Il mago di OZ di Paola Rodari e Nicoletta Costa

Page 1

RODARI – COSTA

L. Frank Baum


In vol o con i l c icl on e Dorothy viveva in mezzo alle grandi praterie del Kansas, nella fattoria dello zio Henry e della zia Em. Abitavano in una casa molto piccola, con una sola stanza e una specie di cantina chiamata la cantina del ciclone, dove bisognava rifugiarsi quando il vento soffiava troppo forte. “Presto Dorothy, in cantina!” gridò un giorno la zia Em, sentendo il vento del nord arrivare ululando. Dorothy afferrò il suo cagnolino Toto e stava per seguire la zia giù nella botola quando il vento colpì la casa con tutta la sua forza e la fece tremare così violentemente che la bambina si trovò seduta sul pavimento. Poi accadde una cosa molto strana. La casa girò due o tre volte su se stessa e si alzò in aria: era finita nel centro del ciclone e il ciclone la stava portando con sé, come voi potreste trasportare una piuma. Era diventato buio e il vento ululava tutt’intorno, ma dentro la casa non si stava poi male. A Dorothy sembrava di esser dondolata come un bambino nella culla. Così le venne sonno, chiuse gli occhi e si addormentò.

on t ra l a S t r e g a d el N or d c n i y h t o r o D Dorothy fu svegliata da un urlo tremendo. La casa non si muoveva più e dalla finestra entrava la luce del sole. Allora saltò giù dal letto e corse fuori. Il ciclone aveva abbandonato la casa in mezzo a una campagna verde e bellissima. Dorothy si guardò attorno e vide venirle incontro il gruppo di persone più bizzarro che avesse mai visto: erano tre omini e una donnina, che per quanto sembrassero molto vecchi erano alti circa come lei. La guardavano bisbigliando come se avessero paura, poi la donnina venne avanti, fece un inchino e le disse: “Benvenuta, o nobile maga, nel paese dei Muchkin. Ti siamo immensamente grati per aver ucciso la malvagia Strega dell’Est, liberando così il nostro popolo dalla schiavitù.” Dorothy la guardò stupefatta. “Sei molto gentile, ma dev’esserci uno sbaglio. Io non ho ucciso nessuno” disse. “La tua casa però sì” rispose la donnina, “guarda!” continuò indicando con la sua piccola mano l’angolo della casa. “Quelli lì sono i piedi della malvagia Strega dell’Est.” Dorothy guardò e, con gran spavento, si accorse che effettivamente da sotto la casa spuntavano due piedi calzati con scarpette d’argento. “Oh, mamma!” esclamò, “e adesso che si fa?” “Niente” rispose la donnina, “era una strega malvagia e ti siamo tutti molto grati di averla uccisa.

2


3


Io sono la Strega del Nord. C’erano quattro streghe nel paese di Oz: a Est e Ovest abitavano due streghe cattive, a Nord e a Sud due streghe buone. Ora, grazie a te, è rimasta solo una strega cattiva, quella dell’Ovest.” La Strega del Nord raccolse le scarpette d’argento. “Tieni” disse a Dorothy, “queste ora sono tue. Hanno un incantesimo, ma noi non sappiamo quale.” Erano bellissime, e Dorothy le prese. “Mi sapete dire come faccio a tornare a casa, nel Kansas?” chiese. I Muchkin e la strega si guardarono e scossero il capo. “Tutto il paese di Oz è circondato da un orribile deserto” disse la strega, “ho paura, mia cara, che dovrai restare qui.” Dorothy si mise a piangere e anche gli ometti cominciarono a piangere assieme a lei. Allora la Strega del Nord disse: “Non ti disperare, puoi sempre provare a chiedere aiuto al potentissimo Mago di Oz che vive nella Città di Smeraldo. Per arrivarci segui la strada lastricata di mattoni gialli, non puoi sbagliarti.” Poi la baciò forte sulla fronte, aggiunse: “Questo bacio ti proteggerà” e sparì.

r e s s a p a t n ve a p S o l a v l a Com e D or oth y s

i

Rimasta sola con Toto, Dorothy cominciò a prepararsi per il viaggio. Indossò le belle scarpette d’argento, prese un cestino di pane, chiuse a chiave la porta di casa e si mise in cammino sotto il sole splendente. Ai lati della strada gialla c’erano bellissimi campi verdi, recintati da steccati blu. Anche le case erano tutte blu e, quando Dorothy ci passava davanti, i Muchkin la salutavano con profondi inchini, riconoscenti perché li aveva liberati dalla malvagia Strega dell’Est. Quando fu sera, Dorothy venne ospitata proprio in una di queste casette e dormì in un piccolo lettino anch’esso blu. Il giorno dopo si rimise in cammino e camminò per molte ore. Poi, stanca, si fermò a riposare sul bordo della strada. Fu così che vide, infilato su un palo in un campo vicino, uno spaventapasseri fatto di vecchi vestiti riempiti di paglia. “Buongiorno!” disse lo Spaventapasseri. “Hai forse parlato?” chiese meravigliata Dorothy. “Certo, come stai?” “Bene, grazie. E tu?” domandò educatamente la bambina. “Non tanto bene, è molto noioso stare qui infilato notte e giorno. Se tu mi togliessi da questo palo te ne sarei infinitamente grato.” Dorothy allora aiutò lo Spaventapasseri a sfilarsi dal palo, poi i due si misero a chiacchierare.

4


La bambina gli raccontò del ciclone e della sua casa volata via e di dove andava e perché, e lo Spaventapasseri al sentir parlare del grande Mago di Oz le chiese: “Posso venire con te? Forse il Mago può aiutare anche me dandomi un po’ di cervello; io ho la testa piena di paglia... come faccio a pensare se non ho il cervello?” “Beh” rispose la bambina, “vieni, se ti va. Anche se il Mago di Oz non può darti il cervello non starai peggio di come stai adesso.” E insieme si rimisero in viaggio. Quando venne la sera si ritrovarono in una grande e buia foresta, dove trovarono una capannuccia di tronchi e di rami e vi trascorsero la notte.

