Oggetti orfani. Scenari di valorizzazione del mobile dismesso

Page 1


Politecnico di Torino FacoltĂ di Architettura I Corso di laurea in Disegno Industriale

Relatore: Cristian Campagnaro

Fabrizio Garda

Giulia Liverani

Francesca Rovarotti


ll in e gi t e or re na ss te an d o ip di io po gg rt ia e e ab a ba tut nd ti on col at oro e. c .. h e

A

si


O Sc g de en l m ar ge ob i di ile va tt di lor sm iz i O es zaz so io rf ne an i/


6 / 5

2

/

rt e

pa

1

e/ La es riftion iu e ti

qu

In d

In La tro Le I l “ d R R Si pro qu uzi Il ius ag s L t b e o V R o io Co e N em lem stio ne Le irtu iuso per ni A n o i a n I f o n d Ob bit tes rma di g am e R L’a con ont si o del ec el ri Il s so ud ti ti es b ifi Le m te i d d m es us s e o s en le ini mo ve tio ien uti o e b co ie ti l lin bi ità ne ta ” so sce e a nd op nt de riu qu le / de le de nz tti ial er e: l r so en Ri ie ir /R t e at Do iu p t u l u po / d n so ifi if ive m so er i? / i ut iu ss ni or pe gl B so es i ti m i e r l o t s ie o cia ic at m pe cc so ri o i o ve li / / ra hi e / d a og to no I s l I c Pro / u d r gi i / rm ir ist en fe Ri / ifi us ac tr ss at u i d io ivi o co ti pe el na / e / Il p Ri le rE il n us / ar c u o o Az ov ad so o ie os st nd sc so en en al i Ita bi e a l r / ità lia io no de lr / iu so /

e c Ri os’ us è i o? l

Ch

rt

pa

ex


4

rt e/

pa

rt

ie

at eg

3

e/

D Pr efi B o n Ri ibli ble izio Ap ng og ma ne pe raz ra tic de nd ia fia he lle ice me / S / st : T nt ito Po rat es i g te eg ra nz ie to fia ia No lit rm à / at St ivo r

ie

te g

St ra

pa

In Ca tro C s d te L on i s uz rv en 4. a p clu tud ion I A ro s io e Ri ti ai St me ttiv ven ion us di ca e An p to az ie i a o si Ri al 1 di io nz i ca st ne a s Ri us isi / ud i S Po us o s d te cu de st io e g o Co te t en i p u l t l ur i s dio I r nf nz ra za div 2 / c a L if r ia m e le art In e ri iuti ont lità ite inte rsi Ste / i: o t s p Le 1. in D r rid rv liv 3 e e Fa edu odu ors es tra fin De u l n zio ti li d In t z z e is r al sig ne / R i i ità n Es cro tibi ion ion di T ten icicl nt pe ci lità i e e a or ti - o e i a e e rs u e o i se so rv gl / rie t co lla no Il ri ia 2 r e u m p nz a nc m co n ro so pp . A i t l lu ap n a do a o g d ro zi vo m s pr m et e sio p u cc en l t a r at an o ni tu at d ll’o o m i de ica d i m o fic g ob / ra a od il / Se / a ge / e e 3. su tt us / gn A of o As t fe l a t I l r l ’ ici v og di la ivi rt so zio tà cla alo a r ge iu cia / d r n n t s to o La zio iO im di e d / e el ni lo nl ap I l gi in p lc e / st e at I a so sol ica / u I r ra Fr e e / ifi ee co Il f ut Tr log at ip ad ic to er re eI he il R re / cu la i us ltu nd o ra le

In


Introduzione/

L

e attività legate al riuso rappresentano un fenomeno che lentamente si è affermato, negli ultimi anni, all’interno delle nostre vite. I motivi legati alla diffusione lenta e continua di questo atteggiamento sono da ricercarsi nel momento di crisi economica che la nostra società si è trovata ad affrontare, e nella diffusione della causa ambientalista, che è diventata un tema di forte interesse da parte dei ricercatori che in qualche modo hanno teorizzato i comportamenti da intraprendere al fine di ottimizzare la gestione dell’ecosistema. Lo studio di tali tematiche ci ha portato, come studenti, ad osservare in maniera più attenta il contesto in cui viviamo e operiamo; abbiamo cominciato ad osservare il comportamento di coloro che buttano e cercato di comprendere il perché delle loro azioni, inoltre abbiamo chiesto a coloro che operano nell’altro senso, come venisse recuperata questa grande mole di materiali al fine di renderli nuovi per forma o per funzione. Il tema “Riuso”, nonostante fosse già presente tra gli interessi di ciascuno di noi, ha rappresentato un occasione da prendere al volo, il giorno in cui è stato ritrovato il nostro primo mobile: una sedia sdraio reclinabile appoggiata di fianco ad un bidone dell’immondizia. La seconda occasione, invece, quando ci siamo ritrovati a raccogliere un portone d’epoca abbandonato, sotto il quale ci siamo riparati durante un acquazzone estivo; questi due episodi sono stati fondamentali nel nostro percorso alla scelta dell’argomento di tesi. All’inizio di questa ricerca, mancavano le conoscenze e quegli studi chi ci hanno, in seguito, portato a capire in che misura, il riuso fosse praticabile e soprattutto in quali casi questo rappresentasse la scelta migliore da intraprendere. Come avremo scoperto in seguito, non avremmo potuto raccogliere quei mobili dalla strada, in quanto parte dell’accordo tra la municipalità e l’azienda appaltatrice di igiene urbana: dal punto di vista legale era come se avessimo “rubato” al comune di Torino o all’Amiat stessa.


L’atteggiamento è cambiato, come è anche cambiato il nostro occhio critico, il quale si è affinato nella scelta delle azioni da preferire e negli elementi che potrebbero essere riutilizzati da quelli che invece è forse più conveniente recuperare per vie alternative. Vari elementi si sono aggiunti come bagaglio di conoscenze, a partire dalle normative che si sono rivelate essere un blocco piuttosto difficile da sormontare per chi si occupa di usato; ma ancora più vincolante è stato scoprire quanto le conoscenze e le abitudini sedimentate delle persone fossero l’ostacolo più difficile da abbattere. Non meno importante è stato comprendere le ragioni che portano l’uomo a dismettere: esse hanno rappresentato in punto cardine su cui basare un futuro approccio al riuso di componenti indirizzati allo smaltimento, parallelamente ai contesti in cui questi “attori” si trovano ad agire. La ricerca è stata approfondita nelle sue parti nel momento in cui abbiamo chiesto ai designer dei nostri casi studio, di parlare del proprio approccio e delle motivazioni che li spingevano ad operare nella direzione che avevano scelto così da analizzare la singola operazione sul pezzo d’arredo e isolare un comportamento comune tra i diversi casi analizzati; in qualche modo scoprire questi approcci ci ha permesso di comprendere quelle problematiche legate alla materia del riuso e al tipo di percezione che si ha del mobile usato sino a chiedersi se conviene scegliere il Riuso o preferire il Riciclo così da verificare la fattibilità del mezzo. Parte fondamentale del nostro lavoro è stato reso più facile grazie a Facebook, che mediante una pagina condivisa con chiunque fosse interessato all’argomento, ha permesso di raccogliere testimonianze e immagini, con lo scopo di quantificare la mole di mobili presenti per le strade delle città. Amici e conoscenti si sono improvvisati agenti della nostra ricerca e hanno documentato un fenomeno che ha dimostrato discontinuità per zone ma una certa costanza per le tipologie e la qualità degli elementi ritrovati. Al termine/non termine della ricerca ci siamo resi conto che, il nostro studio non ha una sola ed unica via di sbocco, ma al contrario permette l’aprirsi di molte strade secondarie per lo sviluppo e la progettazione sul tema del riuso, di cui molto si dice, ma poco realmente si fa.


A

ll’interno di questo primo capitolo abbiamo analizzato la situazione ambientale e i motivi generali che hanno visto lo spostarsi dell’attenzione pubblica sul Riuso come pratica eco sostenibile. Inoltre si è cercato di capire come, questa pratica sia legata al contesto dei rifiuti.


1

parte/

La “questione Rifiuti”


Il problema ambientale/

L

a nostra generazione si è ritrovata ad affrontare i problemi che sono andati accumulandosi nell’ultimo secolo; l’ingordigia del mondo capitalista pretende la produzione di prodotti sempre nuovi che vanno a sostituire quelli vecchi ad una velocità incontrollabile; inoltre la mentalità usa e getta e l’indifferenza per il contesto al di fuori del nostro “giardino di casa” hanno portato allo sfruttamento dell’ecosistema senza pensare alla conseguenza che queste azioni avrebbero portato. La situazione si dimostra grave sotto diversi punti di vista: l’aria va inquinandosi, scorie vengono disperse nelle acque marine e il suolo si impoverisce. E’ stato dimostrato che probabilmente l’umanità non soccomberà alle avverse condizioni ambientali, perlomeno nel prossimo futuro; è più probabile che il sovraffollamento esaurisca tutte le risorse idriche e alimentari, finendo per provocare guerre per le fonti di cibo. Uno dei fattori scatenanti può essere riconosciuto nell’immagine che il mondo come sistema sia organizzato in forma lineare; in questo modo si segue il ciclo produttivo organizzato per le seguenti fasi “dell’economia dei materiali”: - Estrazione - Produzione - Distribuzione - Consumo - Smaltimento

10/11

Tale sistema viene considerato in crisi, se si riesce a comprendere il fatto che un’organizzazione lineare non può funzionare in un mondo le cui risorse sono limitate.

Estrazione/

N

egli ultimi tre decenni un terzo delle risorse del pianeta è stato consumato irreversibilmente per la produzione di nuovi prodotti, i quali sono stati dismessi dopo pochissimo tempo a seguito dell’acquisto, richiedendo così la realizzazione di altri più “nuovi” a sostituzione di quelli dismessi. Solo gli USA, che rappresentano il 5% della popolazione mondiale, producono il 30% del totale dei rifiuti globali e consumano il 30% delle risorse, a dimostrazione dell’atteggiamento filo consumistico che non è intenzionato a diminuire nei paesi più industrializzati come la Cina o alcuni paesi membri dell’UE. Tale sfruttamento ingiustificato non tiene assolutamente conto della popolazione nativa delle zone dalle quali vengono prelevate le materie prime.

Produzione/

I

n questa fase del processo, le materie prime vengono lavorate al fine di creare dei prodotti che successivamente verranno immessi sul mercato; tali prodotti derivano da lavorazioni con prodotti chimici che inevitabilmente verranno dispersi nell’ambiente in fase di dismissione. Uno studio ha dimostrato come al momento siano presenti in commercio più di 100.000 prodotti sintetici, pochi di questi sono stati analizzati per verificare gli effetti


provocati alla salute umana e nessuno studio è stato fatto al fine di determinare i risultati dell’interazione tra le diverse sostanze come inevitabilmente accadrebbe nel contesto domestico o nella fase di dismissione in discarica. Se facessimo un confronto della quantità del materiale che entra in un’industria e la quantità di materiale che esce come prodotto finito, ci renderemmo conto che una buona parte della materia entrante diventa scarto, nonostante le ottimizzazioni e le accortezze applicate dalle aziende per incrementare la produzione.

Distribuzione/

La fase di distribuzione rappresenta quella in cui il prodotto viene messo in commercio e richiede di essere venduto il più velocemente possibile al fine di soddisfare un bisogno, spesso inesistente. L’esternalizzazione dei costi permette di vendere merci importate a prezzi bassi, senza intaccare la domanda a causa di un’aumento dei costi; ciò dimostra che non siamo realmente noi a pagare per l’oggetto appena acquistato ma un terzo. Colui che paga è la persona che lavora nella fabbrica costruita nel paese del terzo mondo, spendendo la propria salute e quella della propria famiglia con il fine di destinare un prodotto da 4,99€ nelle nostre case. Tale approccio è tipico del sistema capitalista che basa la propria economia si di esso.

Consumo/

A

ll’interno dell’economia dei materiali, questo rappresenta il più importante passo per multinazionali e aziende. E’ provato come nel solo Nord America, il 99% dei prodotti venga distrutto a sei mesi dalla produzione dello stesso. In questo modo lo sfruttamento delle risorse procede imperterrito, mentre il nuovo materiale da smaltire non ha, paradossalmente, la possibilità fisica di essere smaltito. Tale situazione è resa chiara dal percorso storico: un cittadino contemporaneo consuma il doppio rispetto cinquanta anni fa, senza contare il fatto che oggi la popolazione è raddoppiata rispetto gli anni 50. Proprio dopo la guerra è stato introdotto il concetto di Obsolescenza programmata e di Obsolescenza percepita (Vedi capitolo “Abitudini e attitudini”) al fine di incrementare le vendite di prodotti e rilanciare l’economia dei paesi surclassati dalla guerra. I concetti teorizzati nel periodo post bellico, sono ancora oggi, di grandissima attualità.

Smaltimento/

L

a grande proposta di beni d’acquisto presenti sul mercato porta, grazie alla spinta data dalle varie obsolescenze e dalla pubblicità che le alimenta, ad una continua richiesta di beni nuovi e all’ultimo grido. Questa situazione porta ad accumulare un grande numero di prodotti che riempirebbero le nostre case se non venissero buttati; a questo punto entra in gioco la fase della dismissione: la quale rappresenta


il tema più conosciuto dopo il consumo, all’interno delle fasi dell’economia dei materiali. Il cittadino medio produce circa 1,5 Kg di rifiuti al giorno, i quali devono essere seppelliti in discarica, altrimenti bruciati in inceneritori e poi seppelliti a loro volta. Questo processo mette automaticamente a rischio l’acqua e l’aria che molto probabilmente verranno inquinate a causa dei gas tossici liberati dalla combustione o dal filtraggio delle sostanze in discarica sino alle falde acquifere. L’attività di riciclaggio fornisce un’ottima alternativa alla dismissione, in quanto permette ad un materiale di essere nuovamente impiegato in una produzione all’interno della quale sostituisce quello di nuova estrazione; nonostante ciò, questa azione non è abbastanza. Spesso dietro il bidone che portiamo in discarica si nascondono 70 bidoni a monte, risultanti dalla produzione del prodotto originario. Anche ipotizzando che il 100% dei nostri rifiuti possa essere riciclato non saremmo in grado di risolvere questo problema; questa azione non è però possibile, in quanto molti oggetti vengono prodotti per non essere riciclati, come nel caso di certe confezioni alimentari costituite da diversi livelli di materiali che vanno dalle plastiche al metallo. Il problema dei rifiuti rappresenta, oggi, una delle problematiche principali rispetto la preoccupazione per l’ecosistema. Il riuso si pone come attività di supporto al ciclo di vita del prodotto che in qualche modo, allontana il rifiuto dal diventare tale prima del tempo.

L’ideale sarebbe cambiare questo sistema in crisi e realizzare qualcosa di sostenibile per il quale i “rifiuti” vengono re-immessi nel sistema, diventando nuova materia; abbandonando per sempre la vecchia ideologia “usa&getta”.

I rifiuti ieri e oggi/

N

ell’antichità, i rifiuti prodotti non venivano degnati di attenzione, tanto che venivano riversati nelle strade senza cura, creando ambienti insalubri. I Greci furono i primi a creare un servizio di pulizia urbana che provvedeva a spostare i rifiuti fuori dalle mura della città, in vere e proprie discariche. Nell’antica Roma, ognuno doveva provvedere alla pulizia del proprio circondario, fino a quando Giulio Cesare bandì una gara d’appalto pubblica per le pulizie delle strade, dividendo le spese fra amministrazione e proprietari delle abitazioni. I Romani furono dunque di fatto i primi creatori di servizi pubblici di raccolta rifiuti, che vennero applicati in tutto l’impero. Nel Medioevo l’attenzione ai rifiuti è venuta meno, in particolar modo a causa dell’arrivo dei barbari, che non avevano particolari attenzioni nei confronti dell’igiene. Questa noncuranza nei confronti della pulizia fu il principale catalizzatore delle epidemie del periodo, con conseguenze disastrose sulla popolazione. Il concetto di rifiuto del passato era prevalentemente legato a quello di sporcizia, in quanto si trattava soprattutto di liquami e composti di origine organica, oltre che di scarti di lavorazione degli artigiani. Ciò che veniva buttato via dai più abbienti, che sprecavano per ostentare la loro ricchezza, veniva facilmente riutilizzato dai più poveri, creando naturalmente un ciclo virtuoso di recupero. Nel Rinascimento si ritornò all’ordine, con i “navazzarri”, gli antenati degli attuali operatori ecologici, che raccoglievano e

14 / 13


trasportavano fuori città i riufiuti, dove venivano utilizzati per concimare i campi. In quel periodo la quantità media di rifiuti che una famiglia produceva in una settimana non superava i due o tre chilogrammi ed era per lo più costituita da ceneri: il riscaldamento domestico era a legna o a carbone. La cenere di legna, ricca in soda, veniva utilizzata per lavare i panni, e solo quella di carbone doveva essere gettata. Gli avanzi di cibo erano molto pochi e quei pochi venivano raccolti per essere riutilizzati come mangime per i maiali. Le pentole rotte o gli altri utensili domestici in metallo venivano venduti e fusi per farne nuovi oggetti. Il vetro non veniva quasi mai gettato e neppure i tessuti, che erano riutilizzati in vari modi. La poca carta o il legno di scarto diventavano combustibile per scaldare la casa e cucinare. Le prime forme di riuso sistematico risalgono al XVII secolo, quando gli straccivendoli passavano per le case a raccogliere pezze e cercare rifiuti da riutilizzare. Alla fine del Settecento, con la Prima Rivoluzione Industriale, si iniziano a sfruttare in modo più consistente le risorse. I quantitativi di immondizia diventano sempre più considerevoli e nel 1884 viene imposta la disposizione di bidoni per la raccolta rifiuti a Parigi, in quanto elementi da nascondere. In un solo secolo di storia, la concezione del rifiuto è cambiata enormemente nel panorama europeo, variando secondo fattori soprattutto economici e culturali. Negli anni delle guerre mondiali lo spreco era pressoché inesistente: la penuria

di oggetti e cibo faceva sì che la gente avesse la massima cura per i propri averi, riparandoli e rigenerandoli fino all’estremo. Le stesse ricette tradizionali si basavano sull’utilizzo di avanzi, affinché niente venisse buttato. Con la ripresa economica degli anni 5060, si torna a generare moli consistenti di rifiuti, in particolar modo a causa della produzione di massa accompagnata dall’emergere delle industrie europee, dei grandi magazzini e del capitalismo. Lo shock economico dei mercati delle materie prime del 1974, provoca un aumento spropositato dei prezzi e fa riflettere per la prima volta anche i governi sulla penuria di risorse e sull’inquinamento. Ambientalisti di tutto il mondo si mobilitano per combattere i danni del capitalismo e della produzione di massa sulla salute del pianeta. Con il crollo mondiale dei prezzi della fine del secolo c’è un’inversione di tendenza e si torna a consumare con più leggerezza e conseguentemente a sprecare di più. Con il nuovo millennio, la consapevolezza della gravità delle problematiche ambientali portano gli Stati più ricchi a cercare delle soluzioni: l’aumento della popolazione mondiale, il miglioramento della qualità della vita nei paesi in via di Sviluppo, le risorse minerarie e fossili in via d’estinzione aggravano di giorno in giorno la situazione, determinando la produzione sempre più massiva di rifiuti e il consumo sempre più intensivo delle risorse. Nuove norme vengono redatte per coor-


dinare la gestione dei rifiuti a livello europeo e sincronizzare le azioni di savaguardia ambientale. L’economia dei riufiuti mondiali oggi sta acquistando un ruolo di sempre maggior rilievo. I dati riguardanti la penuria di risorse sono di anno in anno più preoccupanti, e il rifiuto dovrà sostituirsi ad esse per continuare a soddisfare le esigenze del mercato.

Sistemi di gestione dei rifiuti/ Nel 2006, Veolia Propreté, gestore dei rifiuti numero uno nel mondo, ha affidato a CyclOpe, principale istituto europeo di ricerca sui mercati delle materie prime, uno studio preliminare sull’universo dei rifiuti nel mondo. Il risultato è stato un testo dal titolo: “Dalla scarsità all’infinito. Panorama Mondiale dei Rifiuti 2009”, (Testo integrale: Du rare à l’infini. Panorama mondial des déchets 2009. Edizioni Economica) che è stato accolto con favore vincendo un premio di riconoscimento dall’ISWA(International Solid Waste Association), principale organizzazione internazionale nel settore dei rifiuti. I dati di questo studio, seppur molto accurati, hanno talvolta delle inesattezze, dovute alle diverse realtà dei vari Paesi. Ciò è dovuto prevalentemente ai differenti metodi di raccolta dati, determinati in parte anche dalle normative vigenti e dai sitemi di gestione dei rifiuti. Ai fini della nostra ricerca sono stati estrapolati i dati relativi ai rifiuti solidi urbani (RSU), ovve-

16 / 15

ro i rifiuti che vengono quotidianamente gettati nei bidoni cittadini e prodotti in ambito domestico. L’acronimo RSU è il corrispettivo italiano dell’internazionale MSW(Municipal Solid Waste). Ogni Paese è tenuto a redarre un rapporto per documentare le proprie stime, con l’obiettivo di tenere sotto controllo la situazione e ridurre al massimo i quantitativi di rifiuti destinati alla discarica. Nella maggior parte degli Stati non vengono compresi nelle stime i rifiuti industriali, agricoli, radiottivi, medici e i liquami. Generalmente i RSU vengono classificati come segue: -Biodegradabili (cibo, materiale organico) -Riciclabili nelle filiere di raccolta(carta, vetro, metallo, plastica, legno) -Apparecchiature elettriche ed elettroniche (identificati con la sigla RAEE) -Rifiuti compositi, ingombranti e vestiti -Rifiuti pericolosi (vernici, prodotti chimici, lampadine, tubi fluorescenti, bombolette spray, fertilizzanti) -Rifiuti tossici (pesticidi, fungicidi etc.) -Medicinali - Inerti Secondo una stima del 2006 le quantità di RSU prodotti nel mondo è di 1,7-1,9 miliardi di tonnellate, mentre quelle effettivamente raccolte si aggirano attorno a 1,23 miliardi. Sul totale dei rifiuti prodotti (da 3,4 a 4 miliardi di ton.) circa il 50% provengono dagli scarti urbani. Riducendo notevolmente la produzione di questi scarti, i benefici che ne trarrebbe il nostro pianeta sarebbero molto significativi.




Gestione dei rifiuti/ Introduzione/

U

no studio dell’Iswa del 2012 mette in evidenza che la mancanza di sistemi di gestione dei rifiuti è ancora un grande ostacolo, attualmente circa 3,5 miliardi di persone (la metà della popolazione mondiale) non raccoglie o recupera rifiuti in quanto non dispone neanche dei sitemi più basilari di raccolta come ad esempio il trasporto dei rifiuti fuori dalle aree residenziali e uno smaltimento controllato. La quantità totale di rifiuti prodotti annualmente ammonta oggi giorno a 4 miliardi di tonnellate e circa 1,2 miliardi di tonnellate sono rifiuti solidi urbani (R.S.U). A causa della globalizzazione, dell’aumento del reddito nazionale lordo/pro capite e del costante aumento della popolazione, queste cifre stanno crescendo drammaticamente. La mancanza di uno smaltimento controllato e l’ampio uso di discariche a cielo aperto sono testimonianze di quanto questo atteggiamento sia estremamente dannoso per il nostro pianeta. La sfida che il mondo si trova quindi ad affrontare è ora il miglioramento dei sistemi di gestione con cui smaltire questa montagna di rifiuti, tramite il coordinamento delle politiche di gestione dei diversi Paesi e attraverso aiuti mirati ai Paesi in via di sviluppo. E’ quindi necessario adottare corrette pratiche di gestione dei rifiuti che riducano il ricorso all’uso delle discariche e degli inceneritori, soluzioni che producono un impatto ambientale spesso problematico, e che oggigiorno sono ancora largamente usate. Circa il 70% dei rifiuti urbani prodotti finisce in discarica, mentre solo un 19 % prende la strada del riciclo (compreso il compostaggio).

20 / 17

La situazione più critica è certamente riferita alle metropoli con presenza di “mercati maturi”, il cui numero sta crescendo in maniera esponenziale. L’Iswa stima che nel 2015 esse saranno 33, 27 delle quali nei Paesi del “Sud del Mondo”, che avranno un totale di abitanti che supera i 359 milioni di persone. I ricercatori ritengono necessario un approccio più sistemico alla gestione dei rifiuti con l’utilizzo di tecniche e metodi di benchmarketing condivisi all’interno dei diversi Paesi. Lo studio dimostra che nonostante l’implemento degli aiuti internazionali, i progetti di gestione dei rifiuti raggiungono percentuali ancora troppo basse e che i finanziamenti e gli aiuti verso i Paesi in via di sviluppo economico sono una priorità internazionale se si vuole salvaguardare l’intera popolazione. Se esiste una preoccupazione pressoché generalizzata non si può dire che esista lo stesso quadro normativo, le stesse pratiche e gli stessi incentivi e finanziamenti. In ampi termini, gli aspetti che è necessario considerare nella scelta del miglior sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani sono quello ambientale, quello economico e quello tecnologico. Questi aspetti fondamentali combinati con le diverse normative e direttive hanno dato vita a un’ampia quantità di metodi e iniziative per fronteggiare il problema rifiuti. Le collettività locali sono sottoposte a degli obblighi e delle richieste sempre più onerose in termini di risultati, ma la possibilità di gestione delegata permette loro di trovare delle soluzioni più indicate alla territorialità e proprie delle ditte appaltatrici. Il rapporto delle società con i propri rifiuti é assai complesso da analizzare. Nel modo in cui le diverse politiche gestiscono i rifiuti dalla loro “produzione “ alla raccolta , ai trattamenti, si possono individuare quattro tendenze principali : la discarica a cielo aperto senza nessun controllo, le discariche organizzate, l’incenerimento con o senza recu-


High income Dumps 0,05 Landfills 250 66 Compost Recycled 129 Incenarition 122 Other 21 Upper middle income Dumps 44 Landfills 80 1,3 Compost 1,9 Recycled 0,18 Incenarition 8,4 Other Lower middle income Dumps 27* Landfills 6,1 1,2 Compost 2,9 Recycled 0,12 Incenarition 18 Other Low income Dumps 0,47 Landfills 2,2 0,05 Compost Recycled 0,02 Incenarition 0,05 Other 0,97 pero energetico e la valorizzazione dei rifiuti(riciclaggio e compostaggio). Molti sono i fattori che intervengono nella determinare i diversi sitemi di gestione come ad esempio il livello di benessere e

lo sviluppo economico,lo spazio disponibile, il comportamento civico e gli obblighi legislativi. Le più deboli politiche di gestione appartengono ai Paesi più poveri, dove la maggior parte dei rifiuti viene buttata in discarica e dove la presa di coscienza del problema rifiuti è a dir poco recente. Questo accade anche in molti Paesi in via di Sviluppo come la Turchia, il Messico e anche in certi Paesi europei, come la Grecia e il Sud Italia. Inoltre più un Paese è vasto, più il numero di discariche a seppellimento aumenta: è il caso dell’Australia, di alcune regioni degli Stati Uniti e paradossalmente anche di Hong Kong. Al contrario la scelta dell’incenerimento corrisponde a Paesi con un’alta densità urbana e con pochi spazi (vedi Giappone, Taiwan o Nord Europa).

I modelli principali di gestione dei rifiuti variano tra sistemi di gestione pubblici a quelli privati o parzialmente privati (tramite delega ad aziende private in collaborazione con il pubblico)L’europa e gli Stati Uniti fornisco un modello esemplare di partnership pubblico-privati. Oltre ai diversi livelli di contratto che regolano i sistemi di gestione, il più delle volte sono largamente usate politiche di incentivazione e disincentivazione mediante l’applicazione di sovrattasse e multe. L’Europa e gli Stati Uniti fornisco un modello esemplare di partnership pubblico-privati. Nell’Unione Europea, La Waste Framework Directive (Direttiva 2008/98), compie 3 anni di vita, e già una nuova versione è in fase di approvazione al parlamento europeo. All’interno dell’Unione però le differenze sono enormi. C’è chi preferisce gli inceneritori (famosi quelli cittadini di Copenaghen e Vienna), chi le discariche (Gran Bretagna su tutti) e ci sono paesi che


hanno fatto del riciclaggio un vero e proprio business come Finlandia, Svezia. Le differenze sono spesso legate ai differenti livelli di sviluppo economico, ma anche a contrastanti approcci culturali tra paesi aventi la stessa ricchezza economica. Ad esempio alcune nazioni considerano i rifiuti inerti di demolizione come dei prodotti riutilizzabili, e quindi nelle statistiche non vengono neanche conteggiati come rifiuti. Il concetto stesso che sta dietro alla parola “rifiuto” infatti, subisce diverse interpretazioni a livello internazionale. In Germania ad esempio, si è sviluppato a partire dal 1991 ha messo a punto un modello di gestione virtuoso e funzionante che ha portato questa regione ad avere nel 2012 il 65% di rifiuti riciclati. La prima cosa da notare e che i cittadini tedeschi ritengono che i propri rifiuti siano qualcosa che appartiene a loro e non qualcosa di cui bisogna disfarsene di nascosto. La spazzatura è gestita molto seriamente da quasi tutta la popolazione, prendiamo ad esempio la città di Schwabisch Gmund dove ogni cittadino è dotato di un manuale di 13 pagine in cui viene analizzata la raccolta differenziata e le diverse destinazioni dei rifiuti nei relativi cassonetti. Quattro sono i bidoni che hanno a disposizione e la raccolta è organizzata porta a porta con orari prestabiliti, se essi non vengono rispettati vengono date multe salatissime. E in caso di errori con i rifiuti (plastica nella carta o viceversa ) ci si ritrova il sacchetto appeso alla maniglia della porta. Per quanto riguarda l’immondizia generica ogni cittadino ha diritto a una quota di volume consentito, in caso di superamento, anche piccolo, non viene ritirata. Un altro caso virtuoso è quello della raccolta in Svizzera, la quale dispone di una rete molto ben strutturata per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, e gli impianti e le infrastrutture di smaltimento. Circa il 51% dei rifiuti viene riciclato mentre il restante passa agli inceneritori e impiegato per per la produzione di energia elettrica, soltanto l’1% finisce in discarica. La Svizzera si occupa di smaltire la spazzatura di diversi

22 / 19

paesi d’Europa: La Germania L’Austria e L’Italia, nel 2011 hanno trasportato qui una quantità di rifiuti che superano le 350 mila tonnellate. Per quanto riguarda i rifiuti elettrici ed elettronici la Svizzera è leader nel riciclaggio e si pone come modello nel recupero di questi rifiuti. L’organizzazione della raccolta è infatti basata su una tassa di riciclaggio obbligatoria prelevata al momento dell’acquisto di ogni apparecchio elettrico o elettronici, ossia una tassa anticipata che assicura il finanziamento della raccolta e dello smistamento. Questo metodo é fra i più efficienti ed efficaci al mondo tanto che nello scorso anno l’80% dei materiali che compongono questi scarti è potuto tornare nella filiera delle materie prime.In Gran Bretagna invece si è assistito a un netto miglioramento grazie all’avvio di un sistema a crediti secondo il quale ciascuno dei 121 territori riceve una quota di crediti per lo smaltimento in discarica, la quale può essere superata soltanto tramite l’acquisto di crediti da un altro ambito che ne ha in avanzo. Una sovrattassa Austria

Grecia Spagna

Germania

Romania Portogallo Inghilterra Svizzera 02

04

06

08

0

100

120


en to Ve ne to Bo lz an Pi o em on t F. V. e Gi ul ia Lo m ba rd E. Ro ia m Sa ag n rd eg a na V. d’ Ao M sta ar ch e To sc an Ca a m p Um ania br i Ab a ru z Li zo gu ria La zi o Pu gl ia Ba si lic M ata ol is e Ca la br S i ia cil ia

Tr

0,0% 10,0% 20,0% 30,0% 40,0% 50,0%

Raccolta differenziata di rifiuti urbani in % della raccolta

per lo smaltimento in discarica è anche la soluzione per la quale ha optato la Francia. Diversamente, la Spagna, ha preferito muoversi verso la prevenzione e la minimizzazione a monte della quantità di rifiuti, prevedendo un innalzamento della percentuale di riciclo fissando degli obbiettivi validi a livello nazionale. Ci sono tuttavia all’interno dell’Europa molti stati membri che continuano ad avere politiche molto deboli e del tutto inefficienti quali ad esempio il Portogallo, la Grecia, Cipro la Romania l’Estonia e in qualche termine anche l’Italia .

La situazione Italiana/ L’indirizzo legislativo e normativo in tema di gestione dei rifiuti stabilito dall’Unione Europea viene recepito a livello italiano con il Decreto Legislativo detto “decreto Ronchi “del 1997, oggetto di successive abrogazioni e modifiche sostanziali (vedi parte 1, Normative). Questa normativa definisce il termine rifiuto come “ qualsiasi sostanza ed oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”, essa inoltre stabilisce linee Rifiuti urbani smaltiti in discarica in Kg per abitante

60,0%

guida quali lo sviluppo di tecnologie pulite unite a una rete adeguata di impianti di smaltimento, il recupero dei rifiuti mediante riciclo, e la priorità nella prevenzione della formazione di rifiuti. L’analisi condotta dall’Ispra nel 2010 evidenzia però che lo smaltimento in discarica è ancora la forma di gestione più diffusa (49%,) mentre il 33 % è sottoposto a operazioni di recupero di materia incluse il processo di trattamento biologico (compostaggio). Ma all’interno delle regioni vi è una profonda differenza in termini di percentuali. I dati dalla diciannovesima edizione dei Comuni Ricicloni di Legambiente mostrano che in Italia 1 comune su 7(pari al 13% dei comuni italiani) supera il 65% di raccolta differenziata e la maggior parte di questi si trova nel Nord mentre il meridione rimane lo “zoccolo duro” della questione. Dieci regioni tra cui Liguria, Umbria, Marche, Lazio, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia superano oggigiorno il 60% dei rifiuti conferiti in discarica e la Sicilia tocca il record con il 93 % che è una cifra spaventosa messa in relazione con il resto dell’Europa e con la Lombardia stessa che smaltisce in discarica solamente l’8% dei suoi rifiuti.

500,0 400,0 300,0 200,0 100,0

ta

gl ia M ol is M e ar c Ba he si lic at Ab a ru zz To o sc an Ca a la Ca bria m pa Pi nia em o Sa nte rd eg na Em ili Tre a Ro nto m ag na Ve ne Fr t iu Bo o li Ve lz an ne o zi a Gi Lo uli a m ba rd ia

Pu

Ao s

br ia Va l

le

d’

zi o

Um

La

ria gu

Li

Si

cil

ia

0,0


Grandi utenze : raccolta simile a quella domiciliare ma caratterizzata da utenze non domestiche che producono una grande quantità di rifiuti. Piattaforme : bacino di utenza generalmente comunale, raccolta attraverso una struttura protetta e custodita con funzione di isola e ecologica e centro di stoccaggio o passaggio intermedio. All’interno delle isole ecologiche i rifiuti sono generalmente suddivisi in base ai materiali in modo da permettere un più veloce trasferimento ai centri di recupero e riciclo. Attualmente due comuni italiani su tre usano il sistema dei cassonetti stradali mentre il rimanente terzo si basa sulla raccolta di tipo domiciliare. Quest’ultima tuttavia ha avuto un costante sviluppo nel corso dell’ultimo decennio in quanto nonostante sembri maggiormente costoso i dati dimostrano che dà la possibilità di raggiungere migliori risultati nella raccolta differenziata. L’elevata qualità e quantità della raccolta differenziata ha però sul mercato economico nazionale un maggior peso in termini di introiti . La città di Roma a partire dal 2010 ha messo a punto un nuovo metodo di raccolta definito “duale” che prevede l’affianca-

24 / 21

olta stradale c c ra

Domiciliare : utenze individuate, in quanto vengono dotate di contenitori per l’accumulo di rifiuti raccolti porta a porta.

6 0 0 % 4 %

olta dom i c racc ilia r

Stradale :le utenze non sono individuate, avviene per mezzo di contenitori (cassonetti) posti in aree e strade prestabilite.

mento della raccolta degli scarti organici, con punti fissi di raccolta ogni 10 ore al giorno al tradizionale uso dei cassonetti e della raccolta stradale per la raccolta dei rifiuti indifferenziati della carta e della plastica. Un metodo similare è stato dapprima messo in pratica nella Regione Veneto dove la progressiva sostituzione

e

Per spiegare i differenti risultati all’interno della nostra regione , bisogna fare un passo indietro per focalizzare i diversi meccanismi di raccolta previsti nel territorio. La raccolta dei rifiuti è definita dalle operazione di accumulo prelievo e organizzazione dei rifiuti e il loro trasporto fuori dalle aree urbane. Se la raccolta è effettuata raggruppando i rifiuti in frazioni merceologiche e materiche omogenee si parla di raccolta differenziate (RD). I sistemi attualmente in uso sono diversi e si distinguono in :

della raccolta mediante cassonetto stradale del rifiuto indifferenziato con la raccolta domiciliare della frazione umida e di quella secca non riciclabile, ha consentito di porre questa regione come leader italiano nel campo della differenziata con circa il 58,7%di rifiuti riciclati. La gestione dei rifiuti in Piemonte è delineata nella legge regionale n.24/02 e prevede l’esistenza di un sistema integrato affidato a delle associazioni in ambito territoriale (ATO) che sono 8 in tutta la Regione. Il sistema integrato è il complesso delle attività, delle strutture e dei rapporti consorziati che permettono di rendere più efficace ed efficiente le operazione di raccolta , trasporto, smaltimento dei rifiuti urbani. Si tratta di un sistema strettamente correlato e che comprende l’intero flusso dei rifiuti, i comuni appartenenti allo stesso bacino si consorziano sotto un solo consorzio a cui è affidato il governo della gestione dei rifiuti.


Il sistema di raccolta/ Il sistema di raccolta anche esso definito nel sistema integrato si sta pian piano indirizzando verso una più attenta selezione del rifiuto al fine di rendere più facile il riciclo e il recupero energetico. La due principali organizzazioni di raccolta forniti dalla gestione pubblica sono: la raccolta effettuata dall’utente, e la raccolta effettuata tramite il conferimento da parte dell’utente presso isole di raccolta. A livello regionale da alcuni anni il sistema di raccolta domiciliare si sta sostituendo alla raccolta stradale per mezzo dei cassonetti. Questo sistema ha permesso di raggiungere : un’elevata quantità di raccolta differenziata ( media del 57,7% rispetto alla media di 40,5% della raccolta stradale, e una minor quantità di rifiuti complessivamente prodotti in kg pro capite. Purtroppo il sistema di raccolta stradale condiziona ancora fortemente i risultati della raccolta differenziata. Esistono poi i centri di raccolta ,chiamati comunemente “isole ecologiche , queste svolgono il raggruppamento secondo frazione materiche omogenee, in modo da facilitare il trasporto successivo agli impianti di recupero e riciclaggio. I rifiuti urbani pericolosi e non vengono qui conferiti dalle diverse utenze ma anche attraverso i gestori e gli operatori del servizio pubblico. Il comune di Torino affida il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani all’azienda pubblica Amiat S.p.A. Nel 2006 questa azienda ha elaborato un nuovo documento (denominato“Piano Strate-

gico di estensione dei servizi di raccolta domiciliare integrata nella Città di Torino”) che prevede il graduale ampliamento della raccolta porta a porta. Il nuovo documento è stato redatto, in collaborazione con la Regione Piemonte, al fine di sviluppare un sistema capace di raggiungere il 65% di raccolta differenziata in linea con gli obbiettivi stabiliti a livello nazionale. Il sistema di raccolta domiciliare per rifiuti urbani applicato nella città di Torino prevede però alcune differenze in base alla territorialità e al numero di abitanti dislocati nelle varie zone. Molto interessante è il fatto che la frequenza di raccolta per la frazione secca non riciclabile sia volutamente limitata per incentivare alla raccolta differenziata e per migliorare l’efficienza del sistema.

Gli ecocentri/ Per favorire i cittadini con le pratiche di raccolta Amiat e la Città di Torino hanno messo a disposizione gli ecocentri o centri di smistamento intermedio . In città sono presenti sette ecocentri dislocati in sei delle 12 circoscrizioni, qui si possono conferire gratuitamente i rifiuti elettrici ed elettronici RAEE, i materiali recuperabili (carta, vetro e lattine, plastica, frazione organica, metalli, tessuti, legno ), rifiuti urbani pericolosi (medicinali scaduti e siringhe usate, oli esausti, pile esaurite, accumulatori, vernici, colle, smacchiatori, insetticidi) e i secchi ingombranti . L’azienda fornisce anche un servizio di assistenza telefonica di trasporto e di ritiro ingombranti presso le abitazioni stesse.


All’interno dell’area sorvegliata i rifiuti vengono suddivisi in grandi blocchi in base al materiale di provenienza in modo da favorire le dislocazioni future. Nella realtà italiana l’isola ecologica è l’impianto che riceve, in proporzione ai volumi conferiti la maggior quantità di merci riusabili . “Ai fini di un’ipotesi di riutilizzo su scala,la piattaforma ecologica è l’infrastruttura ideale: la sua funzione di smaltimento e la sua ubicazione all’interno del territorio la rendono il luogo più idoneo a un’attività localizzata di “prevenzione”; presso le isole è già possibile effettuare un’accurata scelta di prodotti riusabili e sottrarle al flusso dei rifiuti diretto a smaltimento o verso filiere di riciclaggio industriale” (cit. “La seconda vita delle cose”) L’idoneità dell’ecocentro alla pratica del riuso è dimostrata anche a livello torinese : nel 2006 la cooperativa Triciclo ha ricevuto in affidamento da parte di Amiat S.p.A la gestione dei laboratori e del mercato del riuso presenti all’interno di Via Arbe a Torino. Sull’esempio di analoghe esperienze europee come quelle di Helsinki, Brema, e Hannover, la collaborazione con Triciclo è nata con l’intento di creare “un’escamotage” per sottrarre al flusso dei rifiuti in entrata all’ecocentro di Via Arbe , alcuni oggetti di possibile riutilizzo. Trovandosi all’interno dell’isola ecologica è infatti possibile per gli operatori proporre all’utente l’alternativa del mercatino dell’usato alla dismissione e al riciclaggio, promuovendo il riuso e la riduzione dei rifiuti. Si tratta di un’attività in sintonia con le finalità sia della cooperativa che dell’azienda perché, da un lato

26 / 23

permette il recupero di oggetti ancora utilizzabili e dall’altra parte, accresce la percentuale di rifiuti raccolti in maniera differenziata come stabiliscono le recenti normative in materia ambientale. La quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato a cura dell’Amiat,direttamente o tramite terzi convenzionali ammontano nel 2012 a circa 180.357 tonnellate.La raccolta di carta e cartone occupa da sola 62mila tonnellate mentre il vetro e le lattine si fermano a circa 24mila. La plastica è stata accumulata per un peso di 11mila tonnellate al pari quasi dei legni ingombranti (mobili ecc) .Questi dati devono essere messi in relazione con la quantità di indifferenziata che purtroppo rimane ancora su cifre piuttosto alte anche se in calo nel corso degli anni, nello scorso anno infatti Amiat ha raccolto di 270.005 tonnellate, , con un calo del 4,3% rispetto al consuntivo del 2011. Per le ingenti quantità di materiale riciclabile Amiat ha stipulato dei contratti con alcuni tra i più importanti consorzi di filiera nati a seguito del decreto Ronchi e aderenti al CONAI. Tra questi troviamo Rilegno che si occupa di smaltire le montagne di rifiuti legnosi recuperate nella nostra città. In Italia circa 1 milione e 580 mila tonnellate di rifiuti vengono trasformati da rifiuti a risorse.

