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ALI/TAGLIA
Come sarà il nuovo decollo?
Mensile di di cultura religiosa religiosa e popolare Mensile Mensile di cultura cultura religiosa ee popolare popolare
Dove vanno i nostri soldi
bile, cioè intesa a realizzare il bene comune. Non so quanto questa finalità ideale sia accolta nei programmi ministeriali e praticata nel presente dentro alle aule scolastiche. Si consideri che poi tutto passa attraverso la figura degli insegnanti, a loro volta formati in certe scuole e università. Per cui va a finire che è questione di fortuna, se si incontrano o meno dei buoni docenti, che avvertano la grande e non quantificabile responsabilità di plasmare i discenti. Gli istituti scolastici dovrebbero guadagnarsi la loro buona fama costituendo un complesso di formatori invidiati dai concorrenti, siano pubblici o privati.
on la brutta stagione, nella quale stiamo entrando, con le notti lunghissime e gelide, le piogge prolungate e le nevicate, la loro già precaria situazione peggiorerà ulteriormente. Si sta parlando dei senza casa e senza dimora. La categoria ormai non comprende più soltanto i barboni. La “povertà di strada” si è fatta adesso più variegata. Dai singolari, non di rado coloriti, personaggi quasi... per vocazione orientatisi a campare alla giornata dove e come possibile, in adesione alla propria indole, la categoria si è spinta ad abbracciare altre figure, “sbandati” nostrani oppure immigrati. Quale consistenza numerica ha questo “popolo”, in Italia e in Europa? Qual è, nel dettaglio, la sua esistenza? Nel tentativo di dare risposte esaurienti a questi interrogativi nel vecchio continente nel 2010 si svolgerà l’anno degli homeless. Nel nostro Paese, tra infinite difficoltà, sta procedendo il censimento generale di quelli che un tempo erano denominati “vagabondi”. Conducono l’operazione il Ministero del Welfare, l’Istat, la Caritas, la federazione che raggruppa le circa 70 associazioni di diversa connotazione che si occupano da tempo formalmente e informalmente dei privi di tetto e di residenza stabile. Mettendo a frutto gli elementi nelle loro mani questi organismi hanno sin d’ora messo a punto un quadro approssimativo della realtà. In Italia attualmente gli homeless oscillano tra i 70mila e i 100mila; circa l’82% sono maschi, il 18% sono femmine. La loro età spazia dall’adolescenza alla vecchiaia; prevalgono (30,9%) quelli tra i 28 e i 37 anni; sono parecchi (23,1%) pure quelli fra i 38 e i 47 anni; il 16% hanno dai 48 ai 57 anni; il 15,5% contano meno di 27 anni; l’8,7% vanno dai 58 ai 64 anni; gli ultrasessantacinquenni costituiscono il 5,8% del totale. Tra gli homeless non mancano i laureati (3,9%); più del 17% hanno un diploma di scuola media superiore; il 34% circa hanno ottenuto la licenza media; gli altri, se non sono analfabeti, poco ci manca. Nella massa, come numero, immigrati e italiani si equivalgono, o quasi, negli anni che stanno correndo; in passato il rapporto, ovviamente, era diverso, nel senso che clochards e “barboni” erano quasi tutti indigenti.
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Casa Bianca, lo sprint finale
La situazione finanziaria dall’Oriente all’Occidente è in grave e perdurante difficoltà. Negli USA si assiste alla caduta dei giganti, che produce un pauroso effetto domino. Nelle borse si continua a sentir parlare di giorni neri e di tracolli. Dove stanno andando i nostri risparmi? Intervista, servizi e approfondimenti alle pagine 3, 4 e 5
Claudio Todeschini
Ennesima riforma della scuola: che non sia solo forma
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PROMOZIONE PIÙ IMPORTANTE di Ulderico Bernardi*
7 EDUCAZIONE
Il bambino quando è iperattivo Bruno del Frate
9 CANZONI
Il “Signore delle Cime” ha 50 anni Magda Bonetti
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Il popolo della strada di Mario Collarini
Claudio Bonvecchio
STATI UNITI
Anno 50 - Gennaio 2007 / n. 1 Anno 51 Luglio 2007 78 Anno 51 --Agosto - Ottobre 2007 / /n.n. AnnoAnno 51 - 51 Novembre 2008 / n. 1110
sempre da presuntuosi voler dare il voto alla scuola. Dunque, più che sulle forme organizzative e sui percorsi del sistema scolastico nazionale di cui oggi molto si parla, vale la pena ragionare su quale ne sia lo scopo e come si raggiunga. Gli uomini, fin dalla fondazione del mondo hanno avuto il problema di trasmettere il sapere via via accumulato dalle generazioni. Gli animali hanno l’istinto, per cui perfino l’amore diventa un fatto automatico: scatta solo in certi periodi dell’anno. Ma l’uomo è anche un animale. Per certe funzioni biologiche, che condivide con tutte le creature. I suoi bisogni materiali sono comunque indisginguibili da quelli spirituali. Tant’è che sono i valori a stabilire la gerarchia delle necessità fisiche, da soddi-
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sfare secondo esigenze dettate dalla cultura, in ogni comunità. Il primo studio da farsi - ha scritto Simone Weil, grandissima pensatrice, morta giovane più di sessanta anni fa - è quello dei bisogni che sono per la vita dell’anima l’equivalente dei bisogni di nutrimento, di sonno, di calore, per la vita del corpo. Primo fra tutti è il bisogno di radicamento, di sentirsi parte di una comunità viva, che ha accumulato grazie alla fatica e all’intelligenza degli antenati un patrimonio di conoscenza, una storia di eventi, una memoria di personaggi, una capacità di stabilire dei rapporti tra la terra e il cielo, l’esperienza di leggi naturali ed eterne. Tutto questo forma la bellezza del mondo, ed è precisamente l’obiettivo dell’educazione e dell’istruzione in ogni società sta-
*docente di sociologia dei processi culturali all’Università di Ca’ Foscari, Venezia
I poeti e il futuro dell’italiano Geo De Ròbure a pagina 15
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La promozione più importante di Ulderico Bernardi ➣ dalla prima
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urtroppo sono più spesso il caso, le regole sindacali o perfino le raccomandazioni, a mettere in cattedra maestri e professori. E una volta fatta, non ci sarà praticamente più la possibilità di rivedere la scelta. Da quando in testa alle persone si è posto il concetto che i diritti vengono comunque prima dei doveri tutto si è fatto più difficile. Immiserendo il ruolo della coscienza. In questo scenario generale di precarietà delle relazioni umane, dove l’individualismo la fa da padrone e anzi viene fatto coincidere con il progresso, ogni riforma della scuola è per forza destinata a rimanere solo parzialmente soddisfacente. Il ritorno al maestro unico: buona cosa per rafforzare il senso di affetto e la consuetudine al dialogo nella delicata età formativa. Nulla vieta che si allarghi la cerchia docente con portatori di conoscenze specifiche: dalla religione, al computer, all’inglese. Il grembiule scolastico: buona cosa per rafforzare il senso di appartenenza a una comunità. Peccato ci si limiti a quest’aspetto. Nelle scuole anglosassoni, per esempio, oltre alla divisa, si sollecita lo spirito di comunità con una larga pratica sportiva nella scuola, e in altre forme che spingono alla competizione e alla comparazione. Tornerà utile per ridare alla parola Patria il suo valore, nel confronto fecondo con ogni altra Patria del mondo. Il voto di condotta, che premia la dedizione ai doveri e punisce la mancanza di rispetto verso la persona umana, è forse la più saggia tra le misure ora proposte dalla nuova ministra della Pubblica Istruzione. Per tornare a Simone Weil, la quale considera la punizione un bisogno vitale dell’anima umana, ciò che conta è fornire ai giovani la consapevolezza che il provvedimento punitivo va considerato un’educazione supplementare ad essere maggiormente devoti al pubblico bene. Vale per il bullo o il vandalo minorenne, come per il cittadino adulto. Sempre che si consideri l’età evolutiva come il cuore della formazione, da cui verrà a dipendere il comportamento nelle altre fasi del ciclo vitale. C’è un interesse che si colloca al di sopra di ogni altro: realizzare il benessere comunitario attraverso l’educazione al rispetto della persona umana in quanto tale. Uomo, donna, bianco, nero, occidentale, orientale, abile e diversamente abile, adulto e fanciullo. Nessuno nasce formato. La delicatezza del compito (dovere) che tocca agli educatori, dentro alla famiglia e nelle istituzioni, dalla Chiesa, allo Stato, alle associazioni di ogni genere che formano la rete intermedia della socialità, è grande e investe ciascuno.
CONTROLUCE Roberto Saviano autore di Gomorra
Condannato a una vita in fuga C
os’ha fatto di male? Cos’ha fatto di così tanto male da dover vivere (vivere?) scappando, attorniato da quattro angeli custodi armati che giorno dopo giorno gli fanno compagnia oltre a proteggerlo? E non ha ancora trent’anni. Cos’ha fatto di così pericoloso e cattivo da dover subire gli strali di un certo Emilio Fede, sì, quel direttore del tg di una rete che dovrebbe (per legge, ma la legge dov’è?) starsene sul satellite e che invece senza contradditorio alcuno lo spernacchia vantandosi : “Io non mi sono mai lamentato di dover vivere sotto scorta”? Parola d’onore, io l’ho visto Fede scortato. Arrivava a Bergamo (probabilmente da Milano) seguito da due automobili con tanto di lampeggiante in funzione per andare a tagliarsi i capelli da un parrucchiere di grido della città. Poveretto, che vita! Per Roberto Saviano l’esistenza è un pochino più complicata, ammettiamolo. Il suo errore, l’errore che lo ha condannato a una vita in fuga, lonta-
abiti griffati e borsette degli stino da amici parenti e fidanzalisti più di grido che poi verranta, senza un casa (perché nesno venduti a costi esorbitanti. suno è così pazzo da affittarglieIl giovane Saviano racconta la) è stato quello di scrivere un episodi che in fondo tutti conolibro. Un libro in cui racconta scono o di cui tutti hanno sennient’altro che la verità. La vetito parlare. Racconta, descrive, rità su una realtà di questa tripubblica. Sarebbe andato tutto ste e un po’ sporca penisola: c’è liscio, per lui, un gruppo di se fosse finita lì. potere, i casaleSe Gomorra si di Casal di Autore di un libro non avesse Principe prodi denuncia che scala avuto un seguivincia di Cale classifiche di vendita to inimmaginaserta, che gestisce affari, droga e dal quale è tratto anche bile. Invece il libro vende, e e crimini allarun film in corsa per poi stravende, gando i confini, e di molto. Da l’Oscar, il giovane Saviano scala le classifiè costretto alla scorta che nazionali e quelle parti poi viene traquesti pseudo e alla solitudine. dotto in mezzo imprenditori mondo. Non padroni della solo, Gomorra vita e della diventa un film, un film di sucmorte del Casertano usano cesso che rappresenterà l’Italia tutti i mezzi legali e illegali per agli Oscar. Tutto questo clamogestire il territorio. E fuori di lì re obbliga tutti a smettere di gli imprenditori puliti, puchiudere gli occhi: nessuno più litissimi, del nord si avvalgono può far finta di nulla, nessuno, dei loro servizi per svariati indai politici alle forze dell’orditerventi. Per esempio trovare ne, dall’ultimo degli abitanti un posto per smaltire rifiuti tosdella Campania agli insegnansici, per esempio recuperare ti della zona, può continuare a manodopera a basso costo per
ficcare la testa sotto la sabbia. I casalesi sono nel mirino, arrivano arresti, pentimenti, titoloni sui giornali: gli imprenditori del malaffare sono smascherati davanti all’opinione pubblica. È questo il guaio di Roberto Saviano: i suoi occhi sono diventati gli occhi di tanti, di tantissimi, spalancati su quel mondo fino a ieri silenzioso e nascosto. E quel mondo gliel’ha giurata. Senza appello. Sono arrivati a minacciarlo perfino su una rete nazionale. A Matrix, Canale 5, una parente di Sandokan-Schiavone che lavora in una scuola ha urlato al microfono dell’intervistatrice: “Ma che gli abbiamo fatto (sottinteso noi casalesi) a quello? Gli abbiamo ammazzato il fratello? Gli abbiamo stuprato la fidanzata?”. Un messaggio che non ha bisogno di esperti decodificatori per essere interpretato. È così che un ragazzo diventa “l’uomo più solo del mondo”. È così che un giovane che ha solo il coraggio di raccontare la verità diventa un eroe. C’è qualcosa di marcio in questo Paese. Diletta Rocca
ENZO DOSSICO
UNA LINGUA CON ENORMI POTENZIALITÀ FORMATIVE MA…
Il latino c’è ma quanti lo studiano?
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fficialmente da noi il 41% degli alunni delle scuole medie superiori studia il latino. Il dato si colloca al primo posto nel mondo. Altrove, quasi ovunque, negli istituti di istruzione oltre il livello basilare, l’accostamento alle lingue classiche antiche è opzionale; e così la percentuale di coloro che la abbracciano è abbastanza bassa: oscilla tra l’1 e il 15%, con l’eccezione della Francia, dove essa arriva al 19%. La realtà italiana che sta al di là dei numeri, però, non consente di pavoneggiarci. Due domande ci mettono alle corde. Come viene insegnato, da noi, il latino? Come viene studiato? Lasciamo perdere - per la molteplicità dei fattori che andrebbero presi in considerazione - la risposta al primo interrogativo. Per sbloccare il secondo quesito può bastare un’altra cifra: il 39% degli studenti dei nostri licei con il latino tra gli insegnamenti obbligatori arriva sulla soglia degli esami di maturità con “debiti” conoscitivi proprio nella lingua di Cicerone, Tacito e Giulio Cesare. Soltanto la matematica ne mette in crisi di più (i “carenti” in essa, al momento del rendiconto, risultano il 51%). Pure greco classico e lingue straniere in genere lasciano il segno (esponendo al “rosso” rispettivamente il 37 e il 27% degli alunni). A rimettere in orbita la questione del latino nelle nostre scuole - questione che, tra alti e bassi di attenzione, si trascina dagli anni ’50-’60 in qua - è stata l’Associazione “Treelle” che, sotto la guida dell’ex imprenditore Attilio Oliva, attivamente si sta prodigando con precise proposte per migliorare il panorama dell’istruzione pubblica nel nostro Paese. Questo sodalizio ha condotto una ricerca intitolata “Latino perché, latino per chi?”, condensandone i risultati in un volume posto al centro di un convegno organizzato in un’università di Roma.
Gli abolizionisti hanno puntato non soltanto sulla ormai superata attualità e utilità della lingua degli antichi Romani, ma anche sulla natura “aristocratica” della medesima: “Svigorire il latino è il modo più semplice per rendere tutti uguali”. Affermazione che costantemente ha trovato da parte dei fautori del latino la seguente replica: “Tutti uguali, certamente, ma nell’ignoranza!”. E questo non tanto per la non padronanza di un certo modo di comunicare, di un certo strumento per conoscere, quanto piuttosto per la non assimilazione, nell’abbandono del latino, di tutto un retroterra di basilare importanza. “In altri Paesi avanzati - ha spiegato Attilio Oliva - si è provveduto da tempo a riconsiderare quali discipline e competenze debbano ritenersi indispensabili nella scuola dell’obbligo. Per le lingue classiche si è preferito, in ge-
nere, riservare l’insegnamento a chi manifesta un autentico e motivato interesse. In tal modo il latino e il greco antico hanno assunto il carattere di materie specialistiche in ambito letterario e sono state rimpiazzate con lo studio obbligatorio oppure opzionale delle lingue straniere moderne”. Il leader della “Treelle” ha ricordato la proposta, da tempo avanzata da qualcuno, di una materia del tutto nuova che, sacrificando le strutture strettamente linguistiche, valorizzi quella cultura latina e greca che costituisce l’humus delle nostre radici. Ma autorevoli studiosi si sono fatti subito avanti a far presente che “il latino è in se stesso una grande scuola di formazione: non è soltanto il ‘rosa rosae’, ma specialmente una disciplina mentale. È anche un grande esercizio di mnemotecnica”.
Frate Indovino - Perugia Periodico mensile di cultura popolare e religiosa della Provincia Umbra dei Frati Minori Cappuccini. Direttore responsabile: Mario Collarini. Direttore tecnico-amministrativo: Tarcisio Calvitti. Registrazione Tribunale di Perugia n. 257 - 58 N. 11 B. Prov. T.I. 1-7-’58. Spedizione in abbonamento postale articolo 2 comma 20/c legge 662/96 - filiale di Perugia. Conto corr. postale 4069 intestato a: “Frate Indovino” Via Severina 2 - Casella Postale - 06124 Perugia.