Come D oroth y s al va i l B os c a iol o d i L a t t a Il giorno dopo ripresero a camminare, sempre seguendo la strada di mattoni gialli. A un certo punto sentirono dei lamenti. Un uomo fatto interamente di latta stava immobile come una statua accanto a un albero, la scure alzata come per dare un colpo al tronco. “Sei tu che ti lamenti?” chiese Dorothy. “Sì” rispose l’uomo di latta. “Possiamo fare qualcosa per te?” domandò la bambina. “Cerca nella mia capanna un barattolo d’olio e ungimi le giunture, sono così arrugginite che non posso più muovermi” rispose lui. E Dorothy così fece. Il Boscaiolo di Latta lentamente si mosse, emise un sospiro soddisfatto, abbassò la scure e la ringraziò: “Come siete capitati da queste parti?” chiese. Dorothy raccontò di nuovo la sua storia e, com’era successo con lo Spaventapasseri, anche il Boscaiolo di Latta chiese subito: “Posso venire con voi alla Città di Smeraldo? Forse il Mago di Oz può darmi un cuore.” “Non sarà più difficile che dare un cervello allo Spaventapasseri” rispose Dorothy, “vieni pure con noi.” Mentre riprendevano il cammino il Boscaiolo si mise a raccontare com’era diventato tutto

5


di latta: “Una volta ero un boscaiolo in carne e ossa, finché non mi innamorai di una bellissima ragazza Muchkin. Quella ragazza viveva con una vecchia e questa non aveva nessuna intenzione di darla in sposa, perché voleva che l’aiutasse con i lavori di casa. Così la vecchia andò dalla Strega dell’Est che fece un incantesimo alla mia scure. La prima volta che la usai mi tagliai una gamba. Non mi persi d’animo, andai da un fabbro che mi costruì una gamba di latta. Dopo un po’ la scure stregata mi staccò l’altra gamba, ma anche questa volta me ne feci fare una nuova. Per farla breve, pezzo per pezzo ho perso tutto il corpo, testa compresa, e me ne sono fatto costruire uno nuovo, di latta. Con questo corpo posso lavorare bene, ma purtroppo non ho più il cuore. Finché ero innamorato ero l’uomo più felice della terra, ma ora non riesco ad amare più: non si può, senza un cuore. Per questo desidero chiederne uno al Mago di Oz.” Dorothy, Toto e lo Spaventapasseri lo avevano ascoltato con grande attenzione. “Malgrado tutto io preferisco chiedere un cervello” disse lo Spaventapasseri, “uno sciocco non sa cosa farsene del cuore, anche se ce l’ha.” “Io invece chiederò un cuore” ribatté il Boscaiolo di Latta, “perché il cervello non ti rende felice e la felicità è la cosa più importante del mondo.”

Il Le on e Vi gl ia c co Mentre camminavano nella foresta sempre più fitta, sentirono un tremendo ruggito, e un attimo dopo un grande leone piombò in mezzo alla strada. Con due zampate mandò lo Spaventapasseri e il Boscaiolo di Latta a rotolare lontano. Toto, coraggiosissimo, gli corse incontro abbaiando. Il leone stava per azzannarlo, quando Dorothy si mise in mezzo e lo colpì sul naso con uno schiaffo: “Vergogna! Un bestione grande e grosso come te mordere un cagnolino! Sei proprio un vigliacco!” “Lo so” disse il Leone chinando il capo vergognoso. “L’ho sempre saputo, ma che ci posso fare? Tutti gli animali pensano che io sia pieno di coraggio e quando ruggisco scappano. Ma in realtà io ho sempre tanta paura.” “Vieni con noi alla Città di Smeraldo dal grande Mago di Oz” gli consigliò allora il Boscaiolo di Latta. “Io gli chiederò un cuore, lo Spaventapasseri un cervello, Dorothy la strada per il Kansas e tu potresti chiedergli un po’ di coraggio.” “Poi potresti aiutarci a tener lontano le bestie feroci” disse Dorothy. “Io dico che sono ancora più vigliacche di te se si lasciano spaventare tanto facilmente.” “È vero” rispose il Leone, “ma questo non mi rende più coraggioso. Non sarò mai felice sapendo di essere un vigliacco. Verrò con voi.”

6


7


Camminarono tutto il giorno e la notte si accamparono ancora una volta nella foresta. Il mattino dopo si trovarono presto davanti un burrone profondo. Le pareti erano ripidissime e il fondo costellato di pietre aguzze: sembrava proprio che il loro viaggio dovesse finire lì. “Cosa facciamo adesso?” chiese Dorothy disperata. “Io forse posso saltare dall’altra parte portandovi uno per volta” propose il Leone Vigliacco. “La cosa mi fa davvero paura, ma ci proverò. Chi viene per primo?” “Io” disse lo Spaventapasseri, “perché se tu non dovessi farcela Dorothy nella caduta potrebbe morire e il Boscaiolo di Latta si ammaccherebbe tutto; a me invece non può succedere proprio nulla.” Per fortuna invece il Leone saltò senza problemi e uno alla volta li portò tutti al di là del burrone.

L a c icog n a g e n t i l e s al va l o S p a v e n t a p a s s e ri Si rimisero quindi in cammino, fino a che giunsero davanti a un nuovo ostacolo: un ampio fiume li separava dalla strada di mattoni gialli, che vedevano continuare al di là delle sue acque veloci. “E adesso come facciamo ad attraversarlo?” chiese Dorothy. “Non è difficile” disse lo Spaventapasseri, “il Boscaiolo di Latta ci costruirà una zattera.” Fabbricare una zattera richiedeva tempo. Mentre il Boscaiolo lavorava, Dorothy trovò un albero pieno di frutta succulenta, ne fece una scorpacciata, poi si addormentò. Il mattino seguente erano pronti per la traversata.


Sulle prime tutto andò bene, ma quando furono in mezzo al fiume la corrente cominciò a spingerli sempre più lontano dalla strada di mattoni gialli. L’acqua era profonda e i pali con cui spingevano la barca facevano fatica a toccare il fondo. A un certo punto lo Spaventapasseri spinse il suo palo con tanta forza che questo si conficcò nel fango. Prima che potesse districarlo, la zattera fu spinta lontano e lui si trovò aggrappato al palo in mezzo al fiume. “Addio!” gridò, e pensò al suo triste destino: prima piantato da solo in mezzo a un campo e adesso addirittura in mezzo a un fiume. La corrente intanto trascinava via la zattera, lo Spaventapasseri era sempre più lontano e così anche la strada di mattoni gialli. “Bisogna far qualcosa!” si decise il Leone. Balzò in acqua e si mise a nuotare trascinando la zattera verso la riva, mentre il Boscaiolo di Latta lo teneva per la coda e Dorothy usava un palo per spingere. In questo modo, con grande fatica, riuscirono a raggiungere una spiaggia. Seduti a riva, guardavano sconsolati lo Spaventapasseri quando si posò accanto a loro una cicogna: “Chi siete e dove andate?” domandò. “Io sono Dorothy” rispose la bambina, “e questi sono i miei amici: il Boscaiolo di Latta e il Leone Vigliacco. Stiamo andando alla Città di Smeraldo.” “Questa però non è la strada giusta” ribatté la Cicogna. “Lo sappiamo” disse Dorothy, “ma abbiamo perso lo Spaventapasseri, appeso a un palo laggiù, in mezzo al fiume e non sappiamo come fare per recuperarlo.” “Se non è troppo pesante ve lo riporterò io” disse la Cicogna e volò verso il centro del fiume. Lo Spaventapasseri, fatto di paglia com’era, non pesava certo molto, così la gentile Cicogna lo portò a riva sano e salvo.