La Raccolta informale/ Parallelamente alle legislazioni e alle direttive che guidano la gestione dei rifiuti a servizio pubblico vi è un altro tipo di raccolta che viene chiamata “raccolta informale”. In questa definizione rientrano


5 4 3 2 1 Turkey

Columbia

Brazil

India

China

0

Paesi in via di sviluppo/ La raccolta informale è sempre stata in tutto il mondo un’attività in grado di fornire uno stanziamento alle persone più disperate, un meccanismo di sopravvivenza che non include reati contro le persone e contro il patrimonio. Le città del Terzo mondo a causa della loro configurazione, la mancanze di risorse e la quantità enorme di popolazione, spesso non garantisco nessun servizio di raccolta differenziata. Questo è quasi total-

Materia le R ic ile ab icl

quelle azioni illegali o non che affiancano la politica formale nella gestione dei rifiuti. Sono molti i termini che vengono usati per riferirsi alle persone che svolgono questa attività : waste pikers, cartonero, catadores , scavanger, rigattieri e molti altri, ma tra di essi vi sono differenze sostanziali sia in termini di povertà e salari, sia per quanto riguarda le diverse modalità di approvvigionamento.

Nel 2011 è stato stimato che circa il 2 % della popolazione sopravvive grazie a questo tipo di attività. Tramite uno studio condotto dalla World Bank si evince che in Cina i raccoglitori informali sono circa 6 milioni mentre in India ve ne sono 1,5 milioni. Il Brasile è ritenuto essere il paese che ha la più alta quantità di rifiuti raccolti dai waste pickers che sono stimati essere un quarto della popolazione. Purtroppo tali organizzazioni non sempre svolgono soltanto del bene, i raccoglitori informali spesso scaricano illegalmente alcuni rifiuti considerati inutili nelle foreste, nei fiumi e nelle città ,contribuendo a danneggiare la salute del pianeta. Inoltre non è da sottovalutare il fatto che a causa del quotidiano rapporto con i rifiuti , i raccoglitori informali corrono grandi rischi per la loro salute. Vivendo in condizioni

riciclabile n o n e

6

mente svolto dalle economie popolari, le quali attraverso operazioni convenzionali, contribuiscono a creare nuovi posti di lavoro, salvaguardando l’ambiente e riducendo l’inquinamento e il sovraffollamento delle discariche.

Mat e r ial

Waste picking in the world 2010

ND Servizio municipale Raccolta Informale Materiale Organico


ostili di sporcizia e squallore , e stando in contatto con sostanze pericolose, il più delle volte tossiche, sono spesso soggetti a malattie o lesioni mortali. Alcune soluzioni a questo problema stanno prendendo piede in molte città del Paesi in Via di Sviluppo: l’integrazione del servizio di raccolta informale al programma formale di smistamento finale è già stata catalogata come una delle migliori iniziative individuate. Negli ultimi dieci anni infatti i waste pikers dell’America latina dell’Africa e dell’Asia hanno conquistato gradualmente un posto nei sistemi di riciclaggio formale. Modelli organizzativi come cooperative, associazioni, micro imprese hanno sviluppato una forte partnership con le aziende private, le quali garantiscono ai raccoglitori informali sia il potere di vendita, che apparecchiature di sicurezza e permessi di lavoro. Il Brasile, ad esempio, non ha attualmente un buon programma di raccolta differenziata e anche dove esiste non copre i quartieri più poveri, quindi la quantità di rifiuti raccolti dal servizio pubblico rimane comunque molto bassa (5% circa). Tuttavia è del tutto paradossale il fatto che il Brasile sia uno dei Paesi in Via di Sviluppo che ricicla di più al mondo . Questo accade perché all’interno della popolazione vi è un circuito alternativo alla raccolta ufficiale, che fornisce alle aziende riciclatrici una grande quantità di materiale. I “cercatori di rifiuti “ detti anche “catadores” utilizzando carri trainati da cavalli o carretti di metallo trainati a mano, si fanno carico della pulizia delle strade, occupandosi della selezione dei materiali riciclabili. Il più delle volte queste persone sono riunite in organizzazioni o coperative come

28 / 25

ad esempio la Latin American Waste Picker Network (LAWPN) che rappresenta ormai da anni i diritti dei raccoglitori informali provenienti da 16 paesi diversi. Il sistema informale, in questi casi, viene integrato nei sistemi di gestione ufficiali, e quando non accade l’istituzione pubblica si limita a garantire spazi intermedi ai waste pikers consentendo loro la selezione e lo stoccaggio di materiali utili e riciclabili. Nel quartiere di San Paolo del Brasile chiamato Diadema è in attuo un programma denominato Vida Limpa il quale ha garantito un aumento del 110% della raccolta differenziata in soli due anni. Questo grazie alla collaborazione coi catadores de lixo ai quali vengono forniti gli automezzi necessari per la raccolta e il rimborso delle spese di trasporto. La LAWPN ha stimato che grazie a queste collaborazioni, e con pochi ulteriori sforzi economici, alcune aree dell’America latina hanno raggiunto il 20% di raccolta differenziata. Centinaia di migliaia di euro sono servite invece, alla sola città di Roma, per raggiungere questa stessa percentuale. Città del Messico ha sviluppato negli ultimi anni un sistema di gestione dei rifiuti informale che rasenta la perfezione. Formalmente la raccolta è gestita dal DF Distrito Formal che fa affidamento a 17000 impiegati che conferiscono i rifiuti in 16 discariche a cielo aperto. Lo schema ufficiale di raccolta è apparentemente mediocre ma le dinamiche dell’informalità sono in realtà l’ossatura di tutta la gestione .Questo universo non dichiarato garantisce a 10 milioni di abitanti di Città de Messico una raccolta giornaliera che avvia quotidianamente al riciclo e al riuti-


lizzo un’enorme quantità di materiali. Gli operatori hanno un salario molto basso e il vero motore del sistema è garantito da una mancia detta propina che nel corso dei decenni ha acquistato legittimità e la forma di una tariffa a tutti gli effetti. Infatti ogni passaggio di materiale riciclabile corrisponde a una piccola rendita economica e una transizione monetaria non ufficiale. A volte i soldi vengono ricevuti per cedere altri per acquistare. Una rete di scambi molto articolata e con dinamiche nascoste che consente però alla città di riciclare e agli operatori di vivere. La raccolta inizia quotidianamente la notte, quando i cosiddetti “residuos en transito” ossia gli oggetti abbandonati sul suolo, e la spazzatura accumulata sui marciapiedi vengono rovistati minuziosamente dai prependadores. I rifiuti così raccolti vengono portati nei “centri di accoppio”, a volte gli stessi condomini si accordano per raccogliere i rifiuti condominiali e ricevere anche essi una propina (stabilita in proporzione al peso dei bidoni). Dopo il “centro di accoppio” i camion si dirigono alla discarica, qui altre famiglie di prependadores separano un’ulteriore frazione di materiale riciclabile oscillante fra il 13-15% del totale.Nel vocabolario eurocentrico l’informalità viene rigidamente assimilata alla disonestà e il rapporto informale-formale viene relazionato ai concetti di corruzione e collusione. Se le sperimentazioni indiane e brasiliane riuscissero a includere anche l’organico nel loro sistema di differenziazione, i risultati virtuosi europei sarebbero presto raggiunti, ma in forma incomparabilmente più produttiva e con un forte valore aggiunto sociale.

Paesi Industrializzati/ L’ organizzazione in tema di rifiuti nei Paesi Sviluppati fino agli anni 60 , era la stessa che tuttora continua a vigere in quasi tutto il resto del mondo : la gestione pubblica si occupava dei rifiuti indifferenziati, mentre valanghe di raccoglitori informali smistavano, selezionavano, rivendevano i materiali riusabili e riciclabili. Negli ultimi anni la modernizzazione e la privatizzazione dei processi di raccolta nei paesi industrializzati ha pian piano sottratto spazio alle economie popolari. Se qualcosa non viene più utilizzato o perde la sua funzione d’essere viene gettato e finisce fra i rifiuti. Nella nostra civiltà volta al consumismo, questi beni non sono più considerati tali e raramente la gente pensa ad essi come qualcosa di prezioso da recuperare. Il fenomeno informale non viene più riconosciuto dalle istituzioni, e le politiche attuate sono repressive e miranti alla distruzione di queste attività. Questo accade anche se i nuovi sitemi di gestione della raccolta non si sono rilevati essere così efficaci : anche nei paesi industrializzati con grande fatica si riesce a raggiungere soltanto il 20 % 30 % di differenziata con una qualità del tutto discutibile. L’unico metodo per fare salire questa quota al 60 % è la raccolta porta a porta che sta lentamente insinuandosi in alcuni Paesi con costi però molto elevati. Infatti la raccolta domiciliare è un sistema labor intensive che concorre ad aumentare le spese economiche della gestione dei rifiuti. Se negli anni 70’ i sistemi di raccolta popolare e informale, che garantivano da sole le rotte porta a porta, fossero state coordinate


secondo programmi prestabiliti in collaborazione con i servizi pubblici, oggi la raccolta domiciliare sarebbe più facile e meno costosa. Nella realtà europea e italiana i sistemi di raccolta informali sono ancora vivi , ma si sono indirizzati nel campo del Riutilizzo. I grandi volumi di materiale riusabile, appartenente al flusso dei rifiuti solidi urbani, vengono quotidianamente selezionati nei cassonetti, nelle cantine, e per le strade dal canale informale o semi-informale per poi essere rivenduti al settore tradizionale dell’usato. Bisogna però tener conto che l’approvvigionamento, così condotto, non è in grado di garantire un flusso costante, il quale molte volte, non riesce a far fronte alla domanda sempre più alta del mercato. Ma ad alimentare il mercato dell’usato non ci sono solo i cassonetti, le giornate dello scambio e lo svuotamento di locali in disuso. In tutta Europa sono largamente in uso le riciclerie , dette anche stazioni ecologiche o ecocentri. Sono siti recintati dotati di guardiana , predisposti per raccogliere in maniera organizzata i rifiuti ingombranti. Purtroppo i beni conferiti in questi impianti, mobili, elettrodomestici, apparecchiature elettroniche, biciclette rotte, lampade ecc, non sono però destinati al Riuso, ma alla rottamazione: nel migliore dei casi per riciclare il materiale di cui sono composti, nel peggiore per alimentare un’inceneritore o riempire una discarica. Fino al recepimento della nuova direttiva sui rifiuti , la legge vieta di recuperarli e riusarli, anche quando potrebbero ancora funzionare. Sono rifiuti, e come

30 / 27

tali devono essere trattati . Per questo motivo un lato dell’informale trova spazio agli ingressi degli ecocentri dove individui, in genere immigrati, affiancano le macchine per chiedere cosa sta per essere buttato e per vedere cosa può invece essere salvato dal ciclo dei rifiuti. C’è poi chi agisce nell’illegalità, scavalcando di notte i cancelli degli ecocentri per saccheggiare il materiale che vi è riposto all’interno. Nelle isole ecologiche e nei cassonetti dell’indifferenziato stradale vi è una vera e propria miniera d’oro, che a causa delle leggi e delle aziende che si occupano dello smistamento non viene ancora selezionata per la preparazione al Riutilizzo. Queste merci hanno, il più delle volte, un grande valore economico : si tratta di oggetti potenzialmente recuperabili ancora buoni e funzionanti con i materiali che li compongono ancora in ottimo stato. In Romania secondo uno studio condotto nel 2012 è stata evidenziata la tendenza di molti raccoglitori informali a recuperare i rifiuti RAEE prima che essi siano inglobati nel flusso formale. Questo interferisce pesantemente sulle stime finali di raccolta condotte dalle autorità e soprattutto per quanto riguarda le norme di riciclo riferite ai rifiuti pericolosi. La raccolta informale gestisce grandi volumi di materiali di scarto illegalmente ed impropriamente e soprattutto a un costo marginale. E’ stato riportato che il 10 % dei rifiuti RAEE in tutta la Romania è recuperato dal circuito informale ed è circa il doppio del quantitativo gestito dal servizio pubblico che per due terzi dei casi non riesce a coprire la raccolta in


tutte le città. L’integrazione della raccolta formale a quella gestita dalle autorità è un passo necessario per aumentare le percentuali di raccolta differenziata e per ridurre i pericoli che i raccoglitori informali intercorrono nella selezione e nello smontaggio di rifiuti RAEE.

Italia/ In Italia vi è una situazione analoga: nella sola città di Roma, una stima portata a termine dall’associazione Occhio del Riciclone ha dimostrato che ogni anno i cassonetti dell’indifferenziato stradale ospitano almeno 33 milioni di euro di merce. Attualmente gran parte degli operatori dell’usato, presenti in Italia, agisce in modo abusivo e illegale. Le modalità di approvvigionamento dei rifiuti vanno dallo sgombero locali, alla ricerca presso i cassonetti stradali, e all’acquisto improprio presso rivenditori o direttamente dalle isole ecologiche stesse . L’approvvigionamento presso i cassonetti è diventato al giorno d’oggi monopolio degli operatori di etnia rom, mentre gli ambulanti italiani e nord africani sembrano rifornirsi principalmente dallo sgombero locali. Grazie alle dichiarazioni degli operatori rom e secondo un’ipotesi prudenziale, è stato possibile stimare che presso ogni cassonetto nella città di Roma è possibile recuperare in media due oggetti al giorno. Con 45000 cassonetti all’interno della città, gli oggetti recuperabili quotidianamente salgono a 90 mila. Questi moltiplicati per 365 giorni e venduti al prezzo di 1 euro raggiungerebbero la quota di 33milioni di euro già prima evidenziati. Gli ambulanti non rom, al contrario, vivono in una penuria di merci che si traduce in un conseguente calo delle vendite e sono costretti a acquistare le loro merci dagli operatori rom o addirittura a subappaltare le operazioni di

raccolta rom acquistando le merci a stock o a “busta”. Grazie a questa filiera è possibile individuare due livelli di raccolta: i rom si consolidano sempre di più come fornitori di merce indifferenziata, gli altri operatori tendono a selezionare l’offerta di merce dei rom per specializzarsi in un target di offerta specifico o qualitativamente più alto. Un’altra filiera esistente in Italia è quella dell’approvvigionamento presso le piattaforme di conferimento : gli studi condotti riportano che quasi tutti i rigattieri, anche se in maniera occasionale, reperiscono una grande quantità di rifiuti presso le isole ecologiche. Un’illegalità che va oltre la raccolta informale perché comprende la violazione di un numero consistente di norme e vincoli propri delle aziende d’igiene urbana e, più in generale, della normativa sulla gestione dei rifiuti. La Rete nazionale degli Operatori dell’Usato, che rappresenta gli ambulanti, i rigattieri e il settore del conto terzi usato, reclamano da qualche anno l’accesso alle merci usate conferite nelle isole ecologiche. Il loro contributo finanzierebbe anelli chiave della logistica della differenziata rendendo più sostenibile l’intero sistema. Ma perché anche l’usato venga considerato una filiera occorre rompere paradigmi, accettare che in questo settore il Brasile e l’ India ospitano esperienze d’avanguardia da imitare, e riconoscere all’economia popolare il ruolo economico che gli spetta. Nota: La Rete ONU, che rappresenta decine di migliaia di Operatori in tutto il Paese, é una risposta concreta alla polverizzazione storica del settore, e alla sua conseguente mancanza di contrattualitá, sopratutto in ambito nazionale.




Le Normative/ Il contesto globale/

L

a gestione dei rifiuti ha, per quanti sono i casi esistenti, diversi modi per far fronte alla raccolta, alla sviluppo o alla risoluzione del problema “rifiuti”. In diverse culture sono presenti esempi di atteggiamenti virtuosi che da casi isolati si sono trasformati nella regola da seguire; questi esempi si dividono principalmente in due grandi tipologie di normative, quelle in cui il rifiuto è reintegrato e quindi legale e quello non, o meglio dette: formali e informali. Questi atteggiamenti verso il rifiuto sono particolarmente evidenti dal confronto tra l’approccio europeo e quello della maggior parte degli stati esteri, non membri della comunità europea o più distanti dall’ottica occidentale. Al contrario, nel resto del mondo si possono notare altri atteggiamenti che tendono a considerare il rifiuto come una possibile nuova risorsa prima di destinare un materiale alle discarica; in Brasile, ad esempio, sono presenti una serie di leggi che oltre a gestire in maniera controllata il deposito in discarica, si occupano anche di quella fetta di popolazione il cui lavoro viene considerato “informale” e che è strettamente legato al mondo della gestione dei rifiuti non convenzionale. Il mondo dell’informale, per quanto possa sembrare piccolo e alla stregua dell’illegalità oggi rappresenta la regola piuttosto che l’eccezione, soprattutto

34 / 31

se si parla di quel sud del mondo in cui l’informalità rappresenta l’unico mezzo di sostentamento o da cui attingere per il procedere della vita quotidiana. Intere comunità vivono letteralmente nelle discariche o accanto ad esse; le quali sopravvivono rovistando tra i rifiuti per ricavarne i materiali da avviare al riciclo o al recupero. Tra informalità e formalità sono presenti in tutto il mondo, luoghi in cui merci usate vengono rivendute a chi ne avesse bisogno; nascono così le Riciclerie e gli ecocentri.

intanto in Brasile.../

L

a National Solid Waste Policy del 2010 riconosce le cooperative di raccoglitori come organismi indipendenti impegnati nelle attività di gestione dei rifiuti. Nella città di Diadema le organizzazioni di raccoglitori sono state incluse nelle attività municipali e pagate con il corrispettivo in tonnellate di materiali riciclabili, parallelamente a quanto sarebbe stata pagata un’azienda privata, specializzata nella gestione dei rifiuti solidi urbani. Inoltre la legge 2336/04 rende possibile il compenso per quelle organizzazioni che hanno effettuato i loro servizi; inoltre nel 2007 è stato approvato un provvedimento che esenta dal pagamento quelle associazioni di raccoglitori che fanno selezione di materia raccolta, estendendo la loro attività e rientrando nelle collaborazioni con la municipalità e solo nel 2008 entrano a far parte pienamente delle attività di smaltimento, tanto da


aggiudicarsi il diritto di attingere dai fondi per le infrastrutture e equipaggiamenti dello stato. Altre città del paese come Araxà, Brumadinho e Londrina oggi pagano queste cooperative per il loro servizio ambientale. I cosiddetti “catadores”, grazie all’aiuto dello stato, stanno lentamente raggiungendo un riconoscimento per il lavoro svolto grazie alla nascita di associazioni di raccoglitori che possono godere di incentivi e premi statali grazie alle “attività ambientali” che equivarrebbero ad una forma di salario. Difatti, dopo l’approvazione alle attività di rovistaggio dette “waste picking”, si è vista una lenta progressione che in futuro potrebbe portare i cosiddetti “catadores” ad avere un normale piano pensionistico, in regola, e soprattutto con la considerazione data a tutte le altre tipologie di lavoro più convenzionali. Questa forma di dialogo sulla trasformazione delle attività dei rovistatori informali è andata avanti già da tempo, nel solo stato brasiliano l’argomento viene trattato già dal 1990 a dimostrazione di quanto il tema non sia nuovo agli occhi dei cittadini.

I buoni risultati di queste iniziative sono oggi dimostrati dalla nascita di collaborazioni tra i “catadores” e le grandi compagnie, come nel caso WalmartCAEC di Bahia (vedi capitolo...). Atteggiamenti simili vengono riscontrati in altri contesti esteri come nel caso della Colombia con la promulgazione di una legge del 2009 che liberalizza l’accesso dei raccoglitori a tutti quei materiali che possono essere riciclati o recuperati e che altrimenti resterebbero in discarica; o come nel caso del Perù con la legge 24 419 del 2010 che regola le attività dei rovistatori organizzati.

intanto in India.../

N

el gennaio del 2004 è entrata in vigore la “Municipal Solid Waste rules” sotto l’atto per la protezione dell’ambiente del 1986 emessa dal Ministero per l’ambiente e le foreste del governo Indiano su indicazione delle corte suprema nazionale nel caso Almitra Patel, nel quale venne approvato un decreto relativo il tema della gestione dei rifiuti. La legge in questione definisce la necessità dello stato indiano di incrementare le attività di riciclaggio, estendere obbligatoriamente la responsabilità per coloro che producono rifiuti e lo sviluppo di un sistema di raccolta Porta a Porta per i cittadini, preferibili ai più comuni centri di raccolta. Dal punto di vista del governo Indiano, la condizione sino ad allora è stata preoccupante, in quanto la stragrande maggioranza dei rovistatori è composta


da donne e bambini delle caste più basse ( i paria ) per via della loro impossibilità nel trovare altre occupazioni; attualmente molti di loro collezionano rifiuti dalle discariche vicine ai centri abitati. Le stime non aiutano a definire il problema, in quanto risulta difficile eseguire controlli sulle nascite e sulle occupazioni dei singoli abitanti, nonostante tutto sono stati effettuati degli studi sulla città di Ahmedabad che sono stati in grado di contare un totale di circa 30,000 raccoglitori informali, principalmente stipati alle periferie delle città, per il totale della popolazione urbana che conta circa 5 milioni e mezzo di unità. Nella città di Gujarat sono stati contati circa 100,000 raccoglitori su un totale di circa 60 milioni di abitanti. Un’altro censimento ha dimostrato che nella stessa Delhi, 100,000 persone si occupano di waste picking sul totale di 20 milioni di abitanti. E’ stimato che tra l‘8 e il 10% dei 4 milioni di metri cubi prodotti nelle aree urbane venga raccolto dai rovistatori e portato alle aziende specializzate nel riciclo e nel recupero delle materie. Le condizioni di lavoro oggi non sono così distanti da come lo erano circa venti anni fa, difatti ancora oggi, i raccoglitori che si occupano di selezionare i materiali dalle discariche non hanno un vero rapporto contrattuale con la municipalità (Dipartimento del lavoro) o con le compagnie di recupero o smaltimento. Le condizioni al momento sono critiche per il lavoratore, in quanto spesso coloro che si occupano della raccolta si ritrovano con problemi respiratori o ossei; la mancanza di un’assicurazione sanitaria o di rimborsi crea delle problematiche che rendono il raccoglitore a rischio. Altro problema è dato dall’aspetto legale: difatti i corpi di polizia o piccoli gruppi criminali mettono in difficoltà i raccoglitori, che si ritrovano a dover pagare ingenti somme di denaro che normalmente non possiedono. Ciò nonostante le condizioni sono

cambiate con l’evoluzione delle norme e dei regolamenti sui rifiuti che hanno reso alcune materie dismesse, “preziose” per determinate industrie di riferimento (come quella della metallurgia); in questa maniera i rovistatori hanno visto un leggero incremento della loro condizione di vita. Oggigiorno, lo stato delle cose è migliorato: il numero crescente di aziende specializzate nel campo del riciclaggio ha portato ad un aumento della domanda per le materie di filiera. Il sistema dei pagamenti è ancora in fase definizione per via della mancanza di una scala gerarchica o di classificazione delle materie (come nella normativa europea) che possa definire in maniera chiara quale sia il valore della merce per il conseguente pagamento del raccoglitore; oggi uno dei metodi più usato è quello di definire la provenienza del rifiuto, difatti se tale materia proviene dai “quartieri eleganti” risulta essere di maggior valore rispetto quella recuperata in un altro quartiere popolare. I sostenitori dei “salari fissi” pretendono che il singolo lavoratore venga pagato per il lavoro svolto piuttosto che per la qualità del materiale recuperato; in questo modo il governo potrebbe essere responsabile di un minimo salario per quei lavoratori. Dall’altro lato invece, coloro che

36 / 33


appoggiano la valutazione del materiale ritengono che il primo punto di vista non sia fattibile e che la reale necessità del paese non sia quella di creare occupazione nel settore, quanto creare un sistema corretto e funzionante per la gestione dei rifiuti. Le nuove regolamentazioni vorrebbero incoraggiare comportamenti regolari e migliorare le condizioni del paese che, in parte vive ancora delle importazioni dei paesi esteri, senza però tralasciare le condizioni di vita in cui la grande maggioranza degli stessi rovistatori vive. Si vuole ricordare che le stime sulla popolazione si riferiscono all’anno 2012, studi precedenti hanno dimostrato che i numeri che compongono la popolazione sono aumentati considerevolmente di anno in anno.

Il contesto europeo/

R

ispetto al contesto internazionale, l’Unione Europea si dimostra ancora titubante riguardo le attività di recupero dei rifiuti che continuano a rappresentare un problema di cui sbarazzarsi piuttosto che una possibile risorsa da re-immettere nel sistema. La direttiva 2008/98 resa attiva il 19 Novembre 2008 non è altro che un adattamento della direttiva del 3 Aprile 2006, n. 152, che abroga e aggiorna alcuni articoli esistenti; tale direttiva avrebbe dovuto essere recepita dagli stati membri della comunità europea e avrebbe dovuto essere introdotta entro sei mesi dalla promulgazione della stessa.

Tale direttiva conteneva la definizione di “rifiuto” che così viene definito: «Il rifiuto può essere qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi» Il comma 16 dell’articolo 3 della nuova direttiva introduce il concetto di “preparazione al riutilizzo” ovvero “le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento”. Vantaggio della normativa in questione è quello dato alle amministrazioni locali, le quali possono avvalersi dell’articolo 3 sopra-citato per creare un output di merci riutilizzabili a partire dalle isole ecologiche. Inoltre nell’atto è presente una gerarchia di attività che gli stati membri della comunità europea devono seguire per la gestione dei rifiuti: tali attività tendono ad un approccio di “salvaguardia del rifiuto” al fine di limitare i materiali in entrata nelle discariche. Tali metodologie preferiscono le attività di prevenzione e preparazione per il riutilizzo a tutte le successive categorie che meno si confanno alla gestione delle politiche ambientali, come già definito nello storico decreto Ronchi nella seguente divisione gerarchica. Pertanto gli stati membri dell’Unione devono applicare tali misure per il trattamento dei rifiuti conformemente a tale gerarchia, che si applica per ordine di priorità: - prevenzione - preparazione per il riutilizzo - riciclaggio - recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia - smaltimento La normativa prevede anche, che i singoli stati membri emettano delle direttive nazionali per rafforzare questa gerarchia del trattamento, con l’accortezza di non creare danni all’uomo o all’ambiente.


romana) ha dimostrato nel suo libro quanto le attività portate dall’approvazione di tale decreto legislativo possano portare a buone conseguenze dal punto di vista ambientale e soprattutto è interessante il resoconto economico che dimostra la fattibilità di questa branca del commercio potenziale. Parlando del nuovo Dlgs. viene da chiedersi: cosa introduce rispetto il decreto precedente? La differenza principale consiste nell’aggiunta di alcuni articoli che integrano o sostituiscono alcuni punti presenti. Il punto principale è dato dall’aggiunta della definizione di “Riutilizzo” (che riguarda beni non ancora divenuti rifiuti ed é pertanto un’attivitá di prevenzione) e la parte dedicata alla “Preparazione al riutilizzo” (che riguarda il trattamento e la rimessa in circolazione di beni giá divenuti rifiuti). Queste due definizioni permetterebbero di incrementare le attività di recupero per tutti quei “rifiuti” in buone condizioni, che potrebbero essere recuperate ad un prezzo più conveniente per il fruitore rispetto un prodotto nuovo. Pietro Luppi, Direttore del Centro di Ricerca di Occhio del Riciclone ha espresso il suo parere all’interno del commento sul rapporto nazionale sul riutilizzo del 2012:

Il contesto Italiano/

N

el nostro paese la direttiva è stata recepita con il Dlgs. 205/10 (vedi appendice), nonostante questo non abbia ancora trovato accettazione da parte del Ministero dell’Ambiente, il quale si è però dimostrato pronto a promuovere una legge che obbligherebbe la stessa istituzione ad esprimersi in materia entro il 31.12. 2012. A detta degli esperti di settore, il nuovo Dlgs. rappresenta un primo vero tentativo di adattarsi alle condizioni globali che necessitano di un modo valido e proficuo per occuparsi dei rifiuti e che soprattutto permetterebbero di liberare tutta una serie di componenti in buone condizioni da un futuro garantito in discariche ormai straripanti. Nel rapporto nazionale sul riutilizzo a seguito dell’incontro di “Ecomondo” avvenuto l’8 Novembre di quest’anno a Rimini, viene riportato tale commento relativo al ritardo del adeguamento italiano rispetto la direttiva europea in materia di preparazione al riuso: «Ma la recente attenzione in materia di riuso da parte della legislazione europea e di quella italiana è ancora un timido affaccio su un mondo che, nonostante il suo radicamento popolare, non ha mai incontrato l’attenzione del legislatore, piuttosto incline ad assimilarne le regole ad altri comparti, o a lasciare veri e propri vuoti normativi, riempiti su scala locale con provvedimenti atti a salvaguardare salute e ordine pubblico, piuttosto che volti a considerare tali attività come portatrici di sviluppo, e di benefici ambientali e sociali.»

«E’ invece arrivato il momento di strutturare impianti di preparazione al riutilizzo rivolti in modo integrato al mercato, alla solidarietá e all’inclusione sociale, e che siano capaci di diventare volano per lo sviluppo locale». Tale soluzione prevede l’evoluzione delle isole ecologiche già conosciute in una forma diversa e polivalente, all’interno della quale figure professionali siano in grado di selezionare la materia prima in entrata e smistarla tra ciò che può essere venduto, ciò che può essere buttato e ciò che può essere recuperato. Tale opinione vede una forte posizione nei confronti di questa direttiva che si spera possa portare a dei miglioramenti all’interno di questo sistema che è il mondo della

Tale affermazione rappresenta un sentimento di scontento comune di tutti quei soggetti che fanno parte del mondo dell’usato e del recupero che in Italia compongono una fetta consistente del mercato nazionale. Lo studio “dell’Occhio del riciclone”, (associazione no profit

gestione dei rifiuti.

38 / 35


Dlgs. n° 152 / 3 Aprile 2006 (Testo unico ambientale)

c) l’utilizzazione dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia.

l decreto legislativo emesso nell’aprile del 2006 esprime una serie di novità dal punto di vista della gestione dei rifiuti, punto fondamentale del decreto è la parte IV detta “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati” divisa in 89 articoli ( dal 177 al 266 ) e 9 allegati ( più 5 sulle bonifiche ). Ia forma del decreto è plasmato sul già conosciuto Decreto Ronchi, della quale è infatti è rimasta la divisione per le due principali famiglie di rifiuti: Secondo l’origine in : Rifiuti Urbani e Rifiuti Speciali Secondo le caratteristiche di pericolosità in : Rifiuti pericolosi e non pericolosi Inoltre mantiene anche il concetto di base del passato decreto, nella priorità della prevenzione e nella riduzione della produzione, relativamente alla pericolosità dei rifiuti, a cui seguono l’attività di recupero (energetico o materico) e smaltimento (in discarica o per incenerimento). In particolare la normativa definisce una scala gerarchica di priorità da seguire nella gestione dei rifiuti: nell’articolo 179 “Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti”.

2. Al fine di favorire ed incrementare le attività di riutilizzo, riciclo e recupero le autorità competenti ed i produttori promuovono analisi dei cicli di vita dei prodotti, eco-bilanci, informazioni e tutte le altre iniziative utili.

I

3. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero.

a) il riutilizzo, il riciclo o le altre forme di recupero;

Solamente con il Dlgs. n° 4 del 16 Gennaio 2008 si hanno ulteriori modifiche all’interno del testo di riferimento, nonostante vengano mantenute le impostazioni della direttiva e vengano soltanto aggiunti o modificati alcuni articoli riguardanti le materie di scarto e le definizioni di “deposito temporaneo”. - Art 181 - bis, dopo l’aggiornamento introduce la definizione di materia, sostanza e prodotti secondari - Art 183 viene modificato in relazione alla definizione di “deposito temporaneo” in particolar modo viene definito che :... “i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore, con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 10 metri cubi nel caso di rifiuti pericolosi o i 20 metri cubi nel caso di rifiuti non pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti pericolosi non superi i 10 metri cubi l’anno e il quantitativo di rifiuti non pericolosi non superi i 20 metri cubi l’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;….”

b) l’adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;

La seguente direttiva stabilisce, in secondo luogo, chi sia in grado di occuparsi della gestione rifiuti. Tale azione può essere compiuta dal Comune ( per quei

L’articolo 181 riassume brevemente le attività che andrebbero preferite rispetto allo smaltimento in discarica. Tale articolo è diviso nei seguenti punti: 1. Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale degli stessi, attraverso:


Comuni che prevedono un servizio di raccolta ) e per tutti quei soggetti iscritti all’Albo Gestori dei Rifiuti per l’avvio allo smaltimento o al recupero. In ogni caso la direttiva prevede anche che al produttore del rifiuto debba essere consegnato il Formulario di Identificazione. All’interno del testo è anche precisato chi è responsabile del rifiuto stesso; difatti colui che è produttore o detentore è responsabile dell’oggetto definito rifiuto. E’ compito del produttore assicurarsi della regolarità rispetto la normativa. La responsabilità del produttore, inoltre, cessa di gravare nel momento in cui il rifiuto passa nelle mani dell’azienda autorizzata alla raccolta. Fondamentale elemento aggiornato con il Dlgs. n° 205 del 2010 è la classificazione delle attività di smaltimento, presente nell’allegato B della parte IV del decreto esistente. Di seguito le componenti dell’allegato: D1 Deposito sul o nel suolo (ad esempio discarica). D2 Trattamento in ambiente terrestre (ad esempio biodegradazione di rifiuti liquidi o fanghi nei suoli). D3 Iniezioni in profondità (ad esempio iniezioni dei rifiuti pompabili in pozzi, in cupole saline o faglie geologiche naturali). D4 Lagunaggio (ad esempio scarico di rifiuti liquidi o di fanghi in pozzi, stagni o lagune, ecc.). D5 Messa in discarica specialmente allestita (ad esempio sistematizzazione in alveoli stagni, separati, ricoperti o isolati gli uni dagli altri e dall’ambiente). D6 Scarico dei rifiuti solidi nell’ambiente idrico eccetto l’immersione. D7 Immersione, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino. D8 Trattamento biologico non specificato altrove nel presente allegato, che dia origine a composti o a miscugli che vengono eliminati secondo uno dei

procedimenti elencati nei punti da D1 a D12. D9 Trattamento fisico-chimico non specificato altrove nel presente allegato, che dia origine a composti o a miscugli eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12 (ad esempio evaporazione, essiccazione, calcinazione, ecc.) D10 Incenerimento a terra. D11 Incenerimento in mare. (1) D12 Deposito permanente (ad esempio sistemazione di contenitori in una miniera). D13 Raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D12.(2) D14 Ricondizionamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D13. D15 Deposito preliminare prima di uno delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti). (1) Questa operazione è vietata dalla normativa UE e dalle convenzioni internazionali. (2) In mancanza di un altro codice D appropriato, può comprendere le operazioni preliminari precedenti allo smaltimento, incluso il pretrattamento come, tra l’altro, la cernita, la frammentazione, la compattazione, la pellettizzazione, l’essiccazione, la triturazione, il condizionamento o la separazione prima di una delle operazioni indicate da D1 a D12. All’interno dell’allegato C sono invece elencate le possibili operazioni di recupero del rifiuto, organizzate per codice di riconoscimento. R1 Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia(4) R2 Rigenerazione/recupero di solventi R3 Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi

40 / 37


(comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)(5) R4 Riciclaggio/recupero dei metalli e dei composti metallici R5 Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche(6) R6 Rigenerazione degli acidi o delle basi R7 Recupero dei prodotti che servono a ridurre l’inquinamento R8 Recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori R9 Rigenerazione o altri reimpieghi degli oli R10 Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia R11 Utilizzazione di rifiuti ottenuti da una delle operazioni indicate da R1 a R10 R12 Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R1 a R11(7) R13 Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti). (4) Gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a: - 0,60 per gli impianti funzionanti e autorizzati in conformità della normativa comunitaria applicabile anteriormente al 1° gennaio 2009,- 0,65 per gli impianti autorizzati dopo il 31 dicembre 2008, calcolata con la seguente formula: Efficienza energetica = [Ep (Ef + Ei)]/[0,97 x (Ew + Ef)] dove: Ep = energia annua prodotta sotto forma di energia termica o elettrica. È calcolata moltiplicando l’energia sotto forma di elettricità per 2,6 e l’energia termica prodotta per uso commerciale per 1,1 (GJ/anno)Ef = alimentazione annua di energia nel sistema con combustibili che contribuiscono alla produzione di vapore (GJ/anno)Ew = energia annua contenuta nei rifiuti trattati calcolata in base al potere calorifico inferiore dei rifiuti (GJ/anno)Ei = energia annua importata, escluse Ew ed Ef (GJ/anno)0,97 = fattore corrispondente alle perdite di energia dovute alle ceneri pesanti (scorie) e alle radiazioni. La formula si applica conformemente al

documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili per l’incenerimento dei rifiuti. (5) Sono comprese la gassificazione e la pirolisi che utilizzano i componenti come sostanze chimiche. (6) È compresa la pulizia risultante in un recupero del suolo e il riciclaggio dei materiali da costruzione inorganici. (7) In mancanza di un altro codice R appropriato, può comprendere le operazioni preliminari precedenti al recupero, incluso il pretrattamento come, tra l’altro, la cernita, la frammentazione, la compattazione, la pellettizzazione, l’essiccazione, la triturazione, il condizionamento, il ricondizionamento, la separazione, il raggruppamento prima di una delle operazioni indicate da R 1 a R 11. Parallelamente alla direttiva, la Commissione Europea ha redatto un elenco di catalogazione dei rifiuti, che possa aiutare i singoli paesi dell’unione in una semplificazione delle attività di smaltimento. Il catalogo CER ( Catalogo Europeo dei Rifiuti ) determina le singole categorie di rifiuti mediante un sistema di classificazione numerico a sei cifre, le quali identificano le attività che hanno generato il prodotto ora rifiuto, caratteristiche qualitative. Il catalogo CER è inoltre diviso in 20 macro categorie, le quali sono, a loro volta, divise per tipologie di rifiuti “urbani” e “speciali”. Qui di seguito sono elencate le tipologie di rifiuti rientranti nella classificazione di rifiuti urbani, questi si dividono in: a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, proveniente da locali e luoghi adibiti a uso di civile abitazione; b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti a usi diversi da quello da civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità; c) i rifiuti provenienti spazzamento delle strade;

dallo


d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua; e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; f) i rifiuti provenienti da esumazioni e estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e).

Il paradosso italiano/

L

a situazione italiana ora si distingue da quella europea e più in generale da quella mondiale, a causa del ritardo che ha visto l’approvazione del nuovo decreto legislativo, rispetto la direttiva europea alla quale ogni paese avrebbe dovuto adeguarsi dopo la sua emanazione nel 2008. La situazione fa si che nonostante in tutto il paese si senta parlare di prevenzione e riutilizzo, in concreto non si sia ancora fatto nulla e certamente non per la volontà degli operatori. Questo blocco normativo ha portato in stallo tutta una serie di attività legate al mondo dell’usato che in un contesto in cui la normativa fosse stata attivata, avrebbero potuto mettere in pratica una serie di azioni per migliorare il sistema di gestione dei rifiuti conosciuto e al contempo creare nuove tipologie di commercio, più sostenibili e ponderate, in grado di dare un aiuto a fasce meno abbienti della società. Nonostante la situazione paradossale, esistono alcuni esempi di casi “virtuosi” sul territorio Italiano che hanno fatto di questo blocco burocratico un motivo di ragionamento che ha portato a soluzioni interessanti. Il caso Triciclo di proprietà dell’Amiat di Torino è emblematico se si parla della sfida burocratica. Triciclo

è una cooperativa sociale che ha lo scopo di dare lavoro. L’ente gestisce parallelamente alcune attività delle isole ecologiche e organizza all’interno dei suoi locali, attività educative per scuole e laboratori per riparazioni di biciclette. La principale ragione che impedisce il recupero di elementi dismessi dai cittadini è dato dal fatto che il rifiuto potenziale, una volta lasciato per strada o raccolto dall’azienda appaltatrice, diventi tale per definizione, pertanto impossibile da rivendere o utilizzare. L’idea degli operatori di Amiat è semplice: la sede di Triciclo si situa a lato dell’isola ecologica, pertanto nel momento in cui un soggetto decide di portare un elemento ingombrante all’isola ecologica, viene messo davanti alla possibilità di donare il suo “rifiuto” all’associazione che si occuperà di valutarlo e successivamente di considerare l’idea della vendita o di portare lo stesso alla fase di smaltimento, per la quale il materiale verrà recuperato nella produzione di semilavorati oppure smaltito in discarica. Questo passaggio evita che il “rifiuto potenziale” passi nelle mani dell’azienda appaltatrice o rimanga per strada, così da non essere ancora considerato come “rifiuto” e pertanto resti fuori dalla categorizzazione. L’eventuale approvazione della normativa, farebbe si, che anche l’oggetto recuperato dall’isola ecologica possa essere rimesso in sesto dopo una serie di attività definite dalla normativa come “preparazione al riuso” che ne permetterebbero il ricollocamento sul mercato. Una soluzione interessante con il fine di portare il riuso tra le azioni più comuni e diffuse anche dalle amministrazioni e dagli organi istituzionali potrebbe essere quello di aggiungere i “prodotti usati” all’interno del catalogo dei prodotti ecologici da cui le amministrazioni statali sono obbligate ad acquistare per le proprie necessità in base alla normativa sui Green Public Procurement conosciuti anche come “Acquisti verdi”.