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a r c t o s n e vista n i F
Intervista con il professor Andrea Beltratti, docente di Finanza alla Bocconi di Milano servizio di Laura di Teodoro
su Piazza Affari
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ndici che salgono e scendono. Flussi di denaro che quotidianamente scuotono l’economia mondiale. Se da una parte il mondo della borsa rappresenta per molti una professione, una “piazza” in cui investire i propri risparmi o far crescere la notorietà e la ricchezza della propria impresa, per altri le piazze finanziarie, le azioni, i titoli, i fondi comuni, restano luoghi e termini sconosciuti. Eppure quelle “strane sigle” (Mib30, Mibtel, S&P/Mib ecc) sono espressione di un mercato che ogni giorno muove più soldi del Pil di un Paese, come spiega Andrea Beltratti, prorettore per l’Area Upper Graduate all’Università Bocconi di Milano e docente di finanza. AZIONI, BASE DELLA RICCHEZZA PATRIMONIALE Partiamo dalla base, cercando di capire e spiegare cos’è la borsa, nel suo insieme. La borsa altro non è che un mercato dove si scambiano titoli rappresentativi di quote di capitali di un’azienda che producono a loro volta dei redditi. Non è una cosa astratta o slegata dal mondo economico perché la borsa incide ed è parte integrante delle imprese. Un’azione infatti dà diritto a partecipare alla distribuzione dei profitti dell’azienda e rappresenta lo strumento attraverso cui si suddividono i rischi nell’impiego del capitale. Parliamo di azioni, quindi: si comprano, si vendono. Ma cosa sono
queste amiche e nemiche dell’investitore? Sono la base della ricchezza patrimoniale, titoli rappresentativi di una quota della proprietà di una società. Il loro andamento, crescente o decrescente, è direttamente collegato con le prospettive di crescita o meno dell’impresa e la conseguente domanda e offerta: se si prospetta un futuro difficile l’investitore tende a vendere, se al contrario le previsioni sono buone la domanda cresce.
Per esempio, come? Acquistando fondi comuni, cioè strumenti finanziari che raccolgono il denaro dei risparmiatori, destinandolo a investimenti in azioni, obbligazioni, titoli di Stato o in una combinazione di titoli per opera di Società di Gestione del Risparmio. Una seconda soluzione potrebbe essere quella di costruire portafogli diversificati, riducendo così il rischio di subire perdite a causa della perdita del singolo titolo.
Quanto contano l’esperienza e la conoscenza per chi si addentra nel mondo dei mercati e della finanza? La borsa è un mercato estremamente tecnico, nel quale una profonda conoscenza specialistica è fondamentale. Anche per chi compie operazioni base, un minimo di esperienza serve sempre. Ci si può affidare a libri, ad articoli e confrontandosi con gli addetti ai lavori. Per muoversi nella giungla della borsa, è necessario seguire alcuni punti chiave: diversificare il portafoglio e quindi gli investimenti; non investire quote elevate nello stesso titolo; essere sicuri che il capitale investito comprenda esclusivamente denaro che non debba poi essere utilizzato a breve scadenza; riservarsi una certa liquidità disponibile per poter cogliere le occasioni per acquistare titoli convenienti determinati da periodi di calo generalizzato di tutta la borsa. Inoltre è opportuno ricordare che in borsa non esistono solo operazioni complesse, è possibile, volendo, investire in modo semplice.
COME SI È SCATENATO LO TSUNAMI DALL’AMERICA ALL’ASIA Come si è arrivati all’attuale situazione di crisi partita come uno tsunami dagli Stati Uniti? I motivi sono due: da una parte si è verificata una crisi del sistema finanziario degli Stati Uniti che ha avuto pesanti ricadute anche in Asia e in Europa. È una situazione grave che segna un momento di cambiamento importante della situazione economica. Dall’altra parte si è verificato un rallentamento economico, termometro di una preoccupazione che era nell’aria. Oggi più che mai è forte il timore che, a fronte del fallimento delle banche, possa verificarsi una crisi dei consumi e quindi un impatto negativo sul commercio internazionale che sarà ribaltato su tutta la rete mondiale, causando una pesante recessione. Ergo quell’effetto domino di cui spesso si sente parlare… Esatto. Tutto è interconnesso.
Per muoversi fra termini
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Quando si parla di borsa e investimenti, non esistono confini. Il capitale finanziario è mobile e in quanto tale tocca Paesi vicini e lontani. Tra i fattori della crisi finanziaria ha inciso sicuramente la crisi dei mutui. Ci può spiegare cosa è successo? La crisi dei mutui in America è stata determinata dalla concessione di mutui a persone che non avevano la certezza di pagare le rate future perché in difficoltà economica, senza un lavoro stabile. A causa dei mancati pagamenti, risolti in procedure di insolvenze, i titoli derivati sui mutui sono scesi come prezzi, innescando una crisi di liquidità delle banche esposte e una perdita di prezzo dei fondi che avevano investito in quel tipo di strumento finanziario. GLI ITALIANI PIÙ ABITUATI DEGLI USA A INVESTIRE IN BORSA Quanto incide la borsa nella vita quotidiana degli italiani? Gli italiani, rispetto agli americani, non sono un popolo abituato a investire in borsa. Da questo punto di vista siamo più immuni alle ripercussioni di questo ciclo economico: se le azioni vanno bene si produce capitale, se vanno male ci sono delle perdite ma non dei crolli. Perché crollano le borse? Le borse crollano per la paura dell’ignoto. Non è solo questione di mancanza di informazioni. La borsa, come è facile immaginare, funziona in base a va-
lutazioni fondate sulla razionalità, ma nei momenti di grande svolta sono invece i comportamenti irrazionali a predominare, comportamenti che spingono a vendite in massa dei pacchetti azionari e dunque al “crollo”. Guardando alla situazione attuale, l’Italia deve preoccuparsi di eventuali conseguenze sui mercati? Come ha detto il governatore della Banca d’Italia Draghi, le nostre banche finora non sono particolarmente esposte alla crisi finanziaria e ad oggi non si registra nessuna significativa contrazione del credito. Diciamo che in linea generale possiamo stare tranquilli. Facciamo un passo indietro, come è cambiata la borsa dai tempi dell’asta a chiamata? Ormai la maggior parte delle transazioni avviene per via telematica, è questa la trasformazione più evidente degli ultimi decenni. Le sale affollate di traders (chi compra e vende strumenti finanziari) esistono ancora, ma più che altro per quanto riguarda il mercato delle materie prime.
spesso incomprensibili
Piccolo vocabolario minimo quotidiano
Capitalizzazione di un titolo È il valore che si ottiene moltiplicando il prezzo di mercato del titolo per il numero totale dei titoli della specie emessi. Sommando la capitalizzazione di tutti i titoli del listino si ottiene la capitalizzazione del mercato (o di borsa). Dividendo La quota di utili di una società pagata ai propri soci in ragione delle rispettive quote o azioni da ciascuno possedute.
Dow Jones Indice azionario della borsa americana che riunisce i 30 titoli capofila di settore. Fondi Comuni Una forma per investire i propri risparmi, in base alla quale si affida una determinata somma a una società di gestione del risparmio che svolge professionalmente l’attività di intermediazione mobiliare. Si dice “comune” perché concorrono a formarlo molti risparmiatori e di “investimento” perché le somme raccolte devono essere investite. La partecipazione al fondo avviene attraverso le quote, in base alle quali vengono ripartiti i guadagni.
di valutare l’andamento del mercato. Esempi di indici di Borsa in Italia sono l’S&P/Mib, il Mib30, il Mibtel, il Midex e il Numtel. L’indice dei prezzi al consumo È un paniere di beni e servizi, come generi alimentari, abbigliamento, spese mediche, ritenuti validi indicatori del costo della vita. La sua variazione è utilizzata come indicatore del tasso di inflazione. Obbligazione Una singola frazione del prestito contratto da un’azienda direttamente con il mercato. All’emissione, l’azienda debitrice definisce il tasso al quale il prestito è regolato, la periodicità del pagamento degli interessi, la data di scadenza e rimborso, il valore delle quote.
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Azioni Documenti che rappresentano l’unità di misura della partecipazione del socio alla società e, pertanto, anche l’insieme di diritti e doveri legati allo status di socio. Ogni azione ha un valore nominale e un valore di mercato.
Indice La grandezza rappresentativa dei prezzi dei titoli quotati in Borsa. Permette
Portafoglio Un insieme di azioni, obbligazioni e altri strumenti di investimento, quale ad esempio un fondo comune. Si parla di portafoglio di un fondo per indicare i titoli su cui investe e di portafoglio del risparmiatore con riferimento agli strumenti finanziari in cui ha allocato il proprio patrimonio. Titoli di Stato Sono delle obbligazioni emesse dallo Stato che riceve un prestito, per un certo periodo, da chi acquista il titolo. Alla scadenza del titolo lo Stato rimborsa, oltre al capitale, anche un interesse. Gli interessi possono essere corrisposti anche durante la vita del titolo sotto forma di cedole. pagina a cura di Laura Di Teodoro
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ARTURO CONSOLI
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Dove ebbe origine il disastro americano
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l tremendo colpo arrivò repentino in un momento di ottimismo diffuso e di grandi euforie. Herbert Clark Hoover (1874-1964), eletto alla Casa Bianca nel 1928 dopo essere stato a lungo ministro del commercio, esponente di spicco dei Repubblicani, nei giorni del suo insediamento aveva dichiarato: “Siamo ormai vicini alla vittoria sulla povertà”. Tutto preso dall’efficientismo produttivo, il Paese nel suo complesso sembrava più forte dei fermenti e dei gravi fenomeni che da tempo si agitavano al suo interno (dallo sviluppo delle organizzazioni ultrareazionarie allo strapotere dei potentati, dalla corruzione amministrativa al gangsterismo, e tanto altro). Semplificando molto le cose, si può dire che una delle “passioni” più diffuse in tutti gli strati sociali era la corsa ai titoli di Wall Street, vissuta come tensione verso l’arricchimento. Nei salotti un tempo regno di poeti e di artisti spiccavano invece gli improvvisati “esperti” in operazioni finanziarie. Gli agenti di cambio dei 75 mila uffici allora esistenti sul territorio con capitale Washington erano costretti a fare salti mortali per aderire agli ordini di acquisti di azioni da parte non solo di imprenditori ma anche, e soprattutto, di gente comune, disposta a impegnare ogni risparmio in titoli in vertiginosa ascesa.
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E LE AZIONI DIVENNERO CARTA SENZA VALORE C’era la gara, insomma, ad essere soci della “ditta per l’importazione dei somari dalla Sardegna” e della “Compagnia per la fabbricazione del sapone con olio di banano” (due esempi per spiegare che nel far man bassa di azioni non si stava a sottilizzare sul dove si metteva il proprio danaro). Il bollettino quotidiano delle quotazioni - diffuso attraverso la radio e i giornali era l’informazione più attesa e più puntigliosamente scrutata. All’improvviso - appunto a partire dal 23 ottobre del 1929 l’entusiasmo cessò. Nessuno lo disse: ma a quel punto le azioni avevano ormai raggiunto un prezzo che non aveva più alcun credibile rapporto con il capitale (con il valore) reale delle industrie alle quali quei titoli facevano capo. Scoppiò l’ora delle vendite frenetiche, per incassare soldi. In un battibaleno con l’afflosciamento dei prezzi per l’eccesso di offerta - “pezzi di carta” pagati oltre 60.000 dollari non venivano accettati, da nessuno, neppure a un dollaro.
leggere riferimenti al “disastro” che al di là dell’Oceano Atlantico si verificò nel 1929. Studiosi ed esperti a più riprese hanno messo in guardia dai facili accostamenti delle due vicende, segnalando le profonde diversità, sotto tutti gli aspetti, tra quell’epoca e la nostra. Un’occhiata agli eventi di settan-
tanove anni or sono però - così, tanto per soddisfare una naturale curiosità immaginabile negli alieni dal riprendere tra le mani libri di storia o saggi redatti da specialisti - può tornare interessante. Il “giovedì nero” alla Borsa di New York capitò il 24 ottobre. Segnali di allarme già erano affiorati il 23 ot-
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elle cronache e nei commenti riguardanti la crisi economico-finanziaria che a partire dall’estate del 2007 ha investito in forme via via più accentuate gli Stati Uniti d’America, con pesanti ripercussioni in gran parte del mondo, si sono frequentemente letti e si continua a
tobre; il crollo fragoroso delle quotazioni delle azioni andò avanti sino al giorno 29 ottobre. I cedimenti proseguirono pure dopo, mentre il patatràc finanziario si trasformava in recessione e depressione ad ampio raggio mettendo in ginocchio l’intera Confederazione USA, e non quella soltanto.
Perché negli USA il crack del 1929
Moltissimi di coloro che erano diventati in breve milionari o miliardari “virtuali” si ritrovarono a chiedere la carità di un pasto caldo in un centro di assistenza ai poveri. E parecchi furono pure i gesti tragici, disperati. La catena dei suicidi si allungò sempre più. Con i massmedia di allora nel mondo si tardò a percepire esattamente la catastrofe economica che si stava concretizzando negli Stati Uniti. In Italia il “Corriere della sera” liquidò il “giovedì nero” di Wall Street - senza ovviamente chiamarlo tale - in un trafiletto con frasi generiche infilato su una colonna sotto la notizia di un “Ag-
guato di briganti bulgari” e sopra quella di uno “Scontro ferroviario in Baviera”. L’attenzione della redazione del giornale di via Solferino a Milano, era focalizzata sull’imminente annuale anniversario della “marcia su Roma” compiuta nel 1922 dalle “camicie nere” di Benito Mussolini e sul fidanzamento di Umberto di Savoia con Maria José. Tornando ad occuparsi di quanto stava accadendo a New York il 26 ottobre il più prestigioso quotidiano italiano, sotto un titolo drammatico - ma in sesta pagina e in un corpo non grosso: “Scene di panico nelle Borse americane” -, stampò queste parole rassicuranti: “Gli am-
bienti finanziari di New York insistono nel sostenere che non vi è alcuna ragione per considerare la situazione con pessimismo”. Ma negli ultimi giorni del mese (di ottobre) il quadro arrivò, finalmente, in prima pagina anche sul “Corriere della sera” con i toni traumatizzanti e le tinte fosche che meritava. MA IN ITALIA SI CERCÒ DI MINIMIZZARE Il regime fascista, ovviamente, si preoccupò di minimizzare. Il 6 novembre sul “Popolo d’Italia” il fratello del duce, Arnaldo Mussolini, arrivò a scrivere: “L’Europa può approfittare di questa sosta e meditare una siste-
mazione più aderente ai propri interessi e non sotto la pressione del capitale nordamericano”. E l’economista Giorgio Mortara tentò di rassicurare i pessimisti con la seguente frase: “Ci salveranno le parche abitudini e la resistenza alle privazioni che sono caratteristiche salutari del nostro popolo”. Dal canto suo il governo di Roma annunciò misure contro le possibili difficoltà. Se, come beffardamente osservò qualcuno, gli americani con il “giovedì nero” passarono “dalla fame di azioni alla fame di pane”, neppure gli europei ebbero, dopo quel giorno, tempi propizi e sereni. Perché negli Stati Uniti si arrivò al crack? Stando ai giudizi degli storici - giudizi qui estremamente sintetizzati - il “disastro” fu determinato dalla iperproduzione dei prodotti agricoli - con tutto il peso che essi allora avevano sull’economia in generale -), dalla gara sfrenata nelle speculazioni borsistiche, dalla mancanza di qualsiasi controllo dei pubblici poteri sul “mercato” (nella più moderna accezione del termine) e sul movimento dei capitali, di quelli bancari in particolare. Nell’impatto con tutti questi fattori fallirono piccoli e medi imprenditori e coltivatori agricoli, andarono in fumo i risparmi di gente di tutte le categorie, le stesse banche - in notevole numero - si trovarono in tilt. Precipitò la produzione di beni e servizi in generale (in tre anni l’indice scese da quota 120 a quota 57), i disoccupati dai 7 milioni rilevati nel 1931 salirono ai 12 milioni del 1933, le campagne si spopolarono.
Aspettando un New Deal… globale elle elezioni presidenziali del 1932 gli americani in grande maggioranza preferirono al repubblicano Herbert Clark Hoover il democratico Franklin Delano Roosevelt (1882 -1945). E questi - che fu confermato nel 1936 e poi, caso unico nella storia americana, fu rieletto pure nel 1940 e nel 1944 - con il suo “New Deal” procurò la piena rinascita agli Stati Uniti. Sostenuto da un trust di cervelli, egli varò una serie di progetti. Nei suoi primi cento giorni alla Casa Bianca varò la ristrutturazione del sistema bancario, deliberò una svalutazione del dollaro, introdusse una profonda riforma agricola (con restrizioni produttive compensate da sostegni governativi), avviò imponenti lavori pubblici (con la costruzione di centrali elettriche, complessi industriali e ogni genere di infra-
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strutture). Con il “National Recovery Act” (successivamente dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema, quando però aveva già avuto forti effetti) introdusse misure a tutela delle aziende, (combattendo la concorrenza sleale), degli operai, dell’occupazione. In breve volger di tempo deliberò numerosi altri provvedimenti, come l’abolizione del proibizionismo (dell’alcool), in vigore dal 1919, la revisione totale della tassazione, il riconoscimento dei diritti sindacali, l’istituzione di un moderno sistema previdenziale. Nelle sue iniziative dovette vedersela con una dura opposizione. Ma ebbe il pieno appoggio delle classi popolari. Franklin Delano Roosevelt fu anche l’inquilino della Casa Bianca che portò decisamente gli Stati Uniti ad uscire dall’isolazionismo e ad aprirsi al mondo, in particolare all’Europa.