Il c a m p o d i p a p a ve ri vel e n os i Dopo averla ringraziata, i cinque viaggiatori si rimisero in cammino. Ben presto si trovarono a camminare in mezzo a un prato pieno di magnifici papaveri di un bel rosso brillante. Non lo sapevano, ma il profumo di quei papaveri era così forte che chiunque lo respirava si addormentava e, se non veniva portato via in fretta, continuava a dormire per sempre. Dorothy, infatti, cominciò ad avere sempre più sonno, finché si sdraiò a terra e si addormentò, con Toto accanto a lei. “Corri!” gridò allora lo Spaventapasseri al Leone, “esci da questo campo di fiori più presto che puoi! Io e il Boscaiolo porteremo fuori Dorothy e Toto, ma tu sei troppo pesante: se ti addormenti non riusciremo a trasportarti!” Il Leone si mise a correre, ma non fece abbastanza in fretta e cadde anche lui in un sonno profondo. “Non possiamo far niente per lui” disse triste il Boscaiolo, “speriamo almeno che sogni di aver trovato il coraggio.”


Quindi il Boscaiolo e lo Spaventapasseri portarono Dorothy e Toto fuori dal campo e li deposero sull’erba. Mentre aspettavano che si svegliassero, videro uno strano animale avanzare a balzi: era un gatto selvatico che rincorreva a fauci spalancate un piccolo topo di campagna. Il Boscaiolo non ci pensò su molto, afferrò la scure e, al passaggio del gatto, gli tagliò di netto la testa. Il topo si fermò di colpo e disse: “Oh grazie! Grazie infinite di avermi salvato la vita.” “Non parlarne nemmeno” replicò il Boscaiolo. “Io non ho il cuore, sai, per questo cerco sempre di aiutare tutti coloro che possono aver bisogno di un amico, si tratti anche solo di un topo.” “Come sarebbe a dire solo di un topo!” esclamò l’animaletto, indignato. “Io sono una regina, la Regina dei topi di campo!” A queste parole il Boscaiolo si affrettò a fare un inchino. Nel frattempo stavano sbucando dall’erba moltissimi altri topi, che si inchinavano profondamente davanti alla regina, rallegrandosi per lo scampato pericolo. “Questo buffo uomo di latta” raccontava la regina, “ha ucciso il Gatto Selvatico e mi ha salvato la vita. Così d’ora in avanti dovrete tutti servirlo e obbedire a ogni suo desiderio.” In realtà il Boscaiolo non avrebbe saputo cosa chiedere per ricompensa ma lo Spaventapasseri, che come sempre si era sforzato di pensare con la sua testa piena di paglia, esclamò: “Aiutateci a salvare il nostro amico, il Leone Vigliacco, che dorme nel campo di papaveri.” Detto fatto. Il Boscaiolo di Latta costruì un carretto, vi misero dentro il Leone e lo trascinarono fuori, ogni topo tirando il carretto con una cordina mentre lo Spaventapasseri e il Boscaiolo spingevano. Salutati i topi e la loro regina, i cinque viaggiatori ripresero il cammino e dopo poco tempo si trovarono di nuovo sulla strada di mattoni gialli, diretti alla Città di Smeraldo dal Grande Mago di Oz.

11


e raldo m S i d à t t i C a s o i l L a m e ra vi g Attraversarono una campagna bellissima, con steccati dipinti di verde e casette tutte verdi. “Ecco il paese di Oz” disse lo Spaventapasseri. Dorothy e Toto avevano fame, bussarono a una casa e chiesero ospitalità. La padrona di casa guardò il gruppetto con molto sospetto, soprattutto il grande Leone. “È un gran vigliacco” la tranquillizzò Dorothy, “ha più paura di te di quanta ne abbia tu di lui.” “Se le cose stanno così” disse la donna, “entrate pure.” In casa c’era anche suo marito, che diede loro molte informazioni su Oz e sulla Città di Smeraldo: “La città è davvero meravigliosa e Oz è un grandissimo mago. Però sta sempre chiuso nel suo palazzo e non so di nessuno che lo abbia mai incontrato.” “Che aspetto ha?” chiese Dorothy. “Difficile a dirsi” rispose l’uomo. “Grazie alla magia Oz può trasformarsi in quello che vuole. Ma perché volete vederlo?” Così Dorothy, lo Spaventapasseri Senza Cervello, il Boscaiolo di Latta e il Leone Vigliacco raccontarono ognuno la propria storia e quello che speravano di poter ottenere dal mago. La risposta dell’uomo li rincuorò: “Ah, beh, non sarà un problema per lui. Di cervello ne ha da vendere, di cuori ne ha di tutte le forme e misure e di coraggio ha pieno un pentolone nella sala del trono. Quanto al paese che chiami Kansas, Oz può fare qualunque cosa, quindi immagino che troverà anche questo Kansas. E tu cosa vuoi?” chiese infine a Toto. Ma Toto si limitò ad agitare la coda, perché lui, strano a dirsi, non sapeva parlare. La mattina dopo i nostri viaggiatori si rimisero in cammino e dopo un po’ rimasero abbagliati da una luce verde che riempiva il cielo: era la Città di Smeraldo. La circondava un muro alto e spesso di colore verde, con un grande portone tutto tempestato di smeraldi. Un omino vestito di verde aprì loro la porta: “Vi condurrò alla reggia del Grande Mago di Oz, ma prima dovete mettervi questi occhiali, perché altrimenti la lucentezza della Città di Smeraldo vi accecherebbe. Tutti gli abitanti della città portano occhiali come questi.” Inforcati gli occhiali i nostri amici attraversarono la porta. Le case e i marciapiedi erano di marmo verde e tempestati di smeraldi che brillavano alla luce del sole; le finestre avevano vetri verdi e verdi erano perfino il cielo e i raggi del sole. Il Guardiano della Porta li condusse davanti alla reggia di Oz e una sentinella andò dal Grande Mago a chiedergli se voleva riceverli. Dopo molto tempo la sentinella tornò: “Il Grande Mago di Oz ha detto che vi riceverà,

12


13


ma uno alla volta e ognuno in un giorno diverso. Perciò dovrete fermarvi qui per un po’.â€? Vennero quindi condotti nelle loro stanze. Dorothy, il Leone e Toto dormirono saporitamente, mentre lo Spaventapasseri se ne stette dritto in piedi tutta la notte, come sempre, e il Boscaiolo fece ginnastica per tenere in allenamento il suo corpo di latta.