42 / 39



Abitudini e Attitudini/ Civiltà del riuso/

I

l Novecento, sotto la spinta della rottura imposta dal futurismo , prima, e del razionalismo, poi, ha visto l’instaurarsi di una progressiva radicalizzazione dei principi di utilità e di funzionalità degli oggetti. I beni, sia quelli prodotti dall’attività umana che quelli forniti dalla natura con o senza intervento umano, venivano giudicati quasi esclusivamente in base ai criteri utilitaristici e funzionali. Nel 1995, Victor Lebow, affermava che: «La massa di rifiuti che ci circonda, che ci sovrasta, che è in noi non è altro che la manifestazione di uno scarto crescente tra ciò che produciamo e ciò che consumiamo. In questa banale osservazione si svela la natura profonda della società in cui viviamo. Essa non è affatto, in realtà, una civiltà del consumo, ma una civiltà dello spreco, una civiltà dei rifiuti. La nostra economia, enormemente produttiva, richiede che facciamo del consumo il nostro stile di vita, che trasformiamo l´acquisto e l´uso delle cose in un rituale, che cerchiamo la soddisfazione spirituale, la gratificazione del ego nel consumo. Bisogna che le cose vengano consumate, esaurite, scartate, sostituite ad un ritmo sempre più veloce». In economia, il modello neoclassico ha ridotto il valore delle merci alla loro funzione d’utilità e parallelamente il design industriale ha lavorato indefessamente per ricondurre la valutazione estetica,

e il concetto stesso di bello, alla mera funzionalità, fino a far coincidere tra loro oggetto e funzione. Questo principio si è pian piano trasformato in quello che oggi è il principio del “usa e getta” : ogni oggetto non è che il supporto alla funzione per cui è stato progettato. Una volta esaurita la sua funzione, esso non vale e non serve più, e va scartato. Di qui i cumuli di rifiuti che sono comparsi a partire dalla rivoluzione industriale, con un crescendo che ha attraversato tutto lo scorso secolo e che non sembra fermarsi. Nei paesi ricchi, attualmente, ognuno di noi produce, in media, quasi un chilo e mezzo di rifiuti al giorno e ogni italiano produce circa mezza tonnellata di rifiuti l´anno. Lester Brown, un famoso ambientalista, ha definito la nostra società come «la civiltà dell´usa-e-getta» il che sembra essere vero dato che l´ottanta per cento dei prodotti americani, secondo una recente statistica, viene usato una volta sola. Renato De Fusco ci suggerisce una sintesi tratta da un saggio di Guido Viale che sembra dare risposta a quanto spesso noi ci chiediamo. “è ormai entrato a far parte “dell’ordine naturale delle cose” che tutto ciò che si produce non venga prodotto per durare. Si produce per sostituire, ma il presupposto tacito di questo modo di agire è che tutto ciò che viene sostituito possa o debba essere gettato via. La civiltà dell’usa e getta -che è il punto di approdo del consumismo- cioè di una organizzazione sociale che si perpetua attraverso la moltiplicazione delle merciha i suoi presupposti tanto in un prelievo illimitato di risorse naturali quanto in un accumulo illimitato di rifiuti”. Alcune ricerche dimostrano come ,dal

44 / 41


punto di vista etico, il prodotto usa e getta solleva in buona parte l’essere umano dall’ossessione del possesso, ma di contro, contribuisce a favorire il piacere di padroneggiare quanto ci occorre subito e a basso prezzo. Questo, a lungo andare, facilita il gusto per l’effimero e conduce al rifiuto di ciò che suscita ricordi. L’atto di gettare via qualcosa, che utilizziamo per disfarci di un prodotto usa e getta, presuppone un atteggiamento di cinica indifferenza: il gesto del gettare si sostiene tra i due stati d’animo di memoria e oblio. Queste due esperienze sono trasferite nella nostra capacità di ricordare ma nello stesso tempo di dimenticare. “Dopo avere gettato tutto ciò che si è usato, il rischio maggiore che corriamo è che ci troveremo di fronte ad una civiltà che non ha lasciato dietro di sé alcun segno della sua cultura materiale, nessuna testimonianza di buona parte della nostra storia.”

Le obsolescenze/

L

’economia del consumismo e la tendenza allo spreco, precendentemente delineati, sono alimentati in maniera consistente dal continuo evolversi del mercato e dal senso di obsolescenza. Se si cerca in letteratura un racconto sull’obsolescenza il primo a venire in mente è Leonia, una delle città invisibili, dal nome di donna, immaginate da Italo Calvino. “La prima delle città continue rifà se stessa tutti i giorni: gli abitanti usano solo oggetti nuovi fiammanti al risveglio di ogni mattina. Per questo, appena fuori, si alzano e si stratificano le cataste di spazzatura, cioè di tutto ciò che è stato usato ieri, e in questo modo Leonia si espande, finché dalla città vicina non arriveranno con rulli compressori per spianare il suolo.” Il temine “Obsolescenza” trova le sue origini nel verbo latino obsolescĕre,che indica il cadere in disuso e il logorarsi di un oggetto. Talvolta, nel linguaggio

comune, la parola obsolescenza viene usata, in senso più ampio, per indicare un generale invecchiamento causato dal passaggio di una moda, oppure dalla progressiva o immediata perdita di funzione. l fenomeno dell’obsolescenza porta ad una perdita del valore economico di tali beni, superati da nuove merci maggiormente all’avanguardia. Questa situazione si può manifestare in tempi lunghi, ma anche in tempi molto brevi, soprattutto per quanto riguarda le componenti elettroniche che sono spesso soggette a rapidi miglioramenti. A seconda delle motivazioni che stanno dietro alla dismissione di un oggetto l’obsolescenza può essere categorizzabile in diverse tipologie: obsolescenza tecnica e tecnologica, obsolescenza funzionale e obsolescenza semantica. La prima trova la sua causa più comune nel continuo cambiamento del mercato, dovuto alle innovazioni tecnologiche e alla produzione di “nuovi” beni, che comportano una consecutiva diminuzione della domanda dei prodotti più “vecchi”. L’evoluzione tecnologica, sia che riguardi innovazioni elettroniche, che quelle esterne alla sola informatica come ad esempio le innovazioni di processo o di materiali, porta ad un continuo e rapidissimo sviluppo di prodotti da immettere sul mercato. In questo modo una nuova generazione di prodotti rende quelli vecchi obsoleti e quindi ne preclude la dismissione, in qualche caso anticipando di molto il reale fine vita dell’oggetto. Questa economia della sostituzione continua ha portato a quella che oggi viene definita “obsolescenza pianificata”, ossia quella tendenza a progettare un prodotto in modo tale che non duri a lungo nel tempo , o addirittura in maniera che diventi inutilizzabile prima ancora della fine del suo naturale percorso. In questo modo le aziende possono controllare il fine vita di un prodotto, immettendo sul mercato merci progettate per rompersi dopo un breve periodo, oppure beni che diventeranno vecchi dopo poche settimane dall’acquisto,


andando ad aumentare quindi il fatturato delle vendite future. Il primo a teorizzare l’esigenza di pianificare il ricambio continuo dei beni di consumo durevoli fu, nel 1932, l’economista Bernard London. In un suo articolo “visionario”, uscito dopo la crisi del ‘29 e intitolato “Ending of the Depression trough Planned Obsolescence” egli spiegava: “Secondo il mio progetto, i governi assegneranno un ‘tempo di vita’ alle scarpe alle case alle macchine, ad ogni prodotto dell’industria manifatturiera, mineraria e dell’agricoltura, nel momento in cui vengono realizzati. Questi beni saranno venduti ed usati nei termini ‘definiti’ della loro esistenza, conosciuti anche dal consumatore. Dopo che questo periodo sarà trascorso, queste cose sarebbero legalmente ‘morte’ e […] distrutti nel caso ci sia una disoccupazione diffusa. Nuovi prodotti sarebbero costantemente immessi dalle fabbriche sui mercati, per prendere il posto di quelli obsoleti”. Quella di Bernard London è un’allucinante fotografia del presente. Se guardassimo al ciclo di vita di un prodotto, dalle miniere alle discariche, ci renderemmo conto che l’obsolescenza programmata è un’arma di distruzione di massa, in quanto le materie prime minerali che sono all’origine dei beni di tutti i giorni stanno terminando e la nostra società produce sempre più rifiuti. L’obsolescenza pianificata permette di produrre e vendere beni inutili e superflui, che si rompono e che diventano obsoleti subito, ed è perciò, un delitto contro l’umanità e contro le risorse della Terra. Lo stesso problema avviene quando, la progressiva perdita di valore dell’ obsolescenza viene legata oltre che al concetto di funzionalità del bene in questione, anche a prodotti in un perfetto stato di conservazione. Questo si verifica quando, le ragioni che stanno dietro alla dismissione di un oggetto, si riscontrano nel passaggio di una moda o nella perdita di un significato sociale. Paolo Tamborrini, ricercatore presso il Dipartimento di Progettazione Architettonica e di Disegno Industriale del Politecnico di

Torino, definisce questo comportamento con il nome di “obsolescenza semantica”. Per spiegarla, ci porta in classe: “Metti a confronto uno zainetto contemporaneo, “brandizzato”, con i fumetti piuttosto che con un personaggio famoso, e uno zainetto meno appariscente, di tipo Invicta, quello che tutti abbiamo usato al liceo. Su quello ci potevi lavorare sopra, mettere una spilla, lo potevi far scarabocchiare dagli amici. Diventava un oggetto-ricordo. Oggi lo zainetto firmato ti dura un momento. Il bambino l’anno dopo non lo usa più. L’oggetto diventa immediatamente vecchio”. I beni sono infatti molto spesso espressione di una determinata cultura, in un determinato e preciso momento storico, e quindi portatori di molteplici significati simbolici. L’obsolescenza semantica è quella che ci conduce a pensare alla dismissione dell’oggetto quando questo “non è più di moda” ossia quando non corrisponde più agli usi e costumi contemporanei, oppure quando l’oggetto stesso non è più capace di restituire lo stesso significato che aveva quando è stato acquistato. Per affrontare il problema della abbondante dismissione causata dall’obsolescenza semantica, tra i principi del ecodesign, appare importante la tendenza a progettare un oggetto che non risponda a un preciso status symbol del momento, ma che sia capace di essere adeguabile ai continui cambiamenti e dinamismi della società. Lo “sforzo”, oggigiorno, è quello di produrre oggetti che non invecchiano mai, intercambiabili nelle loro parti e adattabili alle mode del momento, in modo da essere sempre socialmente accettabili.

Il senso del possesso/

P

arallelamente alle ragioni che conducono alla dismissione di un oggetto è interessante capire quali sono i processi mentali umani che controllano questo comportamento. Proprio partendo da quest’analisi e

46 / 43


possibile comprendere come approcciarsi al tema del riuso in modo corretto e appropriato, e quali sono i fattori oltre che, quelli economici, impediscono un efficiente riutilizzo dei beni. Come abbiamo notato nel precedente paragrafo, i beni usa e getta sono progettati apposta per essere dismessi dopo un brevissimo utilizzo, l’obsolescenza pianificata e l’economia del consumismo tendono a favorire questo comportamento di dismissione prematura e incontrollata. La nostra civiltà è predisposta a buttar via questi oggetti, in quanto la loro durata minima non consente al proprietario di stabilire un contatto tale con l’oggetto da far nascere quello che viene definito valore affettivo. La minima parte di emozioni che si attaccano a queste merci effimere, determina il loro futuro approdo in discarica. In realtà, la spinta allo spreco, è quindi principalmente indotta nella mentalità umana da questo principio di mancata affezione.Quando noi, attraverso gli anni, riusciamo invece ad attribuire valore affettivo ad un oggetto, il processo di dismissione è più lento e ponderato: intercorrono molti fattori che a volte ne precludono il giusto smaltimento o riutilizzo. Il senso del possesso, è un argomento molto discusso : separarci dalle nostre cose è spesso un processo difficile e complicato, per qualcuno arriva ad essere addirittura impossibile trasformando quello che dovrebbe essere un semplice gesto, in una grave patologia. Gli accumulatori seriali sono infatti all’estremo di questo comportamento, accumulano montagne di oggetti, perfino l’immondizia, senza buttare via mai niente. L’attaccamento a un oggetto si verifica anche quando si tratta di cose vecchie, rotte e senza alcun valore, a parte ovviamente, quello affettivo. Quest’ultimo è determinato però da un comportamento che ha un’origine ben precisa in alcune regioni del cervello. Uno studio condotto da dottor Brian Knutson, della Stanford University, negli Stati Uniti, fornisce una spiegazione scientifica a

questa “gelosia” svelando i meccanismi neuropsicologici alla base della potenziale perdita di qualcosa che si possiede. E’ ormai appurato che in generale, l’essere umano tende a preferire quello che gli appartiene, in quanto abbiamo l’attitudine ad attribuire a questo un valore maggiore, rispetto a qualcosa di assolutamente simile che però non è di nostra proprietà. Questa illusione cognitiva viene definita da Kahneman “effetto dotazione (endowment effect) ”: tendiamo ad esagerare il valore degli oggetti che possediamo, richiedendo cioè per un bene in nostro possesso più di quanto noi stessi siamo disposti a pagare per averlo, una sorta di anomalia della teoria economica. Durante un’ esperimento, Kahneman, ha raccolto un gruppo casuale di studenti alla cui metà sono state consegnate alcune tazze da caffè del valore di circa $2,50 l’una (una per ogni studente, con l’obiettivo di venderla) e all’altra metà è stato chiesto di comprare quelle tazze, con il proprio denaro, dai loro compagni di classe. Secondo le teorie economiche, dell’autoregolamentazione del mercato, le due parti avrebbero dovuto cominciato a contrattare e alla fine sarebbero quindi giunte ad un prezzo capace di mettere di comune accordo entrambi i gruppi . I prezzi medi ottenuti nell’esperimento sono stati: venditori di 7,12 dollari, acquirenti 2,87 dollari. Poiché la differenza di prezzo era così grande pochissime tazze sono state effettivamente vendute. Questo è accaduto a causa dell’effetto dotazione : i venditori hanno avuto una battuta d’arresto, hanno sopravvalutato le loro tazze semplicemente perché le possedevano. “E’ così difficile separarsi dalle proprie cose che la gente arriva a chiedere anche il doppio, durante un processo di vendita, di ciò che sarebbe disposta a spendere per acquistare l’oggetto che già possiede”, spiega il dottor Brian Knutson, primo autore dello studio pubblicato su Neuron. Analizzando il ruolo di alcune aree cerebrali, attraverso la risonanza


magnetica funzionale, si è tentato di scoprire se ci fosse un’area specifica che si attiva quando sta per entrare in azione la possessività dovuta all’effetto dotazione”. Gli scienziati hanno dunque scoperto che si tratta dell’insula anteriore, area del cervello che risulta coinvolta anche nella previsione di una possibile perdita, la quale concorre particolarmente nei soggetti maggiormente possessivi, più sensibili all’effetto dotazione. Questi risultati, chiarisce Knutson, dimostrano come l’effetto dotazione è fortemente condizionato dalla paura della perdita di un oggetto caro piuttosto che non da una particolare interesse per i propri beni. Attraverso questa scoperta possiamo riconoscere, qual è il processo mentale che sta dietro “l’amore” per i nostri oggetti, e se da un lato il consumismo ci porta al più maniacale acquisto compulsivo, il distacco è complicato. In alcuni casi, il senso di possesso ci porta a pensare, che siccome una cosa ci appartiene non potrà mai appartenere ad altri, andando ad annullare completamente le basi della condivisione. Meglio buttare che cedere a qualcun altro: questo è il più pericoloso punto di arrivo dell’effetto di dotazione. A questo va a sommarsi, la tendenza all’accumulo, al tenere ogni cosa, in caso questa un giorno possa servire. Spesso la gente conserva oggetti e rifiuti in un’ottica di un possibile futuro utilizzo, dimenticandone l’esistenza. Le nostre case sono piene di oggetti che non usiamo più, le cantine sono i sepolcri dove spesso queste cose vengono accatastate : “bellezza riposata dei solai/ dove il rifiuto secolare dorme” scriveva Gozzano nel 1909 e ad oggi la situazione non è molto diversa.

Il distacco/

L

’ingresso di un bene nel mondo dell’usato è un passaggio ostico, composto almeno da due momenti distinti : il prendere la decisione di disfarsi dell’oggetto che non vogliamo

più , che non ci piace più, o che non possiamo più tenere e il gesto del portarlo via. Tutti e due i momenti sono necessari: il primo a volte è sofferto e altre avviene nell’iconsapevolezza, ma è proprio nel momento del distacco che interferisce il valore affettivo di ciò di cui ci si disfa. Questo dipende ovviamente dall’importanza e dal ruolo che ricopriva l’oggetto nella nostra vita, come se attraverso il gesto del buttar via ci separassimo anche da una parte della nostra vicenda esistenziale. La volontà del disfarsi di un oggetto si presenta con maggior forza, nel caso in cui il distacco sia ispirato da sentimenti “cattivi” di malevolenza. A questo proposito si riferisce, Umberto Pagano nel “La società dei rifiuti” : “Il gesto del buttar via, del resto, ha radici e ragioni antropologiche e psicologiche profonde. E’ un autentico rito di purificazione attraverso cui l’uomo si rigenera abbandonando, più o meno illusoriamente, le scorie di sé stesso. Separandosi da una parte di ciò che era suo, infatti, l’uomo si spoglia simbolicamente dell’apparenza e recupera la sostanza dell’essere. Soltanto buttando via egli può essere certo che qualcosa di sé resta e forse non è da buttare. Sbarazzarsi del superfluo è, dunque, un’azione irrinunciabile per mantenere, o credere di mantenere, la propria identità nel flusso dell’esistenza.” La logica capitalistica, si è velocemente impossessata di questa attitudine umana e la pone come fulcro del suo funzionamento. La maggior parte delle persone occidentali lega il proprio stato d’animo a degli oggetti. Sentendosi catturati del potere che i beni esercitano su di noi, spesso passa in secondo piano il valore economico dell’oggetto stesso e il possibile valore di scambio . Raramente, comunque, la decisione di separarci da qualcosa che ha avuto un peso nella nostra vita, coincide con la scelta della destinazione del bene di cui ci si disfa, con il pensiero di un ritorno economico o con il pensiero che la dismissione potrebbe avere un’alternativa di scambio o di riuso. Ed è per questo che,

48 / 45


a un primo momento di distacco, segue quello della decisione di affidare ciò di cui vogliamo o dobbiamo liberare a una specifica destinazione. A volte la scelta di affidare un bene di cui ci vogliamo disfare a un cassonetto, piuttosto che a un amico, o a un ente di beneficenza ha delle motivazioni intrinseche riscontrabili sia nel rapporto oggetto-uomo ,sopra descritto, e quindi diverso in ogni suo caso, sia nella cultura dell’intera società. Un’ipotetica cultura della condivisione dove si impone l’assunzione di una responsabilità anche verso le cose, gli oggetti che erano nostri e che non vogliamo più, è un utile strumento per la valorizzazione della marea di oggetti riutilizzabili di cui tutti i giorni la nostra società si disfa. Parallelamente, anche lo svilupparsi di nuovi comportamenti, lontani dalla visione utilitaristica delle merci che contemplano il lato materiale, i segni del tempo, le speranze, i ricordi che vivono dentro un oggetto porterebbe a rivalutare quel lato della “storia delle cose” che la moda il marketing e la pubblicità cercano di occultare, per farci credere che comprare è necessario, e che quello che buttiamo sparisca magicamente nel cassonetto. Verso una nuova cultura dell’usato La cultura dell’usato è una cultura di condivisione di ciò che abbiamo ora con chi l’ha avuto prima di noi e con chi potrà averlo una volta che lo dismettiamo. E questo sia che il passaggio avvenga attraverso una vendita o tramite le più diverse forme di dono come ad esempio la beneficenza. “L’amore per le cose è l’antitesi dell’approccio utilitaristico agli oggetti, il limite di fondo, non sta

solo nell’accentuazione del rapporto finalizzato all’uso , bensì soprattutto nel disinteresse per il destino che attende le cose dopo essere state usate” spiega Guido Viale nel La civiltà del Riuso. Questo per dire che il problema della cultura dell’usa e getta non sta tanto nell’attribuire una sola utilità agli oggetti che abbiamo, ma piuttosto nel tacito presupposto che possiamo sbarazzarci senza problemi di tutto ciò che non ci serve più. Questa disinvoltura può ormai sembrarci una cosa del tutto naturale, un’ovvietà, ma per contemplare una possibile cultura del riuso, è necessario sbarazzarcene. La svalorizzazione, e a volte purtroppo il disprezzo, che accompagnano la nostra società nel ricorso all’usato sono l’antitesi di una cultura della condivisione, e costituiscono un’ostacolo che va sormontato. Chi pensa che il percorso dal nuovo all’usato sia a senso unico con un’unica direzione, dal forte al debole , dal nuovo al vecchio e dal ricco al povero, dall’innovazione alla ripetizione, come in larga perte è avvenuto nel corso della storia dovrebbe riflettere a quante volte è invece è accaduto il contrario. A partire dalla gastronomia, dove molti piatti poveri sono passati a essere nei menù di ristoranti esclusivi. Per passare ai mille arredi recuperati nelle case di contadini, che oggi fanno bella mostra nelle case dei più ricchi. Ma la riconquista della dimensione dei saperi materiali è anche una premessa indispensabile per la promozione e la diffusione di una cultura dell’usato capace di intrecciare la conoscenza delle cosa con la loro natura. Una cultura che presuppone un’attenzione per ciò che passa per le mani, nostre e altrui.


I

n questa sezione della ricerca abbiamo studiato il fenomeno legato al Riuso, piÚ specificatamente nel contesto dell’arredo; questo cercando di comprendere quali siano gli ambiti in cui viene applicato con maggior successo e in quali invece, si potrebbero apportare delle migliorie.


parte/

2

Che cos’è il Riuso ?


Introduzione al Riuso/ La definizione di riuso è molto controversa e può essere interpretata in modi differenti. All’interno della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo, si parla di “riutilizzo”, come una “qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono riufiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti”. Questa definizione restringe molto il campo delle attività applicabili per far sì che un oggetto possa avere una nuova vita, e non contempla il reimpiego dell’oggetto stesso con una funzione differente da quella originale, escludendo perciò un grosso numero di operazioni e possibilità. Si presuppone infatti che un mobile contenitivo possa trasformarsi al massimo in un altro dello stesso tipo, e non ad esempio in uno scrittoio. Vedremo invece come sia in realtà possibile, combinando un oggetto anche con altri elementi, realizzarne di completamente nuovi e con diverse funzioni. La definizione che ne dà lo Zingarelli Zanichelli è: “Nuovo uso, nuova utilizzazione”. Questa dicitura lascia molto più spazio all’interpretazione, di quella della normativa: anche un semplice vasetto di crema al cioccolato può essere riusato come bicchiere.

Questo è generalmente il significato più diffuso del termine, perchè più generico e adattabile. La Direttiva 2008/98, poi, fa riferimento alla preparazione al riutilizzo, ovvero le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento. Questa definizione stabilisce di per sé le operazioni attuabili su un oggetto perché esso possa essere riusato, non contemplando però la modifica dello stesso, la riprogettazione, e il riutilizzo del materiale tramite disassemblaggio delle parti. Possono esistere a questo livello delle confusioni e sovrapposizioni con il significato di riciclo, ossia l’insieme delle strategie volte a recuperare il materiale di scarto. Anche il riuso può essere considerato, secondo questa dicitura, una forma di riciclo, in quanto il materiale di cui sono composti gli oggetti di scarto viene recuperato e salvato dalla dismissione. Per semplicità e chiarezza, in questa tesi ci si è riferiti al riciclo come al recupero del materiale con la totale perdita della forma di origine, triturando quindi lo scarto per ottenerne nuovi semilavorati. E’ questo il caso della produzione di pannelli truciolari dagli scarti legnosi, o di nuova plastica dalla fusione di oggetti polimerici. La nostra definizione di riuso, invece, è il risultato dell’unione tra i concetti sopracitati: esso viene inteso come il reimpiego dell’oggetto o di parte di esso, senza ridurre il materiale in scaglie. E’ contemplato e compreso il riuso del materiale quando esso non è più riconducibile ad un oggetto preciso, ma è ancora utilizzabile come semilavorato: un asse di legno, un ritaglio di stoffa, una lastra di vetro.

48 / 49


Nei capitoli seguenti verranno analizzati i diversi livelli a cui si può intervenire sul rifiuto: dalla rivendita al mercato dell’usato, alla scomposizione in parti da ricomporre in un nuovi prodotti. Saranno

trattati anche i possibili usi dei “mobili abbandonati�, in base alle loro condizioni di ritrovamento, alla loro interezza e alla loro appartenenza ad una categoria di riconoscimento.


Le ragioni del Riuso/

I

l consumismo sembra essere diventato nel corso degli anni, un vero e proprio stile di vita, un’abitudine insana che conduce all’eccessivo spreco di risorse. Il sempre più numeroso acquisto di nuovi oggetti non necessari, il bisogno immotivato di gettare via delle cose vecchie funzionanti per averne di più nuove e aggiornate è oggigiorno il principale motivo per il quale il nostro mondo è sommerso di rifiuti. La grande quantità di merce sprecata, di cui la gente si disfa in quanto desueta, o leggermente rovinata, ha in sé una grande potenzialità ancora da sviluppare. Prima di parlare dell’importanza del riuso è importante cercare di capire quali sono le ragioni che spingono le persone a fare di esso un ambito primario di trattamento dei rifiuti. Tramite uno sguardo generale è possibile individuare tra importanti ragioni che generano uno spaccato su quello che sono oggigiorno le maggiori motivazioni che conducono al riuso e al riutilizzo degli oggetti.

Riuso per necessità/

I

materiali riutilizzabili che oggigiorno si trovano ancora al di fuori del circuito tradizionale dell’usato racchiudono in realtà grandi potenzialità, soprattutto in realzione alla capacità di sofddisfare i bisogni di fasce povere e numericamente consistenti della popolazione. Legato al concetto che si trova dietro i flussi che regolano la raccolta informale e illegale vi è il concetto di riuso per necessità. Questo non è una prerogrativa fondamentale dei paesi in via di sviluppo ma è attualmente ritenuto uno status anche di popolazioni che vivono una vita precaria in paesi industrializzati. Come già analizzato nella parte 1 vi sono numerose popolazioni che tramite le attività di riuso

e riutilizzo riescono a condurre una vita quasi normale. Queste persone vivono ogni giorno immerse in una montagna di rifiuti che costituiscono per loro la principale fonte di sostanziamento. Attraverso la raccolta e la vendita di oggetti trovati ai lati delle strade e grazie alle possibilità che genera oggigiorno il mondo dell’usato i raccogliotori informali fanno del riuso una necessità e un vero e proprio stile di vita. Quei rifiuti che noi constatemente generiamo e che riteniamo essere qualcosa di cui disfarsi sono per le poploazioni povere dei beni preziosi che danno loro dei rientri economici oppure più semplicemente sono utili in quanto pur essendo rifiuti sono oggetti che in alternativa non potrebbero permettersi. Inoltre essi impediscono che migliaia di tonnellate di beni ancora in buono stato finiscano per gravare con il loro peso sulle discariche locali già stracolme di rifiuti. Grazie alle nuove politiche di dismissione dei rifiuti il riutilizzo è arrivato essere la seconda migliore scelta nella scala delle opzioni di smaltimento. Se la nostra società vuole tentare di ridurre la quantità di sprechi, probabilmente ha molto da imparare da chi lo spreco non se lo può comunque permettere. Un esempio fra i più vigorosi del riuso per necessità è rappresentato dalle favelas brasiliane, dove le popolazioni povere trovano riparo e protezione. Il sistema di autocostruzione delle favelas tende in buona parte all’eliminazione del concetto di spreco e alla dissipazione delle risorse, tutto è utile : dai pezzi di legno a quelli di lamiera per farsi un tetto, ai fogli di giornale, alle scatole di cartone. Tutto viene creativamente riutilizzato per necessità e per mancanza

50 / 51


di risorse alternative. In queste realtà gli oggetti hanno molte vite e ogniuno riesce a trovare per essi nuove funzionalità e nuovi scopi. Il riuso dovuto alle condizioni di estrema povertà è di sicuro la maggiore ragione che spinge intere popolazioni a mettere in pratica questa attività. Di conseguenza le associazioni e le cooperative che si occupano di beneficienza e di volontariato svolgono raccolte e donazioni cercando anche esse nel mondo dei rifiuti una via di aiuto a basso costo. Un esempio di questa tendenza potrebbe essere quello dei rifiuti elettronici il quale flusso sta aumentando drammaticamente negli ultimi anni. In Europa ogni abitante produce annualmente 20 Kg di rifiuti RAEE il che costituisce un grosso peso dal punto di vista ambientale. Molti di noi si disfano di computer telefonini o altri elettrodomestici, semplicemnete in quanto sono diventati obsoleti o perché è uscito un modello più nuovo. Questo significa che sono gettate via immense quantità di rifiuti ancora funzionanti che potrebbero svolgere ancora ottimamente la loro funzione. Uno studio condotto nel 2012 ha dimostrato che la maggior parte dei computer non desiderati del Regno Unito è grado di fornire ulteriori 3- 4 anni di utilizzo e fino a 6.000 ore di uso supplementare. Associazioni di volontariato raccolgono questi rifiuti e li spediscono a chi ne ha più bisogno. Ospedali, scuole e intere comunità non hanno altrimenti accesso ad apparecchiature del genere le quali grazie al riuso forniscono oggigiorno un grande aiuto alle popolazioni dei paesi in via di sviluppo.

Molti altri enti di beneficenza e associazioni culturali si occupano di raccogliere e offrire in dono oggetti ritrovati oltre che nel campo elettronico in quello domestico e di vestiario alle persone che ne hanno più bisogno. Inoltre essi tramite la raccolta per il riutilizzo vanno a creare nuovi posti di lavoro che consentono una fonte di sostanziamento per le popolazioni disagiate .Il riuso per necessità varia tra molti campi d’applicazione dai rovistatori che cercano materiali e oggetti utili per le loro case, ai raccoglitori di rifiuti riciclabili che ricevono in cambio del loro servizio dei contributi, vendendo il materiale raccolto, fino ad arrivare alle associazioni di riuso degli oggetti di seconda mano, dove vi è un vero e proprio scambio o baratto di scarti che possono essere ancora utilizzati. Le potenzialità del riuso sono al giorno d’oggi da tenere sempre più a mente : il continuo aumento della popolazione, e la minaccia della crisi economica hanno contribuito pesantemente all’aumento del tasso di disoccupazione e alla diminuzione del reddito delle popolazioni più povere. Ai lati dei cassonetti, nelle isole ecologiche, ai fianchi delle strade è abbandonata ogni giorni una grande somma di denaro. Tramite l’indagine svolta nella città di Roma da Occhio del Riciclone si è potuta osservare un’impressionante crescita dell’apprivigionamento dei cassonetti da parte di comunità Rom. Al seguito di questa “pesca miracolosa” vi sono attività di selezione e riparazione che il più delle volte viene svolto all’interno della comunità stessa. Successivamente i diversi materiali raccolti vengono avviati a mercati differenti e specializzati, in grado di valorizzarli maggiormente.


La quantità degli oggetti che vengono recuperati tramite questa metodologia supera l’immaginazione e dà adito ad un vero e proprio busisness, il quale permette a queste comunità di guadagnare circa 10.000 euro l’anno. Bisogna inoltre tener conto che alcuni degli scarti recuperati da queste persone vengono devoluti all’edilizia di fortuna. Reti di materasso , lamiere , teli plastici, cartone , porte e altri scarti legnosi vengono riutilizzati dagli stessi raccoglitori per costruire baracche e strutture di riparo attorno a vecchie roulotte. A livello italiano vi sono una serie di casi significativi di Cooperative e associazioni che svolgono un importante ruolo nel riutilizzo e nel riuso per caritas. Nel Rapporto Nazionale sul Riuso del 2012 sono evidanziate alcune aziende e coperative che tramite innovativi metodi di raccolta o creazione di attività correlate al riuso forniscono numerosi aiuti alle popolazioni disagiate e permettono la creazione di nuovi posti di lavoro per persone disoccupate. Ad esempio la Coperativa S.E.N.A.P.E di Alessandria si dedica al riutilizzo di abiti usati, i quali vengono raccolti tramite cassonetti per la caritas e grazie alle attività di recupero a domicilio e vengono sistemati, puliti, riparati e successivamente donati ai più bisognosi. Quello che è importante notare è che il conferire una seconda vita alle cose spesso porta a trasformare un oggetto inutile in un qualcosa capace di arricchire l’esistenza di un’altra persona. Il riuso per necessità si applica infatti in molteplici campi, ma ognuno di essi è a dir poco fondamentale ed estreamente fruttoso.

Riutilizzo per moda/

I

l riuso, ovvero il recupero dei materiali con modalità diverse dal riciclaggio o il riutilizzo di oggetti mediante decontestualizzazione o modifica degli stessi, è diventato una vera epidemia benefica, che sta invadendo differenti ambiti e spingendo la popolazione mondiale ad un diverso atteggiamento . Il riuso è ritenuto sempre più un autentico valore condiviso, soprattutto nei Paesi più industrializzati. Possiede ormai un suo proprio linguaggio, un posto nella società, e proprio nella condivisione trova la forza e il riscatto. La parola d´ordine oggi è riuso: di abiti e arredi, ma anche di oggetti di uso domestico o industriale destinati alle discariche. Soprattutto nel campo della moda, gli accessori e i vestiti composti da elementi riutilizzati e riciclati sono ritenuti chic all’avanguardia e trasgressivi. Mettere una bella toppa ai ginocchi dei pantaloni, rigirare la fodera della giacca, tirare fuori dagli armadi i maglioni dell’epoca passata, sono comportamenti che per i nostri nonni, vissuti in un periodo di ristrettezze economiche, erano normali e che i nostri padri, nel boom economico , hanno abbandonato ritenendoli fuori luogo e da “pezzenti”. In Italia, venti o venticinque anni fa, i rifiuti erano un argomento tabù, venivano disprezzati e nessuno voleva parlarne o occuparsene. Attualmente, invece, il riutilizzo sta tornando in auge. Sprecare non è più simbolo di ricchezza: niente più accessori usa e getta, ora il trend del momento è il riuso. Questo vale persino per i prodotti in scadenza al supermercato, per i quali sono stati fondati i cosiddetti Last Minute Market,

52 / 53


società per il recupero, a scopi solidali, dei beni invenduti, e per la prevenzione della formazione dei rifiuti alimentari. Non più da poveri, il riuso diventa un fenomeno smart che pervade l’economia e la società, complice anche la crisi. Un altro aspetto del “non spreco” che oggi giorno è sempre più di tendenza è quello che affiora negli “swap party”, incontri di persone decisamente non povere che si scambiano abiti firmati e non. Il partafoglio, infatti, in questi casi c’entra relativemente poco, in quanto non si tratta più di risparmio, ma di un cambiamento repentino della mentalità, che trasforma il riuso e il mercato dell’usato in un fenomeno di costume e di moda. Nei negozi Swap, però, vengono barattati capi quasi nuovi, pulitissimi e intonsi. E’ quasi un amore per l’oggetto che non si usa più: si cerca qualcuno che abbia voglia di conservarne e rinnovarne lo spirito. La passerelle mettono ancora di più in mostra questa tendenza: vi sono modelli cuciti con i materiali più disparati. Molti stilisti di fama hanno creato intere linee orientate proprio a salvare i rifiuti dalla spazzatura. Borse e accessori che utilizzano materiali di riciclo che vengono decontestualizzati e riusati per altri scopi. Ad esempio la stilista Carmina Campus ha creato una collezione che va oltre il riuso “fashion” in quanto le borse della linea Massages sono realizzate direttamente in Africa da alcune artigiane, che ricamano toccanti slogan contro la guerra e l’Aids. Il lavoro viene ovviamente pagato e inoltre per ogni borsa venduta, vengono devuoluti 20 euro per progetti di risanamento e protezione della salute.

Nella quotidianità di ognuno di noi c’è poi il riuso di quello che troviamo nel guardaroba: l’abililità sta nel farlo con gusto. L’Atelier del riciclo ha creato provvidenzialmente a questo proposito un corso di Wardarobe Refashioning nel quale si individuano i capi che possiedono qualità da valorizzare. Alla creatività non c’è limite e i materiali utilizzati vanno dalle pezze di tessuto d´antan ai tappetini di acrilico, dalle spugnette per lavare i piatti all´elastico dei busti, fino alle tastiere di gomma dei computer, ai pomelli dei cassetti, ai quadranti di orologi. L’idea di trasformare la “spazzatura” in prodotto di moda è divenuto anche patrimonio culturale di scuole di creatività come l’Istituto Europeo di Design, che ha svolto negli ultimi anni delle manifestazioni itineranti di moda chiamate proprio “Riciclando”. Tutto si (ri)crea, tutto si riusa, perfino il copertone della bici, il reggiseno e la tastiera del pc. Un’altra tendenza è costituita dal Recommerce, ossia il riciclo e il riuso dei rifiuti elettronici, ripuliti e messi a posto. Si trova di tutto: dai cellulari di nuova generazione ai vecchi registratori, che permettono di vedere le videocassette. I mercati dell’usato elettronico consentono a chi non ne ha la possibilità di acquistare i pod e nuovi elettrodomestici a prezzi molto più convenienti, scontati di oltre il 50%. le aziende che si occupano di Recommerce si occupano di rimetterli a nuovo smontandoli e riparandoli, eliminando i graffi e vendendoli addirittura con 12 mesi di garanzia. I siti italiani di recommerce sono una dozzina. Ci sono i network Baby Bazar (articoli per l’infanzia) e Mercatopoli (oggetti vari), che sono piattaforme gestite dalla veronese


Leotron. Anche un privato può affiliarsi e creare così il proprio negozio di usato. Ci sono anche Algotech (computer), Il Celluvale (telefonini e iPad), ReCicli (biciclette, anche d’epoca), Rewind Selection (borse prodotte con vele usate) e il Punto Vespa. Anche per quanto riguarda il settore dell’arredamento, il mercato dell’usato garantisce sempre nuove collezioni e allestimenti. Molti architetti e progettisti si occupano di arredi dismessi, in linea con queste tendenza di rimettere a nuovo. Questo è anche il lavoro di Sergio Perriero un architetto torinese che da più di vent’anni svolge questo tipo di attività. Il riuso-dice l’architetto-diventa, in questo caso, non soltanto una scelta ecologica, ma un investimento, un modo di agire al passo con le mode. Come lui, anche molte aziende di design e studi privati lo hanno capito. All´insegna del riuso e del riutilizzo, per l´ultima edizione della White Homme sono stati riutilizzati arredi ripescati in una discarica di Ferrara gestita dalla comunità La Casona. Più di 100 mobili sono stati sottratti dal flusso normale dei rifiuti e sono stati riusati per l’esposizione. Le fiere e gli show room possono avere un impatto molto inquinante. E´ per questo che architetti e progettisti hanno ragionato sulla creazione di allestimenti a impatto zero, con mobili e divani vecchi,risistemati e tornati a nuova vita. La moda del riuso si è così fatta spazio anche nel campo dell’arredamento e del design. Dall’idea del riuso di “carabattole”, Massimiliano Bizzi( titolare della già citata rassegna milanese White Homme) ha dato il via ad una linea di complementi d’arredo. Si chiama White Design e produce articoli ideati secondo precisi codici eco-sostenibili, in modo da diffondere sempre più un sano e onesto modo di agire, per sovrastare l’aumento dei rifiuti. Nella nostra società sentiamo sempre più spesso parlare di riciclo creativo e di upcycling, che sono descritte come pra-

tiche nel rispetto dell’ambiente e ecosostenibili. Bisogna però domandarsi se l’oggetto “riutilizzato” proviene realmente dalla filiera dei rifiuti. Quante aziende che dicono di praticare il riuso lo fanno veramente? Purtroppo sono molte le realtà che si fingono in favore del riuso, ma utilizzano materiali nuovi e intonsi per realizzare le proprie collezioni, che sono quindi dei “falsi-riutilizzi”. La moda del riuso è infatti così sopravvalutata, che alcune aziende continuano ad usare materiali nuovi, spacciandoli per vecchi, per mantenere un’alto profilo dei loro prodotti, apparire meritevoli e alzare i prezzi. Bisogna quindi portare attenzione a questi tipi di falsi e favorire il riuso realmente ecosostenibile. Per permettere questo, è evidentemente necessario agire sul pubblico, tramandando i veri valori del riuso, attraverso promozioni in grado di riportare al centro dell’attenzione e dell’approvazione sociale di tutti in particolar modo la memoria e la continuità con il passato .

