Disprezzo per il lavoro manuale
Etimologia della parola lavoro
L
a parola lavoro deriva dal latino labor (fatica, sforzo, pena, travaglio, dolore…) che insieme alle voci laborare, laboratio… si rifanno al latino labare (vacillare sotto un peso), tutte parole connotate da un significato negativo di fatica, pena, sofferenza. Lavoro in greco è reso dalla parola pónos con il significato di affannarsi, faticare, da cui anche il termine penía (povertà, indigenza, penuria). Anche nelle moderne lingue europee, come il francese Travail, travailler, lo spagnolo trabajo e persino il tedesco Arbeit, hanno lo stesso significato negativo di peso, affanno, sofferenza. Dal punto di vista
N
elle epoche più arcaiche delle grandi civiltà mediterranee le comunità sumere, assire, babilonesi, egizie, greche e romane, imponevano ai componenti della comunità di lavorare nelle proprietà comuni. In questo caso il lavoro non era visto come una imposizione disonorevole, ma come partecipazione allo sforzo della comunità per reperire i mezzi di sussistenza e di sviluppo. Quindi il lavoro era fonte di dignità e attirava il favore degli dei. Con l’evolversi di queste grandi civiltà, si innesta un vero e proprio disprezzo per il lavoro manuale, fomentato dalle caste di intellettuali che si erano formate nelle aree di privilegio economico e sociale. Per giustificare il loro ruolo nella collettività, che prosperava sul lavoro altrui e sulla divisione classista della società, alimentavano il discredito del lavoro manuale che di conseguenza veniva affidato sempre di più agli schiavi. Dagli scribi dell’antico Egitto, dai quali prende il via questo fenomeno, ai greci
etimologico, dunque, la parola lavoro appartiene all’universo semantico della povertà, della fatica e del dolore.
Il Lavoro degli inizi
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elle primitive culture costituite di cacciatori nomadi, la concezione del lavoro non prevedeva l’accumulo di provviste per i giorni a venire. Sia l’ampia disponibilità di prede, sia l’impossibilità di conservarle a lungo, consigliavano di badare solo al fabbisogno di ogni giorno. Con l’avvento dell’agricoltura e della sedentarietà che la caratterizzava, sorsero vari problemi: la ricerca di sempre nuovi appezzamenti da coltivare, la conservazione dei prodotti, l’estendersi del fenomeno delle razzie e
delle depredazioni. Da qui gli scontri, i combattimenti e la conseguente schiavizzazione dei vinti. Questo ed altri molteplici fattori hanno fatto della schiavitù, nelle sue varie forme, un fenomeno tristemente “normale” fin dalla preistoria in quasi tutte le popolazioni dell’area mediterranea. La considerazione negativa, dispregiativa e disonorante del lavoro manuale deriva certamente dal fatto che il lavoro, specialmente se pesante e disgustoso, era normalmente svolto dagli schiavi.
IL PICCOLO PRINCIPE
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e Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry troviamo la figura del lampionaio. In un pianeta così piccolo da entrarvi solo lui ed il suo lampione, il lampionaio ha avuto la “consegna” di accendere il lampione la sera e spegnerlo alla mattina. E lui rimane fedele alla “consegna” anche quando il pianeta accelera la sua corsa fino a compiere un giro di rotazione al minuto, costringendo il lampionaio ad accendere e spegnere il lampione una volta ogni minuto, impedendogli anche di riposare. E il Piccolo Principe trova quest’uomo molto simpatico e l’unico col quale sente di poter fare amicizia, non solo
Platone e Aristotele, ai romani Cicerone e Seneca, si fissa il concetto che il lavoro manuale non è roba da uomini liberi, ma da schiavi, e tutte le persone “perbene” devono disprezzarlo e fuggirlo.
La Bibbia
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na posizione molto singolare è rappresentata dalla cultura ebraica, e quindi dalla Bibbia, che tiene molto in alto il valore del lavoro. La Bibbia colloca tra i Dieci Comandamenti il dovere di lavorare e il diritto del giusto riposo. Anzi, di più: il Signore stesso lavora per sei giorni alla sua Creazione e si riposa il settimo giorno. Anche l’uomo è posto nel Giardino, perché lo lavorasse e lo custodisse (Gen 2,15). Da rilevare che il peccato dei progenitori non provoca la maledizione del lavoro, ma quella del suolo, della terra (Gen 3,17-18): il lavoro diventa “duro” perché mutano le condizioni in cui esso è svolto. Nel Nuovo Testamento Gesù sottolinea in molti modi l’importanza del lavoro, ma ne rimarca anche la natura strumentale: Cercate il Regno di Dio, e le altre cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6,33). Gli Apostoli poi sono chiarissimi: chi non vuol lavorare neppure mangi (2Ts 3,10).
LLAA TESSITURA ... CENNI DI STORIA
perché rimane eroicamente fedele alla “consegna”, ma anche perché fa un lavoro veramente utile, perché bello: quando accende il suo lampione è come se facesse nascere una stella in più, o un fiore; quando lo spegne, addormenta il fiore o la stella.
L’
arte della tessitura nasce con il passaggio dalla fase di cultura nomade (costituita da cacciatori) a quella di allevatori-coltivatori (più stanziale). Difficile poter precisare il tempo in cui fu inventato il primo telaio. Da ricerche archeologiche e testimonianze di vario genere si sa che la tessitura era praticata in Paesi quali la Cina, l’Egitto, la Grecia, la Palestina… Famosa è la “tela di Penelope” cantata nell’Odissea (sec. VII a.C.). I Greci e Romani conoscevano la Cina come il Paese della seta e comperavano questo tessuto che arrivava per la “Via della Seta” (dalla Cina a Bisanzio), in stoccaggi già confezionati. A Roma si lavorava la lana in officine spe-
cializzate con manodopera prestata dagli schiavi. Con la caduta dell’Impero Romano, si tornò al semplice piccolo telaio di casa. Verso la metà del sec. XII la lavorazione della lana si diffuse in tutto il Nord-Italia per opera della “Confraternita degli Umiliati”, e divenne ben presto un settore organizzato in potenti corporazioni. Dal Risorgimento in poi la tecnologia in continuo sviluppo permise di raggiungere livelli di lavorazione sempre più avanzati che, con l’invenzione del telaio di Jacquard (1808) a schede perforate, si aprirono a possibilità praticamente senza limiti.
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