z O i d o g a M Il Te r rib i l e La mattina dopo Dorothy venne fatta entrare nella sala del trono. Sul trono c’era un’enorme testa, senza corpo che la sostenesse e senza capelli. Una voce, spaventosa quasi come la testa, disse: “Io sono Oz, il Grande e il Terribile. Chi sei tu e perché mi cerchi?” “Io sono Dorothy, la Piccola e Mite. Vorrei che tu mi rimandassi nel Kansas. Sono certa che zia Em si sta preoccupando terribilmente per la mia lunga assenza.” “Perché dovrei fare questo per te?” chiese Oz. “Perché tu sei forte e io sono debole; perché tu sei un Grande Mago e io solo una bambinetta indifesa” rispose Dorothy. “Però hai avuto la forza di uccidere la Malvagia Strega dell’Est” ribatté Oz. “Ecco la mia risposta: ti aiuterò solo se ucciderai per me la Malvagia Strega dell’Ovest.” A nulla valsero le proteste e i pianti di Dorothy, che cercava di spiegare al Grande Mago che solo per caso aveva ucciso la Strega dell’Est e che non era assolutamente in grado di fare lo stesso con quella dell’Ovest. Alla fine non le restò altro che tornare sconsolata dai suoi amici. Il giorno seguente fu la volta dello Spaventapasseri, che invece della testa gigantesca si trovò di fronte una splendida dama dai capelli verdi. “Io sono Oz, il Grande e il Terribile” disse la bella dama. “Chi sei tu e perché mi cerchi?” “Io sono solo uno spaventapasseri e per questo non ho cervello. Vengo a supplicarti di mettermi un cervello in testa al posto della paglia, perché possa diventare un uomo come gli altri.” “Perché dovrei fare questo per te?” chiese la dama. “Perché tu sei saggio e potente, e nessun altro può aiutarmi” rispose lo Spaventapasseri. “Io non faccio mai favori senza ricevere qualcosa in cambio” disse Oz, “ma se ucciderai per me la malvagia Strega dell’Ovest avrai un cervello tale da diventare l’uomo più saggio di tutto il paese di Oz.” Così anche lo Spaventapasseri tornò tutto preoccupato dagli amici. Il Boscaiolo di Latta incontrò Oz il giorno seguente. Né una testa, né una bellissima dama gli si presentarono davanti, ma una spaventosissima belva. Grande come un elefante, il mostro sembrava un rinoceronte ma aveva cinque occhi, cinque braccia e cinque gambe, lunghe e sottili. “Io sono Oz, il Grande e il Terribile” ruggì la belva. “Chi sei tu e perché mi cerchi?” “Io sono il Boscaiolo e sono fatto di latta, per questo non ho il cuore. Ti prego di darmene uno perché io possa essere come gli altri uomini.” “E perché dovrei farlo?” domandò la belva. “Perché te lo chiedo e tu solo puoi esaudire il mio desiderio” rispose il Boscaiolo. “Se davvero desideri un cuore bisogna che te lo gua-

15


dagni. Aiuta Dorothy a uccidere la malvagia Strega dell’Ovest e allora ti darò il cuore più grande, tenero e affettuoso di tutto il paese di Oz.” Con questa risposta anche il Boscaiolo uscì dalla sala. La mattina dopo fu la volta del Leone. Né testa, né dama, né belva: al Leone toccò una sfera di fuoco che ardeva così luminosa che quasi non la si poteva guardare. “Io sono Oz, il Grande e il Terribile” disse ancora una volta il Mago. “Chi sei tu e cosa vuoi da me?” “Io sono un leone vigliacco che ha paura di tutto. Vengo a pregarti di darmi il coraggio, così che possa diventare davvero il Re degli animali.” “E perché dovrei darti il coraggio?” “Perché di tutti i maghi tu sei il più grande e solo tu hai il potere di esaudire la mia richiesta” rispose il Leone. La palla di fuoco fiammeggiò un po’, poi la voce disse: “Portami una prova della morte della Strega dell’Ovest e in quel momento ti darò il coraggio.” Così anche il Leone se ne tornò rassegnato dai suoi compagni di viaggio. “E ora che cosa facciamo?” chiese Dorothy. “C’è una cosa sola che possiamo fare” disse il Leone, “andare nel paese dei Winkie, scovare la Strega dell’Ovest e ucciderla.”

con l a S t r e g a d el l ‚ O ve s t a r r e u g n I Non c’era altro da fare e così il giorno dopo si misero in marcia. Salutando la sentinella Dorothy chiese: “Qual è la strada che porta dalla Malvagia Strega dell’Ovest?” “Non c’è strada” fu la risposta della sentinella, “in quella direzione non ci vuole andare mai nessuno.” “E allora come facciamo a trovarla?” “Voi andate verso Ovest e vedrete che sarà la Strega a trovare voi e a farvi suoi schiavi.” Cammina e cammina si trovarono in una terra sempre più brulla e disabitata, finché fu davvero la Strega a trovarli. Quando li vide con il suo unico occhio, potente come un telescopio, soffiò in un fischietto d’argento che portava appeso al collo e subito un branco di grandi lupi arrivò di corsa. “Andate da quelli lì” disse la Strega, “e fateli a pezzetti.” E i lupi corsero all’attacco. Allora il Boscaiolo disse: “Ci penso io. Riparatevi dietro le mie spalle.” Afferrò la sua scure e a ogni lupo che sopraggiungeva mozzava il capo in un sol colpo. Quaranta erano i lupi e a quaranta tagliò la testa. La Strega Malvagia si accorse che i suoi lupi erano stati sconfitti e più furiosa di prima chiamò a raccolta i corvi: “Volate dagli stranieri e fateli a pezzi!” ordinò al Re dei corvi. E i corvi, tanti da oscurare il cielo, volarono contro i nostri amici.

16


“A questi ci penso io” disse lo Spaventapasseri e si rizzò ben diritto. All’inizio i corvi si spaventarono, ma poi il Re Corvo disse: “Sciocchi, non vedete? È solo un uomo di paglia”, e gli si fece contro. Lo Spaventapasseri allora prese il corvo per il collo e glielo torse e anche quando gli altri gli vennero addosso, a uno a uno ripeté l’operazione, finché anche gli uccelli furono tutti morti. Visti sconfitti anche i corvi, la Strega Malvagia soffiò nel fischietto d’argento e lanciò uno sciame d’api nere contro di loro. “Prendi la mia paglia e copri la bambina, il cane e il leone” disse lo Spaventapasseri al Boscaiolo, “attraverso la paglia le api non potranno pungere.”


Svelto questi gli obbedì e così le api non trovarono da pungere che il solo Boscaiolo. Ma la latta è ben più dura del pungiglione di un’ape e presto anche tutte le api morirono. Tale fu allora la rabbia della Strega Malvagia che si mise a pestar i piedi in terra, a strapparsi i capelli e a digrignare i denti. Poi chiamò i suoi schiavi, li armò di lance e li mandò contro Dorothy e i suoi amici. Ma anche gli schiavi, a un ruggito del Leone, preferirono darsela a gambe. La Strega però era molto potente e subito ne pensò un’altra. Aveva una cuffia d’oro incantata, con un bordo di diamanti e rubini: chi la possedeva poteva chiamare le Scimmie Alate e farsi servire.