Riuso per ecosostenibilità/

L

e risorse del mondo non sono infinite ed è ampiamente riconosciuto che tutte le nostre attività, oggi, stanno contribuendo al cambiamento climatico, pertanto l’unico modo per sostenere le popolazioni in futuro è quello di utilizzare le nostre risorse in modo più efficiente. Svariati segnali ci ricordano che il pianeta è sull’orlo del tracollo sociale e ambientale. Tuttavia, esistono dei possibili margini di recupero e questo ci carica di una responsabilità particolare. Il nostro pianeta è sempre più invaso dalle montagne di rifiuti, ogni anno più di 1,8 miliardi di tonnellate di rifiuti vengono prodotte dalla popolazione mondiale. Come spiega Francesco Gesualdi nel libro “Sobrietà, dallo spreco di pochi ai diritti di tutti”, per poter avere un occhio di rigiuardo verso l’ecosteni-

54 / 55


bilità e per poter adottare un comportamento sostenibile, bisognerebbe imparare a consumare con rispetto. La società dei consumi ci ha abituati a buttar via le cose quando sono ancora utilizzabili solo perhè non sono più di moda o perché non più all’avanguardia tecnologica. Un tempo, la cultura del riutilizzo era molto più radicata. I nostri nonni usavano e riusavano e cose finchè potevano svolgere la loro funzione e quando le rompevano, venivano riparate. Tornare ad agire nel rispetto del consumo e in un’ottica di minor spreco é oggi più importante che mai. Le normative e le politiche di smaltimento stanno puntando tutte le attenzioni su quello che è l’impatto ambientale di questa enorme quantità di rifiuti. Le diverse nazioni stabiliscono annualmente dei nuovi obiettivi di riduzione del livello di inquinamento prodotto dalle discariche e dagli inceneritori. Questa nuova sensibilità ecologica ha spostato l’interesse dalla ricerca della pura prestazione alla consapevolezza degli impatti ambientali, originati dalla scelta dei materiali e delle tecnologie. In questo senso, materiali di recupero o riciclo, come anche materiali derivati da risorse rinnovabili, manifestano importanza crescente nel mercato attuale, in un’ottica di “innovazione sostenibile”. Perciò le aziende investono sempre di più sull’utilizzo di energie rinnovabili e su processi produttivi che prevedono l’uso di materiali riciclati. Riciclare carta e cartone, legno, plastica, metalli e vetro consente di risparmiare enormi quantità di materie prime. Il risparmio più importante è però sicuramente quello sull’ambiente: la raccolta differenziata è una risorsa economicamente indispensabile ed importante da

cui possiamo ricavare materiali preziosi. Oltre al riciclo, anche la riduzione degli sprechi e il riutilizzo sono attività estremamente importanti per la salvaguardia dell’ambiente. Dare una nuova vita ad un oggetto cambiandone destinazione d’uso, modalità di fruizione, o stravolgendo il canonico modo d’impiego, evita del tutto la creazione di nuovi rifiuti andando fortemente ad agire sulla diminuzione dell’inquinamento. Il concetto del riuso è molto distante da quello del riciclo ( come spiegato nella parte 3 ) proprio per questo motivo. Il riuso non consiste nella trasformazione totale dell’oggetto e del materiale di cui è composto: esso viene semplicemente riutilizzato, interamente o solamente in alcune parti, per la stessa o per una diversa funzione, senza subire trasformazioni drastiche. In questo caso si tratta infatti di allungare la vita ad un’oggetto, evitando un prematuro riciclo e una prematura e dannosa dismissione, agendo nell’ottica secondo la quale ciò che non serve più ad una persona può servire ancora a qualcun altro. Il riutilizzo ha dunque tutto il potenziale per limitare l’impatto ambientale e ridurre i costi di smaltimento, soprattutto per quanto riguarda i rifiuti pericolosi di origine elettrica ed elettronica. Il tema dei rifiuti RAEE è infatti di grande attualità sia nelle politiche che nelle normative che regolano la loro dismissione. La dismissione di un computer ha un grande impatto ambientale diretto, sempre più significativo. Il libro “Il computer sostenibile” scritto da Giovanna Sissa dimostra come l’open source sia in grado di ritardare la dismissione dei computer e di come allungare il loro ciclo vita, ripensan-


doli , riusandoli e trasformandoli in nuovi e ben funzionanti apparecchi. Il riuso ha un grande vantaggio, ossia quello di poter essere applicato a circa il 90 % dei beni oggigiorno disponibili sul mercato, sia per quanto riguarda piccoli prodotti e oggetti della vita quotidiana, sia per quanto riguarda le merci di proveninza industriale. Il peso di questa attività è ovviamente proporzionale alla quantità di persone che la attuano e alla quantità di rifiuti reimpiegati. Se si analizza il comportamento di un singolo individuo, il suo operare certo non costituirà un dato significativo per l’impatto ambientale globale, ma l’azione di molti può dare risultati sorprendenti. E’ necessario dunque fornire una giusta comunicazione e un giusto insegnamento ai cittadini sul tema del riuso, incoraggiando questo atteggiamento. Attualmente, le attività di comunicazione volte a pubblicizzare il mondo del riuso sono ristrette a piccole iniziative, che di solito hanno scopo ludico artistico e sono in linea con le tendenze della moda, ma che hanno poco a che fare con i risultati riguardanti uno sviluppo ecostenibile del nostro pianeta. Bisognerebbe concepire lo scarto come

oggetto di valore e far sì che questo messaggio arrivi a più utenti possibili disposti ad integrare quest’atteggiamento con le loro abitudini. Alcuni miglioramenti però sono già in atto: molto lavoro viene condotto dal punto di vista giuridico a favore del riuso e le normative stanno venendo adeguate. Molte politiche di smaltimento si sono evolute verso il riuso anche per quanto riguarda la dismissione dei rifiuti solidi urbani. Infatti il riutilizzo richiede meno risorse, meno energia e meno lavoro, rispetto al riciclaggio, lo smaltimento, o la fabbricazione di nuovi prodotti a partire da materie prime vergini. Questo tipo di pratica fornisce un impatto ambientale decisamente più basso e preferibile ad alternativi metodi di gestione dei rifiuti, perché riduce l’inquinamento di suolo, aria e acqua, limitando la necessità di nuove risorse naturali, come legno, petrolio, fibre e altri materiali. L’Environmental Protection Agency degli Stati Uniti ha recentemente identificato la riduzione dei rifiuti e il riutilizzo come importanti metodi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, un fattore che contribuisce per gran parte al riscaldamento globale.

56 / 57


Il riuso del Mobile/

I

l fenomeno del riuso e in generale quello legato al campo del arredo, è tanto conosciuto quanto diffuso a livello internazionale con tanti approcci per quanti sono i soggetti coinvolti. Spesso si pensa che il Riuso del mobile possa essere semplicemente legato al restauro di componenti d’arredo che dopo una mano di pittura prendono nuova vita; questa visione ristretta non comprende tutte quelle attività che possono realmente trasformare un arredo delle proprie funzioni oltre che della proprio forma o del solo aspetto. Tali azioni rendono il riuso una delle attività più flessibili al fine di conservare ciò che esiste modificandolo per il futuro. La ricerca ha inoltre dimostrato come il riuso possa essere implementato grazie alla qualità dell’elemento originario. Tale qualità materica pregiudica la buona riuscita dell’atto del riutilizzare che varia con il variare della qualità stessa. Mobili realizzati in materiale truciolare tendono a spezzarsi prima a causa degli spazi presenti tra le fibre di legno che, sottoposte a diverse condizioni ambientali, si dilatano creando spaccature interne che prima o poi porteranno alla rottura del pezzo. Tali problemi non si verificano con l’utilizzo di un legno massello che dall’altro lato tende ad imbarcarsi. Queste caratteristiche intrinseche dei diversi materiali ne condizionano la vita utile iniziale che li porta, in diversi tempi, ad essere dismessi. Lo scopo di questo lavoro è tentare di capire ciò che già viene fatto in materia di riuso per occuparsi dei materiali che vengono dismessi per determinati motivi e tentare di trovare una soluzione alternativa più efficace alla triturazione che possa trovare un nuovo scenario di riferimento per questo materiale potenzialmente utile.

Il mondo dell’usato rappresenta un’altra parte interessante nel campo del riuso del mobile che sempre più spesso diventa comune tra le scelte di chi decide di comprare elementi d’arredo per necessità. La presenza sempre più comune di questo filone del campo dell’arredamento su riviste di settore e nei gusti delle persone dimostra quanto la crisi economica, la passione per il modernariato e uno spiccato spirito ecologista stiano facendo proliferare il mercato in questione. In Italia i commercianti dell’usato hanno deciso di unirsi dal 2010, creando l’associazione ONU (Operatori Nazionali dell’Usato) la quale rappresenta la prima organizzazione di operatori dell’usato italiana, impegnata a rivalutare le sorti di un settore potenzialmente utile come quello dell’usato. La rete ONU conta più di 3000 operatori in tutta Italia ed è supportata da varie organizzazioni nazionali come l’Associazione “Bidonville” di Napoli e l’Associazione degli Operatori del mercato di Porta Portese a Roma, il gruppo ViviBalon di Torino e L’Occhio del Riciclone, organizzazione che è stata «creata con l’obiettivo di promuovere il riutilizzo e di individuare una soluzione all’emergenza rifiuti a partire dal punto di vista dell’economia popolare, e la Rete di Sostegno ai Mercatini Rom, che da circa dieci anni opera con difficoltà sempre crescenti aiutando le famiglie rom del territorio romano a costruire un futuro dignitoso attraverso un lavoro legale di raccolta e vendita dell’usato.» Nonostante l’argomento non sia nuovo, i “nodi” burocratici e normativi impediscono, nel caso italiano, di realizzare aziende o enti no profit che possano maneggiare il grande potenziale dato dalla materia recuperabile in strada e nei centri specializzati, la cui categorizzazione li porta nella lista dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU). Se il fenomeno non è concesso dal punto di vista legale, questo non è visto come deterrente in quanto, nella maggior parte dei paesi europei e non, un mobile abban-


donato per strada in discrete condizioni viene immediatamente raccolto da un nuovo utilizzatore rientrando, in questa maniera, nella categoria dell’informale e in qualche maniera seguendo anche una sorta di “prevenzione” al rifiuto. Secondo la normativa, il termine prevenzione al rifiuto indica tutte quelle attività che impediscono ad un elemento obsoleto di essere gettato, quando potrebbe ancora ricoprire delle funzioni. Questi comportamenti “informali” sono più frequenti nelle zone urbane periferiche, in cui è meno frequente il passaggio degli operatori ecologici. Tale fenomeno è molto diffuso tra le classi sociali meno abbienti, ma anche nella fascia degli studenti e più in dettaglio, all’interno di quella nuova categoria di “giovani adulti” in cui il tema del mobile usato non è legato ad un concetto di povertà o degrado sociale, quanto piuttosto a nuovi concetti di recupero materico e sociale che la stessa attività di recupero contiene intrinsecamente. La diffusione di queste pratiche ha dato stimolo alla nascita di differenti esempi che hanno visto un importante dimostrazione di interesse da parte dei non addetti ai lavori: un esempio tra tutti potrebbe essere il programma televisivo “Paint Your Life” con Barbara Gulienetti, o la grande presenza in rete, di blog sul tema, a dimostrazione dell’interesse dimostrato da parte di sempre più persone. L’evoluzione normativa che ci interessa in questo periodo potrebbe portare considerevoli cambiamenti per l’attuazione di vari progetti di recupero delle materie prime. Nell’ Europa in cui i paesi si sono già adeguati alla direttiva nascono

dei cosiddetti “Centri del Riuso” in cui la pratica della prevenzione viene attuata a pieno ritmo e con efficacia. Esempi sul campo di questa propensione al riuso provengono dal mondo anglosassone in cui, come per abitudine, chi deve dismettere un mobile o qualsiasi altro elemento d’arredo preferisce lasciarlo in strada disponibile per chi ne dovesse avere bisogno, oppure realizza domesticamente i cosiddetti “Garage sales” o “Swab party” a dimostrazione del nuovo atteggiamento crescente nei confronti dell’usato e della seconda mano. A Londra nel borgo di Barnet è stato aperto il primo “Furniture reuse centre” grazie ai fondi stanziati dalla “London Waste and Recycle Board” della capitale anglosassone. Il centro in questione sarà situato in un magazzino nel Queens Parade di Friern Barnet,; nella sede, i cittadini potranno donare a titolo gratuito i loro mobili più o meno recuperabili. Dei volontari si occuperanno di valutare, aggiustare o recuperare la sola materia presente nel mobile consegnato. La stessa associazione che gestisce il centro neonato, si occupa anche di aiutare quelle famiglie vittime di tracolli finanziari o particolarmente bisognose. Il comune ha riconosciuto le attività svolte da questa associazione virtuosa, di conseguenza ha messo a disposizione circa 15.000 abitazioni per tali famiglie, le quali avranno bisogno del mobilio per arredare le proprie abitazioni. Il progetto ha ricevuto più di 200,000£ dalla London Waste and Recycle Board

58 / 59


come finanziamento a tali attività, inoltre il servizio è anche supportato dalla “London Furniture Reuse Network” che è stata creata dopo lo stanziamento di 8.000.000 £ da parte del governo inglese con il fine di supportare comportamenti simili all’interno della capitale. Un fenomeno simile è presente anche negli Stati Uniti, dove a New York l’associazione “NYC Stuff Exchange” si occupa di fornire un servizio di raccolta e recupero di mobili e non, per supportare famiglie bisognose e “salvare” dalla discarica quegli elementi che potrebbero essere re-immessi sul mercato a prezzi ribassati. L’associazione opera principalmente grazie al sito internet messo a disposizione della cittadinanza; esso nasce nel 2007 ad opera del “NYC Department of Sanitation’s Bureau of Waste Prevention” evolvendosi per arrivare ad utilizzare applicazioni multimediali nel 2011 disponibili per telefonia di nuova generazione e tablet, al fine di rendere “virale” il nuovo comportamento virtuoso. Al recupero dei mobili come rifiuti si affiancano anche le attività di prevenzione che molte aziende nel campo dell’arredo hanno già messo in pratica: caso emblematico è quello della community “Hemma Ikea” che mette in contatto le persone intenzionate a vendere vecchi arredi del brand svedese a prezzi ridotti rispetto il prodotto in negozio oltre ad offrire tutti quegli elementi fuori catalogo delle passate produzioni. Le azioni legate al mondo del riuso sono sempre più frequenti e sempre più diffuse in sintonia con un nuovo spirito ecologista che va diffondendosi tra i discorsi e le nuove attitudini della cittadinanza.

Virtuosi o delinquenti?/

S

e da una parte abbiamo il sistema organizzato formale, in cui la gestione dei rifiuti è controllato dalle norme statali ed europee e dall’altro si hanno delle organizzazioni informali, all’interno della quale piccoli gruppi “fuorilegge” si occupano di raccogliere e vendere ciò che viene raccolto da bidoni dell’immondizia mediante l’atto del rovistaggio, esiste una categoria più piccola e meno discussa che è formata da tutti quegli utenti privati che per caso o per scelta si sono ritrovati a raccogliere un mobile dall’immondizia per metterlo nel proprio salotto. Questi civili improvvisati “designer” sono spesso supportati nei loro comportamenti da libri sull’argomento che, in un momento di crisi economica, spingono fortemente a progetti DIY (do it yourself) come il libro “Recession Design”, volti a riqualificare gli “arredi della nonna” che ognuno ha nella propria cantina, sino ad arrivare a raccogliere un tavolino danneggiato dall’angolo della strada. Tali attività sono definite per norma: fuorilegge, nonostante non rappresentino un danno per la società o per le persone che la compongono. Il movimento del Design DIY nasce dalla cultura punk, nonostante oggi non rappresenti più questo movimento per via delle sue connotazioni più generali.


Blocchi normativi e il nuovo scenario del riuso/

C

ome già spiegato nei capitoli precedenti, il maggior impedimento che vieta alcune attività di riuso nel campo del mobile, è dato dall’inefficienza del passato decreto legislativo il quale mancava di una corretta definizione di rifiuto, oltre a non contemplare le attività di “preparazione per il riutilizzo”; queste rappresentano uno degli aspetti fondamentali per salvare dalla discarica, quegli elementi che dal punto di vista fisico e della qualità non sono considerabili obsoleti. Al contrario, parte interessante della nuova direttiva è data dalla netta distinzione tra “recupero” e “smaltimento” questo a causa dei diversi impatti ambientali e dal riconoscimento dal possibile “nuovo” ruolo svolto dai rifiuti come risorsa, in alternativa a materie naturali. Inoltre l’approvazione del nuovo decreto legislativo, permetterebbe di attivare quelle azioni di prevenzione e di prepara-

zione al riutilizzo che garantirebbero una nuova serie di materie prime in ingresso sul mercato. Tale approvazione permetterebbe tutta una serie di azioni che potrebbero migliorare considerevolmente la posizione del riutilizzo rispetto il nostro contesto statale. Il testo della ricerca svolta da “ODR” propone una soluzione interessante in cui ai centri ecologici esistenti verrebbero aggiunte delle nuove aree adibite a laboratori in cui verrebbero recuperati quelle merci smistate dagli operatori specializzati. Tali zone verrebbero realizzate con lo scopo di ospitare laboratori specializzati come falegnameria e fabbro, laboratorio informatico, laboratorio elettrotecnico e laboratorio di tappezziere. Si suppone che l’ingresso costante di volumi ingenti di materiali all’interno del sistema garantirebbero abbastanza supporto alle attività del centro; inoltre la presenza di manodopera salariata renderebbero produttive e redditizie anche le operazioni di riparazione e restauro che al momento vedono un univoco processo di espulsione dal mercato italiano.

60 / 61


Le fonti del riuso per gli operatori/

I

l campo del riuso del mobile ha diverse provenienze per quanto riguarda le forniture, le quali spesso vengono divise tra fonti legali e illegali, andando così a definire i campi già trattati di riuso formale e informale. Per quanto il riuso trattato fino ad adesso sia strettamente legato al campo della dismissione dei rifiuti, esiste una parte di questo argomento che è invece legata al recupero di quegli arredi che vengono per tempo intercettati prima di diventare giuridicamente “rifiuto”. Dagli stessi operatori dell’usato viene definita una lista delle attività di approvvigionamento e al contempo una gerarchia di classificazione basata sui volumi recuperabili dalle varie attività presenti in lista. Queste attività legali permettono una serie di azioni che rientrano nelle attività di “prevenzione”: 1. Sgombero locali Sgombero locali legato a cessioni come appartamenti da consegnare privi di arredi Sgombero locali necessario per traslochi Svuotamento cantine Sgombero parziale o totale di locali per pulizie stagionali 2. Approvvigionamento presso cassonetti o frugatori di cassonetti 3. Acquisto singoli oggetti da privati, rivenditori e negozi in conto terzi 4. Isole ecologiche e centri di raccolta

L’approvvigionamento presso i cassonetti rappresenta un’attività che oltre per motivi igienici e idealistici viene definita tabù, nonostante rappresenti una fonte quasi inesauribile (al momento) di materiale per approvvigionamento.


I contesti del Riuso/

I

contesti all’interno dei quali si muovono le azioni che portano il riuso sono svariati quanto le categorie merceologiche che lo compongono. Se vent’anni fa il riuso era una pratica riservata ai senza tetto o alle fasce sociali più disagiate, oggi rappresenta un caso estremamente diffuso per cui la maggior parte della popolazione interpreta queste attività come un qualcosa di eco sostenibile e socialmente utile. Le linee che definiscono queste attività diventano sfumate quando, per estrema diffusione, o forse per eccessiva semplificazione, i concetti vengono applicati quasi per “moda” o per “stile” che non per un vero interesse nel campo della sostenibilità. Il concetto stesso di eco sostenibilità diventa un surplus; un arricchimento che porta un valore aggiunto al prodotto o al progetto che si è deciso di intraprendere. La disinformazione porta a credere che il riutilizzo sia universalmente utile se applicato alle diverse categorie merceologiche, cadendo così in errore e causando più danni di quanto non si farebbe con un atto di riciclo. Pertanto risulta fondamentale capire quando è più opportuno applicare azioni di riuso e quando è più indicato riciclare per il reinserimento nella filiera produttiva analizzando tali contesti per i pro e contro che li contraddistinguono. I contesti analizzati sono:

L’ambiente domestico/

N

ell’ambito casalingo il riuso è applicato quasi quotidianamente da svariate categorie di persone che vanno dagli appassionati del bricolage a coloro che lo scelgono come operazione di risparmio. La presenza di libri sul riuso e programmi televisivi che promuovono il tema pertanto la tendenza è andata diffondendosi. Ciò che una

dieci anni fa veniva buttato nell’immondizia, oggi viene recuperato con azioni semplici anche da parte dei non professionisti che rischiano di causare danni nell’inconsapevolezza della loro azione. Questo accade ad esempio quando il mobile in cattive condizioni viene “riparato” dall’inconsapevole sulla qualità della materiale che successivamente si trova a spendere più soldi a seguito di un intervento eseguito male oltre al pericolo di creare dei problemi di carattere ambientali dati dall’utilizzo di colle dannose che possono a loro volta rovinare il materiale. Nonostante il riuso in ambito domestico possa portare ad ottimi risultati legati all’allungamento della vita del prodotto e della sua sostenibilità ambientale, questo suo “allungamento” della vita potrebbe creare dei problemi dal punto di vista economico per quelle aziende che producono arredi. La presenza di maggiore informazione rivolta agli interessati sulle qualità dei materiali e su ciò che di buono potrebbe essere fatto per delle corrette azioni di riuso, rappresenterebbero una buona soluzione per diffondere i giusti comportamenti da seguire in caso di necessità da parte dei cittadini.

L’ambiente professionale/

A

ll’interno di questo contesto sono compresi tutti quei mestieri che in qualche modo, entrano a far parte del mondo del riuso con un piccolo apporto rispetto le grandi aziende. Falegnami, singoli designer e artigiani operano sul campo producendo innovazione con le proprie opere, aggiornando sempre di più questo paesaggio culturale. Tra i casi studio analizzati è stato riscontrato un fenomeno abbastanza diffuso, che dimostra quanto lo stesso “riuso” venga applicato per il trend temporaneo che rappresenta. La moda detta queste condizioni che per motivi di guadagno portano i singoli progettisti a fare delle supposizioni su materiali potenzialmente riutilizzabili, nonostante la mate-

62 / 63


ria prima impiegata sia di nuova produzione. Nonostante il mezzo sia discutibile per la sua integrità, l’azione compiuta dai designer porta la cittadinanza che ancora non crede nelle potenzialità del recupero a riconsiderare tale concetto, pertanto si può tenere conto del buon proposito del progettista, piuttosto che l’azione vera e propria. Molti di questi professionisti, tra cui i designer, sono riuniti sotto delle associazioni a cui sono garantiti una serie di aiuti economici da parte dello stato, parallelamente alle attività socialmente utili che queste associazioni forniscono. Se il singolo designer propone un’attività interessante per metodi e azioni, ma limitata nei mezzi e nella produzione, l’associazione risolve questo problema e implementa il raggio d’azione di queste attività. A differenza del riuso domestico, è capace di dare maggiori risultati, dal punto di vista qualitativo e della durabilità del progetto stesso.

L’ambiente Aziendale/

A

nche all’interno delle aziende esistono dei comportamenti volti al riuso e d’altra parte, nascono sempre più nuove aziende per le quali il riuso rappresenta la fonte stessa dei profitti interni. Tali casi rappresentano forse la fetta più grande del mercato potenziale dato dal riuso. Lo stato delle cose permetterebbe di disporre di un’ingente quantità di materia prima per la produzione e dall’altro lato una presa di coscienza sempre maggiore anche da chi dubita ancora delle potenzialità di questo settore d’applicazione.

Ultimamente si è visto come le stesse aziende si siano avvalse di concorsi e mostre come strumento per la scoperta del potenziale dei designer nell’affrontare le tematiche di riuso di determinate materie; un caso su tutti è la Tryk: marchio americano che ha proposto un concorso, il cui tema tenta di scoprire gli utilizzi alternativi alla dismissione di pezzi di moquette, delle quali l’azienda è leader di settore.

In uno scenario ipotetico sarebbe interessante analizzare la situazione in cui le aziende progettassero dei prodotti con lo scopo di re-impiegare alcune delle parti del prodotto primario nella produzione del prodotto secondario, così da creare una fascia di costo secondaria allo stesso prodotto presente sul mercato; un’evoluzione del “design for disassembly” che potrebbe portare ad interessanti aspetti d’applicazione sul tema del riuso aziendale, in alternativa potrebbe essere una soluzione progettare i prodotti di modo che, una volta rotti; le parti danneggiate che lo compongono possano essere sostituite agilmente dall’acquirente; il tutto in modo da reperire il singolo pezzo all’interno del punto vendita; questa proposta contiene dei fattori negativi che non si possono tralasciare, come il dispendio economico da parte dell’azienda nella produzione del singolo pezzo oltre al costo di un servizio di riparazione ad hoc insostenibile dal punto di vista economico se comparata con i guadagni che se ne potrebbero ottenere. Dall’altro lato esistono dei casi per cui le aziende sviluppano atteggiamenti virtuosi legati ad


azioni nel campo del riuso, con scopi secondari ai profitti, come potrebbe essere il fare economia su materiali da imballaggio etc. Questo dimostra che il “riuso” propriamente detto non è fatto soltanto di sedie recuperate in maniera bizzarra, quanto di tutti quegli atteggiamenti che volgono al risparmio di materia o di fondi.

Le cooperative sociali/

T

ra gli organi che si occupano in grande scala di riuso, si trovano le cooperative sociali e le associazioni di promozione sociale. Secondo la normativa italiana le cooperative sociali rientrano in una specifica categoria, caratterizzata dal fatto di “perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini” attraverso: -la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi (tipo A); -lo svolgimento di attività diverse (agricole, industriali, commerciali o di servizi) finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate definendo quali sono le fasce svantaggiate e le porzioni minime in cui queste devono essere presenti nel personale della cooperativa stessa.(tipo B). Questa definizione è data dall’articolo 1 della Legge 8/11/1991 n° 381, la quale disciplina le cooperative sociali e alla quale occorre fare riferimento per conoscere gli specifici obblighi e divieti cui queste cooperative sono sottoposte e

che ne giustificano il particolare regime tributario. La natura e le motivazioni, che nel corso degli ultimi anni, hanno reso possibile un incontro tra il mondo del riuso e questa particolare configurazione di impresa sociale sono numerose e diversificate. “La funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata” viene del resto riconosciuta dalla costituzione italiana che, per tale ragione, all’art. 45 impegna la legge “a promuovere e favorirne l’incremento con i mezzi più idonei e ad assicurarne mediante opportuni controlli il carattere e le finalità”. Il mutuo aiuto tra gruppi di persone e il concetto di tutela reciproca nell’affrontare esigenze di vita, di lavoro, di abitazione, in forma collettiva e autorganizzata è alla base della forma cooperativa di impresa. Questa tendenza al sistema assistenziale ha rappresentato ,in analoghi momenti di crisi sociale ed economica, una forte risorsa comunitaria. Questa ha consentito esperienze di grande valore col fine di “massimizzare la propria utilità” e di produrre “capitale sociale”, promuovendo coesione sociale, percorsi di crescita culturale ma anche posti di lavoro e mera erogazione di servizi. Come rivela, Guido Viale “le imprese sociali devono porsi come proposta autonoma di “impresa sostenibile” rafforzando la propria efficienza e stringendo forti legami comunitari. Sempre Viale evidenzia come le cooperative sociali impegnate nella raccolta dei rifiuti, offrano un esempio importante di tale ruolo. Per quanto riguarda il riuso, va invece messa in rilievo la capacità che le imprese sociali

64 / 65


posseggono di dar vita a quelle economie informali e popolari, legate al riutilizzo dei beni , accompagnandole in percorsi di emersione e di organizzazione che potremmo definire di auto promozione sociale. Di particolare interesse sono infatti i corsi attraverso i quali si catalizzano competenze, azioni culturali e pedagogiche, solidarietà e impegno civile per la tutela ambientale, poiché essi creano le condizioni per la costruzione delle nuove filiere del riuso. Queste ultime richiedono una strutturazione di attività in grado di curare tutte le fasi di lavoro necessarie (raccolta selettiva dei beni riusabili, smistamento, pulizia, riparazione , organizzazione di una rete di vendita efficace a basso costo). I corsi e le attività educative all’interno delle cooperative sociali sono spesso gestiti da volontari, o personale esperto come psicologi, economisti, falegnami, progettisti e designer i quali svolgono un’importante ruolo all’interno di queste imprese. Come nel caso di Alessandro Mora il quale ha spesso collaborato con associazioni di volontariato per ragazzi disabili, tenendo laboratori a tema sul creare con legno di recupero, oppure come per quanto riguarda l’associazione Resign la quale durante gli anni di attività a stabilito parecchi rapporti con la cooperativa sociale Mani Tese. Un ruolo importante che le cooperative possono svolgere è anche quello di creare alleanze con enti pubblici : in questo modo commercianti, scuole e organizzazioni no profit possono acquistare materiali di cui necessitano a prezzi scontati o disfarsi di materiali che non utilizzano

più senza eccessivi costi di smaltimento. Tramite la collaborazione fra le cooperative e gli enti di gestione dei rifiuti possono inoltre nascere attività molto fruttuose fra cui quelle dei centri del riuso come si evidenzia nel paragrafo seguente. L’aumento delle cooperative sociali che si occupano del riutilizzo potrebbe essere di grande supporto allo sviluppo del riuso su scala. Oltre al fatto che, in corrispondenza all’aumento di cooperative, si potrebbe evidenziare un rispettivo aumento di stanziamenti statali e un conseguente implemento dei posti di lavoro. Il numero dei pezzi riusato potrebbe essere più alto e consistente, senza contare che le associazioni fornirebbero un grande aiuto agli enti privati che si occupano di gestione dei rifiuti andando ad aumentare la quantità di materiale recuperato. Poter offrire l’opportunità di un lavoro e di una casa a persone in difficoltà mentre si realizza un’attività di riduzione dei rifiuti e degli impatti ambientali è, in un’ottica di produzione di capitale sociale, quanto mai entusiasmante.


I Centri del riuso/

«Si tratta di locali o aree coperte presidiati ed allestiti in cui si svolge l’attività di consegna e prelievo di beni usati ancora utilizzabili; o la loro riparazione».

C

ome espresso nella definizione, i Centri del Riuso si occupano di intraprendere quelle attività che supportano il fine del riuso e della riparazione dell’usurato, nell’ottica per la quale il riuso stesso rappresenta una soluzione migliore e dal punto di vista economico e dal punto di vista materico per il trattamento di importanti quantitativi di rifiuti. Dal punto di vista normativo rappresentano un’importante passo in avanti rispetto la prevenzione alla produzione del rifiuto e la loro creazione è consigliata dal Dlgs. 205/2010 art 6 comma 1: “le pubbliche amministrazioni promuovono la costruzione ed il sostegno di centri di riparazione e riuso”. Il Centro svolge un ruolo di spazio pubblico a disposizione degli abitanti del territorio di riferimento, avvicinando gli stessi alla conoscenza e alle capacità di manipolare gli oggetti e le apparecchiature che popolano la normale vita quotidiana. E’ una struttura di supporto a fasce variabili di utenti, consentendo così, una possibilità di acquisizione di beni di consumo usati ancora funzionanti ed in condizioni di essere efficacemente utilizzati per gli usi, gli scopi e le finalità originarie dei beni stessi. I centri trattati sono generalmente gestiti da associazioni che lavorano parallelamente alle isole ecologiche e solitamente

nelle vicinanze del centro stesso. La nascita di questi centri è data grazie ad un escamotage burocratico che permette di raccogliere il materiale recuperabile prima che entri dentro l’isola ecologica, pertanto prima che diventi un rifiuto. I centri in questioni sono normalmente gestiti da delle Onlus che permettono la ricezione delle donazioni da parte della cittadinanza. In Italia esistono dei casi che ne dimostrano il buon funzionamento e soprattutto l’interesse dimostrato da quei comuni che hanno interpretato i possibili vantaggi dati dalla costruzione di un simile centro come: La Cooperativa Insieme di Vicenza, la quale gestisce i centri di smistamento intermedio dove il materiale riusabile viene selezionato a monte e poi esposto a venduto in due differenti negozi, uno dei quali si trova presso la ricicleria di Arzignano. Oltre alla normale attività di smistamento, la cooperativa organizza anche dei servizi di sgombero locali. La cooperativa Triciclo di Torino che, grazie ad un accordo stipulato con l’azienda di igiene urbana locale (AMIAT) può raccogliere il materiale frutto di sgomberi o dello smistamento fatto all’ingresso dell’isola ecologica. L’associazione Triciclo occupa tre sedi sul suolo torinese, la sede principale in Via Arbe contiene il laboratorio di riparazione di biciclette. Emmaus Verona / Mattaranetta che prende il nome da un iniziale adesione al circuito Emmaus, del quale ormai da molti anni non fa più parte. La missione rimane quella della riabilitiazione di per-

66 / 67


sone in situazioni di difficoltà personale e marginalità sociale. Mattaranetta gestisce anche otto eco-centri e tre isole ecologiche ma non in tutti è possibile selezionare le merci riusabili per la rivendita. Il Quadrifoglio nella Piana Fiorentina è conosciuta come la prima “rifiuteria” italiana che seleziona le merci riusabili prima dell’ingresso in discarica. Nel sito del Comune Toscano si invitano i residenti a “ottenere gratuitamente un oggetto, portando a sua volta un quantitativo di materiale equivalente a quello prescelto in termini di peso”. Il sistema è innovativo e porta vantaggi a tutti gli operatori coinvolti nel sistema. E’ inoltre interessante notare quali sono quelle figure che vanno a svolgere dei compiti all’interno della struttura, a dimostrazione delle varie attività che contraddistinguono il centro e ne fanno un modello virtuoso degno di essere ripetuto in altri contesti. Artigiani e maestri del lavoro, membri del servizio civile, disabili, pensionati e designer sono solo alcune delle figure che vivono assiduamente “il centro” e ne fanno un sistema nuovo, capace di diffondere la virtù del riuso. Il centro è di per se un concetto recentemente introdotto nello scenario della gestione dei rifiuti; questo si contrappone, in qualche modo, al concetto dell’Isola Ecologica che rappresenta un caso sostanzialmente diverso. Queste sono infatti gestite dalle aziende per la gestione dei rifiuti urbani, vincitrici dell’appalto pubblico. Queste strutture si trovano in punti strategici del territorio urbano, di modo da dividere equamente lo smistamento dei rifiuti. Dal centro ricerca di

ODR è stato stimato che la proporzione ideale tra cittadini e isole ecologiche è di un’isola ogni 100.000 abitanti. Questo scenario porta a stimare che nella sola città di Roma ci sia la necessità di 27 isole ecologiche sul suolo cittadino, contro le 13 esistenti che soddisfano con sempre maggiore difficoltà il flusso di materiali in entrata, i quali verranno inevitabilmente indirizzati alla discarica o in inceneritore. E’ necessario precisare che l’isola ecologica è un centro che si occupa della suddivisione delle materie entranti per tipologia materica, di modo da semplificare l’atto di riciclaggio dove possibile; i restanti materiali che vengono definiti come “altro” sono spesso dismessi in discarica. L’isola ecologica è generalmente gestita da 2 a 5 operatori per volta, i quali si dividono nelle attività di smistamento della materia entrante e nella gestione del flusso in ingresso per veicoli e mezzi della raccolta. All’interno delle stesse isole ecologiche esiste anche un “mercato informale” che porta i comuni rigattieri e robivecchi a rifornirsi, mediante accordi “sottobanco” tra il gestore dell’isola e l’acquirente. (vedi capitolo gestione dei rifiuti informale). Il materiale che non viene destinato al mercato dell’usato per vie informali viene recepito da quelle aziende e consorzi specializzati nel recupero di tali materie, a partire dagli organi della CONAI. Lo studio di ODR propone uno scenario interessante per il quale, a seguito dell’approvazione della nuova direttiva sui rifiuti, sarà possibile creare nuove organizzazioni in cui Isola Ecologica e Cen-


tro di Riuso sono uniti in un unico organismo all’interno del quale sarà possibile utilizzare la materia entrante in toto con lo scopo di impiegare il più alto quantitativo di materiale utile. OPPORTUNITA’ DEL MODELLO SOPRA DESCRITTO SU SCALA CITTADINA

Sistema adottato

Impiegati

Fatturato in euro

Isole ecologiche fondate sul riuso

291

10.663.383

Isole ecologiche fondate sul riuso con il porta a porta

561

23.815.431

Le strutture saranno organizzate in modo da contenere diversi laboratori per le varie attività di recupero, i quali saranno diretti da operatori specializzati e spesso designer (vedi caso delle cooperative) i quali saranno istruiti sulle tematiche da affrontare. Il centro in questione è stato immaginato per ospitare anche corsi di formazione o piccole attività di bricolage in cui sarà possibile ospitare la cittadinanza coinvolta per farla interagire con professionisti del settore del mobile e non. Gli aspetti interessanti di questo progetto sono molteplici come molteplici sono gli scopi da raggiungere, uno su tutti è sicuramente quello di diffondere il riuso nelle attività di tutti i giorni e soprattutto quello di sostituire la piaga rappresentata dalla passata cultura “usa e getta”.

68 / 69



A

ll’interno di questa sezione si è cercato di comprendere l’attività di riuso nelle sue parti più tecniche. Una ricerca su chi si occupa di riuso in prima persona, o tramite un’attività aziendale o sociale ci ha portato a scoprire il potenziale legato al mondo dei rifiuti, a seguito dell’analisi effettuata nelle fasi di produzione e gestione di tale materia. Fondamentale è la sezione dedicata alla fattibilità, in cui si sono ricercate le basi solide sulle quali il mondo del riuso dovrebbe sostenersi, in un ipotetico scenario di applicazione futura. Sono anche presenti delle sintesi, volte a dimostrare l’applicazione di queste “azioni di riuso” all’interno di un ipotetica sistematizzazione dei processi; questo tentando di migliorare tali attività che portano ad una buona progettazione, anche per coloro che non si sono mai occupati direttamente di riuso.


3

parte/

Interventi di Riuso


Introduzione ai casi studio/ La ricerca dei casi studio è stata impostata su quattro livelli differenti, riguardanti i principali attori presenti nel campo del riuso, in particolare nel riutilizzo di complementi d’arredo. Primi fra tutti i designer, selezionati attraverso alcuni criteri ben precisi : la progettualità, le tipologia di prodotti riusati e la provenienza dei materiali di recupero. Le associazioni e le cooperative sono state individuate in base alla loro attitudine a svolgere attività educative e di assistenza che abbiano come tema principale il recupero del mobile. Per quanto riguarda le aziende, sono state individuate quelle imprese che svolgono attività tese al riuso, come il recupero dei propri oggetti una volta dismessi, l’ istituzione di concorsi su questo tema, e la presenza di settori interni che si occupano appositamente di attività di riutilizzo. Infine la categoria attivazione culturale ritrae tutte quelle realtà, tra cui siti, mostre, libri, ed eventi, che ricoprono un’importante ruolo nella promozione della cultura del riuso e nella rivalutazione del rifiuto. Per ogni caso studio (Who), sono state riassunte le caratteristiche (progettuali e non) più rilevanti (What), andando a descrivere quali sono e individuando quando l’attività ha avuto inizio (When). Di grande importanza sono poi le ragioni (Why) per le quali i singoli casi studio sono stati analizzati. Sono stati poi scelti per ogni scheda tre o quattro progetti e testimonianze, fra i più interessanti, in grado di rappresentare le differenti tipologie di approccio.


Casi studio / I DESIGNER / Alessandro Mora Bottazzi & Bonapace Alicucio Tejo Remi Marco Torchio Theo Herfkens Andrea Bouquet Controprogetto Rocker Lane Scrapile Niloufar Afnan James Henry Austin Noam Tabenkin Ubico Studio Fratelli Campana Bell Boy AltroSguardo Martino Gamper Cesare Catena 5.5 Vibrazioni Art-design LeLab Boris Bally


I DESIGNER / Alessandro Mora

WHO: Alessandro Mora (www.alessandromora.com) WHERE: Provincia di Parma WHAT: Alessandro Mora è r iuscito a recuperare e a ridare nuova v ita a materiali di scarto in un’ottica di riuso o di upcycling. I suoi oggetti partono spesso da riassemblaggi di materiali,che solitamente perdono la loro funzione per riacquistarne una nuova. Questa si arricchisce perché mantiene la memoria del passato: vecchi legni scuri, assi da ponteggio, cassetti e doghe di botti raccontano la loro passata vita di oggetti. Dietro le creazioni di Alessandro Mora troviamo un’ottica d i risparmio, sostenibilità e la possibilità di una seconda v ita per materiali scartati. WHEN: La sua attività nasce nel 2000 WHY: Cambiamento di funzione mantenendo la memoria del passato Sfrutta il “costo zero” degli oggetti abbandonati per farne ipotesi di sperimentazione


Intervista/ Alessandro Mora Come è nata la tua attività?

1

L’ inizio vero e proprio del mio lavoro risale a circa 15 anni fa. provenivo da esperienze totalmente diverse (facevo il tecnico di produzione in azienda metalmeccanica). La conoscenza però del disegno e della costruzione anche se meccanica hanno sicuramente agevolato e influito il mio modo di creare. Dico questo perchè se si va in dettaglio in alcuni miei lavori su legno, si riconosce spesso assemblaggi e sistemi di accoppiamento che ricordano di più la meccanica semplice, piuttosto che la falegnameria. Che cosa ti ha portato a far del riuso il punto di riferimento su cui impostate il tuo lavoro?

2

Il riuso, non era poi così diffuso e sentito (15 anni fa ) come adesso. Il m omento storico che stiamo a ttraversando c osì r ecessivo h a portato sicuramente a un piano più nobile questo modo di creare. All’ inizio i miei lavori sono stati mosaici: ovviamente il materiale era di recupero (vecchie mattonelle e ceramiche spezzare). Grande i nfluenza d i gaudì, c he h o sempre trovato geniale e moderno nella sua arte, poi ho cominciato a spostare l’attenzione sul legno. Ma mi dovevo misurare con una materiale che non conoscevo. Cosa c’era di m eglioallora ( visto che sperimentare vuol d ire anche, p rovare e alle volte sprecare) che utilizzare almeno materiale a costo zero? Elementi naturali , trovati spiaggiati o nelle secche dei fiumi, o nei boschi. Da qui nascono i primi lavori decenti appendiabiti, l ampade, m aturando i ntanto sempre più esperienza sui legni. Con quali elementi dismessi ti rapportati nel tuo lavoro?Con quali hai iniziato? Il momento del riuso arriva un paio danni dopo avevo la necessitò di assemblare superfici più ampie per creare contenitori, tavoli , letti e il solo uso di piante morte non era più sufficiente. Così con la stessa filosofia (ossia regola n˚ 1 : il materiale doveva essere a spesa zero.) comincio a costruire con vecchie porte, tapparelle, bancali, ecc . da questo momento il mio mondo creativo si apre a infinite possibilità creative. La ragione economica di approvvigionamento che mi aveva sostenuto fino a quel momento si apre a una nuova consapevolezza. L’idea chiara che il mio lavoro da quel momento sarebbe dovuto essere oltre c he estetico e funzionale anche sostenibile.L’impiego di questi materiali (che nella loro veste ufficiale si possono definire esausti) riimpiegati in altro modo ,tornano in vita partecipando alla composizione creativa. L’importanza per me di questa operazione arriva quando con leggerezza e ironia la memoria e l identità insita nel materiale va a rendere speciale un oggetto.

3


Intervista/ Alessandro Mora 4

Hai mai avuto difficolta nel reperimento dei materiali da riutilizzare? Il materiale di recupero adesso è più difficile da reperire. fino a pochi anni fa le isole ecologiche (che si son diffuse per fortuna tantissimo) ti consentivano di "pescare" fra i depositi del legno. Adesso non è più consentito. Riesco ancora reperire (grazie ad amici che lavorano in edilizia) assi da ponteggio (per far letti e librerie) e vecchii scuri e porte.