Sicuramente gli esperti e gli studiosi hanno mille ragioni quando esortano a non assimilare la crisi del 1929 con quella nata dai mutui immobiliari americani, crisi che dalla metà dello scorso anno ha reso volatili i mercati finanziari di tutto il mondo e indotto gli economisti a parlare di deflazione, di recessione, di depressione, di congiuntura negativa, e così via, a livello globale. Non possono però negare che nell’attuale “crisi”, nelle forme connesse alla nostra era, si sono presentate questioni che si erano fatte sentire anche circa ottantanni or sono, nei termini configurati dalle situazioni di allora. Chi sarà e quando si affaccerà che cosa farà il …nuovo Franklin Delano Roosevelt? Anche in questo inizio del terzo Millennio scatterà un New Deal non solo americano, ma globale? (A.Cons.)
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Il grande GELO sui GIGANTI “
Il crollo delle borse e il rallentamento dell’economia hanno riesumato lo spettro della recessione mondiale. Il sistema bancario americano è a rischio di collasso. E i nostri risparmi?
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a New York negli ultimi tempi arrivano notizie sconcertanti: il fallimento di importanti istituzioni finanziarie, l’andamento altalenante degli indici di borsa, l’aumento della disoccupazione… Nel giro di poche settimane sono cadute una serie di “docce fredde” su Wall Street che rischiano di innescare reazioni a catena verso la recessione dell’economia americana e non solo. È l’inizio della fine dei bei tempi di uno Stato dove è normale spendere più di quanto si guadagni senza preoccuparsi più di tanto? da New York Claudio Todeschini All’improvviso l’America si è risvegliata nel bel mezzo dell’incubo della recessione. Per tanti anni gli americani hanno dormito sonni tranquilli sognando guadagni facili in borsa, compravendite di case con guadagni a due cifre percentuali, crescita economica illimitata e spese sempre al di sopra delle proprie possibilità. Dietro questo sogno c’era la parola magica che piace tanto agli americani: credito. Una parola che nel linguaggio quotidiano viene declinata piacevolmente in molteplici forme: carta di credito, acquisti con pagamenti rateizzati, leasing di autovetture, finanziamenti a tassi agevolati per l’acquisto della casa, rifinanziamenti di altri finanziamenti, finanziamenti esotici… ecc. Ma prima o poi il sogno finisce e con esso finiscono anche i finanziamenti agevolati. Alla fine viene sempre il momento di pagare il conto, di saldare il debito. E con il pagamento del conto arriva anche il saldo degli interessi. Questo dettaglio, apparentemente quasi irrilevante per l’americano medio, se l’erano dimenticato in molti. Il sogno di ricchezza diventa in breve tempo arroganza, la speranza di fare soldi diventa quasi un diritto irrevocabile per l’avido cittadino il quale si improvvisa investitore professionista e comincia a fare investimenti irresponsabili e scellerati. Chi si compra una casa che non può permettersi (tanto ci si finanzia a trent’anni), chi decide di far studiare i propri figli accendendo un nuovo mutuo ipotecando la casa di proprietà, chi pensa bene di darsi alla bella vita tanto, male che vada, basterà vendere la casa o accedere al credito per far fronte a tutti i debiti accumulati. Tutti sognavano. Anche il Segretario del Tesoro, Henry Paulson, era un sognatore tant’è che nel corso del 2008 a più riprese ha dichiarato che “non ci sono dubbi che le cose stiano andando meglio… il peggio è probabilmente passato” (dichiarazione rilasciata il 6 maggio) e ancora “quello americano è un sistema bancario sicuro, un sistema bancario solido. I nostri tecnici stanno gestendo la situazione. Questa è una crisi gestibile” (20 luglio). E anche lui, sognatore come la maggior parte degli
americani, si è risvegliato una bella mattina nella più grave crisi bancaria americana, esclamando di fronte al parlamento che “se lo stanziamento di 700 miliardi di dollari al fondo anticrisi non venisse approvato, che il cielo ci aiuti” (18 settembre). Ed al brusco risveglio, tutti questi sognatori se la sono pure presa a male e con grande indignazione hanno esclamato “ma come, sono finiti i soldi facili? La banca che faceva i mutui è fallita? Il contribuente deve sborsare 700 milardi di dollari per sal-
➣ dalla prima
C’
vare il sistema bancario americano?”. Vista dall’esterno questa crisi potrebbe sembrare una come tante altre, salvo che per gli effetti collaterali. Per citare solo un esempio, circa il 57% del debito pubblico americano è detenuto da Stati esteri, il che vuol dire che se gli USA vanno a fondo anche il resto del mondo gli andrà dietro. Ma non solo! La bilancia commerciale USA è in negativo per circa il 5.3% del Prodotto Interno Lordo, il che significa che lo Stato consuma più di quanto produ-
ce. In altre parole gli Stati Uniti consumano merce prodotta al di fuori dei propri confini (la maggior parte in Asia) ed una recessione manderebbe in crisi anche gli Stati fornitori. Negli ultimi mesi il Governo Federale, in seguito a vari fallimenti di grandi banche come Lehman Brothers e Washington Mutual e dopo aver valutato tutte le possibili correlazioni e ripercussioni che un “default” (fallimento) di altre istituzioni finanziarie in crisi potrebbe avere sul sistema economico
americano, si è attivato per infondere sicurezza e liquidità nel sistema al fine di stabilizzare il mercato del credito. In un discorso indirizzato alla nazione, Paulson ha spiegato quali sono state le cause di debolezza del sistema finanziario americano. La mancanza di liquidità di alcuni investimenti che hanno progressivamente perso valore a causa della caduta del mercato immobiliare hanno affossato i bilanci delle banche. Per dirla in altre parole, la causa di questo tracollo borsistico è di nuovo, direttamente o indirettamente, legata alla speculazione immobiliare ed ai mutui sub-prime. I guadagni delle speculazioni immobiliari di qualche anno fa sono riemersi come bubboni tra i crediti inesigibili nei bilanci delle banche americane, le quali nel frattempo hanno cercato di coprire i rischi legati a questi mutui assicurandosi mediante vari strumenti finanziari (i famosi derivati di cui si è tanto sentito parlare), rigirando così la patata bollente ad altri enti specializzati in coperture finanziarie. Questi enti a loro volta hanno creato pacchetti di investimenti per i fondi comuni, basati su strumenti derivati, confezionati sui mutui sub-prime che a loro volta hanno girato la mela avvelenata al mercato borsistico e cioè alla fine a noi risparmiatori. Mi sono domandato spesso se dietro questo schema non ci fosse l’intenzione di imbrogliare i risparmiatori. Non mi stupirei se anche in America esistessero quelli che da noi sono stati definiti i furbetti del muretto, meglio conosciuti dall’altra parte dell’Oceano Atlantico come i furbetti della Strada del Muro (traduzione italiana di “Wall Street”).
Il popolo della strada
è chi fa parte degli homeless da 10 anni (circa il 18%), c’è chi vi si è aggregato da meno di un anno (circa il 16%); il gruppo più numeroso vive sulla strada da due o tre anni (33%); il 21,2% non ha casa da 4/6 anni, il 12,7% da 7/9 anni. Perché gli homeless attuali sono diventati tali? Per la mancanza di un reddito regolare sufficiente (ad una vita ...normale), in conseguenza di una prolungata disoccupazione (43,4%); per delusioni affettive o gravi difficoltà nei rapporti interpersonali (il 37,1%); sull’onda di un sempre più marcato alcoolismo (il 27,6%); per il mancato reinserimento nella società dopo un lungo periodo in carcere (il 21,3%); a causa della dipendenza dalla droga (il 14,3%), per il fallimento nell’attività in precedenza svolta (il 12,7%: in questo gruppo sono compresi pure ex titolari di aziende o negozi). I motivi della “scelta” molto spesso sono più di uno, si intrecciano, si sovrappongono; ecco perché le percentuali... variano rispetto al totale esatto. E quando, oltre che con quelli economici, di sopravvivenza quotidiana, gli homeless si trovano alle prese pure con problemi di salute, che cosa fanno? Circa il 13% tenta di rientrare in famiglia; il 24% bussa al-
le porte di amici; il 38,7% si affida alle associazioni di volontariato, che magari già conoscono; gli altri restano... allo sbando. Ci sono “senza casa e senza dimora” che devono affrontare questioni giudiziarie, vertenze, cause matrimoniali (non sono pochi i separati tra gli homeless). Per dar loro una mano gratuitamente si è formata una organizzazione di giovani avvocati; nell’arco di un anno questi legali filantropi hanno sbrigato poco meno di mille cause. Dormitori pubblici, mense di carità, centri di accoglienza, punti di ascolto formano la rete di riferimento di buona parte dei “più poveri tra i nuovi poveri” che stanno crescendo nella moderna società. Accanto agli homeless che vi bazzicano abitualmente esistono quelli che preferiscono starne alla larga, procurandosi da mangiare questuando oppure frugando nei cestini dei rifiuti e dormendo nelle stazioni, sulle panchine dei parchi, in rifugi costruiti con lamiere e cartoni in vecchi edifici abbandonati. Per alcuni l’automobile è l’abitazione “viaggiante”; sulle quattro ruote costoro si spostano continuamente alla ricerca delle condizioni più favorevoli per il soddisfacimento delle minime necessità del loro tran tran esistenziale. Allorché si renderà disponibile il quadro de-
finitivo, sicuro, dei clochard o “barboni” o degli homeless in Europa, l’Italia rischia, ancora una volta, di apparirvi nel peggiore dei modi. Si sa pure adesso che a fronte dei “nostri” 70/100 mila, Germania e Spagna ne contano soltanto 20mila ciascuna. Sarà interessante conoscere che cosa nei diversi contesti si sta facendo per andare incontro e contenere il fenomeno destinato ad accentuarsi nel futuro. Negli Stati Uniti la crisi finanziaria che ha provocato tante apprensioni - con ripercussioni a livello internazionale - da più di un anno a questa parte, ha causato anche un forte aumento del già rilevante numero di homeless là esistenti. Quest’anno - superando un record che era stato toccato appena nel 1994 - hanno raggiunto quota 27 milioni e mezzo i cittadini sostenuti con lo speciale programma dei buoni pasto distribuiti alle mense pubbliche. E a fine dicembre essi potrebbero risultare addirittura 29 milioni. Nei dormitori pubblici di New York si sono contate normalmente ogni notte circa 36mila presenze. Lo stesso governo di Washington ha valutato in 600mila (con un milione e mezzo di bambini) il numero delle famiglie trovatesi repentinamente senza una casa nella Confederazione. Mario Collarini
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Dopo lo sfascio della Compagnia di bandiera come sarà il nuovo decollo?
Alitalia, tutti colpevoli verso il contribuente I
l caso Alitalia - di cui tutti abbiamo vissuto con una certa apprensione, il drammatico tormentone - è un rebus nostrano. Tutto è bene quel che finisce bene, sia pure trasformandosi in una stucchevole telenovela che ha urtato molti cittadini dello Stivale. Questo caso è una cartina di tornasole del malcostume tutto italiano di gestire l’economia, i rapporti sindacali e la politica come un fatto privato. Sì, perché in questo “affare” le responsabilità sono - e non da oggi - equamente distribuite tra i Consigli di Amministrazione che si sono susseguiti, le varie sigle sindacali e i Governi che della ex Compagnia Aerea sono stati i diretti referenti. Ma vediamo in maniera più dettagliata come si sono svolti i fatti, per capire un po’ meglio l’epilogo. Partiamo dagli inizi. Quando l’Alitalia è sorta - nel lontano 1947 - rappresentava il fiore all’occhiello di un paese che stava, lentamente, risorgendo dalla catastrofe bellica. In questa direzione, si deve leggere il suo consolidamento come una delle più importanti Compagnie di bandiera europee: l’aumento delle proprie rotte, l’utilizzo di aerei modernissimi e la conquista, negli anni Sessanta, del record di un milione di passeggeri. Questo andamento positivo continuerà fino agli anni Novanta. In questi anni, i passeggeri che si serviranno dell’Alitalia arriveranno a quasi venti milioni.
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ino ad un certo punto, dunque, l’Alitalia è stata uno splendido biglietto da visita dell’Italia: per immagine, stile, precisione, regolarità e servizio. Poi, è iniziata la decadenza: in concomitanza con le sempre più aggrovigliate situazioni internazionali, con l’ampliarsi della concorrenza e con il progressivo degrado della politica interna italiana. In realtà, la decadenza coincide con il momento in cui si è iniziato a pensare l’Alitalia non come una azienda prestigiosa in cui i migliori ambivano ad entrare, ma come un “carrozzone” statale da utilizzare come parcheggio per politici (o manager) decotti, come cassa di compensazione finanziaria per iniziative non altrimenti fattibili e come una gigantesca macchina di assunzioni. Al nessun interesse per la competitività sui mercati veniva poi unita la colpevole convinzione che comunque lo Stato potesse ripianare i debiti che si stavano accumulando.
Con la deregulation aerea (la liberalizzazione delle compagnie aeree) il degrado si è trasformato in tracollo. E il tracollo in una corsa inarrestabile verso il baratro ultimo che ha visto l’Alitalia “macinare” un passivo giornaliero di uno o due milioni di euro. Qualsiasi avveduto amministratore avrebbe dato l’altolà. Qualsiasi intelligente politico (i vari ministri di competenza) avrebbe dovuto assumere i provvedimenti del caso per evitare questa “morte annunciata”. Nulla è stato fatto. I governi che si sono succeduti - sia di destra che di sinistra - hanno accuratamente evitato di affrontare (e risolvere) questa difficile situazione, continuando, con estrema disinvoltura, a nominare i propri “manager” (si fa per dire) nei Consigli di Amministrazione e a considerare la Compagnia come una vacca da mungere sia per le assunzioni… pilotate che per le laute prebende da elargire. Così si è giunti ad avere 20.000 unità di personale e una montagna di debiti.
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il ruolo dei sindacati? Ebbene costoro - sia quelli confederali che quelli autonomi (seppur con responsabilità differenziate) - hanno dato il loro contributo a questo sfascio, alimentando un corporativismo sfrenato e una pratica ricattatoria nei confronti dei politici. Politici che, per il quieto vivere (e per continuare a fare i loro interessi), non esitavano a loro volta - ad accettare quello che nessun’altra Compagnia aerea avrebbe mai accettato. Un solo banale e quotidiano esempio basta a far capire l’andazzo della gestione Alitalia. Un quotidiano nazionale ha riportato che una bottiglia di coca cola formato famiglia da utilizzare per il comfort dei passeggeri veniva a costare la cifra favolosa di 40 euro. Immaginiamoci come doveva essere tutto il resto. Eppure, nessuno ha mai aperto bocca. Perché?
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uando poi si è giunti a fine corsa ecco tutti lamentarsi, disperarsi e
invocare ogni sorta di tutela. Ma al colpevole silenzio sul passato hanno continuano per settimane ad associare la convinzione che la pacchia dovesse continuare: senza fare alcun doloroso e necessario sacrificio. Anzi, esultando per il fallimento delle trattative nella speranza che qualche Provvidenza facesse il miracolo e tutto ricominciasse da capo: come prima. Non sarà e non deve essere così. Come si può dedurre diventa difficile attribuire colpe in quanto tutti sono colpevoli verso il contribuente che ha pagato per questi errori: e continua a farlo.