Così si mise la cuffia d’oro in testa, recitò l’incantesimo e aspettò. Presto il cielo si riempì di una miriade di scimmie con grandi ali sulle spalle. “Andate da quegli stranieri e distruggeteli” disse loro. E le scimmie ubbidirono. Presero il Boscaiolo e lo gettarono su rocce appuntite; presero lo Spaventapasseri e con le loro unghie lo svuotarono di tutta la paglia; con delle corde legarono il Leone e lo portarono volando in prigione. Ma quando il Re delle Scimmie Alate vide il bacio sulla fronte di Dorothy, quello che le aveva dato la Strega Buona del Nord, non poté farle alcun male. Così la portò dalla Strega Malvagia assieme a Toto, che Dorothy teneva ben stretto tra le sue braccia.

Com e D or oth y vi n ce l a S t r e g a d el l ‚ O ve s t Ma neanche la Strega Malvagia poteva far del male a Dorothy, per via di quel bacio incantato. La tenne quindi come domestica e ogni giorno le faceva fare tutti i lavori di casa. In realtà, quello che la Strega voleva erano le scarpette d’argento che Dorothy indossava, ma rubargliele non era affatto facile. Di notte la Strega non poteva entrare nella stanza della bambina, perché aveva paura del buio e di giorno, quando Dorothy faceva il bagno, se ne stava ben lontana perché aveva paura anche dell’acqua. Dopo un po’ la Strega decise di rubargliele con la magia. Mise una sbarra di ferro per terra e con un incantesimo la rese invisibile.

19


Quando Dorothy attraversò la stanza vi inciampò e nel cadere perse una scarpa d’argento, che la Strega, velocissima, si mise al piede. “Ridammi la mia scarpa!” gridò Dorothy. Ma la Strega si mise a ridere: “Ti prenderò invece anche l’altra!” Allora Dorothy, furiosa, prese il secchio d’acqua con cui stava lavando il pavimento e glielo gettò addosso. La Strega Malvagia lanciò un grido di paura, poi cominciò a sciogliersi, come zucchero in un pentolino. “Questa è la mia fine, l’acqua mi distruggerà!” continuò a lamentarsi, fino a quando sul pavimento non rimase che acqua sporca. Dorothy allora si rimise la scarpetta d’argento e corse subito dal suo amico Leone. Per prima cosa liberarono gli schiavi della strega, che erano tutti omini gialli del popolo dei Winkie, poi andarono tutti insieme a cercare il Boscaiolo e lo Spaventapasseri. Il Boscaiolo di Latta giaceva sul fondo delle valle piena di rocce aguzze, tutto contorto e ammaccato. Lo sollevarono delicatamente e lo riportarono al castello. Qui i più bravi fabbri Winkie lavorarono per tre giorni e quattro notti, ma alla fine riuscirono ad aggiustarlo. Dello Spaventapasseri invece non trovarono che i vestiti. Allora li riempirono di paglia fresca e pulita, e presto lo Spaventapasseri fu di nuovo in forma come prima. “Ora dobbiamo tornare da Oz e chiedergli di mantenere le promesse” disse Dorothy. “Sì” disse il Boscaiolo di Latta, “così finalmente avrò il mio cuore.” “E io il mio cervello” aggiunse lo Spaventapasseri. “E io il mio coraggio” disse il Leone. “E io tornerò nel Kansas” esclamò Dorothy battendo le mani.

20


D i ritor n o al l a C it t à d i Sm e ral d o I Winkie erano molto dispiaciuti che gli amici dovessero andar via e si erano così affezionati al Boscaiolo di Latta che lo pregarono di rimanere a governare il loro paese. I quattro amici, però, erano decisi a partire. Dorothy si mise la cuffia d’oro della Strega Malvagia: non sapeva nulla del suo potere, ma la trovava molto carina e la portò con sé. Non c’erano strade o sentieri tra il castello della Strega e la Città di Smeraldo e ben presto i viaggiatori si persero. “Possiamo chiedere aiuto ai topi del campo” propose Dorothy e soffiò in un fischietto che le aveva regalato la Regina dei topi. Dopo pochi minuti molti topini grigi arrivarono di corsa e con loro anche la Regina. “Cosa posso fare per i miei amici?” chiese. “Ci siamo persi. Ci puoi dire dov’è la Città di Smeraldo?” “Certo” rispose la Regina, “ma è molto lontana.” Poi notò la cuffia d’oro che la bambina aveva indossato. “Perché non chiami le Scimmie Alate? Loro vi porteranno in città in meno di un’ora.” E spiegò a Dorothy la magia di quella cuffia speciale. Poi i topini scapparono via perché avevano molta paura delle scimmie. Dorothy guardò dentro la cuffia, vide le parole magiche scritte sulla fodera e le pronunciò. Subito arrivarono le Scimmie Alate, a cui Dorothy ordinò di portare in volo lei e i suoi amici alla Città di Smeraldo. Poi si accomodò su un seggiolino che avevano fatto con le mani due delle scimmie più grosse. E così volarono fino alla Città di Smeraldo. Appena si seppe che la Strega Malvagia dell’Ovest si era sciolta come un gelato, tutti gli abitanti della città accorsero per vedere Dorothy e i suoi amici, e li scortarono fino alla reggia di Oz.