5

Hai mai pensato a collaborare con associazioni di volontariato o enti impegnati nel campo del riuso? Collaboro con associazione di volontariato per ragazzi disabili . con loro tengo laboratori a tema: creare con legno di recupero

6

Pensi che i prodotti derivanti da un arttività di riutilizzo possano essere sempre più accettati dalla gente? Per quello che riguarda le mie creazioni che si basano in gran parte sull arredo ottenuto dal riuso, trovo molto interesse fra le persone . Il cliente di solito è più spesso di età compresa tra i 30 e i 55 anni.


I DESIGNER / Bottazzi & Bonapace

Peter Bottazzi e Denise Bonapace ( www.peterbottazzi.com)

WHO: WHERE:

Milano

WHAT:

Nella collezione “da morto a orto” oggetti e mobili domestici, destinati a scomparire a essere eliminati, resuscitano in una nuova veste. Rielaborati , rappezzati, trasformati per poi essere innestati d i verde, d iventano nuovi “orti da camera” dove reimparare a coltivare la terra e gli alimenti, in un’ottica del tutto sostenibile.WHEN: Fuorisalone del mobile 2011 WHY: Trasposizione degli arredi all’ortocultura Collaborazione con l’AMSA (azienda che si occupa della dismissione dei rifiuti) , per il recupero legale dei mobili


I DESIGNER / Alicucio

WHO: Arcangelo Favata alias Alicucio (www.alicucio.com) WHERE: Torino, Via Gropello 2 WHAT: Artista siciliano, classe 1977. Nel 2002 riceve una m enzione per l a tesi i n design d al t itolo “DAL R IFIUTO ALL'AMORE PER LE COSE”. Per il progettista il concetto di “rifiuto” in natura non esiste tutto può avere un'altra vita totalmente nuova. WHEN: 2002 WHY: Attività di sensibilizzazione tramite installazioni con rifiuti Attività di educazione al riuso all’interno di associazioni di volontariato


Intervista / Alicucio Che cosa ti ha portato a far del riuso il punto di riferimento su cui impostate il tuo lavoro?

1

Tutto parte da un’installazione che ho realizzato per una mostra a Catania nel 2004, dove ho affrontato il tema dei” rifiuti”. Mettendo in evidenza il degrado delle spiagge libere della città durante l’inverno e cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema ambientale, realizzando un manichino fatto interamente della spazzatura che avevo trovato in spiaggia e inserendolo all’interno dello spazio espositivo con tutto ciò che ci stava attorno, con un domanda rivolta al fruitore: chi è l’uomo e chi è il rifiuto? Era il periodo in cui stavo per completare l’Accademia e dovevo scegliere la tesi da portare in commissione e una delle ultime materie che dovevo sostenere era proprio design. Pensai allora che attraverso la fusione della scultura, del design con l’ecologia poteva nascere la mia tesi. Alla mia relatrice piacque l’idea e così mi misi subito a lavoro. Il titolo fu: “Dal rifiuto all’amore per le cose”, ispirato da una frase celebre dell’economista e scrittore belga Gunter Pauli: “in natura non esiste il concetto di rifiuto”. Realizzai così diversi prototipi attraverso il recupero di materiale ormai in disuso. Nello specifico progettai ill “sacco a cartone”, uno scatolo/zainetto a fisarmonica per i senzatetto, con il cartone ondulato del packaging dei pezzi di ricambio delle auto e il tessuto di copertura dei camion. Con i biglietti dell’autobus e dei tram usati, progettai un sedile per gli stessi mezzi urbani, tramite il processo di fustellazione ispirato dalle sedute dell’architetto canadese Frank O. Gehry. Il risultato fu una menzione da parte della commissione e un punto d’inizio per la mia ricerca in questo ambito. Come è nata la tua attività? Per diversi anni mi sono occupato di installazioni attraverso il recupero di materiale di scarto, ho progettato oggetti funzionali ma non li ho mai realizzati. Un giorno uscendo da casa trovai nel cortile interno del mio palazzo una vecchia cassettiera, fatta con legno massello ed incastri a coda di rondine, era piuttosto distrutta, ma mi colpì molto anche il suo colore, carta da zucchero, allora pensai di portarla nel mio studio, ai tempi lavoravo in una piccola mansarda. Per alcuni giorni osservai l'oggetto che avevo recuperato, poi arrivò l'idea, trasformarla in una seduta, infatti il nome che le diedi fu cassetti-era, dopo pochi giorni il lavoro fu acquistato da un noto pubblicitario di milano per la sua collezione privata, uscì anche un articolo su un noto giornale nazionale. Da quel momento in poi non ho smesso di realizzare oggetti attraverso il recupero di materiale di risulta.

2


Intervista/ Alicucio 3

Con quali elementi dismessi ti rapportati nel tuo lavoro? Con quali hai iniziato? Diversi sono gli elementi che sino adesso ho utilizzato: pallet, vecchie sedute, tavole da cantiere, mobili distrutti, scarti di parquet, cantinelle ecc.. Ho iniziato con una vecchia cassettiera in legno.

4

Hai mai avuto difficoltà nel reperimento dei materiali da riutilizzare? Fino adesso no, anche se per assurdo la legge italiana vieta di prelevare oggetti dalla s trada o a ccanto alla spazzatura, b isognerebbe i ntercettarli prima, essendoci la p resenza d i consorzi c he s i occupano dello s maltimento, c osa diversa succede in altri paesi europei, dove vige il libero mercato.

5

Hai mai pensato a collaborare con associazioni di volontariato o enti impegnati nel campo del riuso? Collaboro già con associazioni d i volontariato, circoli a rci, tenendo dei w orkshop.

6

Pensi che i prodotti derivanti da un arttività di riutilizzo possano essere sempre più accettati dalla gente? In un futuro credo che siano obbligati ad accettarli e spero che avvenga in un modo felice, questa è la mia mission.

7

Come pensi che si possa incentivare l’attività del riuso? Incentivando l aboratori manuali nelle s cuole, c oinvolgendo i r agazzi a ttivamente nel realizzare piccoli manufatti.


I DESIGNER / TejoRemy

WHO: Tejo Remy gruppo Droog (www.remyveenhuizen.nl) WHERE: Operativo a Utrecht in Olanda ma diffuso a livello internazionale WHAT: Tejo Remy, designer che lavora assieme a Rene Veenhuizen, considera qualsiasi cosa come un possibile materiale impiegabile in nuove sperimentazioni. Collabora con il gruppo Droog per il quale ha disegnato la Rag Chair e la Milk Bottle Lamp : si tratta di oggetti reinventati con materiali di tutti i giorni che acquistano nuovi significati lontani dalla loro origine. WHEN: Attivo dal 1991 WHY: Metodo di lavoro plasmato sulla materia di recupero disponibile Azione rivolta alla comunicazione del riuso pi첫 che al riuso stesso


I DESIGNER / Marco Torchio

WHO: Marco Torchio (www.lesediedeltorchio.it) WHERE: Nord Italia tra Piemonte e Lombardia WHAT: Il progetto, a cura dell'architetto e designer Marco Torchio, interpreta il riuso come rispetto della storia e dell’essenza di un oggetto con la volontà di dargli una nuova vita una volta diventato scarto. Il capitale di barrique che ciascun produttore vinicolo elimina ogni anno, viene trasformato i n strumento per l a comunicazione a mbientale. L 'etichetta del vino diventa parte integrante dell'oggetto e motore economico di una nuova filiera, i cui valori di riferimento sono la riscoperta delle radici e la ricerca della bellezza. WHEN: Attiva dal 1991 WHY: Riuso di un materaile di recente rivalutazione come il barrique Assemblaggio artigianale senza snaturare la materia prima,


I DESIGNER / Theo Herfken s

WHO: Theo Herfkens (www.oudnow.nl) WHERE: Ewijk_ Norvegia WHAT: Questo giovane designer norvegese ha creato una serie di arredi che nascono dalla c ombinazione d i vecchi pezzi d’arredamento dismessi c on u n sistema basico progettato dallo stesso designer. Lo scopo è quello di creare il nuovo rivalutando il vecchio. WHEN: Attivo dal 2009 WHY: Recupero del mobile mediante un vero atto di chirurgia estetica Creazione della “protesi” su misura per la seconda vita del mobile


I DESIGNER / Andrea Bouquet

WHO: Andrea Bouquet, Product designer (andreabouquet.it) WHERE: Torino/Pinerolo WHAT: La sua a ttività nasce dalla s toria della c iviltà c ontadina e m ontanara dove tutto ha dignità e innumerevoli vite, e da cui trae l’attitudine al riciclo ed al riuso e l’attenzione per l’ambiente. Tradizione e costante ricerca si fondono per dare vita a d opere contemporanee c he e mergono c osì dal c onformismo e dalla standardizzazione delle p roduzioni s eriali, dando v ita ad a rredi esclusivi ed unici. WHEN:

Attivo dal 1996

WHY: Specializzazione sul recupero del legno Tradizione artigiana con un occhio all’arredo contemporaneo


Intervista/ Andrea Bouquet Che cosa t i ha portato a f ar del riuso il punto di riferimento su cui impostate il tuo lavoro?

1

Difficile a dirsi, sicuramente gli insegnamenti di mio nonno che non buttava mai via niente, in secondo direi smaltire in un modo creativo i vari legni che per lavoro e per malattia salvo dalla discarica e dal fuoco. Come è nata la tua attività?

2

Nasco, o meglio, inizio come restauratore di opere lignee dopo un decennio di apprendistato. Ma a fare mobili con legno di recupero è stato quando avevo bisogno di una libreria e il caso vuole che un amico mi regalo' una botte ormai in disuso, ho fatto semplicemente uno piu uno. Con quali elementi dismessi ti rapportati nel tuo lavoro?Con quali hai iniziato?

3

Diciamo con qualunque pezzo di legno, pregiato o meno, dai bancali al legno di vecchi palchetti, mi piace molto il legno di vecchie botti e tini usati per la vinificazione dell uva (solitamente rovere e castagno), ma anche semplici pezzi di legno, il recupero più strano vecchie mangiatoie dei polli, hanno fatto un lavoro magnifico!! non snobbo i vecchi tubi degli impianti dell'acqua in ferro e i vecchi fanali. Hai mai avuto difficolta nel reperimento dei materiali da riutilizzare?

4

No, per ora no! Hai mai pensato a collaborare con associazioni di volontariato o enti impegnati nel campo del riuso?

5

Ho i niziato da poco una c ollaborazine c on G alliano H abitat per i l progetto refuse LAB Pensi che i p rodotti derivanti da u n arttività d i riutilizzo possano essere sempre più accettati dalla gente?

6

Come per tutte le cose nuove, ci va del tempo. bisogna rieducare le gente Come pensi che si possa incentivare l’attività del riuso? Mi sembra che diverse fiere e manifestazioni si stiano spostando in questa direzione parlandone, e da falegname bisogna martellare!!

7


I DESIGNER / Controprogetto

WHO: Laboratorio Controprogetto (www.controprogetto.it) Valeria Cifarelli, Matteo Prudenziati, Davide Rampanelli, Alessia Zema. WHERE: Via Tertulliano 70, Milano WHAT: La filosofia dei Controprogetto si basa sulla cultura del fare attraverso la promozione dell’autocostruzione. Essi mettono a disposizione della collettività le loro esperienze e spingendo a liberare la creatività tramite percorsi di progettazione partecipata. Essi basano i l loro l avoro su oggetti d i recupero, i quali rappresentano materia preziosa nonostante l’abbandono. WHEN: Il laboratorio e l’associazione Controprogetto nascono nel 2003 all’interno della Stecca degli Artigiani, a Milano. WHY: Combinazione di rifiuti legnosi di diverse provenienze Attività laboratoriali ed educative volte alla sostenibilità


Intervista/ Controprogetto Che cosa vi ha portato a far del riuso il punto di riferimento su cui impostate il vostro lavoro?

1

Il riuso rappresenta per noi una risposta concreta a due problematiche che abbiamo riscontrato nel sistema nel quale siamo nati e cresciuti: l'abbondanza di spreco e la carenza di identità del prodotto industriale. L'essere nati in uno spazio come l a Stecca degli Artigiani a M ilano c i ha permesso di coltivare dal principio le nostre attitudini in questo direzione. L'edificio oltre a r appresentare di per s è u n progetto d i recupero e riuso architettonico era pieno di materiali che ci hanno dato modo di sperimentare e costruire anche in assenza di risorse. in ogni occasione eravamo e siamo in grado di costruire quello che ci viene richiesto con quello che abbiamo a disposizione. questo per noi è stato ed è tuttora un grande esercizio creativo, e ci permettere di vivere e crescere in un sistema in crisi. Come è nata la vostra attività?

2

Siamo nati alla Stecca degli Artigiani, spazio industriale milanese convertito ad attività artigianali e associative, abbattuto nel 2007 per fare spazio a grattacieli e uffici. Controprogetto è stato in principio un'associazione culturale molto eterogenea dove i l laboratorio c onviveva c on d iverse a ttività c ulturali, a rtistiche ludiche e sociali. All'interno di quel contesto il nucleo interessato al design e all'architettura ha creato un l aboratorio a rtigianale in o ccasione della c ostruzione d i un parco giochi destinato ad un piccolo villaggio del Kosovo. Da allora il laboratorio non ha mai smesso di funzionare e crescere.Nel corso dei primi anni si è stabilizzato il nucleo che tuttora compone Controprogetto. Con quali elementi dismessi vi rapportate nel vostro lavoro? Con quali avete iniziato? Il nostro l avoro di r ecupero si c oncentra p rincipalmente sui m ateriali e non sugli oggetti.questo ci permette una più ampia possibilità di espressione progettuale. U n armadio recuperato può r estare un a rmadio ma i l legno c he l o compone può diventare parte di qualsiasi cosa. i nostri oggetti sono spesso caratterizzati dall'uso di patchwork e composizioni nei quali le storie dei singoli racconti compongono u n racconto unico e i rripetibile. questo conferisce a i nostri prodotti l'unicità che li rende preziosi. Usiamo prevalentemente legno di recupero, m a ci c apita anche d i usare ferro, plexiglas, m ateriali p lastici e tessuti.

3


Intervista/ Controprogett o 4

Avete mai avuto difficoltà nel reperimento dei materiali da riutilizzare? Spesso. la ricerca del materiale di recupero è spesso una vera e propria caccia al tesoro, che richiede pazienza perseveranza e molte telefonate. nel tempo abbiamo mappato il nostro territorio per trovare canali affidabili e permanenti. ma spesso il recupero vive di occasioni uniche. per questo abbiamo sviluppato un'alta flessibilità progettuale e costruttiva che ci permette di realizzare i nostri progetti in molti modi diversi. inoltre la crisi ha portato a una riduzione degli sprechi. questo rende il nostro approvvigionamento di materiali più difficile ma il sistema complessivamente più sostenibile

5

Avete mai pensato a collaborare con associazioni di volontariato o enti impegnati nel campo del riuso? Non abbiamo ancora avuto collaborazione d iretta c on nessun sogetto pubblico o privato che si occupa di smaltimento. in qualche modo sono stati fino ad ora dei concorrenti. per questioni di sicurezza tutto ciò che entra nel sistema della azienda municipalizzata che a Milano e provincia gestisce i rifiuti non ne può più uscire e il nostro lavoro fino ad ora è stato più di anticiparli che collaborare.

6

Pensate che i prodotti derivanti da un attività di riutilizzo possano essere sempre più accettati dalla gente? Si. il readymade e il riciclo creativo sono temi che si stanno diffondendo negli ultimi anni con sempre più consenso.

7

Come pensate che si possa incentivare l’attività del riuso? Attraverso maggiori collaborazioni fra grosse aziende e giovani designers per il riutilizzo dei loro scarti e la creazione di piattaforme di recupero dei materiali delle aziende municipalizzate.


I DESIGNER / Rocker Lane

WHO: Rocker Lane Workshop (www.rockerlaneworkshop.com) WHERE: North Tipperary_ Irlanda WHAT: Seàn Fogarty e Michael Heffernan sono i due fondatori di questo gruppo di progettisti, che si sono uniti con lo scopo di creare prodotti totalmente ricavati dalla dismissione dei parquet. La tipologia di prodotti realizzati è libera da trattamenti con sostanze chimiche e colle di qualsiasi tipo e inoltre non vanno ad intaccare le foreste. WHEN: L’associazione nasce nel 2006. WHY: Utilizzo di uno scarto scelto per la sua resistenza e versatilità Forte attenzione alla completa sostenibiltà dell’oggetto


I DESIGNER / Scrapile

WHO: Scrapile (www.scrapile.com) Bart Bettencourt e Carlos Salgado WHERE: Brooklyng, New York WHAT: Cercando di creare oggetti con il minor impatto ambientale possibile, Bart Bettencourt e Carols Salgado hanno sviluppato un metodo unico di raccolta e di r iuso degli scarti p rovenienti dalla l avorazione del l egno ( segherie e industrie) che altrimenti finirebbero nelle discariche. Il progetto sfocia in una serie di collezioni di oggetti d’arredo del tutto unici e sempre diversi tra loro con uno stile minimalista e pulito. WHEN: Questo progetto nasce nell’autunno del 2003 WHY: Unità di stile omogenea nonostante la varietà della materia prima Raccolta presso aziende e non di oggetti scartati da utenti


I DESIGNER / Niloufar Afnan

WHO: Niloufar Afnan (www.niloufarafnan.com) WHERE: Beirut_Londra_Montreal WHAT: Niloufar Afnan giovane designer, di origini Libanesi, fonda la sua ricerca sul recupero di e lementi dismessi che sono s tati r ecuperati dalle s trade d i Beirut. Il risultato proviene dalla ricerca condotta sulle abitudini degli abitanti della città che è durato per 4 anni, tale progetto intotalato “Inviting surfaces” ha posato le fondamenta per tutti i futuri progetti della designer. WHEN: 2011 WHY: Gli arredi vengono enfatizzati delle componenti essenziali Studia l’interazione fra rifiuto e persone Incoraggia la riflessione sulla funzione degli oggetti


I DESIGNER / James Henry Austin

WHO: James Henry Austin WHERE: Londra WHAT: Lo s tudio si o ccupa p rincipalmamente di p rogetti a rchitettonici, questo sino alle olimpiadi del 2012, quando è stata avanzata la proposta di creare una serie di arredi, ricavati dalla ricerca di uno nuovo impiengo e del riutilizzo delle pavi mentazioni provenienti dai campi sportivi in legno. WHEN: 2012 WHY: Progetti che mantengo la memoria dello scarto nelle sue imperfezioni


I DESIGNER / Noam Tabenki n

WHO: Noam Tabenkin WHERE: Israel WHAT: Noam Tabenkin è una designer Israeliana membro del gruppo “Four’n’five”. Per il suo progetto di laurea si è occupata di rielaborare arredi vecchi e rotti provenienti dall’ambiente ospedaliero. Il suo processo tende a mischiare vecchio e nuovo, enfatizzando la provenienza delle componenti. WHEN: 2010 WHY: Enfatizzazione dell’arredo recuperato nelle sue parti rotte Applicazione del concetto “ curare il mobile”


I DESIGNER / Ubico Studio

WHO: Ubico Studio (www.studioubico.com) WHERE: Tel Aviv WHAT: Ori Ben-Zvi è il capogruppo dello studio Ubico di Tel Aviv specializzato nel recupero di oggetti e materiali dismessi. Il g ruppo è c omposto da Yuval Eshel, Naama Agassi e Max Cheprak: insieme definiscono la loro attività a metà tra uno studio di progettisti e una piccola unità produttiva. Tutti i materiali impiegati nella produzione provengono dal contesto del recupero e dalle strade della città, che si dimostra essere la fonte più prospera per la ricchezza di materiali recuperabili. WHEN: 2008 WHY: Approccio a volte ironico sul materiale utilizzato Materiale proveniente dai cassonetti e dalle isole ecologiche


Intervista/ Ubico Studi o What led you to reuse the reference point on which to set your work?

1

My initial drive was actually not the ready made and waste but rather my love for wood as a material and was uncomfortable with using virgin wood (even if it was sustainable grown). How did your design activity start ?

2

Started in trying to d o an evaluation on w hat I f ound l ying a round i n the streets, that set off my work with drawers over the first couple of years Which elements abandoned you prefer in your work? With what type of object/material you started?

3

I need both ready made objects like drawers or tables which I like workingwith, but allso need the timber to generate cleaner object so I actually need both especially as I do my best to work only in recycled materials. Have you ever had difficulty in obtaining the materials to be reused? Is there any law against working with reclaimed material in your country? There are no l aws against w orking w ith reclaimed reused m aterials but obtaining the material is always an issue, as the need to constantly work on the material supply takes valuable design and production time ....

3

Have you ever thought of working with voluntary organizations or entities concerned in the field of reuse?

4

As a business from time to time I get approached from organisations or privet people many times the understanding that unlike voluntary organisations a business needs to generate income in order to exist is a considerable gap.... Do you think that the products resulting from a re-use activities may be increasingly accepted by the people?

5

Many times I hear that the green" trend" is over the top or is depleting, I find that amusing as it is very clear that the resources are the main thing in depletion on this planet. What I am saying is that currently reuse is the most defective and available method to increase systemic sustainability. How do you think we can stimulate the activity of reuse? 1-get local councils to generate streamlined collection systems for materials 2 -get governmental simulations for waste management and reuse 3 - et designers to work from dumpsters where the materials are available

6


I DESIGNER / Fratelli Campana

WHO: Fratelli Campana (campanas.com) WHERE: San Paolo, Brasile WHAT: I fratelli Campana, famosi a livello internazionale, hanno pensato fin dagli esordi a un’idea di abitare legata alla loro terra d’origine, che rispettasse i materiali, ma che fosse capace allo stesso tempo di inedite sperimentazioni. Il continuo rimando alla realtà che li circonda sembra tracciare un filo rosso nella loro intera produzione: dalle edizioni limitate, alle collaborazioni con il mondo i ndustriale. M olto i mportante è la l oro particolare attenzione per il recupero, i l riutilizzo, e l’idea d i dare nuova v ita a p rodotti p reesistenti dettata da una più profonda idea di sostenibilità e necessità locali. WHEN: 1983 WHY: Ottimizzazione delle risorse locali già esistenti Rapporto stretto coi materiali locali


I DESIGNER / Bell Boy

WHO: Matt Driscoll & BELLBOY (bellboynewyork.com) WHERE: Brooklyn, New York WHAT: Bellboy è un’associazione di 12 artigiani di Brooklyn nata da un’idea di Matt Driscoll, ex Art Director proveniente dal mondo pubblicitario. Tutte le tipologie di legno utilizzate sono contraddistinte da una vita passata nel contesto Newyorkese: vecchie botti, porte, cisterne dell’acqua..ecc; quanto di meglio ha la città ha da offrire. WHEN: L’associazione nasce nel 2010. WHY: Specializzazione sul contesto urbano


I DESIGNER / Altrosguardo

WHO:

Mattia Menegatti, Mara Melloncelli

WHERE: Ferrara, Italy WHAT: La ricerca espressiva di questo studio è focalizzata sulle infinite espressioni del riuso attraverso l’immaginario, la percezione e l’emozionalità. Come dice il nome stesso Altrosguardo, fonda il proprio lavoro sulla capacità di (ri)guardare gli oggetti in una diversa prospettiva, lontana e distante da quella con cui sono stati generati. Dal recupero di materiali e oggetti in disuso il progetto arriva alla reinvenzione di complementi, ambienti e installazioni in grado di stravolgere la funzione originara degli oggetti. WHEN: 2009 WHY: Studio di a rte-design basato sul pensiero laterale nato dalla passione per il riuso e non da una formazione nel campo del design Mette in evidenza l’incessante trasformabilità delle funzioni degli oggetti


I DESIGNER / Martino Gamper

WHO: Martino Gamper (martinogamper.com) WHERE: Londra WHAT: Il progetto di Gamper “100 sedie in 100 giorni” è un esperienza che si pone parallelamente al m ondo del r iuso, m a ciò nonostante lo i ngloba t otalmente. Il progetto prende infatti vita da 100 sedie abbandonate che l’autore ha raccolto nelle strade di Londra per un periodo di circa due anni. L’intenzione e ra quella d i studiare nuove possibilità di assemblaggio fra oggetti g ià esistenti in m odo d a andare a riflettere s ulla g lobalizzazione e sull’omologazione delle sedute. Gamper parte da un insieme di sedie anonime e pezzi d’autore, che smonta completamente; i singoli componenti vengono r iassemblati e innestati creando u n nuovo p rodotto c he i ronizza il concetto di seduta. WHEN: La prima esposizione nel progetto ha avuto luogo nell’ottobre del 2007 WHY: Studio di svariate tipologie di innesto


I DESIGNER / Cesare Catena

WHO: Cesare Catena (www.cesarecatena.com) WHERE: Trofarello, Torino WHAT: La creazione d i oggetti “ sinceri”, che non nascondono l a loro o rigine e c he rivelano a prima vista i materiali di cui sono fatti, è il “modus operandi” con cui affronta la progettazione il designer Cesare Catena. I suoi progetti di architet tura d’interni vivono nel contrasto tra il “vecchio” e il “nuovo”: oggetti recuperati, appartenenti a epoche e u tilizzi d ifferenti, d ialogano c on m ateriali spesso sorprendenti e raccontano storie sempre diverse. A questo scopo, l’utilizzo di materiali dismessi e recuperati, è un vero e proprio punto di forza dell’intera progettazione. WHEN: 2009 WHY: Utilizzo di materiali “poveri” con l’intenzione di farne emergere le potenzialità nascoste


I DESIGNER / 5.5

WHO: Vincent Baranger, Jean-Sébastien Blanc, Anthony Lebossé e C laire Renard (www.55designers.com) WHERE: Parigi WHAT: Il loro primo progetto "Réanim", era incentrato sulla possibilità di dare una seconda v ita agli oggetti, trovati nelle d iscariche o abbandonati per l e strade. L'obiettivo non è quello d i restaurare riportanto a uno s tato o riginale un oggetto o quello di modificarne la funzione , ma piuttosto quello di riabilitarlo, sistematizzando l'intervento. Attraverso i l ruolo di “ medici-designer”, i 5 .5 hanno r iportato i n vita, oggetti condannati alla discarica, utilizzando la conoscenza anatomica del mobile per la costruzione di protesi curative. WHEN: 2003 WHY: Utilizzo di azioni semplici sistematici e riproducibili Non progettazione di pezzi unici ma studio di un metodo


I DESIGNER / Vibrazioni Art-Design

WHO: VIBRAZIONI ART-DESIGN, Alberto Dassasso (www.vibrazioniartdesign.com) WHERE: Via Castelletto 13, 48024, Massalombarda (RA), Italia. WHAT: La materia prima dalla quale nasce il loro lavoro è il materiale di recupero e più specificamente sono i barili di lamiera utilizzati in diversi settori dell’industria. L’obiettivo c he s i pongono è quello d i realizzare opere c ollocabili tra a rte e design, rese uniche dalla caratterizzazione dei materiali che, in quanto recuperati, presentano variazioni di superficie ricche di memoria e contenuti. WHEN: L’attività nasce nel 2007 WHY: Specializzazione sulla singola famiglia materica Ricordo della vecchia v ita dei m ateriali d ismessi, mantenendone l e imperfezioni derivate dall’usura.


I DESIGNER / LeLab

Le Lab WHO: LeLab (www.labdesign.it) WHERE: Eindhoven WHAT: Il gruppo di designers Lelab opera proponendo un tipo di progettazione volta al recupero di m obilio. L’approccio vede l’innesto di p iù e lementi d’arredo nel comporne uno singolo, con lo scopo di creare forme nuove capaci di svolgere più funzioni allo stesso tempo e di proporre un chiaro richiamo alle loro origini. WHEN: 2008 WHY: Innesto di mobili dai diversi utilizzi Mutazione delle forme convenzionali dell’arredo


I DESIGNER / Boris Bally

WHO: Boris Bally (www.borisbally.com) WHERE: Providence_Rhode Island, U.S.A. WHAT: Boris Bally è un Industrial Designer e un artista che si è distinto nel suo paese per la realizzazione di alcuni arredi di ispirazione fumettistica provenienti dal riciclo delle vecchie insegne stradali. L’approccio ludico e eclettico lo hanno portato a realizzare un’intera linea di prodotti della stessa famiglia. WHEN: Attivo dal 1990 WHY: Specializzazione materica Sperimentazione continua in diversi campi d’applicazione


Intervista / Boris Bally What led you to "reuse" the reference point on which to set your work? How did your design activity start ?

1

My efforts did not begin from sincerity, rather via upbringing/culture as mentioned below. I just wanted to make 'cool stuff.' I had been to Switzerland, numerous trips all my life. Apprenticed as a goldsmith in Basel 1979-80. As a WAY OF CONSCIOUS LIFE they recycle and always have, always will. They are programmed not to waste. I saw this and learned (they has been doing this since the 70's, if not before.. culturally they know what tough times are like) I began working with garbage not to fit a TREND (there wasn't one yet!) rather as a challenge. I still run my life (and as a family we all do) to reduce waste, recycle, upcycle and make do. My studio is a recycled School-turned-Amrican Legion Building (1889) which I bought in '99 the cost of an automobile (!!). They were going to tear down this monument: i saved and restored it. The staircase railing is made fron shovels my UPS driver gave me (!!) The window grates are made of drills the electricians discarded when they ran the power in this place.. My designs are made locally, by my studio manager Rob Boyd- or myself, by hand (HUMANUFACTURED速) with basic, small tools, minimizing consumption of electrical power. We get our material in my (gas saving) eco- mini van, mostly regionally. We triage (designate and assign) signage for its optimal traits. ie: a large sign with a great image becomes a chair back. too thin? it becomes 'spun' into a platter. Too plentiful (not a scarce image) becomes a tray. We further utilize the 'leftovers' of the initial process to become the smaller, abstracted objects such as Coasters, key fobs, and wearable brooches. What is left over in the end is metal sawdust and small scraps. Them I bring back to the scrap yard to get it back into the recycling routine. The work itself is designed to ship FLAT and the consumer assembles it. Goal: to save space, money, packing material, unnecessary costs for shipping. Perk: It allows me to ship anywhere! With what type of object/material you started your work? Why? Because the challenge is far greater than working with precious materials! Making something people value from something they have discarded is the ULTIMATE challenge. Getting them to pay big bucks for your design, made of their own discards. Essentially 'repackaging the material and selling it back to them!' Making something sexy and 'valuable' from gold is easy: try doing that with garbage!!! I hope to be the ultimate urban alchemist! Previously I had been working in (and trained in) precious and semi-precious metals/ woods (ebony, silver, gold, diamonds, rubies, etc...) My family culture/ history is Swiss (my parents both came from Z端rich in the early '60s): they believe FIRMLY in 'use it up, wear it, out, make it do, do without'

2


Intervista/ Boris Bally which has been our family motto- growing up with that-- other kids went to the zoo on weekends...my parents took us to scrap yards around Pittsburgh (!!) 3

Have you ever had difficulty in obtaining the materials to be reused? yes, always. There is politics involved. Also EXPENSE and intrinsic value of the aluminum. I must outbid all the other scrap specialists to have the ability to acquire the signs. Last friday I won a State bid for an enormous sign pile (over 10 tons) which has been building for over a year- Getting it, sorting it is next week's work!!

4

Is there any law against working with reclaimed material in your country? No. Here in USA only Money talks ;) It is 'recycling' and I do not use them as official 'signs,' cutting them up and re-directing their purpose.

5

Have you ever thought about working with voluntary organizations or entities concerned in the field of reuse? We often donate work for causes we believe in (AIDS/ Crafts/ Art/ Design/ CERF+/ SNAG/ N on-Profits and M useums supporting D esign + C rafts/ Schools that perpetuate my field) Occasionally these organizations commission me to make pieces for their interiors.

6

Do you think that the products resulting from a re-use activities may be increasingly accepted by the people? Yes, my immediate predecessors (Robert Ebendorf, Droog Design, Gijs Bakker, Ramona Solberg, Kiff Slemmons, Tom Mann) and I- we are the 'pioneers' of this current ' green w ave' i n design and m etalwork t hat has become so a ccepted and trendy now.

7

How do you think we can stimulate the activity of reuse? I am: By doing w hat I d o and ' getting i t out t here!! Using the materials, designing well, allowing people to appreciate good design with the undercurrent of using up-cycled/ recycled materials


Casi studio / LE AZIENDE / TerraCycle Ikea Usa&Riusa Rilegno Keo Project Tryk Amiat Galliano Habitat Les Ressourceries

5.5


LE AZIENDE / TerraCycle

WHO: WHERE:

TERRACycle Nel 2011, TerraCycle h a espanso l e sue operazioni d i raccolta in N orvegia, Spagna, Germania, Irlanda, Svizzera, Danimarca, Iraelel, Belgio, Argentina e in Olanda.

WHAT:

WHEN: WHY:

L’azienda è nata dall’intuizione geniale di trasformare la spazzatura in un vero e proprio a ffare, cambiando a l tempo s tesso l a percezione di r ifiuto c ome “cosa” i nutile, senza valore, d i cui sbarazzarsi. In c inque anni Terracycle supera il milione di dollari di vendite e i suoi prodotti, che oggi sono ben 186 e che hanno in comune solo la materia prima, vale a dire la “monnezza”, sono venduti nei principali store e ovviamente online. 2001 Attività di coordinamento della raccolta dei rifiuti per la creazione di nuovi prodotti. Obbiettivo di eliminare il concetto di rifiuto


LE AZIENDE / Ikea usa&riusa

WHO: IKEA “USA E RIUSA” WHERE: All’esterno dei punti vendita IKEA WHAT: Attività di allestimento mercatini al di fuori dei punti vendita dove è possibile donare i propri mobili usati, anche non a marchio Ikea ma integri, ricevendo in cambio uno o più buoni d’acquisto del valore di 10 o 20 euro. Nello stesso tempo, i soci Ikea Family che acquisteranno, tramite donazione, gli articoli p resenti a ll’interno del “Mercatino Usa&Riusa” riceveranno anch’essi un buono d’acquisto del valore di € 10,00 per ogni articolo acquisito. I proventi delle donazioni saranno trattenuti interamente dalle associazioni di volontariato umanitario che presidiano e gestiscono l’attività di ritiro e consegna dei mobili usati. WHEN: 2012 WHY: Rottamazione dell’usato con vantaggi per le associazioni umanitarie


LE AZIENDE / Rilegno

WHO: WHERE: WHAT:

Rilegno Sul territorio nazionale italiano. Rilegno è il Consorzio nazionale per la raccolta, il recupero e il riciclaggio degli imballaggi di legno in Italia. Opera all’interno del s istema Conai e h a il c ompito d i garantire il r ecupero complessivo degli imballaggi legnosi post consumo quali pallet, cassette per l’ortofrutta, casse, gabbie e bobine per cavi. I rifiuti, ridotti di volume, vengono poi trasportati alle industrie del riciclo, dove il legno, pulito e ridotto in piccole schegge, diventa rinnovata materia prima per il circuito produttivo industriale.

WHEN: 1998 WHY: Recupero della materia prima pura indipendentemente dal suo stato compresi gli imballaggi Attività di riciclo


LE AZIENDE / Keo project

WHO: KEO s.r.l. WHERE: Racconigi_Piemonte WHAT: KEO è un’azienda c he dal 2005 opera nel P iemontese applicando i p rincipi dell’economia e tica r ealizzando p rogetti sostenibili s ia dal punto di v ista sociale che ambientale. L’azienda segue f edelmente i principi del design s istemico e l i applica nella progettazione dei propri prodotti seguendo il concetto di “rifiuto come risorsa”. WHEN: 2005 WHY: L’azienda lavora esclusivamente con materiali di recupero Approccio rivolto sia al recupero (poltrona barrique) che al riciclo (sistema logik)


LE AZIENDE / Tryk

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN: WHY:

Tryk concorso “Ample Sample” North American HQ , 3001 Broad Street, Chattanooga, TN 37408 L’azienda T ryk produttrice del T ry T ryk® u n materiale silmile a l tessuto da moquette ha sponsorizzato nel 2010 un progetto-concorso “Ample Sample: make it useful and beautiful upcycling” tramite il quale si conferisce ai designer la possibilità di dare nuova vita ai tappeti che altrimenti verrebbero abbandonati nella pattumiera. Le idee migliori nate dal concorso sono pubblicate sul sito ecomplete di istruzioni dei designers e possono così diventare spunto per un riciclo consapevole. 2009 Attività di sensibilizzazione del proprio prodotto, dopo la dismissione Idee che possono essere utilizzate da tutti


LE AZIENDE / Amiat

WHO: Amiat - Azienda Multiservizi Igiene Ambientale Torino S.P.A. WHERE: Torino WHAT: Amiat è una società c he s i occupa della gestione d ei r ifiuti e dei servizi d i raccolta nella città di Torino : l'azienda governa le attività che quotidianamente rendono puliti i 31 milioni di metri quadrati di suolo cittadino, di cui 18 di strade e 13 di aree verdi.L'azienda si occupa della raccolta di circa 500.000 tonnellate di rifiuti l'anno; gestisce i noltre g li e cocentri c ittadini, 7 in t utta l a città, e si occupa del riciclo dei materiali come legno, metallo e plastica. Negli ultimi anni cerca nonostante la normativa di promuovere il riuso tramite luoghi come “Triciclo” (vedi scheda) WHEN: nasce nel 1969 e cambia acronimo in Amiat nel 1990. WHY: Sistema organizzato di raccolta e separazione dei rifiuti che permette il riciclo e la rivalorizzazione energetica dei materiali.


LE AZIENDE / Galliano Habitat

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN:

GALLIANO HABITAT None (To) Galliano H abitat è un’azienda p iemontese tra l e prime a scommettere sul nascente “design italiano” degli anni del boom economico. Oggi l’azienda si ripropone “al passo con i tempi” mediante un nuovo servizio di raccolta del mobile dismesso da parte di chi ha intenzione di comprarne uno nuovo. Come un pezzo r ottamato verrà f ornito uno s conto sull’acquisto del nuovo complemento d’arredo, m entre i l primo verrò r imodernato dal l aboratorio “Refuse” dove ex malati psichiatrici lo lavoreranno per poterlo inserire in nuovi contesti abitativi. dal 1961

WHY: Rottamazione dell’usato con vantaggi per i nuovi acquisti Promozione sul recupero dello scarto prima che diventi tale -


Intervista/ Galliano Habitat Che cosa vi ha portato a scegliere di intraprendere un'attività di riuso?

1

La convinzione che non possiamo continuare all'infinito con "l'usa e getta", che ci sono molti oggetti e prodotti che posso no essere facilmente riutilizzati. Con il consumo esasperato del "made in china" non si va da nessuna parte. Come è nata questa attività?

2

La crisi del "consumismo" ci ha aiutati, la gente prima non lo accettava Con quali elementi dismessi vi rapportate nel vostro lavoro? Con quali avete iniziato?

3

In genere con mobili ed oggetti che ci restituiscono i clienti (che spesso comprano il nuovo ma non solo). Poi come anche tu sai, abbiamo sviluppato dei prodotti specifici (vedi social housing) Avete mai avuto difficoltà nel reperimento dei materiali da riutilizzare?

4

No, vedi r isposta precedente e un p iù c on l e "antenne d ritte" ci s ono m olte opportunità: svuotamenti magazzini, cessate attività etc. Avete mai pensato a collaborare con a ssociazioni d i volontariato o enti impegnati nel campo del riuso?

5

Si certo, ad incominciare dalle parrocchie dove abbiamo recuperato dei materiali (comodini etc..) ed il prezzo pagato è andato in beneficenza Pensate che i prodotti d erivanti da u n attività di r iutilizzo possano e ssere sempre più accettati dalla gente?