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aturalmente, nell’ora presente, a ben poco servono i processi ed è inutile farli. Adesso, prioritario è salvare davvero l’azienda Alitalia garantendo - il più possibile i posti di lavoro dei dipendenti. Ma poi qualche conto lo si dovrà pur fare. Poi bisognerà chiedere ragione alla classe politica delle sue responsabilità, evitando che
casi simili si ripetano in futuro. Così come bisognerà agire affinché i sindacati smettano di essere potenti corporazioni conservatrici volte a difendere i loro iscritti contro tutto e tutti ma pensino all’interesse del Paese e al ruolo che devono svolgere. Certo, ai cittadini resta l’amarezza di vedere come un fiore all’occhiello sia appassito così miseramente da finire nella spazzatura e come l’immagine del nostro Paese continui in una inarrestabile discesa volta a guadagnarsi il primato di prima (forse) potenza del Terzo Mondo. Ma anche a questo, oramai, siamo abituati. Claudio Bonvecchio Docente di Filosofia delle Scienze Sociali all’Università di Varese
La Grande Guerra, un’inutile strage inis Austriae”; “Austria deleta”: nei titoli usarono persino il latino i giornali ai primi di novembre del 1918 per annunciare la vittoria dell’Italia contro l’impero imperniato su Vienna nel primo conflitto mondiale. Neppure nei testi delle cronache vennero posti freni all’enfasi. Una testata prestigiosa stampò: “L’Italia dilaga; dopo Trento e Trieste, Feltre, Belluno, Asiago; e ancora Fiume, Zara, Pola, Sebenico, Capodistria, Pirano. Un’ebrezza di tricolori, inni e cuori esultanti. Tutta l’Italia, d’un sol grido, o terre, vi saluta redente”. Gabriele D’Annunzio in un suo Canto inserì pure il seguente verso: “Patria, patria: questa sola parola è tutto il cielo”. Nelle città e nei paesi attraversati da cortei dominati da squilli di tromba senza fine, sulle saracinesche abbassate di non pochi negozi comparvero cartelli di inusitato tenore: “Chiuso per esultanza nazionale”. Emblema sonoro di quello straordinario momento diventò “La leggenda del Piave”, canzone composta di getto nella serata del 23 giugno (1918) da Giovanni Gaeta, un impiegato postale che pensava soprattutto alle sette note e che nell’intento di evitare il licenziamento “per scarso rendimento” aveva scelto lo pseudonimo E.A.Mario. Si era fatto le ossa mettendo sul pentagramma motivi nello stile napoletano. In ambito patriottico si era già fatto largo con la “Canzone di trincea”, comprendente un ritornello sulle bocche di tutti i militari: “E le stellette che noi portiamo son disciplina di noi soldà”. Con gli austro-ungarici le ostilità cessarono il 4 novembre (a coronamento della
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controffensiva partita il 24 ottobre dal Monte Grappa e dal Piave); con la Germania l’armistizio venne siglato l’11 novembre. Quattro anni innanzi, quando l’assassinio (il 28 giugno 1914) a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando (erede al trono di Vienna) e della moglie Sofia von Hohenburg aveva fatto da scintilla alla deflagrazione dei fortissimi contrasti (per contrapposti interessi) già palesi nei Balcani, “polveriera d’Europa”, l’Italia aveva scelto la neutralità. Contro l’intervento (nel conflitto avviatosi a luglio del 1914) erano Giovanni Giolitti e la maggioranza dei parlamentari liberali, i socialisti e i cattolici. A favore della mobilitazione (nel tentativo appunto di conquistare le terre “irredente”) stavano invece, oltre agli irredentisti, i nazionalisti, buona parte del movimento studentesco, gli intellettuali, vasti settori dell’imprenditorialità e gli ambienti vicini alla Corona. Il governo, trattando in segreto con le forze dell’Intesa, nel 1915 (ad aprile) si era già garantito l’acquisizione, a operazioni ultimate, del Trentino, dell’Istria, della Dalmazia e di altre aree. Pressioni di piazza e politiche, evoluzioni degli eventi portarono Roma a maggio (del 1915) a dichiarare guerra a Vienna e ad agosto ad incrociare le armi con la Germania. Inutili furono gli appelli del Papa Benedetto XV alla rinuncia all’entrata in azione. All’inizio del 1917, con l’intervento anche degli Stati Uniti a fianco degli alleati che fronteggiavano Austria e Germania le vicende ebbero la svolta decisiva. Nel novembre del 1918, passati i giorni
dell’euforia per il trionfo conseguito, l’Italia - al pari di tutti gli altri Paesi coinvolti direttamente in quella che è entrata nella storia come “la grande guerra” (nel senso della partecipazione per la prima volta di forze di più continenti) - si trovò a guardarsi le ferite. A parte i problemi politico-sociali in sospeso (preludio dei tempi difficili che sarebbero poi venuti), dovette contare, da sola, circa 700mila morti. Il conflitto nel suo complesso causò oltre otto milioni di vittime. Con il massiccio impiego di quelle che pure allora venivano chiamate - nell’accezione in linea con le condizioni dell’epoca - nuove tecnologie e strategie (aviazione e sottomarini, carri armati e armi chimiche), insieme ai militari finirono nella catastrofe le popolazioni civili (come mai in precedenza era accaduto nella storia). Spaventose dunque furono le conseguenze di quei circa quattro anni di battaglie. Aveva colto nel segno Benedetto XV il I° agosto del 1917 quando aveva detto: “Siamo animati da una dolce speranza: di vedere terminare al più presto questa lotta tremenda, la quale ogni giorno più appare una inutile strage”. Sono passati novant’anni, dalla fine della “grande guerra”. Il 4 novembre - che un tempo vedeva grandi manifestazioni patriottiche con in prima fila gli ex combattenti e reduci, ad un certo punto fatti tutti “Cavalieri di Vittorio Veneto” - non è più festa nazionale civile. La ricorrenza viene ricordata in una delle domeniche ad essa vicine. Adolfo Celli
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CHI SARÀ IL NUMERO
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da New York, Claudio Todeschini
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li Stati Uniti votano per scegliere il cinquataseiesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Repubblicani o Democratici, chiunque sia ad aggiudicarsi la residenza alla Casa Bianca si troverà di fronte a una lista molto lunga di temi da affrontare: dal rilancio dell’economia alla guerra in Iraq… Con le elezioni presidenziali alle porte, il grande circo dei media americani si sta scatenando in una interminabile sequenza di interviste, servizi, pools (proiezioni) e quant’altro. Ma la domanda fondamentale è una sola: chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca? Un afro-americano dall’aria intellettuale, magro come non lo è la maggior parte degli americani e dal nome un po’ bizzarro che ricorda tanto quello del leader di Al-Qaida, oppure un anziano senatore veterano del Vietnam sempre pronto a raccontare storie sulla sua prigionia nei campi Viet Cong, sulla cui aspettativa di vita si è scritto di tutto e di più? HILLARY,
LA CANDIDATA CHE FACEVA PAURA
Quale che sia l’outcome (il risultato) delle presidenziali USA del 2008, il futuro della politica americana non sarà più lo stesso. Il forte desiderio di cambiamento del popolo americano ha modificato per sempre i parametri e gli assiomi del potere della prima potenza economica mondiale. Barack Obama rimarrà nella storia come il primo afro-americano ad essere stato candidato alla presidenza USA da uno dei maggiori partiti americani. È quasi commovente constatare come i princi-
pi di uguaglianza che Abramo Lincoln difese a costo della propria vita siano stati finalmente accettati ed assimilati dalla società americana, seppur con due secoli di ritardo. Ma l’aspetto razziale non è l’unica manifestazione della profonda volontà di cambiamento che pervade la nazione. Durante la corsa per la nomina del partito democratico, una donna, Hillary Clinton, ha vinto più primarie e delegati di qualsiasi altro candidato donna nella storia americana raccogliendo consensi e supporto in tutto il Paese come non si era mai visto prima. Da ricordare che fino a non tantissimo tempo fa (1920) le donne non avevano diritto al voto negli Stati Uniti. Il messaggio lanciato durante la campagna elettorale è stato forte e chiaro: l’America vuole un cambiamento e lo vuole netto, radicale e completamente distaccato dal passato (anche se, per dirla tutta, Hillary Clinton qualche legame con il passato forse ce l’aveva vedere Bill Clinton). E questo messaggio è stato gridato talmente forte che il partito Repubblicano, notoriamente con-
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servatore ed avverso al progressismo, si è addirittura deciso nel candidare una giovane governatrice, Sarah Palin, per la carica di vicepresidente accanto a McCaine. I più maligni hanno affermato che questa non sia altro che una mossa piuttosto goffa e senza stile architettata dai Repubblicani per controbilanciare in un unico canditato il potere della coppia democratica formata da Barak Obama e Hillary Clinton. Quale che sia il motivo dietro la scelta della giovane governatrice dello stato dell’Alaska, è interessante constatare che i anche i repubblicani, conservatori e paladini dello status quo, abbiano riconosciuto ed accettato la volontà di cambiamento, cercando di accontentare l’elettorato mandando in campo un candidato totalmente slegato dal vecchio establishment politico. I PROBLEMI SUL TAPPETO E LE IPOTESI DI SOLUZIONE Nonostante la volontà di cambiamento, testimoniata dai candidati alla presidenza, lo scenario su cui si svolgono le elezioni è rimasto pressocché immutato: l’eterna lotta al potere tra
democratici e repubblicani, combattuta fino all’ultimo con ogni mezzo e strategia. All’ordine del giorno dei due partiti ci sono molti temi roventi: rilancio di un’economia stagnante, il free-trade o libero scambio di beni all’interno di un’economia ormai globalizzata, il tema dell’energia e più in particolare del petrolio da cui dipende fortemente l’economia americana ed infine il servizio sanitario, spina nel fianco della nazione più potente del mondo. L’approccio democratico relativamente agli aspetti economici è orientato a favorire i ceti medio bassi, impoveriti dal caro vita e dal crollo del mercato immobiliare e dalla crisi finanziaria dei mutui subprime. I democratici prevedono misure protezionistiche che, nel caso in cui Obama venisse eletto, sarebbero introdotte per rilanciare il settore manifatturiero USA da tempo ridotto allo stremo dalla delocalizzazione della produzione in Messico, India ed in Cina. Sul fronte energia il progamma prevede piani ambiziosi per rilanciare gli investimenti in energie rinnovabili che possano ridurre il fabbiso-
gno di petrolio importato dai Paesi Arabi da cui dipende fortemente l’economia americana. Come e fino a quale punto questo rilancio sia possibile non è stato chiarito (certi dettagli vanno lasciati per ovvie ragioni al dopo elezione). I democratici si battono anche per l’estensione del servizio sanitario ai circa 47 milioni di americani non coperti da assicurazione medica, attraverso un programma che dovrebbe trasformare progressivamente il servizio sanitario americano da privato ad una sorta di servizio pubblico. Dall’altra parte dello schieramento i repubblicani battono invece i temi caldi del momento con il solito liberismo e “lasciar fare”. È previsto un piano di rilancio dell’economia mediante una riduzione del gettito fiscale (che poterà con sé l’inevitabile ulteriore impoverimento delle casse dello Stato Federale), nessuna limitazione alla globalizzazione che viene vista invece come un opportunità piuttosto che come una minaccia alla crescita, investimenti di lungo termine in energie pulite con ricerca, però, nel breve periodo di altri giacimenti in suolo americano per l’estrazione di petrolio per rendersi più indipendenti dai Paesi Arabi. Per quanto riguarda la salute non sono previsti grandi cambiamenti. Il programma infatti è quello di lasciare agli americani la scelta e la libertà di come gestire la propria salute senza che lo Stato si faccia carico di un servizio medico publico. Programmi e slogan a parte, l’America si sta preparando a vivere quello che Sergio Leone avrebbe titolato il “duello di fuoco” tra Obama e McCaine che, come due pistoleri a cavallo, si contendono la supremazia di una cittadina polverosa e arida persa da qualche parte nel Far West… con la consapevolezza che cittadina dopo cittadina, duello dopo duello, il più veloce ed il più spietato avrà la meglio mirando al cuore (e certe volte al portafoglio) degli americani.
La Casa Bianca ed i suoi inquilini a Casa Bianca, meglio conosciuta come The White House, è la residenza ufficiale ed ufficio principale del Presidente degli Stati Uniti d’America. La residenza, situata al 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington D.C., fu costruita tra il 1792 ed il 1800 e da allora è stata la residenza di tutti i Presidenti Americani. La Casa Bianca ha ospitato personaggi illustri a partire da George Washington, primo Presidente degli Stati Uniti, Abramo Lincoln che condusse la nazione durante la sanguinosa Guerra Civile Americana, uno dei periodi più neri del-
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la storia USA, Franklin Delano Roosevelt, l’unico Presidente ad aver servito la Nazione per più di due legislature durante la grande depressione degli anni trenta e poi durante la seconda Guerra Mondiale e Kennedy, meglio conosciuto come JFK, assassinato a Dallas nel 1963 in circostanze tuttora non chiare. Molte speranze sono riposte sul futuro inquilino della Casa Bianca il quale, ci auguriamo, non dimentichi mai che è ospite del popolo americano il quale gentilmente pagherà l’affitto della tanto ambita residenza!
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C’è un’altra cosa che tanti turisti non capiscono: il fatto che riescono a rovinare le vacanze e la vita di tante persone con la loro mania della musica - ma sarebbe meglio dire rumore sempre e dovunque. Mi riferisco alla “discotechizzazione” sia delle nostre spiagge che delle nostre valli alpine, che consiste nel riempire di tump - tump ossessivo ogni possibile angolo di silenzio, di quiete e di riposo. Ogni fine settimana è un bombardamento di decibel. Un fracasso omniinvasivo che ti perseguita dappertutto, al sole e all’ombra, sul bagnasciuga dei nostri mari e tra i ghiaioni e le foreste delle montagne. A me questo tump - tump sembra rappresentare una forma di totalitarismo: cos’altro è, infatti, il voler imporre a tutti, volenti o nolenti, la stessa “musica” - pardon, lo stesso fracasso -, così come gli stessi abiti, gli stessi comportamenti, le stesse opinioni?
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La piccola grande lezione di Emilia onna Emilia è una picsperavo di cavarmela e la forza cola grande donna nad’animo andava a zero, me la ta nel 1905. Dunque prendevo anche con il Signore e ha 103 anni, un secolo abboncon la Madonna e dicevo loro: voi dante portato in saggezza e lelo vedete che sto facendo tutto tizia. “Sono venuta alla Casa di quello che posso, cercate di muoRiposo - dice - quando ho capito vervi un po’ anche voi! E loro si che non riuscivo più a fare tutto muovevano, sicuro che si muoveda sola, a tenere anche la casa covano, devo proprio riconoscere me si deve. E ci sono venuta voche nei momenti più duri il loro lentieri, perché i figli e i nipoti hanaiuto non mi è mai mancato”. no la loro vita da fare, devono laEmilia Valenti ricorda lucidavorare, viaggiare, muoversi, non mente e racconta con vivacità, possono essere sempre al servizio non smettendo mai di sorridedei nonni. Mi sono trovata subito re. Ascoltandola vengono in bene perché questa è proprio comente le parole del Piccolo me una grande famiglia. Pensi che Principe di Saint-Exupery a le infermiere e le assistenti, quanproposito dell’intelligenza del do è ora di andare a letto, vengocuore: “non si vede bene che con no ad augurarmi la buonanotte gli occhi del cuore”. È questo il suo con un bacio!”. segreto, l’elisir di lunga vita? Del resto non deSicuramente guarve essere difficile dando la serenità, voler bene a Nonla compostezza, la Stiamo perdendo na Emilia, estrodignità e la paversa ed arguta, il contatto con il mondo zienza di questi ansempre pronta a degli anziani, che sono ziani, con i quali dire una buona una cattedra di vita per stiamo perdendo il parola a tutti, una tutti: con la lezione del contatto, abbiamo grande forza d’atutti molto da imnimo dietro l’ap- fare senza la presunzione parare, specialdi insegnare parenza fragile e mente la lezione minuta. del tempo. “Guar“Ho sempre lavodi, io penso che anrato tanto - dice ricordando la che a vivere bisogna imparare, sua lunga vita - mi sono sposaproprio una specie di scuola, con ta giovanissima ed ho avuto quatle sue lezioni e i suoi compiti. tro figli, di cui uno scomparso Voglio dire che bisogna imparare, 52enne, la mia sofferenza più forgiorno dopo giorno, a smussare gli te… Anche mia figlia ha subito spigoli del proprio carattere, ad esuna lunga malattia e l’amputaziosere attenti a chi ti sta vicino per ne di un piede, mentre mio macapirne i gusti e le necessità, a tolrito è stato per anni a letto malalerare i loro difetti, a valorizzare to. Ho accudito mio suocero, che i loro lati migliori, a non portare è stato per tanto tempo in casa rancore per i torti subiti, a non dacon noi… Insomma il lavoro e le re peso alle piccole cose di tutti i fatiche non mi sono mancate, né giorni che possono diventare grostantomeno le preoccupazioni ed i se e pesanti e rovinare i rapporti dolori. Io poi ho sempre avuto un tra le persone… Ecco, quando si caratterino un po’ pepato, ho doè imparato tutto questo, allora si vuto lavorare molto anche su me può vivere bene. E risvegliarsi constessa per correggermi un po’. tenti ogni mattina, ringraziando la Però la fiducia nella vita non mi Provvidenza per ogni nuovo giorè mai venuta meno: quando dino che ci concede”.