21


Il s eg r e to d el M a g o d i O z Il grande Mago però li fece aspettare tanto, tantissimo, finché lo Spaventapasseri ebbe un’idea e gli mandò un messaggio: o li riceveva immediatamente, oppure avrebbero chiamato ancora le Scimmie Alate. Il Mago allora rispose che li avrebbe ricevuti il giorno dopo. Di buon mattino Dorothy, lo Spaventapasseri Senza Cervello, il Leone Vigliacco, il Boscaiolo di Latta e naturalmente anche Toto il cagnolino vennero fatti entrare nella sala del trono, che questa volta era completamente vuota. Improvvisamente udirono una voce. “Io sono Oz, il Grande e Terribile. Perché mi cercate?” “Siamo venuti a chiederti di rispettare le promesse che hai fatto” disse Dorothy. “Io voglio tornare in Kansas.” “A me spetta un cervello” disse lo Spaventapasseri. “A me hai promesso un cuore” disse il Boscaiolo. “E a me il coraggio” disse il Leone. Il Mago cercava di prendere tempo. “Povero me” disse la voce, “così all’improvviso! Beh, tornate domani, ho bisogno di pensarci un po’ su.” “Hai avuto anche troppo tempo” rispose il Boscaiolo. “Noi non aspettiamo più” disse lo Spaventapasseri. E il Leone ruggì così forte che Toto, spaventato, andò a sbattere contro un paravento, che cadde a terra. Tutti rimasero a bocca aperta: dietro al paravento c’era un ometto dall’espressione non meno sorpresa della loro. “E tu chi sei?” chiese Dorothy. “Io sono Oz, il Grande e il Terribile” rispose l’ometto, questa volta con voce tremante. “Non fatemi del male! Farò tutto quello che volete.” E l’ometto raccontò che la testa, la dama, la belva ferocissima e la palla di fuoco non erano altro che trucchi da illusionista. Poi li portò fino a uno stanzino sul retro della sala del trono, dove erano nascosti una grande testa di cartapesta, una palla di cotone imbevuta di alcol che, se incendiata, diventava di fuoco e altri marchingegni teatrali. Ora che avevano scoperto il suo segreto, l’omettino si vergognava moltissimo e li supplicò di non svelare a nessuno che lui non era un vero mago. “Io sono nato a Omaha, in Nebraska” cominciò l’ometto. “Ma non è affatto lontano dal Kansas!” esclamò Dorothy. “Ma è tanto lontano da qui” disse l’ometto. “Lavoravo in un circo, facevo il ventriloquo e anche un numero in cui volavo con una mongolfiera. Un giorno le corde s’intrecciarono e non riuscii più a scendere. Viaggiai e viaggiai sopra le nubi e alla fine mi ritrovai qui. La gente ebbe paura di me e io lasciai credere loro di essere un grande mago. Ordinai di costruirmi una reggia e, visto che il posto era verde e bellissimo, lo chiamai Città di Smeraldo; e per rendere il nome ancora più adatto, feci indossare a tutti degli occhiali verdi.”

22


“Ma allora, non è tutto verde qui?” chiese Dorothy. “Non più che in qualsiasi altra città. Sono gli occhiali che fanno vedere verde ogni cosa. Ascoltate, la verità è questa: io sono buono, la città è bellissima e il popolo è contento. L’unico problema erano le Streghe Malvagie, ma voi le avete uccise. Mi dispiace, però, io non posso fare magie: non sono un vero mago.” “Non puoi darmi un cervello, allora?” chiese lo Spaventapasseri. “Non ne hai bisogno. Impari ogni giorno qualcosa. È l’esperienza che fa diventare sapienti.” “Sarà” disse lo Spaventapasseri, “ma se tu non mi dai il cervello sarò molto infelice.” Il Mago lo guardò con attenzione. “Beh” disse con un sospiro, “vieni domani mattina, troverò un modo di riempirti la testa di cervello. Sappi però che non posso insegnarti a usarlo.” “Oh, grazie” rispose lo Spaventapasseri, “non preoccuparti, imparerò a usarlo da solo.” “E il mio coraggio?” chiese il Leone. “Tu di coraggio ne hai già molto” rispose Oz. “Quello che ti manca è la fiducia in te stesso. Tutti abbiamo paura, il vero coraggio sta nell’affrontare il pericolo anche quando fa paura.” “Può darsi” disse il Leone, “ma io ho paura lo stesso. Se non mi dai quel coraggio che fa dimenticare la paura io sarò sempre infelice.” “Benissimo, ti darò quel tipo di coraggio domani” disse allora Oz. “E il mio cuore?” chiese il Boscaiolo di Latta. “Quanto al tuo cuore” rispose Oz, “dovresti essere contento di non averlo. Il cuore rende infelici la maggior parte delle persone.” “Può darsi” disse il Boscaiolo, “ma se mi darai un cuore sopporterò tutta l’infelicità del mondo.” “Torna domani allora e avrai un cuore. Faccio il mago da tanti anni che posso benissimo continuare a farlo ancora” disse Oz.

23


e n o e L l i e o l o i a c io s o g B g l i a , i r r e s o s a L o S p a ve n t a p oc t n a t e e r r ic e von o u n ce r vel l o , u n cu o La mattina dopo lo Spaventapasseri andò per primo da Oz. “Sono venuto per il mio cervello” disse. “Ah, sì, siediti” rispose l’ometto, “devi scusarmi, ma per metterti il cervello dovrò toglierti la testa.” “Non preoccuparti” disse lo Spaventapasseri. “Toglimela pure, basta che tu me la rimetta migliore di prima.” Così il Mago staccò la testa e la svuotò dalla paglia; poi prese della crusca e la mescolò a tantissimi spilli e chiodi; infine versò tutto nella testa dello Spaventapasseri, riempiendo il resto con la paglia. Poi disse: “D’ora in poi sarai un grand’uomo, perché ti ho dato un cervello acutissimo.” Lo Spaventapasseri era molto fiero. Poi toccò al Boscaiolo di Latta: “Sono venuto per il mio cuore.” “Molto bene” disse Oz, “ma per metterti il cuore dovrò farti un buco nel petto. Spero di non farti troppo male.” “Oh no, non mi farai proprio niente” rispose il Boscaiolo. Allora Oz prese un paio di forbici, di quelle che tagliano il metallo, e fece un buco quadrato nel petto del Boscaiolo. Poi andò nell’armadio e prese un grazioso cuore di seta imbottito di segatura. “Non è bello?” chiese al Boscaiolo. “Bellissimo, ma è anche gentile?” disse il Boscaiolo. “Gentilissimo” rispose Oz. Mise il cuore nel petto del Boscaiolo e richiuse il buco. Poi toccò al Leone Vigliacco: “Vengo per il coraggio.” “Benissimo, vado subito a prenderlo” disse Oz. Prese dall’armadio una bottiglia quadrata di vetro verde e riversò il suo contenuto in un piatto. “Bevi” disse al Leone. “Che cos’è?” chiese lui.

24


“Quando sarà dentro di te sarà coraggio. Non sai che il coraggio è dentro di noi?” A queste parole il Leone vuotò il piatto. “Come ti senti?” chiese Oz. “Pieno di coraggio!” disse il Leone. Poi corse tutto contento dai suoi amici. Rimasto solo, Oz pensò: “Questi tre sono rimasti soddisfatti. Ma come farò a mandare nel Kansas la bambina?”