6

Forse non sempre e non da tutti ma le "avanguardie" li stanno accettando ed anzi, li stanno chiedendo (vedi sempre social housing e simili) Come pensate che si possa incentivare l’attività del riuso? Bisogna incominciare dai bambini, dai ragazzi. Bisogna insegnare loro cos'è il vero design, vedi i l nostro m useo del design e c ome lo p roponiamo (design anonimo, design semplice, design si/stilismo no)

7


LE AZIENDE / Le Ressourceries

WHO: WHERE:

Le ressourceries ( Federazione di Imprese) Belgio

WHAT:

WHEN: WHY:

Si tratta di imprese che raccolgono, separano, riparano, riciclano e rivendono prodotti giunti a fine vita, ai quali viene invece offerta una seconda opportunità. L e imprese c he r ientrano i n questo gruppo sono t utte c oinvolte nel percorso di etichettatura Rec’up, che le impegna a rispettare un gran numero di norme, per garantire non soltanto l’effettiva correttezza dal punto di vista ambientale del percorso seguito dai prodotti raccolti, ma anche la qualità del prodotto proposto all’acquirente. Nel 2011 le aziende facenti capo all’etichetta hanno raccolto 6500 tonnellate di rifiuti ingombranti che, a seconda dei casi, hanno poi separato, riparato o venduto. 2008 Riproporre prodotti di qualità con prezzi accessibili Creazione di posti di lavoro e formazione del personale


Casi studio / ATTIVAZIONE CULTURALE / Museo del Riciclo IoRicreo.it Rilegno eco-riciclo.it Design del riuso Koninginnedag Mercanti per un giorno Freetradeireland.ie hemmaikea.it NYC stuff exchange


ATTIVAZIONE CULTURALE / Museo del Riciclo

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN:

Il Museo del Riciclo by ecolight www.museodelriciclo.it Ecolight garantisce un servizio efficiente ed efficace di raccolta e smaltimento: al cittadino così come alle aziende viene chiesto un corretto conferimento di questi particolari rifiuti. Il Museo del Riciclo nasce proprio con questo scopo: essere un c ontributo in p iù a sostegno dell'ambiente. I noltre vuol’essere anche una testimonianza significativa della sensibilizzazione ai temi ambientali. La scelta di farne un portale internet deriva dalla volontà di proporre una vetrina aperta a tutti, dai "consumatori" ai "creatori". Il Museo infatti si propone di raccogliere le testimonianze di coloro che, attraverso un'idea, danno nuova vita agli oggetti "da buttare". A partire da febbraio del 2010

WHY: Attività didattiche e laboratoriali Esposizione di tipo museale online


ATTIVAZIONE CULTURALE / Ioricreo.it

IoRicreo www.ioricreo.org IoRicreo è un gruppo organizzato di persone che credono in una nuova cultura contraria allo spreco. Un’associazione genovese nata dall’idea di due studenti universitari appassionati di ecologia e interessati a condividere le loro conoscenze nell’ambito del riuso. Il suo obiettivo è quello di promuovere ed incentivare la cultura del riuso creativo, c on c ui ognuno d i noi, con piccoli g esti, può r idurre i l proprio impatto ambientale e contribuire a risparmio di risorse. 2007 Attività di community online Possibilità di fare sharing di progetti

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN: WHY:


ATTIVAZIONE CULTURALE / Eco-riciclo.it

WHO: Eco-riciclo fondato da Domenico Barranca WHERE: eco-riciclo.it WHAT: Eco-Riciclo è un portale, un l uogo i n cui g li u tenti possono pubblicare annunci di scambio, baratto, prestito, riparazione e quanto si possa offrire gratuitamente. Il portale è anche una raccolta di informazioni su riciclaggio ed eventi collegati ad esso, disponibili per tutti colori che fossero interessati al tema. WHEN: Il sito nasce nel 2008 WHY: Possibilità di usufruire dei servizi del sito senza iscrizione Sito strutturato come una bacheca di scambio


ATTIVAZIONE CULTURALE / Design del Riuso

WHO: Design del riuso WHERE: www.designdelriuso.it WHAT: Questo sito costituisce u n approfondimento della r icerca sul r iutilizzo dei materiali di scarto e dei cosiddetti “rifiuti”, elaborata attraverso i l libro “Design del riuso” di Emanuela Pulvirenti. Il sito permette un collegamento veloce a p rogetti e p rogettisti che hanno l avorato nel campo del r iuso i n maniera innovativa. WHEN: 2009 WHY: Finestra sui contesti del riuso a livello mondiale con collegamento alle fonti dirette


ATTIVAZIONE CULTURALE / Koninginnedag

WHO: Koninginnedag (www.koninginnedagamsterdam.nl) WHERE: Amsterdam WHAT: In occasione del compleanno della regina, ogni anno dal 30 aprile si svolge una festa che dura 3 giorni. Parallelamente alle feste e alla musica si svolge un evento secondario per l e strade della c ittà: un g igantesco m ercatino dell’usato dove chiunque abbia qualcosa da vendere è il benvenuto e viene invitato ad esporre la merce. La m anifestazione r ichiama molti abitanti della c ittà che, con l o scopo d i liberarsi della “roba vecchia”, trovano anche i l modo d i guadagnare qualcosa. WHEN: Ogni anno il 30 Aprile WHY: Possibilità di vendere sotto casa propria beni in disuso, senza una licenza Grossa portata dell’evento garantita dalla contemporaneità con una f esta nazionale


ATTIVAZIONE CULTURALE / Mercanti per un giorno

WHO: Mercanti per un giorno (www.mercantiperungiorno.it) WHERE: Torino : Lingotto/ Motovelodromo WHAT: La manifestazione "Mercanti per un giorno", che nel 1995 (anno di nascita) ha contato 82 bancarelle partecipanti, è passata ad averene 1 .500 nell’evento dello scorso anno. Un successo insperato, che ha fatto diventare l a manifestazione u n evento di costume per l a città e per chiunque voglia vendere, scambiare o acquistare oggetti di ogni tipo. L’evoluzione di questa manifestazione ha reso indispensabile l’ingrandimento dello spazio necessario all’esposizione dai 15.000 mq di Torino Esposizioni ai 40.000mq del Lingotto Fiere. Questo spazio viene inoltre diviso in tre grandi padiglioni suddivisi per tematiche: antiquariato, collezionismo e oggettistica. WHEN: Un calendario degli eventi mostra i giorni dedicati alla manifestazione WHY: Opportunità anche per i privati di vendere oggetti usati senza licenza


ATTIVAZIONE CULTURALE / Freetradeireland.ie

WHO: www.freetradeireland.ie WHERE: Irlanda WHAT:

WHEN:

FreeTrade Ireland è un servizio web che si occupa di incoraggiare il riuso di oggetti d i provenienza domestica. S i tratta di u n sito e d i un’apllicazione nata con l’intento di proteggere l’ambiente tramite il riuso, ridurre i costi dello smaltimento dei r ifiuti, estendere la v ita dei p rodotti e contribuire a llo sviluppo di uno stile di vita sostenibile. Tramite l’iscrizione al sito è possibile fare upload d i fotografie degli oggetti d a dismettere, segnalandoli direttamente su una mappa, in modo da promuovere lo scambio eliminando l’idea di rifiuto. Nato a Dublino nel 2006

WHY: Innovativo sistema di scambio tramite un’applicazione gratuita Mappe interattive e oggetti divisi per categorie Stimola all’attenzione al rifiuto abbandonato


ATTIVAZIONE CULTURALE / Hemmaikea

WHO: IKEA Hemma WHERE: Online, all’interno della community Ikea WHAT: Il mercato dell’usato si è esteso anche al colosso svedese che ha creato un sito “ community” messo a d isposizione d i coloro che vogliono vendere il proprio usato marchiato ”Ikea”. Tra le possibilità di acquisto è anche presente lo scambio di arredi. WHEN: 2008 WHY: Mercato dell’usato specializzato su un solo marchio Catalogo online simile al sito della casa produttrice


ATTIVAZIONE CULTURALE / NYC Stuff exchange

WHO: NYC Stuff exchange (www.nyc.gov) WHERE: New York City WHAT: Questo sito, ha l o scopo d i diffondere atteggiamenti più responsabili nei confronti del trattamento dei rifiuti e di “ciò che può essere fatto per evitare la discarica”. Le possibilità presenti per l’utente sono diverse e comprendono: - Donare - Affittare - Vendere - Comprare - Riparare WHEN: 2007 WHY: Valide alternative alla discarica Eduzazione all’acquisto


Casi studio / ASSOCIAZIONI/ Triciclo Rifuse Lab Atelier del Riciclo Ri첫 Laboratorio Linfa Occhio del riciclone Opere Aperte Reuse Alliance Cooperativa sociale Insieme Resign


LE ASSOCIAZIONI / Triciclo

WHO: Triciclo (www.triciclo.com) WHERE: WHAT:

WHEN:

Via Arbe 12, Torino e Via Regaldi 7/11, Torino E’ una c operativa sociale c he h a come s copo p rimario la creazione d i opportunità di lavoro, ma offre molti servizi pubblici tra cui l‘educazione ambientale per le scuole, mercatini dell’usato, laboratori di falegnameria e restauro, l aboratorio per l a riparazione e v endita d i biciclette usate. Il materiale raccolto proviene per la maggior parte da sgomberi e traslochi. Inoltre, grazie alla collaborazione con l’Amiat, gestisce anche un negozio adiacente all’ecocentro di via Arbe, con il permesso di selezionare le merci riusabili in entrata. 1996

WHY: Escamotage efficace per aggirare la normativa sui rifiuti Non solo rivendita, ma anche attività di ripristino mobili e biciclette


LE ASSOCIAZIONI / Rifuse Lab

Laboratorio Rifuse (www.rifuse.it) Via Roma, 44 62010 Montecosaro (MC) Rifuse è un laboratorio che progetta e realizza prodotti di arredo per esterni ed interni, provenienti da materiali di scarto industriale. Partiti d a un'analisi delle f iliere, i progettisti di R ifuse h anno r ealizzato prodotti a partire da materiali di scarto differenti, spaziando così attraverso vari settori: dall'arredamento al lighting design, dall'arredo urbano al living. Oggi R ifuse, cresciuta e r afforzata negli ideali di partenza è un' “ officina creativa”, che decontestualizza e r ielabora con un “ metodo” selettivo e rigoroso, gli scarti.

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN:

Il laboratorio e l’associazione nascono nel 2010. Eventi fieristici Attività didattiche volte alla promozione del riuso Approccio sistematico nella selezione del materiale

WHY:


LE ASSOCIAZIONI / Atelier del riciclo

WHO: L’atelier del riciclo (www.atelierdelriciclo.org) WHERE: WHAT:

WHEN:

Milano, Via Casale 3/a Atelier del Riciclo è un'associazione di promozione sociale e culturale fondata dalle giornaliste Grazia Pallagrosi e Chiara Bettelli, assieme alla pittrice Alice Pazzi. L’approccio al recupero è dato dal marchio registrato che propone “prodotti verdi”, selezionati da un team di stilisti ed esperti di design. All’interno dell’atelier si possono barattare abiti, accessori moda e oggetti d'arredo, così da poter rinnovare il proprio guardaroba e il look della propria casa a costo zero. 2009

WHY: Vetrina on-line di talenti dell’ecodesign Swap party: scambio di merci tra gli utenti Certificazione di qualità per attività commericali virtuose


LE ASSOCIAZIONI / Riu

Riù (www.ludotecariu.it) Ascoli Piceno, Fermo, Pesaro, Santa Maria Nuova e Tolentino La ludoteca regionale Riù, con le sue cinque sedi, ha lo scopo di sensibilizzare bambini e s tudenti verso u n comportamento più compatibile con l'ambiente in c ui v iviamo. Lo spirito d i Riù è quello d i riflettere sull'importanza di conoscere e riconoscere tutti quei materiali, generalmente considerati rifiuti da e liminare, c he i nvece possono essere riutilizzati e trasformati in validi strumenti didattici per l'educazione ambientale.

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN:

2000 WHY: Focalizza la sua attenzione sull’educazione dei bambini Attenzione al riuso di rifiuti domestici comuni


LE ASSOCIAZIONI / Laboratorio Linfa

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN: WHY:

Laboratorio Linfa (www.laboratoriolinfa.com) Italia, Puglia Il laboratorio è un gruppo informale di liberi professionisti; con differenti specializzazioni, si impegnano nella progettazione di sistemi per lo sviluppo sostenibile. Le iniziative promosse abbracciano la tematica ambientale in modo interdisciplinare, entrando nel merito di settori che vanno dalla progettazione a ll’educazione, dalla c omunicazione a lla tutela e a lla c onservazione della natura. 2005 Organizzazione di eventi, concorsi e workshop che promuovono lo sviluppo sostenibile Produzione di oggetti di arredo/allestimento provenienti al 100% da scarti


LE ASSOCIAZIONI / Occhio del Riciclone

WHO: Occhio del Riciclone (www.occhiodelriciclone.com) WHERE: Roma (sede centrale) WHAT: Occhio d el R iciclone è u n network d i associazioni c he c ollaborano c on una cooperativa, dando vita a molteplici iniziative. Vengono trattati diversi argomenti: ricerca economica e comunicazione, moda e design, educazione e animazione a tema ambientale (tramite corsi di insegnamento) e creazione di reti a favore del riutilizzo su scala. Il Laboratorio artigianale relativo al Product Design produce oggetti e componenti d’arredo, combinando arte, scienza e tecnologia per creare beni ecologici attraverso la trasformazione degli scarti. WHEN: 16 marzo 2003 WHY: Organizzazione di eventi di sensibilizzazione ai temi ambientali Ricerca della sistematizzazione del recupero del rifiuto su scala urbana Inclusione sociale


LE ASSOCIAZIONI / Opere Aperte

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN:

OPERE APERTE (Galliano Habitat, Bluaqua, Refuse) (www.opereaperte.org) None, Piemonte Sotto il nome di Opereaperte nasce una rete di imprese che vede una collaborazione tra associazioni e aziende, organizzate in modo da seguire i principi del design sistemico (ad opera di Bistagnino). All’interno dell’organizzazione si trova il laboratorio Refuse «non buttiamo via niente», i l quale ha r ealizzato un p rogramma di recupero del m obile c ome attività di formazione lavorativa atta ad aiutare ex malati psichiatrici in fase di guarigione. Lo scopo è quello di fornire le conoscenze e le abilità ai pazienti, necessarie una volta riabilitati e re-inseriti nel mondo del lavoro. 2011

WHY: Recupero del mobilio dismesso e delle “persone dismesse” Laboratorio all’interno di un negozio di mobili


Intervista/ Opere Aperte Che cosa vi ha portato a scegliere di intraprendere un'attività di riuso?

1

“Necessità aguzza l’ingegno”: questa massima racchiude bene le motivazioni che, all’origine, mi hanno spinto a lavorare con il riuso. Abiti, cappelli, accessori belli, m a sempre un po’ troppo c ari, m i hanno f atto sviluppare la voglia d i provare a fare con quel che avevo a disposizione. Come è nata questa attività?

2

L’attività, che oggi costituisce un vero e proprio lavoro, è nata come hobbie per sperimentare la qualità e la novità con il riuso, con lo scarto. Con quali elementi dismessi vi rapportate nel vostro lavoro? Con quali avete iniziato?

3

Gli ambiti, ad oggi i dagati, sono quello del r ecupero di m obili e a ccessori d’arredo ormai in disuso e quello del tessile e di tutti quei materiali di scarto che, opportunamente lavorati, costituiscono nuova e originale materia prima. Avete mai avuto difficoltà nel reperimento dei materiali da riutilizzare?

4

Ormai è buona, ma anche diffusa, pratica quella di riutilizzare oggetti, minuterie, materiali anche di difficile reperimento. Pensate che i prodotti derivanti da u n attività d i riutilizzo possano essere sempre più accettati dalla gente?

5

Certo! Come pensate che si possa incentivare l’attività del riuso?

6

Forse prima mostrando i risultati e poi raccontando come li si può ottenere, facendo sempre vedere o fare qualcosa di concreto, di utile o riuscito. Che metodo utilizzi per progettare gli arredi del Refuse Lab? Segui qualche criterio preciso o ti basi sul materiale disponibile? Il mio metodo nasce dalla lezione di Bruno Munari del quale condivido principi e metodi ( anche nell’approccio con laboratori per bambini). Personalizzando tale formazione, nasce il metodo di lavoro che applico in laboratorio (Re(f)use Lab) e in generale nel mio lavoro.

7


LE ASSOCIAZIONI / Reuse Alliance

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN: WHY:

Reuse Alliance (www.reusealliance.org) Oregon, Minnesota , New York, North Carolina Reuse A lliance è un’organizzazione n o profit c he l avora per aumentare la consapevolezza nel campo del riuso, educando il pubblico sui benefici sociali, ambientali ed economici del riutilizzo. Questa organizzazione opera per attivare le persone e per coinvolgerle nel mondo del riuso tramite punti fondamentali quali: la creazione di rapporti individui-organizzazioni, lo sviluppo di progetti e risorse d’informazione per aumentare la consapevolezza sulle possibilità del riuso, sui materiali e sulle tecnologie. 2005 Offre servizi didattici come il “Master Reuse” e il “Training Program” Ha creato il national Resuse Day Organizza eventi di sensibilizzazione come the Geat Reuse Race


LE ASSOCIAZIONI / Cooperativa Sociale Insieme

Cooperativa Sociale Insieme (www.insiemesociale.it) Vicenza

WHO: WHERE:

WHAT: Cooperativa sociale nata con l’intento di f avorire l’inserimento lavorativo, i n paricolare dei giovani, mediante azioni ecosostenibili. Le attività spaziano dai laboratori di selezione dei tessuti, di sistemazione degli apparecchi elettronici (ecotech service) e di r estauro m obili, a lla c ernita d i libri e oggetti u sati. I l materiale raccolto, p revalentemente attraverso sgomberi, viene r ivenduto così com’è, se intatto, o predisposto al riuso, mediante interventi di rivalorizzazione per mano degli operatori. Vengono inoltre ospitate e allestite mostre e convegni sui temi del riuso e del riciclaggio e organizzati laboratori di riuso creativo. WHEN: 1979 WHY: Incoraggia l’accettazione dell’usato come merce di valore Alto grado di specializzazione in diversi settori


LE ASSOCIAZIONI / Resign

WHO: WHERE: WHAT:

WHEN:

Resign (www.resign.it) Faenza Resign è un’associazione di progettisti uniti dall’intento di sperimentare nuovi approcci al design in un’ottica ricca di creatività, romanticismo e anticonformismo. Le attività spaziano dagli eventi, che talvolta sono dei veri e propri riti o rappresentazioni, alla riprogettazione personalizzata di complementi d’arredo e oggetti domestici, a lle i niziative virali, c ome la p rogettazione c ollettiva. S i scommette inoltre su attività formative come il Resign Game e i laboratori di manualità, basati sulla condivisione di tecniche e conoscenze 2007

WHY: Riprogettazione porta a porta Azioni di sensibilizzazione basate sull’esperienza collettiva


Intervista/ Resign Che cosa ti ha portato a far del riuso il punto di riferimento su cui impostate il tuo lavoro?

1

Il riuso non è propriamente il principale punto di riferimento del mio lavoro. Lo definirei più come uno strumento efficace. Quello che spesso ripeto e che credo sia un tratto distintivo di Resign è che molti dei nostri oggetti avrebbero senso anche se“nuovi”.Questo perché un “nuovo” oggetto debba essere prima di tutto un progetto sensato, non semplicemente “di riuso” Come è nata la tua attività?

2

Per necessità. Nel 2007 ci è stato affidato dal comune di Faenza l’ex magazzino degli oggetti smarriti, un luogo da riqualificare ed arredare a costo zero. Così per me è nato il rapporto di necessità legato al riuso. Con quali elementi dismessi ti rapporti nel tuo lavoro? Con quali hai iniziato?

3

Dopo un periodo iniziale di studio in cui si tende ad accumulare di tutto con il tempo e l’esperienza si raccoglie sempre meno. Sicuramente il materiale privilegiato in questo campo è il legno. Hai mai avuto difficoltà nel reperimento dei materiali da riutilizzare?

4

Le difficoltà ci sono sempre soprattutto all’inizio oppure se cerchi uno specifico pezzo. Il consiglio è quello di lavorare in collaborazione con le discariche o associazioni che si occupano di recupero materiale. Hai mai pensato a collaborare con associazioni di volontariato o enti impegnati nel campo del riuso?

5

Sì. Lo abbiamo fatto. Nello specifico Manitese. Pensi c he i p rodotti derivanti da un’attività d i riutilizzo possano essere sempre più accettati dalla gente?

6

Sinceramente non lo so. La “gente” è strana, segue dinamiche difficili da interpretare. Quello che spero è che la gente in qualche modo riesca a recuperare un rapporto sano con gli oggetti non esclusivamente legato al loro uso (e getta). Come pensi che si possa incentivare l’attività del riuso? Rendendolo un’esperienza sensuale.

7


po dei designers, è stato leggermente più complesso è ha portato a mettere in evidenza quali tipologie di scarto e in quali quantità queste vengono prese in considerazione. Analizzando i singoli casi studio si possono individuare delle similitudini fra le varie materie prime di scarto di partenza, e percepire in alcuni casi l’adozione di interventi comuni. Questo accade ad esempio quando si preferisce l’utilizzo di scarti provenienti dall’ambito industriale, oppure più semplicemente vengono impiegati scarti recuperabili in grande numero e simili fra loro, come le pavimentazioni a parquet, o i residui lignei. In altri casi l’estrama variabilità della materia prima , quando si tratta di scarti,

Conclusione ai casi studio/ La provenienza degli scarti/ 1.Designers/

L’analisi dei casi studio ha portato alla definizione di alcune interessanti scoperte e conclusioni. Una delle attività in cui si è specializzata la ricerca, è stata quella dell’individuazione della provenienza dei materiali di scarto, in relazione ai quattro diversi ambiti. Lo studio svolto sul grup-

Arredi inutilizzati

Sfridi produttivi Schegge/frammenti Arredi antiquati Mobili “della nonna” Botti Barili

OBSO/ LETI

MISTI

Contenitori industriali

NON + FUNZIO/ NALI

Usurati Arredi danneggiati Vittime di vandalismo

COMPLETI

STRUMENTI PRODUT/ TIVI

IN/ COMPLETI ASPOR/ TATI ARREDI

scarti PRODUTTIVI scarti DOMESTICI

OMOGENEI

DESIGNER/ scarti

Resti di fustellature Pezzi difettosi dalla grande serie

ROTTI

Arredi con parti mancanti (ma in buono stato) Usurati

NON ARREDI COMPLETI

ARREDI

IN/ COMPLETI

scarti PUBBLICI

ROTTI Arredi fermate mezzi pubblici

Infissi Danneggiati Pavimentazioni rovinate

Panchine

NON ARREDI ROTTI

OBSO/ LETI

Segnaletica Recinzioni Segnaletica dismessa Bidoni dell’ immondizia

139/140

Infissi Vecchie pavimentazioni


favorisce l’approccio progettato per ogni singolo pezzo, piuttosto che un’uniformità di metodo. Cercando di schematizzare e riassumere la provenienza degli scarti ( vedi schema ) con cui lavorano i designer , e precisando che la ricerca e la selezione dei casi studio è stata focalizzata sul riuso dei complementi d’arredo o sul riuso per fare arredi, come già specificato nell’introduzione, siamo arrivati a determinare tre grandi famiglie di provenienza : lo scarto di derivazione domestica, pubblica e aziendale. Nell’ambito domestico, la maggior parte dei rifiuti riusati, sono ovviamente complementi d’arredo, questi possono essere completi e in incolpleti. Questa suddivisione ritornerà in tutta la ricerca di tesi, per distinguere gli og-

getti che sono scartati “ interi” in quanto non più funzionanti o semanticamente obsoleti, dagli scarti che sono invece rotti danneggiati o usurati. Tra i rifiuti domestici, compaiono anche i non arredi, come ad esempio gli infissi, le pavimentazioni e le serrande, che hanno la particolarità di essere composti da pezzi simili fra loro e ripetuti, dimostrandosi quindi molto versatili. I designer che lavorano scarti provenienti dal pubblico rientrano invece in casi più ristretti, che riguardano l’uso di cartelli stradali, cassonetti, carrelli dei supermercati sedie e arredi di uffici. L’utilizzo di scarti, provenienti dall’ambito pubblico, spesso determina la nascita di nuove reti di collaborazione fra designer, associazioni e istituzioni. Un’altro

Plastiche riciclabili Materiale cartaceo Sfridi produttivi

RICICLO

Schegge/frammenti Accessori secondari alla produzione

PORTA A PORTA

Materiale in esubero da cantine

scarti PROPRI scarti provenienti DA TERZI

AZIENDE / scarti

scarti DI PRIVATI post/ fruizione PROMO/ ZIONE Scarti derivanti dall’azienda produttrice o simili

Arredi dismessi

SERVIZIO INTERNET/ TEL.

CONSEGNA DEL PRIVATO

ENTE RACCOL TA CONSEGNA DIRETTA

Usurati Arredi con parti mancanti (ma in buono stato)


interessante bacino di scarti dal quale accingono spesso i designer è costituito dai rifiuti industriali. Da questa tipologia di scarti omogenei e non omogenei, possono emergere tutti quei prodotti finiti che sono costituiti da mosaici, composizioni e incollaggi di pezzi simili fra loro. Anche questi progetti possono dar vita a una estrema ripetibilità e sistematizzazione. Per completare l’analisi sulla provenienza degli scarti, abbiamo rivolto alcune domande ai designers sotto forma di intervista: grazie alla domanda “con quali scarti usi lavorare? “ o “hai mai trovato difficolta nel reperimento dei rifiuti?” è stato possibile definire per quali motivazioni o con quali scopi i designer si rivolgono al mondo degli scarti. Queste conclusioni hanno portato alla luce l’interesse non solo per la materia prima e quindi per gli scarti utilizzati, ma anche e soprattutto a una definizione dei metodi e degli approcci con i quali i designers usano applicarsi al riuso.

2.Aziende/

Per quanto rigurada le aziende analizzate nei casi studio, nonostante esse siano una realtà non ancora ben sviluppata, si sono potute individuare diverse fonti di approvvigionamento : gli scarti provenienti da terzi, gli scarti propri ( ossia interni all’azienda), e gli scarti di privati. Nel primo gruppo, rientrano i rifiuti recuperati grazie all’attivita di raccolta che le aziende stesse svolgono, come lo sgombero locali e le attività di gestione dei rifiuti (vedi Amiat). Interessante è l’utilizzo, e l’istituzione di nuove catene di raccolta tramite siti o canali specifici, un esempio fra tutti di questi casi sono i bidoni bianchi di raccolta degli abiti usati. Un’altra buona parte della realtà aziendale, imposta il suo lavoro sul recupero di scarti industriali che si accumulano durante la produzione, come sfridi di lavorazione, avanzi di materiale, e merci difettose, che al posto di buttare o riciclare, riusano attraverso filiere interne o vendono a coloro che si occupano di riutilizzo. Gli

141/142

scarti derivati dai privati, sono rifiuti raccolti non dalle aziende che si occupano di gestione e smaltimento, ma da imprese che attraverso atti di promozione e sensibilizzazione, interpellano l’utente nella restituzione del pezzo comprato, con il quale successivamente potranno svolgere azioni di riuso o riciclaggio. Tramite lo sviluppo dei casi studio “aziende”, e in special modo, grazie al colloquio avuto con il direttore dei servizi territoriali dell’Amiat, il sig. Marco Rossi, il nostro lavoro di ricerca si è poi successivamente spostato sugli ostacoli normativi e sulla gestione dei rifiuti, grazie ai quali, abbiamo potuto definire svantaggi e vantaggi del riuso in realazione all’attività di riciclaggio normalmente imposta. Infatti, nonostante l’Amiat si occupi della raccolta dei rifiuti abbandonati, questi non possono che essere riciclati qualsiasi sia il loro stato di degrado. Parallelamente, il tirocinio presso Galliano Habitat (svolto precedentemente alla tesi) e i colloqui con i titolari ci hanno dato la possibilità di capire con quali strumenti e con quali escamotage un’azienda di arredamento può svolgere attività di riuso e di riutilizzo rimanendo in regola dal punto di vista normativo. Gli scarti come ci spiegano anche attraverso l’intervista on line, spesso vengono recuperati nell’inveduto del magazzino, o regalati e frutto di cessioni.

3./4. Associazioni e Attivazione culturale/

Le associazioni e le cooperative basano il loro approccio al riuso su scarti che derivano principalmente dalla raccolta attraverso attività, come quelle di sgombero locali, oppure grazie all’aiuto di volontari, che con la raccolta porta a porta riescono a coinvolgere un alto numero di persone. Spesso viene recuperata una grande quantità di arredi, abbandonati in cantine o soffitte e lasciati al deterioramento del tempo. Questo il fattore scatenante da cui è iniziata la ricerca sui comportamenti e le attitudini che stanno dietro il fenome-


Obsolescenze semantiche

Obsolescenze tecnologiche

NON ARREDI

ARREDI

Possibili scarti sui quali l’associazione propone un utilizzo alternativo alla dismissione

MATERIALE OBSOLETO

scarti PROBABILI scarti PORTATI

ASSOCI AZIONI / scarti

Scarti di privati in cattive condizioni

scarti RICERCATI

IN/ COMPLETI

ARREDI

COMPLETI

NON ARREDI Materiale generico di scarto

Arredi obsoleti e/o abbandonati

no dell’abbandono del mobile, studiarne le motivazioni, e i rapporti psicologici che legano gli uomini agli oggetti. Molto interessante è l’approccio delle associazioni che lavorano con scarti che abbiamo definito essere “probabili”, ossia il fare progetti, lo svolgere attività di educazione attraverso la condivisione di idee. Quindi non utilizzando direttamente uno scarto reale, ma agendo in un’ottica di un possibile scarto con cui svolgere una futura azione di riuso. Vicino a questo modo di trattare lo scarto, vi sono tutti quei pro-

cessi di attivazione culturale, che spesso utilizzano dei mezzi come libri, siti ed eventi quali mercatini dell’usato, giornate di scambio, mostre, ricerche economiche ed esposizione di progetti, per promuovere il lavoro sullo scarto, e il riuso.

Le finalità e gli approcci/ La seconda parte dell’analisi dei casi studio è stata focalizzata sul mettere in evidenza i diversi tipi di approcci, e i differenti


Libri di testo con studi e materiale informativo

Stima dei rifiuti per zona Siti con mappature interattive

RICERCA/ ESPERIENZA RIFERIMENTI GEOGRAFICI Utilizzo di forum per rapporti utente-utente

LIBRI SCAMBI

PRATICI

SITI

PROGETTI ESPLICATIVI

ATTIVAZIONE culturale /

COMMUNITY SCROLL PROJECT

Descrizione delle modalità di realizzazione

RAC/ COLTA

“Carrellata” di progetti con materia di recupero

Forum di comunicazione ambientale

EVENTI

Rapporto utente-sito

MERCATINI

CONCORSO MOSTRA

Gestiti da associazioni o comuni Vendita con o senza permessi

fini che distinguono il lavoro di ogni categoria. Per quanto riguarda le associazioni, e le attività culturali il fine principale individuato, è quello della sesibilizzazione e dell’educazione, ai problemi ambientali e all’efficacia del riuso come mezzo di riduzione dei rifiuti pericolosi per il nostro pianeta. Gli approcci però si vanno a differenziare tra approcci fisici e approcci concettuali allo scarto, ossia l’utilizzo di quei rifiuti definiti “probabili”, sopra descritti. Mercatini, fiere, mostre mercato, concorsi attività scolastiche,workshop, sono tutte attività che conncorrono a percor-

143/144

Workshop Esposizione dei progetti

rere il fine ultimo della sensibilizzazione e educazione ambientale, promuovendo al tempo stesso la riabilitazione sociale, attraverso l’inserimento nel mondo del lavoro di persone meno fortunate. Il numero di operazioni e di mezzi utilizzati, come abbiamo visto, è quasi infinito , alcuni approcci si possono però definire più utili e più interessanti di altri, in quanto capaci di instaurare una sorta di interesse nelle persone e valorizzare al tempo stesso l’attività di riuso. Un esempio, tra i più lampati, è quello del caso studio “resign”, tramite un colloquio con Andrea



Magnani, designer fondatore dell’associazzione, ci è stata spiegata la filosofia con cui operano : “Abbiamo pensato alla creazione di un “format”, come ad esempio l’oggetto libero e la progettazzione condivisa, esportabile in qualsiasi realtà urbana, in grado di mettere in relazione gli operatori nel settore del riciclo, i giovani designer, e la popolazione. L’obiettivo è quello di creare un rapporto continuativo e produttivo, ben radicato nel territorio sociale, in grado di riattivare e re-inserire nel mercato il potenziale contenuto di design dei “rifiuti”.” I designer e le aziende percorrono invece un fine individuabile nel livello economico commerciale: non bisogna dimenticare infatti che molte delle attività di riuso partono dal vantaggio di operare con un materiale di partenza a “costo zero”.. A questo riguardo, lo stesso Alessandro Mora in un’intervista on line dice: “Cosa c’era di meglio allora (visto che sperimentare vuol dire anche, provare e alle volte sprecare) che utilizzare almeno materiale a costo zero?” . Molti scarti, una volta utilizzati come materia prima, possono poi essere trasformati lavorati decontestualizzati per raggiungere ottimi risultati, in alcuni casi partendo da zero si può arrivare a cento. L’idea di restituire valore allo scarto, non solo sociale, ma anche economico, è uno dei punti di partenza di molti dei casi studio analizzati.

Tra gli approcci evidenziati risultano essere molto interessanti e proficue le attività laboratoriali che spesso mettono in collaborazione associazioni, designer e progettisti. Con l’aiuto di corsi, workshop, e attività pratiche è possibile raggiungere con grande efficacia un fine di sensibilizzazione e di educazione alla materia del riuso.Attraverso la progettazione e la produzione di oggetti i designer risultano proporre quindi, un buon metodo alternativo alla semplice pubblicità e promo-

145/146

zione, capace di interagire con il pubblico e di rendere immediato il valore di un oggetto rifatto, utilizzando lo stesso oggetto come veicolo di informazione. Le aziende, che agiscono principalmente in un’ottica di guadagno economico e di produzione, sono portate a fare del riuso, un processo sistematico da estendere a livello seriale. La princiale difficoltà che non consente di raggiungere efficacemente questo risultato è l’estrema variabilità dei prodotti di scarto. Sovente, al posto che rendere sistematici i prodotti di riutilizzo, le aziende si occupano di sistematizzare la raccolta dei rifiuti ( vedi Terracycle) in modo da rendere più immediata la successiva attività di riutilizzo, trasformando la spazzatura in un vero e proprio affare. Interessante è l’approccio fornito dalla Tryk che attraverso l’istituzione di un concorso, promuove l’acquisto dei propri prodotti e il successivo re-impiego e riutilizzo fornendo varie idee ai consumatori su come sfruttare il materiale che hanno acquistato, una volta terminata la sua funzione primaria.


I metodi/ La ricerca condotta sui designer che svolgono attività di riuso del complemento d’arredo, ha portato alla successiva individuazione delle principali tecniche e approcci con cui essi tendono ad operare. Partendo dai risultati, ossia dai prodotti finiti dei signoli designer, siamo riusciti ad individuare i possibili percorsi di produzione e progettazione che li hanno creati.

Step 1/

Il primo passo è stato quello di riconoscere per ogni prodotto, riportato sui casi studio, lo scarto di partenza, da cui ha origine il progetto. Attraverso questa analisi abbiamo determinato tre grandi famiglie di scarti: gli elementi completi, gli elementi incompleti , e i residui. Nel primo gruppo rientrano tutti quei rifiuti che sono stati dismessi nella loro interezza: si tratta di oggetti completi di tutte le parti che li compongono, che vanno dal tappo di sughero al mobile da cucina, dalla pallina da tennis, alla sedia. Spesso gli elementi completi vengono dismessi a causa dell’obsolescenza semantica, in quanto non corrispondono più alle mode del momento, o sono gettati via perché logorati e rovinati, oppure, nel caso ad esempio dei tappi di sughero, si tratta di oggetti recuperabili, in grandi quantità, che vengono il più delle volte decontestualizzati e riusati per altre funzioni. Gli elementi incompleti si suddividono a loro volta, in incompleti primari e secondari: tra i primari rientrano quei beni dismessi a causa di una rottura o di un danneggiamento che ne ha comportato la perdita di una parte (es. un mobile senza anta); gli incompleti secondari, invece, sono i singoli pezzi di un elemento intero,

dismessi separatamente e quindi mancanti del resto del mobile di cui facevano parte (es. l’anta del mobile). La terza e ultima famiglia, quella dei residui, è composta da tutti quegli scarti di cui non è più riconoscibile l’elemento completo di cui facevano parte (ad esempio pezzi di legno di varie dimensioni, lamiere, ecc..). Sono riconoscibili solo nel loro materiale e si presentano come dei pezzi amorfi.

Step 2/

Il secondo passo dell’analisi, una volta individuato lo scarto di partenza, è stato quello di determinare le operazioni, che più comunemente avvengono direttamente su questo stesso pezzo : la lavorazione, quali ad esempio raschiatura, pulizia, colorazione, levigatura ecc.. la ripetizione, ossia quella pratica secondo la quale lo scarto di partenza non è un ememento solo ma più elementi che vengono ripetuti per andare a creare qualcosa, e infine la decontestualizzazione, operazione attraverso la quale lo scarto di partenza è scelto per andare a coprire una funione del tutto diversa da quella che svolgeva prima di divenire un rifiuto.

Step 3/

Successivamente si sono andate ad analizzare le diverse combinazioni con le quali l’oggetto di partenza viene il più delle volte accoppiato e le operazioni e lavorazioni meccaniche con cui questo avviene. Le possibilità individuate sono tante e prevalentemente riguardano l’unione con elementi completi, l’utilizzo di elementi incompleti, il più delle volte secondari, la combinazione di residui, oppure l’accoppiamento dello scarto con un nuovo semilavorato (come ad esempio piani di vetro, pannelli, gambe, ecc..). Ovviamente è da ricordare che ognuna di queste combinazioni può essere completata dalle lavorazioni dirette sui pezzi.


Per meglio spiegare, riportiamo un esempio: una sedia senza gamba (incompleto primario), prima di essere riusata dev’essere sottoposta ad un’operazione di pulitura, viene unita con una gamba proveniente da un altro scarto (incompleto secondario), la quale viene anch’essa pulita e riverniciata prima di essere innestata, subendo quindi delle lavorazioni precedenti alla successiva combinazione. L’operazione di accoppiamento quando avviene, risulta essere accompagnata nei casi studio analizzati da quattro diversi tipi di unione: saldatura, minuteria reversibile o irreversibile, incollaggio. Lo scenario di delineazione dei metodi e dei criteri, ha alla base un profondo studio. L’analisi è stata svolta in diverse fasi tra ricerca e progettazione dell’interfaccia. Sono state poi condotte delle verifiche e attraverso delle rapide interviste, ci è stato possibile capire il grado di comprensione dello schema, e apportare dei successivi miglioramenti per aumentarne la leggibilità e la chiarezza. Grazie alle classificazioni condotte, sono stati estrapolati dei dati interessanti relativi alla progettabilità del riuso. Molti designer si approcciano al riuso partendo direttamente dal lavoro sullo scarto, che attraverso la forma, la funzione passata, o l’idea che trasmette, ispira il nuovo progetto e ne è parte integrante. Si può parlare in questo caso di progettazione “ad hoc”(57%). Gli scarti utilizzati con questo approccio hanno la caratteristica di essere riconoscibili e sono prevalentementi pezzi completi, e incompleti. Altri designer, invece, utilizzano il rifiuto solo in qualità di materia, basandosi su concept che non sono legati alla forma degli scarti(43%). I loro progetti sono comunque realizzabili con altri materiali, sia nuovi, sia di scarto, e quindi riproducibili in serie. Gli scarti di partenza, in questo caso, sono soprattutto legnami e pezzi amorfi. Seguendo lo schema dei metodi si può

147/148

avere una visione più completa delle possibilità di combinazione e ricondurre ad un approccio sistematico anche un’operazione apparentemente ad hoc. Un’altra analisi ci ha portato poi ad individuare quanti scarti utilizzati come materia prima sono riconoscibili nel prodotto finale (62%) e quanti invece subiscono un cambio di funzione (38%). Attraverso questo schema , così come appare a pag 149/150 è possibile ricondurre tutti i progetti selezionati nei casi studio (circa 70) a un processo chiaro e completo. Le successive sperimentazioni hanno dimostrato quanto questo scenario sia uno strumento molto utile e importante per definire le linee guida con cui intraprendere un progetto di riuso. La suddivisione degli scarti di partenza in tre grandi famiglie e la successiva individuazione di tutte le possibili operazioni da effettuare su uno scarto si è rivelato essere un mezzo di aiuto pratico e innovativo.





Analisi dei diversi livelli di Intervento/

R

ispetto l’analisi compiuta sui casi studio, si sono distinte diverse categorie di azioni possibili al fine di una corretta azione di riuso, queste si distinguono le une dalle altre per il livello di “intensità” compiuta per effettuare l’azione di lavorazione. Tali livelli sono stati divisi in tre principali categorie: le quali, a seconda dei diversi designer, rappresentano mediamente gli approcci distintivi per singolo protagonista. Questa ricerca vuole dimostrare la possibilità di una sistematizzazione dei processi di lavorazione: in questo modo si potrebbero realizzare azioni di riuso mirate alle diverse categorie materiche; le quali compongono il capitale materiale dato dai potenziali ed effettivi Rifiuti Solidi Urbani.