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Tra le mie montagne, per le feste d’estate, usa ancora accendere grandi falò sui crinali o nelle radure: i fuochi di S. Giovanni, del Sacro Cuore, di S. Rocco, dell’Assunta che abbiamo acceso anche nei mesi scorsi e che hanno attirato anche i turisti che vengono dalle grandi città, abituati, penso, a spettacoli ed a feste ben più sofisticati. Si vede che il fascino primordiale del fuoco ha conquistato anche loro. Ma chissà se hanno capito fino in fondo ciò che i falò rappresentano per noi montanari: la gioia dei bimbi che rincorrono le faville, il ricordo dei vecchi che non ci sono più, il calore dell’amicizia e dell’amore, la voglia e la gioia di vivere nonostante tutto, il desiderio di esorcizzare il freddo e la solitudine dell’inverno che verrà, la speranza e la promessa di ritrovarci ancora a cantare insieme…
La “discotechizzazione”
Mutatis mutandis L’idea è venuta al sindaco di Delcambre, nella Louisiana (U.S.A.): sferrare una vera e propria guerra ai “baggy pants”, cioè ai pantaloni “cascanti”, così di moda anche da noi al punto che ci vediamo spesso intorno ragazzi e ragazze che mostrano le mutande (e spesso anche parte del loro contenuto!). La guerra è cominciata all’inizio dell’estate appena trascorsa ed ha consistito nel punire con un’ammenda di 500 dollari, oppure con sei mesi di galera, quanti se ne andavano in giro sfoggiando pantaloni troppo calati. Un consigliere della Georgia ora prepara una legge contro l’esposizione pubblica di biancheria intima sia maschile che femminile: questo look trasandato fa sembrare i ragazzi degli spacciatori e perciò mina anche la sicurezza… Esagerato? Può darsi, ma quando non bastano il buongusto ed il buonsenso…
Miss Italia ha fatto flop
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Il fascino dei falò
GISELDA BRUNI
La fiera del melenso
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uno schifo, un mercato di bestiame, umiliante per le donne!”. Questo il commento del grande fotografo Oliviero Toscani all’edizione 2008 di “Miss Italia”, che, tra l’altro, ha fatto flop, cioè ha visto diminuire di molto il numero dei telespettatori, cosa di cui personalmente sono strafelice perché mi illudo significhi che gli italiani cominciano a maturare… A parte il fatto che trovo questo “mercato” umiliante anche per gli uomini, Toscani ha infatti ragione da vendere. Oltretutto, “Miss Italia” coincide singolarmente con la stagione in cui un po’ dovunque, nel Bel Paese, si organizzano le mostre zootecniche, in cui i mandriani di ritorno dall’alpeggio estivo mettono in mostra, appunto, le loro bestie, cui la “villeggiatura” sui pascoli alti ha restituito una forma smagliante. Anche alle vacche, alle manzette e alle fattrici i giurati misurano le varie parti anatomiche, confrontano pregi e difetti e alla fine giungono alla proclamazione della “regina”, proprio come fanno
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quelli di “Miss Italia”. Con la differenza che le vacche, finita la festa, se ne tornano tranquillamente nella stalla a fare il loro dovere, e ci risparmiano le scene dei genitori delle concorrenti che, tra le lacrime, alle loro “povere” rampolle tanto provate dalle “fatiche” del concorso, mandano messaggi melensi del tipo “Sei la nostra principessa, ci manchi tanto!”. C’è poi un’altra differenza da sottolineare: tra le fila delle vacche delle fiere zootecniche c’è una maggior varietà, di età, di produttività, di taglie, mentre le aspiranti miss sono tutte uguali: una specie di Barbie pneumatico - macilente, come le ha definite Laura Rodotà, nel senso che sono magrissime eccetto le quattro curve pneumatiche nei punti soliti, identiche a quelle che vediamo in tv ogni giorno ad ogni ora: omologate dalla moda e dal piccolo schermo, hanno tutte le stesse bocche, lo stesso modo di camminare, di vestirsi, di parlare, probabilmente anche di pensare, al punto che ha fatto scalpore il caso di Miss Emilia, discrimina-
ta - ha detto - a causa della sua taglia, la 44. Ma la somiglianza più fastidiosa, quella che più di tutte suscita l’indignazione di tante donne perché vanifica ogni tentativo ed ogni sforzo di autentica emancipazione femminile, è che le concorrenti si sottopongono volentieri e volontariamente al giudizio di tanti maschi che le vedono solo come “oggetti” e le valutano sulla base di schemi e di canoni stabiliti a loro uso e consumo, dimostrando che l’idea della donna come “soggetto” è ancora lontana le mille miglia dalla loro testa. Il maschilismo più vieto e più bieco, insomma, lo stesso che vige purtroppo anche a tanti altri livelli della nostra società, ma che nel concorso di Salsomaggiore viene eretto non solo a sistema ma anche a forma di spettacolo. Con uno dei presidenti di Giuria, Andy Garcia, che è stato pagato dalla Rai, cioè da tutti noi, la modica cifra di 150.000 euro. Scusate, ma a me viene il voltastomaco. E continuo a preferire le bestie vere delle fiere zootecniche delle mie valli.
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REGINA FLORIO
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Il bambino non è “un lusso per pochi”
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ino a non molto tempo fa c’erano i bambini e le bambine “con l’argento vivo addosso”; e non si andava oltre nel qualificare i loro comportamenti. Adesso invece si dà per scontato che tra gli esponenti dell’infanzia e della fanciullezza, eufemisticamente definibili “vivaci”, non pochi potrebbero essere affetti da A.D.H.D., ovvero dalla “sindrome da iperattività e deficit di attenzione”. La malattia, riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stata segnalata - come al solito - anzitutto negli Stati Uniti, dove ne sono stati pure codificati i sintomi più evidenti, identificati in questi termini: irrequietezza e distrazioni continue, impulsività, incapacità di concentrazione nell’assolvimento di un determinato impegno, impazienza, riluttanza verso le regole, tendenza all’isolamento e al mutismo. Nella confederazione che fa capo a Washington abbastanza rapidamente sono stati accertati circa 750 mila casi di A.D.H.D.. Ovviamente è subito partita la terapia a base di psicofarmaci, sostanzialmente riconducibili a due tipi di confezioni. Varcando l’Atlantico, le notizie sulle possibili cause della “ingestibilità” di tanti frugoletti e ragazzini hanno creato fermento anche nel vecchio continente. L’Italia, di fronte al nuovo problema, una volta tanto si è mossa con i piedi di piombo. Visti i loro effetti collaterali - incidenza sul peso corporeo, sonnolenza, rallentamento nella crescita, depressione - fino allo scorso anno, da noi, è stata proibita la vendita delle medicine specificamente anti-A.D.H.D. (chi le voleva, doveva andarsene a prenderle all’estero). Dal marzo del 2007 si è poi autorizzata la vendita pure dalle nostre parti delle pillole in parola, ma solo nell’ambito di un percorso ben preciso. In pratica: in presenza dei circa ottantamila casi di A.D.H.D. diagnosticati finora nel nostro Paese sono stati varati 112 centri qualificati per l’intervento e 52 di questi sono stati resi immediatamente operativi. Soltanto attraverso siffatti centri viene attuata la cura, cercando comunque di ridurre al minimo l’impiego dei farmaci e di agire piuttosto attraverso la psicoterapia personalizzata. In questa maniera, finora, appena poco più di trecento bambini e
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dei neogenitori e che potrebbero essere facilmente evitate. Con una corretta informazione, documentata e particolareggiata, ci si rende conto che ciuccio, salviettine umidificate e vasche per il bagnetto sono voci su cui una famiglia potrebbe tranquillamente risparmiare senza togliere nulla al benessere del bambino, anzi. Siamo infatti “vittime” del mercato, ci ricorda il libro, e tendiamo ad acquistare cose che non servono, ma costano eccome. A parte l’iniziale investimento sul libro (18 eu-
ro non è pochissimo), la guida può portare al risparmio di qualche migliaio di euro sul totale delle spese relative a un bebè, ma soprattutto aiuta a riportare l’evento nascita alla sua naturalità e alla sua semplicità. I genitori “numerosi” vi troveranno non poche conferme ai propri modi di fare (non a caso l’autrice è a sua volta mamma di tre bambini) e qualche spunto interessante, ma per le coppie alle prese con il primo figlio ci sono tantissime buone idee, una serie di testimonianze rassicuranti e un
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er i giornalisti parlare del “caro bebè” ormai è un dovere: si fanno calcoli di quanto costa avere un figlio, dalla culla all’università (200.000 euro, dicono, roba da nababbi), ci si interroga e si interrogano le famiglie, specialmente quelle numerose: “Ma come fate?”. Va controcorrente un interessante manuale di Giorgia Cozza, “Bebè a costo zero” (Ed. Il Leone Verde) prezzo 18 euro che per una volta sposta il mirino su tutte quelle spese inutili o poco utili che pesano sul portafoglio
indirizzario che può costituire una buona traccia di ricerca. Si tratta di un libro da premiare e da regalare perché contribuisce a sfatare il mito del figlio “lusso per pochi” e per una volta non vede nel figlio un problema, un costo. Una volta si diceva che “ogni bambino nasce con il suo fagottino” e le famiglie hanno imparato con l’esperienza che è davvero così. Avere bambini può diventare una magnifica avventura, occorre viverla con lo spirito giusto ma alla fine davvero “non ha prezzo”.
Sotto l’argento vivo può esserci un disturbo bambine con l’A.D.H.D. accertata sono stati autorizzati ad assumere le pillole, nelle dosi appropriate; e i loro nomi sono stati tutti iscritti in un registro istituito a livello nazionale. Per gli altri il trattamento procede con “sedute” (di psicoterapia) dal costo - tanto per stare… nelle nostre abitudini - assai vario: si passa dai 25 euro normalmente pagati in Sicilia ai 150 euro, il più delle volte, sborsati in Lombardia. I servizi radiotelevisivi e gli articoli sui giornali dedicati all’A.D.H.D. nei mesi più recenti hanno portato ad un sensibile aumento delle richieste di visita e controlli per i propri figli ritenuti “troppo inquieti” da parte delle famiglie. Gli esperti prevedono però che - alla luce dei criteri applicati nel portare avanti gli accertamenti sulle singole situazioni - il numero dei “soggetti” trattati con farmaci re-
sterà contenuto: entro il 2010 non si dovrebbe andare oltre i 1500-2000 bambini e bambine annotati sul registro nazionale dell’A.D.H.D. e quindi trattati con le medicine ampiamente utilizzate invece in altri Paesi. Come era facile immaginare, sono fiorite discussioni e contrapposizioni sulle scelte operate. Mentre alcuni plaudono alla prudenza applicata, altri vorrebbero maggior libertà di opzioni circa l’uso o meno delle pillole con controindicazioni. Sono nate associazioni di genitori di bambini e bambine con sospetta oppure accertata “sindrome di iperattività e deficit di attenzione”. Le consuete rilevazioni hanno consentito di appurare che il male si manifesta più nei maschi (90% dei casi) che nelle femmine (10%); che l’iperattività da sola è presente solo nel 3% dei casi mentre il deficit di attenzione ha la prevalen-
za unicamente nel 9% dei soggetti; in breve, l’A.D.H.D. si manifesta quasi sempre (88% dei casi) in forma “combinata”. Negli ambienti sanitari non manca chi vorrebbe freni ancora più rigorosi di quelli già ora stabiliti, in Italia, al ricorso agli psicofarmaci. Due ricercatori impegnati in una università di Roma, con uno studio (pubblicato sulle pagine dell’American Journal of Medical Genetics) hanno dimostrato che certe forme di A.D.H.D. possono tranquillamente essere curate con prodotti che non hanno assolutamente effetti collaterali. Da più parti si sono levati inviti ai genitori ad essere molto cauti nel ritenere in preda alla sindrome dell’iperattività i loro pargoli ed a fare, invece, loro, i genitori stessi, un “esame di coscienza” sui propri comportamenti nei confronti dei rispettivi figli. Certi atteggiamenti nei
piccoli, insomma, potrebbero anche essere la conseguenza di compiti non completamente e non adeguatamente svolti da adulti con addosso il ruolo di genitori e di educatori. Il più delle volte… l’A.D.H.D. esige prevenzione anziché cura. E anche nella terapia un docente dell’università di Modena, Ermanno Taracchini, ha trovato assai più efficaci delle pillole i “metodi socio-educativi” dettati dalla “pedagogia antropoevolutiva”: metodi basati sul dialogo (per capire a fondo le radici dell’iperattività), su un’attività (che conduca alla metodica disciplina dei movimenti e degli atteggiamenti) e sull’integrazione (ossia sull’inserimento del soggetto “troppo irrequieto” in un contesto umano e ambientale che lo aiuti - o lo costringa - a tenersi a bada). Bruno del Frate
E l’Inghilterra abolisce l’ansia del risultato
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n Gran Bretagna la Federazione calcio ha vietato la pubblicazione dei risultati e delle classifiche per tutti i campionati dove giocano bambini sotto gli 11 anni: “Devono poter migliorare i fondamentali del football senza sentire la pressione di vincere”, ha detto un portavoce nell’annunciare la storica decisione. Basta risultati, primi e ultimi, calcoli e strategie, giocare a pallone tornerà ad essere semplicemente giocare al pallone. Che sarà mai?, direte voi. Forse non avete bambini in età, forse i vostri continuano a tirare calci alla palla per strada, ma chi ha avuto modo di frequentare l’ambiente sa benissimo che cosa può significare togliere l’ansia di vincere ai nostri ragazzini. A iniziare dai genitori, che forse smetteranno di infuriarsi sui gradini dei campetti, smetteranno di gridare “uccidilo” verso il ragazzino atterrato con un fallo, non daranno più del “venduto” all’arbitro, ma si siederanno tranquilli, applaudendo anche il bel goal dell’avversario. Troppa tensione si è creata intorno ai bambini, che già molte mamme o papà vedono con un contratto milionario in mano, lanciati nel bel mondo del-
la tv e delle veline. Troppa ansia, troppa competizione, che porta ad escludere “le schiappe”, perché non producono vittoria a nove anni, non portano la società in vetta alla classifica e in cima alle preferenze di sponsor e di iscrizioni. La nostra squadretta di calcio quest’anno ha chiuso i battenti: si allenavano su un campo di terra che quando pioveva si trasformava in un mare di fango dove i ragazzini si buttavano e sguazzavano con una gioia selvaggia. Erano sempre nella zona bassa della classifica e molte volte hanno preso delle sonore bastonate, 5 a zero, 6 a 1. Ma quando qualcuno faceva gol era una festa. E si volevano bene: quando mio figlio, in allenamento, riusciva a infilare il pallone in rete lo portavano in trionfo, lui che non è mai stato, diciamo, un campione.
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uest’anno i “bravi” sono stati presi dalle squadre più forti, come i giocatori veri, i professionisti. Fanno due allenamenti alla settimana e la trasferta. Ma due degli ex compagni di mio figlio oggi non giocheranno, sono rimasti fuori rosa, proprio come quelli ve-
ri. Solo che loro non guadagnano migliaia di euro e hanno 12 anni, erano lì per giocare. Un verbo che male si coniuga con questo modo di vedere il calcio. Forse se anche da noi non ci fosse una classifica, la squadretta del nostro oratorio sarebbe ancora in vita. Ci giocherebbero ancora tutti i ragazzini della zona, senza dovere farsi chilometri per raggiungere gli allenamenti. Oggi avrebbero giocato ancora tutti insieme, scarsi e bravi, e si sarebbero divertiti. Magari avrebbero fatto anche goal. E invece no, la logica del vince il più forte ha avuto il sopravvento. Ecco perché ci sembra una gran bella notizia che proprio dalla Gran Bretagna, il paese che manda prima a scuola i suoi bambini (anche a 4 anni), dove test ed esami sono più numerosi e continui, ci sia un segno di rispetto verso la libertà dei bambini ad essere bambini, senza le pressioni del mondo degli adulti, le ansie di prestazione, il carico di responsabilità. Un segno di rispetto che passa attraverso il rispetto di quanto i bambini hanno di più proprio, il gioco. E speriamo che faccia scuola… Regina Florio
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I SEGNI DEI TEMPI NAZZARENO CAPODICASA
30 miliardi di dollari, per 900.000 di malnutriti Nessun progresso verso l’obiettivo di dimezzare il numero dei sottoalimentati nel mondo. La tendenza attuale è, al contrario, di un aumento di quattro milioni di affamati l’anno.
