e non i ragazzi meno scolarizzati - ad imbattersi nelle difficoltà maggiori, quando cercano un lavoro. Perché negli ultimi anni è aumentato notevolmente il numero di laureati a Sud e quindi il livello medio di competenze dei giovani meridionali, che si sono diretti in massa verso gli studi universitari, mentre non è cambiata (anzi, probabilmente è peggiorata) la domanda di profili professionali da parte delle imprese meridionali. Il risultato è stato beffardo: meno lavoro per i laureati meridionali, più mismatch tra la qualità crescente della loro offerta di lavoro e la qualità decrescente delle competenze richieste dalle imprese. Di fronte all’incubo di Petra, non basterà certo il Piano per il Sud (nelle sue varie versioni) a cambiare il destino del Mezzogiorno. La principale area depressa d’Europa potrà essere salvata dal “deserto” di crescita e opportunità solo con una strategia shock, basata sull’apertura radicale dell’economia meridionale a capitali e capitani d’impresa provenienti da fuori. Ma ciò potrà avvenire esclusivamente se si agisce in modo coraggioso sulla leva fiscale, l’unica in grado di superare il terribile disincentivo rappresentato oggi dalle “condizioni di contesto” per qualsiasi imprenditore che voglia investire in un’area del Mezzogiorno. Sia sul piano politico che su quello giuridico, oggi è finalmente possibile immaginare – anche nelle stanze di Bruxelles - una “No Tax Area selettiva” a Sud: zero tasse per i nuovi investimenti industriali duraturi, ad alto valore aggiunto e con rilevante impatto sull’occupazione, abbattimento dell’intermediazione burocratica con tempi d’azione certi e procedure automatiche, contratti di lavoro flessibili legati alla produttività. Urge una battaglia politica in nome e per conto del Mezzogiorno, in Italia e in Europa: dopo dieci anni di decrescita infelice per i meridionali, il tempo dei compromessi è scaduto. Qualcuno se ne accorgerà? Francesco Delzìo fdelzio@luiss.it


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