1Riuso senza interventi/

Q

uesta tipologia di intervento si caratterizza per l’assenza di lavorazioni meccaniche o di riparazione, volte al recupero dell’oggetto dismesso; il motivo è dato chiaramente dal buono stato della materia, che può quindi essere re-immessa sul mercato nella maniera più veloce possibile. Questi elementi rappresentano anche la maggiore fornitura di utili per quanto concerne il mercato dell’usato e dell’antiquariato. Questo commercio dell’oggetto usato è stato fonte di interessanti ricerche da parte di vari enti specializzati nella riqua-

IMPRESE DELL’USATO A ROMA

Operatori indifferenziati

Numero totale

Fatturato complessivo

Ambulanti

2.277

31.686.732€

Negozianti

143

8.111.532€

Conto terzi

24

9.182.496€

lifica del concetto di “usato” e “recuperato”, uno fra tutti è l’associazione di commercianti dell’usato conosciuta come “L’occhio del riciclone”: ente nato dall’organizzazione degli operatori dell’usato romano che dal 2011 raccoglie testimonianze e dati con il fine di incrementare l’evoluzione dell’usato a livello nazionale (vedi capitolo riuso del mobile). Dal punto di vista economico, l’usato rappresenta uno dei mercati più fiorenti e al contempo tra i meno considerati da parte degli organi statali. Nel Rapporto Nazionale sul Riutilizzo del 2012 viene trattato un’evento interessante a dimostrazione della considerazione mal riposta a questo fiorente mercato: «Il 2012, come é stato detto, segna una crescente attenzione alla necessitá di regolamentare il riutilizzo. Ne è esempio la presentazione di un emendamento al Disegno di legge Sviluppo Italia (n°3162 “Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di sfalci e potature, di miscelazione di rifiuti speciali e di oli usati nonché di misure per incrementare la raccolta differenziata”), trasmesso il 9 Maggio dal Senato alla Camera dei Deputati, che all’Articolo 8 disponeva modifiche all’art. 205 del D.Lgs n. 152/06, ipotizzando l’inserimento nell’articolo 205, dopo il comma 3, di un nuovo comma 3-bis, che così avrebbe dovuto disporre: “Le associazioni di volontariato senza fine di lucro possono effettuare raccolte di prodotti o materiali che non sono rifiuti, nonché di indumenti ceduti da privati, per destinarli al riutilizzo, previa convenzione a titolo non oneroso con i comuni, fatto salvo l’obbligo del conferimento


dei materiali residui ad operatori autorizzati, ai fini del successivo recupero o smaltimento dei medesimi. Tali materiali residui rientrano nelle percentuali della raccolta differenziata di cui al comma 1”. Prevedendo forti distorsioni nel mercato dell’usato, a causa delle condizioni estremamante vantaggiose riservate alle sole associazioni di volontariato, la Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato (Rete ONU), attraverso il suo Portavoce, Antonio Conti, in un comunicato inviato a tutti i Parlamentari a giugno 2012, sottolineava come “pur riconoscendo e sostenendo l’importante ruolo delle associazioni di volontariato”, gli operatori dell’usato fossero “allibiti dalla scarsa considerazione riservata dal disegno di legge agli operatori dei mercati, delle fiere, delle strade, delle botteghe rigattiere, dei negozi in conto terzi e delle cooperative, che rappresentano oltre il 95% del settore del riutilizzo italiano e che hanno serie difficoltà a svolgere con efficacia il loro lavoro a causa del vuoto normativo esistente”.» Lo stesso Conti specifica in seguito, quanto sia in Italia che all’estero, il riutilizzo solidale riesca a sostenersi soltanto nel caso in cui nascano delle collaborazioni con i settori produttivi del riutilizzo: contrariamente, i soli organismi sociali che fondano le proprie radici nell’attività solidale non avrebbero capacità di sopravvivere altrimenti; il motivo nasce dal fatto che tali settori produttivi si fanno carico di organizzare e selezionare quelle materie che in seguito verranno anche destinate agli organi solidali. Punto non meno importante è dato dalla presenza degli operatori stessi dell’usato, che privati della possibilità di utilizzare la grande

152/153

MERCATINI DELL’USATO AUTORIZZATI

Regione

Eventi/mese

Calabria

10 145 74 34 8 60 44

Lazio Lombardia Piemonte Sicilia Toscana Veneto

mole di materiale disponibile nelle discariche e nelle isole ecologiche, rappresenterebbero un problema dal punto di vista occupazionale, in un periodo storico surclassato da crisi economiche e disoccupazione. Gli stessi materiali dismessi che non dovessero essere rivenduti e trattati dagli operatori andrebbero a sommarsi a quelli già presenti nelle nostre discariche, ormai al limite di contenimento, aumentando i costi di gestione dei rifiuti e i danni provocati al contesto ambientale. Il mercato dell’usato rappresenta il maggiore strumento di applicazione per quanto riguarda la diffusione di mobili recuperati senza l’ausilio di lavorazioni. Questa branca del commercio al dettaglio si suddivide in diverse e secondarie attività che, a seconda della tipologia di merce e di qualità, può differenziarsi per considerevoli gradi di intervento. L’Italia dimostra un lenta capacità di crescita in questo settore, bloccata soltanto a causa della normativa sui rifiuti di cui abbiamo parlato nei capitoli precedenti; al di fuori dei nostri confini nazionali troviamo, invece, una serie di attività che si sono distinte per l’alto grado di efficienza e di efficacia con la quale sono stati in gra-


do di gestire l’attività del riuso. A livello europeo, il caso maggiormente riuscito è sicuramente quello della rete Kringloop, la quale riunisce più di 31 imprese nella regione belga delle fiandre. Le imprese facenti parte del network sono proprietarie di oltre 118 negozi e 16 centri di riparazione. Ogni impresa riceve le donazioni nelle sedi e fornisce gratuitamente la raccolta domiciliare del riusabile. Ogni impresa presente ha il proprio campo di applicazione e non invade lo spazio delle altre; in questo modo, nel 2011 sono stati in grado di raccogliere più di 28.000 tonnellate di beni riusabili arrivando ad una quota di 4.41 kg di riuso anno pro-capite. Lo svantaggio di questa attività è data dall’alta percentuale di materiali invenduti che vanno oltre il doppio o il triplo di un normale negozio in conto terzi italiano. In Germania è presente ed operativa la rete Ecomoebel, progetto nato dalla collaborazione tra l’università di Dortmund e 20 imprese sociali specializzate nel riutilizzo. La stessa università ha creato un marchio di certificazione per i mobili realizzate, relativamente al loro potenziale contaminante. Sempre all’interno dello spazio universitario è stata creata una macchina per la misurazione della formaldeide che è stata attivata in collaborazioni con le 20 imprese, le quali hanno accettato di realizzare i progetti ad opera degli studenti del corso di design. In Svezia esiste dal 2007 il parco del riuso di Gothenburg, il quale rappresenta il più grande centro per il riuso, funzionante in tutta europa. Questa struttura è divisa in tre zone fondamentali: il centro di raccolta e il magazzino per l’esposizione, la “second hand boutique” che mette in vendita articoli di qualità frutto di donazioni ed infine l’aerea laboratoriale, all’interno della quale si aggiustano biciclette e vengono recuperati i materiali medianti lezioni aperte al pubblico. La struttura dell’edificio è ben gestita per quanto riguarda la collaborazione tra gestione dei rifiuti e attività di riutilizzo in quanto, la

zona di raccolta delle materie all’ingresso è adibita alla selezione di tutte le merci riutilizzabili ad opera di lavoratori assunti dalla municipalità. Tutto il materiale che viene recuperato viene destinato alle zone di magazzino, all’interno della quale i materiali vengono divisi per tipologia merceologica, agevolando l’organizzazione dei 600 mq di spazio disponibili. Il responsabile del centro Hans Nilsson spiega che nonostante il buon funzionamento del centro, alla fine dell’anno la mole di materiale invenduto arriva al 3035% del quantitativo totale, che irrimediabilmente viene indirizzato al riciclo. Viene inoltre specificato che i guadagni del centro bastano a coprire il 65% del costo della manodopera, mentre il restante viene retribuito dal governo. Tale caso dimostra che la realtà difficile dei centri di riutilizzo non proviene dalla mancanza di domanda del prodotto usato, quando dalla difficoltà nel reperire le merci con una certa metodica e costanza.

2 Riuso con modifica sull’oggetto/

I

l riusare con piccole modifiche rappresenta il tipo di intervento più comune se paragonati i diversi contesti all’interno della quale è applicata come attività educativa e manuale. Tale manualità si può ricondurre alla più classica forma di restauro, se non fosse che questa tipologia di intervento si concentri esclusivamente su quell’arredo dall’alto valore storico ed economico senza tenere conto, o perlomeno in maniera approssimativa,


di quella parte di storia più recente che ha contraddistinto la produzione del mobile degli ultimi trent’anni. In questa maniera si va perdere il grande potenziale ricavabile dal riutilizzo di questi materiali, svilendoli al livello di meri rifiuti. Questa mentalità retrograda, per certi versi, non più sostenibile deve essere cambiata a favore del salvataggio di ciò che può essere salvato, indipendentemente dal periodo storico che contraddistingue il singolo elemento d’arredo. Come si deduce dalle analisi condotte sui casi studio, le lavorazioni che vengono applicate agli oggetti in questa fase sono numerose e svariate per quanti sono i materiali che compongono gli arredi recuperati e le tipologie di risultato che ci si è prefissati di raggiungere. Lo studio sulle metodologie applicate dai designer ha dimostrato dei comportamenti comuni che ragionano principalmente sul fattore storico e iconico dell’oggetto, utilizzando una serie di azioni volte a enfatizzare le caratteristiche dell’elemento precedentemente conosciuto, sostituendole con qualcosa che ammicca al suo passato ma guarda verso il futuro. Gli approcci analizzati vedono una ripetizione delle componenti esistenti come nel caso dei tavoli della designer libanese Niloufar Afnan, i quali estremizzano l’idea di gamba del tavolo, rendendola l’elemento uniformante di tutto il progetto. Osservando i differenti punti di vista che si intravedono nel progetto di ciascuno, è chiaro quanto la storia dell’arredo o dell’oggetto sia importante nel nuovo progetto di riuso; nella quasi totalità dei casi viene data particolare attenzione alla

154/155

passata vita del materiale; questo avviene mediante riferimenti fisici: come nel caso degli arredi ricavati dal reimpiego di vecchie pavimentazioni, provenienti dai campi da basket, realizzate dallo studio del designer inglese James Henry Austin, il quale produce una serie di arredi dalla chiara linea minimalista che vengono contraddistinti dalle vecchie linee precedentemente disegnate sul campo. Il mobile è “nuovo” ma riporta sulla propria pelle i riferimenti della sua vita precedente.

Approccio diverso è dato da coloro che introducono nuove parti alla struttura dell’oggetto per ripararla da rotture o per sostituzione di parti mancanti come nel caso della designer israeliana Noam Tabenkin: questa per il proprio progetto di laurea ha “operato chirurgicamente” degli arredi danneggiati provenienti dai magazzini ospedalieri, rendendo chiaro lo stacco tra ciò che era l’oggetto passato e la nuova parte; questa sostituisce come una protesi gli elementi mancanti nel sistema. Approccio simile è dato dal progetto intitolato Réanim del gruppo francese 5.5 i quali hanno salvato alcuni arredi mancanti di parti, le quali sono state sostituite da sgargianti supporti, diversi per materiale e per forme rispetto l’elemento che vanno a recuperare. A contrario del classico restauro si realizza un oggetto a metà tra un’opera d’arte ed un elemento funzionale che non si preoccupa di denunciare la sua provenienza. Altro caso di sperimentazione è quello di Theo Herfkens che nella sua produzione


di arredi utilizza un metodo insolito: dopo aver tagliato a metà gli arredi della “nonna” li abbina a nuovi lavorati, realizzati dallo stesso designer, dalla linea totalmente minimalista; in questa maniera ci si ritrova di fronte a mobili che “perdono” metà del loro corpo per portare maggiormente l’attenzione su quelle parti del vecchio mobile che il designer ipotizzava fossero particolarmente degne di nota. L’idea di “Innesto” si ripete con una certa frequenza nel campo del riuso del mobile, come possono dimostrare il designer italiano trapiantato in Inghilterra Martino Gamper e il gruppo di designer “made in Eindhoven” conosciuto come LeLab: il primo realizza la serie di “100 sedie in 100 giorni” per la quale re-inventa il concetto di seduta e le relative componenti giocando con le parti che compongono la sedia tradizionale. Lo scopo dell’operazione è andare a creare degli ibridi che sconvolgono l’immagine tipica della seduta. Nel secondo caso, il gruppo LeLab, composto da giovani studenti della scuola di Eindhoven realizzano, nello spirito dell’innesto, delle vere e proprie “collisioni” tra pezzi d’arredamento. Caso opposto che si contrappone totalmente

ai protagonisti precedenti è quello della coppia di designer milanesi Bottazzi e Bonapace, i quali realizzano la serie di arredi “da morto a orto” per la quale impiegano vecchi mobili vicini alla dismissione per produrre dei contenitori per il verde urbano domestico, quasi a rappresentare la letterale rinascita della vita sulla morte del complemento d’arredo. Come si è visto tramite queste testimonianze, gli approcci al riuso sono vari e differenziati quanto il livello di creatività e di combinazione che il designer applica al proprio progetto. Casi fortunati tra quelli elencati precedentemente hanno la possibilità di essere introdotti in maniera sistematica all’interno di un circolo produttivo andando così ad aumentare le possibilità di recupero e riuso a livelli sempre più grandi; la sfida alla creazione di un sistema simile consiste nel trovare l’approccio ideale che sposti l’attenzione da una lavorazione ad hoc ad una più standardizzata.

3 Riuso tramite riduzione a semilavorato/

L

’ultima famiglia di interventi prevede quelle tipologie di riuso per la quale il materiale viene impiegato come un semilavorato piuttosto che come un solo elemento da evolvere. Particolarità di tale approccio deriva dalla possibilità di realizzare oggetti “nuovi” nelle forme e nelle lavorazioni, in quanto la materia prima viene radicalmente trasformata, sino a far soltanto intravedere ciò che realmente era prima della


lavorazione. Il confine tra riuso e riciclo, in questo caso, risulta molto sottile; il maggior motivo deriva dalle definizioni di tali azioni: il primo prevede che l’oggetto riusato mantenga la sua funzione, mentre il secondo concerne tutto ciò che radicalizza la forma della materia. Queste definizioni sono presenti all’interno del testo normativo, nonostante enti, organizzazioni ed esperti abbiano espresso differenti opinioni a tal proposito: per queste ragioni i confini tra le due “R” possono non essere ancora totalmente differenziati. Comportamenti simili contraddistinguono questa tipologia di riuso che spesso si compone di mosaici realizzati con scarti amorfi, oppure da combinazioni di elementi più o meno simili che vengono successivamente lavorati per raggiungere le forme più disparate. La grande varietà di tipologie di scarto rende questo intervento molto simile all’attività di riciclaggio, nonostante non ci sia un recupero totale del materiale. Sull’esempio sopra citato si sono cimentate diverse categorie di progettisti: a partire da Alicucio, designer di origini Piemontesi che base gran parte del suo lavoro sul recupero di legname “amorfo” che può essere re-impiegato nella produzione di manufatti senza perdere le sue connotazioni di “scarto”, come dimostra il gran numero di prodotti realizzati, quali giocattoli e piccoli pezzi d’arredamento. Altra testimonianza proviene da Tel Aviv dal gruppo Ubico Studio, il quale svolge una vera e propria attività di ricerca del pezzo dismesso lungo le strade della città. I risultati della ricerca del gruppo testimoniano un interesse particolare per

156/157

le materie lignee a dimostrazione che ciò che è naturale vince sempre sul sintetico. Dettaglio interessante relativo al contesto in cui opera il gruppo è dato dalle caratteristiche normative statali: le quali permettono di operare con la materia recuperata per strada. A detta del capo gruppo Ori Ben Zvi, il problema maggiore del recupero di materiale per le strade, è trovare qualcosa; in quanto ciò che viene abbandonato ha poche speranze di durare a lungo.


Potenzialità/

I

n natura non esiste il concetto di rifiuto: nei cicli biologici, infatti, ciò che viene scartato da un organismo, diventa una risorsa per altri esseri viventi, così che nulla venga sprecato. Il riciclo e il riuso sono due azioni volte a perseguire questo insegnamento della natura: in ogni oggetto ci sono delle risorse preziose, che possono essere sfruttate da nuovi proprietari, quando chi ne dispone non ne fa più uso. Questo passaggio di risorse avviene spesso attraverso una trasformazione, che comporta l’effettuazione di modifiche più o meno evidenti dell’oggetto in questione. Tanto più il cambiamento è marcato, tanto più saranno necessarie energie per metterlo in atto.

Confronto tra Riuso e Riciclo del mobile

É

evidente che allungare la vita di un prodotto sia una soluzione preferibile a quella di avviarlo ad un processo di riciclo, nonostante siano entrambe azioni che preservano l’oggetto dall’arrivo in discarica. Il riciclaggio ha unicamente l’obiettivo di reintrodurre sul mercato il materiale di provenienza del rifiuto, senza tener conto delle potenzialità che esso potrebbe ancora avere come prodotto finito. Esso inoltre è efficace solo se il materiale prodotto al termine del processo ha un’al-

ta percentuale di purezza: questo presuppone dunque che ci sia un lavoro di smistamento alla base del processo. La raccolta differenziata è di fondamentale importanza, ma da sola non è sufficiente e dev’essere completata da un’ulteriore selezione all’interno dell’ecocentro e del centro di riciclo. Una consistente percentuale di materiale viene escluso a priori dal riciclaggio perché non riciclabile, in quanto combinato con altri materiali in modo troppo complesso per essere differenziato, oppure perché non facente parte di una categoria specifica. Ad esempio, le tipologie di plastica sono innumerevoli e non possono essere mescolate fra loro: solo alcune di queste vengono trasformate in nuova plastica; le altre vengono raggruppate per potere calorifico e successivamente termovalorizzate. Tra i vari materiali, il legno viene differenziato e separato dagli altri oggetti contenenti materiali diversi, ridotto di volume e trasportato agli impianti di recupero. Una parte di esso é poi avviato al riciclo, con il quale si intende anche il compostaggio e la rigenerazione, mentre il restante viene recuperato energeticamente. Quello riciclato é prevalentemente trasformato in agglomerati lignei, quali carta, pannelli di truciolare e blocchi di legno-cemento. Secondo le stime, in media il 95% dei rifiuti legnosi post-consumo recuperato diventa materia prima per l’industria del mobile, sotto forma di pannelli in truciolato, ottenuti dal mescolamento delle scaglie con colle a basso contenuto di formaldeide.


Al compostaggio viene avviata solo una piccola parte del legname, mentre i pallet in buono stato subiscono un processo di rigenerazione, che consiste sostanzialmente nella sostituzione degli elementi rotti. Questo tipo di riciclaggio molto specializzato, é da considerare come una modalità di riutilizzo: il pallet, infatti, viene conservato il più possibile intero e reintrodotto nella sua filiera dopo la riparazione.

E’ stato verificato, sia dai dati sulle isole ecologiche, provenienti dall’Occhio del Riciclone, sia da quelli raccolti tramite segnalazioni e mappature, che è presente una grandissima quantità di materiale dismesso su cui si potrebbe effettuare un’operazione di riuso, ma la fornitura proveniente da queste fonti non è costante, né assicurabile. Inoltre i pezzi sono catalogabili in categorie, ma sempre diversi.

Infine, attraverso uno specifico trattamento, il legname rimanente, proveniente dai rifiuti di imballaggio, viene bruciato per produrre energia.

Pensando di utilizzare i mobili già pervenuti interi o quelli risistemati in cui l’oggetto di partenza è ancora riconoscibile, non è quindi possibile immaginare attività che abbiano come committenti la pubblica amministrazione o acquirenti che richiedano grosse quantità di pezzi simili.

Nel caso del riciclaggio, dunque, si parla di un processo molto efficace dal punto di vista del ciclo di vita del materiale, in quanto capace di produrre nuovi semilavorati senza la necessità di prelevare nuove risorse, nonostante necessiti di molta energia per il funzionamento dei macchinari. Il riuso, inteso come il recupero sia del materiale, sia dell’oggetto in sé, permette anch’esso di trarre risorse da una fonte di output. L’azione positiva che esso comporta è duplice: oltre ad evitare la produzione di nuova materia prima, esso consente anche di risolvere il problema della dismissione di oggetti difficili o impossibili da riciclare. Sistematizzare il riuso è un’operazione molto complessa, che comporterebbe, come tutte le attività, dei costi, degli investimenti e dei dispendi energetici. Dall’esempio del ripristino del pallet, si può dedurre che anche un’azione di questo tipo è possibile e conveniente, se sufficientemente cicroscritta e standardizza.

158/159

E’ ipotizzabile invece in questo caso un’operazione più puntuale, con un forte intervento manuale, sotto la guida di occhi esperti e con conoscenze artigiane. La standardizzazione del riuso è dunque possibile intenderla solo a livello di processo e non di prodotto finale. Molti mobili, inoltre possono essere resi standard tramite disassemblaggio: tavole e assi di diverse dimensioni e materiali, se differenziati per tipologia e resi conformi, possono essere rivenduti nei negozi di bricolage o utilizzati per produrre nuovi arredi. In questo caso il riuso può essere inteso quasi come una forma di riciclo, senza però eliminare totalmente la forma del componente. Per quanto riguarda il lato economico è difficile stabilire se sia preferibile condur-


re un’attività di riciclo o di riuso. Il ricavo ottenuto dalla vendita di mobili ripristinati è sicuramente maggiore di quello derivante dai semilavorati, prodotti con il riciclaggio del corrispondente quantitativo di materiale.

In ogni caso bisogna prestare attenzione all’uso di vernici, colle e prodotti chimici per la pulizia dei materiali, che potrebbero non avere un ciclo di vita sostenibile e dare luogo a prodotti difficili da smaltire o riusare.

Le spese da sostenere in un’attività di riciclo sono molto ingenti all’inizio, perché l’acquisto dei macchinari comporta grandi investimenti. La produzione seriale, però, li abbatte in breve tempo e il guadagno diventa via via crescente. Per avviare un centro del riuso, invece, basta investire poco denaro, ma il costo di manodopera è alto e la produzione molto più lenta. Gli obiettivi dei centri di riuso, però, vanno oltre il semplice ritorno economico. La materia prima, inoltre, ha costi molto bassi ed è talvolta gratuita, perciò è facile rendere i bilanci positivi.

Infine il confronto può essere fatto sul piano sociale. Il riuso è un’attività che è possibile condurre sia in modo strutturato, sia da singoli privati. Non sono necessarie grandi risorse e perciò il grande vantaggio è dato dal fatto che può essere modulato in molti modi e con diversi scopi. Può essere utilizzato come attività remunerativa, e in questo caso la disponibilità di posti di lavoro è molto consistente, in quanto il rapporto operatore/unità prodotte è molto basso. E’ possibile vederlo anche come una forma di riabilitazione: stimola la creatività e permette lo sviluppo della manualità. Infine lo si può considerare anche un modo per educare, se presentato sotto forma di laboratorio didattico. Le potenzialità del riuso sono molteplici ed è quindi sensato incoraggiarlo in tutte le sue forme. Il riciclo non può esserne il sostituto, in quanto porterebbe a una perdita di risorse importanti. E’ però un valido processo, indispensabile quando il riuso non è più possibile. In una visione molto ottimistica sarebbe opportuno disporre di sistemi in grado di distinguere cosa è riusabile da cosa non lo è più, in modo tale da permettere l’applicazione sequenziale dei due processi.

Dal punto di vista della sostenibilità, il riuso è molto conveniente e preferibile al riciclo, se fatto con opportuni accorgimenti. Considerando che oggi, in Italia, solo il 21% dei rifiuti viene riciclato, è più che mai opportuno tentare di dare una seconda vita agli oggetti. Trattandosi di un processo manuale, quello del riuso non si pone il problema di produrre gas nocivi, né in modo diretto, né indiretto tramite la produzione di energia, come invece potrebbe avvenire per gli impianti di riciclo. Per riciclare la carta, inoltre, servono grandi quantitativi di acqua.



presenti almeno un’isola ecologica ogni 100.000 abitanti (studio sulla dismissione di una famiglia media rispetto la capacità di un’isola ecologica di gestire una certa quantità di rifiuti). Il risultato della ricerca ha portato ad immaginare uno scenario in cui sul suolo romano siano presenti 27 isole ecologiche.

I Numeri potenziali del Riuso/

I

l fenomeno dell’abbandono dei mobili è molto diffuso, ed è presente in tutta Italia. Studiandolo se ne possono individuare le cause, ipotizzare soluzioni per le problematiche ad esso legate e studiare dei modi per valorizzarne le potenzialità. I rifiuti sono delle risorse, ma la maggior parte di noi non è consapevole e non si rende conto dei vantaggi del riutilizzo. Già alcune organizzazioni, come l’Occhio del Riciclone sul suolo laziale, o Modus Riciclandi a Varese si stanno occupando di stimare e analizzare la questione dell’abbandono del rifiuto in generale, e allo stesso tempo sensibilizzare la popolazione.

Il valore delle ecologiche/

La tabella sottostante riporta i valori riscontrati per la categoria merceologica degli arredi durante 200 ore di osservazione nelle isole ecologiche romane. Studi proposti dal centro di ricerca ODR dimostrano come circa il 20,2 % delle materie entranti nelle isole ecologiche possa essere re-immesso sul mercato senza azioni di trattamento secondarie. Questa percentuale di materia rappresenta tutti quei prodotti che possono essere ritrovati sui banchi dei rigattieri o degli ambulanti e nei negozi dell’usato. Oltre alla grande quantità di arredi recuperabili che è possibile ritrovare per strada e in quelle isole ecologiche che permettono la raccolta; esiste anche un grande quantitativo di materiali lignei che non posseggono altre possibilità di sbocco per il mercato.

isole

I

l libro pubblicato dal Centro di ricerca economica e sociale de “L’occhio del riciclone” rappresenta un caso interessante che tenta di individuare le potenzialità di una nuova gestione dei rifiuti a seguito di un cambiamento normativo nel prossimo futuro che potrebbe portare a uno scenario molto diverso rispetto quello da noi conosciuto. Durante la ricerca si è cercato di individuare i numeri di tutti gli elementi in entrata nelle isole ecologiche romane; il mobilio riporta dei dati interessanti.

Il centro di ricerca de “L’occhio del riciclone” ha effettuato uno studio su questi materiali, tentando di visualizzare il flusso di materia entrante nelle isole ecologiche di Roma, Anguillara e Ciampino. É interessante vedere come siano stati divisi i materiali per le loro macro categorie all’interno della famiglia più grande dei materiali lignei, che corrispondono a quelle classificazioni di oggetti riscontrabili in un qualsiasi contesto urbano. Queste categorie sono:

Il caso studio, ipotizza infatti che siano

-paniforti Pessimo stato

X stato

Totale unità

159

31

0

884

0

308

131

0

439

418

467

162

0

1323

Categoria merceologica Mobili

Buono stato

276

418

Componenti mobili Totale mobili

0 276

Medio stato Cattivo stato


-porte -finestre -zoccolini battiscopa -pallet -tavole

Beni lignei da riadattare Beni lignei in buono stato 2000

-mobili in legno in cattivo stato 1500

La caratteristica fondamentale di questa famiglia di materiali recuperati è data dalla mancanza di una filiera di riferimento per il recupero, al di fuori del recupero materico per triturazione, volto alla produzione di pannelli truciolari. Parte fondamentale della classificazione è la valutazione dello stato del materiale ritrovato. Questa può essere semplificata in buono, medio, cattivo e pessimo stato, in cui il primo livello di classificazione contraddistingue quelle componenti che non hanno bisogno di particolari lavorazioni per poterne disporre in un secondo utilizzo. Il caso studio sotto presentato rappresenta le quantità di beni in buono stato o da riadattare per i tre esempi romani già analizzati precedentemente. Le ricerche dimostrano quindi che i materiali lignei per i quali si deve ancora trovare una filiera di recupero di riferimento sono tra i più alti della categoria. Inoltre il loro valore rappresenta il 30-40% del valore potenziale totale di tutte le isole ecologiche prese come punto di riferimento per lo studio di ODR. Il grafico dimostra come nella sola zona urbana di Roma siano presenti molti più beni lignei da ritrattare, rispetto quelli in buone condizioni, quasi pronti per essere re-immessi sul mercato; la situazione lascia supporre la necessità di una serie di azioni volte a recuperare tali beni, in maniera standardizzata e di facile realizzazione, al fine di limitare al minimo i tempi di recupero dell’oggetto e al contempo evitare lo smaltimento di ciò che può essere salvato in extremis. I Comuni di Anguillara e Ciampino hanno rispettivamente 16.000 e 36.000 residenti e dispongono di un centro di raccolta

162/163

1000

500

0

Roma

Anguillara

Ciampino

ciascuno. Secondo le rilevazioni del 2007 il loro potenziale di riutilizzo é pari al 46% e al 56% dei conferimenti e a 230.000 euro e 367.000 euro di valore al dettaglio. Questo solo per quanto riguarda i rifiuti in buono stato rivendibili senza interventi particolari. La risorsa da sfruttare sta anche in questo caso nel potenziale fornito dai rifiuti in medio stato e da quelli da cui si possono recuperare parti e materiale. Rifacendo i calcoli considerando anche questi elementi, la percentuale di materiale riusabile prima del riciclo sale all’83%. Gli interventi per il ripristino e la reimmissione sul mercato sono più o meno consistenti e vanno dalla sostituzione di parti alla riprogettazione combinando le componenti. Le valutazioni economiche effettuate, relative al valore che questi mobili potrebbero avere se rivenduti, sono incoraggianti: ammonta a ben 6.964.217 Euro il ricavo che ci potrebbe


essere dalla vendita dei mobili in medio e buono stato trovati in un anno sul suolo romano, 110.817 Euro quello proveniente dai mobili di Anguillara e 162.361 Euro da quelli di Ciampino. Un altro punto di vista interessante relativo all’ambito delle nuove applicazioni realizzabili, a seguito dell’approvazione della nuova normativa sui rifiuti, è dato dalla possibilità di realizzare dei centri del riuso all’interno dei quali gli operatori specializzati possano, previa addestramento e corso di preparazione, occuparsi di smistare e gestire le masse di rifiuti entranti. Operatori del campo della lavorazione del legno, sono stati chiamati ad esprimere il loro parere per conoscere la loro opinione riguardo alla possibilità di acquistare legno usato e riadattato per le normali attività di falegnameria. Le opinioni dimostrate sono diverse e varie rispetto l’accettazione di materiale usato per la produzione del “nuovo”. Il 20% degli intervistati ritiene inaffidabile la fornitura di materiale recuperato, soprattutto a causa delle attività di ricerca e adattamento che si è costretti a fare a monte, con azioni per niente convenienti dal punto di vista economico, prima di un effettivo impiego nelle attività primarie dell’operatore. D’altra parte alcuni soggetti hanno precisato che in caso di adeguamento della fornitura, relativamente alle tempistiche, sarebbero disposti ad affidarsi ad una fornitura fissa. Un secondo 20% si è dimostrato estremamente interessato ad una fornitura di materiale recuperato come paniforti e addirittura scampoli di legno per piccole attività di bricolage, in molti di loro ha dichiarato di voler acquistare vecchie porte recuperabili. Un ultimo 20% degli operatori si è invece espresso negativamente nei confronti della fornitura di materiale recuperato, essenzialmente per motivi di estetica e di “brutta impressione” rispetto quelle attività realizzabili con materiali di scarto riadattati. Un’altro gruppo di intervistati, rappresentato da alcuni restauratori del centro storico di Roma, si è

detto scettico nei confronti del materiale recuperato, sostenendo che “il meglio” del materiale raccolto viene già conservato a monte dagli operatori dell’AMA, che così facendo vanno a creare una categoria a parte della classe informale nella gestione dei rifiuti. Spesso in diverse città italiane nascono delle “collaborazioni” tra operatori delle aziende appaltatrici cittadine della gestione dei rifiuti e la categoria di commercianti dell’usato, come robivecchi, rigattieri, venditori ai mercatini, etc.

I Rifiuti Inesistenti/ Il progetto Modus Riciclandi

P

er le strade ci sono grandi quantitativi di materiale destinati a non arrivare mai alle isole ecologiche, o che vi arrivano in condizioni pessime perché esposti per molto tempo alle intemperie. Si tratta di quei rifiuti abbandonati di fianco ai cassonetti o per le strade che non vengono ritirati durante la raccolta settimanale degli operatori ecologici, perché troppo ingombranti o perché non collocati in un’area predisposta per la raccolta. Buona parte di questi oggetti viene raccolta dai passanti o dai cosiddetti “rovistatori”, ma prevalentemente si tratta di beni in buono stato, riutilizzabili direttamente in casa o rivendibili in qualche mercatino. Anche questi rifiuti costituiscono un valore, ma anche un danno per l’ambiente. Ecco che un’azione per individuarli potrebbe servire ad acquistare più coscienza sociale. La ricerca di Modus Riciclandi, viene condotta coinvolgendo gli stessi consumatori. Il progetto, nato dalla collaborazione tra la Provincia di Varese e il Canton Ticino, è volto alla ricerca di nuovi percorsi di responsabilizzazione ambientale. E’ stata creata una mappa online su cui gli enti, e a breve tutti i cittadini, potranno segnalare i luoghi dove


vengono trovati rifiuti abbandonati e documentare con fotografie i ritrovamenti. L’applicazione web permette inoltre di inserire dati sulla tipologia dei riufiuti, scegliendo tra categorie prestabilite, e sulla volumetria del ritrovato. In questo modo è possibile effettuare direttamente una catalogazione sistematica del materiale. La sperimentazione, avviata su 76 comuni, 72 in provincia di Varese e 4 nel Canton Ticino, ha riportato nel corso di 7 mesi buoni risultati: 304 segnalazioni inserite, di cui 177 di tecnici comunali e 127 delle GEV della Provincia di Varese. Con le segnalazioni ad ora a disposizione si è visto che il fenomeno dell’abbandono è più frequente nelle zone più isolate e in luoghi in cui sono già presenti altri rifiuti, segno che la gente è in buona parte consapevole del fatto che la sua azione è sbagliata e tende a nasconderla. Il 10% di questi rifiuti è costituito da ingombranti da abitazioni civili, cioé mobili e complementi d’arredo.

Il caso Free Trade Ireland/

I

l sito irlandese Free Trade Ireland promuove invece un servizio web che si occupa di incoraggiare il riuso di oggetti di provenienza domestica. Tramite l’iscrizione al sito è possibile fare upload di fotografie degli oggetti da dismettere, segnalandoli direttamente su una mappa, in modo da promuovere lo scambio fra persone che abitano vicine, limitando anche i costi di spostamento. L’applicazione è di per sé un database di informazioni dal quale è possibile risalire alle tipologie e ai quantitativi di materiale

164/165

che verrebbe dismesso e che invece viene semplicemente scambiato. In questo caso il valore economico viene percepito dagli irlandesi come risparmio, che solo nel primo anno è stato stimato essere di 1.000.000 di Euro. Attiva dal 2006, Free Trade Ireland ad oggi ha già permesso il riuso di 61.212 pezzi. Al di là della valutazione economica, l’impatto che avrebbero avuto tutti questi potenziali rifiuti sull’ambiente, sarebbe stato importante. Se un servizio del genere fosse presente in tutti gli Stati, l’impatto ecologico della dismissione verrebbe enormemente ridotto.

Le risorse di Torino/

L

’azione di raccolta dati condotta in questa tesi, è incentrata sull’abbandono del mobile, in termini sia quantitativi sia qualitativi.

L’obiettivo è quello di verificare, in base a stime, se c’è una quantità abbastanza consistente di materiale con cui poter iniziare un’attività di riuso sistematica e individuare la percentuale di rifiuti con cui è possibile un’azione di riuso, in base alle condizioni del ritrovato. I dati derivanti dalle stime dell’ODR sono molti significativi , ma si è ritenuto opportuno fare una verifica ancora più dettagliata sul territorio torinese. Il lavoro è stato condotto prevalentemente in due direzioni, in base anche alle possibilità di tempo e operatori a disposizione.


Introduzione alla mappatura/

S

ono stati scelti sul territorio torinese e mappati, tre quartieri significativi dal punto di vista storico e sociale: San Salvario, Cenisia-Cit Turin e San Donato. San Salvario, molto vicino al centro cittadino, è oggi un quartiere multietnico, dal panorama sociale molto vario, che vive per lo più di attività artigianali, da quelle culinarie a quelle artistiche. Negli ultimi due decenni é diventato anche un luogo di attrazione notturna, grazie ai numerosi pub e locali. Il quartiere Cenisia, insieme borgo San Paolo, è tradizionalmente un quartiere popolare operaio. Durante tutto il Novecento l’area è stata abitata dai lavoratori della Lancia e della Fiat e il panorama urbano d’impronta industriale è tutt’ora riconoscibile, nonostante molti fabbricati siano in via di riqualificazione. La zona è caratterizzata dalle numerose attività commerciali e dal lungo mercato, che è il fulcro principale del borgo. Infine San Donato, quartiere residenziale a medio-alto reddito, anch’esso con una storia popolare, che risale al XIX secolo con le industrie dolciarie, come Caffarel, Prochet e Pastiglie Leone.

La mappatura è stata condotta in modo sistematico, organizzando tre spedizioni distinte, concentrate ciascuna in un’unica giornata, in cui sono stati individuati tutti i mobili abbandonati accanto ai cassonetti e classificati per tipologia, materiale e stato, annotandone la posizione sulla mappa e raccogliendo documentazione fotografica. I dati sono stati raccolti in modo tale da isolare la tpologia di mobile trovato e le condizioni del materiale che lo costituivano.


attivitĂ mappatura/ S a n

D o n a t o C e n i s i a -

S a n

S a l v a r i o -


San Donato/

1 2

6 5

4 3

8 9

10 11

12

7

16 15

14 13

17 19 20 21

22

18

24 23

25


168/169


Cenisia/

8 1

21

7 2

3

6 5

4

10 11

12 13

14

9

20 19

18 17

16

25

27

15

28 29

30 31 32

23 24

26

35 34

33

22


170/171


San Salvario/

1

3

2

8

6

7

9

10

4 6

12 13

11


172/173


cittadini con una maggiore sensibilità.

Deduzioni e conclusioni/ San Salvario/

Cenisia/

L

a maggior parte dei mobili trovati nel quartiere ha il materiale ancora in buono o medio stato ed è quindi facilmente riusabile. Le quantità sono molto consistenti: ben 35 fotografie in un giorno, per un totale di 49 pezzi.

Pessimo stato Cattivo stato

A

San Salvario la quantità di elementi trovati è nettamente inferiore rispetto a quelli del quartiere Cenisia: solamente 14 pezzi.

Lo stato del materiale è prevalentemente cattivo. In buono stato sono stati trovati solamente una porta e un materasso. Ciò può lasciare supporre che in questo caso ci sia invece molta più sensibilità nei confronti del materiale buttato, oppure che ci siano persone che raccolgono gli oggetti abbandonati. Sono stati infatti individuati alcuni rovistatori anche molto organizzati, dotati di bicicletta e ampi secchi e cestini per la raccolta. Secondo alcune testimonianze, in questo quartiere è piuttosto frequente vedere persone che non si fanno problemi a prendere ciò che potrebbe ancora servire dai cassonetti, per farne uso personale o rivenderlo nei mercatini dell’usato, molto numerosi nella zona, o a qualche artista o artigiano, anch’essi molto presenti.

Medio stato Buono stato Essendo il materiale prevalentemente in buono stato si può desumere che non ci sia una particolare sensibilità nei confronti del rifiuto. Dei vari mobili, nove sarebbero potuti entrare direttamente in un mercatino dell’usato, senza alcuna modifica né riparazione. Il materiale maggiormente trovato è il legno, in particolar modo sotto forma di pannelli truciolari, quindi facilmente deteriorabile. L’esposizione alle intemperie ne può facilmente aver peggiorato le condizioni rispetto a quelle al momento dell’abbandono. I ritrovamenti sono stati effettuati in modo abbastanza uniforme, anche se la zona più vicina al centro è risultata più pulita. Si può supporre che sia abitata da

Pessimo stato Cattivo stato Medio stato Buono stato


San Donato/

I

n quest’ultimo quartiere sono stati trovati di nuovo molti elementi, ben 38 pezzi da 25 ritrovamenti e la maggior parte sono in buono e medio stato, come nella borgata Cenisia. A differenza di quest’ultimo, però, la distrubuzione sul territorio non è uniforme, ma concentrata prevalentemente attorno a corso Regina Margherita, area in cui non abitano più solo famiglie di medio alto reddito, ma in cui c’è un più vario assortimento di popolazione. Anche in questo caso il materiale prevalente è il legno, anche se molti sono stati i ritrovamenti di imbottiti, presenti con una certa consistenza anche negli altri quartieri. I tessili si deteriorano ancora più facilmente alle intemperie e all’aria aperta e sono molto più difficili da igenizzare. Per questo tipo di oggetti è ancora più importante organizzare un’apposita filiera in grado di provvedere al ripristino del materiale, prima che esso venga abbandonato.

Pessimo stato Cattivo stato Medio stato Buono stato

Segnalazioni online/

P

er avere una visione più ampia sul fenomeno e iniziare un’attività di coinvolgimento e sensibilizzazione, sono state poi raccolte delle segnalazioni dei cittadini grazie ad una semplice pagina facebook. In questo modo chiunque, vedendo un mobile abbandonato, ha avuto la possibilità di segnalarlo tramite fotografia. I dati raccolti sono stati catalogati solo su base qualitativa, in quanto il campione non rientrava in parametri di luogo e tempi stabiliti. E’ in fase di costruzione, inoltre, un sito con il quale illustrare la ricerca effettuata in questa tesi. Esso avrà un collegamento con un blog sul quale verrà disposta un’applicazione per segnalare direttamente i ritrovamenti e condividere con gli utenti suggerimenti sulle pratiche di riuso. Dalle segnalazioni, per adesso, sono stati raccolti dati preziosi per quanto riguarda lo stato dei rifiuti trovati. Le percentuali di materiale in buono, medio, cattivo e pessimo stato sono riconducibili a quelle estrapolate dalle mappature, perciò sono state fatte delle medie e rilevati dei dati comuni.

174/175


I rifiuti per il riuso/

D

ai dati estrapolati incrociando le diverse ricerche, si evince dunque che è possibile creare delle attività basate sul riuso, in quanto la “materia prima” è disponibile in grandi quantità. I rifiuti prodotti variano a seconda della sensibilità individuale e culturale dei cittadini, ma in termini generali, anche valutando le stime dell’Occhio del Riciclone sul suolo romano; quindi si può dire che è possibile avere delle previsioni più o meno precise dei quantitativi di mobili destinati allo smaltimento. Sono state rilevate, inoltre, delle constatazioni qualitative molto interessanti che potrebbero fornire delle linee guida per la progettazione di un’attività di riuso. La maggior parte dei mobili dismessi è di legno. Tra i campioni in esame, la maggior parte è costituita da questo materiale. Si può quindi ipotizzare delle operazioni che per la maggior parte saranno incentrate su attività di falegnameria e che richiederanno competenze specifiche di quel settore. La restante parte è prevalentemente di orgine tessile o di metallo. Buona parte del materiale è da trattare prima di essere reimpiegato. Il materiale è per lo più in buono e medio stato, ma è necessario in ogni caso prevedere dei trattamenti di igienizzazione e ripristino. L’uso prolungato, la conservazione in luoghi umidi o incidenti casuali, potrebbero averne compromesso lo stato o averli resi insalubri. Alcuni tipi di arredi vengono dismessi più di frequente rispetto

ad altri. Tra quelli rilevati, gli oggetti che più si ripetono sono quelli riconducibili alla categoria del mobile contenitivo, che sono senza dubbio anche i più presenti nelle case degli Italiani. Cassettiere, pensili e armadi sono presenti in ogni stanza e dunque è possibile individuarli come tipologia più consistente di arredo su cui strutturare l’attività di ripristino. Grafico sui quantitativi delle tipologie di arredi. Gli oggetti abbandonati sono per la maggior parte completi. Esiste una buona quantità di mobili che viene abbandonata perché avente delle parti mancanti, detti incompleti primari. Si trovano anche elementi sotto forma di “pezzi”, definiti incompleti secondari. La maggior parte però, a prescindere dalle condizioni, viene abbandonata ancora intera, completa. E’ dunque ipotizzabile un’azione di ripristino del materiale, più che di riparazione, oppure di “rivisitazione” del mobile stesso. Un’alta percentuale è però costituita anche da legnami e pezzi amorfi, non riconducibili ad un oggetto preciso, ma ancora utilizzabili come semilavorati. Gli elementi completi sono in stato migliore degli incompleti primari e secondari. A parità di numero, come è plausibile, i mobili incompleti hanno i materiali mediamente in stato peggiore di quelli completi. I peggiori di tutte le categorie sono sempre gli imbottiti, prevalentemente a causa del loro veloce deterioramento nelle condizioni in cui vengono dismessi.