L’
obiettivo di dimezzare il numero di persone che soffrono la fame entro il 2015 è lontano, sempre più lontano, praticamente irraggiungibile. Il Rapporto annuale sullo Stato di Insicurezza Alimentare nel mondo, diffuso lo scorso mese dalla Fao, lo ammette senza giri di parole. “In dieci anni, in pratica, non è stato fatto alcun progresso verso l’obiettivo di dimezzare il numero di sottoalimentati nel mondo”. In alcune zone del pianeta, soprattutto in Africa, la situazione non solo non è migliorata, ma è in progressivo peggioramento. Al mondo ci sono 854 milioni di persone che soffrono la fame e il numero non è mai diminuito dal 1990-92. Fare riferimento a questa data è importante. Nel 1996, infatti, oltre 180 capi di Stato e di Governo si erano riuniti a Roma per il Vertice mondiale sull’alimentazione, firmando solennemente una Dichiarazione, con la quale si impegnavano a dimezzare il numero degli affamati entro il 2015 e portarlo a 412 milioni. Per onorare l’impegno preso al Vertice si sarebbe dovuto ridurre il numero dei sottonutriti di 31 milioni l’anno da allora sino al 2015. Ma la tendenza attuale è, al contrario, di un aumento al ritmo di quattro milioni l’anno. Le ultime rilevazioni della
Fao si riferiscono al triennio 2001-2003: le persone sottoalimentate sono ancora 854 milioni. Tra queste 820 milioni vivono nei paesi in via di sviluppo, 25 milioni nei Paesi in transizione e 9 milioni nei Paesi industrializzati. Il rapporto sottolinea che ci sono alcuni dati confortanti e riguardano i Paesi in via di sviluppo, nei quali il numero di sottoalimentati si è ridotto del 3% rispetto al 1990, e potrebbe dimezzarsi entro il 2015. Ma a fronte di queste buone notizie si evidenzia un divario sempre più ampio con i Paesi più poveri, nei quali le cifre parlano di un aumento netto della povertà. E’ esemplare il caso dell’Africa sub-sahariana: la Fao stima che entro il 2015 il 30% di sottoalimentati sarà concentrato in quella regione. .Nell’Africa sub-sahariana il numero di persone sottoalimentate è passato da 169 milioni nel 1990-92 a 206,2 milioni nel 2001-03. Tra le cause di questo incremento l’Aids, le guerre e le catastrofi naturali, in particolare nel Burundi, in Eritrea, in Liberia, in Sierra Leone e nella Repubblica democratica del Congo. E’ proprio questo il Paese per cui si registrano le maggiori preoccupazioni della Fao poiché, a causa anche della guerra del 1998-2002, il numero di affamati è triplicato passan-
do da 12 a 37 milioni di persone, cioè il 72% della popolazione. La Repubblica Democratica del Congo è un caso emblematico, se si considera che si tratta di una delle regioni della terra con le maggiori risorse naturali. Il rapporto della Fao indica chiaramente che per ridurre il numero di sottoalimentati è fondamentale lo sviluppo rurale, almeno nei Paesi nei quali la situazione è peggiore. “Nonostante ciò, i Paesi donatori hanno ridotto in modo consistente gli aiuti al settore agricolo. Nel 1984 i Paesi donatori hanno versato quasi otto miliardi di dollari per il sostegno dei programmi agricoli, ma nel 2002 la cifra si è ridotta a circa tre miliardi. Inoltre i Paesi del Nord del mondo adottano tutta una serie di azioni economiche che frenano la produzione agricola dei Paesi sottosviluppati e l’esportazione dei loro prodotti. E’ un pò come dire che si individua l’agricoltura come il motore principale per la ripresa dei Paesi sottosviluppati, ma poi questo motore lo si frena in tutti i modi”. “Basterebbero 30 miliardi di dollari per sfamare tutti”, dichiara la FAO. Vi basta sapere che la guerra in Iraq è costata sinora ben 560 miliardi fuori bilancio della Difesa? Sarebbero bastati per salvare tutte le banche americane o per sfamare per vent’anni tutti gli abitanti della Terra. A scelta!
Se mangiassimo meno e meglio... Immaginiamo per magia di poter dimezzare la quantità di alimenti necessari per nutrire gli umani. Si risparmierebbe un’enormità di acqua, di suolo, d’energia, di prodotti chimici (con la collegata contaminazione di suoli e di falde idriche) e naturali. Insomma tutto quanto è utilizzato per coltivare e “lavorare” il cibo. E ci sarebbe tutto lo spazio per nutrire più che a sufficienza gli attuali 854 milioni di affamati. Bene: da tempo sappiamo dello spreco rappresentato dall’ipernutrizione di un miliardo di persone. Sappiamo pure della competizione cibo-mangimeagrocarburante. Secondo una ricerca sulla crisi alimentare, “la destinazione della produzione agricola di cereali nel 2007 è stata di 1.009 milioni di tonnellate per il consumo umano, 765 milioni di tonnellate per il consumo animale e 364 milioni di tonnellate per altri fini, fra cui 90 milioni di tonnellate per gli agrocarburanti”. Ma non basta. La nostra Europa sta diventando esattamente come gli Stati Uniti: obesa. Con un’incredibile e spaventosa scia di vittime causate da tumori, deficienze renali, diabete e patologie cardiache. Entro breve, il numero di morti per problemi legati al peso e alle malattie alimentari supererà quello imputabile all’alcool o al tabagismo. Anche nel vecchio continente dovremo fare i conti con uno dei peggiori paradossi americani: nonostante i grandi passi in avanti compiuti dalla medicina, l’aspettativa di vita delle prossime generazioni sarà decisamente inferiore rispetto a quella odierna. E non c’e’ solamente il latte cinese. Frutta e verdura sono contaminate, i dolci sono intrisi di grassi nocivi, le bibite gassate vengono addolcite con sostanze volutamente iperglicemiche, ci sono hamburger che contengono la carne di 400 vacche differenti. Fantascienza? Paranoia? Niente di tutto questo. Solo una realtà comprovata da numerosi studi scientifici documentati e sconvolgenti: un viaggio nella nostra alimentazione quotidiana, alla scoperta delle manipolazioni e dei raggiri, che partono da produttori agricoli, allevatori, aziende farmaceutiche, ricercatori, pubblicitari e che finiscono diritti nei nostri piatti. E’ ora di sostituire l’inciviltà dello spreco con la civiltà della sobrietà alimentare! N.Cap
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Il PANE quotidiano, farlo in casa si può
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acci oggi il nostro pane quotidiano...”, è, come tutti sanno, un passo tratto dal Padre Nostro che Gesù stesso, come è scritto sui Vangeli di Luca e di Matteo, ha voluto trasmetterci direttamente. È la preghiera che il Figlio di Dio recita ai suoi dodici apostoli, quando questi gli chiedono di insegnare loro a pregare. Naturalmente il Maestro non intende soltanto il pane nel significato letterale del termine, ma anche e soprattutto lo intende in senso figurato: quel pane spirituale che deve nutrire il buon cristiano ogni giorno che gli è dato vivere. In questa sede però abbiamo tirato in causa questo celebre passo evangelico per trattare del pane solo, diciamo così, nella sua concretezza di alimento base di molte popolazioni della terra. D’altronde, la doppia natura di Cristo, divina e umana al contempo, rende possibile interpretare correttamente questo passo in tutt’e due i sensi, che poi, a ben vedere, si integrano. Non di solo pane vive l’uomo, ma neppure, aggiungiamo noi, di solo spirito. Oggi si fa un gran parlare dell’aumento dei costi della vita: si va dagli interessi sui mutui variabili per la casa, alle bollette, ai generi di consumo in generale e, in particolare (per ciò che ci interessa qui prendere in esame) del pane. Un alimento base che, insieme alla pasta, ha subìto, in questi ultimi tempi, rincari, talora ingiustificati, di un
certo peso specialmente nei grandi insediamenti urbani come ad esempio Roma e Milano. Abbiamo voluto accostarci a questa problematica con molta cautela, stando ai fatti che vengono riportati dai media, senza voler per questo incolpare nessuno, né, tanto meno, prendercela con la categoria dei panificatori o degli altri operatori della cosiddetta filiera, che, nella maggior parte dei casi, hanno senz’altro dei validi motivi dalla loro per giustificare i rincari. Il prezzo della farina è aumentato, e l’aumento risulta tuttora stabile (nonostante i cereali ultimamente abbiano registrano un decremento del 30 per cento) e in forza di questo rincaro sono aumentati i suoi derivati:
pane, pasta, pizza, dolci da forno ecc.. Non fa una piega, anche se c’è da notare che mentre l’aumento della
La macchina del pane, in vendita a prezzi relativamente modici, può aiutare le famiglie a risparmiare e a migliorare la qualità di prodotti come il pane, i dolci da forno, le marmellate e la pizza. pasta industriale è stato, rispetto all’anno scorso, del 4,5 per cento circa, quello del pane invece ha segnato un incremento medio del 7,5 sempre in percentuale.
Il prezzo al dettaglio del pane comune (acqua, farina di grano tenero, lievito e additivi in minime quantità), presso i più disparati punti vendita, sul territorio nazionale, oscilla da 1,70 euro a 2,70 euro al chilo. Vediamo invece ora quanto costerebbe più o meno un chilo di pane comune per chi volesse farselo in casa da sé, magari utilizzando la macchina del pane. Il costo della farina di tipo 0 è all’incirca di 50 centesimi il chilogrammo alla vendita al dettaglio, mentre all’ingrosso è intorno ai 25 centesimi circa. Per fare un chilo di pane servono grosso modo 600 grammi di farina e 400 di acqua. L’acqua, almeno per il momento, rappresenta un costo talmente irrisorio che nean-
che vale la pena calcolarlo, e il sale marino grosso può essere quantizzato intorno a un centesimo per chilo; mentre la quantità del lievito di birra può incidere mediamente per circa 10, 15 centesimi per ogni chilo; se poi dalla pasta madre si ricava il lievito naturale la spesa è di molto inferiore. A questi costi, infine, va aggiunto quello dell’energia: gas, elettricità o legna, a secondo dei metodi di cottura impiegati. Insomma, se facciamo due conti la convenienza c’è, eccome. Ma veniamo alla macchina del pane, la quale costituisce, secondo noi, un ottimo rimedio, vuoi per il risparmio che si ottiene dopo l’ammortamento del dispositivo, che avviene in tempi relativamente brevi in una famiglia media italiana, sia per la possibilità di controllare la qualità degli ingredienti e, insieme, per evitare l’aggiunta di additivi chimici quantomeno non necessari. Oggi se ne trovano in commercio di vari tipi, il loro prezzo oscilla dai 30 (in offerta speciale) agli 80 euro, dipende dalla marca e da chi li commercia. Tutte le macchine prese in esame sono in grado di sfornare pani da un minimo di 400 grammi a un massimo di un chilo. Il tempo di cottura varia dalle tre ore e mezza per una cottura normale, alle due ore per una cottura rapida. Inoltre, la macchina del pane consente di fare dolci da forno, marmellate e, infine, impastare e far lievitare la pasta per la pizza che poi si dovrà cuocere a parte in un forno o su una piastra. C’è anche chi sostiene che si possa, con il programma delle marmellate, cucinare anche la polenta, ma nessuna indicazione proviene in questo senso dalle aziende che le fabbricano, almeno per quanto ci è dato sapere.
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L’
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Alimenti taroccati, all’insegna del tricolore BRUNO DEL FRATE
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l più delle volte si sottovaluta il problema, eppure i danni che può provocare al nostro organismo l’eccessivo ru more è uno degli aspetti negativi dell’odierna società, da prendere in seria considerazione. Va detto, innanzitutto, che i forti rumori sono mal tollerati dalle nostro apparato uditivo e non è cer tamente un luogo comune il fatto che il rumore faccia diven tare sordi. Infat ti i suoni molto forti cre a no dan ni so prat tut to alla “co clea”, la strut tu ra a for ma di chiocciola che si trova al centro del l’orecchio. Esiste un meccanismo naturale di prote zione che è l’azione di un muscolo inter no all’orecchio stesso il quale si contrae quando il rumore è forte, ammortizzando i suoni e bloccando parzialmente la tra smissione. Ma quel lo dell’orecchio non è un si stema che può sop por ta re : più si sposta in alto la soglia dell’udibilità e, in pratica, meno si sente. Secondo alcune recenti ricerche il fatto di divenire lentamente sordi o, co mun que, di sen ti re molto meno non è, come si accennava prima, l’unico danno che l’inquinamento acustico infligge al nostro organismo. I forti rumori possono, infat ti, creare danni al sistema neurovegetativo e, di conseguen za, problemi alla respirazione, la circolazione e anche alla digestione. Inoltre vi vere in un ambiente rumoroso porta anche difficoltà nel dormire bene, specialmente durante il ripo-
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i sente parlare sempre più spesso di inquinamento acustico, come se non bastassero quelli dell’aria, delle acque, dei terreni e, infine, quello luminoso. Infatti, in molte città italiane il rumore che si è costretti a sopportare supera abbondantemente in decibel (l’unità di misura del suono), sia di giorno che di notte, i limiti sopportabili dal nostro organismo per non essere costretto in uno stato di fastidiosa sofferenza, fino al punto di ammalarsi seriamente.
so notturno. Può, inoltre, comportare pure altri disturbi, come la dif ficoltà di concentrazione, la tensione mu sco la re ed ad di rit tu ra problemi alla tiroide. Ma vediamo come mai. Attraverso il sistema nervoso, gli ef fet ti degli ec ces si vi stimoli acustici raggiungono mol ti organi e ap pa ra ti tra cui, principalmente, la vi sta, il si ste ma ner vo so neurovegetativo, quello cardio va sco la re e l’ap pa ra to di gerente. In que st’ulti mo caso, ad esempio, possono comparire dif ficoltà di dige stione, crampi e coliti. Esiste, infat ti, la possibilità di un dan no pro vo ca to dalle vibrazioni sonore che colpisce la muscolatura liscia di stomaco ed intestino i quali si contraggono provo -
cando, appunto, le sindromi già dette. Ma le vibrazioni prodotte dal rumore possono inter ferire anche con il cuo re e la circolazione. Suoni molto for ti provoca no un restringimento dei vasi sanguigni (va socostrizione) che pos so no, di con se guen za, di sturbare l’ir rora zione del sangue in alcuni organi. I rumori forti e le vibrazioni da essi provocati, possono an che in ter fe ri re con il bat tito cardiaco e creare ulteriori ostacoli a chi sof fre di un cat tivo funzionamento del le co ro na rie. Disturbi sull’umore e sull’at tenzione sono stati rivelati su alcune persone, così come individui sot toposti a rumori eccessivi hanno manifestato dif ficoltà nella visione sia diur na che notturna. Dobbiamo, quindi,
Cento anni in Amazzonia Quando nel 1908 il Ministro provinciale dei Cappuccini dell’Umbria, padre Giulio da Perugia, con il consenso di tutta la Provincia, chiese ai Superiori Generali dell’Ordine “una Missione Vera estera, fuori d’Europa, preferibilmente in America e, se possibile in Brasile”, i suoi confratelli, nel tempo, avevano già segnato con la loro opera missionaria, talvolta spinta fino al martirio, l’Europa, il Medio e l’estremo Oriente, l’Africa, l’America Latina e in particolare il Brasile. Sull’onda di questo anelito
missionario mai sopito, il 30 giugno 1909, salparono per l’Amazzonia brasiliana, dal porto di Napoli, i primi quattro missionari umbri, giungendo a Manaus il giorno 26 del mese successivo. Costoro rispondevano al nome di padre Domenico Anderlini, padre Agatangelo Mirti da Spoleto, padre Ermenegildo Ponti da Foligno, fra Martino Galletta da Ceglie Messapico. Ebbe inizio così l’evangelizzazione in quelle remote terre affascinanti, ma nello stesso tempo, soprattutto
per chi come loro veniva da lontano, irte di insidie d’ogni tipo, alle quali si aggiungeva, come aggravante, la penuria dei mezzi. Eppure la determinazione ed il coraggio di questi primi quattro missionari aprì il solco agli altri missionari umbri che nel giro di un secolo si sono avvicendati con amore e passione lungo le rive del più grande fiume del mondo, tra le foreste più folte della terra, all’estremo lembo del Brasile, al confine con il Perù e la Colombia, nell’Alto Solimões. Manaus, S. Paulo
ricordare che i “bersagli” di intensi suoni prolungati, oltre un certo lasso di tempo, non sono soltanto i nostri timpani bensì tutto il nostro organismo e le sue fun zioni vitali. Ricordarci sempre che quando l’equilibrio psicofisico viene a modificarsi, anche a causa di rumori troppo for ti e prolungati, vi sono delle conseguenze nocive. Per questo, soprattutto chi passa gran parte della sua vita in luoghi inondati da rilevante impatto acustico, deve tenere ben presenti quali sono i rischi ai quali va incontro sia la sua salute, sia quella degli altri e indurre ad ap portare i giusti rimedi. Dai tappi per le orecchie a norma sui luoghi di lavoro, alla coibentazione acustica delle abitazioni ecc..
FRATEMARCO de Olivença, Benjamin Costant, Tabatinga, Amaturà, S. Antonio do Iça, Tonantins, Belém e Atalaia, questi i centri dove hanno operato e continuano ad operare i frati missionari di quella che oggi è diventata la Vice Provincia dei Cappuccini umbri. L’Almanacco di Frate Indovino del 2009, vuole nelle sue belle pagine, raccontare la storia di questi intrepidi missionari, rendendogli omaggio a cent’anni di distanza dal loro arrivo in Amazzonia e a tutti gli altri che si sono succeduti fino ad oggi.
Non ci sono solo i cinesi a coprire metà del globo di prodotti contraffatti e pericolosi. Dai capi d’abbigliamento, ai giocattoli, al latte alla melanina. All’estero è falso più di un prodotto alimentare col marchio italiano su quattro. E’ quanto ha stimato Sergio Marini, presidente della Coldiretti. Che ha offerto un’esposizione completa che porta alla luce il fenomeno crescente della pirateria agroalimentare internazionale, utilizzando impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette, che si richiamano all’Italia, per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la produzione nazionale. Una vera galleria degli orrori, con cento falsi alimentari d’autore, che vanno dal Chianti californiano alla Fontina svedese, dalla Ricotta australiana alla Mortadella Bologna fatta con il tacchino, ad inquietanti imitazioni di gorgonzola, soppressata calabrese, salame toscano, Asiago, pomodori San Marzano e addirittura polenta ‘spacciata’ come italiana. Dai nostri concittadini che vivono negli Stati Uniti arrivano sempre più frequenti segnalazioni di prodotti italiani contraffatti. Dal parmigiano reggiano “made in Argentina” al prosciutto “San Daniele”, da una specie di gorgonzola prodotto in New Jersey per arrivare a prodotti di lusso contraffatti. Occhiali e orologi firmati Prada e Armani venduti nelle bancarelle a 10-15 dollari. Ma che ne sarebbe di un italiano che aprisse una bancarella accanto a queste e cominciasse a vendere software Microsoft fasullo? Quanto ci metterebbe uno sceriffo ad arrestarlo?