Il mago d i Oz p ar te s e n z a D or oth y Passarono tre giorni e infine Oz mandò a chiamare Dorothy. “Siediti, mia cara. Forse ho trovato il modo di farti uscire da questo paese.” “E di tornare nel Kansas?” chiese Dorothy. “Per la verità questo non lo so, perché non ho la più pallida idea di dove sia il Kansas” rispose il Mago. “Ma la cosa più importante è attraversare il deserto, poi la strada giusta si può sempre trovare. Io sono arrivato qui in mongolfiera e in mongolfiera ce ne andremo.” “Come sarebbe a dire ‘ce ne andremo’? Vieni anche tu?” chiese Dorothy. “Sì, sono stufo di fare l’imbroglione, sempre chiuso in queste stanze perché la gente non mi scopra. Voglio venire anch’io nel Kansas, magari torno a lavorare in un circo. Costruiremo un pallone con la seta e poi lo faremo volare con l’aria calda.” Quando il pallone fu pronto, Oz lo fece trasportare davanti alla reggia. Il Boscaiolo aveva acceso un grande fuoco e sospesero il pallone sopra la fiamma perché l’aria calda lo riempisse. Attaccato al pallone c’era un gran cesto per viaggiarci dentro. Il pallone si gonfiò e si sollevò nell’aria. Allora Oz salì nel cesto e disse al suo popolo riunito nella piazza: “Devo partire per un lungo viaggio. Durante la mia assenza sarete governati dal saggio Spaventapasseri. Vi ordino di obbedire a lui come obbedireste a me. Ora sali Dorothy, presto, la mongolfiera sta per volar via!” Ma Dorothy stava cercando Toto e non lo trovava da nessuna parte. Intanto il pallone tendeva le corde, spinto sempre più in alto dall’aria calda e, quando finalmente la bimba ebbe in braccio il cagnolino, le corde all’improvviso si ruppero e il pallone prese il volo senza di lei. “Aspettami! Torna indietro!” gridò. “Non posso tornare indietro, mia cara” gridò Oz. “Arrivederci!” E questa fu l’ultima volta che videro Oz, il Mago Meraviglioso e nessuno sa se arrivò sano e salvo a Omaha.

25


Il p a e s e d i p or cel l an a La bambina era davvero disperata. “Se Dorothy si rassegnasse a vivere qui, potremmo essere felici tutti quanti insieme” disse lo Spaventapasseri, che ora era diventato governatore. Ma Dorothy non voleva restare, voleva ritornare dalla zia Em e dallo zio Henry. “Cosa possiamo fare allora?” domandò il Boscaiolo. Lo Spaventapasseri si mise a pensare con il suo nuovo cervello con tanta forza che aghi e spilli cominciarono a sbucargli dalla testa. “Perché non chiami le Scimmie Alate e non chiedi loro di portarti al di là del deserto?” disse alla fine. “Ecco cosa devo fare! Non ci avevo pensato” esclamò Dorothy. Come ebbe pronunciato le parole magiche comparvero le scimmie. Ma il Re delle Scimmie le disse: “Mi dispiace, ma non possiamo portarti al di là del deserto. Noi apparteniamo a questo paese e non possiamo uscirne. Hai forse mai visto delle Scimmie Alate, nel Kansas?” Così rispose e le scimmie volarono via, lasciando Dorothy ancora più triste. Lo Spaventapasseri si rimise a pensare e pensava così forte che sembrava che la testa stesse per scoppiargli da un momento all’altro. “Chiamiamo la sentinella e chiediamole consiglio” disse alla fine. “Non so come attraversare il deserto” rispose loro la sentinella, “ma forse può aiutarti Glinda, la Strega del Sud. È la più potente di tutte le streghe e il suo castello è ai confini del deserto.” “E come ci possiamo arrivare?” chiese allora Dorothy. “La strada del Sud è diritta ma piena di pericoli” rispose ancora il soldato. “Io vengo con te” dichiarò il Leone, “sono stufo di stare in città, sono un animale selvaggio e il mio posto è nei boschi.” “Vengo anch’io” disse il Boscaiolo, “la mia scure potrà essere utile.” “Io anche” disse lo Spaventapasseri, sorprendendo tutti gli altri. “Se non fosse stato per Dorothy non avrei mai avuto un cervello e sarei ancora appeso in cima a un palo.” “Grazie” disse Dorothy commossa. “Allora vi prego, partiamo il più presto possibile.” Il giorno dopo erano di nuovo in viaggio. Per un po’ fu piacevole camminare sotto il sole caldo, tra campi verdi e fiori colorati. Ma il giorno successivo giunsero alle soglie di un bosco fittissimo e dopo il bosco fittissimo

26


27


si trovarono davanti a un alto muro che sembrava di porcellana bianca. “E ora cosa si fa?” chiese Dorothy. “Costruirò una scala” disse il Boscaiolo, “perché non c’è dubbio, se vogliamo andare avanti dobbiamo superare questo muro.” Quando la scala fu pronta, fu lo Spaventapasseri a salire per primo. “Oh, mamma!” esclamò affacciandosi al muro. Poi fu la volta di Dorothy. “Oh, mamma!” gridò anche lei. “Oh, mamma!” gridarono anche il Leone e il Boscaiolo di Latta quando venne il loro turno. Il mondo al di là del muro era interamente fatto di porcellana: il terreno, liscio e bianco, e anche le case, le piante e perfino gli animali. Ma la cosa più strana di tutte erano le persone: lattai e pastorelle, principesse e pastori, principi e pagliacci, tutti di coloratissima e lucente porcellana. E così piccoli che i più alti superavano appena il ginocchio di Dorothy. Vedendo una principessa riccamente vestita, Dorothy le corse dietro per guardarla meglio. “Non mi inseguire!” gridò allora con una vocina spaventatissima la principessa. “Se mi insegui scappo e se scappo posso cadere e rompermi.” “E non ti possono riaggiustare?” chiese la bambina. “Oh, sì; ma riaggiustàti non siamo più così carini” rispose la principessa. I cinque amici attraversarono quindi il paese di porcellana facendo molta attenzione a non rompere nessuno dei suoi piccoli abitanti e dopo circa un’ora raggiunsero il secondo muro di porcellana e scavalcarono anche quello.