Fattibilità/ Incrocio tra domanda e offerta/

L

e potenzialità da sfruttare, come si è visto, sono molte. Grandi quantitativi di materiale disponibile, importanti vantaggi economici e sociali. In periodo di crisi, in cui sono richiesti molti più prodotti a basso costo e il potere d’acquisto dei consumatori è calato notevolmente, il mercato dell’usato può essere un’ottima soluzione. La domanda italiana, così come quella statunitense, è orientata verso la ricerca di prodotti con un alto rapporto qualità/ prezzo. La concorrenza del settore proviene dal mercato cinese, che con i suoi prezzi molto contratti, attrae facilmente gli acquirenti che cercano prodotti economici. I prodotti Made in China, in particolare i capi di abbigliamento, hanno il vantaggio di essere più aggiornati dal punto di vista della moda e sono molto meno screditati dei prodotti di seconda mano, anche se meno resistenti. Perciò certa gente tende a preferirli, sia per questione di immagine, sia per facilità d’acquisto. Per quanto riguarda i mobili, invece, i grandi concorrenti sono i venditori del nuovo low cost, come ad esempio IKEA, che dispongono di una serie di prodotti di qualità più bassa a dei prezzi molto abbordabili, in grado però di rispondere efficacemente alle esigenze dei consumatori. Il lavoro di igienizzazione e stoccaggio aumenta notevolmente i costi dei prodotti di riuso, per cui i guadagni sono talvolta più contenuti.Il mobile usato, se non di antiquariato, è più difficile da acquistare, ma spesso anche più durevole. La difficoltà sta molto spesso nel trovare il mobile giusto: ci vuole molta fortuna

a trovare un pezzo al prezzo desiderato, che corrisponda al gusto dell’acquirente, allo stile della casa e allo stesso tempo agli spazi a disposizione, in particolar modo quando si tratta di cucine e mobili di grandi dimensioni. E’ ancora più difficile, poi, trovare interi set di sedie o complementi d’arredo accostabili in modo armonico tra loro. Il materiale esposto nei mercatini è difficilmente organizzato con una logica, e i prodotti sono molto diversi tra loro e prevalentemente pezzi unici. Ecco che anche per comodità e immediatezza, l’Italiano medio preferisce inidrizzarsi verso prodotti standard, acquistabili in batteria, e visionabili su catalogo. In ogni caso,in linea di massima, la domanda di oggetti di riuso esiste. Prova ne è anche l’apertura in costante crescita dei mercati dell’usato. Le sole nuove aperture del 2009 e 2010, infatti, equivalgono a circa il 40% sul totale dei punti vendita presenti sul territorio oggi. I grandi mercati dell’usato come Porta Palazzo a Torino o Porta Portese a Roma, sono sempre gremiti di gente pronta a fare affari. Qui i prezzi sono talvolta veramente irrisori o contrattabili, perché spesso la merce venduta è a costo zero, in quanto proveniente dalle cantine o, in alcuni casi, dai cassonetti. Se dovesse aumentare la domanda a causa della crisi, l’offerta, molto incostante, non riuscirebbe a soddisfarla. I mercati dell’usato sono ancora troppo pochi e soprattutto i prodotti non sono ben distinguibili per fasce di prezzi e tipologie di prodotti venduti. Ad oggi non c’è sufficiente incontro tra domanda 200 150 100 50 0

2009

2010

MERCATINO SRL

Tot.


e offerta proprio per questi motivi: i consumatori, anche se potenzialmente interessati a acquistare i prodotti venduti nei suddetti mercati, non lo fanno per mancanza di conoscenza dell’offerta, o per difficoltà di reperire i prodotti desiderati. Inoltre, sono quasi inesistenti le attività “dell’usato ripristinato”. I mercati dell’usato, infatti, rivendono il materiale senza sistemarlo, mentre portare un mobile da un restauratore è spesso un’operazione molto costosa, che viene scelta solo in casi di alto valore del mobile da riparare o rinnovare. Un’offerta di questo tipo, se distribuita in diversi livelli di prezzo e non ristretta ad un mercato di nicchia, potrebbe soddisfare una domanda consistente, che attualmente si riversa sul mercato del mobile low cost. Per dimostrare la necessità di ampliare i mercati di prodotti a basso costo, l’Occhio del Riciclone ha promosso un’iniziativa di carattere sperimentale chiamata “Dal Rifiuto al Riuso”. Essa è consistita in tre giornate in cui gli ingombranti raccolti dall’AMA di Roma e considerati ancora riusabili sono stati messi da parte e resi 100 80 60 40 20 0

2009

2010

Tot.

MERCATOPOLI

disponibili al pubblico, il quale ha avuto la possibilità di portarli a casa gratuitamente. Grazie ad un’adeguata pubblicizzazione dell’iniziativa, già il primo giorno sono state circa duecento le persone che si sono presentate, portando via la maggior parte del materiale.

Le tipologie di persone che hanno partecipato all’iniziativa rientrano prevalentemente nella “fascia debole”, ma non solo: per lo più stranieri, anziani, famiglie con 30 25 20 15 10 5 0

2009

2010

Tot.

BABY BAZAR

basso reddito, ma anche curiosi, rigattieri e antiquari. La motiviazione principale di queste persone era la reale necessità di mobili ed elettrodomestici, di cui essi avrebbero altrimenti fatto a meno per mancanza o insufficienza di risorse economiche. Dall’esperienza di questa sperimentazione si può giungere alla conclusione che i mobili abbandonati provenienti dalla raccolta dei rifiuti potrebbero soddisfare pienamente la domanda di mobili a basso costo, andando ad interessare soprattutto le fasce meno abbienti. La domanda esiste, a patto che i prodotti siano venduti a prezzi ridotti. E’ stata riscontrata però anche una percentuale interessante di potenziali acquirenti con un reddito più alto, dalla particolare sensibilità, che hanno dimostrato di essere consapevoli del reale valore di molti materiali impropriamente definiti come rifiuti. Puntando adeguatamente alla giusta comunicazione nella loro direzione, la domanda potrebbe essere molto consistente. Nelle edizioni successive alla prima, infatti, il materiale, anziché essere regalato praticamante in tempo reale, venne suddiviso preventivamente in categorie durante la prima parte della giornata e distribuito successivamente nel pomeriggio. Questo sistema generò nelle per-

178/179


sone interessate al materiale, un’attesa molto forte, tanto da traformare l’evento in una vera e propria gara per accaparrarsi il pezzo migliore. Siti web come EggDrop, sono già dei sistemi alternativi per favorire l’incontro tra domanda e offerta. Si tratta di un mercatino dell’usato virtuale peer-to-peer, che permette con delle app di mettere in vendita i prodotti usati fornendo la geolocalizzazione del venditore, in modo tale da favorire lo scambio di oggetti tra persone vicine geograficamente, fornendo anche la possibilità di ricercare specifici oggetti con lo strumento di ricerca.

La logistica/

S

ono molteplici le potenzialità di una efficiente organizzazione a monte dei rifiuti e un coordinamento delle tra gli attori del riuso.

Le forze che operano nel settore dell’usato, come abbiamo visto, ci sono e sono molto attive. Collegarle in una rete e organizzarne l’approvvigionamento sarebbe un passo importante verso la sistematizzazione del riuso. Se la “materia prima” provenisse dalle isole ecologiche, ci sarebbe abbastanza materiale da poter garantire un approvigionamento sufficientemente costante agli operatori dell’usato, permettendone anche la

specializzazione in tipologie di articoli. La mancanza di settorializzazione del materiale presente nei mercatini, infatti, diminuisce notevolmente anche la portata della vendita, in quanto solo i compratori più abili ed esperti riescono a trovare realmente quello che cercano. Il coordinamento a monte, potrebbe inoltre permettere di creare sinergie fra le parti, in particolar modo fra chi raccoglie e chi distribusce, e di inserire nuovi attori intermedi che si dedichino a smistamento, stoccaggio, trasporto, trattamento e riparazione della merce. Perché ciò avvenga, sono necessari grossi provvedimenti a livello comunale, che mettano in sinergia la società di gestione rifiuti, con una ipotetica società che si occupi della gestione del materiale riusabile o con diversi consorzi specializzati per le diverse tipologie di merce.

Il fattore culturale/

L

a maggiore motivazione che spinge all’acquisto dell’usato è quella economica, e solo in parte molto marginale quella ambientale.

Il problema principale della diffusione del riuso è l’attribizione di scarso valore all’oggetto di seconda mano. Secondo le stime, infatti, circa il 45% degli italiani si vergogna di acquistare merce usata. Tradizionalmente, gli oggetti posseduti sono simbolo di status, per cui, è molto facile pensare, per scorciatoia di pensiero, che chi compra un oggetto di riuso lo fa perché non se ne può permettere uno nuovo. Sfatare questa credenza è un processo possibile, anche se particolarmente difficile. Non bastano le pubblicità progresso per modificare un concetto radicato nella cultura. Anche in questo caso è necessaria una sinergia delle parti in gioco, a partire dalle azioni dei più potenti, come le istituzioni e gli enti, fino a quelle dei mass media, con i programmi televisivi e le trasmissioni radio.


Esperienza pratica/

R

iusare è dunque possibile, anche in contesti dove non ci sono grandi conoscenze progettuali.

Il professore e designer Cristian Campagnaro, ha pensato di sfruttare le potenzialità degli innumerevoli mobili tenuti nei magazzini comunali, senza una reale utilità. Il materiale è utilizzabile, anche se talvolta in cattive condizioni e in buona parte semanticamente obsoleto. Gli arredi sono stati accumulati nel tempo con il principio del “potrebbe ancora servire”, da dipendenti comunali che li hanno salvati dalla spazzatura vedendone ancora un potenziale utilizzo. Talvolta qualche pezzo viene utilizzato per arredare qualche area dell’ospedale sovrastante, o per altre necessità ed emergenze. Il principio funziona, anche se solo una piccola parte viene recuperata, ed è prevalentemente quella in ottime condizioni. L’accatastamento però è privo di logica e molti oggetti si sono rovinati nel tempo. La disposizione di appartamenti comunali per i senza dimora, ha fatto sì che nascesse un bisogno di mobili a basso costo per arredarli. Il professor Campagnaro ha avuto l’intuizione di unire la domanda con l’offerta e pensare a una progettazione condivisa per mano degli stessi senza dimora. In occasione di un ritrovo di queste persone disagiate sono stati fatti vedere loro i mobili contenuti nel magazzino comunale di via San Marino 10. I partecipanti alla riunione non avevano bene chiaro cosa si sarebbe potuto ottenere da questo materiale: sedie, mobiletti, armadi, e scaffali ammassati in stanze sotterranee, disposti in modo confuso e coperti di polvere. Vedendo però le immagini dei casi studio evidenziati in questa ricerca, le idee si sono fatte più chiare. Illustrare cosa si può ottenere da un oggetto vecchio, con suggestioni di prodotti finiti, è il modo migliore per aprire gli occhi anche

ai profani della progettazione. Nelle immagini utilizzate era evidente il concetto che anche da un pezzo apparentemente privo di valore, si possono ottenere mobili gradevoli e funzionali. In un contesto di questo tipo è molto utile disporre di uno schema di progettazione semi-standardizzata, riconducibile allo schema dei metodi. Catalogare il materiale a disposizione e suddividerlo per tipologia d’intervento e condizioni di ritrovamento, è il primo passo per operare in modo efficace. Se anche la combinazione delle parti è conteplata in tutte le sue modulazioni, l’azione più adeguata diventa immediata. E’ tuttavia possibile scegliere l’approccio anche in base alle esigenze: un oggetto intero può essere riutilizzato così com’é, oppure modificato, anche se in buono stato. Per fare una simulazione dei ragionamenti che si possono compiere trovandosi di fronte ad un rifiuto da riusare, sono stati individuati due oggetti all’interno del magazzino ed è stata condotta su di essi un’analisi degli interventi. Il primo passaggio è quello di individuare il tipo di intervento più consono, basandosi sui livelli descritti nel capitolo 3. Riposizionare un oggetto in un nuovo contesto è già un’operazione di riuso, ma apportandone delle modifiche ne si può

180/181


allungare ulteriormente la vita. I due oggetti scelti appartengono alle categorie dei completi e degli incompleti primari. Entrambi, però, possono subire un processo di disassemblaggio e diventare così degli incompleti secondari e residui. La scelta migliore è quasi sempre quella di lasciare il più possibile il mobile intero, in modo tale da ridurre l’entità dell’intervento ed evitare sprechi, ma è a discrezione dell’operatore e della destinazione di utilizzo dell’oggetto prodotto. Prendendo come esempio uno scrittoio in legno massello, mancante del piano di appoggio, traballante, e un po’ logorato dall’uso, ma ancora in stato discreto e con intarsi di buona fattura, si possono fare diverse ipotesi. La vendita al mercato dell’usato senza modifiche, condurrebbe necessariamente ad uno svalutamento del mobile, a causa della sua incompletezza. Sono possibili allora due percorsi per agire sull’oggetto conservandone la riconoscibilità: il restauro e la riprogettazione. Un intervento di restauro è piuttosto impegnativo, in quanto sarebbe opportuno utilizzare del nuovo legno massello per riprodurre una parte consistente di mobile, con lavorazioni che necessitano di conoscenze approfondite. Riprogettare l’oggetto, è un procedimento più complesso, ma che si può facilmente sistematizzare con l’ausilio dello schema dei metodi di approccio. Trattandosi di un mobile della categoria degli “incompleti primari”, si possono ottenere diversi risultati a seconda dell’elemento con cui viene combinato. Per ripristinarlo nella sua funzione di scrittoio, una buona

idea potrebbe essere ad esempio quella di creare un piano d’appoggio con un vecchio tagliere rovesciato (completo), oppure con un’anta di un mobile (incompleto secondario), dei pezzi di legno di scarto (residui), un vecchio tavolo senza gambe (incompleto secondario) o un’asse di compensato nuovo. I risultati sono molteplici e diversi tra loro e possono essere scelti in base al gusto e alle esigenze. Non è però necessario che il mobile continui ad avere la stessa funzione per cui è stato creato. Se combinato con un fasciatoio (completo), un calcetto senza gambe (incompleto primario), un lavandino a muro (oggetto nuovo), una serie di cassetti (incompleti secondari), o un avanzo di stoffa (residui), si possono ottenere oggetti completamente diversi da quello di origine. La terza via percorribile è quella della scomposizione in pezzi dello scrittoio. Se ne ricaverebbero degli incompleti secondari (gambe) e dei residui di legno. Le gambe in questione potrebbero essere utilizzate per sostituire una gamba rotta di una sedia o un altro complemento, oppure installate sotto ad un baule, o unite ad nuovi assi o un’anta di un mobile per ottenere un tavolino da caffé. Le possibilità sono infinite poi per progettare con i residui, con i quali si possono ottenere nuove forme, oppure combinare anche questi con oggetti già esistenti, come ad esempio lampade, sedie sfondate, tavolini senza piano d’appoggio.


vista espressivo e funzionale, altrimenti sono migliori le soluzioni che contemplano il riutilizzo del mobile in quanto tale. In entrambi i casi analizzati, è più conveniente riusare gli arredi nella loro forma originale.

Anche nel caso di una sedia completa e ancora utilizzabile, ma con le cinghie della seduta logore, si possono ipotizzare gli stessi processi adottati per lo scrittoio. La sedia, può avere una valutazione migliore al mercato dell’usato rispetto allo scrittoio, ma sarebbe in ogni caso un oggetto poco durevole. Il rifacimento dell’imbottitura tale e quale è vivamente consigliabile, ma potrebbe essere una buona soluzione anche aggiornarla, in modo tale da rinnovarne l’espressività. Riprogettando l’arredo, inoltre, si possono ottenere soluzioni anche molto più articolate e rispondenti alle diverse esigenze. Innestando una lampada da lettura ad un bracciolo, si può ottenere una poltroncina da salotto, attaccando tramite perno un ripiano, si può creare una seduta-scrittoio. Se non si vuole aggiustare l’imbottitura in modo tradizionale, anche in questo caso si può scomporre l’oggetto in pezzi: ci si troverà con uno scheletro in legno(incomplet primario), ed un’imbottitura con tessuto in finta pelle. L’imbottito può essere sostituito utilizzando ad esempio una sedia senza gambe, un cuscino, degli scarti di legno o una nuova imbottitura in altro materiale. La finta pelle, invece, è utilizzabile per ottenere una seduta tripolina, unendolo con delle gambe di sgabello. La scomposizione in pezzi è generalmente da preferire quando l’oggetto di partenza non ha più valore dal punto di

La scelta del sistema migliore, va fatta basandosi sul contesto in cui deve essere utilizzato l’oggetto, sulle risorse a disposizione e sulle capacità operative di chi si occuperà dell’intervento sul mobile. Trattondosi in entrambi i casi di mobili che dovranno essere utilizzati all’interno delle abitazioni dei senzadimora e autoprodotti da loro, non è pensabile utilizzare sistemi troppo complessi quali il restauro, in quanto si tratta di un’azione che non rientrerebbero nelle loro capacità.

Per lo scrittoio è consigliabile scegliere un trattamento di secondo livello, ossia una riprogettazione a partire dal pezzo qual è: un mobile incompleto primario. Per riutilizzarlo come scrittoio, data l’instabilità, sarebbe opportuno anche livellare le gambe con una certa perizia e rinforzare la struttura per far sì che esso acquisti la stabilità necessaria. E’ interessante, allora immaginarlo con un’altra funzione, per esempio quello di mobile da bagno con lavandino a muro annesso, come quello in figura. In questo modo, fissando lo scrittoio al muro, esso non deve sostenere alcun peso, perciò si può ovviare al problema della sua precarietà. Nel caso invece della sedia la questione è più complessa. Trattandosi di un elemento completo ancora in me-

182/183


dio stato, sarebbe possibile riutilizzarla così com’è, senza modificarla. In realtà abbiamo visto che è necessaria una sostituzione delle cinghie, per far sì che la seduta duri a lungo. Inoltre, se si vuole ottenere un risultato più completo, è opportuno carteggiare la struttura in legno. Siccome per queste operazioni è necessario smontare la poltroncina, si può cogliere l’occasione per sostituire l’imbottitura con degli elementi personalizzati e semanticamente più aggiornati. In questo caso attraverso lo smontaggio dei pezzi si possono ri-analizzare gli elementi a disposizione, decidendo per ciascuno quale percorso seguire. Le operazioni sono assimilabili in parte a quelle di secondo livello, in quanto dal disassemblaggio, si ottiene una struttura di seduta (incompleto primario), ma anche a quelle di terzo livello, per quanto riguarda la finta pelle dell’imbottito, identificabile come residuo. Il percorso migliore in questo caso potrebbe essere quello di modificare la seduta a partire dalla struttura di legno (incompleto primario), montandovi sopra un’imbottitura a seconda del gusto di chi dovrà utilizzarla, realizzandola ad esempio con dei residui di legno e dei cuscini. La finta pelle rimanente potrebbe venire reimpiegata per cucire una borsa o dei borselli. Pensando di poter rendere disponibili le conoscenze acquisite durante la nostra ricerca, è stato creato un sito web, con relativo blog, in grado di illustrare le potenzialità dei rifiuti come materia prima. La reazione suscitata nei confronti dei senza dimora, quando il professor Campagnaro ha mostrato loro i proget-

ti di riuso dei nostri casi studio, è stata molto interessante: dallo scetticismo iniziale, vedere i risultati concreti che si possono ottenere è stato per loro illuminante. La conoscenza che deriva dalle suggestioni è molto efficace e stimolante e può aprire possibilità anche a persone profane dell’argomento. Ecco che allora si è ritenuto opportuno prevedere nel sito una sezione dedicata all’illustrazione dei lavori di chi fa già riuso e ha prodotti già presenti sul mercato: una vetrina di designer nazionali ed internazionali, con i relativi rimandi ai siti, che possano ispirare i futuri attori del riuso. Sarà attivo uno stumento a dipisosizione dell’utente, con il quale egli verrà guidato nei possibili percorsi da prendere a seconda dello scarto da ripristinare e i gusti e preferenze. Lo strumento si baserà sulla metodologia derivante dagli approcci analizzati per il secondo e terzo livello di intervento, con le relative combinazioni fra gli elementi. Il valore aggiunto sarà rappresentato dal blog, che costituirà una piattaforma di discussione e confronto fra le persone, in cui si potranno chiedere pareri e dare consigli. Qui verranno postati inoltre gli aggiornamenti relativi alla normativa sui rifiuti e le notizie sulle tematiche ambientali. Il valore della comunicazione è molto alto, ed è un fattore da sfruttare per aumentare la diffusione del riuso.


L

a visita svolta all’interno degli spazi comunali ha rappresentato l’oppurtinità di applicare il sistema di classificazione dei metodi, precedentemente delineato. In questo modo siamo stati capaci di dimostrare la possibile sistematizzazione dei processi applicabili sugli elementi d’arredo divisi per le seguenti categorie: - Completi - Incompleti - Residui Secondo tale “metodo”, tutti gli elementi di arredo possono essere riassunti, nei processi di messa a punto, all’interno di tale schema. Se questo modello potesse essere applicato nei contesti legati al mondo del riuso, la parte legata alla progettazione, sarebbe più semplice soprattutto all’interno di quei contesti in cui non è costante la figura dell’operatore specializzato; in questa maniera sarebbe possibile espandere la cultura del riuso in quanti più contesti possibili.

184 /185








N

ell’ultima parte di questa ricerca si è cercato di elencare quelle problematiche specifiche e le relative strategie volte alla risoluzione di tali problemi o al miglioramento di quelle attività già attive e funzionanti.


4

parte/

S t r a t e g i e


Definizione delle Strategie/

N

el corso della ricerca sono state individuate le potenzialità delle attività di riuso già esistenti e le caratteristiche da sfruttare, inoltre state messe evidenza le grandi quantità di materiale che viene inutilmente sprecato e le motivazioni di questo fenomeno. Definendo con esattezza le reali problematiche da risolvere e combinandole con le risorse e le potenzialità a disposizione, si possono delineare delle strategie d’azione, per far sì che il riuso possa essere realmente una risposta ai bisogni della società e venire adeguatamente valorizzato come attività produttiva. Anche se lo studio è stato condotto principalmente sul mobile dismesso, la maggior parte delle problematiche e delle strategie sono espresse in termini generali e sono valide in tutti gli ambiti del riuso, da quello degli elettrodomestici a quello degli abiti.

Problematiche/

I

l problema ambientale generato dalla grande quantità di rifiuti da smaltire è in parte legato anche allo spreco di materiale, potenzialmente riusabile, che entra invece nel ciclo della dismissione, principalmente a causa di due diversi fattori: la scarsa cultura del riuso e la normativa sui rifiuti. La scarsa cultura è

generata a sua volta dalla poca sensibilità all’acquisto del prodotto di riuso e alla tendenza a gettare beni, prima che essi siano giunti realmente a fine vita. Questi comportamenti sono frutto del consumismo, che spinge a comprare molto di più di ciò che è veramente necessario, in sostituzione ad oggetti che avrebbero ancora la possibilità di essere usati. Come si è visto nei capitoli precedenti, la concezione dell’usa e getta, purtroppo, favorisce lo spreco di risorse e genera problematiche a monte, in quanto fa sì che vengano prodotti molti più rifiuti di quanti se ne produrrebbero con una responsabilità comune più radicata. La questione culturale, più in generale, è legata al concetto di valore che comunemente viene attribuito ai beni e in particolar modo al prodotto di riuso. Acquistare un oggetto di seconda mano non è nobilitante e viene considerato ancora un’azione legata a ristrettezze economiche. Non è così per tutte le categorie di oggetti, fortunatamente: se si parla di mobili d’antiquariato o accessori vintage, il valore è riconosciuto, ma il mercato è di nicchia, anche a causa dei prezzi alti. La maggior parte delle persone, infatti, non prende neanche in considerazione la possibilità di acquistare l’usato, specialmente quello non d’epoca e non di marca, perché la considera un’azione “sporca”, in quanto l’oggetto ha già avuto una sua storia ed è già appartenuto ad un’altra persona. Abbattere tutte queste convinzioni e scorciatoie di pensiero, esaltando invece la bontà dell’azione e i vantaggi che se


ne possono trarre, potrebbe realmente ridurre enormemente gli sprechi. La comunicazione in questa direzione è pressoché inesistente: il tema passa in sordina e sono i singoli commercianti a dover provvedere alla propria pubblicità tramite volantini e siti internet, accattivandosi i clienti e dando loro la possibilità di vendere a loro volta il proprio usato. L’azione di riuso, però non consiste solo nella compravendita dell’usato, ma anche nella modifica e nell’aggiornamento degli oggetti in modo tale che la loro vita venga allungata considerevolmente, anche cambiandone la funzione. Questa operazione di modifica, però è da fare con accortezza. La scarsa conoscenza dell’ecoprogettazione, infatti, produce un’altro tipo di problematica: talvolta, con le migliori intenzioni, ci si può cimentare in azioni di riuso che hanno come risultato finale un prodotto inutile e poco durevole, oppure difficile da smaltire in quanto non disassemblabile, trattato con sostanze nocive o combinato in modo irreversibile con materiali non riciclabili. Questo tipo di problematica è legata ad una questione di formazione professionale, più che di sensibilità al tema, ed è il principale motivo per cui il riuso domestico non può essere l’unica via percorribile. Le ristrettezze imposte dalla normativa non dovrebbero essere un problema rilevante se ci fosse un’adeguata responsabilizzazione dei cittadini, in quanto non verrebbero più abbandonati oggetti riusabili.

Ad oggi, però, come si è potuto verificare dalle indagini sul territorio, l’abbandono è un fenomeno molto diffuso e l’impossibilità di recuperare i rifiuti in modi diversi dal riciclo, chiude molte strade. Molte aziende, pur volendo compiere azioni di riuso, non possono farlo in modo autentico, utilizzando cioé materiale proveniente realmente dal mondo degli scarti, e dunque si limitano a comunicare che il riuso è possibile, creando dei simulacri ecologici: prendere un oggetto nuovo e utilizzarlo per generare un altro prodotto, non è un’azione degna di nota dal punto di vista della sostenibilità, in quanto non genera un processo reale, in grando di evitare gli sprechi. La poltrona Voddenstoel di Tejo Remi, realizzata con coperte sovrapposte e tenute insieme da corde, è un oggetto di falso riuso, se prodotto con coperte nuove. E’ però in ogni caso un arredo che comunica un’azione possibile e che può dunque generare dei processi mentali e dei comportamenti corretti in coloro che vengono a contatto o a conoscenza del prodotto. Sorpassare le barriere della normativa aprirebbe la possibilità di compiere un’azione autentica anche su scala industriale. Praticare il riuso massivo é infatti impensabile, fino a quando rimarranno le suddette restrizioni. Nel caso in cui fosse possibile il riutilizzo dei rifiuti, però, le variabili della materia prima creerebbero altri ostacoli. L’approvvigionamento del materiale sarebbe incostante, in quanto ad oggi non esiste l’organizzazione ne-

193 /194


cessaria per smistare la merce per tipologie di oggetti, all’interno delle isole ecologiche. Le differenze di trattamento da riservare a ciascun elemento pervenuto e le diverse condizioni di rirtrovamento degli oggetti, infatti, fanno sì che sia necessaria una struttura di differenziazione del materiale, per poterlo rivendere in modo selezionato a terzi. Per iniziare qualsiasi attività legata al riuso di grossi quantitativi di beni, è necessario avere una garanzia sulle forniture, che gli attuali sistemi non possono quindi fornire. Il problema è dunque prevalentemente di tipo organizzativo, perché, come è stato verificato, le quantità di rifiuti prodotti sono molto consistenti.

Potenzialità/

N

el corso della ricerca sono emerse delle potenzialità di tipo ambientale, socio-economico e strategico che potrebbero essere sfruttate per favorire e facilitare le attività di riuso. Prima fra tutti è la grande mole di materiale riusabile che potrebbe risolvere un duplice problema: la scarsità di risorse e lo smalitimento dei rifiuti. Il riutilizzo degli scarti eviterebbe l’estrazione e la lavorazione di nuove risorse, che sono sempre più scarse, e al contempo permetterebbe di rimandare il loro smaltimento e diminuire indirettamente i quantitativi in discarica. Inoltre, il loro impiego costituirebbe una nuova offerta di merce a costo così basso da poter essere utilizzata per soddisfare le esigenze della parte meno abbiente della popolazione. Una vera e propria potenzialità sociale, per rispondere in parte ai problemi della povertà. Per quanto riguarda il cibo, molto viene già fatto tramite i Last Minute Market, che recuperano i prodotti che rimarrebbero invenduti per sfamare i più bisognosi. Lo stesso

potrebbe essere fatto anche con i beni di prima necessità, gli abiti e gli arredi. Un’altra potenzialità è rappresentata dai raccoglitori informali, che dispongono di grande esperienza e conoscenze nel campo dei rifiuti, e sono molto numerosi. Collaborare con le persone che praticano questo tipo di attività, anziché combatterle, potrebbe aumentare notevolmente le quantità di materiale raccolto, facendo sì che possa entrare in circoli virtuosi, e allo stesso tempo garantirebbe condizioni di lavoro più salubri per questi operatori, oltre alla loro regolarizzazione. Infine c’è un’enorme potenziale operativo, rappresentato dalla progettabilità dell’attività di riuso. Le dinamiche che ne stanno alla base, sono il punto di partenza su cui impostare le strategie d’azione, per avere la massima efficienza. Sono stati individuati innanzitutto i tre livelli di intervento sui quali è possibile operare per trattare le merci di scarto, illustrati nella parte 3. I tre livelli (senza intervento, riparazione e modifica, riprogettazione), corrispondono a tre/quattro diversi tipi di mercato, già esaminati in precedenza. Tenere conto di questa distinzione ed enfatizzarla, sviluppando parallelamente i diversi mercati e servizi, potrebbe aiutare i consumatori a orientarsi più facilmente nella scelta, ma soprattutto costituirebbe una distinzione dei vari approcci e delle relative professionalità. Volendosi disfare di un oggetto, il cittadino avrà la possibilità di scegliere se rivenderlo così com’é, ristrutturarlo, sottoporlo ad un intervento di modifica o utilizzarne il materiale come nuovo semilavorato, determinandone così anche il nuovo valore. Un’altra potenzialità da tenere in considerazione è quella della forte programmabilità e ripetibilità degli approcci di riuso, per quanto riguarda l’azione di modifica e riprogettazione dello scarto. Lo studio condotto sulla combinazione, ripetizione e decontestualizza-


zione dei complementi d’arredo a seconda della loro interezza, ha portato al raggiungimento di un metodo operativo valido e ripetibile, ma si potrebbero condurre altri studi in altrettanti ambiti, creando metodi di riutilizzo sistematico per diverse tipologie di oggetti. Con sistemi di questo tipo, anche senza una conoscenza approfondita di progettazione e senza particolari sforzi di ingegno, persino un non professionista può cimentarsi in un’azione di modifica del proprio oggetto di scarto o per lo meno avere un’idea di che cosa è possibile ottenere. Infine, la dinamica più interessante dalla quale trarre ispirazione e vantaggio, è quella legata ai contesti del riuso trattati nella parte 2. É stato rilevato che l’efficacia delle diverse attività di riuso varia a seconda di chi lo pratica, con quali motivazioni, con quali mezzi e per quali fini. Ad esempio, l’attività di un designer (ambito professionale) ha dei pro e dei contro rispetto a quella di una cooperativa sociale. Il designer infatti, non ha disposizione i grandi quantitativi di mano d’opera e di materiale di cui può disporre una cooperativa, ma ha sicuramente molta più dimestichezza con il progetto e una maggiore esperienza.

Strategie/

L

e strategie da mettere in atto per migliorare e sostenere il mondo del riuso si muovono su diversi fronti ma fanno parte di un’unica macrostrategia. Se da un lato è importante rivalutare il concetto di riuso, andando ad agire sui meccanismi psicologici delle persone, dall’altro lato è necessario progettare le operazioni che riguardano la messa in atto del riuso e il trattamento del materiale di scarto. Il segreto perché tutto funzioni è il coordinamento delle parti, come già avviene per il riciclo. La questione del potenziamento della cultura del riuso è da affrontare su più fronti, anch’essi interconnessi: la promozione, l’educazione e la formazione operativa. L’azione dei media, è fondamentale per contrastare nello stesso canale la spinta al consumismo. Oltre a promuovere la bontà dell’azione di riuso, é proprio necessaria una pubblicizzazione dei prodotti provenienti da scarto, per far sì che essi possano competere con quelli derivanti dall’industria.

Unire le forze, le capacità, possibilità e conoscenze implementerebbe quantitativamente e qualitativamente tutti i risultati.

La sola forza dei media, però, non è sufficiente: serve anche una sensibilizzazione più generale sul tema ambientale, molto più consistente di quella che già viene fatta. Ogni mezzo è accetto, dal cinema alle mostre, alle fiere.

Inoltre, se le associazioni e le altre attività esistenti venissero sostenute con più convinzione e aiutate a crescere, i risultati raggiungerebbero livelli insperati.

Inoltre sarebbe opportuno, per evitare la produzione di oggetti di falso riuso, creare un marchio o un sistema di certificazione che permetta di garantire la provenienza

195 /196


effettiva del materiale da rifiuti. L’azione di promozione dev’essere necessariamente affiancata da quella di educazione al tema, che dev’essere guidata prevalentemente dalle istituzioni: è compito dei Ministeri dell’Educazione e dell’Ambiente provvedere all’inserimento nei programmi scolastici di laboratori e attività dedicate al riuso e alla divulgazione di materiale informativo sull’argomento. Con la promozione di eventi dedicati, laboratori e attività didattiche aperte a ogni fascia di pubblico si può poi incrementare l’azione delle istituzioni. La forza dell’educazione è molto incisiva e può velocizzare notevolmente l’evoluzione culturale. E’ fondamentale poi, che venga data la giusta formazione a chi pratica il riuso per far sì che venga condotto nel miglior modo possibile. Corsi, seminari e laboratori per imparare i principi dell’ecodesign. La progettazione dell’attività di riuso é riconducibile a due filoni operativi: la previsione di una vita molto più lunga dei nuovi prodotti, mediante una progettazione lungimirante (azione a monte) e la gestione organizzata ed efficiente dei rifuti (azione a valle). Il primo filone consiste nella progettazione per componenti, in modo tale da permettere l’aggiornamento dei prodotti mediante sostituzione di piccole parti, invece di sostituire l’intero oggetto, oppure nella previsione di un nuovo utilizzo dell’oggetto tramite la progettazione di punti di rottura strategici, come ad esempio nel caso del centrotavola “Una seconda vita” di Paolo Ulian, o di altri escamotage intuitivi, come il vasetto di Nutella che diventa bicchiere da tavola.

Il riuso a valle, invece, va organizzato e progettato nei suoi sistemi, nella sua logistica e nelle sue modalità. Un sistema possibile è quello di far sì che

siano gli stessi produttori di beni a provvedere al riuso dei loro prodotti. E’ la soluzione più efficace per quanto riguarda i processi industriali: se coloro che provvedono alla progettazione dei pezzi, fossero anche gli stessi ad occuparsi del loro riuso, essi sarebbero in grado di creare dei veri e propri sistemi di recupero interni all’azienda. Per seguire l’andamento del mercato, infatti, le aziende si potrebbero permettere di ideare dei prodotti di breve durata, prevedendone però un sistema di modifica o riprogettazione, per poterli rivendere come nuovi prodotti. Questo tipo di approccio permetterebbe di evitare il grosso ostacolo della differenziazione del materiale che arriva alle isole ecologiche, aumentando la specializzazione dei processi, ma lascerebbe il monopolio operativo alle aziende produttrici, che dovrebbero venire tutte obbligate ad adottare questa politica, altrimenti il sistema non funzionerebbe. In questa tesi è stata considerata prevalentemente l’azione di riuso operata da terzi in quanto consente molte più modulazioni ed è obiettivamente la più plausibile da mettere in atto. Esistono già associazioni, centri del riuso, aziende e professionisti che lavorano in modo efficace e che contribuiscono ogni giorno ad alleggerire i quantitativi di rifiuti da smaltire, riutilizzando oggetti dismessi. La loro azione, però, è circoscritta alle loro possibilità: moltiplicando il numero di queste attività, i risultati potrebbero realmente generare dei cambiamenti significativi nel panorama economico e ambientale del nostro pianeta. Aumentarne la portata non sarebbe però sufficiente: bisogna puntare a migliorarne esponezialmente la qualità. Ecco allora che creare delle reti di collaborazione fra tutti gli attori del riuso sarebbe una scelta vincente per potenziarne le azioni, mettendo in condivisione le forze e le conoscenze. Come già spiegato nell’analisi delle potenzialità, le competenze e le possibilità operative variano


a seconda dei contesti, perciò realizzare una sinergia tra le parti è la soluzione più ovvia ed efficace per far sì che i rifiuti diventino realmente delle risorse. La collaborazione è possibile se già i sistemi di gestione dei rifiuti vengono predisposti per far sì che ciò avvenga. La raccolta dev’essere organizzata in modo tale da prevedere lo smistamento in categorie più specifiche del materiale in entrata: l’insieme degli “ingombranti” comprende una vasta varietà di elementi che hanno pochi punti in comune fra loro. La suddivisione in tipologie, è un’operazione indispensabile a permettere l’indirizzamento del materiale verso i canali di riuso più opportuni. Oggi invece la merce viene trattata indistintamente, ed è lo stesso rigattiere o designer a dover operare una selezione fra il materiale a disposizione, tralasciando inevitabilmente gli elementi di cui non si può occupare. La logistica relativa alla gestione dei rifiuti dev’essere dunque centralizzata e il materiale a disposizione inventariato, per far sì che possa essere reso fruibile. Infine anche le modalità di trattamento del materiale stesso possono essere sistematizzate. Catalogare gli approcci e definire le linee guida di un processo di riuso rende più semplice la progettazione. Gli scarti hanno diversi gradi di similitudine, sui quali si può giocare per rendere ripetibili delle operazioni anche su prodotti apparentemente diversi tra loro. Le strategie delineate sono per ora solo degli input, dei percorsi possibili, ma nel caso in cui riuscissero veramente a venir messe in atto, il panorama economico e sociale subirebbe un’incredibile mutazione. Il riuso è solo uno dei modi per far sì che il nostro stile di vita non gravi più sul declino ambientale, ma entri sempre più in sintonia con i cicli della natura. C’é molto lavoro da fare: la sfida è aperta.

197 /198







Didesign: ovvero niente

Bibliografia/

Strumenti critici e criticabili per leggere la produzione degli anni zero.

La seconda vita delle cose,

Michele Cafarelli, Chiara Comuzio, Espress Edizioni.

Il riutilizzo, nuova frontiera per la gestione dei rifiuti.

Rifiuti zero,

a cura del Centro di Ricerca Economica e Sociale dell’Occhio del Riciclone

Una rivoluzione in corso. Paul Connett , edito da Dissensi, 2012.

Design del riuso, Quando un problema diventa una soluzione. Emanuela Pulvirenti, edito da La Mongolfiera.

Dalla scarsità all’InfInIto, Sintesi del Panorama mondiale dei rifiuti. Philippe Chalmin, Catherine Gaillochet,2009.

La civiltà del riuso Riparare, riutilizzare, ridurre.

Testo Normativo

Guido Viale, editori Laterza, 2010.

Direttiva 2008/98 , Decreto Legislativo 205/2010.

Azzerare i rifiuti, Vecchie e nuove soluzioni per una produzione e un consumo sostenibili.

Sitografia/

Guido Viale Bollati Boringhieri, 2008. www.responsabilitecnici.it Sobrietà, Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti.

www.dallascityhall.com

Gesualdi Francesco, editore Feltrinelli, 2005.

www.iswa2012.org wiego.org

Il Fare Ecologico, Il prodotto industriale e i suoi requisiti ambientali. Lanzavecchia Carla, edito da Time & Mind.

www.wantchinatimes.com www.colby.edu theme.cepd.gov.tw siteresources.worldbank.org

203 /204


www.wastexchange.co.uk www.manualihoepli.it

www.manualihoepli.it www.iswa2012.org

www.rifiutilab.it www.amiat.it eur-lex.europa.eu www.regione.piemonte.it www.riuso01.it extranet.regione.piemonte.it www.provincia.pu.it www.letsrecycle.com

www.ilcambiamento.it www.terranews.it

www.frn.org.uk

www.iswa.org

www.nyc.gov

www.storyofstuff.org

www.hemmaikea.it eur-lex.europa.eu www.enea.it www.economist.com www.wds.worldbank.org data.worldbank.org www.epa.gov assembly.coe epp.eurostat.ec.europa.eu www.isprambiente.gov.it www.waste-management-world.com www.ijest.info www.occhiodelriciclone.com

www.soloecologia.it www.comune.torino.it www.campolibero.it www.unep.or.jp www.globalrec.org www.aamterranuova.it www.wiego.org www. rataplam.altervista.org www.orbuk.org.uk www.redattoresociale.it www.naba.it www.moodroom.it www.econote.it


205/206



Ringraziamo/ A conclusione del lavoro di tesi ci sembra doveroso dire grazie a tutti coloro, che in un modo o nell’altro, ci hanno accompagnato in questi tre anni di studi, con particolare riserbo e attenzione per chi ci ha affiancato in questi ultimi sei mesi di redazione tesi. In primo luogo ringraziamo il nostro relatore il Prof.Cristian Campagnaro, per averci sostenuto durante tutti il percorso di ricerca con professionalità e pazienza, coinvolgendoci attivamente in nuove indagini e interessanti opportunità. Un sentito grazie al sig. Marco Rossi (capo dei servizi territoriali dell’Amiat) e Luca Rabino, che ci hanno dato la possibilità di entrare nella realtà legislativa e logistica della gestione dei rifiuti della città di Torino. A Pietro Luppi Direttore del Centro di Ricerca Economica e Sociale Occhio del Riciclone, autore del libro “La seconda vita delle cose”, che è stato per noi punto di riferimento lungo tutta la ricerca. Un ringraziamento particolare va a : Andrea Magniani, Boris Bally, Alicucio, Mauro e Riccardo Galliano , Alessandra Ochetti, Lo Studio Ubico di Tel Aviv, Andrea Bouquet, e Alessandro Mora i quali, attraverso le interviste, ci hanno raccontato la loro esperienza legata al riuso diventando per noi fonte di ispirazione. Un caloroso grazie ai nostri genitori, per aver creduto sempre in noi e nelle nostre capacità, per il sostegno economico, e per i pranzi e le cene moltiplicati per tre. Per aver sopportato i repentini cambi d’umore e i momenti di ansia ingiustificata, per averci spesso appoggiato, prestato case, macchine e bici al fine di completare la stesura della tesi. Grazie a Colorit S.r.l per la stampa e la rilegatura della tesi e a Florin per la professionalità e l’aiuto concesso. Inoltre ringraziamo Fab Lab, per averci realizzato la copertina a taglio laser, e VD Graphic Design per l’aiuto nella programazzione del sito.Ringraziamo poi, tutti coloro che si sono uniti alla nostro gruppo di Facebook e che sono stati i nostri occhi nella ricerca di mobili abbandonati. Infine, un grande grazie a noi stessi, alla pazienza, alla curiosità e alla forza di volontà che ci ha aiutato ad andare avanti con energia in questi ultimi mesi, per essere riusciti ad andare d’accordo e a sopportarci quasi sempre e per essere cresciuti e maturati insieme. Fabrizio, Giulia e Francesca

207/208



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.