ERASMO
Copertina del nuovo Calendario.
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MITÌ VIGLIERO
La bellezza nei modi di dire S
i può essere belli “come il Sole” o come “un Dio”, che poi sarebbe la stessa cosa perché Apollo, dio della bellezza, era anche il dio del sole. Un bambi no solita mente è bello “come un angelo”, mentre una donna sor ridente ed elegante è “bella come una sposa”, poiché si sa che nel giorno del matrimonio “tutte le spose sono belle”. Quando si è giova ni si pos siede “la bellezza dell’asi no”, esila rante stor piatu ra del francese “la beauté de l’âge”, in cui “âge” (età) s’è tra mutata in “âne” (asino). La saggezza popolare veneta ammonisce però che “co la beles sa sola no se vive”; i genovesi più pratici dicono “bellessa no fa buggì a pugnatta” (non fa bollir la pentola). In più bisogna ricordar si sempre che “la bellezza è come un fiore, che nasce e presto muore”; basarsi solo su quella nella vita può dar adito a delu sioni, dato che “la bellezza ha belle foglie e frutti amari” e se non è unita ad altre doti, come la bontà e la saggezza, è “casa senz’uscio, nave senza vento, fonte senz’acqua, vino svanito”. Ma poiché “anche l’occhio vuole la sua parte”, e in fondo “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”, investiamo annualmente milioni
Far quadrare il bilancio Avete qualche problema a far quadrare il bilancio familiare e difficoltà ad arrivare alla fine del mese? La conclusione della vicenda Alitalia ci offre lo spunto per risolvere al meglio ogni ostacolo. Dividiamo il nostro bilancio in due società: una buona, dove mettiamo tutte le entrate provenienti dal nostro lavoro. Nell’altra, quella cattiva, mettiamo invece mutuo, bollette, spese per la macchina e quant’altro esce dal nostro borsello. Basta tenersi la prima ed amministrarla ed accollare la seconda allo Stato e il gioco è fatto. Semplice, no? Alta finanza Crolli a catena tra i colossi della finanza statunitense. Ma non erano loro che valutavano nazioni, multinazionali, banche e grandi aziende? E politici e giornalisti economici, ministri e capi di governo che
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d’euro in prodotti di bellezza, seguendo il celebre detto di Helena Rubinstein “Non esistono donne brutte, ma solo donne pigre”, concetto rielaborato da Marcello Marchesi in: “Non ti buttar giù se non sei una bellezza, aiutati che Dior ti aiuta”. Il maggior investimento pare vada nelle tinture per capelli, soprattutto in quelle schia renti, ed è un retaggio antico; il fatto di non esser bionda e di carnagione chiara (“a donna bianca bellezza non manca”; “occhio nero e capel biondo la più bella son del mondo”) nell’antichità era spesso argo mento di consolazione e giu sti fica zione; già nel Cantico dei Cantici (1,4) la protagonista afferma: “sono bruna ma bella”, e ancora oggi s’usa dire, riprendendo il titolo d’un vecchio film ormai divenuto proverbio “gli uomi ni preferiscono le bionde ma sposano le brune”: e ciò è logico, dato che qua si tutte le bionde sono ex brune. Al contrario si può esser brutti come “il demonio, il peccato, la fame, un rospo, uno scorfano, una cozza, una strega”. Se il nostro aspetto non è esteticamente dei migliori non dobbiamo preoccuparci; tutti sanno che le orecchie a sventola non fanno as somiglia re a Dumbo ma sono “simbolo d‘intelligenza”, mentre per gli uomini l’esser totalmente calvi è indubbio “segno di virilità”.
Di una fem mi na pelo sa come una scimmia si dice “donna pelo sa, donna vir tuo sa”; se ha i mustacchi “donna baffuta sempre piaciuta”; se è ir rimedialmente brutta “ha dei begli occhi e vuol bene alla mamma” e se gli occhi sono storti si tratta di “strabismo di Venere” Se una persona è picci na d’altezza “nella botte piccola ci sta il vino buono” e se ha le mani gelate come sogliole Findus “mani fredde, cuore caldo”; a questo pro po sito Pitigrilli così com mentava: “Mano fredda, cuore caldo. Anche in francese si dice così; anche in russo, anche in arabo. Questo dimostra che l’imbecillità è universale”.
Gli spilli di Erasmo pendevano dalle loro sentenze. Come tutti i pronosticatori del futuro, gli economisti le sbagliano quasi tutte. Salvo ad essere insuperabili a spiegarti perché hanno sbagliato. Fanno venire in mente i venditori dei numeri al lotto. Ma se capissero qualcosa di futuro in economia, non avrebbero bisogno di lavorare per campare! Aliprof Dopo un mese di polemiche, accuse, ultimatum, scadenze, manifestazioni, assemblee e grida, si è conclusa la vicenda Alitalia. Tutti più o meno soddisfatti. Così appare la vicenda al momento. “Garanzie a pioggia”, per tutti o quasi. A
on solo il perdono è in disuso ai nostri giorni. E’ anche sempre più raro sentire la parola “scusa”. La diciamo solo quando non ci costa niente. Giusto per sembrare educati. E un attimo dopo ce ne siamo già dimenticati. Come se chiedere «scusa» ci facesse male dentro. Siamo quasi convinti che non si fa, non è da uomini. E neanche da donne, se è per questo. Perché chi sbaglia paga e noi non vogliamo avere debiti con nessuno. Il mondo ci vuole aggressivi, sicuri di noi, infallibili. Gli errori non sono previsti nella nostra vita. E, comunque, siamo certi, sono colpa degli altri. Chi si scusa è un debole, qualcuno che non ha il coraggio delle proprie azioni. Un indeciso. Si può chiedere perdono o scusa solo per ruffianeria, per ottenere qualcosa e mettersi la maschera della persona accomodante. Dentro di noi non siamo disposti ad ammettere nessuna colpa. Siamo un indulto che cammina su due gambe. Pronti ad autoassolverci su tutto e tutti. Avvocati difensori della nostra vita che vincono i processi con formula piena.
quale prezzo non è ancora dato a sapersi. C’è chi ha ipotizzato un costo pari al “risparmio” ottenuto con il licenziamento di 90 mila insegnanti pubblici. I quali, vedendo un aereo Alitalia, potranno dire con orgoglio che vola con i suoi soldi. Una bella soddisfazione, ammettiamolo! Tutti “lodati” E’ preannunciato un altro lodo. Dopo il primo, che ha preso il nome del Ministro della Giustizia e che prevede l’immunità per le più alte cariche dello Stato, ne è preannunciato un secondo per rendere immuni da processi anche i ministri della Repubblica. Non
serve insomma la magistratura, basta il giudizio del popolo sovrano. Se li hanno eletti, diventano per legge immuni da ogni peccato. So bene che è una provocazione, ma circa duemila anni fa, il popolo sovrano, tra Gesù e Barabba, scelse quest’ultimo! Cultura e TV Leggo dalle cronache che mancheranno ben 8 miliardi di euro nel bilancio dell’istruzione pubblica. E che un mezzo per contenere i costi, oltre alla riduzione del personale (si parla di parecchie decine di migliaia di unità) e delle ore di lezione, si chiuderanno le aule nei piccoli centri. “Non consentirebbero l’inserimento dei giovani in comunità educative culturalmente adeguate a stimolarne le capacità di apprendimento”. Vero, perché sprecare soldi per il sapere? Saper leggere o far di conto non serve per guardare la TV!
Le scuse sono roba da pavidi, da gente senza personalità. Noi abbiamo sempre ragione, persino quando abbiamo torto. Ma per chiedere “scusa” ci vuole coraggio. Quello di accettare e vincere la paura di sbagliare, di essere fallibile. Una parola che può cambiare un rapporto umano. Per farsi perdonare ci vuole nobiltà d’animo, la capacità di non abbassare gli occhi, di arrossire senza nascondere un briciolo di vergogna. Chi chiede scusa non è mai un perdente, ma uno consapevole che la partita con la vita non ha un risultato scontato. Gli altri sono gli arroganti che ti guardano dall’alto in basso e protestano con l’arbitro anche dopo averti steso platealmente in area. Sono quelli sicuri di sé, pieni di risorse, pronti a tutto e disposti a niente. Quelli che sono pronti a scusarsi solo con se stessi ed anche in questo caso fanno una fatica bestiale. Per chiudere cito un mai dimenticato detto di un mio insegnante: “Si prendono più mosche con un cucchiaino di miele che con un barile di aceto!”.
Chiedere scusa? Giammai!
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La favola di Petit
Nôtre-Dame de la Guérison è il celebre santuario terapeutico situato nel comune di Courmayeur in Valle d’Aosta. Incastonato nella roccia, è posto sotto il ghiacciaio della Brenva e sulla strada della Val Veny. La chiesa, consacrata alla Vergine Maria nel 1868 dal vescovo Jans, conserva la statua della Vierge du Berrie, tanto amata dai fedeli che si rivolgono a lei per ottenere la grazia della guarigione per sé o
per i loro cari, essendosi verificate in questi luoghi mistici numerose guarigioni sin dal ‘600. Nôtre-Dame de la Guérison è uno dei santuari più frequentati della Valle d’Aosta. Anche papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI durante le loro vacanze a Les Combes vi si sono recati più volte. La fiaba che pubblichiamo qui di seguito è dedicata a questo santuario.
iveva a Courmayeur un ciabattino in una piccola casetta fuori dell’abitato ai piedi del monte Chetif. Attendeva tutto il giorno al suo lavoro e a fianco aveva il suo figlioletto Petit, gracile e infermo alle gambe. Solo la domenica Amant, così si chiamava il ciabattino, lasciava il figlio, riponeva gli arnesi e partiva prima che le stelle impallidissero nel cielo verso la montagna. Il suo prediletto era il Monte Bianco, di neve, dove le nuvole spesso ne coprivano la vetta allo sguardo. Egli andava su per i sentieri a lui noti, traversava ghiaccio e neve, solo al cospetto della Natura e andava su sempre più in alto verso quella vetta magnifica avvolta nel manto ovattato delle nubi. Lassù, lui lo sapeva, vi abitavano gli angeli di Dio, e di lì loro guardavano il mondo circostante e le creature che lo abitavano. Amant ogni volta saliva di più, ma la cima era così distante e le sue forze così poche che doveva tornare a sera alla sua casetta col suo desiderio inappagato. Eppure gli angeli lo avrebbero ascoltato. A loro egli voleva chiedere la guarigione del suo Petit e solo essi così vicino a Dio potevano intercedere in favore del piccolo malato. Tornava a casa portando cartoccetti di aria della sua bella montagna e la faceva respirare a Petit che riacqui-
stava il colorito e batteva le mani felice. A Petit il babbo raccontava la bellezza di quei luoghi e degli angeli che l’abitavano. Petit lo ascoltava silenzioso e quando il babbo aveva terminato il suo racconto lo pregava di portarlo con lui. Ma Amant diceva no e i giorni passavano uguali. Finché un giorno, commosso dalla insistenza del figlio, costruì una seggiola e issatala sulle spalle vi fece sedere il figlio e insieme partirono. Stupito Petit guardava la natura circostante e non si stancava mai di chiedere spiegazioni al babbo che felice gli rispondeva. Finché, giunti in un piano, Amant si fermò a riposare e pose in terra Petit. Petit si guardò intorno, poi disse al padre: “Babbo io vado su” e così dicendo miracolosamente prese a camminare. Mosse dei passi verso la montagna. Amant si alzò, lo raggiunse e lo prese per mano e insieme ripresero a salire. Le nuvole bianche si abbassarono e avvolsero i due. Non tornarono più giù. Mai più. C’è chi dice che siano morti. E c’è chi dice che essi stiano insieme agli angeli a cantare le glorie di Dio e della montagna. Ma queste sono voci. Nel punto dove Petit guarì sorge adesso la chiesa di Nôtre-Dame de la Guérison.
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Nel duo, il tutto
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l duo è espressione per indicare combinazione di persone o di elementi che realizzano qualcosa di buono e famoso. Nell’uso che ora ne facciamo, il duo non è associazione di persone di eccezione, ma abbinamento di regole o precetti che compendiano tutto il bene morale che l’uomo può fare o è chiamato a fare: cioè la norma dell’amore di Dio e del prossimo. Con altro paragone di sapore geometrico, il triangolo non ha sussistenza se non è formato da tre lati che fuori metafora sono Dio, l’uomo e il suo prossimo. Se Dio non sta alla base l’uomo non capisce se stesso e stravolge il senso del suo rapporto con i suoi simili al punto che si può parlare di Homo homini lupus, cioè l’istinto di sbranarsi a vicenda. Se c’è Dio, e io scopro d’essere fatto a sua immagine, come ogni appartenente alla mia specie, l’equilibrio tra questi tre lati forma un triangolo senza difetti, al quale solo l’umana fragilità può
Luciano Regini
TEOBALDO RICCI togliere qualcosa di perfezione. Ama Dio sopra tutte le cose mi fa vivere nella continua contemplazione di qualcosa di talmente grande da far scordare tutti gli aspetti magri e insoddisfacenti della esistenza umana e dà la carica per vivere con forza, gioia e speranza che altrimenti non sarebbe possibile avere. Amare il prossimo come se stessi ricorda prima di tutto il rispetto e la fiducia che devo avere nel principale bene che possiedo che è la mia propria esistenza, mentre il dimenticarlo porta alla noia, allo scoraggiamento fino al suicidio. Questo amore vero verso di sé, che scopriamo nell’esistenza di Dio, come acqua nata per scorrere, dilaga poi verso l’altro simile a me. Si rincorrono così le immagini del duo, del triangolo e, secondo l’ultimo aspetto del cerchio che girando si chiude completando se stesso. Non c’è altra cosa che faccia sentire l’uomo meglio realizzato.
I peccatori vi passano avanti nel regno di Dio “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?”. Dicono: “L’ultimo”. E Gesù disse loro: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E’ venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli” (Mt 21,28-32). Di questa parabola si può fare una prima lettura: non chi dice “Signore, Signore” è vero discepolo, ma chi concretamente fa la volontà di Dio. È il fare che conta, non l’obbedienza apparente, l’entusiasmo facile e inconcludente. Per capire che cosa significhi per Matteo il verbo fare, bisogna leggere il grande affresco del giudizio (25, 31-46). Due i tratti principali: l’universalità (fratello di Gesù è qualsiasi bisognoso) e la concretezza del prendersi cura dei bisognosi di ogni genere, anche stranieri (“ero straniero e mi avete ospitato”). Ma questa prima lettura non ci porta ancora al centro della parabola, costituito dalla sorprendente affermazione: “Vi garantisco che i pubblicani e le prostitute entreranno prima di voi nel regno di Dio”. Qui le parole di Gesù si fanno dirette, passano al voi e coinvolgono i suoi interlocutori e noi stessi. È chiaro che Gesù non intende porre un principio, come se volesse affermare che tutti i peccatori, per il fatto stesso di esserlo, entreranno nel Regno e che, al contrario, nessun giusto potrà entrare. Più semplicemente, Gesù constata una situazione di fatto, che però continua a ripetersi e che, in ogni caso, deve farci fare un esame di coscienza. Ecco la situazione: Gesù ha incontrato uomini giusti e praticanti e lo hanno rifiutato, e ha incontrato uomini della strada e lo hanno accolto. Di fronte a questa situazione possibile, i cristiani devono riflettere e comprendere che anch’essi, per primi, hanno bisogno di conversione e di perdono. È bene che ciascun cristiano (e anche la comunità) si ponga una domanda: come è possibile che tanti credenti, di fronte a proposte evangeliche concrete, si tirino indietro e ostacolino proprio quei tentativi che dovrebbero essere loro stessi a suscitare? Così, per fare un esempio, c’è chi crede nella carità evangelica, nella fratellanza cristiana, ma poi, inspiegabilmente, sostiene concezioni che sono l’opposto. Oppure, ci possono essere cristiani impegnati che, tuttavia, ostacolano ogni concreta iniziativa tesa a rendere la vita della comunità cristiana più attenta ai bisognosi. Tutto questo succede. Ha ragione il Vangelo: la conversione è anche per i giusti, non solo per i contemporanei di Gesù.