Il rag n o m os t r u os o e l e Te s te - M a r tel lo Così arrivarono in una foresta con gli alberi più grandi e vecchi che avessero mai visto. “Questa foresta è assolutamente incantevole” dichiarò il Leone guardandosi attorno, “non ho mai visto un posto più bello. Vorrei vivere qui per sempre.” Inoltrandosi nella foresta arrivarono in una grande radura, dov’erano riunite tigri, orsi, lupi, volpi e ogni altra specie di bestie feroci. In un primo momento Dorothy ebbe paura, ma il Leone le spiegò che gli animali stavano tenendo un’assemblea e dai loro soffi e grugniti si poteva capire che si trovavano in un grosso guaio. “Benvenuto, o Re degli animali! Arrivi proprio in tempo per combattere il nostro nemico e riportare la pace nella foresta” lo salutò una grossa tigre. Spiegò anche che un terribile mostro era arrivato da poco nella foresta e li minacciava tutti. “Se ucciderò il mostro mi eleggerete Re della foresta?” chiese il Leone. “Ne saremo felici” rispose la tigre. Il Leone non se lo fece dire due volte e corse subito là dove viveva il mostro. Era una sorta di enorme e orribile ragno, con otto zampe grandi come tronchi d’albero. La sua testa però era attaccata al corpo con un collo sottile sottile, come la vita di una vespa. In quel momento il mostro stava dormendo e il Leone ne approfittò: gli balzò con un salto sulla schiena e con una zampata fenomenale gli staccò la testa. Tornato nella radura, gli animali si inchinarono davanti a lui e lo acclamarono re. “Tornerò a governarvi quando Dorothy sarà sana e salva a casa” promise loro il Leone. Ma le avventure non erano finite. Usciti dalla foresta i cinque amici si trovarono presto di fronte a una ripida collina, che cominciarono a salire. Erano quasi arrivati in cima quando sentirono gridare: “Indietro! Questa collina è nostra e di qui non si passa.” Chi aveva parlato era l’uomo più strano che si fosse mai visto. Era basso e robusto, senza braccia ma con una grande testa piatta su un lungo collo, spesso e pieno di rughe. “Mi dispiace disubbidirti” disse lo Spaventapasseri, “ma dobbiamo passare sulla tua collina.” E si fece audacemente avanti. Veloce come un lampo, il collo dell’uomo si allungò e la sua testa scattò in avanti finché non ebbe colpito lo Spaventapasseri, scaraventandolo giù per il colle. “Non sarà così facile come credi!” disse l’uomo. Un coro di risate venne dalle rocce e centinaia di Teste-Martello sbucarono dalla cima della collina. Il Leone fece per balzare addosso allo strano individuo, ma un’altra volta la testa scattò e anche il Leone cadde giù dal colle, come colpito da una palla di cannone.

29


“Dorothy, perché non chiami le Scimmie Alate?” propose allora il Boscaiolo di Latta. “Giusto!” rispose lei. Giunsero allora in volo il Re delle Scimmie e i suoi sudditi. Afferrarono i quattro viaggiatori e il cagnolino Toto e li sollevarono così in alto che le Teste-Martello non potevano più colpirli. Arrivarono così nel paese dei Quadling dove viveva Glinda, la buona Strega del Sud. Qui, recinti, case e ponti erano tutti dipinti di rosso.

L a bu on a S t r e g a d el Su d Dorothy, lo Spaventapasseri, il Boscaiolo di Latta, il Leone e naturalmente il cagnolino Toto si trovarono infine davanti al bellissimo castello della Strega, rosso come una fragola, e furono subito fatti entrare. Glinda sedeva su un trono di rubini ed era giovane e bella. Anche i suoi capelli erano di un rosso fiammante e le cadevano sulle spalle in onde e riccioli. “Cosa posso fare per te, bambina mia?” chiese. Così Dorothy le raccontò tutta la sua storia: del ciclone che l’aveva portata in volo nel paese di Oz, dei suoi amici e di come li aveva incontrati e di tutte le altre meravigliose avventure che avevano vissuto insieme. “Il mio più grande desiderio adesso” concluse Dorothy, “è di ritornare nel Kansas, perché sicuramente la zia Em starà pensando che mi è successo qualcosa di terribile.” Glinda si chinò e la baciò. “Hai proprio un buon cuore!” le disse. “Sono sicura di poterti indicare il modo per tornare nel Kansas, ma in cambio devi darmi la cuffia d’oro.” “Volentieri!” esclamò Dorothy. “A me non serve più.” La Strega Buona poi chiese allo Spaventapasseri: “Cosa farai quando Dorothy ci avrà lasciato?” “Tornerò alla Città di Smeraldo” rispose lui, “perché Oz me ne ha affidato il governo.” “Ordinerò alle scimmie di portarti fino alle porte della città” disse Glinda, “perché sarebbe un peccato privare i cittadini di un così straordinario governatore.” Poi si voltò verso il Boscaiolo e gli chiese: “E che ne sarà di te, quando Dorothy avrà lasciato questo paese?” Il Boscaiolo rifletté un poco, poi rispose: “I Winkie sono stati molto gentili con me e mi volevano come loro governatore dopo la morte della Strega Malvagia. Se potessi tornare da loro non chiederei di meglio che governarli per sempre.”

30


31


“Il mio secondo comando alle Scimmie Alate sarà dunque quello di trasportarti sano e salvo al paese dei Winkie. Sono sicura che li governerai saggiamente.” Poi guardò il Leone: “E tu cosa farai, quando Dorothy sarà tornata a casa sua?” “Al di là del colle delle Teste-Martello c’è una splendida foresta e gli animali che la abitano mi hanno chiesto di essere il loro re. Se potessi tornarvi, vivrei là, felice, per sempre” rispose il Leone. “Allora il mio terzo comando alle Scimmie Alate, sarà di portarti nella tua foresta. Poi, una volta usati i poteri della cuffia, la consegnerò al Re delle Scimmie, perché d’ora in poi possano essere libere per sempre.” “Sei davvero buona quanto sei bella!” disse Dorothy. “Ma ancora non mi hai detto come farò io a tornare nel Kansas.” “Le tue scarpette d’argento ti porteranno oltre il deserto” disse Glinda. “Se tu avessi saputo del loro potere saresti potuta tornare dalla zia Em fin dal primo giorno in cui sei arrivata nel paese di Oz.” “Ma in questo caso non avrei avuto il mio cervello!” esclamò lo Spaventapasseri. “Né io il mio cuore!” disse il Boscaiolo. “E io sarei rimasto per sempre un vigliacco!” dichiarò il Leone. “Tutto questo è vero e sono contenta di avervi potuto aiutare.” disse Dorothy. “Ma ora è arrivato proprio il momento di tornare a casa.” “È facile, batti i tacchi tre volte e ordina alle scarpe di portarti dove vuoi” spiegò infine la Strega Buona.


D or oth y t or n a a c a s a Allora Dorothy baciò e salutò i suoi amici e tutti piansero un po’, perché salutarsi è triste. Poi prese in braccio Toto e batté i tacchi tre volte dicendo: “Scarpette, portatemi a casa dalla zia Em!” Immediatamente si trovò in un turbine d’aria e non vedeva o sentiva altro che il vento che le fischiava forte nelle orecchie. Fece tre passi mentre ruotava insieme al vento e in un baleno si ritrovò a rotolare nell’erba. “Santo cielo, che viaggio!” esclamò. Si alzò quindi in piedi e vide che era scalza, perché le scarpette d’argento erano cadute mentre volava, perdendosi per sempre in qualche punto del deserto. La zia Em era appena uscita di casa per innaffiare i cavoli quando alzò gli occhi e vide Dorothy che correva verso di lei. “Tesoro mio!” gridò abbracciandola e coprendola di baci. “Da dove salti fuori?” “Dal paese di Oz!” disse Dorothy tutta seria. “Ed ecco qui anche Toto. Oh, zia Em, sono così contenta di essere di nuovo a casa!”


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.