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La lingua italiana pare avviata a diventare un dialetto alla periferia dell’impero globale
I poeti custodi delle differenze onfesso che pure essendo apertamente progressista in politica, mi ritengo conservatore critico per quanto riguarda la questione dei dialetti. Certo, la questione è non poco complessa e andrebbe analizzata costruendole accanto un profilo storico della fortuna e sfortuna degli idiomi dialettali almeno a partire dalla metà del Novecento: diciamo dall’avvento, nei primi anni Cinquanta del Novecento, della televisione pubblica. Come è noto, quest’ultima è stata non a torto giudicata responsabile dell’affievolimento e della potenziale estinzione degli idiomi tradizionali via via che l’avvicendarsi delle generazioni staccava la spina della memoria che li teneva legati ai comportamenti comunicativi della tradizione dei gruppi locali. Si è trattato di un tema la cui enorme portata non era sfuggita a quel grande osservatore che fu Pasolini. Da un lato, il vantaggio di essere compresi da tutti all’interno di un territorio nazionale tradizionalmente contrassegnato dalla pratica della frantumazione e del particolarismo; dall’altro la cancellazione progressiva delle identità linguistiche locali, che stavano perdendo energia e fondamento man mano che la lingua nazionale si andava imponendo come modello penetrato, grazie al video, nelle case di tutti. Più tardi, poi, si è assistito al colpo di grazia, inferto non più dal video-audio ca-
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pillare e insinuante ma dal modello economico impostosi via via che il processo di globalizzazione uniformava, appiattiva, mortificava le differenze in nome di una planetarietà del denaro e delle merci che veniva e viene ferocemente propagandata come scenario della vera felicità: ognuno di noi è virtualmente ovunque, è “felice” grazie agli stessi consumi di ciascuno, e così via. In questo senso è la stessa lingua italiana a essere divenuta un dialetto della periferia dell’impero: uno dei tanti dialetti che risultano essere non altro che cascami mnemonici di identità locali che sembrano non esistere più come centri generatori di poteri economici e di influssi planetari. La lingua americana (statunitense, per meglio dire), invasiva, indiscreta, spesso sguaiata, a molti incomprensibile, è diventata la lingua dell’Impero mondiale e purtroppo, in molti casi, la lingua delle bombe. Andrea Zanzotto, che è certamente uno dei vertici della poesia italiana e del pensiero critico, ha scritto pagine insuperabili attorno a questi temi, affermando esplicitamente, senza le leve del paradosso, di scrivere in una lingua che morirà. Quale cultura delle differenze, infatti, può continuare a vivere e a fruttare nel momento in cui la penetrazione delle merci, sostenuta dalla macchina televisiva dei profitti pubblicitari, è uguale ovunque, dalla metropoli al luogo periferico più sconosciuto?
Poteva non costituirsi una forma (o più forme, per meglio dire) di reazione a questa impressionante dittatura? Tutto ciò è inevitabilmente avvenuto, e non sempre per fortuna nostra. Ma il fenomeno è complesso e sarà il caso di vederne brevemente almeno due aspetti. Primo: nel momento in cui il recupero degli idiomi dialettali locali viene riattivato, ciò è quasi sempre il risultato della decisione di una élite che intende, attraverso il recupero delle tradizioni e di quella linguistica in particolare, stimolare gli aspetti anche negativi ed esclusivi delle identità; spesso si tratta di feroci identità, fondate sulla logica novecentesca amico/nemico che esclude mediazioni e negoziati tra l’interno e l’esterno del gruppo. La Lega Nord si è servita di questo progetto per rendere più visibile (e udibile) il proprio assalto alle differenze etnolinguistiche, per costruire consensi attorno a un compatto e feroce spirito di appartenenza, che intendeva arroccarsi sui propri privilegi proprio quando la globalizzazione spalmava su una superficie planetaria i propri miti e modelli. Difesa del particolare e contemporaneamente sfruttamento del diverso in vista della competizione globale. Non è forse un paradosso allarmante? I poeti, che mi sono simpatici per il loro tentativo di mantenere in vita i contatti profondi con la verità delle emozioni e dell’analisi esistenziale, nono-
stante la loro crescente povertà commerciale, i poeti, dicevo, sono stati in questi anni i custodi delle differenze. Parecchi di loro sono tornati al dialetto delle madri, hanno dimostrato che, cambiando il linguaggio e riducendolo a pensiero unico, molti valori interni all’identità del soggetto, non più espressi, erano destinati a cadere. Poiché è il linguaggio che forma i soggetti e le società, la caduta di quel linguaggio determina il rischio di scomparsa di valori come la tenerezza, il gioco, la gratuità, la solidarietà, e soprattutto la memoria. Tornare a parlare in dialetto potrebbe così diventare un atto di accusa politico non trascurabile contro la dittatura dell’omologazione. Purché però, si badi, si disponga degli strumenti dialettici e critico-politici per fondare questo progetto di rinascita entro un campo di discussione adulta, responsabile, non localistica. Anche in questo, il riferimento a Zanzotto ci rincuora e ci educa: dimostrazione che non esiste un grande poeta che non sia cosciente del proprio mandato storico di intellettuale; anche se egli è favorito dalla sua parlata veneta, che è incomparabilmente flessibile, soave, carica di tradizioni illustri. Infatti non si può dire che ogni idioma possa funzionare come tale quando sia adibito in poesia. Ma su questo punto lascio la questione ai linguisti. Geo De Ròbure
Intervista con l’autore, Bepi di Marzi
“Signore delle Cime” compie 50 anni
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Cori alpini? Stanno morendo tutti, anzi, sono già morti senza saperlo, perché non hanno più alcuna funzione culturale né sociale”. Parole decisamente scioccanti, soprattutto se a pronunciare questa sorta di epitaffio crudele è Bepi De Marzi, proprio lui, l’autore di quel “Signore delle Cime” che compose mezzo secolo fa per ricordare un amico morto in montagna e che da cinquant’anni a questa parte si canta in tutto il mondo. De Marzi è autore di tanti altri canti che costituiscono da decenni la parte preponderante del repertorio dei Cori alpini e di montagna. In occasione dell’anniversario del mezzo secolo per il suo canto più famoso, ad un convegno sulla figura femminile nei canti di montagna, il Maestro vicentino ha guidato i presenti in una sorta di “viaggio” tra i canti da lui composti. Canti in cui le donne c’entrano poco o niente, a cominciare dalla prassi esecutiva che prevede solo voci virili. “Il vero canto popolare femminile - ha spiegato - era quello delle mondine, delle filandere, delle donne che cantavano in chiesa. L’equivoco risale a 50 anni fa, quando i Cori credevano di can-
tare la montagna… Poi si è capito che il canto di montagna non è mai esistito, che la melodia degli Alpini non esiste, che la montagna è stata musicata dalla città e dai dischi Odeon, che l’organizzazione corale maschile era un’invenzione trentina degli anni ’20… Da allora si è preferito
chiamare più onestamente quest’espressione corale diffusa “coralità di ispirazione popolare”. La rappresentazione della montagna, in questo genere di canti, oscilla sempre tra il dramma e l’idillio, a volte indulge alla retorica, ma di montagna “vera” ce n’è ben poca. Si tratta di espressioni
irreali, di confezioni poetico-musicali - ha risposto De Marzi di una lettura trasfigurata e turistica che spesso disegna quadri idilliaci mentre la vita in montagna è sempre stata drammatica e continua ad esserlo. Si fa, insomma, una specie di memoria dei tempi ‘d’antan’ addomesticata, a
ALP, SPECIALE GRANDI MONTAGNE è una straordinaria finestra stampata che fa alzare lo sguardo in alta quota. Precisamente a “Quota 4000”. E lo fa con un numero dedicato a Vittorio Sella, fotografo che… inventò la montagna. Il bimestrale edito dalla Vivalda nel numero di luglio-agosto ha aperto con un omaggio a un cantore della montagna: Mario Rigoni Stern.
volte persino offensiva della memoria stessa”. Eppure sono ancora tanti i Cori del Nord Italia che continuano a riproporre con successo questo repertorio. “Sì, ma il destino dei Cori di questo tipo è ormai segnato, perché in questo genere di canto non si rileva alcuna ideologia, alcuna intenzionale provocazione, alcuna consapevole lettura di quanto si propone… I concerti diventano delle rivelazioni caotiche di tanti temi, per lo più leggeri, in continua contraddizione tra loro. E poi c’è l’età dei coristi, che esprime soprattutto rassegnazione e sottomissione opportunistica al potere di turno. Il futuro del canto non sono i Cori alpini, ma la polivocalità in cui il ruolo delle donne è imprescindibile: se in Italia non ci siamo ancora arrivati - ha affermato il Maestro - è perché la cultura musicale generale rimane bassissima, gli altri Paesi ci battono tutti perché i loro cittadini imparano a leggere la musica fin dalle elementari. La salvezza dei nostri Cori - ha concluso Bepi De Marzi - può venire solo da una riduzione degli organici e dalla loro articolazione interna in piccoli gruppi specialistici. E poi bisognerà curare la ricerca di temi nuovi”. Magda Bonetti
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Nei campi Si programmano le rotazioni delle colture. Si preparano i terreni per la semina del grano che termina entro la fine del mese. Si continua la raccolta del mais. Negli orti Attenzione alle gelate. Nei frutteti si interrano nuove piante: il terreno sia ben asciutto e le fosse profonde, controllare la qua lità del terriccio. Si seminano agli, carote, piselli, bietole, fave, ravanelli, spinaci e tutti quegli ortaggi che durante l’inverno devono sviluppare le radici. Si trapiantano le cipolle, i cavoli e le lattughe. Si piantano i carducci di carciofo. Si rincalzano sedani, cardi e carciofaglie. Si raccolgono carote, cavoli e barbabietole. Mentre talee di salvia,
rosmarino, origano e eventuali altre piante aromatiche possono essere poste a dimora in terreni protetti da opportune ser re, attenzione a utilizzare parti di piante assolutamente sane. Nei terrazzi e giardini E’ tempo di costruire dei ripari o mettere al sicuro le piante meno resistenti al freddo. Gli ultimi bulbi vanno tolti e posti anch’essi al riparo, in luogo asciutto, possibilmente coperti di stame e sabbia. Stendere sulla terra inumidita, un po’ di concime organico. In cantina Il mosto deve fermentare nella calma e nel silenzio, ed essere circondato da un lieve tepore. Si appresta il primo travaso, pos si bil men te a luna calante.
E’ necessario che l’uomo si avvicini sempre più al bene e si adoperi per preservare la propria mente dalla malvagità. La mente di colui che compie buone azioni di malavoglia, infatti, si diletta nel male. Buddha E’ una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di una discreta fortuna ha bisogno d’una moglie. Jane Austen E’ meglio ingannarsi sul conto dei propri amici, che ingannare i propri amici. Johann Wolfgang Goethe
Arista di maiale Ingredienti per 4 persone: 800 gr. di arista di maiale, 2 rametti di Rosmarino, 2 spicchi d’aglio, 1 bicchiere di vino bianco secco, olio d’oliva extra vergine, sale e pepe. Fare un trito molto fine di aglio, pepe e rosmarino. Salare e mescolare bene. Pillottare l’arista (che sarà stata acquistata già avvolta nella rete e legata con lo spago) con il trito. Metterla poi in una teglia con dell’olio e passare in forno riscaldato a 250°C. Dopo cinque minuti abbassare la temperatura sui 200°C e aggiungere il vino. Cuocere per circa un’ora, rigirando l’arista di tanto in tanto e, se serve, irrorandola con un goccio di brodo ristretto. Tagliare l’arista raffreddata a fette sottili e disporle su un piatto da portata. Riscaldare il fondo di cottura e versarlo sulle fette. Vino consigliato Merlot.
L’1 novembre il Sole sorge mediamente alle ore 6,43 e tramonta alle 17,04. Il 15, sorge mediamente alle ore 7,00 e tramonta alle 16,49. Il 30, sorge mediamente alle ore 7,19 e tramonta alle 16,39.
L’aglio, come si sa da tempo immemorabile, ha svariate proprietà medicamentose ed è, tra l'altro, riconosciuto come un alimento indicato per chi ha problemi di pressione: dovrebbe entrare in tutte le diete degli ipertesi. Chi non lo digerisce bene può acquistare in erboristeria o in farmacia le tinture o i confetti d’aglio. Anche l’olivo è un buon vasodilatatore, ma non il frutto bensì le foglie con cui si ricava un decotto che, una volta assunto, abbassa rapidamente la pressione sanguigna. Per una dose giornaliera si fanno sobbollire 30 gr di foglie in mezzo litro d’acqua, quando il liquido si riduce di un terzo il rimedio è pronto. Prima che si raffreddi si può aggiungere un cucchiaino di miele per dolcificarlo. La terapia dovrebbe durare almeno un paio di settimane. Anche il decotto o le tisane di biancospino venivano consigliate dalla medicina popolare per diminuire la pressione alta. Festa
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Per le nausee dipendenti da un’indigestione causata da un eccesso di cibo vi indichiamo un rimedio a cui ricorrevano le nostre nonne. E', più esattamente, un decotto a base di fiori di tiglio e foglie di arancio. Per ottenerlo si devono far bollire in due bicchieri d’acqua 50 grammi di fiori di tiglio essiccati insieme a una trentina di foglie di arancio per una ventina di minuti. Filtrare con un passino a maglie strette e ancora caldo berne una tazza un po’ per volta nell’arco di una ventina di minuti. Normalmente l’effetto benefico è garantito in breve tempo. Un altro rimedio da tenere in serbo per l'evenienza, è costituito da un preparato a base di limone. Si fanno macerare 100 grammi di scorze di limone biologico (se dovesse essere difficoltoso reperirlo, per una volta si può usare anche un limone qualsiasi, dopo averlo tenuto per una mezz’ora in acqua con bicarbonato di sodio), in 200 gr di alcol alimentare a 70 gradi per una decina di giorni. In caso di nausee, berne un bicchierino tre volte al giorno diluito in poca acqua. Invece per le nausee di tipo psicosomatico, un tipo di sindrome molto comune ai giorni nostri, dove il corpo somatizza tutta una serie di sollecitazioni negative tipiche dell'attuale organizzazione della nostra società, sarà bene correggere lo stile di vita evitando il più possibile di stressarsi. Nel caso, vi consigliamo di fare lunghe passeggiate, cercando poi di imporvi ritmi di vita regolari. In tutti gli altri casi sarà bene ricorrere alle cure del vostro medico.
delle Campane
Il 9 novembre è tradizione in molte località della Valnerina e dello Spoletino accendere i lumini sui davanzali delle case e i “focaracci” (falò) all’aperto, tutto ciò per illuminare il passaggio della cosiddetta “Venuta”, che ogni anno simbolicamente si rinnova. Un leggendario viaggio che in una suggestiva quanto antica credenza locale si dice essere avvenuto attraverso la Via Lattea ovvero il Cammino degli Angeli. Una “via”, peraltro, cara a molti pellegrinaggi come quello occitano che conduce a Santiago de Compostella. Si fanno processioni e si veglia, mangiando “fava ingreccia” e sorseggiando vino fino alle tre del mattino, ora in cui, secondo la leggenda, la casa della Vergine lauretana fu depositata nel bosco di lauri, vicino Recanati, dove oggi sorge il celebre santuario. A quell’ora rintoccano le campane e si sparano mortaretti in segno di gioia e di ammirazione, subito dopo s’intonano le litanie lauretane. E’ questa la tradizionale Festa delle Campane, ancora in auge in alcuni centri oltre che umbri anche marchigiani.
N OVEM B RE «Io son Novembre che porta la bruma, spacca la legna e il giorno consuma ammazzo l’oche, spoglio le fronde, porto acqua ai fossi e la neve al monte».
“A novembre con le foglie, cadon via capelli e voglie.” “Che sia bello o che sia brutto, a novembre muore tutto.” “Pioggia di Novembre fa scen de re tanti beni dal cielo.” “Se di Novembre non avrai arato, tutto l’anno sarà tribolato.” “Giorno bello, giorno brutto, Novembre se ‘gnuda tutto.” “A san Martino ogni mosto diventa vino.”
VERGINE LAURETANA Si celebra il 10 novembre
Ricorrenza piena di magia, là dove si ricorda la Vergine lauretana e il mirabile viaggio ‘angelico’ (traslazione) compiuto dalla sua casa di Nazareth in Galilea nel 1291 e conclusosi la mattina del 10 dicembre 1294 nel bosco di Loreto, dopo aver sostato, quasi sicuramente, per tre anni a Tersatto nell’Illiria, l’attuale Dalmazia. Un viaggio, mitizzato ma reale (avvenuto per mare e per terra), necessario ad evitare che il sacro ‘cimelio’, che doveva diventare il fulcro spirituale del più importante santuario mariano, rimanesse definitivamente in mano musulmana con il rischio di eventuali profanazioni, come era capitato alla Basilica patriarcale del Santo Sepolcro, andata distrutta quasi completamente nel 1009, per ordine del califfo Hakim, detto ‘il pazzo’; poi ricostruita dai crociati e riaperta definitivamente al culto il 15 luglio del 1149. Testi a cura di
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Questo numero è andato in stampa il 12 ottobre del 2008.